Nuova Ossessione

di Sarastar88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Un tornado biondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Licenziamento con giusta causa ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Promettere a sè stessa ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Starlight ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Ritorni ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Ragione e Sentimento ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Quel che è stato è stato ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Cuore di Ghiaccio ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Imparare ad amare ciò che ci fa stare bene ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Scelte ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Ossessione ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Non lo faccio per te ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Vorresti essere da un'altra parte? ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Fuoco e sangue ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Abbi pietà di me ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - Fenice ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Perché no? ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Nuova ossessione ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Ehi, bionda, sto parlando con te! ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - Sei nei guai ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 - Nove lettere unite ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - Con le patate è la morte sua ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 - Ottimo lavoro soldato ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 - Non lasciarmi sola ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 - Rosa blu ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 - L'unica fra tante ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 - Non lo odiamo più? ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 - Dobbiamo parlare ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 - Musicista e accordatore ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 - Silent Party ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 - Ti porto via con me ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 - Allora, ci stai? ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 - Fugace utopia ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 - Pasqua con i tuoi... ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35 - Pasquetta con chi vuoi ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36 - Devi nasconderti ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37 - Perché non resti a cena, Filippo? ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38 - Non sei poi così malvagio ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39 - Non sei pazza ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40 - Alza lo sguardo verso il cielo ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41 - Buona notte ***
Capitolo 43: *** Capitolo 42 - Non stavo meglio prima di te ***
Capitolo 44: *** Capitolo 43 - Hai fame? ***
Capitolo 45: *** Capitolo 44 - Strage di cuori ***
Capitolo 46: *** Capitolo 45 - Nessuno dice no a Francesco Motolese ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 - Proporrei un brindisi ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48 - Sono felice di averti al mio fianco ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 - Dove potrei tornare, se non a casa da te? ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50 - Scacco Matto ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51 - Cosa c'è stato tra te e Annie? ***
Capitolo 52: *** Ora hai un cuore che ogni uomo vorrebbe avere ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53 - Amore, non è come credi! ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54 - Questo è per quello che le hai fatto. ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55 - Inferno o Paradiso? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era visibilmente tesa, le gambe molli e la gola secca. Si guardò più volte allo specchio, rassicurandosi mentalmente sul fatto che fosse piuttosto carina e decisamente provocante quella sera. Era quello il maggiore dei suoi problemi; sarebbe riuscita a non cedere sotto il suo sguardo?
Sì, voleva che lui la vedesse in maniera diversa da tutte le altre, tutte quelle che era abituato ad avere ai suoi piedi. Anche lei lo desiderava, ma voleva essere di più di una delle tante per Francesco, voleva essere quella ragazza.
La vibrazione del suo telefonino la destò da questi pensieri, riportandola alla realtà. Sullo schermo apparve il suo nome, seguito dal breve sms:
Sono sotto casa tua”.
Sophie si specchiò un'ultima volta nella sua piccola, ma accogliente stanza: i leggings neri di pelle erano aderenti e seguivano perfettamente la linea dei suoi fianchi sinuosi, il corpetto di pizzo nero, con una leggera scollatura a balconcino, metteva in risalto i suoi, seppur piccoli, seni tondi e alti, uno stivaletto nero lucido col tacco la alzava di qualche centimetro, nascondendo lievemente la sua bassa statura. Le lunghe ciocche nere erano mosse e ricadevano morbide sulla schiena, la frangetta era stata spostata di lato sulla destra del viso, così da non oscurarne i penetranti occhi. Aveva scelto il solito trucco, ovvero matita nera, eyeliner e mascara, facendo così risaltare quelle profonde e lucenti iridi verdi. Aveva evitato accuratamente il rossetto, sapendo che le sue labbra sarebbero state impiegate in faccende ben più interessanti del puro e semplice dialogo.
Si diede una spruzzata di profumo e indossò il suo cappottino nero, pronta ad affrontare il freddo di quella sera di gennaio. Mise il cellulare nella tasca della giacca, spense la luce e uscì dalla sua stanza.
«Ciao, io esco.» «Non fare tardi!»
La voce apprensiva della madre fece bloccare la ragazza sulla soglia dell’ingresso.
«Mamma, ho più di vent'anni, sono ormai grande per queste raccomandazioni. Comunque, il mio amico domani lavora, quindi non tornerò tardissimo. Ciao.»
Fece un cenno di saluto con la mano, dandole le spalle, mentre prendeva le chiavi di casa per poterle riporre accuratamente nella tasca libera del cappotto.
Scese le scale del piccolo condominio aggrappandosi alla ringhiera, sperando di poter trovare in quel oggetto inanimato un altro tipo di appoggio, quello che le sarebbe servito per affrontare quella serata con lucidità. 
L'aria fredda investì Sophie non appena mise piede fuori di casa, ricacciando in un cassetto le preoccupazioni. Fece qualche passo, raggiungendo la sua macchina, una BMW Serie 4 nera, e il ragazzo che la stava aspettando all’interno. Bussò al finestrino dal lato passeggero e vide Francesco girarsi verso di lei e sorriderle, mentre azionava il pulsante di sbloccaggio delle portiere.
Il suo cuore saltò un battito quando notò quel sorriso illuminargli il viso, creando delle adorabili fossette, pensando a quanto fosse bello e a quanto gli fosse mancato in quelle settimane.
Salì sull’auto e ricambiò il sorriso, inchiodando i suoi grandi occhi verdi in quelli marroni di lui, vedendoci una sabbia dorata, una spiaggia al tramonto e il mare a fargli da cornice.
Distolse per prima lo sguardo, sentendo il cuore battere all’impazzata per quel contatto visivo.
«Ehi...Ciao.» «Buonasera bellezza. Sei molto carina stasera.»
Lei si sentì avvampare per l'imbarazzo di quel complimento, cercò di deglutire e rispose un timido «grazie», allungandosi poi verso di lui e schioccandogli un leggero bacio sulla guancia.
Dopo essersi riseduta comodamente sul sedile si allacciò la cintura e, senza guardarlo direttamente, gli chiese dove l'avrebbe portata.
«Conosco un posto tranquillo, sempre se non hai cambiato idea.» Sophie vide con la coda dell'occhio il ghigno soddisfatto di Francesco, convinto di avere già la vittoria in tasca. Lei aveva paura di cedere, ma non glielo fece notare. Era una ragazza timida e insicura, ma quando si fissava di ottenere qualcosa, diventava testarda e niente e nessuno sarebbe riuscito a persuaderla. Alzò il suo viso e tornò a puntarlo su quello di lui, ricambiando quel sorriso arrogante e mostrando una finta sicurezza, dettata principalmente dal suo orgoglio.
«Perché dovrei? Sei tu quello che perderà la scommessa questa sera.» «Staremo a vedere…»
Questa volta fu Francesco a distogliere per primo lo sguardo, girando poi la chiave nel cruscotto e azionando il motore della sua BMW. Uscì dal parcheggio e si immise in strada.
Durante il tragitto parlarono dei loro gusti musicali completamente opposti, quasi scontrandosi per avere la meglio l’uno sull’altra, come se quella loro battaglia superficiale volesse celare un messaggio preciso, ma nascosto: “Sarò io a vincere!”
Francesco si parcheggiò nel posteggio di un locale piuttosto gettonato nel weekend, dove erano soliti ritrovarsi molti dei loro coetanei vestiti in maniera elegante. I ragazzi che frequentavano il posto sembravano dei pinguini inamidati, mentre le ragazze facevano a gara a chi indossava il vestito più corto. Il Terzo Cerchio era un locale prettamente per classici fighetti con la puzza sotto il naso, quelli che Sophie cercava di evitare come la peste. Gli uomini erano più interessati a intrattenere conversazioni citando la grandezza del loro bolide, della velocità con cui percorrevano ogni curva, del profumo caldo e sensuale che lo avvolgeva. Le loro vetture erano più importanti di qualsiasi altra cosa!
Le donne invece discutevano di borsa e affari; era più costosa una Chanel o una Louis Vuitton? Meglio accettare il corteggiamento di un giovane benestante o di un signore di mezza età ricco sfondato?
Un mondo nettamente contrastante con quello di Sophie, il cui unico sogno era quello di trovare l’amore, quello vero, quello con la “A” maiuscola e insieme a esso crearne una famiglia.
Non avrebbe mai creduto che lui fosse uno di quei boriosi figli di papà che frequentava quel locale così esclusivo, né che l’avrebbe portata proprio lì per il loro “appuntamento”.
Sophie si slacciò la cintura di sicurezza con assoluta lentezza, accompagnando il gancio fino alla cima.
«Sarebbe questo il posto tranquillo? Comunque non credo di essere vestita in maniera adatta! Se avessi saputo che saremmo venuti qui avrei scelto un outfit differente.»
Francesco, a quella affermazione che gli era sembrata decisamente incomprensibile, squadrò la ragazza da capo a piedi, dopodiché scoppiò in una omerica risata, slegandosi anche lui dalla cinghia nera che bloccava i suoi movimenti.
«Non penserai davvero che io sia uno di quelli? Ah, Sophie… non mi conosci proprio!»
La ragazza, sollevata dalla notizia, si domandò tacitamente il perché avesse scelto quel posto, se l’intenzione non era quella di entrare nel locale. Attorno a loro c’era il vuoto, solo qualche chilometro più avanti si tornava a essere in città. Francesco, come se avesse captato i suoi pensieri, rispose alla sua tacita domanda.
«Nel weekend questo luogo pullula di gente, ma durante la settimana il covo degli snob è chiuso.»
A Sophie fu tutto più chiaro; erano in un parcheggio isolati dal caos cittadino, con pochissimi lampioni a illuminarne i contorni, perché era il luogo perfetto per avere la loro riservatezza.
“Quel furbetto aveva pensato proprio a tutto! Voleva vincere quella scommessa a tutti i costi!”
«Immagino che non sia un caso che tu conosca la tranquillità di questo posto.»
Sophie pronunciò quelle parole con una punta di fastidio. Il pensiero che lui l’avesse portata nello stesso luogo dove era solito venire con le sue conquiste la toccò nel profondo, ferendola nell’orgoglio e nell’anima.
«Giusta osservazione. Sì, è capitato che alcune sere mi appartassi qui con qualche ragazza. Ho sempre messo in chiaro quali fossero le mie intenzioni, così come ho fatto con te; non mi piace illudere nessuno.»
Il motore dell’auto rimbombò nella testa della ragazza insieme alle parole di lui. Non aveva mai celato il fatto che fosse un Don Giovanni senza nessuna intenzione di soffermarsi sulla conoscenza più approfondita di qualcuno, concedendo al massimo un terzo giro di corsa. Lei però sperava di poter cambiare questo suo lato, credeva fermamente che se gli avesse dimostrato che non era come le altre che cedevano immediatamente al suo fascino, lui sarebbe stato interessato ad approfondire il loro rapporto. Aveva acconsentito a vestirsi come le aveva richiesto per non dargli l’impressione di essere una ragazza affetta da restitudine cronica, ma si era auto imposta di non cedere alle sue avances, o per lo meno di non andare oltre al bacio.
«Touché! Allora, le tue intenzioni sarebbero quelle di fare le cose sconce in questa macchina? Te l’ho detto che io non ragiono con la vagina…»
Sophie si portò le braccia al petto, guardando Francesco con un sopracciglio alzato e senza nascondere un sorriso di scherno che provocò una nuova risata nel bruno.
«Tutte lo dite eppure, dopo dieci minuti, siete già senza reggiseno a pregarmi di togliervi anche le mutandine. Forse tu potresti resisterne venti o al massimo trenta, ma tra massimo un’ora scommetto che io e te staremo facendo un gran bel sesso!»
Francesco le fece l’occhiolino, provocandole un grande imbarazzo che la fece arrossire sulle gote e persino sul collo.
Per calmarsi, la ragazza si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si morse il labbro, gesto che non passò inosservato agli occhi di lui, che spostò lo sguardo proprio su quella bocca rosea e leggermente umida.
«Sei proprio sfacciato, lo sai? Una scommessa dentro a una scommessa; rischi di perderne due in un colpo solo. Il tuo ego spropositato potrebbe reggere un tale affronto?»
Sophie cercò di stemperare la sua agitazione rispondendo in maniera canzonatoria al bruno, sentendosi più a suo agio inserendo un po’ di umorismo nel loro continuo botta e risposta.
Invito che Francesco accolse positivamente, emettendo una nuova risata e distogliendo lo sguardo dalle labbra della mora.
«Oppure, di vincerne due in una sola botta. In tutti i sensi ovviamente.» La canzonò, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Ci sediamo dietro per essere più comodi?»
Sophie, a quella domanda, deglutì a fatica, conscia che sarebbe stata l’ora più difficile della sua vita.

 
✿..:* *.:.✿
 
Un grande saluto a tutti quelli che si sono apprestati a leggere questa mia nuova storia.
Mi ero ripromessa di aspettare a pubblicare a stesura quasi ultimata, ma non ce l'ho fatta!Chi mi conosce sa che non sono una persona molto paziente e non vedevo l'ora di presentarvi i miei nuovi personaggi.
Impressioni a caldo? Secondo voi come sarà andata la serata?Sophie sarà riuscita a non cadere in tentazione?
Per scoprirlo, non vi resta che continuare con la lettura di questa mia storia.

Il prossimo aggiornamento sarà sabato prossimo!
Baci, Sara


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Un tornado biondo ***


Svegliarsi il lunedì mattina era sempre una tragedia per Sophie. Abbandonare il letto morbido e il suo pigiama di pile per indossare jeans stretti e scarpe scomode, ma eleganti, era di per sé difficoltoso, ma il primo giorno della settimana era un’impresa titanica.
La melodia che aveva scelto come sveglia poi aveva dato il colpo di grazia; aprire gli occhi e ascoltare la musichetta inquietante del film Lo Squalo, non aiutava di certo a iniziare la giornata con il sorriso.
Con la faccia ancora spalmata sul cuscino, la mora cercò di prendere il suo telefono, appoggiato sul comodino di legno, per interrompere quel supplizio, trovando però alcune difficoltà.
«Che palle!» Pronunciò stizzita all’ennesimo tentativo andato in fumo che la costrinse ad alzarsi dal suo rifugio e mettersi seduta.
Tenendo tra le mani il suo iPhone7pink, bloccò il suono monotono e inquietante, per poi stiracchiarsi e concedersi un sonoro sbadiglio.
Il rumore di passi sulle scale la fece voltare in direzione della porta, aspettando che il detentore si palesasse.
Quando gli occhi verdi di Sophie incontrarono quelli marroni di lui le venne spontaneo sorridere.
«Buongiorno raggio di sole. La colazione è sul tavolo, ma non aspettare troppo a scendere, altrimenti il cappuccino si fredda.»
Il bruno si avvicinò alla sua donna e le schioccò un veloce, ma intenso, bacio a fior di labbra.
«Ci vediamo stasera. Buon lavoro amore mio.»
Regalandole uno splendido sorriso prima di voltarsi, l’uomo uscì dalla stanza, raggiungendo le scale che davano all’ingresso e allontanandosi chiudendosi la porta principale alle sue spalle.
Rimasta sola nella loro casa, decise di scendere in cucina, ripetendo quasi meccanicamente quei gesti quotidiani.
Mentre inzuppava i suoi Oro Saiwa nella tazza, controllava le novità degli amici su Facebook, aggiungendo vari Like alle loro foto buffe e ridendo di alcuni stati ironici letti sul social.
Un messaggio su WhatsApp interruppe la sua collaudata routine.
“Non fare la tangenziale, perché c’è un incidente due chilometri dopo l’entrata. Ti conviene partire qualche minuto prima se non vuoi restare imbottigliata nel traffico. A più tardi piccola, ti amo!”
Lette le parole del suo fidanzato, Sophie si alzò velocemente dallo sgabello, sciacquò alla bell’e meglio la tazza e la ripose nella lavastoviglie.
Salì di nuovo le scale di legno che portavano alla camera da letto, si posizionò davanti all’armadio e, dopo averlo aperto, ne estrasse un jeans scuro e una maglietta nera con lo scollo a V morbido.
Dopo essersi fatta una doccia veloce, indossato gli abiti scelti poc’anzi e i suoi adorati e caldi Ugg beige, lavò i denti e si diede solo una spruzzata di profumo.
Quella mattina non ebbe il tempo di truccarsi o di darsi una sistemata ai capelli, così corse fuori dal suo appartamento, stringendo tra le mani le chiavi della sua adorata Smart cabrio e si immise nel traffico cittadino, accompagnata dalle note di Shape Of You.
Arrivò in ufficio in orario per un soffio.
Attraversare la città a quell’ora era snervante per una persona normale, per lei, che era solita perdere le staffe per un non nulla, fu una fonte di stress ad altissimo livello. Imprecò contro tutti i guidatori che si immettevano nelle rotonde senza attivare le frecce direzionali, contro quelli che frenavano senza una ragione precisa e contro gli anziani col cappello che non si sarebbero velocizzati nemmeno se spinti dalla divina provvidenza.
Posteggiata la macchina nel parcheggio privato dello studio, fece il suo solito cambio scarpe, maledendo Caterina de’ Medici per la sua invenzione infernale: i tacchi alti!
Non fu colpa sua se a Vigevano, quattrocento anni dopo, idearono quelli a spillo, ma se quel giorno si fosse fatta gli affarracci suoi, forse le donne di oggi non avrebbero indossato quelle diavolerie scomode!
Sophie soffriva di scarsa coordinazione e di goffaggine quando portava ai piedi delle semplici infradito, camminare su quelle scarpe era una continua sfida contro la sua incolumità.
Entrò nello studio commercialistico e si posizionò al bancone dell’ingresso. Si tolse la giacca di pelle, che appese al porta abiti alle sue spalle, sistemò la borsa sotto la scrivania, dopodiché accese il suo computer e quello della sua collega che, come ogni mattina, non sarebbe mai arrivata puntuale.
Giorgia Frisi era una ritardataria cronica sotto ogni aspetto!
Quando lei e Sophie si davano appuntamento per le loro uscite in solitaria, o in comitiva, le dava sempre un orario anticipato di trenta minuti, ma riusciva a tardare lo stesso, inventando ogni volta scuse diverse dalle sfumature fantasiose.
Quella mattina però, la colpa non fu soltanto dell’amica, ma di chi aveva causato l’incidente in tangenziale, rallentando la corsa di molti lavoratori.
Sarebbe stata anche lei tra quelli, se il repentino messaggio del fidanzato non l’avesse allertata della situazione, consigliandole una soluzione alternativa.
Il suono di accensione del pc la distolse da quei pensieri, portando la sua attenzione sull’immagine che aveva utilizzato come salva schermo per il mese di aprile: due coniglietti paffuti dentro a due uova pasquali, colorate di giallo e di rosa.
Mancavano solo undici giorni a quella ricorrenza e la mora era impaziente di poterla festeggiare con la sua famiglia, soprattutto vista la prospettiva di una Pasquetta all’insegna del divertimento con gli amici e il proprio compagno.
Le porte dell’ufficio si aprirono impetuose, annunciando un tornado dalla lunga chioma bionda, gli occhi verdi, un fisico tonico e asciutto, che stava entrando correndo come una furia per poi sistemarsi alla propria postazione alla destra della sua collega.
«Non immagineresti mai il perché del mio ritardo di stamane. Non è colpa mia, lo giuro.»
Si apprestò a dire col fiato corto, sfilandosi la giacchetta e sistemandosela allo schienale della sua seduta. Quella ragazza dal sorriso contagioso era diventata, da circa cinque anni, la sua migliore amica.
«Uhm, fammi indovinare. Un incidente in tangenziale?» Sogghignando guardò Giorgia, girandosi lievemente con la sedia da ufficio a quattro ruote e incrociando le braccia al petto.
La mora osservò attentamente la bionda, ammirandone il fascino e la bellezza.
Oltre a invidiarle il fisico, Sophie si trovò a desiderare più volte la sua dote nel truccarsi.
Anche quella mattina era impeccabile con un smokey eyes dai toni non troppo scuri, il quale risaltava il chiarore dei suoi occhi, aiutato dal mascara che aggiungeva un certo magnetismo al suo sguardo.
Un tocco leggero di fard che le ravvivava il viso triangolare a completare il tutto.
«Ma come facevi a… Okay, allora puoi immaginarlo! Per colpa di quel maledetto tamponamento non ho potuto fermarmi a far colazione al bar all’angolo, dato che ero già in ritardo. È illegale incominciare il lunedì senza una buona dose di zuccheri! Tu perché questa mattina sei al naturale? Ti sei dilungata troppo nelle coccole mattutine con il tuo bello?»
Lo sproloquio della amica causò una risata della mora, che tornò con lo sguardo sul suo pc e iniziò a scorrere le numerose mail dei clienti.
«Dai, resisti dieci minuti. Rispondo a questi messaggi poi ci prendiamo qualcosa alla macchinetta.»

 
✿..:* *.:.✿

Ed eccoci di nuovo qui. Avrete notato che c'è stato un salto temporale nel futuro non indifferente; Sophie ora convive e lavora a stretto contatto con la sua migliore amica.
E del compagno di Sophie? Sarà Francesco o qualcuno di nuovo?
Lasciatemi le vostre teorie perché adoro leggerle e vedere cosa la vostra mente vi suggerisce.
L'appuntamento è a sabato prossimo. Buon Ferragosto a tutti.
Baci, Sara

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Licenziamento con giusta causa ***


Quel lunedì mattina era iniziato nel peggiore dei modi e si sa, il lunedì è già di per sé un giorno orribile. Per questo, nonostante fosse in ufficio soltanto da trenta minuti, quella pausa sarebbe servita indubbiamente anche a Sophie.
Appoggiata al distributore di caffè e merendine, fece una seconda colazione, concedendosi una cioccolata calda, mentre la sua amica trangugiava ingordamente il pacchettino di biscotti e si gustava il sapore forte e amaro dell’espresso.
«Ieri sono stata a quel nuovo locale… Sophie, sono veramente uno più bello dell’altro! Cinque fighi da urlo e non sto esagerando. Tu hai visto quei tre, no? Ecco; immagina loro, elevati alla massima potenza e avrai l’aspetto degli altri due adoni.»
La mora portò gli occhi al cielo, abituata ormai all’atteggiamento della collega, una bellissima ragazza single che non disdegnava il divertimento.
«Questa è la terza volta che ci vai e ogni volta mi dici la stessa cosa. Prima o poi li vedrò tranquilla, ma ricordati che sono nostri clienti, quindi non fare sciocchezze o il capo ti ammazza!»
I proprietari del disco pub di cui parlava la bionda, si erano affidati allo studio commerciale dove lavoravano entrambe da cinque anni.
Il quintetto aveva prelevato il locale dal vecchio padrone, quasi in fallimento, e ne avevano fatto qualcosa di nuovo.
Dai racconti di Giorgia si era scoperto che il bar era posizionato su più livelli: in quello al pian terreno si trovava il bancone con divanetti e poltroncine, ideale per una pausa tranquilla o per evadere dalla monotonia giornaliera. Quella era l’unica sala aperta sette giorni su sette.
Al primo piano si accedeva alla discoteca, la cui musica giungeva nella stanza inferiore durante il weekend. Era stato addornato per ricordare una cattedrale, infatti avevano predisposto alti soffitti, motivi gotici caratteristici alle pareti e lampadari in ferro con candelabri. Alla console giungevano Dj di prim’ordine, tra cui Martin Garrix. Fu per questo motivo che la bionda si trovava lì la sera prima.
Al secondo e ultimo livello invece, si poteva accedere solo su invito, una sorta di club esclusivo. La ragazza aveva provato a infiltrarsi, mischiandosi ad alcune di quelle che stavano entrando nella stanza, ma il buttafuori la bloccò prima che riuscisse a metter piede lì dentro.
Nemmeno informarlo che era solo merito suo se aveva una busta paga, fruttò l’effetto desiderato.
Dopo tutto, lei si limitava solo a inserire cifre e numeri, il bonifico era a carico dei suoi datori di lavoro e non di certo di quella sfrontata.
«Che palle! Uno mi piace veramente un sacco e ieri ho notato che mi lanciava certi sguardi… Chissà se verrà lui questo mese a portarci la documentazione.»
Sophie sospirò dopo l’affermazione dell’amica, per poi scoppiare a ridere in sua compagnia dopo essersi lanciate uno sguardo di intesa.
«Sei la solita mangia uomini. Non ti piacerebbe iniziare una relazione stabile e duratura? Così potremmo fare delle uscite a quattro e magari andare in vacanza assieme per una volta.»
Sognava da sempre di trascorrere anche solo un weekend al mare con l’amica e il suo amorevole fidanzato, ma ovviamente non rientrava nei piani di Giorgia quello di fare il reggi-moccolo della situazione.
«Non è colpa mia se non trovo un uomo che sappia tenermi testa. Dopo un mese mi passa la sinfonia, se non è in grado di usare le palle nella vita di tutti i giorni. Solo in poche hanno la tua stessa fortuna di trovare un ragazzo bello, simpatico, romantico e che ci ami come il primo giorno dopo sette anni di relazione.»
La mora abbassò lo sguardo sul bicchierino di plastica, ormai vuoto, sentendosi in imbarazzo per le parole dell’altra.
Il suo fidanzato era, agli occhi di tutte, il principe azzurro e il loro rapporto collaudato da molto tempo, veniva spesso invidiato.
Erano andati a convivere da due anni, affittando inizialmente un appartamento non molto lontano dal centro di Brescia, città natia di entrambi. Solo da qualche mese avevano deciso di fare il grande passo di acquistare una casa tutta loro, impegnandosi così a gettare le basi per il loro futuro. Un trilocale a qualche chilometro dal comune era stato scelto come loro nido d’amore.
Sophie godeva di tutto quello che aveva sempre desiderato nella vita: un lavoro sicuro e ben avviato, degli amici splendidi, una famiglia perfetta e un partner che la amava più di ogni altra cosa al mondo.
Eppure, sentiva che quello che possedeva non era abbastanza, che le mancasse qualcosa per essere completamente felice e realizzata; la domanda che si poneva però era, che cosa?
«Terra chiama base, mi ricevi?» La domanda di Giorgia la ridestò dai suoi pensieri, portandola ad alzare lo sguardo sul viso impensierito dell’altra.
«Sì, sì, ero solo sovrappensiero! Il lunedì mattina mi sento come l’orso bianco di quel video che avanza restando sdraiato sul ghiaccio, dandosi la spinta solo con il proprio muso. Ho ancora il cervello adagiato sul cuscino.»
Quell’affermazione provocò una fragorosa risata nella bionda, che gettò il bicchiere e il sacchetto vuoto dei biscotti nel cestino vicino al distributore, seguita a ruota dalla mora.
«Forza, andiamo a fingere di fare qualcosa. Se ci becca Marco a chiacchierare nella sala relax, dopo solo un’ora di lavoro, ci licenzia e pure con giusta causa!»
Entrambe ridacchiarono tra loro, prendendosi a braccetto e raggiungendo la propria postazione.

 
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La mattinata, al contrario delle loro aspettative, trascorse velocemente. Tra una telefonata e l’arrivo di alcuni clienti, non si accorsero che erano da poco passate le dodici e trenta e la loro ora e mezza di pausa era finalmente giunta.
Sophie allungò le proprie braccia e le gambe per stiracchiarsi, intorpidite dal troppo tempo passato seduta su quella sedia.
«Sai, allo Starlight fanno anche pranzi di lavoro…» Giorgia lasciò quella frase sospesa tra lei e l’amica volutamente, non alzando però lo sguardo dalla tastiera del suo pc, come se in quelle lettere potesse trovare una sorta di sostegno.
«Stai scherzando vero? Ci vorrà una mezz’ora ad andare e un’altra a tornare. E se nei restanti trenta minuti non riuscissimo a finire di mangiare? Glielo spieghi tu a Marco del perché siamo volute andare dall’altra parte della città per cibarci? Quello ci licenzia davvero Gio!»
La bionda incrociò le mani al petto, alzò gli occhi al cielo, sbuffando platealmente, tanto da sollevare alcune ciocche del suo ciuffo, finitele davanti al viso, assomigliando a una bambina capricciosa a cui non si voleva comprare il gioco, da lei tanto agognato.
«Ti prego amica mia, prometto che torneremo in orario. Ci prendiamo un panino al volo e una bibita light. Non dire di no alla tua best!»
La ragazza guardò Sophie con sguardo implorante, mettendo in onda la sua recita dove impersonava una cucciola sofferente, con annesso sbattimento di palpebre, ricordandole il dolce musetto del gatto con gli stivali di Shrek.
Sapeva che a quella vista la mora non poteva resistere, facendosi venire i sensi di colpa per lo stato emotivo dell’altra.
«E va bene, ma sbrighiamoci. Prendiamo Marty però, non vorrei dover perdere tempo anche per cercare un parcheggio.»
Giorgia buttò le braccia al collo di Sophie per la gioia e iniziò a schioccarle numerosi baci sulla guancia, provocandole un leggero solletico.
«Lo sapevo che sei la migliore Soph! Anche se trovo ancora bizzarro che tu abbia dato un nome alla tua macchina, ma non importa, ognuno ha le proprie stranezze.»
Sophie guardò l’amica con un sopracciglio alzato, incredula che proprio lei la trovasse bizzarra.
L’altra prese le loro giacche di pelle e spinse la collega verso l’uscita, chiudendosi la porta dello studio alle spalle e avviandosi verso il parcheggio.

*********
Sophie è fidanzata da ben sette anni, quindi viene svelato, più o meno, il salto temporale dal prologo. Andando avanti comunque tutti i tasselli andranno al loro posto.
Nel prossimo capitolo ci sarà un bel po' di carne al fuoco: flashback di quella sera e un avvenimento del passato che segnò Sophie, quindi preparatevi!
Se riesco lo pubblico in serata, altrimenti sicuramente domani!
Grazie a chi passa a dare una lettura alla mia storia :)
Baci, Sara

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Promettere a sè stessa ***


Sophie girò la chiave dell’auto, spegnendone il motore. Trovarsi in quel posteggio portò a galla alcuni ricordi lontani che le fecero battere il cuore all’impazzata.
Era lì che lui l’aveva portata una sera di sette anni fa, sfidandola in una scommessa che le si era ritorta contro. Chiuse gli occhi per un secondo, tornando con la mente a quel giorno.

Il riscaldamento della vettura aumentò la temperatura già alta percepita dalla ragazza. Sedeva sui sedili posteriori, alla destra di Francesco che si stava togliendo il giubbotto, restando con un maglione nero a collo largo, dal quale sbucava una camicia del medesimo colore.
Il suo profumo, intenso e virile, le stuzzicava le narici, mentre le ravvivanti note delle foglie di menta e l’aroma del tè selvatico risvegliarono i suoi sensi.
Desiderava il bruno ardentemente con ogni cellula del suo corpo.
«Allora… Domenica l’Inter gioca in casa?» La mora cercò di avviare un discorso su un terreno neutrale, sperando di far terminare quell’ora che sarebbe diventata un supplizio lunghissimo.
Il ragazzo la guardò sogghignando, alzando un sopracciglio nella sua direzione.
«Non riuscirai a distrarmi parlando di calcio, sai? Sono un tifoso, ma sono amante di ben altri sport…»
Sophie deglutì faticosamente a quella affermazione, maledendosi per la millesima volta nella sua mente per aver proposto quella stupida scommessa che non sarebbe riuscita a vincere.
«Non dirmi che ti piace la formula uno come agli anziani! O forse preferisci seguire le gare di Moto Gp? Non mi sembri un patito di ippica o di-»
Francesco interruppe il flusso di parole senza senso della sua accompagnatrice, posandole l’indice sulle labbra.
«Il tuo continuo tergiversare mi fa pensare che tu abbia paura di perdere la sfida che tu stessa mi hai posto, quando ho affermato che avremmo fatto sesso alla prima uscita. Non succederà, ma se dovessi battermi, cosa vorresti come premio?»
Ecco la domanda a cui aveva evitato di rispondere nei giorni precedenti per il timore che, sapute le sue vere intenzioni, si sarebbe ritratto e probabilmente avrebbe voluto porre fine a ogni tipo di rapporto instaurato fino a quel momento.
La ragazza si domandò se dirgli la verità, in quel momento, non avrebbe subito il medesimo effetto, ma decise di rischiare; dopo tutto erano lì e lui era così sicuro di avere la vittoria in tasca.
«Voglio una possibilità! Se questa sera ti darò prova di non essere come tutte le altre, che te la sganciano alla prima uscita, voglio che tu mi dia un’occasione per provare a farti innamorare.»
La mora si sentì terribilmente patetica a elemosinare un appuntamento da un ragazzo che aveva espresso chiaramente che le sue intenzioni erano affine al solo e puro divertimento carnale, ma a lei piaceva sul serio e avrebbe tentato il tutto per tutto pur di conquistarlo. Era certa che se le avesse dato un’opportunità per farsi conoscere, sarebbe riuscita ad abbattere i suoi muri e a penetrargli nel profondo del cuore.
Il bruno guardò profondamente negli occhi la ragazza, donandole uno sguardo tenero, ammirandone il coraggio e la testardaggine.
«Te l’ho detto Sophie… Io non mi innamoro. Non riesco a provare un sentimento più forte dell’affetto per nessuna persona al di fuori della mia famiglia. Mia madre e mia sorella sono le uniche donne che amo e sarà così sempre.»
Il ragazzo accarezzò la gota di lei, che si morse il labbro inferiore per trattenere le lacrime che sentiva pizzicarle la sclera, con un movimento dolce e delicato.
«Va bene! Ti darò questa possibilità, ma non sperarci troppo. Non voglio che tu ti intestardisca in una causa persa che potrebbe farti soffrire. Vediamo come andrà la serata e poi decideremo il da farsi.»
I suoi occhi verdi si illuminarono di una nuova luce, quella della determinazione e della gioia di non averlo fatto scappare definitivamente a quelle parole. Avrebbe dovuto resistere solamente per un’ora, sessanta minuti, tremilaseicento secondi e avrebbe ottenuto quella chance che tanto agognava.
Promise a sé stessa che avrebbe raggiunto il suo scopo!
Lui le sistemò la ciocca ribelle dietro l’orecchio, per poi appoggiare la mano sulle sue cosce, coperte solo dal tessuto leggero dei leggings di pelle. La mora, a quel contatto, percepì il calore delle sue dita che sembravano fatte di fuoco, pronte a bruciarle il corpo e l’anima.
«Allora… Mi fai vedere cosa c’è lì sotto?»


Quando Sophie riaprì gli occhi si ritrovò nuovamente nella sua Smart, in quella giornata primaverile fredda, ma soleggiata.
«Ci abbiamo messo meno del previsto, ma se resti imbambolata su quel sedile ancora per molto, possiamo dire addio al nostro panino.»
Il tono canzonatorio di Giorgia provocò una risata allegra nella mora, che teneva una mano ancora sul volante.
«Te l’ha mai detto nessuno che quando ti metti di impegno, sei una gran rompi palle?» La ragazza schioccò la lingua dopo quella frase rivolta alla bionda, sogghignando insieme all’amica.
Entrambe aprirono la loro portiera e se la richiusero alle spalle con perfetta sincronia, come se avessero provato quei movimenti moltissime volte.
Si avviarono verso lo Starlight, una volta chiamato Terzo Cerchio, padroneggiando la loro andatura sensuale e provocante sui loro tacchi a spillo.
Sophie odiava il vecchio locale da tempo immemore; lo considerava un covo di snob di basso borgo. Una volta era una cliente abituale, visto che il fidanzato di allora era il figlio del proprietario. Quello era il loro ritrovo, di lei, di lui e della compagnia di amici che avevano in comune. Lo fu per due anni, il periodo della loro relazione, terminata in una piovosa sera d’estate, come se il clima fosse in simbiosi con lo stato d’animo della ragazza.
Quella sera lei non doveva essere lì, perché la madre aveva organizzato una serata in pizzeria per il proprio compleanno. Pensò di fargli una sorpresa e presentarsi a cena ultimata; non avrebbe mai immaginato di trovare lui, avvinghiato a quella che un tempo per lei era come una sorella, a darsi da fare sui divanetti della terrazza coperta. Quello spettacolo fu un fulmine a ciel sereno, uno squarcio nel petto, come se qualcuno le avesse strappato il cuore a mani crude, lasciando al suo posto solo un’enorme voragine che l’avrebbe risucchiata in un buio da cui avrebbe faticato a riemergere. Ma oltre all’infedeltà del suo fidanzato e della sua migliore amica, Soph rimase delusa dal tradimento della sua compagnia.
Tutti erano lì in quel momento e si comportavano come se fosse una cosa normalissima che quei due si stessero baciando, esplorandosi con le mani sopra ai vestiti leggeri, come se l’avessero fatto un milione di volte.
Tutti sapevano quello che succedeva alle sue spalle, ma neppure uno aveva pensato di metterla in guardia ed evitare che il suo cuore venisse calpestato.
A nessuno di loro importava davvero di lei, perché lei non era come loro!
Non era una ragazzina ricca, era entrata a far parte di quel gruppo solo perché era la fidanzata di uno di loro e così, facilmente com’era arrivata, se ne sarebbe andata.
La notizia che quel posto avesse chiuso dopo il suo declino la riempì di gioia.
Una volta scoperto che aveva riaperto i battenti con un nuovo nome e con dei nuovi proprietari, che per lo più erano clienti dello studio dove lavorava, si era ripromessa di non metterci mai piede.
Una delle tante promesse che aveva fatto a sé stessa, ma che non aveva saputo mantenere.


**************
Eccoci qui, come avete potuto notare lo Starlight è il nuovo Terzo Cerchio.
Si è scoperta l'intenzione di Sophie e il perché decise di fare quella scommessa.
Secondo voi è riuscita a vincerla, facendo così innamorare Francesco e avviando con lui una relazione, o ha ceduto alle sua avance?
Abbiate un po' di pazienza e lo scoprirete!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Starlight ***


Le porte automatiche si aprirono al loro cospetto, permettendo alle ragazze di accomodarsi in quella sala lussuosa che lasciò senza parole la mora.
I dettagli non erano stati lasciati al caso, tutto sembrava studiato nei minimi dettagli per far sembrare quell’ala del locale un posto da sogno e sbalordire i nuovi clienti.
Le immagini del video musicale di Despacito erano proiettate sulle pareti, ricreando un’atmosfera magica. I divanetti di pelle seguivano le mura della sala, mentre al centro erano posizionati tavolini di vetro affiancati da poltroncine dello stesso materiale di cui erano fatti i divani.
In fondo si trovava il bancone che occupava tutta la lunghezza della parete. Al soffitto erano appesi due lampadari che scendevano verso il suolo a goccia e sembravano fatti di cristallo.
«Secondo me qui, dei dozzinali panini non li fanno. Serviranno caviale in piatti di Swarovski.»
Una fragorosa risata fece voltare le due alla loro sinistra, dove un ragazzo, che la mora trovò famigliare, le osservava divertito.
«Il caviale è sopravvalutato e i piatti di Swarovski non credo possano essere lavati in una comune lavastoviglie. È tutta scena quella che vedi, i tavoli li abbiamo presi da Ikea mentre i divanetti e le poltroncine da Mondo convenienza.»
Il ragazzo dagli occhi color del cielo le fece un occhiolino, rivolgendo poi lo sguardo verso la bionda al suo fianco che era già in brodo di giuggiole.
«Piacere di rivederti biondina; accomodatevi pure, sarò da voi in un secondo.»
Giorgia seguì con lo sguardo il ragazzo dagli occhi blu che si allontanò da loro, avviandosi verso il bancone, soffermandosi sul fondo schiena di lui, che osservò con apprezzamento.
«Hai visto? Si ricorda di me… Te l’avevo detto che avevo fatto colpo! Io li noto certi sguardi, sai?»
Quell’affermazione fece ridere l’amica che, prendendo per il polso la bionda, si avvicinò a un tavolo libero, sedendosi e consultando la varietà di pietanze che servivano.
Guardò attentamente i vari piatti, ricredendosi sulla prima impressione che quel locale le aveva dato.
Credeva che fosse un posto troppo chic per i suoi gusti, invece l’elenco dei cibi era quella di un qualsiasi bar e aveva persino un menù gluten free; perfetto per il suo problema di celiachia.
Quando entrambe le ragazze chiusero la lista, occhi blu si avvicinò a loro con in mano la comanda, per segnare le loro ordinazioni.
«Allora bellezze, ditemi… Cosa volete?» Il biondo regalò alle due un sorriso seducente, facendo nascere delle fossette affascinanti che illuminarono il suo viso, già di per sé perfetto.
«Io, per cominciare, vorrei sapere il tuo nome.» Rispose Giorgia con fare civettuolo, lasciando Sophie a bocca aperta per la sorpresa.
Lui scoppiò a ridere per quella risposta così sfrontata, piegandosi leggermente per avvicinarsi al volto della sua interlocutrice, appoggiando ambedue i gomiti sul tavolino.
«Il mio nome è Matteo; e il tuo, angelo?» Entrambi si guardarono con lussuria, senza staccare lo sguardo dalle labbra dell’altro, facendo imbarazzare leggermente la mora, divenuta spettatrice di una scena che avrebbe volentieri evitato.
«Giorgia.» La ragazza pronunciò il suo nome con enfasi, sospirando sulla “a” finale come se fosse sovreccitata.
Sophie si trovò costretta a schiarirsi la voce per ricordare ai due che, per prima cosa, si trovavano in un luogo pubblico e, seconda ma non meno importante, c’era anche lei seduta allo stesso tavolo e non voleva diventare regista di un film per adulti.
Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e fissò il menù, sperando che quella recita giungesse al termine il prima possibile.
Il biondo si scostò dalla sua preda, tornando in posizione eretta e riprendendo un po’ del contegno perso poc’anzi.
«Sì, insomma… Dicevamo? Siete pronte per ordinare?» Le gote rosse e il tono incerto della sua voce, non celarono quell’evidente disagio che si era creato, mascherato però perfettamente dalle movenze sicure e dall'aspetto autoritario.
«Per me un panino senza glutine scamorza e speck, mentre da bere una Coca light in lattina; grazie.»
La mora questa volta rispose per prima, invitando l’amica a seguire il suo esempio, senza tergiversare nuovamente in atteggiamenti leziosi.
«Sì… Per me una piadina cotto e fontina e una Coca Cola alla spina.»
Appuntate le nostre richieste, il ragazzo le liquidò con «un minuto e sono subito da voi con il bere», prima di voltarsi e di dirigersi verso la sua postazione.
Giorgia sorrise all’amica schiudendo la bocca, per poi ammiccare con le sopracciglia in una specie di danza della felicità.
«Hai visto come mi ha guardata, Soph? Gli piaccio, è fuori discussione! Io gli lascio il mio numero.»
Elettrizzata, la bionda si batté le mani davanti al viso, ancheggiando con il collo in movenze divertenti che costrinsero l’amica a portarsi una mano alla fronte, sogghignando.
«Guarda che non serve fare la parte dell’allupata, basterà guardare la camera di commercio, che abbiamo nel nostro archivio elettronico, scoprire il cognome e cercarlo nella rubrica clienti sul nostro computer. Essendo uno dei proprietari del locale, avremo sicuramente i suoi contatti!»
La mora si adagiò contro il proprio schienale, portandosi le mani sui fianchi e schioccando la lingua, lanciò all’altra uno sguardo furbo, ma prima che le potesse rispondere venne bloccata dall’arrivo del protagonista della loro discussione.
Appoggiò le bevande sul tavolo, ma prima di andarsene fece l’occhiolino alla bionda che gli rispose con un sorriso ammiccante, mentre l’altra sollevò gli occhi al cielo.
«Dici che dovrei dirglielo che lavoro nello studio commerciale che gestisce le loro pratiche? Potrei offrirmi di portare la loro documentazione in ufficio, senza costringerli a fare tutta quella strada.
Potrebbe sentirsi in obbligo a sdebitarsi per il mio altruismo e decidere di offrirmi una cena romantica a base di pesce e champagne.»
Gli occhi verdi della ragazza erano trasognanti, mentre immaginava nella propria testa l’appuntamento galante con quel affascinante adone, seguito da un dopo cena ancora migliore.
«Sì, poi ti chiederà di sposarlo e di essere la madre dei suoi cinque figli. Non ti sembra di correre un po’ troppo?»
A quelle parole, la sognatrice venne destata e riportata alla realtà, ripetendosi mentalmente le parole dell’amica.
«Cinque figli? Ti ha per caso dato di volta il cervello? Come lo reggerebbe questo splendido corpo, un così infinito numero di gravidanze? Uno o due al massimo!» Disse ironica.
Anche se non lo dava a vedere a primo impatto, anche lei, come l’amica, sognava di trovare l’amore vero e di costruire con esso una famiglia. Invidiava molto Sophie per la sua relazione avviata da tempo e i progetti che lei e il fidanzato avevano realizzato. Il fatto che non trovasse un uomo che riuscisse a tenerle testa e per il quale l’interesse non scemasse dopo settimane di passione, faceva soffrire molto la bionda, gettandola nello sconforto al termine di ogni flirt. Lo spirito solare e la sua grande determinazione, erano gli appigli a cui si aggrappava per riemergere da quel tunnel che l’aveva logorata anni prima.
All’apparenza, Giorgia poteva sembrare una ragazza frivola e superficiale, una il cui unico interesse era quello di divertirsi senza catene che la potessero legare a qualcuno, ma la verità era molto lontana da quello che si poteva credere.
Dire che aspirava al principe azzurro sul cavallo bianco sarebbe stato un errore, ma se al posto del sovrano dall’armatura scintillante si metteva un pirata dal cuore nobile e se contrariamente dell’equino si collocava una nave, allora si aveva l’uomo dei suoi sogni. Se infine si voleva aggiungere una certa dose di fascino, di certo non avrebbe disdegnato.
Le risate cristalline delle due inseparabili amiche si espanse nella sala, unendole ancora di più, se mai fosse possibile, nella loro complicità.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Ritorni ***


Terminato il pranzo, Sophie si apprestò al bancone per saldare il conto, mentre l’amica fece una scappata fugace al bagno per darsi un’ultima sistemata prima di porgere “l’arrivederci” all’ affascinante sexy boy, come l’aveva chiamato lei.
Il ragazzo in questione, scrutò il viso della mora con sguardo curioso, analizzandone i lineamenti, tanto da metterla in soggezione.
«Hai uno sguardo famigliare sai? Dove potrei averti già vista?» Domandò quasi più a sé stesso che alla ragazza.
Anche lei aveva avuto la stessa impressione e, come lui, si chiedeva perché il suo volto non gli fosse nuovo.
Sentiva che la risposta era nascosta nei meandri della sua testa, ma in quel momento il cervello non volle collaborare per aiutarla.
«Non saprei, non sono mai venuta nel vostro locale prima di oggi. Ti faccio i miei complimenti per come lo avete migliorato. Mi auguro che le persone che lo frequentano siano migliori di quelle che giravano qui un tempo.»
A quell’affermazione, occhi blu scoppiò in una fragorosa risata, facendo sorridere la persona che l’aveva scatenata.
«Nemmeno tu sei una fan degli snob che bazzicavano questo posto da quel che vedo. Tranquilla, il livello si è alzato nettamente, anche se qualcuno di loro si presenta ancora da queste parti. Non vogliamo rendere lo Starlight una specie di circolo privato, aperto solo ai boriosi. Abbiamo dato un tocco di glamour, ma la semplicità e il divertimento sono le basi del nostro progetto.»
Il viso di Matteo si rilassò a quelle parole, dimostrando quanto amasse il proprio lavoro e quanto fosse fiero di quello che aveva realizzato.
«Potrei pensare di venirci più spesso allora, dopo tutto è anche merito vostro se il mio stipendio è regolare ogni mese.»
Il ragazzo la guardò incuriosito per quell’affermazione, divertendo Sophie per l’espressione buffa che gli si era dipinta sul volto.
«Io e la ragazza con cui hai quasi pomiciato poco fa, lavoriamo nello studio commercialistico a cui vi siete affidati tu e i tuoi soci.»
Le gote del ragazzo diventarono subito rosse dall’imbarazzo provato per l’affermazione di lei.
Fu Giorgia a interrompere quello scambio di battute tra i due, palesandosi con una studiata andatura accattivante.
«Soph, io ho fatto. Gliel’hai già proposto il nostro aiuto?»
La bionda si posizionò davanti all’amica per osservare più da vicino il ragazzo, che aprì la bocca con fare sorpreso, distogliendo lo sguardo dalla ragazza davanti a sé e puntandolo verso la mora.
«Ti chiami Sophie? Sophie con la pihacca?»
Incuriosita da quella domanda si limitò ad alzare le sopracciglia, inconsapevole se rispondere o meno.
«Sì, si chiama Sophie con la pihacca; c’è qualche problema per caso?» Fu l’amica a rispondere per lei, adirata per l’interesse del ragazzo verso l’altra.
Come se si fosse ripreso da una notizia sconvolgente, Matteo tornò a fissare la persona che le aveva posto quel quesito con fare divertito.
«Oh no, nessun problema. Allora, quale sarebbe quest’aiuto che vorreste propormi?»
Giorgia si voltò interdetta verso l’amica, cercando di capire se anche lei fosse confusa per la reazione del ragazzo. L’altra, si limitò a risponderle con un’alzata di spalle, disorientata anch’essa da quella domanda, ma soprattutto dal sorriso consapevole e divertito che gli era spuntato sul volto.
La bionda tornò a puntare le sue iridi verdi in quelle azzurre di lui per proporgli i suoi servigi.
“Io e la mia amica lavoriamo per lo studio commercialistico a cui vi siete affidati, quindi, stavo pensando… Visto che siamo qui, se ti serve puoi dare a noi la documentazione del mese, così da non dover perdere tempo a portarcela.»
La ragazza accompagnò le sue parole con un movimento spontaneo della mano che andò a finire su quella di lui con finta nonchalance.
Matteo fissò le dita lunghe e affusolate di lei, portandosele poi alla bocca per farle un baciamano che la fece arrossire.
«È un pensiero molto gentile, splendore…» Distolse lo sguardo da quello di Giorgia, allungandosi leggermente sulla destra per osservare velocemente l’altra ragazza con un ghigno divertito, tornando poi a guardare la prima.
«Ma purtroppo il mio socio ha preso questa mattina le fatture da portarvi. Doveva passare da alcuni fornitori prima, ma mi ha assicurato che entro sera vi avrebbe consegnato il tutto.»
Le due non capivano cosa ci fosse di così divertente in quella frase, ma il biondo non lasciò loro il tempo di teorizzare troppo.
«Oggi il pranzo lo offre la casa, per ringraziarvi della vostra disponibilità e con la speranza di vedere entrambe qui più spesso, magari già venerdì sera. Nel weekend lavoriamo tutti e cinque e le serate sono qualcosa di magico, ideali per allacciare nuovi rapporti o ritrovarne alcuni che si credevano dimenticati da tempo.»
Per Sophie, quella frase, fu un chiaro segnale che lui avesse rimembrato la loro conoscenza, a differenza di lei che si chiedeva ancora il perché quel ragazzo le fosse famigliare.
Non fece in tempo a replicare a quella affermazione, che la bionda, sempre con fare civettuolo, rispose a nome di entrambe.
«Beh, dopo questo gesto così gentile, non potremmo mai rifiutare il tuo invito. Venerdì sera verremo entrambe! Questo posto il weekend è veramente stupendo. La mia amica non lo sa, perché non c’è mai stata, a differenza mia…»
I due si scambiarono occhiate allusive sotto l’attento sguardo della mora, che mimò il gesto delle due dita in gola.
“Prendetevi una stanza, diamine.” Furono le parole che le si formarono in testa.
«Vi lascio il nostro biglietto da visita e qui dietro c’è il mio numero.»
Il ragazzo scrisse con una penna blu il proprio contatto telefonico, dopodiché passò il cartoncino alla bionda, indugiando qualche secondo sulle dita di lei, accarezzandole con la punta delle sue.
«Perfetto! Ora, come disse Cenerentola a mezzanotte, s’è fatta na certa e noi dobbiamo tornare a lavoro. Buona giornata e grazie ancora per il pranzo.»
Sophie, per la seconda volta, si trovò a trascinare l’amica stringendole il polso. Questa volta però, la meta fu la macchina.
Una volta fuori dal locale, Giorgia iniziò a saltellare entusiasta, nonostante ai piedi portasse un tacco dodici.
«Mi ha dato il suo numero Soph e senza che glielo chiedessi io per prima o lo andassi a cercare nel nostro archivio clienti, passando poi per una stalker psicopatica. Matteo Giannone… che nome virile!»
La bionda, una volta seduta sul sedile di Marty, osservò il cartoncino dorato che teneva tra le mani con occhi trasognanti, immaginando il viso del ragazzo che l’aveva così tanto colpita e i suoi occhi così profondi da ricordarle il mare splendente del Salento.
Sophie, dopo aver girato la chiave e acceso la vettura, posò la mano sul cambio per mettere la retro e poter uscire dal posteggio, immettendosi poi sulla via principale.
«Ah povero ragazzo, non sa a cosa è andato incontro dandoti il suo numero!»
Le due amiche risero insieme attraversando la città, cantando e danzando, per quanto fosse possibile, seguendo il ritmo elettronico della musica che passava alla radio.
✿..:* *.:.✿

Le quattro ore del pomeriggio furono un continuo scambio di telefonate e un insistente via vai di clienti, che si apprestavano a portare la documentazione del mese da poco giunto a termine.
Fortunatamente riuscirono ad arrivare in perfetto orario da quella pausa allo Starlight, in contemporanea con Marco, il loro capo, evitando così una lavata di capo.
«Dici che dovrei chiamare Matteo e chiedergli a che ora pensa di presentarsi il suo socio? Sono già le sei…»
L’amica scoppiò a ridere prima di spegnere il suo computer.
«Ottima scusa per dargli il tuo numero. Io fossi in te aspetterei qualche giorno a contattarlo però, fatti desiderare un po’.»
Sophie si alzò dalla sua scrivania dirigendosi verso l’attaccapanni dove era appesa la sua giacca di pelle.
«Che fai? Non aspetti l’arrivo del bonazzo?» Giorgia guardò l’amica con lo sguardo da cucciola, usandolo per la seconda volta per far cedere l’altra.
«Ti odio quando fai quegli occhi da cane bastonato a cui non so dire di no. Ma poi, perché dovrebbe interessarmi vedere uno dei sexy boy? Io ho già il mio bellissimo fidanzato da ammirare!»
La mora fece una linguaccia all’amica, che rispose alla stessa maniera.
«Perché, intanto che aspettiamo, non cerchiamo Matteo su Facebook? Figurati se non è iscritto al social network. Nel duemiladiciassette avere un account lì è quasi un obbligo!»
Sophie indossò la sua giacchetta, estraendo i capelli che erano rimasti all’interno con un gesto morbido delle mani, dopodiché tirò su la cerniera fino al collo.
«Eccolo, l’ho trovato. Abbiamo anche cinque amici in comune! Chissà come mai non mi è apparso nei suggerimenti di amicizia. Vediamo un po’ chi sono…»
L’amica, nel frattempo, si appoggiò all’armadio porta documenti, estraendo dalla tasca il suo cellulare per controllare se le fossero arrivate delle nuove notifiche.
Aprì Whatsapp e trovò un messaggio di lui.
Finalmente sono a casa! Sto per farmi un bagno caldo… Che fai? Ti unisci a me?
Un sorriso nacque spontaneo sul suo volto, componendo la risposta con un rapido gesto delle dita.
«Uhm, che strano…» Mugugnò la bionda con il viso a pochi centimetri dal desktop del suo pc e con gli occhi assottigliati per leggere meglio il nome che veniva segnalato tra le conoscenze note.
Il campanello dell’ufficio risuonò nelle orecchie di entrambe, interrompendo le loro azioni.
«Cosa c’è di strano?» Rispose Sophie, alzando il viso verso il portone di ingresso per osservare lo sconosciuto a cui l’amica aveva appena aperto.
Il sorriso le morì sul viso, non appena i suoi occhi incontrarono quelli della persona davanti a lei.

*******
Siete curiose di scoprire l'identità della persona all'ingresso?
Non vi resta che aspettare domani, ho deciso di pubblicare un capitolo in più per farmi perdonare dell'assenza del weekend XD
Baci, Sara


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Ragione e Sentimento ***


Erano passati molti anni da quando lo aveva rivisto l’ultima volta ed era evidentemente cambiato.
Portava la barba, sul viso gli si erano formate alcune rughe di espressione e sembrava che le sue spalle fossero più larghe, ma i suoi occhi erano inconfondibili; quelle iridi chiaroscuro le fecero lo stesso effetto della prima volta.
Il cuore di Sophie saltò un battito e involontariamente trattenne il respiro, schiudendo leggermente le labbra per lo stupore.
Il tempo sembrò fermarsi in quel preciso istante, portando a galla dei ricordi dolorosi che pensava di aver cancellato dall’anima.
Anche lui restò interdetto quando si trovò davanti la ragazza dai grandi e dolci occhi verdi, a cui involontariamente aveva fatto versare molte lacrime.
Restarono entrambi bloccati a fissarsi, senza dire una parola e senza riuscire a sbattere le palpebre per paura di interrompere anche solo per un secondo quel contatto visivo.
La mora si domandò se fosse un sogno quello in cui si era ritrovata, perché non credeva possibile che lo avrebbe rincontrato proprio lì, nel posto dove lavorava.
Tutto quello che li circondava venne spazzato via dalle loro menti, lasciando spazio solo per il viso dell’altro.
Giorgia restò in disparte, come una spettatrice esclusa dalla scena principale, a osservare i due fissarsi tacitamente per diversi minuti, finché non decise di rompere quel silenzio carico di tensione.
«Scusatemi, non vorrei disturbare la radiografia in atto, ma avrei intenzione di tornare a casa prima di cena. Sei il socio di Matteo, giusto?»
Lui si voltò verso la voce che aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri, spezzando il momento di contemplazione avuto fino a pochi secondi prima con l’altra e regalandole un sorriso tirato.
Sophie tornò a respirare; portandosi una mano al petto e chiudendo le palpebre, pregò che lui sparisse una volta riaperti.
«S-Sì, sono uno dei proprietari dello Starlight. Ho portato la documentazione di marzo.»
Quella voce le provocò un brivido che le attraversò tutta la schiena e il suo cuore iniziò a galoppare a un ritmo insolito. Tornò a puntare le sue iridi verdi su di lui nello stesso momento in cui si girò a sua volta verso di lei.
Sentì le gambe diventare molli, come se fossero fatte di gelatina; dovette tenersi con la mano all’armadio per non cadere.
Non credeva che rivederlo le avrebbe fatto un effetto simile, che dopo tutti questi anni avesse ancora un tale potere su di lei.
Era convinta di aver dimenticato la delusione da lui provocata, visto che ora aveva al suo fianco un ragazzo che l’amava e che la rendeva felice.
Eppure, ogni cellula del suo corpo traditore aveva reagito all’incontro con quel burattinaio del passato, nonostante non fosse come lo ricordava.
Anche il suo profumo era cambiato. La fragranza profonda e sofisticata che lo avvolgeva, aveva una freschezza minerale che le ricordava l’incontro delle onde del mare con la roccia e il retrogusto del bergamotto si univa all’intensità dell’incenso. Un mix di aromi maturi, ma che le fecero perdere la ragione, come d’altronde successe tempo addietro.
Rimase stupita che lui avesse avuto una reazione simile alla sua, ma pensò che fosse semplicemente sorpreso per quell’incontro e che non provasse quel tornado di emozioni che invece stavano vorticando nello stomaco di lei.
La bionda, ancora una volta, si sentì a disagio per il nervosismo che aleggiava in quelle quattro mura, così cercò di alleggerire la tensione, riportando l’attenzione su di lei.
«Ok e pensi di volermela consegnare o preferisci tenertela stretta come si fa con la borsetta in metropolitana?»
Il ragazzo distolse nuovamente lo sguardo dalla mora e lo rivolse alla collega, che lo fissava con un sorriso di scherno disegnato sul volto.
«Scusami, ero sovrappensiero. Ecco a te.» Le allungò la pila di fogli, osservando i suoi movimenti, escludendo Sophie da quel quadretto.
Gesto di cui lei gli fu grata, perché le permise di incoraggiarsi, tacitamente, a superare quel turbamento che le aveva provocato il rivederlo.
«Quindi, tu sei l’ultimo dei magici cinque. Vi siete scelti all’edizione di Mr. Italia, per caso?»
Entrambi risero per quella battuta, a esclusione della mora, che restò nell’angolo a osservare con attenzione ogni mossa di lui, anche un semplice battito di ciglia.
«Io e Matteo siamo amici di vecchia data. Siamo cresciuti nello stesso paese, frequentato le scuole primarie nella stessa classe e girato nella stessa compagnia. Gli altri tre si sono aggregati dopo. Giacomo frequentava il mio stesso liceo, Cristian invece quello di Matteo, mentre Mattia è il fratello maggiore di Cristian.»
Per Sophie fu tutto più chiaro. Il biondo era famigliare perché uscivano in comitiva insieme ed era con lui quella sera che si erano conosciuti. Si era ricordato di lei e aveva volontariamente detto quella frase sul ritrovare i rapporti perduti.
“Occhi blu ha fatto male i suoi calcoli. Se pensa che rimetterò piede nel loro locale, ora che so che lui è uno dei proprietari, si sbaglia di grosso”
Mentre pensò quelle parole, non riuscì comunque a smettere di guardarlo con una leggera palpitazione.
La mente diceva una cosa, ma il suo cuore l’esatto contrario e si sa, quando ragione e sentimento sono contrastanti non può uscirne nulla di buono!
«Non ricorderò mai i loro nomi, a meno che non me li ripeta una decina di volte e forse nemmeno così potrei farcela.»
Una nuova risata ridestò la mora dai propri pensieri, mentre osservava l’amica scherzare con lui, ignara del fatto che in passato fu il suo carnefice.
«Mi presento, il mio nome è Giorgia, mentre la ragazza affetta da mutismo alle mie spalle si chiama Sophie.»
La bionda riportò l’attenzione del ragazzo sull’amica, alla quale regalò un sorriso sghembo che provocò in lei dei brividi al basso ventre.
«In verità io e lei ci conosciamo da molto tempo, ma ci siamo persi di vista. È un piacere rivederti Sophie.»
Il suo nome, uscito da quelle labbra e pronunciato con quel tono sensuale, la mandò nella confusione più totale.
«Sembra di essere a una puntata di C’è posta per te! » Giorgia si girò verso l’amica, con la speranza di essere riuscita a cancellare la tensione che l’attanagliava da quando il ragazzo era entrato nell’ufficio, ma purtroppo il suo viso era ancora contratto in una smorfia.
«Vorrei dire lo stesso, ma purtroppo non è così e se fossimo su canale cinque direi a Maria di chiudere la busta.»
Il sorriso sul viso di lui sparì al suono di quelle parole cariche di ira, lasciando il posto alla tristezza.
«Okay… Immagino che non sia un caso che vi siate persi di vista. Posso sapere qual è il tuo nome?»
Gli occhi di lui tornarono sul viso della bionda, mostrandole un sorriso finto, carico di tensione.
«Sì, il mio nome è-»
«Lui è Francesco. Francesco Motolese

********

E finalmente il mistero è stato svelato... ebbene sì, Francesco è uno dei magici cinque!

Nel prossimo capitolo ci sarà un altro flashback di quella serata, che potrà aiutarvi a capire come potrebbe essersi conclusa (o forse no).
L'appuntamento è per questo sabato!
Baci, Sara

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Quel che è stato è stato ***


Pronunciare il suo nome fu come ingoiare una miriade di chiodi arrugginiti. La gola le pungeva e deglutire le venne difficile, come se del fuoco la stesse bruciando dall’interno.
Sophie si domandò il motivo di quelle sensazioni così forti e dolorose a distanza di anni. Perché, nonostante il male che le avesse fatto, le faceva ancora quell’effetto?
Chiuse gli occhi e immancabilmente tornò con la testa a quella sera di sette anni fa.

A quella domanda, la ragazza rimase interdetta per alcuni secondi, finché la risata di lui non le scaldò il cuore.
«Intendevo sotto il cappotto, perché pensi sempre male?»
La mora prese un profondo respiro, dopodiché, con un evidente rossore che le colorava il viso, slacciò lentamente ogni bottone di quell’indumento, con la convinzione che assecondare la sua richiesta fosse stato da incosciente.
Era alla sua mercé e per vincere lui era disposto a tutto. Sicuramente non si sarebbe limitato al “guardare, ma non toccare”.
Pigramente si tolse il cappottino, restando solo con il corpetto nero di pizzo sul quale si puntarono subito gli occhi famelici di lui, col chiaro obiettivo di ammirare il suo decolté.
«Ehi, il mio viso è un po’ più su, sai?» Lo richiamò all’attenzione la ragazza; Francesco le sorrise con malizia, avvicinandosi pericolosamente al suo viso.
«Mi ero perso in altri occhi, dimenticandomi di quanto fossero altrettanto belli questi.» Portò entrambe le mani sul volto di lei, chiudendolo a coppa.
Il suo cuore saltò un battito, se non addirittura due o tre di fila, dopo quell’affermazione. Le sue gote diventarono ancora più rosse e pensò che la temperatura fosse aumentata di parecchi gradi.
Erano talmente vicini che i loro respiri profondi si mischiarono, le punte dei loro nasi quasi si toccarono e le loro pupille si dilatarono all’unisono.
Nessuno dei due seppe mai chi fosse stato il primo a porre fine a quella, seppur minima, distanza; sentirono entrambi l’esigenza di unire le loro labbra per assaggiarsi e scoprire l’uno il sapore dell’altra.
Quel bacio, Sophie lo avvertì in tutto il suo corpo: nel petto una danza vorticosa esplose, facendole percepire un forte calore e un turbinio di emozioni di cui non ricordava l’esistenza. Nello stomaco captò un tumultuoso movimento, che non era di certo legato all’appetito. Sotto la pelle le sembrò che per la prima volta il suo sangue pulsasse nelle vene. Con le labbra esigenti, assaggiò la morbidezza e il calore di quelle di lui.
La lingua di Francesco percorse tutta la linea della sua bocca, assaporandone e gustandone ogni centimetro, mentre le sue mani scesero sui fianchi di lei, che strinse a sé con impeto, invitandola tacitamente a sedersi a cavalcioni sopra di lui. Invito che la mora accolse prontamente, annebbiata dal desiderio e dalla voglia di scoprire il suo febbricitante corpo.
Si staccarono entrambi per riprendere fiato, guardandosi con lussuria e sete.
«Avanti, Sophie… metti da parte l’orgoglio e godiamoci questo momento di puro piacere. Lasciati travolgere dalla passione.»
Le labbra di lui si posarono sul collo morbido e diafano della ragazza, che trattenne a stento un gemito. Quello era uno dei suoi punti più sensibili, insieme al lobo, e quei baci le provocarono brividi nel basso ventre.
Strinse tra le dita il maglione di lui, liberandosi presto di quel indumento e lasciandolo con quella camicia nera che fasciava il suo corpo muscoloso alla perfezione.
Slacciò qualche bottone, partendo dal colletto, osservando quella leggera peluria scura che gli copriva lievemente il petto e che l’affascinava.
Posò un bacio delicato all’altezza del cuore, percependone i battiti irregolari sulla bocca e aspirando il profumo di menta e tè selvatico che offuscarono ancora di più il suo giudizio.
Seguirono altri baci, che dal petto passarono per il collo, giungendo infine verso le labbra. Più lei saliva e più il desiderio di lui cresceva, facendo percepire anche a Sophie quanto la volesse.
Appoggiando le mani sui suoi glutei la fece aderire ancora di più al proprio bacino, strofinando la sua virilità che pulsava da dentro quei jeans ormai troppo angusti, sulla sua intimità altrettanto nascosta.
Le dita di Sophie, intrecciate inizialmente al collo di lui, scesero verso la patta dei pantaloni che iniziò a sbottonare. Si alzò, sempre incollata alla bocca di lui, quel tanto che gli bastò per abbassarli alle caviglie, diminuendo gli ostacoli che separavano quell’unione così cercata.
«Ora tocca a te toglierti qualcosa, scegli pure se partire da sotto o da sopra.» Le sorrise con la sua solita sfrontatezza, quella che aveva fatto capitolare la mora fin dal primo giorno e che li aveva portati in quel luogo appartato quella sera.
La ragazza rispose con lo stesso ghigno, slacciandosi gli stivaletti neri dai piedi e facendoli ricadere sul tappetino dell’auto, senza mai distogliere lo sguardo da quello di lui, che  la guardava divertito.
«Fatto! Sono partita dal sotto come puoi ben vedere.» Disse ridendo.
«Non mi sembra una lotta paritaria, ma va bene dai. Ho molti proiettili in canna e sono certo che nei trenta minuti che mi rimangono riuscirò a farti levare anche questi.» Toccò i leggings che la fasciavano come una seconda pelle. Erano così leggeri che poteva sembrare quasi non ci fossero.
«Vuoi scommettere anche su questo?» Rispose insolente, lanciandogli uno sguardo provocatorio.
«Zitta e vieni qua.» La tirò nuovamente contro di sé e tornò a baciarla con più ardore, stringendole la schiena e facendo aderire i suoi seni al proprio petto.
Le mani della ragazza, strette ai lati della camicia di lui, si aggrappavano a quel pezzo di stoffa come farebbe un naufrago col proprio salvagente, invocando nuovamente il suo raziocinio a non cedere e a resistere un’altra mezz’ora.
Quando sentì tra le gambe il desiderio di lui, però, nella sua mente si formò una profonda nebbia, che sapeva si sarebbe dissipata solo in una maniera.


Riaprendo gli occhi si ritrovò davanti il suo viso maturo, così diverso da quel ragazzo che le aveva spezzato il cuore, ma allo stesso tempo identico.
«Sophie, io ti posso spiegare…» Il suo sguardo, solitamente sfrontato e superbo, aveva lasciato il posto a uno triste e desolato, come se credesse veramente che ci fosse una motivazione valida al suo comportamento passato.
«Non mi interessano le tue spiegazioni. Quel che è stato è stato, sono passati sette anni ed entrambi abbiamo le nostre vite ora. Dovremo vederci altre volte, quindi proporrei di dimenticare i nostri trascorsi e concentrarci sul solo rapporto lavorativo.»
La ragazza cercò di credere anche lei a quella bugia, convinta del fatto che se lei stessa l’avesse ritenuta vera, allora anche lui non ne avrebbe dubitato.
Accompagnò quelle parole con un sorriso finto, posandosi sul volto una maschera che non le apparteneva.
«Ora, se volete scusarmi, si è fatto tardi e devo proprio tornare a casa dal mio fidanzato.»
Sottolineò quella parola volontariamente, per dimostrare a quell’uomo che aveva voltato pagina e che lui era solo un capitolo passato e poco importante della sua vita.
Francesco fece una smorfia, seguendo i movimenti eleganti della mora, che si allontanò dalla sua posizione e gli passò accanto per avvicinarsi alla porta di ingresso.
Per una volta fu felice di indossare i tacchi, perché le diedero un portamento che non avrebbe ottenuto con delle semplici scarpe basse.
«Giorgia, chiudi tu per favore. Francesco…» Gli diede le spalle, facendo un saluto con la mano, dopodiché si allontanò dal suo ufficio, dai ricordi che erano riaffiorati nella sua mente come una doccia gelata, ma soprattutto da lui.

****************
Ecco un nuovo pezzo del puzzle di quella serata. Abbiate pazienza, fra qualche capitolo ci sarà quello mancante e scoprirete com'è terminata la serata. Nel frattempo, vi siete fatte un'idea? 
L'appuntamento è per mercoledì prossimo.
Baci, Sara

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Cuore di Ghiaccio ***


Camminò con una finta sicurezza verso la sua macchina. Nonostante gli desse la schiena, sentiva gli occhi di lui addosso e non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederla vacillare nuovamente a causa sua.
“Proprio oggi dovevo venire a lavoro struccata e pettinata a caso? Nemmeno la soddisfazione di mostrarmi al meglio!” pensò la ragazza, continuando la sua marcia elegante.
Premette il pulsantino per sbloccare la portiera e si mise al posto di guida, cercando nel bagagliaio il sacchetto degli Ugg per salvare almeno i suoi piedi da quella tortura.
Una volta girata la chiave e acceso il motore, inserì la retro, pronta a uscire dal posteggio e immettersi in strada, ma non fece tempo a spostare la leva del cambio, che qualcuno le bussò al finestrino.
“Nella mia vita precedente devo essere stata una grandissima stronza, altrimenti non mi spiego questa sfiga!” fu il pensiero che le passò per la testa quando vide chi aveva picchiettato al vetro.
Restarono a guardarsi per qualche secondo, finché il ragazzo non le fece segno col dito di abbassare il finestrino e lei lo maledì mentalmente.
«Che cosa vuoi?» Gli domandò in modo truce, non riuscendo a distogliere lo sguardo da quei pozzi, resi ancora più scuri dal buio della sera. Quegli occhi, così espressivi e caldi, erano sempre stati il motivo del suo imbarazzo, come se potesse perdersi nella loro profondità. La verità è che sotto il suo sguardo lei si sentiva nuda, come se lui riuscisse a entrare nel profondo della sua anima, lì dove a nessuno aveva più dato libero accesso.
«Ho dimenticato l’accendino al bar, tu fumi ancora?» le chiese con un sorriso tirato, cercando di sembrare anche lui calmo e impassibile.
«Guarda che hai l’accendisigaro in macchina, non hai certo bisogno di me per accenderti una sigaretta.»
Sophie guardò il ragazzo con un sopracciglio alzato, incredula della scusa banale che aveva usato per bloccarla.
«Giusto… Però la macchina è fuori da questo parcheggio e tu sei sicuramente più vicina.»
La guardò con la sua espressione furba, inumidendosi le labbra e regalandole quel sorriso sghembo che tempo addietro le fece palpitare il cuore a un ritmo stranamente irregolare.
Anche in quel momento l’effetto fu il medesimo!
La mora deglutì a fatica, spostando gli occhi su quelle labbra, memore di quanto fossero morbide e gustose.
Strinse il volante  con forza, cercando di recuperare un barlume di lucidità.
«Mi dispiace, ma ho smesso di fumare. Puoi chiedere alla mia amica lì dietro che sta chiudendo l’ufficio. Lei sicuramente potrà aiutarti.»
Così dicendo, alzò il vetro come se fosse una barriera invalicabile, quella che avrebbe potuto proteggerla dall’attacco nemico e, innescando nuovamente la retro, partì, riuscendo questa volta nel suo intento di allontanarsi.
Guidò quasi meccanicamente fino a casa; la testa era da tutt’altra parte, persa in quelle iridi marroni e in quella bocca carnose che avrebbe riassaporato volentieri.
Si vergognò di quei pensieri irrispettosi, dando colpa allo sbigottimento di esserselo ritrovato davanti dopo tutti quegli anni.
«Ora mi calmo, devo solo prendere un bel respiro e abituarmi all’idea che potrei vederlo due o tre volte l’anno.» disse tra sé e sé, in attesa che il semaforo tornasse verde e le permettesse di entrare nella via di casa.
«Bene, ora parlo pure da sola. Per colpa di quello stronzo mi rinchiuderanno in manicomio, così almeno non correrò il rischio di vederlo.»
Spinse sul pedale dell’acceleratore e si ritrovò di fronte al suo appartamento, posteggiando proprio sotto la finestra della camera, da dove riusciva a intravedere una sottile luce calda e dorata.
Non aveva più risposto al messaggio del suo fidanzato, si era limitata a digitare delle parole sullo schermo, ma prima di poter cliccare su invio, si era ritrovata quel volto perfetto davanti. A essere sinceri, si era pure scordata di avere un compagno quando aveva rivisto Francesco nel suo ufficio.
Si portò la borsa sulle gambe, cercando il pacchettino azzurro al suo interno. Quando lo trovò, estrasse la sigaretta e l’accendino, uscendo dalla Smart e accendendo quel cilindro cartaceo. Aspirò un quantitativo piuttosto significante di nicotina, finché non si sentì la gola bruciare, dopodiché buttò fuori tutto il fumo formatosi in bocca.
Non era mai stata una gran fumatrice, solitamente le veniva voglia di una o due sigarette durante il weekend, quando era in compagnia, oppure dopo una giornata stressante di lavoro, per rilassarsi e cancellare la negatività.
Era rimasta una delle poche a preferire la sigaretta tradizionale a quella elettronica, ormai super gettonata e con liquidi dalle fragranze aromatizzate e con meno sostanze cancerogene; solo lei e Giorgia erano riuscite a non cedere a quella moda che sarebbe sicuramente scomparsa nel giro di qualche anno.
Inalò un’altra boccata di fumo, cercando di distendere i nervi tesi, ma senza ottenere alcun risultato.
Il viso del bruno era ancora impresso nella sua mente; un miscuglio tra il giovane Francesco di sette anni addietro e quello di oggi.
“Chissà se è come allora, oppure è finalmente pronto ad amare.”
Quel fugace pensiero spaventò la ragazza, la quale si rispose che non era certamente un suo problema se Cuore di Ghiaccio, così lo aveva soprannominato molto tempo prima, aveva imparato a provare affetto verso il gentil sesso.
Aspirò l’ultimo tiro di sigaretta, buttando poi la cicca ai suoi piedi, ed estrasse un’altra Camel dalla confezione, pregando che una seconda potesse aiutarla laddove la prima aveva fallito.
Sentì la giacca vibrare, un veloce brusio che la avvisò dell’arrivo di un nuovo messaggio.
Estrasse il suo IPhone e vide il nome dell’amica, accompagnato dall’icona di WhatsApp, lampeggiare sullo schermo.
Sbloccò la tastiera con il pollice e aprì l’applicazione per leggere cosa le avesse scritto.

- Da quando hai smesso di fumare, tu? Domani, io e te, dovremo fare un bel discorsetto e non credere di omettere qualche dettaglio, soprattutto quelli HOT! Certi sguardi io li riconosco e se aveste avuto dei super poteri che si attivavano con gli occhi, sicuramente avreste incendiato l’ufficio, carbonizzandomi come niente. -

La mora scoppiò a ridere quando lesse quelle parole, riuscendo a cancellare, solo per qualche secondo, il penetrante sguardo di lui dalla testa.

- Okay, curiosona, ma non c’è chissà che da raccontare, quindi cala le aspettative! Non ho smesso di fumare, mi serviva una scusa educata per liquidarlo e ho preso la palla al balzo. -

La ragazza si diresse verso il cancellino di casa, inserì il codice di sblocco e si avviò verso il suo appartamento, sicura che, una volta trovata tra le braccia del suo amato, i ricordi passati sarebbero tornati in quel cassetto sepolto.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Imparare ad amare ciò che ci fa stare bene ***


Il soggiorno si trovava nella penombra; l’unica luce a illuminare quella stanza proveniva dalle candele bianche, al profumo di vaniglia, disposte sul tavolino basso.
Adorava adornare la casa con ceri aromatizzati dai vari colori e dalle fragranze delicate.
Era cliente fissa da Maison du Monde e ogni mese ci lasciava mezzo stipendio; aveva riempito l’appartamento di tazze mug, boccali con cannuccia per gli aperitivi, tazzine da caffè con i loro sottopiatti, bicchieri in vetro alti dalle mille fantasie, accessori per la cucina e porta candele.
Credeva fermamente che quegli utensili rendessero quelle quattro mura più confortevoli e meno scialbe.
Il suo fidanzato era di tutt’altro avviso, ma se acquistare quegli oggetti la rendeva felice, perché avrebbe dovuto vietarglielo?
Fissò le chiavi di casa e della macchina al portachiavi da parete, appeso alla destra della porta d’ingresso, anche quello ovviamente era firmato Maison.
Salì le scale per raggiungere la camera da letto e spogliarsi, per poi immergersi nella vasca e levarsi dalla pelle quella giornata interminabile.
Daniele era lì, con indosso i pantaloni della tuta grigi e una t-shirt bianca; un lieve accenno di barba lo rendeva più affascinante e meno ragazzino.
Era poco più alto di lei, di corporatura normolinea con un lieve accenno di pancetta.
Sicuramente non era il ragazzo da copertina con addominali scolpiti e bicipiti più grossi della loro testa, perché, parlandoci chiaramente, chi lo voleva un compagno attento alla linea, che pesava al grammo la carne da mangiare?
Lei sicuramente no, le bastavano già i suoi di complessi sui fianchi ben in vista, non poteva sopportare le fissazioni sul cibo anche da parte del partner.
Aveva già avuto un fidanzato ossessionato dal fisico perfetto, tanto che le faceva mettere sulla bilancia ogni caloria che ingurgitava e che la voleva più attenta alla sua forma fisica; si era ripromessa di non ritrovarsi più in una situazione simile.
Bisogna diffidare dagli uomini che prestano più attenzione a loro stessi che alla propria compagna, perché sono quelli che ti calpesteranno e ti getteranno via come spazzatura.
«Eccoti finalmente! Hai fatto un po’ tardi oggi… ti hanno trattenuta al lavoro?» La raggiunse sorridendole, stampandole un veloce bacio sulle labbra.
I suoi occhi color cioccolato si illuminarono quando incontrarono quelli verdi di lei, come succedeva ogni volta che rivedeva la propria compagna dopo ore lontani.
«Un cliente ha fatto tardi, poi mi sono fermata a fare quattro chiacchiere con Gio. Sai come siamo, una parola tira l’altra e non ci siamo accorte del tempo che scorreva. Ti dispiace se mi faccio un bagno caldo? Ne ho proprio bisogno…»
Il ragazzo accennò a una lieve risata, mentre le accarezzò il viso.
«Lo immaginavo. Ho già fatto scendere l’acqua e sciolto quella pallina bianca alla fragranza di cocco. Com’è che le chiami tu?»
Questa volta fu la mora a riempire la stanza con la sua risata cristallina e sincera.
«Le ballistiche di Lush. Ti avrò ripetuto mille volte il loro nome, è impossibile che non ti sia ancora entrato nella testa!»
Il suo fidanzato aveva tantissimi pregi, ma poca memoria per le cose di cui non gli importava.
«Perché sono cose da femmine, come quel pennellino che usi per truccarti, il liner.»
Un altro risolino uscì dalla bocca di Sophie, questa volta meno fragorosa.
«Eyeliner. Sei incorreggibile, lo sai?» Si lasciò stringere, inalando il suo profumo elegante e sensuale, orientale e aromatico, dalle raffinate note speziate. Fragranza così diversa da quella di Francesco.
Improvvisamente la mora si irrigidì, sentendo un brivido freddo lungo la schiena che la portò a distogliersi da quell’abbraccio con poca delicatezza.
«Scendo più tardi ad aiutarti con la cena, ora ho proprio bisogno di entrare in vasca.»
Con un sorriso finto e tirato si ritirò da quella stanza, nascondendosi nel bagno.
Si spogliò di quegli indumenti e della biancheria, accese la candela dolce gelso e, spegnendo la luce della stanza, si distese in quella tinozza schiumosa.
Il calore dell’acqua cullò la ragazza in una stretta avvolgente, la quale riuscì a farle distendere i muscoli e ogni particella del suo corpo.
Si lasciò travolgere dai fiori finemente profumati del gelsomino e da piccoli e gentili accenni della violetta e della rosa.
Si ritrovò a pensare, ancora una volta, a quei messaggi che l’avevano fatta precipitare in un profondo oblio, da cui credeva non sarebbe più riuscita a riemergere, finché non incontrò Daniele, arrivato come un angelo del cielo per salvarla da quell’oscurità che la stava logorando.
Si erano conosciuti per caso, al compleanno di un loro amico comune.
Per lui fu amore a prima vista; quando vide quella splendida mora varcare le porte del bar, rimase  ammaliato dal suo fascino, incantato dalla profondità di quelle iridi così chiare che gli ricordarono la primavera.
Sophie non lo notò nemmeno; si era ripromessa di non affezionarsi più a nessun uomo, perché tutti quelli a cui aveva aperto il cuore l’avevano ferita. Inoltre era nella fase di guarigione, non ancora pronta a gettarsi nel buio, nemmeno con le dovute precauzioni.
Tutto nacque improvvisamente tra di loro, fu spontaneo. Lui la faceva ridere, così tanto che le lacrimavano gli occhi. Sorrideva sinceramente, senza dover fingere.
Dopo diverse uscite in compagnia e lo scambio di parecchi messaggi su Facebook, si decise a invitarla a bere qualcosa, un appuntamento non ufficiale.
Parlarono e risero molto, poi arrivò quel bacio inaspettato.
La ragazza pensò che fu la sorpresa a non farle provare quello sfarfallio nello stomaco, perché si era ritrovata a volere fortemente quel ragazzo al suo fianco.
Bisogna imparare ad amare ciò che ci fa stare bene e che ci rende sereni.
Era sicura che il destino lo avesse mandato sul suo cammino proprio nel momento esatto in cui lei aveva bisogno di trovare stabilità, di una persona che la facesse sentire finalmente felice, che le donasse amore incondizionato, una persona con cui essere sé stessa, senza più barriere a separarla dal mondo esterno.
La loro relazione non era basata sulla passione, su scelte illogiche o attimi di follia, era un rapporto stabile, duraturo e sereno.
Sprofondò con la testa sott’acqua, decisa a non pensare più a quella parte del suo passato, ma a godersi il suo presente una volta riemersa.

*****
Buon pomeriggio ragazze. Finalmente abbiamo scoperto qualcosa di Daniele, il fidanzato della nostra Sophie.
Non perdete il prossimo capitolo, perché ci sarà l'ultimo flashback della serata e finalmente scopriremo chi ha vinto la scommessa!
L'appuntamento è per mercoledì.
Baci, Sara

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Scelte ***


Dopo cena, una volta ultimate le faccende domestiche, Sophie prese il suo soffice e caldo plaid di lana arancione e si sedette sulla parte lunga del divano angolare in pelle.
Appoggiare la schiena e potersi distendere liberamente, dopo quella giornata così intensa, fu un sollievo per la ragazza. Accese la sua Smart Tv e si collegò a Netflix.
«Cosa vogliamo guardare stasera?» domandò al compagno, che si era accomodato alla sua destra proprio in quel momento.
«Quello che vuoi tesoro, sai che per me non fa differenza.»
Sbloccò il cellulare e, aprendo Facebook, iniziò a leggere alcune delle notizie condivise dalle pagine che seguiva.
«Quindi, se ti proponessi Cinquanta sfumature di Grigio, tu lo guarderesti?»
Daniele rabbrividì a quella domanda, bloccandosi di colpo con lo sguardo nel vuoto e con la bocca aperta, come a volerle rispondere, ma non riuscendo a formulare la frase in maniera corretta.
La mora scoppiò a ridere per quella reazione e decise di andare in soccorso del suo fidanzato.
«Sto scherzando, so che non è il tuo genere. Piuttosto, che ne dici di New Girl? Non trovavi esilarante Nick Miller?»
Il bruno storse leggermente la bocca e fece un cenno d’assenso col capo, a conferma di quella domanda, dopodiché tornò con gli occhi sul suo smartphone da cui non si schiodò per tutta la sera.
Quando Sophie spense la tv erano da poco passate le undici e il suo gesto ridestò il ragazzo, che dopo alcune ore alzò il viso per guardarla.
«Andiamo a letto?»
Lei gli fece un sorriso, rispondendo affermativamente con la testa.
Quella, per loro, era la solita routine serale, a esclusione del weekend che lo trascorrevano per locali con gli amici.
La mora era un’appassionata di serie tv, tanto che nei fine settimana invernali faceva maratone di stagioni intere senza alzarsi mai dal divano, se non per mangiare, andare in bagno e dormire.
Lui, invece, passava la domenica a seguire le partite nella stanza degli ospiti, arredata con un televisore appeso alla parete, un divano in pelle smerigliata da quattro posti e un tavolino basso al centro per posarci le cibarie scelte per accompagnare l’intrattenimento.
Quando c’erano partite di spessore, come i vari derby del campionato o la Champions League, alcuni dei ragazzi della compagnia si radunavano in quella stanza con pizze e bibite, pronti a tifare, o a gufare, e divertirsi tra di loro.
Anche lei adorava il calcio, ma preferiva i telefilm.
«Hai acceso lo scaldasonno?» Le iridi verdi si puntarono in quelle marroni di lui, che a quella domanda si bloccò.
«Ehm… c’è la possibilità che io non lo abbia fatto, ma se tu volessi guardarti un’altra puntata, sono sicuro che troveresti la tua parte del letto calda, pronta a ricevere i tuoi piedini freddi e scaldarli con devozione. Altrimenti, conosco un metodo appurato e diffuso in tutto il mondo che risolve questo problema e so che concilia il sonno.»
Daniele le donò un sorriso furbo, a cui lei rispose di rimando, avvicinandosi a lui e posando le mani sul suo petto.
«Sì? Sai, credo sia lo stesso che conosco io. Qualcosa che sa riscaldarti dall’interno ed è molto… dolce, giusto?» Il ragazzo le fece un cenno d’assenso col capo, avvicinandosi ancora di più al corpo di lei e posandole le mani sui fianchi, mentre la mora si avvicinò al suo orecchio, per bisbigliarli quella parola.
«Camomilla» sussurrò lentamente e con seduzione, appositamente per farlo illudere e poi schernirlo.
Sulla fronte di lui si formarono delle rughe d’espressione, quando alzò le sopracciglia e fece schioccare la lingua per la delusione di quella risposta, mentre la fidanzata se la rideva.
«No, non era quella a cui pensavo, ma non importa… Ti aspetto a letto!»
Donandole un bacio sulla guancia si avviò verso la camera, a differenza della ragazza che si spostò in cucina per prepararsi quella bevanda calda, sperando che l’avrebbe aiutata a rilassarsi ulteriormente e le avrebbe evitato incubi riguardanti un ragazzo dalle iridi chiaroscuro.

 
✿..:* *.:.✿

I baci divennero sempre più lunghi, più caldi e più passionali. Le mani di lui avevano iniziato l’esplorazione di quel corpo da cui era attratto come un magnete. Giocava coi suoi seni, stuzzicandola e annebbiandole ancora di più la mente. Il tempo trascorse senza che nessuno dei due ci badasse, troppo presi a perlustrarsi. Quelle volte che si separarono per riprendere fiato, non persero il contatto con i loro occhi, sorridendosi in silenzio. In quegli sguardi erano racchiuse miriadi di parole che non avrebbero trovato collocazione se pronunciate; delle promesse, da parte di lei, di non abbandonarlo e di non rinunciare a fargli aprire gli occhi sulle gioie dell’amore.
Sophie era sull’orlo del baratro, senza una via di fuga apparente. Francesco si tolse definitivamente la camicia, restando a torso nudo e con dei miseri boxer neri che non celavano il suo desiderio, rigido e imponente. La mora sudava, un po’ per la temperatura all’interno della vettura e un po’, o per meglio dire principalmente, per il calore che si irradiava nel suo corpo.
«Ora tocca a te, tesoro, e bada bene… i calzini non valgono.» Le sorrise, tornando poi a posare le labbra sul suo collo, baciandolo, succhiandolo e assaporandone il gusto dolceamaro, intriso di profumo e di desiderio.
La ragazza deglutì, trovandosi in difficoltà dinnanzi a quella scelta. Togliersi i leggings e rendere essenzialmente nulla la distanza che separava quell’unione ormai prossima oppure levarsi il corpetto e mostrare le sue grazie, liberandole definitivamente da quel recipiente scomodo?
Si alzò dalle gambe del bruno e, restando leggermente piegata per non sbattere la testa contro il tettuccio dell’auto, si tolse l’indumento di pelle che le fasciava le gambe, restando praticamente in lingerie.
Lui sorrise famelico, fissandola con aria avida e con gli occhi adombrati dal desiderio. Fremeva all’idea di averla sopra di lui, ora che le loro intimità erano divise solo da cotone leggero.
Sentiva la vittoria vicina. Aveva dimostrato che anche lei era come tutte le altre: molte parole, pochi fatti.
Non era dispiaciuto di aggiungerla alla lista delle innumerevoli ragazze con cui era andato a letto, soprattutto perché gli aveva sempre dimostrato un carattere forte e deciso.
Se non fossero entrati in gioco i sentimenti, probabilmente sarebbe riuscita a vincere quella sfida, ma aveva capito fin da subito che quella ragazza ragionava più col cuore che con la testa.
Fu una delle poche volte in cui si sentì dispiaciuto per la sua assenza di sentimenti; gli dispiaceva ferirla, ma non dipendeva dal suo volere, piuttosto da quell’organo nel suo petto che non era mai riuscito a scaldarsi.
Sophie tornò a sedersi a cavalcioni sopra Francesco, appoggiando le sue esili dita sulle spalle di lui e stringendole in una presa salda.
Aveva paura. Era preoccupata per quello che sarebbe potuto succedere e il suo continuo deglutire ne era un chiaro segnale.
Lo desiderava tanto da farle male e quel turbinio di emozioni che le sfarfallava nello stomaco non aiutò ad alleggerire quella tensione.
Lui le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e, dopo aver cercato il suo sguardo, le accarezzò lievemente la guancia, avvicinandosi alle labbra arrossate di lei per riprenderne possesso.
Non ci fu irruenza o foga in quel bacio, solo dolcezza e conforto. I loro corpi si bramavano, ma il ragazzo aveva capito che prima di qualsiasi azione, volta a suo vantaggio, avrebbe dovuto rassicurare lei e metterla a suo agio.
Sfiorò con la punta delle dita le braccia della mora, provocandole dei brividi e facendole aumentare il desiderio.
Lei si avvicinò maggiormente al ragazzo, come a volersi fondere, e mentre si baciarono si strofinò contro l’intimità di lui, che non riuscì a trattenere un gemito.
Quel suono le fece percepire una scarica di desiderio dentro sé, come se fosse pronta a unirsi completamente a Francesco facendo l’amore.
Fu il gesto di lui, quello di cercare nel portaoggetti delle portiere ed estrarre un involucro argentato, che la riportò alla realtà, costringendola a staccarsi da quelle labbra e a guardare l’orario segnato sul display della radio.
Quando vide quelle cifre le si disegnò sul volto un sorriso vittorioso, che condivise con il ragazzo.
«Ehi, smutandatore, guarda un po’ che ore sono!»
Il ragazzo fece come le era stato detto, restando di stucco quando si accorse che erano passate due ore da quando si erano appartati.
«Va bene, ci vuole più di un’ora per farti cedere. Ora, che ne dici di continuare da dove ci siamo interrotti?»
Il bruno provò a baciarla, ma lei si spostò, facendogli un segno di negazione col dito.
«Questi non erano gli accordi. Hai voluto fare il gradasso dicendo “massimo mezz’ora e sarai lì a implorarmi di toglierti questo e blablabla”? Bene, ora rimetti a cuccia il tuo alano e riportami a casa, perché la scommessa l’ho vinta io!»
Sedendosi al suo fianco si rivestì degli indumenti tolti, sotto lo sguardo attento e sorpreso di lui.
Per la prima volta, una ragazza era riuscita a resistergli.
Sentì un leggero calore nel petto.

 
* Se non fosse stata una sfida a tempo, forse la storia qui raccontata sarebbe potuta essere diversa.
A ogni azione corrisponde una conseguenza, che dà il via a una serie di avvenimenti, legati inesorabilmente al proprio futuro.
Il destino ci pone dinanzi a un bivio, ma saremo sempre noi a dover decidere la strada da percorrere, rischiando di ritrovarci in un percorso lastricato di rovi o di fronte a una discesa. *

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Ossessione ***


Quando Francesco superò le porte scorrevoli, si avviò direttamente al bancone, dove ad attenderlo c’era Matteo, intento ad asciugare alcuni bicchieri e con un ghigno disegnato sul volto.
«Ridi, ridi pure. Bello scherzo del cazzo, mi hai fatto!»
Il bruno spintonò l’amico, che per tutta risposta scoppiò a ridere, passandosi una mano fra i capelli biondi.
«Non sai quello che avrei dato per vedere la tua faccia quando te la sei ritrovata davanti. Dev’essere stata imperdibile!»
Il ragazzo si beccò un’occhiata glaciale dall’altro, che per il nervoso aveva assottigliato gli occhi e stretto le mani a pugno.
«Se non fossimo amici da una vita ti avrei già dato un cazzotto in faccia! Potevi dirmelo che lavorava lì, almeno sarei stato preparato.»
Francesco si appoggiò alla parete chiudendo gli occhi, liberando un sospiro che racchiudeva in sé molti segreti celati.
«Se te l’avessi detto, sono sicuro che avresti inventato qualche scusa per evitarla. Com’è stato rivederla?»
Le palpebre del ragazzo si aprirono e puntò le sue iridi chiaroscuro contro quelle azzurre dell’altro.
Dentro di sé, un turbinio di emozioni tornarono a prendere il sopravvento, mentre nella sua mente prese piede il ricordo di quegli occhi verdi che l’avevano colpito fin dalla prima volta.
Aveva raccontato a Matteo lo svolgimento di quella famosa serata di sette anni fa, beccandosi la sua derisione per diversi giorni. Non era entrato nei dettagli, perché era contro i suoi principi raccontare l’intimità delle sue conquiste, ma gli aveva parlato del carattere forte e deciso della mora e di come fosse riuscita a tenergli testa, senza dimostrarsi fintamente pudica.
Si grattò la barba con la mano, tergiversando prima di rispondergli. 
«È stato intenso. Nonostante non ci vedessimo da anni e le nostre vite abbiano preso binari differenti, mi è sembrato di sentire lo stesso un legame. Forse è solo frutto della mia immaginazione, perché di certo Sophie non è stata felice di vedermi, anzi… mi avrebbe volentieri evitato fino alla fine dei suoi giorni.»
Il pensiero di averla ferita, a tal punto da farle provare tutto quell’astio a così tanta distanza di tempo, gli provocò un bruciore nel petto, lo stesso di quando aveva preso quella decisione che aveva portato le loro strade a dividersi definitivamente.
«Te lo dissi anche allora che sei stato un coglione! Ancora non ho capito perché hai voluto chiudere i rapporti in quella maniera.»
Quello era uno dei pochi segreti che aveva deciso di celare all’amico. Non voleva sentire la conferma che le sue paure fossero fondate, quindi preferì rimanere in quel finto dubbio che la sua mente aveva creato per proteggerlo. Era convinto che se non avesse espresso i suoi sentimenti ad alta voce, allora non sarebbero stati reali e sarebbe riuscito a fingere che non fossero mai esistiti.
Per la gioia del bruno, il discorso venne interrotto dall’arrivo di Mattia, giunto per dare il cambio a Matteo.
«Vieni pure quando ti aggrada, eh… Tutti questi straordinari li detraggo dal tuo stipendio!» disse il biondo rivolgendosi al nuovo arrivato, incrociando le braccia al petto in maniera fintamente offesa.
L’uomo dai capelli scuri, color dell’ebano, si avvicinò ai due ragazzi con un sorriso baldanzoso, sistemandosi il colletto della camicia con fare volutamente spavaldo.
«Sono stato trattenuto da una bionda tutta curve niente male, che sembrava uscita dal mondo delle favole.» disse alzando entrambe le sopracciglia, in una sorta di danza della felicità.
«Al mio posto, anche tu non avresti badato all’ora, ma avresti puntato la lancetta direttamente a-» Non fece in tempo a terminare la frase, perché il biondo lo interruppe con un movimento repentino della mano.
«Okay, okay; non mi servono i dettagli, grazie. Piuttosto, per sdebitarti ti chiederei un cambio turno per domani. Ho in mente di portare il pranzo a una persona e questo qui» disse indicando con il pollice il bruno al suo fianco «mi deve fare da spalla.»
Gli occhi azzurri del moro si posarono prima sull’uno, poi sull’altro, guardandoli con aria confusa.
Schioccò la lingua e passarono diversi secondi, ma poi un sorriso furbo si disegnò sul suo viso.
«Va bene, ragazzi, ma dovrete farmi conoscere le loro amiche. Ora levatevi dalle palle, è appena entrata una bomba sexy e non voglio dovermela litigare con voi due sbarbatelli. Circolare, forza!»
Mattia, tra i cinque, era il socio più adulto, quello con più esperienza nel settore rispetto agli altri.
Aveva lavorato come mixologo per quindici anni, ma era stanco di farsi sfruttare dal suo datore di lavoro, così, quando il fratello gli parlò del loro progetto, chiese di diventare associato e dipendente, proponendosi di insegnare a tutti loro l’arte del mestiere sia di barista, che di ammaliatore.
Ogni settimana cambiava ragazza, deciso a non farsi più fregare da nessuna donna, dopo esser stato abbandonato sull’altare con un misero messaggio di scuse ben tre anni prima.
I due amici scoppiarono a ridere, accontentando la richiesta del socio maggiore, il quale si accarezzò i baffi, mordendosi poi il labbro una volta che la sua preda fu vicina al bancone.
Si avviarono nel parcheggio insieme, separandosi una volta giunti dinnanzi alle loro vetture. Prima di salire sulla sua Range Rover rossa, il biondo chiamò l’altro.
«Fatti trovare al locale alle undici domattina, così ti spiego il mio piano. Non fare il Casanova anche tu stasera, mi servi in forma per domani!»

✿..:* *.:.✿

La mora si svegliò di soprassalto, ancora prima che l’angosciante melodia iniziasse a suonare. Quel flashback, giunto sotto le mentite spoglie di un sogno, l’aveva turbata al punto da ridestarla. Si portò la mano alla fronte e scostò alcune delle ciocche impregnate di sudore da davanti gli occhi.
“Anche nel mondo onirico quel maledetto non mi dà pace… è un’ossessione!”
Con quel pensiero nella testa, Sophie sì alzò, dirigendosi lentamente in bagno per una doccia, con la speranza che quella giornata sarebbe stata migliore della precedente e che sarebbe riuscita a evitare Francesco, almeno fino a venerdì.
Come suo solito, arrivò a lavoro dieci minuti prima dell’orario di inizio. Odiava fare le cose di corsa, così tendeva a prepararsi con largo anticipo, nonostante tutte le mattine fosse un’impresa uscire da sotto le coperte.
Entrò in ufficio, accese entrambi i computer, dopodiché tornò fuori per fumarsi la sua Camel blue con calma, godendosi ogni tiro del suo personale tranquillante.
Quando vide quella macchina scura, parcheggiarsi affianco alla sua, si chiese se stesse ancora dormendo, vista l’improbabilità che potesse essere lì in quel momento.
Sbattè più volte le palpebre, osservando la camminata sicura e sciolta, che da sempre contraddistingueva la bionda, mentre si avvicinava a lei, regalando alla mora il suo sorriso furbo.
«Gio, ti senti male per caso? Hai la febbre? Lo sai che sei in anticipo questa mattina?»
Sophie, dopo aver espulso l’ultima boccata di fumo, spense la sigaretta nel posacenere di metallo, guardando l’amica accendersene una a sua volta.
Fece un tiro, inchiodando gli occhi verdi in quelli dell’altra, dopodiché buttò fuori quella nuvoletta grigia.
«Non fare la finta tonta, sai cosa voglio! Ora, tu mi racconterai tutto e non tralascerai alcun dettaglio.»

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Non lo faccio per te ***


«Questo è quanto; ora sai ogni cosa di quella sera.»
Tra un’interruzione e un’altra da parte dei clienti o dalle richieste del loro capo, Sophie riuscì a raccontare gli avvenimenti vissuti con Francesco all’amica, che l’ascoltò attentamente e stranamente in silenzio.
La bionda sbattè più volte le palpebre, incredula alle parole della collega.
«Tu sei scema forte! Ti trovi davanti un figo del genere e quello a cui pensi è fare la grande donna per farlo innamorare?»
Giorgia si portò una mano alla fronte e, con il gomito puntato sulla scrivania, smosse il capo in segno di dissenso. Quando si fermò, restò per qualche secondo con lo sguardo puntato sul tavolo di legno plastificato, prima di rialzarlo e tornare a rivolgerlo verso l’altra.
«Non siamo in una commedia romantica, dove gli stronzi si innamorano della brava ragazza acqua e sapone, non sei nemmeno la protagonista di Cinquanta Sfumature. I ragazzi come lui vanno presi per quello che sono, una bella e sana scopata. Quelli non si innamorano, al massimo si fidanzano a caso e riempiono la donna di corna» sentenziò infine, portandosi le braccia al petto e distendendosi comodamente sulla sedia girevole.
Sophie si sentì una perfetta idiota dopo le parole dell’amica. Un forte calore si diffuse nel suo corpo, un misto di tristezza e imbarazzo. Con le unghie andò a togliersi lo smalto semipermanente dei pollici, rimembrando ancora una volta quella serata e le sue azioni.
Abbassò lo sguardo verso le dita rovinate, fissandole per un tempo che le sembrò infinito. Fu la mano della bionda, che si era posata sulla sua spalla, a farla destare da quello stato, riportandola alla realtà.
«Mi dispiace se ti sono sembrata troppo cruda, Soph… questa storia mi ha colta di sorpresa. Sei sempre stata tu a farmi aprire gli occhi sui ragazzi che spesso idealizzavo e scoprire che eri caduta vittima di un tale stronzo in passato mi ha fatta adirare!»
Le due si sorrisero, complici come sempre. Non servivano troppe parole, a loro bastava uno sguardo per capirsi. Il legame che le univa era così forte che niente al mondo lo avrebbe mai spezzato. L’una era il diamante dell’altra; prezioso e indistruttibile. Fu per quel motivo che decisero di tatuarselo sul polso sinistro tempo addietro, inserendo all’interno del cristallo l’iniziale dell’altra, così da rimarcare questa loro unione, enfatizzando il tutto col simbolo dell’infinito posizionato appena sotto la punta..
«Cancella subito quello sguardo triste dal tuo viso, perché chi ci ha perso è stato mister smutandatore! Lui continuerà a passarsi una ragazza diversa a settimana, insieme a molte malattie veneree, mentre tu hai trovato l’oro con Daniele.»
Sophie deglutì a quelle parole. Non riuscì a confidare a Giorgia che l’incontro del giorno prima aveva innescato una serie di dubbi nella sua mente, con i quali però non era ancora pronta a farci i conti.
Voleva dimenticare quelle sensazioni e smettere di parlare di lui sarebbe stato un buon inizio.
Il campanello dello studio suonò in quell’istante, portando entrambe a girarsi verso il portone.
Il sorriso della bionda si allargò inaspettatamente, quando vide il volto del bellissimo ragazzo dall’altra parte.
Allungò il dito verso il pulsante di sblocco e lasciò entrare Matteo, che socchiuse la porta alle sue spalle.
«Buongiorno, ragazze, spero di non disturbare.»
La bocca di Giorgia si allungò ancora di più, non riuscendo a mascherare il suo entusiasmo.
«Nessun disturbo! Stavamo giusto andando in pausa, vuoi unirti a noi?» domandò senza troppi preamboli la bionda, facendo imbarazzare la mora al suo fianco, che anche quel giorno avrebbe assistito al corteggiamento tra i due.
«Ho preparato dei panini e, vista la bella giornata, pensavo di invitarvi a fare un picnic al parco qui di fronte.»
Il ragazzo alzò il sacchetto e lo portò vicino al viso, scuotendolo davanti alle ragazze, le quali non riuscirono a trattenere un risolino.
«Scusate, ma io il terzo in comodo anche oggi non lo faccio. Anche volendo, il pane non lo posso mangiare perché sono celiaca. È stato un bel pensiero, comunque» rispose Sophie, alzandosi e avvicinandosi all’appendiabiti per prendere la sua giacca di pelle.
«Non ci sono problemi, Sophie. Ho preparato un panino senza glutine e non sono venuto da solo…»
A quelle parole la ragazza si bloccò con le braccia sollevate, mentre un brivido freddo le attraversò la spina dorsale.
Udì il rumore della porta che si apriva e dei passi fare il loro ingresso. Girò lentamente il volto, terrorizzata all’idea che quel rumore fosse associato proprio a lui, ma prima ancora di vederne il volto riconobbe il suo profumo. Quando i loro occhi si incrociarono, il cuore di lei saltò un battito e sentì ancora una volta quel tumulto di emozioni; lo stesso che aveva provato il giorno prima.
Chiuse gli occhi per darsi la forza di non tentennare nuovamente davanti a lui, imprecando mentalmente più volte contro il karma, il destino o qualsiasi entità che aveva voluto rimetterlo sulla sua strada.
Prese un profondo respiro, dopodiché tornò a puntare le sue iridi verdi in quelle chiaroscuro di lui, che le sembrarono più luminose.
«Non ci vediamo per sette anni per incontrarci due volte in meno di ventiquattrore. Questa è proprio -» non riuscì a terminare la frase, perché venne interrotta dalla calda e profonda risata di lui.
«Io direi fortuna, anche se credo che tu non sia del mio stesso avviso.» La voce di Francesco le provocò un sussulto, seguito da una scarica nel basso ventre.
Gli diede le spalle per prendere la sua giacchetta e per riportare la sua mente sul binario giusto, prima che le sue emozioni prendessero il sopravvento.
«Grazie per l’offerta, ma non credo sia il caso di pranzare tutti e quattro insieme, come se fossimo vecchi amici. Matteo, apprezzo molto il tuo gesto, credimi, ma dovresti scegliere degli amici diversi per questo genere di appuntamenti.»
La voce di Giorgia le risuonò nelle orecchie, sorprendendola. Era entusiasta di passare del tempo con quel ragazzo dagli occhi color del cielo, ma a causa sua si sarebbe sacrificata per evitarle di farle trascorrere il pranzo con lo smutandatore seriale. Sophie si sentì tremendamente in colpa per quella scelta; non voleva impedire all’amica di essere felice, anche se ciò comportava sopportare la presenza del bruno.
La mora si girò, notando gli occhi dei tre fissi su di lei. Si avvicinò alla collega, poggiandole la mano sulla spalla nello stesso modo che aveva fatto l’altra qualche minuto prima.
«Sarebbe un peccato non approfittare di un pranzo offerto anche quest’oggi, soprattutto dopo che Matteo si è scomodato a preparare un panino per celiaci, ricordandosi del mio problema.»
La ragazza sorrise prima alla bionda, poi al ragazzo dai profondi occhi azzurri.
«Veramente-» fece per dire qualcosa, ma Francesco fu più rapido di lui.
«Veramente non è stato un problema preparare il pranzo al sacco, quindi sbrighiamoci, prima che la vostra pausa finisca e il mio turno cominci.»
Il bruno fulminò l’altro che lo guardò confuso.
Fisicamente, i due ragazzi, erano completamente diversi.
Uno era di qualche centimetro più alto, con le spalle larghe, un fisico più lavorato e lo sguardo da furbo, che si accentuava quando i suoi occhi marroni puntavano la propria preda e un sorriso sghembo faceva capolino sul volto.
L’altro invece aveva un fisico più asciutto, anche se si potevano notare i pettorali ben definiti sotto alla maglia grigia, e il viso da bravo ragazzo; quello che si augurava per l’amica.
Sophie spalancò gli occhi guardando Giorgia, indicandole con lo sguardo di raggiungere il biondo, che indossava una cuffietta di cotone color topo, la quale metteva in risalto ancor di più il colore delle sue iridi.
Giorgia accolse piacevolmente l’invito, mettendosi al fianco di Matteo e prendendolo a braccetto, prima di uscire in sua compagnia.
Francesco guardò i due con un sorriso, rivolgendo lo stesso alla ragazza rimasta nello studio, ma che lo fissò con sguardo truce.
«Ho accettato l’invito solo per rendere felice la mia amica, non di certo per te. Gentilmente, potresti uscire così che io possa chiudere l’ufficio?»

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Vorresti essere da un'altra parte? ***


Pur essendo l’inizio di aprile, quella mattina faceva un caldo insolito. Il sole batteva alto in un cielo limpido senza nuvole.
Casualmente, quel giorno, Sophie indossò degli stivaletti di pelle nera senza tacco; diversamente avrebbe potuto usare la scusa delle scarpe per salvarsi da quel pic-nic imbarazzante.
“La mia sfortuna sta toccando picchi altissimi in queste ore, manco avessi rotto uno specchio. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se fossi passata sotto una scala o avessi aperto l’ombrello in casa!” pensò tra sé e sé la mora, mentre passeggiò meccanicamente dietro la coppia formata dalla sua migliore amica e Matteo, i quali camminavano l’uno affianco all’altra.
Li guardò sorridersi a vicenda, mentre chiacchieravano conoscendosi. Per la prima volta, vide negli occhi di Giorgia una luce nuova, una felicità insolita. Aveva assistito a molte delle sue fugaci frequentazioni e mai le era capitato di vedere la bionda in quella situazione.
Lei che solitamente era spavalda e sicura, arrossiva a un complimento o a un contatto involontario delle loro braccia; per la prima volta era in difficoltà dinnanzi a un uomo anche l’imperturbabile Giorgia Frisi.
«Vorresti essere da un’altra parte, vero?» La sua voce da dietro le spalle la distrasse dall’analisi di quella nuova coppia e la fece sussultare, portandola a inciampare nello scalino terroso dinnanzi a lei.
Sarebbe sicuramente caduta, se non fosse stato per la prontezza di riflessi del bruno, che prendendola per il polso riuscì a tenerla in piedi, spingendola a sé.
Quella vicinanza improvvisa provocò nel petto di lei un forte batticuore e uno sfarfallio involontario nel ventre. Una sensazione di calore si diffuse nel suo corpo, causandole dei brividi.
Si voltò a guardare il suo salvatore, perdendosi nella profondità dei suoi occhi castani per interminabili secondi, trattenendo il fiato senza accorgersene.
Com’era possibile che le potesse mancare così tanto la sua vicinanza, se erano passati così tanti anni da quel loro unico incontro?
Un sorriso sghembo si disegnò sul viso di lui, dando vita a quelle due splendide fossette che incatenarono lo sguardo della ragazza su quelle labbra piene, rimembrandone il sapore.
«Sophie? Sei su questo pianeta?»
A quella domanda la ragazza si ridestò; sbattè più volte le palpebre e si allontanò dal corpo invitante e caldo di lui, tornando così a respirare.
«Vorrei essere su Kinmonku*, ma purtroppo non mi è possibile teletrasportarmi dalla Terra.»
Francesco alzò un sopracciglio, sorpreso dalla risposta bizzarra della mora, senza capirne il significato. Si ricordò che era solita fare degli sproloqui alquanto stravaganti, ma che lui aveva sempre trovato divertenti.
«Lascia perdere, sono cose da fangirl! Grazie di avermi sorretta, evitandomi un incontro ravvicinato con il terreno.»
Sfuggì dallo sguardo di lui e riprese la sua marcia, anche se davanti a sé non vide più la coppia che prima le faceva strada. Li cercò per il parco, voltandosi prima a destra poi a sinistra, sbuffando irritata non scorgendoli da nessun lato.
Il profumo dell’erba appena tagliata riempì le loro narici, mentre gli alberi in fiore fecero da cornice a quel paesaggio naturale dove l’azzurro del cielo confluiva con il verde del prato. Una specie di paradiso all’interno della metropoli.
Lo sguardo di lei si soffermò su un olmo con due doppi tronchi, un albero molto accogliente. Le sue foglie piccole, ruvide e seghettate, su ramoscelli sottili, lo rendevano facilmente riconoscibile.
«Non hai risposto alla mia domanda, comunque» riprese il discorso Francesco, che osservò la ragazza camminando alle sue spalle, soffermandosi volutamente sul suo lato b.
Quando la ragazza si girò lo colse in flagrante, sogghignando subito divertita dall’imbarazzo che fece strada sul volto di lui.
«Quale domanda?» sbuffò, «Hai visto dove hanno svoltato quei due? Non è così immenso questo parco!»
Sophie terminò la sua marcia e si portò le mani ai fianchi, seccata dalla sparizione dell’amica.
Continuò a eludere lo sguardo del bruno, fingendo di scrutare l’orizzonte.
«Prima di evitarti una caduta imbarazzante, ti ho chiesto se avresti preferito essere da un’altra parte invece che qui con me.»
Con la coda dell’occhio vide i movimenti di lui arrestarsi solo una volta giunto a pochi passi da lei. Quelli che dividevano i due erano pochi centimetri.
Percepì l’imponenza del ragazzo su di lei, dovuta al suo sguardo di fuoco.
Quando alzò il viso, le iridi verdi di Sophie incontrarono quelle chiaroscuro di Francesco, e lei si sentì bruciare dall’interno. Quell’incendio dentro sé infiammò anche i suoi sensi, ritrovandosi nuovamente inerme davanti a quei pozzi scuri che l’avevano fatta capitolare tempo addietro.
Quegli occhi erano la sua rovina; la rendevano debole, impaurita all’idea che lui potesse leggerci dentro e cogliere le emozioni che era in grado di farle provare.
Entrambi non proferirono parola, restando in silenzio, cullati dalle note dei loro cuori che si erano rincontrati.
Una sinfonia leggera li univa, ma nessuno dei due ne era ancora a conoscenza.
«Ehi, voi, si può sapere perché vi siete fermati come due stoccafissi?»
La voce cristallina di Giorgia li riscosse, interrompendo la magia di quel momento e permettendo alla ragazza di fuggire ancora una volta da quelle sensazioni con cui non era pronta a fare i conti.
Si voltò verso l’amica, cercando di nasconderle il turbamento che quel gioco di sguardi le aveva provocato, stampandosi una maschera di finta felicità.
«Vi stavamo cercando, si può sapere dove vi eravate cacciati?» domandò raggiungendola, lasciando nuovamente Francesco senza risposta.

*Kinmonku: nome di un pianeta citato nella quinta stagione di Sailor Moon.

 
✿..:* *.:.✿

Durante il pranzo gli unici a parlare furono Giorgia e Matteo, che si scambiarono reciprocamente informazioni sul loro trascorso. Ad alcune battute si unirono anche le risate di Sophie e Francesco, ma per la maggior parte del tempo fecero scena muta, gustandosi lentamente il loro panino.
Erano seduti a un tavolo in legno di colore verdognolo, pieno di incisioni fatte nel tempo da alcuni ragazzi; un segno ancora vivo del loro passaggio.
«Voi da quanto vi conoscete, invece?» domandò il biondo alla sua complice.
Le due si scambiarono uno sguardo d’intesa, sorridendosi.
«Da cinque anni, ovvero da quando questa bellissima mora è stata assunta nello studio commercialistico dove io lavoravo da qualche mese.»
La bionda prese la mano dell’amica e la strinse, prima di proseguire con il suo racconto.
«Inizialmente non ci sopportavamo, anche se non eravamo andate oltre al “buongiorno” e “buonasera”. Poi, un giorno, dopo una brutta litigata col mio ex fidanzato, arrivai a lavoro in lacrime e lei mi consolò come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fossimo amiche da sempre.»
Si regalarono un nuovo sorriso, entrambe con gli occhi lucidi ma felici, ricordando le origini del loro rapporto.
«Da allora siamo diventate inseparabili! La mia Sophie ha un gran cuore» distolse lo sguardo dall’amica per puntarlo sul volto del bruno, guardandolo in modo truce.
«Fortunatamente ha trovato un ragazzo che apprezza questa sua dote e che non se la lascerebbe mai scappare» lo canzonò.
Lui deglutì, voltandosi verso l’amico che scoppiò a ridergli in faccia.
«Okay… Che ne dite se ci avviamo verso lo studio? Mancano quindici minuti alle due.»
Francesco, dopo quella proposta, si alzò, stiracchiandosi e guardando la mora di sottecchi, provando un leggero fastidio verso le ultime parole dette da Giorgia.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Fuoco e sangue ***


Come per l’andata, anche durante il ritorno Giorgia e Matteo fecero comunella, chiacchierando amabilmente e lasciando indietro gli altri due, che camminarono in completo silenzio.
Sophie guardava il terreno, un po’ per eludere le occhiate del bruno, un po’ per evitare di inciampare nuovamente.
Francesco, con le mani in tasca, chiudeva la fila, anch’esso con lo sguardo basso.
Una domanda gli ronzava nella testa dopo la frecciatina della bionda, ma non si sentiva pronto a scoprirne la risposta.
«Cosa ne pensi del nostro bar? Delusa che non avessimo piatti di Swarovski?» chiese, accendendosi una sigaretta.
La mora arrossì, ricordandosi la battuta fatta all’amica, ma udita da uno dei proprietari.
«Avete fatto un buon lavoro, non c’è che dire. L’importante è che non si trasformi in un club esclusivo come il locale precedente» rispose senza voltarsi, facendo una smorfia di disgusto al ricordo di quel posto.
Francesco, dopo un lungo tiro, la raggiunse, bloccandola per il polso e mettendosi di fronte a lei, obbligandola a guardarlo.
«Sai che non sono quel genere di ragazzo e comunque, quel coglione non metterà mai piede allo Starlight, a costo di prenderlo a calci nel culo!»
Il cuore di lei saltò un battito, ritrovandosi involontariamente a sorridergli con gratitudine.
Quando si erano conosciuti gli aveva raccontato del tradimento del suo ex fidanzato e di come quell’avvenimento l’avesse segnata, spaventandola all’idea di poter innamorarsi per la seconda volta di un uomo insensibile che l’avrebbe fatta soffrire.
Lui ai tempi l’aveva ascoltata e rassicurata, quasi cullata, allontanando l’oscurità dal suo cuore.
Insieme avevano augurato ai due traditori una punizione divina, il più delle volte contornata da anatemi che li vedeva seduti al bagno con dolori lancinanti e senza carta igienica.
L’aveva salvata dall’orlo di un burrone, solo per gettarcela lui stesso alcuni mesi dopo.
Il suo aguzzino si trovava lì davanti a lei, rincuorandola ancora una volta con i suoi grandi occhi profondi e caldi; caldi come le dita che le avvolgevano la carne mandandola in fiamme.
Distolse lo sguardo da quello di lui, puntandolo sulla mano che la stringeva, strattonandola leggermente per liberarsi.
«Grazie, ma per quanto mi riguarda può fare quello che vuole. Non verrò mai più al vostro bar, quindi il problema non si pone.»
Si allontanò velocemente, con il cuore che le martellava nel petto a un ritmo incessante.
Francesco spense la sigaretta e allungò il passo, cercando di affiancarla nella sua fuga.
«Hai promesso che saresti venuta questo venerdì; so tutto, sai?»
La ragazza si fermò, ricordandosi della promessa che aveva fatto alla sua amica e a Matteo il giorno prima.
Imprecò nella sua testa, producendo delle smorfie che fecero divertire il bruno.
«Un Lannister paga sempre i suoi debiti*» disse sogghignando lui, regalandole poi il suo solito sorriso sghembo.
Sophie alzò un sopracciglio, incredula dalla citazione appena uscita da quella bocca incantevole.
«Hai sbagliato casata, caro; il mio motto è fuoco e sangue.*» Lo fulminò, proseguendo nuovamente la sua marcia fuori dal parco.
Il ragazzo scoppiò a ridere, seguendola e ammirandone la camminata fiera e sensuale.
«Oh sì, il fuoco ti appartiene, questo è poco ma sicuro.»

Giunti di fronte all’ufficio i quattro si salutarono, per la gioia della mora che si augurò di non rincontrare, almeno fino a venerdì, quel burattinaio del passato.
«È stato un piacere, ragazze. Se domani voleste deliziarci della vostra presenza allo Starlight, saremmo entrambi di turno la mattina.» Sorrise Matteo alla bionda, che non esitò a fare altrettanto.
«Grazie per il pranzo di oggi, ma domani io lo salto volentieri. Se la mia collega vorrà tenervi compagnia dovrà venire da sola» rispose prontamente la mora, prima che l’amica potesse acconsentire anche per lei, costringendola a passare altro tempo con lui.
I due ragazzi si scambiarono un fugace sguardo d’apprensione, riportando poi l’attenzione sui movimenti di Sophie, impegnata a girare le chiavi nella porta dell’ufficio.
«Beh, magari ci accordiamo su Whatsapp; il mio numero ce l’hai, giusto?» domandò il biondo a Giorgia, avvicinandosi per salutarla con un bacio sulla guancia.
«S-sì, il tuo biglietto da visita è nella mia borsa» balbettò con un lieve rossore delle gote. Quel saluto inaspettato l’aveva sorpresa, oltre ad averle accelerato il battito cardiaco.
«G-grazie ancora per il p-pranzo. Buona giornata» salutò, scappando alla sua postazione sotto lo sguardo divertito dei tre.
La mora, appoggiata con entrambe le mani alla maniglia della porta, osservò i due ragazzi, soffermandosi senza accorgersene sugli occhi chiaroscuri di Francesco, che a sua volta la stava fissando, portandola a mordersi il labbro.
Dei brividi caldi percossero la sua spina dorsale in una rapida ascesa, avvolgendo il suo corpo in un calore piacevole e afrodisiaco.
Lo schiarirsi della voce del biondo la aiutò a ridestarsi da quello sguardo magnetico, in cui iniziava abitualmente a perdersi.
“Perché mi sento così strana ogni volta che gli sono vicina o che i nostri occhi si incontrano?”
Si domandò, sempre più confusa da quelle sensazioni. Strinse con forza la maniglia a cui era aggrappata, tanto che le nocche diventarono bianche.
«Grazie per il pranzo, ci si vede.» Chiuse con più forza del previsto la porta, sussultando a sua volta per il tonfo sordo che era seguito.
Senza voltarsi, si diresse alla sua postazione, rivolgendo lo sguardo al monitor ed evitando di alzarlo fino alle parole dell’amica.
«Se ne sono andati, ora puoi tornare a respirare.»
La mora si girò verso l’altra sbattendo gli occhi sorpresa; non si era accorta di aver trattenuto il fiato, immersa nei suoi pensieri di incitamento.
Inspirò profondamente dalla bocca, chiudendo le palpebre, ed espirò lentamente prima di riaprirle.
«Sophie, sei strana; non ti ho mai vista così. Provi ancora qualcosa per lui?»
Quella domanda la colpì come un fulmine a ciel sereno, probabilmente perché non si aspettava che fosse la sua amica a dar voce alle sue più recondite paure.
Deglutì un paio di volte per prendere il coraggio di risponderle, cercando di non tradirsi con la voce.
«No, ma cosa ti salta in mente? Mi dà fastidio la sua presenza, tutto qui. Io amo Daniele, lo sai.»
Aveva risposto sinceramente; lei era certa di non sopportare quel ragazzo, per via del loro passato. Era più facile convincersi di quello, che affrontare i suoi sentimenti.
La vibrazione del suo telefono le permise di distrarsi da quella analisi. Guardò sullo schermo l’icona di Whatsapp che le segnalava un messaggio nella chat di gruppo formata da lei e le sue due migliori amiche.
- Ehi, bellezze, che ne dite di un aperitivo dopo il lavoro stasera? Così vi espongo le mie idee per Pasquetta! -
Il messaggio era di Mia, un’amica d’infanzia di Sophie che aveva accolto Giorgia nella loro comitiva a braccia aperte. Erano diventate inseparabili ed erano le uniche tre ragazze nella compagnia.
- Sai che non posso dire di no a un aperitivo. Andiamo al Qbr o da qualche altra parte? -
Fu la bionda a rispondere, proponendo il locale dov’erano soliti ritrovarsi tutti quanti.
Fu proprio in quel posto che conobbe Daniele e trovato una nuova cerchia di amici, visto il trattamento subito dal suo vecchio gruppo o, per meglio dire, il gruppo del suo ex fidanzato.
- Che ne dite dello Starlight? Mi è comodo perché è vicino al lavoro e mi hanno detto che per gli aperitivi hanno un bel buffet ricco di cibo. -
La mora non poté credere ai suoi occhi. Non era possibile che il destino si stesse prendendo gioco di lei in quella maniera.
Prese in mano il telefono per rispondere che era meglio cercare un altro bar, ma la bionda fu più veloce di lei.
- Starlight? Ottima idea, noi ci siamo! –

*”Un Lannister paga sempre i propri debiti” e “Fuoco e sangue” sono i motti di due importanti casate di Game of Thrones.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Abbi pietà di me ***


Durante il tragitto dall’ufficio allo Starlight, Sophie si ritrovò a imprecare diverse volte contro il destino scellerato che le si era scagliato contro.
Inveì anche verso l’amica che, dopo aver approvato il locale per l’aperitivo, le aveva lanciato uno sguardo di sfida; era sicura che le avesse mentito quando le aveva risposto che non provava nulla verso Francesco, così volle metterla alla prova.
Parcheggiò l’auto e, dopo esserne scesa, cercò la Lancia Y argento di Mia, trovandola qualche fila dopo la sua.
La bruna si avvicinò con un enorme sorriso disegnato sul volto. Nonostante la stanchezza, la gioia che le dava lavorare con le piccole creature del nido la ripagava di ogni suo sforzo.
Lo si poteva notare dalla luminosità dei suoi grandi occhi color del cioccolato, che sorridevano in simultanea con le sue labbra.
I suoi lunghi capelli castani erano stati raccolti in un’elegante treccia a lisca di pesce; alcune ciocce ribelli erano fuggite da quella acconciatura poco pratica, ricadendole morbide ai lati e rendendo il suo viso ancora più dolce.
I jeans chiari che indossava le stavano alla perfezione, fasciando le sue lunghe e seducenti gambe, seguendone ogni curva.
«Mi sembra un secolo che non ti vedo! Come stai, amica?» Mia avvolse la ragazza in un caldo abbraccio, stringendola a sé.
Avevano vissuto per anni l’una di fronte all’altra ed erano state grandi amiche fino all’inizio delle superiori. Un po’ per il trasferimento di Sophie da un’altra parte della città e un po’ per le nuove amicizie create tra i banchi di scuola, le due ragazze si persero di vista per parecchi anni, finché, circa sette anni prima, non si ritrovarono per puro caso nel locale dove ora erano solite riunirsi in compagnia. Tornarono a frequentarsi e riallacciarono quel rapporto ritenuto perso, consolidandolo e rendendolo più profondo.
Si slegarono per guardarsi e sorridersi a vicenda, in attesa dell’arrivo della terza.
«Infatti è un secolo che non ci vediamo. Ti pare il caso di far passare dieci giorni dal nostro ultimo incontro?» La redarguì la mora, fingendo un broncio che non le apparteneva, ma facendo così ridere l’altra di gusto.
Anche Giorgia si unì a loro, completando quel magico terzetto.
La bruna avvolse in una calorosa stretta anche la bionda, felice di poter finalmente passare un po’ di tempo con le sue amiche.
«Allora, ci sono novità?» chiese Mia guardando le due ragazze, sempre con il suo immancabile sorriso stampato sul volto.
«Oh sì, moltissime novità! Una si trova proprio all’interno del locale.» rispose Giorgia, canzonando volutamente la mora sotto lo sguardo leggermente confuso dell’altra.
«Smettila!» esclamò in tono alterato Sophie, rivolgendosi all’amica e puntando le sue iridi verdi in quelle di lei, con sguardo intimidatorio.
«Non farci caso, oggi Gio ha solo voglia di litigare con la sottoscritta» aggiunse poi, questa volta rivolgendosi alla bruna con uno sguardo e un tono di voce decisamente benevole.
«Okay… deduco che oggi non sia stata una gran giornata per voi. Che ne dite se entriamo a bere qualcosa e discutiamo di Pasquetta? In fondo ci siamo trovate per questo.»
Gli occhi color cioccolato di Mia si posarono sulle due ragazze che prese a braccetto e con cui si diresse all’interno del locale.
Il cuore di Sophie aveva intrapreso la sua marcia veloce e irregolare; a ogni passo in direzione dell’ingresso sembrava accelerasse, pronto a scoppiarle nel petto.
“Ti prego, fa che non lavori in questo momento! Almeno una volta abbi pietà di me.”
Si ritrovò a pregare la ragazza, giunta dinnanzi alla porta scorrevole dello Starlight.
Quando si aprì, puntò subito lo sguardo verso il bancone, allietata di scorgere il volto di un affascinante ragazzo bruno, felice di scoprire che non si trattava di Francesco.
Un sospirò di sollievo uscì dalle sue labbra, mentre continuò la marcia insieme alle altre due.
«Buona sera ragazze. Un tavolo per tre?» domandò il barista, regalando loro un sorriso che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi ghiacciaio e mettendo in bella mostra la sua dentatura perfetta.
I suoi occhi scuri sembravano due pozzi profondi, da dove sarebbe stato impossibile riemergere. Cozzavano con il viso dai tratti morbidi, che lo rendevano simile a un cucciolo.
Sophie si ritrovò a osservare il ragazzo più del necessario, perché ebbe la sensazione di averlo già visto prima, la stessa provata con Matteo.
Assottigliò gli occhi per scrutare con più minuzia i dettagli del suo viso, con la speranza che il suo cervello potesse risalire al suo nome.
Il ragazzo restò sorpreso e leggermente in imbarazzo per il modo in cui la mora lo scrutava, non sapendo come reagire.
«Giacomo?» domandò infine, sillabando leggermente il suo nome come se non fosse sicura dell’esattezza.
«S-sì, sono io» rispose alzando un sopracciglio, sentendosi maggiormente a disagio per non aver riconosciuto la ragazza, che alla conferma del suo quesito sorrise vittoriosa.
«Lo sapevo che il tuo viso non mi era nuovo! Sono Sophie, ma probabilmente non ti ricordi di me. Ci siamo conosciuti al ceralacca* quasi otto anni fa e siamo usciti qualche volta insieme. Ti ho ancora tra gli amici di Facebook.»
Ascoltò lo sproloquio della ragazza, portandosi una mano sul mento e grattandoselo tra il pollice e l’indice. Cercò di immagazzinare quelle informazioni per collegarle fra loro e cercare di ricordarsi quell’avvenimento.
«Ma certo!» affermò, schioccando le dita e avvicinandosi maggiormente al bancone. «La ragazza che non è andata al letto con Moto. Come ho fatto a non riconoscerti?»
La mora arrossì a quelle parole, sentendo gli occhi delle amiche puntati su di sé.
«S-sì sono io. Possiamo sederci a questo tavolo?» domandò, indicando un tavolino libero proprio dietro sé, eludendo così quel discorso spinoso.
«Certo. Quando siete pronte a ordinare fatemi un cenno.»
Dopo averle fatto l’occhiolino, prese una pezza e diede una pulita al bancone, sogghignando.
Le ragazze presero posto a sedere, osservando la lista dei cocktail ed evitando volontariamente il discorso aperto da Giacomo.
Mia scrutò attentamente l’amica, accorgendosi della piega innaturale delle labbra e del digrignamento dei denti, gesto che faceva inconsciamente quando era nervosa.
La bruna mise una mano sopra quella della amica, stringendola con energia ma dosando la forza, solo per rincuorarla e farle sentire la sua presenza.
Sophie esaminò quel gesto semplice, ma significativo, sorridendo grata all’amica.
«Se non fossi certo che mi detesti, penserei che tu mi stia seguendo.»
Quella voce calda, alle spalle della mora, le risuonò nelle orecchie, giungendole fino al cuore.
Non le servì girarsi per riconoscerne il proprietario, le bastò la reazione del suo corpo traditore.
Francesco era proprio dietro di lei.


*Ceralacca: è un gioco che si svolgeva ogni giovedì in un locale del bresciano. Ogni tavolo era numerato e si potevano mandare messaggi tramite dei bigliettini, dove bisognava inserire in alto il numero del tavolo del mittente e del ricevente, poi sotto il messaggio che si voleva far recapitare.
La cameriera avrebbe fatto da tramite, consegnando i vari biglietti. 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - Fenice ***


*Consiglio l'ascolto di una canzone che vi linkerò, da ascoltare in contemporanea alla lettura di una parte del capitolo.*

Fu sorpreso quando si ritrovò a osservare la schiena della ragazza che affermava di non voler passare del tempo con lui.
“Eppure non fa nulla per evitarmi” pensò, trovandosi a gioire della cosa.
«Se non fossi certo che mi detesti, penserei che mi stai seguendo.»
La canzonò con quella frase che la fece infuriare, portandola a girarsi e a inchiodare i suoi splendidi smeraldi dentro agli occhi di lui.
Francesco sentì un brivido attraversargli la schiena, che lo costrinse a bloccarsi per ammirarla.
«Infatti non ti sto seguendo. Non sarei venuta di certo qui se fosse dipeso da me, ma hanno scelto le mie amiche e mi sono dovuta adeguare.»
La risposta tagliente di lei arrivò chiara e decisa al bruno, che restò deluso per la freddezza con cui l’aveva pronunciata.
Si costrinse a mordersi il labbro per evitare di risponderle con una delle sue battute che avrebbe solo peggiorato i loro rapporti.
Quel gesto però, venne frainteso dalla ragazza, che osservò con attenzione quella bocca e venne colpita da delle leggere scosse nel basso ventre.
Deglutì a fatica e si costrinse a distogliere lo sguardo, ritornando sulla lista dei cocktail e cercando di riacquistare la lucidità che aveva perso fin troppe volte nelle ultime ventiquattr’ore.
«Moto, hai visto chi c’è?» domandò il ragazzo dietro al bancone al bruno, sogghignando dinnanzi alla scena che gli si era palesata davanti.
Francesco si voltò verso l’amico e lo fulminò, riservandogli la stessa occhiata glaciale ricevuta poc’anzi dalla mora.
Giacomo alzò le mani in segno di arresa e, sempre con un ghigno dipinto sul viso, si voltò a sistemare le tazzine appena estratte dalla lavastoviglie.
«Sapete già cosa ordinare?» chiese il bruno, ritornando con lo sguardo sul tavolo delle tre ragazze, ma evitando di soffermarsi su una in particolare.
«Per me uno spritz con Aperol» rispose la bionda, sorridendo al ragazzo per poi osservare la collega seduta di fronte.
«Io vorrei un analcolico non troppo dolce, grazie» ordinò Mia, chiudendo la lista e passandola al ragazzo.
«Sanbitter Lemonsoda!» esclamò Sophie.
Senza guardarlo, copiò il gesto della bruna. Lui però appoggiò volutamente le sue dita sopra quelle di lei per raccogliere il menù; vennero attraversati da una leggera scossa di energia statica che portò entrambi ad allontanarsi in simultanea.
In quel momento, la voce calda e profonda di Demi Lovato fece da cornice ai loro sguardi.

https://www.youtube.com/watch?v=cTS2ZgbfwrQ <- Fate partire la canzone e leggete in contemporanea al cantato il testo che ho incollato e le parole che ho scritto.

 
*When your soul finds the soul it was waiting for, when someone walks into your heart through an open door. When your hand finds the hand it was meant to hold… don’t let go!*
*Quando la tua anima trova quell'anima che stava aspettando, quando qualcuno ti entra nel cuore attraverso una porta aperta. Quando la tua mano trova la mano che voleva stringere… non lasciarlo andare!*

Si rinchiusero in una loro bolla personale, lontana da tutto ciò che li circondava. Le barriere che il ragazzo aveva costruito in tutti quegli anni crollarono inesorabilmente quando gli occhi di lei si immersero in quelli profondi e caldi di lui.
Quei due smeraldi lucenti lo resero inerme, raggiungendo quella parte della sua anima ben nascosta a tutti gli altri, ma di cui solo lei aveva libero accesso.
La sentì dentro come mai nessuna prima, come se lei potesse essere la luce che avrebbe salvato il suo cuore da un profondo buio con cui credeva avrebbe convissuto fino alla fine dei suoi giorni.
Non gli sembrò vero di poter scorgere finalmente uno spiraglio, che tempo addietro non sapeva di volere e che lo spaventava terribilmente.
Voleva essere liberato da quella solitudine da cui non trovava pace e voleva guarire da quella insensibilità che si era autodiagnosticato.

 
*When you’re one with the one you were meant to be find everything falls in place, all the stars align. When you’re touched by the cloud that has touched your soul don’t let go.*
*Quando sei solo con l'unico che volevi trovare tutto si mette a posto, le stelle si allineano. Quando sei toccato dalla nuvola che tocca la tua anima non lasciarla andare.*

Sophie si trovò, ancora una volta, imprigionata da quello sguardo, che però le parve diverso. I suoi occhi erano sempre due pozzi profondi che la fecero sentire nuda, ma quella volta le parve che anche lui fosse pronto a spogliarsi per lei e mostrarle i segreti che celava il suo cuore.
Sentì il desiderio di mostrargli tutti i colori dell’amore e intingere la sua vita di tutte le gradazioni esistenti, per salvarlo da quell’isolamento in cui si era rinchiuso.
Voleva donargli il mondo, la luna e le stelle; tutto quello che gli sarebbe servito per liberarlo e portarlo sul suo cammino.
Si ritrovò a voler irrompere nella vita di quel ragazzo dal cuore di ghiaccio, che l’aveva già ferita, come una tempesta, la quale però non avrebbe portato distruzione, ma soltanto felicità e amore.

 
*So now we’ve found our way to find each other, so now I found my way, to you.
No there’s no one else’s eyes that could see into me.*

*Adesso abbiamo trovato la strada per trovarci, adesso ho trovato la mia strada verso te.
No, non ci sono occhi di nessuno che possano vedere dentro di me.*

Entrambi i loro cuori pulsarono a un ritmo incessante, come a volersi rincorrere per raggiungersi e poter finalmente ritrovare la loro metà perduta, quella che poteva completare i pezzi mancanti del loro puzzle. Un forte calore si liberò nei loro corpi, facendoli sentire più leggeri, come se stessero volteggiando insieme in una danza silenziosa creata appositamente per i due inconsapevoli amanti.
Finché la loro bolla fosse rimasta intatta avvolgendoli, nessun evento del passato avrebbe potuto alterare quei sentimenti. Avrebbero potuto amarsi silenziosamente, permettendo alle loro anime di fare l’amore e ai loro cuori di congiungersi. Solo insieme avrebbero potuto allineare quei frammenti del loro spirito.
*And you know my heart by heart. And you know my heart by heart*
*E conosci il mio cuore a memoria.
E conosci il mio cuore a memoria*

Quando la musica terminò, portò via con sé tutta la magia che si era creata, distruggendo la loro bolla e rigettandoli nella realtà, dove i gesti del passato piombarono addosso a Sophie come un getto d’acqua ghiacciata.
Il dolore che aveva provato quando il bruno, sette anni prima, l’aveva informata tramite messaggio che la sera dopo il loro appuntamento era uscito con un’altra e si era liberato di ogni sua fantasia, tornò a pungerle gli occhi, illuminando le sue iridi verdi.
La delusione riaffiorò, rimembrandole che sotto quell’aspetto bonario si nascondeva un mostro che non si fece scrupoli a ferirla e da cui lei badò bene di distaccarsi prima che potesse annientarla.
Fu sua la scelta di non vederlo più, nonostante la scommessa vinta.
Quando sorprese il suo ex fidanzato a tradirla, si ripromise che non avrebbe mai più versato una lacrima per un uomo, perché quello degno di tale gesto non avrebbe mai permesso che ciò avvenisse.
Aveva pianto per l’azione superficiale di Francesco, venendo meno a quella promessa che si era fatta, così decise di rinunciare a malincuore all’impegno di farlo innamorare.
Perse quell’opportunità che tanto bramava, ma scelse di amarsi e si mise al primo posto, evitando così di perdere sé stessa.
Si lasciò affogare in un cielo nero, disperata, ma decisa a rialzarsi da quella caduta, dandosi il tempo di risorgere come una fenice dalle proprie ceneri.
La stessa creatura che si era fatta tatuare sul seno, all’altezza del cuore, come monito per il futuro.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Perché no? ***


Se per Sophie e Francesco il tempo parve fermarsi, per tutti gli altri intorno a loro continuò a scorrere normalmente. Mia e Giorgia proseguirono il loro discorso, ignare di quello che stava succedendo tra l’amica e il bruno.
«Moto, ti decidi a portarmi l’ordinazione?» chiese Giacomo, ridestando così il ragazzo che si era perso in quegli smeraldi lucenti che la ragazza aveva al posto degli occhi.
Si erano fissati in silenzio per minuti interminabili, eppure gli sembrò di averle comunicato più di quanto facesse quando le parlava.
Era certo che anche la mora avesse sentito quelle emozioni dentro sé, tuttavia gli diede le spalle come se niente fosse, tornando a interagire con le amiche.
Si costrinse ad allontanarsi e a raggiungere il bancone, cercando di distrarsi con la preparazione dei cocktail richiesti.
«Allora, Soph, tu che ne pensi?» chiese Mia, voltandosi verso la mora insieme a Giorgia.
Non aveva udito nessuna delle parole che si erano scambiate le altre, si era allontanata con la mente da quel luogo e si era concentrata solo su di lui e sui suoi caldi occhi.
«Cosa ne penso di che cosa?» Portò entrambe le mani sul tavolo, stringendosele a pugno.
La bionda si resse la fronte con le dita, incredula della disattenzione dell’amica.
«Hai sentito qualcosa del nostro discorso sulla Pasquetta in Maddalena* o eri nel tuo mondo fatto di unicorni e caramelle alla fragola?» la canzonò Giorgia, beccandosi un’occhiataccia da parte di Sophie, che fece una smorfia.
«Danno pioggia lunedì. Non sarebbe meglio rintanarci in casa di qualcuno e farci una bella grigliata con vino e amari a volontà?» controbatté Sophie, puntando i gomiti sul tavolo e appoggiandosi i pugni sotto il mento in una celata preghiera.
Non si era accorta dell’arrivo di una persona alle sue spalle.
«Nessuna di noi ha la casa con giardino per farla, né un balcone abbastanza spazioso» rispose stizzita la bionda, alzando lo sguardo verso il cameriere.
Si avvicinò al tavolo con i cocktail sul vassoio, riflettendo sulle parole che aveva appena origliato ed evitando di guardarle in faccia.
La mora estrasse il cellulare dalla borsa, fingendosi impegnata a leggere qualcosa per evitare di incrociare lo sguardo del bruno.
«Perché non fate qualcosa qui? Il locale sarà chiuso tutto il giorno e pensavamo anche noi di fare un’arrostita di carne. Abbiamo il cortile esterno e lo spazio al coperto non ci manca.»
Le sue parole inaspettate la fecero sussultare, aumentando esponenzialmente il suo battito cardiaco.
Quel sobbalzo non passò inosservato all’occhio vigile di Giorgia, la quale sorrise superba, sempre più convinta che la sua teoria sui sentimenti dell’amica fosse corretta.
«Perché no? Mi sembra una bellissima idea e una novità che sicuramente piacerà anche agli altri» rispose Mia, sorprendendo le due ragazze che si guardarono con occhi spalancati e preoccupati.
Francesco fece il suo solito sorriso sghembo, dopodiché rubò il cellulare dalle mani della sua preda.
«Ma che cavolo fai?» gli domandò seccata, allungando le braccia per cercare di riprendersi l’iPhone.
Il ragazzo però fu più veloce di lei e con un rapido movimento scattò all’indietro, continuando a digitare sulla tastiera.
Si portò l’apparecchio all’orecchio e dopo alcuni secondi lo riconsegnò alla proprietaria, ancora incollerita.
«Ora hai il mio numero, così possiamo sentirci per l’organizzazione del lunedì festivo.» Le fece l’occhiolino, causandole un notevole rossore sulle gote, e poi se ne andò, prima che lei potesse ribattere.
«Credo di essermi persa qualche cosa» affermò Mia, osservando i gesti di Sophie che si era portata la cannuccia alla bocca e iniziò a morderla nervosamente.

*Maddalena: monte delle Prealpi Bresciane che si innalza a ridosso della città di Brescia e più precisamente nella sua parte nord-orientale. Proprio per la vicinanza con la città è detta la montagna dei bresciani.
✿..:* *.:.✿

Dopo aver avviato la lavastoviglie, Sophie raggiunse il fidanzato sul divano, accomodandosi nella sua solita postazione: la parte con la penisola.
La partita di coppa Italia era iniziata da un quarto d’ora e il risultato era ancora sullo zero a zero.
«Non mi vuoi proprio dire cosa è successo al lavoro che ti ha fatta innervosire?» domandò Daniele, scostandole una ciocca di capelli dal viso e sistemandola dietro l’orecchio.
La ragazza sospirò sommessamente. Non se la sentiva di confidargli quello che era successo con Francesco, né tanto meno era pronta a confessare quelle emozioni che avevano fatto capofitto.
Voleva combatterle e non affogarci dentro.
«Non sono nervosa, ho solo un po’ di mal di testa e sonno. Magari potrei andare già a letto; una bella dormita e domani starò meglio.»
Provando a sorridergli sinceramente, gli strinse la mano, dopodiché gli diede un leggero bacio a fior di labbra per salutarlo.
Si trascinò sulle scale, raggiungendo la camera da letto e chiudendosi all’interno.
Appoggiandosi alla fredda porta di legno, chiuse gli occhi e si maledì per la sua stupidità.
Era riuscita a dimenticare quel ragazzo, era andata avanti e si stava costruendo un futuro felice; non poteva permettergli di rovinare tutto, perché lui non era il genere di ragazzo che avrebbe amato una donna soltanto. Era uno spirito libero e come tale sarebbe dovuto rimane.
La vibrazione del suo cellulare la ridestò da quei pensieri, costringendola a scostarsi dalla porta che la stava sostenendo.
Si avvicinò al cassettone ed estrasse il suo pigiamone di pile con la stampa di un unicorno sul petto.
Adorava quella creatura leggendaria, insieme ai draghi, fin da bambina. Il suo sogno era appunto quello di vivere in una valle arcobaleno, circondata da questi animali fiabeschi.
Avrebbe tanto voluto restare quella bambina, perché i problemi, a sei anni, non erano insormontabili come quelli dei grandi e il modo di vedere il mondo era decisamente migliore.
Ancora una volta, il tremolio provocato dal suo telefonino la obbligò a tornare nel mondo reale, allontanandola dai suoi pensieri nei quali era solita perdersi.
Si accomodò sotto le coperte, accese il piccolo televisore appeso alla parete e spense la luce, dopodiché prese l’iPhone per vedere chi l’aveva cercata.
Due messaggi su WhatsApp da Francesco, che come nick aveva scelto Moto, seguito appunto dall’emoticon di una moto.
“Fantasia portami via” pensò lei, sbloccando il cellulare per leggere quello che le aveva scritto, con una leggera tachicardia nel petto.
- Se puoi, non odiarmi. Credo che ci incontreremo spesso d’ora in poi, visto che Matteo è pazzo della tua amica; e poi… sei più bella quando sorridi! –
Il viso di Sophie iniziò a scaldarsi e un sorriso le nacque spontaneo sul volto.
- Buona notte, Khaleesi* -
Bloccò la tastiera e dopo aver appoggiato il cellulare sul comodino, si girò dall’altra parte, con lo sguardo rivolto verso la TV, un sorriso a illuminarla e un batticuore a cullarla.

*Khaleesi: Il nome significa "regina" in lingua Dothraki, linguaggio immaginario di un popolo nomade, ed è l'appellativo di uno dei personaggi principali, Daenerys Targaryan appartenente al fantasy “Game of Thrones”.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Nuova ossessione ***


Il venerdì era finalmente arrivato e, se da una parte Sophie ne era felice, dall’altra l’ansia, dovuta alla serata che la stava aspettando, la stava devastando.
Non aveva più visto né sentito Francesco dal giorno del picnic, e di questo ne fu grata perché così fu più semplice evitarne il costante pensiero; quella sera l’avrebbe rincontrato e la paura che le emozioni che lui le suscitava potessero ripresentarsi le provocò una leggera nausea.
Succedeva spesso che il suo corpo sfogasse in quella maniera le preoccupazioni, quindi non fu una sorpresa per lei quella reazione.
Si trovava davanti all’armadio da una buona mezz’ora, indecisa su quello che avrebbe dovuto indossare, incerta se infilarsi in un vestito che l’avrebbe valorizzata o mettersi qualcosa di comodo ma elegante.
Un messaggio interruppe il suo tormento interiore, permettendole una distrazione.
- Come ti vesti per lo Starlight? Ti vieto assolutamente le converse, perché non ti farebbero entrare. Stasera tacchi e non voglio lamentele. –
La ragazza scoppiò a ridere, divertita dall’eccentricità di Giorgia.
- Sono davanti all’armadio da mezz’ora e non ho ancora deciso. Urge un tuo consiglio che mi permetta di uscire da questo impiccio. –
Chiedere aiuto al guru della moda l’avrebbe sicuramente aiutata a velocizzare la scelta, ma non era certa che il risultato sarebbe stato di suo gradimento.
L’amica aveva imparato a memoria tutti i capi dell’armadio di Sophie, così da poterle consigliare sempre l’outfit per le serate importanti.
La conseguenza tragica di ciò era che, il più delle volte, si trovava in una situazione d’imbarazzo, con magliette a farle da vestito o con pantaloncini da spiaggia utilizzati per uscire il weekend.
La mora era sempre stata meno appariscente rispetto alla bionda; preferiva la comodità alla sensualità, cosa che la differenziava molto dall’altra, la quale sembrava essere nata con addosso un tacco dodici.
Si pentì della sua richiesta di soccorso, ma fu troppo tardi per rimangiarsela. La vibrazione del suo telefonino diede infatti conferma a quell’ultimo pensiero.
- Hai ancora il corpetto di pizzo nero? –
Capì subito dove l’amica volesse andare a parare con quella insolita domanda. Aveva conservato quel bustino, ma non era più riuscita a indossarlo. Troppi ricordi la legavano a quel pezzo di stoffa e non li avrebbe mai voluti estrarre da quel cassetto.
- Sì, ma ti dico subito che non uscirò in pubblico con quell’indumento! –
Si affrettò a risponderle, mettendo subito in chiaro la sua presa di posizione.
- Metti sopra la camicia di Zara in pizzo trasparente e sotto i leggings neri di pelle. Ricordiamo al cretino cosa si è perso quando ha scelto di volare di fiore in fiore, invece di godersi il tuo squisito nettare! -
Avrebbe pensato a Francesco ogni qualvolta avesse visto un’ape.
✿..:* *.:.✿
 
Il clima del locale era decisamente cambiato rispetto a quel lunedì. Le luci soffuse davano risalto alle immagini rappresentate sui maxi schermi ai lati delle mura e molti dei tavolini con le rispettive sedute erano spariti, per dare spazio alla massa di persone di muoversi liberamente.
Non credeva che potesse esserci una calca simile; non osava immaginare come potesse essere affollato il secondo piano, dove la musica faceva da padrona e la gente poteva lasciarsi andare al ritmo.
Le note di Martin Garrix si diffusero anche in quella sala, dove una miriade di corpi ballava a stretto contatto, con i bicchieri bianchi stretti tra le dita.
«Figo, vero? E aspetta di vedere la sala da ballo!» affermò Giorgia, urlando sopra alla musica per farsi sentire.
«Io e i ragazzi andiamo a portare le giacche al guardaroba, vi mettete in coda per prendere da bere?»
La domanda di Daniele la fece sobbalzare. Avrebbe rischiato di vedere i suoi occhi da vicino, con un misero pezzo di granito a separarli.
Non riuscì a rispondergli, perché lui e gli altri si erano già allontanati, lasciando le tre ragazze sole vicino all’entrata.
«Cerchiamo di farci servire da Matteo, così posso farti vedere il mio futuro marito, Mia.»
Il sorriso sul volto della bionda si allargò in una risata, dopodiché prese le amiche e, facendosi spazio tra la ressa, arrivò in fondo alla fila del bar.
Il loro spostamento non fu passato di certo inosservato agli occhi di molti ragazzi, che squadrarono le tre donne con ammirazione e appetito.
Giorgia indossava un vestitino nero con uno scollo a V molto profondo, i capelli le svolazzavano sull'esile busto, nascondendo il seno procace. Una fascia all'altezza dell'addome ne evidenziava la vita sottile; con una mano si scostava i capelli dal volto, l'altra invece era posizionata sulla gonna aderente; le sue lunghe unghie dallo smalto rosso giocavano coi brillantini luminosi disposti sul tessuto, i quali sembravano prendere vita al buio, illuminandone la figura.
Mia invece aveva scelto un classico vestito nero monospalla, che riscendeva morbido sul suo sinuoso corpo, ma che non metteva di certo in risalto il suo seno prosperoso, nonostante fosse impossibile da celare.
Si era lisciata i capelli, lasciando la sua folta chioma libera di ricaderle dietro alle spalle, coprendole il pezzo di schiena scoperto.
Sophie cercò di nascondersi dietro alle altre due, evitando di spiare lei per prima verso il bancone, sperando di passare inosservata agli occhi di Francesco.
Era riuscita a intravedere tutti e cinque i proprietari, vestiti in elegantissimi completi blu elettrici.
Uno di loro si trovava proprio davanti a lei, in tutta la sua assoluta bellezza e sensualità. Sotto alla giacchetta allacciata a dovere, indossava una camicia bianca chiusa da un papillon nero.
La capigliatura ribelle era stata acconciata con qualche spruzzata di lacca per impedire la caduta del ciuffo castano chiaro.
«Ecco Matteo!» Sentì urlare dall’amica, prima che si sbracciasse per farsi notare dal biondo, il quale le sorrise gaio appena la vide.
Il ragazzo teneva la giacca aperta, mostrando la camicia color panna e una cravatta larga blu notte a pois bianchi.
La mora venne trascinata dall’amica, che le aveva stretto il polso, in direzione del ragazzo, costringendola ad avanzare controvoglia.
«Ciao, splendore, questa sera sei magnifica. Cosa posso offrire da bere alla più bella del locale e alle sue amiche?» domandò con un sorriso, il quale provocò in Giorgia un notevole aumento della temperatura, che portò a farle sudare la mano.
Sophie alzò gli occhi al cielo, incredula di fronte alle moine alla Tre metri sopra il cielo che Matteo le stava rifilando.
«Per me un Mojito, per Mia una Capiroska alla fragola e poi…» si voltò verso Sophie, dando momentaneamente le spalle al ragazzo «per te un Coca Malibù, vero?»
Prima che riuscisse a rispondere, intravide l’oggetto del suo tormento flirtare con una bellissima bionda dai capelli mossi e lunghi, sollevati in un raccolto laterale. Il suo vestito a bretelline scollato, dai colori contrastanti del nero e dell’argento, metteva in bella mostra il seno formoso, mentre dei ritagli sulla parte sinistra dell'addome lasciavano intravedere degli spicchi di pelle chiara.
Entrambi ridevano, rallegrati da chissà quale informazione si stessero scambiando, ma che provocò l’effetto opposto a un’attenta osservatrice dagli occhi simili a due smeraldi, che osservò attentamente la scena con sdegno, rabbuiandosi vistosamente.
Francesco probabilmente percepì il suo sguardo furente addosso, perché in quel momento si girò, trovandosi incatenato ancora una volta, occhi negli occhi, con quella che per il bruno era diventata un’assidua, ma piacevole, nuova ossessione. 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Ehi, bionda, sto parlando con te! ***


Il cuore di lui intraprese una lesta marcia quando riuscì a scorgere i suoi smeraldi lucenti in quella calca ammassata e un sorriso gli nacque spontaneo sul volto. Quel gesto non passò inosservato alla sua interlocutrice, voltatasi anch’essa verso la ragazza che aveva catturato l’attenzione del bruno, riconoscendola unicamente perché fissava Francesco con sguardo rabbioso, trovando la situazione esilarante.
Sophie notò il risolino di quella bionda provocante che si allargò sul suo bellissimo viso triangolare, sollevandole gli zigomi, e sentì la collera crescerle dentro.
Era gelosa; gelosa di un ragazzo che però non era il suo.
Sentì sul suo fianco una forte stretta, che la costrinse a voltarsi, trovandosi alle sue spalle il proprio fidanzato.
La ragazza agì d’istinto, senza pensare alle motivazioni sbagliate che la muovevano a compiere quel gesto; appoggiò le mani dietro al collo di Daniele e lo baciò con veemenza, cingendo tra le dita la sua chioma bruna, mentre lui la strinse saldamente dai fianchi.
Francesco sentì una potente fitta al petto, come se un coltello lo stesse lacerando lentamente per prolungare la sua pena. Un mix di emozioni attraversarono il suo corpo: delusione, tristezza e rabbia. Si ritrovò spettatore accidentale di quella scena, inconsapevole che lo avrebbe dilaniato così profondamente vederla tra le braccia di un altro uomo.
Era conscio che ci fosse qualcuno nel suo cuore, ma immaginarlo era più digeribile che vederlo.
La mora si staccò da quell’abbraccio, sorridendo a Daniele e accarezzandogli la guancia crespa per via della barba. Un tocco leggero e veloce.
Sì volto verso Francesco, questa volta con sguardo trionfante, mettendo in mostra la perfetta dentatura bianca, osservando il volto corrucciato di lui. Si sentì forte perché gli aveva appena dato la dimostrazione che non era più quella fragile ragazza di sette anni prima, troppo benevola per ribattere a tono ai suoi comportamenti da seduttore incallito, ma una donna sicura, che sapeva colpire e fare male.
Non era certa della reazione di lui, ma vedere quell’espressione risentita la fece gongolare, appagata dal fatto che anche Francesco fosse, in qualche modo, geloso di lei.
«Quando hai finito di sbaciucchiarti il tuo bello, puoi rispondere alla mia domanda?»
Le parole di Giorgia, pronunciate con tono scocciato, la ridestarono da quei pensieri, portando quindi la sua totale attenzione verso l’amica. Il viso della bionda era teso, contrariato. Le mani al petto e la bocca piegata in una smorfia laterale fecero capire a Sophie che la ragazza fosse in attesa da un bel po’ di tempo.
«Sì, per me un Coca Malibù!» affermò, cercando di stemperare quella tensione con un sorriso tirato e sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Appena l’amica le diede le spalle, la mora tornò a puntare gli occhi su Francesco, il quale non la stava più osservando, ma era impegnato a preparare dei cocktail per altri clienti.
La bionda con cui lui si stava intrattenendo prima le passò a fianco, sorridendole, per poi allontanarsi verso le scale che davano al piano superiore.
Sophie seguì ogni suo movimento con attenzione, finché non sparì dalla sua vista.
«Non ci pensare neanche!» La voce di Daniele la fece sussultare e automaticamente si portò una mano sul cuore, come se quel gesto potesse aiutarla a riprendersi dallo spavento.
Si voltò verso di lui con un’espressione confusa dipinta sul volto, facendo così capire al ragazzo di proseguire quella frase, dandogli un senso logico.
«Il guardaroba è all’inizio del secondo piano, così abbiamo dato un’occhiata alla sala. Lì sopra è peggio che qua sotto! La gente balla tutta ammassata ed è impensabile che una claustrofobica come te possa sopportare una calca simile.»
Definirla claustrofobica era un po’ esagerato. Lei prendeva tranquillamente gli ascensori e la metropolitana, si chiudeva nei camerini senza problemi e non temeva l’avventurarsi nelle grotte.
Odiava però essere circondata da troppe persone in luoghi ristretti e le calche che non le permettevano di muoversi liberamente.
Per lei era impossibile andare a fare compere la vigilia di Natale o nei weekend del mese di dicembre; non sopportava nemmeno l’idea di girare le bancarelle del mercato alla fiera di San Faustino, santo patrono della città, dove buona parte della popolazione era solita trascorrere la giornata, qualsiasi condizione climatica ci fosse.
Restare bloccata in mezzo alla folla la mandava in iperventilazione, portandole notevoli giramenti di testa e un’insana agitazione che la costringeva ad allontanarsi il più possibile dalla folla per tornare a respirare in modo naturale.
«Okay, allora resterò qua, sperando che si liberi un divanetto per potermici sedere» rispose sconsolata la mora, sbuffando leggermente.
«Il bello di uscire con un barista? È che i cocktail li offre sempre lui e sono squisiti» affermò Giorgia, allungando il bicchiere di plastica, contenente quel liquido color terra di Siena, all’amica.
Sophie si portò la cannuccia alla bocca e assaporò il gusto dolce e l'odore inconfondibile del cocco, mischiato alla frizzantezza della coca cola, un mix afrodisiaco per le sue papille gustative.
«Allora manderemo sempre te a prendere da bere, visto che non li paghi» la canzonò Alessandro, il fidanzato di Mia. Il biondo rise alla sua stessa battuta, facendo illuminare le sue iridi azzurre.
«Ah ah, come sei simpatico, Alex; non ho mica scritto la parola serva sulla fronte» rispose Giorgia, portando la mano destra sul fianco e assottigliando gli occhi per fissarlo in malo modo, facendo ridere tutti gli altri.
«Donne, andiamo; cerchiamo un posto a sedere!»
✿..:* *.:.✿
 
Dopo un’ora di ricerca, riuscirono ad accaparrarsi un divanetto libero vicino al bancone, fiondandocisi sopra come farebbe un leone con la gazzella.
Le tre ragazze restarono accomodate a chiacchierare tra di loro per il resto della serata, godendosi la musica insieme ai loro cocktail, mentre i ragazzi girarono per le sale, soffermandosi con esse una mezz’oretta.
La mora osservò spesso, con la coda dell’occhio, le azioni di Francesco, sorprendendolo parecchie volte intento a guardarla.
Erano da poco passate le tre e il locale sembrava più affollato di quando erano arrivate, nonostante mancasse solo un’ora alla chiusura.
Sophie era al quinto Coca Malibù e la sua lucidità la stava a poco a poco abbandonando.
Fu probabilmente quello il motivo che la portò ad alzarsi per seguire all’esterno la ragazza bionda che filtrava con Francesco qualche ora prima, senza ragionarci un secondo sopra, ma soprattutto senza coprirsi le spalle nude.
Il freddo pungente della notte lo percepì appena, troppo accaldata dall’alcool e dall’ira che le si era ripresentata quando quella sfrontata le era passata di fronte, con la sua camminata fiera e sicura.
«Non aspetti che finisca il turno e ti porti a casa sua?» Le domandò urlando alle sue spalle.
La ragazza non si voltò e continuò la sua marcia, probabilmente verso la propria vettura.
«Ehi, bionda, sto parlando con te. Potresti anche girarti, sai?» Sophie sbiascicò quelle parole con un tono stizzito, barcollando leggermente nel tentativo di raggiungerla.
Sentendosi chiamare bionda, ella si girò, guardando la mora con sguardo confuso.
«Scusami, stai parlando con me?» chiese divertita, facendo adirare ancora di più l’altra, che ormai l’aveva raggiunta.
«Vedi un’altra bionda che filtrava con il barista da queste parti?» Bloccò la sua marcia, si portò entrambe le mani sui fianchi e la guardò storto, alzando il sopracciglio nero e assottigliando gli occhi lucidi per il troppo alcool ingerito.
«Io ho visto una moretta guardare in malo modo Francy e che ci ha messo mezzo secondo a pomiciare con un altro per il solo gusto di farlo incazzare» rispose la sconosciuta, sfidando Sophie ad affermare il contrario.
«Quello che faccio io è solamente affar mio! Ti ho fatto una domanda prima; non aspetti che finisca di lavorare e che ti porti a casa sua?»
Quel quesito provocò una forte ilarità all’estranea, che aprì la bocca per ridere, mostrando i suoi zigomi alti e fieri, rendendola ancora più bella davanti agli occhi della mora.
“Questa ragazza è perfetta, capisco il perché Francesco voglia portarsela a letto.”
Quel pensiero le provocò una fitta nel petto, seguita da brividi freddi lungo la schiena.
«Non ho bisogno di aspettare che finisca per andare a casa sua…» Sogghignò, prima di far penzolare un mazzo di chiavi davanti al suo volto.
«Perché ho già le chiavi» aggiunse infine, sorridendole.
Quelle parole lasciarono Sophie a bocca aperta, mentre nella sua testa si presentarono immagini di loro abbracciati sul divano davanti alla tv, in atteggiamenti dolci e romantici; quello che tempo fa sognava anche lei di poter vivere con lui.
«Ora, se non ti dispiace… » La liquidò la ragazza, dandole le spalle e allontanandosi, non prima di averle sorriso un’ultima volta.
Sophie restò immobile, bloccata nei suoi pensieri per degli interminabili minuti, finché un clacson non la ridestò, costringendola a voltarsi per cercare quella vettura e trovandoci al suo interno la sconosciuta.
«Il mio nome è Isabella! Tienilo a mente per la prossima volta che ci rincontreremo!»

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Chiedo scusa per l'enorme ritardo dell'aggiornamento, ma il mio piccolo diavoletto mi ha impedito di passare troppo tempo al pc e di aggiornare con frequenza.
Cercherò di essere più regolare in queste settimane, aggiungendo un capitolo a giorni alterni, fino ad arrivare in pari con la stesura.
Ringrazio chi dedica un po' del suo tempo alla lettura di questa mia storia, sia i lettori silenziosi sia chi mi lascia un segno del proprio passaggio con un commento.
Bacioni, Sara <3


 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 - Sei nei guai ***


Quel sabato mattina Sophie si svegliò con un forte mal di testa e un groppone sullo stomaco; l’ultimo non era però dovuto all’alcool, a differenza del primo, bensì a quella notizia sconvolgente: Francesco conviveva.
Si era illusa di interessargli, viste le sensazioni che aveva letto negli occhi di lui che corrispondevano alle sue; invece fu solo un abbaglio.
Una lacrima riuscì a fuggire, ma prima ancora che potesse raggiungerle le labbra, l’asciugò con un rapido gesto della mano.
Si lasciò andare a un lungo sospiro, col quale buttò fuori tutta la sua frustrazione.
“Chissenefrega della sua stupida vita con quella ochetta, anche io sono felice!” pensò, perdendosi nell’osservare le venature delle travi a vista in legno di castagno.
Esaminò con attenzione ogni macchia, ogni sfumatura di quel soffitto che tanto adorava e che l’aveva colpita positivamente la prima volta che si era recata in quell’appartamento, portandola a sceglierlo tra i tanti visionati.
Lo guardò come se fosse lo spettacolo più interessante che avesse mai visto, liberando la mente da ogni pensiero e il proprio corpo da ogni sensazione negativa.
«Stai cercando di spostare il soffitto col pensiero?»
Quella domanda la riscosse dal suo apparente stato vegetativo, portandola a voltarsi in direzione di quella voce.
«Sarebbe fantastico poter muovere le cose con la mente, ma così il mio culone lieviterebbe in maniera esponenziale e tu saresti costretto a lasciarmi» rispose seria lei, puntando i suoi smeraldi su di lui, il quale scoppiò in una fragorosa risata.
«Non ti lascerei mai, nemmeno se diventassi la donna con il sedere più grosso del mondo. Saresti comunque bellissima, anche con qualche chilo in più.»
Sophie gli sorrise con dolcezza, sentendosi fortunata ad avere al proprio fianco una persona per nulla superficiale e così innamorato.
Si ritrovò a pensare alla risposta che le avrebbe dato Francesco, se ci fosse stato lui al posto di Daniele in quel momento, e sicuramente non sarebbe stata affatto gradevole.
“Ma perché qualsiasi cosa faccia, la mia testa mi porta sempre da quel scellerato?” si domandò, allontanandosi con la mente da quella stanza, trasportandosi allo Starlight in sua compagnia.
«Amore, mi stai ascoltando?» per la seconda volta nel giro di pochi minuti, il ragazzo si trovò a ridestare la sua compagna, la quale era diventata al quanto strana nell’ultima settimana, senza un apparente motivo.
Se si escludeva il caldo bacio della sera prima, il loro rapporto si era parecchio freddato; si parlavano poco e ancor meno si scambiavano tenerezze, cosa insolita per la sua fidanzata che era spesso e volentieri attaccata a lui come un piccolo koala.
«In realtà non ho sentito nemmeno una parola di quello che hai detto, scusami.»
La mora si morse il labbro, rimuginando su quelle sensazioni che la legavano inevitabilmente al ragazzo bruno che era riapparso nella sua vita e che sembrava non volesse più uscirne.
Daniele si sdraiò nella sua parte di letto avvicinandosi alla propria donna, abbracciandola da dietro e appoggiando la fronte contro la sua testa, si beò del dolce profumo di cocco dei suoi capelli.
Le sue dita ruvide cercarono un varco sotto la felpa del pigiama di lei, tastandone la carne calda del fianco. La desiderava come un assetato bramava un goccio d’acqua, sentiva il pungente bisogno di unirsi a lei come non succedeva ormai da alcuni giorni.
Sophie deglutì avvertendo la mano di lui sul proprio corpo e provando una sorte di avversione. Un brivido freddo, che celava un senso di fastidio verso quel tocco, la portò a scostarsi da Daniele, coprendosi poi la pelle scoperta.
Si voltò verso il proprio compagno che aveva appena respinto, guardandolo con rammarico.
«Ho mal di testa, tesoro; ieri sera ho esagerato con l’alcool. Vado a farmi una doccia rigenerante, ok?»
Si allungò per stampargli un fugace bacio sulle labbra, per poi alzarsi, abbandonandolo con la sola compagnia della confusione legata a quel rifiuto.

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Si svegliò con l’aroma del caffè che gli solleticava le narici e lo invogliava ad alzarsi da quell’enorme letto.
Sbattè più volte le palpebre, cercando di abituarsi alla luce del sole che rischiarava la stanza, illuminando l’armadio nero laccato e disegnando sopra di esso svariate forme geometriche; le stesse stampate sulle tende color avorio.
Fortunatamente il sabato mattina lo Starlight era chiuso, altrimenti non sarebbe riuscito a riposarsi, cancellando almeno per qualche ora il tedioso ricordo di quel bacio consumato proprio sotto ai suoi occhi.
Si era accorto che Sophie aveva agito per indispettirlo o per mostrargli che era riuscita ad andare avanti con la sua vita; sicuramente una delle due cose, se non entrambe.
La fitta nel petto tornò potente, com’era successo qualche ora prima, provocando un battito accelerato del suo cuore, il quale sembrava sul punto di scoppiargli.
“Il destino mi sta punendo per essermela fatta scappare. Quando lei voleva donarmi il suo amore, io sono fuggito, terrorizzato all’idea di provare qualcosa di forte che mi avrebbe impedito di divertirmi. Ora che desidero ardentemente crearmi una famiglia mi si ripresenta davanti l’unica che era riuscita a smuovermi qualcosa e mi sbandiera in faccia la sua vita perfetta.”
Si portò il braccio sugli occhi, come se quel gesto potesse proteggerlo dai pensieri negativi. Un po’ come fanno i bambini, quando la notte sentono un rumore e si nascondono sotto le coperte, convinti che nessun mostro potrebbe mai attaccarli se restassero lì sotto.
«Dormiglione, la colazione è pronta!» La voce calda di Isabella gli giunse leggermente ovattata, ancora troppo preso nei suoi pensieri, dove vedeva due smeraldi lucenti che lo fissavano a fare da protagonisti.
Si costrinse ad alzarsi e a mettersi i pantaloni della tuta, prima di raggiungere la donna che lo aspettava in cucina. Le diede un casto bacio sulla guancia, dopodiché si sedette al suo fianco. Lei era intenta a sfogliare un quotidiano, con le gambe accavallate e un pantaloncino striminzito a coprirle il possibile.
Non fece in tempo ad addentare il pezzo di pan cake che lei, senza alzare lo sguardo dalla sua rivista, gli rivolse subito una domanda scomoda: «Chi era la moretta di ieri sera?»
Lui si bloccò con la forchetta a metà strada tra il piatto e la bocca, indeciso su come risponderle.
«Non so di chi parli, Principessa» disse con finta noncuranza, abbassando lo sguardo sul pasto e continuando a mangiare.
La ragazza, chiaramente infastidita, chiuse il giornale, poggiandolo sul tavolo con forza e puntando le sue iridi verdi sul ragazzo.
«Non prendermi in giro, sappiamo entrambi di chi sto parlando. La ragazza mi ha seguita fuori dal locale ieri, in pessime condizioni per giunta.»
Sentendo quella frase, Francesco fece cadere la forchetta per la sorpresa, alzando il volto per incontrare quello di lei, che gli sorrise furba.
«Ecco, questa reazione è la dimostrazione che hai capito perfettamente di chi parlavo. Ora, vuoi dirmi chi è?» La bionda si portò la tazza fumante alla bocca, gustandosi il sapore forte e intenso del caffè, in attesa che lui rispondesse al quesito che gli aveva posto.
Il ragazzo sospirò, imitando i gesti di Isabella e degustando l’aroma di quel liquido scuro.
«Si chiama Sophie, siamo usciti una volta insieme, sette anni fa.»
La ragazza restò in attesa di altre informazioni, incalzandolo a proseguire con un’alzata di sopracciglia.
«Non c’è altro da aggiungere, Isa; lei voleva di più e io allora non ero pronto, stop, fine del discorso.»
Francesco distolse lo sguardo da quello di lei, posando la tazza sul tavolo e sospirando infastidito.
Non si immaginò che le sue parole l’avrebbero portata a ridere di gusto, riempiendo quelle quattro mura con il suono melodioso di quella risata, che non sentiva molto spesso.
Isabella si alzò, posizionandosi dietro al ragazzo e abbracciandolo con le mani al collo.
«Sei nei guai ora, Chicco!»

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 - Nove lettere unite ***


Il lunedì era giunto, come al solito, troppo velocemente. Sophie e Giorgia lavorarono per tutta la mattina senza avere un attimo di pausa, preparando le buste paga per i dipendenti delle aziende loro clienti, i conteggi dell’Iva e avevano i faldoni con la documentazione inerente al 2016 da consegnare alle varie società. Aprile era uno dei periodi peggiori per loro, infatti molte volte si ritrovavano a saltare la pausa pranzo per lavorare, in modo da rispettare le scadenze amministrative delle varie ditte con cui trattavano.
«Credo che domani mi toccherà annullare il pranzo con Matteo» sbuffò sconsolata Giorgia, la quale non aveva ancora alzato lo sguardo dai documenti sulla sua scrivania.
«Ehi, fermati un secondo. Quando avresti avuto intenzione di darmi questa notizia?» domandò la mora, facendo girare la sedia sulla quale era seduta in direzione della collega.
«Te l’ho detto ora e comunque non ha importanza, visto che dovrò tenere la faccia su questi fogli per tutta la settimana. La Pasqua non poteva arrivare una settimana dopo, quest’anno?»
La bionda alzò alcuni scartoffie che aveva davanti a sé e se le portò al viso, disperandosi per l’eccessiva mole di impegni con cui le aveva caricate il loro titolare, il quale ovviamente era partito per l’Egitto per trascorrere dieci giorni di puro relax con la propria famiglia, vista la festività imminente.
«Senti…» disse Sophie, alzandosi dalla sua seduta e avvicinandosi alla amica, appoggiandole le mani sulle spalle per farla rilassare.
«Non rinunciare all’appuntamento con il tuo sexy boy! Mi fermerò io in pausa pranzo per portarmi avanti con l’incarico; in cambio ti chiedo solo di accompagnarmi al Silent Party* venerdì sera, invece di andare allo Starlight a osservare per tutto il tempo Matteo che servirà cocktail ad avvenenti giovani donne, che nemmeno considererà.»
Le fece l’occhiolino, sorridendole, rallegrando Giorgia che si alzò per stringere l’amica in un caloroso abbraccio.
«Sei la best migliore del mondo, te l’ho già detto vero?» chiese la bionda, staccandosi dall’abbraccio per guardare Sophie, la quale scoppiò in una risata cristallina che risuonò in tutto l’ufficio.
«Ogni qualvolta ti faccio un favore o ti assecondo in una delle tue trovate folli» rispose lei, portandosi una ciocca scura di capelli dietro l’orecchio.
«Ora prendiamoci un pacchetto di patatine alla macchinetta e torniamo a sgobbare, purtroppo i conteggi non si fanno da soli.»
La mora, dopo quella frase, si avvicinò alla borsa per estrarre il portafoglio e notò lo schermo del suo cellulare illuminarsi a intermittenza, segno che qualcuno la stesse chiamando.
Non fece in tempo però a rispondere, perché quando prese l’iPhone tra le mani la telefonata si era interrotta, lasciando solo la notifica sul display della chiamata persa.
Quando lo sbloccò, per visualizzare chi l’avesse cercata, il suo cuore saltò un battito.
Francesco.
Il suo nome, evidenziato con il colore rosso, sembrò lampeggiare, causandole dei brividi lungo la schiena. Non gli serviva essere a pochi metri da lei per causarle quel tumulto nel petto, bastavano solo quelle nove lettere unite in un unico nome a farla impazzire.
Non provò a richiamarlo, nonostante la curiosità di sapere cosa avesse da dirle, bloccò il dispositivo e lo rimise in borsa, cercando di allontanare il pensiero di quel ragazzo, ricordandosi le parole della stangona sexy fuori dal suo locale e di come le aveva mostrato le chiavi del loro nido d’amore.
“Chiamasse lei invece di ossessionare me con la sua presenza sgradita” pensò, chiudendo la cerniera della sua O’bag color panna e alzandosi per raggiungere l’amica che l’aspettava davanti alla porta della sala relax.
«Perché hai quella faccia corrucciata, Soph?» domandò la bionda, preoccupata per lo sguardo incollerito della sua collega, la quale fino a qualche minuto prima rideva insieme a lei.
«Ho dimenticato di dirti cosa è successo venerdì scorso, fuori dallo Starlight» rispose la mora, intenta a digitare il codice delle patatine sulla macchinetta. Quando il rumore meccanico terminò, annunciando quindi la possibilità di prelevare il sacchetto, lei lo raccolse, puntando poi i suoi smeraldi sul viso di Giorgia, che attendeva trepidante il racconto della ragazza.

*Silent Party: è un particolare evento musicale, durante il quale i partecipanti ballano ascoltando la musica individualmente attraverso cuffie o auricolari. La musica viene trasmessa nelle cuffie wireless indossate dai partecipanti e solitamente hanno più canali di trasmissione e permettono in questo modo di ascoltare diversi deejay o generi musicali all'interno della stessa area. Le persone senza le cuffie non sentono la musica, dando l'effetto di una stanza piena di persone che ballano nel silenzio (anche se spesso non c'è effettivamente silenzio perché le persone cantano). Ogni dj ha un colore che fa illuminare le cuffie, così da differenziarsi dagli altri, permettendo ai partecipanti di osservare cosa ascoltano le persone nella sala.
 
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Francesco poggiò il suo iPhone silver sul tavolino, vicino al bicchiere di Coca Cola.
«Te l’avevo detto che non mi avrebbe risposto» disse dispiaciuto, rivolgendosi all’amico seduto davanti a lui.
Prese la sua piadina tra le mani e ne addentò un pezzo, cercando di non pensare a quella mora che era diventata la sua ossessione da quando l’aveva rivista soltanto una settimana prima.
Non capiva perché non riuscisse a smettere di pensarla, rimembrando quella sera lontana di sette anni orsono e quella scommessa persa, la quale aveva segnato il suo cambiamento interiore, anche se all’epoca non se n’era accorto.
«Proprio non ti va giù che una ragazza ti dica di no, non è così, Moto?» chiese Giacomo sghignazzando, mentre fissava l’amico pronto a perdere la pazienza.
«Già, infatti ho due anni e faccio i capricci, se la mamma non mi compra il giocattolino» rispose stizzito lui, facendo una smorfia all’amico.
«Non tutti siamo rimasti fermi all’età celebrale delle medie, sai? Mi dispiace dovertelo dire» aggiunse infine, provocando ilarità nel ragazzo che negli ultimi giorni si divertì a canzonarlo.
«Bambini, se fate i bravi vi compro il gelato. Ora, smettetela di bisticciare.» Matteo si sedette accanto a loro, approfittando della momentanea tranquillità del locale per fare quattro chiacchiere con i suoi due migliori amici. Erano sempre stati inseparabili loro tre, non avevano mai litigato tra di loro e fin da piccoli si erano ripromessi che niente al mondo avrebbe potuto minare il loro rapporto.
Si divertivano a schernirsi, ma senza prendere sul serio alcune battute, perché sapevano che non c’era malizia o cattiveria in quelle parole, ma il fine unico di rallegrarsi.
«Forse, la cara Sophie ha fatto breccia nel cuore dell’insensibile Don Giovanni Motolese ed è per questo che il nostro ragazzone ora è in crisi. L’amore frega tutti, prima o poi.»
Francesco, impegnato a bere, per poco non sputò la bibita in faccia a Giacomo, dopo l’improvvisa affermazione di Matteo. Riuscì a stento a mandare giù il liquido ghiacciato, tossendo subito dopo.
«Ma cosa ti salta in mente? È vero, Soph è molto carina, simpatica e ha carattere, ma non la conosco abbastanza per poter affermare di esserne innamorato» ammise con un leggero rossore delle gote, distogliendo lo sguardo dai due e grattandosi la barba nervosamente.
«E poi, è fidanzata…» sussurrò quelle parole con rammarico, credendo che gli amici non le avrebbero udite.
«Davvero ti basta così poco per arrenderti? Ho visto come vi guardate, sai? C’è qualcosa che vi lega e non credo che lei ti odi come vuole far credere» affermò il biondo, costretto ad allontanarsi dopo l’arrivo di nuovi clienti.
Francesco ripeté le ultime parole dell’amico più volte nella sua testa, convincendosi della loro veridicità. Aveva notato anche lui gli sguardi carichi di emozioni da parte di lei e se anche Matteo li aveva visti, voleva dire che non era tutto frutto della sua mente, ma realtà.
Prese il suo telefono e provò a chiamarla ancora una volta, speranzoso che gli avrebbe risposto.
A ogni squillo, il suo cuore aumentava il battito, come se volesse intraprendere una maratona.
Quando sentì la voce robotica della segreteria, la delusione tornò a fare da padrona nel corpo di lui, che posò il telefono nella tasca della felpa con fare sconfitto.
Tenne il volto basso, fissandosi le ginocchia ma senza osservarle realmente, troppo preso dai suoi pensieri avversi.
«Non sarà facile, Moto. Ma se ti piace, provaci; non arrenderti al primo no!»
Le parole di Giacomo lo distolsero da quella negatività che aleggiava nella sua mente, portandolo a congegnare un piano, il quale avrebbe dovuto vederlo vincitore.
Era deciso a riconquistare l’unica ragazza in grado di smuovergli delle forti emozioni nel petto.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 - Con le patate è la morte sua ***


La giornata lavorativa era finalmente giunta al termine. Sophie e Giorgia, dopo la loro breve pausa, non si erano più fermate, se non per rispondere al telefono, il quale squillò incessante per tutto il giorno. Alla mora mancavano le ultime buste paga di un colorificio, per poter considerare concluso definitivamente l’incarico odierno, mentre la collega si stava sistemando la giacca di pelle marrone, con alcune borchie dorate sul colletto, pronta per lasciare l’ufficio.
«Vuoi che ti aspetti?» domandò, sistemandosi le ciocche color paglierino rimaste schiacciate dall’indumento, mentre l’amica continuava a digitare numeri sulla tastiera.
«No tranquilla, in dieci minuti finisco. Ci vediamo domani!»
Alzò il viso per un istante e solo per sorriderle teneramente, per poi tornare alla sua operazione.
La bionda uscì, portando dietro di sé il ticchettio dei suoi tacchi, che terminò nell’istante in cui si chiuse la porta alle spalle, lasciando Sophie sola in quella stanza.
Gli occhi le bruciavano a causa delle troppe ore passate davanti a quello schermo, mentre operazioni e numeri riempivano di nero la pagina bianca sul monitor. Si massaggiò la fronte, appoggiandosi alla mano destra per un sostegno fisico, certa che se non si fosse sorretta avrebbe picchiato la testa contro la tastiera, svenuta.
Dopo un lungo sospiro e lo scrocchiarsi del collo, digitò l’ultimo importo netto, senza trattenute, di quel compenso, salvò il documento e chiuse il programma, stendendosi sullo schienale di quella comoda sedia girevole e guardando il soffitto per alcuni secondi.
Proprio in quel momento qualcuno suonò alla porta, incorrendo nelle maledizioni mentali della ragazza.
“Giuro che se non è il fattorino della pizza, venuto per dirmi che ho vinto una pizza senza glutine come ricompensa per il mio duro lavoro, lo lascio fuori e gli faccio pure un gestaccio!”
Quando posò lo sguardo sul seccatore, notò due occhi chiaroscuri che conosceva fin troppo bene e delle labbra rosee che si allargavano in un sorriso, solo per lei. Il suo cuore saltò un battito.
Istintivamente le venne da contraccambiare quel sorriso così dolce e amorevole, ma poi si ricordò che a casa, ad aspettarlo, c’era una donna bellissima e quella gioia le morì sulle labbra, senza riuscire a venire alla luce.
Sophie decise di ignorarlo, così spense il pc, diede le spalle al bruno per mettersi la sua giacchetta, strinse la borsa tra le mani, con una forza tale da farle diventare le nocche bianche e spense le luci, nascondendosi per un istante allo sguardo di quel predatore, il quale non aveva smesso di fissarla un secondo, ammirando ogni mossa della leonessa che in quegli ultimi anni era notevolmente cambiata.
In passato, in lei, vedeva solo dolcezza e innocenza, invidiandole il suo modo di percepire la vita come un dono magico e degno di essere vissuto con gioia, come se fosse una bambina il giorno di Natale e sotto l’albero ci fossero moltissimi pacchi solo per lei. In quel momento invece, notava una specie di muro issato per proteggersi, come se quella purezza non facesse più parte di lei, sostituita dalla consapevolezza che le persone avessero un lato malvagio che potevano riversarle contro, portandola a stare male; cosa che aveva fatto anche lui senza saperlo.
Quando sentì il suono metallico della porta, accompagnandone l’apertura, tirò un sospiro di sollievo, puntando nuovamente le sue iridi negli smeraldi di lei, guardandola con un’intensità tale che gli sembrò che tutti i pezzi della sua anima fossero finalmente tornati al loro posto.
Si sentiva completo solo vicino a lei.
«Buona sera, Khaleesi.»
Quella voce, portò una forte palpitazione in lei, come se il suo cuore stesse galoppando a un ritmo intenso e volesse vincere una gara, anche se non le era chiaro chi fosse lo sfidante.
«Sai che potrei denunciarti? Sembri uno stalker» rispose senza guardarlo, girandosi per chiudere a chiave l’ufficio.
Lui rise a quell’affermazione e quel suono le sembrò così melodioso, che neppure una sonata al pianoforte di Mozart avrebbe potuto avvicinarsi a quella perfezione e al calore che le aveva trasmesso.
«Che cosa vuoi, Francesco?» domandò con un tono freddo, che non le apparteneva, pentendosi subito dopo di averlo usato. Si voltò per osservarlo, scoprendone la delusione provocata da quelle parole che gli arrivarono come degli spilli; piccoli certo, ma in grado di ferire.
Deglutì a fatica, cercando di sembrare composto e per nulla turbato da quel trattamento, dopotutto se lo meritava, visto il suo comportamento passato.
«Non hai risposto alle mie telefonate...» Lasciò in sospeso quella frase, incerto se aggiungere altro, come il fatto che gli mancasse e che avrebbe voluto violare le sue labbra dal primo momento che l’aveva rivista.
Sophie appoggiò la schiena al gelido vetro della porta, incrociando le braccia al petto. Osservò il ragazzo in silenzio, per secondi che sembrarono interminabili, cercando di assumere un tono meno glaciale, ma che fosse al tempo stesso distaccato.
«Oggi è stata una giornata di merda. Io e Gio ci siamo fermate cinque minuti per mangiare due patatine al volo in pausa pranzo. Non ho avuto ancora modo di guardare il cellulare» mentì, consapevole che lui non l’avrebbe scoperta e accennando un sorriso di circostanza.
«Volevo sapere qualcosa per Pasquetta; tipo quanti saremo e che carne prendere.» Anche lui disse una bugia, visto che il reale motivo per cui l’aveva cercata era solo quello di sentirla e magari invitarla a bere qualcosa, anche se era certo che avrebbe risposto di no.
Lei si portò l’indice alla bocca, alzando gli occhi per contare mentalmente quanti sarebbero stati quel giorno, non accorgendosi che quel gesto provocò nel ragazzo pensieri peccaminosi.
Desiderava ardentemente succhiare il suo esile dito, gustare il sapore della sua pelle ardente per poi perdersi ad assaggiare quelle labbra, fino a renderle rosse e gonfie.
«Otto!» affermò, puntando il dito al cielo e tornando a osservare il bel bruno davanti a lei, che la fissava languido, con le pupille dilatate mentre si mordeva il labbro inferiore.
Sophie deglutì a fatica, aprì la bocca per cercare di inspirare nuova aria che avrebbe potuta aiutarla ad allontanare il desiderio che si era impadronito di lei e che le provocò il solito formicolio nel basso ventre.
«Se non vuoi sapere altro, io andrei» parlò con un tono così basso che Francesco la sentì appena, portandolo ad avvicinarsi di qualche passo, finché la punta delle loro scarpe non si toccò.
«Che carne preferisci?» domandò in maniera involontariamente sensuale, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio e indugiando sulla pelle della sua guancia morbida e calda, leggermente arrossata.
Poteva chiederle qualsiasi cosa con quel tono di voce, che l’effetto nel corpo della donna sarebbe stato il medesimo. Sophie lo desiderava, tanto da farle male. Alzò lo sguardo e lo osservò febbricitante. Avrebbe voluto perdersi ancora una volta in quelle labbra, dentro a quei baci che l’avevano mandata in paradiso. Sognava di sentire quelle mani forti che la sfioravano delicatamente, spogliandola, di mostrargli la sua anima e concedergli il suo cuore, tornato a vivere solo dopo il loro incontro.
Poi si ricordò che entrambi avevano qualcuno che li aspettava a casa e che lei non era quel genere di persona, a differenza di lui che evidentemente si divertiva a possedere donne come in passato. Per lui, pensò, lei era solo una delle tante; non era a conoscenza dei reali sentimenti del ragazzo.
«Salsiccia!» affermò, sogghignando e facendo ridere Francesco, il quale tolse con rammarico la mano dal suo viso e la lasciò penzolare vicino ai propri fianchi.
«Con le patate è la morte sua!» rispose prontamente e con malizia lui, mostrandole il suo sorriso sghembo.
Sophie scoppiò a ridere portandosi una mano sulla fronte e muovendo la testa come a dire di no.
«Me l’hai servita su un piatto d’argento, ora non fare quella faccia.»
Francesco si appoggiò al suo fianco, anche lui contro il vetro della porta e guardandola dall’alto.
Nonostante i tacchi restava più bassa del bruno di diversi centimetri, rendendola ai suoi occhi tenera e indifesa; poteva una leonessa essere stretta in un abbraccio amorevole?
«Ti accompagno alla macchina?» La ragazza non si aspettava quella richiesta, così si limitò a dirgli di sì con un cenno del capo, allontanandosi dal portone in direzione della sua vettura. Camminarono lentamente e in silenzio, accompagnando quei pochi metri con il solo rumore dei loro pensieri nella testa.
Giunti dinnanzi alla Smart argento di lei, Francesco si abbassò per darle un fugace bacio sulla guancia, più precisamente al lato sinistro del labbro; gesto che per poco non fece svenire la ragazza, la quale sentì improvvisamente le gambe diventare gelatina.
«Buona serata, Khaleesi.»
Sophie lo guardò allontanarsi, lasciandola solo con un forte batticuore e una gran confusione.  

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 - Ottimo lavoro soldato ***


Quel mattino Francesco aprì il locale insieme a Giacomo, raccontandogli dell’incontro avvenuto il giorno precedente con la sua ossessione dagli occhi color smeraldo.
Era euforico di essere riuscito a scherzare e farla ridere, perché adorava come la sua bocca rosea si incurvava quando lo faceva, rendendo il suo viso più rilassato e luminoso, ma allo stesso tempo cercò di restare con i piedi ben ancorati a terra, ricordandosi che lei era fidanzata e una battuta non poteva cancellare la delusione provocatole sette anni prima.
Fu distratto per tutta la mattinata, non accorgendosi di dare il resto sbagliato ai clienti o di portare cappuccini e brioches a chi gli aveva semplicemente chiesto un caffè liscio; si sentì come uno scolaro alla sua prima cotta, quando si desiderava uscire con la ragazzina più bella del liceo, quella corteggiata e ambita da tutti. Per lui non fu certo un problema, visto che fin da infante le bambine lo circondavano. Francesco ha sempre posseduto un fascino innato, che gli aveva permesso di portarsi a letto molte donne, tranne una.
Solo quella mora impertinente era riuscita a resistergli, primeggiando là dove molte avevano fallito.
«L’amore ti fa male. Oggi è meglio se finisci prima, perché stai facendo solo disastri!» lo canzonò l’amico, che non aveva mai visto il bruno in quelle condizioni per una ragazza.
Le loro risate vennero spezzate dall’arrivo di un'altra persona decisamente raggiante, il quale superò le porte scorrevoli e si avvicinò al bancone fischiettando e con un’andatura quasi danzante.
Ogni suo passo era accompagnato da un ancheggiamento, movimento che risultò esilarante agli occhi dei due baristi. Matteo si accomodò sullo sgabello davanti ai propri amici, guardandoli con un sorriso che arrivava fino agli occhi e scostandosi alcune ciocche dello stesso colore dell’oro liquido.
«Come mai tutta questa felicità, Teo? Ti sei innamorato anche tu?» gli domandò Giacomo, appoggiandosi al mobile alle sue spalle e incrociando le braccia al petto. Francesco posò le mani strette a pugno sul bancone, piegandosi leggermente con la schiena per ascoltare la risposta dell’amico, nonostante immaginasse già la risposta.
«Quel “anche tu” è sospetto; mi sono perso qualcosa?» Il biondo guardò entrambi, facendo passare i suoi topazi prima su Giacomo poi su Francesco, soffermandosi incuriosito sul bruno e alzando un sopracciglio.
«Non si risponde a una domanda con un'altra domanda, lo sai? Comunque, Costa* si diverte a fare allusioni sui nostri sentimenti, sentendosi il nuovo Dottor Stranamore, solo perché tra qualche mese si sposerà.» Questa volta fu Francesco a canzonare l’amico, il quale rispose facendogli una smorfia che gli sollevò le labbra, avvicinandole al naso, e assottigliando gli occhi in una fessura.
«Va bene, ve lo dico… oggi ho appuntamento con Giorgia! Andremo a pranzo insieme, solo noi due.»
Matteo tornò a sorridere raggiante dopo aver dato loro questa notizia, girando su sé stesso con lo sgabello, per poi tornare a fissare gli amici che lo guardavano a loro volta divertiti.
Nella mente di Francesco si formò una ragnatela di pensieri, intrecciando diverse ipotesi e varie possibilità, decidendo infine di attuare quel piano che l’avrebbe portato a passare un po’ di tempo con il suo chiodo fisso.
Si sollevò dal bancone, diretto verso la cucina, dalla quale risbucò dopo alcuni minuti, tenendo un sacchetto tra le mani.
«Approfitto della tua offerta di finire prima di lavorare, Costa. Amico, più tardi mi racconterai del tuo appuntamento, ora auguratemi entrambi buona fortuna.»
Con un sorriso radioso, pari a quello sfoderato dal biondo poc’anzi, Francesco si allontanò dal locale, dirigendosi al suo suv bianco, pronto ad attenersi al suo progetto “Riconquistare Sophie”.
 
*Costa: Cognome di Giacomo
✿..:* *.:.✿
 
Quella mattina fu ancora peggio della precedente. Non le bastava l’immensità di scartoffie a cui doveva prestare un’intensa concentrazione e l’aver dormito poco e niente quella notte; si doveva aggiungere il pensiero di quel troglodita a distrarla, rallentandole ulteriormente il lavoro.
Il ricordo di quelle dita infuocate sulla sua pelle era ancora vivido in lei. Poteva sentirne nuovamente quella leggera ruvidezza simile alle foglie verdi primaverili, ma allo stesso tempo roventi come il calore emanato dal sole estivo; le sembrava che quella mano fosse ancora lì, tatuata sul proprio viso, indelebile nel suo cuore.
«Sei sicura che non ti serva una mano, Soph? Posso annullare con Matteo e dirgli che ci vedremo un’altra volta…»
La mora aveva i gomiti puntati alla scrivania e si teneva la fronte con la punta dell’indice e il medio di entrambe le mani, massaggiandosela con gli occhi chiusi, nella speranza che il suo mal di testa si dissipasse. Le parole di Giorgia la ridestarono dai suoi pensieri, facendole schiudere le palpebre così da poter osservare l’amica.
«Cosa? Non ci pensare neanche! Anche perché ormai è tardi per rimandare, visto che» si girò lateralmente per guardare l’ora sul desktop, «sono le dodici e venticinque. Matteo sarà qui a momenti.»
Come se si fosse sentito chiamare, il ragazzo bussò alla porta vetrata dello studio, regalando alla bionda un sorriso luminoso, a cui lei rispose di rimando.
Sophie premette il pulsante di sblocco che aveva sotto la scrivania, permettendo a Matteo di fare il suo ingresso.
«Ragazze…» salutò entrambe, soffermandosi su Giorgia che arrossì vistosamente.
«Splendore, sei pronta? Ti porto a I Monaci sotto le Stelle; so che lì fanno un ottimo gnocco fritto.»
Il ristorante scelto dal ragazzo era a pochissimi chilometri dal loro ufficio, ricavato da una chiesa e da una galleria d’arte, disponeva di tre sale: una di esse era una vecchia cappella, risistemata dopo essere stata per anni un garage, e dava un’atmosfera magica e romantica; accanto si trovava la sala ristorante, piuttosto spaziosa, allestita in maniera contemporanea e molto sofisticata. Infine, al piano superiore, una terrazza coperta, arredata in stile minimal con travi a vista laccate di bianco.
La mora desiderava cenare in quel locale, con il proprio fidanzato, da anni; soprattutto sperava di poter pregustare le squisitezze cucinate dallo chef Andrea Mainardi nelle serate in cui presenziava, nonostante il costo esorbitante.
Invidiò l’amica, ma senza rabbia o gelosia; era felice che al suo primo appuntamento il bel biondo avesse scelto un posto caratteristico, che avrebbe lasciato a Giorgia un favoloso ricordo.
«Certo, dammi un minuto che prendo le mie cose» rispose la bionda, alzandosi dalla sua postazione con in mano la borsa, avvicinandosi poi all’appendiabiti alle sue spalle per infilarsi la sua giacchetta di pelle marrone.
Mentre si sistemò le ciocche dorate rimaste incastrate sotto l’indumento, il ragazzo sorrise a Sophie, appoggiandosi con le braccia al bancone rialzato sopra la sua scrivania.
«Che dici, ho scelto un bel posto per portare a pranzo la tua amica?» domandò in un sussurro a Sophie, sperando di non farsi sentire dalla diretta interessata; non sapeva che la ragazza aveva un udito migliore di quello di un cane, ovviamente quando voleva ascoltare qualcosa di suo interesse.
La mora gli sorrise rassicurandolo, avvicinandosi all’orecchio di lui come se volesse condividere un segreto.
«Non potevi fare di meglio. Ottimo lavoro soldato!» Entrambi risero a quell’affermazione.
Mentre Sophie tornò seduta al suo posto, Giorgia si avvicinò al suo cavaliere, prendendolo sotto braccio con fare incerto e rivolgendo i suoi splendidi occhi verdi verso l’amica.
«Mi dispiace lasciarti da sola, tesoro. Non esagerare con il lavoro e cerca di riposarti almeno un po’, ok?» chiese con un velo di preoccupazione, osservando le profonde occhiaie scure che segnavano il viso dell’amica, non intaccandone però il fascino.
«Va bene, mamma. Ora andate e godetevi il pranzo anche per me!»
Con le mani fece segno ai due di allontanarsi, così che potessero godersi ogni minuto possibile della breve pausa pranzo. Avrebbe aspettato con ansia il suo ritorno, per ascoltare ogni dettaglio che la bionda le avrebbe raccontato.
Prima di mettere i piedi fuori dalla porta però, Matteo si voltò a guardare Sophie con un sorriso malizioso, aggiungendo delle parole che raggelarono la ragazza sul posto.
«Oh, non credo che passerà la pausa da sola!»

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 - Non lasciarmi sola ***


Francesco parcheggiò l’auto al fianco della Smart argentata della ragazza che gli aveva fatto perdere il lume della ragione. Scese dal suv con addosso i suoi occhiali da sole neri dalle lenti azzurrate, i quali gli donavano un discreto fascino. Tra le mani teneva da una parte il sacchetto contenente il loro pranzo e dall’altra una rosa rossa e le chiavi; le ultime poi finirono nella tasca dei suoi jeans neri. Quando si avvicinò all’ufficio commercialistico, vide uscirci il suo amico a braccetto con Giorgia, felice come lo aveva visto poche volte nella vita.
Entrambi si sorrisero e notò che il ragazzo si era affacciato un’ultima volta verso lo studio, parlottando con qualcuno al suo interno.
Quando furono di fronte, Matteo gli lasciò aperta la porta, salutandolo velocemente per poi allontanarsi con la bionda al suo fianco. Il bruno sentì appena le parole dell’amico, perché la sua totale attenzione era stata rapita dalla ragazza con gli smeraldi al posto degli occhi.
Il cuore di entrambi galoppò a una velocità intensa, cercando di raggiungersi e potersi finalmente unire, ma i corpi che li contenevano restarono fermi, bloccati ad osservarsi come se il tempo intorno a loro si fosse arrestato. Lui le sorrise, non poteva far altro quando la vedeva, mentre lei deglutì faticosamente, cercando di non perdersi nella profondità di quei pozzi chiaroscuri.
«Buongiorno, Khaleesi, ti ho portato il pranzo!» Il ragazzo riuscì a riacquistare il dono della parola e del movimento, così da poter muovere i propri piedi per percorrere quei pochi metri che lo separavano dalla sua regina. Avrebbe voluto correre da lei, prenderla tra le sue braccia e inspirare il profumo dei suoi capelli corvini, baciarle il collo fino a ubriacarsi del suo aroma così vivo, che gli ricordava le giornate estive, dove una leggera brezza accompagnava l’odore del mare e il sole faceva da cornice.
Sophie osservò ogni suo movimento come se fosse uno slow motion, cercando di ritrovare la compostezza o almeno di riuscire a fingere di averne.
“Perché deve sempre finire in questo modo? Perché non riesco a provare indifferenza verso di lui?” si domandò nella sua testa, quando ormai il bruno era troppo vicino a lei. Talmente vicino che riusciva a sentire l’afrodisiaco profumo di lui sulla propria pelle, risvegliandole i sensi dormienti.
«Questa è per te» aggiunse il ragazzo, avvicinandole la rosa al viso e aspettandosi un sorriso da parte sua, quel sorriso che le illuminava il viso e che la rendeva ancora più bella ai suoi occhi.
Lei non seppe come reagire: la parte razionale le ricordava che quel gesto era un tradimento verso la ragazza con cui viveva, una bassezza in cui lei era già passata e non avrebbe voluto causarla a un’altra, per quanto sgradevole fosse quella biondina presuntuosa di nome Isabella. Il cuore però iniziò a fare capriole e volteggi, sussurrandole di accettare quel pensiero dolce e di ringraziarlo almeno con un sorriso.
«Non mi piacciono le rose rosse!» Scelse una via di mezzo, rispondendo con sincerità e freddezza, sentendosi poi terribilmente in colpa, vedendo nuovamente la delusione sul volto di lui. Fu come ricevere una stilettata nel petto, vedere quei due profondi e luminosi occhi rabbuiarsi dallo sconforto.
Francesco lasciò cadere il fiore sul bancone, appoggiandoci vicino il sacchetto trasparente al cui interno si trovavano due panini preparati appositamente per lei. Decise di lasciar perdere ogni suo tentativo di conquista, perché quella ragazza non era più interessata a voler spartire nulla con lui. A stento sopportava di condividere la stessa aria, figuriamoci se poteva vederlo al suo fianco in un futuro. Si sentì sconfitto, perdendo una battaglia che non aveva neppure cominciato.
Strinse le mani a pugno conficcandosi le unghie nella carne fino a sentire un leggero fastidio, che non era nulla se paragonato al dolore causato dalla freddezza di Sophie.
«Capisco quando la mia presenza non è gradita. Ti lascio i panini che avevo preparato per il pranzo; uno è senza glutine, l’altro buttalo o dallo a Giorgia.»
Diede le spalle alla ragazza avvicinandosi al portone, ma prima che potesse premere il pulsante che avrebbe sbloccato l’apertura, la voce tremante e acuta di lei lo fermò.
«Aspetta!» gridò prima di alzarsi, restando però ferma con i palmi puntati sulla scrivania. Guardò la schiena del ragazzo muoversi lentamente, seguendo il ritmo del suo respiro e desiderò poterci appoggiare il viso, mentre lo abbracciava e ne respirava il profumo.
«Non lasciarmi da sola.» Il vero messaggio di quelle parole era entra nella mia vita e non andartene mai più, non allontanarmi come hai fatto la prima volta, ma resta e permettermi di starti vicino. Preferì aggiungere un’altra frase, per evitare che il ragazzo riuscisse a captarne il significato effettivo.
«La pausa pranzo la trascorro sempre con Gio; visto che non c’è, hai voglia di farmi compagnia?»
Francesco sentì il tono di lei più calmo, quasi speranzoso che accettasse il suo invito. Per un attimo gli sembrò che le sue parole iniziali volessero dirgli altro, ma pensò di essersi sbagliato e che la sua mente iniziasse a giocargli cattivi scherzi, volendo trovare un qualcosa che probabilmente non avrebbe mai ricevuto da lei. Prese un profondo respiro prima di voltarsi e di incrociare i suoi occhi stanchi, contornati da segni scuri che la rendevano più fragile, i quali gli fecero venire voglia di abbracciarla e coccolarla, promettendole che nessuna preoccupazione avrebbe più dovuta angosciarla, perché ci avrebbe pensato lui a proteggerla, se lei glielo avesse permesso ovviamente.
«Dovrei dirti di no, visto come mi hai risposto, ma ti farò l’onore di passare un po’ di tempo con l’affascinante Motolese.»
Francesco le regalò il suo solito e sexy sorriso sghembo, facendole infine l’occhiolino per farle capire di non prendere troppo sul serio le parole che aveva usato, perché avevano il fine di alleggerire la situazione e farla ridere; voleva vedere il suo viso rasserenarsi.
Sophie allargò leggermente le labbra, portandosi le mani sui fianchi e accennando un no con la testa, divertita dal suo modo di sdrammatizzare.
«Sei un idiota! Seguimi nella sala relax, ci sono tavoli e sedie.»
Il ragazzo si sentì al settimo cielo, trionfante per aver superato quella battaglia anche se con qualche ferita. Seguì la marcia di lei, soffermandosi nuovamente sul suo lato b che gli ancheggiava davanti agli occhi, nascosto da jeans bianchi, i quali aderivano al suo corpo perfetto, sottolineandone ogni curva.
Razionalmente Sophie si diede della stupida, visto che il suo persecutore se ne stava andando e l’avrebbe probabilmente lasciata stare definitivamente, ma la parte emotiva le batteva il cinque, soddisfatta per come era riuscita a salvarsi in calcio d’angolo. Sapeva che era sbagliato quello che sentiva, sapeva che si sarebbe fatta male se non lo avesse allontanato, ma non riusciva a stargli lontana. Lui era la sua ossessione, e non voleva assolutamente rinunciarci.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 - Rosa blu ***


Rimasero in silenzio alcuni minuti, seduti l’uno di fronte all’altra, senza guardarsi e restando con il capo chino sul loro pranzo.
Sophie non sapeva cosa dire; voleva chiedergli il legame che lo univa a Isabella la gallinella, ma era allo stesso tempo terrorizzata dalla risposta che avrebbe potuto darle, così lasciò perdere.
Dal canto suo, Francesco, desiderava scoprire com’era stata la sua vita in quei lunghissimi anni; se anche a lei capitò di pensarlo qualche volta o di sognarlo, com’era successo a lui moltissime volte.
Le dita affusolate di lei stringevano il panino che le aveva preparato, emozionandosi al pensiero che le mani del ragazzo si fossero poggiate delicatamente su quella pietanza, sentendosi una completa idiota per quei pensieri da liceale alla sua prima cotta.
Con la coda dell’occhio sbirciò i gesti del ragazzo, notando il suo imbarazzo insolito; Francesco si guardava in giro, osservando le pareti bianche dello stanzino, il soffitto in cartongesso o qualsiasi cosa che non fosse una ragazza mora dagli occhi verdi. Fece scorrere i palmi sudati sui jeans, sperando così che si potessero asciugare e cercando in quel movimento continuo un po’ di coraggio che gli permettesse di parlare, evitando di sembrare una statua di cera.
«Allora…» pronunciarono entrambi, guardandosi a vicenda per poi scoppiare a ridere insieme, stemperando ogni tensione che aleggiava nelle quattro mura.
Sophie addentò un pezzo del suo panino al salame, gustando il sapore stuzzicante e leggermente salato di quest’ultimo, mugugnando di piacere.
«Questo salame è la fine del mondo; devi dirmi assolutamente dove l’hai preso!» affermò lei, ancora impegnata a masticare, sputacchiando qualche briciola.
Il bruno osservò i suoi modi bizzarri di mangiare, trovandola esilarante ma allo stesso tempo decisamente tenera. Quando pensava a lei si rammolliva, associando parole dolci e carine che non pensava avrebbe mai potuto utilizzare per nessuna donna, a esclusione della madre e della sorella ovviamente.
«Il fornitore è un contadino, vecchio amico di famiglia, che non vende al pubblico. Dovrei farti da tramite io…» lasciò la frase volutamente incompleta, guardandola in maniera maliziosa, sfoderando il suo sorriso sghembo.
La ragazza non si fece intimorire dalla sua sfrontatezza, ma rispose a tono, sorridendogli alla stessa maniera e avvicinandosi al suo viso.
«Oh, che gesto gentile il tuo! Ma ti conosco, non fai mai nulla senza un tornaconto… che cosa vuoi in cambio, Smutandatore?» Pronunciò quel soprannome in un sussurro; erano anni che non lo usava, esattamente da quella famosa sera di sette anni prima.
Anche Francesco si ricordò del nomignolo che gli aveva affibbiato nella sua vettura dopo che lei era riuscita a vincere quella scommessa, segnando così la definitiva resa di lui. Se non fosse stato un completo idiota in passato, forse sarebbero stati insieme, magari circondati da mocciosi moccolosi che avrebbero fatto compagnia alla sua splendida nipotina. Cercò di cancellare dalla sua testa le immagini di loro due felici, tornando al presente e concentrandosi sugli smeraldi luminosi puntati su di lui.
Si avvicinò alla mora in maniera pericolosa, sfiorandole il naso aggraziato con la punta del suo, percependo il respiro di lei sulle proprie labbra.
«Gli anni passano, ma la tua impertinenza è rimasta tale e quale, mia ingenua Sophie.»
Le parole di lui, aggiunte alla sua impetuosa vicinanza, la fecero rabbrividire e boccheggiare allo stesso tempo.
Fissò quella bocca rosea e carnosa, bramandone il contatto, mordendosi infine il labbro per cercare una lucidità che parve abbandonarla.
«Posso dire lo stesso di te, Motolese tracotante! Cos’è, vuoi sfidarmi ancora una volta?» rispose, fingendo una sicurezza che non le apparteneva in quel momento. Non voleva mostrarsi debole al suo fascino, voleva essere lei a tenere le redini del gioco.
Il bruno sogghignò appena a quella domanda, puntando anche lui il suo sguardo sulle labbra schiuse di lei, mentre pensieri poco casti gli riempirono la mente, impedendogli di pensare con raziocinio. Avrebbe voluto stendere sul tavolo quella insolente ragazza e mostrarle le sue capacità da esperto amatore, rendendola più rispettosa e riuscendo finalmente ad assaporare il suo sensuale corpo.
Era conscio che, purtroppo, non poteva permettersi ancora un gesto così affrettato con lei, perché non era come tutte le altre, attratte solo dal suo bel viso e da quel fisico ben definito; per far capitolare Sophie bisognava prima prenderla di testa, solo allora lei avrebbe concesso il suo corpo e la sua anima. Era riuscito a entrare nel suo cuore una volta, ma da stupido conquistatore qual era ai tempi si lasciò sfuggire quella possibilità.
Si scostò dal viso della ragazza, consapevole di essere stato sconfitto in quella battaglia, insignificante, se paragonata alla vittoria a cui puntava.
Con la schiena appoggiata alla sedia e le braccia incrociate al proprio petto, Francesco rispose alla domanda della mora, riacquistando la sua sicurezza.
«Oh, dolce Khaleesi, se ti sfidassi, questa volta mi accerterei di vincere. Al momento sono consapevole di non avere una mano vincente, quindi lascio; aspetto di poter gridare all-in e prendermi tutto il piatto!»
Sophie alzò un sopracciglio, divertita dall’esclamazione boriosa del bruno, che aveva metaforizzato il loro rapporto col gioco d’azzardo. Imitò i gesti del ragazzo, adagiandosi anche lei allo schienale e intrecciando le proprie braccia all’altezza del seno, sorridendogli in modo sfacciato.
«Non sempre un poker d’assi ti assicura la vittoria; magari il tuo sfidante ha in mano una scala reale!»
Restò stupito dalla conoscenza di lei di quel gioco, perdendo un nuovo round della battaglia che li vedeva competere in un continuo botta e risposta.
«Touché! Sei una sorpresa continua, lo sai?» Le sorrise, portando il cuore di lei a galoppare velocemente, sentendo un forte calore propagarsi in tutto il suo corpo, facendola arrossire.
«Visto che non ti piacciono le rose rosse, vuoi dirmi qual è il tuo fiore preferito?»
Rimase sbalordita dalla curiosità di Francesco; non credeva che gli potesse interessare veramente scoprire cosa le piacesse, eppure era lì, fermo e attento, in attesa di una sua risposta.
La guardò con occhi affascinati e uno sguardo concentrato sul viso stanco della ragazza, pronto a memorizzare ogni parola uscita da quelle succulenti labbra.
«Amo le rose blu!» affermò sognante, come se si fosse allontanata dalla realtà e stesse volando in un posto fantasioso. Puntò i suoi occhi al soffitto, accennando un sorriso.
«L’unica rosa impossibile da ottenere, sia in laboratorio che in natura è proprio quella, lo sapevi?» gli domandò, senza però attendere la risposta, continuando quindi la sua spiegazione.
«Michele Zarrillo scrisse una canzone per la donna che amava, la quale era unica e speciale ai suoi occhi, dandogli il titolo “Una rosa blu”, proprio perché al mondo non esisteva nulla di paragonabile a lei.»
Tornò a osservare con le sue iridi verdi il bel bruno difronte a lei, sperando che gli arrivasse il significato nascosto di quelle ultime parole.
«Se quel fiore non esiste in natura, vuol dire che è qualcosa di impossibile da ottenere; qualcosa di inafferrabile per chiunque, proprio come una chimera.»
Avrebbe voluto aggiungere che lui era la sua rosa blu, un sogno a occhi aperti, bellissimo e palpabile, ma pur sempre un’utopia.
Non poteva immaginare che nella mente di lui passò lo stesso pensiero, a parti opposte ovviamente. Si sentì un po’ come Zarrillo, di fronte a quella donna unica nel suo genere, incommensurabile.
Sophie si schiarì la voce, alzandosi e lisciandosi i jeans bianchi senza alcun motivo, solo per interrompere l’intensità dei loro sguardi.
«Bene, direi che la pausa è finita e devo purtroppo combinare qualcosa in ufficio. Mi tocca il lavoro doppio oggi, visto che la mia collega è fuori con il tuo socio.»
Raccolse le carte che avevano avvolto i panini e le gettò nella spazzatura, evitando di guardarlo finché non fosse tornata a respirare normalmente.
«Ti va se ti aiuto, ho fatto ragioneria e me la cavo bene con i numeri.»
Osservò ogni suo gesto frettoloso, arrestatosi solo dopo la sua richiesta, posta in modo speranzoso. Voleva passare altro tempo con lei e pensò che mentirle sul suo percorso scolastico non avrebbe recato troppi danni.
La mora restò nuovamente sorpresa dalle parole di lui, non potendo certo rifiutare il suo appoggio; avrebbe goduto della sua piacevole compagnia ancora per qualche minuto, il che non poté che farle piacere.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 - L'unica fra tante ***


Dopo aver parcheggiato l’auto, Matteo si apprestò ad aprire la portiera alla sua bellissima accompagnatrice, osservandone la figura slanciata su quelle decolté nere. Indossava dei jeggins blu scuri e un maglioncino rosso che ne esaltava le forme sinuose, rendendola terribilmente sexy agli occhi di lui.
Giorgia restò colpita dal gesto galante mai ricevuto prima, arrossendo vistosamente quando il biondo le allungò la mano per farla scendere. Si sentì la protagonista di un film d’amore, dove il sexy pretendente riempiva di attenzioni la donna che voleva conquistare, la quale però, il più delle volte, non si accorgeva di quanto il suo corteggiatore fosse innamorato perso, dimostrandosi una completa idiota. Lei invece non avrebbe di certo ignorato i segnali che il ragazzo le lanciava; desiderava ardentemente conoscere ogni segreto di quel adone.
Strinse la sua mano e si avvicinò a Matteo, prendendolo a braccetto e facendosi guidare verso l’entrata del ristorante, dove ad attenderli, con un caldo sorriso, c’era un uomo brizzolato sulla cinquantina, vestito con una camicia bianca e dei pantaloni eleganti blu navi.
«Buongiorno, ho prenotato un tavolo per due a nome Giannone» comunicò il biondo, mentre la ragazza al suo fianco si guardò in giro, osservando il soffitto insolito della sala di fronte all’entrata, dov’erano appesi travi e tubi in acciaio ben in vista. Una scelta azzardata, ma sicuramente voluta dal proprietario visto lo stile della stanza, dove molti quadri contemporanei ricoprivano ogni parete e i tavoli in legno erano accompagnati da sedute in plastica colorata molto semplice.
«Prego, signori, da questa parte.» Il cameriere regalò alla coppia un altro sorriso, prima di accompagnarli nella stanza alla loro sinistra, quella ricavata da una cappella. Nell’entrare, il profumo inebriante dell’incenso li travolse, contrastando con il forte aroma di sandalo percepito all’ingresso.
Il pavimento era in legno scuro semplice e dello stesso colore e stile erano tavoli e sedie. La particolarità di quell’ambiente erano gli affreschi delle pareti e la maestosa struttura del soffitto a volta, di color crema. Era molto alto seppur stretto in larghezza: la curva del tetto era ricamata da decorazioni floreali di stile classico, con minuscole nicchie a media altezza che incorniciavano delle piccole finestre, il cui compito era illuminare quello spettacolo artistico. Il tutto era completato da diversi lampadari "a goccia", che scendevano delicatamente, rendendo l'atmosfera magica con il loro scintillio e facendo sembrare il soffitto ancora più alto.
Il volto di lei si illuminò, mentre osservava quella sala con aria sognante, attenta a ogni peculiarità di quel ristorante così singolare. Si accomodarono nella parte sinistra, mentre l’uomo di mezza età accese la candela bianca posizionata sul loro tavolo, rendendo lo scenario ancor più romantica.
I due piccioncini si guardarono negli occhi, iridi azzurre contro verdi, il cielo che incontrava un enorme e luminoso campo in erba e formava un binomio unico e perfetto.
Si sorrisero, entrambi felici di trovarsi insieme in quel momento, mentre si stringevano la mano accanto alle loro posate.
«Che ne dici di un gnocco fritto, salumi e un misto di formaggi?» domando Matteo, distogliendo lo sguardo dal viso di Giorgia per posarlo sul menù. Lei fece lo stesso, passando in rassegna ogni pietanza elencata, soffermandosi su una che trovò alquanto bizzarra.
«Orecchie di elefante con pomodorini, olive taggiasche e aceto balsamico… non saranno le orecchie del povero Dumbo, vero?» chiese preoccupata la bionda, portandosi la mano libera alla bocca dopo quella sconvolgente lettura.
Il ragazzo cercò di trattenere il più possibile quella risata che gli era nata spontanea dopo quel assurdo quesito, ma purtroppo non ci riuscì; scoppiò a ridere a crepapelle, portando gli altri clienti a voltarsi verso l’autore di quel suono così acuto, che echeggiò data la struttura della sala.
Giorgia si sentì sprofondare per l’imbarazzo, mentre le risate di lui, invece che diminuire, si accentuarono, accompagnate da copiose lacrime.
«Matteo» sussurrò lei, guardando gli ospiti curiosi, «ci stanno osservando tutti. Contieniti!»
Si portò la carta davanti al viso, cercando di nascondersi il più possibile, mentre il ragazzo, ormai in preda ai crampi, cercò di bloccare le risa e di tornare a respirare in maniera normale.
 
✿..:* *.:.✿
 
Per Francesco, tutti quei numeri e conti erano incomprensibili. Doveva calcolare l’iva avendo sott’occhio il fatturato in entrata e in uscita dello Starlight, ma nei dieci minuti seguenti all’incarico si era limitato solamente a osservare lo schermo con aria confusa. Per questione di privacy, Sophie non poteva mostrare le informazioni sensibili dei propri clienti a qualcuno estraneo allo studio, quindi gli diede i conteggi del suo bar, sicura che non avrebbe cavato un ragno dal buco. Era impensabile che il proprietario di un locale, diplomato in ragioneria, affidasse ogni genere di documentazione contabile a un commercialista, pagandone un lauto compenso oltretutto; era certa che gli avesse mentito sul suo indirizzo di studi, così decise di metterlo alla prova.
«Se ti avvicini ancora un po’ allo schermo, ci finirai contro» lo canzonò lei, osservando il ragazzo col volto corrucciato per l’impossibilità di quel compito.
«Simpatica! Tu lo sapevi che non ci avrei capito niente di queste cose, non è così?» chiese mesto lui, voltandosi per osservare quella villana, che si era divertita a prenderlo in giro, ridere di gusto.
Adorava come gli zigomi le si sollevavano quando la sua bocca si stendeva e il suono cristallino della sua risata pareva un canto melodioso.
«Confesso; sono colpevole di questo crimine e non me ne pento, vostro onore!» Schioccò la lingua dopo aver risposto al bruno, il quale le sorrise sghembo, avvicinandosi a lei, trascinandosi lentamente sulla sua sedia con le ruote.
«Ah sì?» domandò senza perdere quel sorrisetto sfacciato, mentre le loro ginocchia si toccarono e i loro volti furono a pochi centimetri di distanza.
«Vuoi vedere che ti faccio passare io la voglia di prendermi in giro?» Il suo respiro caldo le solleticò la pelle del viso, aumentando notevolmente i battiti del cuore di Sophie, la quale si trovò a deglutire a fatica, mentre i suoi smeraldi si erano puntati sulle labbra di lui, tanto vicine da poterne percepire il calore, ma allo stesso tempo così distanti da farla star male per la bramosia che si era impossessata del suo corpo. Non seppe come riuscì a pronunciare quelle parole con apparente fermezza, nonostante il suo cervello fosse momentaneamente in standby.
«Ti devo ricordare che l’ultima volta che hai scommesso con la sottoscritta ti ho lasciato in mutande?» Abbassò per un secondo gli occhi verso il cavallo dei jeans di lui, ripuntandoli subito dopo nei suoi pozzi chiaroscuri. «In tutti i sensi!» sorrise insolente, mostrando una sicurezza che non le apparteneva.
Francesco impazziva per quel suo lato così sfrontato; quella sua lingua biforcuta che voleva sempre avere l’ultima parola lo avrebbe mandato al manicomio, ma sapeva che prima di quel capolinea ci sarebbe stata una lunga tratta in Paradiso.
«Oh, tesoro, me lo ricordo bene; devo rammentarti che non fui l’unico a essere rimasto senza pantaloni?» Il ragazzo si fece passare la lingua sul labbro, rimembrando la passione di quella sera lontana, ma indelebile nella sua mente. L’unica che non aveva ceduto, l’unica fra tante.
Sophie osservò quel movimento sensuale, desiderando che fosse la sua la lingua che percorreva il contorno di quella bocca impudica, ubriacandosi del suo sapore e del suo calore.
Il bruno si avvicinò ancora di più a lei, che restò immobile come una statua, non sapendo a quale dei suoi sensi dare ascolto; se alla ragione o al cuore.
Le mani di Francesco si andarono a posare sui fianchi della ragazza, per poi intraprendere quella che sarebbe stata la sua punizione: il solletico.
Sophie, presa alla sprovvista, sussultò, scoppiando a ridere subito dopo, cercando inutilmente di liberarsi da quella tortura; lui non aveva certo intenzione di perdere quella nuova sfida.
«Allora, sei pentita di esserti presa gioco di me, un innocente e aitante ragazzo, il cui unico scopo era solamente quello di aiutarti a dimezzare il lavoro?» domandò ironico, senza arrestare quel tormento che le stava infliggendo. La mora non riusciva a respirare dalle troppe risa; era ormai seduta a terra con la testa appoggiata alla sedia e il corpo famelico di lui troppo vicino.
«Sì, me ne pento. Franci, ti prego, ora basta!» supplicò lei, senza accorgersi di aver usato un tono confidenziale, abbassando così quel muro fatto di freddezza con cui lo aveva tenuto distante in quei giorni. Lui però aveva notato questo cambiamento e se ne rallegrò, speranzoso che la strada per riconquistarla sarebbe stata in discesa.
Si guardarono a lungo in silenzio, con le mani di lei sopra le sue, le quali stringevano i fianchi della ragazza in una presa salda, percependo il calore della sua pelle nonostante lo strato di cotone della camicia rosa confetto che li divideva. Francesco, ancora inginocchiato di fronte a lei, accorciò le distanze, avvicinandosi lentamente fino a sfiorarsi con la punta dei nasi. A ogni centimetro valicato, il cuore di Sophie palpitava a una velocità inusuale, come se fosse pronto a saltarle fuori dal petto.
Più il respiro di lui si faceva vicino, più il formicolio nel basso ventre si intensificava.
Con la mente avrebbe voluto fermare la sua avanzata, perché inconsciamente sapeva che sarebbe stato un casino, ma il cuore le bloccò ogni movimento.
Ringraziò la divina provvidenza che aveva fatto arrivare la sua collega insieme al suo cavaliere, in quel preciso momento.

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 - Non lo odiamo più? ***


Il suono fastidioso del campanello, bloccò l’azione di Francesco a pochi centimetri dal volto della ragazza, pronto a ricongiungere le sue labbra con quelle di lei, la quale attendeva quell’unione con il suo stesso desiderio. Non credeva possibile che gli fosse bastato un pranzo e un po’ di solletico per farla sciogliere, eppure quella vicinanza era un chiaro segnale.
Sophie sembrò ritornare in sé, nonostante le palpitazioni accelerate del suo cuore. Si allontanò da quel seduttore maledetto, alzandosi per osservare la persona giunta a salvarla, senza accorgersi dello stato dei suoi capelli; scompigliati a causa del titillamento.
Sorrise all’amica e al suo accompagnatore, mentre entrambi la guardarono con un sopracciglio alzato, evidentemente confusi. Premette il pulsante sotto la sua scrivania e nello stesso momento che i due piccioncini fecero il loro ingresso, il bruno si palesò, sollevandosi da terra.
Giorgia e Matteo si bloccarono, travisando la situazione, fissandoli con occhi e bocca spalancati, senza riuscire a emettere alcun suono.
«Non è come pensate!» si apprestò ad affermare la mora, mentre muoveva agitatamente le braccia davanti al petto, facendosi rossa in viso.
«Sì certo, questa l’ho già sentita!» controbatté il biondo ridendo, ammiccando all’amico che lo seguì in quell’improvvisa ilarità.
«No, veramente non è come sembra; le stavo facendo il solletico ed è caduta dalla sedia. Mi sono abbassato per aiutarla e poi siete arrivati voi.» Avrebbe voluto aggiungere “a disturbare”, ma si morse la lingua e lo tenne per sé.
Disse una mezza verità per proteggere Sophie dal terzo grado che le avrebbe sicuramente fatto quella bionda ficcanaso, non appena se ne sarebbe andato. Sarebbe toccato a lei decidere se e cosa raccontare all’altra, speranzoso che fosse quel genere di avvenimento che una ragazza non vedeva l’ora di comunicare all’amica. Lui l’avrebbe sicuramente raccontato a Matteo e a Giacomo, soprattutto per ricevere un loro parere.
«Okay, voglio credervi, soprattutto perché la mia Soph non è il genere di ragazza che farebbe qualcosa di stupido avendo un fidanzato che ama!» dichiarò baldanzosa Giorgia, con l’intento di ferire il bastardo che aveva ridotto l’amica in lacrime molti anni prima, senza però accorgersi della reazione di Sophie a quelle parole.
La mora infatti si raggelò, sentendo innumerevoli brividi freddi che le attraversarono il corpo come piccole lame taglienti. Giorgia aveva ragione, lei non era mai stata quel tipo di ragazza che cedeva facilmente a un bel sorriso, per quanto quello potesse essere il più bello che lei avesse mai visto. Iniziò a dar libero spazio a quei pensieri che aveva cercato di combattere, i quali vedevano un sentimento profondo legarla al bel bruno in una maniera di cui non se ne capacitava. Capì che ogni sua azione, compiuta per allontanarlo da sé, era mossa dal desiderio di preservarsi da una nuova sofferenza e che il suo cuore non era mai riuscito a cancellare del tutto i pochi momenti vissuti insieme a lui.
Ricordava come le era stato vicino quando gli raccontava del suo ex fedifrago e di come si fosse dimostrato un buon amico, ma più perpetue erano le ore trascorse in quella macchina. Gli ardenti baci, le passionali carezze e quel desidero che la subissava internamente, li percepiva anche in quel momento, nonostante il corpo di lui non fosse sotto il suo. Gli bastava rammentare il passato per essere travolta da quella rovente bramosia, celata per anni, ma mai obliata.
Francesco avrebbe voluto controbattere a quella bionda saccente, ma si ritrovò a mordersi la lingua per la seconda volta. Guardò con la coda degli occhi la ragazza alla sua sinistra, notando l’espressione rammaricata sul suo viso, credendo che fosse pentita di quel avvicinamento creatosi naturalmente; non immaginava che lei stesse finalmente prendendo atto dei suoi sentimenti e ne fosse terrorizzata.
«Penso che sia ora di andare!» affermò Matteo, notando l’aria tesa che aleggiava in quelle quattro mura.
«Tu che fai?» domandò infine rivolgendosi al bruno, dandogli una mano a evadere da quella situazione scomoda.
«Vengo anche io!» Raccolse al volo l’invito dell’amico, osservando poi l’ora sul suo orologio.
«Sono quasi le due e la pausa delle ragazze sta per finire» aggiunse, avvicinandosi al portone d’ingresso senza guardarle, aspettando che il biondo lo seguisse.
Sophie rimase immobile a osservarlo mentre si allontanava, lasciandole solo una scia del suo profumo a dimostrazione che fosse stato vicino a lei. Sentiva quell’odore minerale come se la stesse avvolgendo in un caldo abbraccio, dal quale non si sarebbe mai voluta separare. Si dispiacque che Francesco non riuscisse a guardarla in volto, considerando che pochi minuti prima era sul punto di baciarla e di tradire la sua fidanzata. Pensò che i sensi di colpa stessero avendo la meglio su di lui, proprio come stavano facendo con lei. Avrebbe dovuto risolvere quella situazione al più presto; ne andava della sua sanità mentale.
«Ci vediamo più tardi allora. Buon lavoro, cucciola di Dumbo.» Matteo, sogghignando, si avvicinò a una Giorgia alquanto seccata dandole un bacio sulla guancia, salutando con un cenno della mano la mora, la quale contraccambiò con un sorriso.
Una volta che i due giovani si furono allontanati, la bionda raggiunse l’amica saltellando e abbracciandola, desiderosa di raccontarle del meraviglioso pranzo passato in compagnia del ragazzo e di come si erano dati appuntamento per bere qualcosa insieme quella sera, dopo cena.
«Gio, così mi stritoli; ti prego, staccati!» esclamò Sophie ridendo, mentre l’altra allentò la presa e si mise seduta alla sua postazione.
«Ovviamente dovrai raccontarmi anche tu come ti sei ritrovata a farti palpeggiare da quel bellimbusto. Non lo odiamo più?» chiese senza guardarla, digitando sulla tastiera i calcoli del fatturato mensile di un’officina loro cliente.
La mora la imitò, tornando anch’essa a lavorare, pensando infine a come rispondere a quel quesito.
«No, Gio; non lo odiamo più!»
 
✿..:* *.:.✿
 
Francesco e Matteo raggiunsero lo Starlight, aspettando l’arrivo dell’amico, intrattenendosi a chiacchierare con Mattia, il quale stava raccontando ai due ragazzi della sua ultima conquista.
«Non potete capire; quella Jessica è di una bellezza micidiale e la sua lingua è più tagliente di una spada! Ho faticato a ottenere un appuntamento per un caffè, ma sapete che a questo viso nessuna ragazza sa dire di no.» Il moro li guardò allusivo, alzando ripetutamente le sopracciglia in una specie di danza che fece ridere i due ragazzi, seduti al bancone con un bicchiere di Coca Cola tra le mani.
«Attento, amico, perché sono proprio quelle le ragazze che ti incastrano e di cui non potrai più fare a meno!» affermò il bruno, collegando le sue parole alla mora impertinente che gli aveva fottuto il cervello.
«Tu ne sai qualcosa, vero, Francè?» domandò divertito il biondo, portandosi il suo bicchiere alla bocca e sorseggiando la sua bibita fresca.
«Ancora qui siete? Almeno rendetevi utili e venite a darmi una mano.» Giacomo si palesò alle spalle dei due, stringendo quattro sacchetti della spesa tra le mani.
«In macchina c’è una scatola con la vodka e il rum, uno dei due vada a prenderla.» Appoggiò le buste a terra, infilando una mano nella tasca dei jeans alla ricerca delle chiavi dell’auto, che lanciò verso gli amici. «L’altro mi aiuti a portare queste in cucina!» ordinò a mo’ di dittatore, prendendo due dei sacchetti e lasciando gli altri sul pavimento.
«Signor sì, capitano!» esclamarono insieme i due, alzandosi dalle loro sedute ed ergendosi ritti con la schiena, portando la mano alla fronte in un saluto militare.
Matteo, giocherellando con le chiavi del ragazzo, si incamminò verso l’uscita, mentre Francesco raggiunse il bruno, appoggiando i sacchetti di plastica bianchi sul ripiano vicino al frigorifero.
«Allora, Moto; che hai combinato? Sei scappato questa mattina come se volessi gareggiare contro Usain Bolt.»
Giacomo sistemava le scatole di pasta e di riso nell’apposito ripiano, attendendo che l’amico rispondesse alla sua curiosità. Quando il biondo li raggiunse, iniziò a raccontare loro ogni cosa del suo pranzo con Sophie, compreso quell’avvicinamento che avrebbe portato sicuramente a un bacio se non fossero arrivati a disturbarli.
Quest’ultimo si senti un po’ in colpa, ma non poteva immaginare cosa stesse succedendo in quell’ufficio.
«Quindi? Cosa pensi di fare ora?» domandò curioso Matteo, felice nel vedere il suo amico così raggiante.
«Beh, per prima cosa devo cercare casa in città!»

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 - Dobbiamo parlare ***


Terminata la giornata lavorativa, Sophie guidò fino a casa con il solo pensiero di farsi un bagno caldo rigenerante, godendosi un po’ di solitudine, visto che Daniele sarebbe andato a giocare a calcio con gli amici e poi si sarebbe fermato al Qbr a vedere con loro la partita di Champions League della Juventus.
Giorgia si era proposta di farle compagnia, dopo che le aveva raccontato gli avvenimenti del pranzo con Francesco e aver ammesso ad alta voce quanto i suoi sentimenti fossero confusi, ma la mora non voleva che l’amica rinunciasse all’aperitivo con Matteo, perciò finse di stare bene e alle diciotto in punto la salutò con un caldo abbraccio.
Quando entrò nel suo appartamento si appoggiò alla porta d’ingresso e, lasciandosi cadere a terra, scoppiò in un pianto liberatorio, buttando fuori tutta la tensione, il nervosismo e il panico che l’avevano accompagnata fino a quel momento.
Era tesa, perché sapeva che non poteva più sfuggire alle emozioni che quel seduttore maledetto le faceva provare, convinta che per lui, quella specie di corteggiamento, fosse soltanto un gioco, mentre per lei era qualcosa di ben più profondo. Si sentiva nervosa, perché non si riconosceva nella ragazza così volubile e meschina ed era spaventata da quella parte di sé. Non poteva credere di essere stata sul punto di baciare un altro uomo, mentre era fidanzata con quel santo di Daniele, il quale non immaginava il turbamento interiore di lei.
Salì in bagno e preparò la vasca con acqua bollente, aggiungendo la pallina di sapone all’essenza di fragola. Accese alcune candele per illuminare lievemente le quattro mura, fece partire la sua playlist depressiva salvata sul suo iPhone, dopodiché si immerse in quel liquido caldo e profumato.
La voce delicata e dolce di Avril Lavigne le arrivò alle orecchie, mentre intonava la sua Wish you were here.
 
*I can be tough, I can be strong, but with you, It’s not like that at all.
Theres a girl who gives a shit behind this wall, You just walk through it.
Posso essere dura, posso essere forte, ma con te non è affatto così.
C’è una ragazza che sta male dietro a questo muro, tu l’hai appena superato.*
 
Nuove gocce di rugiada salata scesero copiose dai suoi occhi, bagnandole il viso, mischiandosi infine con l’acqua all’interno della vasca. Le sue iridi, di norma di un verde smeraldo, assunsero una tonalità vicino all’azzurro, come le accadeva quando si trovava in piscina o al mare.
 
*Damn, damn, damn, what I’d do to have you here, Here, Here.
I wish you were here
D
annazione, dannazione, dannazione, cosa devo fare per averti qui, qui, qui.

Vorrei che tu fossi qui.*
 
Quelle parole la fecero rimuginare inevitabilmente sul rapporto con Francesco, a quanto lui fosse radicato dentro di lei, nella parte più profonda, e di come questa situazione fosse devastante.
Per quanto il suo cuore battesse veloce pensandolo, non poteva scordarsi della sofferenza che avrebbe causato al suo compagno, l’ultima persona al mondo che avrebbe voluto ferire.
 
*No, I don’t wanna let go, I just wanna let you know that I never wanna let go.
Let go, Let go, Let go…
No, non voglio lasciar perdere, voglio farti sapere che non voglio lasciar perdere.

Lasciar perdere, lasciar perdere, lasciar perdere…*

Non si accorse dei minuti che passarono, né tantomeno che l’acqua aveva perso il suo calore; credeva che quei sussulti fossero provocati dai singhiozzi del pianto e non dai tremori per il freddo.
Si risciacquò velocemente, avvolgendosi poi nel suo accappatoio di cotone rosa, andando infine a stendersi sopra il letto, incurante di bagnare le lenzuola con quel tessuto umido.
Si addormentò per la troppa stanchezza, riuscendo finalmente a mettere in standby il suo cervello, dal quale sapeva che non sarebbe riuscita a fuggire a lungo.

 
✿..:* *.:.✿
 
«Sentite, stavo pensando a una cosa…» Le parole di Cristian bloccarono le azioni dei quattro ragazzi; due dietro al bancone e gli altri seduti sugli sgabelli a gustarsi uno Spritz. Tutti gli occhi si puntarono sul Colombo* più giovane, facendolo arrossire lievemente.
«Fratellino, per favore, non uscirtene con qualche tua solita stranezza; le pareti della cucina di casa nostra sono ancora macchiate a causa della tua brillantissima idea di testare il fenomeno della enucleazione tra Coca Cola light e Mentos alle tre e mezza di notte, dopo una biciclettata alcolica.»
All’affermazione di Mattia, gli altri tre scoppiarono in una fragorosa risata, a differenza della povera vittima, la quale si sentì ancora più imbarazzata.
«Andate a fanculo!» esclamò adirato, mostrando il dito medio e avviandosi da solo verso la cucina.
Il moro, impietosito dalla reazione del fratello minore, fece cadere lo strofinaccio sul banco e lo seguì, facendo un cenno con le mani ai ragazzi, col quale chiedeva loro di smorzare quelle risa.
 
*Colombo: Cognome di Mattia e Cristian.
 
✿..:* *.:.✿
 
Quando le porte dello Starlight si aprirono, concedendole l’accesso, vide la schiena di Matteo vicina a quella dell’infido bruno che si divertiva a giocare al gatto e al topo con la sua migliore amica.
In un impeto d’ira si avvicinò, ignorando il sorriso benevolo del biondo quando gli fu accanto, andando dritta verso la sua preda.
«Senti tu, Motolese dei miei stivali; a che gioco stai giocando?» gli domandò, picchiettando l’indice sulla spalla di Francesco, costringendolo a voltarsi verso la ragazza.
«Non capisco a cosa tu ti riferisca…» Mentì; immaginava che Sophie le avesse raccontato l’accaduto del pranzo, ma non voleva sbilanciarsi troppo con lei, così decise di ascoltare quello che la bionda avesse da dirgli.
«Io credo che invece tu lo sappia benissimo. Smettila di illuderla o giuro che te la farò pagare!» affermò infine, puntandogli il dito contro.
Matteo si ritrovò costretto a intervenire, allontanando Giorgia dall’amico e portandola fuori, nonostante le proteste della donna che continuava a inveire contro quel filibustiere.
«Bel caratterino pure lei! Ve le siete scelte bene le ragazze» lo canzonò Giacomo, ricevendo un’occhiataccia da Francesco, tornato a sorseggiare il suo Spritz e ignorando volontariamente l’amico.
Mattia e Cristian tornarono nella sala, notando l’assenza del biondo.
«Teo è uscito con la sua nuova fiamma. Colombo junior, coraggio; dicci questa tua fenomenale idea!» lo spronò a parlare Costa, desideroso di scoprire cos’avesse ingegnato quel ragazzo, entrato a far parte della loro comitiva più di una decina di anni fa.
«Allora… visto che domenica saremo chiusi per Pasqua e lunedì apriremo solo la sera, pensavo che potremmo lavorare dal sabato mattina, anziché iniziare a orario aperitivo, e vedere come va. Se avremo un buon numero di clienti, potremmo valutare l’opzione che uno di noi, a rotazione, il venerdì sera sia di riposo, così che possa iniziare il turno del giorno dopo già dalle otto.»
Tutti restarono in silenzio per riflettere su quell’ipotesi, puntando i loro occhi su Cristian, il quale li osservò con sguardo speranzoso, cercando di celare quella tensione che lo attanagliava.
«Io ci sto!»
 
✿..:* *.:.✿
 
Matteo trascinò la bionda, ancora scalciante, nella sua Land Rover rossa, poggiandola al posto del passeggiero, per poi fare il giro dell’abitacolo e sedersi alla guida. Si infilò il giacchetto di pelle, lasciato sui sedili posteriori e premette il pulsante Start per avviare la vettura.
«Voglio scendere da quest’auto; non ho ancora finito di cantargliele a quel galletto!» esclamò lei, aggrappandosi alla maniglia della portiera, trovandola però bloccata.
«Chiusura di sicurezza! Ora calmati e respira.» Il ragazzo le mise una mano sul ginocchio, stringendoglielo leggermente senza farle male; il suo scopo era quello di rassicurarla con la sua presenza, invitandola a placarsi.
«Va bene, mi calmo, ma tu metti in chiaro le cose con quel adescatore senza scrupoli! Non mi piace come sta giocando con la mia amica e poi non se lo merita. Ha già sofferto in passato a causa sua, non capisco che gusto ci trovi a-». Matteo le mise l’indice sulla bocca per arrestare quel fiume in piena, ridendo mentre guardava quel tornado tutto pepe intenta nel suo sproloquio. Trovava quella ragazza dannatamente sexy e desiderava ardentemente assaggiare quelle labbra a cuore così rosee e invitanti.
«Se ti dicessi che non sta giocando, saresti più tranquilla?» le domandò, spostando la mano sopra a quella di lei, stringendogliela e percependone il calore.
Giorgia lo osservò sorpresa, non capendo se la stesse prendendo in giro per solidarietà maschile o stesse parlando sul serio. Pensò che il biondo volesse reggere il gioco dell’amico, coprendo le sue malefatte per lasciarlo agire indisturbato, così si infuriò maggiormente.
Spinse il pulsante di sbloccaggio delle portiere e fulminò il ragazzo con gli occhi, dandogli poi le spalle e provando a scappare; Matteo fu più veloce e la bloccò prendendole il polso.
«Dove vai?» chiese, senza però voler sapere effettivamente la risposta, stringendo la ragazza a sé e baciandola. Restò per un secondo interdetta, non aspettandosi quel gesto da parte di lui. Sentì quella lingua infuocata chiederle il permesso di entrare, così schiuse le labbra e accolse quella piacevole invasione.
Diedero inizio a un lungo bacio caldo e intenso, con il quale si dichiararono tutto il loro desiderio.
Le dita della ragazza strinsero la giacca di pelle di lui quando si aggrappò alle sue spalle, mentre le mani di Matteo si allacciarono ai fianchi di lei in una salda stretta, cercando di non spingersi oltre, come invece avrebbe voluto fare dal primo momento che le sue iridi azzurre si erano scontrate con quelle verdi di Giorgia.
Restarono aggrappati l’uno all’altra per molto tempo, vincolando con quel bacio un tacito accordo, il quale prometteva di non farsi immischiare in faccende che non li riguardava, concentrandosi solo su loro stessi e su quel sentimento così puro che stava nascendo.
 
✿..:* *.:.✿
 
Arrivato a casa, posò il borsone del calcio nel ripostiglio e buttò la divisa sporca nella cesta degli indumenti da lavare.
Notò che le luci erano spente, quindi pensò che Sophie fosse già andata a dormire; salì piano le scale, accendendo la torcia del proprio cellulare per evitare di svegliarla.
Quando però si accorse che si era addormentata in accappatoio e con i capelli bagnati, decise di ridestarla, accarezzandole il viso dolcemente.
«Tesoro, svegliati. Ti sei addormentata con i capelli bagnati, se non ti metti qualcosa di caldo rischi di ammalarti.» Gli occhi gonfi e iniettati di sangue di lei si aprirono, puntandosi subito su quelli di lui, osservandolo con un velo di tristezza.
Vedendola in quelle pessime condizioni il ragazzo si spaventò, avvicinandosi ancora di più al corpo di lei per aiutarla a mettersi seduta.
«Sophie, ma che ti è successo?» le domandò preoccupato, accomodandosi alla sua sinistra e stringendole la mano fredda, chiusa a pugno sulle sue cosce.
La ragazza prese un profondo respiro, prima di girarsi verso di lui e pronunciare quelle parole che avrebbero cambiato ogni cosa, ma conscia che in quel momento fosse la cosa più giusta da fare.
«Daniele, dobbiamo parlare!»

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Spero possiate perdonare l'enorme ritardo con cui ho aggiornato! Avevo promesso di pubblicare un giorno sì e un giorno no, ma tra l'influenza e il mio bimbo, non ho avuto proprio tempo, perciò ho inserito una buona dose di capitoli tutti in una volta!
Siamo arrivati a uno dei primi momenti cloù di questa storia, siete pronte?
Settimana prossima dovrei riuscire ad aggiornare, quindi non vi lascerò troppo in attesa!
Ringrazio come sempre tutte le lettrici che stanno seguendo questo mio racconto, con la speranza di strapparvi una risata ogni tanto e che non vi annoi!
Baci, Sara.

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 - Musicista e accordatore ***


Quella frase, pronunciata con tono mesto e gelido, fece suonare diversi campanelli d’allarme nella testa del ragazzo.
“Daniele, dobbiamo parlare!” Nelle sue orecchie quelle poche parole si ripeterono all’infinito, come un’eco dettato dalla propria mente infame, la quale voleva prepararlo a vivere con paura e ansia i minuti che sarebbero intercorsi.
Sophie vide il terrore passare negli occhi del ragazzo e si sentì male; non avrebbe mai voluto far soffrire l’unica persona che l’aveva trattata con i guanti, ma non poteva continuare a fare finta di nulla.
«Non so da dove cominciare…» disse abbassando lo sguardo sulle proprie mani, pensando a come intavolare quel discorso, cercando di essere sincera, ma al tempo stesso il meno crudele possibile.
«Prova a partire dal principio; dovrebbe essere più facile» suggerì lui, imitando il gesto della ragazza di distogliere lo sguardo per puntarlo al pavimento. Fissò quel punto fermo, attendendo che le parole della ragazza si abbattessero su di lui come un fiume in piena.
«Sette anni fa sono uscita con un ragazzo» disse lei, creando non poca confusione nella testa del bruno, il quale non capì cosa potesse centrare un avvenimento così lontano.
«Qualche mese prima di conoscere te, per l’esattezza» aggiunse, scostando una ciocca bagnata che le era ricaduta davanti al volto.
«Quel ragazzo mi piaceva molto e avrei voluto provare a conoscerlo meglio, ma a quei tempi pensava solo a divertirsi. Scommisi con lui che, se non ci fossi andata a letto, saremmo usciti insieme e, con mio grande stupore, accettò, convinto che sarei cascata nella sua rete come tutte le altre passate prima di me.» Sophie sorrise, rimembrando quella sera lontana e la sua vittoria contro ogni aspettativa.
«E ci sei cascata?» domandò curioso il bruno, senza distogliere lo sguardo dal parquet e senza capire come tutto quello potesse centrare con loro due.
«No, assolutamente no! Ho vinto la sfida ed ero al settimo cielo; non vedevo l’ora di uscire di nuovo con lui.» Il sorriso sulle sue labbra si cancellò, lasciando posto solo alla tristezza legata al ricordo di quello che avvenne dopo.
«Lui però fu di tutt’altro avviso; uscì con un’altra, il giorno dopo aver perso quella scommessa, e ci andò a letto. Non eravamo fidanzati, quindi non è stato un tradimento, però un po’ mi ci sono sentita. Dopo aver scoperto l’infedeltà di Alberto, non volevo più stare male, perciò decisi di lasciar perdere quel ragazzo e non vederlo mai più.»
Restarono in silenzio per alcuni minuti; Sophie perché sperava che Daniele proferisse parola, anche un semplice “okay”, lui perché non riusciva a comprendere il collegamento con quell’evento.
Alla fine, la mora decise di continuare il suo monologo, prendendo prima un profondo respiro.
«Pensavo che non mi sarei più fidata di nessun uomo al mondo, visto che gli unici tre che erano entrati nella mia vita mi avevano tradita e ferita; ma poi sei arrivato tu, portando serenità e gioia nelle mie giornate.» Una lacrima scappò fugace dagli occhi della mora, la quale l’asciugò prontamente con un rapido gesto della mano. Era arrivata la parte difficile del discorso e non sapeva come fare a dirgli la verità, senza rischiare di ferirlo troppo.
«Mi hai amata incondizionatamente dal primo giorno, facendomi sentire importante; sei riuscito a sopportarmi per così tanti anni e mi hai resa felice; felice davvero.»
La ragazza si fece forza e alzò il viso in direzione del bruno; si meritava di essere guardato negli occhi, mentre pronunciava quelle parole che lo avrebbero devastato, e lei non voleva fuggire, né tantomeno mancargli di rispetto più di quanto non avesse già fatto nell’ultima settimana.
«Ma?» domandò lui, puntando le sue iridi scure in quelle chiare e luccicanti della ragazza.
Sì sentiva vuoto in quel momento, come se il suo corpo lo avesse abbandonato e ci fosse qualcun altro a sorreggerlo; una marionetta sostenuta da fili invisibili e da uno sconosciuto burattinaio.
Una lama nel torace si muoveva lentamente, mentre attendeva che la sua ragione di vita gli comunicasse quelle parole che gli avrebbero certamente ridotto il cuore in brandelli.
Sophie lasciò fuoriuscire quelle lacrime, arrendendosi alla loro forza distruttiva.
«Ma sono ancora legata a quel ragazzo. È riapparso nella mia vita per caso e ora non riesco a non pensare a lui e alle emozioni che sento quando gli sono accanto.»
Si liberò di quelle parole, come se fossero spine taglienti nel proprio palato, non rendendosi conto di gettarle contro al povero Daniele. Quegli aculei si piazzarono nel petto dell’uomo, giungendo fino al cuore e ferendolo mortalmente. Ogni sua certezza gli si sgretolò sotto i piedi, mentre alcune gocce salate fuoriuscirono dai suoi occhi, disegnando un percorso lastricato di tristezza sul volto.
Mandò giù quel groppone amaro, costringendosi a distogliere lo sguardo da quello della donna che amava, alla quale aveva affidato il suo cuore e che glielo stava restituendo in mille pezzi.
«Ci sei andata a letto?» Non seppe neppure lui il perché di quella richiesta; non avrebbe di certo cambiato la situazione in cui si trovava, eppure sentiva il bisogno di sapere. Forse una risposta affermativa avrebbe aiutato a sostituire quella sofferenza atroce con la rabbia; l’ira era più facile da gestire del dolore.
«No!» affermò sorpresa lei, voltandosi verso il ragazzo con lo sguardo basso.
«Non c’è stato nessun contatto fisico tra di noi…» aggiunse.
“Se non si considera il solletico, ovviamente” pensò tra sé, ma preferì non dare voce a quel pensiero, poiché non era inerente alla sua domanda.
«Che cos’ha in più di me?» le chiese trattenendo il pianto, cercando di mostrare almeno un briciolo di dignità, anche se l’unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento sarebbe stato abbracciarla e chiedergli di restare insieme a lui, finché non avesse esalato l’ultimo respiro.
Sophie non seppe come rispondere a quel quesito così strano, così lasciò che fosse il cuore a parlare per lei, affidando a quell’organo l’arduo compito di esprimere quei sentimenti impossibili da spiegare.
«Hai presente quando studi uno spartito musicale con tanta intensità da sapere il pezzo a memoria, ma le note che escono dalla chitarra non raggiungono la musicalità corretta? Non capisci perché, dopo tutte quelle prove, ma la melodia continua a essere sbagliata, nonostante la posizione delle mani sulle corde sia giusta. Poi arriva qualcuno che ti accorda lo strumento e finalmente la musica che esce da quello strumento è quella perfetta, quella che doveva essere fin dall’inizio.»
Gli occhi di lei ripreso a brillare pensando alle dita di Francesco, le quali sapevano perfettamente quali corde toccare.
Lui era il musicista e l’accordatore del suo cuore.
«Non era il chitarrista a sbagliare, ma il problema era della chitarra che aveva bisogno di essere intonata per emettere la sinfonia giusta.»
Daniele non capì la metafora usata dalla ragazza, chiedendosi se l’avesse paragonato al musicista o allo strumento; arricciò il naso e corrugò la fronte in un’espressione confusa, la quale non passò inosservata agli occhi della ragazza.
«Quello che intendevo dire» si apprestò a spiegare, «è che tu non hai niente in meno di lui. Vorrei non sentire questi sentimenti, credimi, ma non posso impormi di non provare quelle emozioni quando lui mi è vicino.»
Si sentì una grandissima stronza, ma non voleva mentire all’unico uomo che non l’aveva mai fatto nei suoi confronti. Daniele si alzò, posizionandosi di fronte a lei per poi vederlo inginocchiarsi, appoggiando il viso sulle sue cosce e abbracciandone il ventre.
«Non puoi lasciarmi, Soph. Io ti amo e so che anche tu provi lo stesso. Sei solo confusa, ma non arrendiamoci alla prima difficoltà, ti prego.»
Gli occhi della ragazza si riempirono di nuove lacrime, mentre accarezzava la testa bruna del ragazzo, pensando alle parole giuste da pronunciare per fargli capire la situazione.
«Daniele.» Non riuscì a terminare la frase, perché il ragazzo la interruppe, alzandosi nuovamente, ma stavolta per mettersi di fronte a lei.
«Pensaci, ti chiedo solo questo; non gettare sette anni così. La nostra relazione è diventata piatta e senti il bisogno di evadere, ma possiamo farlo insieme. Ti prego, Soph, non sbattermi la porta in faccia!»
La ragazza non ce la fece a distruggere le sue speranze dopo avergli gettato una simile bomba addosso. Pensò che l’indomani, una volta metabolizzate le sue parole, lui avrebbe capito che il sentimento di lei era ormai scomparso e si sarebbe rassegnato, così acconsentì momentaneamente a quella preghiera, facendo un cenno positivo con il capo.
«Ora vado a vestirmi, prendo alcune delle mie cose e vado da mia madre» disse lei alzandosi, costringendo anche il ragazzo a sollevarsi.
«Cosa? No, non esiste!» Daniele le mise le mani sulle spalle, bloccandone i passi.
«Sono le undici di sera, non è il caso che tu esca a quest’ora tarda. Vado io dai miei genitori per questi giorni, così da lasciarti il tuo spazio per pensare. Decideremo poi cosa fare, ok?»
La voce del bruno era tornata quella di un tempo; gentile e affettuosa. Era convinto che la loro fosse una leggera crisi, quella del settimo anno spesso decantata da molti; era certo che, stando separati alcuni giorni, la sua Sophie avrebbe capito che il loro amore avrebbe superato ogni problema e ne sarebbe uscito più forte. Avrebbe corteggiato la sua donna ancora una volta, maledicendosi per la sua stupidità, la quale lo aveva portato a dare per scontata quella relazione; non avrebbe mai più ripetuto un errore simile!
La mora acconsentì, aggiungendo un’altra voce alla lunghissima lista delle cose per cui sentirsi in colpa. Lo salutò con un abbraccio, il quale le fece provare alcuni brividi freddi lungo la schiena e un senso di devastazione al centro del petto. Si lasciò stringere con forza un’ultima volta, cingendolo con la stessa energia, chiedendogli in quel gesto di perdonarla per quel dolore che involontariamente gli aveva inferto.
Sparì nel bagno prima che il pianto dovuto a quell’addio potesse travolgerla nuovamente, asciugandosi i capelli umidi, dando così il tempo a Daniele di prendere alcune delle sue cose e sparire dalla loro, ormai ex, casa.

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 - Silent Party ***


Sophie riuscì ad arrivare viva al venerdì pomeriggio, riuscendo a terminare il suo lavoro senza intoppi, nonostante la mole eccessiva e le poche ore di sonno che avevano caratterizzato quelle giornate. Ogni volta che metteva piede nel suo appartamento, le lacrime le riempivano gli occhi, sentendosi tremendamente in colpa per il povero Daniele, il quale le lasciava ogni giorno una rosa rossa sullo zerbino di casa, insieme a un bigliettino nel quale le ricordava il suo infinito amore.
Aveva raccontato a Giorgia quelle ultime novità, lasciando quest’ultima senza parole. La bionda non credeva che il sentimento che legava l’amica all’affascinante bruno fosse così forte da farle prendere questa decisione; se avesse saputo della minaccia fatta l’altro giorno a quel filibustiere si sarebbe sicuramente arrabbiata, perciò tenne per sé quell’aneddoto, raccontandole però il risvolto positivo avvenuto nella macchina di Matteo.
«Questa sera ci penso io a te. Si torna sulla pista, baby; hai bisogno di divertirti un po’ e sono sicura che in discoteca farai strage di cuori!» Giorgia, dopo aver chiuso l’ufficio, schioccò un sonoro bacio sulla guancia dell’amica, , prendendola a braccetto e dirigendosi verso il posteggio, dove entrambe avevano parcheggiato la loro auto.
«Certo, mi manca proprio un altro uomo a incasinarmi la testa! Io passo, voglio solo divertirmi e trascorrere un po’ di tempo con i nostri ragazzoni.»
Sophie, oltre a Giorgia e Mia, aveva due migliori amici a cui era molto legata: Gianfranco e Fabian; quest’ultimo conosciuto proprio grazie alla sua collega e al loro profondo legame.
Era un ragazzo che si faceva voler bene facilmente, per il suo carattere dolce e la sua bontà d’animo. Gianfranco invece era il più giovane della compagnia, entrato a farne parte dal momento che iniziò a frequentare il Qbr, trovandosi a proprio agio con quella bizzarra comitiva.
«Allora faremo coppia io e te; se un uomo si dovesse avvicinare, estrarrò i miei lunghi artigli e lo terrò lontano, attestando la nostra unione sentimentale con un bacio saffico!» affermò la bionda, guardando l’altra allusivamente, mimando una specie di danza con le sopracciglia che fece ridere l’amica.
«No grazie, preferisco ancora gli uomini!» rispose.
“Uno in particolare” pensò, tenendoselo per sé, aprendo la portiera della sua vettura e sedendosi all’interno. Girò la chiave per avviare il motore e, abbassando il finestrino, invitò l’amica a seguirla verso casa, dato che quella sera avrebbero cenato insieme e la bionda si sarebbe fermata a dormire da lei. Non voleva stare sola in quella dimora piena di ricordi, ma anche di pensieri combattuti sui suoi sentimenti per Francesco. Aveva bisogno di staccare la spina da quel tormento almeno per qualche ora e cosa c’era di meglio di una serata tra amiche?
 
✿..:* *.:.✿
 
Dopo la pizzata, era giunto il momento dei preparativi per il Silent Party.
Mia e Giorgia avevano portato una borsa per il cambio, mentre la padrona di casa fissò l’armadio per dieci minuti, in attesa dell’ispirazione.
«Non è possibile che ogni volta ti ritrovi nella medesima situazione!» la ammonì la bionda, osservando Sophie, ferma come una statua di cera, intenta a riflettere.
«Non costringermi a scegliere anche questa sera per te, perché non saresti felice della mia decisione!» asserì poi, facendo rabbrividire la ragazza, la quale si apprestò a far scorrere le grucce con gli indumenti appesi, decidendo infine per un outfit comodo, ma elegante: blu jeans attillati, una canottierina color mirto con lo scollo a cuore e un leggero pizzo scuro sul decolté, un cardigan nero e le sue adorate converse. Lascio i capelli sciolti, piastrando leggermente le punte per dare l’effetto spaghetto, passando poi al trucco.
Non era una di quelle ragazze che impiegava ore a ritoccarsi; un tocco di matita nera, un po’ di mascara, una linea sottile di eyeliner e infine un pizzico di fard per ravvivarle il viso, per lei erano più che sufficienti.
Di tutt’altro avviso erano invece le altre due; Giorgia e Mia infatti trascorrevano ore nei negozi di cosmetica a scegliere gli ombretti perfetti, parlando dei diversi effetti che avrebbero dato all’occhio quello in polvere, a differenza di quello in crema.
La bionda optò per uno smokey eyes ambrato, che avrebbe risaltato il verde brillante delle sue iridi, mentre la bruna scelse di farsene uno color pesca, ravvivando i due cioccolatini luminosi.
Anche per gli abiti, ovviamente, furono di tutt’altro avviso: Giorgia indossò un vestitino blu a mezza manica che scendeva sul suo corpo mettendo in mostra ogni sua curva e un sandalo col tacco color crema, mentre Mia scelse un pantaloncino a scacchi bianco e nero, una maglietta attillata nera con uno scollo a barca e degli stivaletti di pelle con un leggero tacco largo che le arrivavano poco sotto al ginocchio.
Erano tutte e tre pronte per la serata, così si avviarono verso la vettura della bruna; direzione Latte Più.*
 
*Latte Più: discoteca nel Bresciano che organizza il Silent Party.
 
✿..:* *.:.✿
 
Una volta ricevute le cuffie in dotazione, attraversarono la pista da ballo ancora semi vuota, avanzando verso il bancone per farsi servire da bere, nell’attesa che si affollasse. Luci di diverse tonalità donavano all'ambiente un'aria rilassante e festosa, anche se Sophie faticava a sentirsi a suo agio; era la prima volta che presenziava all’evento da single e la cosa le faceva uno strano effetto. Doveva abituarsi a quelle novità e ricominciare nuovamente da zero.
Quello che però la preoccupava maggiormente, era la reazione che avrebbe avuto la sua famiglia la domenica di Pasqua; non aveva ancora annunciato quella decisione a nessuno di loro, neppure alla madre. Era a conoscenza del grande affetto che quest’ultima provava per Daniele ed era consapevole che la notizia della loro rottura l’avrebbe fatta stare male, perciò evitò l’astioso argomento quelle poche volte che si erano sentite negli ultimi giorni.
«Soph, per te il solito?» La domanda della bionda la ridestò dai suoi pensieri; aveva promesso che avrebbe evitato ogni negatività quella sera ed era intenzionata a mantenere quel giuramento.
«Certo! Un Coca Malibù bello carico!» rispose decisa la mora, sorridendo alle due ragazze al suo fianco. Non ebbero bisogno di parole per capire che i propositi dell’amica per quella sera erano di dimenticare e non pensare a nulla, divertendosi a ritmo di musica e ridere con loro.
Presero quindi i bicchieri di plastica e li portarono al cielo, brindando alla loro felicità, per poi gustarsi il sapore forte dei cocktail.
«Chissà come mai, ma immaginavo di trovarvi proprio qui a bere!» Una voce bassa e profonda costrinse le ragazze a voltarsi verso la figura imponente alle loro spalle.
Il ragazzo dai profondi occhi color nocciola e i capelli scuri sorrise loro, creando delle piccole e adorabili fossette ai lati del suo viso ovale, quasi invisibili sotto quel leggero strato di barba scura.
Le sue spalle larghe erano fasciate da una maglietta bianca morbida, la quale non valorizzava per nulla il suo fisico statuario, mentre le gambe erano avvolte da jeans neri con gli strappi, che mettevano in risalto il suo favoloso lato b.
«Fabian, eccoti finalmente!» Sophie strinse in un caloroso abbraccio il suo grande orso buono, come era solita chiamarlo lei, beandosi del suo calore. Aveva bisogno di parlare con il suo migliore amico e potersi sfogare tra le sue braccia consolatorie, ascoltando i saggi consigli che sicuramente avrebbe saputo donarle.
«Ehi, Sofy, come siamo affettuose oggi! Devi farti perdonare per qualcosa che hai combinato?» la canzonò il moro, ridendo insieme a lei mentre si staccò dal suo petto.
«Guarda che chi non si fa vedere da settimane sei tu; hai conosciuto qualcuna in negozio e ti sei dimenticato delle tue donne?» chiese con finta irritazione, sorseggiando il suo Coca Malibù e giocando con la cannuccia di plastica nera tra i denti.
Fabian alzò il sopracciglio, guardando poi le sue amiche in attesa di una risposta e sorridendo loro in modo malizioso.
«Forse… ma non dirò nulla di più! Se le cose si faranno serie sarete le prime a saperlo.»
Sorrise loro, abbracciando Giorgia e Mia per salutarle.
La pista da ballo si era poco a poco gremita e tra la folla riuscirono a intravedere il ciuffo castano impomatato di Gianfranco, impegnato a parlare con una ragazza bionda che dava loro la schiena.
Poterono notare come gli occhi scuri e profondi di lui osservavano con attenzione il volto della sua interlocutrice, mentre si grattava distrattamente la barba, imbarazzato.
Il quartetto si avvicinò alla coppia, chiamando e sbracciandosi verso quest’ultimo per farsi notare.
«Oh, eccovi finalmente! Dovevo immaginare che foste al bancone del bar!»
Sophie si domandò il motivo per cui i due ragazzi se n’erano usciti con quella affermazione; solitamente lei non beveva molto quando si trovava in discoteca, giusto uno o due coktail prima di passare all’acqua, stessa cosa per le ragazze al suo fianco.
«La prima cosa che fate, quando entrate in un locale, è fiondarvi lì, per poi cercare o un posto a sedere o una zona dove potervi scatenare indisturbate…» precisò il Pai*, come se avesse captato la domanda mai posta della mora.
«Beh, non ci presenti la tua amica?» Si intromise Giorgia, squadrando dalla testa ai piedi la bionda al fianco di Gianfranco e soffermandosi su quelle iridi azzurre così simili all’acquamarina.
«Se mi dessi il tempo… comunque lei è Eliana; Eliana, loro sono le mie migliori amiche: Sophie, Giorgia e Mia.» Indicò tutte e tre con il dito quando fece il loro nome, permettendo così alla ragazza di associare i volti.
«Grazie per la considerazione!» affermò Fabian, dando una spallata all’altro, decisamente più minuto se messo a confronto con il grande orso buono.
«Prego. Tu non guardarla troppo o ti stacco le palle!» Tutti risero a quell’affermazione, compresa la bellissima ragazza al suo fianco, la quale stringeva al suo ventre semi scoperto la borsetta di pelle nera, stesso materiale del suo top a bretelline con lo scollo a cuore.
Sophie osservò la gonna a velo di lei, corta davanti e lunga dietro, dello stesso color dell’onice, chiedendosi dove l’avesse acquistata, poiché quello stile era da sempre il suo preferito.
Giorgia invece si soffermò, quasi in adorazione, sui suoi tronchetti vellutati neri e con il tacco, ammirandoli come farebbe un affamato con un succulente pasto.
«Avrei tanto voluto avere anche io le lentiggini!» affermò sconsolata Mia, invidiando quelle che riempivano il viso ovale della ragazza.
«Piacciono molto anche a me, sai? Per questo non le copro mai.» Sorrise Eliana, sentendosi più a suo agio con quelle estranee così importanti nella vita di Gianfranco.
«Buona sera a tutti e benvenuti a una nuova festa silenziosa qui al Latte Più!»
La voce dello speaker fece voltare tutte le persone presenti verso la console, osservando la presentazione dei tre dj che li avrebbero accompagnato quella notte.
Le tre ragazze, finiti i propri drink, posarono i bicchieri vuoti su un tavolino alla loro sinistra, tornando velocemente nella postazione abbandonata pochi secondi prima.
«Sul canale azzurro potrete ascoltare la musica italiana dagli anni novanta a oggi, scelta dal nostro Gabiel. Sul verde, invece, le note dell’house commerciale, mixate per voi dal mitico Blandino e per finire reggaeton e latino, trasmesse sul canale rosso dal grande YoYo!»
Un fragoroso applauso si dilagò nella sala, tutti impazienti di poter infiammare la pista con il genere che più aggradava loro.
Sophie indossò le cuffie in simultanea con gli altri, girando tra i tre canali alla ricerca della prima canzone con cui avrebbe iniziato a scatenarsi, trovandola in Sean Paul con Get Busy.
La mora portò le braccia al cielo come a voler spingere l’aria verso il soffitto, ancheggiando a ritmo di quelle note con il corpo e con il capo. Chiuse gli occhi, libera di essere trasportata in un nuovo mondo nel quale i suoi problemi non esistevano e non le sovrastavano l’anima. Si sentì finalmente leggera, mentre scacciava le sue paure grazie al magico potere della musica e di quel ballo purificatore.
«Pizza, Burgher, turn me on» cantò ridendo, insieme a Fabian e Pai, da sempre il loro ritornello storpiato preferito, tornando poi a muovere braccia e gambe seguendo lo stile rap della canzone.
Ballò senza sosta per un’ora, avvicinandosi alle amiche in alcuni pezzi ritmati, finché Gianfranco non le chiese se volesse da bere, dato che si stava dirigendo verso il bancone con Fab.
«Il solito, grazie!» gli sorrise, cambiando stazione più volte, insoddisfatta da quello che stavano trasmettendo.
Le tre ragazze si erano andate a sedere a un divanetto per riposarsi, lasciandola sola in pista, così affidò loro il suo cardigan, restando con quella canottierina leggera. Stava per raggiungerle quando trovò sul canale azzurro la canzone di Jovanotti Ti porto via con me e iniziò a canticchiarne le strofe.
 
*In questa notte fantastica, che tutto sembra possibile.
Mentre nel cielo si arrampica un desiderio invincibile, che lascia una scia…*

Sentì sui propri fianchi delle calde e possenti mani che distesero il suo corpo addosso a quello dell’estraneo, cingendola in una salda stretta.
Si voltò, pronta a spingere lontano da sé l’idiota che la stava toccando senza permesso, ritrovandosi però spiazzata quando si trovò di fronte l’ultima persona che avrebbe pensato di vedere.
«Che ci fai qui?»
  
*Pai: Gianfranco ha il cognome Paini, quindi viene soprannominato anche Pai.

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 - Ti porto via con me ***


*In questa notte fantastica, di questo inizio del mondo, i nostri sguardi si cercano
con ali fatte di musica.*
 
Come al solito, il cuore della ragazza iniziò a galoppare a un ritmo inconsueto. I suoi smeraldi verdi si puntarono negli occhi del bruno, perdendosi nuovamente in quei pozzi profondi.
Non immaginava di trovarselo davanti, considerando che a quell’ora lui avrebbe dovuto essere allo Starlight a lavorare insieme agli altri. Si chiese come facesse a sapere dove si trovava e il perché fosse lì.
«Che ci fai qui?» gli domandò nuovamente, dimenticandosi che non avrebbe potuto sentirla a causa delle cuffie, notando poi il colore azzurro che le illuminava, proprio come il suo; entrambi stavano ascoltando la medesima melodia.
Francesco non le rispose, ma le regalò quel sorriso sghembo al quale Sophie non sapeva resistere, mentre le sue dita si posarono sul viso di lei, vezzeggiando la pelle arrossata delle gote.
Restarono a guardarsi in silenzio per secondi interminabili, mentre la gente intorno a loro si dimenava e cantava, ma per i due innamorati, estraniati da quella calca, sembrò di essere su un altro pianeta, dove a fargli compagnia c’erano le sole note ritmate di quel pezzo.
 
*Ti porto via con me, in questa notte fantastica, ti porto via con me, ribalteremo il mondo.*
 
Il ragazzo mimò le parole della canzone senza mai distogliere lo sguardo da quelle iridi verdi così luminose che lo facevano impazzire e senza mai smettere di sorriderle, provocando nella ragazza un’accelerazione del battito cardiaco. La tirò a sé, tenendola saldamente dal fianco e, divaricandole le gambe con il ginocchio, iniziò a muoversi seguendo il ritmo energico della musica.
 
*Due come noi che si fondono per diventare una nota sola,
due come noi che si cercano dentro una musica nuova*

 
Sembrava che il testo della canzone fosse stato scritto appositamente per loro; per quel esatto momento che stavano vivendo insieme. Sophie sorrise, sentendosi libera di essere sé stessa e di lasciarsi andare; portò una mano dietro al collo di lui e l’altra su quel fianco forte e caldo, coperto da quella maglietta scura di un cotone talmente leggero da sembrare inesistente. Imitandone le movenze iniziò a sciogliersi in una danza che li vedeva uniti in una persona sola; gambe intrecciate, mani che si perlustravano, fronti che si toccavano e occhi che si inchiodavano tra di loro, impedendosi di sfuggire.
 
*Con mille storie che nascono e mille amori che esplodono in mezzo alla strada*
 
L’ancheggiamento rallentò, come la velocità della musica, ma la loro vicinanza rimase tale e quale, come il ritmo dei loro cuori pronti a correre l’uno verso l’altro. Francesco percepì qualcosa di nuovo nascergli da dentro, ma non sapeva come classificare quella sensazione, non avendola mai provata prima. Un’immensa felicità legata al fatto che lei fosse lì e non lo stesse respingendo, ma anzi lo cercava nella stessa maniera in cui lui ambiva a lei. Il desiderio incontenibile che fosse soltanto sua, di portarla in un posto appartato e farci l’amore per la prima volta in vita sua, svegliandosi poi al mattino stringendola tra le proprie braccia e aspirarne il profumo dolce e fruttato della sua pelle diafana.
Le luci stetoscopiche illuminarono con un fascio verde il viso perfetto della ragazza dai grandi occhi chiari, facendo sembrare le sue iridi ancora più luminose, mentre si riflettevano in quelle di lui come se fossero specchi. Entrambi rimandavano la loro immagine, come se non ci fosse al mondo niente di più bello.
 
*Ti porto via con me…*
 
Fu Sophie a intonare quelle parole, guardando colui che la stringeva, sorprendendolo.
La ragazza si aggrappò alla stoffa della maglia di lui, sfiorandone involontariamente l’addome bollente. Quel contatto, seppur leggero, accese i suoi sensi famelici, portandola a volere decisamente di più. Lasciò la presa di quell’indumento per dedicarsi alla pelle rosea, la quale la stava chiamando a sé come il cantico di una sirena faceva con un marinaio in mezzo al mare che aveva perso la rotta.
Quel gesto spronò il ragazzo a fare altrettanto, infilando la mano sotto a quella canottiera leggera, la quale non nascondeva le curve perfette della mora da sguardi indiscreti di altri uomini, che avrebbe fulminato se solo avessero provato ad avvicinarsi a lei.
Desiderava toccare nuovamente il suo corpo da quando l’aveva rivista nel suo ufficio, anche se il ricordo delle carezze nella sua macchina non l’avevano mai abbandonato in tutti quegli anni.
Le dita di Francesco vezzeggiavano con delicatezza il fianco di Sophie, provocandole dei brividi piacevoli che si diffusero dappertutto.
Entrambi volevano di più di mere carezze; anelavano l’amore dell’altro, senza però immaginare che gli sarebbe bastato parlare per riceverlo.
 
*Ti porto via con me…*
 
Si fermarono insieme alla musica, restando però aggrappati l’una all’altro, respirando a fatica.
Nelle orecchie di entrambi risuonò una nuova melodia, la quale portò Sophie ad allontanarsi leggermente da Francesco, prima di commettere qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentita.
Non era dispiaciuta di provare quei sentimenti, perché essi la facevano sentire finalmente viva, ma non voleva essere la stronza che aveva soggiogato il fidanzato di un’altra, anche se desiderava Francesco in una maniera impossibile da spiegare. Le venne da piangere per il dolore provocato dallo sforzo di distaccarsi, quando l’unica cosa che avrebbe voluto fare era continuare a sentire il calore di quel corpo marmoreo e farsi stringere dalle sue possenti mani.
Il bruno non capì il gesto di lei, ritrovandosi a imprecare mentalmente verso il destino beffardo che gliela faceva sentire vicina, solo per il gusto di allontanarla quando lui si sentiva felice. Non era a conoscenza del dilemma morale della ragazza, poteva solo basarsi sulle azioni discontinue della sua stupenda ossessione per cercare di decifrare quei sentimenti, ma, ogni volta che credeva di averli colti, lei si allontanava, lasciandolo spiazzato.
Vide le sue invitanti labbra muoversi, ma non udì le sue parole, mascherate dalla canzone che stava passando nelle cuffie.
«Cosa?» urlò lui, come se servisse a farsi sentire dalla mora, la quale, spazientita, alzò gli occhi al cielo, prima di abbassargli i grossi auricolari dalle orecchie.
«Ho chiesto cosa ci fai qui!» ripetè lei, allontanando le mani da quel collo che avrebbe morso volentieri.
Francesco fece per risponderle, ma l’arrivo di due ragazzi troppo vicini alle spalle di lei lo fece adirare, costringendolo a mettersi in mezzo, nascondendo Sophie dietro alla sua schiena come se fosse una dama in pericolo e lui un valoroso soldato.
«Ehi, bello, levati!» esclamò Fabian, sorpreso dal gesto di quell’estraneo nei confronti della sua amica. Non era a conoscenza delle ultime novità, quindi si preoccupò di dover fare le veci di Daniele e scacciare ogni impertinente che le avrebbe fatto il filo.
Il bel bruno stava per rispondergli, quando si sentì afferrare da una piccola mano che lo tirava leggermente dal fondo della maglia, costringendolo a voltarsi verso la regina del suo cuore.
«Cavalier Motolese, può abbassare la sua spada; questi due sono i miei migliori amici.»
Il ragazzo si rilassò nel sentir quelle parole, osservando con intensità lo sguardo sorpreso di loro.
Sophie si mise in mezzo, prendendo il suo cocktail dalle mani del Pai per gustarsi quella leggera frizzantezza che l’avrebbe aiutata ad annebbiare i suoi pensieri.
«Fab, Gian, vi presento Francesco, un vecchio amico e cliente…» affermò lei, indicando il bruno alle sue spalle, il quale si rabbuiò quando sentì il termine “amico”.
I due ragazzi continuarono a osservarlo con sguardo confuso, cercando di decifrare il gesto di protezione fatto poc’anzi da quel bell’imbusto.
«Nonché proprietario dello Starlight. È lui che ci ha offerto il locale per Pasquetta» aggiunse, lasciando gli amici di stucco.
Francesco sorrise soddisfatto per quella reazione, sperando che quella notizia gli avesse fatto guadagnare una discreta simpatia ai loro occhi. Improvvisamente iniziò a guardarsi in giro, pensando che il fidanzato di lei si palesasse da un momento all’altro, ma a comparire furono soltanto le amiche della mora.
«Ehi, ci si rivede…» La voce annoiata di Giorgia arrivò come una freccia alle orecchie del bruno, il quale si voltò a osservare quella bionda che aveva stregato il suo amico, non trovandoci niente di speciale, se non il carattere pungente così simile a quello della sua Sophie.
«A quanto pare…» si limitò a rispondere lui, dandole poi le spalle per tornare ad ammirare la donna più bella della sala.
«Mi fai compagnia mentre fumo una sigaretta?» Si avvicinò al suo orecchio per farle quella domanda, beandosi del profumo fruttato dei suoi capelli.
La ragazza si sentì avvampare percependo il fiato caldo di lui sul collo, costringendola a bere un lungo sorso del suo drink che glielo fece finire. Rispose con un cenno positivo del capo al quesito del bel bruno, il quale sorrise e le prese la mano per portarla fuori dalla discoteca.
“Un po’ di aria non potrà che farmi bene” si ritrovò a pensare, sperando che il freddo della notte l’aiutasse a trovare quel raziocinio che puntualmente perdeva quando si trovava vicino al suo persecutore.
Come immaginava, il vento gelido di aprile la investì, facendola tremare, costringendola a togliere la mano da quella del ragazzo per strofinarsi le braccia. Francesco si tolse la camicia a scacchi legata ai jeans e la poggiò sulle spalle di lei, avvolgendola in quell’indumento che sperava potesse ripararla. Lei restò interdetta per quel gesto premuroso e inaspettato, scoprendolo a sorriderle prima di accendersi la sigaretta e inalare una boccata di fumo.
Intorno a loro alcune persone iniziavano ad allontanarsi dalla discoteca per ritornare alle proprie abitazioni o per recarsi a mangiare una pizzetta o un bombolone con gli amici prima di coricarsi.
Anche il bruno doveva trovarsi a letto, considerando che il giorno dopo avrebbe aperto da solo lo Starlight, ma quando Matteo lo aveva informato che Giorgia sarebbe stata al Silent Party con Sophie, aveva preso al volo quell’occasione per rivederla.
«Allora, Khaleesi, non c’è il tuo fidanzato questa sera?» domandò con finta noncuranza, anche se dentro di sé fremeva per avere una risposta.
La ragazza deglutì, non sapendo come rispondere al quesito di lui. Forse, dirgli la verità gli avrebbe dato la spinta che gli serviva per lasciare Isabella e giurare a lei il suo eterno amore, si augurò mentalmente.
“Ma chi voglio prendere in giro? Lui non proverà mai un sentimento così profondo per me!”
«Ci siamo lasciati!» affermò, provocando sbigottimento nel ragazzo per poi rubargli la bionda dalle dita e aspirare un po’ di nicotina. Percepì la leggera umidità delle labbra di lui su quel cilindro cartaceo, costringendo la sua mente ad allontanare il pensiero di quella bocca che avrebbe voluto assaporare volentieri.
Lui non si aspettava di certo quella risposta, la quale gli provocò un tumulto nello stomaco e un calore nel petto. Si ritrovò a sorridere a quella ragazza, finalmente libera di essere corteggiata e riconquistata senza alcuna presenza a interporsi.
«Non avevi smesso di fumare, tu?» Le sorrise sghembo, estraendo dal pacchetto nella sua tasca un’altra sigaretta, poiché la sua era finita tra le mani di quella sexy menzognera.
Sophie aspirò un’altra boccata di fumo, divertita da quel nuovo quesito.
«Quante domande, Motolese impiccione! No, non ho smesso di fumare, volevo solo allontanarmi da te quella sera.»
Non seppe nemmeno lei il perché della sua improvvisa sincerità; si morse la lingua e strizzò gli occhi, maledendosi per quell’affermazione, la quale provocò l’ilarità del ragazzo.
Francesco azzerò le distanze, attaccandosi a lei come aveva fatto nella pista da ballo, stringendole il fianco con la mano libera e accostando pericolosamente i loro volti.
Sophie emise un gemito di sorpresa, provocando il risveglio di una parte di lui decisamente affamata e desiderosa di unirsi a lei.
«Quante bugie mi hai raccontato, mia tenera insolente?» Il respiro caldo di lui le solleticò le labbra, le quali si dischiusero involontariamente, aspettando di sentire quelle del bruno sopra le proprie.
I loro corpi febbricitanti erano attratti come due magneti dai poli opposti; potenti se vicini, incompleti se separati.
Francesco si impose con tutta la sua volontà di non cedere all’istinto di gettarsi su quella bocca rosea, aspettando il momento in cui lei avrebbe riacquistato la fiducia in lui e fosse meritevole anche del suo cuore. Fu difficile combattere quel desiderio primordiale, ma ambiva a essere degno di lei e per farlo avrebbe dovuto risolvere alcuni impedimenti.
Scostò dal suo viso una ciocca di capelli e gliela sistemò dietro l’orecchio, allontanandosi da quel volto che lo ossessionava ogni notte nei sogni.
Sophie interpretò male quel gesto, credendo che il bruno si fosse allontanato perché non provasse il suo stesso interesse, ma poi gli pose quella domanda che, per la milionesima volta, la confuse.
«Hai voglia di accompagnarmi a fare la spesa per Pasquetta domani?»


 

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 - Allora, ci stai? ***


Erano da poco passate le tre del pomeriggio e Francesco sarebbe arrivato da un momento all’altro.
Sophie si trovava ancora in accappatoio davanti all’armadio, perché come al solito era in dubbio su cosa indossare. Doveva semplicemente andare al supermercato, quindi non aveva bisogno di agghindarsi in maniera eccessiva, eppure sentiva l’esigenza di fare bella figura.
Il cuore le batteva a un ritmo irregolare, tale era l’emozione di passare un po’ di tempo insieme a lui, ritrovandosi a sorridere solo al pensiero. Era radiosa, come non lo era da molto; l’emozione delle prime uscite, il desiderio di passare del tempo insieme al ragazzo che le aveva rubato il cuore, la voglia di conoscersi… quelle sensazioni così fresche e positive la rendevano felice.
Optò per un jeans denim chiaro, una t-shirt bianca con il collo a barca e una camicia di cotone quadrettata sui colori acromatici; ovviamente ai piedi le sue adorate All-star basse bianche con la riga bordeaux. Riuscì a stento a mettersi la matita e un filo di mascara, prima che l’IPhone le segnalasse l’arrivo di un nuovo messaggio su WhatsApp da parte del Motolese Scortese, come l’aveva salvato in rubrica, il quale le comunicava di essere sotto casa sua.
Involontariamente si ritrovò catapultata all’appuntamento di quella sera di gennaio di sette anni prima, a quei baci appassionati che si erano scambiati e la loro inevitabile conseguenza. Le gambe le diventarono improvvisamente molli e nello stomaco un turbinio di emozioni le scoppiò dentro, le stesse di allora, voraci e bramose di essere saziate solo da lui.
Deglutì più volte prima di prendere un profondo respiro, scendere le scale di casa e avviarsi nel parcheggio, dove ad attenderla c’era Francesco, in tutto il suo splendore.
Il cuore di lei saltò un battito quando lo vide sorriderle, nonostante stesse parlando con qualcuno al cellulare. Era appoggiato alla sua Land Rover bianca, indossando dei jeans blu che gli calzavano alla perfezione, evidenziando la muscolatura delle sue gambe, una polo aperta dello stesso colore dei pantaloni e una felpa grigio scuro, la quale risaltava le sue possenti spalle.
Più si avvicinava a quel bruno dalle sembianze di un Dio, più Sophie si sentì fremere dal desiderio di farsi stringere in quelle forti braccia, aspirando il suo aroma virile che le mandava in pappa il cervello.
«Ci vediamo più tardi» dichiarò serio prima di riattaccare, una volta che lei lo aveva raggiunto in tutto il suo splendore. Era rimasto ammaliato appena l’aveva vista girare l’angolo, nella sua semplicità disarmante. Il ragazzo era intenzionato a fare qualsiasi cosa per riconquistarla, soprattutto dopo aver scoperto che era tornata libera; cercò di non illudersi che l’avvenimento fosse legato al loro quasi bacio, ma ci sperò dal profondo del cuore, perché avrebbe voluto dire che c’erano buone possibilità per la riuscita del suo intento.
«Lavoro?» domandò la mora, curiosa di sapere con chi si stava intrattenendo, ma soprattutto per togliersi dall’imbarazzo della scena muta che sarebbe sicuramente venuta dopo il classico “ciao”.
Notò il bruno deglutire in maniera nervosa per poi grattarsi la testa e voltarsi da un’altra parte, prima di risponderle poco convinto.
«No, era mia… madre!» Arrossì, facendole credere che fosse per l’imbarazzo e non perché le stesse mentendo, visto che era al telefono con Isabella, la quale, dopo aver scoperto di Pasquetta, aveva pensato bene di autoinvitarsi per festeggiare con loro. Avrebbe dovuto accennarlo a quella bella mora che gli stava accanto, ma pensò di tergiversare, optando per un’innocua bugia.
Sophie sorrise dopo la dichiarazione di lui, trovandolo estremamente dolce e amorevole.
«Attento, Motolese; si vedono i tuoi sentimenti! Che ne sarà della tua fama di seduttore senza cuore, se lo raccontassi in giro?» lo canzonò lei, sollevando un sopracciglio e sorridendo maliziosamente.
Il bruno decise di stare al gioco, allungando le braccia verso i polsi della ragazza per tirarla a sé, azzerando le distanze che li tenevano lontani e poterla toccare nuovamente, lasciandola sbigottita.
Francesco sentiva l’esigenza di sfiorare quella pelle diafana ogni qualvolta le fosse vicino; l’odore di Sophie era diventata la sua dipendenza e lui non avrebbe mai voluto smettere di provare quello splendido stupefacente, perché da quando l’aveva incontrata si era finalmente sentito vivo, come se la sua esistenza fosse un perenne giro sulle giostre.
«Potrei pensare di appendere le scarpette al chiodo per quella giusta. La mia fama diverrebbe quella di un ex rubacuori troppo tenero, oltre che estremamente sexy, che si è lasciato fregare da due meravigliosi smeraldi verdi…»
A quelle parole, il cuore di Sophie intraprese un’assordante marcia, la quale poteva essere udita persino nel paese vicino, pensò lei. Sentì lo stomaco attorcigliarsi in una morsa che le causò una leggera difficoltà respiratoria, costringendola ad aprire la bocca per poter respirare aria nuova.
Puntò i suoi occhi su quelle labbra, piegate in un sorriso sghembo, lo stesso che le provocava da sempre un profondo desiderio di sfiorare quella bocca con la propria, dando il via a un bacio che racchiudeva sette anni di totale repressione.
Avrebbe di certo compiuto quel passo, se solo l’immagine di Isabella non le si fosse palesata davanti, ricordandole la situazione sentimentale di lui e di come quelle parole, seppur bellissime, non coincidessero con i fatti.
«Buona ricerca allora!» si limitò a rispondere lei staccandosi dalle sue braccia, a malincuore, per avvicinarsi alla portiera del lato passeggero.
«Coraggio, che la spesa non si fa da sola!» esclamò, lasciando ancora una volta turbato quel ragazzo che non comprendeva quei suoi continui cambi di umore.
“Ah, le donne!” 
✿..:* *.:.✿
 
Erano passate due ore dal loro arrivo al supermercato e Sophie sì sarebbe volentieri sparata alla testa. Era consapevole che il sabato quel posto sarebbe stato caotico, ma non immaginava che lo fosse in quel modo.
Avevano riempito il carrello di costine, cosce di pollo, verdura e frutta; gli affettati erano stati consegnati quella stessa mattina dal loro fornitore e Francesco aveva abbondato con la quantità di salame perché sapeva che la golosona al suo fianco ne andava ghiotta.
Mancavano solo gli ingredienti per i dolci, che si erano offerte di preparare lei e Mia, da sempre appassionate di cucina, ma il bruno insisteva a voler prendere qualcosa in pasticceria poiché era impensabile preparare torte o altro per venti persone.
«Ma che problemi hai se prendo gli ingredienti e li pago di tasca mia?» domandò stizzita lei, alzando di qualche tono la voce.
«Perché non voglio morire avvelenato dal tuo tiramisù. Sono sicuro che nel mio piatto metteresti un lassativo o qualcos’altro per puro divertimento» controbatté lui, sperando di smorzare quella inutile discussione e farla sorridere.
Purtroppo il risultato non fu quello sperato, infatti la mora spintonò il ragazzo per impossessarsi del carrello e poterlo spingere nella corsia dove avrebbe trovato il necessario per preparare qualche leccornia. Il bruno, senza usare troppa forza, la spostò e ritornò in possesso dell’oggetto, muovendosi in direzione delle casse.
«Il carrello lo guido io, quindi decido io! Andiamo a pagare, forza.»
Sophie, completamente furiosa con quello screanzato si mise a correre come una furia, lasciandolo da solo in mezzo a farine e glassa, non sapendo se aspettarla o inseguirla. Restò in attesa del suo ritorno per alcuni minuti, finché non la vide ricomparire soddisfatta, spingendo un carrello vuoto.
Francesco scoppiò a ridere, stupito dal gesto di lei; si rese conto che non sarebbe mai riuscito a domare quella ragazza dal carattere ribelle e la cosa lo attizzò tremendamente.
La mora lo osservava sorniona, conscia di aver vinto una nuova battaglia con l’imperturbabile Motolese.
«Se non ti dispiace, dovrei prendere alcune cose riposte proprio dietro la tua schiena… potresti spostarti?» chiese annoiata, celando quanto quei continui stuzzicamenti le piacessero.
Il bruno decise di proporle una sfida, in modo da farla desistere da quella sua insensata ostinatezza.
«Che ne dici di fare una scommessa?» Gli smeraldi di lei si illuminarono a quella parola; era troppo orgogliosa per rinunciare a quella provocazione, così lo spronò a proseguire.
«Gareggiamo coi carrelli; chi arriva per primo a fondo corsia vince. Se sarai tu ti lascerò prendere tutto quello che vorrai e pagherò io, se invece a vincere sarà il sottoscritto smetterai di opporti e mi accompagnerai in pasticceria a scegliere i dolci.»
Si bloccò per osservare il volto della ragazza, intenta a riflettere su quella proposta allettante, notandone i lineamenti distesi.
«Allora, ci stai?» le domandò mordendosi il labbro, elettrizzato da quella nuova competizione, desideroso di gareggiare ancora una volta contro di lei.
«Ci sto!»

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Capitolo 34
*** Capitolo 33 - Fugace utopia ***


«Allora, com’è stato perdere?» chiese uscendo dal supermercato, stringendo le buste della spesa tra le mani. Camminarono l’uno affianco all’altra, giungendo alla vettura del ragazzo e caricando le borse di plastica piene di cibo nel baule.
Al termine di quella gara nessuno dei due aveva più proferito parola, se non per quell’istante di esultanza dopo aver valicato il traguardo. Il bruno per rispettare la sofferenza di lei, mentre Sophie per l’amaro che quella sconfitta le aveva lasciato; odiava perdere.
«Dai, Soph, non tenere il muso; c’è sempre una prima volta nella vita e questa è la tua. Segna questa data sul calendario per aver perso la tua prima gara sui carrelli!» la canzonò lui, trattenendo la risata che gli era nata spontanea osservando il viso corrucciato della ragazza.
La mora assottigliò gli occhi, fulminandolo con il suo sguardo di ghiaccio, e si avvicinò a Francesco, alzandosi in punta di piedi per rubargli gli occhiali da sole che teneva poggiati sulla testa.
«Questi li prendo io, per ora!» Indossò i Ray-Ban a goccia e raggiunse il sedile passeggero per allontanarsi dall’avversario che l’aveva sconfitta malamente. Se non fosse stato per la signora spuntata all’improvviso e che le aveva bloccato la fuga, costringendola a frenare per non andarle addosso, avrebbe sicuramente battuto quello spaccone, aggiungendo quella vittoria a tutte le altre.
Il bruno la raggiunse nella vettura, spinse il pulsante di accensione e ingranò la retro, allontanandosi dal parcheggio del supermercato per immettersi sulla strada principale.
«Scegli tu la pasticceria; guarda quante concessioni che ti sto facendo e tu non fai nemmeno un sorriso…»
La guardò con la coda degli occhi, prestando maggiore attenzione alla carreggiata, ma senza perdersi quel suo moderato sorriso, che si era premunita rapidamente di dissimulare, fingendo uno sbadiglio e portandosi la mano davanti alla bocca.
«Come si accende la musica in questa sotto specie di astronave?» domandò lei, cercando di cambiare argomento e studiando confusa tutti quei pulsanti sul cruscotto.
Uno schermo rettangolare interattivo mostrava alcune icone, come se fosse un piccolo tablet posizionato all’interno della vettura.
«Premi la freccia sulla destra, dopodiché scegli la cartella Moto; c’è la mia playlist» la indirizzò, prendendo la strada opposta a quella che portava a casa della ragazza, troppo intenta a smanettare con la radio per accorgersi della sua mossa.
«Trovata; speriamo ci sia musica decente e non quella pallosa che ascoltavi un tempo!» lo beffeggiò lei, schioccando la lingua sul palato dopo l’occhiata torva di Francesco.
*Sto pensando a te mentre cammino, mentre parlo, mentre rido, mentre respiro…*
 
Le parole di Vasco Rossi la colpirono come una sberla in pieno viso, costringendola ad abbassare lo sguardo, mentre il bruno tornò a prestare attenzione alla strada, con una leggera tachicardia nel petto. Ancora una volta era una canzone a dar voce ai suoi sentimenti, proprio come la sera prima al Silent Party.
 
*Sto pensando a te mentre mi spoglio di ogni orgoglio, mentre guardo il mio destino…*
 
Sophie non sapeva come mostrarsi nella sua totalità a quel ragazzo; troppe cose la frenavano a essere sé stessa e a dichiararsi apertamente. Il muro che aveva issato per proteggersi era ancora alto, eppure, alcune volte, le sembrava sul punto di cedere. Quando si perdeva negli occhi profondi come l’oceano di lui per esempio; in quei momenti si sentiva libera di lasciarsi andare, rischiare di cadere e di farsi male, perché per lui ne valeva la pena.
Non voleva perderlo, dal momento che le sembrava finalmente vicino, però la paura la bloccava, rendendo vani quei suoi piccoli passi di avvicinamento fatti senza accorgersene.
 
*Cosa faresti al posto mio, se ogni pensiero… se ogni pensiero fossi io?
Cosa faresti tu?*

 
Francesco avrebbe tanto voluto porle quella domanda, visto che lei era diventata il centro di ogni suo pensiero, la sua ossessione che non gli dava pace e che avrebbe voluto viversi a trecentosessanta gradi, ma si limitò a stringere il volante, terrorizzato da quello che la mora avrebbe potuto rispondergli. Si diede dello stupido, perché alcuni gesti di lei lo avevano fatto illudere in un forte interesse nei suoi confronti, ma ogni azione volta a farlo sperare, ne richiamava un’altra che smontava il proprio castello, trasformando in carta quello che lui considerava solido cemento.
Pensò che fosse meglio godersi quella fugace utopia, piuttosto di una batosta che gli avrebbe distrutto il cuore in mille pezzi.
 
*Cosa faresti tu? Cosa faresti tu?*
 
Sophie non era una fan del Blasco, tutto il contrario, eppure quella canzone la sentì dentro, desiderosa di conoscere la risposta del bruno se a farle quella domanda fosse stata lei, ma non proferì parola, conscia che i pensieri del ragazzo fossero rivolti solo a Isabella.
 
✿..:* *.:.✿
 
«Grazie per la torta, ma mi scoccia che sia tu a pagarla…»
Uscirono dalla pasticceria con una cheescake senza glutine alle fragole, acquistata dal ragazzo con la speranza di rallegrare la sua accompagnatrice, dopo la sonora sconfitta che le aveva rifilato, e magari riavere indietro i propri Ray Ban, i quali erano fissati sulla testa di lei da quando il tramonto aveva iniziato a scemare.
«Non c’è problema; certo che diciotto euro per quella tortina è un’esagerazione…»
Sophie rise all’affermazione di lui, pronta a rifilargli una stoccata vincente.
«Se tu mi avessi fatto acquistare gli ingredienti per prepararla, avremmo certamente risparmiato!»
Allungò il passo, arrivando per prima alla macchina per poi salire al suo posto, raggiunta dopo poco dal bel bruno.
«Portiamo le cose al bar e poi ti accompagno a casa o preferisci che passi prima da te?» domandò, speranzoso che lei scegliesse la prima ipotesi, così da poter trascorrere altro tempo insieme.
Sophie però rifletté sul percorso che lui avrebbe dovuto fare dalla pasticceria per raggiungere lo Starlight e il suo appartamento era proprio a metà strada.
«Forse è meglio se lasci me a casa per prima, così non dovrai tornare indietro appositamente per me.»
Dentro di sé sperava che Francesco le avrebbe risposto che non sarebbe stato un problema ripetere il percorso, pur di stare in sua compagnia, ma poi trovò quel pensiero assurdo; bellissimo sì, ma irrealizzabile. Dal canto suo, il bruno interpretò quel riscontro come un chiaro segno del disinteresse di lei, mascherato dalla sua voce dolce e soave.
«Okay…» fu l’unica parola pronunciata dal ragazzo, prima di avviare il motore e partire.
La mora si rattristì, dandosi dell’idiota mentalmente più volte durante quel tragitto, trascorso in completo silenzio, senza nemmeno la musica a far loro compagnia.
Quando arrivarono nel parcheggio sotto casa di lei era ormai sera e il cielo azzurro aveva lasciato il posto al blu della notte, con alcune stelle che brillavano luminose in quel firmamento.
Il cuore di Sophie iniziò a palpitare trepidante, aspettandosi un saluto come nei film d’amore, con un bacio appassionato che avrebbe fatto sospirare d’emozione la protagonista per tutto il tempo.
«Grazie per la compagnia e per la vittoria da aggiungere alla mia innumerevole lista…» la canzonò volutamente, sapendo quanto la sconfitta le bruciasse ancora; si sarebbe divertito a non fargliela dimenticare. La mora si volto verso di lui e assottigliò gli occhi, provocandogli una maggiore ilarità.
Quella omerica risata, per lei, era come il sole dopo una tempesta; riusciva a trasmetterle serenità e gioia, cancellando l’espressione corrucciata dal suo volto.
«Non farci l’abitudine, Motolese insolente; voglio la rivincita e lì ti farò il culo a strisce, puoi giurarci!» affermò, guardandolo con baldanza, scaturendo in lui il desiderio di tapparle la bocca tirandola a sé e baciandola con ardore.
«Secondo me sarà il tuo bel culetto a fare una brutta fine!»
Francesco si avvicinò a lei con il viso, fermandosi a pochi centimetri da quelle labbra rosee, le quali si erano leggermente schiuse involontariamente. Le slaccio la cintura, accompagnandola in un gesto lento lungo il suo addome, passando in mezzo a quei seni tondi e invitanti, salendo verso la spalla per fermarsi su quel viso leggermente arrossato, provocandole mille e più brividi sotto la pelle. Deglutì a fatica, sentendo il respiro caldo di lui troppo vicino; lo voleva, eccome se lo voleva.
Dovette combattere con tutte le sue forze per non buttarcisi addosso, ma ci riuscì, lasciando che la mente riprendesse il controllo del suo corpo. Si beò per qualche secondo di quella carezza sul volto, chiudendo gli occhi, percependo quelle dita calde che sapevano accenderla come nessun’altro prima di allora era riuscito a fare.
Appoggiò la mano sopra la sua, schiudendo le palpebre e puntando i suoi smeraldi nelle pozze profonde di lui, abbassandogliela per scostarla dal propria viso, ma accompagnandola con dolcezza fino al bracciolo di pelle nera posizionato tra i due sedili.
«Ci vediamo lunedì, Motolese rubacuori.»
Appoggiò i Rayban al cruscotto e gli schioccò un rapido bacio sulla guancia per poi andarsene, lasciando il ragazzo nuovamente confuso e amareggiato; sospirò mesto, prima di allontanarsi da quella tormentosa ossessione.

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Capitolo 35
*** Capitolo 34 - Pasqua con i tuoi... ***


Sophie restò nella sua Smart per quindici minuti, parcheggiata sotto casa della madre, a riflettere su come avrebbe potuto dare la notizia della sua separazione con Daniele; non trovava il coraggio, né le parole giuste per rendere il colpo meno duro alle sue due donne. Prese un profondo respiro e scese dall’auto, dirigendosi verso i cinque scalini di cemento e trovandosi di fronte all’enorme portone in vetro. Citofonò alla nonna, la quale le aprì dopo pochi istanti.
Salì i gradini di marmo bianco con una lentezza disarmante, aggrappandosi alla ringhiera come era solita fare quando viveva in quell’appartamento e doveva incoraggiarsi ad affrontare qualcosa che le induceva ansia.
«Oh, ce la facciamo prima di Natale a salire?» La voce acuta dell’anziana risuonò nell’atrio, giungendo alle orecchie della ragazza, facendola ridere.
«Sì, nonna, sto arrivando.»
Espirò profondamente e percorse gli ultimi pioli, giungendo davanti alla donna dai mossi capelli color cenere, che la scrutava severa dietro gli occhiali rettangolari.
«Hai pregato il Signore mentre salivi le scale? Dovevi andare a messa allora!» affermò seria, portandosi le mani ai fianchi e mostrando fiera il suo grembiule rosso, colore che evidenziava quella sua rotondità addominale, con la scritta “Bacia lo chef”, regalo di alcuni Natali passati.
La mora abbracciò quella finta bisbetica, inalando l’odore di biscotti che l’accompagnava dall’infanzia, mischiato al suo profumo al sandalo.
«Hai ragione, nonnina. Sono già arrivati tutti?» le chiese sciogliendosi da quella stretta, osservando il volto della donna ormai segnato dall’età, ma che per lei era ancora stupendo e amorevole. Agli angoli degli occhi, sulla fronte e ai lati della bocca aveva delle profonde rughe di espressione, esse però non intaccavano di certo il suo spirito giovanile; l’anziana signora era sempre truccata di tutto punto e vestiva in maniera impeccabile, perché, a detta sua, non si sapeva mai chi sarebbe capitato a casa senza essersi annunciato, quindi bisognava essere sempre pronti.
Per quell’occasione aveva optato per un ombretto marrone, il quale risaltava il verde marino delle sue iridi, un po’ di fard e un rossetto rosso acceso.
«No, c’è solo tua madre che come al solito è spaparanzata sul divano a guardare la tv. La prenderei a calci nel sedere guarda!»
Sophie scoppiò in una nuova risata, sciogliendo quel nervoso che l’aveva accompagnata nelle ultime ore, il quale non la fece nemmeno dormire serena nelle notti passate.
«Ti vedo un po’ sciupata, bambina mia; non starai facendo qualche assurda dieta vero? Guarda che il culetto a mandolino, bello come il tuo, piace agli uomini; chiedilo a Daniele!»
Mariacarla allungò lo sguardo per cercare il ragazzo appena nominato, servendo una doccia fredda alla nipote che tornò a sentirsi il petto stretto in una morsa.
«Entriamo in casa, devo dire una cosa a te e alla mamma!» esclamò risoluta, prendendo la nonna, di almeno dieci centimetri più bassa, sotto braccio, conducendola nel piccolo appartamento.
Un profumo di arrosto le riempì le narici, aprendole leggermente lo stomaco; se non si contava la pizza del venerdì sera, quella settimana la mora aveva mangiato poco e nulla. I sensi di colpa nei confronti del suo ex fidanzato le toglievano l’appetito e la voglia di cucinare, preferendo sostituire la cena con tè caldo e biscotti secchi.
Una volta chiusasi la porta alle spalle, il suo sguardo cadde inevitabilmente sul divanetto verde alla sua destra, dov’era accomodata la madre in un abito a fascia lungo e nero.
«Samanta, è arrivata Sophie!»
La voce dell’anziana la portò a voltarsi verso le due, sorridendo alla sua piccola e bellissima creatura. Si alzò e raggiunse la figlia, abbracciandola forte.
«Piccola mia, come stai?» domandò sorridendo. I suoi zigomi si alzarono proprio come succedeva a Sophie, enfatizzando le loro infinite somiglianze: stesso colore di occhi e capelli, medesima forma ovale del viso e identico pallore della pelle. Solo il naso e le labbra erano ereditari della famiglia Targa, niente di più, e di quello la ragazza ne era estremamente felice.
«Non c’è male… sediamoci un attimo, devo comunicarvi una cosa importante» disse in modo pacato la più giovane in quella stanza, mascherando nel miglior modo possibile la sua agitazione.
Si appoggiò all’angolo destro del divano, permettendo alle altre due donne, piuttosto preoccupate, di prendere posto vicino a lei.
«Veloce, che si attacca la polenta altrimenti» la ammonì la nonna, in realtà più in pena per la nipote che per il cibo; voleva strappare il cerotto in maniera rapida, invece che prolungare l’agonia.
Sophie prese un nuovo profondo respiro, chiedendo ancora una volta aiuto al suo cuore per riuscire esporre la situazione nella maniera corretta.
«Io e Daniele ci siamo lasciati; ho capito di non amarlo più e non volevo prendere in giro me stessa, ma soprattutto lui, portando avanti una relazione solo per l’affetto che ci lega» disse tutto d’un fiato, abbassando il viso verso il pavimento di graniglia dalle sfumature acromatiche, tipico degli anni sessanta, per distogliere lo sguardo dagli occhi già lucidi della madre.
«Gli voglio bene, dopo tutti questi anni assieme sarebbe impossibile il contrario, ma non provo altro e lui si merita una persona che sappia amarlo alla follia… e io non sono quella persona!»
Una lacrima fuggì anche alla giovane, che se l’asciugò rapidamente prima di rialzare il volto verso coloro che l’avevano cresciuta con amore, insegnandole i valori importanti della vita.
«Hai un grande cuore, piccola mia!» La madre abbracciò la sua bambina, mentre la nonna le accarezzava la mano posata sulla schiena di Samanta.
«Ora finiamola con ‘ste cagate da sole, cuore e amore. Vado a girare la polenta, voi preparate la tavola che tra poco arriveranno anche gli altri.»
Regalando alla nipote un sorriso confortante, Mariacarla si allontanò dirigendosi verso la cucina, lasciando le due donne a coccolarsi ancora per qualche secondo, prima di mettersi all’opera, eseguendo gli ordini impartiti da quella vecchia dittatrice dal cuore d’oro.
Allungarono il tavolo in legno laccato di un verde pino, stesso colore del mobile da soggiorno alle loro spalle e delle sedie; l’arzilla nonnina ci teneva che le gradazioni nella stanza fossero omogenee. Posarono una tovaglia color sabbia, insieme ai tovaglioli del medesimo colore, il servizio di piatti bianchi adornati da forme geometriche color crema, i bicchieri semplici e trasparenti per l’acqua, i calici per il vino e, per finire, le posate in argento lucidate a dovere.
Samanta portò dalla cucina alcuni affettati e formaggi per l’antipasto, mentre Sophie tirò fuori dalla borsa il suo pane senza glutine confezionato.
Nel momento in cui Mariacarla posò in tavola le patatine di mais suonò il citofono; la famiglia era al completo e il pranzo di Pasqua sarebbe finalmente iniziato.
 
✿..:* *.:.✿
 
Francesco prese posto sulla sedia in pelle bianca, vicino alla sua splendida nipotina dai lunghi capelli biondi, raccolti in una treccia laterale, e di fronte al cognato con gli stessi occhi color del cielo della figlia.
«Zio, finalmente ti sei svegliato!» La piccola Giada si allungò sulla seggiola per abbracciarlo e schioccargli un sonoro bacio sulla guancia. Il loro rapporto era molto solido, essendo cresciuta nella stessa casa insieme a lui e ai suoi genitori. La piccolina aveva da poco compiuto i dieci anni e i suoi lineamenti infantili stavano lasciando il posto a quelli preadolescenziali, causando non pochi timori al padre iperprotettivo e super geloso. Il volto ovale e le labbra carnose a cuore erano come quelle della madre, così come il color paglierino dei capelli, mentre l’altezza e le iridi azzurre erano state tramandate da lui, un omone ben piazzato che portava i capelli rasati e un leggero strato di barba color cenere a incorniciargli il viso squadrato.
«Luca, non sei di turno oggi?» domandò il bruno al cognato, infermiere da anni nella clinica privata della città. L’uomo mandò giù il pezzo di pane che aveva appena sgraffignato dalla tavola, prima di portare l’attenzione su Francesco.
«No, oggi mi hanno messo di riposo; in compenso domani avrò mattina e pomeriggio impegnati al pronto soccorso, a fare lavande gastriche ai classici ubriaconi che non sanno regolarsi nelle giornate di festa» sospirò amareggiato, consapevole dell’inferno che l’aspettava l’indomani al lavoro, ingurgitando un altro pezzo di rosetta.
«Sta arrivando il coniglio» una voce armoniosa e carezzevole giunse dalla cucina, separata dal soggiorno imponente da una semplice porta scorrevole di legno bianco. Quella stanza era decorata di un color tortora sia sul soffitto che sulle pareti, mentre il pavimento era rivestito con del parquet chiaro.
Sotto alla tavola e alle sedute era posizionato un tappeto di pelo beige, mentre alla loro sinistra giaceva un divano angolare da sei posti in tessuto maggese, rivolto verso la parete modulare sospesa, con un mobilio dai toni caldi del marrone e del bianco; il tutto era completato da un televisore cinquanta pollici, anch’esso appeso.
La donna posò la pietanza sul tavolo ovale in vetro, coperto da una tovaglia di stoffa avorio, ricamata con forme ellittiche grigie, prendendo posto vicino al marito per essere frontale alla figlia.
«La mamma sta arrivando con le patate!» Sorrise Isabella a Francesco, servendo la carne al sugo nei vari piatti.
Come se fosse stata annunciata, la vedova Motolese si palesò con la sua innata eleganza e quel sorriso leggermente tirato sul viso. Per l’occasione aveva scelto un vestito in raso blu elettrico con le maniche lunghe, il quale scendeva morbido fino alle ginocchia, evidenziando la sua vita sottile e le gambe longilinee. Sul suo volto i segni del tempo e della sofferenza erano ben marcati, ma ciò nonostante la raffinatezza di lei era impossibile passasse inosservata.
Appoggiò sulla tavola imbandita il contorno, dopodiché prese posto a capotavola, alla destra dei due ragazzi.
«Sembra un secolo che non pranziamo insieme, nonostante viviamo tutti sotto lo stesso tetto» affermò la donna, osservando tutti i presenti seduti, regalando un sorriso amorevole alla sua nipotina.
Dopo la morte del marito, avvenuta per un infarto improvviso alcuni anni prima, Paola aveva passato un brutto periodo di depressione che la costrinse a letto per mesi. Entrambi i figli erano tornati a vivere con lei per non lasciarla sola e aiutarla a superare quel trauma, difficile da affrontare anche per loro, soprattutto per il bruno, il quale aveva sempre avuto un rapporto molto speciale con il padre, per lui un punto di riferimento, un amico e un eroe da voler imitare. C’erano voluti molti mesi prima che la madre riuscisse a metter piede fuori dalla sua camera e tanti altri prima che arrivasse a uscire di casa, anche solo per affrontare una passeggiata al parco di fronte, ma alla fine si era ripresa, soprattutto grazie al calore di quella famiglia così unita. Fu solo grazie a quest’ultima, infatti, se non si era lasciata andare all’oblio profondo in cui si era rinchiusa; voleva essere forte per loro e vivere appieno la gioia di essere nonna di una bambina così splendida e buona come la piccola Giada.
«Dillo a tuo figlio, mamma; da quando ha aperto il bar passa tutto il suo tempo lì!» rispose leggermente indispettita Isabella, producendo una smorfia laterale con la bocca, impegnata a servire la pietanza nel proprio piatto.
«Principessa, ti manca il tuo adorato fratellino?» chiese beffardo, sapendo quanto quel nomignolo la facesse adirare.
«Strozzatici con quel coniglio!»
Con le risate che si espansero per quelle quattro mura, anche il loro pranzo pasquale ebbe inizio.
 
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Giada correva nel giardino, cercando di catturare una piccola ranocchietta che si era infilata nella loro proprietà. Madre e figlia erano impegnate a sistemare la cucina e il soggiorno, dopo l’abbuffata di cibo, uova al cioccolato e colombe, appena terminata.
Francesco e Luca erano invece seduti in veranda, sul divanetto in vimini marrone e il comodo materasso completo di cuscini color panna, a sorseggiare il loro amaro e a fumarsi una sigaretta.
Era un pomeriggio piuttosto afoso per essere aprile e il sole splendeva alto nel cielo, riscaldando l’arietta leggera.
Dopo una profonda boccata di fumo, il bruno si girò verso il cognato dai profondi occhi color del cielo, sperando di trovare in lui un supporto, ma soprattutto un aiuto.
«Luca, ho bisogno di un consiglio…» lasciò volutamente la frase in sospeso, catturando così l’attenzione del ragazzo piuttosto preoccupato dinnanzi a quella richiesta; il suo pensiero andò direttamente verso l’ambito sanitario, visto che era lui l’esperto della famiglia.
«Ti prego, dimmi che non ti sei beccato la sifilide! Ti ho detto mille volte di usare il preservativo e-»
Francesco silenziò l’altro portandosi l’indice al centro della bocca, andando a toccare la punta del naso, dopodiché si guardò in giro, controllando che non fosse uscita nessuna delle due donne e che la nipotina fosse ancora interessata a rincorrere il piccolo animaletto salterino.
«Che cazzo urli!» bisbigliò il bruno, facendo un altro tiro della sua Marlboro Light, prima di proseguire il suo discorso.
«Ho sempre fatto sesso protetto, cretino! Non mi serve un parere medico, ma… sentimentale…» pronunciò quell’ultima parola in un sussurro, tant’è che il ragazzo al suo fianco gli chiese di ripetere, provocando un profondo imbarazzo al povero Francesco.
Per lui erano tutte cose nuove; non aveva mai voluto una ragazza per più di una o al massimo due notti, ma con Sophie desiderava di più… molto di più.
Aveva l'intenzione di corteggiarla nel migliore dei modi, di farla innamorare pazzamente ed essere degno di starle affianco; voleva presentarla alla propria famiglia, conoscere quella di lei e svegliarsi ogni giorno con lo splendido e caldo corpo di quella mora insolente, attaccato al suo.
«Tu come sei riuscito a far innamorare mia sorella?»
Spense la sigaretta e osservò Luca, il quale sorrise sognante al ricordo del corteggiamento di quella bionda seducente che l’aveva fatto capitolare a prima vista. Gli occhi azzurri di lui sembrarono animarsi di una luce nuova, mentre percorrevano nella mente dei veloci flashback della sua storia d’amore. Imitò il gesto del bruno, accartocciando nel posacenere la Marlboro, tornando poi ad accomodarsi contro lo schienale e stringendo un cuscino contro l’addome.
«Non c’è una maniera giusta per conquistare il cuore di una donna, perché ognuna di loro è diversa e apprezza cose differenti; io sono stato me stesso, con i miei pochi pregi e i miei mille difetti. Le ho mostrato Luca Davinci a trecentosessanta gradi, senza nascondermi o voler sembrare perfetto.»
Francesco rimase colpito da quelle parole, incredulo che bastasse essere sé stesso per conquistarla.
Eppure, la prima volta c’era riuscito senza fare sforzi, anche se poi con la stessa facilità l’aveva ferita, portandola ad allontanarsi da lui.
«Se vuoi un consiglio, Fra, parlale sinceramente e confessale quello che provi. Non nasconderti dietro al tuo orgoglio o alla paura di un rifiuto, ma cogli l’attimo e dichiarati. Il dialogo è alla base di ogni relazione e se si è sinceri fin dall’inizio, le cose non potranno che incominciare nei migliori dei modi.»
Il rumore della porta interruppe quel momento di confidenza tra ragazzi, lasciando al bruno molto su cui riflettere. Isabella si sedette in mezzo, tra il marito e il fratello, rubando a quest’ultimo una sigaretta, per poi accendersela e appoggiarsi con la testa sulla spalla del suo amato, stringendo la mano di Francesco tra le sue.
«Di che parlavate, voi due?»
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Non avendo ancora digerito le infinite leccornie cucinate sapientemente dalla nonna, Sophie non ebbe nessuna voglia di prepararsi la cena, quindi optò per una tisana al finocchio. Erano quasi le nove di sera e non era affatto intenzionata a uscire, bensì si sarebbe sparata una maratona delle puntate di Grey’s Anatomy sul divano, indossando la sua immancabile felpa bordeaux con cappuccio, sul quale erano state cucite orecchie e corno, con la scritta I’m a Unicorn e i pantaloncini bianchi con disegnati arcobaleni, nuvolette e unicorni; non era della stessa idea della nonna sul mantenersi impeccabile anche nella tenuta casalinga, perché sapeva che gli unici a presentarsi a casa sua senza essere annunciati erano i corrieri di Bartolini, ma non sarebbero certo capitati la sera di Pasqua.
Dopo essersi legata i capelli in uno chignon morbido, con alcuni ciuffi che le ricadevano ai lati del viso ancora truccato, estrasse dal microonde la sua tazza mug, decorata con i fenicotteri dorati, e gettò due cucchiaini dell’infuso granulato, mescolandolo e chiudendo il tutto con il suo apposito tappo in gomma col foro, creato per far uscire il liquido caldo.
Sì andò a sistemare sul divano, dalla parte della penisola, con il telecomando nella mano destra e la tazza e il cellulare appoggiati al bracciolo alla sua sinistra; cercò la puntata nell’on demand e dopo averla trovata cliccò su play, sorseggiando un po’ della sua tisana.
Un sms su Whatsapp la distolse dalla visione, portandola a gettare un occhio distratto sul display illuminato, per poi perdere un battito nel vedere il mittente: Motolese Scortese.
“Sei a casa?”
L’anteprima del messaggio l’aveva gettata in una profonda crisi mistica, mandandole il cervello in standby per diversi secondi. Iniziò a galoppare con la fantasia, immaginandosi uno scambio di messaggi che l’avrebbe portata a un appuntamento romantico improvvisato, dove si sarebbero scambiati un bacio passionale e lui le avrebbe dichiarato il suo amore, finendo poi con l’uscire da una chiesa con l’abito bianco, tenendosi per mano accompagnati dal loro miglior sorriso, sotto il lancio impazzito dei chicchi di riso.
Fu il trillo del citofono a ridestarla, portandola a chiedersi chi potesse essere a quell’ora e augurandosi che non fosse il povero Daniele, il quale non aveva ancora compreso la loro rottura. Si alzò dalla sua postazione, avvicinandosi all’apparecchio bianco appeso al muro, all’angolo sinistro della cucina.
«Sì?» domandò incerta, leggermente intimorita.
«Corriere di biscotti senza glutine! Mi fai entrare?» La voce calda di Francesco portò il cuore di lei a rianimarsi in quella abitudinaria maratona, lasciandola interdetta con il dito sospeso vicino al pulsante. Non poteva credere che lui fosse lì, pronto per entrare in casa sua, e che le avesse portato addirittura del cibo.
“Ma dove cavolo li aveva trovati dei biscotti senza glutine la domenica di Pasqua?” si ritrovò a pensare, dimenticandosi della persona dall’altro capo della cornetta che stava attendendo una risposta.
«Sophie; ci sei ancora?» quella domanda la fece tornare alla realtà, portandola ad aprirgli  e a maledirsi per non aver ascoltato il consiglio saggio della sua adorata nonnina.
Lo aspettò sull’uscio della porta d’ingresso, restando senza fiato nel vederlo salire le scale dell’atrio con quella sua innata eleganza, vestito con dei jeans neri con alcuni strappi sulle ginocchia, una felpa con cappuccio dello stesso colore della sua, ovviamente senza la scritta, e ai piedi le Silver argento; tra le mani teneva un sacchetto di plastica bianca e un uovo di cioccolata della Kinder.
Il bruno deglutì profondamente nel notare le gambe nude della mora, avvolte in quei pantaloncini troppo corti che non le nascondevano affatto le forme sinuose e seducenti. Si costrinse ad alzare lo sguardo per evitare che dei pensieri impuri si impadronissero della propria mente, i quali lo avrebbero costretto a inchiodare la sua ossessione alla porta e a baciarla con irruenza, accarezzando ogni centimetro di quella pelle morbida e invitante. Notò la scritta bianca sulla felpa della ragazza, trovandosi ad alzare un sopracciglio e a mordersi il labbro per trattenere un risolino divertito.
Quando puntò i suoi occhi in quelli di Sophie si trovò trasportato in un mondo lontano, perdendosi nella profondità delle sue iridi verdi, così espressive e brillanti, come se fossero due stelle; le sue stelle personali che gli avrebbero indicato la strada di casa anche in una giornata uggiosa, perché il suo cuore ormai apparteneva a quella sfrontata e la sua anima l’avrebbe ricondotto sempre da lei.
Se solo lei avesse potuto vedersi con i suoi occhi, avrebbe capito le emozioni che gli scaturiva nel petto, le quali lo portavano a volerla accanto ogni secondo, perché, quando non c’era, sentiva mancare una parte importante di sé stesso che mai avrebbe creduto potesse esistere e che solo lei era in grado di fargli provare.
«Buona sera, Khaleesi, disturbo?» chiese con il suo solito sorriso sghembo, il quale provocava in lei un turbinio di emozioni che partivano dal basso ventre. La mano di lei era ancora appoggiata allo stipite della porta, stringendolo con energia per trovare la forza di rispondergli e non cedere sotto al suo sguardo di fuoco.
«Che ci fai qui?» Si maledì subito dopo per quel suo stupido quesito, domandandosi perché non avesse trovato niente di più intelligente da dirgli. Fortunatamente il ragazzo le sorrise e le fece sventolare davanti al volto il sacchetto di plastica bianca.
«Ti ho portato due regali; vuoi lasciarmi fuori o mi fai entrare?»
La mora aprì maggiormente la porta, invitandolo tacitamente ad accomodarsi, chiudendosela poi alle spalle e seguendo ogni suo passo con sguardo attento.
Francesco appoggiò la busta e l’uovo sul tavolo, osservando l’arredamento del soggiorno, soffermandosi sullo schermo del televisore che trasmetteva una donna bionda con i capelli legati in una morbida coda e un camice bianco sopra alla divisa blu da chirurgo.
«Cosa mi hai portato?» gli domandò, avvicinandosi a lui per cercare di intravedere il contenuto all’interno del sacchettino.
«Curiosona! Allora…» Francesco iniziò a estrarre dalla borsa delle uova, seguite dal cacao, il mascarpone, del caffè e infine i savoiardi senza glutine; gli ingredienti per preparare il tiramisù.
«Visto che ci tenevi così tanto a fare il dolce per domani, ho pensato di portarti il materiale per cucinarlo.»
Si voltò verso di lei, per osservare le espressioni del suo viso e scoprire se quel gesto così semplice le avesse fatto piacere. Nel vederla sorridere il suo cuore saltò un battito e il mondo intorno a lui si fermò nuovamente, per osservare quella meravigliosa perfezione; quelle labbra incurvate così piene e morbide che avrebbe baciato per tutto il giorno, soffermandosi sul ricordo di quella sera lontana, l’unica in cui era riuscito ad assaggiarle e a sentirne il calore.
La risata della mora riempì quelle quattro mura e alle sue orecchie nessun suono sembrò mai così melodioso e sensuale; l’avrebbe ascoltata ridere ogni giorno della sua vita ed era sicuro che non si sarebbe mai stufato.
«Non hai più paura che io ti avveleni o che ci metta del lassativo?»
«Ecco perché sono venuto a supervisionare il tuo operato! Una volta terminato lo porterò direttamente allo Starlight, in modo tale che tu non possa fare qualche scherzetto, perché sono sicuro che ne saresti capace!» affermò facendole l’occhiolino, provocando una nuova risata nella ragazza.
«E l’uovo? Guarda che contiene glutine, quindi quello che sta attentando alla mia vita sei tu»
Francesco si portò una mano al mento, fingendo di riflettere sulle parole di lei.
«Cavolo, mi hai scoperto… e io che pensavo di essere stato furbo!»
Sophie lo guardò scettica, alzando un sopracciglio per nulla divertita dalla battuta del bruno.
«Per di più si vede che è stato richiuso, sai? La carta è tutta stropicciata! Mi hai portato i tuoi avanzi?»
Fu il turno del bruno di ridere dopo quell’affermazione, portandosi una mano alla fronte, esasperato dalla continua scarsa fiducia della ragazza.
«Perché non lo apri e vedi cosa c’è dentro?»
Ancora dubbiosa, slegò il nodo che teneva chiusa la carta intorno all’oggetto, scartandolo e restando sorpresa del suo contenuto.
«Tu sei pazzo!» affermò estraendo l’uovo di drago dalle scaglie rosse che andavano a schiarirsi verso il fondo; gadget ufficiale della serie di GOT, appartenente al suo personaggio preferito da cui aveva preso spunto il ragazzo per darle quel soprannome che a lei tanto piaceva.
Lo portò vicino al volto e ne osservò ogni dettaglio, accarezzando le squame ruvide in resina, che andavano a interrompersi pochi centimetri sopra il piedistallo.
«Che Khaleesi saresti senza il tuo drago?» domandò lui in un sussurro, felice per l’emozione che poteva intravedere negli smeraldi di lei, luminosi come non mai.
Sophie appoggiò l’oggetto sul tavolo bianco e si lanciò in un abbraccio che lo sorprese non poco, ma che fu felice di ricambiare, potendola stringere finalmente a sé e inalare il profumo di agrumi dei suoi capelli raccolti.
«Grazie, grazie, grazie! Non avresti dovuto farmi un regalo così costoso!»
Si beò del calore irradiato dal corpo di Francesco, sentendosi in Paradiso stretta tra le sue forti braccia; chiuse gli occhi e si godette quel momento così perfetto, augurandosi che non fosse l’ultimo che avrebbe vissuto insieme a lui.
Con riluttanza si staccò da lui, sicura che se si fosse trattenuta ancora avrebbe potuto commettere azioni azzardate, le quali l’avrebbero portata a soffrire.
«Allora, prepariamo questo tiramisù?»
 
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«Ti sto dicendo che se metto il fruttosio al posto dello zucchero non si va a intaccare il sapore, ma anzi, rende il tiramisù meno dolce.»
Sophie sbuffo, portandosi le braccia ai fianchi, snervata dalla continua insistenza del bruno a voler seguire la ricetta originale e non accettare la sua variante, da sempre apprezzata anche da altre persone nel corso degli anni.
«A me sembra una cazzata sinceramente e poi non lo sai che il fruttosio non fa così bene come si vuol far credere?» rimbeccò lui, impegnato a rompere le uova e dividere i tuorli dagli albumi.
La mora portò gli occhi al cielo, pregando una divinità superiore di dargli la pazienza di non sbattere la testa di quell’affascinante ragazzo, contro il muro; contò fino a dieci prima di rispondergli.
«Quanti tiramisù hai fatto nella tua vita?» gli domandò, sicura che la sua risposta sarebbe stata un enorme zero.
«Nessuno, però mia madre e mia sorella lo preparano spesso e loro non hanno mai usato il fruttosio!»
Si lavò le mani dopo aver spezzato l’ultimo uovo, asciugandosele nello strofinaccio, il quale fuoriusciva dal mobiletto sotto il lavandino.
«Ognuno ha la propria ricetta… c’è chi ci mette il marsala e chi no; chi lo zucchero e chi il fruttosio… vai a contestare ai vegani il loro tiramisù senza uova, invece di infastidire me!» affermò seria lei, dopo aver appoggiato la moka sul piano a induzione, preparando il piatto fondo dove avrebbe riversato il liquido scuro.
«Se fossi stata vegana, non ti avrei mai fatto preparare questo dolce, tranquilla!»
Si avvicinò alle spalle della ragazza, mettendole le mani sui fianchi e avvicinando il proprio corpo al suo, facendola sussultare.
Si beò di quel momento e le schioccò un bacio sulla guancia, prima di allontanarsi con riluttanza; se fosse stato per lui l’avrebbe abbracciata per tutto il tempo e non si sarebbe limitato solo a quello.
Sophie restò di stucco dinnanzi a quel gesto inaspettato, il quale portò il suo cuore a palpitare con impeto. Si portò la mano sul petto per percepirne il battito irregolare, sperando che il calore delle proprie dita potesse quietare quella tensione.
«Ora cosa devo fare?» domandò Francesco, osservando le due ciotole davanti a lui, cercando di portare i propri pensieri sull’organizzazione del tiramisù, lontani da quella splendida insolente e dal desiderio di possederla sul mobilio della cucina.
«Prendi il frustino dal mobile qui sopra.» Indicò lo sportello superiore alla sua sinistra, allontanandosi con un bicchierino contenente il fruttosio e ne versò la metà nella ciotola dei tuorli, approfittando della distrazione di lui.
«Questo?» chiese con la scatola dell’oggetto in mano, sorprendendola in quell’azione fatta alle sue spalle, facendola sussultare per la seconda volta.
«Cosa stai facendo, Sophie?»
La mora, colta con le mani nel sacco, si voltò verso il ragazzo, sorridendogli nella maniera più finta che conoscesse, sperando che non l’avesse beccata nel momento in cui travasava il prodotto nell’impasto.
«Controllavo che avessi diviso bene gli albumi, altrimenti non si sarebbero montati nella maniera corretta!»
Si meravigliò lei stessa della sua prontezza nell’inventare una scusa plausibile, auspicandosi che anche lui le avesse creduto. Francesco si ritrovò a sorridere a quella frase, trattenendosi dal fare una battuta allusiva; poi si ricordò il consiglio del cognato di essere sé stesso, quindi si avvicinò alla ragazza, facendo toccare le punte delle sue scarpe con le ciabatte a forma di unicorno di lei, le scostò una ciocca di capelli sfuggita allo chignon e lasciò il palmo sulla sua guancia arrossata.
«Non preoccuparti, perché so bene come si fa a montare alla perfezione!»
Le pupille di Sophie si dilatarono nell’udire quell’affermazione, deglutendo a fatica. La vicinanza con quell’intrigante non l’aiutava a concentrarsi, sentendosi il viso andare a fuoco.
«Bla bla bla, secondo me sei il classico tutto fumo niente arrosto!» Lo sfidò lei, sapendo di andare a colpirlo nel suo orgoglio maschile, lo stesso che gli aveva fatto accettare la scommessa sette anni prima.
Il sopracciglio castano di lui si alzò, incredulo che quella irriverente gli avesse risposto a tono, nonostante i segnali chiari del suo corpo: pupille che sovrastavano le iridi, viso arrossato, voce tremante e le mani strette al bancone con una forza tale da farle sbiancare le nocche; se avesse voluto dimostrarle quanto si stesse sbagliando, sarebbe riuscito senza fatica, ma il suo corteggiamento era appena iniziato, quindi non poteva permettersi di correre troppo, nonostante lo volesse.
«Vedremo… dove lo attacco questo coso?» domandò staccandosi da lei, cercando una presa libera.
La mora lo ringraziò tacitamente per quel suo cambio di argomento, indicandogli la ciabatta elettrica dietro al microonde.
«Prendo il mascarpone, intanto tu inizia a montare i tuorli e cerca di dargli una consistenza spumosa» ordinò lei, dandogli la schiena per aprire la scatolina di plastica bianca che conteneva il formaggio, strappando poi l’involucro che lo sigillava.
Si avvicinò a Francesco, osservandone il volto concentrato sul suo operato e le venne spontaneo sorridere; per altre persone potevano sembrare attimi piuttosto ordinari, ma per lei erano molto di più, perché passati insieme a lui.
Con un cucchiaio aggiunse il mascarpone al composto giallo, poco alla volta, finché non lo finì, ottenendo una crema densa e invitante che avrebbe gustato volentieri anche così. Il rumore della moka la avvisò che il caffè era ormai pronto per essere versato nel piatto, così spense il piano a induzione e si allontanò verso il bancone dall’altra parte della cucina per prendere i savoiardi.
«Come hai fatto a trovare i biscotti senza glutine?» domandò, mentre apriva la confezione.
Il bruno, dopo aver staccato le fruste per risciacquarle da quel composto, si avvicinò alla destra della ragazza, per raggiungere il lavandino.
«Mia sorella è una ragazza un po’… particolare. Spesso se ne esce con qualche sua nuova trovata, tipo il voler diventare vegetariana o mangiare senza glutine. Il mese scorso si era fissata a voler depurare il corpo dalle tossine della farina, così ha riempito casa di alimenti gluten free di ogni tipo.»
Sophie scoppiò a ridere per l’eccentricità di quella ragazza, immaginandosela nella quotidianità della loro vita.
«Allora qualcuno di simpatico c’è nella tua famiglia» lo schernì, non immaginando la reazione di lui; le sporcò la guancia con il composto di uova, fruttosio e mascarpone ancora appiccicato alla frusta, adagiando poi quest’ultima nella vasca del lavello. Lei si voltò a osservare quello sfrontato, con la bocca spalancata per lo stupore, incredula per l’affronto subito.
«Visto? Anche io so essere simpatico!» la canzonò sogghignando, facendola adirare non poco.
Con un rapido gesto gli rubò la frusta nell’altra mano e cercò di colpirlo nello stesso modo che aveva fatto lui, finendo solo per macchiargli la felpa.
Francesco le bloccò i polsi, tirandola a sé, guardandola dritto negli occhi; il tempo intorno a loro sembrò fermarsi, mentre i loro cuori palpitavano all’unisono, cercando di raggiungersi.
Un leggero torpore investì entrambi in pieno petto, facendo provare loro una sensazione di beatitudine, una serenità insolita che riuscivano a sentire solo quando erano vicini; occhi negli occhi, pelle contro pelle, anime che si fondevano in una sola.
Per lei quello sarebbe stato il momento perfetto per congiungere le loro labbra e dare il via a un bacio senza fine, ma il ragazzo la sorprese, portando la bocca sulla gota sporca, per poi gustarsi la crema con la punta della lingua. Le gambe di Sophie diventarono come gelatina e il formicolio al basso ventre si irradiò in tutto il suo corpo, provocandole brividi caldi ovunque.
Il bruno si allontanò con riluttanza, pregando che non ci fosse un nuovo incontro ravvicinato con lei, perché non sarebbe riuscito a resistere al desiderio di baciarla, nonostante le intenzioni.
«Inzuppiamo i biscotti?»
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Dopo aver cosparso di cacao amaro la superfice di tiramisù, Sophie infilò la pirofila nel frigo, nonostante il dissenso di Francesco.
«Non puoi portarlo fuori subito, deve stare in frigo un paio d’ore per far sì che la crema si rapprenda, altrimenti rimarrà liquida!» cercò di spiegare a quel ragazzo tanto bello quanto testardo, il quale sbuffò dopo aver sentito ripetere la stessa frase per la terza volta.
«Va bene, va bene; hai vinto tu!» affermò chiudendo la lavastoviglie, dopo che aveva infilato l’ultima ciotola sporca di impasto. Si appoggiò al bancone alle sue spalle, incrociando le braccia al petto e guardando la mora, nella medesima posizione, accostata al frigorifero.
Erano da poco passate le ventitré ed era giunta l’ora di andarsene, anche se Francesco sarebbe rimasto volentieri con lei per tutta la notte.
Sophie si avvicinò al bruno, tenendosi a una distanza di sicurezza, ma riuscendo a percepire lo stesso il calore che il suo corpo irradiava e il suo profumo così intenso e inebriante.
«Grazie per l’uovo e per questa serata» sussurrò imbarazzata, guardandosi i piedi e accorgendosi solo in quel momento di quanto fosse ridicola con quelle ciabatte addosso.
Lui sorrise, le alzò il mento per inchiodare i suoi pozzi chiaroscuri negli smeraldi di lei e osservarne la bellezza disarmante.
«Grazie a te per avermi fatto entrare!»
La ragazza arrossì ancora di più, deglutendo e scostandosi dalle dita ruvide e bollenti di lui.
«Ti accompagno alla porta»
Così dicendo si allontanò verso l’ingresso, girando la chiave nella serratura.
Il cuore avrebbe voluto invitarlo a restare con lei ancora un po’, ma sapeva come sarebbe andata a concludersi la serata, perciò intervenne il cervello a ricordarle che lui era un uomo impegnato e che i suoi principi morali le impedivano di renderla una ladra di fidanzati.
Francesco si accostò all’uscio, giocando con una ciocca nera di lei, intrecciandosela tra le dita.
«Ci vediamo domani allora.»
Slegò l’indice dai suoi capelli, abbassandosi per darle un bacio al lato della bocca. Il cuore di Sophie saltò un battito, mentre chiuse gli occhi per vivere quelle emozioni non con la vista, ma con tutti gli altri sensi. Quando lui si allontanò, schiuse le palpebre, osservandolo con rammarico.
«A domani, Motolese scombussolante» sussurrò a sé stessa, chiudendosi la porta alle spalle e picchiettandoci contro la testa.

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Capitolo 36
*** Capitolo 35 - Pasquetta con chi vuoi ***


Come annunciato dalle previsioni meteo, la mattina di Pasquetta era iniziata con una pioggia scrosciante che aveva abbassato drasticamente la temperatura, facendola scendere sui quindici gradi.
Sophie, dopo essersi messa un po’ di mascara e una leggera linea di eyeliner, indossò i suoi pantaloni della tuta leopardati e un maglioncino nero lungo, lasciando sciolta la sua folta e liscia chioma scura; ai piedi calzò gli adorati Ugg neri, prese il tiramisù dal frigorifero, la sua immancabile O’bag e scese nel parcheggio verso la sua Smart. Si era svegliata con una strana ansia nel petto, come un sensore che sarebbe successo qualcosa di brutto, ma lo associò al clima e al desiderio di restare sotto le coperte.
Il pensiero di trascorrere la giornata con Francesco l’aveva spronata ad alzarsi dal letto; non vedeva l’ora di rivedere il bel bruno e stuzzicarlo con le sue solite frecciatine.
Arrivò allo Starlight un po’ prima dell’orario di ritrovo per aiutare lui e Matteo a preparare il pranzo, trovandosi le porte chiuse con il cartello “Festa privata” appeso al vetro.
Non sapendo come fare per entrare, optò per un rapido sms al Motolese Scortese, avvisandolo che era fuori dal locale, impossibilitata ad accedervi.
Dopo soli due minuti, l’affascinante ragazzo si palesò alle sue spalle, prendendola per i fianchi e facendola sussultare per quell’improvviso tocco.
«Ti ha dato di volta il cervello? Potevi farmi venire un infarto!» lo ammonì lei, facendo ridere Francesco.
«Sei troppo giovane per avere un attacco di cuore! Buongiorno, Khaleesi, dormito bene?» le domandò, senza togliere le mani dalla vita di lei; adorava toccare il suo corpo.
«Benissimo guarda… e tu?»
Il bruno fece il suo solito sorriso sghembo, pronto a risponderle con una delle sue solite battutine che la avrebbero fatta arrabbiare.
«Anche io! Sai, questa notte ti ho sognata nel mio letto, mentre ansimavi il mio nome e dicevi che non avevi mai provato un arrosto di qualità simile!»
Gli occhi di Sophie si spalancarono e iniziò a battere dei leggeri pugni sul petto del bruno, mentre un formicolio dal basso ventre si incamminò verso lo stomaco, facendole provare un leggero sfarfallio.
«Sei un cretino; puoi solo sognarlo un momento del genere!» Si staccò dalla presa di lui e si avviò verso la macchina con la scusa di prendere la pirofila contenente il dolce, ma il vero motivo era quello di interrompere le fantasie che le parole del bruno avevano innescato nella sua mente.
Fecero il giro del locale, passando per il cortile esterno, nel quale si trovava Matteo, impegnato ad arrostire la carne sul barbecue a gas a due ruote; aveva posizionato nella parte inferiore gli hamburger e le costine, in quella superiore le salsicce e una coscia di pollo. Indossava un grembiule rosso con la scritta “Sono il re del Barbecue” e il cappello bianco alto da cuoco, mentre tra le mani teneva una paletta nera con la quale girava la carne.
La mora scoppiò a ridere nel vederlo così conciato, catturando l’attenzione del ragazzo, il quale le sorrise con affetto.
«Oh, ecco la nostra Sophie, arrivata proprio al momento giusto! Hai voglia di aiutarci a tagliare le zucchine da mettere sulla griglia? Come al solito Giacomo non è puntuale e non mi fido a lasciare da solo Fra; potrebbe tagliarsi un dito solo sbucciando le patate.»
Il bruno alzò un sopracciglio, guardando l’amico con un cipiglio; quest’ultimo gli fece l’occhiolino, prima di scoppiare in una risata contagiosa.
Francesco accompagnò la ragazza nella cucina, per sistemare nel frigo il tiramisù ed estrarre le verdure, mostrandole infine quella zona inaccessibile al pubblico.
Prese il tagliere dal mobiletto in acciaio sopra la sua testa, estrasse il coltello e il pelapatate dal cassetto alla propria destra e li appoggiò sul bancone, insieme alle zucchine.
«Se hai voglia di aiutarmi, io passerei a tagliare gli affettati e a cuocere le uova, che ne dici?»
Sophie appoggiò la borsa a terra e, rimboccandosi le maniche del maglioncino, si apprestò a svolgere il compito assegnatole. Si soffermò per la prima volta a osservare l’outfit di lui: pantaloni della tuta grigi con il cavallo leggermente basso e l’elastico alle caviglie, Timberland ai piedi e un maglioncino bianco.
Non c’era niente di più afrodisiaco per lei, se non un ragazzo con quel tipo di pantalone addosso; se poi il ragazzo in questione era Francesco Motolese, poteva dire addio al suo raziocinio.
«Soph, tutto bene?» Il bel bruno si accorse che era rimasta bloccata a fissargli le gambe, mordendosi il labbro inferiore e con lo sguardo perso, perciò cercò di risvegliarla da quell’improvviso stato di shock.
Si ridestò dai suoi pensieri, puntando i propri smeraldi nei pozzi di lui, ritrovandosi entrambi a sorridersi con dolcezza e amore.
«Sì, scusa ero solo… distratta! Mi metto subito al lavoro.»
La musica proveniente dalla sala principale fece loro da sottofondo, mentre entrambi si concentrarono sul loro compito, non proferendo parola.
Francesco pensò che quello fosse il momento giusto per informarla dell’imminente arrivo di Isabella, conscio dello scontro avvenuto tra le due la settimana prima, ma non riusciva a trovare le parole giuste per intavolare il discorso. Decise quindi di non pensarci troppo, lasciò cadere il coltello sul tagliere e si avvicinò a lei, prendendole la mano per farla voltare verso di sé.
«Soph, ascolta…» Non riuscì a terminare la frase perché venne interrotto dall’arrivo di Mattia, in compagnia di un’attraente bruna.
«Vedo che non sono l’unico che ha fatto fatica ad alzarsi dal letto questa mattina e io avevo anche una motivazione valida.» Stampò un bacio sulla guancia della sua accompagnatrice, facendola arrossire.
«Siamo solo noi tre e due splendide donne, quindi…» disse sorridendo, scostandosi dalla ragazza per porgere la mano a Sophie per presentarsi.
«Occhio a quello che fai, Tia!» lo ammonì Francesco, conscio della fama di rubacuori del moro dagli occhi color dell’oceano. Quest’ultimo scoppiò in una fragorosa risata, non avendo mai visto l’amico geloso di nessuna donna prima.
«Tranquillo, Moto, come puoi ben vedere sono in ottima compagnia; lei è Jessica, la ragazza di cui vi parlavo l’altro giorno!» Tornò al fianco di lei, stringendola a sé.
«Oh, lingua tagliente, giusto!» Lo canzonò il bruno, facendo adirare il più grande dei fratelli Colombo, per aver riferito quella confidenza fatta tra amici e che sarebbe dovuta rimanere segreta.
«Lingua tagliente, eh?» sogghignò lei, picchiettando con il gomito il ragazzo.
Sophie assistette a quella scena divertendosi, sentendosi parte integrante di quella bizzarra ciurma di amici.
«Ciao, io sono Sophie» si presentò a Jessica stringendole la mano, quest’ultima contraccambiò sorridendole. La mora restò colpita dal fascino naturale della nuova arrivata. Indossava dei leggings sportivi neri che fasciavano le sue longilinee gambe alla perfezione, un maglioncino lungo e stretto dalle tonalità celesti, il quale risaltava le forme morbide del seno e la vita sottile, mentre ai piedi portava delle All Stars basse grigie. Come lei, anche Jessica non aveva prestato molto tempo al trucco, usando solo un po’ di matita nera per contornare quegli occhi dalla forma felina, risaltando le particolari iridi color ocra.
«Direi di lasciare le due donne in cucina a fare amicizia, noi diamo il cambio a Matteo con la griglia, mentre lui inizia a preparare la sala con i tavoli. Sta uscendo anche un po’ di sole, finalmente!»
Senza permettere a Francesco di controbattere, Mattia lo spintonò dalle spalle, conducendolo fuori, lasciando alle due ragazze una visuale dei loro bei fondoschiena.
«Come posso aiutarti?» domandò Jessica con un largo sorriso, il quale le illuminò le iridi scure.
«Che ne dici se tagliamo un po’ di questo e ce ne mangiamo un po’?»
«Non si accorgeranno che gli manca un salame?» Jessica guardò la sua complice con aria preoccupata, mentre nascondeva un piatto con le fettine di quel prelibato affettato, tagliate poc’anzi.
«Non preoccuparti, JJ, adesso porto fuori le zucchine e poi ce lo mangiamo, fingendo di preparare l’insalata!»
Sophie, con il piatto bianco in mano contenente la verdura appena tagliata, le fece l’occhiolino, allontanandosi poi dalla cucina per uscire nel cortile e avvicinarsi all’affascinante ragazzo in tuta che stava grigliando la carne.
Francesco, quando la vide arrivare, le sorrise e gli occhi gli si illuminarono; aveva proprio perso la testa per quella sfrontata.
«Zucchine in arrivo!» affermò, avvicinandosi a lui per posare il piatto sul ripiano laterale del barbecue e osservare il suo operato.
«Volevi dirmi qualcosa prima?» Con la sua solita curiosità, pose quel quesito al bruno, approfittando di quel momento di solitudine, poiché Mattia, nel vederla uscire, ne aveva approfittato per raggiungere la sua compagna ancora in cucina.
Il ragazzo sospirò, poggiò la paletta sul ripiano e si voltò verso di lei, cercando di comunicarle quella notizia, sperando che non se ne andasse in fretta e furia.
«Sì, non ti ho detto che sta arrivando una persona che hai già conosciuto e con cui non hai avuto un approccio molto… amichevole!»
Sophie si irrigidì di colpo, capendo dove volesse andare a parare lui; la sua fidanzata sarebbe arrivata a breve e le avrebbe sicuramente chiesto di non dirle quello che era successo la sera prima.
Si diede mentalmente della stupida più volte, per aver sperato che fosse cambiato in quegli anni; aveva pensato che forse era pronto a lasciarla entrare nel suo cuore, a farsi travolgere da quell’uragano che lei custodiva nel petto e che anelava condividere con lui.
«Dovevo dirtelo prima, hai ragione, ma avevo timore che non saresti venuta; poi quando ieri hai detto che-». Per la seconda volta il ragazzo fu interrotto, ma questa volta da un’argentina voce, proprio alle sue spalle.
«Chicco, sei qui!» La bionda lo abbracciò da dietro, cingendolo alla vita, staccandosi subito dopo per stampargli un bacio sulla guancia; si accorse dopo che il giovane non era da solo, ma in compagnia della mora che aveva incontrato qualche giorno prima, ubriaca e barcollante, fuori dal locale.
«Ci rivediamo…» le sorrise maliziosa, facendo desiderare a Sophie che una crepa nel terreno si aprisse sotto di sé e la inghiottisse; qualsiasi cosa, pur di allontanarsi da quella scena che le stava spezzando il cuore. Sentì le lacrime pizzicarle la sclera, pronte a fuoriuscire, ma non avrebbe mai dato a quei due la soddisfazione di vederla stare male.
«Sophie, posso presentarti Isabella? La mia sorellona, che tu stessa hai definito simpatica ieri sera.»
Gli occhi della mora si spalancarono per lo stupore nell’udire la parentela che li legava; la loro unione era dovuta a un affetto fraterno e non un sentimento d’amore.
«Beh, ha ragione; tra i due io sono quella bella e simpatica! Tu sei carino sì, ma sei fastidioso come una mosca che ti ronza nelle orecchie quando si cerca di dormire!» lo canzonò lei, beccandosi un’occhiataccia da parte del fratello, facendo però scoppiare a ridere l’altra che, con quella risata, aveva cancellato ogni tensione creata precedentemente.
La bionda si voltò verso di lei, studiando quella ragazza così semplice che era riuscita a colpire il suo Chicco come mai nessuna prima. Se non fosse stato per le diverse donne con cui lo aveva intravisto intrattenersi, avrebbe pensato che i gusti di lui fossero di tutt’altro genere, più vicino ai suoi che a quelli di un altro uomo, dato che non aveva mai presentato alcuna di loro a lei o alla madre. Ricordava perfettamente il dispetto che quella mora aveva fatto a Francesco, baciandosi con un altro sotto ai suoi occhi, ma decise di lasciar correre ed evitare battutacce, le quali avrebbero potuto rovinare la giornata a quei due.
Si soffermò sullo sguardo rapito di lei, mentre osservava il fratello con occhi sognati, dopodiché si volto verso quest’ultimo, sorpresa di trovarlo nella medesima condizione, con un sorriso da ebete che non gli aveva mai visto prima.
«Vado a vedere se dentro hanno bisogno di una mano; ci vediamo dopo.» Gli diede un pizzicotto sul braccio, dopodiché si allontanò per lasciare un po’ di privacy ai due innamorati, con una gioia che proveniva direttamente dal cuore.
Una volta soli, Sophie si avvicinò per dare una sberla innocente sul petto di lui, lasciandolo sorpreso.
«Cosa ho fatto adesso?» chiese esasperato; non riusciva a comprendere quello che passava nella testa di lei, visti i suoi continui sbalzi di umore e di atteggiamento nei propri confronti.
«Te la meriti perché sei un cretino!» si limitò a dire lei, restandogli vicina e sorridendogli, mandando il bruno ancora di più in confusione.
«Questo lo so, ma perché la sberla?» Si portò le braccia al petto, fingendosi offeso per quel gesto, ma non riuscendo a trattenere un sorriso sincero.
«Credevo che fosse…» Sophie si morse il labbro, indecisa se svelargli la sua supposizione o evitare una sicura derisione da parte di lui.
«Che fosse?» la imbeccò però Francesco, spronandola a proseguire, osservando le gote di lei diventare sempre più rosse.
«Credevo che Isabella fosse la tua fidanzata!» Abbassò gli occhi verso la punta dei suoi stivali per evitare il suo sguardo, sentendosi un’idiota patentata.
Francesco scoppiò in un’omerica risata, che la fece sentire ancora più a disagio, confermando l’ipotesi del beffeggiamento da parte sua.
«Piuttosto mi sparo in testa! Non so proprio come faccia quel santo di mio cognato a sopportarla!»
Dopo la sua stessa affermazione, rise ancora di più.
Gli smeraldi di lei tornarono a puntarsi su di lui, leggendoci al loro interno qualcosa di diverso che gli scaldò il cuore; non capiva come lei ci riuscisse, ma con uno solo sguardo cancellava tutto quello che stava loro intorno, creando una specie di bolla personale dove il tempo e lo spazio non esistevano. Solo loro due, dispersi nell’universo, due satelliti nell’immensità.
L’odore di bruciato li riportò alla realtà, nella quale diversi minuti erano passati e loro avrebbero dovuto ricordarsi di girare gli hamburger sul fuoco.
«Merda!» Il bruno prese la paletta e cercò di salvare il salvabile, ma purtroppo quei due pezzi di carne erano irrecuperabili, differentemente dalle cosce di pollo che erano solo un poco abbrustolite.
Entrambi risero di gusto, complici come non mai. Francesco, dopo aver poggiato nuovamente la paletta sul ripiano, prese con estrema naturalezza le dita di Sophie e le intreccio con le sue, come se fosse un gesto fatto milioni di volte prima, come se quelle mani fossero state create per unirsi e mai più separarsi.
«In questi giorni hai creduto davvero che Isabella fosse la mia ragazza?» le chiese con un tono di voce così caldo e avvolgente, che lei mai gli aveva sentito prima. Si limitò a un cenno d’assenso con la testa, incapace di proferire parola in quel momento, troppo impegnata a bearsi di quel contatto così intimo di sguardi e mani strette.
«Non sono più quel genere di uomo; voglio di più…» A quell’affermazione, il cuore di lei saltò un battito, sentendo nuovamente le lacrime pronte a uscire, ma in quel momento erano di gioia e non certo di tristezza. Lui slegò quell’intreccio solo per spostarle una ciocca di capelli, come ormai era solito fare, per poi poggiare la mano sul viso di lei, avvicinandosi con la fronte fino a toccarsi.
Nessun momento fu mai perfetto per loro quanto quello; non era il desiderio che li spingeva a far incontrare le loro bocche, ma il puro e vero sentimento che proveniva dai loro cuori, ritrovatisi a battere all’unisono.
«Soph, sei qui fuori?» La voce incerta di Mia spezzò quel momento, portando entrambi a sospirare, prima di distaccarsi. Quando la ragazza si palesò nel cortile, guardò l’amica con aria preoccupata, consapevole che la notizia che stava per darle avrebbe avuto il medesimo effetto di una doccia fredda per la mora.
«Ti sto chiamando da più di mezz’ora, dove diavolo hai il cellulare?»
Sophie iniziò ad agitarsi, vedendo lo sguardo di Mia e il tono di voce usato nel porle quella domanda.
«Che succede?»
«Daniele… è qui!»
L’annuncio dell’amica gelò Sophie sul posto; non riusciva a credere che il suo ex si trovasse lì a pochi metri e avrebbe potuto assistere a una scena che gli avrebbe spezzato il cuore.
Francesco storse la bocca nell’udire quella notizia, tediato da quel nuovo impedimento che la avrebbe allontanata ancora da lui; ogni volta che la sentiva più vicina, qualcosa si metteva tra di loro e li portava a distaccarsi.
«Merda!» fu l’unica parola, piuttosto colorita, a uscire dalla bocca della mora. Avrebbe dovuto immaginare che si sarebbe presentato, visto che gli amici di lei erano anche i suoi; non sarebbe stato giusto che lui passasse la Pasquetta da solo mentre lei era a divertirsi.
«Già» bofonchiò a denti stretti il bruno, che per celare la sua irritazione aveva ripreso a grigliare la carne.
Qualche istante dopo si palesò Alessandro, seguito da un Daniele piuttosto mogio, con lo sguardo basso.
«Che profumino…» esclamò Alex, avvicinandosi al barbecue e presentandosi a Francesco.
«Ciao, io sono Alessandro; piacere di conoscerti.» Il biondo allungò la mano verso il ragazzo dal volto corrucciato, desideroso di conoscere uno dei famosi proprietari dello Starlight. Quest’ultimo gliela strinse, cercando di mostrare un sorriso di circostanza per non passare da maleducato, ma dentro sé sentì divampare le fiamme della gelosia, soprattutto nel vedere la sua Khaleesi parlare con il suo ex.
«Ciao, Daniele, come stai?» domandò imbarazzata Sophie, scrutando il viso teso e stanco di lui. Era consapevole di avergli posto un quesito stupido, ma non seppe dire altro in quel momento, perciò optò per un convenevole.
«Ho visto giorni migliori… e tu? Tu, stai bene?» chiese lui piuttosto tirato, guardando quella donna che gli aveva rubato il cuore anni prima, rimanendo nuovamente ammaliato da quegli occhioni verdi così grandi e luminosi, innamorandosene ancora.
«Ho visto giorni migliori anche io!» Sorrise lei, scostandosi una ciocca di capelli corvini dal viso.
«Torno dentro a vedere se JJ ha bisogno di una mano con la verdura; Mia, vieni anche tu?» Cercò lo sguardo dell’amica, mandandole un chiaro messaggio di S.O.S. Quest’ultima comprese subito la richiesta dell’altra e la seguì in cucina, lasciando i tre ragazzi da soli a osservare la loro fuga.
 
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Una volta che anche gli ultimi ritardatari furono arrivati, tutti gli ospiti presero posto alla super tavolata già apparecchiata, a esclusione delle pietanze, predisposta da Matteo, il quale aveva unito cinque tavolini di vetro davanti ai divanetti di pelle al lato destro del locale. I cinque proprietari invece erano in cucina, a finire di preparare gli antipasti con le verdure grigliate e gli affettati.
«Mi spiegate perché c’è un piatto, con delle fette di salame, nascosto tra il sale e il riso?» domandò sorpreso Cristian, mostrando agli altri quattro l’oggetto incriminato.
Francesco scoppiò a ridere, immaginando chi fosse la colpevole di quell’azione, portandosi una mano sulla fronte; la sua piccola ladruncola di salame.
«Moto, tutto bene? So che c’è qui anche il suo ex…» Giacomo si avvicinò all’amico, mettendogli una mano sulla spalla per mostrargli la sua solidarietà. Conosceva il bruno da tempo ed era la prima volta che lo vedeva struggersi per una donna; da quello che gli aveva raccontato, era convinto che anche Sophie provasse un sentimento nei suoi confronti, ma nessuno dei due riusciva a fare la prima mossa per parlarne.
«Sì, purtroppo… spero almeno che non facciano pace sotto ai miei occhi!» sospirò lui, rivolgendo uno sguardo cupo a Giacomo, insieme a un mezzo sorriso per ringraziarlo della sua presenza confortante.
Si avviarono verso il salone con le pietanze tra le mani, mentre Matteo preparava Spritz al bancone, raggiunto da Francesco. Quest’ultimo prese posto dopo gli altri, imprecando diverse volte nella propria testa, essendosi ritrovato seduto accanto all’ex fidanzato di lei. Almeno era posizionato di fronte alla splendida mora, la quale fece passare lo sguardo prima su di lui e poi su Daniele, portando infine gli occhi al cielo, in una silenziosa preghiera.
«Vorrei fare un brindisi prima di cominciare…» fu Mattia a proferire parola, alzandosi in piedi e richiamando l’attenzione su di sé, picchiettando con il coltello contro il proprio bicchiere.
«Innanzitutto, grazie a tutti di essere qui… molti di voi non so neppure chi siano, ma spero di potervi vedere spesso qui allo Starlight e spero lascerete anche qualche mancia al sottoscritto!»
Tutti risero alla battuta del moro, lui compreso. Osservò ognuno di loro, prima di continuare col suo monologo.
«Non ho mai passato questo giorno con così tante persone; solitamente eravamo io e i miei soci qui presenti e ovviamente Veronica.» Indicò la ragazza dai lunghi capelli biondi, raccolti in un elegante chignon, e dai penetranti occhi turchesi, seduta a capotavola alla propria destra, prossima alle nozze con il bel Giacomo. Quest’ultima sorrise, stringendo la mano del suo futuro sposo, dandogli un veloce bacio a stampo; erano innamorati come il primo giorno, un lontano febbraio di sette anni prima.
«Perciò voglio brindare a voi, augurandomi che sia l’inizio di una buona amicizia, ma soprattutto, voglio brindare ai miei amici, ai miei nuovi fratelli, perché con loro ho realizzato il mio sogno, quello di gestire un locale tutto mio. Non sarebbe mai successo se non fosse stato per voi, quindi grazie.
Allo Starlight!» Alzò il bicchiere verso il soffitto, seguito da tutti i presenti, prima di portarselo alle labbra e sorseggiare l’amarezza di quel drink.
Improvvisamente, anche Daniele si alzò in piedi, notato solo da Francesco e Sophie, mentre tutti gli altri erano intenti a chiacchierare e ridere tra di loro.
Imitò il gesto fatto da Mattia poc’anzi e richiamò l’attenzione tintinnando il coltello sul proprio bicchiere.
«Vorrei dire una cosa anche io, se non vi dispiace.»
La mora percepì dei brividi freddi passarle attraverso la schiena, portandola a sudare nervosamente. Osservò il ragazzo con i suoi smeraldi, mentre lui fissava lei con devozione.
«Qualche giorno fa ho patito, per la prima volta nella mia vita, il vero dolore. Quello che ti logora dall’interno e si espande come un tumore maligno dentro il proprio corpo. Non credevo esistesse una sofferenza tale al mondo, ma mi sono dovuto ricredere.»
Nessuno dei presenti capiva dove il ragazzo volesse andare a parare con quel discorso; restarono tutti in religioso silenzio, leggermente imbarazzati per quella situazione.
«Avrei preferito morire, piuttosto che sentire quella fitta al cuore, consapevole che se mi sono ritrovato in quella situazione è stato soltanto per colpa mia. Ho dato per scontato la cosa più bella che mi fosse mai capitata, convinto che sarebbe rimasta al mio fianco per sempre.»
Francesco, con le mani strette a pugno, si voltò per guardare Sophie, con uno sguardo tra l’arrabbiato e il dispiaciuto. Anche lei ricambiò quell’occhiata fugace, cercando di scusarsi con gli occhi per quello che stava succedendo.
«Non voglio perderti, Soph; ho capito i miei errori e voglio rimediare… dammi questa possibilità!»
Il ragazzo abbassò il bicchiere, continuando a osservare il suo unico e grande amore, con la speranza che lei capisse quanto fosse profondo il sentimento che provava.
«Daniele, io…» La mora provò a proferir parola, ma lui la zittì con un veloce cenno della mano che poi mise nella tasca dei pantaloni, così da informarla che non aveva ancora terminato il suo lungo sproloquio.
«Avrei voluto aspettare a maggio per il nostro anniversario, ma la nostra separazione mi ha fatto comprendere che non c’è un tempo giusto per certe cose e che bisogna vivere la vita attimo per attimo.»
Estrasse una scatolina in velluto blu, la aprì e mostrò il solitario che celava al suo interno.
«Sophie Targa, mi vuoi sposare?»
Il clima era diventato improvvisamente freddo per tutti i presenti nella sala, a eccezione di uno. Sophie sentì il gelo nelle ossa, come se improvvisamente fosse stata balzata dall’altra parte del mondo, in un posto polare e spento. Sentì il sapore della propria bile che le graffiava la gola, impedendole di pronunciare alcuna parola. Faticava a respirare e a deglutire; sentiva la trachea infiammata dolerle.
Non riusciva a capacitarsi di come Daniele avesse potuto farle una proposta del genere dopo il discorso fatto alcuni giorni prima e soprattutto lì, davanti ai loro amici e a dei perfetti estranei.
L’aveva messa in una situazione di completo disagio, dove rifiutare avrebbe significato dare il colpo di grazia a quel povero ragazzo, spingendolo a saltare da un aereo senza paracadute, ma accettare avrebbe voluto dire vivere un rapporto di menzogne e sofferenza.
Giorgia appoggiò la propria mano sul ginocchio dell’amica, per farle sentire la sua presenza e rassicurarla che in quel momento non era sola; c’era lei al suo fianco e ci sarebbe sempre stata, nei momenti difficili e in quelli di gioia.
Francesco provò un forte dolore al centro del petto, come se qualcuno ci avesse infilato una scheggia e, a ogni suo respiro, essa gli lacerava gli organi, facendolo sanguinare internamente. Nemmeno assistere al loro bacio gli aveva causato un tale dolore. Sentì il corpo svuotarsi della propria anima, come se fosse un guscio vuoto. Non riuscì ad alzare lo sguardo dal tavolo per osservare la reazione della mora, perché sarebbe morto se avesse visto i suoi bellissimi occhi brillare d’amore verso un altro uomo. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, alla sera in cui gli aveva raccontato quella assurda bugia per allontanarla da lui, facendole credere di essere andato a letto con un’altra. La realtà era che non aveva smesso neppure per un secondo di pensare a lei, al suo carattere orgoglioso diverso da ogni donna che aveva conosciuto, alla sua parlantina, la quale riusciva a strappargli sempre un sorriso, al suo corpo così sensuale che avrebbe voluto accarezzare e sentire suo più volte, alla sua dolcezza così innocente e pura, ai suoi smeraldi che si illuminavano di una luce diversa quando lui la guardava e alla sensazione di calore nel cuore che aveva provato per la prima volta nella sua vita. Si maledì per la paura che ebbe sette anni prima, la stessa che gli impedì di cercarla in tutto quel tempo, la quale era scomparsa magicamente dopo averla rivista nel suo ufficio. Ai tempi era troppo giovane per capire cosa volesse dire quel sentimento, per lui era più facile divertirsi con donne diverse, con le quali non sentiva alcun legame, che soffermarsi su una sola, l’unica che gli avesse fatto sentire una palpitazione al centro del petto.
Daniele restò fisso a guardare la ragazza che amava, sicuro che il suo gesto le avrebbe fatto cambiare idea sulla loro relazione; lei sarebbe tornata da lui, avrebbero vissuto felici e si sarebbero amati, senza più l’ombra di una misteriosa persona venuta dal passato a minare il loro rapporto.
Non sapeva che quell’oscura presenza era seduta proprio al suo fianco in quel momento e che lui, con quella dichiarazione, lo aveva fatto cadere in un profondo baratro.
Passarono secondi che diventarono minuti e il silenzio più assoluto faceva loro da cornice. Le certezze del bruno andarono pian piano scemando, nel vederla inchiodata su quel divanetto, bianca in volto, come se stesse per svenire da un momento all’altro.
«Di qualcosa, Soph» la pregò lui, cercando di ridestarla da quello stato di shock in cui l’aveva catapultata poc’anzi, con la sua proposta di matrimonio.
«Io…» Fu un sussurro quello che uscì dalla bocca di lei, ancora incredula e in difficoltà, con il fastidio alla gola che andava a salire, diventando sempre più consistente.
«Credo che devo vomitare!» Scattò in piedi come una molla, facendosi spazio tra le gambe di Giorgia e di Mia, scontrandosi contro il tavolo. Fortunatamente Alex ebbe la prontezza di riflessi di alzarsi e lasciare lo spazio necessario alla mora di allontanarsi e di correre verso il bagno alla sinistra del bancone.
Corse più velocemente che poteva, non curandosi degli sguardi di tutti i presenti; doveva allontanarsi il più possibile da quel tavolo e gettare fuori la sua angoscia. Un forte odore di limone la travolse non appena ebbe varcato la soglia della piccola stanza dai toni del grigio, con due lavandini e un fasciatoio posizionati di fronte alle porte bianche che dividevano i servizi maschili, segnalati da una scarpa elegante, laccata di nero, incollata sotto la suola, da quelli femminili, sulla quale era stata applicata una decolté col tacco. Si fiondò in quello delle donne, chiudendosi dentro e appoggiandosi al sanitario, fortunatamente ben pulito, e lasciò fuoriuscire la misera colazione, insieme all’ansia, il dispiacere e la frustrazione che l’avevano portata a stare male.
Iniziò a versare copiose lacrime, alcune dovute allo sforzo nel rimettere, altre per la situazione che si era venuta a creare; quella proposta così improvvisa l’aveva gettata nello sconforto più totale, sentendosi nuovamente in colpa, sapendo che la cosa giusta da fare avrebbe ferito ancora una volta il povero Daniele.
Azionò lo scarico, sedendosi a terra con la testa contro la porta in laminato, portandosi le ginocchia al petto in un abbraccio spento, senza energie. Si estraniò da quel posto, lasciando che la sua mente prendesse il sopravvento e rimembrò alcuni dei momenti passati con il suo ex fidanzato.
Dal loro primo bacio, avvenuto una lontana sera di maggio, il quale aveva sancito l’inizio della loro relazione. Dai sorrisi sinceri, che quel dolce ragazzo le aveva fatto nascere con i suoi gesti romantici, ai “ti amo” sussurrati dopo aver fatto l’amore, alle serate passate abbracciati sul divano, dopo essere entrambi tornati a casa dal lavoro, fino ad arrivare al giorno in cui lei aveva posto fine alla loro relazione. Daniele l’aveva salvata da un profondo oblio e di quello gliene sarebbe sempre stata grata, ma non riusciva più a vedere il bruno come suo compagno di vita, né lo immaginava ad aspettarla, mentre varcava la soglia della chiesa con l’abito bianco. Lo aveva amato, non con una passione travolgente che avrebbe potuto farla bruciare e che l’aveva portata a stare male, ma con dolcezza e gratitudine.
Un leggero bussare l’aveva ridestata dai suoi pensieri, portandola ad asciugarsi le ultime stille salate, le quali avevano rigato il viso della ragazza con un po’ del nero colato dalla matita e dal mascara.
«Tesoro, siamo noi, Mia e Giorgia; come ti senti?» la voce dolce, ma allo stesso tempo inquieta, della bruna l’aveva fatta sorridere, di un sorriso leggermente amaro sì, ma era pur sempre un sorriso.
Prese un po’ di carta igienica per pulirsi la bocca, gettandola nel cestino alla sua sinistra, prima di alzarsi e gettarsi tra le braccia delle amiche, le quali la strinsero a loro con forza, cercando di farle sentire il loro profondo affetto e darle il coraggio per affrontare quel momento.
«Vi voglio bene, amiche mie!» le ringraziò per la loro presenza, sciogliendosi poi da quella stretta per raggiungere il lavandino e pulirsi alla bell’è meglio il volto La freschezza dell’acqua sulla pelle l’aiutò a sentirsi meglio, come se quel liquido stesse pulendo le impurità anche al suo interno e non soltanto quelle visibili agli occhi degli altri. Si tamponò il viso con la carta, appallottolandola poi per tenerla stretta tra le mani chiuse a pugno. Si voltò verso le ragazze alle sue spalle, sorridendo loro.
«Com’è la situazione di là?» chiese preoccupata, cercando di non andare a pensare subito al peggio.
«Ti dico solo che Francesco, dopo che ti ha vista fuggire, si stava alzando per raggiungerti, ma Matteo l’ha bloccato sul posto.» Giorgia alzò gli occhi al cielo nel darle quella notizia, senza nascondere l’antipatia che provava verso quel bell’imbusto che aveva creato scompiglio nel cuore dell’amica.
Sophie restò interdetta nell’apprendere quella notizia, un calore piacevole le scaldò il petto, portando il suo cuore a battere a un ritmo irregolare.
«Fortunatamente Daniele non si è accorto di nulla. Adesso è fuori con Fabian, Alex e Gian a fumarsi una sigaretta, mentre gli altri sono seduti a chiacchierare, cercando di far finta di niente.» Fu Mia a parlare, portandosi le braccia al petto con un leggero disagio.
La mora prese un profondo respiro, prima di gettare la pallina di carta nel cestino e indicare alle altre, con un leggero movimento del capo verso destra, di tornare nella sala. Non poteva scappare da quella situazione, ma farsi forza e affrontarla, cercando di essere il più chiara possibile con Daniele.
Quando Francesco sentì il rumore della porta aprirsi, si voltò di scatto per vedere chi stesse arrivando; nel vedere il volto della sua Khaleesi, in compagnia delle altre, si alzò di scatto, questa volta senza dare il tempo a Matteo di bloccarlo, raggiungendola nel mezzo della sala.
Le amiche lasciarono da soli i due, raggiungendo i propri posti, ma restando comunque con gli occhi puntati verso di loro, come gli altri seduti a quel tavolo.
Il bruno posò la mano sul braccio di Sophie, carezzandolo lievemente.
«Come ti senti?» le domandò nervoso, senza distogliere lo sguardo dagli smeraldi verdi di lei, cercando di leggerci dentro.
«Vuota… non mi aspettavo la sua proposta, qui davanti a tutti» si limitò a rispondere, anche lei non riuscì a staccarsi dai pozzi chiaroscuri di lui, sentendosi avvolta in una bolla che le trasmetteva serenità e pace.
«Pensi di dirgli di… sì?» faticò a dire quell’ultima parola, sentendo un macigno sul petto pronto a schiacciarlo se gli avesse dato una conferma che non era pronto a sopportare.
«Non posso dirgli di sì; non provo per lui quello che…» si bloccò di colpo, conscia che stava per rivelargli i suoi sentimenti.
«Dovrei» aggiunse infine con un lieve sospiro.
Francesco la imitò, facendo fuoriuscire tutta la tensione da lui accumulata in quegli istanti. Avrebbe voluto abbracciarla e stringerla a sé per cercare di farla stare meglio con il suo calore e, un po’ egoisticamente, sentirsi bene anche lui con quel contatto.
«Pero devo parlargli e dirgli come stanno le cose!» affermò mesta, allontanandosi da lui e dirigendosi verso il cortile, passando per la cucina. Avrebbe voluto fermarla, chiedendole di restare, ma sapeva che aveva ragione; doveva mettere un punto definitivo, altrimenti non sarebbe mai stata pronta a ricominciare e se lui voleva riconquistarla, doveva lasciarla fare.
Fabian e Gianfranco la videro subito arrivare, mentre Daniele e Alessandro le davano le spalle.
«Ci lasciate soli?» chiese loro, facendo lievemente sussultare il ragazzo, il quale non si era accorto del suo arrivo.
Entrambi gli amici fecero un cenno positivo col capo, lasciando la privacy di cui avevano bisogno a quei due.
Lui finalmente si voltò per osservarla, con uno sguardo spento, ma questa volta consapevole di quello che stava per dirgli.
«Immagino che dobbiamo parlare della mia proposta.»
Il sole cercava di filtrare tra le nuvole grigie, provando a scaldare l’aria fresca di quella giornata quasi primaverile. Il cortile esterno dello Starlight era un ammasso di cemento, senza sprazzi di verde all’orizzonte; si potevano scorgere parecchi edifici, adibiti ad appartamenti, negozi o uffici, tutti dai colori esternamente spenti, proprio come l’animo di Sophie in quel momento. Per lei era difficile intavolare quel discorso con Daniele, perché sapeva che avrebbe fatto soffrire di nuovo quel povero ragazzo, il quale non aveva fatto altro che donarle amore e serenità.
Si appoggiò al muro di mattoni del locale, chiedendosi se sarebbe riuscita a reggersi sulle proprie gambe, per nulla pronta a spezzargli il cuore una seconda volta.
«Direi di sì» sospirò, portandosi le braccia al petto come per dare a sé stessa un abbraccio di incoraggiamento.
«Perdonami se ti ho messo in una situazione scomoda; ero convinto che questi giorni senza di me avessi provato la mia stessa sofferenza e che una dichiarazione d’amore in piena regola ti avrebbe fatto cambiare idea sul nostro futuro.»
Gli occhi del bruno erano puntati al suolo, ai piccoli sassolini bianchi che erano collocati su quel selciato grigio. Non trovava la forza di alzare lo sguardo verso di lei, consapevole che ci avrebbe letto pena, dispiacere, probabilmente anche dei sensi di colpa, ma non amore; quel sentimento che in lui, invece, bruciava ancora come il primo giorno.
«Mi dispiace, Daniele. Le tue parole sono state bellissime e ti avrei detto di sì, se i miei sentimenti nei tuoi confronti fossero contraccambiati, ma purtroppo non provo quello che provi tu.»
Sentì nuove lacrime pungerle la sclera, sembrava non saper fare altro ultimamente, se non piangere a dirotto. Continuò a osservare il volto abbassato del bruno, sperando che lo alzasse per poterlo guardare negli occhi e continuare il suo discorso, ma lui restò immobile, come una statua di cera.
Sophie alzò lo sguardo al cielo, per ricacciare indietro quella tristezza che era pronta a sovrastarla, percependo l’aria fredda sulla pelle del viso, come punta da piccoli spilli.
«Lo so; sono uno stupido! La speranza riusciva a tenermi a galla e mi ci sono aggrappato per non affogare. Vado a prendere le mie cose, dopodiché ti lascerò la chiave nella cassetta della posta.»
Daniele era già pronto ad avviarsi verso la propria macchina, quando la mora lo bloccò con la sua voce calda e stupenda, chiedendogli di aspettare. Non avrebbe più sentito quel suono così dolce mentre lo chiamava “amore”, né i suoi “ti amo” che gli scaldavano il cuore. Non avrebbe più udito nemmeno il tono squillante e caustico di quando si arrabbiava, perché per l’ennesima volta si era dimenticato quello che lei gli aveva detto solo poche ore prima; provò una profonda tristezza nell’apprendere quella nuova consapevolezza.
«Quella casa è di entrambi, perché vuoi essere tu ad andartene?» gli pose quella domanda, che per lui era apparentemente sciocca, ma per Sophie era decisamente incomprensibile.
Finalmente la guardò negli occhi, trovando una forza che non sapeva nemmeno lui di avere e, con lo sguardo più sincero e dolce che avesse, rispose al suo quesito.
«Perché non riuscirei a stare in quell’appartamento, ogni cosa mi parlerebbe di te. In quelle quattro mura ci sono frammenti di noi ovunque e potrei impazzire se ci restassi. Sarà più facile per me andare avanti.»
Sophie non riuscì più a trattenere le lacrime e lo raggiunse per abbracciarlo un’ultima volta; si era dimostrato nuovamente un uomo di gran cuore e di classe fuori dal comune. Qualsiasi altro ragazzo, nella sua stessa situazione, l’avrebbe insultata e sbattuta fuori di casa, ma lui no.
«Mi dispiace, Daniele, dico sul serio. Ti auguro di trovare una donna che ti meriti e ti renda felice, come io non ho saputo fare.» La voce di lei, inclinata dal pianto, lo fece sorridere amaramente. Dentro sé, sapeva che nessuna donna lo avrebbe reso felice com’era riuscita a fare lei in quegli anni, né che sarebbe mai riuscito a provare quel sentimento per un’altra che non fosse la mora dai grandi occhi verdi. Le posò un tenero bacio sulla cute, prima di sciogliersi da quell’abbraccio per accarezzarle la gota, guardando la sua perfezione per l’ultima volta.
«Cerca di essere felice anche tu, mia dolce Sophie!»
Distaccò la mano dal volto di lei, allontanandosi definitivamente, percependo sul palmo l’umidità lasciata da quelle stille salate che le avevano rigato il viso.
La mora si asciugò il volto con le dita, prima di rientrare in cucina e sussultare alla vista del bruno, appoggiato al bancone d’acciaio con le braccia incrociate.
Francesco aveva assistito alla scena di quell’abbraccio, mentre lei correva in lacrime tra le braccia del suo ex fidanzato, senza però udire i loro discorsi. Sentì dentro sé una profonda rabbia, ma cercò di contenersi, convincendosi che quello a cui aveva assistito era solo un addio e niente di più, trovando conferma di quel pensiero nel vederla entrare da sola e non abbracciata a un altro.
«Mi hai fatta spaventare! Perché non sei di la con gli altri?» domandò avvicinandosi a lui, fino a essergli di fronte, a pochi centimetri di distanza.
Il bruno prese da dietro il piatto con le fettine di salame che era riposto nella credenza, mettendoglielo sotto gli occhi.
«Ho pensato che avresti voluto mangiare un po’ di questo; sai mica chi l’ha nascosto qui?»
Indicò il mobiletto sopra la sua testa, sorridendole. Sophie scoppiò a ridere, arraffò un pezzo di quel succulento affettato e lo addentò, emettendo un mugolio di apprezzamento che provocò ilarità anche in lui.
«Com’è andata?» Si levò quel sassolino fastidioso, ponendole quel quesito dal quale bramava la risposta, mangiando un po’ di quell’insaccato.
«Ora ha capito che è davvero finita!» affermò guardandolo seria, puntando i suoi smeraldi in quei pozzi senza fine che la inghiottivano e la facevano perdere ogni volta. Lasciò che Francesco scrutasse la sua anima, sperando che ci leggesse i sentimenti che nutriva e che lo legavano a lui. Era stufa di nascondersi, era stanca di avere paura di quella sofferenza che aveva provato in passato; voleva essere libera di lasciarsi sovrastare dalle emozioni che solo quel seducente ragazzo sapeva farle provare, desiderava sentire quell’ardore che le bruciava dentro dopo che lui l’aveva aizzato, bramava riassaporare ancora quelle allettanti labbra e la sua lingua infuocata.
Il ragazzo la sentì più vicina, come se non ci fosse più alcun impedimento che ostacolava il loro amore. In quello sguardo ci lesse passione e lussuria, sentimento e desiderio, emozione e carnalità.
Posò il piatto che teneva tra le dita senza mai distogliersi da quegli smeraldi, poggiando le mani sul suo viso candido come la neve e appoggiò la fronte contro quella di lei. Le punte dei loro nasi si toccarono, i loro cuori si abbracciarono e nello stomaco un turbinio di emozioni fece provare loro qualcosa di indefinito a cui non seppero dare nome, consapevoli solamente che quel tornado pieno di colori si stava abbattendo e li avrebbe travolti con la sua furia.
Erano entrambi pronti a lasciarsi andare, ma il fato, anche quella volta, decise che non fosse ancora il momento a loro più propizio; la povera Giorgia si trovò a interrompere nuovamente l’azione dei due, giungendo nel momento sbagliato e non riuscendo a celare la sua sorpresa
«Oh cavolo!» la voce tonica della bionda fece sussultare i due dagli occhi semichiusi, portandoli ad allontanarsi.
«Non pensavo che… non sapevo di trovarvi così…» Giorgia era arrossita mentre cercava di dar loro spiegazioni, coprendosi la faccia con le mani,
«Scusate, ero venuta a vedere se fossi ancora fuori, io…»
Sophie si avvicinò all’amica, prendendo le dita di lei tra le sue, abbassandogliele.
«Gio, stai tranquilla! Non devi scusarti. Torniamo tutti di là, sto morendo di fame!»
Fortunatamente, durante il pranzo nessuno aveva accennato l’argomento “proposta di matrimonio”, né aveva chiesto informazioni riguardanti l’improvvisa sparizione di Daniele. Tutti avevano finto che non fosse successo nulla, mangiando e ridendo in tranquillità, e di questo Sophie ne fu sollevata.
Ci furono parecchi scambi di sguardi tra la bella mora e Francesco, seguiti da sorrisi imbarazzati e sospiri gioiosi, ma quasi nessuno ci aveva fatto caso.
Dopo aver ripulito i piatti da ogni pietanza presente sul tavolo, alcuni dei ragazzi si alzarono per sparecchiare, altri uscirono a fumare e alcuni restarono spaparanzati ai loro posti, sperando in un imminente digestione che avrebbe liberato loro lo stomaco.
Jessica, insieme a Sophie e Isabella, si occuparono di risciacquare i piatti prima di inserirli nella piccola lavastoviglie. La bionda cercò di capire cosa passasse nella mente della ragazza che aveva conquistato il cuore del suo fratellino, convinta che anche lei non fosse indifferente a un certo sentimento, dato che aveva lasciato il suo fidanzato storico dopo la sua improvvisa apparizione.
Aveva colto parte di un discorso intavolato da Gianfranco, il quale spiegava a Eliana la situazione della ex coppia, anche se lui non era a conoscenza del legame che univa la sua amica a Francesco.
«I piatti sono sistemati. Direi che ora ci meritiamo una sigaretta anche noi, che ne dite, ragazze?»
La proposta della bella JJ venne declinata da entrambe, permettendo alle due di restare sole.
Sophie era piuttosto agitata per quella situazione; il pensiero che Isabella non fosse la fidanzata di quel seduttore l’aveva rallegrata, ma sapere che fosse la sorella le metteva agitazione.
«Ti senti meglio?» Il quesito della bionda la lasciò interdetta per alcuni secondi, bloccandola con le dita ancora avvolte nell’asciugamano che stava utilizzando. Era un pensiero carino quello di chiederle come si sentisse, quello che nessun altro era riuscito a porle probabilmente per non metterla in difficoltà.
«Sì, grazie. L’agitazione gioca brutti scherzi!» si voltò verso la ragazza che tanto aveva temuto e odiato negli ultimi giorni, porgendole un sorriso sincero, il quale venne ricambiato con uno altrettanto vero e dolce.
«Tu piaci molto a mio fratello e credo che anche lui non ti sia del tutto indifferente.»
Isabella le si avvicinò con cautela, appoggiandosi al bancone a cui era accostata anche Sophie.
«Non voglio spingerti tra le sue braccia o tirare l’acqua al suo mulino, queste sono cose che dovrete vedere voi due. Ti voglio solo dire che non è più il ragazzo di una volta, il cui scopo era solo divertirsi; ora credo sia pronto a pensare a farsi una famiglia, con la ragazza giusta, ovviamente!»
Le fece l’occhiolino prima di allontanarsi verso la sala, lasciando il posto ai fumatori che stavano rientrando, compreso Francesco. Quest’ultimo estrasse dal frigorifero il tiramisù, la torta Sacher e la cheescake senza glutine, chiedendo alla sua Khaleesi una mano per portare il tutto nell’altra stanza.
«Aspetta!» Lei cercò il cassetto con le posate e, una volta trovato, ne estrasse una forchettina da dolce. Tolse la carta d’alluminio dal tiramisù e ne tagliò un pezzo, che portò alla bocca del bruno rimasto interdetto.
«Vuoi farmi morire qui dove nessuno ti può vedere?» domandò con un sorriso, facendola sbuffare, ma anche ridere allo stesso tempo.
«No, cretino, voglio che lo assaggi per primo!» affermò divertita, tenendo sempre la posata davanti alle labbra del bruno. Francesco fece come gli aveva chiesto, assaporandone il gusto delicato ma squisito.
«Mmm, è veramente buono! Isa vorrà sicuramente sapere cosa fai di diverso per renderlo così leggero.» Sophie sorrise entusiasta, apprezzando l’immagine di lui, intento a gustarsi ogni pezzetto rimasto sulla forchetta, restituendola completamente pulita.
«E tu dovrai mantenere il segreto, anche a costo della vita!» Sentenziò, richiudendo la teglia con la carta argentata.
«E che cosa otterrò in cambio?» Sfoderò il suo sorriso sghembo, quello che la faceva sempre capitolare e le rendeva difficile pensare lucidamente. Si portò una mano al mento, fingendo di pensare a un responso che potesse soddisfarlo.
«Potrei preparartelo ancora una volta, solo per te!» Arrossì lievemente sulle gote, sperando che la sua risposta non gli fosse sembrata patetica, come lo era stato chiedergli ai tempi di dargli una possibilità. Abbassando lo sguardo, non si accorse che anche l’imperturbabile Motolese era diventato rosso in viso, proprio come lei, per quella proposta che non avrebbe mai pensato di ricevere.
«Andata. Porterò il tuo segreto nella tomba!» Prese le due torte tra le mani e si avviò verso la sala, seguito da una ragazza estremamente felice.
 
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La sera era ormai giunta e quasi tutti avevano lasciato lo Starlight per rincasare. Matteo e Francesco sistemarono il locale per l’apertura serale, aiutati da Giorgia e Sophie, le uniche rimaste a dar loro una mano, in attesa del ritorno di Mattia e Giacomo, i quali avevano accompagnato le proprie compagne alla loro abitazione
«Se andassimo a bere qualcosa?» La proposta del biondo, sussurrata all’orecchio di quella che era diventata da poco la sua ragazza, la fece arrossire; iniziò a giocare con alcune delle proprie ciocche dorate, rivolgendo lo sguardo al pavimento.
«Per me va bene!» Sorrise, allungandosi per baciarlo, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia forti.
La mora li osservò scambiarsi quelle effusioni con occhi sognanti; era felice che l’amica stesse provando delle emozioni così forti e si augurò che Matteo fosse l’uomo giusto per lei, quello che non l’avrebbe mai fatta soffrire, quello che l’avrebbe fatta innamorare e che si sarebbe preso cura di lei.
Involontariamente si voltò verso l’affascinante bruno, il quale era ripiombato nella sua vita e ne aveva creato scompiglio, disintegrando tutte quelle che lei credeva fossero certezze. Lo osservò mentre sistemava le ultime sedie fuori posto, percependo un torpore nel petto.
Francesco si era insinuato dentro di lei o forse non se n’era mai andato. Era nella sua mente, dirottandone i pensieri, nel suo stomaco, il quale vibrava come le corde di una chitarra che solo lui era in grado di suonare, nel suo cuore che pulsava a un ritmo frenetico ogni volta che erano assieme; la sua nuova ossessione le bruciava dentro, come un marchio impossibile da rimuovere.
Una volta giunti gli altri due proprietari, gli altri quattro poterono andarsene, avviandosi verso le proprie vetture.
Le ragazze si abbracciarono, anche se si sarebbero viste in ufficio il giorno seguente, mentre i due uomini le guardarono, sorridendo loro.
Giorgia si accostò a Matteo, raggiungendolo sul lato passeggero della vettura, mentre Francesco si avvicinò a Sophie.
«Ci vediamo in questi giorni?» le domandò speranzoso, perdendosi in quegli smeraldi verdi e brillanti.
«Niente più spesa però, altrimenti ti chiudo nella cella dei surgelati!» Entrambi risero a quella battuta, seguita da un silenzio imbarazzante.
Il bruno avrebbe voluto baciarla, visto che nessuno era rimasto nei paraggi a poterli interrompere, ma allo stesso tempo aveva paura di un suo rifiuto. Lei desiderava fare lo stesso, ma ebbe il timore di affrettare le cose, perciò si allungò per posargli un lieve bacio sulla guancia, dandosi comunque della cretina nella propria testa.
«Fatti sentire, Motolese impertinente!» Salì sulla sua Smart per poi allontanarsi, lasciando solo il ragazzo che la osservò scappare per l’ennesima volta.

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Capitolo 37
*** Capitolo 36 - Devi nasconderti ***


«Va bene, mamma, vi aspetto!» Chiuse la chiamata, appoggiando il cellulare sul divano, per poi rintanarsi sotto il caldo plaid in pile dalle sfumature beige e rame. Quel sabato era iniziato nel peggiore dei modi, con mal di gola, raffreddore e qualche linea di febbre. Il giorno precedente aveva già avvertito l’arrivo dell’influenza, sentendosi fiacca, con le ossa intorpidite, dunque non si stupì quando, quel mattino, si svegliò con il naso colante, la trachea in fiamme e un leggero mal di pancia dovuto a quel periodo del mese che tutte le donne odiavano.
Aveva avvisato la sua migliore amica del proprio malessere, comunicandole che quella sera non si sarebbe potuta unire alla comitiva, la quale si sarebbe radunata allo Starlight a fare festa. Non vedeva Francesco da Pasquetta, anche se lo aveva sentito tutti i giorni con lo scambio di sms ironici; questi l’avevano fatta sentire più vicina al bel bruno, dal quale era nuovamente ossessionata.
Si soffiò il naso rumorosamente, appallottolando l’ennesimo fazzoletto, riprendendo la lettura di Storm, una storia d’amore che la stava appassionando negli ultimi giorni, grazie allo stile accattivante della giovane autrice.
Non si era accorta del passare del tempo, tanto era proiettata nelle vicende del libro, finché non sentì il suono del citofono, il quale la riportò alla realtà nella sua accogliente casa.
Diede una rapida occhiata all’ora sullo schermo del suo smartphone, notando che erano da poco passate le sei del pomeriggio; la madre e la nonna erano decisamente in anticipo, ma probabilmente erano arrivate prima per farle compagnia e non lasciarla sola.
Si alzò lentamente, sollevò la cornetta del citofono e premette il pulsante di apertura, senza chiedere nemmeno chi fosse dall’altra parte, dopodiché si avvicinò alla porta d’ingresso, girò le chiavi nella serratura e lasciò socchiuso, tornando poi a sedersi. Si preparò psicologicamente alla sfuriata della sua adorata nonnina, dato che avrebbe trovato la nipote con addosso il tenero pigiama bianco di pile, sul quale l’immagine di Bambi era ben raffigurata all’altezza del petto; non era consono accogliere degli ospiti in quelle condizioni, ma data la sua salute cagionevole, non se la sentiva di cambiarsi nemmeno per mettersi in tuta.
«Non chiedi mai “chi è” quando qualcuno ti suona? Se fossi stato un ladro?»
Quella voce calda e vigorosa la fece sobbalzare, portandola a voltarsi verso il suo possessore, bello come sempre, nonostante il leggero cipiglio sul volto.
«Non ho mai sentito di ladri che suonano alle case delle proprie vittime! Che ci fai qui?»
La sua domanda fece ridere Francesco, ancora accostato alla porta d’ingresso.
«Un uccellino mi ha detto che sei malata e sono venuto a vedere come stessi. Ho appena finito il mio turno e fino a domani sono libero!»
Guardò la sua Khaleesi, con il naso arrossato, gli occhi gonfi e le labbra leggermente screpolate, trovandola tenera e bellissima anche in quelle cagionevoli condizioni.
Le gote di Sophie si colorirono dopo l’affermazione premurosa del bruno: non credeva avesse un lato così dolce.
«Un passero biondo che è a stretto contatto con una chiacchierona di nome Giorgia immagino… comunque accomodati, vuoi bere qualcosa?»
La mora si alzò, leggermente barcollante, portando Francesco ad avvicinarsi fulmineo a lei per sostenerla, preoccupato che potesse cadere da un momento all’altro.
«Non sapevo di farti questo effetto! Per favore, non svenire davanti al mio fascino!» ironizzò, regalandole il suo solito sorriso sghembo che lei tanto adorava.
Sophie, esasperata, alzò gli occhi al cielo, cercando di trattenere la sua risata, non dando soddisfazione a quel impertinente, beandosi però delle mani calde di lui sulle proprie braccia.
«Cretino! Se svengo è per la febbre, non di certo per la tua faccia da schiaffi!» mentì, sorridendogli poi vittoriosa.
«Nemmeno la febbre ti fa essere più docile? Non disturbarti, resta seduta; sono venuto per aiutarti non per farti affaticare.»
Non le sarebbe dispiaciuto stancarsi insieme a lui, se si fosse trattato di loro due avvinghiati nel letto, ma evitò di trattenersi troppo su quel pensiero. Si lasciò adagiare sul divano, studiando il volto perfetto di quell’affascinante bruno, soffermandosi sui suoi occhi così penetranti e luminosi, i quali le facevano palpitare il cuore a un ritmo incalzante.
«Grazie, è bello che tu sia qui!»
Francesco si sedette vicino a lei, appoggiando la testa sul morbido schienale, scostandole una ciocca scura e soffermandosi con i polpastrelli sul pallido viso di lei.
«Non devi ringraziarmi, Soph; mi piace passare il mio tempo con te.»
Con il pollice tracciò una linea immaginaria che andava dalla sua guancia al lato della bocca, ripetendo quel gesto più volte, mentre lei gli prese la mano libera e la strinse tra le sue.
Il silenzio che aleggiava in quelle quattro mura non risultò pesante o imbarazzante, perché con quelle carezze e l’unione dei loro sguardi carichi di significato, i due stavano comunicando, più di quanto avrebbero potuto fare con le parole.
Passarono diversi minuti in quella posizione, finché la mora non prese un profondo respiro, prima di slegare le loro dite.
«Vuoi guardare le partite?» Era talmente abituata a passare il weekend da sola o in compagnia di Daniele, solo se la tv veniva sintonizzata sul canale sportivo, che gli venne spontaneo porgli quel quesito.
Francesco le sorrise, interrompendo quell’adorabile carezza per avvicinarsi di più a lei.
«Solo se va anche a te, altrimenti potremmo guardarci un bel film o spararci una maratona di GOT!»
Era certo che con quell’ultima proposta avrebbe ravvivato l’umore di Sophie e infatti i suoi smeraldi brillarono di nuova luce e un sorriso radioso fece capolino sul suo viso.
«Maratona dalla prima stagione?» domandò con una tale enfasi da contagiare anche lui. Quando sorrideva lo lasciava senza fiato, incredulo che si potessero provare simili emozioni, le quali riscaldavano il petto.
Guardarono il primo episodio, accoccolati sulla penisola monoposto, commentando vari spezzoni, ridendone insieme.
Vedendoli da fuori, sarebbero apparsi come gesti di una coppia di innamorati che passavano da sempre del tempo insieme, non di certo due sconosciuti che si erano rincontrati dopo sette anni e stavano imparando a conoscersi.
Prima che potessero iniziare la visione del secondo episodio, il citofono suonò per la seconda volta, ricordandole solo in quel momento che la sua famiglia avrebbe cenato da lei.
«Merda! Mi ero dimenticata che stavano arrivando!» Si alzò di tutta fretta, gettando la coperta addosso all’inconsapevole ragazzo, il quale la guardò confuso.
«Devi nasconderti!» affermò lei, guardandosi in giro, cercando un nascondiglio sicuro dove avrebbe potuto rinchiuderlo, lasciandolo libero una volta che le due donne fossero state distratte in un’altra stanza.
«Perché devo nascondermi, scusa?» chiese divertito, osservando con un sorriso i movimenti sconclusionati di lei.
«Perché di sotto ci sono mamma e nonna… vai sul balcone!»
Il trillo del campanello agitò ancora di più la ragazza, la quale iniziò a tirare il bruno dalle mani per farlo alzare, provocando in lui maggiore ilarità.
«Non mi nasconderò come un ladro! Se non vuoi presentarmele le saluterò e poi me ne andrò, non preoccuparti.»
Sophie bloccò ogni suo gesto, tenendo però le dita intrecciate a quelle di lui, soppesando le sue parole. Era felice che lui non volesse scappare, vedendo in quell’incontro una sorta di presentazione ufficiale non programmata, ma dall’altra parte era terrorizzata per quello che avrebbero pensato le sue donne.
Un nuovo scampanellio, questa volta più prolungato, riecheggiò per la casa.
«Credo che dovresti rispondere…» Francesco la incoraggiò con un sorriso, al quale lei rispose con un sospiro. Si avvicinò al citofono con passo lento e insicuro, alzando infine la cornetta.
«Chi è?» domandò tremante, senza mai staccare gli occhi da quei pozzi profondi che avevano il potere di quietarla.
«Sto cazzo! Allora, ci apri o no?» La voce squillante e leggermente adirata della nonna le rimbombò nell’orecchio, facendola ridere. Pigiò il pulsante di sblocco e le aspettò, appoggiando la schiena contro la libreria alle sue spalle.
«Sei diventata sorda per caso? Ti devo portare da Amplifon?» esordì l’anziana signora una volta giunta nell’appartamento, seguita dalla figlia. Non si era accorta che la nipote era in piacevole compagnia, finché il ragazzo accomodato sul divano non si alzò, mostrando tutta la sua imponenza e il fascino selvaggio.
«Porca vacca!» esclamò, dopo aver squadrato il bel bruno dalla testa ai piedi, provocando una risata generale.
«Nonna, mamma, lui è Francesco!»

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Capitolo 38
*** Capitolo 37 - Perché non resti a cena, Filippo? ***


L’imbarazzo regnò sovrano per diversi minuti in quella stanza; Sophie osservava la madre e la nonna, le quali scrutavano con minuzia il bel giovane, lievemente arrossito per quel silenzioso studio della sua persona. Si ritrovò ad abbassare lo sguardo, sperando che quella tensione potesse sparire il prima possibile.
«Allora… che dite?» La mora fece ciondolare le mani, cercando di focalizzare su di sé le attenzioni delle due, liberando il povero Francesco da quella situazione imbarazzante.
«Che diciamo… ti pare il caso di accogliere in casa ‘sto ragazzo, vestita così?» Come immaginato, la nonna non si era fatta scappare l’abbigliamento non consono della nipote, scrutandola da dietro i suoi occhiali rettangolari e lanciandole uno sguardo di dissenso.
«Ma, nonna, sono malata.» Ad avvalorare quella tesi, Sophie ebbe un colpo di tosse, seguito da uno starnuto, per finire poi con dei brividi freddi che le attraversarono il corpo, pervadendo le sue ossa.
Il bel bruno si avvicinò a lei, appoggiandole una mano sulla schiena per accarezzarla e farle sentire un po’ di calore, gesto che non passò inosservato alla matriarca della famiglia, né alla figlia. Entrambe osservarono i due guardarsi, leggendo nei loro occhi il bisogno l’uno dell’altra e ne rimasero colpite. Volevano bene a Daniele, lo consideravano ancora della famiglia, ma in tutti quegli anni non avevano mai visto Sophie guardarlo in quella maniera, con devozione e sentimento, così come stava facendo con quel ragazzo.
«Forse è meglio se ti siedi.» Francesco posò le labbra sulla fronte di lei, percependo il calore della febbre che si irradiava nel suo esile corpo.
«Scotti un po’!» affermò, accompagnandola verso il divano, sempre sotto gli occhi attenti delle due spettatrici silenziose.
«Saresti malata anche con un jeans e una camicia, ma almeno saresti presentabile!» borbottò tra sé e sé l’anziana, cercando di farsi comunque udire da tutti i presenti.
«Forse è meglio se iniziamo a preparare la cena, così poi ti potrai riposare.» Samanta, spogliandosi della giacchetta, prese dalle mani della madre la borsa termica, la quale conteneva il cibo preparato nel pomeriggio, e la portò in cucina, permettendo così a Mariacarla di spogliarsi dal suo cardigan.
«Allora è il caso che io me ne vada!» esclamò lui con riluttanza, regalando uno sguardo amorevole alla sua bellissima ossessione, la quale lo guardò in egual modo, accennando un lieve sorriso.
«Che fretta c’è! Perché non resti a cena, Filippo?» L’anziana signora lo guardò sorridendo, restando ammaliata dalla bellezza straordinaria del ragazzo e dalla sua dentatura perfetta, appena messa in mostra in una risata che coinvolse anche la nipote.
«Nonna, si chiama Francesco, non Filippo!» Lui e Sophie risero di gusto davanti alla confusione della donna, la quale, non sapendo come ribattere, si unì a loro.
«Perché state ridendo tutti quanti?» Samanta si affacciò alla porta della cucina, osservando quel insolito trio così divertito, chiedendosi cosa fosse successo di tanto ironico, soffermandosi sul viso radioso della figlia; non la vedeva così felice da tantissimo tempo. Il sorriso sul suo volto non era mai mancato, ma non era minimamente paragonabile a quello spensierato che aveva in quel momento, come se finalmente si fosse tolta la maschera che mostrava al mondo e fosse stata pronta a farsi vedere per quello che era.
«Niente, prendono in giro una povera vecchia dalla memoria breve! Dai, ti aiuto a preparare la tavola.» Mariacarla si alzò, fermandosi di colpo di fronte ai due giovani sul divano.
«Si ferma anche coso…» indicò il bel bruno, il quale trattenne a stento un risolino, mentre Sophie si portò una mano alla fronte coprendo i suoi smeraldi sconcertata.
«Francesco!» asserì lui con dolcezza, fissando gli occhi gentili della donna, così simili a quelli della sua Khaleesi.
«Ecco, bravo; si ferma a cena anche lui!» L’anziana signora gli sorrise, prima di sparire nella cucina a prendere l’occorrente per apparecchiare la tavola.
«Ora ammetti che la mia idea di nasconderti non era tanto male?» gli domandò in un sussurro, ridendo insieme al seducente bruno seduto accanto a lei. Si avvicinò a pochi centimetri dal suo viso, facendole palpitare il cuore, costandosi poi al suo orecchio.
«In realtà sono contento di non averti ascoltato; a fine serata tua nonna sarà pazza di me, più di quanto non lo sia tu!» Le stampò un bacio sulla guancia e si alzò, allontanandosi per aiutare le due donne, impedendo così alla bella mora di ribattere alla sua frecciatina.
Entrando nella stanza, un profumino invitante gli pervase le narici; puntò il suo sguardo nella direzione del forno, notando dal vetro trasparente una pirofila di ceramica scura al cui interno cuoceva la lasagna.
«Posso aiutarvi in qualche modo?» Si rivolse alla donna dai capelli scuri e dal fascino così simile a quello della ragazza seduta nell’altra stanza.
«Non preoccuparti, caro; pensiamo a tutto noi. Tu sei un ospite!» Samanta gli sorrise, coprendo la mano destra con il guanto da forno bianco a righe camoscio, dandogli poi le spalle per misurare il livello di cottura della pietanza.
Mariacarla invece gli posò tra le mani quattro bicchieri dalle varie fantasie, spingendolo nel soggiorno.
«Porta questi, così mi fai fare un giro in meno!» asserì divertita, stringendo tra le dita la tovaglia bicolore di cotone, che stese sul tavolo in legno bianco.
Francesco posò i bicchieri di vetro davanti alle quattro sedute in pelle, dopodiché lasciò lo spazio alla matriarca, la quale collocò i piatti fondi insieme ai tovaglioli in coordinato.
Sophie si alzò, desiderosa di aiutare anche lei, ma lo sguardo raggelante della nonna la bloccò sul posto. Aveva assottigliato gli occhi, i quali risultarono ancora più intimidatori da dietro le lenti degli occhiali, in un chiaro messaggio di sospendere ogni sua azione per attendere seduta comoda.
Venne salvata dalla madre, la quale stringeva una bottiglia di acqua e una di vino bianco frizzante.
«Tutti a tavola; mamma, anche tu per favore!» Sorrise alla donna, dandole poi le spalle per tornare in cucina.
L’anziana signora fu la prima a prendere posto, accomodandosi sulla sedia vicina alla finestra, dando la schiena alla scala.
Francesco si sedette di fronte a lei, lasciando a Sophie la scelta del posto da occupare; al suo fianco o dall’altra parte? La mora, senza nemmeno pensarci, occupò la sedia accanto al bruno.
Samanta mise al centro della tavola la pirofila contenente le lasagne, le quali, con il loro odorino invitante, aprirono lo stomaco a tutti.
«Non ci credo; mamma ha preparato le lasagne senza glutine solo per me!»
Sophie si leccò la bocca, aspettando il momento che le sue papille gustative entrassero in contatto con quella pietanza sublime.
«Ehm, veramente no… queste sono per noi!» La voce accorata della nonna giunse ai timpani della giovane come un macigno. Un velo di delusione le si cucì addosso, portandola a piegare il labbro inferiore verso il basso, come succedeva ai bambini quando vedevano un giocattolo a cui ambivano ma che non potevano avere.
Samanta depositò un pentolino fumante vicino al bicchiere della figlia, insieme a un mestolo.
«Cioè, fatemi capire… voi vi siete portate le lasagne e per me una misera minestra?»
La domanda di lei provocò una forte ilarità nel ragazzo, il quale cercò di mascherarla con un leggero colpo di tosse, portandosi entrambe le mani davanti alla bocca.
«Ehi, bimba, guarda che sono stata tutto il pomeriggio a farti questo cavolo di brodo cuocendo la carne e le verdure per ore. Sei tu la malata, mica noi; credevi che avremmo mangiato la minestra come negli ospizi?» Le parole di Mariacarla fecero ridere tutti in quelli stanza, nonostante il dissenso di Sophie.
«Okay, okay, ma non arrabbiarti, nonnina cara. Mangerò questa squisita minestrina fatta con tanto amore dalle tue splendide mani!» la canzonò con un sorrisetto beffardo.
«Ma vai a cagare! Fai silenzio e mangia, su!»
Fra le risate generali iniziò la loro cena, dove si ritrovarono a parlare di vari aneddoti divertenti sull’infanzia della bella Sophie, sulle ambizioni lavorative di Francesco e della sua famiglia, argomento su cui non si soffermò troppo, per evitare che alcuni ricordi tristi potessero rovinare il clima di quella serata, la quale si stava volgendo stupendamente, fino a una domanda un po’ ostica per entrambi.
«Come vi siete conosciuti?» chiese inconsapevole Samanta, addentando l’ultimo pezzo di lasagna che aveva nel piatto. Mariacarla sorseggiava il suo bicchiere di vino bianco, anche lei curiosa di scoprire quel dettaglio interessante. Gli occhi delle due donne erano puntati su di loro, mettendo i ragazzi in maggior difficoltà; non potevano certo dire che erano usciti insieme anni prima per una scommessa, con la quale si erano ritrovati mezzi nudi nella macchina di lui in un parcheggio piuttosto isolato.
«È successo dopo la mia vacanza a Nettuno a casa di Luna. Ci siamo conosciuti in un bar, siamo usciti qualche volta con i nostri amici, ma poi ci siamo persi di vista fino a qualche settimana fa.»
Tagliò corto lei, bevendo poi l’acqua nel suo bicchiere, sperando che l’argomento venisse archiviato con la stessa facilità con cui era stato intavolato.
Sia la madre che la nonna puntarono gli occhi in quelli del bruno, il quale imitò il gesto della ragazza, portandosi il bicchiere alla bocca e mandandone giù il contenuto; era imbarazzato anche lui al pensiero che potessero chiedere altro.
Nessuno dei due immaginava che il pensiero delle due donne fosse il medesimo, ovvero che si erano ritrovati proprio alcuni giorni prima che Sophie chiudesse la sua relazione con Daniele.
«Capisco… e ora state uscendo insieme?» A quel quesito la mora quasi non si strozzò con l’acqua che aveva in bocca. Sbiancò e iniziò a tossire considerevolmente, aiutata fortunatamente dal bruno che le picchiettava la schiena.
Tornata del suo colore naturale e avendo ripreso a respirare normalmente, guardò le due ancora in attesa di una risposta.
«No, mamma; siamo solo amici!» Udire quell’affermazione gli fece storcere la bocca, costringendolo a versarsi dell’altro vino. Era deluso, amareggiato e piuttosto abbattuto; non credeva certamente che gli avrebbe professato il suo amore, ma era convinto che anche lei sentisse quella forza che li univa, la quale andava ben oltre alla mera attrazione fisica. Non era consapevole che nella testa di lei stessero passando infinite domande sui suoi sentimenti; come lui, anche Sophie sentiva che avevano un legame profondo, ma aveva paura che fossero solo sue convinzioni e che in realtà Francesco non provasse nulla.
Vedendo le espressioni afflitte dei due, Samanta preferì non continuare con quell’interrogatorio.
«Okay! Mamma, mi aiuti a sparecchiare?» La donna si alzò, stringendo tra le mani il suo piatto, agguantando anche quello della figlia, insieme alle posate, per portare poi il tutto in lavastoviglie. Mariacarla fece lo stesso, lasciando soli i giovani ancora un po’ imbarazzati. Entrambi tenevano lo sguardo sulla tovaglia, senza proferir parola. Lei si mordicchiò la carne all’interno della bocca, mentre lui picchiettò la pianta del piede sul pavimento, cercando di riversare tutta la tensione accumulata, senza però riuscirci.
«Ti dispiace se esco a fumare?» le domandò senza guardarla, cercando nella tasca della felpa il suo pacchetto bianco e l’accendino, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla porta di ingresso.
«Non c’è bisogno che scendi, puoi fumare sul balcone, sai? C’è un posacenere sul tavolino sulla destra.» Osservò le spalle tese di lui muoversi in direzione della porta finestra, inghiottito poi dal buio della sera. Sospirò mesta, chiedendosi se sarebbe mai riuscita a capire quello che passava in quella testa bruna, se le sue domande avrebbero mai ottenuto una risposta e se quest’ultima potesse essere quella che lei tanto anelava.
Si alzò anche lei, portando nell’altra stanza i quattro bicchieri vuoti, quasi scontrandosi con la madre che stava aprendo la porta proprio in quel momento.
«Tesoro, siediti, non devi affaticarti!»
La ragazza sbuffò, stanca di quelle continue e asfissianti premure.
«Sentite, non sono una malata terminale. Ho la febbre, ma non muoio se cammino un po’!»
Così dicendo entrò nella stanza, incastrò i bicchieri nella lavapiatti e la fece partire, mentre la nonna era andata a ritirare la tovaglia, per metterla nella cesta dei panni da lavare, la quale si trovava nello stanzino confinante alla cucina.
Una volta che il soggiorno fu sistemato, Sophie tornò a sedersi sulla parte del divano con la penisola, osservando le due donne rivestirsi.
«Ma state già andando via?» domandò loro sorpresa.
«Sì, piccola. Sei già in buona compagnia e non vogliamo soffermarci troppo!» Samanta le fece l’occhiolino, sorridendole maliziosamente. La ragazza arrossì per l’allusione non tanto velata della madre, mentre la nonna si guardò intorno guardinga.
«Oh, comunque, quello lì ha proprio un bel sedere… dagli una palpatina anche da parte mia!»
Il viso di lei si fece ancora più incandescente dopo le parole della nonna, le quali provocarono un leggero imbarazzo anche nella figlia.
«Mamma, alla tua età queste cose non si dicono!» la rimproverò quest’ultima, portando la madre ad alzare gli occhi verso il soffitto.
Provvidenziale fu l’arrivo del giovane, il quale portò ad arrestare la contro risposta dell’anziana.
«State già andando?» chiese anche lui, chiudendosi la porta finestra alle spalle, per poi tirare la tenda bianca a coprirla.
«Sì, caro, è stato un piacere conoscerti!» La matriarca allungò la mano verso di lui, che la strinse regalandole un tenero sorriso.
«Anche per me!»
Samanta si avvicinò al bruno, imitando il gesto della madre, sorridendogli a sua volta.
«Ci sentiamo domani, tesoro. Riposati!» Diede un bacio sulla testa alla figlia, salutando un’ultima volta i due ragazzi prima di lasciare l’appartamento insieme alla madre.
Francesco si allontanò per lavarsi le mani, mentre Sophie accese la tv, ritrovando la puntata messa in pausa qualche ora prima. Quando lui tornò nella stanza, la osservò, indeciso sul da farsi.
«Ti lascio riposare anche io.» Quelle parole le provocarono un sussulto, portandola a deglutire amaramente.
«Non ti va di restare… ancora un po’?» Porse quel quesito con un’immensa speranza nel cuore, lasciandolo interdetto, con il solo desiderio di passare altro tempo insieme.
«Certo che mi va!» Le sorrise, provocandole un’accelerata del muscolo cardiaco.
«Fammi spazio, Khaleesi.» Si sedette alla sua destra, stringendola a sé, lasciando che posasse la sua testa al proprio petto. Sophie poté sentire i battiti irregolari del cuore di lui; sembrava dovesse scoppiare da un momento all’altro e la cosa la rincuorò, consapevole che non era l’unica a provare certe emozioni quando erano vicini.
«Riprendiamo da dove ci eravamo interrotti?» Quella domanda, alle orecchie del bruno, sembrava voler dire altro, una richiesta di recuperare il tempo perso, dimenticando quello che li aveva portati ad allontanarsi. Forse era la sua mera speranza o forse lei stava davvero cercando di chiedergli un nuovo inizio, quello lui non poteva certo saperlo; l’unica certezza che aveva era che non l’avrebbe più lasciata andare, avrebbe combattuto per lei senza arrendersi.
«Riprendiamo da dove ci eravamo interrotti!» Quell’affermazione, pronunciata quasi in un sussurro, provocò una scarica di emozioni nello stomaco di lei. Quelle fluttuazioni nel ventre le risalirono fino al petto, lasciando dietro di loro un immenso calore, il quale la rasserenò, come se lui gli avesse appena fatto una promessa di dedizione.
Si guardarono dolcemente negli occhi per alcuni secondi, prima di riprendere la visione della loro serie tv. Passarono diverse ore accoccolati in silenzio, tanto che Francesco non si accorse subito che la ragazza si era addormentata, cullata dal battito del suo cuore, avvolta nelle sue braccia. La sentì respirare rumorosamente, avendo il naso chiuso, mentre con le esili dita stringeva un pezzo della sua felpa. Le scostò alcune ciocche per osservarne il viso rilassato mentre riposava, accarezzandole il volto con la punta delle dita. Ripeté quel gesto per diversi minuti, finché non si decise a prenderla in braccio per portarla nel suo giaciglio, il quale sarebbe stato sicuramente più comodo per la sua Khaleesi.
Udì un mugugno un po’ infastidito uscire dalla bocca di lei, per poi tornare ad accoccolarsi contro il corpo possente del bruno. Cercò di salire la rampa il più silenziosamente possibile, ma purtroppo gli ultimi scalini scricchiolarono lievemente al suo passaggio; fortunatamente Sophie era crollata in un sonno profondo, quindi non si accorse né di quel debole rumore, né di essere stata sollevata e condotta nella sua camera, la quale veniva rischiarata debolmente dalle luci della città.
La posò con cura sul letto leggermente disfatto, per poi rimboccarle le coperte, sorridendo a quella visione perfetta; avrebbe dato qualsiasi cosa per poterla osservare dormire in quel modo ogni sera.
«Buona notte, mia bellissima Khaleesi.» Sfiorò quelle labbra, un po’ secche per via della febbre, con le sue, stampandole un lieve bacio ricco di amore e tacite promesse.

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Capitolo 39
*** Capitolo 38 - Non sei poi così malvagio ***


La lieve luce del mattino illuminava la camera da letto, carezzando il viso disteso di Sophie. I suoi occhi restarono chiusi mentre si beava del calore delle coperte, le quali sembravano avvolgerla come in un abbraccio, rassicurandola da ogni incertezza. Aveva dormito serenamente quella notte, come non faceva da settimane, in un sonno senza sogni, ma soprattutto senza incubi. Sentiva ancora il proprio respiro pesante, dovuto al naso chiuso e al dolore alla gola, ma riusciva a percepire un’immensa energia irradiarsi nel suo corpo; la febbre era decisamente passata.
Distese gambe e braccia per eliminare ogni traccia dell’indolenzimento, aprendo finalmente gli occhi, estendendo le labbra in un raggiante sorriso.
Non ricordava come aveva fatto ad arrivare fino al suo giaciglio, il suo ultimo ricordo della sera precedente la vedeva tra le braccia del suo bel bruno, entrambi impegnati a gustarsi gli episodi della serie tv. Aveva lasciato il telefono nel soggiorno, così pensò di scendere a recuperarlo, con l’intenzione poi di prepararsi un abbondante colazione; non si aspettava certamente di restare incantata da quello spettacolo, mentre scendeva le scale. Francesco stava dormendo sul divano, avvolto nella coperta che ieri avevano condiviso, rannicchiato nella parte della penisola; sotto il suo volto rilassato, il piccolo cuscino di pelle bianca lo sosteneva.
Gli si avvicinò con cautela, cercando di non svegliarlo, volendo ammirare più da vicino i lineamenti di quel viso bellissimo; scrutò con minuzia quelle piccole rughette sulla fronte a forma di gabbiano, le quali rafforzavano il suo già innato fascino, desiderando di sfiorarle con la punta dell’indice per tracciarne ogni dettaglio percepibile solo al tatto. Si soffermò poi sulla barba bruna incolta che delineava la parte inferiore del volto, incorniciano quella bocca a cuore maledettamente invitante, così rosea e leggermente dischiusa.
Strinse il bracciolo tra le dita, accorciando maggiormente le distanze, finché la punta dei loro nasi non si sfiorò come era già successo negli ultimi giorni. Forse fu proprio quel contatto, o probabilmente il caldo e corto respiro di lei così vicino al suo volto da sembrare lava incandescente, ma in quel momento Francesco si ridestò, ritrovandosi a sorridere.
«Se vuoi baciarmi non devi aspettare che io stia dormendo, sai?» Le sue palpebre restarono sigillate, ma riuscì ugualmente a percepire l’imbarazzo di lei per essere stata colta in flagrante. Sophie sussultò nell’udire quella voce profonda ancora assonnata, cadendo col sedere sul pavimento, mentre il cuore le tamburellava impazzito nel petto.
«N-non ti volevo baciare… I-io volevo farti spaventare!» Sentì il viso andarle in fiamme, grata di aver avuto la prontezza di riflessi almeno per rispondergli a tono, anche se la voce le si era leggermente incrinata. Si alzò velocemente da terra, scappando verso il bagno e appoggiandosi con la schiena alla porta in legno, cercando di calmare il suo respiro irregolare. Non si era accorta nemmeno lei di essersi avvicinata così tanto a lui mentre dormiva. Il suo corpo era attratto da quello di lui come se fosse fatto di magnetite e lei fosse l’acciaio, come se entrambi fossero poli di diverso tipo, il nord e il sud; era impossibile separarli quando entrambi si trovavano vicino.
Dopo aver fatto le sue cose ed essersi data una rinfrescata al viso, lo raggiunse nel soggiorno, trovandolo ancora con quel solito sorrisetto sghembo disegnato sulla faccia da schiaffi.
«Smettila di sogghignare, idiota!» lo ammonì, alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia al petto.
«Buongiorno anche a te, Khaleesi. Sei sempre così dolce appena sveglia?» la canzonò stiracchiandosi, stendendo le braccia verso l’alto. La sua felpa e la maglietta si sollevarono leggermente, lasciando alla vista della borbottona lembi di pelle di quell’addome marmoreo, il quale lei anelava tastare e baciare.
«Santa Vergine, aiutami tu!» bofonchiò, rivolgendo nuovamente lo sguardo verso l’alto, in una celata richiesta di autocontrollo, quello che le veniva sempre a mancare quando gli era vicina.
«Facciamo colazione? O vuoi restare ferma come un baccalà ancora per molto?» la domanda del bruno la ridestò dai suoi pensieri, dopodiché fu il suo stomaco a rispondere a quella richiesta, emettendo un brontolio che non lasciava spazio a equivoci, facendoli ridere di gusto.
«Come mai sei rimasto a dormire sul divano?» gli chiese sedendosi al suo fianco, puntando i propri smeraldi negli occhi di lui.
«Non potevo andarmene e lasciare la serratura della porta aperta tutta la notte, né volevo svegliarti per farti chiudere a chiave, visto che dormivi beatamente, così ho pensato che l’unica soluzione fosse dormire qui.» Dopo quelle parole, le scostò la solita ciocca dietro l’orecchio, accarezzandole il viso arrossato. Sophie restò piacevolmente sorpresa dalla sua premura, non immaginava che quell’insolente avesse anche un lato così tenero e protettivo, soprattutto nei suoi riguardi.
«Grazie! Posso prepararti dei Waffel per sdebitarmi? Ho preso lo stampo qualche settimana fa, ma non ho ancora avuto occasione di usarlo.»
Francesco si limitò a un cenno positivo col capo, rimembrando la sera di Pasqua e loro due impegnati a cucinare il tiramisù; era certo che avrebbero trovato il modo di battibeccare anche quella mattina, ma a lui piaceva anche quello di lei. Si alzarono simultaneamente, sorridendosi, dirigendosi poi verso la cucina, pronti a costruire un altro pezzo della loro storia.

 
✿..:* *.:.✿

La mattinata passò in un lampo, tra le risate e qualche solito bisticcio dovuto sempre alla passione di Sophie per il fruttosio, anziché lo zucchero. A Francesco in realtà non cambiava molto, si divertiva a punzecchiarla per godersi la reazione della mora impertinente, la quale non riusciva proprio tenere a freno la lingua con lui. Anche a lei piaceva quel loro modo di provocarsi, perché la faceva sentire viva, un incendio pronto a innescarsi che solo lui era in grado di domare, dirottando la sua forza distruttiva in passione e lussuria.
«Sarà il caso che vada; stasera tocca a me aprire lo Starlight e devo proprio darmi una rinfrescata.»
Sophie cercò di celare la propria tristezza, mentre lo accompagnava all’ingresso: avrebbe passato volentieri altro tempo con lui. Si guardarono in silenzio per alcuni secondi, lei tenendosi saldamente alla porta, lui con le mani in tasca sull’uscio di casa.
«Grazie di essere passato a trovarmi e di essere restato con me. Non sei poi così malvagio come pensavo.» Gli sorrise col cuore, quel sorriso che si irradiava anche dagli occhi, al quale era impossibile non contraccambiare.
«Sono contento di averti fatta ricredere, piccola Khaleesi saccente. Riposati e cerca di tornare in forma per venerdì, c’è un’ala del locale che voglio mostrarti!» La sua affermazione venne seguita da un occhiolino che la fece imbarazzare non poco. Non immaginava lontanamente quello che il bruno aveva ingegnato quella notte, non riuscendo a prendere sonno con il pensiero che la sua stupenda ossessione gli stesse dormendo così vicino, senza però poterla stringere a sé.
«Vuoi uccidermi e nascondere il mio corpo in un posto dove nessuno potrà mai trovarmi? Sappi che il mio fantasma non ti darà tregua durante la notte; ti verrò a tirare i piedi ogni qualvolta ti addormenterai, facendoti impazzire.» Con le mani mimò il gesto fluttuante dei fantasmi, assottigliando gli occhi in uno sguardo che avrebbe dovuto incutere timore al bel bruno, ma che invece gli provocò una forte ilarità.
«Preferirei che tu non mi dessi tregua la notte mentre sei viva, sinceramente.» La sua battuta portò Sophie ad alzare nuovamente gli occhi al cielo, anche se percepì una scarica nel basso ventre, sintomo che le sue parole non le davano poi così fastidio come voleva fargli credere.
«Sei il solito ingrifato! Non ci vengo a letto con te, Motolese insolente!» lo sfidò puntando i suoi smeraldi nei pozzi chiaroscuri di lui, sostenendo il suo sguardo. Francesco si avvicinò al viso di lei, facendo in modo che i loro nasi si potessero sfiorare ancora una volta.
«Io non ho mai detto il contrario; sei tu che pensi sempre a quello!» Il suo respiro caldo le solleticò le labbra, facendo sì che il suo cuore saltasse un battito in quell’esatto momento.
Francesco le stampò un veloce bacio all’angolo della bocca, lasciandola interdetta per alcuni secondi.
«Fatti sentire, mia bella Khaleesi!» Se ne andò con un sorriso soddisfatto disegnato sul volto; il sorriso di chi era riuscito ad avere ancora una volta l’ultima parola con quella ragazza impertinente.

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Capitolo 40
*** Capitolo 39 - Non sei pazza ***


Un’altra pesante settimana lavorativa era finalmente giunta al termine; per fortuna il mese di aprile era agli sgoccioli e con l’inizio di maggio Sophie e Giorgia sarebbero tornate a respirare il solito clima aziendale, senza nervosismi per le scadenze dei CUD e le ultime note dei vari bilanci.
Francesco l’aveva invitata a bere qualcosa con lui in quei giorni, ma la stanchezza e l’agitazione l’avevano portata a declinare ogni volta il suo invito. Era tentata di restare a casa anche quella sera, ma il messaggio della sua collega, mandato appositamente nel gruppo di Pasquetta dove tutti i loro amici erano presenti, la obbligava a presenziare allo Starlight.
 
-Stasera tutti allo Starlight, ho una grandissima notizia da darvi! –
 
Aveva aspettato di essere giunta a casa per scriverlo, evitando di far trapelare la notizia in ufficio, lasciando la mora senza parole. Non era da Giorgia tenersi le grandi notizie per sé, solitamente lei era la sua prima confidente. Non perse alcun secondo per risponderle, mostrandole il suo fastidio.

-Ma sei stronza? Non potevi dirmelo prima a lavoro? –
 
Passarono alcuni minuti, nei quali la bionda non diede nessun segno di risposta, provocandole ulteriore nervosismo. Decise di lasciare il telefonino in carica, mentre lei si sarebbe fatta una rapida doccia calda, la quale avrebbe lavato via tutta la tensione accumulata negli ultimi giorni.
L’idea di rivederlo fece accelerare i battiti del suo cuore, rimembrando le parole che gli aveva accennato quella domenica mattina. Iniziò a galoppare con la fantasia, immaginandosi l’area del locale addobbata con piccole luci che percorrevano tutta la parete, lui nel suo completo blu elettrico che la stringeva a sé sussurrandole parole d’amore, suggellando il tutto con un meraviglioso bacio. Aveva sempre avuto un lato romantico molto spiccato, nonostante le sue continue delusioni; sognava di vivere un amore travolgente, che la facesse sentire viva e in continuo scombussolamento, una passione che avrebbe arso ogni cosa.
Si avvolse nel suo caldo accappatoio di cotone, iniziando poi a far bollire l’acqua per la pasta, estraendo una scatoletta di sugo al ragù già pronto. Se nonna Carla l’avesse vista comprare un prodotto del genere, le avrebbe vietato di mettere piede in casa sua e probabilmente l’avrebbe diseredata. Scoppiò a ridere immaginando il volto rabbuiato di quella simpatica vecchietta, mentre le elencava le molteplici schifezze chimiche che si celavano all’interno di quel condimento.
Dopo aver buttato tre pugni di penne nel pentolino, tornò in camera sua per indossare la biancheria pulita e una tuta per stare in casa; si sarebbe occupata dell’outfit per la serata dopo aver cenato, sicura che ci avrebbe messo più di mezz’ora per decidere l’abbigliamento che avrebbe sfoggiato.
 
✿..:* *.:.✿
 
Al di là di ogni sua aspettativa, riuscì a vestirsi velocemente, optando per i jeggings appena comprati, una canotta attillata bianca e un cardigan perla, indossando i tronchetti col tacco grosso color pietra. Lasciò libera la sua folta e scura chioma, lisciando leggermente le punte che tendevano a fare qualche piega a causa della perenne umidità della sua città: Brescia.
Aspettò l’arrivo delle amiche nel parcheggio del locale insieme a Fabian, il quale si era offerto di darle un passaggio.
Ne aveva approfittato per raccontargli nel dettaglio i motivi che l’avevano portata a concludere la sua relazione con Daniele e dei sentimenti mai sopiti che la legavano all’attraente Francesco, lasciando esterrefatto l’amico.
«Avevo captato qualcosa al Silent Party, ma non credevo che ci fosse tutta questa storia sotto. Sono passati sette anni, Soph, lui potrebbe davvero essere cambiato.» Il bel moro puntò lo sguardo sul tettuccio della sua vettura, riflettendo su quel racconto.
«Lo so, Fa, ma chi può darmene la certezza? Se volesse solo aggiungermi alla sua lunghissima lista di conquiste? Magari ha cambiato tattica ora. Io non so niente di lui, ma allo stesso tempo mi ci sento legata... secondo te sto diventando pazza?»
Le puntò i suoi dolci e scuri occhi addosso, appoggiando la mano sopra quella dell’amica cercando di rassicurarla, mostrandole un sorriso comprensivo.
«Non sei pazza, sei solo inna-» Sophie lo bloccò, prima che potesse terminare quella parola, dalla quale era terrorizzata.
«Shh, non dirlo! Non lo conosco abbastanza per poter provare un sentimento simile.»
Fabian scoppiò a ridere, sbigottendola, portandola ad alzare un sopracciglio mentre lo osservava in preda all’ilarità.
«Guarda che non sarà pronunciare la parola amore ad alta voce che renderà reali le tue paure; puoi dirti di no quanto vuoi, ma i tuoi sentimenti sono chiari e a quelle emozioni non potrai sfuggire!»
Sophie sospirò amareggiata, inclinando la testa sullo schienale per poterlo osservare meglio.
«Quando sei diventato così saggio, tu? Una volta ero io a darti consigli da posta del cuore…»
L’amico tornò a ridere di gusto, portando la sua interlocutrice a incurvare le labbra verso l’alto.
«Ho avuto una buona maestra, che mi ha ascoltato e consigliato quando non sapevo dove sbattere la testa; è grazie a lei se ora sono così!»
Dopo quelle parole, fu lei a poggiare le sue esili dita su quelle di lui, grata della sua presenza costante e del forte legame di amicizia che li legava. Poteva contare su poche cose nella vita e i suoi migliori amici erano uno di quelle.
Il picchiettare sul lunotto li portò a voltarsi entrambi, trovando il Pai intento a muovere la mano a mo’ di saluto, accanto alla sua bellissima fidanzata.
«Andiamo, è ora di far serata e scoprire la grande notizia di Giorgia!»
Scesero lesti dalla Renault Clio bianca del moro, raggiungendo i due che li stavano aspettando.
Sophie salutò Eliana con un caloroso abbraccio, mentre i due uomini si diedero una spallata amichevole.
Vennero raggiunti dopo alcuni minuti da Jessica, in compagnia di una ragazza bruna dai grandi e stupendi occhi color del cielo.
Fabian non restò indifferente al fascino della nuova arrivata, soprattutto alle forme prosperose del seno ben evidenti, messe in risalto dal vestito bianco a maniche lunghe e dal collo francese.
«Ciao, ragazzi, lei è Katy, la mia coinquilina barra compagna universitaria.»
JJ frequentava il quarto anno all’università degli studi di Brescia, indirizzo economia e management; si era trasferita da Mantova per non fare continuamente la pendolare, anche se la sua famiglia le mancava molto, in particolare la sorellina.
L’attraente bruna fece un veloce e impacciato cenno di riverenza con la mano, salutando quel gruppetto simpatico che le stava attorno.
Anche lei, come l’amica, aveva traslocato in quella città per seguire il corso di studi, lasciando l’adorata Varese e la sua dolcissima madre, un’ ex modella russa trasferitasi in Italia per amore, ma che purtroppo non ebbe molta fortuna. Il padre di Katy, una volta scoperta la gravidanza della compagna, l’abbandonò al suo destino, perdendosi l’immenso dono di vivere la sua bellissima figlia e di vederla diventare la giovane donna affascinante, caparbia e determinata che era diventata.
«Mattia arriverà a momenti; ha detto che stasera il privè al secondo piano sarà tutto nostro. I ragazzi ci raggiungeranno quando il locale avrà chiuso al pubblico!» annunciò su di giri Jessica, contagiando tutti gli altri con la sua felicità.
Sophie era curiosa di scoprire quella sala inaccessibile a tutti gli altri, custodita addirittura da un buttafuori che ne vietava l’ingresso ai non autorizzati.
Mia e Alessandro si unirono alla allegra comitiva che si era persa nei soliti convenevoli con la nuova arrivata, cercando di metterla subito a suo agio, raccontandole alcuni aneddoti divertenti per farsi conoscere meglio, condividendo con lei la loro follia. Quando anche Mattia li raggiunse, poterono finalmente entrare nel locale, dando finalmente inizio al divertimento.
Come ogni venerdì, lo Starlight era gremito di gente ammassata tra il bancone e i divanetti. Molte donne cercavano di farsi notare dai quattro bellissimi proprietari, pavoneggiandosi nei loro vestiti succinti, ponendosi a essi con fare civettuolo. Il più ricercato, senza ombra di dubbio, era il bel Francesco, il quale si limitava a sorridere loro senza nemmeno guardarle; da quando Sophie era rientrata nella sua vita, le altre donne le intravedeva soltanto, senza soffermarsi sui loro dettagli. I suoi occhi erano solo per lei, per quegli smeraldi verdi e quel sorriso unico e speciale.
Nonostante l’ammasso di persone che faceva loro da scudo, i due innamorati riuscirono a scorgersi, ritrovandosi a sorridere, cancellando tutto quello che gli stava intorno. La musica era improvvisamente cessata, i presenti si erano dissolti nel nulla e la stanza diventò all’improvviso più chiara; erano rimasti soli, persi nella magia dei loro sguardi, con il ritmo incessante dei loro cuori che palpitavano per potersi raggiungere, sembravano rimbombare all’interno della loro bolla personale.
Restarono immobili a osservarsi per diversi secondi, finché entrambi non furono riportati alla realtà da terze persone. Fabian aveva richiamato l’attenzione di lei strattonandola delicatamente dalla spalla, poiché vani erano stati i tentativi di ridestarla, pronunciando più volte il suo nome; Giacomo aveva fatto lo stesso con l’amico, però in maniera meno gentile.
«Dicevi qualcosa?» domandò lei rivolgendosi al suo orso buono, il quale sogghignò divertito appena l’altra tornò a focalizzarsi sul barista a diversi metri da loro.
«Vuoi andargli a dare il bacino come sta facendo Giorgia con il suo fidanzato?» Le indicò la bionda che, infischiandosene della coda formata da diverse ragazze speranzose delle attenzioni del bel Matteo, si allungò sul bancone per baciarlo, marcando bene il proprio territorio.
Sophie osservò la scena con divertimento, ma con un pizzico di gelosia; avrebbe voluto scambiarsi anche lei delle effusioni simili con l’affascinante Motolese, ma soprattutto avrebbe voluto un vero rapporto a trecentosessanta gradi.
Una volta che i due piccioncini si staccarono, Giorgia fece a loro segno di raggiungerla, in modo da salire insieme al secondo piano, ritrovandosi dinnanzi a un omone ben piazzato in completo nero, con le braccia al petto e lo sguardo alto e fiero; sembrava uscito da un film americano.
La musica da discoteca, proveniente dal piano inferiore, giungeva loro leggermente attutita, ma era pur sempre a un volume troppo alto per riuscire a parlare a una certa distanza.
Il corridoio che separava i due livelli era scarsamente rischiarato da applique trasparenti, le quali illuminavano quei pochi metri quadri di una tenue luce blu.
«Sei qui da molto?» domandò, quasi urlando, la mora alle orecchie dell’amica, la quale si limitò a un cenno d’assenso con la testa.
«Ho cenato insieme a Veve, la fidanzata di Giacomo e ai ragazzi, poi noi siamo salite a sistemarci qui dentro, mentre vi aspettavamo!» Indicò la stanza protetta dal buttafuori, il quale guardò Fabian con fare guardingo.
«Cocco Gianese.» La bella Frisi pronunciò quelle parole, senza alcun senso apparente, lentamente. Fabian e Sophie si scambiarono un’occhiata confusa, sperando di trovare nell’altro un senso alle loro silenziose domande, restando però entrambi delusi. L’omone, sempre con il suo cipiglio disegnato sul volto, appoggiò la mano sulla maniglia della porta in vetro opaco, permettendo loro l’accesso.
«Adesso inizia il vero divertimento!»

 
*****************
V
olevo augurare a tutti voi un buon anno nuovo. Speravo di riuscire ad aggiornare prima di Natale per farvi gli auguri, ma purtroppo non ci sono riuscita! Divertitevi domani, ma sempre responsabilmente! :)
Baci, Sara

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Capitolo 41
*** Capitolo 40 - Alza lo sguardo verso il cielo ***


Giorgia fece loro strada all’interno del privè, anch’esso scarsamente illuminato da luci stroboscopiche dalle varie tonalità fredde, le quali si susseguivano in lenti raggi che andavano a incontrarsi nel centro della stanza, per poi separarsi, tornando a illuminare i vari angoli. Camminarono sul pavimento laminato color noce, osservando i pannelli che ricoprivano quelle quattro mura dalla finitura liscia e semplice dalla tinta rame, sul quale erano appesi alcuni quadri su tela, alcuni in bianco e nero, altri a colori, raffiguranti alcune delle più belle città del mondo: il Tower Bridge di Londra, il ponte di Brooklyn a Manhattan, il teatro dell’opera di Sydney, i grattacieli di Dubay e infine la cattedrale di San Pietro a Roma. In ogni angolo erano stati piazzati dei divanetti di pelle marroni con il loro tavolino basso in vetro davanti, esclusa la parete di fronte alla porta, dov’era stato collocato un bancone da bar ricoperto da pannelli lucidi che andavano a richiamare la tonalità delle pareti, con ai lati due enormi casse nere.
Sophie osservò con grande stupore quella stanza, confrontandola, senza volerlo, con quella precedente appartenente al Terzo Cerchio, la quale era decisamente molto più scialba e anonima rispetto a quella dove si trovava in quel momento. Si avvicinò agli altri, già posizionati nelle varie sedute, soffermandosi a scrutare una gigantografia appesa sulla destra, raffigurante i cinque proprietari dello Starlight nei loro bellissimi completi blu, concentrandosi sul bel bruno al centro, su quegli occhi così profondi in cui riusciva a perdersi anche su carta stampata.
«Gliel’ho scatta io quella, sai? Proprio all’inaugurazione del locale.» La squillante voce di Veronica fece sobbalzare la mora, la quale non si era accorta di essere rimasta a fissare l’immagine per alcuni minuti.
«Erano agitatissimi quel giorno, avevano paura che nessuno si sarebbe presentato e che le loro aspettative si sarebbero dissolse insieme ai loro sogni!»
La ragazza continuò a parlare, osservando anche lei quello scatto sorridendo, rivivendo nella sua mente quella sera. Sophie si voltò per guardarla, restando colpita dalla luce negli occhi chiari di lei.
«Invece fu un successo; non aveva fatto il pienone che puoi vedere adesso, ma per essere un locale appena aperto, non si poterono di certo lamentare.»
Veve dissolse lo sguardo, puntandolo sulla mora al suo fianco, regalandole un caldo sorriso al quale l’altra rispose di rimando.
«Siamo tutti una specie di grande famiglia e sono contenta che si stia piano piano allargando.»
La bionda giocò con le ciocche della sua treccia laterale, puntando le iridi turchesi sulla figura di Jessica e di Giorgia, tornando poi su Sophie, conscia di quanto importante fosse la mora per Francesco dati i racconti del suo Giacomo.
«Forza, andiamo a bere qualcosa, ti va?» la proposta di Veronica, accompagnata da una tenue risata, fu benevolmente approvata dalla sua interlocutrice, che la segui al tavolo dov’erano già accomodati tutti gli altri. Estrasse dal secchiello in plastica trasparente una bottiglia ben fredda di vino bianco e ne versò una parte nei due flut in vetro che stringevano tra le mani lei e Sophie, facendoli tintinnare tra di loro in un tacito brindisi.
Prese posto vicino alle sue due migliori amiche, le quali conversavano in tranquillità raccontandosi gli avvenimenti della settimana appena conclusa.
«Gio, ma cos’era quella parola che hai pronunciato al buttafuori all’ingresso? Cocco…»
La bionda scoppiò a ridere, appoggiando la testa sulla testiera del divanetto alle loro spalle.
«Cocco Gianese; non ha alcun senso, vero? Ma è la parola segreta che ti permette di entrare nel privè. I ragazzi hanno collegato parti del loro cognome per formarla ed effettivamente hanno avuto fantasia; se non me l’avesse spiegata Matteo non ci sarei mai arrivata.»
La mora alzò le sopracciglia con fare incredulo, portando alle labbra il bicchiere per gustarsi un altro goccio di quel fresco liquido dorato e frizzantino, riflettendo sulle parole dell’amica e anagrammando anche lei i cognomi dei cinque proprietari.
«Ragazze, noi scendiamo al primo piano a ballare; magari Balza riesce a rimorchiare qualcuna! Vi unite anche voi?»
Il Pai invitò le amiche a unirsi a lui, ad Alessandro e Fabian; l’ultimo non aveva mai staccato gli occhi dalla sensuale Katy, con scarsi risultati purtroppo, visto che la ragazza non era minimamente interessata all’affascinante moro.
«Andate pure voi, uomini delle caverne; noi siamo vip stasera!» Giorgia fece loro l’occhiolino, puntando in alto il suo calice, bevendone poi il contenuto tutto d’un fiato.
Mia diede un’occhiata di avvertimento al suo fidanzato, ma non proferì parola, imitando il gesto dell’amica.
Eliana prese posto tra quest’ultima e Jessica, lasciando lo spazio al compagno di divertirsi insieme agli amici.
«JJ, toglimi una curiosità; ho notato che nella chat di gruppo tendi a chiamare Mattia capitano, mi spieghi perché?» Le parole di Eliana portarono il viso di Jessica a cambiare colore, illuminandolo delle varie tonalità di rosso, mentre Katy, alla sua sinistra, scoppiò a ridere sguaiatamente.
«Sarebbero cose private…» pronunciò quasi in un sussurro, percettibile solo dalle due sedute accanto a lei.
«Quando Mattia è da noi la sento pronunciare “issa l’ancora, mio capitano, andiamo in sottocoperta!”» Le parole della coinquilina fece sprofondare in un maggior imbarazzo la povera Jessica, mentre tutte le altre ridevano di gusto.
«Katy, tu perché ascolti quello che dico in intimità col mio uomo?» la voce idrofoba della bruna bloccò le loro risate. L’amica, asciugandosi gli occhi lucidi per le troppe risa, prese un profondo respiro, prima di risponderle.
«Non che io mi diverta a origliare, ma i muri sono talmente sottili… mi sento molto Sheldon con Leonard e Penny in The Big Bang Theory.» Fu il momento di JJ di ridere per l’arrossamento dell’altra, la quale si era nascosta il viso tra le mani.
«Fortuna che almeno tu non ti metti a bussare tre volte alla porta in quel momento: sarebbe piuttosto imbarazzante!»
Passarono il resto della serata a raccontarsi, bere e ridere tra donne, aumentando la loro complicità innata. Si erano trovate subito tra di loro, nonostante i caratteri piuttosto differenti; quello che però le accomunava era la bontà d’animo e l’essere solari in ogni situazione, un ottimo punto di partenza per gettare le basi di un’amicizia pura e sincera, che sarebbe potuta durare nel tempo.
Mattia si divideva tra il gruppo di uomini al piano inferiore, i quali si stavano divertendo in pista, la propria compagna, che ogni tanto rapiva dal gruppo per ballarci insieme, e la sua occupazione di barman privato per quella sala.
Non si accorsero dello scorrere delle ore, finché non ritornarono nel privè i tre ballerini poco prima delle quattro e il dj chiuse la serata con un ultimo pezzo di Ligabue che tutti intonarono a gran voce. Si alzarono e formarono un grande cerchio, nel quale saltellarono uniti, urlando a squarciagola contro il cielo, proprio come citava la canzone.
«Adoro Ligabue!» strillò Katy ridendo, seguendo il movimento orario di quella bizzarra comitiva, tutti festosi e allegri.
Quando la musica si interruppe, Mattia si avvicinò al bancone, estraendo un computerino portatile e, dopo aver premuto alcuni tasti, puntò lo sguardo verso i presenti.
«Giorgia, che sound preferisci come sottofondo al tuo annuncio? Qualcosa di soft, grintoso o qualche hit del momento?»
La bionda si avvicinò all’affascinante moro dagli occhi color del cielo, facendo scorrere gli occhi sull’elenco dei titoli nelle playlist salvate su Spotify. Ne indicò una, dopodiché gli fece un cenno positivo, alzando in alto il pollice, per poi allontanarsi saltellando.
La voce profonda di Fabri Fibra si diffuse nella sala, dando via a un coro d’assenso da parte di Fabian, Gianfranco e Alessandro, i quali iniziarono a intonare il testo rap della canzone, accompagnando movenze ritmate che fecero ridere le ragazze, accomodate sui divanetti a osservare quel buffo trio che si muoveva scoordinato.
«Fratè fammi fare il fenomeno!» urlarono prendendosi a spallate, fingendo poi di cadere a terra.
Mattia si avvicinò a Jessica, stringendole entrambe le mani, portandola in quella pista improvvisata a ballare insieme a lui. Alex e Gian presero esempio dal moro e fecero lo stesso con le loro compagne, sotto lo sguardo divertito delle ragazze e di Fabian. Osservarono quel gruppo ristretto ondeggiare, muovendo le mani al cielo, ridendo insieme a loro, battendo i piedi a tempo e dondolando sui loro posti.
Si susseguirono altre canzoni, sempre piuttosto ritmate, nell’attesa che i piani del locale si svuotassero, permettendo così agli altri proprietari di poterli raggiungere e, dopo quasi mezz’ora, finalmente i quattro ragazzi si unirono a loro. Matteo si accostò subito vicino a Giorgia, facendola sedere sulle proprie gambe e baciandola con un’intensità tale che portò Sophie e Katy a voltarsi, lasciando loro un po’ di privacy. Giacomo, più moderato, prese posto accanto alla sua Veronica, stampandole un rapido bacio, accompagnato però da un dolce sorriso, mentre intrecciavano le loro mani.
Francesco si avvicinò alla sua Khaleesi, seduta nella parte esterna del divanetto, puntando i suoi pozzi chiaroscuri negli smeraldi di lei.
«Ehi!» le sussurrò dolcemente, accarezzandole il mento, guardandola dall’alto.
«Ehi!» gli rispose con altrettanta soavità, sorridendogli, per poi spostarsi verso l’interno così da fargli posto accanto a lei, invito che il bel bruno accolse volentieri.
L’ultimo ad avvicinarsi fu Cristian, catturato dagli enormi occhi cristallini della sconosciuta che stava sorseggiando il proprio vino, la quale si ritrovò poi ad arrossire dinnanzi alla figura del giovane Colombo, ammaliata dal fascino elegante, dai tratti spigolosi del suo viso e da quello sguardo intenso che sembrava la stesse spogliando.
Entrambi deglutirono faticosamente, senza distogliere gli occhi l’uno dall’altra, finché la voce squillante di Giorgia non richiamò l’attenzione su di lei.
«Visto che ci siete tutti, qualcuno forse è pure di troppo…» Si voltò verso Francesco, assottigliando gli occhi in un tacito e celere avvertimento, tornando poi a guardare tutti gli altri.
«Posso finalmente fare il mio importante annuncio!»
«Giorgia è incinta!» La voce vivace di Alessandro interruppe il suo discorso, portando un’ilarità generale, meno alla diretta interessata, la quale gli riservò la stessa occhiataccia fatta poc’anzi al povero Motolese.
«Cretino, non aspetto un bambino! Se posso finire il mio discorso…»
Si alzò in piedi, prendendo il proprio calice pieno e lisciandosi la gonna.
«Come alcuni di voi già sapranno, è qualche mese che sto cercando casa in città per avvicinarmi un po’ di più al lavoro e avere finalmente la mia indipendenza.»
Sorrise, sistemandosi una ciocca dorata dietro le orecchie, mentre tutti i presenti, ormai accomodati, la osservarono in religioso silenzio.
«La buona notizia è che l’ho trovata; è un grazioso bilocale, con terrazza già arredato. La meravigliosa notizia è…» Si voltò verso la sua migliore amica, con un sorriso a trentadue denti.
«L’appartamento è dietro casa di Sophie» pronunciò quelle parole in un gridolino acuto, lasciando la mora senza parole, con le labbra che formavano una “O”. Si alzò per abbracciare la bionda, entusiasta di quella favolosa novità.
«Sei una stronza, perché non me l’hai detto prima?» la redarguì senza alcun briciolo di ira nella voce, ritrovandosi in bocca qualche filo d’oro dei capelli di Giorgia.
«Volevo farti una sorpresa! Saremo quasi vicine di casa, non sei felice?»
La compagnia osservò le due ancora strette, sorridendo loro con dolcezza. La bionda si spostò dall’amica, prendendole la mano.
«Sono andata anche a vedere il quadrilocale di fronte a casa tua, ma quello è tutto da arredare ed è una spesa troppo elevata per un affitto.» Giorgia era dispiaciuta di non aver potuto prendere quell’appartamento, ma fortunatamente era riuscita a trovarne uno che fosse comunque vicino a lei.
«Infatti non ti conveniva prendere quello. Non ci credo che abiteremo vicine!» Strinse con forza la mano della bionda, elettrizzata.
«Potremo andare a lavoro insieme, usando la macchina una settimana per una. Potremo cenare da me o da te quando vogliamo!» aggiunse sorridendole, ricevendo da Giorgia il medesimo sorriso.
«Vi ricordo che ci sono anche io o vuoi lasciarmi per fidanzarti ufficialmente con Soph?» Matteo strizzò la coscia della propria compagna, facendola ridere. Finse di pensare alla sua proposta, portandosi l’indice alla bocca, scoppiando poi in una risata, prima di tornare seduta sulle sue gambe.
«Non essere geloso, tesoro. Se ti va, potremo fare una cosa a tre!» Quelle parole fecero sbiancare di colpo lui e Sophie, mentre a un’altra persona provocò un forte fastidio.
«Okay, è ora di portarti in un posto!» Francesco, che fino a quel momento aveva ascoltato tranquillamente in silenzio quelle chiacchiere, si alzò di scatto, intrecciando le proprie dita con quelle della sua Khaleesi, per poi allontanarsi dalla comitiva. Non tutti notarono quella improvvisa fuga, come per esempio Cristian e Katy, impegnati a conversare tra di loro per conoscersi meglio, o Jessica e Mattia, tornati a ballare dopo aver selezionato “La canzone del capitano”.
I due fuggiaschi oltrepassarono il bancone, avvicinandosi a una tenda in tessuto beige che il bruno spostò di lato, mostrando una scala dritta in legno, confinante con i muri laterali. La luce con sensore di movimento si azionò non appena salirono i primi scalini, illuminando a giorno quel ristretto spazio. Giunsero davanti a una porta di vetro, la quale dava sul tetto a terrazza dello Starlight, ma prima di aprirla, Francesco si voltò verso Sophie, in piena agitazione.
«Questo è il mio angolo privato; quando ho bisogno di estraniarmi dal mondo per pensare vengo qui. È un posto molto importante per me, dove non porto mai nessuno se non la mia famiglia o i ragazzi.»
La mora restò sorpresa da quella rivelazione, comprendendo il nervosismo di lui nel condurla in un posto così privato e significativo; le stava mostrando una parte del suo cuore, dimostrandole quando fosse importante. Si ritrovò a sorridergli grata, salendo l’ultimo gradino che li divideva, posizionando così di fronte a lui.
«Sei sicuro di volerlo condividere con me?» chiese in un sussurro, incatenando i suoi occhi in quelli del ragazzo, il quale si limitò a risponderle di sì facendo un cenno con la testa.
«Andiamo allora!»
Francesco abbassò la maniglia in acciaio, spingendo la porta verso l’esterno. Vennero investiti dall’aria fredda di quella notte di fine aprile, portando Sophie a rabbrividire. Il bruno premette i due interruttori alla propria destra, prima di richiudersi la porta alle proprie spalle, i quali illuminarono il gazebo in legno con la cupola in vetro davanti a loro e accesero le luci a terra.
La mora sciolse il loro intreccio, avanzando di qualche passo sopra le piastrelle color ardesia, le quali rivestivano il pavimento, per ammirare quel posto meraviglioso che sembrava uscito da una rivista di arredo. Un lungo tavolo era posizionato al centro, con otto sedute in vimini beige; quattro lettini in fibra, ricoperti da un lungo cuscino sfoderabile bianco, erano collocati frontalmente alla ringhiera rialzata in vetro opaco e un mobiletto basso, dello stesso materiale delle seggiole, era stato posto all’estremità laterale destra, accostato alla colonna. Da quest’ultimo, Francesco estrasse due coperte beige, adagiandole sopra a una sdraio che affiancò a un’altra.
«Ti va di aspettare l’alba insieme a me?» Quella proposta innescò un mix di emozioni che partiva dallo stomaco e arrivava dritto al cuore, portandolo a palpitare in maniera accelerata nel petto. Restò bloccata sul posto per qualche secondo, studiando il volto di quell’affascinante seduttore, il quale in poco tempo era tornato a catturarla, facendole perdere il lume della ragione; il suo sorriso sghembo e irresistibile, grazie al quale comparivano delle adorabili fossette, i suoi occhi profondi, nei quali poteva vedere una spiaggia dorata che dava sul mare, le rughette della fronte formatesi in quegli anni… quei piccoli dettagli lo rendevano unico per lei, incomparabile.
Si approssimò cauta, senza perdere il contatto visivo innescato poc’anzi, accettando la coperta che il bruno le stava allungando. Lo osservò sdraiarsi, tenendo il braccio teso sullo schienale dove si sarebbe dovuta posare lei, invitandola così ad avvicinarsi. Si sedette lentamente, stendendo la coperta sulle gambe, per poi adagiarsi sul petto di lui, ascoltando ancora una volta il ritmo frenetico del suo battito, mentre lui si beava del profumo di agrumi proveniente dai capelli color dell’ebano della sua Khaleesi.
Scrutarono in silenzio il cielo stellato, il quale iniziava lentamente a rischiararsi, perdendosi nell’immensità dei loro pensieri.
«Ho voluto comprare il locale non appena ho visto questa terrazza. Non lo so il perché, ma quando ho guardato il cielo da quassù, ho sentito la presenza di mio padre, come a volermi rassicurare sul fatto che questo fosse il posto giusto per iniziare la mia nuova vita.»
Francesco iniziò il suo racconto con un’intensa luce negli occhi e un sorriso sincero.
«Quando ero ragazzino, mio papà mi portava sempre in campeggio, il secondo weekend d’agosto. Eravamo solo noi due, padre e figlio, immersi nella natura. Diceva che quei giorni sarebbero serviti a solidificare il nostro rapporto, intraprendendo esercizi puramente maschili come l’andare a pesca o affrontare alcuni sentieri di montagna, attività non consone a mia sorella, la sua piccola principessa. All’inizio, vedevo quel fine settimana come una costrizione: ero un adolescente che voleva divertirsi con gli amici, non ero certo interessato ad approfondire il nostro legame.»
La voce diventò piuttosto flebile, ritrovandosi a tirare su col naso, mentre la valanga di ricordi gli precipitò addosso, trascinandolo verso il suo lato profondo che difficilmente tendeva a condividere.
«Una sera eravamo seduti intorno al fuoco, con la sola compagnia del frinire delle cicale; mi disse di alzare lo sguardo verso il cielo. Scrutai quel profondo blu da sembrare nero, ravvivato da milioni di puntini bianchi, i quali difficilmente si potevano osservare dalla città, e ne restai affascinato. Una miriade di domande iniziarono a intrufolarsi nella mia mente, molte delle quali non ricordo nemmeno come mi erano venute. Certo è che mi portarono a distogliere lo sguardo dal firmamento sopra di noi, puntandolo sulla figura di mio padre, il quale mi fissava a sua volta con un sorriso.»
A Sophie venne istintivo prendergli la mano e stringerla, percependo lo stato d’animo di Francesco mentre la rendeva partecipe di un pezzo importante della sua vita, facendogli così sentire la sua vicinanza; gesto di cui le fu grato, che lo aiutò a trovare la forza di continuare quel racconto.
«Mi disse di non avere paura dell’ignoto, ma di guardare quel cielo sotto un altro punto di vista. Prese posto vicino a me, per poi indicarmi una delle infinite stelle che brillavano quella notte. Ricordo perfettamente le sue parole, perché mi colpirono dritto al cuore: “Guarda come sono luminose le stelle e pensa che alcune di esse sono già morte, dopo aver impiegato quasi un milione di anni della propria vita a viaggiare attraverso l’universo. La nostra esistenza è molto più breve, Checco, quindi dobbiamo cercare di viverla appieno, brillare di una luce solo nostra, senza farci abbattere dai problemi quotidiani. Figlio mio, non scostare mai i tuoi occhi da questa immensità, bensì guarda in alto e vivi, cercando di essere sempre felice.”
Feci come mi era stato detto, osservai quei puntini bianchi, senza più distogliere lo sguardo, stampandomi in volto un sorriso sincero.»
Lo stesso sorriso si disegnò sul volto del bruno quando finì di parlare, mentre una minuscola stilla gli scappò dall’occhio, senza che se ne accorgesse. Sophie ascoltò quelle parole con emozione, versando diverse lacrime amare; la sua mente l’aveva portata a riaprire un cassetto che credeva ben chiuso da anni, facendone fuoriuscire tutto il suo dolore.
Francesco percepì il suo cambio d’umore, udendo i singhiozzi che non era riuscita a contenere. Si mise velocemente seduto, portandola poi ad alzarsi insieme a lui, preoccupato dalla situazione.
«Ehi, che succede?» Le spostò le ciocche ribelli che le nascondevano il viso, posando infine le mani sulle sue esili spalle.
«Non lo so perché sto piangendo. Io… mi sono ritrovata improvvisamente a pensare a mio padre. Non lo faccio mai, non pensavo facesse ancora così male.»
Si coprì il volto con le dita, poggiandosi sul petto del ragazzo, il quale si ritrovò a stringerla in un caloroso abbraccio e a darle piccoli baci sul capo in attesa che si calmasse.
Restarono diversi minuti in quella posizione, in un silenzio spezzato ogni tanto solo dai singulti di lei. Un’ondata di emozioni distruttive l’aveva travolta, portando alla luce tutti quei sentimenti che pensava di aver superato e che credeva non le facessero più male. Dopo aver preso dei profondi respiri, si scostò dal corpo caldo del bruno, puntando gli occhi in quelli di lui, il quale continuò ad accarezzarla, guardandola con dolcezza.
«Ti va di parlarmene?» Sophie non era certa di voler aprire del tutto quell’argomento. Era terrorizzata di quello che sarebbe potuto riemergere e non sapeva se sarebbe riuscita ad affrontarlo.
Alzò lo sguardo al cielo, notando una piccola stella che continuava a brillare, lottando contro l’alba imminente che l’avrebbe inghiottita a breve; penso alle parole del padre di Francesco, a quanto i problemi sarebbero potuti diventare piccoli se visti da una diversa angolazione, così raccolse tutto il coraggio che quell’astro le stava diffondendo e, tornando a puntare i suoi smeraldi in quelli di lui, iniziò il suo racconto.
«I miei genitori si separarono quando io avevo solamente due anni. Mio padre era il classico uomo padrone, che non permetteva alcuna libertà a mia madre; non voleva neppure che lavorasse, perché aveva paura potesse conoscere un altro uomo, nonostante lui avesse varie amanti sparse nella città.»
Sophie fece una smorfia di disgusto dopo aver pronunciato quelle parole, immaginando come potesse essersi sentita relegata la donna più importante della sua vita in quel rapporto asfissiante.
«Quando una vicina di casa informò mamma delle scappatelle del marito, mentre lei era al mare con me e nonna, tornò a casa prima del tempo, cogliendolo con le mani nel sacco. Prese così tutte le nostre cose e tornò a vivere per alcuni mesi a casa di sua madre e mia zia, portandomi ovviamente con sé. Mio padre non ci provò nemmeno ad avere l’affidamento congiunto, era stato deciso dal giudice che i primi anni avrebbe potuto vedermi quando voleva, ma solo in presenza di qualcuno. Mamma aveva paura che, per farle un dispetto per essersene andata, mi avrebbe potuta portare via, quindi non si fidava a lasciarmi da sola con lui. Mi disse che i primi tempi veniva tutte le domeniche a trovarmi, giocava insieme a me e pregava lei di perdonarlo, chiedendole di tornare a casa con lui per il bene della nostra famiglia. Quando capì che mia madre non voleva saperne di ricominciare da capo, terminarono pure le visite domenicali.»
Sophie dovette abbassare lo sguardo verso le sue mani, le quali vennero prontamente strette da Francesco, che era restato fino a quel momento in religioso silenzio, con un lieve accenno di rabbia che gli stava scoppiando nel petto.
«Mamma riuscì a trovare lavoro velocemente, ma il giudice aveva ovviamente stabilito un importo che mio padre avrebbe dovuto versarle ogni mese per gli alimenti. Trovammo un bilocale vicino a casa della nonna in concomitanza all’inizio della scuola materna; per mia madre fu una manna dal cielo che ci fosse mia nonna che mi accompagnava e mi veniva a riprendere, così da non dover chiedere permessi i primi tempi, mostrandosi dedita al lavoro. Non ho molta memoria di quel periodo, credo sia normale che i ricordi così lontani vengano sostituiti da altri, però ricordo un particolare delle elementari; ero seduta sui gradini esterni della scuola, mentre attendevo che mia madre uscisse per la pausa pranzo e venisse a prendermi. I bambini erano rincasati, eravamo rimasti in pochi ad attendere l’arrivo di un genitore. Vidi un mio compagno di classe correre incontro a un uomo, saltargli in braccio gridando entusiasta “papino” e venire avvolto in un caloroso abbraccio. In quel momento mi domandai perché io non potevo avere la stessa fortuna, perché mio padre non veniva mai a trovarmi, stringendomi con lo stesso affetto che vedevo in altri genitori.»
Francesco sentì una lacrima, proveniente dalla sua interlocutrice, bagnargli la mano; abbassò lo sguardo verso quella goccia salata, per tornare poi a puntarlo in quelle profonde iridi verdi che sembravano essere diventate dello stesso colore del mare.
«Ricordo che lo chiesi a mia madre non appena salimmo in macchina e lei mi rispose che papà lavorava molto ed era impossibilitato, ma che avrebbe provato a chiamarlo, chiedendogli se un giorno sarebbe riuscito a trovare un momento libero. Ai tempi non capivo che mi stesse mentendo per non farmi vedere la dura realtà; voleva proteggere la mia illusione di avere un padre che mi amava, nonostante non lo vedessi e sentissi mai. Così la sera lo chiamammo, ero in imbarazzo perché non sentivo mai la sua voce, ma con emozione gli domandai se un giorno sarebbe riuscito a venirmi a prendere a scuola e lui mi rispose di sì. Il giorno dopo annunciai a tutti i miei compagni che forse, quella mattina, avrebbero potuto conoscere il mio papà e lo attesi con ansia fuori dalla scuola al termine delle lezioni. Lo aspettai il giorno dopo e quello dopo ancora, così via… inutile dirti che non arrivò mai.»
Inspirò rumorosamente col naso, cercando di trattenere nuove lacrime che le stavano pizzicando la sclera.
«Oh, Sophie…» Francesco sciolse l’intreccio di una mano per portarsela vicina, farle sentire quel calore maschile che le era stato privato nei primi anni della sua tenera vita, il quale non dovrebbe mai mancare a nessun bambino.
«Aspetta, perché adesso arriva il bello…» Con riluttanza tornò a sedersi composta su quello schienale, sapendo che non sarebbe riuscita a continuare il suo racconto se fosse rimasta tra le braccia del bel bruno.
«Passai l’adolescenza con un motivato odio nei suoi confronti; se da bambina mi davo delle colpe sul fatto che potessi non essere alla sua altezza, da ragazzina capii che mortificarmi non aveva senso, perché non dipendeva certo da me se non ricevevo mai una telefonata al mio compleanno, se non presenziava agli avvenimenti importanti come la mia comunione o la cresima, mentre a quella dei miei cugini sì. Mia madre rappresentava entrambe le figure genitoriali; lo devo a lei se ora sono quella che sono. Per i miei diciott’anni mi regalò un viaggio a Roma, perché da sempre sognavo di vedere la capitale. Quel giorno però, ricevetti un altro regalo inatteso: la telefonata di mio padre.
Non sapevo cosa dirgli mentre mi domandava come stessi e se ero emozionata per quel cambiamento. Da lui avevo ricevuto solo una prolungata assenza e in quel momento, come se niente fosse, mi poneva una raffica di domande e mi invitava ad andare a trovarlo. Ci vollero mesi prima che trovassi il coraggio per farlo e nel frattempo ricevevo una telefonata a settimana. Non capivo a cosa fosse dovuto quel cambiamento, ma ne fui felice. A Pasqua passò a casa portandomi un uovo al cioccolato, che ovviamente non potevo mangiare: non si ricordava che sua figlia avesse l’allergia al glutine. Eppure non mi importò, perché a me era bastato il pensiero. Una volta saputo l’esito degli esami del diploma presi l’autobus e corsi a lavoro da lui, entusiasta di annunciargli la mia buon’uscita. Non mi aspettavo grandi festeggiamenti sinceramente, ma nemmeno di sentir pronunciare determinate parole.»
Sophie iniziò a ridere istericamente, una risata accompagnata da nuove lacrime che mandò in confusione il povero Francesco, sconcertato da quel racconto. Non riusciva a capacitarsi di come qualcuno potesse disinteressarsi della propria figlia e di come potesse essersi sentita lei, mentre si accusava di colpe non sue.
«Entrai nel suo ufficio con un enorme sorriso, mostrandogli con fierezza il mio ottanta e lui, dopo avermi abbracciata, mi consegnò il suo regalo: un foglio sul quale erano stati stampati una trentina di annunci di lavoro. Aveva cerchiato in rosso quelli che cercavano una figura, anche senza esperienza, come impiegata. Quando gli domandai il perché di quel strano dono, mi disse con naturalezze che dovevo iniziare a costruire subito il mio futuro, così da non dover gravare più sulle spalle di mia madre e sulle sue. Capii in quel momento il perché del suo improvviso interesse; finché non avrei trovato lavoro, lui sarebbe stato costretto a versare ogni mese un importo per gli alimenti a mia madre. Finsi di ringraziarlo per la sua premura, per poi uscire dal suo ufficio senza più farmi rivedere. Lui continuò a chiamarmi ogni settimana, ma mamma diceva sempre che ero fuori anche quando ero in casa. Non volli più saperne niente di lui e penso che lo capì dopo poche telefonate, visto che non mi cercò più.»
Prese un profondo respiro, prima di aggiungere l’ultimo tassello di quel puzzle, di quella parte importante della sua vita che non aveva mai raccontato a nessuno.
«Mio padre è morto per un incidente quattro anni fa. Era malato e secondo i medici ha avuto un malore che l’ha portato a sbandare, finendo al suolo. Fu mia madre, in lacrime, a darmene la notizia, mentre io ero seduta alla scrivania a leggere. Le dissi solo “okay”, sentendomi poi braccata in una stretta che chiedeva conforto. Mia madre aveva amato molto mio padre in passato e, anche se la loro storia era terminata in malo modo, lei gli aveva donato una parte importante del suo cuore e lui gli aveva permesso di avere me, “l’amore più grande che avesse mai avuto”; così mi disse.
Se andai al suo funerale fu soltanto per essere vicino a lei. Persone mai viste mi stringevano la mano per farmi le condoglianze, mentre io restavo impassibile, ringraziandoli della loro presenza, fredda come un diamante grezzo, impossibile da scalfire. Le lacrime scesero alcuni giorni dopo, quando sentii per sbaglio una conversazione tra mia madre e mia zia, dove le riferiva quello che un’anziana signora le aveva raccontato. Mio padre faceva la guardia in un cimitero, aveva lasciato a quella donna, che aveva perso il figlio e lo andava a trovare ogni giorno, una coppia delle chiavi del cancello, così sarebbe potuta andare a qualsiasi orario. Lei lo ricordava come una persona di gran cuore, che faceva gesti caritatevoli; effettivamente è stato un pensiero molto carino quello di mio padre, ma è pur sempre la stessa persona che se n’è fregata altamente della propria figlia, la stessa persona che si perdeva le recite scolastiche, i compleanni, le feste, qualsiasi cosa facesse parte della mia vita e allora mi chiesi perché quello stesso uomo, capace di provare una simile empatia per un’estranea, non fosse stato capace di volermi bene, di donarmi un briciolo di amore. Perché mi avesse fatto crescere con l’idea che ogni uomo prima o poi mi avrebbe abbandonata, visto che non ero abbastanza neppure per la persona che mi aveva generato.»
Sophie scoppiò nuovamente a piangere a dirotto, stavolta buttandosi tra le braccia del ragazzo che aveva davanti, il quale la strinse con forza, incapace di rispondere a quel quesito. Come aveva potuto suo padre abbandonarla in quel modo? Come aveva potuto stillare in lei dei dubbi così profondi che l’avevano portata non ritenersi degna di essere amata? Vide la fragilità di quella splendida ragazza, innamorandosene più di prima, desideroso di essere il suo punto fermo, quello che non era riuscito ad avere prima.
«Piccola, ora calmati. Nessuno potrà districare i tuoi dubbi, ma non darti colpe che non hai. Quell’uomo non sa cosa si è perso non vedendoti crescere, non potendo conoscere la splendida donna che sei diventata.»
Sophie strinse la giacca di lui, accoccolandosi maggiormente al suo petto, come a volersi fondere per diventare un tutt’uno.
Si lasciò cullare dall’affetto di Francesco, da quelle braccia che la stringevano, facendo fuoriuscire tutte le sue lacrime, fino a calmarsi.
Quando si accorse che era tornata a respirare normalmente, le fece una proposta.
«Ti va di ballare con me?»
Le prime luci dell’alba rischiaravano la città, tinteggiando il cielo di rosa e di azzurro. Il buio della notte si era ormai allontanato, portando con sé il brillare delle stelle e le lacrime amare della ragazza.
Sophie, ancora avvolta in un tenero abbraccio, sorrise alla proposta astrusa del bruno, il cui intento era quello di rasserenarla e aiutarla a superare quel dramma che mai credeva esistesse dentro lei.
«Non è un po’ tardi o presto, a seconda di come la si voglia vedere, per invitarmi a ballare? È da parecchio che la musica è terminata e non so nemmeno se di sotto è rimasto qualcuno.»
Si staccò da quella stretta che le infondeva calore, coprendosi maggiormente con la coperta appoggiata alle spalle.
Francesco le sorrise divertito, portando i pollici sul suo viso, cercando di cancellare le righe nere formatisi sulle gote, dovute alle lacrime, le quali avevano sciolto, quasi completamente, il suo trucco.
«Non voglio scatenarmi con la musica commerciale, ma danzare con il sottofondo di una canzone che, ogni volta che l’ascolto, mi fa venire in mente te.»
Quella confessione la lasciò sbigottita, ritrovandosi a sbattere le palpebre dallo stupore.
«Hai una canzone che ti fa pensare a me?» ripeté incredula, portandolo a ridere nuovamente.
«Certo, tu non ne hai una da dedicarmi?» Quella domanda, associata al sorriso sghembo del bruno, la fecero arrossire. Non poteva ammettere che tutte le canzoni d’amore la portavano a pensarlo, lo avrebbe fatto gongolare troppo e poi non era nemmeno a conoscenza di quella che lui collegava a lei.
«Prima voglio sentire la tua, poi, forse, ti risponderò!» affermò canzonandolo, sorridendo a sua volta.
I brutti ricordi erano ormai lontani; grazie a Francesco era riuscita a rispedirli nell’angolino da cui erano scappati, chiudendoli con un lucchetto molto più pesante, impossibile da distruggere.
«Non ti smentisci mai, non è vero?» Sophie si limitò a rispondergli con una linguaccia, mostrandogli quella solarità che da sempre la distingueva.
Il ragazzo estrasse dalla tasca il suo telefonino per aprire la cartella musicale e selezionare il brano scelto. Si alzò, portandola con sé, appoggiando sulla sdraio lo smartphone prima di azionare play.
Le note armoniose di quella sinfonia riecheggiarono nell’aria fresca che li circondava. Durarono solo pochi secondi, prima che la calda voce di Ed Sheeran li avvolgesse, lasciandola nuovamente senza parole.
 
*I found a love for me. Darling, just dive right in and follow my lead.
Well, I found a girl, beautiful and sweet.
Ho trovato un amore per me. Tesoro, tuffati e seguimi.
Beh, ho trovato una ragazza, bellissima e dolce.*
 
Aveva incrociato le proprie dita alle sue, mentre con l’altra mano le stringeva la schiena, facendo aderire i loro corpi, così che lei potesse appoggiargli la testa sul petto, all’altezza del cuore che batteva frenetico.
 
* 'Cause we were just kids when we fell in love, not knowing what it was.
Perché eravamo solo bambini quando ci siamo innamorati, non sapendo cosa fosse*
 
Anche il battito cardiaco di Sophie era accelerato energicamente nell’udire quelle parole, ritornando a quella sera lontana di sette anni prima, dove tutto era cominciato.
 
*But darling, just kiss me slow, your heart is all I own.
And in your eyes, you're holding mine.
Ma cara, baciami lentamente, il tuo cuore è tutto quello che possiedo
E nei tuoi occhi, tu stringi i miei.*

Alzò lo sguardo verso di lui, puntando i propri smeraldi in quei pozzi chiaroscuri, i quali, a loro volta, la stavano guardando con una luce che mai gli aveva visto prima. Dentro di sé il solito sfarfallio allo stomaco non le dava pace, provocandole brividi che si diffusero in tutto il corpo, avvolgendola come se fosse una seconda pelle.
 
*Baby, I'm dancing in the dark with you between my arms.
Barefoot on the grass, listening to our favorite song.
When you said you looked a mess, I whispered underneath my breath.
But you heard it, darling, you look perfect tonight.
Baby, sto ballando al buio con te tra le mie braccia.
A piedi nudi sull'erba, ascoltando la nostra canzone preferita
Quando hai detto che sembravi un casino, ho sussurrato sotto il mio respiro
Ma hai sentito, tesoro, sei perfetta stasera.*
 
Intonò tutto il ritornello che ormai aveva imparato a memoria senza distogliere lo sguardo dal suo, continuando quell’ondeggiamento lento che non poteva certo chiamarsi danzare, ma che per loro era più che sufficiente. Le stava confessando i propri sentimenti, stava mettendo a nudo la propria anima per farle capire quanto lei fosse importante, le stava chiedendo di fidarsi e di non scappare. Non l’avrebbe più ferita, non le avrebbe più mentito, ma doveva essere lei a volergli dare una seconda possibilità, superando il passato.
La ragazza tornò a puntare lo sguardo verso il basso, nascondendo le nuove lacrime scese a rigarle il volto, ma erano ben diverse da quelle che aveva riversato copiosamente poc’anzi, rimembrando l’assenza del padre; quelle erano stille ricche di emozione, di sorpresa e anche d’amore, perché mai si sarebbe aspettata di provare sentimenti così forti, mai credeva che Francesco sarebbe tornato nella sua vita con l’intento di restarci e darle quella possibilità che lei gli aveva chiesto anni orsono.
 
*I know we'll be alright this time, darling, just hold my hand.
Be my girl, I'll be your man, I see my future in your eyes.
So che staremo bene questa volta, tesoro, basta che stringi la mia mano.
Sii la mia ragazza, sarò il tuo uomo, vedo il mio futuro nei tuoi occhi*
 
Come a volergli dare un tacito riscontro a una domanda che lui non le aveva posto, Sophie strinse la sua mano, con la speranza che lui avesse affidato a quel testo l’arduo compito di confessarle le sue vere emozioni; gli stava dicendo di sì, desiderava che diventasse il proprio compagno, sognava di averlo nel proprio futuro.
Francesco, sentendo quella lieve presa da parte di lei, piegò il viso per cercare di incrociare il suo sguardo e leggere, in quegli splendidi smeraldi verdi, una risposta a quella pressione, se l’aveva soltanto immaginato o voleva dargli davvero una seconda possibilità.
Sollevò il capo, sorridendogli, incatenando i loro occhi in un gioco silenzioso di parole impossibili da pronunciare, ma che potevano chiaramente percepire nei propri corpi.
Nonostante la musica stesse proseguendo, il loro ondeggiamento si interruppe improvvisamente.
Il bel bruno slegò l’intreccio delle loro dita, portando la mano sul volto di lei, avvicinandosi lentamente fino a far scontrare le loro fronti.
Entrambi presero un profondo respiro, prima di unire le loro labbra in un bacio che aspettavano da tempo. Si sentirono finalmente liberi di lasciarsi andare, di vivere appieno quel mix di emozioni che percepivano nel proprio corpo quando stavano insieme e creava loro dei brividi sotto la pelle.
I loro cuori stavano battendo all’unisono in quella danza che aveva finalmente riunito le due anime in un abbraccio, con la speranza che mai più si sarebbero divise.
Le loro lingue si intrecciarono in un gioco di passione e sentimento che tramutò quel bacio, dapprima dolce, in puro fuoco. Sophie sentiva il sangue bruciarle dentro, un incendio che mai avrebbe voluto spegnere, il quale la stava facendo sentire viva, ubriaca del sapore di Francesco.
Lui l’attrasse ancora di più a sé, cercando quasi di fondersi con il seducente corpo di quella mora, la quale era diventata la sua splendida ossessione, l’unica in grado di fargli sentire quel calore nel petto di cui non aveva mai conosciuto l’esistenza. Le mordicchiò il labbro in preda alla frenesia, percependo il sospiro di lei, dentro la propria bocca, fondersi con il suo.
Si allontanarono solo per poter tornare a respirare, consapevoli che, da quel momento, niente e nessuno al mondo avrebbe potuto allontanarli.
 
*Now I know I have met an angel in person and she looks perfect.
I don't deserve this, You look perfect tonight!
Ora so che ho incontrato un angelo in persona e lei sembra perfetta.
Non mi merito questo, sembri perfetta stasera!*

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Capitolo 42
*** Capitolo 41 - Buona notte ***


Restarono per ore su quella terrazza, incuranti del freddo, a baciarsi e a scambiarsi sorrisi complici, cercando di recuperare gli anni persi. Fu difficile per loro allontanarsi, ma i rumori provenienti dalla città che si stava risvegliando fece loro capire che era giunto il momento di tornare a casa.
Sophie si ricordò di essere arrivata al locale insieme a Fabian, il quale era rincasato ormai da diverse ore, informandola con un sms che notò solo in quell’istante.
L’amico sapeva di non aver lasciato da sola l’affascinante mora e si augurò che la sua fugace ritirata le avesse dato modo di approfittare della situazione per passare un po’ di tempo in più con il bel Motolese.
«C’è un problema… sono senza auto!» esclamò con una punta d’imbarazzo, puntando i suoi smeraldi verso il ragazzo di fronte a lei.
«E che problema c’è? Ti accompagno io a casa!» Francesco le sorrise, stampandole un veloce bacio sulla fronte, prima di stringerla nuovamente tra le sue braccia. Se fosse dipeso da lui, non si sarebbe più staccato dal suo corpo.
«Grazie! Mi dispiace farti fare un giro più lungo…» Sophie si beò del calore di quel fisico marmoreo, aspirando il profumo virile e minerale del bruno, afrodisiaco più di ogni altra cosa al mondo.
Non ricordava di essere mai stata così felice, si sentiva completa, come se tutto quello che le era mancato fino a quel momento, fossero state semplicemente le sue braccia possenti, le quali la stringevano, confortandola e rassicurandola.
«A me no, mi da la possibilità di passare del tempo in più in tua compagnia!» Il bruno le sollevò il mento, portando i loro sguardi a incrociarsi. Si chinò per rubarle un altro bacio, ubriacandosi ancora una volta del sapore unico di lei, facendo intrecciare le loro lingue in un vortice di passione.
Le mani di Francesco scesero lungo la sua schiena, soffermandosi sui glutei sodi, i quali risvegliarono una parte del ragazzo che apprezzava molto il corpo seducente della mora.
Sophie percepì il desiderio di lui e avrebbe voluto approfondire il bacio, ma era certa che se avesse superato quel limite, difficilmente sarebbe riuscita a fermarsi, perché non c’era nessuna scommessa a farla desistere.
Con riluttanza appoggiò i propri palmi sul suo petto, separandosi a malincuore.
«Credo che sia meglio andare. Sono quasi le otto e tra qualche minuto inizieranno ad arrivare i primi clienti.»
Il bruno sbuffò, ringraziando il cielo che Sophie fosse provvista di un barlume di lucidità, dato che la sua era andata a scemare dall’unione delle loro labbra: l’avrebbe presa su quella terrazza, incurante che occhi indiscreti avrebbero potuto vederli.
«Hai ragione!» Le strinse la mano e insieme si incamminarono verso le scale.
Nel privè erano rimasti solo Mattia e Jessica, i quali dormivano serenamente abbracciati.
A illuminare lievemente la stanza era la luce del sole, che filtrava dalle due finestre sul lato sinistro, una delle quali era posizionata proprio sopra ai due addormentati. Il bel Motolese era felice che l’amico avesse sciolto la sua corazza, issata con prepotenza dopo la cocente delusione data dall’essere stato abbandonato sull’altare. Si augurava che la simpatica bruna assopita al suo fianco fosse la ragazza giusta per il moro dagli occhi di ghiaccio, quella che lo avrebbe reso felice almeno la metà di quanto lo era lui in quel momento.
Quatto quatto percossero la stanza, cercando di evitare ogni tipo di rumore per non disturbare il loro sonno, raggiungendo la porta di vetro per poi chiuderla alle loro spalle. Attraversarono la pista da ballo, ormai deserta, passando vicino ai tavolini ancora pieni di bottiglie e bicchierini di plastica. Erano soliti sistemare quell’ala il sabato pomeriggio, perché le attenzioni maggiori erano dedicate alla sala principale, quella dove si consumavano colazioni e pranzi.
Passarono per l’uscita secondaria, quella in cucina, per arrivare alla macchina posteggiata nel cortile, come era consuetudine dei proprietari durante il weekend, così da non occupare i parcheggi per i clienti.
Dopo essersi allacciati le cinture si avviarono verso l’appartamento di Sophie, accompagnati da una musica leggera a far da sottofondo alle loro parole e alle innumerevoli risate scambiate anche senza motivo alcuno. Ci volle pochissimo tempo per arrivare a destinazione, complice il poco traffico del sabato mattina. Entrambi sospirarono, dispiaciuti all’idea di allontanarsi dopo le stupende ore passate insieme.
«Stasera vieni allo Starlight?» le domandò speranzoso. Non avrebbe potuto dedicarle molto tempo, visto che avrebbe dovuto lavorare fino a tardi anche quella notte, ma almeno l’avrebbe vista.
«Non lo so… con i ragazzi ho già acquistato i biglietti del cinema per Fast & Furious e lo spettacolo è alle ventidue e quarantacinque.» Si maledì mentalmente per aver insistito nelle ultime settimane per andare a vedere quel film, tanto che Fabian e Gianfranco l’avevano accontentata, esasperati dal suo continuo intestardirsi, e le avevano fatto prenotare per quella sera. Allo stesso tempo però ne era grata, perché così non sarebbe passata per una ragazza appiccicosa; aveva infatti paura che, se si fossero visti per due giorni di fila, il bel bruno si sarebbe presto stancato di lei.
Giorgia le aveva sempre detto che la tattica per far impazzire qualsiasi uomo, era quella di farsi desiderare; più la donna si ritraeva, più esso diventava cacciatore. Non era però certa che quell’insegnamento potesse esserle d’aiuto con il Motolese adulto, così diverso rispetto a quello del passato, strafottente e menefreghista verso il genere femminile.
«Bello quel film, volevo andare a vederlo anche io con Matteo!» affermò con un sorriso, cercando di nascondere la delusione a quel rifiuto. Pensò che forse sarebbe stato un bene non vedersi, perché con Sophie non voleva più sbagliare, né sembrare una persona invadente; voleva che tutto andasse con la giusta tempistica, anche se lui era ignaro di quale fosse, visto che era la prima volta che si ritrovava a desiderare una relazione.
«Allora ci sentiamo, Moto!» sghignazzò nel affibbiargli quel soprannome, da sempre usato solamente dagli amici, slacciandosi la cintura e restando ferma al suo posto.
Francesco alzò un sopracciglio, incredulo di aver udito tale appellativo uscire dalle succulenti labbra di quella sfacciata.
«Certamente, signorina Targa!» la canzonò, riservandole quel sorriso sghembo che lei tanto adorava e avvicinandosi a pochi centimetri dal suo viso. Si osservarono, sfidandosi in una silenziosa lotta a chi avrebbe ceduto per primo, avvicinandosi all’altro. Restarono fermi a fissarsi per alcuni minuti, finché alla fine non fu Sophie a cedere, gettandogli le braccia al collo per poi baciarlo con irruenza. Fece passare la mano in quelle ciocche castane e morbide, liberando alcuni ciuffi ingellati per poi strattonarli leggermente, provocando un ruggito gutturale da parte del bruno.
Francesco cercò di portarla più vicino a sé, nonostante la cintura lo tenesse ancorato al proprio sedile e la leva del cambio facesse da barriera; riuscì soltanto a premerla contro il proprio petto, mentre le loro lingue infuocate tornarono a volteggiare in una danza incendiante.
Si allontanarono a corto di fiato, percependo l’uno nello sguardo dell’altra la lussuria e la bramosia di approfondire quella loro vicinanza. La mora deglutì, cercando di recuperare un po’ di contegno, il quale sembrava assopirsi ogni volta che lui era nelle vicinanze; sempre presente, invece, era quel formicolio al basso ventre che non le dava tregua.
«Credo sia meglio che io vada. Io e te, una macchina e un parcheggio… ho una sorta di déjà-vu.»
Francesco scoppiò a ridere, tornando a sedersi in maniera composta, stringendo però le dita di lei tra le proprie.
«Questa volta non ti conviene scommettere, perché non ho nessuna intenzione di perdere!»
Quelle parole le provocarono un forte scossone nello stomaco, mentre il suo cuore mancò un battito. Restò inchiodata a guardarlo, desiderosa di esporgli i propri sentimenti, ma con la bocca serrata che non voleva collaborare.
«Buona notte, Khaleesi.» Le stampò un veloce bacio sulle labbra, ridestandola dal suo turbamento interiore.
«Buona notte, Motolese sdolcinato.»  

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Capitolo 43
*** Capitolo 42 - Non stavo meglio prima di te ***


Erano passate due settimane dal fatidico bacio e in quei giorni Sophie e Francesco si erano ritrovati a passare alcune serate a casa di lei per continuare la visione della loro serie tv, mentre nel weekend si recava allo Starlight, passando la serata con Giorgia, Veronica e Jessica, in attesa che i propri fidanzati finissero di lavorare. Tutto procedeva nel migliore dei modi tra quei due, la loro conoscenza si instaurava a piccole dosi, condividendo parte della loro quotidianità. Quel sabato sera di metà maggio il bruno era di riposo e Sophie aveva pensato di invitarlo a cenare a casa sua; si era fatta dare la ricetta segreta delle famose lasagne dalla madre e per dessert aveva cucinato il tiramisù da lui apprezzato a Pasquetta.
Erano da poco passate le diciotto e l’agitazione stava prendendo il sopravvento del suo corpo; aveva passato l’intera giornata a cucinare, tenendo così occupata la mente per evitare il pensiero che da lì a poche ore lui sarebbe arrivato e avrebbero cenato per la prima volta insieme come coppia.
Stava salendo in camera per cambiarsi, quando il suono del citofonò bloccò ogni sua azione.
“Oh no, non può essere lui!”
Iniziò a sudare freddo, avvicinandosi lentamente alla cornetta con il cuore che sembrava volerle esplodere nel petto.
«Sì?» domandò flebile, ricordandosi la tirata d’orecchie ricevuta quando aveva aperto senza chiedere chi si trovasse dall’altro capo.
«Il tuo personale calmante in forma di seducente bionda è qui. Aprimi, prima che mi trasformi in un pulcino!»
Sul volto teso della mora si andò a disegnare un sorriso, seguito poi da una risata di gratitudine. Pigiò il pulsante per permettere all’amica di entrare, salvandosi così dalla pioggia scrosciante, la quale scendeva imperterrita ormai da diversi minuti.
«Maledetto maltempo! Sono riuscita a portare in casa gli scatoloni prima che iniziasse a diluviare, altrimenti sarebbe stata una tragedia!» Prima di accedere all’appartamento, Giorgia si asciugò la suola delle scarpe sullo zerbino in fibra rettangolare color marrone opaco, sul quale la scritta in nero “Home is where your story begins” troneggiava al centro.
«Non sapevo che avessi dei pantaloni della tuta nel tuo armadio!» la canzonò Sophie, ricevendo una smorfia da parte dell’altra, la quale si richiuse la porta alle spalle e si sfilò la giacca di pelle completamente fradicia.
«Non posso fare un trasloco in minigonna e tacchi a spillo, purtroppo! Tu, piuttosto, perché sei ancora in pigiama? Non vorrai accoglierlo nuovamente vestita così?»
La mora sfoggiava la maglietta bianca di cotone a maniche corte con le quattro casate di Hogwarts in grigio, disegnate al centro, mentre sui pantaloni era stampato il castello fiabesco della saga del maghetto, di cui lei era grande fan.
«Stavo andando a cambiarmi prima che tu arrivassi!» rispose, facendole poi una linguaccia.
«Hai più pigiami che vestiti, la cosa inizia a spaventarmi, Soph!»
Alzò i propri smeraldi al soffitto sbuffando, prima di avvicinarsi alle scale, facendo cenno all’amica di seguirla.
«Invece di puntualizzare la mia passione per i pigiami, aiutami a scegliere il look per stasera; tanto lo so che sei venuta per questo motivo!»
La mora si mise seduta sul letto, osservando la schiena dritta e sinuosa di Giorgia, intenta a studiarle l’armadio.
«Hai comprato dei nuovi maglioncini e delle t-shirt molto carine, brava!» si complimentò senza guardarla, estraendo le grucce con gli indumenti, studiandoli attentamente.
«Grazie! Non perdiamo troppo tempo però; è una cena in casa, non devo andare in discoteca.»
Lentamente, il viso della bionda si voltò verso l’amica, incredula per aver udito le parole appena pronunciate.
«Stai scherzando, vero?» Sophie si trovò a deglutire, preoccupata per la probabile reazione esagerata dell’altra, la quale si stava avvicinando a lei con gli occhi assottigliati.
«Sarete in casa, è vero, ma non per questo devi trascurarti! È la serata perfetta per riprendere il discorso che il tuo stupido orgoglio ha interrotto sette anni fa; vuoi che si ricordi della vostra prima volta dove ti sfilava degli insulsi pantaloni del pigiama o preferiresti invece ti sbottonasse dei seducenti pantaloncini neri, che non vedrà l’ora di toglierti non appena lo accoglierai all’ingresso?»
Fece alzare e abbassare ripetutamente le sopracciglia dorate in una specie di danza, ritrovandosi a pochi centimetri dal volto dell’amica, sventolandole i calzoncini citati.
«Accetto, ma solo perché mi metti paura quando fai così; dammi ‘sti cosi, forza!»
Giorgia si rialzò e iniziò a saltellare, buttandole il capo addosso, per poi ritornare velocemente verso l’armadio a cercare una maglia da abbinare.
«Questo è perfetto!» Estrasse un maglioncino retato color pietra, ideale per quella stagione, e glielo lanciò senza voltarsi; Sophie dovette allungarsi sul letto per prenderlo al volo.
«Se ci abbini le parigine nere non arriverete nemmeno all’antipasto!» Cercò nel cassetto le calze, non accorgendosi dell’imbarazzo dell’altra davanti alle sue parole.
«Gio, non l’ho invitato a cena per quello. Certo, non mi dispiacerebbe se dovesse succedere…»
La bionda si voltò per fulminarla con gli occhi, tornando poi alla sua ricerca.
«Okay, diciamo che non vedo l’ora che accada, ma non voglio sedurlo per portarmelo a letto; vorrei farci l’amore e non del sano sport sotto le coperte!» Sospirò dopo la sua stessa affermazione, ritrovandosi a pensare ai suoi sentimenti per Francesco; lei era certa di provare molto di più della mera attrazione nei suoi confronti ed era convinta che anche lui nutrisse un sentimento abbastanza forte, ma la domanda che si poneva era quanto lo fosse.
«Tesoro, lascia perdere le frecciatine che gli lancio quando siamo tutti insieme, si vede lontano un miglio che quel ragazzo è pazzo di te! Non lo conoscevo prima, ma, da come me l’hai descritto tu, ora è tutt’altra persona. Non credo sarà solo sesso, nemmeno per lui!» Le strinse la mano, regalandole poi un dolce sorriso che voleva rassicurarla. Sophie poggiò la testa sulla spalla di lei, beandosi di quel contatto, il quale le stava infondendo tutto il coraggio che le serviva.
«In caso contrario lo renderò impotente!» affermò infine Giorgia, scoppiando a ridere insieme all’amica.
«Forza, vatti a vestire ora; poi passiamo al trucco!» La mora eseguì gli ordini della ragazza prendendo i vestiti che le aveva scelto, insieme a un completino intimo, e andò a sistemarsi in bagno; l’agitazione era sparita e lo doveva solo alla sua migliore amica.

 
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«Sei splendida, tesoro; una vera gnocca!» Dopo averle acconciato i capelli in una piega leggermente mossa e averla truccata con un ombretto grigio, un po’ di matita e un leggero tocco di mascara, Giorgia si allontanò di qualche passo per osservare il proprio capolavoro.
«Mi sento più un tortellino, sinceramente!» Alzò le maniche del maglioncino fino ai gomiti, asciugandosi poi le mani leggermente sudate nei pantaloncini.
«Non fare la sciocca, Soph! Ti aiuto ad apparecchiare e poi me ne vado; il tuo Motolese arriverà a momenti.» Le sorrise elettrizzata, ricevendone in risposta uno piuttosto tirato da parte della mora.
La bionda distese le tovagliette in bambù dalla tinta panna frontalmente l’una all’altra, portò in tavola il vino rosso e l’acqua, disponendo poi i due calici e i bicchieri; l’altra parte del ripiano sarebbe stata occupata dalle varie pietanze.
«Devo metterti anche un sottofondo musicale e una candela?» la canzonò, facendole poi l’occhiolino.
«Non ti sembra di esagerare? Poi davvero finisce che scappa!» rispose scrocchiandosi il collo.
«Oh, cara, Matteo per la nostra prima notte di passione aveva fatto tutto ciò. Ovviamente non abbiamo mangiato nulla di quello che aveva preparato!» Sorrise maliziosa, mentre rimembrava quella sera, portando Sophie ad arrossire.
«Conosco già i dettagli, non serve ricordarmeli!» La bionda le aveva raccontato con minuzia quell’avvenimento importante il giorno seguente a lavoro, senza tralasciare alcun particolare.
«Hai ragione!» Scoppiò a ridere portando la testa all’indietro, lasciando che alcune delle sue ciocche dorate le ricadessero lungo la schiena.
Il suono del campanello bloccò ogni loro azione, mandando nel panico la mora. Il battito del suo cuore era tornato irregolare e dei brividi freddi le attraversarono la colonna vertebrale.
«Rispondo io!» Giorgia, vedendo lo stato catatonico dell’amica, si avvicinò alla cornetta, sollevandola.
«Sei il seccante Motolese?» domandò ridendo, mentre osservava Sophie nascondersi il viso tra le mani.
«E tu sei l’irritabile Frisi?» rispose il bel bruno dall’altro lato, sorpreso che fosse lei a rispondere e non la proprietaria di casa.
«Sì, sei proprio tu; sali!» Sbloccò il cancellino sottostante, permettendogli così l’accesso, dopodiché si avviò lesta verso la sedia dov’era appoggiata la sua giacchetta di pelle e la indossò.
«Stai tranquilla, tesoro; la serata sarà grandiosa!» Sollevò entrambi i pollici, portandoli vicino alla bocca, mostrando la dentatura perfetta. Era agitata quanto l’amica per quella serata, perché sapeva quanto contasse per lei quel ragazzo irritante; inizialmente voleva tenerglielo lontano, dati i racconti sul loro trascorso, credendo che le intenzioni di lui fossero affini solo al divertimento. Si era però ricreduta in quelle settimane, notando i loro sguardi e gli atteggiamenti protettivi che aveva nei suoi riguardi. Quando Sophie non c’era, Francesco sembrava incompleto, come se gli mancasse quella parte che illuminava il suo viso; sorrideva, scherzava, ma non aveva la stella luce negli occhi, presente solo quando la mora era nelle vicinanze.
«Ehi, Dumbo, non sapevo che avessi anche delle tute nel tuo armadio!» la canzonò appena varcata la soglia, per poi voltare lo sguardo verso la sua ossessione, bellissima come non mai quella sera.
Dovette deglutire diverse volte, evitando di soffermarsi su quei lembi di pelle lasciati scoperti e sul maglioncino, dal quale si intravedeva il reggiseno nero.
«Siete entrambi molto simpatici, sapete?» domandò loro, fingendosi infastidita.
«E tu, Motolese dei miei stivali, smettila di chiamarmi così!» Sollevò il dito medio nella sua direzione, facendolo ridere.
«Non ho sputato nel tuo piatto solo perché mangerete la stessa cosa, ma prima o poi lo farò!» Gli diede un’ultima stoccata, prima di avvicinarsi verso l’amica e abbracciarla, sussurrandole di stare tranquilla.
«Grazie, Gio!» La bionda lasciò i due innamorati finalmente da soli, pronti a godersi la loro serata nella totale tranquillità.
Sophie allacciò le braccia al collo di Francesco, sollevandosi in punta di piedi per congiungere le loro labbra in un bacio che tolse a entrambi il respiro. Le loro lingue si intrecciarono subito in una danza erotica, piena di passione, lussuria e desiderio, mentre le mani del bruno avvolsero il suo corpo come una coperta, carezzandole ogni centimetro della schiena.
Si allontanarono per riprendere fiato, senza mai distogliere il contatto visivo l’uno dall’altra, con le pupille che mostravano l’incendiante e dirompente bramosia divampata dentro di loro.
«Potrei abituarmici a essere accolto così!» sussurrò al suo orecchio, provocandole una miriade di brividi che partivano dal collo e giungevano fino al suo ventre.
«Non ti conviene, Motolese altezzoso; l’abitudine a lungo andare annoia!» Gli stampò un altro bacio, prima di allontanarsi verso la cucina per accendere il forno dove avrebbe riscaldato le lasagne.
Non si accorse che il ragazzo l’aveva silenziosamente seguita, finché non si trovò stretta tra le sue braccia, sentendo poi le sue labbra sfiorarle il collo, provocandole nuovi brividi.
«Non potrei mai annoiarmi di stare con te, piccola saccente; la monotonia non è contemplata nella tua vita!» Sophie si ritrovò a sorridere a quell’affermazione, la quale le fece contorcere lo stomaco, percependo quel solito sfarfallio piacevole che solo lui era in grado di farle provare.
Si voltò per poterlo guardare negli occhi, per perdersi in quei pozzi chiaroscuri in cui aveva imparato a nuotare e vide il proprio riflesso, così come Francesco lo trovò negli smeraldi di lei, due pietre preziose che brillavano diversamente quando erano insieme.
La premette contro il bancone, facendo aderire i loro corpi, scostandole una ciocca dietro l’orecchio anche sé non le era ricaduta sul volto, semplicemente per l’abitudine di quel gesto tutto loro, il quale gli permetteva di posare le dita sulle morbide gote di lei, facendola arrossire.
«Sento caldo!» pronunciò Sophie tremante, con le mani ancorate saldamente alla felpa di lui.
«Di già?» Le sorrise maliziosamente, premendosi ancora di più contro di lei.
«Cretino, mi sto scottando la gamba contro il forno!» asserì ridendo, spingendolo leggermente così da potersi scostare dal vetro bollente, non prima di avergli dato uno schiaffetto sul petto.
«Prendi questo!» Gli porse il sottopentola in legno a forma di cuore, chiedendogli di posarlo sulla tavola già accuratamente apparecchiata, dove avrebbe deposto la pirofila di ceramica color panna.
Il bruno fece come gli era stato impartito, spostandosi nella stanza accanto; si soffermò sulle varie cornici appoggiate al mobile, osservandone le immagini. Potè ammirare in una di esse una Sophie ritratta con Giorgia e Mia, quest’ultima aveva una corona di alloro legata con dei fiocchi rossi sul capo; in quella accanto erano presenti sempre loro tre, in compagnia però di Fabian, Gianfranco, Alessandro e Daniele, tutti avvolti da cappotti pesanti, mentre posavano sorridenti davanti alla stella cometa dell’arena di Verona.
Prese tra le mani il freddo oggetto rettangolare in acciaio, studiando il viso sorridente della mora abbracciata al suo ex ragazzo, domandandosi se prima del suo arrivo lei fosse felice della propria vita.
«Quella foto è di due anni fa; eravamo tutti a casa per le feste natalizie, non sapevamo cosa fare e abbiamo pensato di farci un giretto a Verona. Giorgia ha passato il pomeriggio a sbavare sugli anelli di Tiffany, augurandosi di trovare un fidanzato che glielo regalasse.»
Posò in tavola il tegame, avvicinandosi poi al ragazzo. Poggiò le proprie dita sopra quelle di lui, osservando anche lei l’immagine.
«A cosa pensi?» Osservò il suo viso concentrato, sperando che il bel bruno non fosse infastidito dal fatto che avesse lasciato in bella vista un’immagine che la raffigurava con Daniele.
«Mi chiedevo se tu non stessi meglio prima del mio ritorno.» Si voltò verso il viso di lei, perdendosi nella dolcezza di quegli occhi luminosi e nel suo caldo sorriso.
«Prima di rincontrarti ero felice: avevo i miei amici, un lavoro sicuro e un fidanzato con cui stavo progettando un futuro.»
Francesco fece una smorfia, scostando lo sguardo dal suo viso per ripuntarlo sulla fotografia.
Sophie lo prese per il braccio e lo costrinse a girarsi verso di lei, abbassando la cornice.
«Nonostante questo, mi sentivo incompleta, mi mancava qualcosa per essere realmente appagata. Quel qualcosa l’ho trovato nel momento in cui i nostri occhi si sono rincontrati quel giorno in ufficio.»
Il bruno sussultò nell’udire quelle parole che mai si sarebbe aspettato e si ritrovò a sorriderle involontariamente.
«Ho cercato di non cedere alle tue avances, sicura che per te fosse solo un gioco, ma fortunatamente mi sbagliavo.» Appoggiò la cornice al suo posto e intrecciò le proprie dita con quelle di lui.
«Quindi, per rispondere alla tua domanda, no, non stavo meglio prima di te!» Si alzò in punta di piedi e gli diede un caldo bacio, al quale Francesco rispose schiudendo subito le labbra, per permettere alle loro lingue di unirsi nuovamente in quella lenta danza che sanciva conferme d’amore.
Entrambi avevano bisogno di certezze, perché si sa, quando si ama profondamente qualcuno, ci si senta fragili; solo insieme si era invincibili. Con quella unione di bocche si stavano rassicurando sul fatto che il loro legame fosse qualcosa di davvero profondo, che andava oltre al desiderio e all’attrazione.
Il bruno percepì quel torpore nel petto che lo riscaldava e lo faceva sentire leggero; solo lei era in grado di fargli provare certe emozioni, solo lei era in grado di farlo sentire davvero vivo.
Sophie si scostò leggermente, continuando a sorridergli.
«Se non vuoi che il pasto si freddi, sarà meglio sederci e mangiare!» Lo accompagnò verso la sedia, lasciando poi la sua mano per prendere posto.
Chiacchierarono e risero per tutta la cena, raccontandosi nuovi aneddoti del loro passato e gustandosi quel delizioso piatto.
«Suoni ancora la chitarra?» domandò lei, agguantando l’ultimo pezzo nel piatto per portarselo alla bocca.
Francesco sorseggiò il proprio vino, per poi asciugarsi le labbra con il tovagliolo.
«Certo, sono quasi otto anni ormai!»
Sophie ricordò che, quando si erano conosciuti, le aveva accennato di aver iniziato a prendere lezioni dello strumento da alcuni mesi, con una stupenda luce negli occhi e una profonda emozione.
Gli sorrise, rivedendo lo stesso sbrilluccichio anche in quell’istante.
«Anche mio padre suonava; è una passione ereditaria, credo.» Abbassò lo sguardo, ripensando al suo adorato padre, chiedendosi se sarebbe stato orgoglioso dell’uomo che era diventato; non era più un ragazzo scapestrato il cui unico scopo era collezionare ragazze, ma una persona che aveva avviato un’attività, la quale lo rendeva felice, e con il desiderio di costruirsi una famiglia.
Sophie, come se fosse riuscita a leggergli nella mente, gli prese la mano, intrecciando le loro dita.
«Sarebbe fiero della persona che sei oggi!» Si alzò e si mise seduta sulle sue gambe, per poi abbracciarlo. Sapeva quanto fosse profondo il legame che univa i due uomini Motolese e capiva quanto a lui facesse male non averlo al proprio fianco.
Francesco le fu grato di quel contatto, perché era proprio di quello che aveva bisogno; sembrava che sapesse sempre cosa fare e quando, come se provasse anche lei le stesse emozioni.
Affondò il proprio viso nell’incavo del collo di Sophie, ubriacandosi del suo profumo dolce e dell’aroma fruttato proveniente dai suoi capelli. Le lasciò madidi baci su quella parte di pelle accaldata, provocandole diversi brividi di piacere. Nascose le mani all’interno del suo maglione, sfiorandole delicatamente la schiena con la punta delle proprie dita, risalendo lentamente ai lati della colonna vertebrale.
Sophie respirò affannosamente, accarezzandogli i capelli con una mano, mentre con l’indice dell’altra tracciava la F tatuata sul suo collo. Francesco attraversò tutto il suo collo, baciando ogni centimetro di carne, fino ad arrivare a quelle labbra rosee e succose da cui era attratto come una calamita. Si appropriò del labbro inferiore, mordendolo e succhiandolo, assaporando il sapore del vino di cui era ancora intrisa la sua bocca. Fu impossibile per lei mantenere il controllo, infatti si fiondò su Francesco, baciandolo avidamente, facendo incontrare le loro lingue che esigevano un’unione immediata, percependo il fuoco che aveva dentro divampare in un incendio.
Lui fece scivolare dal maglioncino la propria mano e la portò sotto le sue ginocchia, prima di alzarsi e tenerla tra le sue braccia, senza perdere il contatto che li univa. Con non poca difficoltà percorse le scale che li separava dalla camera da letto, per condurla in quella stanza in cui erano pronti ad amarsi per tutta la notte.
Francesco la posò delicatamente sul letto, interrompendo quel lunghissimo bacio che li aveva condotti fino a quella stanza. Lasciò che Sophie si levasse gli stivaletti neri con i talloni, mentre lui si toglieva le proprie sneakers, abituandosi al buio della camera. Udiva indistintamente i battiti accelerati del proprio cuore, i quali aumentarono a dismisura non appena i loro occhi si incontrarono.
Sophie tremava come una foglia, mentre delle scariche si irradiavano dal basso ventre per poi salire fino alla gola. I loro sguardi erano incatenati, ipnotizzati l’uno dall’altra, in balia delle loro emozioni.
Si avvicinò lentamente al materasso, affondandoci con le ginocchia per avvicinarsi alla sua preda e baciarla. I lunghi capelli di lei giacevano disordinati sul cuscino color maggese, diffondendosi come una macchia d’inchiostro. Francesco puntellò i gomiti per non pesarle, senza riuscire però a impedire il contatto tra le loro intimità, ben celate dai vestiti. La desiderava più di qualsiasi altra donna che avesse incontrato nel corso degli anni; anelava unirsi a lei in tutte le forme d’amore possibili, con il corpo, con il cuore e con la mente.
Sophie fece scivolare la cerniera della sua felpa fino ad aprirla, in un movimento lento e tremolante, infilando poi le mani sotto la maglietta grigia per tracciare i muscoli ben definiti della schiena.
Il bruno si scostò per togliersi quegli indumenti e buttarli ai piedi del letto, mentre lei seguiva con attenzione ogni suo movimento, ammirando il petto e l’addome scolpiti. Si alzò sulle ginocchia per avvicinarsi e baciargli il torace, tenendosi saldamente ai suoi bicipiti, mentre lui le posò le mani sui glutei nascosti da quei pantaloncini striminziti che la coprivano come una seconda pelle.
Risalì aggrappandosi al maglione che le tolse velocemente, lasciandola con il reggiseno di pizzo nero e, mordendosi il labbro, ammirò il suo seno sodo tenuto alto dai ferretti. Si accostò a lei, baciandole la spalla, scendendo lentamente fino all’incavo, mentre con un movimento rapido liberò i due gancetti, accompagnando le spalline lungo le sue esili braccia, fino a farlo cadere.
Baciò ogni centimetro del suo petto, facendola fremere quando arrivò al suo capezzolo già turgido, iniziando a succhiarlo con bramosia. Sophie ansimò di piacere sentendo la sua lingua calda giocare con quel bottoncino, strinse ancora più saldamente le proprie dita attorno alle braccia di lui e lasciò che la testa le cadesse all’indietro, godendosi di quelle sensazioni peccaminose.
Francesco diede le proprie attenzioni anche all’altro capezzolo, succhiandolo avidamente mentre l’ammirava freme in preda al piacere che le stava procurando. Slacciò i bottoni dei pantaloncini per poi farli scendere fino alle ginocchia, posando le labbra sul ventre, baciandolo e leccandolo. Accompagnò il suo corpo permettendole di sedersi, così da poterle sfilare i calzoncini, seguiti poi dalle due parigine.
Non era mai stato amante dei troppi preliminari, a meno che non fossero a proprio vantaggio, ma con lei desiderava gustarsi ogni sensazione, ammirare quel corpo armonioso contorcersi sotto le sue carezze e rendere piacevole l’attesa della loro unione.
Sophie, con le sole mutandine di pizzo nero addosso, percepì il respiro caldo di lui sulle proprie cosce, seguito dal calore di quelle labbra che desiderava la baciassero ancora, mentre stringeva le lenzuola. Non aveva mai provato niente di simile, nemmeno con il suo primo ragazzo che aveva amato intensamente, venendo poi ferita con ferocia crudeltà; si stava abbandonando a quelle sensazioni che la sovrastavano, stava cadendo nel vortice della passione, dal quale non sarebbe più voluta fuggire.
Francesco alzò il viso per cercare i suoi occhi, si avvicinò al suo viso per baciarla, venendo subito accolto con ingordigia, mentre con la punta delle dita le accarezzava lentamente la pelle dell’interno coscia, provocandole nuovi brividi. Gli sbottonò i jeans con difficoltà, allungandosi con le mani più che poteva per abbassarglieli, continuando a giocare con la lingua di lui, sentendosi riempire la bocca. La aiutò ad abbassarsi i pantaloni con i piedi, mentre la propria erezione pulsava sopra la sua intimità. Lo strusciò su di lei, aumentandone il desiderio, sentendosi arpionare la schiena dalle sue unghie taglienti. Entrambi avevano ormai il fiato corto, le labbra gonfie arrossate e sudavano, accaldati dal desiderio che stava per esplodere.
Fece scivolare le mutandine fino alle caviglie e infilò un dito nella sua intimità già madida di umori, facendola fremere. Gli ansimò in bocca, in preda all’eccitazione, desiderando sentire la sua erezione dura, stretta nelle proprie dita; lo prese con una mano, mentre con l’altra gli abbassò i boxer, percorrendo tutta la lunghezza del suo pene in un movimento lento, ma continuo, facendogli percepire le stesse scariche di piacere che stavano attraversando il suo corpo.
«Franci» ansimò il suo nome, chiedendogli di interrompere quella piacevole tortura e affondare dentro di lei, mentre lui le mordicchiava il lobo.
Il bel bruno si scostò per riprendere fiato, cercando nella tasca dei jeans il proprio portafoglio ed estrarre il rettangolino argentato che conteneva il preservativo.
Se lo infilò abilmente, ritornando subito tra le sue gambe, posizionandole la punta all’ingresso della sua intimità. Cercò entrambe le mani di Sophie, portandole vicino al suo viso e le strinse tra le sue, lasciando che i loro occhi si intrecciassero prima di unirsi definitivamente e trasformarsi in una cosa sola. Il sorriso che ricevette, valeva più di qualsiasi risposta a quella domanda taciuta, ma che lei era riuscita a captare solo guardandolo.
Entrò dentro di lei ed entrambi gemettero; nel loro stomaco si innalzò un incendio impossibile da contenere, che li fece bruciare. Francesco si muoveva lentamente al suo interno, riempiendola, mentre lei seguiva i suoi movimenti alzando il bacino a ogni affondo. Sophie si teneva saldamente alla schiena di lui, percependo i muscoli contrarsi a ogni movimento. Con un gesto repentino, invertì le posizioni, ritrovandosi sopra di lui. Accompagnò le sue mani ruvide sulle proprie natiche, per poi accarezzargli il petto, giocando con la peluria umida, continuando a muoversi.
Il ritmo delle spinte aumentava, come i battiti dei loro cuori, i quali sembravano pronti a scoppiare da un momento all’altro, e i loro ansiti.
Sophie sentì l’incendio divampare ancora più di prima, pronto a salire fino alla gola e fuoriuscire dal suo corpo. La schiena le si inarcò, le gambe le si strinserò, buttò nuovamente la testa all’indietro per godersi le spinte che la stavano portando all’orgasmo, gemendo ad alta voce. Senza accorgersi, la stretta sul petto di Francesco si fece più salda; affondò le unghie nella carne, mentre lui percepì i muscoli interni della sua intimità stringersi intorno al suo pene, mandandolo in escandescenza.
Era pronto a raggiungerla nel punto di non ritorno, ma prima di farlo la spinse su di sé per baciarla, incatenando il suo labbro inferiore tra i propri denti, lasciando che il proprio piacere la riempisse, stringendole le natiche.
I loro movimenti cessarono, ma il bacio non si interruppe, mentre i loro corpi umidi restano incatenati tra di loro e i loro cuori, lentamente, ripresero a palpitare a un ritmo regolare.

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Capitolo 44
*** Capitolo 43 - Hai fame? ***


I raggi del sole filtrarono dalle persiane, illuminando lievemente il viso dei due amanti, addormentati e stretti l’una tra le braccia dell’altro. Sui loro volti si diramava un sorriso sereno, spensierato, un’espressione che racchiudeva mille emozioni, custodite nel loro cuore. La prima a destarsi fu la bella Sophie, la quale giaceva sul petto del bruno, cullata dal suo respiro.; si beò del suo calore e ne approfittò per accarezzargli l’addome, risalendo con assoluta calma verso il torace, bloccandosi nel percepire un piccolo anello freddo sotto ai propri polpastrelli. Spostò lentamente il lenzuolo che li copriva e, alzando la testa, notò quel particolare che le era sfuggito la sera precedente, probabilmente accecata dalla foga di amalgamarsi con l’uomo che amava. Sorridendo, iniziò a giocare con il piercing al capezzolo di Francesco, senza rendersi conto che quel continuo titillamento lo stava svegliando.
Finse di essere ancora addormentato per alcuni secondi, ma appena capì che la propria mano era posata sui glutei della sua donna iniziò a muovere le dite in una lieve carezza, facendola sussultare.
«La prima cosa che fai, appena ti svegli, è di tastarmi, anziché darmi il buongiorno?» lo ammonì benevolmente, dandogli un piccolo pizzicotto vicino al piercing, facendolo ridere.
«Senti chi parla, la ragazza che mi palpeggia mentre dormo; io almeno lo faccio quando sei sveglia!» Aprì le palpebre e si ritrovò inchiodato in quegli smeraldi verdi talmente luminosi che avrebbero potuto rischiarare un’intera stanza. Osservò il suo splendido sorriso a cui rispose di rimando, sentendo dentro sé un torpore che lo scaldava e lo rendeva felice come mai era stato. Poggiò le sue morbide labbra sulle sue, le quali si dischiusero immediatamente, dando il via a un bacio pieno d’amore.
Nel cuore di Sophie erano ancora vive le emozioni della notte appena passata; quanto inizialmente si fosse sentita esposta davanti ai suoi occhi scuri accecati dalla bramosia, come lui l’avesse rassicurata con i suoi sguardi e le sue carezze, come si fosse sentita invincibile quando i loro corpi erano diventati un tutt’uno, tanto da poter udire i loro cuori battere allo stesso ritmo. L’amore riesce a darti un immenso potere se ricambiato, ti rende forte, imbattibile, importante per la persona che si ha davanti, e tutte queste sensazioni erano presenti dentro di lei, rendendola immensamente felice, come mai lo era stata.
Francesco era apparso come un uragano nella sua vita, distruggendo quelle che lei credeva fossero certezze, travolgendola con la sua forza inarrestabile, lasciandola con moltissimi dubbi da risolvere. Non si era accorta che quel ciclone non voleva distruggerla, bensì riempirle la vita con tutto l’amore che le era mancato; aveva paura a fidarsi ancora una volta di lui, dato che l’aveva già ferita in passato, eppure il suo cuore l’aveva sempre saputo che Francesco sarebbe stato un vortice pieno di colori, un arcobaleno che l’avrebbe illuminata e l’avrebbe fatta vivere davvero.
Lui, dal canto suo, non aveva nemmeno mai creduto che esistessero quei sentimenti; si era convinto che avrebbe vissuto in solitudine la sua esistenza, perché non avrebbe mai preso in giro nessuna donna, fingendo delle emozioni, solo per evitare di restare senza compagna di vita. Non pensava che avrebbe invece rivisto quella mora saccente, alle volte dolce e ingenua, la quale aveva lasciato andare per paura, proprio perché gli aveva fatto palpitare il cuore; incontrarla però gli aveva fatto capire quanto fosse stato stupido in passato, che forse c’era speranza di scoprire l’amore già allora, e lui ormai desiderava ardentemente viverlo con lei. La vita aveva donato loro una seconda possibilità ed entrambi, in modo diverso, avevano deciso di accoglierla, ringraziando il fato che aveva voluto intrecciare le loro strade, dandogli modo di scoprire la vera felicità.
Quel bacio si intensificò notevolmente, portando le carezze a tocchi più decisi e ricchi di bramosia, riempiendo la stanza con il suono dei loro respiri e dei loro ansiti. Francesco la tirò sopra di sé, lasciando che le loro intimità si incontrassero in un gioco di sfregamenti, il quale aizzò ogni loro desiderio. Sophie si posizionò sopra la sua erezione dura e rigida e, con un’abile pressione, la lasciò scivolare dentro di sé, già pronta ad accoglierla. Chiuse gli occhi e lasciò che la testa le ciondolasse sulle spalle, godendosi ogni spinta, la quale le dava un enorme senso di pienezza. Muoveva il bacino per andargli incontro, unendosi a lui maggiormente. Le mani di Francesco erano strette intorno ai suoi fianchi, mentre quelle di lei si saldarono a quei capelli bruni talmente morbidi da sembrare pura seta. Si amarono ancora, con più intensità della notte precedente, senza pensieri, lasciandosi travolgere da quel turbinio di emozioni che li investiva ogni volta che si ritrovavano insieme.
Si lasciarono sopraffare dai loro istinti primordiali, attratti l’uno dall’altro, desiderosi di giungere insieme al punto di non ritorno che li aveva fatti sentire potenti e invincibili. Le mani erano intrecciate, le bocche si divoravano, mentre le loro lingue si esploravano il palato in una danza infuocata. Arrivarono a toccare le vette più elevate della felicità, in quella arrampicata che li vedeva sempre più uniti e indissolubili.
Si separarono, stremati ma felici, solo per riprendere fiato, entrambi con il viso rivolto al soffitto e una mano stretta nell’altra.
«Se il buongiorno si vede dal mattino, sono certo che questa sarà una giornata decisamente piacevole e intensa!» sogghignò, voltandosi per guardarla.
Sophie scoppiò a ridere, girandosi a sua volta verso l’uomo che amava per accarezzargli il volto.
«Hai fame? Vuoi far colazione?» gli domandò con un sorriso raggiante, senza interrompere quelle dolci coccole. Un luccichio malizioso comparve nei pozzi chiaroscuri del bel bruno, il quale poggiò la mano libera sulla sua schiena e la tirò a sé, facendo congiungere i loro corpi.
«Un po’ di appetito ce l’avrei, ma non di quello che si può saziare con del cibo!» Si prese il labbro tra i denti, scrutando il verde dei suoi smeraldi lasciare il posto all’ebano delle pupille. Una tacita risposta che li unì nuovamente in uno scontro passionale dove nessuno sarebbe stato sconfitto, perché entrambi ne sarebbero usciti vincitori.
 
✿..:* *.:.✿

Dopo molti baci e altrettante carezze, Sophie riuscì a convincere Francesco a uscire da quella stanza per raggiungere la cucina. Probabilmente fu il brontolio proveniente dallo stomaco di lei a persuaderlo, accorgendosi che anche lui iniziava a sentire un certo appetito. Vederla alzarsi, completamente nuda, lo aveva per un attimo destabilizzato, ma si rese conto che per affrontare un nuovo round con quella tigre avrebbe dovuto addentare qualcosa di veramente consistente.
«Vado a farmi una doccia, vuoi unirti anche tu?» gli domandò maliziosa, osservando in quei pozzi chiaroscuri l’effetto che il suo corpo aveva su di lui, sorridendo vittoriosa.
Francesco dovette deglutire diverse volte, prima di rispondere positivamente con un cenno del capo, guardandola poi allontanarsi con quella camminata fiera ed elegante, completamente disinvolta.
Il rumore dell’acqua che scendeva e si andava a scontrare con le piastrelle lo ridestò, portandolo a sedersi.
«Guai a te se mi fai fare brutte figure!»
Alzò il lenzuolo, dando così un ammonimento al suo compagno di molte avventure.
«Hai detto qualcosa?» la richiesta lieve e lontana di Sophie lo fece sussultare, non si era accorto di aver parlato ad alta voce. Si diede una pacca sulla fronte per la sua idiozia, scervellandosi su una scusa credibile da poterle rifilare.
«No, dicevo solo che una doccia era proprio quello che mi serviva!» si alzò dal letto e la raggiunse nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle. Spostò l’anta scorrevole in vetro, già appannato dal vapore, per raggiungerla, scoppiando a ridere una volta accortosi di quello che la ragazza teneva sul capo.
«Beh, che c’è di così divertente? Non volevo bagnarmi i capelli!» la mora assottigliò gli occhi, lanciandogli uno sguardo offeso, per poi voltarsi dandogli così le spalle. Aveva raccolto le sue ciocche scure con un mollettone agganciato sopra la testa, avvolgendole poi in una cuffia trasparente che aveva sottratto in un albergo la precedente estate.
Francesco la prese tra le braccia e le accarezzò il ventre con le mani, mentre il getto caldo gli bagnava la testa, facendogli ricadere i capelli sul viso, scendendo poi su tutto il suo corpo. Le baciò la nuca provocandole nuovi brividi, nonostante il calore dell’acqua, e piccole scariche al basso ventre.
«Hai fatto benissimo, così posso occuparmi del tuo splendido collo” rispose in tono gutturale, ormai nuovamente in preda agli ormoni. Si augurò che col tempo quel bisogno costante di possederla non scemasse, che non si sentisse mai sazio della sua Sophie, che ne avrebbe voluta sempre di più.
Si beò dei suoi baci e delle emozioni che essi le scaturivano; appoggiò la testa sulla sua spalla, lasciandosi bagnare il volto dalle ciocche gocciolanti di lui. Le mani di Francesco salirono verso i suoi seni, stringendoli a coppa, provocandole un gemito Sophie dovette aggrapparsi alla sua schiena muscolosa per sorreggersi, conficcandogli le unghie nella pelle.
I polpastrelli umidi e ruvidi le arpionarono i capezzoli già turgidi, iniziando a sfregarli, provocandole così continui sussulti. I loro respiri divennero ansiti, i baci da teneri si fecero lussuriosi, si tramutarono in leggeri morsi passionali che accecarono ogni loro percezione. Le dita di Francesco percossero il suo corpo lentamente, come se fossero dei tizzoni roventi, giungendo alla sua intimità già pronta ad accoglierlo. Giocò prima con il clitoride, provocandole nuovi sonori gemiti; la osservò bramoso trattenere il desiderio tra le proprie labbra, intrappolate dolorosamente tra i denti, mentre le palpebre serrate cercavano di nascondere tutto il piacere provato.
«Lasciati andare» le sussurrò all’orecchio, tornando poi a succhiare e mordere il suo lobo, intensificando lo sfregamento. Sentì le sue unghie affondare più intensamente nella propria pelle, aumentando maggiormente la sua sete di lei. La fece voltare verso di lui; Sophie aprì gli occhi e si perse in quel nero profondo come la notte. Si guardarono per alcuni istanti, entrambi accecati dalla lussuria che si era impossessata di loro, entrambi con il fiato corto.
La prese in braccio, facendole intrecciare le gambe alla propria schiena, spingendo dentro di lei la sua incontenibile erezione, incastrandola tra lui e il muro piastrellato. Le loro labbra si ritrovarono in un bacio infuocato, un incendio che la portò a strattonargli i capelli, presa dalla foga di quel momento, mentre con l’altra mano si sorreggeva all’asta in acciaio che sorreggeva il soffione sopra le loro teste. A ogni affondo si sentiva riempire, bruciando lentamente in quelle fiamme incandescenti che la subissavano internamente, dalle quali non sarebbe mai più voluta sfuggire; si lasciò sommergere da quelle emozioni, arrivando in breve tempo a un orgasmo esplosivo. Sentiva la sua intimità pulsare per quei continui sfregamenti a cui non era certo abituata, così cercò di bloccare le continue spinte del bruno, lasciandolo interdetto. Tornò con i piedi saldi sulla ceramica ormai bollente, rubando un veloce bacio dalle labbra di Francesco, prima di scendere verso la sua protuberanza per prenderla in bocca. La sorpresa, mista all’intensità di quel gesto così piacevole, lo portarono ad ansimare, lasciando che la testa gli cadesse all’indietro.
Sophie lasciò scivolare la sua lingua per tutta la lunghezza, accogliendolo poi nel suo palato, gustandosi il sapore salato da cui era avvolto. Ogni sua pressione era accompagnata da un ansito del bruno, il quale, sentendosi giunto al limite, la fece alzare per riempirle la bocca con la propria lingua, lasciando che il piacere fuoriuscisse grazie alla stretta salda delle piccole dita della sua donna.
Dopo quel lungo bacio, cercarono di riprendere fiato, sorridendosi l’un l’altra.
Trascorsero il resto di quell’intima doccia a lavarsi e sorridersi, per poi uscire dall’angusto spazio e asciugarsi nei loro accappatoi. Fortunatamente Sophie ne teneva sempre più di uno appeso alla porta del bagno, ma entrambi erano sulle tonalità del rosa e decisamente stretti e corti per il povero Francesco. La mora lo guardò divertita, togliendosi la cuffia dalla testa insieme al mollettone, lasciando ricadere la sua lunga e scura ciocca lungo le spalle avvolte dal cotone.
«E ora, andiamo a mangiare, Motolese confettino!»

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Capitolo 45
*** Capitolo 44 - Strage di cuori ***


Addentarono le loro brioches con foga, gustandosi il sapore caldo della crema che fuoriusciva dal dolce lievito, mandando in estasi le loro papille gustative. Sorseggiarono il cappuccino, lasciando che quel liquido bollente e leggermente amaro contrastasse il sapore zuccherino del croissant.
Terminarono nel più assoluto silenzio la loro colazione, troppo presi dal cibo per proferir verbo, dopodiché sparecchiarono il bancone della cucina dalle tazze e si dedicarono al tavolo, ancora imbandito dalla sera prima. Caricarono la lavastoviglie e la fecero partire, andando poi a sedersi sul divano.
«Cosa ti va di fare oggi?» le domandò Francesco, stringendola a sé per poi darle un bacio sul capo, ma prima che la mora potesse rispondergli, la suoneria del suo telefono rimbombò nella stanza.
Sophie si alzò per prenderlo e nel constatare chi le stesse telefonando, un sorriso si irradiò sul suo viso.
«Buongiorno, nonnina, tutto bene?» le domandò, voltandosi verso il bruno, anch’esso sorridente al ricordo di quella simpatica vecchietta.
«Certo, tesoro, io sto sempre bene! Senti un po’, hai impegni per pranzo?»
Sophie diede una rapida occhiata all’orologio appeso alla parete sopra la libreria, il quale segnava che da poco erano passate le undici.
«Dipende… che cos’hai in mente?» le pose quel quesito azionando il vivavoce, tornando a sedere vicino al suo affascinante bruno.
«Sto cucinando le seppioline al sugo con i piselli e la polenta; ho pensato che potresti venire qui a pranzo, dato che non ci vediamo da un po’!»
Francesco le fece un cenno d’assenso col capo, dopo che lei gli aveva posto una tacita domanda con lo sguardo.
«Perché no? È un problema se vengo con qualcuno?» Non si accorse di essere arrossita nel porre quella richiesta; le sue donne avevano già conosciuto Francesco, ma quel pranzo sarebbe stato diverso, perché la loro unione era mutata, diventando qualcosa di più di una semplice attrazione.
«No che non lo è; e dimmi, questo qualcuno sarebbe Fabrizio?»
Sophie scoppiò a ridere, seguita da Francesco dopo aver sentito storpiare nuovamente il suo nome.
«Nonna, si chiama Francesco, Fran-ce-sco, quante volte dobbiamo dirtelo?» chiese, continuando a sogghignare, ricevendo uno sbuffo dall’altra parte.
«Vabbè, dai, hai capito. Non ricordo il nome, ma mi è rimasto impresso il suo bel sedere! Dimmi, l’hai tastato?» La mora tolse repentinamente il viva voce, senza però riuscire a celare alle orecchie del bruno il quesito che l’anziana donna le aveva posto, portandola ad arrossire vistosamente.
Francesco le rispose con il suo solito sorriso sghembo, pronunciando in un sussurro quelle parole che riuscirono a farla imbarazzare ancora di più.
«Dille che non hai tastato solo quello, ma tutta la mercanzia!»
Sophie si ritrovò a deglutire diverse volte, dimenticandosi che dall’altra parte della cornetta ci fosse qualcuno in attesa di una risposta.
«Sophie, ci sei ancora?» Quella domanda la fece ridestare, portandola ad alzarsi e ad allontanarsi dagli occhi infuocati di quel molesto vanitoso, con cui avrebbe fatto i conti al termine della telefonata.
«Nonna, ne riparleremo un’altra volta. A che ora dobbiamo essere lì da te?» Iniziò a giocare con una ciocca dei suoi capelli, gesto che le veniva spontaneo fare quando era nervosa.
«Per le dodici e trenta va bene o vuoi fare più tardi? Magari ho interrotto qualcosa…» rispose maliziosa quell’arzilla vecchietta, lasciando la nipote senza parole.
«Nonna!» gridò dinnanzi a quella allusione poco velata, restando sorpresa dal suo atteggiamento così anticonformista e innovativo, molto diverso dalle donne della sua età.
«Ho capito, non puoi parlare! Vi aspetto più tardi allora!» chiuse la chiamata lasciandola ancora una volta sbalordita. Non si accorse neppure che Francesco si era alzato ed era giunto alle sue spalle, finché non sentì le sue mani cingerle la vita e il suo fiato caldo solleticarle il collo.
«Allora, dirai anche questa volta che siamo semplici amici?» Le morsicò il lobo, facendola ansare.
Si voltò verso di lui, portando le mani sulle sue possenti spalle, per poi guardarlo negli occhi raggiante.
«No, cretino; dirò loro che sei il mio bellissimo, saccente, scorbutico e snervante fidanzato!» Si sorrisero, avvicinando i loro visi.
«Hai dimenticato affascinante!» Le rubò un bacio, prima di allontanarsi, lasciandola interdetta.
«Ti va di accompagnarmi a cambiarmi? Non so se riuscirò a passare da casa più tardi e stasera devo aprire io lo Starlight.»
Sophie si diede della sciocca per essersi dimenticata quel particolare, così acconsentì alla sua proposta, non prima di essersi rifugiata in bagno per darsi una veloce sistemata al viso con un po’ di mascara e un lieve tocco di fard.
Si chiuse la porta dell’appartamento alle spalle e seguì il suo compagno verso la macchina, posteggiata proprio accanto alla sua.
«Forse, io e Matteo, abbiamo trovato un appartamento in città!» annunciò svoltando a destra al semaforo, illuminato di un verde sgargiante. La mora restò interdetta per alcuni secondi dopo quella notizia, inconsapevole della loro ricerca.
«Non sapevo steste cercando casa insieme» pronunciò con un fil di voce, senza alzare lo sguardo dai pugni chiusi stesi sulle proprie gambe.
«Percorrere ogni giorno mezz’ora di strada sta diventando estenuante; volevamo avvicinarci al locale e alle nostre fidanzate» disse senza distogliere gli occhi dalla strada, con una tale semplicità da lasciare Sophie, ancora una volta, senza parole.
«Avevamo già pensato a questa cosa prima di conoscervi, ma per un motivo o per un altro era rimasto un progetto campato per aria; voi ci avete dato l’input per deciderci a farlo.»
Entrò in tangenziale, non prima di aver preso l’esile mano della ragazza per portarsela alle labbra, baciandogliela dolcemente.
«In che zona l’avete trovato?» gli domandò, appoggiando la testa sulla sua spalla, lasciando ricadere le ciocche d’ebano dietro la schiena.
«Ancora non è certo e per scaramanzia non vogliamo dire nulla, ma se tutto va bene saremo in un’ottima posizione tra voi e lo Starlight.»
A quella notizia, il cuore di Sophie saltò un battito e la gioia si diramò in ogni cellula del suo corpo. Si accoccolò maggiormente a lui, sorridendo felice.
«Incrociamo le dita, allora!»
Restarono in quella posizione per tutto il resto del viaggio, fino all’arrivo davanti a quella villetta singola dal tetto spiovente, su due piani e con un bel giardino che la circondava, accerchiata da molte altre case impostate diversamente, ma altrettanto signorili. I toni pastello del giallo, i quali ricoprivano l’intera abitazione, si amalgamavano perfettamente con il color pesca delle colonne e delle mattonelle dell’ingresso; a completare il tutto un’intima veranda coperta dalla tettoia, dov’erano situati divanetti e tavolino in vimini.
«Wow, che bella casa!» sussurrò flebile, chiudendo la portiera per seguire il bel Motolese davanti alla staccionata d’entrata, rivestita interamente da mattoni.
«La costruì mio padre, sai? In realtà lui ha progettato tutte le villette della zona; faceva l’architetto» le spiegò, girando la chiave nella serratura del cancellino, dandole l’accesso alla sua dimora, laddove non aveva portato mai nessuna prima.
«È stupenda! Tuo papà ci sapeva proprio fare nel suo lavoro.» Gli sorrise dolcemente, stringendogli la mano per fargli sentire la sua presenza, certa che rimembrare l’uomo scomparso gli avesse riaperto quella ferita che mai si sarebbe rimarginata. Francesco le fu grato di quel gesto così accorto, rispondendo al suo sorriso con uno altrettanto amorevole, prima di condurla nella casa vuota.
Isabella, la piccola Giada e Luca erano a pranzo dai genitori di lui, mentre la madre aveva accettato l’invito di passare alcuni giorni al mare a casa della sorella, la quale risiedeva a Pescara ormai da tempo. Quando erano bambini, passavano il mese di luglio in quella moderna cittadina costiera, trascorrendo le giornate sul litorale con la famiglia, mentre la sera si divertivano con gli amici nel centro storico. Crescendo poi, sostituirono le sale giochi con i locali notturni sempre gremiti di giovani, concludendo le serate sulla spiaggia, certe volte aspettando l’alba, altre ritagliandosi un po’ di privacy con le loro conquiste.
Varcarono la soglia dell’ingresso mano nella mano; Sophie diede una rapida occhiata al soggiorno imponente e moderno, contemplando l’ottimo arredamento che lei da sempre bramava per casa sua, percependo il dolce aroma della cannella intorno a sé. Si lasciò trascinare da Francesco sulle scale in parquet, attraversando il corridoio che separava le camere da letto, sul quale erano appesi moltissimi scatti di famiglia.
Si soffermò sull’immagine di un infante spelacchiato dalle guance paffute, ritratto mentre gattonava nella sua tutina azzurra, cercando di raggiungere la sorridente sorella, una stupenda bambina dai grandi occhi verdi e i codini biondi, seduta a terra, al fianco di un uomo semi di spalle, intento ad aizzare il fuoco nel camino. Il suo cuore saltò un battito nel vedere quella fotografia, disegnando con la punta dell’indice la figura di quella piccola creatura che era diventata il suo stupendo compagno.
«Ero un bel maialino da piccolo!» affermò nel notare le attenzioni di Sophie rivolte a quel frammento della sua vita, immortalato per restare indelebile.
«Eri bellissimo… poi sei cresciuto!» lo canzonò sorniona, dandogli anche un colpo d’anca.
Francesco alzò un sopracciglio, osservandola con fare divertito, misto all’incredulità delle sue parole.
«Sì e sono diventato l’uomo dei tuoi sogni, petulante donna dalla lingua biforcuta!» La tirò a sé, facendo congiungere i loro corpi in una salda stretta, permettendo ai loro nasi di scontrarsi. Sophie si perse in quegli occhi tanto belli quanto profondi, percependo il battito accelerato del suo muscolo cardiaco.
«Vorrai dire dei miei incubi, Motolese spocchioso!» Gli sorrise, prima di legare la sua bocca con quella del bruno, succhiandogli il labbro inferiore incatenato tra i suoi denti, facendo poi incontrare le loro lingue, le quali si unirono nella loro danza infuocata.
«Eh già, sono proprio incubi nefasti!» Si allontanò dal suo viso, regalandole il solito sorriso sghembo che lei tanto amava.
«Ora lascia che mi metta qualcosa di pulito, altrimenti faremo tardi da tua nonna!» Sfiorò delicatamente la sua nuca con le labbra, prima di portarla nella propria stanza per cambiarsi.
 
✿..:* *.:.✿
 
Giunti davanti al portone d’ingresso di casa della nonna, Sophie iniziò a sudare, strofinandosi così le mani sui propri jeans neri. Teneva gli occhi puntati sulle sue Converse bianche, evitando così il contatto visivo di lui.
«Sei nervosa?» Francesco si appoggiò con la schiena alla ringhiera in acciaio color verde bottiglia, incrociando le braccia al petto, osservando il cipiglio che le si era disegnato sul volto, mentre arricciava le labbra.
«Cosa? No, perché dovrei?» chiese, alzando finalmente lo sguardo per incontrare il suo, iniziando poi a ridere concitatamente.
Il bruno alzò il sopracciglio nel scorgere quella reazione, dubitando della veridicità delle sue parole.
Si avvicinò lentamente a lei, con la stessa agilità ed eleganza di un felino, le prese le mani, interrompendo i continui sfregamenti, e le fece intrecciare alle sue, prima di allacciargliele alla propria schiena in modo che lo abbracciasse.
Aspirò il profumo fruttato di quei capelli neri come il buio della sua anima prima del loro incontro, dopodiché portò le dita sotto al suo mento per farglielo alzare, permettendo ai loro occhi di incatenarsi tra loro.
«Siamo qui da alcuni minuti e non hai ancora citofonato!» Si dipinse il suo sorrisetto sghembo, beccandosi un’occhiataccia di rimando e una pacca sul petto.
«Che Motolese simpatico!» Gli fece una smorfia e dopo averlo spostato si piantò davanti al citofono, soffermandosi sulla targhetta che segnalava i cognomi delle due donne. Emise un profondo respiro, per poi avvicinare il dito tremulo al campanello, premendolo lievemente.
Il rumore meccanico dello sbloccaggio arrivò dopo pochi secondi, aumentando la tensione di Sophie. Fece strada al giovane, ma prima che potesse richiudersi il portone alle spalle sentì il cigolio di una porta aprirsi e si augurò mentalmente che non fosse lei.
«Oh, ciao Sophie, è da tempo che non ci si vede!» La voce aspra della donna le provocò dei brividi lungo la schiena. Alzò gli occhi al cielo e, nella sua testa, contò fino a dieci, prima di voltarsi e fingere un sorriso gentile che, in quel momento, non le apparteneva.
«Buongiorno, signora Pagani, come sta?» La vecchia e ingobbita signora, tenendo saldo il suo immancabile bastone in legno, si avvicinò alla coppia, osservando prima da capo a piedi il bel bruno, riservando un’occhiata torva alla ragazza.
«Non c’è male. Ma chi è questo baldo giovane? Un nuovo amico?» Gli occhietti da topo, quasi nascosti dalle palpebre cadenti, la puntarono con disapprovazione. Il suo volto era segnato dall’avanzare del tempo, viste le molteplici rughe e la pelle flaccida del viso. I capelli le scendevano fino alle spalle, sembrando flebile fieno che lasciava intravedere il rosino pallido della testa.
Nel corso degli anni, l’acida donna aveva sempre ficcanasato nella vita di Sophie; quando lei rientrava a casa, in un orario insolito, puntualmente l’anziana giungeva sulle scale più impicciona che mai, inventandosi assurde scuse come “dare da bere alle piante alle due di notte”. Non approvava lo stile di vita della ragazza, la considerava troppo emancipata per i suoi gusti e non si preoccupava a celare la propria indignazione con frecciatine acide al solo scopo di mortificare la povera Sophie, la quale non si sentiva di rispondere con impertinenza a una donna di una certa età.
Si era placata solamente dopo un anno di relazione con Daniele; nel vederla con lo stesso uomo aveva moderato il suo animo, ma non la sua insana curiosità che la portava ad affacciarsi ogni qualvolta sentisse entrare qualcuno in quel piccolo condominio con soli quattro appartamenti.
Francesco, nel notare lo sguardo malevolo rivolto alla sua Khaleesi, si posizionò tra le due, bloccandone il contatto visivo, sfoderando un ghigno.
«No, signora, sono il fidanzato!» L’anziana, incredula dinnanzi a quella caparbietà, emise una risatina, spostandosi di lato per puntare nuovamente la sua preda preferita.
«E il povero Daniele, dove lo hai lasciato? L’ultima volta che l’ho visto era a marzo, quando mi ha aiutata a portare in cantina alcuni scatoloni.» Nel notare il sussulto fatto da Sophie, la donna sogghignò arcigna, prima di lanciarle l’ultima stoccata.
«Certo che hai fatto presto a rimpiazzarlo; meglio così per lui, voi ragazze di oggi non sapete più cosa sono i valori!»
Gli occhi verdi di Sophie si inumidirono, non aveva mai capito perché quella donna fosse così maligna nei suoi confronti, ma non si era mai spinta a tanto. Si morse il labbro inferiore per trattenere quelle stille salate che le stavano già pizzicando la sclera, obbligandosi ad alzare gli occhi verso il soffitto per non mostrale la sua fragilità.
Francesco, furente come poche volte lo era stato nella vita, tornò a sovrapporsi fra le due, con i pugni serrati vicino alle proprie gambe. Guardò la donna malevolmente, corrugando la fronte così da formare altre rughette, mettendole non poca agitazione.
«Ma come si permette di parlare in questa maniera alla mia fidanzata? Si faccia gli affari suoi e pensi alla sua vita triste, invece di preoccuparsi di quella di Sophie!»
Non aspettò una controbattuta, le diede le spalle e, prendendo per mano la sua compagna, salirono le scale che li portarono al primo piano. Sul pianerottolo si trovarono difronte Mariacarla, la quale aveva udito stralci di quella conversazione, adirandosi anch’essa con la vicina per le parole poco garbate rivolte alla sua adorabile nipote.
«Giuliana, non ti azzardare mai più a parlare così alla mia bambina o la prossima volta faremo i conti io e te. Ah, e dimenticati le serate a guardare “Il paradiso delle signore”, perché me lo guaderò da sola!» urlò aggrappandosi alla ringhiera bianca, dopodiché spinse i ragazzi, i quali avevano ritrovato il sorriso, dentro casa.
«Mi dispiace, nonna; non volevo che il vostro rapporto si incrinasse!» Sophie, mortificata, abbassò lo sguardo sospirando. Mariacarla aveva poche amicizie nella zona, essendosi trasferita da soli quattro anni in quell’appartamento che condivideva con la figlia, e una di quelle era proprio la Signora Pagani del piano inferiore.
«È lei che dovrebbe dispiacersi, mica tu. A esser sincere, non è che mi sia mai stata molto simpatica e poi la sua casa odora di vecchio!» Quella esclamazione portò ilarità in tutti e tre, sciogliendo ogni nervosismo. L’anziana signora notò le dita intrecciate dei due ragazzi e le nacque spontaneo un sorriso. Sophie, nel notare le attenzioni della donna, sciolse la stretta di mani, arrossendo.
«Dov’è la mamma?» domandò a nessuno in particolare, allontanandosi dalla sala per avvicinarsi alla piccola cucina e cercarla. Samanta si trovava davanti ai fornelli a mescolare le seppie nella pentola, controllando che la polenta non si attaccasse troppo. Nel notare la figlia gli occhi le si illuminarono e lasciò cadere il mestolo nel tegame per abbracciarla.
«Ciao, tesoro mio, è bello vederti! Stai bene?» domandò posandole un bacio sulla guancia, liberandola dalla sua stretta.
Sophie osservò la madre, la quale negli ultimi tempi le sembrava più raggiante del solito, e ricambiò la gioia che si poteva evincere dai loro occhi del medesimo colore e della stessa lucentezza.
«Sì, sto bene, ma sto morendo di fame! Quando si mangia?» Il profumino del cibo le riempì le narici, facendole brontolare lo stomaco e provocando una risata da parte della donna.
«Vai a sederti, tra due minuti è pronto! Dillo anche al tuo amico!» Samanta le fece l’occhiolino, marcando l’ultima parola con una cadenza lenta e accentuata, così da farle capire che immaginava quale fosse il vero rapporto che la legava al bel bruno. Come al solito Sophie si ritrovò ad arrossire a quell’allusione, sentendosi braccata tra due fuochi.
Nell’avvicinarsi al salotto poté udire l’omerica risata del suo uomo e percepì il suo cuore palpitare a un ritmo più sferzante, mentre nello stomaco uno stormo di farfalle si liberò, dandole quella sensazione di leggerezza e calore che solo lui era in grado di farle provare.
Si avvicinò a Francesco e Mariacarla, i quali le davano le spalle, impegnati a osservare qualcosa che lei non riusciva a intravedere.
«Che avete da ridere, voi due?» Si fece spazio e osservò l’oggetto incriminante, il quale aveva provocato la loro ilarità: una sua foto alla scuola materna.
La prese subito e cercò di nasconderla, ma il danno era già stato fatto; lui l’aveva vista.
Sua nonna non poteva scegliere foto peggiore da mostrargli. Portava il classico grembiulino rosso a quadretti ed era circondata da giocattoli, ma non era quello che la imbarazzava; in quell’immagine teneva i capelli legati con dei codini, portava degli occhiali tondi, grandi quasi come il suo viso, e sorrideva felice mostrando la dentatura… peccato le mancasse l’incisivo superiore.
Francesco le sorrise, cercando di trattenere una risata.
«Gli stavo raccontando di quanto amassi andare alla scuola materna, tanto che a due anni piangevi per entrare insieme agli altri bambini. Le maestre ci facevano entrare alla fine delle lezioni così che tu potessi dare un’occhiata e tornare a casa felice.»
Sophie si mise a ridere, rimembrando la prima volta che la nonna le raccontò questo aneddoto e i dettagli degli anni dopo.
«Quando poi hai iniziato a frequentarla, ti eri fatta ben volere da tutti quanti, bambini e insegnanti. Avevi anche un fidanzatino di nome Fabio che stravedeva per te; chissà che fine avrà fatto…» 
Mariacarla si portò una mano al mento, ripensando a quel bimbo, mentre la nipote osservò la reazione divertita del ragazzo con la coda dell’occhio.
«Facevi strage di cuori anche da piccola, eh!» Senza farsi notare dall’anziana signora, Francesco pizzicò la coscia di Sophie, facendola sussultare e ricevendo così un’occhiata torva.
«Sedetevi tutti, il pranzo è pronto!»
 
✿..:* *.:.✿
 
Erano quasi le diciotto e Francesco, a malincuore, dovette accompagnare a casa Sophie. Aveva trascorso un piacevole pomeriggio in compagnia della sua famiglia, conoscendo nuovi aspetti della sua donna. Avevano guardato le sue foto da bambina e i vecchi filmati, si era soffermato a studiare il volto dell’uomo che l’aveva abbandonata in quelle rare foto che lo ritraevano, notando la somiglianza con la figlia solo nel naso alla francese e nella carnosità delle labbra. 
«Domani sera pizza e maratona come gli ultimi lunedì?» gli domandò speranzosa, appoggiando il capo al sedile dell’auto, mentre lo guardava. Si voltò verso di lei e le spostò la solita ciocca di capelli dietro l’orecchio, prima di avvicinare il viso al suo.
«Potrei chiedere di meglio?» domandò strofinando il naso contro quello di lei.
«Beh, potresti chiedere qualcosa di più piccante…» Sophie gli allacciò le braccia al collo e si avvicinò alla sua bocca, lasciando che le loro labbra si sfiorassero e i loro respiri si amalgamassero.
«Quello non si chiede, si fa e basta!» Francesco distrusse quella misera distanza che li separava e si unì a lei in un bacio ricco di passione. Portò la mano tra i capelli di Sophie e ne percepì la piacevole morbidezza e setosità, stringendoli tra le proprie dita.
«Resterei qui molto volenti, ma purtroppo il dovere mi chiama, amore. Ci vediamo domani?»
Sophie rimase interdetta per alcuni secondi, sbarrando gli occhi incredula sentendo pronunciare quel vezzeggiativo così emozionante se proferito da lui.
«Che c’è?» le domandò con estrema naturalezza, notando la bizzarra reazione alla sua richiesta. Non si era accorto di come l’aveva chiamata, gli era uscito spontaneo.
«Nie-niente! A domani allora, mio dolce Motolese!» Stampò un fugace bacio a stampo prima di scendere dalla macchina e avviarsi verso il suo appartamento con un sorriso radioso, percependo nel petto le capriole del proprio cuore.

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Capitolo 46
*** Capitolo 45 - Nessuno dice no a Francesco Motolese ***


Quel lunedì mattina, la pioggia aveva fatto ritorno nella nordica cittadina, ingorgando le strade più del solito. Sophie sbuffò infastidita, bloccata in quella baraonda di automobili che sembravano restie a proseguire il loro tragitto a causa dell’asfalto bagnato e delle pozzanghere formatesi in alcune buche della strada. Armeggiò con la radio finché le note melodiose di Perfect non si diffusero per tutto l’abitacolo, facendola sorridere. Rimembrò quel loro intenso bacio sulla terrazza dello Starlight e tutti i momenti perfetti vissuti insieme a lui in quelle settimane, non ultima la notte di passione che li aveva visti finalmente uniti. Non si era mai sentita così in sintonia con un uomo come con Francesco. Nonostante l’imbarazzo iniziale, tutto era venuto spontaneo; ogni bacio, ogni carezza, ogni tocco era stato naturale, come se quei gesti fossero stati eseguiti milioni di volte. Il calore del corpo virile di lui, a contatto con il suo, la faceva sentire protetta, una sensazione di pace e di beatitudine della quale ignorava l’esistenza, facendole credere che il suo posto fosse sempre stato tra quelle braccia forti e muscolose.
Il suono bitonale e insistente di un clacson la ridestò dai suoi pensieri, accorgendosi di aver causato un blocco totale della circolazione. Repentinamente pigiò sull’acceleratore e percorse la grossa rotonda ciottolata, svoltando alla sua sinistra, passando in quella via piena di negozi e bar su ambo i lati della strada. Riuscì per sua fortuna ad arrivare in orario in ufficio, trovando al suo cospetto Giorgia, stranamente in anticipo.
«Ti hanno buttata giù dal letto questa mattina? Come mai sei già qua?» le chiese mentre apriva il portone, strusciando poi gli stivali sullo zerbino, cercando di asciugarne il più possibile le suole.
«Sei proprio spiritosa ultimamente, lo sai? È la compagnia di quel Motolese indisponente a renderti così simpatica?» Schioccò la lingua e fulminò l’amica con gli occhi, mentre si ravvivava le pieghe delle proprie ciocche dorate. Sophie scoppiò a ridere a quella affermazione, accedendo come suo solito i due computer dell’ufficio, prima di sbottonare il suo trench blu notte.
«E tu sei diventata suscettibile, ma non credo sia colpa di Matteo!» le fece una linguaccia, prendendo posto alla scrivania, per poi posare il cellulare a fianco della tastiera.
«Invece di perderci in chiacchiere futili, raccontami di sabato sera!» Si avvicinò con la sedia girevole alla collega, alzando e abbassando le sopracciglia ripetutamente, mentre un sorriso malizioso le si allargò sul viso.
«Signorina Frisi, lei è la solita impicciona!» rispose fintamente sconvolta, formando una “O” con la bocca e portandosi una mano al centro del petto.
«Signorina Targa, ormai dovrebbe saperlo!» Giorgia assestò leggere gomitate al fianco dell’amica, dopodiché entrambe scoppiarono a ridere.
«Forza, voglio sapere tutto e non tralasciare alcun dettaglio!»

 
✿..:* *.:.✿

Quella mattina Francesco si era svegliato prima del solito. Era nervoso e speranzoso al tempo stesso e quello stato d’animo gli aveva reso difficile addormentarsi. Nonostante tutto però non sentiva il peso di quelle poche ore di sonno su di sé, anzi si alzò svelto per farsi una rapida doccia, non prima però di aver letto il messaggio del buongiorno della sua Khaleesi.

-Buongiorno, mio dolce Motolese, dormito bene questa notte?-

Un sorriso smagliante si irradiò sul suo viso nel leggere quel breve scritto e rapidamente si apprestò a risponderle.
 
-Ho dormito meglio l’altra sera, stringendo una piccola sbavona tastatrice! –
 
Sghignazzò, immaginando il volto adirato di Sophie quando avrebbe letto quel sostantivo poco veritiero, ma divertente, con cui l’aveva chiamata. Poggiò il telefono sul bancone del lavandino, per poi aprire il getto d’acqua calda, immergendocisi poco dopo sotto. Non riuscì a godersi la sensazione rigenerante che quelle roventi gocce stavano dando alla sua pelle, la tensione per quello che sarebbe successo da lì a poche ore non lo aveva abbandonato, lasciandogli un senso di inquietudine che avrebbe dissipato solo al momento della firma.
Indossò un jeans scuro e una felpa girocollo grigia, infilando per ultime le sue immancabili Stan Smith, partendo poi in direzione della città.
Matteo lo stava già aspettando di fronte all’agenzia, ancora con la saracinesca serrata, riparato dalla pioggia grazie alla tettoia. Si portò una sigaretta alla bocca e la accese, avvicinandosi all’amico inquieto quasi quanto lui.
«Oggi sei più bianco del solito, Teo; dormito male anche tu?»
Il biondo lo guardò storto per un’istante, ravanando con la mano nella tasca della tuta per estrarre il pacchetto di gomme americane allo xilitolo, iniziando a masticare convulsamente.
«Sono nervoso, sì, è vero. Se il proprietario cambiasse idea? E se le ragazze si arrabbiassero per la posizione della nostra nuova casa?» Tamburellò la suola del piede sul marciapiede, mentre si scostava alcune ciocche dorate che gli erano ricadute sul viso.
A Francesco venne naturale sorridere, ascoltando le paranoie dell’amico, le stesse che lo avevano tenuto sveglio durante la notte. Aspirò un ultimo tiro dalla sua Marlboro, prima di spegnerla nel posacenere da esterno.
«Stai tranquillo, Teo; Sophie e Giorgia saranno felicissime di averci così vicini e il padrone dell’appartamento non cambierà idea. Nessuno dice di no a Francesco Motolese!» Finse una sicurezza che in quel momento non gli apparteneva pur di tranquillizzarlo, mentre lo strattonava per una spalla in modo amichevole, così da farlo ridere.
«Tranne Sophie; lei ti ha detto di no!» Fu il suo turno di pungolare l’amico, colpendolo col gomito sul fianco.
«Tranne Sophie! È stato proprio questo a farmi capitolare, sai? Poteva cedere, eppure non lo ha fatto, perché ambiva ad avere di più. Sono stato un’idiota a lasciarla andare via, ma non commetterò mai più lo stesso errore!»  Quando parlava di lei, i suoi occhi si illuminavano; Matteo poté vedere per la prima volta, in quelle iridi chiaroscure, la contentezza e l’amore che provava nei confronti di quella ragazza dal carattere tutt’altro che facile, ma dal cuore immenso. Era felice per il suo migliore amico e si augurò che nessuno potesse rovinargli quella spensieratezza e gioia di vivere, persa dopo la scomparsa del padre.
«Buongiorno, ragazzi; scusate il ritardo, ma questo tempo rincretinisce molti guidatori!» L’agente immobiliare, un bell’uomo di mezza età alto e palestrato, sorrise loro, girando la chiave nel dispositivo per azionare l’innalzamento della serranda. I corti e brizzolati capelli, erano stati ingellati per mantenere il volume alto, la barba era appena stata fatta, così da mostrare qualche anno in meno.
Li fece accomodare su due poltroncine avorio, posizionate di fronte alla sua scrivania in vetro, mentre frugava nell’archivio in cerca della loro pratica.
«Volete un caffè?» Puntò le sue gemme acquamarina su di loro, sorridendo, creando delle piccole fossette sul viso ovale.
Non fecero in tempo a rispondere che una voce calda e sbarazzina entrò nel loro campo uditivo.
«Buongiorno a tutti!» Il proprietario dell’appartamento li raggiunse in poche falcate, posizionandosi sulla poltroncina libera alla destra di Matteo. Strinse loro la mano in una presa energica, senza mai perdere il sorriso.
«Quindi siete voi i ragazzi interessati al mio appartamento!» si grattò i baffi, osservandoli attentamente.
«E ditemi… siete una coppia?» Francesco scoppiò a ridere, mentre Matteo restò interdetto per alcuni secondi.
«Non ho alcun pregiudizio al riguardo, sia chiaro, la mia è semplice curiosità!» esclamò allegro, grattandosi la riccia e bruna testa.
«No, siamo amici e colleghi. Gestiamo un bar in città e ci serviva un appartamento vicino alla nostra attività e alle nostre fidanzate» spiegò Francesco, senza distogliere lo sguardo dalle iridi color cioccolato di quell’uomo.
Si persero in alcuni convenevoli, parlando della loro attività e della vita privata.
Paolo Motta era felice di aver trovato dei nuovi affittuari così giovani e bravi, certo che non avrebbero dato alcun tipo di problema né a lui né alla palazzina.
Firmarono le diverse carte del contratto e, dopo avergli consegnato i due assegni con la caparra e la prima rata dell’affitto di giugno, strinse loro la mano.
«Solitamente si consegnano le chiavi al primo del mese, ma immagino che dobbiate prendere le misure per i mobili di arredo, quindi ve le do con piacere!» Cercò nella sua ventiquattrore il mazzetto da consegnare loro e glielo porse.
I due amici si abbracciarono, dandosi alcune pacche sulle spalle per la gioia di aver finalmente una casa tutta loro
Una vibrazione ridestò Francesco da quel momento, portandolo ad allontanarsi da Matteo per leggere il messaggio che gli era appena arrivato, sorridendo nel vedere chi gliel’aveva mandato.
Si sbrigò a risponderle, dopodiché infilò in tasca il telefono e spintonò l’amico verso le loro auto.
«Ho invitato le ragazze a pranzare al bar, quindi muoviamoci: non vedo l’ora di vedere la faccia che faranno quando gli diremo che l’appartamento è proprio di fronte a quello di Sophie!»

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Capitolo 47
*** Capitolo 47 - Proporrei un brindisi ***


Le ragazze si ritrovarono tutte riunite nell’accogliente dimora di Veronica e Giacomo per la prima volta. La villetta bifamigliare era poco fuori città, in una posizione comoda per lui che distava dallo Starlight soli cinque minuti in macchina, mentre Veve poteva comodamente raggiungere l’ufficio, una piccola agenzia di viaggi, a piedi. Nella piccola corte in cui risiedevano avevano un piccolo porticato con giardino e uno sprazzo di orto comune, dove venivano coltivate lattughe, pomodori e vari tipi di frutta. Veronica aveva preparato un piccolo rinfresco in veranda, imbandendo la tavola, in legno color noce, con manicaretti fatti in casa e svariate bottiglie di vino bianco, accompagnate da lanterne e candele alla citronella sparse un po’ dappertutto.
Abbracciò le amiche una per una, invitandole ad accomodarsi in attesa che le raggiungesse la sua adorata cugina. Raccontò loro che Anais viveva in Francia con la madre da quando aveva dodici anni, dopo che i suoi genitori divorziarono; erano cresciute insieme, instaurando un rapporto quasi fraterno, e la separazione portò entrambe a soffrire molto. Passarono i mesi estivi insieme, fino alla maggiore età, quando trovarono lavoro e ovviamente le possibilità di vedersi calarono vertiginosamente. Erano ormai diversi mesi che Ana non tornava in Italia, visto che l’ultima volta era stata Veronica a salire in Francia a capodanno, insieme a Giacomo, Francesco e Matteo.
Jessica, nel sentir nominare la Francia, rizzò le orecchie come un segugio, interrompendo ogni sua azione e puntando i suoi grandi occhi color cioccolata verso la padrona di casa.
«Come vorrei avervi conosciute prima: non sai che darei per vedere Parigi e salire sopra la Tour Eiffel!» Alzò il viso al cielo con aria sognante, prima di emettere un profondo sospiro, facendo sorridere le amiche. Veve stava per controbattere, ma il rumore in lontananza di una portiera che sbatteva la bloccò all’istante, con la bocca mezza aperta e l’indice sospeso in aria. Un ticchettio sempre più pressante si avvicinò al cancello, dissipando così ogni dubbio. Veronica si alzò e, con un enorme sorriso disegnato sul viso, corse ad abbracciare la ragazza dai lunghi capelli color dell’ebano, raccolti in una treccia laterale. Quest’ultima ricambiò quel gesto, avvinghiandosi alla schiena della cugina, in una stretta talmente calorosa che scaldò il cuore di tutte le presenti, le quali assistettero alla scena con un sorriso radioso.
Prendendola per mano, Veronica la trascinò fino al tavolo, presentandole le ragazze e versandole del vino nel bicchiere.
«Ora che ci siamo tutte, proporrei un brindisi: al mio addio al nubilato e alle mie splendide compagne di viaggio, che possa essere un weekend con fiumi di alcool e divertimento a non finire!» Fecero tintinnare i bicchieri, accompagnando quel gesto al suono delle loro risate che si dispersero nell’aria.
Anais raccontò della sua vita a Dreux, del suo lavoro come assistente commerciale per una società farmaceutica, il più delle volte noioso, come quelle in cui doveva smistare la posta o sollecitare gli ordini dei fornitori, passando così intere giornate al telefono. Si sentiva però appagata quando si soffermava a pensare che da lei dipendeva la buona riuscita di contratti milionari per la sua azienda e al fatto che tutto ciò le conferiva anche una gratifica economica non indifferente alla fine del mese. Si confidò con loro, svelando alcuni aneddoti succosi e piccanti che la vedevano coinvolta con affascinanti rappresentanti di pillole, a loro dire, innovative, mostrando il suo lato libertino di vivere la propria esistenza. Non era pronta a costruirsi una famiglia, né a creare un legame stabile con un uomo; voleva godersi con indipendenza tutte le gioie che la vita le avrebbe messo davanti.
Osservò ognuna di loro con i suoi occhi da gatta, ascoltando a sua volta le loro esperienze lavorative o universitarie, nel caso di Katy e Jessica, con celato interesse, gustandosi il sapore fruttato del vino. Al terzo bicchiere tutte erano piuttosto allegre, a esclusione di Mia e Katy, le quali avrebbero dovuto guidare al ritorno, perciò si erano fermate a uno solo.
«Se siete tutte d’accordo, sposterei la conversazione in casa, così da mostrarvi i miei appunti sulle destinazioni per questa festa.»
Il cielo era ormai imbrunito, rischiarato solo da qualche stella luminosa e danzante. Le ospiti si alzarono dalle poltroncine, tenendo ben saldi tra le dita i loro bicchieri, mentre Veronica raccolse i piatti di plastica, ormai vuoti, per gettarli. Entrarono nel soggiorno rustico, ma accogliente di quella casetta che condivideva da due anni con il suo fidanzato, il quale, fortunatamente, aveva il suo stesso gusto rurale. Le pareti erano in pietra sbiancata, il soffitto piuttosto alto, dal quale ricadeva un lampadario con delle candele proprio al centro, e il pavimento era rivestito da piastrelle in legno, pietra e cotto dalle tonalità aranciate. Presero posto a sedere sui due lunghi divani in tessuto marrone, posti alla sinistra dello stupendo camino in pietra leccese color panna. Davanti a loro erano stati posizionati due tavolini bassi in legno bianco, proprio al centro della stanza. Appese alle pareti v’erano poste diverse applique a lanterna e diversi scatti di Veronica e Giacomo, in cornici di svariate dimensioni. Un dolce profumo di vaniglia e sandalo investì le loro narici, trasportandole con la mente nei ricordi delle loro vacanze in montagna; ognuna di loro rimembrò la propria esperienza, diversa ovviamente da quella delle amiche, ma simile per lo stile caratteristico della casa e dell’aroma che permeava al suo interno. Anais fu l’unica a non associare quell’essenza agli chalet e, pratica e organizzata, dispose alcune cartelline colorate sui tavolini, mostrandone il contenuto: proposte di viaggio diverse, tutte sull’adriatico, con una lista di alberghi e le varie attività che avrebbero svolto durante il weekend.
«Ho scelto solo alberghi con la spa, perché io e mia cugina, negli ultimi anni, abbiamo fantasticato molto sui nostri probabili adii ai nubilati e ogni volta lei se ne usciva dicendo che sognava godersi un rilassante massaggio per poi gustarsi un flûte di champagne nell’idromassaggio!»
Veronica scoppiò a ridere, coprendosi il viso con le mani, leggermente imbarazzata, e le ragazze la seguirono a ruota, per poi visionare le varie proposte stampate da Any.
La maggioranza optò per il fine settimana a Riccione, con sommo dispiacere di Giorgia e Sophie, le quali avevano votato a gran voce per Milano Marittima.
Erano da poco passate le due di notte, quando il gruppo di sole donne iniziò a salutarsi per ritornare alle proprie abitazioni, dopo aver aiutato Veronica, lavando i bicchieri e i pochi piatti da loro utilizzati. Quando la padrona di casa restò da sola con l’adorata cugina, si sedette sul divano, lasciando ciondolare la testa sullo schienale e allungando i piedi sul tavolino.
«Come ti sono sembrate le ragazze?» le domandò senza guardarla; Anais prese posto accanto a lei, imitandone i gesti, appoggiando le mani sul proprio ventre.
«Sembrano tutte molto simpatiche: siete un gruppetto molto affiatato, anche se piuttosto variegato!»
Veronica rise a quell’affermazione, considerando che, se non fosse stato per i loro fidanzati, non le avrebbe mai conosciute, essendo tutte caratterialmente diverse.
«Ti fermi a dormire da noi? O hai già avvisato qualche tuo corteggiatore che sei tornata in città?»
Anais puntò le sue Ametiste verdi verso la cugina, sorridendole maliziosa.
«In realtà no, ma so che qualcuno sarà molto felice di vedermi!»
Estrasse il cellulare dalla borsa posata accanto ai suoi piedi e, mantenendo un sorriso compiaciuto sul viso, digitò velocemente un messaggio su WhatsApp:

-Ehy, dolcezza, sono in città per qualche giorno; ci vediamo al solito posto?-

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Capitolo 48
*** Capitolo 48 - Sono felice di averti al mio fianco ***


La vibrazione del suo cellulare lo ridestò dal leggero stato di dormiveglia in cui era sprofondato, mentre guardava distrattamente la televisione. Si era assopito senza rendersene conto, annoiato da quella insolita solitudine e stanco per le ore di straordinario fatte per distrarsi. Francesco aprì gli occhi, godendosi le immagini di quelle stupende travi a vista, le quali risaltavano di più se affiliate al bianco ghiaccio delle pareti, e allungò la mano per agguantare il cellulare in carica, posato sul comodino bianco laccato, notando che erano da poco passate le due. Un sorriso illuminò il suo viso sonnacchioso, quando vide il mittente di quel breve messaggio e l’invito che gli aveva posto.
Si mise seduto a bordo del suo nuovo e comodissimo letto imbottito con la testiera morbida color panna, stiracchiando gambe e braccia, facendo poi scrocchiare il collo intorpidito, prima di alzarsi per infilarsi un pantaloncino sportivo e una maglietta di cotone accollata, estraendoli sovrappensiero dal cassettone, del medesimo stampo del comò, alla sua destra. Non badò molto agli indumenti, perché sapeva che in pochi minuti li avrebbe levati di nuovo.
Camminò a piedi scalzi sul caldo parquet che ricopriva il piano superiore, scese velocemente al piano di sotto, per rifugiarsi nel piccolo bagnetto dai sanitari bianchi sospesi, con le piastrelle rettangolari color cemento alle pareti e bianche sul pavimento, per lavarsi i denti, prima di agguantare le chiavi di casa e uscire.
Si ritrovò faccia a faccia in quello stesso momento con il mittente del messaggio che l’aveva svegliato, in quel piccolo portico che entrambi condividevano, il quale divideva le loro due abitazioni. Sophie gli sorrise raggiante, buttandogli le braccia al collo, per poi unire le loro bocche in un bacio fresco, dal sapore di fluoro e di vino.
«Hai bevuto un po’, stasera?» Francesco si allontanò di poco, tenendola sempre saldamente per i fianchi, guardando il viso della donna che amava arrossarsi, mostrandogli uno sguardo colpevole.
«Sì, Veronica ha messo in tavola il Bellavista e non ho saputo resistere! Ne ho approfittato perché guidava Mia, altrimenti non avrei bevuto nemmeno una goccia piccina piccina.» Mimò la piccola quantità con le dita del pollice e dell’indice che si sfioravano, assottigliando gli occhi come a voler controllare di aver mostrato la misura giusta. Il bel bruno alzò gli occhi al cielo, divertito dalla scenetta della sua compagna, la quale barcollava leggermente, continuando a sghignazzare.
«Sei una piccola ubriacona, lo sai?» Quella domanda provocò maggiore ilarità nella ragazza, che si appoggiò con la testa al petto di Francesco, cercando il calore del suo corpo che tanto gli era mancato in quelle ore in cui erano stati distanti. Da quando si era trasferito, quello stesso lunedì, non c’era stato un solo momento che non avessero passato attaccati, escludendo le ore lavorative. Cenavano insieme per poi andare a dormire nello stesso letto, poco cambiava quale delle due abitazioni li avrebbe ospitati. La sera prima avevano mangiato insieme a Giorgia e Matteo, spaparanzati sul divano a gustarsi pizza e bibite, per poi finire a giocare con la Wii del biondo, sfidandosi nei vari sport del gioco, dove gli uomini ne uscirono largamente vincitori. Inutile dire che le due ragazze non accettarono quel risultato schiacciante, incolpandoli di averle distratte quand’era stato il loro turno. Le due coppie si erano separate una volta giunto il momento di andare a dormire, quando Francesco pregò la sua fidanzata di perdonarlo per aver “barato”, chiedendole asilo nel suo appartamento, dove si erano poi amati con immensa passione prima di addormentarsi. Erano assuefatti l’uno dall’altra, tanto da sentire una morsa al centro del petto quando erano separati, proprio come quella sera.
Sophie si era divertita insieme alle ragazze, ma era stata parecchio sulle sue, con la testa rivolta al suo bel bruno, al desiderio di stringerlo al più presto, alla brama di sentire i loro corpi fondersi in uno, così che le loro anime potessero stringersi. Francesco era rimasto allo Starlight a rendersi utile fino a mezzanotte, credendo che il lavoro lo avrebbe distratto, cancellando quello stato di ansia persistente che lo aveva catturato nella sua morsa deleteria negli ultimi giorni. Anelava solo di rivedere lei al più presto, potersi specchiare in quegli smeraldi luminosi per poi legarla a sé come stava facendo in quel preciso momento.
«Che ne dici se entriamo e ci mettiamo a letto? Domani mattina tocca a me aprire il bar!» sussurrò quella domanda continuando a baciarle la testa, perdendosi nel profumo fruttato dei suoi capelli, il quale aveva su di lui l’effetto di un calmante.
Sophie fece un cenno d’assenso con la testa, iniziando poi a rovistare nella borsa cercando le chiavi. Entrarono tenendosi per mano, arrivando velocemente nella loro stanza così da spogliarsi, per poi stendersi.
«Com’è andata la serata?» Le domandò, cercando di abituarsi al buio della notte per osservane gli splendidi lineamenti, scostandole alcune ciocche dal viso. Sophie gli sorrise, voltandosi verso di lui e rannicchiandosi in un piccolo fagotto.
«Direi bene! Era da parecchio tempo che non passavo una serata solo donne. Solitamente eravamo io, Giorgia e Mia, ma questa sera eravamo un bel gruppetto e ci siamo divertite tantissimo. Veronica non smetteva un secondo di parlare invocando una liana, probabilmente per la sua strana passione per le scimmie, Jessica, non so per quale motivo, recitava la battuta principale de “Il Gladiatore”, alzando in aria il bicchiere anziché la spada, Katy ci ha rivelato di avere un particolare feticismo per le divise da pompiere, mentre Eliana ci ha raccontato delle sue disavventure con le bucce di banana.» Un leggero sbadiglio interruppe quel divertente racconto. Sophie chiuse gli occhi, raggomitolandosi ancora di più su sé stessa.
«E la tua invece?» farfugliò assonnata, tenendo sempre le palpebre serrate emettendo poi strani versi. Il cuore di Francesco saltò un battito nel vederla così stremata, gli sembrava un tenero cucciolo, e si innamorò ancora di più, se mai fosse stato possibile, della sua piccola saccente e irriverente ragazza.
«Solito venerdì lavorativo, solo che ho staccato prima.» Continuò ad accarezzarle il viso come a volerla cullare, ascoltando i suoi lievi mugugni.
«Buona notte, amore» le sussurrò flebile, sfiorandola per l’ultima volta, prima di posarle un bacio sulla fronte.
«Ti amo!» rispose lei senza pensarci, bloccando ogni azione di Francesco, con le labbra vicinissime al suo viso. Il suo cuore iniziò a palpitare a un ritmo incessante, emettendo un suono simile a una marcia di tamburi che si diffondeva nel suo petto e a ogni battuta si espandevano raggi infuocati che gli scaldarono il cuore. Non aveva mai provato uno stato di beatitudine simile, neppure dopo il loro bacio al sorgere del sole. La osservò con scrupolosa minuzia mentre dormiva serenamente, con una mano a stringere il cuscino e l’altra sotto il suo viso, trovandola estremamente dolce.
«Sophie?» La chiamò in un sussurrò a cui ovviamente non trovò riscontro. Pensò che forse la sua mente gli aveva giocato un brutto scherzo e che quindi aveva mal interpretato le parole che gli aveva borbottato poc’anzi, cercando di non illudersi, di non crogiolarsi in un sentimento che non credeva di meritarsi. Era certo di non essere degno del suo amore e che quello ricevuto dalla sua famiglia fosse dovuto alla semplice condivisione dello stesso sangue. Non si capacitava ancora di come, quella splendida donna, potesse volerlo nella sua vita, lui che aveva perennemente vissuto nell’ombra e che aveva visto per la prima volta la luce solo grazie a lei. Egoisticamente si augurò che Sophie restasse cieca e che non vedesse l’interno della sua anima, perché lui era certo che quello che provava fosse amore.
«Non so se domani ricorderai quello che ti sto per dire, ma sappi che sono felice di averti al mio fianco ogni giorno. Ti amo, piccola impudente!»  

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Capitolo 49
*** Capitolo 49 - Dove potrei tornare, se non a casa da te? ***


Un martellare incessante, proveniente dalla sua scatola cranica, la costrinse a destarsi, maledicendosi per aver esagerato col vino la sera prima.
“Quando imparerò gli effetti fastidiosi del dopo sbronza?” si domandò sbuffando, disegnandosi un cipiglio infastidito sul volto.
Percepì sul proprio viso un ritmico e infuocato alito, mischiato al sentore unico e inconfondibile di quel profumo in grado di accenderla e che avrebbe riconosciuto ovunque: il suo!
Aprì gli occhi fulminea, ritrovandosi di fronte l’uomo che le aveva rubato il cuore, il quale dormiva serenamente; sul suo volto regnava la spensieratezza di chi poteva vantare la propria felicità.
Sophie lo osservò rapita, godendosi quello spettacolo irripetibile, avvertendo un forte batticuore nel petto e un turbine nello stomaco che le fece mancare il respiro. Avrebbe passato il resto della sua vita a guardarlo, senza mai stancarsene, perché lui aveva dato finalmente un senso alla sua vita, soltanto facendone parte. Non capiva come tutto quello fosse possibile, ma sapeva che Francesco l’aveva irrimediabilmente marchiata, facendola sentire completa.
Rimase a fissarlo ancora per qualche minuto, costringendosi ad alzarsi solo per preparargli la colazione. Strinse il proprio telefono tra le mani, constatando che avrebbe avuto una mezz’ora buona per preparare tutto e così, cercando di evitare il minimo rumore, si allontanò dalla sua stupenda ossessione, dirigendosi a passo spedito verso la cucina.
Prese la scaletta per aiutarsi ad arrivare al mobiletto alto vicino al frigo, prendendo il preparato per pancake senza glutine, aprendo poi il frigo per agguantare il latte e le uova.
Mise tutto il composto in una ciotola e iniziò a mescolare, mentre riscaldava, sul piano a induzione, la padella antiaderente. In pochi minuti i pancake furono pronti, adagiati in due piattini in vetro con accanto uno sciroppo al cioccolato e le posate. Si dedicò alla preparazione dei due cappuccini, scaldando il latte rimasto nel microonde, mentre con la macchinetta fece scendere il caffè nelle tazze.
Dopo che tutto fu predisposto in tavola si apprestò a ritornare nella propria stanza per svegliare il fidanzato. Si sedette al suo fianco, accarezzandogli dolcemente la testa, giocando con le ciocche brune che cadevano disordinate sul viso.
«Che ore sono?» mugugnò stanco, senza riuscire ad aprire gli occhi.
«Le sette e mezza. Hai tutto il tempo per fare colazione e, se volessi, anche una doccia fresca.»
Quel sabato mattina era piuttosto caldo, stava preparando gli abitanti all’arrivo dell’estate, la quale si preannunciava parecchio afosa.
«Te l’ho mai detto che sei fantastica?» boffonchiò ancora mezzo addormentato, facendola sorridere.
«Sì, ma puoi ripeterlo tutte le volte che vuoi, io di certo non mi offendo!» Sophie continuò ad arrotolarsi intorno alle dita i corti ciuffetti del ragazzo, in modo naturale e ripetitivo.
Francesco la tirò a sé per stamparle un bacio a fior di labbra, beandosi del suo profumo fresco e fruttato.
«C’è tempo anche per fare altro?» sussurrò carezzevole vicino al suo orecchio, mentre strofinava il naso sulla sua pelle morbida e diafana, provocandole svariati brividi e un ansito.
«Se vuoi sì, ma la colazione si fredderà e hai una lunga mattinata davanti. Possiamo fare “altro” più tardi, quando sarai al pieno delle forze» rispose dolcemente, tastando il suo torace ben definito.
Francesco sbuffò per quel rifiuto, costringendosi ad aprire finalmente gli occhi.
«Ora sei un po’ meno fantastica!» affermò grave, suscitando ilarità nella ragazza, la quale gli diede un leggero pizzicotto sul petto, prima di spingersi verso l’alto per alzarsi.
Gli tese una mano, invitandolo a seguirla; invito che accettò ben volentieri.
Mangiarono raccontandosi più nel dettaglio come avevano trascorso la precedente serata, ridendo per le scene impensabili a cui aveva assistito la sua Khaleesi con quel gruppo di amiche folli che si ritrovava.
«Ti ricordi nulla di quello che mi hai detto prima di addormentarti?» le chiese senza guardarla, stringendo la tazza tra le mani vicino alla bocca.
Sophie si fermò con la forchetta a mezz’aria, riflettendo su quell’insolita domanda. Cercò di rimembrare quello che gli aveva raccontato, dalle stranezze delle ragazze, alla propria domanda su come lui avesse passato la sua serata, fino alla buona notte che le aveva sussurrato, alla quale aveva risposto.
“Oh cavolo!” Sbarrò gli occhi a quella consapevolezza, posando la forchetta sul piatto. Ringraziò che in quel momento Francesco non la stesse osservando, troppo preso dalla colazione, riflettendo su come uscire da quella situazione. Era terrorizzata all’idea di aver affrettato troppo i tempi, di essersi esposta troppo e nel momento sbagliato, facendolo chiudere proprio quando lui si stava lasciando andare. Non sapeva che in realtà il bel Motolese era agitato almeno quanto lei, ma per il motivo opposto al suo, ovvero per la paura di aver erroneamente udito male quel “ti amo” che gli aveva portato il cuore alle stelle.
«Mi ricordo di averti chiesto come hai trascorso la serata, ma non ho sentito alcuna risposta.»
Strinse saldamente la sua tazza tra le mani, avvicinandola tremante alla bocca, fissando il profilo del bruno che aveva appena emesso una smorfia infastidita.
Francesco accusò il duro colpo con celata delusione, sentendo una parte di sé sprofondare nell’oblio. Cercò di cancellare le sue negatività, convincendosi che quello della mora non fosse un rifiuto, ma con scarsi risultati. Non riusciva a guardarla, spaventato dall’idea che potesse leggergli negli occhi le emozioni che provava in quel preciso istante, perché lei capiva sempre quello che gli passava per la testa, ma soprattutto quello che provava.
Finì il suo cappuccino e si alzò lentamente, dandole le spalle per sistemare tutto nel lavandino, una distrazione che l’avrebbe aiutato a parlarle, nascondendosi al tempo stesso.
«Vado a farmi la doccia di là, così recupero anche il telefonino prima di andare al bar.»
Si asciugò le mani nello strofinaccio bianco che usciva dal mobile sotto al lavandino, per poi avvicinarsi alla sua ragazza, posandole un bacio sulla fronte.
Sophie si sentì spezzare in mille pezzi per quell’improvvisa freddezza, credendo che lui si stesse chiudendo a causa dei suoi sentimenti. Prima che si allontanasse però, lei gli prese la mano, bloccando la sua fuga.
«Ci vediamo più tardi?» domandò esitante, con un tono basso e tremolante che lo fece sembrare quasi un sussurro.
Francesco sospirò mesto, sentendosi in colpa per la propria debolezza, la quale stava facendo del male alla donna che amava. Si voltò verso di lei, azzerando le distanze. Le alzò il viso così che i loro occhi potessero incontrarsi e in quegli smeraldi ci lesse tutta la tristezza dovuta al suo comportamento, il quale poteva risultarle insolito. La bacio con bisogno, chiedendo in quell’unione un conforto emotivo alla propria negatività, ma soprattutto le chiese di essere rassicurato sul fatto che lei non se ne sarebbe andato, nonostante lui non fosse alla sua altezza; non poteva perderla, dopo aver scoperto l’amore.
Si allontanò di poco, tornando a osservarla con dolcezza, mentre il suo cuore saltò un battito: era bellissima, la donna più bella del mondo!
«Dove potrei tornare, se non a casa da te?» rispose con quella domanda retorica, sussurrata suadentemente, la quale provocò un battito accelerato nel petto di Sophie, mentre delle lacrime di gioia le riempirono gli occhi.
«A più tardi, piccola mia!» Si allontanò con riluttanza, lasciandola sola a riflettere sulle sue parole e all’effetto che esse le avevano provocato.

*Forse, sarebbe bastato a entrambi rivelare i propri pensieri, senza il bisogno di nascondere le loro insicurezze. Le parole non dette per paura, rimangono lì, sospese nell’aria, pronte a saltar fuori nel momento più propizio, probabilmente per dissipare oppure per ferire.*
 
✿..:* *.:.✿

Il lavoro, purtroppo, non riuscì a distrarlo dai suoi pensieri. Si domandò se fosse stato giusto comportarsi in quel modo nei confronti di Sophie, celandole i propri timori e i propri sentimenti, facendola preoccupare per quella momentanea freddezza.
Diverse ragazze, quella mattina, gli avevano rivolto sguardi ammiccanti, ma Francesco non diede loro adito; non gli importava dei sorrisi sfacciati delle altre, i quali non vedevano al di là del suo bell’aspetto, perché l’unico sorriso che non si sarebbe mai stancato di osservare era quello della sua Khaleesi.
Venne ridestato malamente dai suoi pensieri, con un pizzicotto sulla schiena che lo fece sussultare. Si voltò verso il bancone, ritrovandosi davanti Veronica con un vestitino bianco di cotone leggero, con sopra stampati diversi fiori dai svariati colori.
«Stai ancora dormendo, Moto?» gli domandò sghignazzando, sistemandosi in maniera composta sullo sgabello.
«Tu sei in cerca della tua liana, Veve?» la canzonò rivelando l’aneddoto confidatogli da Sophie, facendo arrossire l’amica.
«Spiritoso… mi prepari due cappuccini, uno normale e l’altro al ginseng? Che brioches sono rimaste?» chiese più a sé stessa che a lui, alzandosi verso il piccolo espositore in vetro rettangolare, nel quale erano riposti i cornetti.
«Una al cioccolato e una vegana, grazie!» disse infine, tornando soddisfatta a sedersi.
Francesco alzò il sopracciglio incredulo alla sua richiesta, squadrando la bionda intenta a sorridergli.
«Non dirmi che ti sei data al vegano per restare in forma prima del matrimonio, Veve; lo sai che sono tutte stronz-» Si interruppe di colpo, restando con la bocca leggermente dischiusa non appena la vide entrare dalle porte automatiche.
Camminava decisa, con il suo solito fare disinvolto e la sicurezza di chi sapeva attirare l’attenzione su di sé. Anais gli sorrise provocante, lanciandogli sguardi eloquenti, approfittando della distrazione della cugina che al momento le dava le spalle.
«Non sono per me, idiota, ma per Any. Sai che è in città, vero?» Veronica non lo guardava, era troppo impegnata a creare un piccolo aeroplanino con un tovagliolino di carta. La ragazza prese posto accanto a lei, posandole una mano sulla spalla, attirando così la sua attenzione, per poi voltarsi verso Francesco.
«Ciao, dolcezza, è un piacere rivederti!» Gli schioccò l’occhio velocemente, iniziando poi a giocare col piercing sulla lingua, cercando di provocarlo.
«Ciao, Anais» rispose con freddezza, dando loro le spalle per poter preparare i loro cappuccini, facendo adirare non poco la procace mora, già incollerita per non aver ricevuto alcuna risposta al messaggio della notte precedente.
«Tesoro, vado un attimo in bagno. Arrivo subito!» le sussurrò Veronica, inconsapevole di averle appena fatto un favore, permettendole di restare sola con lui. Si limitò a risponderle con un sorriso, osservandola, passo dopo passo, sparire dietro la porta alla loro sinistra.
«Pensavo fossi felice di rivedermi, dolcezza!» carezzò l’ultima parola in modo volutamente soave, allungandosi sul bancone per avvicinarsi maggiormente a Francesco.
Il bruno, scocciato per quelle sue avance, si voltò con uno scuro cipiglio sul viso, avvicinandosi al volto della mora, per rispondergli con un sussurro.
«Evidentemente pensavi male, dolcezza!» Mise maggior enfasi su quel vezzeggiativo che lo stava infastidendo, canzonandola.
«Non sono più interessato a divertirmi con te, quindi evita di scrivermi da ora in poi!» Rigettò quelle parole al veleno come se fossero delle stalattiti appuntite, colpendola in pieno petto.
Il suo orgoglio ricevette un duro colpo, ma quello maggiore lo subì il suo cuore. Da anni ormai era segretamente innamorata del bel Motolese, ma lo lasciava libero di avere le sue esperienze, come del resto faceva lei, certa che i loro incontri segreti, prima o poi, sarebbero sfociati in qualcosa di serio. Erano ormai sei anni che avevano incontri fugaci, o a casa del padre di lei o in alcune zone isolate del paesino di campagna di lui. Fin dal loro primo incontro, Anais rimase colpita dalla prestanza del ragazzo, immaginandolo perfetto al suo fianco; Francesco, dal canto suo, vedeva l’affascinante mora come le altre donne, ovvero un passatempo consenziente. Se i loro incontri, a differenza delle altre, erano stati molteplici fu solo perché lei viveva all’estero ed era d’accordo a voler solo rapporti occasionali. Aveva messo in chiaro con tutte che lui non voleva relazioni, perché non era in grado di amare, almeno finché non era arrivata lei: Sophie.
«Eppure, sembravano piacerti molto i nostri incontri clandestini…» ribattè prontamente, fingendo che le parole dettele poc’anzi non avessero sorbito alcun effetto.
«Ci divertivamo entrambi, ma le cose ora sono cambiate: ho una fidanzata!»
Quell’affermazione le fece crollare la terra sotto i piedi; Anais sbiancò per la sorpresa e iniziò a tremare. Cercò di farsi forza per non dargli alcuna soddisfazione, aggrappandosi al bancone e deglutendo diverse volte. Fortunatamente, dopo averle dato quella notizia, Francesco le diede le spalle, continuando la preparazione delle loro bevande calde.
«Tu hai una fidanzata? E chi sarebbe la povera ingenua?» Non poteva sopportare che una donna qualunque le avesse rubato l’uomo a cui lei ambiva ed era pronta a riprenderselo con ogni mezzo.
Era certa che la sua compagna non sapesse del passato da Don Giovanni di Francesco; le sarebbe bastato informarla e giostrarla un po’ a suo piacere, per farla scappare a gambe levate.
La risposta di Francesco fu frenata dal ritorno di Veronica, tornata a sedere al suo posto, pronta per addentare la sua brioche al cioccolato.
Il barista lasciò correre l’affermazione di Anais, consegnando alle due cugine le loro bevande, per poi allontanarsi con la scusa di dover pulire alcuni tavolini, ormai vuoti.
Odiava sentire la sua Sophie additata in quella maniera, il sangue gli stava ribollendo nelle vene tanto che iniziò a sudare sulla schiena. Strizzò lo straccio con forza, cercando di prendere dei lunghi respiri per smorzare quella rabbia ormai dilagata dentro di sé.
Anais non gli levò gli occhi di dosso, approfittando della sua lontananza per tampinare di domande la cugina, fingendo che la sua curiosità fosse smania di pettegolezzi.
«Moto mi ha detto che si è fidanzato…» Morse la sua brioche, cercando di rimuovere la rabbia pronta a eruttare dalla sua bocca.
«Chi è la pazza, inconsapevole della sua fama?»
Quella domanda provocò una forte ilarità in Veronica, alla quale andò di traverso il cappuccino che si stava gustando. Tossì diverse volte, battendosi sul petto con la propria mano, ritrovando, dopo pochi secondi, il respiro perduto.
«Quella pazza, come l’hai appena chiamata tu, l’hai conosciuta ieri sera: è Sophie e lei è consapevole della fama di Francesco, perché lo conosce da otto anni! L’unica ragazza che ha saputo dirgli di no senza finirci a letto assieme» ridacchiò mentre le enunciava parte della loro storia, rimembrando la sera in cui Giacomo gliel’aveva raccontata. Anais rimase esterrefatta nel comprendere che la sua nemica era una ragazza nella norma, senza alcun tratto distintivo e dalla bellezza assai comune.
«Francesco non lo dice apertamente, ma secondo me è molto innamorato di lei! Se tu li vedessi insieme… sono il ritratto dell’amore e della perfezione!»
La mora si morse il labbro per evitare di far fuoriuscire tutta la sua ira. Il sapore rugginoso del ferro le inondò il palato e mandò giù diverse gocce del suo stesso sangue. Si impose di calmarsi e di lasciarsi scivolare addosso questa notizia; una volta tornata in Francia, avrebbe escogitato un piano per separare i due piccioncini e riprendersi quello che era suo di diritto.

 

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Capitolo 50
*** Capitolo 50 - Scacco Matto ***


Sophie chiuse la sua valigia fucsia di Carpisa, trascinandola giù dalle scale con qualche difficoltà. Odiava partire, perché non sapeva mai cosa portarsi, infilandoci un po’ di tutto in quel bagaglio e, il più delle volte, la metà degli indumenti rimaneva sepolta a spiegazzarsi.
Le dispiaceva perdersi i festeggiamenti per il compleanno della madre, ma era riuscita a trascorrere un po’ di tempo con lei, la nonna e Francesco, la sera prima, organizzando una piccola cena intima a casa sua. Ormai, anche il suo fidanzato era di famiglia, nonostante Carla confondesse ancora il suo nome, ma quello era diventato motivo di ilarità tra di loro; probabilmente, l’anziana signora si divertiva a rinominarlo appositamente.
Giunta davanti alla porta di casa, andò a spegnere il contatore della corrente nel piccolo stanzino che divideva il bagno dal soggiorno, al cui interno aveva da poco inserito un mobiletto quadrato bianco, regalatole da Francesco, nel quale aveva posizionato delle ceste del medesimo colore per gli asciugamani e per i panni da lavare.
Si accomodò sulla penisola del divano, in attesa di Mia, l’autista designata per quel weekend fuori porta.
Il rumore della serratura che si apriva la fece sorridere, consapevole dell’imminente arrivo del suo uomo. Quando entrò, il suo cuore saltò un battito, come le succedeva ogni volta che lo vedeva. I suoi capelli erano stati spuntati da poco, così che il ciuffo ribelle non potesse più dargli fastidio. Indossava una polo bianca, la quale evidenziava ancora di più la sua abbronzatura e gli fasciava alla perfezione le spalle, dei bermuda di jeans e le immancabili sneakers dell’Adidas.
«Ehi, piccola, sei già pronta per partire?» Agganciò le chiavi al portachiavi appeso alla parete, prima di avvicinarsi per schioccarle un rapido bacio.
«Sì, sto aspettando Giorgia e Mia.» Squadrò ogni suo movimento, finché non le fu accanto, dopodiché si appoggiò alla sua spalla, legandosi al suo braccio.
«Mi mancherai in questi tre giorni!» sospirò mesta, prendendosi il labbro tra i denti.
Francesco le bacio la nuca per rassicurarla, sorridendo per la tenerezza di quella ragazza, che in quel momento gli si era avvinghiata come un cucciolo di koala.
«Sono certo che nemmeno ti accorgerai dello scorrere del tempo, con tutte le cose che avrete da fare! Soprattutto, mentre riceverai il tuo rilassante massaggio, magari da un affascinante e muscoloso massaggiatore.»
Il pensiero che un altro uomo potesse toccare il corpo della sua amata lo fece adirare, ma cercò di non mostrarlo apertamente. Un ghigno soddisfatto si disegnò sul volto di Sophie, la quale alzò la testa per incontrare quegli occhi profondi che le facevano continuamente perdere la testa.
«Abbiamo un Motolese geloso, per caso?» sghignazzò divertita, coinvolgendo anche lui.
«Io? No, non sono una persona gelosa!» arrossì per l’imbarazzo di essere stato scoperto. Non le aveva del tutto mentito, perché prima di lei non aveva mai percepito quel fastidioso e pungente sentimento chiamato gelosia. Non gli era mai importato di nessuna donna e le loro provocazioni, lo lasciavano indifferente. Con Sophie invece, fu costretto a rivedere le sue convinzioni; sentiva costantemente la paura di perderla e il fastidio che gli causavano gli sguardi lussuriosi degli altri uomini sul suo splendido corpo. Gli veniva naturale proteggerla, mettendosi in mezzo tra lei e quei porci che continuavano a provarci, nonostante i suoi rifiuti. Lei poteva tranquillamente essere definita “la sua prima volta”, in ambito emotivo.
«Sarà, eppure non mi sembra affatto come dici tu!» Lo canzonò, ridestandolo dai suoi pensieri, prima di rubargli un lungo bacio, ricco di amore e desiderio.
«Se continui così, ti impedirò di partire e ti terrò segregata in camera mia!» le sussurrò sulle labbra, prima di morderle avidamente. Sophie percepì un profondo fremito partirle dall’interno coscia, per poi salirle fino al petto, vicino al suo cuore.
«Quello lo faremo al ritorno dall’addio al celibato di Giacomo, visto che terrete lo Starlight chiuso per tre settimane!»
I ragazzi avevano deciso di prendersi delle meritate ferie, godendosi quattro giorni nel Salento, insieme al futuro sposo, per una vacanza tra soli uomini, mentre il restante li avrebbero trascorsi con le proprie compagne. Veronica e Giacomo, terminati i festeggiamenti, sarebbero rimasti in città, visto l’imminente viaggio di nozze nella grande mela.
Il trillo del campanello interruppe le loro carezze, costringendo entrambi a sospirare infastiditi.
Sophie si avvicinò al citofono, stirandosi le pieghe sulla gonna del leggero tubino verde mare, che le arrivava sopra le ginocchia, prima di rispondere.
«Siamo noi. Sei pronta?» la voce brillante di Giorgia le rimbombò nelle orecchie, facendola ridere.
«Ora scendo!» Pigiò il pulsante di apertura del cancellino, prima di riattaccare.
Francesco si era già alzato, mentre gli dava le spalle, avvicinandosi alla porta con la valigia della fidanzata tra le mani.
«Ti aiuto a portarla giù, poi mi preparo e vado allo Starlight. Ho fatto cambio turno con Mattia per avere la serata libera settimana prossima, così da poterla passare insieme.»
Sophie sorrise di fronte all’accortezza di quel pensiero, rimanendo nuovamente sorpresa dai suoi gesti così dolci e spontanei, che non credeva gli appartenessero. Francesco era molto diverso dal ragazzo freddo e cinico di sette anni prima e questo continuava a meravigliarla positivamente.
«Va bene, controllo di aver chiuso tutto e ti raggiungo.» Fece un ultimo sopralluogo all’appartamento, prima di sigillarlo e raggiungere la macchina dell’amica.
«Controlla che quelle sanguisughe non si avvicinino al mio Matteo, mi raccomando, Moto Moto, o ti faccio fare la fine dell’ippopotamo di Madagascar!» Giorgia gli teneva puntato il dito contro al petto, osservandolo severamente con gli occhi assottigliati. Il bruno dovette trattenere una risata, la quale avrebbe sicuramente fatto adirare quella petulante ragazza, alla quale ormai aveva imparato a voler bene.
«Tranquilla, Dumbo, se dovessi mai vedere una squinzia avvicinarsi a lui, gli farò scudo con il mio corpo!» Le fece l’occhiolino, facendola sorridere.
«E chi le terrà lontane da te?» Sophie si avvicino ai due interlocutori, legandosi al braccio del fidanzato, come aveva fatto qualche minuto prima nelle quattro mura di casa.
«Ma chi vuoi che se lo pigli? Solo tu sei la pazza!» affermò beffarda Giorgia, allontanandosi dalla coppia per lasciar loro un po’ di privacy.
«Buon viaggio, Dumbo, attenta a non volare con le tue grandi orecchie!» rispose all’attacco della bionda, beccandosi un dito medio come ultimo riscontro.
«Voi due non cambierete mai!» asserì sconfortata, ma allo stesso tempo divertita, Sophie.
«Ti scrivo appena arrivo, ok?» Si strinse maggiormente a lui, beandosi del suo fresco profumo.
«Va bene, piccola! Divertiti, ma non bere troppo, ubriacona che non sei altro!» La canzonò per poi spingerla a sé per darle un ultimo bacio prima della partenza. Le loro lingue si intrecciarono nella solita danza infuocata, mentre le loro mani si stringevano sul corpo dell’altro, sfiorandosi per sentire, ancora una volta, quella pelle calda.
Sophie avrebbe tanto voluto esternare il profondo sentimento che la legava a Francesco, ma memore della reazione avvenuta quella mattina del mese prima, si sentì bloccata. Non avevano più accennato l’argomento, vista la dolcezza che egli aveva dimostrato quel pomeriggio, ritornato dal lavoro. Era terrorizzata all’idea che lui potesse respingerla, nonostante le continue dimostrazioni che le donava ogni giorno, così si costrinse ad aspettare di sentirselo dire da lui, ma quelle parole sembravano non arrivare mai.
«Ci sentiamo più tardi!» Gli stampò un ultimo bacio, racchiudendo la malinconia di quel limite che si era autoimposta, prima di raggiungere le amiche, posizionandosi nel sedile passeggero anteriore.
«Allora, siamo pronte a partire?»
✿..:* *.:.✿
 
Arrivarono nel lussurioso albergo in tarda serata, costrette a continui rallentamenti dovuti al traffico autostradale. Si sistemarono nelle loro stanze matrimoniali, due piccole camere con un balconcino vista mare, con la carta da parati bianchi con disegnate delle piume nere sulle pareti e un parquet scuro lucidato. Sophie appoggiò il trolley sul tavolino tondo in legno, situato vicino alla porta finestra, estraendo il due pezzi nero, mentre Giorgia si rifugiò nel bagnetto, che costeggiava l’armadio a muro, per indossare il costume intero rosa. Si coprirono con i soffici accappatoi in cotone bianco, infilandosi le ciabattine coordinate, si fecero una veloce coda di cavallo e raggiunsero le ragazze, già arrivate nel primo pomeriggio. Anais aveva prenotato la spa all’ultimo piano solo per loro, un servizio che l’hotel a quattro stelle offriva ai propri clienti, insieme all’aperitivo a buffet nel suggestivo salottino, accanto alla piscina rilassante.
Veronica, Jessica, Katy e Eliana erano sedute sui loro lettini a sorseggiare il liquido dorato e frizzantino, gustandosi delle appetitose tartine di gamberi e Philadelphia, mentre Any nuotava elegantemente nella piscina ovale. Notando le nuove arrivate, si apprestò a uscire, salendo le scale romane per raggiungerle. Camminò disinvolta, ancheggiando sicura di sé, mettendo in mostra il fisico tonico e perfetto in quel bikini striminzito che valorizzava ogni sua curva.
«Finalmente siete arrivate!» finse un sorriso, mentre abbracciava le due ragazze, rimaste sorprese per quella calda accoglienza.
«Dovete farvi assolutamente una nuotata, l’acqua è caldissima e ha l’idromassaggio: un vero toccasana!»
Le prese per mano e raggiunsero le altre quattro, ancora intente nelle loro chiacchiere.
Veronica si alzò lesta per raggiungerle e abbracciarle, lasciando il posto sul lettino libero per Any, che ci si sdraiò comodamente sopra.
«Eccovi! Ma…» si guardò in giro, cercando qualcuno. «Mia non c’è?»
Si staccò dall’abbraccio, sedendosi ai piedi della sdraio di Jessica.
«Sì, si sta cambiando; arriverà a momenti!»
Come se si fosse sentita chiamata in causa, la formosa bruna entrò nella spa, costeggiando la piscina per raggiungere anche lei le sue compagne: non mancava più nessuna all’appello.
«Bene, ora che siamo davvero tutte…» Veronica si alzò in piedi di nuovo, allungando l’accappatoio alla cugina, «direi di spostarci sul balcone per brindare!» Infilò le sue Havaianas nere e, spintonando le altre, trasferì la festa all’esterno, godendosi la vista meravigliosa della luna che abbracciava il mare, in un lungo riflesso che arrivava fino alla spiaggia.
Sophie avrebbe desiderato vivere quel momento con il suo Francesco, godersi quello spettacolo unico tra le sue braccia, sussurrandosi parole piene d’amore. Una nota di malinconia le aleggiò nella testa. Estrasse dalla tasca il suo telefonino, digitando velocemente un cuoricino su Whatsapp, sperando che gli bastasse a capire che lo stava pensando.
Anais notò il cambiamento sul volto della sua rivale e ne gioì, sicura che il piano che aveva congegnato nelle precedenti settimane avrebbe dato i suoi frutti. Si avvicinò felina, pronta a sferrare la sua prima mossa.
«E così, sei tu la ragazza che è riuscita a far battere, di nuovo, il cuore di Franci!» sussurrò soave, accarezzandole la spalla. Quel gesto fece nascere diversi brividi freddi sulla schiena di Sophie, sussultando sotto il suo tocco. Non le diede nemmeno il tempo di elaborare la sua frase, continuando il suo monologo.
«Sono davvero entusiasta per voi! È un bravo ragazzo, merita di essere felice.» Le regalò un nuovo sorriso, ancora più falso. Sophie le rispose, credendo che quelle parole fossero sincere.
«Grazie, Any. Ma cosa intendevi con “far battere, di nuovo, il suo cuore”?»
Era caduta inconsciamente nella sua trappola, non le restava altro da fare che tessere la sua ragnatela di menzogne e giochetti mentali, così da impiantarle il seme del dubbio.
«Oh, niente, tranquilla; è solo una vecchissima storia!» Un luccichio illuminò il verde dei suoi occhi, ma Sophie non riuscì ad accorgersene, perché vennero entrambe richiamate da Veronica.
«Vi ringrazio per essere qui, oggi!» Alzò il flûte in aria, sorridendo a tutte loro.
«Non ho mai avuto molte amiche, probabilmente a causa del mio temperamento mascolino. Anche da bambina preferivo calciare un pallone e sporcarmi nel fango, piuttosto che sedere composta a pettinare le bambole, come ogni mia coetanea.» Scoppiò a ridere, coinvolgendo anche le altre.
«Quando ho conosciuto Giacomo non credevo saremmo arrivati fino a qui.» Portò il calice al petto, arrossendo per l’emozione dei ricordi che la stavano travolgendo.
«Ho incontrato diversi ragazzi in discoteca e nessuno di loro ha mai significato nulla per me, ma con lui è stato diverso. È iniziata come ogni avventura, trasformandosi in qualcosa di serio senza che ce ne accorgessimo. Lui era appena uscito da una relazione finita male, voleva solo divertirsi, ed era la stessa cosa che volevo io, eppure la sua dolcezza, i suoi modi di fare mi hanno conquistata.»
La voce le si incrinò leggermente e la sclera iniziò a pizzicarle, ma non voleva interrompere quel momento di condivisione.
«Abbiamo avuto diversi alti e bassi, dovuti anche al mio carattere difficile ai primi tempi, ma abbiamo sempre superato tutto insieme, uscendone più forti. Lui mi ha accettata per quella che sono, senza cercare di cambiarmi, regalandomi una nuova famiglia. Non ho mai amato così tanto qualcuno come amo Giacomo e il pensiero che tra meno di due mesi saremo sposati mi fa tremare le ginocchia.» Una stilla salata scappò dai suoi occhi, ma si apprestò ad asciugarla. Le ragazze percepirono un profondo calore provenire dal cuore, vedendo la loro amica così emozionata.
«Scusate, quando bevo tendo a lasciarmi andare al sentimentalismo e poi divento una fontana!» Ironizzò cercando di recuperare una certa compostezza, venutele meno nel percorrere il viale dei ricordi.
«Purtroppo sono una donna prolissa e tutta questa lunga premessa era per dirvi che sono felice di avervi qui, insieme a me, oggi. La mia famiglia sono Giacy, Francesco, Teo, Mattia e Christian, quindi lo siete anche voi. Vi voglio bene, mie care e folli amiche!»
Si avvicinò a loro e si lasciò cullare da quel cerchio che le si era formato intorno, beandosi in un enorme abbraccio ricco di affetto.
Anais fu la prima a sciogliersi da quella asfissiante stretta, mordendosi il labbro per evitare che la commozione prendesse il sopravvento. Amava sua cugina come se fosse una sorella e vederla così appagata le riempiva il cuore di gioia. Si augurava di aver la sua stessa felicità, ma per farlo doveva eliminare il problema che glielo impediva: Sophie.
«Basta emotività, siamo qui per divertirci, non per piangere!» Le spronò a dividersi, attirando l’attenzione su di sé.
«Brindiamo a mia cugina, Veronica, che a breve diventerà la signora Costa!» Alzò il bicchiere al cielo, imitando il gesto eseguito prima dalla festeggiata. Tutte ne seguirono l’esempio e urlarono insieme a loro volta: «Alla signora Veronica!»
Picchiettarono i calici tra di loro, provocando un trillo che riempì l’aria, insieme alle loro cristalline risate. Trascorsero il resto della serata nella più totale tranquillità, divertendosi, nuotando e gustandosi il prelibato aperitivo fornito dall’albergo fino a mezzanotte, orario di chiusura della spa.
Si divisero nelle loro stanze con malavoglia, salutandosi calorosamente, con l’accordo che si sarebbero rincontrate l’indomani per la colazione.
 
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La mattinata in spiaggia era trascorsa tranquillamente. Giorgia e Sophie si erano sdraiate al sole come lucertole, mentre le altre avevano organizzato una partitina a beach volley. Anais aveva adocchiato un gruppetto di ragazzi del luogo, molto affascinanti, coi quali aveva conversato amabilmente, ottenendo un appuntamento per quella sera stessa in discoteca. Contattò diversi pr per ottenere le prevendite per tutte loro e, dopo un veloce spuntino al bar del lido, si ritirarono tutte quante nelle loro stanze, per prepararsi al pomeriggio dedicato al più totale relax nella spa.
Ovviamente, le prime a godersi il rilassante trattamento alla calendula furono le due cugine, dove una speciale candela, che sciogliendosi regalava una profumata miscela di burri vegetali, unita a un delicato massaggio, donò loro un magico momento distensivo e una profonda idratazione. Mia aveva optato, insieme a Eliana, per uno scrub del viso esfoliante e levigante, mentre le altre attesero il loro turno nella sauna finlandese, per poi spostarsi nel bagno turco, così da depurare i tessuti e fortificare il sistema respiratorio. Sophie non fu entusiasta di quel cambio, perché l’odore che aleggiava in quella stanza piastrellata le ricordava l’olezzo dell’umidità.
Trascorsa l’ora, Anais e Veronica si diedero il cambio con Jessica e Katy; quest’ultime avevano optato per un massaggio al cioccolato, una piacevole tecnica che univa le virtù rilassanti delle sapienti manualità alle proprietà del cioccolato, il quale donò loro serenità e buon’umore, con un delicato e gustoso profumo della pelle.
Giorgia e Sophie lasciarono le cugine a rilassarsi nel bagno turco, godendosi una rinfrescante doccia fredda sotto la Cascata del Ghiaccio, utilizzando il ghiaccio tritato per abbassare la temperatura corporea, prima di trasferirsi nel salottino della zona relax, sdraiandosi sui comodi lettini per sorseggiare delle tisane drenanti. La bionda smangiucchiò diversi biscottini, chiacchierando con l’amica della splendida organizzazione di Anais per quel weekend.
«Ieri sera mi ha detto una cosa strana riguardo a Francesco…» Il biscotto di Giorgia rimase fermo a mezz’aria, bloccato tra le sue dita che avevano interrotto ogni movimento per la sorpresa di quella affermazione.
«Che intendi, Soph?» le domandò seria, voltandosi verso di lei dopo aver posato il dolce e la tazzina sul tavolino laccato, a fianco all’incenso.
«Che ero riuscita a far battere, di nuovo, il suo cuore, come se prima di me avesse avuto una forte delusione… non mi ha mai parlato di nessuna ragazza importante nella sua vita.»
Lo sguardo della mora era concentrato sul movimento orario del liquido caldo della tisana, dovuto al suo continuo mescolare con il cucchiaino.
«Beh, in questi sette anni potrebbe aver avuto qualche relazione finita male.» Cercò di rassicurarla, con scarsi risultati.
Sophie fece un cenno di diniego con la testa, alzando finalmente il viso verso l’amica.
«Lui mi ha sempre detto il contrario, che io sono l’unica con cui ha voluto costruire qualcosa di più, perché avrebbe dovuto mentirmi?»
Giorgia restò spiazzata per alcuni secondi, non sapendo cosa rispondere all’amica per poterla aiutare. Si grattò il mento, com’era solita fare quando rifletteva, cercando un nesso tra le parole di Anais e quelle di Francesco.
«Prova a chiederle qualche informazione in più al riguardo. Guarda, stanno arrivando.» Osservarono l’arrivo delle splendide cugine, perse nelle loro conversazioni, mentre ridevano serenamente.
«Porterò Veronica a fare una nuotata insieme a me, così tu avrai tutto il tempo di chiedere spiegazioni ad Any!» bisbigliò prima di alzarsi per raggiungere la futura sposa, senza dare il tempo a Sophie di controbattere. Prese sottobraccio Veve e le due bionde si allontanarono dal salottino, dirigendosi verso la vasca per un tonificante idromassaggio.
Anais non vedeva l’ora di restare sola con la sua nemesi, così da poterle sferrare un altro meschino colpo; si accomodò vicino a lei, fingendo un sorriso.
«Ti stai divertendo, cara?» le chiese, prendendole la mano. Sophie restò interdetta per quel gesto, percependo nuovamente quella strana sensazione di negatività, accompagnata dai brividi freddi lungo la schiena.
«Sì, moltissimo; questo weekend rasserenante ci voleva proprio!» Allontanò la sua mano con la scusa di prendere la sua tazza, bevendo un po’ di quel liquido dorato al sapore di cannella.
«Any, perdona la mia curiosità, ma riflettevo sulla tua frase di ieri sera e vorrei capire a cosa ti riferivi.»
La francese sorrise vittoriosa; aveva giocato sulla curiosità della sua avversaria, che le stava rendendo il lavoro molto più semplice. Doveva giocarsi bene quella carta, perché da essa sarebbe dipeso buona parte del piano.
«Non imparerò mai a tenere a freno la lingua!» Sospirò mesta, fingendo una tristezza che certamente non le apparteneva.
«Va bene, ora ti spiego, ma ricordati che è successo anni fa e il passato è passato!»
Sophie iniziò a sudare, sentendo il suo cuore palpitare a un ritmo incessante.
«Devi sapere che io e Francesco siamo andati a letto insieme in questi anni. Quando tornavo a Brescia per qualche giorno, ci incontravamo sempre; per me non è mai stato nulla di più di piacevoli incontri e credevo che lo stesso valesse per lui, ma…» Si morse il labbro per evitare di ridere di fronte a quella messinscena. Poteva capirlo dallo sguardo spento di Sophie, quanto le facessero male quelle parole, alle quali credeva senza il minimo dubbio.
«Ma?» Le tremò la voce nel porle quel veloce quesito. Aveva pronunciato solo una parola, due lettere che le sembravano un enorme macigno, per il peso che sentiva sul pretto, pronto a trafiggerla.
«Ma lui mi confessò di essersi innamorato e che voleva costruire qualcosa di serio e duraturo con me! Si sarebbe trasferito a Dreux se glielo avessi chiesto, avrebbe lasciato tutto per me, perché mi amava.»
Sophie sentì chiaramente il rumore del suo cuore che si spezzava in piccolissimi e diversi frammenti, come scaglie di vetro che cadevano al suolo districandosi ovunque, impossibili ormai da recuperare e riattaccare. Tutte le sue paure sull’essere abbandonata, dovute all’assenza del padre, vennero a galla solo per risucchiarla in un vortice cupo e spento, mentre una nuova certezza prese piede nella sua testa: Francesco non era terrorizzato dall’essere amato, ma non poteva contraccambiarla, perché il suo cuore apparteneva a un’altra che l’aveva rifiutato, costringendolo ad accontentarsi di un proprio scarto passato. Le aveva mentito, nascondendole il suo sentimento nei confronti della seducente mora seduta davanti a lei, domandandosi il perché.
«Mi dispiace, Sophie, pensavo te ne avesse parlato, ma evidentemente non è così.» Si portò la mano sulla fronte in un fintissimo gesto di rammarico, quando in realtà gongolava malignamente per la semplicità con cui la stava circuendo. Si preparò a darle l’ultimo colpo della giornata, estraendo dall’accappatoio il proprio cellulare.
«Ora ti faccio vedere la mia buona fede, ho ancora i messaggi che ci scambiavamo su WhatsApp.»
La fortuna volle che un farmacista italiano di nome Francesco si fosse veramente infatuato di lei, dopo l’incontro di una notte a un convegno. Si erano rivisti diverse volte per diverse notti, ma per quanto sexy e affascinante fosse, lui non era l’uomo che segretamente bramava.
Le aveva dichiarato il suo amore via messaggio, promettendole mari e monti, assillandola per giorni, finché non si trovò costretta a bloccarlo, cosa che fece in seguito anche lui; in quel modo era impossibile vedere l’immagine profilo. Infine, qualche giorno prima di quel week end, le era bastato rinominare il contatto Francesco Motolese per mostrare a Sophie quelle conversazioni. Le mise tra le mani il suo cellulare, godendosi il viso sconcertato della ragazza, mentre scorreva la chat.
«L’ultimo messaggio è di inizio aprile, qualche giorno prima che ci rincontrassimo…»
Sophie non poteva credere ai suoi occhi, ormai annebbiati dalle lacrime. Credeva veramente che lui fosse cambiato e che la volesse davvero, invece era soltanto un misero ripiego.
«Cara, mi dispiace, ma sono sicura che la nostra somiglianza sia solo un caso fortuito e che lui abbia davvero voltato pagina.» Le prese la mano, stringendola tra le sue con finta preoccupazione.
«Cosa intendi?» Distolse lo sguardo dal telefonino per puntare i suoi smeraldi in quelle gelide ametiste, percependo nuovamente quella sensazione agghiacciante e negativa.
«Beh, cara, entrambe siamo more dai lunghi capelli, abbiamo questi splendi occhi verdi dal taglio felino, questa forma del viso piuttosto simile… potrebbero scambiarci tranquillamente per sorelle!»
Ovviamente, non aggiunse il suo vero pensiero, ritenendosi esteticamente diverse spanne sopra l’altra, doveva portarla a fidarsi di lei e mostrarsi egocentrica non avrebbe giovato.
«Ma sono certa che queste cose non abbiano influito sulla nascita della vostra relazione.» Le sorrise dolcemente, sbattendo le lunghe e incurvate ciglia.
«Non sono più sicura di nulla al momento.» Scostò nuovamente la mano da quella fastidiosa stretta, alzandosi per scappare sulla terrazzina che dava sul mare. Aveva bisogno di respirare aria nuova, poco importava se fosse cocente e quasi asfissiante, non riusciva a riflettere lucidamente in quella stanzetta ristretta, si sentì improvvisamente claustrofobica.
Anais la raggiunse, mantenendo le distanze, osservandone la schiena tesa che si defletteva per recuperare il fiato, mentre le sue mani erano chiuse in una salda presa alla ringhiera in pietra bianca del balcone.
«Ti prego, non dire a Francesco che te ne ho parlato. Non era mia intenzione rovinare il vostro splendido rapporto, devi credermi!»
Sophie strinse le palpebre, stringendo con più forza quella arroventata e piccola asse rettangolare, ispirando a pieni polmoni.
«Non preoccuparti, Any. Non gli dirò nulla!» Restò ferma nella medesima posizione per diversi minuti, finché l’altra non le fu accanto.
«Veronica mi ammazzerà quando le dirò che ti ho raccontato la verità, ma credimi quando ti dico che non l’ho fatto con cattiveria. Voglio bene a Francesco come a un fratello, non vorrei che soffrisse perdendo anche te!»
Sophie si voltò per guardarla, restando sorpresa ancora una volta da quelle confessioni.
«Ve-Veronica sapeva di voi?» chiese balbettando. Non poteva credere che la sua amica non le avesse raccontato nulla. La verità era che nessuno sapeva di quella tresca clandestina tra i due, perché non volevano subire pressioni da parte dei loro amici, anche perché per Francesco non significavano nulla quegli incontri.
«Certo, tutti lo sapevano e ci appoggiavano, ma come ti ho detto, io non volevo una relazione con lui.» Anais si domandò come l’uomo che amava potesse aver scelto quell’insicura ragazza al suo posto; era stato così facile farla crollare con delle piccole bugie. Non vedeva in lei una compagna degna del fiero Motolese, colui che non si piegava davanti a nessuna.
«Non c’è bisogno di dirglielo, Any, non voglio che litighiate per la mia stupida curiosità. Faremo finta che questa conversazione non ci sia mai stata, che ne dici?» Cercò di abbozzare un sorriso, ma le si leggeva in faccia che soffriva dinnanzi a quelle nuove convinzioni che le avevano spezzato il cuore.
«Oh, Soph, sei una vera amica! Grazie di cuore.» L’abbracciò forte, sogghignando per la buona riuscita di quella parte del piano. Mancava solo un unico, ma importantissimo, pezzo, l’ultimo tassello rimasto libero per fare scacco matto e prendersi il suo Re.
Dopo il pomeriggio rilassante nella spa, le ragazze rientrarono nelle loro stanze per prepararsi alla lunga serata all’insegna del divertimento. Sophie aveva perso ogni suo entusiasmo, dopo quelle terribili rivelazioni; avrebbe voluto chiudersi in quella camera, rifugiarsi sotto le lenzuola bianche di quel grande letto matrimoniale e versare tutte le sue lacrime. Si era fidata, ancora una volta, di Francesco e lui se ne era approfittato. Quello che cercava era un ripiego e, inconsciamente, lei glielo aveva dato, innamorandosi perdutamente di lui. Aveva promesso ad Anais di non far parola con lui di quello che aveva scoperto, ma se ne pentì subito dopo, perché quello che avrebbe desiderato fare, una volta tornata a casa, sarebbe stato gridargli addosso tutta la sua frustrazione, sentirsi dire che nulla di quello che le aveva detto Any era vero, perché lui amava solamente lei.
Giorgia, uscita dal bagno in quel momento, osservò l’amica, ancora avvolta nell’accappatoio, sdraiata a pancia in su a fissare il rilevatore antincendio, posizionato proprio sopra la sua testa. Notò un velo di tristezza nei suoi occhi, riconducibile senza alcun dubbio alla chiacchierata avuta poc’anzi con Anais.
«Soph, il bagno è libero, se vuoi farti la doccia.» Non ricevette alcuna risposta. La mora non mosse un muscolo, era troppo persa nei suoi pensieri per accorgersi di quello che le succedeva attorno. Solo il leggero scossone, ricevuto dall’amica che si era seduta accanto a lei, la fece ridestare.
«Mi spieghi cosa è successo? Perché sei diventata improvvisamente triste?»
Sophie si voltò per incontrare il suo sguardo. Il verde di quelle iridi era così simile al suo, con quella leggera striatura dorata intorno alla pupilla, che le ricordava un campo di splendidi girasoli; in quegli occhi leggeva l’enorme affetto che Giorgia provava nei suoi confronti, nel suo sorriso, appena accennato, trovò la solidarietà che le serviva. Aveva bisogno di qualcuno con cui sfogarsi, così, senza nemmeno accorgersene, scoppiò in un pianto liberatorio, gettando le braccia al collo dell’amica, in cerca di conforto.
La bionda non si aspettava quell’improvviso urto, perciò faticò non poco a sostenersi, ma poi ricambiò l’abbraccio, restando in silenzio. Ascoltò i suoi singulti irregolari per diversi minuti, mentre le accarezzava i capelli, neri come il manto di un corvo, i quali ricadevano morbidi sul bianco immacolato dell’accappatoio, facendolo sembrare sporco.
Quando sentì gli spasmi interrompersi, e il respiro le tornò regolare, si scostò di qualche centimetro per poterla guardare in faccia. I suoi splendidi occhi, solitamente così luminosi e allegri, erano gonfi e arrossati; il suo viso sembrava invecchiato, mostrando tutta la sua preoccupazione e la sofferenza.
«Ti senti meglio?» le domandò in un sussurro, per poi baciarle la fronte.
Sophie si strofinò la mano sul viso, asciugandosi le lacrime che le erano cadute copiosamente, rispondendo di sì con un leggero cenno del capo.
«Mi vuoi dire cosa è successo o preferisci non parlarne?»
Sophie si strinse le mani e le posò sulle gambe, prese un profondo respiro e, tenendo lo sguardo basso, iniziò a raccontarle quello che le aveva confessato Anais qualche ora prima.
Giorgia non poteva credere a quelle parole, non le sembrava possibile che Francesco avesse finto così bene negli ultimi mesi e che Matteo gli avesse retto il gioco; lui stesso le aveva assicurato che i sentimenti dell’amico fossero sinceri, quando lei più volte glielo aveva domandato, preoccupata per la sua Sophie.
«C’è qualcosa che non mi torna, Soph! Perché raccontarti quei dettagli, mostrarti i messaggi e poi chiederti di fare finta di nulla: sarebbe potuta restare in silenzio e non farti venire tutte queste paranoie, se a lei, effettivamente, non le interessasse stare con lui.»
Giorgia si portò il pollice alla bocca, incastrando l’unghia tra i denti, un vizio che aveva quando rifletteva su qualcosa.
«Ho insistito io perché parlasse, lei all’inizio non voleva dirmi nulla» ribattè Sophie, facendo ciondolare i piedi dal materasso.
«Poteva restare vaga, invece è entrata proprio nel dettaglio, come se si fosse studiata prima il tutto… non lo so, non mi convince! Per me dovresti chiedere a Veronica se è vero.»
Giorgia si alzò, avvicinandosi all’armadio per estrarre la biancheria e gli indumenti per la serata: una canotta bianca e una gonna a pieghe marrone con i fiori bianchi.
«Le ho promesso che non avrei detto nulla; Veve ha già mille pensieri per la testa, non voglio che litighi con sua cugina, soprattutto perché è la sua testimone di nozze!» Sophie lasciò cadere sul letto l’accappatoio, rimanendo in costume, si raccolse i capelli in un morbido chignon e si avvicinò alla porta del bagno, pronta a lavare via le negatività di quella giornata con una rinfrescante doccia. Prima che potesse chiudersi in quelle ristrette mura, la bionda le mise una mano sulla spalla, costringendola a voltarsi.
«Soph, io capisco le tue ragioni, ma ti dico solo di non dare per scontato che tutto quello che Anais ti ha detto sia vero. Se non vuoi parlare con Veronica, almeno discutine con Francesco; permettigli di dire la sua verità e poi trai le tue conclusioni. Ricorda che bisogna sempre sentire le due campane in una storia.»
Sophie strinse le dita dell’amica tra le sue, ringraziandola con lo sguardo.
«D’accordo, Dumbo!» la canzonò volutamente, beccandosi in risposta il finto sguardo truce da parte della bionda.
«Vai a lavarti, o faremo tardi come al solito e, per una volta, la colpa non sarà mia!»
 
Il viaggio in auto fino al ristorante durò meno di dieci minuti; la difficoltà maggiore fu trovare parcheggio. Se non avessero dovuto spostarsi in discoteca, avrebbero potuto tranquillamente affittare delle biciclette per arrivarci, ma Anais aveva programmato la serata in ogni minimo dettaglio, quindi si ritrovarono imbottigliate in quel grande posteggio già gremito, ad attendere qualche anima pia che se ne andasse; dopo venti minuti, le loro preghiere furono ascoltate e si liberarono due posti.
Si avviarono verso il ristorante all’aperto del locale, il quale faceva anche da discoteca, posizionato su un enorme palco in legno sopra la spiaggia. La vista sul bagnasciuga era perfetta dal loro tavolo, coperto da una semplice tovaglia bianca, posizionato proprio all’estrema destra della sala, e la leggera brezza marina rendeva il tutto più caratteristico. Le amiche di Veronica indossavano tutte delle T-Shirt coordinate di colore bianco con la scritta fucsia a caratteri cubitali “Keep calm, sono l’amica della sposa”, mentre Anais, ovviamente, al posto di “amica” aveva fatto scrivere “cugina”. Quella di Veronica, invece, conteneva una lista di cose da fare durante la serata, a due delle quali si era perentoriamente opposta, ottenendo solo sguardi di dissenso da tutte le ragazze; indossava inoltre un diadema con un piccolo velo bianco, il quale ricadeva sulle sue ondulate ciocche dorate.
Ordinarono tutte un primo piatto di pesce, chi lo spaghettone allo scoglio, chi il risotto alla pescatora, per secondo scelsero quasi tutte il fritto misto, a eccezione di Sophie che, vista la sua allergia per i farinacei, optò per del salmone scottato, che avrebbe condiviso con Giorgia.
Il ristorante era frequentatissimo da persone di varie fasce d’età: dalle famiglie con bambini annessi, da ventenni entusiasti e pieni di vita, a uomini e donne dai trent’anni in su, in cerca di avventure estive. Alcuni di loro avevano già adocchiato la tavolata di sole donne avvenenti, ricevendo segnali di risposta dagli sguardi languidi di Anais, la quale si divertiva a giocare con il proprio piercing sulla lingua, incastrandolo tra i denti, per poi rilasciarlo in maniera provocante.
Terminata la cena, diedero a Veronica un barattolo di plastica vuoto, con attaccata un’etichetta: “Un euro per un bacino dalla sposa”. Si avvicinarono al bancone e le ragazze iniziarono a convincere i clienti a prestarsi al loro gioco, recuperando in soli dieci minuti una quota non indifferente, con la quale avrebbero potuto depennare una delle sette voci della lista sulla maglietta di Veve: bere tre shots di fila. Si fecero preparare i classici rum e pera, che bevve senza problemi uno dietro l’altro, lasciando per ultimo il dolce succo che allietò le sue papille roventi.
Il volume della musica si era alzato, riempiendo l’aria con le note ritmate del brano sparato dalle casse collegate alla console, situata difronte al bancone del bar. Quando trasmisero Tra le granite e le granate di Francesco Gabbani, poterono depennare un altro punto: cantare a squarciagola.
Anais convinse un ragazzo a offrire alla cugina un Long Island, così da eliminare un’altra voce dell’elenco: farsi offrire un drink.
Presero tutte da bere, lasciandosi andare tra di loro a ritmo di musica. Ballarono e risero insieme, divertendosi come non mai.
Sophie ignorò volutamente la continua vibrazione del suo telefonino, consapevole che potesse essere solo una persona a chiamarla ripetutamente: Francesco.
L’aveva sentito prima di entrare nella spa, dopodiché aveva ignorato i suoi messaggi e le telefonate; non sapeva cosa dirgli, non era pronta a sentire la sua voce e fingere che tutto andasse bene. L’indomani avrebbe pensato a una scusa da rifilargli, ma in quel momento voleva essere spensierata per la sua amica.
Terminati i loro cocktail, si trasferirono in un altro locale, adiacente al primo, anch’esso con la passeggiata in legno con ai lati diversi vasi di palme dalle diverse misure, che dividevano il cafè dalla spiaggia. Riuscirono a trovare un divanetto in vimini libero e si fiondarono a occuparlo, così da poter intraprendere un nuovo gioco: quello delle coppie.
Su un foglio diviso in due colonne erano stati inseriti diversi nomi, sulla sinistra femminili, sulla destra maschili; Veronica avrebbe dovuto abbinare i rispettivi compagni o le sarebbe toccato bere uno shot per ogni errore commesso.
«Partiamo dal più semplice: Sandra e…»
La festeggiata scrutò i nomi sulla destra, finché non trovò quello da collegare.
«Raimondo, ovvio!» Tutte batterono le mani, mentre la bionda tracciava una linea con il pennarello per collegare i coniugi.
Anais passò il foglio con le coppie già formate a Katy, così che fosse lei a farle la domanda.
«Ora il nome di un bel maschietto che - Signore, aiutami – tu, però, non trovi affatto affascinante: Damon e…»
Veve scoppiò a ridere, esaminando la lista sul lato sinistro.
«Ferro da stiro può stare solo con Elena!»
Katy alzò gli occhi al cielo, consegnando il foglio nelle mani di Sophie, la quale sorrise entusiasta prima di porle il quesito.
«Questa coppia l’ho scelta io personalmente, quindi vedi di non sbagliare, o lo shottino te lo butto in gola con tanto di bicchiere!» affermò, facendole una linguaccia.
«Usagi e…?»
Veronica iniziò a sudare, un po’ per il caldo di quella serata estiva e un po’ perché non era sicura della risposta. Lesse i nominativi maschili due volte, prima di rispondere con un po’ di titubanza.
«S-Seiya?» chiese con un occhio mezzo chiuso per paura di aver sbagliato, stringendosi la testa tra le spalle.
«Giusto! È servito farti vedere la quinta stagione di Sailor Moon, con me al tuo fianco che ti indirizzavo sulla via giusta da seguire!»
Veve trasse un sospiro di sollievo, tornando a giocare insieme alle altre, che a rotazione continuarono a porle domande.
Sbagliò solo quattro accoppiamenti su ventuno, bevendo shottini di tequila che le bruciarono la gola, annebbiandole un po’ il cervello.
«Ora direi di eliminare la prima voce della lista, cuginetta: balla sul tavolo insieme a me!» Anais salì sul tavolino basso con i suoi tacchi a spillo, iniziando a muoversi sinuosamente. Alzò le braccia alla testa, facendole ricadere lentamente sulle spalle, andandole a incrociare sul seno, per poi riscendere lentamente lungo i fianchi. Sophie ne ammirò l’eleganza e la seduzione, capendo in quel momento perché il suo Francesco fosse tanto attratto da quella giovane donna, la quale aveva catturato l’attenzione di diversi ragazzi, con le sue movenze feline.
Veronica la raggiunse, ridendo insieme a lei e abbracciandola, più sobria con le sue semplici zeppe, leggermente scoordinata nel muoversi a ritmo. Alcuni uomini si avvicinarono al tavolo, uno dei quali venne scelto da Anais per far depennare alla festeggiata un altro punto: selfie con uno sconosciuto. Una volta fatto, aiutò la cugina a scendere, salutò il pubblico che aveva assistito al suo spettacolino e, insieme a tutte le altre, si allontanarono verso l’ultimo locale prima della discoteca.
Quest’ultimo, rispetto agli altri due, era molto più elegante, con un arredamento minimal chic e il bancone interno al bar. Presero tutte un cocktail prima di spostarsi all’esterno.
Sophie iniziò a sentirsi stanca e la testa le ciondolava pesantemente. Giorgia notò il cambio d’umore repentino dell’amica, così le si avvicinò lentamente, chiedendole se stesse bene.
«Sì, non preoccuparti. Credo che tornerò in stanza a riposare; le scoperte di oggi mi hanno spossata.»
Si avvicinò alla festeggiata, spiegandole che si sentiva poco bene e che avrebbe preso l’autobus per rincasare nell’hotel. Veronica la strinse forte in un abbraccio, ripetendole infinite volte che le voleva bene, prima di allontanarsi insieme ad Anais verso la pista da ballo, così che Sophie potesse salutare tutte le altre.
Giorgia non si sentiva di lasciarla sola, così, nonostante le lamentele dell’amica, tornarono insieme nella loro camera, lasciando che le altre festeggiassero per tutta la notte.
 
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Chiuse la chiamata e poggiò il suo telefono sul tavolo. Sophie aveva letto il suo messaggio, ma non gli aveva risposto, come non aveva fatto alle sue due telefonate. Pensò che fosse impegnata con le ragazze, eppure, quella sensazione negativa che lo attanagliava da quella mattina, continuava a martellarlo pressantemente.
«Ehi, tutto ok?» Matteo uscì dalla cucina in quel momento, notando il viso teso di Francesco.
«Sì, è solo che Sophie non mi risponde, ma credo sia indaffarata…» Cercò di autoconvincersi delle sue stesse parole, con scarsi risultati.
«Nemmeno io ho sentito Giorgia, saranno ancora al centro benessere a farsi fare un massaggio, alla faccia nostra che tra un’ora inizieremo a lavorare!» Matteo gli sorrise, provando a rincuorarlo, ottenendo in risposta un sospiro mesto.
«Sì, sarà come dici tu.» Si allontanò verso le scale per farsi una veloce doccia e prepararsi alla serata. Allacciò l’ultimo bottone della camicia bianca, legò il papillon blu al colletto e si diresse, insieme all’amico verso il locale.
Come ogni sabato, lo Starlight era gremito di gente. Fu un bene quella mole di lavoro per Francesco, perché gli impedì di tenere perennemente controllato il telefono; pensò comunque allo strano comportamento della sua fidanzata, sparita da più di quattro ore. Pestava i piedi con nervosismo, consegnava i cocktail ai clienti in malo modo, delle volte rovesciando una parte del contenuto sul bancone, scaricando tutta la propria irritabilità contro i poveri malcapitati che provavano a ordinare.
Giacomo, preoccupato dall’insolita condotta del ragazzo, gli si avvicinò, costringendolo a fare una pausa. Desiderava capire cosa passasse nella testa del bruno, che non si era mai comportato in quel modo, ma il continuo via vai di persone glielo impedì.
Francesco uscì sul retro, attraversando la cucina, e si accese una sigaretta. Inspirò un gran quantitativo di nicotina che lo aiutò a distendere i nervi, provando poi a richiamare Sophie.
Al primo squillo non rispose e pensò fosse normale.
Al secondo ancora nulla, era comprensibile, magari non aveva il telefono a portata di mano.
Al terzo aspirò un altro po’ di fumo, tornando a battere i piedi, questa volta sul cemento.
Al quarto buttò la sigaretta per terra, calpestandola con la punta delle scarpe, come se stesse schiacciando un insetto, riversando in quel cilindro tutta la sua tensione.
Al quinto iniziarono a tremargli le mani, chiuse gli occhi e iniziò a pregare mentalmente che rispondesse.
“Ti prego, rispondimi, rispondimi, rispondimi…”
Al sesto allontanò l’apparecchio dal telefono e concluse la chiamata, prima di rimettersi in tasca il cellulare. Poggiò entrambe le mani sul maniglione della porta, stringendo i pugni con tutta la forza che aveva, finché le nocche non divennero bianche.
Nella sua testa passarono i peggiori scenari possibili; iniziò a preoccuparsi che potesse esserle successo qualcosa di grave, che potesse essere in ospedale, se non peggio.
Rientrò di corsa, avvicinandosi a Matteo per chiedergli se Giorgia si fosse fatta sentire.
«Sì, mi ha mandato una foto poco fa del ristorante dove stanno cenando; perché?» Francesco tirò un profondo sospiro di sollievo; se fosse successo qualcosa di grave non sarebbero andate a mangiare in tutta tranquillità. Si domandò allora perché Sophie continuasse a ignorarlo.
«Quando senti Giorgia, puoi chiederle perché la mia ragazza non risponde a quel maledetto telefono?» L’amico si limitò a un cenno d’assenso con la testa, osservando con sguardo preoccupato Francesco, che si stava allontanando verso la sua postazione.
La serata proseguì così com’era iniziata, con il nervosismo del ragazzo che scoraggiava i clienti a farsi servire da lui. Ancora una volta, fu Giacomo ad avvicinarsi, prendendolo per un braccio e portandolo in cucina.
«Mi vuoi dire cosa cazzo succede? Non ti ho mai visto in questo stato, Moto!»
Francesco gli diede le spalle, appoggiandosi al bancone in acciaio, per poi tirare un calcio al mobile sottostante.
«Succede che ho una brutta sensazione e Sophie non risponde al suo cazzo di telefonino! Se non la sento prima della chiusura, vado giù a Riccione a controllare che stia bene!» Diede un altro colpo al mobile, facendolo aprire.
Giacomo gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla schiena per cercare di quietarlo.
«Adesso calmati, per favore! Passami il telefono, provo a chiamarla io.» Francesco fece come gli era stato detto, poggiando tra le mani dell’amico il suo iPhone, osservandolo mentre lo portava all’orecchio, in attesa di una risposta. I secondi parvero minuti, sentiva il rimbombare del segnale libero in quella stanza, insieme ai battiti del suo cuore che sembravano martellargli il petto.
All’avvio della segreteria telefonica, Giacomo riagganciò, riconsegnando il telefono all’amico.
Estrasse il suo dalla tasca e provò a contattare Veronica, ma anche con lei nessun risultato. Senza scoraggiarsi, decise di provare con Anais, la quale rispose dopo il quarto squillo.
«Any, ciao sono Giacomo. Non vorrei interrompere la vostra festa, ma potresti passarmi Sophie?» In sottofondo riecheggiava la forte musica del locale dove si trovavano le ragazze, insieme a vari schiamazzi.
«Mi spiace, ma è appena andata via con Giorgia. Era stanca e ha preferito ritornare in stanza. Ora devo salutarti, la tua futura moglie è piuttosto ubriaca e non posso perderla di vista!» Riagganciò senza salutare, lasciandolo irrequieto.
«Sophie sta tornando in albergo con Giorgia. Sta bene, era solo un po’ stanca, quindi smettila di preoccuparti!» Quella notizia non riuscì a tranquillizzarlo completamente; era felice che stesse bene, ma restava il mistero della sua improvvisa sparizione.
Ritornarono verso la sala, notando Matteo che si sbracciava per richiamare l’attenzione.
«Ehi, Moto; Giorgia mi ha appena scritto che sta tornando in camera con Sophie e che non ti ha risposto perché aveva lasciato il telefono a ricaricare.»
Francesco si sentì un po’ più leggero, nonostante la tensione non lo avesse ancora abbandonato del tutto, ma la associò alla preoccupazione che l’aveva brancato fino a quel momento.
«Grazie, Teo!» Si diedero una veloce stretta di mano, dopodiché tornarono alle loro postazioni, continuando a lavorare con costanza, fino all’orario di chiusura.
 
✿..:* *.:.✿
 
Sophie chiuse la valigia con un peso maggiore sul cuore, rispetto a due giorni prima. La notte, passata quasi completamente insonne, l’aveva fatta riflettere molto sul suo legame con Francesco. I messaggi che Anais le aveva mostrato l’avevano distrutta, ma era decisa a non farsi condizionare; avrebbe parlato con lui, come le aveva consigliato Giorgia, e avrebbe ascoltato la sua versione, impedendo al passato di irrompere nel suo presente, sgretolandole il futuro.
«Sei pronta, tesoro?» La bionda le si avvicinò sorridendole, leggendo sul viso dell’amica l’ansia e la preoccupazione. Sophie si limitò a risponderle con un gesto d’assenso del capo, stringendo il trolley tra le mani per sollevarlo dal tavolo, posizionandolo vicino alla porta.
«Ieri sera ho sentito Matteo, prima di tornare in Hotel; Francesco era molto preoccupato, visto che non rispondevi ai suoi messaggi, così gli ho detto che lo avevi lasciato in stanza, perché era scarico…»
Sophie sospirò mesta, dispiaciuta che la sua migliore amica avesse dovuto mentire al suo fidanzato per colpa sua.
«Grazie! Ho deciso che gli parlerò più tardi. Hai ragione, bisogna sentire entrambe le campane. Può essere che lui si fosse innamorato di lei, ma che ora l’abbia dimenticata e voglia stare davvero con me…»
Giorgia la strinse in un abbraccio, fiera della sua decisione.
«Questa è la Sophie che conosco! E se per caso, quell’idiota, dovesse confermare le parole di Anais, sarò pronta a renderlo sterile in meno di un secondo!» Assottigliò gli occhi per mostrare uno sguardo minaccioso, ma quello che ottenne fu solo l’ilarità della mora, che aveva finalmente riso spensierata.
Raggiunsero le ragazze nel parcheggio, tutte impegnate a caricare le macchine con i bagagli, prima di rimettersi in viaggio.
Veronica aveva l’aria distrutta: l’avevano fatta bere come una spugna la sera prima, rincasando con le prime luci dell’alba. Aveva dormito meno di quattro ore e delle profonde occhiaie le incorniciavano il volto, rendendolo più smunto e insolitamente spento.
«Ci fermiamo in un bar a far colazione?» Aveva proposto Katy, ricevendo uno sguardo assassino da parte di Veve.
«Potrei vomitare anche il pranzo di Natale del novantadue e tu vorresti farmi mangiare?» Si mise una mano sullo stomaco, sentendo un movimento intestinale fastidioso, dopo aver udito la parola “colazione”.
Sophie le si avvicinò per abbracciarla, ringraziandola per lo splendido weekend, consigliandole di riposare durante il viaggio. Salutò anche Jessica e Katy, raccomandando alla prima di non solcare troppi mari in tempesta con il suo capitano, ricevendo in risposta una risata cristallina.
Era rimasta solo Anais, che si allungò per prima a stringere tra le sue braccia Sophie, continuando la sua recita da amica affettuosa.
«Ci vediamo presto, cara Mi sono divertita tantissimo in tua compagnia!»
Sophie sentì nuovamente quel brivido freddo percorrerle la schiena, sentendosi in colpa nei confronti di quella ragazza che si dimostrava così accorta e gentile, ma non riusciva proprio a farsela piacere. Si staccò da lei, cercando di sorriderle, allontanandosi verso l’auto di Mia per prendere posto.
Quel viaggio l’aveva segnata molto, ma le aveva dato una nuova consapevolezza: non sarebbe più rimasta con domande irrisolte nella sua vita, perché non era più la Sophie bambina, che si sentiva inadatta a causa del padre che non la voleva. La Sophie adulta sapeva di valere molto di più e non si sarebbe accontentata di fingere una felicità che non le apparteneva, ma l’avrebbe ottenuta lottando e dando tutta sé stessa.

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Capitolo 51
*** Capitolo 51 - Cosa c'è stato tra te e Annie? ***


*Da questo capitolo, il nome di Anais verrà sostituito con Annie*

Francesco si era rigirato nel letto per tutta la notte, maledicendosi per non aver dato retta all’istinto ed essere partito per accertarsi che Sophie stesse bene.
Solo il messaggio del buongiorno l’aveva leggermente tranquillizzato, anche se lo aveva percepito freddo, senza alcun vezzeggiativo accanto, com’era invece solita fare. Pensò di essere diventato paranoico, il classico fidanzato ossessivo che si affliggeva al minimo cambiamento, senza alcuna ragione, eppure quella sensazione angosciante continuava a pesargli sul petto come un macigno, impedendogli di pensare lucidamente. Non ne capiva il motivo, tuttavia sentiva che qualcosa era successo in quei pochi giorni in cui erano stati lontani e sarebbe andato a fondo della cosa, appena lei fosse tornata.
Dormì un paio di ore, cedendo alla stanchezza, risvegliandosi dopo l’una per i crampi dovuti alla fame e per la calura asfissiante di quella stanza. Si fece una rinfrescante doccia, la quale, purtroppo, non riuscì a lavar via la sua preoccupazione e quel macigno ingombrante che gli stringeva il cuore in una morsa. Si avvolse nel suo telo blu e si rifugiò in camera per vestirsi, indossando un pantaloncino sportivo e una canotta grigia smanicata, la quale metteva in risalto i muscoli definiti delle spalle e dei bicipiti.
Scese in cucina, trovandoci Matteo, seduto al tavolo allungabile in vetro, mentre mangiava un’insalata di riso.
«Buongiorno, Frà. Hai una brutta cera… hai dormito stanotte?» L’amico notò subito le occhiaie evidenti del ragazzo e il suo colorito smunto; le labbra erano serrate in una linea dura e gli occhi erano spenti, come se l’anima avesse abbandonato il suo corpo, lasciandolo vuoto.
«Non proprio…» Lo superò per avvicinarsi al frigorifero, estraendo la busta degli affettati per prepararsi un panino.
«Hai sentito Sophie?» Matteo si voltò verso Francesco, che gli dava le spalle. A quella domanda bloccò ogni suo movimento, deglutendo e sospirando, prima di rispondere.
«Mi ha scritto stamattina quando si è svegliata, poi nulla. Non so nemmeno se sono partite.» Posò l’ultima fetta di prosciutto, per poi chiudere il panino, addentandolo, prima di voltarsi verso il biondo, ancora intento a fissarlo.
«Giorgia mi ha scritto un’ora fa che si sono fermate in autogrill a mangiare qualcosa, poi sarebbero ripartite. Mi ha mandato una foto di loro quattro, con Sophie ed Eliana che dormivano in auto, forse è per quello che non l’hai sentita.» Mostro a Francesco l’immagine dal suo cellulare. Il bruno zoomò sul volto della sua fidanzata, notandone la stanchezza e la tensione, dovuta probabilmente a un brutto sogno. Non poteva immaginare che, come lui, anche Sophie quella notte non aveva fatto altro che rigirarsi tra le lenzuola, addolorata dalle confessioni di Annie, e che quindi aveva ceduto al richiamo di Morfeo, cadendo nel mondo onirico, l’unico luogo dove avrebbe potuto scollegare il cervello dai suoi continui pensieri. Peccato che le immagini di Francesco insieme ad Any, entrambi felici e sorridenti come due innamorati, le avessero dato il tormento anche nei sogni, inquietandola maggiormente. Quando Mia la svegliò per informarla che erano arrivate a casa, non seppe se sentirsi sollevata o nervosa. La abbracciò, raccomandandosi che salutasse Eliana da parte sua, visto che la bionda dormiva serenamente nel sedile posteriore. La guardò allontanarsi insieme a Giorgia, la quale le offrì una sigaretta per aiutarla a distendere i nervi, consapevole che l’amica avesse bisogno di sostegno per affrontare l’ostico discorso con il suo compagno.
«Prima di andare a casa, pensavo di passare da Matteo!» inspirò una boccata di fumo, rilasciandola subito dopo.
«Perciò, se hai bisogno che assesti un bel calcio nelle palle a quel filibustiere, non hai che da dirlo e in pochi secondi sarà fatto!»
Sophie scoppiò a ridere, sentendosi pizzicare la sclera per l’agitazione e la paura.
«So che non vedi l’ora di farlo, ma spero con tutto il cuore che non ce ne sarà bisogno!»
Buttò il mozzicone a terra, pestandolo con l’infradito, prima di prendere il proprio trolley e, insieme a Giorgia, avvicinarsi al cancellino d’entrata. Ogni passo verso l’appartamento risultava sempre più pesante. Il cuore le batteva all’impazzata e dei brividi freddi le attraversarono tutto il corpo, facendola sudare.
Superato l’ultimo scalino, afferrò la mano dell’amica, prendendo poi profondi respiri, osservandola in silenzio, cercando nei suoi splendenti occhi verdi quella solidarietà che da sempre l’accompagnava. Giorgia le sorrise, stringendo tra le sue dita quelle umide di Sophie, cercando di infonderle il coraggio che le serviva.

*A loro non serviva parlare per capirsi, bastava uno sguardo per comprendere quello di cui l’altra aveva bisogno, perché essere amiche significa anche riconoscere i segnali che vengono inviati, quando le parole sono troppo complesse da pronunciare e l’unico linguaggio possibile è quello del cuore.*
 
«Stai tranquilla, Soph; andrà tutto bene!» La mora fece un cenno d’assenso con il capo, deglutendo diverse volte, prima di avvicinarsi al campanello di casa di Francesco e suonare.
I secondi di attesa le parvero interminabili minuti, dove il martellare incessante del suo muscolo cardiaco le rimbombò nelle orecchie, come una lenta agonia che non voleva darle pace. Sentì girare le chiavi nella serratura, come un rumore ovattato e fiacco, vedendo l’uscio aprirsi al rallentatore.
Scorgere il volto sorridente di Matteo, anziché quello del suo Motolese, la deluse leggermente, ma le venne difficile non scoppiare a ridere quando un uragano biondo assalì il poveretto, saltandogli in braccio con impudenza, facendolo indietreggiare di qualche passo.
«Ciao, amore mio; mi è mancata da morire la tua bocca!» Si fiondò sulle labbra del suo fidanzato, in un bacio poco casto, senza alcuna vergogna.
«Andate nella vostra stanza a fare queste cose, impudichi!» Quella voce profonda le fece tremare le gambe. Le sembrava fosse passata un’eternità dall’ultima volta che l’aveva sentita, anziché pochi giorni. Vederlo avvicinarsi le diede il colpo di grazia, bloccandole il respiro, percependo nello stomaco un profondo sfarfallio incontenibile. Le parve ancora più bello, nonostante la stanchezza leggibile sul suo viso e quegli occhi così spenti. Dimenticò tutte le paure, lasciando che l’amore che provava per quell’uomo sopraffacesse ogni cosa, ritornando a essere di nuovo felice.
«Ciao, piccola.» Le sorrise mesto, sentendosi impacciato sul da farsi. Avrebbe voluto baciarla ed entrare dentro di lei, per sentirla nuovamente sua, per amalgamarsi in una cosa sola, cancellando così tutte le preoccupazioni che lo avevano afflitto in quei giorni, ma si limitò ad accostarsi con un braccio alla porta, sniffando il profumo della sua pelle come se fosse un tipo pregiato di eroina, dalla quale era diventato dipendente.
«Ciao…» sussurrò lei a fatica, avvicinandosi a lui, perdendosi nel suo abbraccio. Leggere lacrime ricaddero sul suo volto, sentendosi finalmente a casa tra quelle forti braccia che la stavano proteggendo. Si beò di quel momento, consapevole che le cose sarebbero potute cambiare nel giro di pochi minuti, ma volle essere egoista e godersi ogni secondo insieme all’uomo che amava, sperando che il rivelargli ciò che sapeva non lo avrebbe allontanato.
Francesco avvertì la tensione attraverso il corpo di Sophie, percependo in quella stretta un bisogno insolito da parte sua, come se lei avesse paura potesse essere l’ultimo. Le alzò il viso per guardarla, notando delle stille salate rigarle le gote.
«Ehi, che succede?» bisbigliò per non farsi sentire da Giorgia e Matteo, abbracciati sul divano a osservarli.
«Devo chiederti alcune cose, ma vorrei fossimo da soli… ti va di venire da me?»
Francesco non se lo fece ripetere, spinse con dolcezza la sua fidanzata fuori dall’appartamento per trasferirsi nel suo. Lasciò la valigia alla sinistra del divano, prima di accomodarsi su di esso insieme a Sophie. La tensione tornò a stringergli il petto in una morsa dolorosa, attendendo che lei parlasse, preparandosi al peggio.
«Quello successo in passato non dovrebbe interessarmi, ma io ho bisogno di sapere la verità, Francesco.» Era seria, forse come non lo era mai stata. Sentirsi chiamare per nome fu come ricevere un pugno nello stomaco: faceva male e impediva di respirare regolarmente.
«Cosa c’è stato tra te e Annie?»
Francesco rimase interdetto per alcuni secondi davanti a quella domanda, caduta come un fulmine a ciel sereno. Non capiva quanto un rapporto insignificante come quello avuto con Annie, potesse influire nella loro relazione, visto che Sophie era consapevole della sua vecchia fama da latin lover.
«Niente di importante… ci siamo visti alcune volte, quando scendeva a Brescia, ma niente di più.»
La mora si morse il labbro così forte da farlo sanguinare. Il cuore le martellava nel petto e l’agitazione non dava segno di volerla abbandonare, facendola tremare.
«Non mentirmi… so che siete andati a letto assieme!» La sua voce incrinata, fece capire al bruno che l’argomento la stava facendo soffrire, così le si avvicinò e le prese le mani, legandole nelle sue. Puntò i suoi pozzi negli smeraldi di lei, leggendoci l’angoscia.
«Non ti sto mentendo, Soph. Non sono voluto entrare nel dettaglio, ma sì, siamo andati a letto assieme qualche volta… tutto qui.»
Sophie abbassò lo sguardo sospirando, prima di slegare le loro dita e allontanarsi, dandogli le spalle.
«Vuoi dirmi che non eri innamorato di lei?» Strizzò le palpebre per impedire che le lacrime sfuggissero al suo volere, attendendo per dei secondi infiniti una risposta che sembrava non arrivare.
Francesco le si avvicinò e l’abbracciò da dietro, carezzando il suo ventre con le mani. Posò il viso sulla spalla della ragazza, respirandole sul collo, provocandole piacevoli brividi.
«No, non l’ho mai amata!» Sussurrò flebile, dandole un bacio sulla cervice.
«Non ho mai amato nessuna ragazza prima di te!»
Sophie spalancò gli occhi, sorpresa da quella risposta. Si girò lentamente verso di lui, ritrovandosi il suo splendido sorriso ad accoglierla.
«Tu… tu sei innamorato… di me?» bisbigliò lieve quella domanda; la gola le si era seccata, come se all’improvviso tutti i liquidi nel suo corpo si fossero inspiegabilmente prosciugati, lasciandola disidratata e incredula.
«Hai sentito bene, piccola diffidente; sono irrimediabilmente, pazzamente e profondamente innamorato di te!»
Con quelle parole, Francesco dissipò ogni suo sospetto, cancellò tutte le incertezze causate da Annie, e dimenticò quello che la ragazza le aveva confidato, ormai certa che fossero solo menzogne. Un inspiegabile calore le attraversò il petto, scendendo lungo tutto il suo corpo, facendole sentire le gambe molli come gelatina. Gettò le braccia intorno al collo del suo uomo e lo baciò con impeto, promettendo a sé stessa che mai più avrebbe creduto ad altre persone. Si sentì in colpa per la facilità con cui aveva dubitato di lui, quando le aveva sempre dimostrato di essere cambiato.
«Devo dirti una cosa…» Gli mormorò sulle labbra, ma il bruno non riuscì a fermare la propria bocca, che smaniosa cercava il contatto con la sua. Le lingue intrecciate in una danza d’amore si esploravano in un bacio intenso, nel quale si racchiudevano promesse difficili da pronunciare, ma al tempo stesso semplici da dimostrare.
Francesco la sollevò così che Sophie potesse allacciargli le gambe intorno alla schiena, sentendo la sua erezione pulsante solleticarle l’intimità. Salirono al piano superiore senza perdere il contatto che li fondeva in un solo corpo, entrambi felici di essersi ritrovati.
Erano stati male in quei giorni lontani, costantemente assorti nei dubbi, chi per le infide parole di una serpe che aveva sparso il suo veleno in ogni cellula del corpo dell’ingenua ragazza, chi per l’assenza incomprensibile della propria fidanzata. Ritrovarsi così uniti, in quel momento, era una boccata d’aria fresca, un rifocillamento che permise ad ambedue di tornare a respirare, ma soprattutto a vivere serenamente.
La posò con irruenza sul letto e, inginocchiandosi, le divaricò le gambe, iniziando ad accarezzarla, partendo dalla caviglia e salendo fino alle cosce. Baciò la sua pelle setosa e rovente, sollevandole la gonna del vestito, così da poterle togliere le mutandine di pizzo. Le si avvicinò e lentamente iniziò a muovere la lingua calda tra le grandi labbra, leccando e succhiando il clitoride, facendola fremere e gemere, prima con delicatezza, poi con più foga, dissetandosi del suo sapore. Sophie sentiva ogni suo muscolo stendersi, lasciando che il piacere si irradiasse in tutto il suo corpo. Le gambe iniziarono a tremarle, strinse saldamente le lenzuola e il respiro le venne meno, quando l’orgasmo la travolse come un fiume in piena, un torrente decisamente appagante, come non era mai stato prima. Si beò di quel benessere post-orgasmo, ascoltando il silenzio incessante di quella stanza, disturbato solo dai loro respiri pesanti.
Francesco, ancora vestito, si posizionò sopra di lei, contemplando il viso arrossato della sua donna e iniziò a baciarle l’orecchio, scendendo con angosciante lentezza sul collo, lasciando una scia umida e infuocata di baci.
La tirò su, facendola sedere, per poterle togliere liberamente il vestito, prima di passare al reggiseno che gli impediva la visione del suo seno alto e sodo, libero da ogni impedimento. Iniziò a succhiarle un capezzolo, come un infante affamato, mentre con il pollice e l’indice strofinava l’altro, mandandole continue scariche al basso ventre, facendola mugolare. Sophie legò le mani alla sua schiena salda e a ogni stilettata affondava le unghie in quella pelle arroventata, permeata da quell’odore virile e famigliare.
«Ti amo, Sophie!» sussurò greve, facendola fremere maggiormente. Gli sollevò il viso per baciarlo, mentre gli toglieva i pantaloncini e i boxer, liberando la sua erezione pulsante, che richiamava a gran voce le sue cure.
Francesco desiderava sentire le sue esili mani intorno al suo membro duro, mentre gli procurava piacere, ma non voleva spingerla a far nulla che lei non volesse. Sophie prese la sua erezione e iniziò a muovere adagio le dita per tutta la sua lunghezza, regalandogli lo stesso godimento che lui le aveva donato poco prima.
«Ti amo anche io, amore mio!» sussurrò tremante sulle sue labbra. Poter esprimere quel sentimento a voce alta fu per lei una liberazione. Aveva sempre taciuto per paura, ma non aveva più alcun motivo di temere un suo allontanamento, perché anche lui la ricambiava ed era certa che niente e nessuno avrebbe potuto mettere a rischio la loro relazione.
Sorrise felice, come non era mai stata prima di allora. Delle lacrime fecero capolino dai suoi grandi occhi verdi, ma erano stille che racchiudevano gioia ed emozione. Amare ed essere ricambiati è il dono più bello che la vita possa elargire a qualcuno e lei, in quel momento, aveva scartato il suo pacco, trovandoci un regalo inestimabile.
Francesco, udendo le sue parole, si allontanò per guardarla, chiedendole con gli occhi una tacita conferma di quello che gli aveva appena rivelato; la mora gliela diede con un sorriso abbagliante, prima di accarezzargli il viso.
Allora lui la fece sdraiare sotto di sé, entrando bramoso dentro di lei, fino in fondo, provocando a entrambi sonori gemiti. Sospirò spossato, gioendo di quel momento e della loro unione, che rendeva due cuori palpitanti, amalgamati in una persona sola. Si mossero a ritmo, lui spingeva e lei si inarcava, in una danza erotica che li vide complici come non mai, con le loro anime smarrite in un luogo senza tempo. La penetrò piano, poi con maggior potenza, mentre i suoi fianchi ondeggiavano impervi, come foglie mosse dal vento.
Restarono a lungo così, due singole anime che finalmente si erano ricongiunte, finché, percependo le umide pareti di Sophie contrarsi intorno al suo membro, si lasciò andare anche lui, precipitando in un abisso profondo, un precipizio che li avrebbe condotti direttamente all’inferno se uno dei due avesse malauguratamente deciso di abbandonare l’altro.

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Capitolo 52
*** Ora hai un cuore che ogni uomo vorrebbe avere ***


Quel venerdì, per Giorgia e Sophie, sembrava non voler finire. Le ore trascorrevano lente, soprattutto perché era una giornata estremamente tranquilla, visto che molti dei loro clienti avevano già chiuso le aziende per ferie. Aspettavano lo scattare delle diciotto per congedarsi anch’esse, così da staccare la spina per tre intere settimane. Nei giorni precedenti avevano organizzato la loro vacanza insieme a Jessica e Katy; sarebbero partite la domenica seguente per raggiungere i fidanzati a Gallipoli, al termine dell’addio al celibato di Giacomo, affittando un appartamento sul mare per dodici giorni. Dopo la passeggera crisi, tra la mora e il bel Motolese era tornato un radioso sereno; entrambi erano come rinati, trascorrevano il tempo insieme, attaccati come due calamite, impossibilitati ad allontanarsi troppo dal loro magnete. Sui loro volti era perennemente disegnato un fulgido sorriso, una felicità tale che era impossibile da intaccare, per la quale ricevettero diversi scherni dagli amici, in particolar modo da Giorgia.
«Ti va di andare da Nico a fare un aperitivo? È da tanto che non passiamo al bar dove prima stazionavamo sempre.»
La bionda fece roteare la sedia girevole in direzione della collega, picchiettandosi la penna, che teneva tra l’indice e il medio, sul mento.
«Perché no? Tanto siamo venute a lavoro con la tua macchina, quindi posso anche bermelo un bel Pirlo* Aperol con la mia migliore amica!» Le fece l’occhiolino, stiracchiandosi sulla sua seduta, intrecciando le braccia dietro la testa.
«Ottimo. Poi mangiamo una pizza da me o ceni con l’Uomo di latta?»
Sophie restò interdetta a quella domanda, guardandola incuriosita; aveva paura a chiederle il perché di quel soprannome, ma era certa che ci sarebbe stata una spassosa spiegazione e per questo iniziò a sghignazzare.
«Sentiamo… perché Francesco è diventato l’Uomo di latta?»
Giorgia non aspettava altro che questa domanda. Si alzò per avvicinarsi all’amica e, con fare civettuolo, punto le sue luminose e verdi gemme contro gli smeraldi di Sophie.
«Ora hai un cuore che ogni uomo vorrebbe avere!» recitò grave e seria.
«Ti sono molto grato!» pronunciò chioccia, facendo ridere l’amica.
«Questa rappresentazione dovrebbe dirmi qualche cosa? Oltre a mostrare i tuoi innumerevoli problemi mentali, ovviamente.» La canzonò divertita, facendola sbuffare.
«Sei un’ignorante! Hai mai visto il mago di Oz? L’uomo di latta era molto triste, perché privo di un cuore, così si incamminò insieme a Doroty e lo spaventapasseri verso la città di Smeraldo, per chiedere aiuto al potente mago.»
Giorgia si sedette sulla scrivania, facendo ciondolare le gambe.
«Hai dimenticato il Leone, comunque la conosco anche io questa storia, ho letto il libro alle medie.» Fece una linguaccia all’amica, ricevendo in risposta un’occhiata torva.
«Come hai potuto non riconoscere la mia analogia? Francesco è il boscaiolo di latta e tu sei il mago che gli ha donato finalmente un cuore!»
Sophie sorrise a quella risposta, pensando all’uomo di cui era innamorata.
«Oh no, cancella quel sorrisino ebete dalla tua faccia, ti prego! Non t’interessa sapere come conosco questa storia?»
La mora alzò un sopracciglio, osservando l’amica, che aveva portato le braccia al petto con fare circospetto.
«Beh, te lo dico lo stesso. Matteo, che vorrei ricordare ha ventott’anni, mercoledì sera mi ha costretta a guardare il film del Mago di Oz del 1939. Nemmeno mia nonna era nata in quell’anno!
Era felicissimo di poterlo vedere insieme a me e, come se non bastasse, mi ha pure detto: “Io riguardo questa pellicola ogni volta che posso, l’avrò visto almeno una trentina di volte”.» Aveva imitato il tono faringale del proprio partner nel citarne le parole, provocando una forte ilarità in Sophie.
«Ridi, ridi pure delle disgrazie della tua amica. Trenta volte, ma ti sembra normale? Sono fidanzata con un uomo mentalmente anziano!»
La mora si portò le mani agli occhi per nascondersi, mordendosi il labbro per trattenere una nuova risata.
«Sono le sei! Alzati, bambola, andiamo a festeggiare la nostra liberazione!»
 
*Pirlo: è una bevanda alcolica, solitamente consumata come aperitivo, di origine e uso bresciano, simile allo spritz Veneto. È a base di vino bianco fermo e Campari o Aperol.
 
✿..:* *.:.✿
 
Ritornare al Qbr, dopo tutti quei mesi, fece a Sophie uno strano effetto. Era lì che era nata la sua storia con Daniele e sempre lì era cresciuta. Per anni avevano frequentato quel locale da soli o in compagnia, ribattezzandolo come punto di ritrovo. Per rispetto nei suoi confronti, aveva evitato di andarci con Francesco, ma quel posto le mancava. Entrando, notò subito un volto nuovo dietro al bancone in legno nero: una bellissima bruna dai lunghi e mossi capelli, acconciati con una frangetta, sorrise loro, accogliendole con affetto.
«Ciao, ragazze, state fuori o volete un tavolo dentro?» Due splendide acquamarina brillavano, leggermente nascoste dà degli occhiali dalla grossa e scura montatura rettangolare, i quali continuavano a scivolarle sul naso, costringendola a sistemarseli diverse volte.
«Fuori, grazie. Possiamo ordinarti due Pirli Aperol medi?» chiese Giorgia, rispondendo al suo stesso sorriso.
«Ma certo! Due minuti e sono da voi!» Le liquidò con garbo, prima di allontanarsi verso la cucina, probabilmente per chiamare Nicola, il titolare.
Le due amiche presero posto al tavolo bianco sotto l’ombrellone in tessuto color crema, proteggendosi dai cocenti raggi del sole. Entrambe si accesero una sigaretta ed estrassero i loro smartphone per mandare un messaggio ai loro fidanzati.
Matteo stava lavorando da tutto il pomeriggio, mentre Francesco era impegnato con le ultime spese; gli avrebbe dato il cambio solo qualche ora dopo, lasciando al biondo la serata libera.
L’affascinante bruna raggiunse le due amiche con un vassoio pieno di stuzzichini e i due aperitivi. Sophie potè osservarne meglio la figura: anche lei non era altissima e aveva delle curve leggermente arrotondate, ma molto femminili, che mostrava con fierezza.
«Grazie. Io sono Giorgia e lei è Sophie: è da un po’ che non passiamo al bar, ma siamo amiche del titolare.» La bionda allungò la mano per stringerla alla cameriera, che ricambiò con espressione sorpresa.
«Ho sentito parlare di voi; io sono Patrizia, Trisha per gli amici!» Si voltò anche verso Sophie, imitando il gesto fatto poc’anzi.
«Spero in positivo!» Ribattè subito Giorgia, afferrando dal piatto una pizzetta per portarsela alla bocca.
«Tranquilla, ho sentito solo belle cose su di voi.» Con la coda dell’occhio vide dei clienti prendere posto a un tavolo non molto lontano, dovendosi così congedare da loro.
Sophie continuò a scrutarne le movenze graziose, percependo una sensazione positiva; non conosceva Patrizia, ma a pelle sentiva che era una ragazza a posto e lei si affidava molto alle sensazioni che provenivano dal suo corpo. Se avesse dato loro retta anche con Annie, si sarebbe evitata tanta inutile sofferenza.
Ripensarla le provocò un evidente irrigidimento. L’espressione radiosa lasciò posto a uno sguardo cupo e spento. Giorgia si accorse subito del suo repentino cambio d’umore, capendone il motivo.
«Non hai ancora detto a Veronica quello che sua cugina ti ha fatto?» le chiese, spegnendo la sigaretta nel posacenere nero posizionato al centro della tavola.
«No, Gio, te l’ho detto: non voglio che si impensierisca a poche settimane dalle nozze e, soprattutto, non voglio costringerla a prendere una posizione. Conoscendola, sono sicura che si arrabbierebbe molto con lei e non è mia intenzione farle litigare.»
Prese una patatina e iniziò a mangiucchiarla, sospirando mesta.
«Farò finta di nulla; fortunatamente le sue bugie sono state smascherate. Non commetterò più l’errore di crederle e stasera cercherò di starle il più lontano possibile. Dopo il matrimonio non dovrò più vederla, spero!»
Giorgia fece una smorfia di disapprovazione; al suo posto avrebbe preso per i capelli quella menzognera e sarebbe corsa da Veronica a raccontarle tutto, ma capiva le ragioni dell’amica. Era sempre stata troppo buona con gli altri e aveva paura che questo suo lato benevolo, un giorno, l’avrebbe fatta soffrire.
«Vogliamo brindare alle nostre meritate ferie e alla vacanza che finalmente, dopo anni e anni, faremo insieme?» Abbozzò un sorriso per tranquillizzare la bionda, ma anche per sé stessa. Aveva già dato troppa importanza ad Annie, non le avrebbe permesso di rovinare altri momenti della sua vita.
«Va bene, sorella! Alla nostra vacanza e al sesso in riva al mare!» Fecero tintinnare i loro bicchieri, riempiendo l’aria con le loro cristalline risate.
Non si accorsero del bruno che entrò frettoloso nel locale in quel momento e nemmeno Daniele notò loro. Un tempo avrebbe trovato la sua Sophie anche in capo al mondo, ma quel periodo era ormai passato. A fatica, era riuscito a raccogliere i cocci del suo cuore distrutto, ma i mesi e il suo desiderio costante di essere felice l’avevano aiutato, facendogli ritrovare la spensieratezza persa e una nuova compagna.
«Ehi, Cecio. Ti porto il solito?» Non potè far altro che sorridere, nell’udire la carezzevole voce di Patrizia e il nomignolo affibbiatogli.
«Ciao, Caschetto. Il solito, sì; non sono una persona che ama i cambiamenti!»
Si sedette al bancone ammirandola, come era solito fare da alcuni mesi. Adorava le sinuose curve del suo corpo, ma quello che lo aveva folgorato fin dal loro primo sguardo erano i suoi occhi espressivi che sembravano sorridergli. In quelle iridi splendenti come il mare, riusciva a vedere il proprio riflesso ed era certo che lei potesse scorgere lo stesso nei suoi cioccolatini.

 
*Quando si ama in maniera profonda qualcuno, una scorza della sua anima coesiste assieme alla tua, ovunque tu ti trovi. Puoi scorgerla solo attraverso i suoi occhi, apparendo migliore di quello che credi, perché quando si guarda con il cuore, tutto appare diverso, più nitido, con colori sgargianti di cui non si conosceva neppure l’esistenza. Il velo che offuscava la tua vista viene strappato con forza, cancellando la cecità opprimente che annebbiava la tua vita.*
 
Trisha posò il bicchiere sul marmo scuro, insieme a una ciotolina bianca di arachidi.
«Manca qualcosa!» affermò con un sorriso sghembo, al quale la ragazza non tardò a rispondere.
Fece il giro del bancone, posizionandosi tra le sue gambe per elargirgli un profondo bacio, intrecciando le braccia dietro al suo collo.
Mai si sarebbe immaginato che dopo Sophie avrebbe amato ancora qualcuno, ma Patrizia era riuscita ad abbattere tutti i suoi muri con la sua spiccata simpatia, la sua enorme dolcezza, ma soprattutto con il suo buon cuore.
Anche Daniele era riuscito a ottenere la sua tanto agognata felicità, ripromettendosi di non dare mai più per scontata la propria donna, corteggiandola ogni giorno, facendola sempre sentire amata.

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Capitolo 53
*** Capitolo 53 - Amore, non è come credi! ***


Annie non poteva credere a ciò che sua cugina le stesse dicendo: quella sera, allo Starlight, ci sarebbe stata anche a Sophie e questo poteva significare solo una cosa, ovvero, che lei e Francesco non si erano ancora lasciati. In parte lo sospettava, ma credeva che quella sciocca avesse più spina dorsale e non capitolasse davanti al bellissimo sorriso di quell’uomo che aveva stregato anche lei; sarebbe dovuta passare al piano B. Sperava di non doversene servire, perché era pieno di incognite e ne bastava una soltanto per rovinarla, ma in quel momento non aveva nulla da perdere.
«Ti devo dire una cosa, ma devi promettermi di mantenere il segreto per qualche giorno… lo puoi fare, Any?»
La mora posò il suo smartphone sul divano per osservare Veronica con gli occhi completamente spalancati.
«Oddio… sei incinta?» chiese trattenendo il respiro, ricevendo in risposta una risata.
«No, cretina; non è niente di così sconvolgente! Vorrei proporre a Sophie di farmi da seconda testimone, ma vorrei farlo con discrezione e non nel caos che ci sarà stasera al bar.»
Annie strinse le mani a pugno per la rabbia; quella frivola ragazza era riuscita a conquistare anche la sua adorata cugina, oltre all’uomo che amava.
“Cos’avrà di così speciale quella sciacquetta, da farsi benvolere da tutti?” si domandò irata.
«Secondo te accetterà?» Il quesito della bionda la riscosse dai suoi cattivi pensieri. Prese un profondo respiro, cercando di ritrovare la tranquillità persa.
«Perché non dovrebbe?» reclamò brusca, alzandosi dal divano.
«Tesoro, potresti prestarmi la tua macchina? Devo fare un salto allo Starlight per controllare alcune cose, in accordo con Matteo.» Ormai dire bugie le riusciva benissimo, ma si sentì lo stesso in colpa per aver mentito a Veronica, l’unica persona di cui veramente le importava qualcosa, oltre a Francesco, ovviamente.
«Quando finiranno le sorprese per me? Sono nello svuota tasche vicino all’ingresso.» Sorvolò sulla risposta brusca data dall’altra, associandola alla stanchezza per il viaggio in aereo.
«Ritorni per cena, vero? Sto preparando le pizze!» Una delle grandi passioni di Veve era la cucina; quando ne aveva la possibilità, preparava manicaretti degni di un ristorante, ma purtroppo, lavorando tutto il giorno, non poteva dar sempre sfogo alla sua arte.
«Potrei mai dire di no alla tua pizza? In che forma uscirà questa volta?» La canzonò, beccandosi un’occhiataccia torva. Le pietanze che cucinava erano sì buonissime, ma sull’aspetto doveva lavorarci un po’ di più. L’ultima volta che aveva fatto quell’impasto aveva preso una forma indefinita, più simile a una specie di albero che a un cerchio, ma la bontà del prodotto finale era comunque notevole.
«Se non la smetti, potrebbe avere la conformazione del tuo volto, visto che stenderò l’impasto direttamente sulla tua faccia!» Rispose indispettita, picchiettandosi il pugno contro il palmo della mano sinistra.
«Ti voglio bene anche io, tesoro; a più tardi!» si congedò in una risata, raccogliendo il borsone che aveva lasciato vicino all’ingresso, per poi avvicinarsi alla Cinquecento rosa di Veronica. Si diresse allo Starlight, ripetendo nella mente il monologo che avrebbe dovuto recitare con Matteo, augurandosi che tutto procedesse come da lei ideato.
Attraversò le porte scorrevoli, notando la tranquillità insolita del locale, dovuta quasi certamente al periodo festivo. Si avvicinò sciolta al bancone, ricevendo un sorriso dal biondo, intento a smanettare con il suo telefonino.
«Ciao, Teo! Giornata tranquilla?» Si sedette su uno sgabello, poggiando gomiti e mani sul bancone, indossando una maschera di finta gentilezza.
«Fin troppo tranquilla; non vedo l’ora di staccare e passare la serata con Giorgia. Ti posso offrire qualcosa da bere?» domandò, rifilando il cellulare nella tasca dei suoi bermuda di Jeans.
«No, ti ringrazio. Sono venuta per chiederti un’enorme favore, perché quello svampito di Giacomo si è dimenticato di chiederti le chiavi del tuo appartamento. In accordo con lui e Francesco, abbiamo organizzato una specie di rinfresco a sorpresa per Veronica a casa vostra, ma non posso entrare ad addobbare la stanza senza le chiavi e Moto è già per strada.» Aveva pronunciato senza alcuna esitazione; avrebbe creduto anche lei alla sua stessa menzogna, per quanto era stata superba in quell’interpretazione.
Matteo la osservò titubante. Gli sembrava strano che nessuno lo avesse avvisato e, soprattutto, chiesto un’opinione, essendo anche casa sua, ma lo associò alla distrazione dei suoi amici in quel periodo, chi perché stressato per i preparativi del matrimonio, chi perché invece aveva preso un volo di solo andata per il pianeta Sophie.
Estrasse le chiavi dalla tasca e le appoggiò sul bancone, di fronte alle dita di una soddisfattissima Annie, che cercò di mascherare il suo ghigno vittorioso, mordendosi il labbro inferiore.
«Grazie, Teo, a più tardi allora!» Si alzò saltellando e uscì a passo spedito verso il parcheggio, pronta a dirigersi verso la sua nuova meta: casa di Francesco.
Entrò nell’appartamento quatta quatta, sentendo lo scrosciare dell’acqua provenire dal piano superiore: Francesco era ancora in casa. Il pensiero dell’aitante corpo del bruno, totalmente nudo, ricoperto solo da piccole goccioline che scendevano lungo il suo corpo, la fece fremere, rimembrando le passionali notti passate nella sua macchina. Avrebbe trascorso altri momenti magici insieme a lui, se solo avesse eliminato quella petulante ragazzina, così allontanò i pensieri carnali, per lasciar spazio a quelli complottistici. Salì in maniera silenziosa, stringendo il suo borsone nero tra le mani, cercando la stanza di Matteo, che riconobbe subito per il meticoloso ordine e per la fotografia sul comodino, la quale lo raffigurava insieme a Giorgia.
Accostò la porta, che per buona sorte era già socchiusa al suo arrivo, e iniziò a spogliarsi, coprendosi con un telo bianco. Nascose il borsone sotto il letto e si accucciò anche lei, sperando che Francesco non dovesse entrare per qualche assurdo motivo in quella camera. Lo sentì mentre si spostava per la casa, fischiettando allegramente, finché la sua voce non risuonò in quelle quattro mura.
«Se lo avessi saputo, ti avrei aspettata per la doccia…» lo sentì pronunciare avvolgente, rabbuiandosi. Era al telefono con Sophie, facendole proposte che quella inetta non avrebbe mai potuto soddisfare, come avrebbe fatto lei.
«Ti aspetto, ho ancora una mezz’ora buona prima di cominciare a lavorare!»
Non sapeva a quale Santo rivolgersi per rendere grazie di quella sfacciata fortuna; la sua nemesi sarebbe arrivata, così avrebbe assistito in diretta alla definitiva rottura tra quei due smielati piccioncini.
Attese impaziente, finché il campanello non trillò e poté udire i passi di Francesco scendere per le scale. Uscì dal suo nascondiglio, dirigendosi nella stanza del bruno e cercando nel suo armadio una camicia da indossare. Ne estrasse una rossa scozzese e la indossò, dirigendosi poi verso il bagno per cercare il suo profumo.
Trovò subito il boccettino di Acqua di Gio e se ne spruzzò un po' addosso, venendo avvolta dalle note fresche e muschiate che sapevano di lui. Agitò i capelli per dar loro un aspetto trasandato, ma che le desse allo stesso tempo un’aria sexy. Si pizzicò le guance così che si arrossassero, dopodiché si avvicinò alle scale, cercando di ascoltare la loro conversazione.
«Resti allo Starlight fino alla chiusura, stasera?» Pose quel quesito in modo carezzevole, scostandole una ciocca dal viso com’era solito fare.
Sophie non ebbe il tempo di rispondere, che una voce acuta, che conosceva bene, la bloccò, gelandole il sangue.
«Tesoro, con chi stai parlando?» chiese scendendo lentamente i gradini, con il solito andamento da gatta. Solo la camicia, allacciata con due bottoni, la copriva, mettendo in bella mostra le lunghe gambe.
«Oh, Sophie… sei tu!» finse stupore, mantenendo la distanza tra i due.
Francesco sbiancò all’istante, captando perfettamente i pensieri che avrebbe potuto fare la sua fidanzata davanti a quella scena.
Si voltò per osservarla, notando i suoi splendidi occhi riempirsi di lacrime.
Sophie si sentì improvvisamente debole: la testa le girava, le gambe le si erano fatte molli e lungo la pelle scorrevano lenti e impetuosi dei brividi raggelanti.
Il suo sguardo passò dal viso della mora a quello di Francesco, fissandolo sconvolta.
«Amore, non è come credi!»

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Capitolo 54
*** Capitolo 54 - Questo è per quello che le hai fatto. ***


Giacomo entrò allo Starlight insieme ai due fratelli Colombo, ricevendo un’occhiataccia torva da Matteo, che decise di fingersi offeso per non essere stato interpellato sulla festa a casa sua.
«Costa, non ti sei dimenticato di chiedermi qualcosa?» Incrociò le braccia al petto e alzò un sopracciglio, storcendo la bocca in una smorfia contrariata.
«Se mi fai questa domanda, significa che c’è qualcosa che avrei dovuto dirti, ma che al momento non mi viene in mente. Direi di farla semplice e saltare i preamboli, arrivando subito al dunque: cosa non ti ho chiesto?» Il bruno si avvicinò all’amico, estraendo una lattina di coca cola ghiacciata dal frigorifero sotto il bancone. La aprì senza distaccare gli occhi da quelli color del cielo del biondo, bevendone subito un sorso per dissetarsi.
I due fratelli si sedettero sugli sgabelli per assistere alla scena, sogghignando divertiti.
«Non saprei, magari di una festa a casa mia e di Moto, per la tua fidanzata, organizzata da Annie?» Si portò l’indice al mento, continuando a osservarlo accigliato; non era realmente arrabbiato con lui, era certo che non l’avesse escluso con cattiveria, ma voleva fargliela pesare, divertendosi alle sue spalle.
Giacomo sembrò cadere dalle nuvole nell’udire quella domanda. Non si sarebbe mai dimenticato una cosa così importante, quindi, l’unica possibilità era che non gli fosse stato detto.
«Non hanno avvisato nemmeno me, se è per questo! Non sapevo nulla…» Posò la lattina semi vuota sul banco.
Mattia, avendo ascoltato l’intera conversazione, decise di chiamare Jessica, così da poter prendere in giro il novello sposo per la sua sbadataggine.
«Ciao, mia dolce Leonessa. So che ci siamo visti solo mezz’ora fa, ma ho bisogno di scoprire una cosa: sono qui allo Starlight, insieme agli altri ragazzi. Matteo dice che a casa sua è stata organizzata una festa per Veve, mentre Giacomo dice di non saperne nulla... vorresti dirmi chi è il cretino tra i due?» chiese ghignando, beccandosi un dito medio dai diretti interessati.
La risposta lo lasciò interdetto per alcuni secondi, per poi riprendersi.
«Merci, mon amour. Je t'aime!» Sussurrò soave. La sua fidanzata aveva uno spiccato feticismo francofano e lui si divertiva a parlargli in francese, per vedere il suo volto contrarsi, mentre le sue iridi si annerivano lussuriose. Sapeva di aver giocato sporco, avendolo fatto per telefono e non in sua presenza, ma era certo che quella notte avrebbe saputo farsi perdonare.
«JJ dice che sono tutte d’accordo di trovarsi qui stasera, ma dopo cena. Matteo, il caldo ti ha dato alla testa per caso?»
Giacomo sfoderò un ghigno trionfante, sorseggiandosi l’ultimo goccio di Cola.
«Ma è stata qui Annie diversi minuti fa e mi ha chiesto le chiavi dell’appartamento, asserendo che tu e Moto sapevate tutto… non capisco!»
I ragazzi si lanciarono occhiate confuse tra di loro. Il biondo estrasse il suo telefonino dai jeans e chiamò Giorgia; voleva vederci chiaro e forse lei avrebbe potuto aiutarlo.
«Ciao, tesoro, toglimi una curiosità: sai qualcosa di una festa a sorpresa, organizzata da Annie a casa mia e di Moto?» Attese la risposta, sotto lo sguardo attento degli amici.
Quando gli disse di no anche lei, si sentì un completo idiota.
«Ma perché mi ha chiesto le chiavi dell’appartamento, allora?» Domandò quasi più a sé stesso che a lei, ma quel quesito, per la sua fidanzata, aveva una risposta.
«E tu gliele hai date?» Chiese su tutte le furie, affrettandosi verso la porta d’ingresso. Era rientrata da poco e si augurò di arrivare a casa dell’amica in tempo. Non sapeva cosa quella vipera avesse in mente, ma era certo che non fosse nulla di buono.
«Cosa dovevo fare, scusami?» Matteo non capiva la sua improvvisa agitazione. Conoscevano da anni quella ragazza; si poteva dire, nonostante il poco tempo passato insieme a lei a causa della lontananza, che fosse una loro amica. Non aveva mai causato problemi, si era sempre comportata correttamente e aveva costantemente dimostrato l’affetto che la legava alla cugina.
«Non dare le chiavi di casa tua a una viscida bastarda psicopatica, per esempio! Ne riparliamo più tardi, ora auguriamoci che non abbia fatto danni irreparabili!» Agganciò senza aggiungere altro, lasciandolo disorientato.
«Beh, vuoi dirci che ha detto?» Chiese incuriosito Giacomo, dando voce anche al quesito dei due Colombo, che ormai si erano interessati alla vicenda.
«Non ci ho capito nulla nemmeno io, sinceramente!»
 
✿..:* *.:.✿
 
Giorgia non suonò nemmeno il campanello dell’amica, per la fretta di accorrere da lei. Conosceva il codice di sblocco del cancellino, ma non lo aveva mai usato, perché le sembrava maleducato irrompere a casa sua senza avvertirla, ma quella era una situazione estrema e di essere educata non le importava.
Salì le scale di corsa, facendo i gradini a due a due e iniziò a bussare energicamente alla porta d’ingresso di Sophie, senza ottenere risposta.
Dentro di sé immaginava fosse troppo tardi, ma si voltò comunque, avvicinandosi alla soglia dell’appartamento. Sentì le loro voci troppo alte per una conversazione normale, così spalancò la porta, trovandosi davanti l’amica in lacrime, Francesco che la teneva per le spalle, con il viso contratto in una smorfia sofferente e Annie, seminuda, che assisteva alla scena sogghignando.
Nessuno si era accorto del suo ingresso, erano tutti troppo presi per accorgersi di lei.
«Sono stata una cretina a fidarmi di te! Lei me l’aveva detto, ma io ho voluto crederti e questo è il risultato. Sono un’idiota!» affermò Sophie tra continui singulti. Si sentiva tradita ancora una volta. Tutti e tre gli uomini che aveva amato con intensità l’avevano imbrogliata, ferendola profondamente; suo padre per primo, disinteressandosi sempre di lei e cercandola solo per un profitto personale. Alberto fu il secondo, il ragazzo a cui aveva donato la sua purezza, il suo primo amore, il quale le era stato infedele, andando a letto con la prima che gli era capitata, calpestando il suo cuore.
Nessuno dei due mali però era confrontabile con quello che sentiva in quel momento. Aveva fatto entrare Francesco nella sua vita in maniera profonda, come non aveva mai fatto prima con nessuno, ricevendo un’ennesima pugnalata alle spalle che aveva trapassato ogni fibra del suo corpo, spezzato ogni muscolo, rotto ogni osso, per arrivare dritto al suo cuore, distruggendolo definitivamente.
«No, Soph, non è successo nulla tra me e lei, te lo giuro!» Francesco era esasperato. Anche lui, al suo posto, avrebbe pensato male, se avesse visto scendere dalle scale di casa sua un uomo seminudo, ma si augurò che il loro amore le sarebbe bastato per credere alla sua innocenza. Quando aveva visto spegnersi i suoi stupendi smeraldi, si era sentito morire. Una fitta nel petto gli impediva di respirare liberamente, mentre lo stomaco era contratto in una morsa dolorosa.
«Certo, è una pura casualità che lei si sia ritrovata vestita soltanto della tua camicia. Ma pensi davvero che io sia così cretina?» Si voltò per andarsene da quelle quattro mura, le quali le sembrarono restringersi ogni secondo che passava al loro interno, accorgendosi di Giorgia, immobile a osservare la scena.
«Gio, posso venire da te?» Le si buttò tra le braccia, cercando in lei un riparo. Era consapevole che quell’abbraccio, per quanto amorevole fosse, non avrebbe potuto lenire le sue ferite, ma in quel momento aveva bisogno della sua migliore amica.
«Certo, tesoro; vai, io arrivo subito!» Sorpassò Sophie per mettersi in mezzo tra lei e Francesco; quest’ultimo cercò di fermarla, ma la bionda lo bloccò, mimando un segno di negazione con il capo.
«In questo momento ha bisogno di sbollire e devo ancora capire se sei sincero o meno…» Lo fulminò con lo sguardo, alzando la mano per interrompere la sua contro risposta. Si voltò verso Annie, con una rabbia ben visibile. Tremava e le pupille avevano inghiottito quasi interamente le verdi iridi, rendendo il suo sguardo minaccioso. Le si avvicinò e le diede un sonoro schiaffone.
«Questo è per quello che le hai fatto!» Avrebbe voluto andare ben oltre, ma si allontanò prima che il suo istinto prendesse la meglio, godendosi però le impronte rosse delle sue dita ben stampate sulla guancia destra della mora.
Prima di uscire si voltò verso il bruno, tenendo ben stretta la maniglia d’acciaio dorato della porta.
«Dalle il tempo di calmarsi e lascia che sia io a parlarle; ti scrivo più tardi, ma per ora non fare nulla, se non vuoi peggiorare la situazione!»
Se ne andò senza attendere un riscontro. Il suo unico pensiero era quello di raggiungere la sua Sophie e aiutarla, per quanto le fosse possibile, a rimettere insieme i pezzi del suo cuore infranto.

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Capitolo 55
*** Capitolo 55 - Inferno o Paradiso? ***


Francesco rimase a fissare la soglia per un tempo indefinito. La fitta lancinante, che gli stava squarciando il petto, sembrava aumentare ogni secondo che passava lontano dalla sua Sophie. A ogni respiro, mille spilli appuntiti gli trafiggevano quel muscolo cardiaco, che fino a qualche mese prima credeva servisse soltanto a pompare il sangue nelle vene. Non aveva mai compreso il dolore delle persone quando soffrivano per amore, credendo che una sofferenza mentale non potesse mai eguagliare una fisica; in quel momento capì quanto si fosse sempre sbagliato. Sentiva chiaramente il sapore amaro e viscido della propria bile salirgli su per la gola, il pizzicorino nella sclera, il quale gli rendeva difficoltoso tenere le palpebre aperte, e un’inspiegabile indebolimento fisico. Con la mente si era allontano da quella stanza, rivivendo i momenti trascorsi con la sua amata; rivide i suoi splendidi sorrisi, così luminosi quando erano rivolti a lui, i suoi smeraldi lucenti, nei quali poteva riflettersi ogni qualvolta si guardavano, poteva percepire persino il profumo fruttato della sua pelle intorno a lui, come se non fosse solo un ricordo quello che li vedeva legati. Non avrebbe mai permesso che tutte quelle sensazioni si trasformassero in mere memorie: avrebbe lottato per il suo unico amore e lo avrebbe fatto all’istante.
Si era dimenticato della presenza della causa dei suoi mali, finché non gli si avvicinò, mettendo le sue luride grinfie sulle spalle del bruno.
«Quella non era la ragazza giusta per te, Moto: quando lo capirai che io e te ci completiamo?» sussurrò carezzevole vicino al suo collo, credendo che il suo caldo respiro gli provocasse i soliti brividi di piacere, ma Francesco sentì solo un profondo disgusto e un’immensa rabbia innalzarsi per tutto il corpo. Prese il polso di Annie con forza, causandole una smorfia di dolore, e se la portò di fronte agli occhi. La odiava con una tale intensità che dovette costringersi a tenere lo sguardo puntato su di lei, nonostante la repulsione che gli aveva provocato.
«Non ho mai alzato un dito contro una donna e non lo farò nemmeno ora! Vattene e non farti più vedere, Annie.»
La spinse lontano da sé, augurandosi che accettasse il suo invito, ma non immaginava quanto potesse essere perseverante.
«Ora sei arrabbiato, lo capisco, ma presto comprenderai che solo io posso assecondare ogni tuo desiderio, ogni tua fantasia… Io sono una donna, lei è solo un’insulsa ragazzina che-» Non riuscì a terminare la frase, perché Francesco la bloccò, mettendole una mano sulla bocca e spingendola contro la porta.
«Non azzardarti a dire altro, Annie, o potrei dimenticare i miei buoni propositi! Tu non sei nemmeno lontanamente paragonabile a Sophie e mai potrai valere un quarto di lei!»
Annie sentì le lacrime scendere incontrollabili, rigandole le gote per fermarsi sulla mano del suo amato, che la stava respingendo. Non poteva credere alle sue parole, né che lui preferisse Sophie a lei.
Francesco si allontanò nuovamente, sentendosi in colpa per la forza usata contro di lei; era colpa sua se in quel momento stava così male, ma era pur sempre una donna e nessun motivo era valido per far loro del male.
«Io ti amo, Francesco. Perché non lo capisci?» chiese urlando, mentre copiose stille le bagnavano il viso. Il bruno emise una risata nervosa udendo le sue parole.
«Amore… tu non sai nemmeno il significato di questa parola, Annie. Non potresti mai far volontariamente del male a qualcuno che ami, come hai appena fatto tu!» Abbassò lo sguardo verso le fughe nere che separavano le mattonelle aranciate del pavimento.
«Io l’ho fatto solo per stare con te, amore mio. Lei ce lo impediva!» Provò ad avvicinarsi a lui, stando ben attenta a non fare movimenti troppo bruschi, come se fosse un cucciolo spaventato, pronto ad attaccare al primo segnale di pericolo. Voleva che lui comprendesse il motivo reale per cui si era comportata in quel modo.
Francesco chiuse gli occhi incredulo; si portò una mano alla fronte, grattandosela quasi convulsamente.
«Lei non impediva proprio niente, Annie. In tutti questi anni non c’è mai stata Sophie di mezzo: non pensi che se avessi voluto costruire qualcosa di più, insieme a te, sarebbe successo prima?»
La mora si sentì colpita dritta nel cuore. Era così accecata dalla sua gelosia nei confronti di quella mora impertinente, che non aveva vagliato l’ipotesi che Francesco non volesse nessun risvolto sentimentale con lei. Era convinta che gli servisse solo del tempo per capirlo, ma la verità era ben diversa: nessun lasso di tempo avrebbe permesso a Francesco di ricambiare quel sentimento che sbocciava dentro di lei giorno dopo giorno.
Fece ciondolare le mani lungo i fianchi, abbassando lo sguardo in modo arrendevole, con il peso di quella consapevolezza che la rese improvvisamente fiacca.
«Non mi avresti mai amata…» Pronunciare quelle parole ad alta voce fu come infilarsi una lama in pieno petto, la quale le perforava ogni organo vitale, provocando una profonda emorragia.
«Addio, Francesco!» Spalancò la porta e si allontanò singhiozzando, scappando lontana dall’unico uomo che avesse mai amato e che era solo riuscita a distruggere con il suo amore velenoso. Se prima era convinta che non avesse mai avuto nulla da perdere, in quel momento realizzò che con le sue azioni rischiava di allontanare l’unica persona che in tutti quegli anni le aveva donato un amore incondizionato: sua cugina Veronica.
Doveva parlarle prima che qualcun’altro l’anticipasse, raccontandole una parte di verità, ovvero quella che la mostrava come la cattiva della storia, anziché la vittima.
Si affrettò verso la macchina di Veve, ingranando la retro per uscire dal parcheggio, dirigendosi a tutta velocità verso casa sua.
Francesco non perse altro tempo, ignorando la continua vibrazione del suo cellulare. Aveva controllato chi lo stesse cercando, solo perché sperava fosse Sophie a chiamarlo, anziché Matteo, seguito poi da Giacomo. Chiuse a chiave la porta di casa e si diresse a passo svelto verso l’appartamento di Giorgia, con un peso sul cuore che gli rendeva difficoltoso mettere un piede davanti all’altro. Persino respirare risultò un’impresa ardua; ogni passo, ogni azione, ogni movimento diventò improvvisamente pesante e difficile.

 
*Quando si è in cima a un immenso grattacielo, si ha una visuale magnifica del panorama che ci circonda. Ci si sente liberi, indomiti, come se nulla potesse scalfire quella invincibilità tanto agognata; non si fanno però i conti con la pericolosa altitudine e con il rischio che una caduta, da un’altezza tanto elevata, potrebbe provocare diversi danni, e fare un gran male!*
 
Premette il pulsante argentato a fianco del cognome Frisi, attendendo che qualcuno rispondesse. I secondi parvero interminabili e Francesco poteva udire chiaramente il palpitare del suo cuore rimbombargli nelle orecchie.
Quando sentì il rumore di sblocco del portone, potè tornare a respirare regolarmente; non si era neppure accorto di aver trattenuto il fiato, mentre aspettava.
Salì con lentezza le scale, camminando meccanicamente fino al secondo piano, ritrovandosi di fronte alla porta verde socchiusa, dove all’interno lo attendeva la sua ragione di vita, pronta a riportarlo in Paradiso o spedirlo direttamente all’Inferno. 
Varcò adagio la soglia, attraversando il piccolo corridoietto dalle pareti bianche, il quale divideva l’ingresso dal soggiorno con cucina; nessuna delle due ragazze era in quella stanza. Si guardò in giro, finché non vide Giorgia richiudersi la porta della camera alle proprie spalle, avvicinandosi rabbiosa verso il bruno.
«Quale parte del “dalle il tempo di calmarsi e lascia che sia io a parlarle” non è stata abbastanza chiara?» chiese in un sussurro, sillabando ogni parola, spingendolo verso il tavolo in legno nero al centro della stanza.
Francesco, assai nervoso, si strinse i capelli tra le dita, abbassando lo sguardo sul parquet scuro, evitando lo sguardo furente della bionda, che aveva incrociato le braccia al petto, battendo il piede convulsamente sul pavimento.
«Come faccio a starle lontano? Devo spiegare a Sophie che non è successo nulla tra me e Annie e quello che ha visto era solo un piano orchestrato da lei, con l’intento di separarci!»
Incatenò le sue iridi scure in quelle verdi della ragazza, sperando che, almeno lei, gli credesse. Giorgia lo osservò attentamente; in quegli occhi poteva leggerci l’afflizione di un uomo che sta soffrendo per la donna che ama, la delusione per la mancanza di fiducia di Sophie e la paura di perdere la persona che aveva cambiato le sue convinzioni sull’amore, portandolo a provare, finalmente, dei sentimenti. La bionda si sentì dispiaciuta per quel povero ragazzo, che in quel momento era lì davanti a lei, completamente inerme, desideroso solo di chiarire con la persona amata.
«Io ti credo, ho già visto di cosa è capace quella stronza, ma non so se Sophie lo farà; saprai anche tu che in passato ha subito diversi tradimenti, in primo luogo da suo padre, senza contare quel bastardo che l’ha presa in giro: credimi, difficilmente ti concederà una seconda possibilità.»
Francesco sospirò frustrato; sentì venirgli a mancare la terra sotto i piedi, mentre ogni sua sicurezza veniva schiacciata dal timore di averla persa per sempre. Stava per perdere un’altra persona profondamente amata, impotente e senza colpe, proprio come era capitato con la morte del padre.
Un leggero sfrigolio ruppe il silenzio, portando entrambi a voltarsi verso la porta della camera da letto, dalla quale ne uscì una titubante Sophie; aveva l’aria distrutta.
Il bruno provò ad avvicinarsi, ma Giorgia riuscì a bloccarlo, tirandolo per un braccio, mentre la mora arretrava di un passo, ritornando nella camera da letto.
«Sophie. Ti prego, non fuggire da me!» pronunciò in uno spasmo sofferente.
«Devo spiegarti! Tu… tu devi ascoltarmi!» emise con più decisione; non poteva permettersi di essere titubante in quel momento, se voleva che lei gli credesse.
Sophie si sentì come davanti a un bivio: da una parte la ragione le diceva di stare il più lontana possibile da lui, quell’uomo a cui aveva donato una seconda volta fiducia e che aveva giocato con i suoi sentimenti; dall’altra c’era il cuore, che la spingeva a correre tra le sue braccia, così che lui potesse lenire le sue sofferenze. Non sapeva cosa scegliere, quale delle due voci ascoltare, a quale delle due dare ragione.
Una lacrima rigò nuovamente il suo volto, dei brividi percorsero tutta la sua pelle. Per Sophie era difficile prendere una decisione; quella voragine che sentiva nel petto, la stava a poco a poco dilaniando, dandole la sensazione di precipitare in un abisso oscuro e senza fondo. Avrebbe voluto chiudersi in un bozzolo, lontana da lui, distante da tutti quanti, così da restare sola, al buio, versando tutto il dolore che aveva in corpo in un pianto lungo e indisturbato.
Doveva però a sé stessa una rivalsa, quella che non poté mai avare con suo padre tanti anni prima, perciò si passò una mano sulle gote per asciugar le stille salate che avevano lasciato una scia rovente e, armandosi di coraggio, uscì per la seconda volta dalla camera da letto, avvicinandosi con lentezza all’amica.
«Giorgia, puoi lasciarci due minuti da soli?» La bionda, un po’ titubante, fece un cenno affermativo con la testa. Osservò i due innamorati, augurandosi che il sorriso potesse tornare sul loro viso, in quel momento, appariva spento e infelice.
«Vado a prendere la pizza…» disse prima di allontanarsi verso la porta d’ingresso, oltrepassandola.
Nella stanza regnò il silenzio più assoluto, disturbato solo dal ticchettare dell’orologio e dal rumore assordante dei loro pensieri, finché Francesco non prese forza.
«Soph, devi credermi, non è successo nulla tra me e Annie.» Cercò di prenderle le mani, ma lei si ritrasse, per poi schiaffeggiarlo.
Il suo viso si arrossò, mentre la rabbia ribollì nel suo corpo.
«Non ti credo, Francesco! Ti sei divertito a giocare con i miei sentimenti, a farmi innamorare, per dimostrare che nessuna donna sa resisterti?» domandò, riversandogli addosso tutta la sua ira. Si sentì una sciocca per aver ceduto alle sue avances; si sarebbe dovuta aspettare che non sarebbe mai potuto cambiare, per lo meno non per lei, che non valeva abbastanza per nessun uomo. Non immaginava quanto si stesse sbagliando.
Il bruno provò a risponderle, ma Sophie non gliene diede modo, anticipandolo.
«Ora che ci sei riuscito, spero che l’appagamento di aggiungere una tacchetta alle tue conquiste, ti scalderà la notte, quando dormirai da solo nel tuo letto.»
Si morse il labbro, per evitare che il dolore nel pronunciare quelle parole la facesse scoppiare a piangere per l’ennesima volta; non voleva dargli anche quella soddisfazione.
Francesco si sentì inerme di fronte alle sue accuse; non immaginava che potesse pensare quelle cose, non dopo ciò che avevano condiviso insieme.
«Sophie, fammi parlare, ti-» ancora una volte venne interrotto dalle urla della ragazza.
«Non mi interessano le tue bugie! Voglio solo che tu sparisca dalla mia vita e non ne faccia più ritorno. Mi fai schifo!» Si pentì subito di aver pronunciato quelle parole, gettate fuori per rabbia, ma era ormai troppo tardi.
Lo schiaffo che gli aveva dato qualche istante prima era nulla, se comparato con il dolore scaturito da quelle parole.
«Soph…» pronunciò il suo nome in un sussurro. Le forze gli erano venute meno, percependo il suo cuore che si sgretolava dentro al petto. Faceva male, molto male.
«Vattene, per favore.» La collera era lentamente scemata, lasciando al suo posto solo la spossatezza e la cocente delusione. Gli diede le spalle, così da evitare di cedere di fronte al suo sguardo, di fronte a quegli occhi che sapevano leggere la sua anima come nessun’altro.
«Non posso: io ti amo, Soph» Calpestò il suo orgoglio provando a insistere, nonostante le continue respinte da parte di lei, che lo portavano a soffrire come solo una volta gli era capitato in tanti anni. L’afflizione non lo faceva riflettere lucidamente, le parole gli vennero meno, l’unica cosa che riuscì a pronunciare senza problemi fu il sentimento che lo legava a lei, quel sentimento che non si sarebbe mai assopito e che le avrebbe voluto ripetere in eterno.
Il cuore di Sophie palpitò nell’udire quella confessione; la sua anima fremeva dall’interno per riunirsi alla sua unica metà, ma la paura la bloccò, facendole rivivere le immagini del suo tradimento.
«Tu non sei in grado di amare!» affermò piatta, senza nessun tipo di emozione, dandogli il colpo di grazia.
Francesco deglutì amaramente, prima di superarla per allontanarsi da quell’appartamento.
Lo sfiorarsi involontario delle loro dita, per Sophie, fu come ricevere una potentissima scarica elettrica. La sua mente si allontanò dal corpo, sentendosi quasi un’osservatrice estranea.
Ogni passo che portava Francesco lontano da lei rimbombava ovattato, come se il suo cervello avesse anestetizzato il corpo per prevenirlo dall’immenso dolore che l’avrebbe pervasa di lì a poco.
Dei due innamorati, non era rimasto che un lontano ricordo; al loro posto, due gusci vuoti agonizzanti, due fantasmi annientati, due anime cadute all’inferno.
Si scambiarono un ultimo sguardo, colmo di sofferenza, ma allo stesso tempo, ricco di amore, prima che la porta bianca li separasse definitivamente.
 
✿..:* *.:.✿
 
Giorgia accostò l’orecchio alla soglia, cercando di percepire anche il più piccolo rumore. Non voleva interrompere la loro sperata riconciliazione, ma non sentiva alcun suono; né urla, né rumori, solo il più assoluto dei silenzi. Abbassò lentamente la maniglia, sbirciando dal piccolo varco, prima di entrare.
«Soph?» Chiamò guardinga, con una brutta sensazione che le stringeva lo stomaco in una morsa ferrea e, allo stesso tempo, le rendeva difficile deglutire. Posò i cartoni della pizza sul tavolo, accorgendosi solo in quel momento della sua ospite accucciata a terra, mentre si stringeva le ginocchia al petto, con lo sguardo perso nel vuoto, in uno stato catatonico.
Le si avvicinò, appoggiando le mani sopra a quelle ghiacciate di lei, per cercare di destarla, senza raggiungere alcun risultato.
«Tesoro, sono qui.» sussurrò mesta, scuotendola un poco, senza mai distogliere lo sguardo dall’amica.
Sophie alzò il viso, puntandolo su Giorgia, con la più assoluta inespressività. Esternamente somigliava a una statua di cera, immobile e inaccessibile, ma dentro di lei il sangue pompava a un ritmo incessante e la sua anima urlava quel nome, sbattendo i pugni contro le pareti che la imprigionavano sotto pelle, mentre il suo cuore si infrangeva in minuscoli parti, impossibili da ricomporre. La sua anima desiderava correre tra quelle braccia che profumavano di casa, per non separarsene più, ma il suo corpo era immobile, giacente sul cocente pavimento, del tutto inerme.
Respirava solo perché il suo corpo lo faceva per lei, guardava l’amica solamente perché era lì davanti e i suoi occhi le si erano fissati addosso, senza però vederla veramente, spettatrice di una tristissima pellicola che in quel momento era la sua vita. Il cervello le sembrava in un momentaneo standby, mentre la sua pelle trasudava sofferenza da ogni poro.
«Tesoro, cosa è successo?» chiese la bionda, senza sapere bene come aiutarla, atterrita per la mancanza di reazione da parte sua, scostandole una ciocca scura dietro l’orecchio. Quel gesto, malauguratamente, riattivò i sensi della mora, facendole rivivere gli infiniti attimi in cui era Francesco a compiere quell’azione, con l’amore che solo lui era in grado di trasmettere in atti così semplici.
Era nel centro esatto di un tornado, il quale proiettava continui ricordi, devastandola. Gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre venne percorsa da forti tremori, e un grido tormentato le si spezzò in gola; Sophie era tornata e avrebbe dovuto affrontare il dolore di quella definitiva separazione, da lei voluta. Si era risvegliata in una esistenza vuota, dove il colore predominate sarebbe stato un freddo grigio, dove la solitudine e il silenzio avrebbero prevalso su tutto, dove nessuna speranza avrebbe potuto sopravvivere e dove l’amore della sua vita non c’era più.
Non aveva mai provato un’afflizione simile, come se qualcuno le stesse schiacciando il petto, stritolandole il suo muscolo cardiaco, infilandole milioni di spilli appuntiti per tutto il corpo. Si sentì precipitare verso il basso, dove sarebbe bruciata nel suo nuovo Inferno personale, da sola, in mezzo alla cenere. Non vedeva via d’uscita da quell’agonizzante delusione; il suo sole si era spento, nessun’alba sarebbe più sorta, nessun tramonto sarebbe più calato, perché quello che le si prospettava dinnanzi era una duratura notte buia, senza la luce delle stelle a illuminarle il cammino, solo un percorso tortuoso e intrecciato di rovi.
Tutto quello che voleva, in quel momento, era dimenticare: dimenticare ogni sua tenera carezza, dimenticare ogni abbraccio, dimenticare i suoi bellissimi e profondi occhi, dimenticare le sue ardenti labbra, dimenticare ogni ti amo, dimenticare ogni momento vissuto insieme a lui, quello che le avevano fatto provare la vera felicità, portandola in Paradiso.

Ma a cosa sarebbe servito cancellare quei ricordi dalla sua mente, se erano incisi indelebili nel suo cuore?

«È finita! È finita! È finita!» ripeteva meccanicamente, come un disco rotto, picchiettando la fronte contro le ginocchia, lasciando che nuove stille salate le rigassero le gote. Non credeva che avrebbe pianto così tanto; nonostante la stanchezza, sembrava che il suo corpo non conoscesse alcun limite, visto che le lacrime cadevano copiose da ore.
Biasimava il suo orgoglio, il quale l’aveva portata ad allontanarlo senza avergli permesso di spiegarsi, senza avergli dato modo di difendersi dalle sue motivate accuse. Ancora una volta si ritrovava divisa in due parti: cuore e ragione che si contrapponevano, combattendo una battaglia ad armi pari, dalla quale solo lei ne sarebbe uscita sconfitta, deturpata nel peggior modo possibile.
Sophie era esausta, oppressa dalle sue paure, dai suoi sentimenti che la portavano perennemente a soffrire, ritrovandosi ancora una volta a combattere contro l’abbandono, a curare da sola delle ferite che sapeva non si sarebbero mai rimarginate. Nemmeno il tempo avrebbe potuto aiutarla, perché, come per suo padre, sapeva che quegli squarci sarebbero stati per sempre lì, ricuciti in qualche modo, ma pronti a farle del male appena i ricordi l’avessero condotta da lui.
«Amica mia, calmati ti prego. Sono certa che tra lui e Annie non sia successo nulla!» Giorgia cercò di riscuoterla. Sophie, alle sue parole, si immobilizzò e tornò a osservarla, stavolta vedendola veramente. Sentir pronunciare il suo nome fu un duro colpo, il quale le artigliò gli organi, smorzandole il respiro.
«Lo difendi anche tu, ora?» chiese in completo affanno. Nei suoi occhi si poteva leggere la richiesta di aiuto nell’essere solidale con lei; aveva bisogno che la sua migliore amica, in quel momento, fosse la spalla su cui piangere, la sua confidente, il suo porto sicuro, invece della sua coscienza.
Giorgia le accarezzò i capelli, dandole poi un bacio sulla fronte, prima di rimettersi in ginocchio davanti a lei.
«Io starò sempre dalla tua parte, ma non voglio vederti soffrire inutilmente. Vai da lui, parlate di nuovo e-». Sophie si alzò di scatto, strinse gli occhi e si tappò le orecchie con le mani, scuotendo la testa. Si allontanò, senza dire una parola, finché non arrivò davanti alla porta che l’avrebbe condotta fuori dall’appartamento.
«Ho bisogno di stare da sola!» Affermò rotta, voltandosi un’ultima volta verso l’amica, per poi uscire.
Una parte di lei, forse dettata dalla speranza, era certa che Giorgia avesse ragione, ma ce n’era un’altra, ben consistente, che diffidava del bel Motolese; non riusciva a pensare con lucidità, si sentiva soltanto affogare in un mare di dubbi e tribolazione, senza riuscire a emergere. L’unica sua certezza, oltre al consistente dolore, era il senso di incompletezza che provava da quando Francesco se n’era andato. Il dolore la avvolse con il suo oscuro manto, trascinandola negli abissi, dai quali non sarebbe più riemersa.
 
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Non seppe neppure lui come fosse riuscito a tornare a casa, ritrovandosi all’improvviso seduto sul divano; l’ultima cosa che ricordava era la delusione negli occhi, non più splendenti, di Sophie. In quelle gemme aveva potuto vedere la sua immagine riflessa scomparire, cedendo il posto a sofferenza e supplizio.
Venne ridestato dalla voce, inizialmente ovattata, del suo coinquilino, inginocchiato sul tappeto davanti a lui, mentre lo scuoteva dalle gambe.
«Ehi, Moto, che cosa è successo?» Nel cielo cristallino delle sue iridi, si poteva leggere tutta l’apprensione nei confronti dell’amico; lo aveva visto solo una volta in quello stato, al funerale dell’amato padre, quando doveva mostrarsi forte per le sue due donne, ma era ben visibile il dolore che lo dilaniava dall’interno.
«Sophie…» sussurrò accorato, con la voce spezzata. Pronunciare il suo nome gli creò un profondo groppo alla gola; quel suono non accarezzava più il suo palato con dolcezza, ma lo forava come un ago appuntito. Portò i gomiti alle ginocchia e nascose il viso tra le mani, premendo con forza le dita sulla fronte, con la speranza che i ricordi, che vorticavano fallaci nella sua testa, potessero cessare, lasciandolo respirare almeno per qualche secondo.
Non avrebbe più sfiorato i suoi lunghi capelli, scuri come l’ebano e morbidi come la seta, non avrebbe più sentito il profumo agrumato della sua pelle pura e soffice, non avrebbe più potuto baciare quelle labbra piene e rosee che amava tanto, non avrebbe mai più sentito il proprio cuore palpitare impazzito mentre facevano l’amore, non avrebbe mai più percepito la sensazione di appartenenza, quella che solo con la sua Khaleesi riusciva a sentire; non avrebbe più avuto la sua casa.
Non si era accorto di quanto quei piccoli dettagli fossero diventati il suo ossigeno, finché il vuoto non aveva preso il loro posto, lasciando solo dei piccoli granelli di ricordi. Sophie lo aveva fatto innamorare con la sua dolcezza, la sua solarità, la sua finta arroganza e la sua testardaggine, abbattendo quelle barriere che lo tenevano involontariamente distante dalle altre persone, issate senza saperlo per proteggerlo dalla sofferenza, rendendolo così vulnerabile e gettandolo poi sopra a delle rovine, utilizzando quelle stesse macerie come arma, ferendolo a morte.
Aveva scoperto cosa fosse la vera felicità e dirompente gli era stata strappata con forza dalle mani, facendolo sprofondare nella più assoluta oscurità. Da quando Sophie era entrata nella sua vita, si era svestito della sua maschera da uomo forte e risoluto, quello che fingeva di essere dalla morte del padre. Solo a lei aveva mostrato le sue debolezze, sentendosi al contempo invincibile, perché credeva che sarebbe stata sempre al suo fianco; solo lei gli aveva insegnato cosa fosse l’amore, quello che va al di la del legame di sangue, mostrandogli il mondo attraverso occhi diversi, facendogli percepire tutte le gradazioni di colore esistenti e soltanto a lei aveva messo in mano il suo cuore, credendolo al sicuro, ricevendolo invece indietro squarciato.
Insieme a Sophie avrebbe camminato su qualunque sentiero, disinteressandosi della meta, perché gli sarebbe bastato il tragitto in sua compagnia, l’unica cosa vera e pura della  sua vita.
Si sentì precipitare in un profondo buio, dove il giorno non sarebbe più sorto senza di lei, che era il suo immenso sole, dove l’inferno avrebbe fatto da padrone alle sue giornate e dal quale non vedeva una via di fuga.
Il petto gli doleva, impedendogli di respirare regolarmente, mentre nella gola era in atto un cocente incendio, il quale non gli dava alcuna tregua. Sentiva la sclera pizzicare, ma nessuna lacrima riusciva a fuoriuscire; quella sofferenza era troppo grande persino per piangere.
Appoggiò la schiena ai cuscini del divano, portando lo sguardo al soffitto e facendo ciondolare le braccia, rivedendo il suo viso sorridente tra le travi; nonostante le parole velenose che gli aveva urlato poc’anzi, l’unica cosa che in quel momento voleva era proprio lei: la sua Sophie.
La amava con un’intensità tale che era impossibile da spiegare a parole, perché non esisteva alcun termine specifico che avrebbe potuto definire l’emozione provata per un semplice sorriso. Si chiese come fosse stato possibile passare, prima di lei, da una donna all’altra, senza un minimo di riguardo, e il pensiero di un’altra nella sua vita, in quell’istante, sembrava impossibile: nessuna sarebbe mai riuscita a eguagliarla, nessuna avrebbe preso il suo posto, perché Sophie, nel suo cuore, era insostituibile.
 «L’ho persa… l’ho persa per sempre!» pronunciò afono senza guardarlo, con gli occhi puntati dentro ai suoi, in quella immagine che la sua mente proiettava, dove il suo sorriso non si era ancora spento e le sue mani erano tese ad accoglierlo.
«Vuoi spiegarmi cosa è successo?» Quella domanda lo distrasse, perdendo anche quel fugace ricordo. Gli raccontò della bravata di Annie, ingegnata per farli lasciare. Matteo sentì lo stomaco contorcersi e un profondo senso di colpa dilaniargli l’anima.
«Moto, è tutta colpa mia; io le ho dato le chiavi di casa, credendo che stesse veramente organizzando una festa per Veronica. È colpa mia se ha potuto insinuarsi nella tua relazione!»
Francesco guardò l’amico sorpreso; era il secondo sguardo in cui leggeva la tristezza prendere il sopravvento, ma con Matteo l’avrebbe combattuta, uscendone vincitore.
«Non è colpa tua; Annie era ossessionata da me, mi voleva a tutti i costi, quindi avrebbe trovato comunque il modo per rovinare la mia relazione. Se solo avessi capito prima cos’aveva in mente, forse avrei potuto dissuaderla…» Era più facile incolpare sé stesso, o Annie o Matteo, ma la verità era un’altra: una piccola parte di lui sapeva che se si trovava in quella situazione era anche a causa di Sophie. Non era riuscita nemmeno ad ascoltare quello che aveva da dirle, credendo ciecamente a un’altra persona, nonostante le dimostrazioni che le aveva provato nel corso dei mesi; a cosa erano serviti i suoi gesti e le parole d’amore, se poi, alla prima occasione, lei ci era passata sopra, dimenticandosene? Un’altra fitta nel petto lo fece gemere.
Si alzò dal divano, avviandosi alle scale che lo avrebbero portato nella sua stanza buia, dove il tramonto aveva ormai lasciato il posto al crepuscolo. Prese tra le mani la piccola cornice che teneva sul comodino, dove al suo interno l’immagine felice di loro, stretti in un abbraccio, lo fece sorridere amaramente; Sophie aveva disegnata sul volto la sua solita smorfia, quella che faceva quando sapeva di essere ripresa e cercava di sorridere; non sapeva che Francesco amava la sua risata imperfetta, ma sincera, perché le illuminava il volto e la rendeva meravigliosa. 
E alla fine una lacrima riuscì a sfuggirgli, seguita da molte altre. La pressione che gli stritolava il petto si allentò con lentezza, una volta che il dolore iniziò a fuoriuscire. Quelle stille salate caddero come pioggia impetuosa sulla loro fotografia, oscurandone i volti, come a volergli ricordare che i giorni a seguire sarebbero stati proprio così: una tempesta che avrebbe distrutto tutti i raccolti, lasciando soltanto una triste sterpaglia.
 
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Scese dall’auto correndo, dirigendosi verso l’abitazione e spalancando la porta senza remore, producendo un fastidioso tonfo che fece sussultare la padrona di casa.
Lasciò cadere le chiavi nel portaoggetti affianco alla porta e, ancora in lacrime, Annie corse verso la cugina e le gettò le braccia al collo, cercando in lei un solido sostegno, l’unico che l’avrebbe potuta aiutare a rialzarsi dopo quella profonda delusione, lei che era sempre stata il suo porto sicuro, la sua casa, il suo Paradiso.
Veronica si preoccupò vedendola in quelle condizioni; ricambiò l’abbraccio, accarezzandole dolcemente i capelli, per poi stringerla forte a sé.
«Tesoro, cos’è successo?» chiese accorata e anche un po’ sorpresa, senza riuscire a nascondere la propria inquietudine.
«Francesco… è sempre stato lui, Veve, è sempre stato lui» singhiozzò affannosa, restando ancorata a sua cugina, con il viso schiacciato contro la sua spalla.
Veronica non comprese all’istante quello che Annie le stava dicendo, ma quando l’ombra del sospetto iniziò ad aleggiare nella sua mente spalancò gli occhi incredula.
«Non stai parlando di Moto, vero?» domandò annodata a causa del groppo che le si era creato in gola, il quale le impediva di deglutire. Annie si limitò a muovere la testa accennando un lieve assenso, stringendo nei pugni la maglietta bianca della cugina per tenerla stretta a sé, terrorizzata all’idea che anche lei si sarebbe arrabbiata non poco una volta scoperto quello che aveva combinato.
Diversi furono gli scenari che si crearono nella mente di Veronica, ma non riusciva a credere che Francesco avrebbe potuto tradire Sophie; una volta non si sarebbe fatto alcun problema a saltare da un letto all’altro, ma crescendo era maturato e aveva capito che collezionare avventure non lo soddisfaceva e soprattutto non lo rendeva felice, non di quella felicità che aveva trovato da quando si era innamorato.
Annie sentì venir meno il proprio sostegno, percependo un enorme vuoto tra il suo viso e il corpo della padrona di casa, la quale aveva preso le distanze indietreggiando.
«Veve, ti prego, lascia che io ti spieghi» balbettò tra i singulti che le ostacolavano la regolare respirazione.
La bionda incrociò le braccia al petto, osservando glaciale quella ragazza che considerava come una sorella; Annie tremò dinnanzi a quello sguardo, conscia che tutte le sue paure si stavano per realizzare.
«Sto aspettando!» rispose austera, tenendo l’azzurro dei suoi occhi ben puntato nel verde dell’altra; uno tsunami da poco risvegliato, pronto a inghiottire il fitto e misterioso bosco, distruggendolo se ce ne fosse stato bisogno.
«Io e Francesco avevamo una relazione, prima che quella serpe me lo rubasse!» Incollerita si ficcò le unghie nei palmi, stringendo le mani a pugno.
«Io l’ho sempre amato, Veronica, nonostante entrambi avessimo la nostra libertà, credevo fermamente che col tempo avremmo potuto creare una famiglia insieme. Con l’arrivo di Sophie, lui ha smesso di vedermi e tutto quello che desideravo l’ha donato a lei: attenzioni, baci, carezze...» sospirò lasciando ciondolare le braccia, abbassando lo sguardo, «amore».
Le lacrime avevano smesso di scorrere, ma il loro passaggio era ancora ben percepibile sulla pelle secca e appiccicosa della mora; passò le dita sulle gote per cercare di cancellare almeno il segno esteriore di quella sofferenza, consapevole che per il suo cuore a pezzi non sarebbe stato altrettanto semplice.
«Annie, che cos’hai fatto?» Il tono caustico di Veronica la colpì come una sberla, mettendola di fronte a un’amara verità: anche lei era affezionata a Sophie, più di quanto avrebbe mai potuto immaginare, e non le avrebbe perdonato quello scherzo.
Iniziò il suo racconto mantenendo lo sguardo ben distante da quello della cugina, puntandolo prima sul divano poi verso la cucina, intrecciando una ciocca d’ebano alle dita in un gesto convulsivo.
Veronica ascoltò incredula il misfatto, il cuore le batteva irregolare nella cassa toracica, rimbombando sonoramente e sovrastando le parole di Annie, le quali sembrarono ovattate. Non riusciva a credere che la ragazza con la quale era cresciuta potesse nascondere tanta cattiveria, che fosse capace di compiere gesti infidi solo per un proprio tornaconto e che non le importasse delle conseguenze catastrofiche causate. Era certa che Il loro legame fosse basato su affetto e sincerità, tuttavia l’aveva tenuta all’oscuro di un sentimento così importante come l’amore; si domandò quanto potesse effettivamente conoscerla e se il loro rapporto fosse vero per entrambe, o un’altra menzogna tessuta negli anni da quelle mani sapienti.
Una volta terminato, solo il ticchettare dell’orologio da parete disturbava il religioso silenzio che si era creato tra loro.
In un movimento che parve meccanico Veronica si voltò, facendo ondeggiare la sua lunga chioma bionda legata, schiaffeggiando l’aria. Si allontanò verso le scale e sparì al piano superiore, lasciando Annie sola; le gambe le cedettero e lentamente si accasciò a terra, con le mani posate sulle ginocchia che si toccavano e lo sguardo perso nel vuoto. La sua paura più grande si era appena realizzata, il viaggio verso l’Inferno era tutto in discesa.
Il bisogno di piangere la stava sovrastando, ma i suoi occhi non volevano collaborare, non volevano aiutarla a sfogare il suo dolore. Iniziò a dolerle la testa, avvertì un fastidioso martellare che arrivava fino alle meningi e terminava alla base del collo, tracciando una dolorosa scia che sembrava volesse punirla per la sua perfidia.
Qualche minuto dopo ricomparve Veronica che stringeva un trolley viola; lo trascinò davanti alla cugina, ricevendo uno sguardo afflitto in risposta.
L’azzurro cristallino dei suoi occhi venne offuscato dallo sconforto e dalla delusione che provava in quel momento per quell’estranea.
Annie ridusse la distanza che le separava e si legò alle lunghe gambe della cugina, in un abbraccio che racchiudeva paura.
«No, Veronica, ti prego, non escludermi anche tu!» La bionda la sollevò rude, tirandola per il braccio.
«Vattene subito da questa casa e non farti più vedere!» Pronunciare quelle parole ad alta voce le fece male al cuore, ma il dolore più grande lo ricevette quando la guardò dritta negli occhi e non vide quella bambina con le treccine e il vestitino bianco sporco di erba, dopo che si erano rotolate nel giardino della loro nonna, non vide neppure la ragazzina che si era nascosta nel suo armadio dopo la separazione dei genitori, spaventata all’idea di cambiare stato, e nemmeno la donna indipendente sulla quale credeva di poter sempre contare e che desiderava ardentemente avere al proprio fianco nel giorno più importante della sua vita; quella di fronte a lei era una persona che non conosceva, con cui aveva condiviso momenti importanti, ma nient’altro.
«Quando i tuoi occhi hanno smesso di riflettere emozioni?» Abbassò le palpebre per trattenere il dolore, ma una volta riaperte fu più decisa che mai: l’accompagnò all’ingresso con fatica, spalancò la porta e la fissò un’ultima volta.
«Addio, Annie!»

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