When Love Takes Over

di vero511
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrival ***
Capitolo 2: *** Meeting ***
Capitolo 3: *** Fear ***
Capitolo 4: *** Matt ***
Capitolo 5: *** St. Regis Hotel ***
Capitolo 6: *** Dinner ***
Capitolo 7: *** Dinner pt. 2 ***
Capitolo 8: *** Work ***
Capitolo 9: *** We'll have fun ***
Capitolo 10: *** Over the limit ***
Capitolo 11: *** Reflections and questions ***
Capitolo 12: *** Research ***
Capitolo 13: *** Shadowing ***
Capitolo 14: *** Surprises ***
Capitolo 15: *** Ring ***
Capitolo 16: *** Hold on to what you love ***
Capitolo 17: *** Upset ***
Capitolo 18: *** Trouble ***
Capitolo 19: *** Contrasts ***
Capitolo 20: *** Lies and Friendship ***
Capitolo 21: *** Allen ***
Capitolo 22: *** Team ***
Capitolo 23: *** The plan ***
Capitolo 24: *** Dress ***
Capitolo 25: *** Fire & Ice ***
Capitolo 26: *** Date ***
Capitolo 27: *** Important ***
Capitolo 28: *** Istinct ***
Capitolo 29: *** Betrayed ***
Capitolo 30: *** Family ***
Capitolo 31: *** The traitor ***
Capitolo 32: *** The fugitive ***
Capitolo 33: *** The truth ***
Capitolo 34: *** Boyfriend ***
Capitolo 35: *** Memories ***
Capitolo 36: *** Alone ***
Capitolo 37: *** Help ***
Capitolo 38: *** No trace ***
Capitolo 39: *** Waiting ***
Capitolo 40: *** Dad ***
Capitolo 41: *** Hell ***
Capitolo 42: *** Restelessness and Hope ***
Capitolo 43: *** Black ***
Capitolo 44: *** Old friends ***
Capitolo 45: *** Let's Go! ***
Capitolo 46: *** Flowers ***
Capitolo 47: *** Take Over ***
Capitolo 48: *** Hurricane ***
Capitolo 49: *** Blast from the past ***
Capitolo 50: *** Snow ***
Capitolo 51: *** Portrait ***
Capitolo 52: *** Future ***
Capitolo 53: *** Links ***
Capitolo 54: *** Change ***
Capitolo 55: *** Charcoal Drawing ***
Capitolo 56: *** No Identity ***
Capitolo 57: *** Spark in the eyes ***
Capitolo 58: *** Mum ***
Capitolo 59: *** Fathers and Sons ***
Capitolo 60: *** The Key ***
Capitolo 61: *** Impossible ***
Capitolo 62: *** Dear Zack ***
Capitolo 63: *** Late Night Conversation ***
Capitolo 64: *** A Shot in the Dark ***
Capitolo 65: *** When Love Takes Over ***



Capitolo 1
*** Arrival ***


La città si muove veloce, forse anche troppo per i miei gusti, ma d’altro canto tutto ciò potrebbe distrarmi dai miei pensieri. Alex piange, probabilmente spaventato dal caos che ci circonda al quale nessuno dei due è abituato. Il nostro taxi è imbottigliato nel traffico: “Tutto nella norma signorina, ci farà l’abitudine” l’autista cerca di tranquillizzarmi e di placare la mia inquietudine. Cullo il bambino tra le mie braccia finché non si addormenta, dando così anche  a me la possibilità di rilassarmi.

Finalmente arrivo al nuovo appartamento, dopo aver pagato l'autista, prendo il mio borsone e con in braccio Alex inizio a salire le ripide scale del condominio. Sembra un luogo abbastanza angusto, con i muri che si scrostano a causa della loro vecchiaia. Il posto è piccolo e tutt'altro che accogliente, ma per ora, è il massimo che posso concedermi. Il mio stomaco brontola e fortunatamente ho avuto la brillante idea di portarmi un piatto di pasta da scaldare. Domani andrò a fare la spesa. Faccio sdraiare Alex sul letto per cambiargli il pannolino e gli do immediatamente il suo orsetto, regalatogli per i suoi due anni.     
                                                                                 
Siamo entrambi esausti dopo il lungo viaggio di oggi, così mi corico sul materasso da una piazza e mezza con il mio bambino accanto a me, che dorme beato. Quando lo guardo, a volte, penso a quanto sarebbe bello tornare ad essere piccola, senza problemi, con la mente sgombra. Poi mi rendo conto che tutto questo non è possibile, perciò non posso fare altro che riportare la mente al mio corpo di giovane donna e occuparmi di chi ha più bisogno di me perché devo essere forte, per entrambi. Indipendentemente dal dolore, dalle persone, da qualsiasi cosa.

Non ho con me molti soldi, ma domani inizierò a lavorare e di conseguenza guadagnerò quanto serve per poter concederci qualche comodità in più. Ho messo da parte qualcosa per la babysitter, non vorrei mai lasciare Alex con una sconosciuta, ma purtroppo almeno per il momento, sono costretta a farlo. Mi hanno assicurato che mi posso fidare di lei, ma nella vita ho imparato che è meglio non fidarsi di nessuno. Mentre sono alla cassa, la donna dietro al banco e le persone in fila con me mi guardano con compassione. D’altronde, loro vedono solo un bambino con gli occhi azzurri in braccio a una giovane con i capelli biondi arruffati, che annaspa nel tentativo di tenere sia la spesa che il figlio. Non riescono e non possono vedere il dolore, la sofferenza e il tormento  che  sono posati sulle mie spalle ormai da lungo tempo. Esco velocemente dal supermercato per sfuggire a quegli sguardi. Non voglio la pietà di nessuno, le lacrime e le parole spese con commiserazione non mi sono utili in alcun modo e rappresentano solamente un peso.
Mentre mi muovo verso casa, sbircio nelle vetrine nel disperato tentativo di trovare un passeggino a poco prezzo. Devo assolutamente risparmiare, ma certe cose sono indispensabili. Alex è un bambino di poche pretese, è contento con il suo piccolo orsetto di peluche e non accenna  a volere altro e io sono grata a chiunque ci sia lassù per avermi donato una così grande gioia. Mio figlio è stata una scintilla nel buio, è come una piccola fiamma che porta calore e luce, ma è ancora debole e io devo far sì che il vento non la spenga.

“Tesoro quello no in bocca!” tolgo immediatamente il pezzo di lego dalle mani del bambino. Stasera verrà a farci visita Kim, la babysitter. Non che conoscendola un giorno prima io possa fare molto, ma non voglio ritrovarmi con cattive sorprese. Mentre Alex dorme e la cena è quasi pronta, ne approfitto per farmi una doccia veloce e darmi una sistemata. Ho solo due abiti buoni e uno mi servirà domani per il colloquio di lavoro. Metto un lieve strato di trucco per coprire le occhiaie causate dalla stanchezza di questi ultimi giorni e sono pronta. Do da mangiare a mio figlio cercando di non sporcarmi per poi preparare anche lui con il completo migliore che ha. Giochiamo insieme sul divano aspettando Kim, la quale arriva con circa cinque minuti di anticipo cosa che mi fa piacere visto che, quando si tratta di bambini di cui prendersi cura, è sempre meglio essere in anticipo che in ritardo. Ha un sorriso dolce, gli occhi verdi e i capelli corti “Buonasera signora Wilson” mi porge la mano. “Oh chiamami pure Ellie, ti prego” Signora Wilson mi fa sentire vecchia e la ragazza che ho davanti avrà solo pochi anni meno di me. “E tu devi essere Alex” il piccolo alterna il suo sguardo confuso tra me e lei. Lo prendo in braccio per rassicurarlo. “Amore, lei è Kim, starai con lei mentre io non ci sono” sposta gli occhi cerulei su di lei e fa un versetto di approvazione. “Posso offrirti qualcosa?” rimpongo Alex tra i suoi giochi e porgo a Kim un bicchiere di succo. Le dico tutto ciò che necessita di sapere su mio figlio e sull’appartamento. Mi spiega che non lontano da qui c’è un piccolo parco con altalene e scivolo dove potrebbe portare Alex e le prometto di procurarmi il prima possibile un passeggino per rendere più veloci e comodi gli spostamenti.

Mi alzo prima che la sveglia suoni, ho dormito poco a causa dell’agitazione per il colloquio. Quel lavoro è fondamentale per me, se riesco ad ottenerlo mi assicurerò delle buone entrate e io ad Alex staremo meglio; in caso contrario, mi ritroverei con un pugno di mosche e dovrò trovare altro da fare, accontentandomi di lavoretti qua e là. Schiocco un bacio sulla guancia di Alex e saluto velocemente Kim prima di uscire di casa. Controllo che nessuno mi veda per scendere le scale senza scarpe in modo da essere più veloce e appena prima di uscire dal portone rindosso le mie decolté. Questo tailleur mi era stato regalato da mia madre dopo il diploma e credo sia il dono più costoso che la mia famiglia mi abbia mai fatto. È rimasto nel mio armadio per anni e questa è decisamente l’occasione giusta per utilizzarlo. Pensare a mia madre, anche solo per un momento, mi ha fatto venire le lacrime agli occhi e visto che sono in largo anticipo, decido di concedermi un caffè per ridarmi energie. C’è uno starbucks all’angolo e mentre aspetto il mio ordine mi reco in bagno per darmi una sistemata, ma quando ritorno, appena prima di allungare la mano verso il mio bicchiere, un’altra mano più grande e abbronzata della mia, mi precede e lo prende. “Scusa, questo è il mio caffè” mi faccio coraggio e sostengo il mio punto di vista. “Sono di fretta e il cameriere laggiù ha detto che questo è il MIO caffè” afferma l’uomo mentre si gira. Rimango spiazzata dalla bellezza del giovane: gli occhi azzurri di ghiaccio sono in netto contrasto con la carnagione più scura della sua pelle, un lieve strato di barba scura come i capelli gli copre la mascella squadrata e pronunciata. “Allora? Posso riaverlo?” la sua voce roca mi distoglie dai miei pensieri e torno in me. Mai cedere a un uomo. O per meglio dire, mai più.   “Come ho già detto, questo è mio e anche io sono in ritardo, quindi se ne ordini un altro” alzo la fonte impettita e me ne vado sorseggiando la mia bevanda calda. Che razza di sbruffone! Bellissimo si, ma pur sempre troppo presuntuoso per i miei gusti.

-N/A-
Buongiorno a tutti! Questa è la mia nuova storia in collaborazione con una mia amica, speriamo tanto che vi piaccia e vi preghiamo di farcelo sapere lasciando magari qualche parolina. Baci.

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Capitolo 2
*** Meeting ***


L’edificio della Evans Enterprise si staglia davanti a me minaccioso. È enorme e le finestre dei vari uffici riflettono la luce del sole accecandomi mentre sposto lo sguardo verso l’alto. Sento il caffè rivoltarsi nel mio stomaco e l’ansia attanagliare ogni singola cellula del mio corpo.  Concentrati Ellie, puoi farcela. Anzi, tu DEVI farcela per Alex.  Finalmente mi decido a entrare e la prima cosa che noto è che la raffinatezza e la maestosità dell’esterno non mancano nelle scrivanie bianche  e lucide, nelle poltrone nere e nei vari impiegati e segretarie che girano indaffarati. Mi avvicino ad una donna mora, molto bella e dall’aspetto severo, ma cortese. “Salve, mi scusi avrei bisogno di un’informazione”. Alza gli occhi su di me e penso che sono dello stesso colore del caffè, cosa che mi riporta subito alla mente il bellissimo, ma assolutamente poco galante, uomo di poco fa. Chissà chi è…credo sia uno degli uomini più affascinanti che abbia mai visto, ma cosa dico! È sicuramente il più affascinante di tutti. “Signorina, mi dica” la segretaria che leggo chiamarsi Jennifer mi riscuote dai miei pensieri. “Oh si, mi scusi. Volevo chiederle se potrebbe indicarmi la sala colloqui” “Certamente, undicesimo piano, terza porta a sinistra” mi sorride e dopo averla ringraziata mi dirigo all’ascensore. È molto grande come è tipico nelle aziende. All’interno è presente un corrimano d’oro e subito mi ci attacco per cercare sostegno. Mi accorgo anche della presenza di uno specchio e ne approfitto per dare una sistemata ai capelli. Al terzo piano le porte si aprono lasciando entrare due uomini sulla trentina che parlottano in modo concitato; si avvicinano lievemente a me quando due fermate dopo, un altro uomo al telefono fa il suo ingresso. Nessuno mi rivolge la parola, sono talmente indaffarati da non accorgersi nemmeno di me. Spero di non diventare come loro, sono sempre stata un’ottima osservatrice e non vorrei perdere questa mia dote. Il numero 10 si illumina e capisco che è arrivato il momento. I miei tacchi fanno rumore sul lucido pavimento del lungo corridoio.  Non mi rendo conto fino in fondo di quanto io sia agitata finché non mi siedo in quella che ha tutta l’aria di essere una sala d’attesa. Ciò che forse mi preoccupa di più e che allo stesso tempo mi da la carica, è il fatto che io non sia sola. Ci sono altre donne che vanno dalla mia età alla quarantina circa e posso supporre che siano tutte qui per il mio stesso motivo. Il nostro colloquio non è semplicemente per avere il posto di segretaria, colei che otterrà il lavoro avrà la possibilità di partecipare fin da subito ad ogni incontro e viaggio d’affari mostrando così le sue capacità, senza contare la straordinaria occasione di avere un appartamento al St. Regis Hotel garantito per tutta la durata del contratto.  

“Signorina Wilson” è arrivato il momento. Mi alzo e liscio le pieghe del tubino, per poi alzare la testa e raddrizzare la schiena.  Una nuova porta è davanti a me e faccio un respiro profondo prima di essere introdotta nella stanza.  SCONVOLTA. Sono assolutamente sconvolta. Seduto su una comoda poltrona di pelle nera si trova quello che dovrebbe essere il mio capo, da me meglio conosciuto come il ladro di caffè. Mi guarda con un sorrisetto beffardo e capisco che mi ha riconosciuta, ha un cipiglio di scherno che gli disegna le sopracciglia. Sono spacciata. Non otterrò mai quel posto, io e Alex finiremo sotto un ponte. E poi, proprio come un lampo, l’idea di mio figlio mi riscuote e mi ricorda uno dei motivi per cui sono qui. Coraggio Ellie, puoi farcela. Anzi, devi farcela. Accanto a lui ci sono altri uomini facenti parte della compagnia; in particolar modo, uno con i capelli bianchi e la voce profonda mi invita ad accomodarmi di fronte a loro. “Buongiorno signorina Wilson”. “Buongiorno” il mio tono esce sicuro e deciso fortunatamente. “Vorremmo porle alcune domande” e detto ciò, a turno, mi chiedono informazioni sulla mia vita e soprattutto sul mio curriculum che sono sicura hanno anche già letto e analizzato per filo e per segno.  “Ci dica, per quale motivo vorrebbe questo incarico o crede di meritarlo?” immaginavo questo quesito, ma ora che mi viene posto con tutta questa serietà proprio dal Signor Evans che mi fissa con i suoi occhi di ghiaccio, il mio cervello si spegne e il panico mi attanaglia. So che il suo obiettivo è quello di mettermi in difficoltà, me l’ha giurato con un solo sguardo al mio ingresso qui, ed è per questo che dalla mia bocca non riesce ad uscire alcun suono.

ZACK’S POV
“Ci dica, per quale motivo vorrebbe questo incarico o crede di meritarlo?” Non voglio mettere a rischio il suo posto di lavoro, non sono così crudele. Ma questa mattina mi ha mancato di rispetto e la deve pagare, porle davanti qualche ostacolo non sarà certo un problema. Dopo la mia domanda la vedo agitarsi: si muove sulla sedia, avvicina le caviglie, muove le mani in modo convulsivo e i suoi occhi azzurri schizzano da una parte all’altra. La prima cosa che mi ha colpito di lei in realtà sono stati i capelli: ho sempre preferito le more perché trovo le bionde troppo scontate, insomma, piacciono a tutti. Ma in lei trovo si adeguino perfettamente al suo viso e la combinazione di occhi azzurri e capelli biondi mi fa pensare ad un angelo. Mi distolgo dai miei pensieri e torno a guardarla: si sta morsicando le labbra carnose in segno di nervosismo. La facevo più audace e sicura, non credevo che per una domanda assolutamente scontata ad un colloquio di lavoro cadesse nel panico. Forse c’è di più in gioco. Ogni mio dubbio viene spazzato via dall’improvviso suono della sua voce.  “Io credo fermamente di meritarlo. So di avere le capacità che richiede, ho studiato molto e mi sono argomentata per arrivare dove sono ora e non ho nessuna intenzione di lasciarmi sfuggire questa opportunità. Io voglio e ho bisogno di questo lavoro.” Sono colpito, ma ancora non mi basta. Voglio di più. “Crede di essere migliore delle altre persone che hanno fatto la richiesta di colloquio? Crede di averne più bisogno?” questa volta la sua agitazione compare solo come una scintilla nei suoi occhi e se ne va alla stessa velocità con cui è arrivata. Ora non guarda più tutta la commissione, punta lo sguardo verso di me e risponde con voce ferma e sicura. “Io non mi ritengo in alcun modo superiore. Semplicemente so di avere le carte in regola per entrare a far parte di questa azienda. Non ho bisogno di farmi dire da lei o dai suoi colleghi se sono qualificata o meno perché so di esserlo. So come funziona qui: ponete domande di cui sapete già le risposte e fate di tutto per mettere in difficoltà noi stagisti, ed è giusto. Anche la vita fuori da questo ufficio funziona così e sappiate, prima di provare a spezzare la mia volontà e la mia determinazione, che io conosco il mondo là fuori meglio di voi. Sto crescendo un figlio da sola e a parte alcuni dati anagrafici, non sapete nulla di ciò che ho affrontato, ma sappiate che non ho visto nessuno nell’altra sala  così deciso come sono io ad ottenere questo impiego. Nell’annuncio parlavate di persone con un carattere deciso, forte e con propensione agli affari. Bene, l’avete davanti ai vostri occhi, quindi mi domando, voi avete propensione agli affari?”

-N/A-
Buongiorno a tutte! Ecco un nuovo capitolo che spero di cuore vi piaccia, vi ringrazio tantissimo per le visualizzazioni. Baci <3

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Capitolo 3
*** Fear ***


Licenziata. Sicuramente verrò licenziata, o per meglio dire, non assunta. Ma che diavolo mi è saltato in mente? Cioè sono sempre stata favorevole alla libertà di parola e di pensiero e nella vita ho imparato che è bene dire sempre ciò che si pensa, però decisamente non era questo il modo migliore. Se io e il mio piccolo Alex finiremo sotto un ponte sarà solo colpa mia. Sono una madre terribile.                                                                                
“Voi avete propensione agli affari?” Davvero ho detto una cosa del genere ai miei possibili nuovi capi, peraltro direttori di una delle aziende più ricche e di successo del paese? Stupida, ecco cosa sono. Maledettamente stupida ed irresponsabile. Non sono più una ragazzina da un po’ ormai. Dovrei aver imparato, a mie spese, che ogni azione ha una conseguenza e ora non posso più permettermi di essere un’adolescente che si fa prendere dall’egoismo e dalla smania di egocentrismo, devo pensare prima di tutto a mio figlio. Il mio gesto avventato ha messo a repentaglio tutto ciò che avevo progettato per dare un futuro alla mia famiglia. Non sono una persona che piange e si butta giù, odio farlo e da qualche anno a questa parte non ho neanche avuto il tempo per crogiolarmi nella disperazione. Ma ora, nel buio della mia camera da letto in cui si sentono solo il respiri tranquilli di un Alex addormentato, non posso fare a meno di lasciare che calde lacrime solchino il mio viso.

È un nuovo giorno a New York e i un lieve sbatacchiare sulla finestra mi desta dal mio sonno senza sogni. Mi sento gli occhi gonfi e pesanti e ripenso all’ultima volta che mi sono addormentata piangendo, ormai è passato molto tempo. Quando mi giro, noto due limpidi occhioni azzurri che mi fissano. Ho sempre ritenuto quel colore lo stesso che assume il cielo nelle giornate di primavera, quando dopo un temporale il sole rispunta e sembra scaldare ogni cosa, compreso il manto su cui si posa. “Mamma” sorride e istintivamente lo abbraccio. “Hai fame?” “Cocolato” grida gioioso. “Andiamo a prendere questo cioccolato allora” mi alzo decisa portandolo con me e gli faccio bere del latte caldo mentre mi preparo, dopodiché preparo anche lui e usciamo alla ricerca di quella tanto agognata felicità.                                                                                              
Mentre cammino sovrappensiero mi scontro con un uomo e sento un forte dolore alla spalla. “Oh mi scusi signorina, spero di non averle fatto male”. Indossa un lungo impermeabile e un cappello, ma ciò che più mi colpisce è l’ispida barba grigia sul mento. “N-no, non si preoccupi”. Una volta assicuratosi di non avermi fatto male, se ne va di carriera lasciandomi interdetta a riprendermi da quello scontro.                                                        
 Ricomincio a camminare spedita verso la caffetteria, ho assolutamente bisogno di un caffè e sicuramente avranno del cioccolato o qualche pasticcino con esso per Alex.

Mi siedo ad un tavolino e mi lascio invadere dal calore di questo posto, fuori fa abbastanza freddo a causa del temporale e nonostante io ami la pioggia, mi rende nervosa essere umida in mezzo al vento che soffia imperterrito. “Cosa desidera?” un giovane cameriere mi si avvicina. “Un caffè e…cosa avete che contiene molto cioccolato?” chiedo ammiccando poi al bambino vicino a me che si guarda intorno curioso. “Una torta della casa, è molto soffice quindi sono sicuro gli piacerà” “Vada per la torta allora” sorrido riconoscente e lo guardo mentre si allontana. Magari ci fossero più uomini così gentili in giro. Forse lo è solo perché viene pagato per esserlo. Dopo tutto quello che è successo, ogni volta che si tratta di un uomo non posso fare a meno di pensare subito male. “Eccomi” il giovane torna con le ordinazioni e non appena vedo il dolce, non riesco a non assaggiarne un pezzo. Alterno un sorso del mio liquido scuro con l’imboccare Alex. “Da solo, mamma” bofonchia con la bocca piena mentre tenta di prendermi la forchetta di mano.

Al termine della nostra “Colazione”, se così possiamo chiamarla, mi dirigo alla cassa per pagare quando il panico si fa strada dentro di me, nel momento in cui, posando le mani all’interno della borsa non trovo il portafoglio. La donna dietro al bancone mi guarda insistentemente facendomi agitare ancora di più. “M-mi scusi solo un momento, sono sicura di averlo preso”. Mi appoggio ad una sedia e rovisto con enfasi alla disperata ricerca di qualche spicciolo. “Serve aiuto?” il cameriere di prima mi si avvicina con aria preoccupata. “Io non riesco a trovare il portafoglio, sono certa di averlo portato con me” sto per avere una crisi isterica. “Stai tranquilla, pago io” si offre gentilmente. “Cosa? No assolutamente” “Davvero non c’è problema, per un caffè e una fetta di torta, non finirò certo sotto ad un ponte” si avvicina ad Amanda, colei che continua ad osservarmi con sguardo torvo. “Dylan ma che diavolo fai? Aiuti le ladruncole?” COSA? “Come mi ha chiamata?” il panico lascia posto alla rabbia che mi invade fino alle punte dei capelli. “La-drun-co-la” mi canzona ancora. Ci guardiamo in cagnesco e veniamo interrotte da una voce maschile. “Cosa sta succedendo qui?” alla mia sinistra ci sono due uomini in divisa che ci osservano con sguardo misurato e attento. “Questa signora non paga” Amanda mostra un sorrisetto beffardo e uno dei due poliziotti mi si avvicina. “Signorina, venga con noi”. “No, un momento la prego mi lasci spiegare! Mi dimeno agitata. “Agente la lasci la prego, è tutto okay. Offro io la colazione alla signorina, ha semplicemente dimenticato il portafoglio sono cose che capitano”. Dylan mi difende, dopodiché un pianto interrompe la nostra conversazione. Strattono il braccio dalla presa del poliziotto e mi avvicino al mio bambino prendendolo in braccio. “Bene bene, cosa abbiamo qui?” “Ha pure un bambino, le sembra questo il modo di dare il buon esempio?” Domanda retoricamente la serpe alla cassa. “Riproporremo questa domanda agli assistenti sociali” risponde l’agente che fino a questo momento non aveva fiatato. Assistenti sociali? No, no, no. Non possono portarmi via Alex. Poi pensando, in un barlume di lucidità mi torna in mente l’incontro, o per meglio dire, lo scontro, avuto poche ore fa. È stato quell’uomo a rubarmi il portafoglio. “Senta agente, c’è stato un errore” traggo un respiro profondo per mostrarmi il più decisa possibile mentre aumento la stretta intorno ad Alex. “questa mattina, mentre venivo qui, un uomo mi è venuto addosso  e mi ha derubata” “Confermeremo la sua versione in centrale, adesso ci segua”. Non oppongo resistenza per evitare di spaventare Alex, così lanciando  un’occhiata di gratitudine a Dylan e una di puro astio ad Amanda, cammino dietro i due agenti.

Sono seduta in una stanza grigia e asettica, la sedia è fredda e fin troppo dura per il mio povero fondoschiena e un uomo non fa altro che farmi domande, dopo avermi assicurata che Alex è in una specie di punto giochi insieme ad un collega. “Signorina, ci risulta che non ha un lavoro fisso e se è vero che è stata derubata, i soldi che possiede in questo momento non sono sufficienti a mantenere sia lei che suo figlio”. La paura mi invade di nuovo, più intensa e minacciosa delle due volte precedenti. “C-cosa significa?” ho la gola secca e deglutire mi causa un enorme sforzo. “Non riteniamo consono che suo figlio resti con lei”.

-N/A-
Buonasera! Ecco un nuovo capitolo che spero di cuore vi piaccia, sarei molto curiosa di sapere cosa ne pensate. So che siamo solo all'inizio, ma sarei felice se sapessi se vi sta paicendo oppure no. Detto questo, ringrazio di cuore tutte quante. Un bacio.

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Capitolo 4
*** Matt ***


"Non riteniamo consono che suo figlio resti con lei" questa frase mi tormenta. Sono stata rimandata nel mio appartamento in attesa di nuove istruzioni, Alex invece è rimasto con gli assistenti sociali. Mi è stato permesso di rivederlo per pochi minuti e mi sono assicurata che stesse bene, ma io non sto bene e soprattutto non starò bene finché non saremo di nuovo insieme. Possono togliermi tutto ciò che vogliono, ma non il mio piccolo: è una parte di me e strapparmelo è un po' come strapparmi la vita. Mi sono state concesse delle ore, o più precisamente due giorni, per trovare un buon avvocato o un lavoro fisso con un contratto di almeno un anno, che mi dia la possibilità di guadagnare un reddito sufficiente a mantenere me e Alex. Nonostante il tempo concessomi, ho due problemi: il primo è che non ho i soldi per pagare un avvocato capace e il secondo, solo con un miracolo potrei trovare un impiego con queste condizioni.
Dovrei riposare, mi sento molto stanca sia nell'animo che nel corpo: questa giornata è stata a dir poco estenuante; iniziare la mattina con un furto, una discussione e un arresto per poi concludere con un lungo interrogatorio in centrale e, colpo di grazia, l'allontanamento forzato da mio figlio. Riformulo. Non è stata una giornata estenuante, è stata una delle peggiori della mia vita. Seppur lo sfinimento mi gravi sulle spalle, non riesco a dormire. Non appena le mie palpebre si abbassano, scorgo nel buio dei brillanti occhi azzurri di un bambino così simili ai miei e sento vibrare nell'aria la sua risata; accanto a me il letto è vuoto e seppur non occupasse troppo spazio, era comunque confortante sentirlo lì, vicino.
I mie occhi si riempiono di lacrime e il respiro si fa subito pesante mentre dei mugoli di dolore mi graffiano la gola. Porto un braccio sulla fronte e cerco di regolarizzare i battiti frenici del mio cuore che si sta via via frantumando, portando con se un dolore antico che speravo di non riprovare mai più.
È tutto inutile, il mio corpo è scosso da spasmi incontrollati che spronano delle gocce salate a rompere gli argini e riversarsi sul mio viso. Mi ritrovo per terra, con i palmi premuti contro il freddo pavimento, la schiena in una lieve torsione innaturale che mi causa un sordo dolore e i capelli che si attaccano selvaggi alle mie gote umide.
 
Sento le tempie pulsare insistentemente mentre mi trascino verso il mobiletto dei medicinali per prendere un'aspirina nella speranza che mi doni sollievo. Migliorarmi almeno da un punto di vista fisico non potrà altro che giovare nonostante il mio stato psichico. Ho un buco allo stomaco e non capisco se sia fame per aver saltato la cena ieri, o se sia nausea che precede un rigetto. Nel dubbio decido di prepararmi un the caldo e mangiare una brioche confezionata giusto per ridarmi un po' delle numerose forza che ho perso. Non posso mollare proprio adesso, ma mi vedo costretta a guardare in faccia la realtà: sono in un vicolo cieco.
Dopo aver fatto colazione opto per una doccia calda in modo da distendere i muscoli contratti delle spalle e riordinare la matassa bionda sulla mia testa che ha ormai preso le sembianze di un nido di rondini. Questo caldo massaggio mi ha sempre aiutata a rilassarmi e spesso porta alla mia mente buone idee. Le rotelle nel mio cervello girano così veloci da farmi dubitare che il vapore che ho intorno sia tutto merito dell'elevata temperatura dell'acqua.
Mi pongo numerose ipotesi, ma nessuna pare funzionare. Quando ho finito di asciugare i capelli e mi risiedo pesantemente sul letto sono giunta ad un'unica conclusione: solo un miracolo può salvare me e mio figlio Alex.
 
UNKNOWN'S POV
Credo che l'indirizzo sia giusto, o almeno spero. È piuttosto lontano da casa mia e questa zona non sembra molto ospitale. Ho davanti a me una palazzina in mattoni, non mi soffermo troppo ad osservare i dettagli e procedo a passo spedito con la testa incastonata tra le spalle per ripararmi dalla leggere pioggia. Ellie Wilson. Dovrebbe essere questo l'appartamento. Suono ma nessuno mi viene ad aprire; nessun rumore proviene dall'interno e giungo alla conclusione che la donna che sto cercando non si trovi qui. Riproverò domani, nella speranza di trovarla il prima possibile. Devo assolutamente comunicarle la notizia.
 
"Allora?" Sta appoggiato alla sua scrivania con nonchalance. "Allora niente, non c'era. Domattina farò un secondo tentativo" mi accomodo su una delle grandi poltrone e mi verso un bicchiere di whisky. "Be forse ti è andata bene amico, almeno avrai una notte per prepararti psicologicamente" mi dice con un sorriso sornione. "Esagerato" lo addito. "Oh, vedrai se esagero! È un bel tipetto". "Se ho sopportato te per tutti questi anni, posso reggere a un breve incontro con una fanciulla". Scoppiamo entrambi a ridere e "brindiamo" alla nostra amicizia.
 
ELLIE'S POV
Sto pulendo la casa con meticolosa attenzione, non l'ho mai fatto in vita mia e mai avrei pensato di farlo, ma a quanto pare è l'unico modo per tenermi impegnata e al tempo stesso scaricare almeno una briciola della tensione che mi manda scariche di adrenalina in tutto il corpo. Credo di aver già bisogno di un'altra doccia e sono anche convinta che questo appartamento non sia mai stato così lindo. Quando è il momento di riordinare i giochi di Alex sparsi accanto al divano una possente onda di malinconia mi travolge e mi riporta con le ginocchia a terra per l'ennesima volta nell'ultimo periodo. È questa la mia fine senza mio figlio? Da sola e con il pavimento come unico amico e sostenitore? Questa non sono io, ma per la prima volta non so proprio come comportarmi. Perlomeno mi do la forza per rialzarmi e rimettermi in moto.
In tutto questo ho trovato un misero "lato positivo": questo piccolo appartamento a primo impatto angusto, si rivela in realtà piuttosto confortevole per un cuore solitario come il mio; le pareti strette tutt'intorno mi fanno sentire in un clima di calore e gli spazi vuoti sono veramente minimi. Poi ripenso alla terribile notte passata a terra piuttosto che sul letto, il quale sembrava non fare altro che  rimarcare l'assenza di Alex, e mi ritrovo non ancora pronta a restare sola.
 
Il campanello suona e mi riscuote dai miei pensieri negativi, lasciando spazio nella mia testa alla curiosità. Quando apro la porta mi trovo davanti un giovane uomo che credo abbia pochi anni più di me. È molto affascinante e i suoi occhi nocciola hanno un non so che di dolce e rassicurante. "Salve" mi ritrovo a dire con le mani che mi tengono saldamente ancorata alla porta. Più lo guardo e più mi convinco che deve aver sbagliato persona. Sicuramente un uomo del genere non può essere qui per me. "Salve signorina Wilson" oh. A quanto pare mi sbagliavo. "Oh perdonami-" passa ad un tono più informale il che non mi da minimamente fastidio, anzi, mi ritrovo a pensare che data la mia salute mentale degli ultimi tempi non sarei in grado di affrontare una conversazione formale. "-Mi chiamo Matt, Matt Smith" mi sorride cordiale e allunga una mano che subito stringo con forza. Il mio sesto senso non fiuta alcun pericolo così un po' della mia inquietudine, generata dall'avere sulla porta di casa uno sconosciuto che conosce il mio nome, si dissipa. "Come posso esserti utile Matt Smith?" "Credo che in questo caso sarò io io ad essere più utile a te" emette una leggera risata e lo guardo confusa. Si schiarisce il tono della voce e riprende a parlare; a mala pena mi accorgo che ritorna a darmi del lei: "Signorina Wilson, sono lieto di annunciarle che lei ha ottenuto l'impiego presso la Evans Enterprise. Tra pochi giorni avrà la possibilità di trasferirsi al St. Regis Hotel".

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Buonasera! Ho il capitolo pronto da questa mattina, ma non ho avuto la possibilità di pubblicarlo quindi mi scuso per il ritardo. Spero tanto che vi stia piacendo la storia e ringrazio tutte di cuore. un bacio.

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Capitolo 5
*** St. Regis Hotel ***


Non credo sia necessario dire quanto io sia felice anche perché suppongo non sia esprimibile a parole. Solitamente non piango di gioia, ma credo anche a causa della tensione accumulata, non posso impedire ai miei occhi di inumidirsi e in un impeto di felicità incontenibile, getto le braccia al collo di Matt. Lui mi stringe amichevolmente, rassicurandomi e subito mi balena in testa l’immagine di mio figlio. “Alex!” mi riscuoto e mi allontano leggermente in imbarazzo per il gesto da me compiuto poco fa. “S-scusami” abbasso lo sguardo; “Figurati, sono contento che ti abbia fatto piacere la notizia” mi sorride facendo spuntare una fossetta ai lati delle sue labbra. “Devo correre in centrale” mi fiondo all’interno dell’appartamento per prendere giacca e borsa, lasciando interdetto l’uomo che si appoggia allo stipite della porta. “Hai bisogno di un passaggio?” solitamente non accetto inviti di nessun genere dagli sconosciuti, ma sono molto di fretta e non vedo l’ora di riabbracciare il mio piccolo. “Ti ringrazio davvero di cuore” sfodero il mio sorriso migliore degli ultimi mesi e chiudo la porta di casa, incamminandomi verso l’uscita del palazzo accompagnata da Matt.
 “Allora, posso sapere cosa dobbiamo fare in centrale?” guida in una  postura rilassata, ma al tempo stesso vigile; è un uomo indubbiamente tranquillo e sicuro di sé, ma senza essere sfrontato. “Devo recuperare una persona, sai, non solo mi hai detto una fantastica notizia, ma me l’hai data anche nel momento in cui ne avevo più bisogno” fremo sul sedile e non riesco a stare ferma, il tragitto fino alla destinazione sembra interminabile. “Alex giusto?” annuisco alla sua domanda per poi rendermi conto che non può vedermi mentre è concentrato sulla strada. “Si, proprio lui”. Non parliamo più nei seguenti cinque minuti e quando arriviamo, apro violentemente la portiera per poi catapultarmi all’ingresso dell’edificio. “Salve sono Ellie Wilson e rivoglio immediatamente mio figlio”. Al diavolo l’educazione, la calma e qualsiasi altra cosa. Questa è la svolta che stavo aspettando e niente e nessuno potrà rovinare questo momento. La donna dietro il bancone mi guarda piuttosto confusa. “Signorina mi ricordo di lei, chiamerò subito l’ispettore capo e gli assistenti sociali, nel frattempo si accomodi” cerca di essere cordiale, probabilmente è consapevole del mio essere una brava persona e capisce quanto io desideri rivedere Alex.

“Signorina Wilson” “Ispettore” rivolgo un cenno all’uomo che ha appena fatto la sua comparsa. “Venga, si sistemi nel mio ufficio.” Lo seguo impaziente e mi siedo su una delle comode poltrone di fronte alla scrivania. Questa stanza è molto accogliente: le luci soffuse, il tappeto persiano ai miei piedi e le librerie poste sui due lati più corti, rendono l’ambiente caldo e in totale contrapposizione con la sala degli interrogatori in cui ero stata precedentemente scortata. “Allora, come posso esserle utile?” assume una postura serena, con la schiena ricurva e le gambe incrociate all’altezza delle caviglie. Nonostante sia il capo, mi sento molto più a mio agio in sua presenza che insieme ai due segugi mangiatori di ciambelle. “Vorrei riavere la custodia di mio figlio, ora sono in grado di soddisfare le condizioni che mi avete imposto” sono sicura di me stessa e questo da motivo di riflessioni all’uomo davanti a me, il quale si dimostra piuttosto incredulo. “In quale miracolo è incappata cara?” il suo tono è ironico, ma non dispregiativo; semplicemente curioso. “Me lo chiedo anche io, mi creda. Qualche tempo fa, ho fatto un colloquio per entrare alla Evans Enterprise. Ebbene, mi è stato riferito poco fa che ho ottenuto il posto” sono fiera di me stessa e lo lascio ben intuire dalla mia voce che si spinge oltre le mie labbra in modo deciso e con una punta di orgoglio. “C’è qualcuno o qualcosa che può attestarlo?” “Ehm..si! Certamente!” mi alzo con uno scatto e la sedia rischia di ribaltarsi. Mi guardo intorno per un momento, raccapezzandomi del fatto che ho lasciato Matt indietro. Accidenti. “Solo…solo un momento la prego, è qui fuori, lo vado subito a chiamare” senza dare il tempo all’ispettore di rispondere, corro a chiamare il mio portatore di buone nuove che fortunatamente è seduto in sala d’attesa. Sono consapevole di sembrare una pazza agli occhi di chiunque e sono anche consapevole di passare per una maleducata iperattiva, ma in questo momento, finché non rivedrò Alex, non potrò tranquillizzarmi. “Matt!” mi si avvicina velocemente, come se avesse avvertito la mia necessità, così gli prendo un polso il più delicatamente possibile e lo scorto fino all’ufficio. “Ho bisogno che tu comunichi all’Ispettore che ho ottenuto il posto di lavoro”. 

Matt ha firmato dei documenti per testimoniare il suo intervento, ed ora stiamo aspettando, in quello che sembra uno spazio ricreativo, che gli assistenti sociali mi portino Alex. Eccolo. Le sue piccole manine si tendono verso di me e un sorriso raggiante illumina il suo volto mentre lo prendo in braccio e lo stringo come forse non ho mai fatto in vita mia. “Piccolo mio, finalmente.” “Mamma” mi chiama mentre porta le braccia paffute intorno al mio collo. “Si, ora sono qui e non ti lascio più. Te lo prometto.” Sussurro queste parole in modo che questo momento e questa conversazione siano solo nostri e anche se sono ben consapevole del fatto che lui non possa comprendere appieno il significato delle mie parole, so che nel suo cuore, entrambi siamo consci che d’ora in poi niente e nessuno potrà più dividerci.

MATT’S POV
Un bambino. Alex è un bambino, suo figlio; e io che pensavo che stessimo per prendere suo marito o chi altri. Non credevo fosse già madre e nonostante io sia ancora piuttosto confuso, vederli insieme mi riempie il cuore. Non sono particolarmente sensibile, ma non ho mai assistito a una scena simile e considerando questa strana situazione in cui mi sono trovato immischiato, sono certo che Ellie Wilson non è una ragazza comune e ha davvero bisogno di lavorare per Zack. 
Li riaccompagno al loro appartamento con molto piacere e durante il tragitto, non posso fare a meno di notare quanto i loro occhi siano simili; di un azzurro intenso e vivace, pieno di vita. “Ellie, ho le chiavi della tua stanza al St. Regis, perché non prepari le tue valigie?” “Mi stai dicendo che ci possiamo trasferire immediatamente?” le brillano gli occhi, mentre Alex alterna il suo sguardo tra noi, inconsapevole di ciò che sta succedendo. “Certo, se mi lasci fare un paio di telefonate poi potrò darti una mano”. Annuisce contenta e la vedo correre al piano superiore, nel frattempo compongo il numero di Zack: ”Ehi amico, missione compiuta, pensavo di portarla al St. Regis per mostrarle la sua nuova abitazione, più tardi passo da te per una birra” “Perfetto, a stasera”  nonostante il tono sbrigativo, c’è una punta di complicità nella sua voce, così ripongo il telefono nella giacca e vado ad aiutare Ellie.

ELLIE’S POV
Sono davvero molto emozionata, non posso credere che tra poco mi trasferirò in quel posto paradisiaco. Solo a pensarci mi viene la pelle d’oca. Suppongo che a fine giornata sarò distrutta a causa delle numerose pieghe che ha preso la mia vita in  così poche ore. Matt si rivela gentilissimo e sono riuscita praticamente a costringerlo a farsi offrire almeno una pizza come ringraziamento per il suo aiuto. Non posseggo molto, ma trasportare scatole e borse fino al piano di sotto, mentre tento di calmare Alex che piange disperatamente da circa una quarto d’ora, non è facile. Una volta in macchina, mi cimento nella spiegazione di ciò che sta accadendo al bambino che mi guarda stralunato, con gli occhioni rossi e gonfi. “Amore, va tutto bene, questo signore si chiama Matt ed è un amico della mamma” non è facile fargli capire la situazione, ma per ora l’importante è che si tranquillizzi. “Adesso stiamo andando nella nuova casa, sono sicura che ti piacerà tanto” gli lascio un bacio sulla fronte e quando riporto lo sguardo sulla strada, noto con sommo piacere che siamo arrivati. Davanti a noi sono presenti le due porte d’ingresso, con tanto di scalinate e tappeti rossi. Matt lascia le chiavi della macchina a un uomo e mi fa segno di entrare insieme a lui, dicendomi che i miei bagagli saranno scortati direttamente nell’alloggio. 
La hall è interamente bianca e oro, con qualche dettaglio rifinito in nero; sopra la mia testa pende un lampadario che ha un’aria molto preziosa e raffinata. “Buonasera signori, come posso esservi utile?” una giovane donna vestita di tutto punto, con i capelli stretti in uno chignon ci accoglie con un sorriso smagliante. “Matt Smith, ho un prenotazione per una suite a nome di Zack Evans” lascio la parola al mio accompagnatore, quando sento citare il mio futuro capo, un brivido mi sale lungo la schiena. Due penetranti occhi color del ghiaccio mi balenano nella mente e il mio cuore perde un battito, mentre nella mia mente scatta una scintilla di rabbia al ricordo di quell’essere spregiudicato. A quanto pare non sono l’unica su cui quell’uomo ha un certo effetto, dato che al solo udire il suo nome, anche la receptionist ha un sussulto. Timore e ammirazione compaiono nei suoi occhi scuri e la sua schiena si raddrizza. “Se volete accomodarvi, i suoi bagagli arriveranno immediatamente” abbassa il capo in segno d rispetto e Matt la ringrazia cordialmente.                                                       Ci dirigiamo verso l’ascensore e non c’è differenza tra me e mio figlio: siamo ammaliati dalla sfarzosità di tutto ciò che ci circonda e non possiamo fare a meno di continuare a guardarci intorno estasiati e curiosi. “Devo dedurre che vi piaccia” Matt mi fa un occhiolino giocoso e una risata leggera accompagna le sue parole. “Decisamente, anzi, è anche fin troppo per noi” so che il guardaroba è fornito di abiti adatti al mio nuovo lavoro, quindi suppongo che potrò integrarmi in questo ambiente in modo adeguato e non nelle sembianze in cui mi trovo al momento: ovvero jeans scoloriti  e maglione sgualcito. 

Quando le porte dell’ascensore si aprono, davanti a noi si estende una suite magnifica: i divani hanno sedute rigonfie e con numerosi cuscini, le finestre sono ampie e con morbide tende ai lati, il tavolo da pranzo è spazioso e intagliato in un legno pregiato, il bagno è interamente in marmo, le salviette morbide profumano di fresco e tutte le superfici risplendono. L’eleganza è sottolineata dai toni neri e bianchi incrociati e alternati che si susseguono in ogni stanza e quando giungo nella camera da letto, non posso fare altro che innamorami all’istante di quell’enorme materasso posto esattamente al centro. A quanto pare non sono l’unica ad apprezzarlo, dato che Alex lo indica immediatamente e non appena Matt se ne sarà andato, entrambi faremo un bel salto in quella piscina di cuscini. “Allora, cosa te ne pare?” “È…straordinaria!” “Ottimo, allora per qualsiasi cosa, accanto alla televisione ci sono i numeri della reception, il mio e quello di Zack. Se hai problemi non esitare a chiamare. Adesso vi lascio, immagino sarete stanchi. Domattina ti saranno date istruzioni e avrai il tempo di ambientarti, ora puoi ordinare qualcosa dalla cucina e ti sarà portato. Buona serata” mi lascia un bacio sulla guancia e dopo aver salutato anche Alex, se ne va. Io e il bambino ci buttiamo sul letto: non posso fare a meno di sorridere mentre sprofondo tra le calde coperte del favoloso king size che occupa gran parte della mia nuova stanza.

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Buongiorno fanciulle, ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia. Siete molto silenziose, ma vedo che le visualizzazioni ci sono e non sono neanche poche, quindi grazie di cuore a tutte. Baci.

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Capitolo 6
*** Dinner ***


Mi alzo quando è ancora presto, Alex dorme profondamente e così ne approfitto per sistemare i nostri pochi bagagli. Perlustro velocemente la suite, soffermandomi con più attenzione su alcuni punti come ad esempio la piccola cucina presente. Naturalmente abbiamo a completa disposizione il servizio in camera, ma i fuochi e un frigorifero in miniatura sono sempre utili, soprattutto quando si vive con un bambino. Mi limito a rinfrescarmi il viso, aspettando che Alex sia sveglio per poter fare una doccia. Durante la mia esplorazione incappo in una cabina armadio magnifica: non è particolarmente grande, ma pur sempre spaziosa e ben organizzata; al suo interno sono presenti alcuni completi eleganti come due abiti da sera, un paio di tailleur e delle scarpe con il tacco. Non è molto, ma hanno l'aria di essere molto costosi. Probabilmente sono messi a mia disposizione dal capo in persona, in modo che io mi possa presentare insieme a lui ad eventi importanti, degna di essere in compagnia di persone di così alto rango. Decido di ordinare la colazione, cosicché quando Alex si sveglierà, non dovrà aspettare. Non voglio viziarlo e non voglio che questo lusso che ci circonda lo condizioni negativamente. Farò in modo di continuare a vivere nella maniera più modesta possibile, trasmettendogli non solo ricchezza in senso pratico, ma una ricchezza di valori che gli saranno utili per tutta la vita.
"Mamma" lo prendo in braccio quando sento il suo richiamo e con un sorriso sincero spunta sul suo volto facendo increspare i lati dei suoi occhioni azzurri. La caratteristica che più amo dei bambini è l'essere veri in tutto ciò che fanno o dicono. Sono spontanei, non mentono come gli adulti, non nascondono nulla. Semplicemente quando sono contenti ridono, quando sono tristi piangono, se hanno paura invocano le madri e se sono arrabbiati pestano i piedi. Non si prolungano in sotterfugi, falsità e mistero, le loro anime sono pure e genuine. Tra poco arriva il latte caldo" Alex è praticamente la mia stufetta portatile, è bellissimo abbracciarlo e sentire il suo calore, tanto più per una persona freddolosa come me. Appena pronuncio la frase, un leggero bussare richiama la mia attenzione. Un giovane, che dai lineamenti suppongo essere asiatico, mi si presenta davanti con un carrellino "Servizio in camera signorina" è molto cordiale, così gli faccio spazio per farlo entrare. "La ringrazio" gli sorrido, "Spero sia di vostro gradimento" detto questo, se ne va. Quando scoperchio la mia colazione, il mio stomaco comincia a brontolare e la mia salivazione aumenta al sentire il profumo delle calde brioches e del caffè. Credo che per me e Alex questa sia una delle migliori colazioni di sempre; e non mi riferisco solo al piano culinario, ma sia io che mio figlio riusciamo ad assaporare finalmente un briciolo di tranquillità e spensieratezza dopo le numerose burrasche che abbiamo affrontato.

Passo la mattinata a prendere dimestichezza con la mia nuova abitazione e a giocare con Alex, poco prima dell'ora di pranzo vengo interrotta da una telefonata. "Pronto" "Ciao Ellie, sono Matt" "Matt! Che piacere sentirti, come posso aiutarti?" "Veramente sono stato incaricato di informarti che questa sera sei invitata ad una cena con i soci dell'azienda" "Oh..." Mi ha colta leggermente alla sprovvista. "Io...come faccio con Alex?" non credo di poter chiamare Kim con così poco preavviso. "Tu pensa a preparati, faccio un paio di telefonate per trovare qualcuno di affidabile" Io e Matt diventeremo degli ottimi amici, credo e spero. Insomma, mi piacerebbe molto avere un supporto come lui nella mia vita; ci conosciamo da meno di 48 ore e già sento di poter fare affidamento su di lui. "Grazie Matt, sei un angelo. Prima o poi mi sdebiterò" chiudo la telefonata e il panico improvvisamente mi attanaglia. Che accidenti dovrei indossare? Sarà una cena di classe con persone altrettanto raffinate. Cerco in tutto l'appartamento qualcosa che mi possa essere d'aiuto e mentre la disperazione mi assale, capisco che  c'è una sola cosa da fare: chiamare Matt.

"Perché non ti fai un bagno caldo mentre io gioco un po' con Alex?" l'uomo si avvicina al bambino e gli si siede accanto. Ridacchio nel vedere come la sua camicia bianca si spiegazzi e i suoi pantaloni si sollevino mostrando le calze a rombi. "Sono così buffo?" "Abbastanza" scoppiamo entrambi a ridere mentre il bambino ci osserva spaesato. "Ora vai subito a prepararti o farai tardi" "Ma se mancano più di due ore" sbuffo sonoramente. "A voi donne non basta mai il tempo per prepararvi per uscire". Avevo proprio bisogno di rilassarmi sotto il getto di acqua calda che come al solito, riesce a distendere i muscoli irrigiditi del collo e della schiena. Ho monopolizzato il bagno e mentre asciugo i capelli, i sensi di colpa per aver sfruttato così Matt mi assalgono. Credo di essere stata investita da troppi eventi in troppo poco tempo; non ho nemmeno un momento per realizzare a pieno cosa mi stia accadendo, che subito altro prende il sopravvento. Ribadisco, avevo proprio la necessità di un sostegno fisico e morale come l'uomo che ora sta giocando con mio figlio nell'altra stanza.                    

Non sono stati messi solo degli abiti a mia disposizione, ma anche dei prodotti per il make up che spero di riuscire ad utilizzare al meglio. Non voglio esagerare così do giusto un po' di colore alle guance e passo del mascara per ravvivare lo sguardo, del lucidalabbra e completo il mio lavoro. Raccolgo i capelli in uno chignon lasciando libero solo il ciuffo che porto di lato, in questo modo restano in bella vita degli orecchini dall'aria piuttosto preziosa, anch'essi trovati nel portagioie della camera. Infine posso passare all'abito che ho scelto poco fa: bianco, lungo fino alle caviglie con un profondo spacco e una scollatura. Ai lati della parte superiore sono posti dei dettagli in nero e in argento, motivo per cui abbino delle scarpe dello stesso colore di quest'ultimi. Spero di non risultare eccessiva; nonostante si possa ritenere molto accattivante come look, non mi sembra assolutamente volgare. Per sicurezza chiederò consiglio al mio angelo custode, Matt. "Allora, cosa te ne pare?" faccio un giro su me stessa e poi lo osservo in attesa. "Wow" è l'unica cosa che dice prima di deglutire e fermare qualsiasi suo movimento. "Bella mamma" farfuglia Alex sorridendo e allungando le braccia paffute verso di me. Gli lascio un buffetto tra i capelli e torno a guardare Matt. "Chi starà con lui mentre io sarò via?" l'istinto materno torna ad avere il sopravvento su di me. "Io" sono felice e scossa al tempo stesso: sono sicura che mio figlio sia in ottime mani, ma io come farò da sola? Do voce ai miei pensieri. "Non preoccuparti. La cena si svolge nella sala dell'hotel, sarai scortata da un cameriere e al tuo ingresso verrai annunciata così che Zack possa poi introdurti ai soci". Zack. Accidenti. Mi ero dimenticata che ci sarebbe stato anche lui. Al solo pensiero mi sale il nervoso. "Perfetto, sarà meglio che vada allora. Per qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi" gli sorrido per non dargli ulteriori pensieri e gli lascio un bacio sulla guancia in segno di ringraziamento. "Lo farò e...Ellie? Stai tranquilla e cerca di goderti la serata" annuisco e chiudo la porta alle mie spalle.

Già dal corridoio sento un vociare sommesso e un gustoso profumo di cibo. All'ingresso della sala trovo un uomo in un completo elegante:" Signorina?" "Wilson". Non appena vengo annunciata, tutti i presenti si voltano verso di me e mi osservano insistentemente. Mi sento a disagio e quando scorgo Zack, capisco di dovermi avvicinare al suo tavolo. Lentamente e cercando di mantenere la testa alta, proseguo tra le occhiate e i borbottii di coloro che mi circondano finché non incontro i suoi occhi: dello stesso colore del ghiaccio, ma in grado di farti sciogliere completamente sotto la loro attenzione. Se nella mia stanza pensare a lui mi faceva montare la rabbia, ora averlo davanti mi crea un forte nervosismo e agitazione. Il completo elegante che indossa lo rende ancora più affascinante di quanto non sia e lo sguardo magnetico che mi rivolge fa sussultare il mio cuore. Mi scruta con molta attenzione per poi allungare una mano e prendere gentilmente il mio polso per avvicinarmi al resto della compagnia che si sta apprestando ad accomodarsi. Al contatto con il suo, il mio corpo freme istintivamente: nell'aria è presente un'innegabile attrazione fisica che ci attira come magneti. I nostri occhi si incrociano e non si sciolgono per vari minuti, fino a che uno dei soci non mi si avvicina ulteriormente per presentarsi. Sono quasi tutti uomini sulla cinquantina, alcuni hanno un aspetto severo, altri mi guardano lascivamente e altri ancora sono dei veri e proprio bonaccioni. Mi hanno fatta sedere tra Zack e un signore con due grossi baffi e le guance paffute, pare sia uno dei membri più anziani e uno dei più in gamba. Comprende fin da subito che sono piuttosto a disagio, così mi intrattiene con aneddoti divertenti e barzellette. Più la serata procede, più riesco a tranquillizzarmi e forse ciò è dovuto anche al fatto che Zack non mi sta prestando la minima attenzione ed io sto facendo lo stesso con lui. Mentre gusto il dessert una goccia di gelato al cioccolato cade fortunatamente sulla mia coscia scoperta dallo spacco. Sto per pulirmi con il tovagliolo quando una mano mi precede facendomi avvampare. "Dovresti stare più attenta" la voce roca di Zack manda i miei neuroni in tilt, ma fortunatamente riesco a riprendere un briciolo di contatto con la realtà. "E tu non dovresti allungare le mani, maniaco" lo scosto in malo modo e riporto la mia attenzione davanti a me impettita. "Bada a come parli signorina, io sono il tuo capo e posso farti tornare in quella topaia in cui abitavi in meno di un secondo". Un brivido di terrore scende lungo la mia schiena. Non so esattamente cosa rispondere, ma proprio non riesco a stare zitta e tranquilla... il mio telefono squilla improvvisamente e subito lo porto all'orecchio. "Ellie, sali immediatamente" La voce preoccupata di Matt non lascia spazio a dubbi o esitazioni. Subito mi allontano dal tavolo sotto gli sguardi curiosi dei commensali, per poi fiondarmi al piano superiore. -N/A - Buongiorno mie adorate! Eccoci con un nuovo capitolo che spero tanto vi piaccia, vi ringrazio di cuore per tutto e colgo l'occasione per annunciarvi che mi è balenata in testa l'idea di creare una pagine o un gruppo chiuso su Facebook in modo da poter restare in contatto con voi, cosa ne pensate? Un bacio e alla prossima.

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Capitolo 7
*** Dinner pt. 2 ***


Non sento più nulla, rallento solo per togliermi distrattamente le scarpe così da facilitare la mia corsa. Maledico l’ascensore per questa attesa straziante e sbuffo sonoramente mentre il panico si fa strada dentro di me. Quando le porte si aprono sull’attico mi faccio strada all’interno della stanza seguendo il pianto a dirotto di un bambino. “Ssh piccolo, tranquillo” Matt tiene in braccio Alex cercando di tranquillizzarlo. “Oh Ellie” ha un’aria piuttosto spossata, prendo il bambino e lo guardo in attesa. “Ha iniziato a piangere e mi sembra che scotti, penso abbia la febbre. Non ti avrei chiamata per un po’ di influenza, ma credo che se continua a piangere, si alzerà”. Poso le labbra sulla fronte di Alex e confermo le parole dell’uomo. “Hai fatto bene, potresti prendere del latte caldo? Vado di là per cercare di farlo addormentare”. Sono leggermente più tranquilla ora, conoscere il problema mi dà più controllo sulla situazione. Ciò non toglie però, che è assolutamente necessario calmare le lacrime, altrimenti si aggraverà e davvero dovrò preoccuparmi. Passeggio per la camera quando Matt arriva.

“Tieni, mi sono fatto portare anche della tachipirina in gocce così puoi metterla nel latte” mi porge il biberon e dopo averlo ringraziato, cerco di farlo bere tutto al bambino.
Dopo un’ora buona , sono finalmente riuscita a farlo addormentare. “Sta meglio?” Matt sembra molto preoccupato e ciò mi intenerisce. “Per ora si, tranquillo. Vedrò come trascorrerà la notte e deciderò domani come muovermi” mi siedo vicino a lui sul divano. “Matt, grazie di tutto davvero.” Posa una mano sulla mia. “Ellie, per me è un piacere aiutarti”. Ci guardiamo intensamente negli occhi. Nessuna scarica, nessun brivido. Solo la consapevolezza di avere davanti una persona magnifica che, sono sicura, avrà un ruolo importante nella mia vita d’ora in poi.

ZACK’S POV
Sto ascoltando i soci da almeno un quarto d’ora e, nonostante ammiri molti di loro per la grande carriera e prestigio che hanno alle spalle, non posso fare a meno di essere annoiato. Mi guardo intorno scrupolosamente per cogliere al meglio spacchi e scollature delle graziose donne che mi ronzano attorno. Alcune di loro sono senza ritegno, dati gli sguardi maliziosi che mi lanciano e l’insistente mordicchiarsi le labbra rigonfie grazie alla chirurgia estetica. Un paio di settimane fa, una rivista mi ha considerato come uno degli scapoli più affascinanti della zona: ciò non mi ha lasciato particolarmente colpito, ma a quanto pare la notizia ha fatto breccia nella mente di numerose signore che, dopo avermi a lungo detestato per diverbi di lavoro con i mariti, si sono improvvisamente interessate a me e ai miei soldi.                                                       
La maggior parte delle presenti, porta un trucco pesante, o chi non ama l’alternativa, ha pensato bene di passare direttamente alla plastica pagando i migliori chirurghi di New York. Indubbiamente ci sono delle prede appetitose, ma in cuor mio, non posso fare a meno di essere stufo di questa monotonia. Le donne qui presenti, servono solamente a sfamare i miei bisogni puramente fisici e nulla di più; nessuna di loro può essere ritenuta degna di avere un maggiore confronto con me. O forse una c’è. Sto per rispondere alla mia coscienza, quando la vedo: l’abito bianco le fascia perfettamente ogni curva, posandosi morbido sui fianchi per poi ricadere sulle gambe. Appena fa un passo in avanti, il vestito si apre mostrando lo spacco che arriva fino alla coscia. Istintivamente mi mordo il labbro inferiore lasciando salire lo sguardo sulla sua figura. La profonda scollatura lascia intravedere la pelle chiara del petto e non posso fare a meno di pensare che, nonostante siano molte le parti del suo corpo lasciate in vista, non sia assolutamente volgare; anzi, ha un fascino piuttosto innocente e puro e questo non fa che accendere ancora di più il mio desiderio. È una donna piuttosto semplice, anche se con l’abito di stasera mi ha stupito: ho in parte scelto il guardaroba che le è stato messo a disposizione e anche se ho buon occhio e sapevo le sarebbe stato bene, non credevo lo mettesse mai. Abbiamo avuto modo di incontrarci solo due volte, ma mi sono state più che sufficienti per capire che tipo di persona è. Non si lascerà abbindolare come le altre, anzi, mi darà del filo da torcere e se da una parte questo mi incuriosisce  e stimola la mia mente, dall’altra potrebbe essere un potenziale problema. La terrò d’occhio.

Si avvicina in modo impacciato e della leonessa che ho visto al colloquio sembra non esserci più traccia. Le prendo un polso per trascinarla in mezzo a noi e non appena i nostri corpi si sfiorano, una scarica che parte dalla mano mi attraversa, espandendosi ovunque. È una strana sensazione mai provata prima. Durante la cena si accomoda accanto a me ed è in evidente disagio, è stata assunta perché aveva un ottimo curriculum, ma è chiaro che non ha alcuna esperienza. Ogni tanto le lancio qualche occhiata e noto che sta conversando con uno dei soci più anziani della compagnia. Questo uomo è un vero caposaldo dell’azienda, è uno dei “padri fondatori”  ed è anche grazie al suo talento se il guadagno è così alto. Ho avuto modo di conoscere lui e la sua famiglia in un ambiente più intimo e devo ammettere che è davvero un grande uomo in ogni senso. Si sentirà la sua mancanza quando andrà in pensione.  Improvvisamente, una goccia di cioccolato cade sulla coscia di Ellie e, quale migliore occasione di questa per far scontrare nuovamente i nostri corpi? La aiuto a pulirsi e la vedo subito avvampare. Proprio questa reazione stavo aspettando. “Dovresti stare più attenta” le sussurro in tono ammiccante.   “E tu non dovresti allungare le mani, maniaco” le sue parole mi lasciano interdetto per un momento , poi sento la rabbia montare. Non mi lascerò mettere i piedi in testa da una donna. Né da nessun altro. “Bada a come parli signorina, io sono il tuo capo e posso farti tornare in quella topaia in cui abitavi in meno di un secondo”. La vedo sbiancare e rabbrividire, ma stavolta non per il piacere. Non amo incutere timore, ma pretendo che mi si porti rispetto e se questo è l’unico modo per tenerla in riga…be, allora sarà fatto. Una telefonata interrompe il nostro dialogo e quando risponde, la vedo impallidire ulteriormente. A quanto pare c’è qualcosa o qualcuno che la spaventa più di me. Non faccio nemmeno in tempo a chiederle spiegazione, che subito parte e correndo esce dalla sala.

Vorrei seguirla, ma la presenza di tutti i soci me lo impedisce. Così, quando finalmente mi libero, salgo verso l’attico per sedare la mia curiosità. Quando le porte dell’ascensore si aprono, resto interdetto nell’abitacolo. Proprio davanti a me, seduti sul divano, Ellie e il mio migliore amico si stringono le mani amorevolmente. La scena mi fa ribollire, così premo il pulsante per il piano terra e ritorno da una morettina che ho adocchiato proprio prima di salire. 


- N/A -
Buonasera fanciulle! In questo capitolo mi sono cimentata nello scrivere uno Zack's pov che spero sia quantomeno decente. Volevo cogliere l'occasione per dirvi che ho fatto un gruppo di Facebook che si chiama "When Love Takes Over", attraverso il quale vi terrò aggiornate sulle novità. Spero che qualcuna di voi si unisca :) detto questo, buon proseguimento. Un bacio.

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Capitolo 8
*** Work ***


Oggi è il primo giorno di lavoro effettivo, non ho dormito molto questa notte a causa della preoccupazione per Alex quindi prima che la sveglia possa suonare, sono già in piedi e ordino la colazione in camera. Nell’attesa faccio una doccia calda per distendere i muscoli tesi e decido con calma cosa indossare. Quando riceverò il primo stipendio, mi è stato spiegato da Matt, avrò la possibilità di acquistare dei completi a mia piacimento, ma per questo primo giorno, dovrò indossare ciò che mi è stato gentilmente offerto da Zack. Di certo non ho intenzione di lamentarmi: il tailleur nero formato da giacca e tubino, che abbino poi con una semplice camicetta bianca, ricade morbido e fascia perfettamente il mio corpo. I décolleté dello stesso colore del completo slanciano la mia figura e mi fanno sentire più sicura di me. Matt mi ha consigliato di legare i capelli per questione di comodità: a quanto pare il mio non sarà un lavoro da semplice segretaria, quindi dovrò togliermi dalla testa l’idea di stare tutto il giorno seduta dietro ad una scrivania a compilare scartoffie. Da una parte questo mi consola, sono sempre stata una persona molto energica e l’idea di rimanere seduta tutto il giorno china su dei documenti, non mi attrae per niente; dall’altra parte però, un piccolo pensiero mi turba, portando il mio sguardo ad osservare atterrito il tacco dieci ai miei piedi.
Alex sta ancora dormendo quando arriva la colazione, così lascio confezionati il suo latte e la piccola brioches al cioccolato mentre mi gusto del caffè e un muffin. Bussano alla porta e mi balena in testa il pensiero che possa essere Matt, automaticamente il mio passo si fa più spedito. Il mio sorriso si spegne flebilmente alla vista di Kim: sono riuscita ad informarla della nuova situazione e ho fatto sì che stamattina potesse occuparsi del bambino. “Ciao Kim! Accomodati.” La faccio entrare e ridacchio alla vista della sua espressione imbambolata mentre si guarda attorno. “È…è…WOW” “Lo so, ti capisco. Ho avuto la tua stessa reazione” la invito a sedersi mentre finisco di sorseggiare il liquido amaro. “Alex sta ancora dormendo. Ieri sera ha avuto la febbre e non smetteva di piangere, di conseguenza si è addormentato piuttosto tardi. Non so come starà quando si sveglierà, ma ti consiglio di non portarlo al parco e di tenerlo tranquillo. Accanto al telefono ci sono i numeri di emergenza e per il servizio in camera, quindi fai come se fossi a casa tua”; annuisce  con convinzione e mi saluta quando sono finalmente pronta ad andare.

L’edificio in cui lavoro non è particolarmente distante, ma mi è stata predisposta un’auto compresa di autista per scortarmi sul posto. Cerco di fare conversazione durante il tragitto per placare la mia ansia, ma l’uomo sembra essere una statua di marmo e a parte alcune parole di cortesia, non dice nient’altro. L’Evans Enterprise si staglia davanti a me minacciosa come la ricordavo. Non ripeto l’errore di guardare le numerose finestre, per evitare di accecarmi come la prima volta che sono stata qui. Faccio un respiro profondo, non voglio entrare come se fossi una matricola alle prime armi; so come funziona questo ambiente e bisogna farsi portare rispetto. Alzo la testa e non mi preoccupo del rumore dei tacchi sul pavimento lucido, mi dirigo verso la segretaria all’ingresso: Jennifer. “Buongiorno” mi schiarisco la voce per attirare la sua attenzione. “Buongiorno signorina Wilson, la stavo giusto aspettando” mi rivolge un sorriso cordiale e mi fa segno di seguirla.

MATT’S POV
Mi ha fatto piacere passare del tempo con Alex ieri sera, è stato…strano. Molti amici del college si sono già sistemati: casa, famiglia e figli. Io e Zack non siamo mai stati amanti dell’idea, ci siamo sempre concentrati molto prima sullo studio e poi sul lavoro. Stare a contatto con quel bambino ha fatto scattare qualcosa dentro di me, la prospettiva di una vita dedita solamente alla carriera e a qualche donna di tanto in tanto, non mi appare più così emozionante. “Pronto? Terra chiama Matt” Zack mi osserva attentamente con una nota di disappunto. “Oh scusa amico, ero distratto” mi gratto la nuca, colto sul fatto. “Me ne sono accorto. Matt senti, io apprezzo i tuoi sforzi e senza di te non nego che avrei qualche problema qui. Ma ti prego di non lasciarti distogliere da certe frivolezze”. Ha un tono serio, ma non riesce ad essere duro come vorrebbe. “Frivolezze? A cosa ti riferisci?” “Non fare il finto tonto con me. Ti ho visto ieri sera” Siamo migliori amici da una vita, abbiamo affrontato di tutto insieme ed era ovvio che non sarei riuscito a nascondergli la questione. “Con Ellie? Era solo…non era niente”. “Quindi tu puoi assicurarmi con certezza che tra te e la signorina Wilson non c’è nulla?” “Tra me e Ellie Wilson non c’è assolutamente nulla, come dicevi tu poco fa, non ho tempo per certe frivolezze”. Sto cercando di convincere anche me stesso di questa cosa e sto facendo finta di non aver visto il modo in cui Zack la guarda. Quella ragazza farà affondare entrambi se non stiamo attenti.

ELLIE’S POV
Jennifer è davvero molto gentile e non c’è nemmeno bisogno di chiedere quando non capisco qualcosa perché è talmente attenta, da accorgersene lei stessa. Mi spiega le più disparate mansioni che dovrò compiere, dicendomi che a volte mi saranno assegnate da Zack in persona, ma altre da lei o da Matt. Mi invita a prenderci un caffè uno di questi giorni così da insegnarmi qualche “trucco del mestiere” dato che si rivelerà più difficile del previsto. Non a caso hanno fatto numerosi colloqui e messo a dura prova molteplici persone particolarmente preparate. Ci fermiamo davanti a quello che deve essere l’ufficio di Zack, la porta è socchiusa e riconosco la voce dell’uomo che si è occupato di mio figlio ieri sera. “Tra me e Ellie Wilson non c’è assolutamente nulla, come dicevi tu poco fa, non ho tempo per certe frivolezze”. Questo è decisamente troppo. Sono arrabbiata, anzi furiosa. Prima che possa anche solo fare un passo, Jennifer mi trattiene per un braccio. “Sono più grande di te, fidati quando ti dico che è meglio dimostrarsi superiori a certe cose”  è una frase enigmatica che mi lascia interdetta per qualche secondo. La mora accanto a me è pronta ad introdurmi al mio capo e al suo socio, così mi calmo e faccio ciò che mi ha consigliato. “Signor Evans, signor Smith, è arrivata la signorina Wilson”. “Buongiorno” i due sbiancano dopo essersi accorti che la porta non era chiusa del tutto. Rivolgo a entrambi un sorriso fiero e mi accomodo accanto a Matt accavallando le gambe. Che i giochi abbiano inizio.


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Capitolo 9
*** We'll have fun ***


È passata ormai una settimana da quello “spiacevole” incontro, e da quel momento, ho avuto modo di incrociare Zack e Matt solo un paio di volte. Il legame con Jennifer si è intensificato e abbiamo preso quel famoso caffè insieme: è stato piacevole passare un pomeriggio in compagnia di una possibile amica; da quando ho avuto Alex, molte attività mi sono state interdette e per una volta, è stato bello vivere l’età che ho. Questa sera l’ho invitata a cena per farle conoscere il bimbo, così anche Kim potrà godersi il fine settimana. Non immaginavo di trovare così velocemente una confidente, ma devo ammettere che la cosa mi riempie di gioia. Ne avevo proprio bisogno, inoltre Jennifer è una persona meravigliosa. Ha circa otto anni più di me ed è una donna di gran classe e cultura. Mi ha spiegato molto sul mio lavoro, dato che per la prima settimana sono stata affidata completamente a lei per “Prenderci la mano”, come ha detto Zack.

Ho preferito non ordinare il servizio in camera, ma preparare qualcosa con le mie mani. Mi sembrava un’idea più carina e intima. “Ellie, Alex è pronto! Hai bisogno di una mano con la cena?” Kim fa capolino dalla camera da letto, con in braccio un bambino vestito di tutto punto: una camicetta azzurra abbinata perfettamente a dei pantaloni blu. “Oh ma guarda il mio piccolo ometto! Grazie Kim, hai fatto un ottimo lavoro” Ho comprato alcuni vestiti nuovi per il lavoro, ma ho tenuto da parte qualcosa da dare alla babysitter per il grande sostegno che mi sta dando in questi ultimi giorni. “Se mi dai altri dieci minuti, finisco di prepararmi e ti porto la paga” mi sorride e scompaio nella cabina armadio. Ho già scelto cosa indossare, dato che resterò a casa mia, avevo optato per qualcosa di semplice: un vestito grigio di velo che arriva fino al ginocchio e si incrocia sul petto. È veramente molto comodo e pratico persino mentre sforno i piatti che ho preparato. “Grazie di tutto Kim” “Figurati Ellie, ora scappo perché ho un appuntamento” “Oh davvero? Mi dispiace farti tardare, va pure e buona serata” “Altrettanto, ciao Alex” gli da un bacio sulla fronte e corre alla porta. Poco dopo, sento bussare e penso che la ragazza abbia dimenticato qualcosa, ma quando apro, mi ritrovo davanti Jennifer. Indossa un abito lungo nero nella parte inferiore e con delle placchette argentate sul busto. Porta i capelli corti pettinati in modo impeccabile e mi guarda con un caldo sorriso stampato in volto. “Jennifer, accomodati” ci scambiamo due baci sulle guance e la invito ad entrare. “Oh ma lui deve essere Alex” gli si avvicina e il piccolo ride. A quanto pare piace anche lui. “Ellie, ma siete proprio uguali! Posso prenderlo in braccio?” Mi ha raccontato di non avere figli, ma che le sarebbe molto piaciuto; ogni Natale va a pranzo dalla sua famiglia e ha la possibilità di stare con i nipoti. “Riesce a mangiare un po’ di torta al cioccolato vero?” mi chiede guardandomi speranzosa. “Altroché e ne va pure matto, come sua madre del resto”.
La cena è tranquilla e divertente, Jennifer gioca volentieri con Alex e non tocchiamo neanche una volta l’argomento lavoro. La mia collega non si addentra mai in domande troppo personali come ad esempio dove sia il padre di Alex e come mai mi sia trasferita, e per questo gliene sono grata. Sento di potermi fidare di lei, ma non sono ancora pronta a raccontare tutto ciò che è successo in passato. “Ellie grazie della serata, ma sarà ora che io vada” “Grazie a te per la compagnia e per il dolce soprattutto” ancora un’ultima risata e poi si dirige verso l’uscita. “Ah, un’ultima cosa: lunedì va direttamente nell’ufficio di Zack, deve darti una comunicazione”.

Inutile dire che ho passato il fine settimana a domandarmi in cosa consista l’informazione del mio capo. Ovviamente riguarderà il lavoro, ma sono tesa all’idea che sia il primo compito assegnatomi direttamente da lui. Suppongo sarà una giornata impegnativa per cui indosso uno dei completi più comodi che ho e dopo aver lasciato Alex ad un punto giochi, mi avvio verso la Evans Enterprise. Mi reco direttamente all’ufficio di Zack e busso prima di entrare. “Signorina Wilson, si accomodi”. Ovviamente è perfetto nella sua giacca nera su misura e nella camicia bianca che gli fascia il busto, gli occhi color ghiaccio sembrano essere sempre più magnetici e il ciuffo ribelle lo rende più intrigante di un normale uomo d’affari. “Ora che ha terminato il suo periodo di preparazione, possiamo passare al vero lavoro. Da lei mi aspetto precisione, puntualità e correttezza; e veda di non fare errori” l’ultima frase mi fa raggelare. Non so perché, ma pronunciata con quel tono mi ha lasciato intendere che se dovessi commettere degli sbagli, ci saranno delle conseguenze. “Certamente Signor Evans.” Un sommesso bussare alla porta ci interrompe. “Zack scusa il ritardo” Matt fa il suo ingresso con gli occhi cioccolato vispi e i capelli leggermente arruffati. “Oh Ellie” nota la mia presenza solo il momento successivo e mi guarda con aria colpevole. Dopo il nostro ultimo incontro una settimana fa, in questo stesso luogo, non ci siamo più visti, se non di sfuggita. Non mi ha infastidito il fatto che abbia garantito che tra me e lui non ci fosse niente, perché effettivamente è così. Ciò che mi ha fatta arrabbiare oltre ogni misura è l’avermi definita una “frivolezza”, cosa che mi considerano entrambi da quanto ho capito. In seguito a questo ragionamento, suppongo faccia bene a sentirsi in qualche modo colpevole, ma torniamo al dunque. “Buongiorno Signor Smith” lo saluto con tono piatto e formale e lo vedo avere un sussulto. Zack ci osserva con attenzione e sento il suo sguardo, e successivamente anche quello del suo amico, bruciarmi addosso. “Allora Signor Evans, se fosse così cortese da espormi le mie mansioni, sarei ben disposta ad iniziare”. “Certamente. Allora innanzitutto sono stati portati nel suo ufficio dei documenti che devono essere letti con attenzione e selezionati, questi ultimi dovranno essere timbrati sulla mia scrivania entro l’ora i pranzo. Per il pomeriggio è previsto un incontro con i soci, Matt dovrai assolutamente essere presente, mentre… Wilson?” sollevo la testa dai miei appunti e punto lo sguardo nel suo. Per fortuna sono seduta, altrimenti le mie gambe non reggerebbero. Oh, andiamo Ellie, che diavolo stai pensando? Lui è il tuo capo ed è un Don Giovanni, non  è proprio il tuo tipo. “Quando la riunione sarà terminata, vi voglio entrambi qui nel mio ufficio per le prossime istruzioni. Domande?” “Se non è necessaria la mia presenza al meeting, cosa dovrei fare nel frattempo?” Spero di non essermi persa io parte della spiegazione, ma che si sia dimenticato lui di chiarirmi i miei compiti in quel lasso di tempo. “Oh, ma la tua presenza sarà necessaria. Solitamente questi incontri durano un paio d’ore e i soci bevono molto caffè, fumano molti sigari, spizzicano snacks. Avevamo proprio bisogno di una cameriera”. COSA? Sta scherzando spero. Ho un master, passavo intere notti a studiare e ho fatto domanda in una delle aziende più prestigiose al mondo, per fare da cameriera? Oh, caro il mio Zack, hai passato il segno questa volta. Noto che Matt ridacchia alle parole del suo amico. Credo non abbiano capito con chi hanno a che fare. “Sono contenta dei rendermi utile a dei colossi in campo aziendale. Non la deluderò” Tendo le mie labbra in un sorriso e alzo il viso in un’espressione fiera. Restano entrambi interdetti, “Se non c’è altro, vado dai quei documenti che mi attendono”. Detto questo, mi dirigo verso l’uscita non mancando di ancheggiare lievemente, per poi sorridere nel sentire i loro sguardi fremere alle mie spalle. Ci divertiremo Signori, eccome se ci divertiremo.




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Capitolo 10
*** Over the limit ***


“Sono furiosa, Jennifer! La cameriera, ti rendi conto?” cerco di trattenermi dall’urlare non appena la donna entra nel mio ufficio. “Andiamo Ellie, stai tranquilla, vedrai che piano piano i tuoi impieghi diventeranno più appaganti”. Si siede accanto a me e mi posa una mano sulla spalla con fare materno. “So che bisogna partire dal basso per arrivare alla vetta, ma non credo che portare caffè e dolciumi per tutto il pomeriggio, possa aiutarmi con la mia carriera. Quel bastardo lo ha fatto apposta!” Quando mi balenano in testa due occhi di ghiaccio, sento montare la rabbia sempre di più. La sua sfacciataggine supera la sua bellezza, il che è tutto dire. “Ellie ascolta, Zack Evans è un giovane uomo di successo che probabilmente ha fin troppo potere per l’età che ha. Non ti racconterò la solita storiella di un uomo che ha fondato il suo impero dal nulla, perché non sarebbe la verità. Zack è sempre stato abituato al lusso, o almeno per la maggior parte della sua vita e ciò lo ha segnato. Non ha idea di cosa significhi faticare e probabilmente hai ragione tu nell’affermare che sia solo un ragazzino viziato, ma, nonostante questo, resta il tuo capo e non solo ti paga profumatamente, ma fa sì che tu e tuo figlio abbiate un tetto sopra la testa. Vuoi fargliela pagare? Va bene, si può fare. Ma stai attenta”. Le parole di Jennifer mi portano a riflettere. Non voglio farmi mettere i piedi in testa, tantomeno da quell’essere affascinante quanto spregevole e dal suo amico, ma è meglio agire con cautela. Non sono più una ragazzina, ora sono prima di tutto una madre e devo mettere il bene di Alex prima di ogni mio altro desiderio di vendetta. “Hai ragione Jenn, ti ringrazio” poso la mano sulla sua e le sorrido. Questo è proprio uno di quei momenti che mi piace conservare con gioia e custodire nel mio cuore. Non ne ho molti, la prima parte della mia vita è quasi totalmente da eliminare; mi sono trasferita qui per modellare dei nuovi tasselli che avranno il compito di comporre il mosaico della mia vita d’ora in poi. “Ora sarà meglio che vada, il lavoro mi chiama. Anzi, ci chiama!” mi lascia un occhiolino prima di fiondarsi fuori dalla porta con la potenza di un uragano. Quella donna è una vera e propria forza della natura.

Inutile dire che sono stata costretta a cambiarmi d’abito per incontrare i soci: ho optato per un abito intero, così che il tubino non fosse troppo stretto e non mi rallentasse durante le mie corse, inoltre mi sono adoperata per cambiare le scarpe in modo da avere un tacco di qualche centimetro più basso. Jennifer mi ha aiutata a stringere meglio i capelli in una crocchia. Il mio obiettivo è quello di essere elegante, formale e comoda: queste sono le mie parole d’ordine. Zack e Matt fanno la loro comparsa in tutto il loro fascino. Ho sempre apprezzato gli uomini in giacca e cravatta, ma in questo momento non ho proprio il tempo di pensare a loro e alle loro facce toste che mi osservano sorridenti. “Signor Evans, Signor Smith, i soci stanno per arrivare”. Detto ciò, giro i tacchi ed esco dalla sala riunioni. Mentre attendo che tutti gli uomini sulla lista facciano il loro ingresso, non posso fare a meno di pensare che questa è la stessa sala dove io ho fatto il mio colloquio di lavoro. È stato un giorno veramente importante per me che ha dato una svolta alla mia vita; forse il fatto che io mi ritrovi ancora qui è un segno del destino, chissà. Il meeting inizia con leggero ritardo e con questa scusa non vengo presentata ai soci in maniera ufficiale. Tra di loro noto anche l’uomo che mi aveva intrattenuta alla cena di qualche sera fa e noto con piacevole sorpresa, che si ricorda di me dato il cenno che mi rivolge. Nessun’altro mi degna della minima attenzione, a quanto pare sono fuori tempo sulla tabella di marcia; questo non li distoglie però dal chiedere caffè in continuazione, tanto che mi tocca fare avanti e indietro a ogni minima richiesta. Dopo un’ora ho un diavolo per capello, sto iniziando a sudare e mi sembra di camminare sul fuoco ad ogni passo da tanto che mi fanno male i piedi, ma visto che non c’è mai fine al peggio e non mi ero ancora resa conto di essere giunta all’inferno, ecco che mentre mi sto affrettando per il corridoio, qualcuno mi viene addosso poco gentilmente. Il caffè che ho tra le mani sta per straripare dal bordo della tazza, ma per qualche assurdo miracolo il liquido ritrova il suo equilibrio e posso concedermi un sospiro di sollievo. “Ellie, ti stanno aspettando” della persona con cui mi sono scontrata non c’è più traccia, ma Matt è davanti a me mentre mi spinge verso i colleghi. “Okay stop, stop!” punto i piedi e mi fermo poco prima di entrare. “Non so a che gioco tu stia giocando Smith, ma vedi di smetterla. Non sono la tua serva, né tanto meno quella del tuo amico. Sono una persona e ho una dignità quindi evita di darmi ordini e trascinarmi come se fossi un sacco di patate”. Lo lascio a bocca aperta e faccio il mio ingresso nell’aula. Tutti mi fissano con fare attento e mi assale il dubbio che forse, siano riusciti a sentire il mio piccolo monologo di poco fa. Mi schiarisco la gola e faccio finta di nulla mentre porgo la bevanda a colui che la desiderava, per poi mettermi nel mio angolo in attesa di istruzioni. Matt rientra e non mi guarda, al contrario di Zack che mi sta lanciando occhiate di fuoco decisamente eloquenti. “Scusate signori, sapete come sono le donne, ora si spiega perché seduti a questo tavolo ci siano solo uomini”. Tutti scoppiano in una fragorosa risata. Tutti tranne me. Il commento sessista di Zack mi lascia interdetta per qualche secondo. Cerco di controllare la mia rabbia pensando ad Alex. Calmati Ellie, lo stai facendo per il tuo bambino. Respira e sorridi. Non ho mai sopportato i maschilisti. Quell’uomo sta diventando l’incarnazione di tutto ciò che più odio.

“Wilson un caffè e bello caldo, mi raccomando” faccio come mi è stato chiesto da quella specie di demonio dagli occhi di ghiaccio, ma stavolta non lascerò correre. “Tenga signor Evans, non le farò pesare di non avermelo chiesto per favore, dato che come ha detto, sono una donna e non mi sembra carino combattere con chi è disarmato, come nel suo caso” sorrido facendolo infuriare. Solo Matt e un paio di altri soci si sono accorti del nostro dialogo, dato che gli altri sono impegnati in importanti discussioni. “Cosa stai cercando di dire?” farfuglia contraendo la mascella. “Sto cercando di dire” mi avvicino con fare deciso al suo orecchio e lo vedo irrigidirsi. “Che un cervello piccolo come il suo non può competere con il mio notevole intelletto”. È spiazzato. Tutto si ferma mentre io mi ritraggo. Matt si mette sull’attenti e tutti i presenti si girano verso di noi. Osservo Zack e vedo pulsare la vena sul suo collo. Poi succede qualcosa che non mi aspettavo. In un secondo del caffè bollente entra in contatto con la mia pelle scottandomi  e rovinando il mio abito. Ad occhi altrui sembra un incidente, ma io so che lo ha fatto apposta. Ho visto il modo sprezzante e crudele in cui mi ha guardata poco prima di farlo. “Oh signorina Wilson, che maldestra. Perdonatemi signori, ora avete capito per quale motivo non ve l’ho presentata. È una nuova stagista ed è davvero impacciata, una palla al piede quasi. Sono stato costretto ad assumerla perché il consiglio mi ha fatto pressione dopo il racconto sulla sua tragica vita, insomma tutto per pietà. Se qualcuno di voi la desidera, sono più che contento di sbarazzarmene” scoppia in una risata di superiorità e viene subito seguito dagli altri. Solo Matt e il mio vecchio intrattenitore non si sbilanciano e restano in silenzio, quasi pietrificati. Questo è troppo. Esco come una furia senza badare a ciò che mi circonda. Sono stata umiliata e come se non bastasse, il dolore causato dal caffè bollente inizia a farsi sentire.

“O mio Dio, Ellie!” Jennifer mi trova in bagno mentre sfrego con rabbia il vestito, nell’intento di smacchiarlo. “Che è successo?” “Io…” non riesco a terminare la frase perché scoppio in un pianto a dirotto. Jenn mi abbraccia cercando di calmarmi e mi accompagna nel mio ufficio per farmi sedere. Dopo averle raccontato dell’accaduto restiamo per un po’ in silenzio. “Mi dispiace tanto cara, questa volta ha passato il limite”.
Non sono mai stata una persona che si piange addosso, così il desiderio di riscattare la mia dignità passa in primo piano e il mio cervello inizia a macchinare vendetta. “Jennifer? Potresti raccontarmi tutto quello che sai del signor Evans?” mi guarda sorpresa mentre cerca di capire la mia domanda. Ognuno di noi ha una parte oscura, nel mio caso riguarda il mio passato, forse anche Zack Evans ha degli scheletri nell’armadio ed io sono decisa a farli ritornare in vita.

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Capitolo 11
*** Reflections and questions ***


Rivangare il passato non è mai facile, figurarsi scavare a fondo nella vita di qualcuno che si conosce da così poco tempo. Mentre giocavo con Alex e ascoltavo la sua risata soave e gioiosa, ho pensato di star facendo la cosa sbagliata: chi meglio di un bambino, simbolo di purezza e onestà, può farmi provare sensi di colpa? Forse non è giusto invadere la privacy del mio capo, così come non è corretto il mio desiderio di vendetta. Ma al tempo stesso, non posso fare a meno di pensare che, sotto sotto, io stia in qualche modo riscattando la mia dignità. Il fatto che io abbia un assoluto bisogno di questo lavoro per migliorare innanzitutto la vita di mio figlio, non deve essere motivo per il mio capo di approfittarsene. Jen era piuttosto sconcertata dalla luce diabolica che ha attraversato il mio sguardo dopo la fatidica domanda che le ho posto, probabilmente è contraria al mio piano e crede che io stia facendo la cosa sbagliata, ma in ogni caso, non sarebbe la prima volta che succede. Siamo umani, forse le conseguenze ci conducono nell’abisso, ma ci è concesso fare errori. La mia vita non si può certamente definire semplice fino a questo punto, quindi per me è una questione di principio essere trattata con dignità e come merito. Non sopporto che le persone potenti si comportino da despoti e credano di poter mettere i piedi in testa a chiunque. “Lo odio!” urlo frustrata quando, a seguito delle mie riflessioni, mi balena in testa il viso di Zack. Alex mi guarda sconcertato e confuso per un momento, lasciando a mezz’aria la manina paffuta che stringe una macchinina. “Scusa tesoro” gli bacio la fronte per rassicurarlo; povero bambino, non solo sono in una situazione problematica, ma sto persino diventando matta.

Ho chiamato Kim perché venisse un po’ prima, ho bisogno di fare un bagno caldo per distendere i nervi e volevo assicurarmi che Alex fosse tranquillo nel frattempo. Chiudo gli occhi mentre mi lascio avvolgere dal tepore dell’acqua e dall’inebriante profumo del bagnoschiuma. Cerco di non pensare a nulla, ma a quanto pare il mio cervello non è in grado di trovare pace, così mi ritrovo a rivangare ciò che è successo durante la riunione e arrivo ad un’importante svolta: il comportamento di Matt. C’è qualcosa che non mi torna, così mi riprometto di telefonare a Jennifer dopo essermi asciugata e rivestita. “Ti ringrazio davvero tantissimo Kim” le offro una cioccolata e intanto conversiamo amabilmente come si fa tra amiche. “Allora, spero di non averti fatto tardare al tuo appuntamento l’altra sera” “Oh, no assolutamente! Ci ho messo giusto un po’ a scegliere cosa mettere, ma niente di nuovo per noi donne, no?” mi fa l’occhiolino e mi soffermo nel vano tentativo di ricordare quand’è stata l’ultima volta che ho avuto un’uscita galante, non trovando la risposta rimango piuttosto sconcertata. “Ellie, va tutto bene?” “Ehm…si, certo” sorrido per non farla preoccupare. Sono sempre stata una donna indipendente, non ho mai avuto il costante bisogno di un appoggio, tanto meno maschile. Ma devo ammettere che l’ansia da primo appuntamento, l’indecisione su cosa indossare, la curiosità di scoprire dove ti porterà il tuo accompagnatore e l’imbarazzo del momento un po’ mi mancano. Sono dovuta crescere piuttosto in fretta e ci sono dei periodi in cui mi soffermo a pensare a come sarebbe stata la mia vita se non avessi avuto Alex. Non che io me ne penta, mio figlio è e resterà sempre la mia gioia più grande, ma credo mia sia concesso di sognare e lasciare libera la mia immaginazione. “Kim, ho bisogno di fare una telefonata” “Non preoccuparti, a questo bel bimbo penserò io” scompiglia i sottili ciuffi sulla testa del piccolo e lo guarda sorridente. Affidare a una così giovane ragazza Alex è stato una sorta di salto nel vuoto, ma sono felice nel constatare che i due insieme si trovano bene. “Ti andrebbe di fermarti a cena?” domando alla babysitter prima di andare in camera. “Mi dispiace, ma stasera secondo appuntamento” mi lancia uno sguardo ammiccante. “Allora mi sbrigo a fare questa telefonata, così ti lascio andare” .

“Matt?” “Si Jen, si comporta in modo strano. I primi momenti che ho passato con lui sono stati praticamente perfetti, ora invece sembra essere al completo servizio di Zack” commento dopo aver esposto la mia teoria alla mia amica. “Be in realtà la cosa non mi stupisce, sono sempre stati molto legati quei due. Da quanto ne so, fin dai tempi del college. È normale che si appoggino…” “Ma allora per quale motivo occuparsi persino di Alex facendo l’amico, per poi ridere alle mie spalle delle malparate di Zack?” “Mm…questo è proprio un dilemma. Mi dispiace cara, ma non ti so dare una risposta” Dal suo tono capisco che è veramente afflitta per me. “Jen posso chiederti un piccolo favore?” “Ellie, sai che non sono d’accordo con i tuoi piani di vendetta e non voglio esserne coinvolta, però se c’è qualcosa che posso fare per renderti più serena ti ascolto”. “Ne sono consapevole, infatti non voglio assoldarti come detective privata, per la questione di Evans ci penso io”, la sento ridere sommessamente dall’altro capo del telefono. “Però mi chiedevo…non è che potresti cercare di capire cosa sta succedendo a Matt? Magari tramite una semplice conversazione tra colleghi, non so…” in realtà nemmeno io ho le idee chiare sul da farsi e al suo posto non saprei come agire, ma forse lei saprà cosa fare. “Ci sto! Lascia fare a me. Con Zack come pensi di fare?” “Non voglio coinvolgerti troppo, diciamo solo che potrei avere in mente un possibile informatore”.

Non esiste un vero e proprio motivo per cui il mio “informatore” potrebbe dirmi ciò che mi serve, ma tentar non nuoce e per il momento non ho un progetto migliore. Mi trovo davanti ad una delle succursali della Evans Enterprise: questo edificio è più piccolo e le grandi vetrate sono state sostituite da muri con l’intonaco color panna. I ritmi all’interno sono frenetici quasi quanto quelli nella sede centrale, così mi congratulo con me stessa per aver avuto la prontezza di prendere un appuntamento con la persona che devo incontrare. “Signorina Wilson! Che piacere averla qui, si accomodi”. Mi faccio strada nell’ufficio e prendo posto su una delle comode poltrone. Questo luogo è veramente accogliente: i tappeti persiani che ornano il pavimento hanno l’aria di essere molto costosi e pregiati, sulle due pareti laterali sono disposte delle librerie ricolme di volumi di ogni forma, grandezza e colore e per finire, l’enorme porta-finestra che si apre su un terrazzino illumina la stanza. “Sono stato sorpreso dalla sua chiamata, non le nascondo che mi ha incuriosito” l’uomo davanti a me porta una pipa alla bocca dopo aver parlato. “Innanzitutto mi scuso Signor Hamilton per questo appuntamento dell’ultimo minuto. So che è molto impegnato per cui la ringrazio per avermi concesso un po’ del suo tempo”. “Cara, non si preoccupi, mi fa piacere avere a che fare con giovani intraprendenti come lei. Allora, di cosa voleva parlarmi?” Non nego di essere leggermente agitata, sto per fare qualcosa che va contro l’etica lavorativa e probabilmente anche contro la legge sulla privacy, ma io ho bisogno di sapere. Dopo aver meditato a lungo, sono giunta alla conclusione che l’unico modo per scoprire ciò che desidero è mentire al mio interlocutore per non destare sospetti. “Vorrei ringraziare il Signor Evans per il magnifico posto di lavoro che mi ha assegnato, così insieme ad altri collaboratori avevamo pensato di presentargli un video in cui mostriamo alla stampa che gran uomo ci sia dietro a quello che all’apparenza sembra solo un burbero e severo capo”. “Mi sembra una buona idea” annuisce pensieroso. “E qui entra in gioco lei. Da quanto ne so, è uno delle persone che lo conosce meglio. Di conseguenza pensavo potesse raccontarmi qualcosa in più sul suo conto…” La bomba è stata sganciata. Ora non mi resta che attendere. “Sa, Signorina Wilson…Zack ha avuto una vita piuttosto scapestrata come qualsiasi giovane miliardario. Donne, feste, problemi con l’alcool… se vuole vendicarsi-“ “V-vendicarmi? “ cerco di mandare giù il groppo che mi stringe la gola da quando ho udito quella parola. “-Ellie, con me non ha bisogno di dire menzogne, sono dalla sua parte. Comunque, come dicevo, per ottenere un risultato migliore dovrà scavare ancora più a fondo e scoprire cos’è accaduto durante i due anni in cui non si hanno più avute sue notizie…”


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Buonasera mie adorate! Capitolo anticipato per questa volta, vorrei aggiornare più spesso, ma purtroppo gli impegni scolastici non me lo permettono. Allooora, passiamo al capitolo. Cosa ne pensate? Chi sarà il misterioso informatore? Quali segreti nasconde il nostro affascinante Zack? Si accettano scommesse! No okay, ora mi calmo. L'ultima cosa, ho creato una pagina twitter della storia: "When Love Takes Over" di @veronita9901. Un grazie immenso a tutte voi e un bacio.

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Capitolo 12
*** Research ***


Per ottenere un risultato migliore dovrà scavare ancora più a fondo e scoprire cos’è accaduto durante i due anni in cui non si hanno più avute sue notizie. Passo l’intera notte a pensare a queste parole. Non sapevo che Zack fosse scomparso per così tanto tempo, devo assolutamente fare delle ricerche. “Ellie, credo che non si tratti già più di desiderio di vendetta, ma qualcosa mi porta a pensare che tu sia solo molto curiosa”. Mi lascio ricadere sulla sedia del mio ufficio all’udire le parole di Jennifer. “Io curiosa di quelle essere? E perché mai?” “Perché è estremamente affascinante e ti sta dando del filo da torcere?” ammicca appoggiandosi alla scrivania. “E con questo?” alzo gli occhi al cielo decisa a non cedere alle sue supposizioni. “Be, da quanto ho potuto capire in queste settimane, non sei un tipo a cui piacciono le cose facili”.  “E non mi piacciono nemmeno gli arroganti, presuntuosi, maniaci” sbuffo irritata. Zack Evans non mi interessa in alcun modo. Forse ci sto prendendo gusto a fare la detective. Mia madre adorava i gialli, probabilmente ne ho visti troppi insieme a lei. Guardo Jennifer e mi rendo conto che mi sta osservando attentamente in modo scettico. “Cosa c’è? Giuro di dire la verità, nient’altro che la verità” porto una mano al cuore con fare teatrale ed entrambe scoppiamo a ridere. “Si, continua a pensarla come vuoi, ora sarà meglio che torni al lavoro” la mia amica sta per uscire quando la fermo. “Andiamo a pranzo insieme?” “Mm no, mi dispiace. Oggi ho già un impegno con una persona” mi fa l’occhiolino e capisco subito di chi sta parlando.

Se Jen ha già iniziato ad indagare, non posso essere da meno. Il mio informatore mi ha proposto di tornare nel suo studio più tardi, ma questa volta ho intenzione di portare Alex. Non voglio trascurarlo per colpa di questa mia smania di voler giocare a fare la detective, così, appena finisco in ufficio, mi fiondo nel mio appartamento per preparare il bambino. Volevo chiedere a Kim come fosse andato il suo appuntamento, ma non ne ho il tempo. “Tesoro, scegli un gioco così lo portiamo con noi” senza remore prende il suo orsetto, per poi allungare le braccia verso di me. Ho chiamato un taxi così da non dover attendere troppo, le temperature si stanno abbassando precipitosamente negli ultimi giorni. A quest’ora i ritmi nell’edificio sono cambiati e sono meno frenetici fortunatamente. Mi reco indisturbata verso la mia meta. “Buonasera Signor Hamilton”. “Buonasera Signorina Wilson, questo ometto suppongo sia suo figlio”. Il bambino anziché nascondersi come fa di solito, sorride calorosamente all’uomo davanti a noi. “Prego, accomodatevi” mi siedo su una delle comode poltrone, pronta per ascoltare Hamilton. “Non le nascondo che non ho avuto il tempo di approfondire le mie ricerche, ma ho trovato degli articoli che potrebbero interessarle” mi porge delle pagine di giornale ingiallite. “Ho del lavoro da terminare, ma nel frattempo può restare a consultare i quotidiani”. Annuisco e lo ringrazio. “Alex, la mamma deve fare una cosa importante e ha bisogno che tu stia buono a giocare con Teddy, va bene?” stringe il peluche come se avesse capito esattamente ciò che gli ho detto, così mi metto all’opera.

Circa una quarantina di minuti dopo, quando il Signor Hamilton ricompare in ufficio, libero uno sbuffo di frustrazione. “Devo dedurre che le ricerche non siano andate a buon fine” sobbalzo all’udire la sua voce alle mie spalle. “Oh, non esattamente. In realtà qualcosa ho trovato, ma ora ho in testa più confusione di prima”. Pare che Zack sia scomparso per circa una ventina di mesi nel periodo tra la fine del liceo e l’inizio del college; nessuno sapeva dove fosse dopo essere stato avvistato, una sola volta all’inizio dell’estate, mentre faceva jogging a Central Park. Secondo i vari articoli, nemmeno il padre, Christopher Evans, era a conoscenza della sua posizione e probabilmente questa è stata la notizia che ha suscitato maggior scalpore. “Chris era fuori di sé in quel periodo. Non è mai stato un genitore amorevole, ma Lilian, la madre di Zack, riusciva a renderlo migliore. Da quando hanno divorziato, lui si è buttato a capofitto nel lavoro dimenticandosi completamente del suo ruolo di padre, trattando il figlio alla stregua di un dipendente” mi racconta Hamilton mentre sorseggia del the. “Quindi Zack è scomparso in seguito al divorzio dei suoi genitori?” sarebbe un cliché, ma forse il giovane non avrebbe avuto tutti i torti. “Oh no, certo che no. Sai Ellie, Zackary può sembrare il solito ragazzo viziato e arrogante, ma c’è molto di più. È per questo che i media erano così attratti dalla sua fuga: volevano scoprire a tutti i costi cosa nascondesse di così misterioso. Ad ogni modo, Lilian e Chris hanno presentato il divorzio circa quattro anni prima, quindi collegare il fatto alla scomparsa del figlio non avrebbe senso”. La faccenda si fa ancora più intricata. Sono abbattuta mentre ritorno verso casa insieme ad Alex. Mi trovo in un vicolo cieco e come se non bastasse, la mia curiosità è alle stelle. Spero che Jennifer abbia avuto più fortuna di me.

“Ti prego dimmi che hai novità” imploro la mia amica appena arrivo al lavoro. “Mm non ho scoperto nulla di quello che volevi sapere purtroppo. Il pranzo è stato piacevole, ma non ha dato i suoi frutti così l’ho seguito” sputo tutto il caffè che stavo sorseggiando e alcuni impiegati, passando, mi guardano in cagnesco. “Tu hai fatto cosa?” cerco di trattenermi dall’urlare. “L’ho seguito, ma non preoccuparti, non si è accorto di nulla. A quanto pare aveva un appuntamento con una ragazzina” “Sbaglio ho noto un certo tono di disappunto?” le domando curiosa. “Mi sembrava davvero molto giovane. In ogni caso, mi dispiace non essere riuscita ad ottenere nulla, ma non mi arrenderò” mi fa l’occhiolino e torna ai suoi compiti. Non mi sorprende che Matt si veda con qualcuno, insomma è pur sempre un bell’uomo, senza contare che la fama di donnaiolo non è da attribuire soltanto al suo amico. Negli articoli che ho analizzato da Hamilton si parlava di quanto quei due siano una coppia di seduttori. Forse la cosa non mi ha sorpresa troppo dato anche il cambiamento nel comportamento di Smith. A questo punto niente dovrebbe più essere in grado di sconvolgermi. La conversazione con Jennifer si è comunque rivelata utile, ora ho un piano per carpire nuove informazioni su Zack: seguirlo.
Pedinare una persona non è cosa da poco e tentare di non farsi scoprire rende il tutto ancora più drammatico. Sarà un’impresa ardua, ma ho tutto il giorno per prepararmi psicologicamente. Quando la giornata lavorativa finirà, potrò dare il via al mio progetto.

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Buon pomeriggio fanciulle! Capitolo un po' anticipato anche se breve: come forse avrete intuito è solamente un capitolo di passaggio che spero comunque vi piaccia. Vi invito ad unirvi al nostro gruppo Facebook e Twitter "When Love Takes Over". Un bacio.
 

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Capitolo 13
*** Shadowing ***


“Innanzitutto, l’abbigliamento è fondamentale. Deve essere qualcosa di normale, che indosseresti tutti i giorni così da non destare sospetti, ma al tempo stesso devi riuscire a mimetizzarti. Il calar della sera dovrebbe giocare a tuo favore.” Mi lascio andare pesantemente sullo schienale della sedia; l’entusiasmo che avevo fino a poche ore fa sembra essersi quasi completamente esaurito. “Mi servono delle scuse plausibili” interrompo il monologo di Jen. “Come?” Ferma la sua passeggiata avanti e indietro per l’ufficio e mi presta attenzione. “Si insomma, se mi dovesse beccare, cosa che molto probabilmente accadrà, devo essere preparata”. Non posso permettere che le mie paure diventino realtà: io e Zack siamo già cane e gatto, non voglio perdere il posto di lavoro. “Mm…okay allora io proporrei di usare Alex come scusa. Magari un regalo da comprargli o qualcosa così. Però sai, cercare una scusa a priori non è facile. Non so dove finirai esattamente seguendolo”. Forse ho capito cosa intende: “Non posso comprare un gioco per mio figlio se non ci sono negozi di giocattoli nelle vicinanze, suppongo” “Esattamente.” “Vorrà dire che improvviserò”. “Fai in modo che non sia necessario”.  E con questo ultimo avviso, torniamo alle nostre mansioni.

La fatidica ora è giunta e l’ansia attanaglia ogni singolo millimetro del mio corpo. Nervi saldi, Ellie. Facile a dirlo, o a pensarlo, ma è proprio vero che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Mi sono informata e sapevo che Zack oggi avrebbe terminato di lavorare più tardi di me, così sono rimasta tranquilla in ufficio più a lungo del solito. Jennifer si è dimostrata molto disponibile nel voler tenere Alex fino al mio ritorno, dato che Kim ha l’ennesimo appuntamento questa sera. A proposito, sono proprio curiosa di saperne di più, mi dovrò ricordare di chiederle come procede con questo misterioso ragazzo. Ma ora, bando alle ciance, è ora di mettersi in azione: il “soggetto”  si sta recando verso l’uscita dell’edificio con il suo solito passo disinvolto e il sorriso strafottente. La segretaria che sostituisce la mia amica, ammicca con uno sguardo languido e quella sottospecie di demonio non se lo lascia di certo sfuggire. Che schifo. Inizio a seguirlo, mentre rapidi pensieri su quanto la dignità femminile stia regredendo negli ultimi tempi mi attraversano la mente. La dea bendata sembra sorridermi, nell’esatto momento in cui noto che il mio capo, non si sta dirigendo come è solito fare alla macchina aziendale, ma dopo aver educatamente salutato il suo autista, sta deviando a piedi verso la via che porta… non so esattamente dove, dato che la città è enorme, ma il tutto è piuttosto famigliare. Mi mantengo a distanza per la maggior parte del tempo e mi avvicino di più solo quando mi accorgo che sta telefonando a qualcuno. Purtroppo me ne rendo conto un po’ tardi e sento solo un ultimo scorcio di conversazione: “Be amico, allora divertiti con la tua nuova fiamma e vedi di comportarti bene”. Probabilmente era Matt, ma meglio non dare nulla per scontato, inoltre non era nulla che potesse essermi utile. Dopo pochi passi, la fortuna mi assiste nuovamente nel momento in cui un provvidenziale edificio si trova accanto a me e mi offre un nascondiglio quando Zack si volta improvvisamente. Per un pelo. Devo stare più attenta. Lo vedo alzare il collo del cappotto per ripararsi dal freddo vento che ha iniziato a infuriare, per poi riprendere il suo cammino.

Finalmente arresta i suoi passi e sembra essere giunto definitivamente a destinazione che è… Merda. Non è possibile. Il St. Regis Hotel si erge davanti a noi in tutta la sua eleganza, con le luci di alcune camere ancora accese. Che diavolo ci fa qui? Però… non può essere venuto per me, magari deve incontrare uno dei soci nella sala dove si è tenuta la cena. “Buonasera Signor Evans, come posso aiutarla?” non c’è neanche bisogno di dire che anche la receptionist sembra non essere indifferente al suo fascino: mi sembra di sentire le sue palpebre implorare pietà da tanto che le sta sbattendo. “Salve, avrei bisogno della chiave per raggiungere l’attico”. Un momento…io abito nell’attico. Una ragazza sta per uscire quando la fermo. “Ehi, scusa. Se ti do dieci dollari potresti tenere impegnato quel bel ragazzo alla reception il più a lungo possibile?”. È molto carina e credo abbia intorno ai trent’anni. Si volta a guardare attentamente Zack e la vedo leccarsi le labbra. Se non altro queste gatte morte possono tornarmi utili. “Ci sto”. Dopo averle dato i soldi, mi fiondo verso l’ascensore e le porte si chiudono prima che possa vedermi.

“Jennifer è una catastrofe” corro di qua e di là mentre mio figlio e la mia amica mi guardano confusi. “Zack è qui”. “COSA?” saltello nel tentativo di infilare i pantaloni della tuta. “Si e-“ un insistente bussare alla porta interrompe la mia spiegazione. “Apro io, cambiati la camicia” Jennifer cerca di coprirmi per darmi il tempo di cambiarmi. “Buonasera Zack, posso aiutarti in qualche modo?” “Jennifer? Cosa ci fai qui? La Wilson non c’è?” il suo tono è sospettoso e allusivo. Mi si gela il sangue nelle vene. Mantieni la calma, Ellie. Coraggio. “Eccomi” faccio capolino sull’uscio e sembra molto sorpreso di vedermi. Jen ci lascia soli. “Ho delle carte da consegnarti. Domattina non ci sarò e ho bisogno che siano compilate e firmate sulla mia scrivania entro l’ora di pranzo.” Il tono non ammette repliche, ma non voglio dargliela vinta. “Che premuroso da parte sua portarmele a casa”. “Sono documenti confidenziali. Vedi di non perderli, rovinarli o farli finire in mani sbagliate”. Allunga i fogli verso il mio petto e me li pianta sui palmi in maniera poco cortese. “Non lo farò, non si preoccupi. Ora, se vuole scusarmi, ho altro da fare”. Gli chiudo la porta in faccia e rilascio un sospiro di sollievo. Per oggi i pedinamenti sono finiti.

Sono ormai passati due giorni dalla mia “missione” e non ho ancora avuto modo di ripeterla. Devo aspettare che la fortuna sia nuovamente dalla mia parte, sperando che non mi volti le spalle all’ultimo momento, come è successo la prima volta. Al ricordo di quella sera, rilascio uno sbuffo frustrato. Strano che qualcosa o qualcuno mi si rivolti contro. Davvero molto strano. L’ingresso di Jennifer interrompe i miei pensieri sarcastici. “Buone notizie!” “Hanno riparato la macchina del caffè?” le domande mentre mi brillano gli occhi. Ho bisogno di caffeina. “No” “Quella stronza di Jessica è caduta dalle scale e non potrà più mettere quegli orridi trampoli che la fanno sembrare una giraffa?” “No, ma apprezzo la fantasia”. Jessica Thompson è un’arpia. Sta facendo di tutto per guadagnarsi il titolo di “Lavoratrice dell’anno” e quando dico di tutto, lo intendo davvero in ogni sua accezione positiva o negativa che sia. “Giochiamo agli indovinelli o mi vuoi dire in cosa consistono le buone nuove?” “Peccato mi stavo divertendo, comunque, passiamo alle cose importanti. Ho parlato con l’autista di Zack”. Mi metto dritta sulla sedia con tutti i sensi in allerta “E?” “E… a quanto pare, questa sera, Zackary Evans non desidera i suoi servizi perché ha delle faccende da sbrigare”. “E chi ha detto che non guiderà lui stesso o non si farà dare un passaggio da qualcun altro?” “A quanto mi risulta, i suoi impegni sono in questa zona”. “Interessante”. “Appena finisco il turno vado da Alex, tu occupati del capo.” “Posso chiamare Kim” “Non ce n’è bisogno, io e tuo figlio ci divertiamo tanto insieme”.

Come programmato, alle sette in punto sto aspettando di vedere Zack lasciare l’azienda. Sono ancora tesa, ma l’ansia è decisamente nemica delle imprese sotto copertura, così cerco di calmarmi prima di incamminarmi. La sua uscita dall’edificio è identica a quella di due sere prima, tanto che una sensazione di déjà-vu mi attanaglia. Questa volta però, viene fermato da Jessica che naturalmente si è trattenuta a lavorare fino a tardi. “Signor Evans! Ma guardi che coincidenza, anche lei se ne va a quest’ora?” Già, che coincidenza. “Jessica! Cosa ci fai qui? Il tuo turno dovrebbe essere finito da un po’”. Afferma lui in tono ammiccante.  Ovviamente ci sta.  Figuriamoci se un donnaiolo come lui si lascia sfuggire una preda tanto facile. “Stavo finendo di fare del lavoro extra. Accidenti è già piuttosto buio”. Una tattica non troppo originale per farsi riaccompagnare a casa. Osservo Zack aspettandomi la sua altrettanto scontata risposta, ma quello che vedo e sento mi lascia perplessa e, a quanto sembra, non solo me. “Si be, sono le sette, le giornate si accorciano” afferma con tono sbrigativo. “Non potresti-“ “No, non ho tempo. Buona serata Jessica”. Oh. Colpo basso. Povera principessa. Mi desto dai miei pensieri e cerco di evitare l’arpia mentre mi getto all’inseguimento del capo, il quale dopo la conversazione sembra essere piuttosto irritato. Chissà cosa avrà mai da fare.

Quando cambia direzione ed entra in un negozio, mi fermo davanti alla porta d’ingresso. Vedo Zack e un uomo anziano scendere le scale per recarsi in quella che sembra una cantina o una taverna, così colgo l’attimo ed entro. Un pungente odore di vernice mi invade e un tepore accogliente riscalda il mio corpo infreddolito dalla sera. Cercando di fare meno rumore possibile, mi avvicino alle scale sperando di carpire la conversazione tra i due. “Allora Zackary, mi hai portato qualche nuovo disegno?” Disegno? Zack Evans fa il pittore nel tempo libero?


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Buon pomeriggio fanciulle! Ecco un nuovo capitolo che speriamo vi piaccia. Vi ringraziamo di cuore per le visualizzazioni e le recensioni e vi inviatiamo a seguirci sulle nostre pagine Twitter e Facebook: "When Love Takes Over". Un bacio.

 

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Capitolo 14
*** Surprises ***


ZACK’S POV
La tempera ricopre il mio largo maglione grigio. Finalmente posso concedere del tempo a me stesso e alla mia passione come facevo una volta, senza dovermi occupare degli affari dell’azienda, senza dover indossare completi eleganti o intrattenere anziani soci e le loro allegre mogli. Prima era tutto diverso. Le uniche preoccupazioni che avevo erano i colori migliori da utilizzare per rendere a pieno l’idea del cielo in tempesta o un mare burrascoso. Adesso sono costretto a dedicarmi alle mie opere solo raramente. Non mi lamento del lavoro svolto per la Evans Enterprise: ci ho impiegato anima e corpo per anni e sono contento dei risultati ottenuti. Ma sento come se mi mancasse qualcosa. Ultimamente questa mia sensazione sembra essersi accentuata, ma probabilmente, come dice Matt, sono solo paranoico; esattamente come mi ha riferito quando gli ho esposto le mie preoccupazioni sul fatto che mi sentissi osservato. Sono uno dei giovani più ricchi e avvenenti della città, è normale avere dei nemici o dei morbosi ammiratori, ma ciò non toglie che la cosa possa infastidirmi. Non sopporto chi mi sta addosso, come peraltro sta facendo quella Jessica Thompson. Non nego che a letto ci sappia fare e non nego neanche che sia esilarante il modo in cui fa di tutto per ottenere il titolo di “lavoratrice dell’anno”. È incredibile come una persona possa toccare il fondo per ottenere i suoi scopi. L’anno scorso la qualificazione è stata assegnata dal sottoscritto alla segretaria, Jennifer. Ma credo che questa volta, la mia decisione non potrà ripetersi. Da quando la Wilson è arrivata nell’azienda, quelle due sono diventate inseparabili e seppur svolgano le loro mansioni, spesso si distraggono nelle loro chiacchierate. Donne. Tutte uguali. O forse no…

Credevo davvero che la sera in cui mi sono recato al St. Regis, fosse Ellie a seguirmi. Non so esattamente il motivo del suo presunto pedinamento, ma quando mi sono girato, per un attimo, mi è sembrato di scorgere una famigliare chioma bionda. Ma nel momento in cui sono giunto al suo appartamento e l’ho vista, mi sono dovuto ricredere. Guardo la tela davanti a me e mi rendo conto che, senza accorgermene, dalle mie mani che stringono un pennello è scaturita l’immagine di una giovane donna. Questo non va assolutamente bene.

ELLIE’S POV
Dopo essere stata in quel negozio e aver sentito i passi di Zack e del commerciante risalire le scale, me la sono letteralmente data a gambe. La mia testa era, ed è ancora, affollata da interrogativi e la curiosità mi sta logorando. I pedinamenti non fanno per me, ma forse ho un’idea. Telefono immediatamente a Jen per esporle il mio piano e a seguito della sua approvazione, lo metto in pratica. Preparo Alex per portarlo con me e usciamo di casa. Approfitto per fare alcune commissioni e successivamente arrivo nel luogo designato questa mattina. Alla luce del giorno noto la scritta dorata che sovrasta l’ingresso e non posso fare a meno di pensare che quei caratteri luminosi richiamino il negozio di bacchette “Ollivanders” di Harry Potter. Rilascio un respiro profondo e mi decido ad entrare.

Il famigliare odore di vernice mi investe senza infastidirmi e il piacevole tepore riscalda me e Alex, reduci da un vento gelido che imperversa tra le vie. “Buongiorno Signorina” “Buongiorno”. “Come posso aiutarla?”, magari Zack voleva solo fare un regalo a qualcuno e non è lui l’artista. “Sono da relativamente poco in città e ho trovato il suo negozio per caso, ma mi chiedevo che genere di articoli vendesse. O meglio, volevo capire se potessi trovare qualcosa per mia cugina…sa, a lei piace molto disegnare”. “Allora prego, le mostro degli articoli che potrebbero interessarle”. Per circa un quarto d’ora quest’uomo gentilissimo che ho scoperto chiamarsi Arthur, mi illustra i più svariati oggetti spiegandomi anche il loro uso. Sentirlo parlare è un piacere, assomiglia ad uno di quei nonni premurosi che si occupano dei nipotini insegnando loro a scrivere, leggere e a distinguere le erbacce dalle margherite in giardino. Credo sia più anziano di quanto mostri, ma impiega una tale passione nel suo lavoro da sembrare un giovane agli esordi della sua carriera: pieno di aspirazioni e voglia di mettersi in gioco. Magari esistessero più persone come lui. Inoltre ho notato che è buffo il modo quasi casuale con cui le prime tre lettere del suo nome formino proprio la parola arte. “La ringrazio Arthur, è stato davvero cortese da parte sua. Se non è un problema, mi informerò in modo più preciso sui gusti di mia cugina e ripasserò tra pochi giorni.” “Non si preoccupi signorina, credo sia un’ottima idea la sua.” Vengo attratta da alcuni lavori esposti e chiedo se posso dare un’occhiata. Nel frattempo Alex, che è stato tranquillo tutto il tempo, sembra rapito da quell’insieme di colori tanto quanto me.

“Ehi Art!“ una voce, decisamente troppo famigliare, interrompe i miei pensieri. “Zackary! Che piacere vederti, ma dimmi ragazzo, hai per caso intenzione di far nevicare venendomi a trovare due volte in soli due giorni?” i due ridono amorevolmente sembrando padre e figlio e io ne approfitto per nascondermi dietro ad uno scaffale. Vorrei evitare di essere notata, o quanto meno, avere il tempo per pensare ad una scusa plausibile. Il mio capo e l’anziano uomo fanno conversazione parlando del più e del meno e quando avverto uno spostamento, mi faccio più piccola e mi sposto dall’altra parte del ripiano. Sono convinta  che vista dall’esterno la scena sia a dir poco esilarante. Neanche fossimo bambini che giocano a nascondino. La “cantina” come l’avevo definita ieri, è l’unico spazio del negozio che non mi è stato mostrato. Sarei curiosa di capire cosa contiene anche se probabilmente si tratta solamente di un magazzino o uno studio privato del proprietario. Dall’alto della mia furbizia, persa come sono nelle mie supposizioni, non mi rendo conto dei passi che ritornano al piano superiore dove mi trovo. Nella fretta di celarmi alla vista dei due uomini, mi lascio sfuggire Alex, il quale un po’ gattonando e un po’ muovendo dei goffi passi, si avvicina ai piedi di Zack e comincia ad aggrapparsi ai suoi jeans neri. Un momento, jeans? Non mi ero resa conto nemmeno del suo abbigliamento casual, completamente diverso dal solito, che lo fa sembrare più giovane e misterioso con il maglione sgualcito a collo alto e il cappotto grigio aperto. “Oh e tu chi sei?” Suppongo sia una domanda stupida da fare ad un bambino di soli due anni che ovviamente non  è nelle condizioni di rispondere. Che idiota. Ma sono costretta a ricredermi quando lancio un’occhiata dal mio nascondiglio e scorgo Zack piegarsi per prendere in braccio mio figlio. “Allora Art, ti sei dedicato alla magia e hai fatto comparire un bambino dal cilindro?” lo fa saltellare lievemente tra le sue braccia e Alex sembra divertirsi non poco, infatti la sua risata si diffonde in tutto il negozio. “Veramente…” sta per spiegare che è mio, quando vedendo il mio sguardo di suppliche, cambia idea. “È solamente il figlio della mia vicina, ho deciso di tenerlo in negozio per un’oretta, così che potesse svolgere delle commissioni.” Lo ringrazio da lontano con un cenno, ripromettendo a me stessa di offrirgli un caffè oltre ad una spiegazione. “Oh capisco. Sembra…famigliare…” “Comunque se lo tieni un momento, scendo a prenderti ciò che mi hai chiesto”. “Certamente” gli sorride gentile e sembra un’altra persona. Non è il solito sorrisetto ammiccante, direi piuttosto che appare…dolce. Non perde questa stessa espressione neanche mentre sposta l’attenzione su Alex che nel frattempo si è messo a giocare con i suoi anelli. “Ti piacciono?” lo lascia fare e non ne sembra per nulla infastidito. Osservandoli insieme mi si scalda il cuore, o per meglio dire, si scioglie; il mio stomaco si stringe mentre si appresta a svolgere capriole degne di una ginnasta olimpica. Con Matt era stato diverso, emozionante si, ma non così… profondo e intimo. “Mamma” “Ah ma allora sai parlare” “Mamma”, “No piccolo, lei non c’è, ma tornerà presto”. Nonostante il tono accondiscendente e delicato di Zack, gli occhioni azzurri del bambino si riempiono di lacrime e il suo labbro comincia a tremare per poi scaturire in un pianto a dirotto. “No no. Ssht. Non piangere, va tutto bene, la mamma arriva” il mio capo, dopo un misero secondo di panico e stupore, ritrova il controllo e cerca di calmare Alex. Sto per intervenire, spinta dall’istinto materno che mi attanaglia le viscere nell’udire la tristezza del sangue del mio sangue. Ma improvvisamente, tutto tace. Zack sta abbracciando stretto il bambino che ha chiuso gli occhi ed ha posato il capo sulla spalla dell’uomo mentre con una manina tenta di togliersi una lacrima che gli inumidisce le gote paffute. “Bravo ometto, così si fa” lo sento mormore mentre gli accarezza la schiena. “Eccomi Zack…ma guarda un po’ cosa abbiamo qui”. Arthur osserva la scena così come un nonno osserverebbe il figlio e il nipote e una lacrima scende incontrollata disegnando il mio profilo.

Quando il capo cerca di posare Alex tra le braccia del negoziante, le sue dita si stringono sul collo del cappotto, rifiutandosi di staccarsi. “Z-za…Z-za”. Non posso vedere l’uomo dato che mi da le spalle, ma lo scorgo piegarsi verso la fronte del piccolo per lasciargli un tenero bacio, per poi sparire nel vento gelido che imperversa sulla città, ma non più nel mio cuore.  

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Buongiorno fanciulle! Ecco il nuovo capitolo che speriamo vi emozioni, così come ha emozionato me nello scriverlo. grazie di cuore per tutte le visualizzazioni e le recensioni. Vi aspettimao sul nostro gruppo facebook "When Love Takes Over". Baci.

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Capitolo 15
*** Ring ***


“Allora Signorina, non vorrei sembrare invadente, ma… ehilà, terra chiama, o per meglio dire, suo figlio la chiama”. Delle parole confuse giungono alle mie orecchie, o più precisamente giungono al mio cervello il quale, finalmente, riesce a dare loro un senso compiuto così da formulare una frase. Ciò che è appena successo mi ha lasciata a dir poco interdetta, ma ora è il momento di dare spiegazioni a colui che mi sta davanti e che poco fa mi ha coperta senza neanche sapere il mio nome. “Oh mi scusi, mi ero distratta” temporeggio spostando il mio peso da un piede all’altro per poi prendere Alex in braccio. “L’ho notato” il suo tono non è scontroso o malizioso. Semplicemente la sua è una costatazione. “Suppongo tu conosca Zackary” sembrano conoscersi da una vita quindi non capisco il motivo per cui si ostini ad utilizzare il nome completo. Mi appunto mentalmente di chiederglielo, ma prima è giusto che a parlare sia io. “Si. In realtà conoscere è una parola grossa, lui è il mio capo da qualche settimana”. “Quindi tu sei il famoso nuovo acquisto dell’azienda” sembra una frase indiretta, un pensiero ad alta voce che è sfuggito dalle sue labbra. “Così pare, anche se non sapevo di essere famosa” lascio trapelare tutta la mia curiosità dal mio tono. In tutta risposta, Arthur scoppia in una fragorosa risata. “Credo tu lo sia più di quanto immagini” le sue parole sono misteriose e nonostante non voglia lasciar correre, mi sento in qualche modo costretta a farlo quando la ragione prende il sopravvento e mi conduce all’istinto di fornire spiegazioni in merito a ciò che è successo. “Non volevo mi vedesse qui” smette di ridere e mi osserva con attenzione massaggiandosi l’ispida barba bianca. “Questo lo avevo capito” neanche questa volta il suo sembra essere un rimprovero, non colgo nessuna nota di disappunto e gliene sono grata. Esporre tutta la faccenda senza sembrare una stalker si sta rivelando essere piuttosto complicato. Senza contare che non so quanto possa fidarmi veramente di lui; mi ha coperta e indubbiamente è un brav’uomo, ma non so con esattezza fino a che punto arrivi la sua lealtà nei confronti di Zack. “Diciamo che tra noi non scorre buon sangue, di conseguenza preferirei evitare di incontrarlo fuori dall’ambiente lavorativo”. Ora la sua espressione è più convinta ed appagata. “Zackary ha un particolare modo di approcciare l’altro sesso” Me ne sono accorta. “In ogni caso, credo che tu non debba farti tutti questi problemi. È vero, siamo in una grande città, ma ciò non toglie che ci si possa imbattere nei colleghi in una semplice bottega come la mia”. La sua riflessione non fa una piega, o meglio, ha senso dato che non conosce gli oscuri retroscena della mia presenza qui. “Credo abbia ragione Arthur” gli rivolgo un sorriso cordiale. “Si è fatto tardi, è ora che io tolga il disturbo. Passerò il prima possibile per il regalo di mia cugina”. So perfettamente che non esiste nessuna cugina e nessun regalo, ma per il momento è preferibile mantenere questa versione che mi fornisce un’ottima scusa per tornare. “A presto e buon proseguimento”. Se fino a un’ora fa, il vento invernale non aveva fatto altro che infastidirmi, adesso non posso fare a meno di assaporarlo sul viso. Avevo decisamente bisogno di una boccata d’aria fresca.

Finalmente a casa mi getto sfinita su una poltrona con un Alex dal nasino rosso accanto a me e buste di ogni tipo sparse attorno. Nonostante io abbia comprato lo stretto necessario, mi sembra di aver svaligiato ogni luogo in cui sono stata. Non fare la spesa per così tanto tempo porta a questo; sarà utile che chieda a Kim di prendere qualcosa quando porta il bambino al parco o a fare una passeggiata. Faranno santa quella povera ragazza, dato che io sono un caso perso. La mia mente non tarda a ricordarmi che questo è ciò che significa essere una madre single e dovrei ritenermi persino fortunata a potermi permettere una babysitter così disponibile. Osservo mio figlio sentendomi in colpa per essere una madre così disorganizzata e noto che ha la lingua tra le labbra mentre l’indice paffuto la indica. “Hai fame eh?” mentre lo sposto sulle mie gambe, la mia pancia inizia a brontolare. Tale madre, tale figlio. Opto per qualcosa di semplice come un piatto di pasta al sugo e mentre l’acqua bolle, ne approfitto per cambiare Alex e fargli un bagnetto veloce. Sto per togliergli la tutina, quando dal cappuccio di essa sbuca qualcosa che cade velocemente nello scarico della vasca emettendo un ticchettio sordo. Nonostante un primo momento di sorpresa, non do troppo peso al fatto e continuo il mio operato. Pessima idea poiché nell’attimo in cui rimuovo il coperchio per far defluire l’acqua sporca e le nuvole di bagnoschiuma nella tubatura, mi rendo conto che ciò non avviene nel modo in cui dovrebbe e tutto sembra depositarsi sulla superficie, come se il passaggio fosse ostruito da qualcosa.

ZACK’S POV
“Ehi amico, tutto bene?” le parole di Matt sembrano arrivare da lontano e ci vuole tutta la mia forza di volontà per risvegliarmi da quel curioso stato di intorpidimento nel quale mi trovo da qualche ora. “S-si, certamente. Ho bisogno di una birra” come se si aspettasse la mia richiesta, mi porge velocemente la classica bottiglia verde in vetro che prendo senza esitazioni. “Non vorrei essere insistente, ma sembri piuttosto turbato” naturalmente non posso nascondergli quasi nulla e quello che è successo rientra nella categoria. “È stata una giornata particolare”. Mi guarda in attesa di ulteriori spiegazioni. Non voglio dirgli che sono stata alla bottega di Arthur, ma posso raccontargli ciò che è successo. “Sono uscito a fare un giro e un bambino mi si è avvinghiato ad una gamba” “Il grande Zack Evans tramortito da un bambino? Incredibile” la risata di Matt irrompe nella stanza e non posso evitare di osservarlo infastidito. “Okay, okay, la pianto. Però muoviti ad arrivare al punto, sto diventando vecchio”. “Almeno cresci dato che ti comporti come un poppante” “Uu questo era un colpo basso, sembrava una delle frecciatine di Ellie”. Il silenzio cala su di noi alla pronuncia di quel nome. Io sono fermamente convinto che Matt in qualche modo sia attratto da lei e anche se devo ammettere che è una gran bella ragazza dalla forte personalità, quest’ultima è decisamente troppo vigorosa, per non parlare della lingua biforcuta di cui è dotata. “Sarà meglio tornare al tuo incontro” Il mio amico cambia prontamente discorso, il che mi dà da pensare che i miei sospetti non siano del tutto infondati. “Non c’è molto altro, semplicemente stava piangendo perché voleva la mamma e l’ho tenuto in braccio per un po’ così che si tranquillizzasse” “E lo ha fatto?” “Ovviamente”. “Ma guarda, spero tu abbia dato spettacolo ai paparazzi che sicuramente non vedranno l’ora di scrivere un articolo su quanto saresti affascinante come padre di famiglia e su chi sia il misterioso bambino”, il mio amico mi beffeggia e sbuffo sonoramente. “Zack, qual è il problema?” “Io…io non lo so!” mi alzo con uno scatto dalla poltrona e mi porto le mani nei capelli frustrato. “Non è la prima volta che prendi in braccio un bambino” “Si ma credo sia questo il punto. È stato…diverso.” Non sono in grado di spiegare quello che ho sentito e il mio migliore amico non è in grado di capirlo per me. Porto una mano sulle dita dell’altra per ruotare i miei anelli come faccio quando sono nervoso, ognuno di essi ha un profondo significato per me e mi aiutano a mantenere la calma e sfogare la tensione; ma quando mi appresto a compiere l’abitudinario gesto, una consapevolezza mi assale attanagliandomi lo stomaco: uno dei miei preziosi gioielli non si trova più al suo posto.

ELLIE’S POV
Ci sono giorni in cui l’unica cosa che hai voglia di fare è startene sotto le coperte, al caldo, e alzarti tardi per sorseggiare un una bevanda bollente e spostarti sul divano restandoci a tempo indeterminato. Ma decisamente, questo non è quello che puoi fare quando lavori in una delle aziende più prestigiose di New York, hai un figlio di cui occuparti e un idraulico in sovrappeso che rilascia appuntamenti alle sette del mattino. “Be Signorina, dovrebbe prestare maggiore attenzione con i gioielli” Gioielli? “Come ha detto?” “Ho detto che quando si lava, dovrebbe essere sicura di aver tolto tutto” ammicca malizioso. Ho detto in sovrappeso? Avrei potuto dire direttamente porco. Dato che ci assomiglia in ogni senso. Mi consegna un anello che è decisamente troppo grande per poter essere mio. Dopo che quell’essere ripugnante ha lasciato il mio appartamento, posso dedicarmi all’oggetto che stringo ancora tra le mani e noto che ha un aspetto famigliare. Un momento…ma è di…O. Mio. Dio. Come un flash mi balza in mente ciò che è successo ieri e in un attimo collego tutto. Questo anello è di Zack.

-N/A-
Buonasera ragazze! Ecco il nuovo capitolo, probabilmente il penultimo dell'anno, che spero davvero vi piaccia. Vi ringrazio di cuore per le visualizzazioni e le recensioni! Mi raccomando di farmi sapere cosa ne pensate. Mi piacerebbe che vi uniste ai gruppi di Facebook e Twitter "When Love Takes Over"  per farvi sentire visto che so che  ci siete <3 Intanto colgo l'occasione per augurare a voi e alle vostre famiglie un felice Natale! <3 Baci.

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Capitolo 16
*** Hold on to what you love ***


“Ellie! Fortuna che sei arrivata, oggi Zack è piuttosto nervoso”. Questa mattina Alex ha fatto i capricci e non sono riuscita ad arrivare al lavoro in anticipo come al solito. “Buongiorno signore” una voce famigliare dietro di noi, attira la nostra attenzione. “Matt, che diavolo ha Evans?” guardo la mia amica e l’uomo ora di fronte a noi incuriosita, senza capire cosa stia succedendo. “Ah non preoccupatevi, gli passerà. Spero”. L’ultima parola esce appena in un sussurro e gli lancio un’occhiata eloquente prima che si volatilizzi. “Jennifer ecco dove eri! Ti stavo cercando. Stranamente in compagnia della Wilson vedo… vai subito nel mio ufficio, arriverò tra poco”. Definirlo scorbutico sarebbe riduttivo. Sto per ribattere come mio solito, ma quando osservando Jen, capisco che non è il caso. Faccio come mi è stato ordinato e mi dirigo verso l’ufficio del capo con le ginocchia di gelatina; non so se mi tremino per il nervoso o per l’ansia di aver fatto qualcosa di sbagliato. Se non avessi Alex, la parte più rabbiosa di me predominerebbe su quella pavida, ma ora non posso proprio permettermelo. “Ellie” oh, ma guarda chi si rivede dopo quanto…due minuti? “Matt” pronunciare il suo nome è strano, fino a poco tempo fa mi pareva una così bella parola da urlare per le strade, un bel nome per una bella persona. Questo sentore di stranezza a quanto pare non lo provo soltanto io, dato che al solo udire la mia voce, lo vedo sussultare. “Devi andare da Zack?” mi domanda dopo un po’, distogliendo la mia attenzione dal pavimento lucido. “Si” così ci dirigiamo insieme nel luogo in cui siamo desiderati e Matt mi invita a sedermi su una delle due poltrone davanti alla massiccia scrivania. Cade un silenzio pesante tra noi. Vorrei domandargli il perché di questo suo cambiamento improvviso nei miei confronti, capire quale motivo lo ha spinto, non solo ad ignorarmi, ma a trattarmi come se non fossimo mai stati “amici” o quasi. Quando sto per decidermi a dare voce ai miei pensieri, vengo preceduta. “Come sta Alex?” sembra veramente interessato, e la sua non pare una semplice domanda di cortesia. “Bene, ha fatto un po’ i capricci questa mattina”. Mi lascia un cenno, come una costatazione finché il silenzio non ridiscende su di noi. Siamo entrambi persi nelle nostre riflessioni: devo ammettere che ho apprezzato la sua preoccupazione dei confronti del bambino. Mio figlio è decisamente il mio punto debole. Alla fine decido di meritare una spiegazione e ritengo giusto dare a lui la possibilità di fornirmene una. Ancora una volta, mentre sto per liberare i miei pensieri, vengo interrotta. La causa però è diversa: Zack è appena giunto nello studio sbattendo la porta. Sobbalzo e Matt stacca le ampie spalle dalla parete su cui era appoggiato, per seguire l’amico verso la scrivania. Non so esattamente cosa dovrei dire, forse confido nel buon cuore dell’uomo accanto a me, sperando che gliene sia rimasto, e attendo che sia lui ad approcciare per primo con il capo. Come se mi avesse letto nel pensiero: “Allora Zack, di cosa avevi bisogno?” l’aria sembra comprimere la mia pelle e non riesco a comprendere cosa possa rendere un uomo tanto nervoso. Sarà andato in bianco. La Thompson lo avrà stressato di prima mattina. Magari ha finito il latte e non ha potuto fare colazione. Poi noto un gesto che non mi è nuovo: l’uomo dagli occhi di ghiaccio tenta di stringere e ruotare qualcosa sulle sue dita, ma senza riuscirci. L’anello. I suoi tratti si induriscono ancora di più e le sue iridi diventano incandescenti. Scaglie fredde sembrano trafiggermi in ogni dove. Devo trovare il modo di farglielo avere senza fargli scoprire che lo avevo io. “Ho dei documenti da darti Wilson, ma ho bisogno che Matt ti aiuti” porge un fascicolo all’uomo accanto a me e quest’ultimo, dopo aver letto la prima pagina, annuisce. “Devono essere pronti per le sette di questa sera”. Detto ciò, si alza e ci invita ad uscire per iniziare il nostro incarico.

Dopo ore di estenuante lavoro e un panino al volo, mi lascio andare sulla sedia del mio ufficio, sfinita. “Ne abbiamo ancora per molto?” sbuffo. “Temo proprio di sì. Se Zack non fosse così nervoso, l’avrei convinto a darci più tempo…” “Ha il ciclo per caso?” Non l’ho detto davvero, non posso averlo detto. Datemi una pala, così posso sotterrarmi e mettere fini ai miei tormenti. Calma Ellie, è la stanchezza. Matt mi osserva per un momento, interrompendo ogni altra sua azione, per poi scoppiare in una fragorosa risata. È contagiosa e calda, proprio come la ricordavo. “No, non ha il ciclo. Fidati, è la persona più lontana dall’essere una femminuccia che io conosca”. Mi fido, mi fido. “Sai, non voglio giustificarlo…” riprende con tono più serio. “Ma ha perso una cosa molto importante per lui”. “L’anello…” Il mio filtro bocca-cervello a quanto pare si è autodistrutto e solo nel vedere il suo volto confuso mi rendo conto di ciò che ho detto. “Come lo sai?” “M-mi sono accorta prima, durante l’incontro, quando lo cercava al dito”. “Sei una buona osservatrice”. Sono le ultime parole, prima di continuare con le nostre scartoffie. Inutile dire che non sono più concentrata come prima, e dentro di me, stanno combattendo per uscire due domande: qual è il significato di quell’oggetto? Perché è così importante? Matt non credo mi darà mai le risposte che cerco. Ma anche se so di dover riconsegnare il gioiello al suo proprietario, non posso fare a meno di pensare che sia un buon pretesto per saperne di più sul suo passato. “Perché un semplice anello è così importante?” A breve farò la stessa fine del mio filtro sopracitato se vado avanti così. “Zack non è superficiale come si potrebbe pensare. Quell’oggetto arriva da una persona a lui cara che ora non c’è più”. Sinceramente avevo supposto qualcosa di simile, un classico. Dalla mia espressione, il ragazzo sembra comprendere che non sono del tutto appagata da quella breve ed evasiva spiegazione. “Suo nonno. Stavano sempre insieme quando Zack era piccolo e i suoi genitori erano impegnati per questioni di lavoro”. Ciò non mi porta da nessuna parte concretamente, ma la consapevolezza di doverlo restituire dilaga dentro di me. “Non ha idea di dove potrebbe essere?” “Mm…no. Mi ha detto soltanto che ieri è andato a far compere e potrebbe essergli caduto in un qualsiasi negozio. Credo sia questo a renderlo così nervoso. L’idea che probabilmente non lo ritroverà mai più”.

Non ha importanza il mio piano, non ha importanza se sono stata trattata come uno zerbino da un ricco, spavaldo, troglodita. Dimenticavo bellissimo, ma pur sempre idiota. Non voglio essere una ladra, non voglio abbassarmi a certi livelli. Farò ciò che è giusto e ridarò ciò che non mi appartiene. Naturalmente fingerò di averlo trovato per caso. Voglio lasciare Alex fuori da questa storia. Jennifer è convinta che riceverò una promozione per aver ritrovato l’oggetto del desiderio del capo, io invece credo che sia una situazione decisamente surreale. Ma a quanto pare, sono l’unica a pesarla così data la scena che mi si para davanti: una Jessica su di giri volteggia attorno a Zack. “L’ho trovato!” urla estasiata e l’uomo, nonostante un principio di scetticismo, scioglie i muscoli tesi delle spalle quando la ragazza gli mostra il palmo della mano. Cerco di sporgermi verso di loro per capire cosa stiano osservando con così tanto interesse. “Be cosa aspetti? Indossalo!” la voce squillante della Thompson mi perfora i timpani, ma non ci penso più quando vedo un grande anello al dito del capo. Fermi tutti. Tutto ciò non è possibile. Porto una mano nella tasca per assicurarmi che sia ancora lì e che non me lo sia semplicemente sognato. Eccolo. Accarezzo il metallo freddo e duro che mi riporta alla realtà.

Dopo la scenetta da film di ieri sera, Zack sembra aver cambiato umore e sebbene ciò renda contenta me e tutti i numerosi impiegati che da questa mattina vengono trattati più gentilmente, non mi sento tranquilla. È tutto sbagliato. Se il capo ha un valore affettivo con l’anello è giusto che gli venga restituito l’originale. “Dovresti andare da lui e ridarglielo. Tu hai la coscienza pulita, è quell’oca che vuole solo approfittarsene” Jen è a dir poco furente. Non concepisce l’idea che Jessica riesca ad averla sempre vinta. “Ha fatto una cosa meschina e per questo deve pagare!” “Chi deve pagare cosa?” Matt interrompe la nostra conversazione e ci fa sobbalzare per lo spavento. “Matthew Gerald Smith, ti pare questo il modo di arrivare?” “Gerald?” dico trattenendo una risata. “È il nome di un prozio andato in guerra. E comunque, grazie Jennifer”. Le lancia un’occhiata capace di incenerire, ma su di lei sembra non avere alcun effetto, anzi. “La prossima volta impari a farmi spaventare” “E va bene tregua. Chiedo venia” alza le mani in segno di scuse per poi sedersi accanto a noi. “Ora posso sapere di chi state programmando di sbarazzarvi e il motivo di ciò?” Sono reticente all’inizio, ma come ha detto la mia amica poco fa, il mio animo è in pace. Racconto a Matt la verità, o per meglio dire, la versione che verrà esposta anche a Zack. A quanto pare è perfettamente d’accordo con Jennifer e deduco che neanche a lui stia troppo simpatica Jessica. “Non pensavo la odiassi tanto” affermo. “È una piovra. Mi rende la vita impossibile da quando l’ho rifiutata.” “Tutti cadono ai suoi piedi, ma il grande Gary è riuscito a resisterle?” lo guardo scettica accavallando le gambe e appoggiandomi allo schienale della sedia, mentre Jennifer mi lancia uno sguardo fiero. A Matt va di traverso il caffè nell’udire il nomignolo e comincia a tossire. “Sai, Ellie, non amo le voci stridule”. Dal suo tono velato posso percepire una malcelata  accusa. “Io non ho una voce da oca”.  “Dì a Zack la verità e io smetterò di dire che hai una voce da oca”. “Mi stai ricattando per caso?” mi osserva con attenzione e quando apre la bocca per parlare, resto spiazzata:”Quack”.

Stupido Matthew Gerald Smith, stupide oche, stupido anello e stupida me. Anzi stupido universo…no, no. Stramaledettissimo karma. La porta dell’ufficio di Zack è aperta e al suo interno intravedo quell’essere viscido in compagnia dell’uomo dagli occhi di ghiaccio. Sto per fare il mio ingresso, ma il mio istinto mi consiglia di origliare un briciolo di conversazione per capire fino a che punto può arrivare quella donna. “Grazie per averlo ritrovato, è molto importante per me”. Che lui dicesse proprio a lei una cosa del genere non me l’aspettavo. “Oh, ne sono consapevole”. Sono veramente molto vicini e lei sta accarezzando il suo avambraccio. “Dov’era?” A giudicare da quello che vedo, lei non vede l’ora di saltargli addosso, mentre lui sembra aver voglia di parlare. Strano. Pensavo fosse un tipo che passa direttamente all’azione. Temporeggiare non ha senso. Teoricamente non dovrebbe esserci più nessuno a quest’ora e non credo siano persone che si facciano problemi ad usare una scrivania. Oh che schifo, ma che diavolo mi salta in testa. ”Penso che tu l’abbia lasciato da me dopo…beh…tu sai cosa…” la sua voce si fa ancora più languida e io sto per rigurgitare tutti i litri di caffè che ho consumato durante tutti il giorno. Devo intervenire prima che avvengano atti osceni davanti ai miei poveri occhi. Mi schiarisco la gola per attirare la loro attenzione e Zack allontana la piovra con una lieve spinta. “Mi scusi Signor Evans, Mat- Smith, Smith mi ha detto che potevo trovarla qui” “Al momento sono un po’ impegnato, nel caso non se ne fosse accorta”. Oh ma guarda tu questo essere malefico. Non lo sopporto! E io che sono qui per una gentilezza. “Sì, stavamo trattando importanti questioni. Quindi ti conviene tornare domani”. Figuriamoci se l’oca non si intromette in affari che non la riguardano. Mi faccio forza e traggo un profondo respiro. Quest’uomo non merita il mio animo buono e questa donna non merita il mio notevole autocontrollo. “Veramente si tratta di una questione della massima urgenza”. “Qualsiasi cosa, può attendere domani” mi impone con sguardo glaciale, accompagnandomi verso l’uscita. “Anche l’anello di tuo nonno?” Tanto mi devo autodistruggere no? Al diavolo le forme di cortesia! “Di che accidenti stai parlando?” mi stringe il polso in maniera quasi dolorosa. “Se mi lasciassi, potrei farti vedere”, molla la presa e io ritraggo velocemente la mano per portarla alla tasca dei miei pantaloni. Scorgo un livido sul mio avambraccio e la mia furia diventa indomabile. “Questo è l’anello originale, se non sei troppo ottuso per renderti conto quello che porti al dito è solamente un falso. Valore affettivo eh? Non sai nemmeno distinguere ciò a cui tieni davvero” glielo poso sul palmo in malo modo ed esco a passo spedito. Riusciremo mai a fare una conversazione senza sbranarci? No, non finché lui continuerà ad essere ciò che è. “Aspetta” lo sento dietro di me, ma continuo a camminare. “Ellie” il mio nome mi fa venire i brividi pronunciato in quel tono di supplica, ma non mi fermerà. Una fitta al polso mi costringe ad arrestare la mia marcia e gli dono uno sguardo in cagnesco, privo di ogni controllo. “Ahia. Mi stai facendo male” gli faccio notare con rabbia. Mi guarda confuso, senza capire, poi rompe l’ultimo contatto fisico tra noi e scende il gelo. Non siamo lontani, anzi tutt’altro, ma non un millimetro dei nostri corpi si sfiora. Restiamo così a guardarci, senza dire nulla.  I respiri affannati producono l’unico suono. “Io…” sembra un cucciolo ferito, ma ne ho viste tante di persone come lui. Non sono intenzionata a cedere. “Tu cosa?” lo sprono, fredda, la voce più ghiacciata del colore dei suoi occhi. “Grazie”. Se fosse un film strappalacrime, ora rimarrei sorpresa dalla sua parola, mi scioglierei e mi lascerei abbindolare. Ma la vita non è un film ed io non sono un attrice. Sono una persona vera che pretende il rispetto che merita. Mi avvicino e lo vedo sgranare gli occhi. La mia gota sinistra sfiora la sua e la barba rasata mi accarezza ispida. “Impara a tenerti strette le cose che ami Signor Evans, altrimenti queste scivolano via” sussurro al suo orecchio prima di lasciarmi andare verso le porte di vetro dell’azienda.

-N/A-
Buonasera adorate! Innanzitutto colgo l'occasione per augurarvi un felice anno nuovo, ormai manca poco. Passando alla storia, questo capitolo è un po' più lungo degli altri e mi sono impegnata davvero molto, spero di cuore che vi sia piaciuto. Come al solito vi ringrazio di tutto e vi mando un bacio.

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Capitolo 17
*** Upset ***


Sono assolutamente fiera di me stessa. Non so da dove sia arrivata la frase che ho rivolto a Zack, ma... “Sei stata una bomba!” Jennifer è estasiata quanto me dall’accaduto. Nonostante il mio ego sia ormai smisurato, covo nel mio animo un nervoso trepidante che, solo a pensarci, mi toglie il respiro. Sono passati tre giorni dal mio ultimo incontro con il capo e sono contenta di aver mantenuto le distanze e di non aver scontrato il mio sguardo con quegli occhi di ghiaccio. Zack Evans sta sfidando i limiti della mia sopportazione; adesso basta. Mi concentrerò solo sul lavoro, manterrò le distanze e ci comporteremo da colleghi quali siamo. “Ehilà? C’è nessuno in casa? Terra chiama Ellie” Riscossa dai miei pensieri, sento Jennifer scuotermi. “C-cosa dicevi?” Mi guarda allibita. “Ma come? Non senti Alex? Sta strillando come un pazzo da due minuti buoni”. Come se fossi stata sorda fino a questo momento, il pianto di mio figlio mi trafigge i timpani; mi alzo di scatto dalla sedia per correre a prenderlo in braccio e cercare di tranquillizzarlo. “Ssht amore, va tutto bene”. La mia amica ci raggiunge in sala e osserva preoccupata la scena. “Ellie, cosa è successo?” “Non ne ho idea, sicuramente non è caduto perché era seduto sul divano.” Dopo una ventina di minuti riesco a tranquillizzarlo e lo lascio alle amorevoli cure di Kim. “Senza di te non so come farei” la ringrazio. “Figurati Ellie, sai che per me è come un fratello ormai. Ora tu e Jennifer dovreste andare, altrimenti farete tardi al lavoro”. Osserviamo l’orologio sulla parete, e in effetti, la ragazza non ha tutti i torti. Lascio un veloce bacio sulla fronte del bambino che sta dormendo tranquillamente ed esco dall’appartamento.

“Wilson, dieci minuti di ritardo”. Questa è la meravigliosa accoglienza che mi riserva il capo, il quale mentre solitamente è occupato durante l’orario del mio ingresso, oggi pare una sentinella posta esattamente accanto alla porta del mio ufficio. “Mi scusi, ho avuto un’emergenza, non si ripeterà più”. Non abbasso il capo, ma non lascio che i nostri sguardi si incontrino. “Me lo auguro. Ora andiamo nel mio studio, c’è del lavoro da fare”. Freddi e professionali, come è giusto che sia. Mentre lo seguo nel corridoio, mi spiega come è stata organizzata la giornata lavorativa. “Alle ore sedici ci sarà una riunione con il comitato interno per discutere di affari, naturalmente tu dovrai essere presente”. “Non avete ancora trovato una cameriera?” mi lascio sfuggire, ricordando l’episodio di qualche settimana prima. Stupida boccaccia. Distacco e serietà, eh? “No. Questa volta dovrai stare seduta e prendere appunti. E se ti è possibile, evita di parlare a sproposito”. Appena l’ho visto, poco fa, sembrava avesse qualcosa di diverso, i suoi occhi sembravano diversi. Non so esattamente definire ciò che mi è apparso, ma probabilmente me lo sono solo immaginata. Non posso negare che mi sarebbe piaciuto sapere i suoi pensieri dopo le mie ultime parole di quella sera; avrei desiderato osservare la sua espressione e leggere l’effetto che avevo provocato; sarei stata curiosa di capire se la mia frase avesse colpito nel segno e fosse arrivata dove volevo che arrivasse. Ma nella vita ho imparato che non ha senso dedicarsi alla costruzione di troppe aspettative, perché queste paiono solo dei castelli di sabbia che, alla prima folata di vento, vengono spazzati via. Per questo motivo, ho soppresso ogni mia curiosità e ogni mio desiderio, per lasciar spazio al mio lavoro ed evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento. “Wilson? Mi stai ascoltando?” Oh no, di nuovo. Devo smetterla di distrarmi mentre la gente mi parla, altrimenti mi prenderanno per una psicopatica. “Ehm…si, certo”. Non mi sono neanche accorta di essere arrivata nel suo ufficio e di essermi seduta da tanto che ero persa nei meandri del mio subconscio. Rilascia un sospiro frustrato e poggia la schiena sulla poltrona, la sua aria da duro viene rimpiazzata da… non so cosa sia con precisione, ma ora, visti dall’esterno, sembriamo due amici che stanno per affrontare una conversazione dall’argomento spinoso e ciò non mi piace. “Senti. Se è per l’altra sera, dimentichiamocela. Non voglio che interferisca con il nostro rapporto lavorativo. Ho bisogno di collaboratori concentrati sugli obiettivi dell’azienda e non sulla vita privata. Adesso ti ripeterò ciò che ho detto, ma vedi di prestare attenzione e sappi che la prossima volta non sarò così magnanimo. In questo lavoro il tempo è particolarmente prezioso e io non posso permettermi di perdere neanche un secondo. Chiaro?” Le sue parole sono acuminate come spilli e sembrano quasi lasciarmi senza respiro, nonostante questo, il suo tono è carezzevole come forse non l’avevo mai sentito. L’espressione non è contrassegnata da cipigli, ma piuttosto la definirei stanca. Sono proprio queste due ultime considerazioni a spingere la mia voce ad uscire, bassa ma ben scandita: “Chiaro”.

Circa un’ora dopo sto compilando scartoffie, decisa a non distrarmi con inutili ragionamenti e il mio piano sembra funzionare fino all’ora di pranzo quando chiamo Kim per avere notizie su Alex. “Andiamo Kim, rispondi.” “Ci sono problemi?” Jennifer si accomoda accanto a me. “Kim non è raggiungibile” spiego sconsolata. “Sta tranquilla, magari si sta occupando di Alex e non ha tempo, ti richiamerà lei” mi posa gentilmente una mano sulla spalla per tranquillizzarmi. “Lo spero”. Sospiro senza riuscire a darmi pace. Ho una brutta sensazione. “Ellie, vai alla riunione?” Rispondo affermativamente a Matt. “Tu non ci vieni?” “Non questa volta, devo sbrigare delle commissioni come vice”. Peccato, mi avrebbe fatto piacere avere una spalla, anche se considerando com’è andata la volta scorsa, non sarebbe stato molto d’aiuto. “Sarà meglio tornare dai miei documenti, altrimenti non riuscirò a terminare prima delle quattro”. Riprendo il mio lavoro e nonostante il mio sesto senso mi spinga a richiamare Kim ogni cinque minuti, non gli do peso e per l’ora del meeting sono in sala riunioni a prendere posto prima di tutti gli altri colleghi. “Wilson, recuperi i dieci minuti persi questa mattina?” No, un momento. Io finalmente mi decido a non dargli più corda, nella buona, ma soprattutto, cattiva sorte e lui cosa fa? Arriva con un sorriso smagliante e si mette a scherzare amorevolmente. Con me poi. “Mi piace essere diligente” rispondo a tono. Avrei potuto fare un semplice cenno e starmene zitta, ma non sia mai che io non mi faccia valere. Quando i soci iniziano a fare il loro ingresso nella sala, noto il Signor Hamilton, che mi rivolge subito un saluto, senza sbilanciarsi troppo, e si accomoda non molto distante da me. La riunione finalmente inizia e comincio a prendere appunti. Questi uomini parlano davvero troppo velocemente e riuscire a seguire ogni discorso mi risulta piuttosto complesso. Improvvisamente sento vibrare il mio telefono, posto nella borsetta ai miei piedi. Fortunatamente sono tutti talmente impegnati a discutere, da non accorgersene; osservo furtivamente Zack, il quale sta intrattenendo un acceso dibattito così da permettermi di dare un’occhiata. È Kim, ma non posso risponderle dal momento in cui sento chiamare il mio nome. Riporto l’attenzione sulle mie note e cerco di ignorare l’insistente rumore emesso dal mio telefono. “Va bene signori, possiamo fare una pausa”. Alle parole tanto attese del capo, tutti si alzano per recarsi ai servizi o a comprare un caffè, io invece resto dove sono e chiamo immediatamente Kim che sembra impiegare un’eternità per rispondere. “Scusa ero in riunione, dimmi tutto”. “Ellie, sono al pronto soccorso, si tratta di Alex”. Sussurro tremante il nome di mio figlio, come a voler metabolizzare ciò che ho appena sentito. La voce…preoccupata di Zack arriva ovattata alle mie orecchie, queste maledette scarpe rallentano solo la mia corsa e non mi accorgo neanche di averle in mano e non più ai piedi, le mie spalle si scontrano con alcuni soci, ma non c’è tempo, non c’è dolore, non c’è nulla. Se non la mia folle corsa contro l’ignoto.

ZACK’S POV
“Alex” sussurra. Il suo volto è estremamente pallido e temo possa svenire da un momento all’altro. “Ellie, stai…” non faccio il tempo a terminare la frase perché la vedo alzarsi e correre via come un fulmine. Non capisco cosa stia succedendo, il mio istinto mi dice di inseguirla, ma la parte più razionale di me, mi ricorda i miei obblighi verso il mio lavoro e mi porta alla conclusione che in effetti non ho alcun diritto di immischiarmi nella sua vita.
Il meeting finalmente termina e rimasto ormai solo nella sala, posso dedicarmi ai miei pensieri. Mi sembrava di aver sentito “Pronto soccorso”, ma non ne sono sicuro. Poi chi sarà questo Alex? Magari il suo ragazzo. Sicuramente quando tornerà al lavoro, mi dovrà delle spiegazioni.

Tre giorni dopo
Quando tornerà mi dovrà delle spiegazioni? Sarebbe stato più esatto dire SE tornerà. Sono ormai tre giorni che di Ellie Wilson non si hanno notizie. Neppure Jennifer riesce a contattarla, nonostante continui a provarci. Come capo è mio dovere informarmi se i miei dipendenti non si presentano al lavoro per un periodo di tempo prolungato e immotivato; per questo motivo, ho deciso di recarmi al St. Regis per avere sue notizie. Dalla sera di quasi una settimana fa, non faccio altro che rimuginare sulle sue parole che, devo ammettere, mi hanno scosso nel profondo. I primi giorni addirittura, mi sembrava di sentire nei miei sogni la sua voce che ripeteva quella fatidica frase. Le ero davvero grato per aver ritrovato il mio prezioso anello, ma il momento successivo è stato particolarmente intenso e non ho avuto il tempo di capire né come avesse fatto a ritrovare l’oggetto perduto, né da dove fossero arrivate quelle parole così vere, ma allo stesso tempo pregne di una certa nostalgia e sofferenza. Forse dopo questa mia visita a casa sua, potrò saperne di più.

-N/A-
Buonasera fanciulle! Vi ringrazio di cuore per tutte le visualizzazioni e recensioni. Vi adoro, davvero. So che questo capitolo non è il massimo, ma è un capitolo di passaggio, il prossimo sarà migliore. Mi auguro comunque che vi piaccia. un bacio.

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Capitolo 18
*** Trouble ***


ZACK’S POV
Mi sono dovuto accontentare della receptionist per avere notizie su Ellie. A quanto pare non è ancora stata vista rientrare all’hotel e ciò mi lascia molto perplesso. Dove diavolo sarà finita? Fatto sta che devo scoprire dove si trova. Nell’azienda ha un ruolo importante e questa assenza ingiustificata non può di certo essere vista di buon occhio. Naturalmente avrà un valido motivo, quando è stata assunta, ci siamo assicurati che fosse una persona affidabile, ma in ogni caso è mio dovere scoprire cosa sta succedendo. Saluto la donna dietro al bancone di ingresso e mi reco verso l’uscita. Ho come meta l’azienda, anche se, a metà strada mi tornano in mente le sue parole: “pronto soccorso”. Forse sarebbe più intelligente andare direttamente al  NewYork-Presbyterian, non è l’unico, ma sicuramente è uno dei migliori e il più vicino a questa zona. Considerando la mia importanza e i soldi che possiedo, non dovrei avere problemi nel ricevere dati personali sulla Wilson. Solitamente non amo sfruttare il mio potere per infierire nelle vite private altrui, soprattutto se si tratta dei miei dipendenti; ma direi che questa è una situazione d’emergenza e mi sento la coscienza pulita mentre raggiungo la hall del Presbyterian. “Salve” l’infermiera davanti a me deglutisce a vuoto quando scruta con attenzione il mio viso. “S-signor Evans?” “In persona” ammicco, lasciandole un lieve sorriso. “C-come p-posso a-aiutarla?”  il suo balbettare mi infastidisce non poco, ma non è l’unica che lo fa in mia presenza, ormai sembra essere un’abitudine; a partire dalle donne che frequento, per finire con i miei dipendenti e collaboratori. Ellie invece sembra sempre piuttosto decisa. Forse è per questo che mi ha da subito attratto, nonostante la rabbia spesso nutrita nei suoi confronti. “Sto cercando la Signorina Ellie Wilson. Da quanto mi risulta non è ricoverata, ma potrebbe esserlo qualcuno che conosce. Un certo Alex.” Come se glielo avessi ordinato, si mette subito alla ricerca tramite il computer sulla sua scrivania, quando improvvisamente si blocca e mi osserva con una punta di timore nello sguardo. “Signor Evans, lei è un parente? Altrimenti non posso fornirle l’accesso per una questione di privacy”. Nonostante un vago nervosismo si espanda nel mio corpo, non posso negare che la donna stia solo facendo il suo lavoro, in modo impeccabile peraltro. “Senta, non sono un famigliare, ma sono il suo capo e si tratta di un’emergenza. Non si presenta al lavoro da giorni e io ho davvero bisogno di sapere cosa sta accadendo. Sa… ci tengo ai miei dipendenti” assumo un’aria da dirigente che ritiene i suoi collaboratori come una famiglia e questo fa sì che l’infermiera sia maggiormente predisposta a fornirmi ciò che mi serve. La vedo ancora riluttante, probabilmente teme di perdere il lavoro se qualcuno venisse a sapere che mi ha lasciato passare, così decido di giocare la mia carta da  uomo ricco e influente. “Ascolti, posso capire la sua titubanza, ma le assicuro che questo segreto resterà tra noi due, nessuno verrà a saperlo. Sa chi sono e quindi saprà anche quanta voce in capitolo io abbia. Se può tranquillizzarla, sono anche uno dei benefattori che donano annualmente dei fondi all’ospedale”. Con queste ultime parole, ogni suo dubbio viene spazzato via e vengo indirizzato verso la stanza di questo Alex. Decisamente non può essere più ricco di me…e neanche più bello, potrebbe essere intelligente e simpatico, ma…direi che queste doti non mancano neanche a me. Chissà che tipo è. Magari hanno anche già in programma di sposarsi, di comprare casa, un cane…però Ellie non avrebbe richiesto lavoro nell’azienda se fossero già così organizzati. E poi chissà che diavolo sarà successo. Potrebbe essere qualcosa di grave e io starei per turbare una situazione già di per sé sgradevole. Preso come sono dai miei pensieri rallento il passo. Non avevo pensato a quest’ultima opzione: non posso spuntare dal nulla e rimproverarla per la sua assenza come se niente fosse. Mi riprometto di mantenere la calma e di mostrarmi attento ai suoi bisogni e non dispotico come mio solito. Tutto questo riflettere mi annebbia, non solo il cervello, ma anche la vista, dato che non mi accorgo di essermi scontrato con una ragazza un po’ più giovane di me: ha i capelli arruffati legati in una coda scomposta e gli occhi grigi tendenti al verde che sembrano piuttosto stanchi e inappropriati su un viso così fanciullesco. Devo ammettere che  non è niente male. In mano stringe due bicchieri di caffè con scritti due nomi per distinguere i liquidi. “Kim” leggo, mente l’altro è quasi completamente nascosto dalla sua esile mano. “Scusa” non mi guarda neanche e ritorna velocemente sui suoi passi. Sono in un ospedale, sarà difficile non vedere qualcuno con profonde occhiaie o visi stravolti dalla stanchezza. Questo posto è enorme e sto vagando a vuoto. Non voglio chiedere a nessuno per non creare problemi. Prima o poi la troverò.

ELLIE’S POV
Dopo aver parlato con il dottore, ho avuto l’impulso di schiaffeggiare Kim per avermi fatta preoccupare così tanto per un’otite, benché acuta, niente di particolarmente grave e piuttosto comune nei bambini. Il problema principale risiede nella febbre alta che ha avuto e che, considerando le temperature esterne che stanno iniziando a diminuire, ha fatto sì che restassimo tre giorni relegati in ospedale. Nonostante il mio primo impulso di mettere le mani addosso alla babysitter, mi sono calmata subito dopo aver visto il suo viso preoccupato e ho fatto del mio meglio per tranquillizzarla, dicendole che aveva fatto bene a portare Alex al pronto soccorso. Questa situazione mi ha messa molto sotto pressione, e pur consapevole che non fosse nulla di cui preoccuparsi troppo, il mio lato materno, ma con troppa poca esperienza, ha avuto il sopravvento e ho passato le ultime due notti in bianco. Come se non bastasse, non ricordo dove ho messo il cellulare, probabilmente presa dalla foga della notizia datami da Kim, devo averlo lasciato da qualche parte. La ragazza è andata a prendermi un caffè di cui ho assolutamente bisogno. Più tardi andrò alla caffetteria per prendere anche qualcosa da mangiare, stomaco chiuso a parte. “Signorina Wilson?” “Dottore! Come sta Alex?” mi alzo dalla sedia in sala d’attesa e aspetto la risposta dell’uomo con apprensione. Non è il primario, ma mi hanno detto che è uno dei migliori; a prima vista può sembrare un tipo burbero, ma se osservato attentamente, il suo sguardo è molto dolce e brillante. “Esattamente come stava un quarto d’ora fa. Tra poco dovrebbe passare la cena, dopo puoi entrare e stare un po’ con lui.” “La ringrazio.” Si allontana per continuare il giro di controllo. Credo proprio che faranno santo quell’uomo per avermi sopportata in questi giorni. Il suo tono è stato piuttosto comprensivo, probabilmente nonostante io sia un caso disperato, deve essere abituato a madri ipernervose per la salute dei figli. “Ellie, ecco il caffè” Kim si siede accanto a me e mi porge la bevanda calda. “Ti ringrazio, senza di te non so come avrei fatto! Non ho potuto neanche avvisare la mia amica Jennifer perché non ricordo a memoria il suo numero” penso a Jen e suppongo sia preoccupata, per non parlare del fatto che non ho avvisato al lavoro. Accidenti che stupida! Questa è la volta buona che perdo il posto.

Finalmente posso entrare da Alex che subito si illumina nel vedermi. “Mamma” lo prendo in braccio e nel tempo che passo con lui, lo aiuto a fare il bagnetto e ad infilarsi un nuovo pigiama. “Vuoi un peluche per fare la nanna?” gli mostro l’elefantino e l’orsetto e lo vedo spingersi verso il secondo, così lo infilo sotto le pesanti coperte e resto con lui ancora un po’ per vedere i cartoni, almeno finché non si addormenta. In pediatria l’orario delle visite finisce piuttosto presto perché ha maggiore durata durante il giorno, così quando sprofonda tranquillo tra le braccia di morfeo, lascio silenziosamente la stanza. Ho mandato Kim a casa per lasciarla riposare e io mi reco alla caffetteria per concedermi qualche panino avanzato o una brioches. Prima che possa uscire dal corridoio che da accesso ai reparti, vengo fermata dal dottore. “Signorina Wilson, perché stasera non torna a casa? Suo figlio sta sicuramente meglio e può passare domattina con tutta calma” “Io-“ Sto per spiegargli che preferisco restare perché, presa da un moto di solitudine, la casa senza il bambino mi sembrerebbe troppo vuota e silenziosa e in ogni caso non credo di riuscire a dormire tranquilla, ma vengo interrotta. “Dottor Mills!” O. mio. Dio. Non può essere chi penso che sia. “Zack Evans, che piacere vederti! Spero non per funeste circostanze”. Effettivamente incontrare qualcuno in un ospedale, per quanto possa far piacere, non deve essere il massimo. “Oh no, stavo cercando…Ellie!” sembra molto sorpreso di vedermi qui, anche se a quanto pare la sua presenza è determinata dalla mia. Il dottor Mills alterna lo sguardo da me a Zack, confuso. “Vi conoscete?” “È il mio capo” rispondo sbrigativa. “Già e dobbiamo parlare di questioni di lavoro” aggiunge il ragazzo guardandomi con occhi di fuoco. “Be se proprio deve parlare con la signorina Wilson, le consiglio di farlo vicino a del cibo. Oggi non ha pranzato” mi lancia un occhiolino e si congeda per tornare dai suoi pazienti. “C’è una caffetteria di sotto, no?” “Si” rispondo decisa. Non sopporto chi balbetta, di solito cerco di evitarlo e quando mi capita, mi prenderei a schiaffi da sola. “Allora andiamo. Non voglio che tu svenga in mezzo al corridoio”. Insiste per offrirmi qualcosa, ma la gentilezza della sua richiesta, contrasta con il tono utilizzato per farla. Ci accomodiamo ad un tavolino e noto che l’ambiente è quasi completamente deserto, se non per i dipendenti. “Come sta Alex?” cerco di non strozzarmi con un boccone di pane all’udire la sua domanda. Lo guardo sconcertata. “Ho sentito il suo nome dopo che hai attaccato il telefono, tre giorni fa. E ho sentito anche pronto soccorso, quindi ho immaginato fossi qui”. A quanto pare è più bravo di me a fare lo stalker. “Meglio, grazie.” “Quindi puoi tornare al lavoro, suppongo.” Che tatto. “Già, ma non domani mattina. Devo parlare con il dottor Mills”. “Il dottor Mills è un pediatra, ti piacciono più piccoli di te?” Non afferro subito il senso della sua domanda e per un momento lo osservo senza capire. “Quanti anni ha il tuo ragazzo?” “Ragazzo? Bambino vorrai dire” lo correggo senza riuscire nuovamente a collegare logicamente il suo discorso. “Bambino?” sembra confuso. Almeno giochiamo ad armi pari. “L’hai detto tu, il dottor Mills è un pediatra”. Ci fissiamo intensamente e io dimentico completamente il mio stomaco che brontola. “Evans, mio figlio. Alex è mio figlio”. “Ah”. Non dovrebbe essere una novità, dato che l’ho praticamente urlato a tutta l’azienda durante il colloquio; ma a quanto pare lo è. Al solo vedere la sua espressione, scoppio in una sonora risata. “Ti faccio ridere così tanto?” sembra offeso. “Ma come, il grande Zack Evans che tiene così tanto ai suoi dipendenti, non ricorda che una dei suoi più stretti collaboratori è madre?” Continuo a ridacchiare e una donna, probabilmente in visita ad un parente malato, mi lancia un’occhiata capace di incenerire. “Ho cose più importanti a cui pensare e poi il padre non poteva darti il cambio, considerando il tuo prestigioso lavoro?” sembra infastidito e non riesco a leggere tra le righe delle sue parole. “No. E Alex non ha un padre. Io sono il suo unico genitore”. Scende il gelo e credo stia per ribattere che ciò è impossibile, perché un bambino deve per forza essere stato concepito da due individui; ma quando si accorge del mio sguardo tagliente, richiude a vuoto la bocca. “Nonni?” ritenta. “Evidentemente il concetto non è chiaro, Signor Evans. Io sono tutto ciò che ha quel bambino e lui è tutto ciò che ho io.” Pare turbato dal mio discorso e mi sembra quasi di vedere gli ingranaggi del suo cervello che si impegnano per capire la situazione. “Non c’è nulla di male nell’essere una madre single, ma questo non dovrebbe interferire in un lavoro importante come il tuo. Altrimenti non avresti dovuto fare domanda”. Le sue parole sono a dir poco fastidiose e ritengo non abbia il diritto di fare congetture sulla mia vita. “Se vuoi licenziarmi, fallo e basta” “Cosa? No, no. Volevo solo sapere se avessi un valido motivo e volevo avvisarti che non si dovrà più ripetere”. Detta così, non ha tutti i torti. “Ho perso il telefono” spiego. “Va bene, ma cerca di procurartene uno, Jennifer era preoccupata”. Sembriamo due automi mentre parliamo. Non c’è traccia di emozione da parte di nessuno dei due. Nonostante questo, non mi sento a disagio e la rabbia che ho provato prima nel sentir nominare i famigliari di Alex, è quasi del tutto sbollita. Un’infermiera dall’aria conosciuta irrompe nella caffetteria e mi si avvicina frenetica. “Ellie, Alex si è svegliato, gli è salita un po’ la febbre, continua a chiamarti”. Mi alzo velocemente e la seguo con Zack alle calcagna.

“Ssht, tesoro. Sono qui, sono qui” lo prendo in braccio nella penombra della stanza e cerco di calmare il suo pianto. Mi è stato spiegato che deve aver avuto un incubo a causa dell’alta temperatura e il dottore, immaginando che mi trovassi ancora nell’edificio, ha pensato bene che fosse positivo per il bambino avere la madre vicino. Scorgo Zack appoggiato allo stipite della porta mentre passeggio per la camera. Quando gli do le spalle, sento improvvisamente Alex smettere di piangere. Ciò mi è famigliare. No…un momento…la scena da Arthur squarcia i miei pensieri e mi irrigidisco all’istante, finché non mi accorgo che mio figlio si sta allungando per avvicinarsi alla porta, spingendo indietro anche me. Lo riconoscerà e capirà tutto, accidenti! Sono nei guai.

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Buonasera ragazze! Come state? Spero davvero che il capitolo vi piaccia e vi ringrazio di nuovo per tutto! Siete fantastiche! Vi ricordo le pagine su Facebook e Twitter: "When Love Takes Over". Un bacio <3

 

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Capitolo 19
*** Contrasts ***


Il panico mi assale mentre cerco di frenare la spinta di Alex tra le mie braccia. Come se ciò non bastasse, Zack, colpito da non so qualche oscuro istinto, sembra protendere a sua volta verso il bambino. È la fine. A questo punto mi converrebbe pensare ad una scusa per  cui mi trovassi nel negozio di Arthur, ma sono troppo tesa anche per un compito così banale. Mi giro di scatto, così che Alex dia le spalle all’uomo che ora si trova davanti a me. Un pianto acuto si riversa nella camera, ma sono talmente incantata dagli occhi di  Evans da non accorgermi delle urla che stanno trafiggendo i miei timpani; gli occhi di quest’uomo sono impressionanti, io stessa ho gli occhi azzurri, come del resto mio figlio, ma non sono niente in confronto. Zack Evans sembra avere due pietre intagliate nel ghiaccio a circondare le pupille che creano un contrasto ancora più imponente. La penombra che ci avvolge marca con maggiore evidenza la mascella prominente che si allunga verso un mento sottile e leggermente coperto da un quasi inesistente strato di barba. Se dovessi dare un’innovativa definizione a Zack Evans, direi che il suo secondo nome è contrasto: il continuo chiaro scuro che si crea tra il ghiaccio delle sue iridi e i pozzi neri che circondano, i capelli corvini che ricadono sulla fronte color caramello, i vestiti che paiono sempre disposti appositamente a creare una disparità tra strati inferiori e superiori. Perfino il suo carattere sembra giocare su questo conflitto, come quando qualche sera fa mi ha trattenuta per ringraziarmi e, nonostante la ferrea presa sul mio polso, il suo sguardo emanava dolcezza; o come in questo preciso momento, in cui è palesemente molto confuso, ma una lampante illuminazione sembra essere appena piombata nella sua mente per condurlo fuori dal suo stato di stordimento.

“Aveva smesso di piangere…io…potrei solo…” parla in modo sconnesso e insicuro, nonostante la mia preoccupazione, mi sento in qualche modo potente. Non credo che molte persone lo abbiano visto in queste condizioni. Mi accorgo solo all’ultimo che si è avvicinato e mi sta girando attorno per osservare il volto di Alex. “Ehm…non credo che…cioè non sta molto bene, deve riposare e tu dovresti andare”. La mia voce non arriva convinta neanche alle mie orecchie, suppongo si sia reso conto che la mia è solo una scusa e deve essere proprio questo a dargli la carica per non demordere. “Ellie, sono il tuo capo.” Lo guardo confusa e non posso fare a meno di scoppiare a ridere. Che brava madre: rido mentre mio figlio si sgola a causa del suo insistente pianto, anche se quest’ultimo sembra essersi affievolito. “Siamo in un ospedale, non in azienda. Siamo sullo stesso piano qui” spiego dopo essermi ripresa. Sembra pensarci su un momento, consapevole che ho ragione e che la sua affermazione sia stata alquanto inopportuno. “Ellie Wilson, fammi vedere quel bambino o giuro sulla mia stessa carriera che ti licenzio”. Oh. No, un momento. COSA? No, no e no. Non può farlo. O si? “C-come, prego?” “Hai capito benissimo.” Il suo tono non ammette repliche e il suo sguardo pare scagliare stalattiti. “Non puoi!” “Tu dici? Non sfidarmi Wilson”. Qualcosa nel suo sguardo e nella sua espressione mi dice che farei meglio a evitare di remargli contro e assecondarlo. Sono ormai rassegnata e il panico attanaglia ogni singola cellula del mio corpo. Massaggio con cerchi concentrici la schiena di Alex e non so se lo sto facendo più per tranquillizzare me o lui. Faccio voltare delicatamente Alex verso Zack e di nuovo, improvvisamente, tutto tace. Credo che i battiti accelerati del mio cuore in tensione siano gli unici rumori udibili. I due si osservano con meticolosa attenzione: mio figlio con la classica curiosità tipica dei bambini, ed Evans come se stesse studiando un contratto, degno di un uomo d’affari qual è. La freddezza è scomparsa quasi completamente dal suo sguardo e ne sono felice, altrimenti avrebbe rischiato di spaventare Alex. Mi perdo a mia volta ad osservarli. Mio figlio non ha mai avuto una figura paterna che gli stesse accanto e, anche se sono fiera di averlo preservato dall’incontrare quello che è il suo padre biologico, mi dispiace che non abbia ancora avuto una sorta di esempio da seguire, o delle braccia più forti che lo stringessero. Questi due insieme mi fanno uno strano effetto, senza considerare quando il mio capo ha preso in braccio Alex. Al solo ricordo di quel momento, le farfalle svolazzano nel mio stomaco e le mie labbra si increspano in un sorriso pieno d’amore. “Za…Za…” farfuglia il bambino ed è in questo preciso istante che vengo strappata brutalmente dal mondo dei sogni e ritorno alla cruda e difficile realtà. “Un secondo…hai un’aria famigliare”. Ovviamente sa che Alex è impossibilitato a rispondere, ma sembra stia semplicemente ragionando ad alta voce, senza rivolgersi a qualcuno in particolare. “Conosci Arthur?” Non mi rendo immediatamente conto che sta parlando con me e resto interdetta per pochi attimi. “Arthur del negozio d’arte?” Devo cercare di risultare il più naturale possibile, ho ancora un’opportunità per deviare il suoi ragionamenti. Annuisce, freddo e calcolatore. “Conoscere è una parola grossa. So solo il suo nome”. Beh, questa è la verità, ecco perché sembra più sicuro della mia affermazione. “C’è qualche problema in merito a questo? Non mi è concesso andare a fare compere e esplorare nuovi negozi?” Parto subito all’attacco, per non dargli il tempo di formulare nuove questioni che potrebbero mettermi in posizioni scomode. “Oh, no. Assolutamente.” Bravissima Ellie! Ottimo lavoro. Mi congratulo con me stessa e per destare ogni sospetto gli pongo un’ultima domanda: “Perché me l’hai chiesto? Insomma, cosa centra con mio figlio?” “Ti è mai capitato di lasciarlo in negozio?” Sarebbe assurdo dire il falso, negando così l’ovvio. “Una volta. Ma ancora non capisco”. “Ho avuto il piacere di incontrare questo ometto in quell’occasione”. Annuisco, fingendomi anche solo minimamente sorpresa. Restiamo in silenzio e Zack allunga una mano verso quella di Alex. Le due sono in netto contrasto tra loro: quella del bambino è piccola, paffuta e particolarmente chiara; mentre quella del capo risulta enorme, con una carnagione più scura e le dita lunghe e affusolate. Quando l’indice di mio figlio raggiunge l’anello di Zack, quest’ultimo pare congelarsi sul posto. Ritrae frettolosamente l’arto e scompare con una banale scusa verso il corridoio. Ma che diavolo… Non do particolare peso all’accaduto, al momento sono solo contenta di essermela cavata di nuovo.

ZACK’S POV

L’anello. Ellie mi ha riconsegnato l’anello perché sapeva fosse mio. Lo aveva Alex. Ciò mi porta ad un’unica spiegazione: lei sapeva che io e il bambino ci eravamo incontrati, ma cosa peggiore, anche Arthur sapeva tutto. Mi torna alla mente quel giorno e ricordo che Art mi aveva detto che si stava occupando del figlio di una vicina. Ma se la Wilson abita al St. Regis, lei e l’uomo non possono essere vicini. Quindi entrambi mi hanno mentito e lo stanno facendo tutt’ora. Io, che ho serie difficoltà a fidarmi delle persone, sono stato imbrogliato da colui che ritenevo essere quasi un padre per me. Ellie Wilson, sei entrata nella mia vita come un tornado e stai riducendo in macerie tutto ciò che ho costruito negli ultimi anni.

-N/A -
Buonasera Ragazze! Ecco il nuovo capitolo che speriamo di cuore vi piaccia. Grazie ancora di tutto, un bacio.


 

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Capitolo 20
*** Lies and Friendship ***


ZACK’S POV
Credo che poche cose facciano soffrire più delle menzogne, in particolar modo se queste escono dalla bocca di persone care. Ellie mi ha mentito, mi infastidisce per principio, ma più che altro mi incuriosisce dato che non comprendo il motivo di ciò; ma sapere che Arthur mi ha mentito, questo no, non lo accetto. Cammino a passo svelto verso il suo negozio, un luogo dove mi sono sempre sentito a casa, o almeno fino ad ora. “Oh Zack! Che piacer-“ “Zitto! Ora ascoltami attentamente. Come conosci Ellie Wilson?” “Zack, innanzitutto calmati e non usare questo tono con me”. Nonostante le sue parole siano severe, dalla sua voce e dal suo portamento non traspare nulla: è calmo come lo è sempre stato. Ricordo che quando ero più giovane e avevo uno spirito decisamente più ribelle, lui era l’unico a non rimproverarmi per i miei scherzi. Rideva con me e si congratulava per il mio ingegno. Un giorno mi disse di provare a trasmettere la mia creatività in modi alternativi, come ad esempio l’arte. Allora non ero che un ragazzino pressato dal desiderio del padre di diventare un uomo d’affari e che aveva solo voglia di infrangere un po’ le regole. Arthur mi ha dapprima fornito un luogo fuori dalle mura domestiche dove poter essere me stesso e successivamente è diventato il mio mentore. Mi ha insegnato le basi della pittura e ha fatto sì che il mio talento nascosto potesse scaturire. Da quel momento l’arte è sempre stata una valvola di sfogo, in particolar modo a seguito del divorzio dei miei genitori: non sono mai stati particolarmente presenti o attenti, ma potrei affermare che non mi è mai mancato nulla. Ho avuto un’infanzia serena e ricca. Mia madre era in grado di sciogliere il gelo che attanagliava spesso lo sguardo di mio padre e i due parevano formare una bilancia in perfetto equilibrio. Ancora oggi mi domando quali siano state le cause della rottura di quella stabilità.

“Calmarmi? Dimmi la verità e io mi calmerò” inizio ad abbassare il tono di voce, così che l’uomo sia maggiormente predisposto a rivelarmi ciò che desidero sapere. “Io non conosco Ellie Wilson. È semplicemente venuta nel mio negozio come fanno tutti i clienti. Aveva bisogno di un consiglio per fare un regalo ad una cugina e si è trattenuta a lungo, motivo per cui so giusto giusto il suo nome”. Non so perché, ma non riesco ad essere del tutto convinto. “E il bambino?” Continuo ad indagare. “È suo figlio. Ha avuto un breve imprevisto e mi ha chiesto di tenerlo per qualche minuto”. Non comprendo il senso di tutto, la storia non mi quadra. Per quale motivo una giovane ragazza- madre dovrebbe lasciare suo figlio, anche se solo per poco tempo, alle attenzioni di un uomo che a mala pena conosce? Ellie non mi sembra il tipo: accurata com’è sul lavoro, lo sarà sicuramente anche in ambito famigliare e ho visto quanto è legata ad Alex, non commetterebbe mai un’imprudenza simile. “Capisco” mi limito a dire a seguito delle mie riflessioni. “Un’ultima cosa” ritorno sui miei passi prima di lasciare definitivamente questo luogo, dove non credo tornerò per lungo periodo. “Perché mi hai mentito e mi hai detto che il bambino era di una vicina?” mi osserva colpevole e abbassa il capo in cerca di una spiegazione. Solitamente si dice quando l’allievo supera il maestro, beh avrei preferito affermare la mia supremazia in altri ambiti, anziché cogliere il mio mentore con le mani nel sacco. “Io…” è in evidente difficoltà e per oggi non voglio più infierire su nessuno dei due. “Ci vediamo Arthur” gli volto rapidamente le spalle e mi faccio strada tra il calore del negozio che sembra riuscire a riscaldare solo le mie gote e non più anche il mio cuore, come invece faceva fino a poco fa.

“Ehi Matt!” biascico al telefono. “Zack? Stai bene?” sembra preoccupato. “Una favola amico! Vieni da me, sono avanzate un paio di birre…o forse è una sola… in ogni caso affrettati, o finirà anche quella” scoppio in una fragorosa risata senza motivo e mi butto di peso sul divano. All’altro capo del cellulare, sento Matt scusarsi con qualcuno e avvisarmi che sta arrivando. Sono proprio curioso di sapere se anche lui mi ha detto qualche menzogna negli ultimi tempi. Anche se, in realtà, il mio piano originale non prevedeva che io intraprendessi una lunga e profonda conversazione con una, due, tre e chi più ne ha più ne metta, bottiglie di birra. Avevo intenzione di affrontare il mio migliore amico a mente lucida, ma il dispiacere che Arthur mi ha provocato è stato troppo grande da sopportare. Non solo mi ha mentito giorni fa, ma ha continuato a farlo e guardandomi negli occhi per giunta.  Una parte lucida e razionale di me, mi ha portato a credere che potesse esserci sotto una buona giustificazione che per qualche assurdo motivo non poteva rivelarmi in quel momento, ma suppongo che questa mia teoria sia annegata con più rapidità del mio risentimento.

“Zack era dai tempi prima del college che non ti ubriacavi, che diavolo è successo?” Mi posa una mano sulla spalla con fare fraterno ed io, in una maniera molto confusa e quasi incomprensibile, cerco di spiegargli tutto ciò che è accaduto nelle ultime ventiquattro ore. Lo vedo prendere il telefono e comporre rapidamente un numero. Sto in silenzio e ascolto ciò che dice, dato che il mio pensare frenetico alla disperata ricerca di una soluzione logica a tutte le bugie dette sembra essersi finalmente acquietato. “Pronto? Jennifer, sono io. Scusa il disturbo, volevo avvisarti che Ellie sta bene, ma ha perso il telefono e non ha potuto avvisarti.” Fa una pausa durante la quale suppongo stia parlando la segretaria dall’altro capo. Quando sarò più lucido dovrò ricordarmi di domandare a Matt da quanto quei due sono così in sintonia. “Ora non posso spiegarti, ti chiamo domani.” Attacca la chiamata e mi osserva con attenzione. “Senti, non credo di aver capito esattamente tutto, però ho compreso che Arthur ti ha mentito e questo ti ha fatto star male. Ma non mi sembra il caso di arrivare a questo punto, insomma, dovresti sapere che ubriacarsi non è la soluzione. E dovresti anche aver imparato la lezione da vecchie esperienze.” Il suo tono non è di rimprovero, ma solo compassionevole e il suo sguardo sembra perso nei ricordi. Ha ragione, dovrei aver imparato da qual giorno…

Flashback
Avevo recentemente fatto domanda ad una scuola d’arte della città e quel giorno ricevetti la fatidica lettera di ammissione. Fu una gran gioia per me. Mi recai nell’ufficio di mio padre per dargli la notizia e non ricevetti alcun complimento, anzi, si limitò a dirmi che tutto ciò era inutile e che disegnare non mi avrebbe di certo permesso di mantenermi. Così, preso dallo sconforto, nonostante prevedessi già la reazione di Christopher, telefonai a mia madre da cui speravo di ottenere il sostegno di cui avevo bisogno. Non rispose. Mi dissi che non importava, che non avevo davvero la necessità di congratulazioni e concessioni di conseguenza tornai in camera mia dove restai fino a sera. Ricevetti una telefonata da Lilian e mai scorderò le sue parole: “Ciao caro, ho saputo dell’accademia di arte…sono contenta che tu sia riuscito ad ottenere un posto, ora che hai dimostrato a te stesso che potevi vincere, puoi smettere di giocare.” Ero frastornato, non riuscivo a capire in nessun modo il senso di ciò che aveva detto, o almeno, non in quel momento. Solo qualche anno dopo compresi che se mia madre era riuscita a sposare un uomo come mio padre, significava che in realtà non erano poi così diversi l’una dall’altro. Quando la chiamata finì, andai nel salotto di casa e solo, terminai le scorte di whisky che Christopher teneva nell’armadietto accanto alla finestra. Fu la prima volta in cui mi ubriacai: distrussi tutti i bicchieri di cristallo, i servizi da the, le foto di famiglia; rovesciai il tavolo, mi ferii ovunque con i vetri rotti e piansi.
Mio padre mi mise in punizione, ma a me non importava perché in cuor mio, decisi che appena ne avessi avuta l’opportunità, avrei deciso io cosa fare della mia vita e non avrei dato la possibilità a nessun altro di distruggere i miei sogni.
Fine flashback

“Credo di dover vomitare” tutti questi ricordi mi hanno fatto venire la nausea e l’alcool che ho in circolo sicuramente non aiuta. “Okay, ti porto in bagno. Cerca di trattenerti, se vomiterai sul divano in pelle non riuscirai più a guardarti allo specchio”  ridacchia Matt mentre cerca di sollevarmi. “Stai facendo dell’ironia mentre sto male?” “Se te lo sei cercato, direi che posso fare tutta l’ironia che voglio”. Sto per rispondere a tono, ma un conato mi sconquassa e ci apprestiamo in una rapida corsa. Domani sarà un risveglio traumatico.

La mattina seguente
“Buongiorno raggio di sole! È il momento di alzarsi e darsi una bella rinfrescata!” Matt mi perfora i timpani e la sua voce rimbomba nella mia testa in modo infernale. Le tende vengono spalancate e un tuono mi fa sobbalzare. “Ammettilo, ti aspettavi un sole accecante” mi fa l’occhiolino mentre lo fulmino con lo sguardo. “Ti conviene alzarti e preparare un caffè come si deve per entrambi se non vuoi che io dia fuoco alla tua meravigliosa e costosissima cucina”. Sbuffo sonoramente ed eseguo i suoi comandi, per poi andare a farmi una doccia veloce. “ Aspirina per te, se in cambio mi prepari uova e bacon” il suo sorriso mi infastidisce, esattamente come la sua iperattività. "Spero tu stia scherzando” mi accascio su uno sgabello della penisola e sorseggio il liquido amaro. “Assolutamente no! Sei in debito con me”. Non ha tutti i torti, non sono molti gli amici che ti stanno accanto mentre riversi l’anima in una tazza di ceramica dopo esserti ubriacato come un ragazzino. “Ma certamente Matty, vuoi che paghi il mio debito in altri modi?” Mi avvicino con aria maliziosa e imitando un tono da femminuccia. “Quanto sei idiota!” Mi spinge lievemente e gli scoppio letteralmente a ridere in faccia. “Andiamo Matty, perché non mi chiedi di sposarti, così posso prepararti tutti  i pranzetti che vuoi” continuo a sbeffeggiarlo. Finalmente ride anche lui e dopo una sostanziosa colazione, lo ringrazio come si deve per la sera precedente. “Zack?” “Mm” siamo riversi sul divano a guardare una noiosa partita di calcio, senza reale interesse. Mi ha costretto a prendere almeno la mattinata libera e non ho potuto in alcun modo replicare. “Potresti spiegarmi esattamente cosa è accaduto ieri, magari senza sbiascicare o interromperti ogni tre parole?” Così, dopo aver spento la televisione, mi appresto a raccontare di Arthur ed Ellie.
“Mi hai mai mentito?” domando infine. Siamo entrambi persi nei nostri pensieri, ma ciò non gli impedisce di rispondermi nel modo più diretto e sincero possibile. “Sai che non lo farei”. E non mi serve altro. Gli credo. Ho un grande amico che è dalla mia parte, per il momento va bene così. Per quanto riguarda Ellie, mi toccherà andare a fondo alla questione e, a tal proposito, ho già in mente un piano.  



-N/A-
Buonasera ragazze! Come probabilmente avrete capito, questo è solo un capitolo di passaggio. So che non è il masismo, ma è necessario alla storia. A tal proposito, vi consiglio di prestare attenzione ad alcuni dettagli che serviranno più avanti. Spero comunque che il capitolo vi piaccia. Un bacio.

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Capitolo 21
*** Allen ***


ELLIE’S POV
Finalmente Alex sta meglio e dopo averlo lasciato alle amorevoli cure di Kim, che sono riuscita a contattare tramite il telefono della reception, posso tornare al lavoro. Jennifer non sembrava essere troppo arrabbiata e mi ha chiesto immediatamente come stesse il bambino. Deve averle detto qualcosa Zack. In ogni caso, sono contenta di riprendere la mia routine senza dover fornire troppe spiegazioni. “Signorina Wilson?” Una giovane donna si affaccia alla porta del mio ufficio e richiama la mia attenzione. Non l’ho mai vista prima, probabilmente è una stagista. Ha i boccoli color caramello e gli occhi piccoli e scuri; è piuttosto graziosa e sembra essere particolarmente timida. “Il signor Evans la desidera un momento nel suo ufficio” abbassa subito lo sguardo e la ringrazio  per l’informazione, congedandola. Mi domando cosa mai vorrà il capo. Nel dubbio, mi alzo velocemente da dietro la scrivania e faccio come mi è stato detto: sto per bussare, quando Matt mi raggiunge. “Ehi!” “Ciao”  ricambio il cenno. “Ora sta avendo un colloquio con un altro dipendente, appena questo esce puoi entrare. Comunque stai pure tranquilla” detto questo, sparisce nel corridoio per tornare alle sue mansioni. Rimasta ormai sola, appoggio la schiena alla parete che, nonostante la camicetta e la giacca ricoprano la pelle, sento gelida al minimo contatto. Sposto il peso da un piede all’altro mentre cerco di capire la reale scansione del tempo, che sembra immobile. Improvvisamente, ecco che la porta finalmente si apre e lascia uscire un impiegato con il volto verso il lucido pavimento che nemmeno sembra notarmi. Tiro un profondo sospiro e mi decido a farmi strada all’interno dell’ufficio. “Buongiorno Signor Evans, aveva bisogno di qualcosa?” “In realtà, sono io ad avere qualcosa di cui tu potresti aver bisogno” mi fa cenno di sedermi e, presa da un moto di curiosità, faccio come mi ha indirettamente chiesto. “Solo un momento, deve essere qui da qualche parte” è indaffarato a cercare l’oggetto, che a detta sua potrebbe servirmi, sotto la scrivania. “Eccolo!” Estrae da un cassetto una scatola con tanto di carta colorata e fiocco. Ora sì che sono confusa. “Non è il mio compleanno” scherzo e l’aria si fa improvvisamente leggera. Non sembriamo capo e dipendente sul posto di lavoro, ma semplicemente due amici di vecchia data. “Oh, lo so. Non l’ho incartato io infatti” Ovviamente. In effetti, mi pareva molto strano che mi facesse un regalo. “Be? Sei sempre così curiosa, cosa ti frena adesso?” mi osserva interrogativo con il mento poggiato sulle mani congiunte. Ha ragione, quindi perché attendere ancora? Prendo il pacchetto e senza più indugiare, lo scarto. I miei occhi si spalancano alla vista dell’immagine illustrativa di un iphone. “È uno scherzo?” domando allibita. “No, è stata un’idea della tua amica segretaria ed io l’ho appoggiata dal momento che, in veste di tuo capo, ho bisogno che tu sia sempre reperibile e possa avvisare in caso di un’assenza sul posto di lavoro”. Il ragionamento non fa un piega e mi appunto mentalmente di ringraziare Jennifer più tardi. “Non credo di poter accettare” se da un lato sono felicissima per il pensiero, dall’altra, considerando il costo del prodotto, non me la sento di accoglierlo. “Non puoi, devi. Prendilo come un gadget di lavoro che sei obbligata ad avere. Se può tranquillizzarti, non sei la prima a cui l’azienda fornisce questo tipo di sostegno. Essendo una multinazionale particolarmente ricca, ce lo possiamo permettere. In cambio di un buon impegno da parte del ricevente, naturalmente”. Effettivamente ciò mi ha rassicurata e dopo un ulteriore tentennamento, ringrazio educatamente e torno al mio impiego lasciando Zack alle sue mansioni.

“Jen ti ringrazio!” Le corro incontro appena la vedo. “Per?” Non sembra capire. “Magari per questo fantastico cellulare nuovo!” “Ehm…si, io…figurati”. Non mi pare troppo convinta, ma si è fatta ora di andare e di conseguenza non do troppo peso alla cosa.

“Come sta il mio ometto?” Esordisco entrando nell’appartamento. “Direi molto bene, non è stato fermo un secondo e ha fatto scomparire in un secondo il pranzo” ridacchia Kim. Porta i capelli legati in una treccia da cui fuoriescono diversi ciuffi e le mani ricoperte di segni colorati, che mi fungono da conferma alle sue parole. “Alla fine di questo mese direi che ti meriti una promozione, vuoi fermarti a cena?” Le domando. “No, mi piacerebbe ma ho un appuntamento” le sue gote prendono colore e mi domando chi sia questo misterioso ragazzo con cui esce da diverse settimane. “Pare che mi porterà in un ristorantino molto elegante e non ho ancora deciso cosa mettere per cui è meglio che corra a casa”. Raccoglie rapidamente borsa e giacca quando la trattengo: “Vuoi che ti presti qualcosa?” “Oh no, ci mancherebbe”. “Insisto! Non ho chissà quanti abiti, ma potrei avere qualcosa che fa al caso tuo. Lavorando per la Evans Enterprise, sono stati messi a mia disposizione dei vestitini niente male per le cene con i soci”. Le spiego mentre la accompagno verso la cabina armadio. “Ecco qua! Pochi, ma buoni”. “Buonissimi, direi” osserva con aria trasognata. In effetti, hanno l’aria di essere piuttosto costosi: i materiali sono morbidi e sembrano accarezzare la pelle. Il mio corpo ricorda ancora la sensazione di quando ne indossai  uno per la prima volta. “Prova pure, fai come se fossi a casa tua”, “Ci proverò, anche se non ho una cabina armadio” ridiamo insieme e torno a giocare con Alex per poi preparare la cena. “Com’è?” Mi giro all’udire la voce della ragazza e la ritrovo splendida nel semplice abitino nero che le scende perfettamente sui fianchi. “Sei favolosa! Questo misterioso ragazzo è proprio fortunato.” “Ti ringrazio di cuore Ellie, come posso ricambiare il favore?” Sto per dirle che non è assolutamente necessario, quando la pettegola che è in me decide di emergere: “Mm…un modo ci sarebbe…potresti dirmi chi è costui” la guardo maliziosa e mi sorride. “Si chiama Zack, ha degli occhi da paura” Il mio cuore perde un battito e il mio cervello sembra spegnersi per un momento, per poi ripartire ad un ritmo di ragionamento ancora più frenetico di prima. Okay, quanti Zack esisteranno a New York? Tanti. Quante persone con degli occhi stupendi esistono a New York? Idem come sopra. Ma quante persone che si chiamano Zack e hanno degli occhi stupendi esistono a New York? Probabilmente un po’ meno rispetto alle due categorie separate. “Ellie? Stai bene?” “Certamente! Ora dovresti andare, altrimenti farai tardi!” La sprono, complimentandomi ancora per la sua scelta d’abito impeccabile e la saluto.

Mentre Alex è impegnato a guardare i cartoni, dopo cena, telefono a Jennifer spiegandole l’accaduto. “Be, ci sono tanti Zack con gli occhi da favola. Credo.” “Quello che ho pensato anche io, però…” “Come mai ti interessa tanto?” “Non mi interessa” rispondo sbrigativa. “E invece si” “E invece no” “Ellie?” “Cosa?” “Non ti innamorare di Zack Evans, non ti conviene”.
La conversazione con Jennifer mi ha lasciato uno strano peso sul petto, contrariamente al solito quando invece parlare con lei mi aiuta a liberare la mente. Sono una ragazza madre occupata con il lavoro e un figlio da crescere, non ho tempo di innamorarmi e non ne ho neanche voglia. Dal padre di Alex ho imparato che sono rari gli uomini per cui vale la pena lottare e fare sacrifici, per ora non conosco nessuno che soddisfi queste qualità. Persa nei miei pensieri, mi accorgo a mala pena che il mio telefono si è illuminato segnalando l’arrivo di una notifica. “Tra poco è il compleanno del bambino, ho un regalo per lui. Sono appena atterrato a New York, voglio vedervi”. “E se io non volessi vedere te?” rispondo immediatamente. Con lui è sempre stato così, il sarcasmo come unica fonte di unione. “Magari Alex vuole”. “Hai detto bene, magari. E poi come hai avuto il mio numero?” Nessuna risposta.

“Qual è il problema?” “Qual è il problema? Jen, sei seria?” La guardo esterrefatta. “Si, insomma, se sei così preoccupata chiama la polizia. In caso contrario, ha il diritto di vedere Alex. A meno che tu non abbia un valido motivo per non farli incontrare, ma se così fosse, ti consiglierei di andare in tribunale e far mettere tutto per iscritto.” No, la verità è che non ho un buon motivo, o quantomeno, non abbastanza buono per un giudice. A quanto pare, sarò costretta a lasciare che Allen veda suo figlio. Gli scrivo immediatamente un messaggio: “Okay, non mi interessa come hai avuto il numero. Ci vediamo domani davanti all’Empire State Building alle tre. Vedi di essere puntuale, non ti darò una seconda occasione”. “A domani, mia cara Ellie”.

-N/A-
Buonasera ragazze! Innazitutto spero che il capitolo vi piaccia, inoltre volevo precisare che se vi sembra che ci siano dei dettagli che non combaciano con i capitoli precedenti, non vi preoccupate! Prima o poi tutto avrà un senso. Un bacio.

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Capitolo 22
*** Team ***


Non sono tesa, semplicemente contrariata e nervosa. Non ho voglia di vedere quel viso che per tanto tempo ho amato e che ora mi fa solo ribrezzo; non ho voglia di sentire quella voce che prima era come una meravigliosa melodia ed ora non è altro che un qualcosa di particolarmente fastidioso; non ho voglia di ricordare i bei momenti passati insieme per poi dovermi accorgere che nella realtà quel “noi” non esiste più. Ma la verità, è che lui ha ferito me e non Alex e l’unico motivo per cui non voglio che gli stia troppo vicino è che ho paura che possa ferire anche lui in futuro, ormai non mi fido più come facevo un tempo ed è per questo che non posso tornare insieme ad Allen anche se lui lo desidera. Non posso amare una persona su cui non posso fare affidamento, non è nel mio carattere. Nonostante il ripudio che provo nei suoi confronti e la paura per mio figlio, non posso non permettergli di avere un padre. Jennifer ha ragione, se non ho un motivo valido, non posso impedire che abbiano un rapporto. A seguito di numerose riflessioni, mi decido ad alzarmi dal divano e recarmi nella mia stanza per preparami, Alex è già lavato e cambiato, per cui non mi resta che scegliere cosa indossare. Pensavo a qualcosa di sobrio, niente di troppo impegnativo o che mi rendesse particolarmente affascinante. Vorrei qualcosa che lasciasse intendere:” Non mi interessa fare colpo su di te, tengo semplicemente a come esco di casa”. Ed improvvisamente, mi ritrovo assalita dai ricordi.

Il primo appuntamento, la prima cena insieme, il cinema; le passeggiate serali durante l’estate quando il cielo era denso di stelle e l’aria pullulava del frinire delle cicale, e noi, mano nella mano, a scambiarci promesse d’amore mai esaudite. Fu uno dei periodi più felici della mia vita, dopo un passato atroce e un futuro incerto, quello rappresentava il mio presente sereno e solido, ricco di sogni, amore e progetti. Ma nella vita, ho imparato che troppe programmazioni ti fanno perdere di vista ogni altra cosa e ho imparato, inoltre, che il calcolo di ogni probabilità e di ogni inconveniente deve essere d’obbligo. Ero ancora giovane, e lo sono tutt’ora, ma con una semplice e al tempo stesso fondamentale differenza: ero ingenua, molto. L’amore aveva annebbiato ogni mia capacità di ragionamento e non ero stata in grado di accorgermi che, mentre io gli davo tutta me stessa, lui per un semplice e banale litigio aveva commesso un passo falso, un passo non abbastanza grande per arrivare dall’altra parte del precipizio e che aveva condotto entrambi nel baratro. “Sono umano, commetto degli errori”, ed aveva ragione. Siamo creature fragili, molto più predisposte a fare la cosa sbagliata che quella giusta, ma quella, oh quella era l’unica cosa che gli avevo chiesto di non fare, l’unica, che non avrei mai perdonato, a nessuno.

“Puntuale come sempre”, “Certe abitudini non muoiono mai”. Improvvisamente, mi domando se ancora la mattina, quando si alza, perda una decina di minuti davanti allo specchio per cercare di dare un tono alla sua chioma bionda; se il martedì e il giovedì si rechi ancora nella sua palestra di fiducia; se si ricordi tuttora come si va sullo skate e se abbia ancora una fissazione per gli occhiali da sole. Mi arrendo all’idea che i miei dubbi, tali resteranno; così come, qualche tempo fa, mi sono arresa all’idea che lui non avrebbe più fatto parte della mia vita come aveva fatto precedentemente.
“Posso offrirti un caffè e qualcosa anche per questo ometto?” Posa una mano sulla testa di Alex e lo guarda amorevole e il bambino sembra capire di avere un legame con quest’uomo che, ahimè, gli somiglia così tanto. “Certamente, conosco un bar qui vicino”. È lo stesso in cui ho visto Zack per la prima volta, ma è uno dei migliori e soprattutto il più prossimo a noi: inizio a sentire le gambe molli e per quanto odi ammetterlo, la sua presenza mi sta facendo un certo effetto. Sembra accorgersi della mia difficoltà e si propone di aiutarmi: “Vuoi che lo tenga io?” Rivolge un cenno ad Alex. “Sa camminare” rispondo prontamente. “Quei nuvoloni grigi e minacciosi mi indicano che tra poco potrebbe scatenarsi il diluvio universale, vuoi davvero impiegare tutto questo tempo per raggiungere un posto caldo e che ci ripari, rischiando di far ammalare tutti e tre, solo per la soddisfazione di non vederlo in braccio a me?” “Va bene, va bene, prendilo. Ma…stai attento”. Stranamente non ribatte a tono come fa di solito e rimango un momento intontita da ciò. “Oh ma come siamo diventati grandi!” Gli fa fare un saltino tra le braccia e il piccolo inizia a ridere. Perché l’hai fatto, Allen? Potevamo essere questo, potevamo essere felici, ma tu hai deciso il contrario per tutti e tre.

“Starbucks, eh? Sei diventata proprio una ragazza da metropoli” sorride osservando la grande insegna. “Alex adora i muffin al cioccolato”, “E anche tu”. Mi guarda come se la sapesse lunga e non posso fare a meno di ridacchiare. “E anche io”.
“Allora, passiamo alle cose importanti, che cosa vuoi?” Da quando ci siamo seduti, la serenità di poco prima è stata spazzata via. Mi sono improvvisamente rimembrata del tono usato nei suoi messaggi e un brivido gelido ha percorso la mia spina dorsale. “Te l’ho detto, ho un regalo per nostro figlio”. “Come hai avuto il mio numero?” “Ho degli amici…” Questa sua affermazione non mi è piaciuta neanche un po’ e il brivido di prima torna a farsi sentire. “Allen, che genere di amici?” Mi impongo. “Nessuno di cui deve interessarti. Senti Ellie, non voglio fare del male né a te, né tantomeno ad Alex. Voglio solo avere la possibilità di starvi accanto”. “Hai già sprecato quella possibilità una volta”. “Con te, ma non con lui”. “Abiti lontano e puoi scordarti che io ti lasci portare via mio figlio”. “Posso prendere un appartamento in zona, due o tre giorni a settimana non chiedo altro”. “Perché ora?” “Ellie, quanto sei complicata accidenti! Non ti sembra normale che un padre voglia passare del tempo con il figlio?” “Non ti sei fatto vedere per due anni!” “Sei stata tu ad andartene”. Abbassa il capo come se il solo ricordo della mia partenza lo facesse soffrire. Sposto lo sguardo su Alex che sta continuando a mangiare  il suo muffin, ignaro di tutto. “Due giorni. Non di più. Ora dobbiamo andare.” Prendo velocemente la mia borsa e il bambino, per poi uscire dal locale.

Non mi fido, neanche un po’. E sono intenzionata ad andare a fondo alla questione. La cosa mi puzza e appena arrivo a casa, chiamo Jennifer per raccontarle della conversazione avuta con Allen. “È uno stalker!” “Vuole solo starvi vicino…” “Oh certamente, chiediamo a tipi loschi il nuovo numero della mia ex, che non vedo da due anni, e che per altro ha cambiato contatto molto recentemente”. “Va bene, va bene, è un po’ sospetto” mi concede Jen. “Resta il fatto che non hai abbastanza elementi per andare alla polizia”. So che ha ragione, ma sono terribilmente preoccupata.
Passo il resto della giornata a giocare con il bambino, nel vano tentativo di distrarmi e trovare un po’ di serenità.

“Ellie, ho la soluzione al tuo problema!” Questa è l’accoglienza di Jennifer appena metto piede in ufficio. “Ah si?” “Assolutamente! Ne ho discusso con un amico e in realtà è stato lui ad avere l’illuminazione”. “Aspetta, ne hai parlato con qualcuno? E quale sarebbe questo fantastico piano?” “Vieni con me stasera, prima della fine del turno, e lo scoprirai” mi fa l’occhiolino e poi se ne va rapidamente per tornare alle sue mansioni. Sono estremamente curiosa e non vedo l’ora di venire a conoscenza di questa ipotetica soluzione. Se non altro, durante il corso della giornata, l’ansia provata ieri si è allievata e grazie al lavoro e alla curiosità, riesco a tenere la mente impegnata.

Finalmente è l’ora della verità e non sto più nella pelle. Mi dirigo da Jennifer a passo spedito, per quanto i tacchi me lo concedano. Alcuni corridoi hanno le luci spente e gli uffici sono ormai sgombri. Nessuno schiamazzo o rumore di stampante in azione, solo un macabro silenzio a riempire l’azienda. Rintraccio la mia amica che sta parlando con un uomo, che subito riconosco essere Matt. Tra poco se ne andrà. “Ellie! Eccoti finalmente.” Mi avvicino e saluto educatamente entrambi. Aspetto prima di iniziare la conversazione. Perché non se ne va? “Direi che ci siamo” dice improvvisamente Jennifer. Non riesco a capire, così do voce ai miei dubbi. “Ebbene, cara Ellie, ecco la tua soluzione” spiega indicando la figura del ragazzo accanto a lei. Sono confusa, ma non mi danno il tempo di dar voce ai miei pensieri perché subito mi trascinano in un ufficio in cui non ricordo di essere mai entrata. “Dove siamo?” Matt accende la luce e subito un tepore mi avvolge. C’è un divanetto posto di fronte ad una scrivania massiccia e le pareti sono zeppe di libri di ogni colore e dimensione. Ricorda molto lo studio di Hamilton e sembra stonare in mezzo alla modernità del resto dell’azienda. “Accomodatevi pure intanto che aspettiamo”. Nessuno si degna di rispondere alla mia precedente domanda, quando un’altra si fa spazio nella mia testa. “Aspettare cosa?” “Ecco, io ho avuto l’illuminazione…” Matt sembra incerto se continuare o no e guarda Jennifer in cerca di sostegno, ma quest’ultima sta guardando da tutt’altra parte. “…ma non sono in grado di metterla in pratica, o almeno, non da solo”. Oh fantastico, quindi un’altra persona è implicata in tutto ciò. Ho intenzione di uccidere la mia amica. “E chi sarebbe…” “Matt, mi puoi spiegare che diavolo sta succedendo?” Zack irrompe nella stanza e io lo osservo pietrificata, per poi lanciare uno sguardo omicida ai due geni che hanno avuto questo brillante piano. “Zack, accomodati. Ora che la squadra è al completo, possiamo metterci all’opera”.


- N/A -
Buongiorno ragazze! Speriamo che la svolta improvvisa dei fatti via sia piaciuta, inoltre volevo avvisarvi che abbiamo creato un gruppo Whatsapp per conoscere meglio le lettrici e tenerle sempre aggiornate sulla storia, quindi per chi fosse interessata può farmelo sapere <3 al prossimo capitolo. Un bacio.

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Capitolo 23
*** The plan ***


ZACK’S POV
Come ogni mattina, mi reco in azienda pronto ad affrontare una nuova giornata di lavoro. Mentalmente organizzo i miei piani e appena mi siedo dietro la scrivania, agenda in una mano e caffè nell’altra,  posso subito iniziare a sbrigare i miei impegni.
 Le ore passano piuttosto rapide e finalmente mi posso concedere un frugale pasto, anche se in ufficio per non perdere tempo negli spostamenti. Matt dovrebbe arrivare a farmi compagnia e già che ci sono avrò la possibilità di distrarmi almeno un po’ da tutte queste scartoffie che mi stanno facendo venire un terribile mal di testa.
“Ehi amico!” “Matt, ce ne hai messo di tempo” lo rimprovero scherzosamente. “Per farmi perdonare il ritardo ti ho portato il dolce” risponde prontamente. “Non vedo nessuna bella ragazza” replico ed entrambi scoppiamo in una sonora risata. “Scherzi a parte, chantilly con fragole” afferma mostrandomi la squisita torta. Amo i dolci e avendo alcuni attrezzi della palestra a casa, ho la possibilità di mantenermi in forma anche nei periodi in cui sono particolarmente impegnato con il lavoro. “Perdonato”.
“Mi ci voleva proprio una pausa!” Matt si appoggia pesantemente allo schienale della poltrona e si pulisce con un tovagliolo. “Ti faccio lavorare troppo forse?” domando ironicamente. “Mm…forse…” “Idiota!” Gli lancio una pallina di carta e mi rilasso a mia volta. “Sarà meglio che torni al lavoro o il mio capo si arrabbierà” mi fa l’occhiolino. “Oh farà molto più che arrabbiarsi, potrebbe addirittura licenziarti”. Si incammina verso l’uscita sorridendo, neanche minimamente preoccupato per la minaccia. “Ah, Zack” si ferma con la mano sulla maniglia e si volta ad osservarmi. “Quando è finito il turno, vieni nel vecchio ufficio, devo parlarti di una cosa”. Prima che possa chiedere spiegazioni, è già sparito.

Sono veramente curioso di sapere cosa deve dirmi quello squilibrato del mio migliore amico. Mi sento così tanto trepidante da sbrigare ogni compito con estrema rapidità e semplicità, come se in questo modo cercassi di far scorrere le ore più velocemente. Come disse Quasimodo? Ed è subito sera. Magari lo fosse, così potrei interrompere la mia impegnativa giornata lavorativa e svelare il mistero.
Mentre rimugino su ciò che potrebbe dirmi Matt, mi rendo conto che ultimamente sta passando molto tempo con la segretaria…non è che… No. Impossibile. Me l’avrebbe detto prima, o quantomeno mi avrebbe accennato qualcosa. Assalito dai dubbi, decido finalmente di distrarmi e tenermi occupato calcolando le spese dell’azienda. Non voglio credere che un’altra persona a cui tengo non mi abbia detto la verità. Sì, insomma, ormai non siamo più dei ragazzini e non siamo costretti a dirci ogni cosa, ma un possibile fidanzamento la ritengo una notizia importante che andrebbe comunicata.
In ogni caso, dovrei seriamente imparare a dare più fiducia a Matt. Come dopo aver scoperto di Ellie e Arthur e aver accusato ingiustamente il mio amico, mi sento in colpa. Probabilmente è giusto dare almeno il beneficio del dubbio a coloro a cui vogliamo più bene.

Riflessioni, impegni e qualche guaio da sbrogliare e posso finalmente dichiarare concluso l’orario di lavoro.
Mi reco rapidamente  verso l’ufficio vecchio e constato che i corridoi sono completamente sgombri. Qualcuno potrebbe pensare che sia inquietante l’ambiente serale con alcune luci spente e nessuno a popolare i locali, ma io l’ho sempre trovato piuttosto emozionante. Forse perché, dal momento che l’azienda è mia, è un po’ come una seconda casa per me e di conseguenza so di essere al sicuro.
Finalmente raggiungo il luogo dove mi è stato dato appuntamento e noto che la lampada all’interno è accesa e riesco anche a sentire delle voci.
“Matt, mi puoi spiegare che diavolo sta succedendo?” Irrompo nella stanza al culmine della curiosità e la prima cosa, o per meglio dire persona, che vedo è Ellie. Mi osserva molto sorpresa e a disagio e da questo suo comportamento, comprendo che neanche lei sia a conoscenza di ciò che sta accadendo. Lancia uno sguardo omicida a Matt e…Jennifer? Ma cosa ci fa lei qui? Cosa ci facciamo tutti qui?
Quell’idiota del mio migliore amico sorride sornione. “Zack, accomodati. Ora che la squadra è al completo, possiamo metterci all’opera”. Squadra? Okay, non sto capendo assolutamente nulla. “È uno scherzo?” Domando a Matt. “No, si tratta di una cosa seria. Ellie spiega per favore”. “I-io? No! Siete voi quelli che hanno elaborato un piano e siete stati voi a coinvolgerlo.” Non è arrabbiata, ma molto frustrata e probabilmente al suo posto lo sarei anche io. “Va bene, basta fare i bambini! Faccio io”. Jennifer prende la parola e ancora una volta rimango colpito dal suo essere autoritaria. È incredibile come una donna così gracilina e in apparenza insicura, sia così audace.
Inizia a parlare e mi racconta in modo dettagliato e metodico di un certo Allen, che a quanto pare è l’ex di Ellie e cosa peggiore, ha manie da stalker e degli amici poco raccomandabili. “E noi cosa centriamo in tutto questo?” Nonostante mi dispiaccia per la mia impiegata, non possiamo improvvisarci detective. Anche se, a guardare l’espressione furba di Matt, è proprio quello che hanno in mente questi due pazzi. “Ellie non ha abbastanza materiale per recarsi dalla polizia ed è preoccupata per il figlio che è solamente un bambino” “Lo so” mi lascio sfuggire e Bonnie e Clyde mi osservano curiosi. “Va bene, passate al piano non ne posso più di aspettare.” Ellie, che fino a questo momento era rimasta in religioso silenzio, si risveglia e riporta l’attenzione su cose più importanti e meno imbarazzanti.
“Si, giusto. Allora, avevo pensato, dato che abbiamo dei fondi piuttosto consistenti… potremmo…si, ecco…” Io e la bionda ci osserviamo impazienti per poi tornare con lo sguardo sui nostri colleghi. “Matt. Vieni al punto. Entro stanotte possibilmente.” Tira un lungo sospiro e butta fuori le parole. “Zack, so che tu te la cavi con la tecnologia, potresti in qualche modo seguire Allen?” Rimaniamo per un momento tutti in silenzio a guardarci. “Mi stai chiedendo di mettere un microchip addosso a quel ragazzo?” Traduco notando lo sguardo perplesso di Ellie. “Sapete che è illegale?” “Oh, andiamo non sarebbe la prima volta.” Risponde prontamente Matt. “Senza contare che è per  una buona causa” aggiunge Jen. “Ammettendo che io sia d’accordo, come facciamo a fargli avere l’aggeggio?” “Posso farlo io…” Ellie sembra titubante e non ha tutti i torti. “Sei sicura di volerlo fare?” È la prima volta che interagiamo direttamente da quando siamo qui. “No… però devo farlo per Alex. Sono disposta a tutto pur di proteggerlo, ma non sono sicura di voler coinvolgere tutti voi”. Vuole salvare tutti. Forse è questo pensiero a darmi la carica per far uscire le parole dalla mia bocca: “Facciamolo.”

Voglio delineare bene il piano per poterlo mettere in pratica nei prossimi giorni, così dico alle ragazze di avvisare a casa che faranno tardi. Mentre loro sono fuori, mi avvicino a Matt. “Da dove ti è venuta questa idea? La tua vita era forse diventata troppo monotona?” “Zack, hanno bisogno di noi. Quando Jennifer mi ha raccontato la storia era molto preoccupata per Ellie…”  “E tu ti sei preoccupato per Jennifer” “E tu ora lo sei per Ellie”. Ci osserviamo come se avessimo capito più l’uno dell’altro che di noi stessi. Il nostro momento viene interrotto dal ritorno delle due. “Eccoci”. Prendiamo tutti posto attorno alla scrivania.” Innanzitutto ho bisogno di bere qualcosa.” Matt è il prescelto per svuotare la macchinetta del caffè, nel frattempo chiedo alla segretaria cosa avevano in mente. “Non capisco nulla di tecnologia, per cui non so bene cosa fare, ma pensavo che Ellie potesse chiedere ad Allen di vedersi con una scusa, così da fargli avere il microchip senza che lui se ne accorgesse. In seguito, monitorarlo per qualche giorno. Quantomeno per capire che se sia possibile affidargli Alex il tempo da lui richiesto”. “Potrebbe funzionare”. L’idea mi piace, non è nemmeno troppo rischiosa. “Ora è il momento di concentrarci sui dettagli: la scusa da usare con questo Allen per l’incontro e dove mettere il chip”. “Potrei dirgli che ho intenzione di dargli una possibilità e voglio accordarmi per fargli passare qualche ora con il bambino”. “A meno che non sia completamente idiota, si renderà conto che c’è qualcosa di strano sotto…” asserisce Matt con delle tazze fumanti in mano. “Non se io gli spiego che è stato Alex a chiedere di lui”. “E un problema è risolto. Il prossimo?” “Sulla maglietta?” Propone Jennifer. “Appena la laverà, il microchip non sarà più funzionante” Rispondiamo all’unisono io e Ellie. “Vedo che siete sulla stessa lunghezza d’onda” scherza Matt e noi ci guardiamo per un secondo imbarazzati.  “La soluzione migliore sarebbe il telefono…” asserisce poi. “Ellie quanto sei brava a sedurre?” Spostiamo tutti l’attenzione su Jennifer che ha lo sguardo di una che la sa lunga. “Se tu riuscissi a tenerlo impegnato per qualche minuto, Zack non dovrebbe metterci molto a installare il chip”. “Ottima idea!” Concorda subito il mio amico. Ellie mi guarda disperata in cerca di un sostegno. Sinceramente l’idea che possa sedurre quel soggetto mi crea una punta di nervosismo, ma forse è l’unico modo. “Non so neanche da che parte cominciare” sbuffa sonoramente. “Dammi il telefono” allungo una mano verso di lei. La vedo riluttante e insicura. “Fidati di me”. E stranamente lei lo fa.

Ehi Allen, ho ripensato molto a quello che mi hai detto e vederti insieme ad Alex mi ha fatto uno strano effetto. È giusto darti una possibilità, vorrei invitarti da qualche parte, così per parlare da soli e con calma.   

Meglio non partire troppo in quarta, come si suol dire. Non sarebbe da Ellie e lui si accorgerebbe subito che qualcosa non quadra. La risposta arriva immediatamente:
Mi piacerebbe molto, sai quanto io tenga a noi due. Una cena questo weekend può andar bene?

Faccio rapidamente un paio di calcoli e il chip dovrebbe essere pronto per quella data.
Benissimo, così avrò il tempo di trovare un abito adatto.

Sei sempre bellissima.

“A questo rispondi tu, mi viene la nausea a leggere certe cose” ripongo schifato il telefono nelle mani di Ellie. “Benissimo signori, abbiamo due giorni per insegnare alla Wilson a diventare una predatrice e renderla assolutamente meravigliosa.”



-N/A- 
Buongiorno ragazze! Innanzitutto vi vorrei ringraziare per tutto, siete fantiastiche davvero! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ricordo ancora una volta dell'esistenza del gruppo di whatsapp a cui potete aggiungervi:) al prossimo capitolo, baci.

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Capitolo 24
*** Dress ***


ELLIE’S POV
“È proprio necessario?” domando frustrata. “Vuoi scoprire la verità o no?” chiede a sua volta Zack. Per un momento mi perdo a osservarlo: indossa una giacchetta nera di pelle rivestita di pelo all’interno, un maglione e dei jeans dello stesso colore. Fa un certo effetto vederlo vestito così, ma ciò che colpisce maggiormente è il suo portamento: fiero e deciso. Lo stesso che mantiene quando è in azienda affidando impieghi o tenendo i conti. Voleva evitare di essere riconosciuto da troppe persone, ma temo che se non abbasserà un po’ il capo, non passerà inosservato. “Zack dovresti comportarti come una persona normale anziché usare quel tono” lo riprende scherzosamente Matt. C’è anche lui con noi e non solo: secondo il progetto iniziale avrei dovuto comprare l’abito adatto all’appuntamento insieme a Jennifer, ma dal momento che il capo ha ritenuto assolutamente necessario un parere maschile e la mia amica non voleva sentirsi di troppo, la squadra al completo è stata coinvolta. “Avrete intenzione di seguirmi anche in bagno?” Li squadro uno per uno. “Se tu fossi in grado di sbrigliare i tuoi affari da sola, no. Ma dal momento che hai un disperato bisogno di aiuto…” Il suo modo di parlare saccente mi infastidisce non poco e devo fare di tutto per mantenere il mio autocontrollo. “Almeno posso sapere dove stiamo andando esattamente?” Guardo Matt. “È una zona molto rinomata per i suoi negozi” “Costeranno un occhio della testa…” “Offre l’azienda e poi in questo modo avremo la possibilità di restare soli con i commessi”. La cosa non mi aggrada, non voglio avere altri debiti con loro, ne ho già abbastanza. “Ehi” Jennifer mi posa una mano sulla spalla distanziandoci dai ragazzi. “So che è una situazione scomoda, ma ricorda che lo stai facendo per Alex”. Ha ragione, nel profondo so di star facendo la cosa giusta. “E poi, meravigliosi vestiti gratis e la compagnia di quei due… insomma, quante donne vorrebbero essere al nostro posto?” “Jennifer!” Ridiamo e mi sento un po’ più leggera.

“Che tipo è questo Allen?” La domanda interrompe la scansione completa che sto mettendo in atto in questo luogo. Credo di non essere mai stata in un negozio del genere: i pavimenti sono specchi, accanto alle pareti sono poste delle sedie eleganti con imbottiture rigonfie, ogni angolo è luminoso e le pareti gialle rendono maggiormente l’effetto di ampiezza e scintillio.  “Come?” Osservo Zack confusa. “Contrariamente a ciò che pensate voi donne, non siamo tutti uguali”. Con la coda dell’occhio, noto Matt fare un cenno di assenso. “Siete voi a darci modo di pensarlo” lo sfido e i nostri amici ridacchiano alle nostre spalle. “Signor Evans, che piacere! Qual buon vento la porta qui?” Con mia somma sorpresa, compare un giovane uomo. “Marcel! Mi dispiace non essermi fatto sentire, ma ero molto indaffarato” “Come sempre del resto” Risponde il commesso dandogli una pacca sulla spalla. “Noto che sei in ottima compagnia. Signorine” prende la mano a me e a Jennifer, che nel frattempo si è avvicinata, e ci bacia il dorso della mano come un gentiluomo di altri tempi. “Matt, giusto?” Si rivolge poi al ragazzo. “Marcel è un piacere rivederti”. “Non ne dubito” Alza le spalle e mi sta già simpatico. “Allora, chi sarà la mia opera d’arte della giornata?” Evidentemente non sta più nella pelle e ci osserva trepidante. “Ellie, ovviamente. Mi stupisce che tu non ti sia accorto di come sia ridotta”. L’emozione provata a sentire pronunciare il mio nome da Zack scompare immediatamente, trascinata via dalla furia cieca causata dalle parole che lo hanno seguito. “Suppongo sia tu, vieni cara” Marcel mi porge un braccio e la mia rabbia si assopisce. Sono messa davvero così male? “Non preoccuparti, ho capito che eri tu solo perché in mezzo a loro tre si vede che sei tu l’unica non completamente a suo agio in questo tailleur che indossi. Non sei assolutamente in cattive condizioni.” Mi rassicura immediatamente dopo aver accettato il suo invito. Lascio i miei compagni e mi ritrovo in un’altra stanza molto simile alla prima, ma qui noto più abiti e  mi accorgo anche che sono meno adatti ad un ambito lavorativo e che sarebbero perfetti per un appuntamento. “Come sapevi che avevo bisogno di un vestito per una cena?” “Zack non ti ha mai parlato di me, eh?” Mi domanda avvicinandosi ai capi. “Oh ti prego non vorrei mai sminuirti. Diciamo che io e Zack non parliamo molto, cioè lui è il mio datore di lavoro”. Mi osserva stranito e posso comprenderlo. Quale capo porterebbe una sua dipendente a comprare abiti così costosi se non avesse un secondo fine? “È una situazione complicata…” “Ehi, non preoccuparti. Non mi servono dettagli, o meglio, mi servono riguardo la serata per capire cosa farti indossare. Nient’altro.” È veramente una persona cortese, simpatica e ad un primo impatto affidabile, sono contenta di essere stata affidata alle sue competenze. “Sai cara, ad occhi comuni il mio lavoro può sembrare una stupidaggine, ma non è affatto così. Solitamente le donne sono più comprensive perché conoscono l’importanza del giusto abito. Perché non vai a metterti comoda nella sala successiva? Ti farò raggiungere dai tuoi amici mentre seleziono alcuni vestiti adatti a te”. Faccio come mi è stato chiesto e inizio a togliermi giacca e scarpe per essere comoda quando dovrò cambiarmi. “Credevo ti avesse rapita” afferma Jennifer ridendo. “Pare stia selezionando qualcosa per me”. “È il migliore nel suo campo, non ci deluderà”. “Non lo farò di certo” Marcel sbuca alle nostre spalle con un unico abito in mano. La cosa ci lascia non poco perplessi. “Non pensavo che la Wilson fosse messa così male da non poter essere salvata neanche da te” scherza Zack, anche se l’unico a divertirsi è lui. Me la pagherà per tutte queste offese gratuite, poco ma sicuro. “Al contrario, credo invece che sia talmente bella da non aver granché bisogno del mio aiuto”. Dal suo modo di porsi e di parlare ho intuito che è omosessuale, il che mi dispiace perché se così non fosse stato, l’avrei sposato all’istante. Ben ti sta Evans. “Allora vediamo subito come ti sta” si intromette Matt.

Il camerino è enorme, con ben quattro specchi così che io possa vedere la mia immagine completa da ogni angolazione. Non ci sono stupide tendine che non si chiudono completamente, ma una porta vera e propria. Poso il mio completo sullo sgabello nell’angolo e indosso quello fornitomi da Marcel: il tessuto è nero e morbido, arriva poco sopra le ginocchia ed è lievemente più stretto sul giro vita. Il seno è coperto da una sorta di incrocio che comincia dalla parte inferiore donando delle pieghe particolari, infine, da dove finisce il tessuto più accentuato al collo è presente uno strato sottile e trasparente. È semplicemente perfetto. Non troppo pretenzioso, ma elegante. Sembra quasi riflettere la mia persona, Marcel è davvero il migliore. Come se l’avessi chiamato, bussa alla porta: “Ellie, ti ho portato un paio di scarpe, dovrebbero essere del tuo numero” e infatti è così. Ha decisamente un buon occhio. Penso mentre mi destreggio sulle decollté che mi sono appena state portate. Finalmente mi sento pronta per il parere dei miei accompagnatori, così esco dal camerino e all’udire il suono dei tacchi sul pavimento lucido, tutti si voltano ad osservarmi. “O mio Dio, ma sei meravigliosa!” Jennifer è la prima a parlare e dopo averla ringraziata calorosamente, sposto titubante lo sguardo verso i ragazzi. Mi stanno entrambi osservando senza dire una parola, hanno gli occhi sgranati e la bocca socchiusa, ma nonostante questo, percepisco che non stanno propriamente pensando la stessa cosa. Mentre l’espressione di Matt è di pura ammirazione, quella di Zack è fuoco puro e incandescente: non un singolo bagliore nei suoi pozzi di ghiaccio mi riconduce a semplicità e candore, ma solamente a malizia e passione. Resto incatenata e riesco solo a percepire un lieve movimento alle mie spalle, e poi, la consapevolezza di essere soli. Si avvicina con passo felpato, come un predatore e io resto immobile come se fossi caduta in trappola. Si ferma poco distante, riesco a sentire il suo respiro e l’intensità della sua colonia mi inebria. Mi squadra dal basso verso l’alto e poi si sofferma sui miei occhi. Non sono mai stata un’amante dei tacchi e quando Zack Evans mi sta così vicino, indeboliscono il mio equilibrio già precario e mi portano ad odiarli ancora di più. La mia pelle inizia a formicolare quando sento la sua mano alzarsi e avvicinarsi al mio viso, ma poi va oltre: prende il fermaglio che ho tra i capelli e questi immediatamente ricadono sulle mie spalle in morbide onde. Volto lievemente il viso verso di essi e quando torno dritta, Zack è decisamente troppo vicino. “Così mi piacciono di più, ora sì che sei perfetta” sussurra al mio orecchio e temo di poter svenire da un momento all’altro. Ma lui se ne va con passo svelto, lasciandomi sola e destabilizzata ad osservare le gote rosse attraverso il riflesso nel pavimento e a cercare di recuperare almeno un briciolo di compostezza.
“Allora, cosa ti ha detto?” Jennifer mi affianca e ancora una volta ci distanziamo dai ragazzi. Se Marcel si è accorto di qualcosa in seguito a quella scena, sono contenuta che non ne abbia fatto parola; ma la sua discrezione purtroppo non è caratteristica comune alla mia amica. “Ha detto solo che andava bene il vestito”. Sminuisco l’accaduto e non so se lo sto facendo più per sedare la sua eccessiva curiosità o la mia paura nei confronti degli effetti che mi causa la sua vicinanza. “Non ti credo, ma non voglio insistere dato che i prossimi giorni saranno impegnativi” mi fermo ad osservarla. “Che vuoi dire?” “Non te l’hanno detto? Domani passerai l’intera giornata con il capo, da quanto ho capito vuole portarti da qualche altra parte e ha anche intenzione di simulare la cena con Allen, così da farti capire come comportarti”. “Aspetta, cosa?” Attendiamo che i nostri accompagnatori ci raggiungano e li fulmino immediatamente. “Che diavolo è questa storia Evans?” “Sei stata tu a dire che non sapevi neanche da che parte cominciare a sedurre un uomo, io sarò il tuo mentore. Domani. Niente storie, ti passo a prendere alle undici”. So già che domani sarà una giornata veramente molto lunga.



-N/A-
Buongiorno ragazze! Spero stiate bene e che il capitolo vi piaccia, avrei anche l'immagine del vestito ma purtroppo non so come inserirla qui su efp :( Comunque vi ricordo che se  volete potete aggiungervi ai gruppi di Facebook e Whatsapp! Un bacio <3

 

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Capitolo 25
*** Fire & Ice ***


Sono a dir poco un fascio di nervi, l’idea di passare l’intera giornata con Zack mi manda su di giri e prevedo già fuochi d’artificio. Non vorrei, ma la mia mente ha già cominciato un viaggio senza ritorno nel mondo della fantasia e degli istinti. Ho dormito poco questa notte e so già che passerò insonne anche questa a causa della cena con Allen di domani. È sempre stato più forte  di me, nonostante volessi far emergere agli occhi di tutti la mia indipendenza, i ragazzi hanno sempre avuto questo effetto su di me.
Ricordo quando andavo ancora al liceo e un certo Patrick mi aveva invitata ad andare al cinema con lui: alle mie amiche avevo detto che ero molto tranquilla, avevo anche già pensato a cosa indossare, poi, una volta giunta a casa e rimasta sola, ero sprofondata nel panico. Avevo cambiato cinque volte l’outfit prescelto e stavo letteralmente dando di matto.
Alla fine Patrick si rivelò una noia mortale, non faceva altro che parlare di sport ed era pure maleducato.
Nonostante quell’impresa fallimentare, ogni volta è la stessa storia: mi muovo in modo frenetico, non riesco a stare ferma, ho la testa fra le nuvole e via dicendo.
Sto preparando Alex, il quale passerà la giornata con Jennifer e Matt dato che quest’ultimo la scorsa volta pare essersi divertito non poco. Come se mi avessero letto nel pensiero, ecco il campanello suonare. “Mamma, nello! Nello!” e come se non bastasse, mio figlio accortosi dei miei pensieri altrove, mi riscuote ulteriormente.
“Eccoci qua! Prima di vedere la mia amica, mi si para dinnanzi un orso di peluche di dimensioni piuttosto elevate. “E lui chi sarebbe?” Scherzo facendoli accomodare. “Uno dei regali per Alex, ovviamente” “Uno dei regali?” “Tesoro gli zii d’America sono qui!”. Come se il bambino capisse cosa significa, si apre in un largo sorriso sdentato. “Non fare domande, ci ho già provato io e sono finito in una ventina di negozi per bambini” mi informa Matt rassegnato, ma con una punta di dolcezza negli occhi guardando il tornando Jennifer. “Zack sarà qui tra poco”. La tensione che sembrava essersi momentaneamente volatilizzata, torna più forte di prima.  “Nuovo look?” Matt è il primo a notare il mio nuovo taglio di capelli dato che la mia amica è troppo impegnata a coccolare il bambino. “Li ho accorciati giusto un po’” “Ti stanno divinamente!” Ed eccola che interviene. Un sommesso bussare interrompe la nostra conversazione. È sicuramente lui. O mio Dio, e adesso? Forse dovrei aprire. Ma no, lasciamolo nel corridoio tutto il giorno, tanto.
Il mio monologo interiore si conclude e mi decido a svolgere il mio compito da padrona di casa: accogliere gli ospiti.
“Zack, accomodati” Cerco di risultare il più decisa possibile mentre lo invito ad entrare. Non voglio che abbia il pieno controllo su di me per tutta la giornata. Appena mette piede nell’appartamento, tutti lo salutano, Alex compreso. “Za-Za” ride sul divano allungando le braccine paffute verso l’uomo. Quest’ultimo colto alla sprovvista, si muove verso di lui e lo prende in braccio. Come la prima volta, mi si scalda il cuore e sento le gambe molli. Nonostante io tenti di nascondere questa condizione, Jennifer palesa tutta la sua emozione in un sonoro: “Ma come siete carini!”. Continuando ad osservali, mi rendo conto di quanto Alex si senta più a suo agio tra le braccia del capo che tra quelle di Allen. È vero che nonostante sia suo padre, non ha avuto modo di passarci molto tempo insieme, ma se è per questo nemmeno con Evans, per non parlare del fatto che solitamente i bambini così piccoli si rivolgono ai genitori in maniera istintiva. Zack interrompe il mio flusso di pensieri: “Sarà ora di andare, ho prenotato in un posto fuori città per il pranzo” “Fuori città?” Domando allarmata. “Si, tranquilla saremo di ritorno per tarda serata”. Jennifer mi passa il cappotto e mi spinge fuori dalla  porta, dopo aver salutato mio figlio. “Fai il bravo ometto” aggiunge Zack.

Quando usciamo dalla hall del St. Regis, una bellissima Audi nera è parcheggiata di fronte a noi. “Oggi niente autista” mi spiega facendo tintinnare le chiavi nelle sue mani. Accidenti, saremo completamente soli per… quanto? “Quanto dista la nostra destinazione?” Domando mentre mi siedo sul comodo sedile in pelle. “Un paio d’ore, a meno che tu non abbia paura della velocità…in tal caso ci vorrà una mezzoretta in più”. Se ci daranno una multa la pagherà lui, sono affari suoi, quindi direi che al diavolo chi va piano va sano e va lontano. “Scherzi? Io adoro la velocità” affermo sicura di me. Mi sembra di sentirlo sussurrare un “Vedremo”, ma non gli do troppo peso. Meglio non iniziare a litigare subito dato il lungo viaggio che ci attende.
“Allora, cosa hai programmato per questa giornata?” Cerco di rompere il ghiaccio perché il silenzio è più imbarazzante di una possibile conversazione. Magari riesco a scoprire qualcosa in più su di lui. “Te lo mostrerò man mano”. “Quel sorrisetto non mi piace” incrocio le braccia al petto. “Certo che ti piace, semmai ti preoccupa” “Un punto per te Evans”. “Almeno qualche indizio?” “Ti piace la cucina italiana?” Suppongo sia una traccia. “A chi non piace?” “Un punto per te Wilson”. L’aria è leggera all’interno dell’abitacolo e finalmente il peso che mi attanagliava lo stomaco è scomparso. Osservo il panorama dal finestrino e vedo lentamente scomparire i palazzi, i quali lasciano il posto a dei campi verdi e gialli. L’inquinamento è quasi assente e abbassando un momento il vetro, inspiro a pieni polmoni il fresco. Mi si scompigliano i capelli e mi sento libera. “Ti piace?” “Moltissimo”. “Non ti facevo tipo da immersione nella natura” mi spiega confuso. “Oh il contrario. La città da cui provengo è piuttosto tranquilla e intorno ad essa ci sono dei boschi in cui andavo spesso da bambina. Piuttosto non facevo te tipo da natura incontaminata” “Mi piace la tranquillità. Come si chiama la città? Potrei farci un viaggetto…” “In un paesino nei pressi di Montpelier”. Al nominare il luogo, lo vedo irrigidirsi: la sua mascella si contrae accentuandosi ancora di più e le braccia tese al volante si gonfiano. “Vermont eh?” Strana reazione. “Ci sei stato?” “Mm, no… mi hanno detto che è un bel posto però”. Qualcosa mi dice che sta mentendo. “Si, lo è”.

Il viaggio prosegue silenzioso, anche se vedo Zack particolarmente concentrato e dato che la strada è dritta e sgombra, non credo stia puntando i suoi pensieri sulla guida; ma del resto, a seguito di quella conversazione, mille domande compaiono nella mia testa e solo lui può darmi delle risposte.
“Arrivati” parcheggia la macchina in un piazzale con poche macchine e davanti a me vedo un ristorantino che a tutta l’aria di essere anche un albergo. È veramente carino: i terrazzi sono ricoperti di fiori e le tendine viola all’interno danno un tocco di semplicità e colore. La struttura è di legno ed è molto accogliente, un profumo intenso e gustoso inebria il nostro olfatto appena entriamo. “Giovanni!” Zack richiama l’attenzione di un uomo sulla sessantina che pare molto felice di vederlo. “Ragazzo! Quando ho ricevuto la tua telefonata stentavo a crederci! Vai subito a salutare Margherita, altrimenti ti lascerà senza pranzo”. Non solo dai nomi, ma dalla calda accoglienza e i tratti mediterranei, capisco subito che è italiano. Come se l’avesse chiamata, compare una donna, poco più giovane che corre ad abbracciare il capo. “Zack! Quanto tempo” “Margherita, stavo venendo a salutarti”. Il ragazzo ha un tono molto dolce e accomodante, sembra un nipote insieme ai nonni. “E questa bellissima fanciulla?” “Lei è Ellie” mi posa una mano sulla schiena e un forte calore si irradia in tutto il mio corpo. “P-piacere” stringo la mano a Giovanni e Margherita si cala ad abbracciarmi con trasporto. La coppia ha il viso segnato da rughe, ma gli occhi sono vispi e brillanti. “Abbiamo tenuto libero il tavolo sul portico”. “Margherita lo diceva che prima o poi saresti arrivato in buona compagnia”. Credono che io sia la sua ragazza.

Il pranzo era ottimo e durante il pasto Zack mi ha raccontato la romantica storia di questi uomini che hanno deciso di portare i sapori italiani oltreoceano e hanno deciso di farlo insieme. Sono sposati da una vita e nonostante non abbiano figli, si mantengono giovani grazie alla loro attività. Sono molto affiatati e si vede dal modo in cui si guardano in maniera quasi del tutto casuale. I loro sguardi sembrano rincorrersi mentre servono ai tavoli ed è meraviglioso il modo in cui l’amore sia palpabile tra loro. Penso alla mia situazione a dir poco disastrosa in confronto alla loro: con un figlio da crescere e impossibilitata a fidarmi del padre. Non so nemmeno come io sia arrivata a questo punto in così giovane età. “Non fa così schifo la tua condizione, non guardare a loro come modelli da seguire o cose simili. La verità che anche io li ammiro molto, ma si tratta solo di un raro caso. Pochissime coppie sono destinate a durare tutta la vita”. Le parole di Zack mi colpiscono e mi rendo conto che infondo ha ragione. Per quanto in molti sognino una storia così, solo a pochi è concessa. Pensare che proprio io sia tra questi pochi prediletti sarebbe una pura illusione. “Ora andiamo” “Ti prego, dimmi che non mi porterai in un altro di quei negozi altolocati”. “Certo che no, l’abito l’hai comprato ieri e a quanto pare sei stata anche dal parrucchiere. A proposito, ottima scelta, con i capelli più corti , risalterà ancora di più il vedo - non vedo della parte superiore del vestito”. Allora se n’è accorto. “Certo che me ne sono accorto, per chi mi hai preso?” “Leggi nel pensiero?” “l’hai detto ad alta voce, genio”. Okay, è ufficiale. Zack Evans mi sta friggendo il cervello.

“Mentre sei con Allen è necessario che abbia tu le redini del gioco, non so che tipo sia, sicuramente essendo un uomo desidera avere un po’ di controllo. Ma non lasciare che ti abbindoli”. “Io non mi faccio abbindolare da nessuno”. Stiamo passeggiando per un paesino a metà strada tra New York e il ristorante. Tutto è tranquillo, il vento fresco, i bambini giocano e nessuno sembra riconoscere il capo della prestigiosa azienda. Stiamo parlando indisturbati di come far cadere un uomo ai miei piedi e trovo la cosa piuttosto imbarazzante. Zack mi ha già rimproverata numerose volte per la mia disattenzione e per la mia scarsità di partecipazione. Mi ha spiegato che sta tentando di aiutarmi e sarebbe tutto più facile se io fossi più collaborativa. “Oh no, figuriamoci” Risponde in tono sarcastico. “Ah si? Credi che io mi lasci incantare con un non nulla?” “Vuoi che te lo dimostri?” “Certo”. Certo? Oh no, no, no e no. Sono forse impazzita? Ma che diavolo mi salta in testa? Si ferma improvvisamente in mezzo al marciapiede e mi fa voltare verso di lui.  Sto iniziando ad agitarmi, ma lui non deve saperlo. “Tutto bene?” “Si”. Fa scorrere le mani lungo le mie braccia su e giù, su e giù, su e… credo che stia per venirmi un infarto. “Sicura?” “Sicurissima” trattengo il fiato e si avvicina. “Ancora sicura?” “Sempre”. Mi fissa intensamente e non so per quanto ancora riuscirò a resistere. “Quindi non hai intenzione di cedere?” Si avvicina, questa volta con il viso al mio. “Mai”. Lo vedo ridacchiare e riportare gli occhi nei miei dopo essersi posati un momento sulle mie labbra. “Mai dire mai”. Mi guarda con malizia e sfida e decido di accogliere quest’ultima. Trasformo la mia agitazione in determinazione e raddrizzo la schiena. Porto le braccia al suo collo e mi metto in punta di piedi. Ha un sussulto e capisco di averlo colto alla sprovvista. “Vedremo, Evans”. Sussurro al suo orecchio prima di allontanarmi con estrema lentezza, facendo scorrere le dita sul suo petto e osservandolo con il fuoco negli occhi. “Impari in fretta” mette le mani nelle tasche e assume una posa rilassata, sorride sollevando solamente un angolo della bocca. “Ho un bravo insegnante” gli faccio l’occhiolino e poi mi giro per tornare alla macchina.

“Sali a preparati, tra mezzora devi essere pronta.” Mi lascia al St. Regis senza neanche darmi il tempo di dirgli che mezzora non mi basta. Disperata, corro al piano di sopra e appena apro la porta, trovo Matt, Jennifer e Alex giocare sul tappetto e devo ammettere che sembrano una vera e propria famiglia. “Ma che bel quadretto” ricevo la loro attenzione, ma subito trascino Jennifer nella mia stanza e la costringo a darmi una mano a prepararmi.
Credo di non aver mai fatto una doccia così velocemente e per assurdo, quando indosso le scarpe finalmente pronta, mi accorgo di essere in anticipo di qualche minuto. Meglio così. Da quanto ho avuto modo di capire ha una considerazione delle donne molto tendente alla generalizzazione. Non voglio che pensi che io sia una delle classiche ritardatarie. Decido di aspettarlo nella hall e proprio mentre io arrivo, le porte si aprono mostrando Zack in tutto il suo splendore in smoking e camicia bianca. Le persone presenti intorno a noi si voltano ad ammirarlo, ma lui procede spedito nella mia direzione e quando mi si è avvicinato, mi porge un braccio. “Signorina”. Mi sembra di sentire alcune donne fare commenti poco carini sul mio conto a causa dell’invidia, ma decido di non dar loro troppo peso e di godermi la serata come mi hanno consigliato i miei amici.
“Mi hai offerto il pranzo e ora vuoi offrirmi anche la cena?” “Il pranzo era con Zack, la cena è con Allen”. “Lo osservo confusa mentre mi accomodo al tavolo dell’elegante ristorante che non ha assolutamente niente a che vedere con quello in cui siamo stati oggi. “Devi fingere che io sia lui, voglio vedere come ti comporti” Presa in contropiede e tesa come una corda di violino, cerco di arrampicarmi sugli specchi per fargli cambiare idea. “Ma…tu non sai come risponderebbe lui, quindi la cosa non sarebbe fattibile”. “Non preoccuparti di questo, vedrai che sarà un’ottima preparazione all’appuntamento di domani”.

Nonostante il mio iniziale scetticismo, sta procedendo tutto bene anche se credo che Zack non abbia ancora cominciato il suo reale assalto. “Il cibo è ottimo” “Questo ristorante è uno dei migliori, ci vengo spesso” “Avevo intuito che fossi un cliente affezionato dato che ti hanno dato questo meraviglioso tavolo accanto alla vetrata e piuttosto isolato dagli altri”. “In effetti, non è un caso che si qui” “Non avevo dubbi” l’aria è diventata improvvisamente tesa e cerco di sdrammatizzare. “Questo vestito ti dona particolarmente” la sua sedia è accanto alla mia da tutta la sera, ma solo ora sembro accorgermi della reale vicinanza. “G-Grazie”. Sembra finita qui la sua interpretazione e tiro un sospiro di sollievo che viene smorzato a metà trasformandosi in un sussulto quando la sua mano si posa sulla mia gamba lasciata scoperta dall’abito. “Zack…” la afferro con la mia nel tentativo di fermarlo. “Ellie, devi avere il controllo. Ricordatelo.” Per un momento torna il capo autoritario che conosco, ma poi ricala nella parte di Allen ed io cerco di riprendere il dominio della situazione. “Non credo sia il caso…qui…” Alludo a un possibile dopo cena in tono ammiccante. “Ti ho mai detto che hai dei bellissimi occhi?” mi domanda sempre più vicino. “Spesso in realtà”. Nonostante questa farsa, questa frase mi fa tornare di colpo alla realtà e il tentativo di visualizzare il mio ex ragazzo davanti a me scompare. Vedo solo Zack Evans, in tutto il suo splendore con i primi bottoni della camicia slacciati, le maniche arrotolate sui possenti avambracci e gli occhi magnetici. Una scarica di adrenalina scaturita da non so dove, si irradia in tutto il mio corpo e passo al contrattacco. “Io non ti ho mai detto davvero quanto mi piaccia tu però”. Un velo di confusione offusca un momento il suo sguardo, non comprende se io stia recitando o meno e va bene così. La mia mano che sta ancora tenendo la sua da prima, inizia a giocare con gli anelli che porta al dito. “Forse dovremmo discutere delle nostre questioni in un luogo più tranquillo. Siamo lontani dagli altri, ma non vuol dire che non ci siano”. Faccio scorrere le dita sul suo avambraccio in modo lento e lascio vagare lo sguardo. Deglutisce e porta la lingua ad inumidirsi le labbra. “Con chi stai parlando, Wilson? Con il tuo ex ragazzo…o con me?” Sapevo che non sarebbe stato in grado di lasciarmi pieno controllo, non sarebbe stato da lui e lui è unico e non è in grado di fingersi qualcun altro. “Chi lo sa…” Mantengo il pugno fermo. “Non dovresti giocare con il fuoco”. “Più che fuoco, sei così imperscrutabile da sembrare ghiaccio”. “Allora io sono il ghiaccio e tu il fuoco? Mi stai minacciando?” “Chi lo sa…” ripeto. “Sarà un’ardua impresa farmi sciogliere, Wilson. Ma se  un tentativo è quello che vuoi, un tentativo è ciò che avrai”. Ammicca e così si conclude la serata più intensa della mia vita.



-N/A-
Buonasera ragazze! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia, come promesso più lungo e spero più interessante. Vi prego di farmi sapere cosa ne pensate perchè per me è davvero importante! Un bacio.

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Capitolo 26
*** Date ***


Il gran giorno è arrivato e l’unica cosa che vorrei è che la serata che mi attende sia solamente una normalissima serata da passare con Alex o con Jennifer sul divano a guardare film e mangiare una pizza da asporto. Invece no, non posso cambiare la realtà degli eventi e la cena che mi aspetta è davvero con Allen, il mio ex ragazzo da cui ho cercato con ogni forza di allontanare me e mio figlio. La verità è che sono stata tradita, ma il problema non è solo quello e lo so io, come lo sa anche lui. Vedere il mio primo amore mi ricorda la mia città natale e la mia famiglia con tutto ciò che si cela dietro ad essa. Sono scappata da tutto e tutti, so di aver sbagliato, ma i ricordi che permeavano quel posto erano come lame affilate in grado di ferirmi ogni qualvolta posassi gli occhi su un albero, o una strada, o una casa. Ho usato Alex come scusa per allontanarmi e il tradimento di Allen è capitato al momento giusto, ma ora, al solo pensiero di passare qualche ora in sua compagnia, il sangue mi si gela nelle vene e i volti dei miei genitori mi compaiono davanti come ombre venute dal passato per tormentarmi. “Ellie” “Ellie!”. Sembra che mi stiano addirittura chiamando adesso, il che è impossibile. Mi concentro e torno alla realtà, tanto da accorgermi che a chiamarmi è Jennifer.
“Ehi, va tutto bene?” Mi posa una mano sulla spalla per tranquillizzarmi e mi rendo conto di avere il respiro affannato. “S-si, tutto okay”. “Ripeti quello che ho detto” “Come?” “Ripeti quello che ho detto.” Il tono di Zack non ammette repliche. È da quando arrivato che si comporta in modo strano, sembra essere di cattivo umore e nemmeno Matt conosce il motivo. “Io, ecco, non stavo ascoltando”. “Senti, stiamo lavorando per te qui dentro, tutti quanti. Se avessi almeno la decenza di prestare attenzione, ci faresti un favore”. Ha ragione e sono troppo tesa per ribattere, senza contare che peggiorerei solamente la situazione per cui decido di lasciar perdere e annuire solamente. “Arriverò più tardi, tanto non mi conosce e cercherò di essere il più discreto possibile. Ci accorderemo sull’ora, ti aspetterò in bagno così mi porterai il telefono e potrò inserire il chip.” “In mia assenza si accorgerà di non averlo. Di solito quando qualcuno resta solo al tavolo, controlla eventuali messaggi o chiamate dato che  è l’unico momento in cui può farlo senza sembrare scortese”. “Ellie ha ragione, dobbiamo pensare a qualcos’altro”. “Mentre voi pensate a una soluzione, fate giocare Alex così posso accompagnare Ellie a prepararsi per il suo appuntamento” Jennifer deve aver notato il mio turbamento precedente e sicuramente sta cercando di farmi avere i miei spazi.

“Ehi, ce la puoi fare, so che fa schifo uscire con il proprio ex, ma è per una giusta causa”. “Lo so, Jen.” “E allora dove è il problema? Perché so che c’è qualcosa che ti preoccupa, ma non riesco a capire cosa.” Non rispondo alla sua domanda e metto la piastra a scaldare mentre la mia amica mi osserva in attesa. “Io sto bene davvero. Vorrei solo avere la possibilità di non doverlo fare, vorrei avere una scelta. Ma non ce l’ho e devo farlo per il bene di mio figlio, quindi cerchiamo di non pensarci e basta. È  solo una sera, cosa sarà mai.” “È perché ti ha tradita?” Blocco ogni mio movimento e lentamente, in modo quasi meccanico, mi giro a guardarla. “Si Jen, è anche perché mi ha tradito. Io lo amavo e pensavo che anche lui lo facesse, ma a quanto pare mi sbagliavo. Per cui sì, questo sicuramente è uno dei motivi.” Senza rendermene conto ho alzato il tono della voce. “Ellie, mi dispiace, non sono affari miei. È solo che ti vedo così persa nei tuoi pensieri e sono preoccupata per te”. “Grazie Jen, davvero. Ma stai tranquilla. Sono solo un paio d’ore, posso farcela”.

“Abbiamo architettato un piano geniale!” Finalmente una buona notizia. “Siamo tutte orecchi” Risponde prontamente Jennifer mentre tenta di mettere in ordine i miei capelli. “Io fingerò di essere un cameriere. Ellie, dovrai essere rapida a passarmi il telefono e successivamente dovrai tenere Allen impegnato per tutto il tempo in cui Zack starà lavorando. Passerò a portarvi il dessert, quindi dovrai avere il cellulare per quel momento”. “Può funzionare! Ellie, cosa ne pensi?” Il piano è ottimo, sicuramente più funzionale del precedente; l’unico problema sarà riuscire a tenere impegnato il mio accompagnatore. “Come pensi di fare ad infiltrarti tra il personale del ristorante?” “Zack ha le sue conoscenze, o meglio, la proprietaria gli deve un favore” ammicca Matt. “Non avevamo dubbi” esclamiamo in coro io e la mia amica. “Ora che il progetto ha preso completamente forma, non ci resta che metterlo in atto. Ellie, è tutto nelle tue mani adesso.” Già, è questo quello che mi spaventa.

Pensare ai miei amici, è un modo per darmi forza. Ora so di non farlo solo per Alex, ma anche per loro che mi sono stati accanto come nessuno faceva da tempo e che hanno lavorato duro  per me e la mia famiglia. D’altra parte, questo pensiero mi mette ancora più agitazione, sentendo il peso della responsabilità gravarmi sulle spalle. Ma, insomma, io sono Ellie Wilson, ho avuto un figlio molto presto, sono rimasta sola, mi sono trasferita in una città a chilometri di distanza dal mio luogo natio e mi sono semplicemente rimboccata le maniche: posso affrontare una cena, posso abbindolare un uomo, posso fare tutto quello che voglio. Perché se c’è una cosa che ho imparato in questi ultimi anni, è che io sono forte e determinata e farò tutto ciò che è in mio potere per assicurare la mia sicurezza e quella di Alex.

“Ehi Allen!” “Ellie, wow, sei…sei bellissima” è sincero, i suoi occhi sono spalancati e luminosi e mi guarda nello stesso modo in cui mi ha guardata il giorno del nostro primo appuntamento. “Neanche tu sei niente male” è vestito in modo elegante, si è tagliato il lieve strato di barba che gli ricopriva il mento qualche giorno fa e sembra più giovane. “Andiamo?” “Certamente”. Mi apre la portiera come un vero gentiluomo e per tutta la durata del viaggio decido di restare in silenzio così da conservare la conversazione per dopo. Nel frattempo, penso a come comportarmi e faccio di tutto per apparire serena. “Sei nervosa?” A quanto pare non sono molto brava a mascherare le mie emozioni, ma Zack mi ha lasciato qualche frase fatta per ogni occasione. “Un po’, sai sono sempre agitata quando devo andare a cena fuori, dovresti saperlo” ridacchio ripensando ai nostri appuntamenti. “Hai ragione, credo che la ventesima volta in cui ti portai fuori fosse stata identica alla prima. Sei un osso duro, eh?” “Certe abitudini non muoiono mai”. Lascio che le mie parole fluttuino tra noi e che ognuno possa intenderle come vuole. Perché chi ne ha passate tante come me ed Allen, può affibbiare qualsiasi significato a questa allusione.

“Non ti facevo tipo da ristorante di lusso” gli confido ormai arrivata alla seconda portata. Abbiamo parlato del più e del meno, ma ho notato che ogni qualvolta venivano nominati i suoi amici, si muoveva nervoso sulla sedia. Dovrei affrettarmi a prendere il telefono, ma stupidamente non riesco a cogliere nessuna opportunità. Con la coda dell’occhio scorgo Matt in lontananza vestito da cameriere, mi fa un cenno e so che devo sbrigarmi perché è quasi il momento. “Allen, posso farti una domanda?” “Certamente, tutto quello che vuoi”. Mi avvicino accavallando le gambe, cosa che lui nota immediatamente. Ho fatto in modo di scegliere un tavolo in cui potessimo stare l’uno accanto all’altra e non di fronte. Anche se la sua vicinanza non mi aggrada come quella di Zack, è utile per mettere in atto il piano. “Ecco, io mi chiedevo… ti senti con qualcuno?” L’aria si fa più intensa e lo osservo senza staccare lo sguardo dal suo. “No. Dopo di te…non c’è stata nessun’altra” Ah mi sembra giusto, dopo di me nessuna, ma mentre stava con me sì. Trattieni la rabbia Ellie, coraggio. Ridacchio e mia avvicino ancora di più. “Non dovresti dirmi certe cose… mi sento così… sola ultimamente e tu riappari così dal nulla…” Poso una mano sulla sua coscia e lo vedo deglutire. Tengo i suoi occhi incatenati ai miei. “Tu sei stato il mio primo amore…” faccio salire la mano verso la sua tasca. “Sei il padre di mio figlio…” con due dita sfilo di poco il telefono dalla sua tasca senza che se ne accorga. Ci avviciniamo sempre di più fino a che i nostri visi non sono a pochissimi centimetri di distanza. “Oh mio Dio, mi dispiace tanto!” Si alza di scatto dopo che il bicchiere di vino rosso è finito accidentalmente sulla sua camicia bianca. “Non preoccuparti, è stato un incidente, può capitare”. “No, no. Sono veramente dispiaciuta, forse dovresti andare in bagno a sistemarla” gli consiglio prontamente. “Hai ragione, torno subito”. Lo seguo con lo sguardo finché non chiude alle sue spalle la porta dei servizi, dopodiché sposto immediatamente la mia attenzione sulla sedia, dove, come programmato, è rimasto il suo telefono. Sapevo che sfilandolo un po’ sarebbe uscito al minimo movimento. Ellie Wilson, sei un genio. Lo prendo e lo passo a Matt che proprio in quel momento si avvicina cautamente lasciando un dolce sul tavolo.
“Eccomi, ho riparato il più possibile” Allen si risiede accanto a me. “Scusa tanto, non mi sono neanche accorta, insomma, non so nemmeno come abbia fatto”. “Ellie, davvero, stai tranquilla. Uh ma guarda qui, una fetta di chantilly”. “La tua preferita, per farmi perdonare”. Sapevo che ci si sarebbe buttato a capo fitto, i dolci sono e resteranno sempre la sua debolezza più grande e questo dessert in particolare, gli ricorda qualcuno di molto caro ed è per questo che ogni volta che lo gusta, non pensa a nient’altro se non a quella persona.

“Accidenti, ho perso il telefono!” I dieci minuti che Zack mi aveva chiesto sono passati e se lo trattenessi, si accorgerebbe di qualcosa, ne sono certa. Mi auguro che gli sia bastato il tempo che gli ho concesso. Ora è tutto nelle sue di mani. “Magari ti è caduto in bagno?” È un buon modo per farlo allontanare dal tavolo. “Tu va, io cerco qui” lo rassicuro posandogli una mano sul braccio. “Grazie”. Mi sorride per poi alzarsi. Matt prontamente ripassa e mi lascia l’oggetto con un cenno. Quando Allen ricompare, scuoto la mano per attirare la sua attenzione e lui si avvicina in gran carriera. “L’ho trovato! Era accanto alla tua sedia”. “Sei fantastica Ellie!”
A fine serata, mi riaccompagna al St Regis e mi apre la portiera per farmi scendere. “Sono stato bene questa sera”. “Anche io” rispondo prontamente. Questi ultimi minuti sono importanti per non mandare tutto all’aria. “Credo che dovremmo ripetere” “Io…dammi tempo Allen, ne ho bisogno” Se mi fossi buttata subito fra le sue braccia, avrebbe capito ogni cosa. “Tutto quello che vuoi. Buonanotte” mi posa un lieve bacio sulla guancia, sfiorandomi le labbra. Il fuoco che una volta divampava, ora pare essere solamente una candelina; i brividi che mi scuotevano da capo a piedi, ora sono solo un leggero formicolio. Tutto ormai, è solo un lontano ricordo. “Buonanotte Allen”.

ZACK’S POV
Non era necessario quel bacio, non era assolutamente necessario. Insomma, il bacio della buonanotte, davvero? Però devo ammettere che se l’è cavata niente male. Ha seguito i miei consigli stranamente e tutto è filato liscio. Magari non stava recitando poi così tanto. “È stata brava?” Domanda la segretaria. “Molto” Risponde il mio amico. “Discretamente” correggo. “Cosa ti da l’assoluta certezza che stesse recitando? Perché se fosse stata sincera, non c’è nulla per cui elogiarla”. “Sei geloso, Zack?” “Geloso io? Davvero? Di quell’idiota? Ellie si sarà annoiata a morte questa sera, perché dopo la cena con me, nessun’altra cena sarà in grado di farle provare le stesse emozioni. Mai.”  


-N/A-
Buongiorno ragazze! Ecco la tanto attesa cena che speriamo vi piaccia, vi preghiamo di farci sapre cosa ne pensate e vi ringraziamo di cuore per tutte le letture. Infine vi ricordiamo dell'esistenza del gruppo di Whatsapp, se siete interessate contattatemi. Un bacio.

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Capitolo 27
*** Important ***


ELLIE’S POV
Non ho chiuso occhio per tutta la notte, nonostante gli ultimi giorni siano stati senza ombra di dubbio impegnativi, il mio cervello non è riuscito a fare a meno di restare a bada per qualche ora. I pensieri non mi hanno dato tregua e il continuo confronto tra la serata passata con Allen e quella passata con Zack è stato l’epicentro di ogni mio turbamento.
Tutto l’amore che ho provato per Allen sembra essersi dissolto e se non l’avessi provato in prima persona, non crederei nemmeno che sia mai esistito. Quando lo lasciai, ero furiosa e amareggiata e forse quel sentimento si era solo affievolito, ma ora sembriamo solo amici di vecchia data.
Per quanto riguarda Zack, invece, è stato strano. Non lo amo, non sarebbe possibile dopo un così breve periodo di “conoscenza”, anche se, senza indugio posso affermare che una sorta di attrazione mi lega a lui; e non mi riferisco solamente a qualcosa di puramente fisico, nonostante la sua bellezza, qualcosa di più profondo mi lega a lui. Forse l’idea di un passato misterioso mi affascina a tal punto da farmi credere di essermi in qualche modo invaghita di lui, o forse sono stata per troppo tempo da sola e sento la necessità di avere qualcuno accanto. Sta di fatto, che non dovrei perdermi a pensare a simili frivolezze: dovrei concentrarmi su mio figlio, sul mio lavoro e magari trovare un’attività tramite la quale io possa sentirmi realizzata.
L’alba si avvicina e rilascio uno sbuffo sonoro. Davanti a me si sta aprendo un nuovo giorno da madre single e donna in carriera e l’unica cosa che sono stata in grado di fare è perdermi in stupide riflessioni adolescenziali.
Suppongo che per avere un po’ di pace dovrò aspettare il riposo eterno.

“ Buongiorno Ellie!” La voce squillante della mia amica mi trapassa un timpano, dando il via ad un martellante mal di testa. “Togli pure il buon, ho urgente bisogno di un caffè triplo” mi trascino verso la macchinetta e seleziono l’opzione “lungo”, anche se so già che ne verrò a prendere un altro tra una ventina di minuti. “Non hai dormito bene?” “Non ho dormito affatto, in realtà”. “Ti è piaciuta così tanto la cena con il tuo ex? O non stai più nella pelle di scoprire cosa nasconde?” “La seconda” mento. Non mi piace dire bugie ad un’amica, ma non posso dirle che Zack è rimasto nella mia testa per tutta la notte. “Stai tranquilla, presto capiremo cosa ha in mente” mi posa una mano sulla spalla con fare rassicurante e le lascio un sorriso sincero prima di avviarmi nel mio ufficio.

Verso l’ora di pranzo sento un certo baccano al di là della porta, così mi affaccio in tempo per scorgere un’esile figura correre via in lacrime. La seguo in bagno e le porgo un fazzoletto. È Madison, una giovane stagista. “Ehi, cosa ti è successo?” La aiuto a rialzarsi mentre si sistema i grandi occhiali sul naso. “Il Signor Evans-“ tira su il naso e la sua voce trema. “O-oggi è piuttosto nervoso” balbetta. Mi spiega che ha portato un documento sbagliato e lui ha iniziato ad urlare contro dandole dell’incapace. “Ma come si permette? Adesso ci penso io”. Tenta di fermarmi circondandomi un polso con le sue gracili dita: “Non farlo! Non è necessario” “E invece lo è! Non può aggredire una persona per uno stupido documento solo perché è il capo. Siamo persone, non oggetti e meritiamo rispetto.”
Decisa a far valere le mie idee, mi muovo a passo di marcia in direzione del suo studio che trovo con la porta semiaperta. “Signor Evans!” Richiamo la sua attenzione in tono deciso. “Wilson, come posso esserti utile?” Qualcosa mi dice che conosce perfettamente il motivo della mia presenza qui, ma con aria strafottente cerca di deviare il discorso. “Essermi utile? Mm vediamo, magari potresti iniziare con l’evitare di sbraitare contro povere ragazzine indifese”, “da che pulpito proviene la predica.” Il suo tono ora è glaciale e sembra essere nervoso, ma in effetti non ha tutti  i torti dal momento che la mia voce si è alzata di un’ottava. “Io ho un buon motivo per farlo” sostengo la mia causa cercando di calmarmi. “Ah si? E da quando tu dici a me come devo comportarmi? Sei stata nominata capo di recente?” “Essere capo e proprietario di tutto questo, non ti da il diritto di trattare male i tuoi dipendenti”. “Se i miei dipendenti non fanno bene il loro lavoro, ho tutto il diritto di rimproverarli”. “Hai fatto piangere una stagista” “E non sarà l’ultima volta. Adesso basta. Non devi insegnarmi tu come fare il mio lavoro”. Siamo entrambi furiosi: la sua mascella è contratta proprio come i miei pugni che scendono lungo i fianchi. “Se tu lo facessi nel modo giusto…” “Wilson, fuori se non vuoi che ti licenzi.” Non ho mai sentito una voce così glaciale e perentoria. “Come vuole, capo”. Pronuncio l’ultima parola come se fosse un insulto e procedo a passo spedito verso l’uscita. Non lo sopporto. E io che come una stupida ragazzina l’ho pensato tutta la notte. Che idiota. Dopo questa fantastica conversazione, il mio mal di testa non ha fatto altre che accentuarsi.
“Ellie, cosa è successo? Ti ho sentita gridare fino a qui” “Allora sai già cosa è successo” Rispondo irritata. “Ti porto un’aspirina. Sei molto irritabile oggi” nota Jennifer. “Molto irritabile? Ma davvero? Sai, quando non dormi tutta la notte e in più hai a che fare con un idiota che si crede Dio sceso in terra, non puoi non essere irritabile.” Esplico nervosa. “Okay, okay, hai ragione. Ma ora calmati, fare così non ti farà stare meglio”.

Mi rintano per tutta la giornata nel mio ufficio, non ho voglia di vedere o parlare con nessuno, nemmeno con la mia amica perché vorrei evitare di trattarla male ingiustamente, di nuovo. Dopo che mi ha portato il medicinale, mi sono scusata e lei ha accettato comprensiva per poi lasciarmi i miei spazi.
È da qualche minuto che ormai non sento più nessun rumore al di là della porta: prima dei tacchi a spillo picchiettavano il pavimento lucido, la fotocopiatrice diffondeva il suono del suo lavoro, impiegate scansafatiche spettegolavano o raccontavano le loro serate di baldorie e i telefoni squillavano dando da fare alla povera Jennifer.
Incuriosita da questo silenzio, mi appresto a guardare l’orologio e ogni mio dubbio viene chiarito: questa giornata lavorativa è finalmente giunta al termine e posso raccattare tutte le mie cose per tornare a casa da Alex.
Mi blocco con la porta semi aperta quando sento due voci a me famigliari. “Giornata dura, eh?” “Abbastanza” sospira Jennifer. “Va tutto bene?” domanda il ragazzo con tono preoccupato. “Sì, solo… sono in pensiero per Ellie, e tu invece?” mi si scalda il cuore a sentirla parlare così. “Stessa cosa, ma per Zack”. Tutto tace per un momento e poi all’unisono affermano: “Si comporta in modo strano da ieri sera”. questa conversazione mi incuriosisce sempre di più. “Mm…interessante” Ed ecco che la Jennifer stremata da un’intensa giornata di lavoro, viene sostituita dalla versione detective. “Pensi che il tutto sia collegato?” “Ovviamente”. Sarei proprio curiosa di capire in che modo questo potrebbe essere correlato. “Zack era palesemente geloso ieri sera”. Cosa? Geloso? Perché tutti sembrano sapere qualcosa che io non so? “Puoi dirlo forte! Dopo averti riaccompagnata a casa, siamo andati a farci una birra e ha cominciato ad insultare Allen. Era davvero buffo”. Insultare Allen? Ma come si permette? Insomma non lo conosce nemmeno. Dovrebbe davvero smetterla di sentirsi superiore, ora gliene dico quattro.
Senza farmi notare, sgattaiolo fuori con destinazione Ufficio del capo.

“Ma guarda un po’ chi è tornata a farmi visita! Sei venuta a scusarti?” “Tutto il contrario Signor Iosonomiglioredichiunquealtro”. Mi fermo al centro della stanza con le mani sui fianchi. “Come?” Questa volta non si limita a stare seduto dietro la scrivania, ma mi si avvicina con fare minaccioso. “Cosa diavolo hai contro Allen?” “Pensavo che anche tu ce l’avessi con lui, oppure con quel bacio ti ha fatto cambiare idea?” “Io ho i miei buoni motivi per essere arrabbiata con lui, tu no! Neanche lo conosci! E poi cosa centra il bacio?” “Non eri tu quella che non si lascia abbindolare da nessuno? Sei ridicola” Sono furiosa. Anzi, furiosa è riduttivo.  “Scusa se non sono in grado di odiare una persona che è stata così importante per me. Ma capisco che questa concetto ti sia completamente estraneo”. “Quale delle due serate hai preferito?” Mi domanda di punto in bianco, come se le parole da me pronunciate poco fa non siano mai uscite dalla mia bocca. “Che razza di domanda è?” “Una di fondamentale importanza” “Quindi il tuo significato di importanza è sapere che è stata più piacevole una serata con te che quella passata con un altro?” “È così?” Ripropongo la domanda non solo alla mia testa, ma anche alla parte più profonda e pulsante di me. In un battito di ciglia, tutti i pensieri e le riflessioni di questa notte mi piombano in mente squarciando ogni singolo dubbio; e allora non posso più mentire a me stessa, per quanto abbia cercato di evitarlo, non sono più in grado di raggirare ciò che provo e ho provato. “Si, è così”. Punto i miei occhi nei suoi giusto il tempo di dire queste tre parole, perché poi non ho più modo di vedere nulla, posso solo sentire. Sento delle labbra calde e morbide che si muovono impetuosamente sulle mie, sento il corpo fremere al passaggio di mani grandi e sicure, sento l’adrenalina pulsare nelle vene e irradiarsi ovunque, sento respiri concitati e schiocchi di baci, sento il cuore muoversi frenetico nel petto, sento i suoi capelli morbidi sotto le mie dita, sento l’ispida barba sulla mascella pronunciata. Sento noi. Solamente noi.    


- N/A -
Buongiorno! Come state? Ecco il nuovo capitolo con un'importante svolta! Speriamo vi sia piaciuto e scusate se non è particolarmente lungo. Infine vi invitiamo ad unirvi al gruppo whatsapp per restare sempre aggiornate sulla storia, se siete interessate scrivetemi <3 Un bacio.

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Capitolo 28
*** Istinct ***


ZACK’S POV
Non dirò che è stato un bacio diverso dai miliardi che ho già dato e ricevuto perché non sono il tipo, ma posso affermare con certezza che è stato uno dei più inaspettati e istintivi. Non so da dove sia scaturito questo bisogno inebriante, né il perché. So solamente che l’ho vista lì, con i suoi occhioni azzurri infiammati dalla rabbia nei confronti della mia superficialità un attimo prima e l’attimo dopo aver pronunciato quelle due semplici parole invasi da una qualche consapevolezza, non ho più resistito.
Nella mia vita, nel mio lavoro, sono sempre stato costretto a pensare alle conseguenze di ogni mia singola azione. Ho sempre dovuto calcolare ogni minimo rischio e vantaggio per far sì che gli affari fruttassero e che l’azienda non fallisse.
Ma prima di intraprendere questa carriera non ero così e per un instante, un piccolo, misero instante, quel bacio me l’ha ricordato. Mi ha ricordato ciò che ero e ciò che nel profondo sono ancora. Ed è per questo che ho deciso di compiere un’ulteriore azione istintiva: ho deciso di lasciare l’azienda nelle mani di Matt per una settimana circa, così da poter intraprendere un viaggio nella mia destinazione segreta; la stessa in cui mi recai non molti anni fa.

“Allora amico, tutto pronto per la partenza?” “Direi proprio di sì. Ho preso le apparecchiature per tenere d’occhio Allen, se ci saranno problemi, ti farò uno squillo.” “Potresti contattare direttamente Ellie dato che è lei la diretta interessata”. Ellie. Sono passati due giorni da quel bacio e ancora non abbiamo avuto modo di incrociarci. Insomma, non c’è niente di cui parlare, no? Ma, considerando che sono un uomo e non un ragazzino, andrò ad avvisarla di persona della mia assenza dei prossimi giorni e seguirò il consiglio di Matt. “Hai ragione. Appena finisco il turno di lavoro, prima di montare in macchina, passerò ad avvisarla”. Il mio amico sembra non sospettare nulla di ciò che è successo e va bene così, significa che sono bravo a comportarmi in modo maturo senza lasciar trapelare nulla.  “Aspetta, come hai detto?” Mi chiede con gli occhi fuori dalle orbite. “Ho detto, che quando finirò il turno, andrò ad avvisarla” “No, prima.” “Che hai ragione”. “Ma questo è un miracolo. Hai la febbre?” Mi posa una mano sulla fronte e lo spingo in modo scherzoso: “Quanto sei idiota” , lo rimprovero. “E vedi di non far fallire l’azienda mentre non ci sono”. “Non mi converrebbe, ti ricordo che i miei guadagni dipendono da questa attività”.

Sollevo finalmente la testa dalla mia scrivania per poter guardare l’orologio e accorgermi che anche questa giornata lavorativa è giunta al termine. Metto in ordine le scartoffie di cui mi stavo occupando e indosso la giacca che mi ero tolto per stare più comodo. Oggi ho fatto il più possibile per non lasciare troppo lavoro a Matt, non è da me partire così improvvisamente e devo ammettere che è da un po’ che non mi concedo una vacanza. Anche se me la merito, non voglio che tutto gravi sulle spalle del mio migliore amico, infatti sa che per ogni emergenza, è l’unico che potrà contattarmi. Gli ho affidato il compito di tenere d’occhio la Wilson e la sua amica segretaria dato che con la faccenda di Allen in ballo, non voglio che combinino guai. Non darò ad Ellie il ricevitore, se scoprirò qualcosa di importante glielo farò sapere, ma  non ho alcuna intenzione di lasciarle campo libero: so cosa è disposta a fare per Alex e la ammiro per questo, ma mossa solo dall’istinto materno potrebbe mettere in pericolo se stessa e suo figlio.

“Wilson, devo parlarti.” “Ci siamo dimenticati le buone maniere, capo?” In effetti mi sono accidentalmente dimenticato di bussare. Non incontra mai direttamente il mio sguardo, ma per me è tutto sommato normale che una donna tenga lo sguardo basso dopo una scena così infuocata. “Sto per partire.” Non so nemmeno io per quale motivo abbia gettato la notizia come se fosse un secchio di acqua gelata, sta di fatto che la mia uscita ha avuto il suo effetto perché la bionda alza improvvisamente il suo sguardo sul mio. “Parti?” La usa non è un’accusa, nonostante il tono scettico e indagatore. “Sì, ho bisogno di staccare un po’.” Le ho detto la pura e semplice verità. “Oh, beh buon viaggio allora” mi lascia un dolce sorriso, uno dei più sinceri che mi siano mai stato rivolti e non posso fare a meno di sorridere a mia vola: “Grazie”. “Aspetta…per quanto riguarda Allen…” mi domanda titubante. Evidentemente non vuole turbare lo strano equilibrio in cui ci troviamo in questo momento. “Porterò con me il ricevitore, se avrò novità ti contatterò” le spiego. “Sicuro di non volerlo lasciare qui? Non vorrei che ti fosse di disturbo…” Stavo per rivolgerle mentalmente un apprezzamento sul fatto che si preoccupi del mio benessere, quando una lampadina scatta nel mio cervello e mi fa aprire gli occhi: non le interessa essermi di peso, vuole solo avere il controllo della situazione. “Sono sicuro di volerlo portare con me. E comunque non l’avrei di certo lasciato a te.” “COSA?” Addio equilibrio, è stato bello averti per un millisecondo, ma credo che io e la Wilson siamo stati creati più per litigare costantemente. “Non vorrei che ti mettessi nei guai per colpa della tua impulsività”. “La mia impulsività? Io sono semplicemente preoccupata per mio figlio ed esigo di sapere cosa accidenti ha in mente Allen!” “Tu esigi? Ma sentitela. Tu non hai alcun diritto su di me, perché questo piano può essere messo in atto dal momento che IO ho stanziato i fondi per farlo. Quindi,  Wilson, se ci saranno novità, ti renderò partecipe. Fine della questione.” “Dammi quel ricevitore” la guardo sconvolto dalle sue parole, come se le mie non fossero mai state pronunciate. Ha i pugni stretti lungo i fianchi, le nocche bianche dalla forza che sta imprimendo, l’acconciatura si è rovinata e i suoi occhi lanciano fulmini e saette. “Ascoltami bene” poso le mani sulle sue spalle in modo gentile, ma deciso. “so che il tuo unico intento è quello di proteggere Alex-“ la vedo sussultare quando nomino il bambino, nemmeno io sono del tutto indifferente a quella piccola creatura: pensare a quando l’ho tenuto tra le mie braccia e l’ho sentito così fragile e forte al tempo stesso mi ha provocato uno strano calore alla bocca dello stomaco. “-ma se ti metterai nei guai, non sarai utile a nessuno. Ragiona. Non puoi farti guidare dal tuo istinto perché ti porterà a fare la cosa sbagliata”. La sua furia sembra placarsi e lascia il posto ad una nota di rancore. “Credi che l’impulsività sia sempre un errore?” La voce è flebile, quasi un sussurro, ma grazie alla minima distanza che ci separa riesco a comprendere distintamente la sua domanda. So perfettamente a cosa si riferisce, sarebbe impossibile non capirlo dato che il ricordo di quel momento è così maledettamente vivido nella mia mente. “Non sempre, ma probabilmente nella maggior parte dei casi sì”. Mi pare di scorgere una nota di…delusione? Nella sua espressione, ma avrò il tempo di rimuginare più tardi. “Ora sarà meglio che io vada, ho un viaggio da intraprendere”. E con tutta la mia buona forza di volontà, tolgo le mani dalle sue spalle e mi allontano di scatto rivolgendole un ultimo cenno prima di allontanarmi quasi correndo.

Sfreccio veloce nella strada buia, i lampioni sono solamente dei puntini di luce e la solitudine mi accompagna. Il ricevitore sul sedile accanto al mio emette dei bagliori ad intermittenza che noto con la coda dell’occhio, così premo il tasto che mette in funzione l’audio e mi metto in ascolto come se fosse una semplice radio. “Pronto?” Mi chiedo come Ellie sia potuta uscire con un soggetto con una voce del genere, non è per nulla virile. “La cena è andata bene, potrei riuscire a riconquistarla” Si, aspetta e spera. Continua così per un bel po’, credo stia parlando con qualche vecchio amico se non addirittura con un parente.
 Quando la chiamata termina, continuo nel silenzio assoluto il mio viaggio. Ripenso alla frase pronunciata da quell’idiota e un moto di rabbia mi sconquassa, così premo sull’acceleratore finché non supero i limiti. Sono sempre stato responsabile nella guida, ma ora non riesco a pensare lucidamente tra Ellie, il bacio, Alex, Allen e tutte queste emozioni contrastanti che stanno facendo a pugni dentro di me. So di essere solo in questa autostrada e mi permetto la libertà di sfrecciare. Poi qualcosa attraversa velocemente tagliandomi la via e in un secondo, perdo il controllo della vettura. 



-N/A-
Buongiorno ragazze! Ecco il nuovo capitolo (di passaggio) che speriamo vi piaccia! Fateci sapere, un bacio.

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Capitolo 29
*** Betrayed ***


ZACK’S POV

Fortunatamente sono un guidatore eccezionale e in poco tempo riesco a riprendere il controllo della vettura e ad uscirne illeso, ma vorrei davvero capire che accidenti mi ha tagliato la strada, così accosto a lato e dopo aver constato di essere solo e di non dare fastidio a nessuno, scendo dalla vettura. Il buio regna sovrano ed è interrotto solo da alcuni lampioni posti ad un’ampia distanza gli uni dagli altri. Il silenzio è quasi inquietante e qualcosa non mi torna: un animale non farebbe così attenzione a non fiatare, tanto più dopo aver rischiato di essere investito. Ciò significa che probabilmente non sono solo. Mi allontano verso l’altro lato dell’autostrada guardandomi intorno circospetto. Improvvisamente una goccia di pioggia mi colpisce il viso e decido di continuare il mio viaggio per arrivare a destinazione il prima possibile, ma quando guardo verso la macchina, un’ombra più o meno della mia stessa statura si sta piegando sul sedile del passeggero alla disperata ricerca di qualcosa. Il ricevitore. Comincio a correre con l’intento di scacciare il ladro e ringrazio me stesso per aver preso lezioni di kick boxing, ignorando le parole di mio padre, il quale preferiva che io avessi guardie del corpo anziché difendermi da solo. Prendo lo sconosciuto per le spalle e con tutta la forza che ho in corpo cerco di scaraventarlo lontano per poi chiudere velocemente la portiera alle mie spalle. È ancora in piedi e a causa della notte che incombe su di noi, non riesco a distinguere il suo volto. “Chi sei?” Domando minaccioso. Ovviamente non si degna di rispondermi, ma si getta con prepotenza verso di me con l’intento di attaccarmi. Riesce a darmi un pugno sul viso e sento il labbro bruciare, il dolore fa sì che una scarica di adrenalina si propaghi in tutto il mio corpo in modo che io reagisca. Lo colpisco a mia volta nello stomaco e appena si piega in due lo spingo per farlo cadere a terra. Non vedo auto sulla strada quindi è improbabile che riesca a seguirmi, così decido di mettermi velocemente al volante e sfrecciare via.

Appena giunto a destinazione, mando un messaggio a Matt per avvisarlo di essere arrivato. Tengo per me il fatto di essere stato aggredito, non voglio che si preoccupi inutilmente anche se dovrei capire il motivo di quell’attacco: anche Ellie potrebbe essere in pericolo. Accantono per un po’ l’idea e mi preoccupo di medicare il mio labbro dopo aver lasciato il borsone con le mie cose nel salotto dell’appartamento. Questo luogo è rimasto lo stesso a distanza di anni e ogni singolo oggetto mi ricorda il periodo migliore della mia vita vissuto qui. Solo una donna delle pulizie vi ha messo piede poco prima del mio arrivo, nessun altro oltre a me lo aveva mai fatto. So perfettamente come muovermi e dove trovare l’armadietto con i medicinali. Mi guardo allo specchio e noto che la situazione è peggiore di quanto pensassi: il labbro inferiore si è gonfiato e i miei vestiti sono sporchi di sangue. Mentre applico la medicazione, noto che anche le mie nocche sono lievemente graffiate.
Mi faccio una doccia calda e piuttosto lunga per distendere i muscoli tesi dallo scontro di prima e per cercare di alleviare il mal di testa causato dai troppi punti interrogativi che si affollano all’interno di essa. Quell’uomo sicuramente sapeva cosa stava cercando, quindi qualcuno sa del nostro piano. Ma come è possibile? Siamo in pericolo? Il nostro piano non può funzionare? Per quanto ci provi, non ho le risposte che mi servono. Spero che questa mia “vacanza” possa aiutarmi a schiarirmi le idee, ma soprattutto, spero che nessuno si faccia male.

Tengo acceso il ricevitore sia di notte che di giorno e gli unici momenti in cui lo spengo, sono quelli che dedico solamente alla mia arte. In questo appartamento c’è il mio studio dove producevo le mie creazioni. È piccolo, ma accogliente. I muri con i classici mattoncini rossi rendono caldo l’ambiente e l’odore di tempere si propaga ovunque facendomi sentire a casa come mai prima d’ora. Vorrei davvero essere in grado di spegnere la mente e dedicarmi esclusivamente alla mia passione, ma non appena do libero sfogo alla mia creatività, ecco che sulla tela compare un’ombra scura di cui la mia mano si appresta a disegnarne i contorni scuri.

ELLIE’S POV

Sono passati ormai quattro giorni da quando Zack è partito per la sua destinazione segreta e ancora non ho avuto sue notizie. Matt mi ha assicurato che non ci sono novità per quanto riguarda Allen e questo mi rende più tranquilla. La vita procede monotona e il mio ex ragazzo, a parte pochi semplici sms, non si è fatto sentire e in assenza di Zack abbiamo pensato tutti che sarebbe stato meglio fingermi particolarmente impegnata con il lavoro. “Che noia!” “Se ti annoi così tanto, fatti dare più impieghi da Matt”. “Buongiorno signorine, c’è qualche problema?” Neanche lo avessimo chiamato, eccolo sbucare con un caffè in mano. “Jennifer desidera avere più compiti, Evans la teneva molto più impegnata” ridacchio. “Beh, se ti annoi, potresti venire a cena con me stasera” ammicca il ragazzo. Sapevo che prima o poi glielo avrebbe chiesto, ma non pensavo l’avrebbe fatto così. “Non stai uscendo con una ragazzina?” “Ragazzina? E tu come fai a saperlo?” Matthew la guarda con un misto di confusione e curiosità e io ricordo l’azione di spionaggio della mia amica di qualche settimana fa. “Ehm…io…” “Lascia perdere, vieni o no?” Mi sembra strano che abbandoni così la questione, magari ha semplicemente in testa di ritornarci più tardi. Ricevo una telefonata e mi allontano: mi dispiace non poter sentire la risposta di Jen, ma sicuramente dopo me ne parlerà e questo è il giusto pretesto per non essere più la terza in comodo.
Si tratta di un numero sconosciuto, ma anche se titubante, decido di rispondere: “Pronto, chi parla?” “E-Ellie” Zack. “Zack è successo qualcosa?” “Vai a casa, prendi Alex  e raggiungimi qui.” “Cosa?” “Fa’ come ti ho detto.” “E come diavolo faccio ad arrivare da te se non so nemmeno dove tu sia?” “Ho detto ad un mio amico fidato di portarti in un posto, poi ti raggiungerò”. “Okay, sei ubriaco?” “Wilson, chiudi il becco e fai quello che ti ho detto. Adesso.” Starei tutto il giorno a ribattere ad ogni suo ordine, ma una certa urgenza nel suo tono, mi fa capire che forse devo davvero sbrigarmi. “Va bene”.

Liquido velocemente Kim, dandole un extra per il suo ottimo lavoro così che se ne vada il prima possibile. Prendo una valigia non troppo grande e ci butto dentro alcuni vestiti per me e mio figlio. Quando finalmente sono pronta, scendo di gran carriera verso l’uscita del St. Regis ed ecco che una macchina dai vetri oscurati mi si para davanti. Il finestrino dal lato del passeggero si abbassa mostrandomi un viso conosciuto: Hamilton. “Ellie! Che piacere rivederti, coraggio salite” il suo sorriso bonario scaccia per un attimo la preoccupazione che è montata in me a seguito della telefonata con Zack. “Hamilton! Sono così contenta di vederti, sei stato reclutato da Evans?” Cerco di mantenere il clima leggero per Alex, che dopo l’improvvisa partenza sembra essere confuso. “Quando mi ha detto che dovevo scortarti in un posto ho acconsentito subito. La strada non è molta ed è un piacere accompagnartici”. “Zack ti ha spiegato il motivo di tutto questo?” “Sì, so che avete una riunione fuori città. O meglio, lui aveva una riunione, ma si è accorto di aver bisogno di un’assistente”. Non mi stupisce che non gli abbia detto il reale motivo per cui siamo su questa macchina, ma non capisco come abbia fatto l’uomo accanto a me a cascarci.
“Tranquilla, sarà circa un’oretta di macchina. Se il piccolo ha bisogno di qualsiasi cosa possiamo fare una sosta” mi rassicura pensando che la mia irrequietezza sia dovuta al bambino. Se Zack ha ritenuto che Hamilton non dovesse sapere, evidentemente ha avuto i suoi buoni motivi; ma al tempo stesso, non posso fare a meno di pensare che sia accaduto qualcosa di brutto. Altrimenti perché non tornare indietro o semplicemente aggiornarmi per telefono?

“Ecco là”. Alex si è addormentato da poco ed io non ho fatto altro che osservare il panorama scorrere dietro al finestrino. Sono contenta che Hamilton non abbia fatto troppe domande o non abbia voluto intraprendere particolari conversazioni, non avrei avuto la forza di sostenerle. Accostiamo accanto ad un'auto che non è la solita usata dal capo. Siamo in una zona piuttosto anonima e non ci sono molte persone. “Hamilton! Grazie per essere accorso in mio aiuto, non avevo tempo di tornare fino in città” “Oh non preoccuparti ragazzo, è stato un piacere”. I due uomini si salutano mentre io prendo in braccio il bambino, non posso fare a meno di notare il taglio che ha Zack sul labbro, ma lascio le domande a quando saremo soli. “Aspetta, vai pure in macchina, prendo io la valigia” si offre gentilmente Zack. “Ci vorrà un po’ ad arrivare a destinazione quindi mettiti comoda” mi dice. “Puoi spiegarmi cosa sta succedendo?” Vorrei usare un tono più alto e arrabbiato, ma non ho alcuna intenzione di svegliare Alex. “Non ora. Manda un messaggio alla tua amica, dille che hai avuto un imprevisto e sei dovuta andare a casa di alcuni parenti.” Non voglio iniziare subito a litigare, quindi faccio come mi ha detto. “Adesso spegni il telefono e togli la schedina” “Devo spaventarmi?” “Devi fare tutto quello che ti dico senza fare troppe domande. E sì, dovresti avere qualche preoccupazione, ma non farti prendere dal panico.” Ciò non mi rassicura. Lo guardo ed è veramente teso e concentrato. “Zack, rischio di impazzire se non mi dici qualcosa. Ti prego.” Lo vedo titubante, qualcosa lo sta tormentando e penso che tra poco mi strapperò i capelli uno per uno. Poi finalmente, un sospiro e si decide a parlare; ma forse, avrei preferito che non lo facesse. “Qualcuno ci ha traditi”.  



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Buongiorno ragazze! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia! Colgo l'occasione per ringraziare tutti di cuore dati i fantastici risultati che sta dando la storia. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo capitolo, e niente, un bacio. 

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Capitolo 30
*** Family ***


ELLIE’S POV

“Sei silenziosa”. Queste sono le prime parole che aleggiano all’interno della macchina dall’ultima sconvolgente notizia. Sono terribilmente scossa e sono felice che Alex stia dormendo beatamente sui sedili posteriori, non avrei avuto le forze per accudirlo. Ciononostante non è colpa di Zack se ci ritroviamo in questa situazione e anche se sono contrariata dal momento che non mi vuole dire chi sia il traditore, anche lui forse è sconvolto quanto me. Di conseguenza, decido di degnarlo di una risposta: ”Se è per questo, non hai parlato molto neanche tu”. Fa un cenno di assenso per darmi ragione. “So a cosa stai pensando” non mi guarda mai, da bravo guidatore tiene lo sguardo fisso sulla strada da percorrere e io ne approfitto per guardare fuori dal finestrino. “Sai anche leggere nel pensiero adesso?” “Molto spiritosa… so che ce l’hai con me, ma la verità è che non so con esattezza chi non è dalla nostra parte”. “COSA?” Ora sono ancora più nervosa, come diavolo fa a mettermi nell’orecchio una pulce del genere e non avere neanche la certezza che essa esista? Sto per dirgliene quattro quando mi volto verso di lui e mi blocco. Le braccia sono tese e le mani stringono talmente forte il volante da rendere le nocche bianche, la mascella è serrata e il ghiaccio dei suoi occhi è solcato da venature grigie; non so se sia per via della notte che incombe su di noi, ma qualcosa mi dice che è più preoccupato di me e subito ne comprendo il motivo. “Temi che sia Matt?” “Mai, neanche una sola volta, Matt ha ferito la mia fiducia. È sempre stato dalla mia parte, ed è una delle poche persone che mi è stato vicino anche nei momenti di maggiore difficoltà. Mi rifiuto di credere che sia lui la spia.” “Ma una parte di te non può evitarlo, suppongo.” La mia è solo una banale constatazione, o per meglio dire, una fredda e cruda verità. So che si sente male a dubitare dell’amico di una vita e che niente può alleviare i suoi sensi di colpa. “Solo due persone sono a conoscenza del piano. Se vuoi credere che sia stata Jennifer a tradirci, va bene. Lo farei anche io al tuo posto, ma non possiamo permetterci di perdere la calma e di puntare il dito contro chiunque.” “No, infatti. D’ora in poi lavoreremo da soli.” “Hai intenzione di rapire me e mio figlio? Dì la verità, hai costruito un bunker super tecnologico in cui poter mandare avanti il nostro piano” cerco di sdrammatizzare per rendere l’aria più leggera. “Tu guardi decisamente troppi film” e finalmente possiamo lasciarci andare ad una risata.

Non so esattamente quanto tempo sia passato da quando sono riuscita ad accoccolarmi alla portiera, ma una mano non troppo conosciuta ma comunque forte e al tempo stesso carezzevole, mi scuote una spalla. “Cinque minuti” mugolo. “Se vuoi restare in macchina per me va bene, anche se di sopra ho un letto che credo sia più comodo. Anche se… ripensandoci…resta qui, il morbidissimo materasso lo teniamo io e Alex”. Materasso? Alex? Quella era la voce di Zack? Ripiombo immediatamente alla realtà e gli eventi della sera prima sembrano schiaffeggiarmi data la velocità con cui ritornano nella mia mente. È ancora buio e scorgo degli elementi del paesaggio che sembrano avere un’aria famigliare, ma subito mi si para davanti Zack con in braccio un Alex ancora nel mondo dei sogni e tutta la mia attenzione si sposta su di loro. “Dove siamo?” “Sta per piovere, è meglio salire” devia la mia domanda e mi porge il bambino, così che lui possa prendere il mio borsone dal baule. Mi fa strada verso un condominio non troppo alto dall’aria piuttosto malandata. Il suo appartamento si trova al penultimo piano ed è completamente diverso dall’esterno: non sembra essere nuovo, ma è in ordine e chiunque l’abbia arredato ha decisamente buon gusto. “Vieni, ti faccio vedere la camera” mi guardo intorno cercando di essere il più discreta possibile e sicuramente la tenue luce che illumina l’abitazione non aiuta la mia curiosità. “Vuoi qualcosa da mangiare?” Mi chiede prima di aprire una porta: la stanza che segue presenta un letto ad una piazza e mezza al centro e sopra ad esso è posto un bellissimo dipinto che raffigura una mano che sostiene l’altra. Ho il vago sospetto che sia opera sua, ma glielo chiederò in un altro momento. “Vuoi qualcosa da mangiare?” “No, sono a posto. Grazie.” “Il bagno è la prima porta a sinistra uscendo da qui, se hai bisogno di qualsiasi cosa, sono in sala”. “E camera tua dov’è?” Mi guarda stranito. “Si, insomma, andrai a dormire prima o poi, no?” “Ci sei dentro. A camera mia, intendo” “Oh”. “Non dire niente, stasera facciamo così, discorso chiuso. Buonanotte”. Sapeva che mi stavo per lamentare e non me ne ha dato il tempo.
Metto Alex sotto le coperte e vado velocemente in bagno per darmi una rinfrescata, dopodiché mi metto accanto al bambino e mi volto a guardarlo. Appena porto la guancia a sprofondare nel cuscino, un buonissimo profumo di colonia mi invade le narici e prendo finalmente atto di essere nel letto di Zack. Non avrei mai pensato di ritrovarmi in un posto simile e soprattutto non per questo motivo. Jennifer ha sempre creduto che prima o poi io e il capo saremmo finiti insieme e ora in effetti lo siamo, ma non per la ragione in cui sperava lei. Pensare alla mia amica è doloroso, ormai dovrei essere abituata a persone che feriscono la mia fiducia, ma la verità è che probabilmente a certe cose non ci si può mai abituare davvero.
E così, con una mano in quella di mio figlio, gli occhi chiusi, la mente in subbuglio e il cuore trepidante, mi addormento.

ZACK’S POV

Non ho dormito granché, così decido di alzarmi definitivamente e approfittare del sonno dei miei coinquilini per farmi una doccia. Entro furtivamente in camera per prendere qualcosa da mettere, ma l’unica cosa che trovo a portata di mano sono dei pantaloni della tuta. Li prendo silenziosamente, al sopra penserò quando si saranno svegliati. Istintivamente gli occhi mi cadono sulle figure addormentate nel mio letto: i capelli biondi sparsi sul cuscino sembrano d’oro laddove i raggi del sole che filtrano dalla finestra li accarezzano, le ciglia a sfiorare gli zigomi pronunciati e segnati dalle pieghe del letto, le labbra socchiuse, il petto che si alza e riabbassa ad intervalli regolari e la mano intrecciata a quella minuscola del bambino che le assomiglia inequivocabilmente tanto. Le mie mani iniziano a formicolare dal desiderio di imprimere questa scena su un foglio, ma io non sono di certo il tipo che fa certe cose, così decido di porre come soluzione ai miei istinti una bella doccia fredda.

È strano avere qualcuno qui, dove nessuno si era mai trattenuto a lungo, a dormire. Il divano su cui ho passato la notte era particolarmente comodo e me ne rendo conto solo adesso, dato che non ci ero mai stato seduto per più di qualche minuto. Chissà per quale assurdo motivo ho comprato un divano così meraviglioso pur sapendo che non lo avrei usato. O forse era semplicemente destino che quello che ho sempre considerato il mio rifugio segreto dovesse essere condiviso, prima o poi.
Non ho mai neanche preso in considerazione di mettere su famiglia, troppo concentrato prima sui miei svaghi e poi sul lavoro. La verità è che mai, prima di adesso, avevo sentito una strana necessità farsi strada nel mio petto. Sarei in grado di prendermi cura di una moglie e addirittura di un bambino? Chi lo sa. Ora come ora, forse dovrei limitarmi a cacciare questi sciocchi ed inutili pensieri e trovare il modo di risolvere tutto questo casino il prima possibile; perché se c’è una cosa di cui sono sicuro, è che tutte le riflessioni che affollano e disturbano la mia mente sono sorte da quando ho incontrato Ellie Wilson e più mi avvicino a lei, più queste aumentano irrimediabilmente.
Appena esco dal bagno, il  profumo del caffè invade le mie narici e decido di seguirlo fino in cucina. Ancora una volta, la scena che mi si para dinnanzi è quello che sarebbe bene definire un quadretto famigliare: Alex sta bevendo del latte seduto sopra l’isola, con un bavaglino più grande di lui a proteggere la tutina dallo sporco; Ellie mi da le spalle e sta aspettando che la bevanda sia pronta. Mi aspettavo che una madre single dormisse con uno di quei pigiamoni assurdi da nonna e invece porta solamente dei pantaloncini dannatamente corti che lasciano scoperte le lunghe gambe e una canottierina, che si alza scoprendo un sottile strato di addome quando la ragazza si mette in punta di piedi per prendere lo zucchero. Vedendola in difficoltà e desideroso di distogliere i miei pensieri dagli indumenti striminziti della bionda, decido di accorrere in suo aiuto. “Zack! Mi hai fatto prendere un infarto” ridacchia, ma subito boccheggia quando si rende conto che sono senza maglietta e con i capelli ancora umidi. Faccio questo effetto alle donne, niente di nuovo. “Wilson, non sbavare davanti al bambino” le sussurro all’orecchio per poi andare a vestirmi.

ELLIE’S POV

Fortunatamente è uscito a fare la spesa, dopo la scenetta imbarazzante di questa mattina vorrei solo scappare dall’altre parte del mondo. La sua assenza mi permette di farmi una doccia con calma mentre Alex guarda i cartoni. Rifaccio il letto in cui ho dormito e do una sistemata alla cucina, preparerò anche il pranzo pur di tenermi occupata e non pensare a lui con indosso solo degli stupidi pantaloni della tuta. Oh andiamo Ellie, sembri una quindicenne con gli ormoni in subbuglio. Questo è quello che succede quando diventi una ragazza madre così presto, insomma, dopo Allen non c’è più stato nessuno dato che non esistono ragazzi così giovani pronti a prendersi la responsabilità di un figlio, non proprio per di più.
Approfitto del giorno per fare un giro dell’appartamento e constatare così di aver avuto ragione ieri sera, pensando che fosse molto ben arredato e accogliente. Una porta, in particolare, attira la mia attenzione ma purtroppo per me è chiusa e forse è meglio così: Zack mi sta aiutando e ospitando, e seppur io sia estremamente curiosa per natura e non per mio volere, non mi sembra il caso di ficcanasare.

Mi sono imposta per preparare il pranzo, ma il padrone di casa non ha voluto sentire ragioni, e ha imposto la sua autorità. Così ci siamo ritrovati a guastare degli ottimi piatti. Perché ovviamente, tra tutte le cose che sa fare, sa anche cucinare alla perfezione e ciò mi porta a domandarmi per quale motivo non abbia una ragazza e la risposta mi arriva con altrettanta velocità: non la vuole. Altrimenti come si spiegherebbe la sua solitudine? Credo sia l’uomo che ogni donna sogna, al di là del suo ego smisurato. A confermare la mia tesi, passa tutto il santo pomeriggio a giocare con Alex, incaricandomi di prestare attenzione al ricevitore così da captare novità.
 La mia trepidante attesa viene affievolita dalle risate che ogni tanto sento scoppiare in sala. Chissà cosa stanno combinando quei due. Li trovo a rotolarsi sul tappetto, con Zack che cerca di fare il solletico ad Alex e quest’ultimo che tenta di gattonare via. “Mamma!” Si nasconde dietro alle mie gambe sghignazzando e Zack si alza per avvicinarsi a sua volta. Indietreggio lentamente mentre i due continuano a ridacchiare. Improvvisamente le mani di Evans sono sui miei fianchi e si muovono freneticamente, tanto da farmi urlare di smetterla. Senza neanche accorgermene mi ritrovo sul divano, così da poter essere attaccata anche da Alex. “Okay, okay, basta mi arrendo” non ho più fiato a causa delle risate e del solletico. Alex si sdraia sulla mia pancia e Zack si siede per terra appoggiando la braccia sul divano, accanto a me. Ci tranquillizziamo tutti e, per un momento, dimentichiamo l’orribile situazione in cui ci troviamo. Guardo mio figlio con gli zigomi arrossati e gli occhi luminosi, così come quelli del ragazzo accanto a me. Sono bellissimi e se ho anche io lo stesso aspetto, probabilmente lo sono anche io; perché questa non è una bellezza estetica, ma è pura felicità. E così, con il cuore che esplode di gioia, non posso fare a meno di pensare a quanto sarebbe bello se fossimo davvero una famiglia. 



-N/A-
Buongiorno ragazze! Ecco il nuovo capitolo, completamente incentrato sui nostri protagonisti. Come vi sembra? Mi raccomando, fatemi sapere. Come al solito, vi ringrazio per tutto. Un bacio.

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Capitolo 31
*** The traitor ***


Continuiamo a tenere d’occhio il ricevitore, nel caso in cui ci fossero novità. Il mio cellulare è ancora impossibile da usare a causa del segugio Zack che mi tiene sotto stretta osservazione. Da quanto ho capito in poco più di ventiquattr’ore, anche lui utilizza il telefono solo il minimo indispensabile: manda dei messaggi di tanto in tanto a Matt, come per assicurarlo che sta andando tutto bene. Quest’ultimo, pare non sapere che io sia qui; tutti credono che sia tornata a casa per dare l’ultimo saluto ad un parente molto malato.
“Quando potrò uscire?” Chiedo sbuffando al mio coinquilino. “Tanto per cominciare quando il diluvio universale sarà finito, a meno che tu non voglia prenderti l’influenza. E in secondo luogo, quando sarò certo che siamo al sicuro”. Mi lascio cadere di peso sul divano, rassegnata. “E tu invece quando la smetterai di lamentarti e alzare gli occhi al cielo?” “Magari quando sarò finalmente libera e non in prigione come sono ora” alzo di poco la voce. “Sai, questa prigione serve a salvare la vita tue e di tuo figlio, in caso non te ne fossi accorta!” Sta gridando anche lui adesso, ci guardiamo in cagnesco ed entrambi cerchiamo una lite, ma un pianto isterico ci interrompe. Senza degnarlo di uno sguardo, mi trascino in camera dove avevo lasciato Alex a dormire. Deve aver fatto un incubo e mi ci vuole circa un quarto d’ora per calmarlo definitivamente, inoltre, i tuoni e i lampi che imperversano fuori dalle finestre non aiutano. “Va tutto bene?” Zack è appoggiato allo stipite della porta, e la rabbia che aveva prima ad incendiargli lo sguardo sembra essersi dissolta. “Sì, credo sia stato solamente un brutto sogno”. “Vado a farmi una doccia prima di cenare, hai bisogno del bagno?” “No”. L’aria tra noi è palesemente tesa dopo la discussione di prima. Forse ho davvero esagerato, dopo gli chiederò scusa. Infondo nessuno lo ha costretto a immischiarsi in questa faccenda che sembra essere più pericolosa di quanto pensassimo. Magari, più semplicemente, ora che è in ballo non vuole avere vite sulla coscienza; in ogni caso sono in debito con lui.

Ho preparato la cena così da rendere Zack di buon umore, scusarmi non sarà per nulla semplice e sicuramente dirà qualcosa che rischierà di farmi infuriare, meglio essere a pancia piena e il più rilassati possibile. “Z-Zack…io…ecco…” attiro la sua attenzione e ora mi guarda incuriosito. “…volevo scusarmi per prima…ho sbagliato a dire quello che ho detto” abbasso la testa colpevole, ma fiera di me stessa per essere riuscita ad ammettere i miei errori. Non è sempre facile riconoscere di aver sbagliato. “Ho le mie responsabilità anche io” sospira poi, alzandosi. “Non volevo farti sentire in prigione, ma ho bisogno che siate al sicuro. Hanno aggredito me, non credo servano molte motivazioni o forza per attaccare una giovane donna e suo figlio”. Ora capisco appieno di essermi comportata come una bambina, dovrei davvero smettere di parlare a sproposito e senza pensare. “Resterò qui tranquilla, ma ti prego, se pensi che io possa uscire, anche solo per pochi minuti, lasciamelo fare”. “Te lo prometto”. Quello che ci scambiano in seguito, è un cenno quasi fraterno che decreta la fine della nostra guerra verbale.
“Hai fatto tu il quadro appeso sopra al letto?” Gli chiedo per cambiare discorso. “Cosa te lo fa pensare?” È come se il suo sguardo avesse assunto un’ombra cupa, un po’ come quando sta per arrivare il temporale e il cielo si riempie di nuvole grigie. “Sesto senso?” Cerco di sdrammatizzare per evitare che scoppi un altro litigio. “Qualche anno fa, l’ho dipinto per svago. Sono stato in una galleria e non ho trovato nulla che mi piacesse, avevo bisogno di riempire la parete e così l’ho fatto. Niente di più”. È come se il suo discorso implicasse che c’è sotto dell’altro, ed è stato proprio lui a darmi quest’idea, arricchendo la sua risposta con dettagli che non gli avevo richiesto; ed è assolutamente ovvio che una spiegazione così nervosa e febbrile non desiderata, serve a mascherare qualcosa. “Non me ne intendo molto, ma è veramente bellissimo” finalmente mi decido a guardarlo e lo ritrovo come immerso nei ricordi, finché non realizza le mie parole e allora mi osserva stupito. “Grazie” solleva di poco un angolo delle labbra, in un sorriso appena accennato e assume l’aria di un bambino che, ingenuamente, si sottovaluta. “Perché proprio le mani? Cioè è una cosa tipo nessuno si salva da solo?” Non lo facevo molto romantico, ma forse mi sbagliavo. “Non proprio, insomma, non sono uno da frasi fatte… solo…non lo so neanche io con esattezza. Non credo che da soli non potremmo farcela, ma forse avere qualcuno può essere d’aiuto. Ci sono solo le mani, ma non solo perché volevo accentrare l’attenzione su di esse, ma anche perché non volevo rappresentare una situazione in cui fosse obbligatorio pensare che la persona nella parte superiore stesse salvando la vita dell’altra.” Lo osservo in silenzio ragionando su ciò che ha appena detto. Probabilmente fraintendendo la mia mancanza di parole, continua: “è complicato, lo so. L’arte è molto soggettiva e non sempre è facile capire le interpretazioni altrui, proprio perché magari non le condividiamo”. “Oh no, invece ho capito e credo che tu abbia ragione, solo…stavo pensando a quanto sia affascinante il fatto che delle semplici mani possano significare così tanto.” Ora è il mio turno per perdermi nei meandri della mente: ripenso alla mia vita e al fatto che d’ora in poi, comincerò a fare più attenzione ai dettagli.
“Sai…dovresti fare un quadro anche per il mio appartamento, in effetti è un po’ spoglio” ridacchio. “Ci penserò, cosa vorresti che disegnassi?”, “Aspetta…ma sei serio?” “Certamente” “Allora direi io e Alex”. I suoi occhi sono puntati nei miei e senza sapere come, ci ritroviamo davvero molto vicini; le mie palpebre si fanno pesanti e seppur il nostro contatto visivo sia stato interrotto, la vibrazioni che esalano i nostri corpi rendono l’aria elettrica. All’improvviso, un pianto ci interrompe proprio come qualche ora fa. Mi alzo di scatto e, un po’ per la tensione di poco fa e un po’ per l’azione avventata, perdo per un momento l’equilibrio; subito due forti braccia mi cingono la vita e mi rimettono dritta “g-grazie”, poi insieme ci affrettiamo verso la camera da letto. Alex sta urlando a squarciagola e temo abbia fatto un altro incubo, ma quando lo prendo in braccio, mi accorgo che è piuttosto caldo e le sue gote sono più arrossate del solito. “Ha la febbre” constato. “Cosa posso fare?” Zack sembra leggermente allarmato e probabilmente non ha mai avuto a che fare con un bambino febbricitante. “Innanzitutto devi stare calmo, poi potresti prendere un panno e bagnarlo con dell’acqua fredda” gli sorrido riconoscente e compassionevolmente, ricordando quando fui per la prima  volta nella sua situazione ed entrai nel panico più totale.

Dopo una mezz’ora buona passata a porre delle salviette bagnate sulla fronte del piccolo e riscontrando, come unico risultato, un semplice affievolimento della sua agitazione, decido che servono assolutamente delle medicine. “Zack, ho bisogno che resti qui e che continui ad accudirlo. Devo andare in farmacia”. “Non se ne parla, ci vado io”. “Non sai cosa devi prendere”, “Chiederò al farmacista”. Non vuole sentire ragioni e così, pregandolo di fare il più presto possibile, lo osservo usciere e chiudersi la porta alle spalle.
Torno da Alex, nel tentativo di fargli mangiare qualcosa, un qualcosa che poco dopo essere stato ingerito, finisce direttamente sulla mia maglietta e sull’asciugamano che era accanto a lui sul letto. Mi alzo e decido di cercare una salvietta pulita per poter tornare a immergerla nell’acqua ghiacciata: non ho famigliarità con questo appartamento e non ho la più pallida idea di dove trovare quello che cerco, così vago aprendo la prima porta che trovo e resto ferma sulla soglia, spaesata. Davanti a me si estende una piccola scrivania e poco più in là c’è un cavalletto con una tela posta sopra ad esso. Le pareti sono cosparse di schizzi di tempere e fogli, a terra ci sono quelle che sembrano bozze accartocciate e tutto è un tripudio di carta e colori. Mi avvicino alla tela e raffigurata trovo un’ombra scura dall’aria minacciosa, con una mano sollevata; è un paesaggio notturno, le stelle sono coperte dalle nuvole e la vegetazione intorno cresce selvaggia e indomita. È stato Zack a disegnare tutto questo? Probabilmente sì. Scioccamente mi perdo a curiosare ancora un po’ qua e là, cercando di lasciare tutto com’è.
Ad un tratto, scorgo un disegno che attira la mia attenzione più di qualsiasi altra cosa al mondo: una donna giovane con i capelli legati in una coda di cavallo che sorride ad un bambino paffuto dall’aria famigliare. Questi siamo io e Alex. Vederlo me lo fa tornare subito alla mente e nonostante l’immensa gioia e sorpresa nel sapere che Zack ha deciso di rappresentare proprio noi, non posso fare a meno di essere invasa dalla preoccupazione per le condizioni di mio figlio. Zack non è ancora tornato con  i medicinali, la febbre del bambino sta salendo, esattamente come la mia ansia. E se gli fosse successo qualcosa? Ho giusto il tempo di sviluppare questo pensiero, perché la porta si apre e spunta Zack con il fiatone. Mi allunga una busta contenente l’antipiretico e lo somministro ad Alex mentre l’uomo si riprende. “È successo qualcosa?” “Qualcuno, non so come, sa che siamo qui.” “È per questo che ci hai messo tanto?” “Sì, ho fatto un giro più lungo perché non trovassero l’appartamento”. Mi si gela il sangue e dei brividi attanagliano il mio corpo, Zack sembra accorgersene. “Ehi, andrà tutto bene” cerca di rassicurarmi e devo ammettere che in buona parte ci riesce. Con lui mi sento piuttosto al sicuro, ma purtroppo non siamo soli e la paura per l’incolumità di mio figlio viene prima di ogni altra cosa. “Non possiamo restare qui” affermo decisa. “Stavo pensando la stessa cosa, ma come ci hanno trovato qui, ci troveranno anche altrove”. “Quindi cosa pensi di fare?” “Dobbiamo capire cosa ha in mente Allen e scoprire chi ci ha traditi.” Tutte le sue affermazioni sono corrette, ma il problema è metterle in pratica. “Ci servirebbe proprio un intervento divino” e ridacchio in modo isterico. Come se davvero qualcuno mi avesse ascoltata, il ricevitore inizia ad emettere uno strano suono. “Che significa?” Guardo Zack perplessa, in attesa di una risposta. “Significa che Allen sta ricevendo una telefonata” si fionda ad alzare il volume dell’apparecchio, così da poter sentire meglio cosa dirà il mio ex ragazzo. Ma quando la chiamata inizia, non è la sua voce a giungere alle nostre orecchie, bensì quella di qualcun altro: quella del nostro traditore, di cui ora sappiamo l’identità.




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Buongiorno! Ecco il nuovo capitolo che spero davvero vi piaccia, vi prego di farmi sapere cosa ne pensate perchè per me la vostra opinione è molto importante! Colgo l'occasione per ringraziarvi per tutto e niente, un bacio.

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Capitolo 32
*** The fugitive ***


“Dobbiamo tornare a New York. Adesso!” Il mio tono non ammette repliche, ma Zack sembra non capirlo. “Wilson, datti una calmata” si passa nervosamente le mani tra i capelli, pare un pazzo dagli occhi infuocati, ma io devo avere un aspetto ancora più inquietante e lo capisco da come mi guarda Alex. “Calmarmi? Calmarmi? Vuoi scherzare spero!” “No, non sto affatto scherzando! E stai anche spaventando tuo figlio!” Stiamo entrambi urlando e Alex sta per scoppiare a piangere. Zack ha ragione e solo per amore di mio figlio, cerco di tranquillizzarmi o quantomeno, smetto di gridare. Mi butto sul letto a peso morto e faccio un respiro profondo. “Ellie, cosa sta succedendo?” Zack si siede accanto a me e posa una mano sulla mia. Non cede di fronte al mio mutismo e continua: “Sai chi era la persona al telefono, non è così?” Lo guardo dritto negli occhi, rassegnata, ma ancora non parlo. “Senti, ti do un’ora per riprenderti mentre faccio giocare Alex. Poi voglio che mi dici cosa diavolo sta succedendo o non ti riporterò a New York e sai benissimo che hai bisogno di me, altrimenti tu e tuo figlio sareste in pericolo da soli”. Non annuisco nemmeno, ma in qualche modo riesce a capire che ho afferrato il concetto. Prende Alex in braccio e lo porta di là, lasciandomi finalmente sola. Ho un assoluto bisogno di riflettere.

Mezz’ora dopo sono ancora seduta così come sono stata lasciata. Sento le risate del piccolo provenire dal salotto e ammiro come Zack, nonostante la probabile curiosità che lo starà attanagliando e la preoccupazione, riesca a prendersi cura di una creatura così fragile ed innocente. Una parte di me è contenta che Alex sia così piccolo: non si rende minimamente conto del pericolo e in questo modo è più semplice gestire tutta questa assurda situazione.
“Lo porto a fare un bagnetto”. Zack compare sulla soglia della camera con in braccio un bambino ricoperto di tempere ovunque, proprio come la maglietta del capo. “Hai bisogno di aiuto?” Chiedo con un filo di voce. “No, dovrei farcela. Una volta ho fatto il bagno ad un cagnolino, non credo sia troppo diverso, no?” Se fossimo in un altro contesto, più gioioso e sicuro, probabilmente sarei scoppiata in una sonora risata e avrei scherzosamente difeso mio figlio per essere stato paragonato ad un animale; ma la vita ha voluto che non fosse questo il nostro destino, così annuisco semplicemente. Scompare, così come è arrivato e poco dopo sento la porta del bagno chiudersi.
L’acqua sgorga rapida dal rubinetto e le lancette scandiscono lapidarie il tempo. Mi trascino in cucina per bere mentre mi guardo attorno. Riesco a vedere bene il pavimento della sala tappezzato di fogli colorati e i pennelli ancora colanti di tempere riposti in un angolo; la copertura del divano è sgualcita e il tappetto non è più nella sua postazione originaria. Alzo di poco lo sguardo e lo porto al livello del tavolo. Forse non avrei dovuto farlo, o forse non avrei dovuto fare quello che faccio subito dopo.

Non so esattamente cosa mi abbia spinta a prendere in prestito la macchina di Zack, non so per quale assurdo motivo io stia scendendo in fretta e furia le scale del condominio dopo essere uscita dall’appartamento come un ladro, abbandonando mio figlio e il mio salvatore; non so se sarò in grado di tornare a New York, non so più nulla ormai.
Arrivata all’ingresso, apro velocemente il portone e trovo subito la macchina che riconosco essere quella con cui sono arrivata qui. Sono talmente presa dai miei pensieri da non accorgermi subito del luogo in cui mi trovo. Ma, prima o poi, devo cercare delle indicazioni per capire come tornare nella Grande Mela. Mi accorgo ben presto che non mi serve alcun cartello per riconoscere questa città: sono già stata qui, o meglio, ho passato in questa cittadina gran parte della mia vita. Montpelier, Vermont.
Ho già percorso la strada verso New York, così so perfettamente cosa mi attende. Sul sedile del passeggero noto il mio telefono, ma decido di non utilizzarlo al momento: sono consapevole che Zack si accorgerà a breve della mia fuga e inizierà a tartassarmi di chiamate. Mentre esco dalla città e mi avvicino sempre di più ai paesini limitrofi, un brivido mi percorre. Mi sento quasi affogare nei miei ricordi quando costeggio il bosco in cui passavo interi pomeriggi durante la mia infanzia. Mi torna alla mente mia madre seduta accanto alla finestra a fissare il vuoto, i suoi sbalzi d’umore, l’improvvisa difficoltà motoria e poi mio padre che, stanco, mangia da solo. I flash vanno peggiorando e non vedo più scene di senso compiuto, ma scorgo solo oggetti: un letto, una valigia ed infine una lettera.
Mi sento quasi colpevole, me ne sto andando come fece una volta mio padre, ma io non ripeterò lo stesso errore, tornerò da Alex. Ma prima, ho delle questioni importanti da risolvere. Scaccio via le lacrime che ormai mi hanno inondato il viso e mordo aggressivamente le labbra che ora non sanno più solo di sale, ma anche di ferro; premo il piede sull’acceleratore e supero luoghi oscuri che so mi tormenteranno per sempre. Sfreccio via e l’unica cosa di cui sono consapevole, è che quando mi ritroverò davanti Allen e il suo complice, il mio labbro non sarà più l’unica cosa a sanguinare.

Mi sono fermata solo ad un autogrill per andare ai servizi, fare rifornimento e prendere qualcosa da mangiare. Le poche persone che hanno incrociato la mia strada hanno tenuto la testa bassa e persino un gruppo di camionisti, dopo aver emesso fischi di apprezzamento nei miei confronti, sono stati pietrificati dal mio sguardo. Non mi ritengo fisicamente più forte di un uomo, ma con la rabbia che pare scorrermi nelle vene e incendiarle, devo essere piuttosto minacciosa.
Lo stato quasi catatonico a cui ero ridotta fino a poche ore fa era solamente la quiete prima della tempesta, o per meglio dire in questo caso, dell’uragano.

Riaccendo il telefono e mentre sono ferma ad un semaforo, scrivo un messaggio ad Allen: ho urgente bisogno di vederti, posso venire da te?
Lo sciocco cade subito nella mia trappola e senza farselo ripetere, mi risponde con il suo indirizzo. Nel frattempo le chiamate di Zack mi stanno facendo impazzire e se non la pianta, credo proprio che il cellulare si autodistruggerà. Al ventesimo squillo, decido che è ora di finirla, così finalmente rispondo. “Dove accidenti sei finita? Ti ho detto che stare fuori è pericoloso, torna subito nell’appartamento!” Non grida, probabilmente per la presenza di Alex, ma il suo tono e furioso ed è ancora più inquietante. “No.” Quasi rido e la mia voce è più strafottente che mai. “Sei ubriaca per caso?” Di follia, vorrei rispondergli. Ma non ho tempo per i giochi. “No.” “Potresti smettere di parlare a monosillabi e riportare qui il tuo bel sederino?” “Grazie del complimento, ma la risposta è sempre no.” “Okay, va bene, vengo a prenderti” lo sento muoversi frenetico dall’altro capo. “Spero tu sappia correre velocemente allora”. Mi trattengo dal ridere e questa mia voglia di scherzare mi porta a pensare che io sia completamente impazzita. “Correre?... Porca…Wilson, dove…” lo sento tirare un respiro profondo, si sta trattenendo dal dire parolacce perché è in compagnia di Alex. “Dove accidenti sono le chiavi della MIA macchina?” “E io come faccio a saperlo?” E scoppio in una fragorosa risata. “Se ti prendo, te ne pentirai” “Ti sto aspettando” gli mando un bacio e chiudo la chiamata.

Finalmente riesco a scorgere i grattacieli di New York: passo tra le ormai famigliari vie e mi affretto verso il St. Regis. Quando arrivo all’attico e apro la porta, ad attendermi con le braccia incrociate e sguardo indagatorio, trovo Matt. “Cosa ci fai in casa mia?” Domando subito. “Cosa ci fai tu qui?” Stiamo parlando normalmente, l’aria è tesa, ma nessuno dei due pare essere arrabbiato con l’altro. “Sono tornata dal mio viaggio” tento. “So che eri con Zack, mi ha telefonato”. “Ovviamente.” “Ellie, è preoccupato per te”. Queste parole mi fermano dal compiere tutto ciò che sto facendo. “Dici?” È l’unica sciocca cosa che riesco a dire. “Eccome. Non so per quale motivo, ma si è catapultato in questa impresa ed è davvero intenzionato ad aiutare te e Alex”. “Senti Matt, c’è una cosa che devo fare. Io ringrazio tutti voi per il supporto, ma ora devo continuare da sola. Ho lasciato mio figlio con Zack perché so che lui può proteggerlo. Digli di restare dov’è per il bene di entrambi. Ti prego.” La mia rabbia ora si è quasi completamente smorzata e a parlare non è più una giovane donna furiosa e delusa, ma una madre preoccupata. “Non fare nulla di avventato” sospira infine. “Promesso”.
Matt mi lascia con queste ultime parole e posso cambiarmi per indossare qualcosa di più adatto di una tuta e scarpe da ginnastica. Devo far sì che Allen sia a suo agio o quantomeno ho la necessità di averlo in pugno. Dopodiché posso risalire in macchina e dirigermi al suo appartamento.

Mi trovo in una zona periferica della città e i grattacieli hanno quasi completamente lasciato il posto a delle villette a schiera e a delle piccole case; ed è proprio in una di quest’ultime che trovo il mio ex ragazzo. “Ellie! Che piacere averti qui, non mi aspettavo che volessi vedermi a casa mia. Accomodati pure.” L’interno non è particolarmente accogliente e la prima cosa che noto, sono delle lattine di birra vuote nell’angolo del salotto. “Vuoi qualcosa da bere?” “No, grazie.” “Sei bellissima” dice dopo alcuni attimi di silenzio. “Ti ringrazio” gli sorrido il più sinceramente possibile. “Pensavo portassi Alex” sembra deluso. “Oh, ecco, lui ha la febbre. Non mi sembrava il caso di spostarlo da casa” “Hai fatto bene, allora”. Sembra andare tutto bene e pare stia credendo a tutto ciò che gli dico. “Cosa volevi dirmi?” Coraggio Ellie, adesso. “Ecco…mi chiedevo… per caso tu hai avuto più notizie di mio padre?” Alla mia domanda, inizia ad agitarsi: vedo la sua fronte imperlarsi di sudore mentre prende tempo e si muove scompostamente sulla sedia. “P-Perché me lo chiedi?” “Um…nulla, solo…un po’ di nostalgia, ecco” assumo un’aria malinconica e il suo nervosismo viene messo in secondo piano. “Ehi piccola, tutto bene?” Non mi chiamava così da un’eternità, anche se negli ultimi anni della nostra relazione, lo faceva di meno dato che sa quanto io odi quel nomignolo. “Si…scusa, è solo che…” respiro e mi prendo un attimo per cercare di non scoppiare in lacrime, o almeno questo è quello che voglio lasciargli intendere. “Recentemente ho ritrovato alcune vecchie foto…” Avevo pensato di raccontargli di essere stata a Montpelier, ma avrei rischiato di mettere in pericolo Alex e Zack. “Sai, nonostante se ne sia andato, certe volte mi manca.” Mi osserva a lungo senza dire niente, come se stesse pensando a qualcosa. “Aspettami qui.” Improvvisamente si alza e scompare in un’altra stanza, resto interdetta per un momento, ma subito mi riprendo e inizio a ripassare mentalmente il mio piano. Ad un tratto, sento una presenza alle mie spalle e poi  un dolore lancinante, non vedo più nulla se non il buio. 



-N/A-
Buongiorno! Ecco un aggiornamento a sorpresa fato che le vacanze mi hanno permesso di avere un po' di tempo in più per scrivere :) Spero che il capitolo vi piaccia e come al solito vi prego di farmi sapere cosa ne pensate. Infine vi invito ad entrare nel gruppo whatsapp e vi ringrazio per tutto. Baci :)

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Capitolo 33
*** The truth ***


Quando finalmente riesco ad aprire gli occhi, uno spiraglio di luce mi accieca e inoltre sento la testa martellare. Cerco di portare una mano alle tempie, ma qualcosa di molto simile ad una corda, me lo impedisce. “Ti conviene stare ferma, più ti muovi, più i lacci ti faranno male”. Non riconosco subito la voce, probabilmente ho un trauma cranico per la botta decisamente troppo violenta che mi ha dato Allen. A parte alcuni spiragli, la stanza in cui mi trovo è immersa nel buio e non so definire esattamente che ora del giorno sia. Colui che ha parlato esce dall’oscurità e mi si fa più vicino: non conosco questa persona, ma ha un non so che di famigliare. Una fitta lancinante laddove sono stata colpita mi fa piegare in avanti e come in un flash rivedo il volto dell’uomo. È uno dei collaboratori della Evans Enterprises, era presente al mio colloquio di assunzione. Sono sempre più confusa e dentro di me sta montando un certo terrore: se lui è qui, significa che queste persone mi stanno tenendo d’occhio da quando ho messo piede a New York. “Lui dov’è?” Parlo e la mia voce esce rauca come non è mai stata prima. “Nessuno ti ha dato il permesso di parlare!” L’uomo senza nome lascia le sue cinque dita impresse sulla mia guancia e, per un attimo, trattengo il fiato. “Ehi! Ha detto di non farle del male!” Allen. Il codardo si fa avanti e mi si posiziona davanti allontanando con uno spintone l’altro. “Peccato che ora non ci sia” ride in modo malefico. “Finché io sarò in questa stanza non le torcerai un capello!” Il mio ex ragazzo si schiera in mia difesa, ma l’unica cosa che provo è disgusto: “Mi hai provocato un trauma cranico e ora dici ad altri di non ferirmi? Mettiti in pace con te stesso, Allen”. Da quanto ho capito, l’uomo di mezza età che mi ha dato uno schiaffo, non sopporta la mia voce, infatti avanza ancora una volta con l’intento di continuare il suo precedente lavoro. I due iniziano a litigare e le loro urla rendono ancora più martellante e penetrante il mio mal di testa. “Signori, adesso basta”. Una luce si accende e scopro di non trovarmi in una topaia come invece pensavo, bensì in un salone piuttosto sfarzoso, mai visto prima, con il pavimento ricoperto da un tappeto persiano e con antichi cimeli posti in alcuni teche ai quattro lati della stanza. La nuova arrivata si premura di fare un ingresso trionfale, scendendo dalla scalinata con i tacchi che vengono ammortizzati dal prezioso tessuto orientale.
La luce improvvisa mi ha costretta a chiudere temporaneamente gli occhi, ma quando li riapro, vorrei che tutto questo fosse solo un incubo. Colei a cui ho affidato ciò a cui più tengo al mondo, mi sta guardando dall’alto in basso con un ghigno malefico e gli occhi bramosi di non so quale sete di potere. “K-Kim?!” La rabbia monta selvaggia dentro di me e sono certa che se non fosse per questi stupidi lacci, avrei già spaccato la faccia di questi viscidi vermi uno per uno. “Ciao Ellie, che piacere vederti” Mi si avvicina sempre di più e per qualche assurdo motivo che non riesco a capire, i due uomini la lasciano passare e abbassano lo sguardo, come se lei li comandasse. “Tu! Sei solo una persona spregevole!” le sputo sulle scarpe dall’aria costosa: della giovane adolescente con i jeans strappati, le All star e lo sguardo ingenuo non c’è più traccia; quella davanti a me pare una donna vissuta, ricca e vanitosa, ma soprattutto, senza scrupoli. “Oh, suvvia Ellie, sei troppo sciocca. Ora, dimmi dove sono Alex e Zack”. “Puoi scordartelo.” Sorrido come stava facendo lei fino a poco fa e questo sembra farla infuriare: “DIMMI SUBITO DOVE SONO!” Mi tira violentemente i capelli e quando rimuove la mano, noto che è sporca di sangue: probabilmente la mia ferita alla nuca è più grave di quanto pensassi. “Parlerò solo con lui” sono le ultime parole che riesco a dire, prima di cadere in un sonno profondo.

Un vociare sommesso mi accoglie, ma prima che possa svegliarmi completamente, tutti sembrano uscire dalla stanza. La prima constatazione che elabora il mio cervello è quella di essere sdraiata e non più seduta; la seconda è che, pur non sapendo con esattezza quanto ho dormito, devono essere sicuramente passate parecchie ore perché riesco a scorgere la luna alta nel cielo; la terza è che questa stanza è più piccola della precedente, ma più accogliente; la quarta ed ultima è che non sono sola.
“Ciao Ellie.” “Garrett” mi metto a sedere lentamente, ho la testa bendata e un profumo dolce e fiorato mi invade le narici. “Oh, cara, perché mi chiami per nome?” Me lo chiede sinceramente, come se davvero desiderasse sentirsi chiamare papà. “Se Garrett non ti aggrada, ho molti altri appellativi in serbo; anche se credo ti piaceranno ancora meno” gli rispondo con tono di sfida. “E va bene, me lo sono meritato”, “almeno su qualcosa vedo che siamo d’accordo” asserisco. “Che cosa vuoi da me e da mio figlio?” “Sai, la verità è che si tratta di una lunga storia e non sono l’unico che vuole qualcosa da voi”. Si siede sul bordo del grande letto ed io, istintivamente, mi allontano. Per un secondo sembra ferito dal mio gesto, ma poi una scintilla di comprensione gli illumina gli occhi. “Non voglio fare del male né a te, né ad Alex”, non so nemmeno io perché, ma gli credo. “Non si può dire lo stesso dei tuoi complici” lo canzono. “Oh non preoccuparti, avranno quel che si meritano”.
“Riesci ad alzarti?” Mi porge la mano, ma la rifiuto. “Si”.

Mi scorta per un lungo corridoio ombroso, dopodiché giungiamo in quella che sembra essere una sala da pranzo, molto simile al luogo in cui ero legata: un brivido mi scorre lungo la colonna vertebrale. “Voglio sapere la verità. Subito.” Mi fermo puntando i piedi e costringendo il mio accompagnatore ad arrestare la sua marcia e a voltarsi verso di me. “Siediti, mentre ceniamo ti racconterò ciò che vuoi sapere”.
“Non so nemmeno io da dove cominciare, però innanzitutto vorrei che tu sapessi che non ho mai smesso di volerti bene. Quando tua madre morì ed io me ne andai, ero letteralmente distrutto. Mi sono preso cura di quella donna per anni e tu per prima sai quanto sia stato difficile vederla soffrire e spegnersi poco alla volta.” “E non hai pensato che magari anche io dopo la sua dipartita stessi soffrendo? Mi hai lasciata sola!” Lo accuso interrompendo il suo racconto. “Ma tu non sei mai stata sola, Allen era con te. L’ho incaricato di starti accanto, sempre. So che l’ha fatto, almeno fino ad un certo punto…ma questa è una storia che sai meglio di me” si schiarisce la voce e fortunatamente non mi da il tempo per perdermi in utili ricordi. “Quando me ne andai, ero distrutto, mi sentivo terribilmente solo fino a quando non conobbi una donna. Lei era bellissima e sono sicuro ti sarebbe piaciuta molto. Sono tornato a Montpellier per chiederti perdono e per presentartela, ma mi è stato detto che eri partita alla volta di New York, ho appreso quel che era successo con Allen così sono andato a cercarlo. Lui non ha mai smesso di amarti, è stato un momento di debolezza e chi meglio di me poteva comprenderlo?” Lo ascolto con estrema attenzione, trepidante di arrivare alla fine della narrazione per capire il motivo per cui ora sono qui. “Mi disse che voleva riconquistarti, che voleva stare con te e con vostro figlio. Eravamo accomunati dall’intento di avere il tuo perdono e così decidemmo di aiutarci a vicenda.” Il tutto ha un senso e detta così, non sembra essere nulla di pericoloso per nessuno, quindi non mi spiego in nessun modo come siamo arrivati a questo; così decido di esporre i miei dubbi: “come mai sono stata rapita e legata? Perché volevate fare del male al mio capo e cosa centrano Kim e…quell’altro di cui non so nemmeno il nome?” “Quando mi avvicinai ad Allen, non sapevo che entrambi nascondessimo dei segreti, ma si sa che il tempo svela ogni cosa. Quando te ne sei andata portando via Alex, Allen era disperato. Ha iniziato ad ubriacarsi e giocare d’azzardo, entrando così in giri pericolosi. Gli dissi che conoscevo un uomo piuttosto ricco che poteva concedergli un prestito.” Piano, piano ogni pezzo del puzzle sembra incastrarsi nella mia mente. “Il tizio che mi ha dato uno schiaffo?” Annuisce. “Il Signor. Ross diede i soldi ad Allen, ma qualche tempo dopo lo ricattò: gli disse che lavorava per un certo Zack Evans ed era stufo di sottostare alle idee di un ragazzino. Per questo necessitava l’aiuto di Allen, quest’ultimo avrebbe dovuto sporcarsi le mani, così che Ross diventasse capo dell’azienda.” Mi sta scoppiando la testa e la paura mi ha completamente paralizzata: quell’uomo vuole davvero fare del male a Zack. “L’avrebbe fatto davvero? E tu saresti stato d’accordo? Era questo il vostro piano, eh? Fare del male ad un innocente e pensare che io vi avrei perdonati? Non mi conoscete proprio!” Sto urlando, mi sembra che la stanza abbia preso a girare e il cuore sta per schizzarmi fuori dal petto. “Ma cosa sta succedendo qui dentro?” È Kim che nonostante le sue parole, non pare realmente così interessata. “Torna pure di là con gli altri, va tutto bene” la rassicura l’uomo. Ma no, non sta andando tutto bene: la mia testa vortica senza darmi tregua, sudo freddo e la vista mi si sta annebbiando ed ecco che ancora una volta, svengo, ma non prima di aver sentito la babysitter dire: “Andrebbe portata in ospedale papà”.




-N/A-
Buona Pasqua! Ecco qui il mio regalino per voi! Finalmente si scopre qualcosa in più di tutta questa vicenda, spero che il capitolo vi piaccia e vi prego di farmi sapere cosa ne pensate, come sempre vi ringrazio per tutto e vi invito ad entrare nel gruppo whatsapp per essere sempre aggiornate. Baci <3

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Capitolo 34
*** Boyfriend ***


ZACK’S POV

Ellie è rimasta davvero molto turbata al suono di quella voce e anche se vorrei capire con tutto me stesso cosa sta succedendo, non voglio farle pressione. Se ha bisogno di tempo per metabolizzare, glielo darò. Nel frattempo, mi sembra una buona idea far giocare Alex così entrambi avremo la possibilità di distrarci. È fortunato ad essere ancora così piccolo, non si rende conto dei pericoli e non ha nessuna preoccupazione; devo ammettere che lo invidio. “Senti, ti do un’ora per riprenderti mentre faccio giocare Alex. Poi voglio che mi dici cosa diavolo sta succedendo o non ti riporterò a New York e sai benissimo che hai bisogno di me, altrimenti tu e tuo figlio sareste in pericolo da soli”. Non voglio farle pesare il fatto che senza di me sarebbero persi, ma è la realtà dei fatti e lei deve capirlo.
La lascio sola come credo abbia bisogno di stare e vado da Alex, ma prima, mi reco nel mio studio e prendo dei fogli e delle tempere. È ancora molto piccolo, ma non avendo pennarelli, è l’unico modo in cui potrebbe disegnare. Lascio tutto per terra, Alex compreso e mi siedo accanto a lui. Ha difficoltà a pronunciare il nome dei colori, ma indicandomeli riesce a farmi comprendere quale passargli, alla fine della sua opera d’arte, uno schizzo di tempera finisce sulla sua tutina e questo lo diverte al punto che in poco tempo, ci ritroviamo entrambi ricoperti di macchie colorate. È incredibile come stare insieme ad un bambino riesca a infonderti così tanta gioia anche in un momento del genere, non posso fare a meno di pensare che mi dispiace che Ellie non sia qui con noi a godersi un po’ di serenità, di cui peraltro avrebbe molto bisogno. “Forse è meglio fare un bagnetto” dico ad Alex e lui sembra capire dato che stende le braccia verso di me così che io possa prenderlo in braccio. La tempera sui nostri vestiti è ancora fresca e ciò comporta la nostra trasformazione in arcobaleni. “Andiamo ad avvisare la mamma”. Trovo la donna in questione seduta sul letto a fissare il vuoto e anche se non vorrei, non posso evitare di essere preoccupato, senza contare che la mia curiosità assopitasi mentre giocavo con il bambino, si è di colpo risvegliata ritornando più agguerrita di prima. “Lo porto a fare un bagnetto” Ellie guarda entrambi cercando di ricostruire ciò che è avvenuto, sono sicuro che se fossimo in una situazione più pacifica e non di allerta, la vista la farebbe divertire. Accenna un piccolo sorriso al figlio, dopodiché finalmente parla: “Hai bisogno di aiuto?” Non sia mai che si pensi che io non sappia lavare un bambino. “No, dovrei farcela. Una volta ho fatto il bagno ad un cagnolino, non credo sia troppo diverso, no?” La verità è che subito dopo aver pronunciato queste parole mi rendo davvero conto di quello che ho detto e mi sento un idiota, ma forse una parte di me desiderava sul serio pronunciarle, nel vano intento di farla ridere perché, ahimè, vederla così giù di morale mi crea una sorta di nodo allo stomaco che non so spiegarmi. In ogni caso, il mio piano va in fumo e comprendo che forse ha ancora bisogno di tempo per stare sola con i suoi pensieri.

Spoglio Alex mentre faccio sì che la vasca si riempia per poi metterlo seduto e iniziare a lavarlo. Lo vedo un po’ restio a restare nell’acqua, così lascio cadere del bagnoschiuma per creare delle bolle di sapone in cui immergere una spugna. Immergendo la mano, si crea del movimento che porta il livello dell’acqua un po’ più in alto verso il suo petto, facendolo spaventare. Per tranquillizzarlo, porto la spugna sul mio mento e creo una barba morbida e bianca: i suoi occhioni azzurri pieni di lacrime mi osservano per un po’ dopodiché un sorriso sdentato si fa strada rendendo le gote ancora più paffute. Non mi accorgo neanche di star sorridendo anche io, finché del bagnoschiuma inizia a colare e finisce sulle mie labbra facendomi fare una smorfia disgustata e portando le risate di Alex ad aumentare. In mezzo a tutto questo schiamazzare, mi sembra di udire un rumore proveniente dal corridoio, ma mi tranquillizzo pensando che Ellie si sia finalmente decisa a riscuotersi dal suo stato catatonico.
Troppo tardi mi accorgo di aver dimenticato i vestiti per Alex, così lo avvolgo in una salvietta e lo tengo stretto per non fargli prendere freddo. Ho bisogno di chiedere ad Ellie dove sono le cose di Alex perché non ho alcuna intenzione di frugare nella sua valigia come se niente fosse. Vado in camera dove l’ho lasciata e subito mi rendo conto che il posto è vuoto, decido di cercarla in cucina, ma di lei non c’è traccia nemmeno lì. Sono confuso più che mai, la chiamo ma nessuno risponde. Ci rinuncio e frugo nel suo borsone alla ricerca di qualcosa da mettere ad Alex per non farlo ammalare, dopodiché lo metto a guardare la televisione mentre cerco di capire cosa sta succedendo. Solo quando guardo il tavolino e non vedo le chiavi della mia macchina, riesco a ricostruire ciò che è accaduto. Il  mio primo pensiero è che non se ne sia andata lontano perché non avrebbe mai lasciato suo figlio da solo, per cui provo a mantenere la calma e le telefono.
Più non risponde e più mi agito. Sono preoccupato ed arrabbiato e questa non è una buona combinazione. Finalmente risponde, ma questa chiacchierata mi infervora ancora di più, sembra ubriaca e mi sta palesemente prendendo in giro. Faccio il possibile per trattenermi e non spaventare il bambino, e questa azione comporta l’utilizzo di tutto il mio autocontrollo. Chiamo subito Matt, che fortunatamente non ci mette molto a rispondere. “Ehi amico!” “Matt, vai al St. Regis, ho bisogno che fermi Ellie, qualsiasi cosa stia combinando” gli spiego sbrigativo, dimenticando le buone maniere. “Ellie? Tu come fai a sapere cosa sta facendo e dove si trova?” “Non ho tempo per l’interrogatorio, era con me. Adesso fai come ti ho detto”. Da bravo amico qual è, non se lo fa ripetere due volte e chiude la chiamata comprendendo l’urgenza nella mia voce.
Vorrei andare a New York, ma ci metterei troppo e avendo Alex, qui starà più al sicuro. Al momento è lui la mia priorità.

Sono molto teso, ma cerco in ogni modo di non farlo capire al bambino. Mi chiede più volte dove sia la sua mamma e mi invento ogni scusa possibile, ma non riuscirò a continuare a lungo.
Improvvisamente il mio telefono suona e mi ci fiondo per far partire la chiamata. È Matt: “Zack, ho visto Ellie, ho cercato di fermarla ma mi ha spiegato che deve fare una cosa. Prima che tu ti arrabbi, era davvero sincera e mi ha chiesto di occuparti di Alex, di tenerlo al sicuro. Ora però sto iniziando a preoccuparmi, non ho ancora avuto sue notizie.” “Quanto tempo è passato?” “Poche ore, è troppo presto per avvisare la polizia, devono passare ventiquattr’ore”. Devo pensare velocemente a cosa fare. “Matt, ti mando delle indicazioni stradali, seguile e vieni qui. Devi tenere Alex mentre io vado a New York, nel tempo in cui faremo cambio, se saranno passate le ventiquattro ore, darò l’allarme”. Ancora una volta, non perde tempo in chiacchere e fa come gli ho detto. La mia agitazione è alle stelle e nonostante io non sia credente, non posso evitare di alzare gli occhi al cielo e implorare che lei stia bene.

ALCUNE ORE DOPO

“Matt, mi servono le tue chiavi, Ellie ha preso la mia macchina” me le lascia immediatamente. “Fa attenzione, Zack.” Gli faccio un cenno affermativo e scendo di corsa le scale pronto a partire alla volta di New York. Probabilmente sto andando troppo veloce, ma non mi interessa, devo trovare Ellie.
Provo a telefonarle più volte, ma senza successo e intanto il tempo passa e i secondi diventano minuti, che si tramutano in ore, trasformando la mia ansia in panico. Una parte di me brama che scocchino queste dannate ventiquattr’ore per poter chiamare la polizia, così quando finalmente il mio desiderio si realizza, non esito a telefonare ai soccorsi.

DUE GIORNI DOPO

Essere un uomo ricco e piuttosto influente a New York, mi ha permesso di seguire le indagini molto da vicino e pare che la polizia stia seguendo una giusta pista. Io  e Matt ci aggiorniamo a vicenda su ciò che accade e pare che ad Alex manchi molto Ellie e ogni qualvolta sento questa frase, non posso fare a meno di pensare che vorrei essere con lui per rassicurarlo e forse, anche per essere rassicurato. Sto facendo di tutto per mettere da parte la mia preoccupazione, così da assumere un atteggiamento pragmatico e freddo: una mente razionale lavora sicuramente meglio di una attanagliata dal panico. “Signor Evans?” “Si?” “L’abbiamo trovata”.
Sono in una macchina con l’ispettore capo e la mia trepidazione non mi fa stare fermo un secondo. Quando sono finalmente libero di scendere dall’abitacolo, sono davanti ad una catapecchia in legno, dall’aria sporca. Non mi fermo a guardare altro e mi dirigo velocemente alla porta prima di chiunque altro. La polizia alle mie spalle si lamenta e mi rimprovera, dicendomi che potrebbe essere pericoloso, ma la verità è che non mi interessa. Entro facilmente e al centro dell’unica stanza presente, c’è una ragazza bionda senza sensi distesa a terra. “Ellie!” Mi avvicino e le sollevo lentamente la testa, fortunatamente respira anche se in modo molto debole. Nella penombra non riesco a vedere bene le sue condizioni, ma improvvisamente la sento farfugliare. “T-testa” e “male” sono le uniche parole che pronuncia ed ecco che riesco a scorgere una ferita molto grande dove c’è l’attaccatura dei capelli. Non la muovo e aspetto che arrivi l’ambulanza per non aggravare la sua situazione. Mentre la tengo appoggiata a me, approfitto della poca luce per stringerle la mani intorno al busto. “Andrà tutto bene” le sussurro e la sua mano fredda e sottile si appoggia piano alla mia.

“Come sta?” Matt e Jennifer mi raggiugono in sala d’attesa con Alex, hanno l’aria trafelata e gli occhi stanchi. “Non mi hanno ancora fatto sapere nulla”. Racconto loro come è stata trovata nella speranza che uno dei dottori mi interrompa per farmi sapere le sue condizioni. “Ma come sapevano che era lì?” Domanda Matt. “La polizia ha ricevuto un messaggio anonimo, qualcuno degli aggressori voleva che noi la trovassimo”. Questo è un mistero ancora da risolvere, ma al momento, non è la cosa più importante. “C’è un parente della signorina Wilson?” Ecco che un infermiere fa la sua comparsa. “No, io sono il suo capo, non ha nessun altro” affermo. L’uomo mi osserva, poco dopo sembra riconoscermi e mi fa passare nella stanza successiva. “Allora?” “Ha picchiato molto forte la testa, ha un ematoma che si deve riassorbire e alcune lesioni nel resto del corpo, queste ultime non sono gravi, ma necessita assoluto riposo e l’ematoma deve restare sotto osservazione. Non si è ancora svegliata, ma lo farà a breve. Se vuole seguirmi, la accompagno da lei”. Annuisco e poco dopo, la vedo. La flebo lascia scoperto un solo braccio dove sono presenti alcuni graffi, è molto pallida e le coperte la fanno sembrare ancora più minuta. Mi siedo accanto a lei e allungo una mano per stringere la sua. Aspetto qualche minuto, quando finalmente le sue palpebre si sollevano lentamente. “Ellie” le ci vuole un momento per mettermi a fuoco e credo che la testa le faccia male. “D-dove mi trovo?” “Sei in ospedale, ora sei al sicuro” le sorrido e mi guarda stranita. “Oh…p-potresti darmi dell’acqua per favore?” “Certo” mi muovo velocemente e mi assicuro che beva con calma. “Come ti senti?” “Ho un gran mal di testa e mi sento un po’ confusa…ehm…potresti ripetermi il tuo nome?” “…Zack, sono Zack”. “Sei il mio ragazzo?” Un momento…cosa diavolo sta succedendo?   



- N/A -
Buongiorno ragazze! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia, come sempre vi prego di farmelo sapere e vi invito ad entrare nel gruppo whatsapp. Un bacio.

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Capitolo 35
*** Memories ***


ZACK’S POV

Dottori e infermiere continuano a passarmi davanti in un via vai frenetico; sono fortunato poiché sono stato immediatamente riconosciuto dal primario di medicina generale che mi ha reso note le condizioni di Ellie, dopo il mio iniziale shock dovuto alle sue parole. Finché l’ematoma non si sarà riassorbito, avrà problemi a ricordare. Non ha ancora visto Alex perché seppur la sua memoria vada incoraggiata, non può fare troppi sforzi al momento. Ho incaricato Jen di prendersi cura del bambino, Matt li ha riaccompagnati a casa, anche se per la precisione non so in quale. L’importante è che stia al sicuro. Per quanto riguarda me, non ho alcuna intenzione di andarmene, inoltre pare che stia arrivando la polizia e hanno la necessità di fare alcune domande ad Ellie, anche se dubito sarà in grado di rispondere.
Come se fosse in mio potere, al solo pensarli, ecco comparire da dietro l’angolo il commissario e due agenti. “Signor Evans” “Commissario” gli rivolgo un cenno. “Sta dormendo” affermo prima che mi possano chiedere qualsiasi cosa. “Che ne dice di un caffè?” Ci rechiamo al piano terra e lasciamo i due agenti a vegliare davanti alla stanza di Ellie. Credo che ormai al posto del sangue, nelle vene mi scorra quel liquido intenso e amaro. “Zack, hai voluto collaborare alle indagini e non ho aperto bocca, mi fido del tuo istinto e delle tue necessità, ma se c’è qualcosa che non mi hai detto, ti prego di farlo ora.” Non lo guardo nemmeno, ho bisogno di tempo per riflettere e al momento non ho la testa per farlo. “Ragazzo, se scoprirò qualcosa tramite il mio lavoro, sarai nei guai”. “Non c’è niente da scoprire”.
Nessuno dovrà mai sapere che abbiamo intercettato le chiamate di Allen, altrimenti se la polizia verrà a conoscenza del fatto che Ellie ha voluto sbrigarsela da sola senza interpellarli, potranno toglierle Alex.
“Un’ultima cosa-“ Riporto la mia attenzione sull’uomo seduto accanto a me. “-sai dove si trova il figlio della signorina Wilson?” mi guarda interrogativo e una strana sensazione si agita dentro di me, il mio istinto mi dice di non rispondergli, ma la mia bocca non lo ascolta. “È con una cara amica di Ellie, se ne prenderà cura per stanotte”. “Per questa durata il bambino può stare con la signorina, ma domani mattina arriveranno gli assistenti sociali e lo terranno finché non troveremo il padre.” “Il padre?” Domando nervosamente. “Sì. A meno che non ci sia un buon motivo per cui l’uomo non possa occuparsi di suo figlio, la custodia è affidata a lui mentre la madre è impossibilitata prendersene cura.” Accidenti! Così Allen l’avrà vinta e con Ellie in una situazione del genere sono sicuro che se ne approfitterà. “Non so dove sia”. Il mio tono è lapidario e la mia mente sta già pensando ad un piano per sbarazzarsi di quell’idiota.
Chiamo il mio fidato compagno Matt e lo informo di ciò che accadrà nei prossimi giorni. “Speriamo non lo trovino, meglio con gli assistenti sociali che con quel buono a nulla” L’ideale sarebbe con la madre, penso, ma senza dar voce ai miei pensieri. “Lei starà bene”. È incredibile come un vero amico, anche attraverso un telefono, riesca a capire quando non stai bene o sei preoccupato per qualcosa. “Jennifer?” Domando. “È piuttosto scossa e non riesce a capire cosa sia successo in questi giorni, ho pensato che non fosse il momento per raccontarle tutto, ma domani rimedierò.” Non so cosa ci sia tra quei due, ma è bello avere qualcuno su cui fare affidamento in momenti come questo, e ora che sono sicuro che nessuno di loro due sia una spia, posso stare tranquillo.

ELLIE’S POV

Quando apro gli occhi, una luce bianca mi accieca e non riesco a capire dove mi trovo, l’unica cosa di cui sono consapevole è un lancinante dolore alla testa. Quando finalmente riesco a mettere a fuoco la stanza, realizzo di essere sdraiata e noto accanto a me una figura: si tratta di un ragazzo, bellissimo, con i capelli scuri che contrastano con gli occhi di ghiaccio e la mascella squadrata. Chiedo informazioni circa dove mi trovo e scopro di  essere in ospedale, il che ha senso, visti i dolori che mi stanno assalendo poco a poco. Chissà se questo giovane uomo è il mio fidanzato. Non perdo tempo e glielo chiedo, ma dalla sua faccia intuisco la risposta negativa e non solo: ha un’aria piuttosto confusa e non ne capisco il motivo. Suppongo di conoscerlo, anche se non riesco a ricordare il suo nome. Più mi arrovello e più il mal di testa si fa intenso, tanto che in poco tempo perdo i sensi, ancora.

Non riesco a restare sveglia per più di cinque minuti consecutivi, se non sono messa al tappeto dalla sofferenza fisica, ci pensano i farmaci a stordirmi a dovere. Ad intermittenza vedo delle figure dai bordi sfocati intorno a me e il mio udito riesce a captare dei suoni indistinti. Dopo un tempo che non riesco a quantificare (mi sembrano quasi anni anche se sono certa non sia così), sono in grado di spalancare gli occhi ed avere una visione quanto più nitida possibile di ciò che accade intorno a me. Posso sentire la flebo nel mio braccio e un dottore arriva ad accertarsi delle mie condizioni. Mi viene portato anche del cibo da un aspetto poco appetitoso, ma il mio stomaco brontola incessantemente e non posso fare a meno di mangiare tutto quello che ho nel piatto. “Signorina Wilson?” È una giovane infermiera a richiamarmi e quando la guardo, scrive qualcosa su una cartelletta trasparente. Probabilmente  deve riferire che riconosco quando vengo chiamata per nome. La mia mente in effetti è più sgombra dalla nebbia che la usurpava nei precedenti risvegli. “C’è qui la polizia che vorrebbe farle alcune domande, se la sente?” Polizia? Delle immagini mi balenano rapide in testa, fuggono e riesco a scorgerle solo di sfuggita, senza riuscire ad afferrarne neanche una. Ci sono degli uomini, una ragazza, una stanza piuttosto sfarzosa, ma non riesco ad unire questi elementi per dar loro un senso.
Ad interrompere la mia confusione, arriva un signore di mezza età che sono sicura di non aver mai visto prima. “Buongiorno Ellie, sono il commissario Wood” si presenta porgendomi la mano. “Buongiorno” gliela stringo, infonde sicurezza ed un certo carisma, sono certa che se non fosse per questa maledetta amnesia, sarei capace di rivelargli tutti i miei segreti, o quasi. “Sono qui per avere alcune informazioni…non temere, sono stato avvisato delle tue condizioni quindi se non sai rispondere o se ti senti troppo stanca, voglio che tu me lo dica”. Annuisco decisa e aspetto che continui. “Sai dove ti abbiamo trovata?” Improvvisamente scorgo delle pareti di legno marce, impolverate. “In una catapecchia”. “Sei sempre stata lì, o ti ci hanno portata più tardi rispetto al tuo rapimento?” Rapimento? “La seconda opzione” rispondo ricordando una stanza lussuosa. “Ricordi i volti dei tuoi aggressori?” “No”. Forse la mia voce arriva in tono troppo sbrigativo, ma al momento è ovvio che questo interrogatorio sia del tutto inutile, almeno finché la mia memoria non tornerà. “Un’ultima questione…normalmente, con chi abita?” Non mi aspettavo nulla del genere e per un momento resto basita in mezzo alle lenzuola bianche. “C-Come?” “Intendo la sua famiglia, ne ha una o vive da sola?” Ci penso per un momento e poi mi sembra quasi di sentire la risata di un bambino e non capisco se io la stia sognando o se effettivamente la senta anche il commissario. “Ho un figlio.” Subito dopo averlo affermato ad alta voce, sono perplessa da ciò che ho detto, ma il mio istinto mi dice che è così e non solo, sono anche in grado di rispondere “Alex” alla domanda “Qual è il suo nome”.

Mi lasciano sola per circa un paio d’ore dopo la visita della polizia. Mi ritrovo annoiata, ma per qualche strana ragione, sono, al tempo stesso, contenta di avere un po’ di pace. Bussano lievemente e poco dopo fa la sua comparsa il bellissimo ragazzo di qualche giorno fa. “Ehi Wilson” mi chiama per cognome come se fosse un’abitudine. “Ehi non fidanzato” rispondo a tono facendolo ridere. “Fai dell’umorismo eh? Significa che stai meglio” sembra sinceramente sollevato. “Si, più o meno. Tu sai dov’è Alex?” “È con il padre, stanno arrivando” il suo viso si rabbuia e non ne capisco il motivo. Sembra che si stia trattenendo dal dirmi qualcosa di importante. “Se c’è qualcosa che vuoi dirmi, fallo e basta.” “Solo…stai attenta” dice semplicemente questo ed esce rapidamente dalla stanza. Che tipo strano e che strana conversazione. “Ellie? C’è tuo figlio, posso farlo entrare?” “Certo” ed ecco che compare una nuova infermiera con in braccio un bambino paffuto dagli occhi azzurri, che non appena mi vede comincia a sgambettare come se volesse correre da me. So che è lui e anche se al momento non ricordo tutto quello che abbiamo vissuto insieme, so che lui è e sarà sempre la mia luce nel buio. Lo prendo in braccio e lo stringo forte, senza volerlo più lasciare andare e mentre sono seduta in un letto d’ospedale con il mio bambino che mi sorride, ricordo quando questa scena avvenne per la prima volta. Anche il quella situazione avevo provato un forte dolore fisico, che era poi stato spazzato via alla vista di quella piccola creatura. Non so se la mia memoria tornerà, non so cosa diamine stessi combinando prima di finire qui, ma so che Alex era in pericolo e farò di tutto per proteggerlo.
“Il padre vorrebbe entrare” sussurra la giovane donna di prima, imbarazzata e nolente di interrompere il momento magico che si è creato. Nessuno chiama quest’uomo “marito”, tutti lo etichettano solo come “padre”, sicuramente non siamo sposati e qualcosa mi dice che non stiamo neanche più insieme. “Prego Allen, entri pure”. Allen, questo nome mi risulta famigliare, ma probabilmente è solo perché è il papà di Alex. La prima cosa che noto è la netta somiglianza tra i due presenti nella stanza insieme a me, ma la seconda è che il giovane uomo che mi si para davanti con un mazzo di fiori, non è simile solo al bambino che tengo in braccio, ma anche ad uno dei miei aggressori, di cui ora ho finalmente chiari nella mente i lineamenti del viso.   


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Buongiorno! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia anche se è solamente un capitolo di passaggio, probabilmente è un po' noioso, am come ben sapete, assolutamente funzionale al proseguimento della storia. Fatemi sapere cosa ne pensate, baci.

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Capitolo 36
*** Alone ***


“Ellie, so che hai problemi di memoria, sai chi sono?” Il mio istinto mi suggerisce di mentirgli, di non dirgli che il suo volto mi ricorda uno dei miei aggressori. “Credo tu sia il padre di mio figlio” affermo con voce incerta. “Nient’altro?” Il suo tono non è un’accusa, sembra solamente una constatazione. Resto per un po’ in silenzio e durante questa pausa, un’idea monta nella testa. “Stiamo insieme?” Dalla sua risposta a questa domanda dipenderà lo sviluppo del mio piano. “Sì-sì, siamo tornati insieme da poco”, bravo Allen, cadi nella mia trappola; anche se ancora non ricordo con esattezza ciò che è successo, prima o poi tutto mi sarà più chiaro e ti ripagherò con la tua stessa moneta perché se c’è una cosa di cui sono certa, è che hai fatto soffrire me  e mio figlio, e non capiterà una seconda volta.

Per un paio di ore ho la possibilità di restare con la mia “famiglia”, Allen mi tratta apprensivamente e assume le vesti di un maritino preoccupato. Mi da il voltastomaco, ma faccio di tutto per essere accomodante nei suoi confronti. “I medici ti hanno detto quando potrò uscire?” gli domando mentre, seduto accanto a me, mi massaggia in cerchi concentrici la schiena: il suo tocco mi fa venire i brividi e non certo di piacere. “Tra un paio di giorni se gli ultimi esami saranno stabili” annuisco. “A proposito di questo…” lo vedo titubante e poso una mano sulla sua per spronarlo a continuare. “…non siamo ancora tornati a vivere insieme, quindi mentre stai guarendo non dovresti restare sola…” Non so cosa rispondergli: nonostante io abbia in mente un piano, non posso gettarmi a capofitto nella tana del lupo. “Veramente starò da lei io per un po’” una voce di ragazza irrompe nella stanza in un turbinio di tacchi e capelli scuri, porta un abito rosso fiammante e nonostante il suo aspetto possa sembrare quello di un cucciolo indifeso, la grinta nei suoi occhi da a pensare il contrario. “Scusi signorina, lei chi sarebbe?” “Jennifer, una cara amica di Ellie, siamo già d’accordo così” le reggo il gioco anche se la sua figura non mi è propriamente chiara. Allen sembra confuso, così mi do da fare per rassicurarlo. “Ehi, puoi venire a trovarmi ogni volta che vuoi” gli sorrido e gli lascio un bacio sulla guancia. L’espressione della donna è stupita, anche se fa in fretta a nasconderlo. “Ehm…sono qui con delle persone che vorrebbero vedere Ellie prima che l’orario delle visite finisca.” Convinco Allen a tornare a casa, il mal di testa sta tornando ed è faticoso fingere di pendere dalle sue labbra. A malincuore sono costretta a salutare anche il mio piccolo Alex, ma avviene un fatto curioso: mentre i due escono e lasciano entrare il mio non-fidanzato e un altro ragazzo, mio figlio si protende verso il primo: “Z-Zack…” lo sento mormorare mentre si allunga verso il ragazzo per poter essere preso in braccio da lui prima che Allen lo trascini sbrigativamente nel corridoio scatenando il suo pianto.

“So per certo di conoscervi e non so per quale motivo, ma di voi mi fido, ora potreste gentilmente dirmi chi siete?” Quello che ho compreso chiamarsi Zack, sembra scosso dalla scena di poco fa, così resta in disparte e non sono nemmeno sicura che abbia sentito la mia domanda, l’altro ragazzo invece sembra un poco imbarazzato e infine prende la parola Jennifer. “Io sono Jennifer, sono la segretaria della Evans Enterprises, l’azienda in cui lavori e di cui occhi di ghiaccio è a capo. Io e te siamo amiche anche se so che al momento non lo ricordi. Lui invece è…” “Gerald!” I tre mi guardano scioccati, dopodiché Jen e Zack scoppiano in una sonora risata. “Non ci posso credere, ti ricordi il mio imbarazzantissimo secondo nome?” Alzo le spalle sorridendo. “Matthew è il primo, giusto?” “Esatto!”.
Parliamo del più e del meno, finché i loro volti non diventano cupi. Finalmente Zack prende la parola: “Ellie, i dottori ci hanno detto che la tua memoria va semplicemente stimolata e non dovremmo raccontarti troppo noi, però ci sono delle cose che secondo noi dovresti assolutamente sapere. Jennifer mi ha spiegato come ti sei comportata con Allen ed ecco…lui…” sembra in difficoltà e nessuno dei nostri amici sembra essere in grado di aiutarlo. “È pericoloso” finisco io per lui. Mi osservano per un po’. “Come lo sai?” “Non ricordo molto, ma so per certo che lui è uno dei miei aggressori, c’erano altre persone insieme a lui, ma non vi so ancora dire chi fossero” “Dobbiamo dirlo alla polizia!” Esclama Jennifer preoccupata. “No, non ancora. Prima mi dovete raccontare quello che stava succedendo anteriormente al mio rapimento.” Il mio tono è categorico e non ammette repliche, così i tre si cimentano in un’ assurda narrazione di ciò che abbiamo combinato negli ultimi tempi. Tralasciano i dettagli, ma più li ascolto, più la mia testa inizia farmi male e i ricordi esplodono davanti ai miei occhi come fuochi d’artificio.
“Resto dell’idea che sia venuto il momento di parlare con la polizia” afferma Jennifer sicura. “No, non è il momento. Anche se arrestassero Allen, ci sono altre persone pericolose in giro e lui è l’unico che può condurci da loro”. “Quindi cosa pensi di fare?” Mi domanda Matt che si è fatto più vicino a Jen nel tentativo di tranquillizzarla. “Non ve lo posso dire”. “Cosa?” Zack perde la calma e mi guarda con gli occhi che lanciano fiamme. “Dovete fidarvi di me”. “Non se ne parla, l’ultima volta che hai fatto di testa tua guarda come è andata a finire!” E apre le braccia indicando la stanza in cui mi trovo. “Non farò nulla di pericoloso, ricomincerò a lavorare il prima possibile, così da passare più tempo in ufficio, ma dovrò avvicinarmi ad Allen se voglio le risposte che sto cercando.” “Avvicinarti in che senso?” Matt pone la domanda al posto del suo amico, troppo furioso per poter dar voce ai suoi pensieri. “Mi ha detto che stiamo insieme”. “Non è vero” afferma prontamente e rabbiosamente il mio capo, sembra…geloso? “Questo lo deciderò io” ribatto innervosendomi. “Okay, sai cosa ti dico? Io ho chiuso.” “Come?” Sono colta alla sprovvista dall’affermazione di Zack. “Hai capito benissimo, mi sono stufato. Ho un’azienda a cui pensare che mi da già abbastanza preoccupazioni, è ora di eliminare dalle mie attenzioni le cose futili” mi sento come se mi avessero appena dato uno schiaffo, il colore deve essere completamente scomparso dal mio viso e l’aria sembra essere stata prosciugata dai miei polmoni. “Zack…” Matt tenta di farlo ragionare. “No, niente Zack. Vuole fare di testa sua? Benissimo. Non voglio più saperne nulla di questa storia e voi due-“ indica i ragazzi con noi nella stanza. “Fareste meglio a darmi retta e lasciarla con i suoi piani suicida”. Detto questo, se ne va sbattendo la porta.
Nessuno osa fiatare e io non ho la forza per farlo. Le sue parole mi hanno fatto arrabbiare, ma quando il mal di testa si accentua e non mi permette di restare arrabbiata a lungo, capisco che ha ragione. Ho messo tutti in pericolo per poi fare comunque di testa mia, li ho fatti preoccupare e ora voglio di nuovo rischiare. Non meritano questo dopo tutto quello che hanno fatto per me. “Ellie…lui è solamente arrabbiato, dagli tempo e vedrai che-“ “No. Ha ragione, dovreste andare”. Li guardo e sembrano feriti dalle mie parole, ma un barlume di comprensione si fa strada nei loro occhi. “Davvero, sono molto stanca” annuiscono e senza neanche salutarmi, escono.

È una notte agitata la mia, i pensieri non mi danno tregua, la preoccupazione grava su di me con la forza di un macigno e i sensi di colpa mi attanagliano lo stomaco. Mi sento sola, terribilmente, proprio come quando sono arrivata a New York: ricordo bene questa sensazione perché è così dolorosa da essere indimenticabile. Nonostante il mio animo sia determinato, mi manca qualcosa e so che troverò questo “qualcosa”, solo quando tutta questa storia sarà giunta al capolinea.
Per la prima volta da tempo, piango. Calde lacrime salate solcano le mie gote e i singhiozzi scuotono il mio corpo. Ancora una volta dovrò contare solo ed esclusivamente su me stessa.

Negli ultimi due giorni passati in ospedale, solo Jennifer e Allen sono venuti a farmi visita, la prima portandomi i saluti di Matt e stando attenta a non nominare mai il capo. Nonostante il modo in cui l’ho trattata, verrà comunque a casa mia poiché non ha alcuna intenzione di lasciarmi sola in queste condizioni e devo ammettere che gliene sono grata. “Come sta Zack?” le chiedo coraggiosamente mentre siamo in macchina. “Sta…bene, credo. In realtà non lo si vede molto in giro, è preso con gli affari. Matt mi ha detto che sta stringendo nuovi accordi per una fusione o qualcosa del genere.” “Capisco…” “Non credo volesse dire davvero quelle cose” afferma in tono pacato. “Secondo me sì invece.” “Ellie…” “non sono arrabbiata con lui, sul serio. Lo ero all’inizio, ma ora non più. Lo capisco, me ne sono andata di punto in bianco e ho approfittato della sua generosità lasciandogli Alex, mentre io gli rubavo la macchina. Nonostante questo si è anche dato da fare per trovarmi…sono io quella dalla parte del torto”. “Credo si sia sentito ferito” “lo credo anche io, prima o poi mi scuserò. Anzi, sarà la prima cosa che farò quando tornerò al lavoro”. È una decisione che prendo adesso, senza averci troppo meditato, ma sono sicura che sia la cosa giusta da fare.




-N/A-
Buongiorno ragazze! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia anche se è solo un capitolo di passaggio. Vi prometto che il prossimo sarà più appassionanate. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando. Baci <3

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Capitolo 37
*** Help ***


Finalmente posso tornare al lavoro: mi stavo annoiando a trascinare il mio corpo per tutto il giorno dal letto al divano e viceversa, senza contare che sono contenta che Alex non mi debba più vedere così affaticata. Non posso dire di essere al massimo delle forza, ma sto decisamente meglio e restare seduta in ufficio non peggiorerà di certo le mie condizioni di salute. Matt mi ha detto che avevo una babysitter, ma dato che non ricordo il suo nome e quindi non riuscirei nemmeno a chiamarla, si offre lui come volontario per curare il bambino. Lui e Jennifer mi sono stati davvero d’aiuto in questo ultimo periodo, si sono presi cura di me e di mio figlio in tutti i modi possibili; per quanto riguarda Zack, non si è più fatto sentire dopo la nostra discussione. Mi è stato riferito che, come era prevedibile, si è gettato a capofitto sul lavoro a causa degli affari in arretrato che aveva dopo essere partito per Montpelier. Nei miei buoni propositi di oggi, il primo è quello di affrontarlo, e se non ha un momento libero per me per colpa dei suoi impegni, farò in modo che lo trovi.

Il mastodontico edificio sede della Evans Enterprise mi è famigliare e davanti ad esso mi sento così piccola, da essere attraversata da un moto di nervosismo e tutta la sicurezza che mi poggiava sulle spalle come un mantello quando sono uscita di casa, si è tramutata in panico, che grava su di me come un macigno. Faccio un profondo respiro e mi decido ad entrare. Vengo subito accolta da Jennifer, impeccabile nel suo tubino, che mi si avvicina con foga: “Ellie! Bentornata” mi prende a braccetto per accompagnarmi nel mio ufficio di cui ovviamente non ricordo la posizione. In ascensore, si premura di rinfrescarmi la memoria per quanto riguarda le mie mansioni e mentre la ascolto diligentemente, poco a poco un po’ della nebbia che mi offusca la mente sembra diradarsi. Il mio ematoma sta scomparendo e come aveva detto il dottore, non ho danni permanenti di conseguenza tutto tornerà alla normalità con il tempo.

Lavoro per tutta la mattina su alcune scartoffie, anche se devo ammettere, pensavo avrei avuto più documenti da sistemare; ma d’altronde, essendo questa una delle più importanti aziende d’America, non si sarà lasciata fermare dall’assenza di una semplice impiegata, e qualcuno avrà svolto le mie occupazioni per me. Nonostante questo, sono felice che sia ora della pausa pranzo, perché il mio stomaco comincia a brontolare e le mie energie sembrano venire meno. La mia amica mi ha dato appuntamento in caffetteria, ci sono delle indicazioni e persone molto gentili qui a cui posso chiedere in caso di necessità; mentre passeggio per i lucidi corridoi, noto una ragazza che sorseggia un caffè, così mi avvicino per domandarle indicazioni riguardo il luogo in cui mi devo recare. “Ma guarda un po’ chi c’è, la smemorata” e scoppia a ridere con fare civettuolo. Possibile che tra tutte le persone “gentili” che potevo incontrare, abbia incrociato la via proprio di questa donna che apparentemente mi odia? “Scusa?” Non mi faccio intimorire, anche se questa mia condizione di smemorata, come ha detto lei, mi porta su un piano di inferiorità dal momento che lei è a conoscenza di qualcosa che a me al momento sfugge. “Non ti ricordi di me, naturalmente. Lascia che mi presenti, sono Jessica Thompson, la miglior impiegata di tutta l’azienda, ovvero ciò che tu non sarai mai” e ritorna a ridere in modo più sguaiato di prima. “Thompson, adesso basta schiamazzare!” Tuona una voce alle nostre spalle. La riconoscerei tra mille. Dal suo tono capisco che è arrabbiato e la mia teoria è confermata da ciò che vedo: incede verso di noi con passo svelto e deciso, come un generale che guida in battaglia i suoi uomini; il ciuffo moro è scompigliato segno che ci ha passato le mani più volte e infine i suoi occhi lanciano fiamme mentre squadra la ragazza accanto a me che ora si è fatta più piccola. “Zack” la osservo fare gli occhi dolci al ragazzo e mi viene il voltastomaco. “Sono il tuo capo, non ti rivolgere a me usando il mio nome” afferma freddo e lapidario. Jessica, umiliata, se ne va con i capo chino ignorandomi completamente. “Z-Zack…” tento, ora che siamo soli sarebbe un buon momento per parlare e scusarmi con lui. “Vale anche per te” dice e senza lasciarmi il tempo di ribattere, scompare nel corridoio così come è arrivato. Resto impietrita per il suo comportamento. È arrabbiato per la nostra discussione e ne ha tutte le ragioni, ma siamo al lavoro e dovrebbe mettere da parte la vita privata anziché trattare tutti in questo modo.
Aumento il passo per arrivare da Jennifer e poterle riferire l’accaduto, ma quando riesco finalmente a trovare la caffetteria, della mia amica non c’è traccia. Chiedo ad alcune persone se l’hanno vista, e dopo numerose indagini a vuoto, trovo un’anima buona, la quale mi spiega che Jen è dovuta andare rapidamente nell’ufficio del capo per qualche ragione sconosciuta. Così, dopo un primo attimo di titubanza, prendo la coraggiosa decisione di raggiungerla, nella speranza di incontrarla in corridoio e non dover arrivare davanti allo studio di Zack. Ma la buona sorte, ultimamente non è dalla mia parte, di conseguenza, mi ritrovo costretta a passeggiare avanti e indietro nelle vicinanze dell’ufficio del capo, aspettando che la mia amica esca dalla porta.

Sono a una certa distanza, per evitare che le persone che mi vedono si facciano strane idee, ma dopo una decina buona di minuti passati a muovermi ininterrottamente, mi convinco ad avanzare e mi accorgo di un particolare che fino ad ora mi era sfuggito: la porta è socchiusa. Non dovrei farlo, ma mi avvicino sempre più ad essa per capire cosa stia accadendo all’interno dell’ufficio. “Potresti, per cinque minuti, smettere di comportarti come un bambino?” Il tono confidenziale di Jennifer mi lascia interdetta. “Non faccio il bambino, sono solo nervoso” sbuffa il ragazzo. “Jessica stava piangendo, e per quanto la cosa non mi dispiaccia troppo, non puoi trattare male chiunque solo perché sei arrabbiato con lei”. “Allora, anziché fare la paternale a me, perché non parli con la tua grande amica e non cerchi di farla ragionare?” Ora la sua voce è un po’ più alta di prima. “Cosa credi? Che non ci abbia già provato? Sono preoccupata e trovo che il suo piano sia assurdo, ma sai benissimo com’è fatta!” Non sento più nulla per un po’ e devo ammettere che questa conversazione mi ha destabilizzata. "Lo so” afferma improvvisamente Zack. “Come?” “Lo so, diamine, lo so. È solo che…” sto trattenendo il respiro e non ne capisco nemmeno io il motivo e qualcosa mi dice che anche Jennifer è nella mia stessa condizione. “…non voglio che le succeda qualcosa di male.” Ora mi sento ancora più in colpa per come lo trattai quel giorno in ospedale: nonostante il mio comportamento, lui è ancora preoccupato per me.

Devo parlare il prima possibile con lui per risolvere questa questione, così, presa dall’adrenalina che scorre in tutto il mio corpo, busso alla porta. Attendo il permesso per entrare che non tarda a arrivare. “Wilson, sono impegnato adesso” e accenna verso Jennifer. “Devo parlarti, urgentemente” lo guardo dritto negli occhi ignorando la presenza della terza persona nella stanza. “Me ne vado, noi abbiamo finito” afferma quest’ultima. “Lo decido io quando abbiamo finito” Zack batte un pugno sul tavolo e Jennifer alle mie spalle, deve avergli lanciato un’occhiata di fuoco perché il capo si rimette al suo posto. Sento la porta chiudersi alle mie spalle, ma nessuno dei due accenna a parlare. “Allora? Sto aspettando, non era urgente?” Il suo modo di fare mi fa venir voglia di prenderlo a schiaffi, ma poi mi ricompongo e cerco di restare tranquilla. “Io volevo scusarmi con te”. La sua posa noncurante di poco fa, si tramuta in una molto attenta e sbalordita; evidentemente non si aspettava nulla di tutto ciò. “In ospedale…avevi ragione e sono perfettamente consapevole che la mia idea è pericolosa”. Sembra addolcirsi e si alza facendo il giro della scrivania per avvicinarsi a me. È così vicino che riesco a scorgere le diverse sfumature dei suoi occhi e il suo profumo mi circonda come se mi stesse abbracciando. “Quindi hai cambiato idea?” Il suo tono non è più nervoso, ma calmo e accomodante. Non so in che modo o con quale forza io possa far uscire le parole dalla mia bocca, ma quando lo faccio, lui si allontana di poco. “No.” Come se fosse un normale riflesso, al suo allontanarsi io mi avvicino. Gli poso una mano sul braccio e continuo: “Ascoltami, so che questa storia non ti va giù, ma io devo farlo perché per quanto io non abbia alcuna intenzione di rischiare la vita,  devo proteggerne un’altra ben più importante della mia”. “Io capisco che tu faccia tutto per il bene di Alex, ma vorrei davvero che tu ti fermassi a pensare… magari esiste davvero un altro modo, magari non c’è bisogno che tu ti metta in pericolo.” Afferma in tono quasi supplichevole. “No Zack, lo so io e lo sai anche tu che questa è l’unica soluzione”. “Allora lascia che io ti, anzi vi, aiuti”, ora sono io a retrocedere. “Non mi devi nulla, e non devi nulla neanche ad Alex, hai già fatto più di quanto ti si potesse chiedere”. “È vero, ma io l’ho fatto perché era ciò che volevo ed è ciò che voglio anche adesso.” Restiamo in silenzio a guardarci per un tempo che sembra infinito. La mia testa pulsa veloce, ma il mio cuore ancora di più. Non so come siamo arrivati a questo; sono stata così presa da tutto questo casino ultimamente, che non mi sono resa conto di ciò che accadeva intorno a me. Non ho ascoltato i miei sentimenti e le mie emozioni e non ho dato la possibilità a me stessa di capire quanto io e Zack fossimo realmente vicini. E solo ora me ne accorgo. Senza sapere fino in fondo che cosa stia accadendo dentro di me e tra di noi, ma con la consapevolezza che un sottile, ma indistruttibile filo ci leghi. “Mi permetterai di aiutarti?” E mi porge la mano, in un gesto semplice e dolce.      


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Buonasera ragazze! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia, vi prego di farmi sapere cosa ne pensate. Nel frattempo vi ringrazio per tutte le visualizzazioni, le recensioni e per aver aggiunto la storia ai preferiti/seguiti. Baci <3

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Capitolo 38
*** No trace ***


“Ti permetterò di aiutarmi…ad una condizione” rompo il momento armonico e quasi romantico che si era creato, anche se la mia mano, da poco nella sua, non ha alcuna intenzione di sciogliere la stretta. “Sono tutto a orecchi” afferma appoggiandosi alla scrivania dietro di lui e fissandomi intensamente. “Questa volta le regole del gioco le decido io”. “La terrò d’occhio signorina Wilson”. Mi fa l’occhiolino e mi lascia tornare alle mie mansioni.
Non ho parole per descrivere esattamente come me mi sento in questo momento. Sono felice, forse è un po’ riassuntivo, ma coincide con i fuochi d’artificio che stanno scoppiando nella mia testa e nel mio petto. Mi sento anche leggera come non succedeva da tempo; sembra quasi che io possa aprire le ali e spiccare il volo da un momento all’altro. Risolvere con Zack era molto più importante di quanto pensassi e anche se il pericolo non è ancora definitivamente scampato, una nuova speranza si insidia in me.
“Ellie!” Jennifer corre verso di me picchiettando i tacchi a spillo sul pavimento lucido. “Ehi Jen” la saluto. “Ti trovo raggiante, hai risolto con Zack?” Ammicca e non posso fare a meno di scoppiare a ridere. “Si, ma non nel modo in cui pensi tu” la fermo subito quando il suo sguardo si fa sempre più accattivante. “Ooh andiamo, quando vi deciderete a concludere qualcosa voi due?” La guardo senza capire. “E non fare la finta tonta con me, si vede lontano un chilometro che vi piacete” mi sento a disagio, così decido di spostare l’attenzione su di lei. “E tu e Matt invece?” Le sue gote si colorano di rosso all’istante e la vedo impacciata come non l’avevo mai vista prima. “E-Ecco…a proposito di questo…lui…mi ha chiesto di uscire questa sera….” “COSA?” “Shh…non urlare” mi prende il braccio e mi trascina nel mio ufficio, lontano da occhi e orecchie indiscreti. “Matt finalmente ti invita fuori e tu me lo dici così? Non sei contenta?” “Certo che lo sono!” Grida esaltata, per poi darsi un contegno. “Cioè, volevo dire…ovviamente sono felice, ma sono nervosa” “Tu nervosa per un’uscita? Davvero?” La guardo scettica. “Devi aiutarmi a decidere cosa indossare” parla molto velocemente e non sta ferma neanche un secondo. “E stai anche chiedendo a me consigli di moda? Hai la febbre per caso?” “Ellie! Smettila di scherzare! Ho bisogno del tuo aiuto” afferma istericamente portandosi le mani tra i capelli. “Va bene, va bene, manteniamo la calma. Siediti” la faccio accomodare e le poso una mano sulla spalla. “Veni da me subito dopo il lavoro, porta i vestiti più belli che hai e decideremo insieme” finalmente riesco a tranquillizzarla e entrambe possiamo tornare al nostro lavoro.

Tra poco potrò andare a casa e devo ammettere che come primo giorno dopo la mia assenza, è stato piuttosto movimentato. Mi sono sciolta i capelli e ci ho passato le mani parecchie volte, stanca per aver perso l’abitudine ad un’intera giornata lavorativa. Bussano alla porta e non mi premuro nemmeno di darmi una sistemata pensando che sia la mia amica. “Avanti”. “Mi sembrava di aver lasciato detto di non affaticarti con le scartoffie” afferma una voce lievemente roca e profonda. Sobbalzo sulla sedia girevole e cerco di darmi una sistemata. “Z-Zack cosa ci fai qui?” Mi liscio le pieghe del tubino e decido di restare seduta, così che la scrivania possa offrirmi una sorta di riparo dallo sguardo del capo. “Sono venuto a controllare se avevi finito e ho pensato che stasera potremmo vederci per discutere di… tu sai cosa, se non sei troppo stanca” si affretta ad aggiungere notando il mio viso sciupato. “Oh…beh, va bene…solo, ecco io devo aiutare Jennifer a fare…una cosa, quindi…” non so se posso dirgli dell’appuntamento dei nostri amici, quindi preferisco restare vaga. “Non c’è problema, vuoi mangiare fuori?” “NO!” Mi guarda stranito e subito faccio in modo di rimediare alla figuraccia che ho fatto. “Volevo dire…preferirei di no, sarebbe meglio qualcosa di più tranquillo…magari un ambiente in cui posso restare più….comoda”. “Quei tacchi ti stanno uccidendo dopo essere stata per un paio di settimana praticamente scalza dal mattino alla sera?” Wow, ha capito. “Si, ti ringrazio”. “Lascia fare a me” gli sorrido e lo guardo uscire.

Mi ricordo improvvisamente di Alex e del fatto che se Matt dovrà andare a cena con Jennifer non potrà stare con il bambino: devo trovare una soluzione. Vorrei restare io con lui, ma non ho un vero e proprio appuntamento con Zack, dobbiamo discutere di un’importante questione. Esporrò il problema a Jen non appena arriverà, lei ha sempre idee brillanti.
Non appena arrivo a casa, Alex mi corre incontro e nonostante io sia ancora piuttosto dolorante, riesco a prenderlo in braccio all’istante. “Grazie Matt, ti devo un favore” “Ma figurati, è stato un piacere aiutarti e mi sono divertito a passare la giornata con questo ometto, ora devo andare” ammicca e io lo lascio con un cenno di assenso, conscia del suo incontro con la mia amica.
Quest’ultima arriva poco dopo che il ragazzo è uscito, ha con sé un’enorme borsa e quando la apre, un’esplosione di colori invade il mio letto su cui decidiamo di posare gli abiti. “Forse avresti dovuto fare una selezione più severa” la rimprovero. “Stai scherzando? Più severa di così! Ci ho messo una vita a scegliere tra i miei tesori. Ho dovuto abbandonare uno Chanel che mi stava implorando dall’armadio di non andarmene mentre uscivo di casa” la spingo in bagno ridendo, avvisandola di farsi una bella doccia calda per distendere i nervi, dopodiché inizio ad analizzare minuziosamente ogni capo d’abbigliamento che mi passa tra le mani. Sono tutti strepitosi e mi rendo conto che forse la ragazza, seppur esagerata, non abbia avuto tutti i torti nell’affermare che sia stato difficile scegliere. Alla fine, ecco il prescelto: nonostante non sia un abito lungo, è molto elegante e sono sicura sia perfetto per una prima cena; è senza spalline e la parte più alta riporta delle decorazioni dorate che si abbineranno perfettamente alle scarpe oro, il resto è un morbido tessuto nero, più stretto nel punto vita che ricade poi in modo ampio sulle gambe.
Jennifer spunta dal bagno con un turbante in testa e solo un accappatoio a coprirla: “Ti prego, dimmi che sei riuscita a trovare quello giusto” sbuffa esasperata. “Confermo. Eccolo qui” glielo mostro e per un attimo mi osserva poco convinta. “Corto? Sei sicura? Non sarebbe meglio qualcosa di più coprente?” “Assolutamente no, sarebbe troppo pretenzioso, fidati di me” annuisce e quasi un’ora dopo è finalmente pronta. Nel frattempo le ho raccontato di Zack e del mio problemino di stasera. “A proposito di questo, mi sono scordata di dirti che qualche giorno fa ho trovato il numero di una certa Kim, se non ricordo male è la babysitter…perché non provi a chiamarla?” “Con così poco preavviso?” “Be…tentar non nuoce” “Hai ragione”. Telefono subito alla ragazza in questione e la sua voce suona dolce e famigliare. “Ellie! È un piacere sentirti, ho saputo dell’ospedale…stai bene?” Le racconto a grandi linee della mia temporanea perdita di memoria, dopodiché lei si rivela molto disponibile e accetta di venire qui all’istante.

Mentre aspetto, vengo avvisata dell’arrivo di Zack, così indosso delle meravigliose scarpe da ginnastica che al contrario dei tacchi, fanno rinascere i miei piedi e attendo che arrivi anche Kim. Come se l’avessi chiamata, bussano alla porta e quando la apro, davanti a me trovo una giovane donna dall’aria decisa che mi sorride raggiante. “Tu devi essere Kim, accomodati” ci abbracciamo e si avvicina subito ad Alex. “Io ora devo scappare, ti ringrazio davvero di cuore!” Saluto mio figlio e corro verso l’uscita del St. Regis. Non mi sono fermata tropo ad osservare la ragazza a causa della fretta, ma ho avuto una strana sensazione quando l’ho abbracciata.
Il clacson della macchina di Zack mi distoglie dai miei pensieri. “Buonasera” ci salutiamo e noto che lancia un’occhiata alla mia tuta grigia e alle mie Stan Smith bianche. “Te l’avevo detto che mi sarei vestita comoda” “E ci ho creduto, infatti ti sto portando nel mio appartamento e ho intenzione di ordinare una pizza da Giovanni, la pizzeria italiana più buona di tutto il quartiere”. Rido di gusto e il mio stomaco brontola a sentir nominare il mio cibo preferito.

L’appartamento di Zack è meraviglioso, si trova in un attico ed i temi sono simili a quelli del St. Regis. Resto in sala e mia accomodo sul divano nero in pelle. “Cosa bevi?” “Se hai della Coca Cola sarebbe perfetto, le medicine che sto prendendo non mi permettono di bere alcol” “E Coca Cola sia, a lei Madame” e mi porge un bicchiere contenete il frizzante liquido scuro, poco dopo la cena arriva e ci accomodiamo sul tavolino basso davanti al sofà. Mi sembra incredibile essere a casa del mio capo, sempre così rigido e professionale, seduti a terra sul tappeto persiano a mangiare pizza da un cartone e sorseggiando Coca Cola. “Non ti facevo un tipo così spartano” affermo di punto in bianco. “Non hai idea di cosa facciamo io e Matt il sabato sera” ammicca. “Oh non fare quella faccia, non voglio sapere quello che fate” affermo immaginando i peggiori scenari. Ride rumorosamente e io non posso fare a meno di seguirlo. “Forse sarebbe ora di parlare di questioni importanti”. “Non vuoi la torta al cioccolato prima?” Mi osserva mentre butta i cartoni della cena. “Mi sta tentando Signor Evans?” “No, ti sto corrompendo con pizza e cioccolato per non farti fare sciocchezze” alzo gli occhi al cielo e attendo che porti il dolce. “È buonissima” parlo a bocca piena. “L’ho fatta io” “Non ci credo” “E invece dovresti” Lo osservo scettica a lungo finché non cede. “E va bene, l’ho comprata in pasticceria” “Fammi indovinare, la migliore del quartiere?” “Ovviamente.”

I toni spensierati vengono presto smorzati dalla questione che affligge entrambi. “Hai un piano?” “Diciamo che non è studiato nei minimi dettagli, però pensavo di dar corda ad Allen, ecco. Insomma, se lui pensa che io sia convinta che stiamo insieme, magari sarà più vulnerabile e potremo arrivare a capo di questa faccenda.” “Non mia piace molto la tua idea…” “A-a-a ricordi cosa avevamo detto?” “Le regole le fai tu…solo, non esagerare e stai attenta” afferma guardandomi intensamente, di nuovo. Mi ucciderà prima o poi con questi sguardi. “Agli ordini capo” scherzo. “Ehi, parlo sul serio…non dimentichiamo che pare che gli aggressori fossero più di uno” la sua frase mi riporta al rapimento e il mal di testa inizia a farsi strada mentre flashbacks sconnessi invadono la mia memoria. Vedo dei capelli lunghi e castani che non possono essere quelli di un uomo. “Ellie, va tutto bene?” La voce di Zack giunge ovattata alle mie orecchie e mi sforzo di ricordare anche i lineamenti della donna. Le tempie mi pulsano e stringo le palpebre così forte tra loro che mi pare di non poter scorgere mai più la luce. Poi ecco che i miei sforzi e il mio dolore danno i loro frutti: la figura femminile si gira e vedo una ragazza dal viso noto, così famigliare che mi sembra di averla vista molto di recente.
Spalanco gli occhi e trascino Zack verso la porta. “Portami a casa! Alex è in pericolo!” Non se lo fa ripetere due volte e mi sorregge mentre arriviamo alla macchina, dove chiamo immediatamente la polizia mentre il ragazzo accanto a me non si preoccupa minimamente di stop e semafori. “911, qual è l’emergenza?” “Mio figlio è in pericolo, si trova al St. Regis” “Manderemo subito la polizia”.  
Arriviamo prima di loro ed io mi fiondo in ascensore seguita da Zack. Devo avere il panico negli occhi perché fa di tutto per tranquillizzarmi anche se con scarsi risultati. Appena usciamo, sento il lontananza le sirene degli agenti e spalanco la porta del mio appartamento. “ALEX?! ALEX?!” Io e Zack ci muoviamo in ogni stanza, ma nulla, di mio figlio e della babysitter, non c’è più alcuna traccia.




-N/A-
Buonasera ragazze! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia, c'è un nuovo colpo di scena quindi fatemi sapere cosa ne pensate e soprattutto, vi chiederei di essere più attive, vorrei davvero capire cosa ne pensate della storia :) un bacio.

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Capitolo 39
*** Waiting ***


ZACK’S POV
Aspetto la polizia mentre Ellie continua imperterrita ad urlare il nome del figlio. Sono sicuro che ormai abbia realizzato che lui non è qui, ma il suo istinto materno non le permette di ragionare lucidamente. Sono sempre stato abituato a mantenere la mente fredda in ogni situazione, ma ora, aspettando di udire le sirene, non posso fare a meno di pensare a quel piccolo, dolce bambino che in poco tempo mi ha fatto capire cosa significhi prendersi cura di qualcuno che non fosse me stesso; e il panico inizia a diffondersi anche in me: la voce della donna giunge ovattata alle mie orecchie e solo dopo poco mi rendo conto che ha smesso di gridare e si è accasciata al suolo in lacrime. Senza avere coscienza di ciò che accade intorno a me, mi avvicino a lei e la stringo per quanto il mio intontimento mi conceda. Poco dopo la porta si spalanca e il commissario entra a pistole spiegate insieme ad altri agenti, cerco di spiegare l’accaduto, ma solo Ellie ha capito fino in fondo cosa c’è sotto a questo rapimento. Veniamo scortati in centrale e per tutto il tragitto Ellie resta appoggiata a me piangendo silenziosamente, almeno finché il commissario non decide che è ora di parlare: “So che è molto scossa signorina Wilson, ma più aspettiamo, meno possibilità avremo di trovare suo figlio e catturare chi l’ha rapito”. Capisco benissimo ciò che dice e so che ha ragione, così provo a far ragionare Ellie, la quale non fa altro che piangere e fissare il vuoto sotto shock. “Ehi” prendo il suo viso perché mi guardi negli occhi, “ascolta, so che è difficile e so che hai paura, ma ho bisogno che tu dica tutto quello che sai, adesso” la supplico, ma sembra che non riesca a sentirmi. “Coraggio Ellie! Devi farti forza e devi farlo per Alex” la scuoto, ma nulla.
“Signor Evans” sposto la mia attenzione sull’agente che ho davanti “Ci serve la descrizione del bambino, può fornircela lei?” Annuisco e lanciando un ultimo sguardo ad Ellie, seguo il poliziotto nella sala accanto.

“Zack, l’identikit della babysitter può fornircelo solo la Wilson, e tu lo sai.” Il commissario mi osserva in attesa. “Le ho già parlato, e sono sicuro che lo sa benissimo anche da sola, ma è molto scossa” sbuffo rassegnato. “Ho già mandato delle squadre di ricerca per il piccolo, ma finché non ho in mano qualcosa di più, temo che non servirà a molto.” “La ringrazio commissario Wood” gli stringo la mano e apro la porta, con l’intento di tornare dalla mia dipendente, ma quando giungo a destinazione, la sedia su cui era seduta, è vuota. “Dove è la donna che era qui?” “Qualcuno l’ha vista?” “Avete visto dove è andata?” Ripongo le stesse domande a tutti coloro che mi vengono incontro e che mi trovano in questo stato di pazzia. “Evans! Cos’è questo trambusto?” Wood mi si avvicina e tutto tace. “Ellie è sparita” “Oh maledizione, trovatela!” Lancia un urlo degno di un capo qual è. “M-mi scusi signore…” una giovane donna in divisa, dagli occhi marroni e i capelli castani si avvicina, è persino più giovane di me e sembra spaventata. “Wright, che diavolo c’è?” Sbraita ancora lui. “L-la signorina Wilson è in bagno, l’ho appena accompagnata perché si è sentita poco bene”. All’udire queste parole, rilascio il respiro che stavo trattenendo senza neanche accorgermene. “Può portarmi da lei?” Le domando e l’agente non se lo fa ripetere due volte.
Quando arriviamo ai servizi, busso con enfasi alla porta finché la serratura non scatta e trovo Ellie seduta a terra. Mi guarda, si asciuga il viso bagnato dalle lacrime con l’avambraccio: “Andiamo a salvare Alex”.

Non volevamo rovinare il primo appuntamento di Matt e Jennifer, ma non avvisarli di ciò che è successo non ci sembrava giusto, così telefono loro mentre Ellie fornisce alla polizia tutte le informazioni di cui hanno bisogno.
“Zack” mi giro a guardare la ragazza e alle sue spalle compare il commissario. “È ora di raccontare quello che sappiamo”. “Matt e Jennifer stanno arrivando” affermo, consapevole di ciò che accadrà a breve. “Iniziamo ad accomodarci di là”.
 
“E così avete impiantato un microchip nel cellulare di Allen” teniamo gli sguardi bassi come dei bambini colti dai genitori a rubare caramelle. “Zack, ti avevo esplicitamente chiesto se c’era qualcosa che dovevi dirmi e non l’hai fatto, questo è intralcio alla giustizia”, è notte fonda ed io sono stanco e devastato da questa giornata e  dalle precedenti, conosco la legge e non ho la forza di oppormi. “È colpa mia, gli ho chiesto io di farlo” interviene Ellie. “Il Signor Evans è un adulto, il fatto che sia stata lei a chiederglielo, non lo ha messo in una posizione di obbligo, a meno che lei non lo abbia ricattato, allora è un altro discorso; ma non credo proprio sia andata così.” Spiega sbrigativo Wood. “Oh andiamo commissario, era per una buona causa, non  potrebbe chiudere un occhio?” Sbuffa Matt. “Smith, non mi diverto a mettere i bastoni tra le ruote alle brave persone, so che avete fatto il tutto per salvare un bambino e la madre, ma si tratta comunque di intralcio alla giustizia e io non posso chiudere un occhio, come dice lei.” “Non può fare proprio nulla?” Domanda Jennifer dispiaciuta. Quando ha saputo di Alex, ha avuto un lieve mancamento, e non appena è arrivata qui, è corsa ad abbracciare Ellie così da farsi forza a vicenda. Wood mi osserva con attenzione e per un attimo è come se ci fossimo solo noi nella stanza. “Posso scagionare voi tre e posso fare in modo di avere una riduzione, ma Zack dovrà comunque prendersi la responsabilità delle sue azioni”.
Il silenzio ci ricopre come un mantello e la preoccupazione per Alex, lo rende pesante come un macigno. “Potete andare, Signorina Wilson, lei sarà informata appena scopriremo qualcosa. Per quanto riguarda gli altri, non voglio più sentirvi nominare in questo caso, sono stato abbastanza chiaro?” Annuiamo e lasciamo la centrale.

DUE SETTIMANE DOPO

Siamo tutti in azienda anche se ero disposto a concedere ai miei amici un periodo a casa, ma tutti abbiamo preferito tenerci impegnati. Ho saputo da Matt che Jen è andata a stare con Ellie per un po’così da tenerle compagnia. Non ci parliamo molto, anzi, non parlo praticamente mai con nessuno di loro e la cosa è molto strana. Scorgo Ellie da lontano a volte e ogni giorno che passa, il suo viso è sempre più sciupato, la luce nei suoi occhi sempre più spenta e le occhiaie sempre più marcate.
Ad ogni ora, le speranza di trovare Alex si affievoliscono e se sto soffrendo io, non posso neanche immaginare quanto lo stia facendo lei. Vorrei esserle più vicino, ma non ne sono in grado, non saprei cosa dirle, cosa fare per farla stare meglio; così la evito, come chiunque altro e resto chiuso nel mio ufficio a crogiolarmi nell’attesa snervante di qualcosa che spero accada il prima possibile.

Mentre metto in ordine alcune scartoffie, la porta dell’ufficio si spalanca e Matt fa il suo ingresso: “L’hanno trovato”.  



-N/A-
Buongiorno ragazze! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia anche se è solo di passaggio, il prossimo sarà più interessante, promesso. Baaci <3    

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Capitolo 40
*** Dad ***


ELLIE’S POV
Non ho alcuna intenzione di perdere la speranza anche se sono perfettamente consapevole delle occhiate che tutti mi rivolgono. Ogni singola persona che mi passa accanto, sembra provare compassione per me  ed è una cosa che non sopporto. Già una volta, in passato, sono stata costretta a sorbirmi la pietà altrui, non voglio che ricapiti. So per certo che Alex sta bene, se gli fosse successo qualcosa, me ne sarei accorta. Sembra assurdo e persino Jennifer, quando le ho fatto questo discorso, mi ha osservata con espressione stralunata. Forse solo una madre può capire fino in fondo: se tuo figlio sta bene, stai bene con lui, se soffre, soffri con lui.
In questi ultimi giorni mi sono isolata il più possibile da tutti, ho difficoltà a dormire, mangio poco e sono piuttosto nervosa. Gli individui intorno a me sembrano essersi schierati su due fronti avversi: da una parte ci sono coloro che mi danno amichevoli pacche sulle spalle quando mi incontrano per i corridoi dell’azienda e che non fanno altro che dirmi di farmi forza, che andrà tutto bene; e dall’altra, coloro che ormai dubitano del ritrovamento di Alex e, anche se in modo indiretto, mi fanno comprendere che dovrei smettere di illudermi. Pare che i due gruppi opposti stiano combattendo una guerra che in realtà non è loro, ma solo mia.
Vado in bagno a sciacquarmi il viso, con l’obiettivo di ritrovare la concentrazione che ultimamente scarseggia sempre di più. Sono sommersa di scartoffie, ma non è colpa di Zack, la verità è che non solo ho accettato di restare al lavoro, ma ho anche insistito perché ne avessi in abbondanza, così da non restare a casa a crogiolarmi nella disperazione. Per quanto riguarda Zack…non lo vedo più così tanto, mentre Jennifer e Matt cercano sempre di instaurare un qualche tipo di contatto con me e io li allontano, Zack non si degna di avvicinarsi, anzi, sembra proprio volermi evitare e non ne comprendo la ragione. Ma la verità è che io non sono nessuno per giudicare, la mia amica è venuta a stare da me apposta per non lasciarmi sola e per me ogni occasione è buona per non passare del tempo in casa con lei. Mi sento un mostro, anche se una parte di me sa perfettamente che in qualche modo questo mio comportamento è giustificabile. Quando troveremo Alex, perché so che succederà, e quando i suoi rapitori saranno dietro le sbarre, potrò finalmente tirare il fiato: tornerò a mangiare, dormire, ascolterò il racconto dell’appuntamento tra i miei amici e affronterò questa strana situazione creatasi tra me e Zack.

Quando torno in ufficio, mi accorgo che il mio telefono sta squillando prepotentemente, rompendo il silenzio creatosi nel resto dell’azienda. Mi affretto a rispondere al numero sconosciuto: “Pronto?” “Commissario Wood, abbiamo trovato suo figlio”. Non mi serve altro, maldestramente non chiedo neanche se sta bene o se davvero si trova in Centrale come penso, ma subito prendo le chiavi della macchina e mi faccio largo tra le poche persone nei corridoi. Quando passo davanti al bancone di Jennifer le urlo un: “L’hanno trovato!” con le lacrime agli occhi e il sorriso stampato in volto.
Sono sicura che mi arriverà a casa una multa per non aver rispettato neanche uno stop e per aver bruciato ogni limite di velocità, ma al momento non mi importa di niente e di nessuno, hanno trovato il mio piccolo e questa è l’unica cosa che conta.
Salgo gli scalini della centrale con passo spedito e maledico questi stupidi tacchi perché non mi permettono di correre. Mi scontro con alcuni agenti che inizialmente sono sicura vogliano insultarmi per la mia disattenzione, ma non appena scorgono il mio viso e comprendono chi sono, si affrettano a darmi indicazioni su dove trovare il Commissario. Sono grata a tutti loro per il duro lavoro di queste due settimane e quando Alex sarà di nuovo tra le mie braccia, vedrò di ringraziare tutti come meritano.
“Signorina Wilson” Wood mi accoglie con voce ferma e il mio entusiasmo si smorza a poco a poco quando mi rendo conto che l’uomo è solo nella stanza. “D-Dov’è?” Chiedo quando un moto di panico mi attraversa le viscere. È la polizia, se dicono che l’hanno trovato è per forza così. “Signorina, si sieda”. “NO. Finché non mi fate vedere mio figlio, non mi siederò da nessuna parte!” Sono perfettamente consapevole di sembrare una bambina viziata, ma spero che l’uomo davanti a me sia in qualche modo in grado di capire quello che sto passando. “Adesso non può vederlo, prima dobbiamo parlare.” Il suo tono è fermo, trasudante di una nota di severità, ma al tempo stesso non risulta cattivo o offensivo. Lo guardo con attenzione e mi accorgo dei suoi occhi stacchi, delle borse sotto agli occhi e della barba sfatta che cresce indisturbata sul suo mento. E allora capisco. Capisco che se ora Alex è al sicuro è merito suo e dei suoi uomini, capisco che non sono l’unica a non aver mai perso le speranze e capisco che per quanto una persona possa sembrare burbera e scostante, può rivelare un cuore d’oro. “Mi dica solo dove si trova e se sta bene” la mia voce ora è pacata e bassa, sono solo una madre esausta e preoccupata. “È in ospedale per fare dei controlli, ho mandato con lui degli agenti perché tenessero tutto sotto controllo”. Annuisco cercando di tranquillizzarmi e mi siedo. “Mi dica cosa è successo, la ascolto”.

“Non voglio farti perdere tempo spiegandoti per filo e per segno come si sono svolte le indagini anche perché si tratta di informazioni confidenziali, ma ritengo che abbiamo avuto la possibilità di trovare Alex perché qualcuno ci ha in qualche modo aiutati.” Sarà per l’euforia nel sapere che mio figlio sta bene o per la stanchezza che mi trascino sulle spalle da settimane, ma non riesco a seguire il discorso del Commissario. “Potrebbe essere più chiaro?” “Ecco…abbiamo indagato a lungo e abbiamo utilizzato attrezzature sofisticate, per non parlare degli agenti specializzati che abbiamo messo in campo, ma per ben due settimane nulla, nessuna traccia. Poi, improvvisamente abbiamo recepito dei segnali e tramite intercettazioni abbiamo trovato il suo bambino che però non era solo.” “Kim?” “No, suo padre.” La mia memoria che sta tornando molto lentamente, mi permette di identificare Allen e a babysitter come aggressori, ma non Garrett. “Quest’ultimo vorrebbe parlare con lei, ora, se non se la sente, possiamo chiuderla qui, ma ci sarebbe molto utile nelle indagini. L’aver trovato Alex non esclude il fatto che ci siano dei rapitori ancora  a piede libero”. Annuisco capendo la situazione, ma prima di affrontare mio padre, ho bisogno di spiegare ai miei amici cosa sta succedendo, glielo devo. “Commissario, parlerò con Garrett, ma prima…so che lei mi ha esplicitamente detto che Evans e gli altri devono restare fuori dalla faccenda, ma sono molto preoccupati per Alex e per me…” “Ho capito, vado ad avvisare qualcuno perché vengano chiamati” si alza placidamente e un po’ mi sento in colpa per tutto quello che gli sto facendo rischiare. Appena apre la porta, due volti preoccupati si affacciano allo stipite e nonostante io non possa fare a meno di cercare Zack, sono contenta che Matt e Jen siano qui. Racconto loro freneticamente tutto ciò che è successo e sui loro volti vedo passare tutte le emozioni che poco fa hanno colpito anche me. “Dov’è Zack?” Domando facendomi coraggio, mi sento così stupida a preoccuparmi dopo che lui mi ha evitata per due settimane, ma non posso farne a meno. “Gli ho detto che avevano trovato Alex e ti assicuro che era davvero contento, stava per raggiungermi ma è stato fermato da uno dei soci, a quanto pare doveva discutere di qualcosa di molto importante. Mi ha detto di iniziare ad andare e che ci avrebbe raggiunti il prima possibile”.  Annuisco sperando che arrivi il prima possibile. “Signorina Wilson, se vuole seguirmi posso scortarla da Garrett Wilson”. Faccio un profondo respiro e rivolgo un ultimo sguardo ai miei amici, i quali riescono ad infondermi con un sorriso la sicurezza necessaria per poter parlare con l’uomo che mi sta aspettando.

Quest’ala del commissariato è piuttosto angusta e la presenza di Wood riesce in qualche modo a rassicurarmi. Ci sono alcune celle, ma ovviamente sono vuote dal momento che non ci troviamo in una prigione. Nell’ultima in fondo al corridoio c’è un uomo che appena ci sente arrivare, alza la testa. I capelli argentati sono in disordine e gli occhi azzurri che ricordano i miei in maniera impressionante sono di un colore spento, ma tradiscono una certa serenità. “Ellie”. Resto immobile ad osservare ogni suo dettagli e quando sento il mio nome pronunciato da lui, ogni ricordo che lo riguarda mi compare davanti agli occhi e mi sento come se il passato mi stesse prendendo a schiaffi tanto è il dolore che la sua immagine mi provoca. “Garrett” mi danno la possibilità di entrare nella cella, anche se mi accomodo il più lontano possibile da lui. Mi ricordo della nostra conversazione durante il rapimento. “Che diavolo hai in mente?” Lo aggredisco subito. “Nulla, volevo solo che mio nipote fosse al sicuro.” “Prima lo rapisci e poi lo riporti alla polizia? Non ha senso.” Ha un’aria afflitta e so che sta cercando di spiegarmi la situazione anche se vuole mantenere qualcosa segreto. “Non è stata mia l’idea di sequestrarlo. Quando ho preso atto di ciò che è accaduto mi sono subito vergognato di tutto quello che è successo”. “Quindi l’idea è stata di Kim o di Allen?” Interviene Wood. Guardo mio padre, il quale non sembra avere intenzione di rispondere. “Wilson, se non ci dice di chi è stata l’idea non avrà nessuna riduzione di pena” Il Commissario assume un tono minaccioso e i suoi occhi diventano infuocati. “Dove sono?” Tenta ancora una volta l’ufficiale. “Ellie…mi dispiace così tanto…” “Dicci dove sono!” “Allen sta partendo per l’Europa” sputa tutto d’un tratto. Wood manda subito una segnalazione dalla Centrale. “Kim è con lui?” “No…non lo so…” “Oh andiamo Wilson! Perché diavolo la sta proteggendo?” Lo guardo in attesa di una risposta che non accenna ad arrivare, anche se io la conosco di già, così rispondo al posto di mio padre. “Perché lei è sua figlia”.

Wood ha deciso che sarebbe stato meglio per tutti fare una pausa. Dopo la mia ammissione di consapevolezza, Garrett è scoppiato in un pianto a dirotto e neanche io ero troppo in vena di continuare la conversazione. “Abbiamo bisogno di maggiori informazioni” la Centrale pullula di agenti che si arrovellano per questo caso. Non mi è ancora permesso andare da Alex, ma la Wright ha chiamato poco fa per dire che il bambino si trova in pediatria e che sta bene. “Signori! C’è una cosa che dovreste vedere” uno degli agenti richiama la nostra attenzione e ci avviciniamo al suo computer. Esso mostra le riprese di una videocamera: mio padre con in braccio Alex sta discutendo con un uomo. “Joshua, ingrandiscigli il volto” il ragazzo non se lo fa ripetere due volte e quando il soggetto misterioso si volta verso la telecamera, io e Matt esclamiamo all’unisono: “Ma quello è Ross!” Il mio amico mi guarda spaesato e sento bruciare gli occhi degli altri presenti su di noi. La mia mente lavora in fretta e il panico mi assale quando realizzo un pensiero inquietante a cui do subito voce: “Zack è in pericolo”. 


- N/A -
Buonasera! Ecco il nuovo capitolo che, come promesso, è più interessante del precedente. Spero vi piaccia e mi raccomando, fatemi sapere <3 Inoltre vi avviso che c'è ancora posto nel gruppo Whatsapp <3 Baci.

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Capitolo 41
*** Hell ***


ZACK’S POV

Quando Matt è venuto ad avvisarmi del ritrovamento di Alex, il mio cuore si è riempito di una strana euforia mai provata prima. Avrei dato di tutto per correre subito in Centrale, ma il fato ha voluto che uno dei soci mi bloccasse proprio nel corridoio, nel bel mezzo della mia corsa. “Ross, non puoi dirmelo più tardi?” “Mi dispiace capo, ma è urgente!” Posso notare una nota di disgusto quando sottolinea il mio grado di superiorità rispetto a lui. I soci più anziani come Hamilton sono coloro dei quali mi sono sempre fidato maggiormente oltre a Matt: sono anziani e la loro lunga carriera ha acuito la loro esperienza. Nonostante questo, Ross ultimamente mi è parso strano e non più così affidabile, ma forse sarà semplicemente lo stress che invade ogni millimetro del mio corpo nelle ultime settimane. “Okay, avviso Smith che tarderò. Aspettami nel mio ufficio” “Potremmo incontrarci nel mio? Ho numerose scartoffie da mostrarle”. Acconsento e appena mi giro, alzo gli occhi al cielo. Questo è uno di quei momenti in cui vorrei essere un giovane uomo normale che si gode la vita e non il capo di una così prestigiosa azienda.
“Matt!” Lo raggiungo quando è già nel parcheggio e sulla sua macchina, seduta al posto del passeggero, c’è Jennifer fremente. “Mi dispiace ragazzi, ma temo che dovrete andare senza di me.” “Ehi amico, che succede?” Matt posa una mano sulla mia spalla comprensivo. “Ross ha detto  che c’è stato un problema urgente, vi raggiungerò il prima possibile”. “Vuoi che ti aspetti?” “Assolutamente no, Ellie avrà sicuramente bisogno di voi, andate.” Il ragazzo annuisce e monta al volante.
Li vedo sfrecciare via e un senso di vuoto si impadronisce di me.

“Allora Ross, cosa c’è di così importante? Ho un impegno.” “Un impegno? E sentiamo, lo ritiene più rimarchevole del possibile fallimento della sua azienda?” Sgrano gli occhi non capendo le sue parole. “Di cosa stai parlando?” “Ma come Zack, eri così preso dalla biondina e dal suo bambino che non ti sei nemmeno accorto che stavi naufragando?” Se non fossi un uomo sicuro delle mie capacità, in questo momento starei tremando di paura: il suo sguardo fa accapponare la pelle e la luce nei suoi occhi è perfidia pura. “Non ho idea di cosa tu stia dicendo. Ho controllato tutti i conti come sempre e ciò che faccio nella mia vita privata non è affar tuo”. “Sai, io ho sempre detto che non eri adatto al ruolo di capo… troppo giovane e ingenuo, troppo attaccato al divertimento…” forse inizio a capire dove vuole andare a parare. “Allora dimmi…chi sarebbe adatto a dirigere questo posto? Tu?” Domando in tono derisorio. Quando l’azienda è nata, mi era stato chiesto di nominare una sorta di vice e avrei dovuto sceglierlo tra i soci più anziani. Non sarei mai riuscito a scegliere il migliore di loro perché tutti sono sempre stati saggi ed abili nel loro lavoro, così decisi di creare una sorta di Consiglio in cui riunire tutti i membri più competenti e sotto forma di assemblea mi hanno aiutato a prendere le scelte più giuste. Senza di loro non sarei dove sono ora e il fatto che lui mi si stia rivoltando contro proprio adesso mi lascia perplesso. “Ovviamente”. “Non ho mai messo in dubbio la tua validità, Ross. E non mi sarei neanche mai permesso di farlo. Ciò non toglie che i tuoi colleghi siano preparati quanto te, quindi mi chiedo, su quali basi avrei dovuto scegliere te come mia spalla?” Spiego in modo professionale, mentre dentro di me inizia ad accrescere un senso di allerta scaturito dall’insinuarsi dell’idea di un possibile pericolo.
“Caro, piccolo e ingenuo Zack, non ho mai voluto essere la tua spalla” afferma sprezzante; “proprio non ci arrivi?” Ma certo che ci arrivo: “Se ti infastidisce così tanto il fatto che sia io ad avere in mano l’azienda, perché non ti sei opposto quando potevi?” Faccio una pausa per cogliere la sua espressione e poi continuo: “Non sono un tiranno, se non mi ritenevi idoneo ad una tale carica avresti dovuto esporre il problema al Consiglio”. “E credi che non l’abbia fatto?” Il suo tono di voce si altera e inizia a gridare. “Non hai idea di quante volte io abbia cercato di convincere tutti che non eri adatto a ricoprire questo ruolo, ma no…figuriamoci se quegli stolti aprono gli occhi!” “Senti Ross, possiamo trovare una soluzione, ne sono sicuro” stavo per sbottare, ma ho letto la follia nei suoi occhi e ho pensato che forse sarebbe stato meglio assumere un tono più accomodante per cercare di calmarlo. “Oh…ma io l’ho già trovata questa soluzione di cui parli” inizia a camminare per l’ufficio mentre io resto pietrificato sul posto. Odio ammetterlo, ma per una volta ho davvero paura: paura per la mia vita, paura di non rivedere più Matt, Ellie e Alex. È assurdo come questi ultimi siano così impressi nella mia mente proprio ora che ho il terribile presentimento che qualcosa di terribile stia per accadere. “E quale sarebbe?” Sento l’eco del mio cuore palpitare nelle orecchie, il sangue circolare bollente in tutto il mio corpo e il respiro accelerato come se avessi appena concluso una corsa, anche se temo che quest’ultima inizi proprio adesso.

Ross si avvicina alla scrivania mantenendo gli occhi puntati nei miei, io nel frattempo, mi avvicino furtivamente alla porta di ingresso al di là della quale non sento nulla. “Ah ah… Zack, la nostra conversazione non è ancora finita” guardo la sua mano e la mia che era quasi arrivata alla maniglia, resta immobile per poi cadere pesantemente lungo un fianco. Rimando giù della bile e sento gocce di sudore ghiacciato scendere lungo la colonna vertebrale. Lo guardo negli occhi nella speranza che essi possano spaventarmi meno rispetto a ciò che stringe nella mano, ma quando lo faccio, l’effetto sortito è l’esatto opposto: la camicia è ormai appiccicata al mio corpo e il mio respiro esce a fatica. “N-Non lo farai” cerco di mostrarmi il  più sicuro possibile. “Tu dici?” Non ho il tempo di rispondere perché la porta si apre di scatto, mostrando una giovane donna. “Zack ti ho visto venire qui e…” Jessica. Si blocca sul posto quando vede Ross, o per meglio dire, la pistola di Ross. Ma nessuno ha il tempo per dire o fare qualcosa perché succede tutto troppo in fretta. Un colpo fa tremare i vetri e un sussulto acuto riempie le mie orecchie. Sento qualcosa cadere pesantemente a terra e quando trovo il coraggio di spostare lo sguardo, vedo Jessica Thompson a terra: sulla camicetta fiorata si sta aprendo una grande macchia rossa, i capelli sono sparsi in morbide onde sul pavimento e le sue guance sono solcate da lacrime. In una frazione di secondo mi accascio accanto a lei sostenendole il capo. “Andrà tutto bene Jessica” cerco di farle forza e di mantenerla sveglia, ma dopo poco mi rendo conto di quanto i miei sforzi siano vani. Ha già perso troppo sangue e tentare di fermare l’emorragia è ormai inutile. I suoi occhi si chiudono e sento il peso del suo corpo completamente poggiato contro il mio. “PERCH È?!” Non mi controllo più e l’adrenalina scorre veloce al mio interno. “NON TI AVEVA FATTO NULLA DI MALE! MARCIRAI IN PRIGIONE PER QUESTO!” Lo minaccio, ma lui si limita a sorridere. “Oh no, Signor Evans, io non andrò dietro le sbarre” sul suo volto compare un sorriso raccapricciante e io lo guardo confuso. “Andrò direttamente all’inferno e tu verrai con me”.

ELLIE’S POV

Le macchine della polizia corrono veloci sulla strada con le sirene spiegate. Wood non voleva che noi andassimo con loro, ma non c’è stato verso di lasciarci in Centrale. Quando arriviamo all’azienda, le auto si fermano in maniera scomposta anche se poco dopo deduco che tutto questo sia tutt’altro che disordine, ma si tratta in realtà di una formazione ben precisa. Gli agenti scendono lasciando le portiere aperte e le armi sono puntate sull’ingresso principale della Evans Enterprise. “Restate qui dentro” ci ordina il commissario prima di uscire dalla vettura. Sono veramente molto preoccupata e i miei amici non sono da meno. Ho una pessima sensazione. L’azienda dovrebbe ormai essersi svuotata, ma la porta di ingresso è ancora aperta e ci sono le luci di alcuni uffici ancora accese segno che le donne delle pulizie stanno svolgendo le loro mansioni. C’è un silenzio surreale intorno a noi perché la zona è stata evacuata per ragioni di sicurezza anche se alcuni curiosi si ostinano ad avvicinarsi furtivamente. Wood dà l’ordine ad alcuni agenti di avvicinarsi all’entrata: l’idea è quella di fare irruzione in modo non troppo caotico. A poco a poco, i poliziotti iniziano ad entrare, dando l’ordine a coloro che li seguono che tutto è tranquillo. Un sospetto mi volteggia per la mente e il Commissario che è accanto alla portiera gli dà voce: “Qui è tutto troppo tranquillo”. E come se le suo parole avessero dato un via segreto, un boato infrange il silenzio della sera e il rosso vivo delle fiamme che si specchiano sui vetri in frantumi di quella che era la Evans Enterprise, illuminano il buio togliendo la scena alle meravigliose stelle che, inconsapevoli dell’inferno che brucia sotto di loro, continuano a brillare nel cielo.  




- N/A - 
Buongiorno ragazze! Ecco qua il nuovo capitolo che spero vi piaccia. Vorrei tanto che foste più attive per capire se la storia vi sta piacendo oppure no. Io scrivo molto di getto e spesso ho paura che il tutto possa risultare un po' assurdo o eccessivo, quindi mi farebbe davvero piacere sapere se va tutto bene o cosa ne pensate insomma <3 grazie di cuore per tutto, baci <3

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Capitolo 42
*** Restelessness and Hope ***


ELLIE’S POV
Pensavo di non riuscire a muovermi, né tantomeno a parlare talmente scioccata dal putiferio che si stava scatenando intorno a me, invece solo ora, a pochi minuti dall’esplosione, la gola inizia a bruciarmi e riprendo contatto con la realtà: non mi sto limitando a dire qualche parola, sto urlando a squarciagola il nome di Zack. Matt e Jen sono accanto a me e quest’ultima tenta di far forza a entrambi. Se io sono così sconvolta, non oso immaginare Matthew che conosce il capo da una vita e che sta letteralmente guardando andare in fumo tutto ciò per cui ha lavorato duramente. “Ragazzi state qui. È un ordine della polizia questo! Mi avete capito? Non muovetevi!” Wood è particolarmente teso, ma da professionista qual è, cerca di nasconderlo velocemente e si mette a dare comandi a destra e a manca, così da non diffondere il panico generale. Per una volta, facciamo come ci è stato detto e lo vediamo avvicinarsi all’ingresso dell’azienda, mentre in lontananza inizio a sentire le sirene dei vigili del fuoco. Distolgo lo sguardo dall’edificio in fiamme e mi guardo intorno: gli agenti che erano posizionati sulle prime file sono rimasti gravemente feriti e alcuni di loro non accennano a muoversi; nel loro settore il silenzio regna indisturbato, ma più ci si allontana, e conseguentemente ci si avvicina alle macchine e a quelli che erano considerati “i curiosi”, più il caos divampa in un tumulto di grida e pianti.

I pompieri arrivano in fretta e furia e organizzatissimi, si dispongono in diversi gruppi: alcuni sono incaricati di sedare l’incendio, altri si occupano dei feriti e altri ancora allontanano la folla che ora inizia a tossire per il fumo che si sta diffondendo nell’ambiente. La mia vista si annebbia e solo il rosso vivo delle fiamme cattura la mia attenzione. “Signori, vi devo chiedere di recarvi dietro al nastro, qui non è sicuro” un uomo in divisa si approccia a noi con fare comprensivo e pacato. Jen è l’unica che riesce a ringraziarlo con un sorriso e comincia a muoversi in direzione opposta rispetto alla Evans Enterprise. Questi uomini sono degli eroi e devono occuparsi di persone in grave pericolo, non voglio essere d’intralcio, così aiutata dalla mia amica, la seguo. Ad un certo punto però, ci areniamo e poco dopo ne capisco il motivo: Matt è immobile, sembra essere inchiodato al terreno e i suoi occhi del colore della cioccolata, non solo hanno perso i loro riflessi ambrati, ma anche tutta la vitalità di cui godevano fino a un’ora fa. La segretaria lascia la mia mano che aveva stretto fino adesso e si volta verso il ragazzo dandomi le spalle. “Matthew Gerald Smith, vieni con me. Subito.” Posa le mani sui fianchi e anche se non posso vederle il viso, sono sicura che abbia indosso un’espressione severa, ma al tempo stesso preoccupata; lui non accenna a guardarla. “Matt, coraggio. Stiamo dando fastidio qui, lascia che i vigili facciano il loro lavoro…” il suo tono si è addolcito e posa le dita minute sulla mascella del nostro amico. “Z-Zack…” farfuglia lui. Il cuore mi sprofonda nel petto all’udire quel nome e ancora di più nel vedere il viso sempre solare di Smith ridotto ad una smorfia sofferente. “Guardami-“ Jennifer ora prende con entrambe le mani le sue guance e lo fa voltare verso di sé. “-andrà tutto bene”. Ora i due si guardano profondamente negli occhi e in secondo dopo, Matt prende tra le braccia l’esile corpo della segretaria e lo stringe con forza. Nel compiere il gesto mi lancia uno sguardo e nelle sue iridi ritrovo un barlume di speranza. Annuisco e quando i due sciolgono l’abbraccio, ci rechiamo dove ci è stato chiesto.

Venti minuti dopo, siamo seduti sul retro di un’ambulanza: la folla è stata quasi interamente allontanata e le operazioni di salvataggio procedono senza sosta; da qui riesco a scorgere un gran via vai di medici e pompieri, ma per fortuna la mia visuale è piuttosto oscurata. Da quel che posso sporadicamente udire in modo chiaro, ci sono numerose vittime e soprattutto feriti gravi con ustioni. Mi sento inutile e più resto ferma qui, più la mia ansia sale: di Zack non abbiamo ancora avuto notizie e se la cosa fino a pochi minuti fa mi infastidiva, ora mi preoccupa solamente. Egoisticamente volevo che cercassero lui, che tirassero fuori il suo corpo dalle ceneri, mi dicevo che lui aveva la priorità perché per me è importante, ma poi ho compreso: tutti i presenti dentro e fuori dall’edificio sono importanti per qualcuno e se essere egoisti è nella natura dell’uomo, bisogna anche saper porgere una mano verso il prossimo e continuare a sperare.
Jennifer e Matt hanno le mani intrecciate  e seppur la mia amica abbia cercato un contatto fisico con me, l’ho rifiutato. Matthew ne ha più bisogno in questo momento, io so farmi forza da sola, anche se, più li guardo, più mi capacito di quanto sarebbe bello avere qualcuno che mi stringa a sé e che mi sussurri che andrà tutto bene.
Non riesco più a rimanere seduta, così mi alzo e inizio a camminare avanti e indietro con fare nervoso, ma nemmeno questo sembra dare un po’ di sollevo al mio tumulto interiore. Il nome di Zack continua ad apparire davanti ai miei occhi e mi sembra di impazzire quando, tra la miriade di volte sconosciuti e spaventati, vedo un uomo dall’aria famigliare e trafelata che si avvicina a grandi falcate. “Ragazzi, per ora di Zack nessuna notizia…ma stanno avanzando nell’edificio con una certa fatica, potrebbe volerci molto.” Annuncia Wood cercando di mantenere un tono pragmatico. “Commissario sono stanca di rimanere qui con le mani in mano, non c’è nulla che io possa fare per aiutare?” Una parte di me si sente in colpa perché è vero che voglio rendermi utile, ma al tempo stesso ho anche bisogno di distrarmi. L’uomo mi osserva per un po’ dubbioso, dopodiché mi indica un gruppetto di persone non molto lontane che sembrano essere molto agitate. “Necessitano di essere tranquillizzate. Ci sono altre donne sul perimetro della zona, come puoi notare tu stessa” osservo e noto che ha ragione. “Perché non se ne vanno come tutti gli altri?” Domanda ingenuamente Jennifer. “Sono parenti o amiche di alcuni impiegati della Evans, stanno aspettando di avere notizie e i pompieri non se la sono sentita di rispedirle a casa; ma vanno tenute a distanza e soprattutto calme” annuisco e mi prendo la responsabilità di tranquillizzare coloro che sono nella mia stessa situazione. Un po’ di empatia le farà stare sicuramente meglio. Lascio un ultimo cenno ai miei amici e mi allontano in direzione del nastro giallo che delimita la zona di sicurezza. Al di là di esso ci sono perlopiù donne di ogni età e sporadici uomini che le sostengono. Una signora anziana ha un fazzoletto tra le mani e le sue guance sono bagnate dalle lacrime, mi avvicino e le poso una mano sulla spalla: quando mi guarda, le sorrido con fare rassicurante. “Andrà tutto bene”. Tre semplici parole che racchiudono di tutto. Continuo a farle uscire dalla mia bocca nel tono più consolatorio e speranzoso che conosco; qualcuno mi guarda con indifferenza, altri sono ravvivati da un moto di speranza e altri ancora mi lanciano sguardi di scherno come a volermi dire: “È andato tutto a fuoco, è impossibile che qualcuno sia sopravvissuto”. E in ognuno di questi casi, nel profondo, mi abbatto o mi rafforzo. Scorgo una bambina con i codini seduta per terra accanto a quella che credo sia sua madre: più mi avvicino e più rimango colpita perché mentre la donna piange silenziosamente, la figlia le posa una mano sulla schiena e la accarezza. “Non piangere mamma, il papà sta bene”. Decido di tornare indietro e prendere un bicchiere d’acqua per entrambe e questa volta Jen e Matt mi seguono; quando arriviamo dalla coppia, loro si premuniscono di scortare la giovane madre verso l’ambulanza, mentre io mi occupo della bambina. “Ciao” mi guarda con due grandi occhi ambrati. “Ciao” rispondo e mi siedo accanto a lei. “Sei stata brava con la tua mamma” mi congratulo immediatamente colpita dalla forza d’animo di una creatura così piccola e apparentemente fragile. “Ho visto te che lo facevi con alcune signore”. “Impari in fretta! Ottimo lavoro” le faccio l’occhiolino. “Anche il tuo papà è nel fuoco?” “No, però c’è una persona a cui voglio bene” le sorrido e restiamo una accanto all’altra a lungo, senza dire nulla, semplicemente infondendoci coraggio a vicenda con la nostra presenza.

“Ellie!” La mia attenzione viene attirata da Hamilton che cerca di correre da me per quanto la sua età e il suo peso gli concedono. “State bene ragazzi?” Posa una mano sulla spalla di Matt con fare paterno, poi osserva me e Jennifer. Annuiamo, ma si accorge che qualcuno manca all’appello. “Zack?” Restiamo tutti zitti, incapaci di dare voce alle nostre più tragiche supposizioni. “Sono sicuro che lo troveranno” cerca di confortarci e probabilmente non solo noi, ma anche se stesso. “Alex? So che l’hanno ritrovato” Mi domanda. Matt mi ha confessato di avergli raccontato a grandi linee l’accaduto. “Sta bene, è in ospedale per degli accertamenti insieme a degli agenti. Anzi, vorrei proprio telefonare alla Wright, ma mi occorre il suo numero e il Commissario è molto impegnato al momento”. Per quanto sentissi la sfibrante necessità di sentire almeno qualche versetto di mio figlio, ho ritenuto che non fosse il momento. So che sta bene e che è al sicuro, per il momento mi basta.

Il conteggio di morti e feriti continua a salire ed io sento sempre di più gli occhi gonfi e pieni di lacrime per le povere persone che sono rimaste vittime di questo…incidente? No, sono sicura che non lo fosse. Ho sentito alcuni agenti dialogare tra loro e stavano dicendo che è una “fortuna” che l’incendio sia scoppiato in un orario in cui la maggior parte dei dipendenti aveva già terminato di lavorare; infatti molti di coloro stesi a terra sono poliziotti arrivati con noi. Hanno anche aggiunto che al momento non è possibile determinare la causa dell’esplosione perché la priorità sono le azioni di salvataggio e recupero. “Signorina Wilson, ho parlato con  il capo dei pompieri, ha detto che si stanno muovendo verso l’ultimo piano in cui ritengono che possa esserci ancora qualcuno da salvare, dopodiché…” non continua la frase, ma so cosa vuole dirmi: una volta sgomberato quel settore, le ricerche continueranno, ma le speranze di trovare qualcuno in vita saranno pressoché nulle.
Ora più che mai prego, prego per Zack e per coloro che potrebbero ancora avercela fatta, prego in un miracolo e prego affinché le mie speranze non siano state vane.
Alcuni agenti iniziano ad avvisare i famigliari presenti di recarsi con calma in ospedale, dove avverranno i dovuti riconoscimenti.
Una donna minuta, ma dall’aria severa inizia a chiamare per nome alcune vittime che prima di perdere conoscenza sono riuscite a dare il loro nominativo. Di Zack nemmeno l’ombra. Ad ogni nome e cognome che viene pronunciato, un brivido mi percorre la schiena e quando giunge la fine della lista e il perimetro è sempre più sgombro, mi ritrovo a tremare.
 
Quasi mezz’ora dopo, i pompieri escono dall’edificio trasportando un ultimo corpo ridotto piuttosto male: Jessica. Corro verso di loro e mi avvicino alla ragazza e quando realizzo che non respira, cado in ginocchio piangendo. Tutto questo è troppo: non ci siamo mai sopportate, ma vedere qualcuno che conoscevo, mi fa realizzare cosa davvero sta accadendo intorno a me. “Zack! Dov’è Zack!” Urlo disperata e sento alcune mani che cercano di confortarmi o di farmi alzare. Le voci sono confuse come tutto il resto intorno a me: sento che sto perdendo sempre più contatto con la realtà. “Ehi, ehi! Riprenditi, non svenire, coraggio”. Nessuna parola ha più importanza…o forse...

-N/A-
Buongiorno! Ecco il nuovo capitolo che, come forse avrete intuito, è un un capitolo di passaggio. Spero di non avervi annoiato, ma sapete che queste parti sono assolutamente fondamentali per il proseguimento della storia! Fatemi sapere cosa ne pensate, baci e buona domenica <3    

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Capitolo 43
*** Black ***


DUE MESI DOPO

ELLIE’S POV

Osservo con attenzione il mio riflesso nello specchio, parto dal basso dove le decolleté nere fasciano perfettamente i miei piedi che già so saranno distrutti a fine giornata; poi salgo lentamente, le calze rigorosamente nere e l’abito non troppo corto e piuttosto largo fanno sembrare il mio corpo ancora più scarno di quanto non sia diventato ultimamente. Prima di giungere al viso, distolgo lo sguardo, non voglio vedere i miei occhi, le mie guance, le mie labbra. Jennifer mi ha sistemato i capelli in modo impeccabile e mi fido anche senza il bisogno di assicurarmene. Come se si fosse sentita chiamata in causa, eccola che compare sulla soglia della mia camera. “Ehi! Sei pronta?” Sorride ed il suo è un sorriso lieve, appena accennato, ma pur sempre sincero. “Sì, prendo la borsa e ci sono. Matt è già arrivato?” Quando nomino il nostro amico, Jen si rabbuia. “È giù di sotto ad aspettarci”, “Sta bene?” Domando con voce fioca. “Tira avanti, come tutti del resto” annuisco e la seguo fino alla macchina del suo ragazzo, proprio così, ragazzo; l’incidente ha dato alla loro relazione una bella scossa e la paura di perdersi ha fatto sì che entrambi capissero quanto tenessero l’uno all’altra.
Osservo la mia amica davanti a me, anche lei indossa un abito nero che fa risaltare in modo brillante il suo colorito estremamente pallido. Ammiro come il suo passo sia così disinvolto e sicuro anche in una situazione come questa. Appena arriviamo alla vettura, saluto Matt e sedendomi nei sedili posteriori, lascio un bacio veloce sulla sua guancia. Quest’ultima punge particolarmente, segno che è da qualche giorno che non si rade. Jen non ha di questi problemi perché fa scontrare le loro labbra. Se una minima parte di me, durante questi due lunghi mesi, ha avuto dei momenti di invidia nei loro confronti, sono assolutamente superati. Sono immensamente felice per loro e vedere un po’ di gioia almeno nei loro volti mi riempie il cuore di gioia.
Matt si sta occupando della ricostruzione della Evans Enterprise e i soci come Hamilton stanno facendo il possibile per aiutarlo. Jen si è presa il compito di fargli trovare sempre una buona cenetta quando arriva a casa stanco dal duro lavoro e io mi sto prendendo cura del mio piccolo Alex che, al momento, sembra essere la persona più in forma di tutti.
Osservo Smith guidare e in qualche modo mi ricorda Zack: la postura dritta, ma sicura; lo sguardo fisso sulla strada, una mano a stringere il volante e l’altra posata sulla gamba della donna seduta accanto a lui. Indossa un completo scuro molto elegante e la sua camicia bianca è l’unico accenno di luminosità nel nostro abbigliamento.  “Signore, siamo arrivati” sospira pesantemente e nonostante l’annuncio, non scende immediatamente dalla macchina. “Ehi, guardami” Jennifer ha lo stesso tono che aveva utilizzato il giorno dell’incidente, quando Matt era sull’orlo di una crisi di panico. “Andrà tutto bene. Hai preparato quel discorso, ed è magnifico, l’hai provato più e più volte. Sei pronto. Puoi farlo.” “Io…non so se senza di lui riuscirò a sostenere tutto questo”.

Quando eravamo all’interno della vettura, l’aria di Matt era afflitta e sembrava un bambino anziché un uomo di quasi trent’anni. Ora invece, sul podio costruito apposta per l’occasione, davanti a tutte queste persone, sembra avere la grinta degna di un re. Siamo in mezzo ad un prato verdissimo bagnato ancora di rugiada, il cui colore spicca ai piedi di tutte le figure nere che lo calpestano. Le donne piangono, gli uomini le sorreggono. Non ci sono bambini. Questo non è un funerale, ma è come se lo fosse.
Più correttamente è una Cerimonia in memoria delle vittime dell’incidente, quindi un po’ come dire un funerale senza le spoglie dei defunti. Si suppone sia meno doloroso, che si possa affrontare in modo più sereno e razionale e meno trasportati dalla scia dei sentimenti. Ma non è così. Non ci sono bambini che piangono, ma in compenso, sono presenti alcuni dei pochi sopravvissuti le  cui ferite si sono rimarginate abbastanza da permettere loro di essere qui. Vedere loro è ancora più toccante: hanno incontrato la morte, ci hanno danzato come se fosse una vecchia amica e poi hanno iniziato una battaglia affinché non li trascinasse con lei. I loro corpi hanno vinto, le loro menti no. Guardare i volti di quegli uomini sfiniti è sfibrante, fatichi con loro mentre faticano a sorridere, avresti voglia di piangere con loro mentre si ostinano a non farlo e ti reggi in piedi con loro quando anche solo sbattere le palpebre sembra infliggere una grande sofferenza. Ed è davanti a questi uomini che Matt dovrà pronunciare il discorso che ha preparato per lunghe notti, nella speranza di poter infondere forza e coraggio a chi ancora avrà voglia di restare a galla.

“Signori, sono contento che voi tutti oggi siate qui e vi ringrazio. Ho lavorato a questo monologo per notti intere, ma la verità è che nulla mi sembra la cosa giusta da dire. Come ben sapete, la Evans Enterprise è in fase di ricostruzione, ma non è di edilizia che vorrei parlarvi in questo giorno così caro e al tempo stesso sofferto. Non ho la pretesa di sostituire nessuno, ma vi assicuro che farò tutto il possibile perché l’azienda ritorni al suo originale splendore, ma ho bisogno del vostro aiuto, perché siete guerrieri, siete uomini valorosi che hanno lottato contro le fiamme e oggi siete qui, davanti a me. Insieme possiamo lasciarci alle spalle quel brutto giorno: mai dimenticheremo i nostri colleghi e compagni periti durante l’incendio, ma dobbiamo andare avanti e dobbiamo farlo proprio per loro, perché sono certo che questo è proprio ciò che vorrebbero se ancora fossero con noi.” Jennifer, accanto a me, osserva fiera il suo uomo, il quale sta svolgendo un compito originariamente non suo egregiamente. Lui, fra tutti, è quello che soffre maggiormente. Conosceva perfettamente quasi ogni singola persona rimasta coinvolta quel giorno e con alcuni aveva un legame particolarmente forte. Invidio la sua tenacia, ma la verità è che ne sto dimostrando parecchia anche io. Tengo Alex  con me il più possibile e aiuto Matt con le scartoffie nonostante venga comunque pagata mentre non lavoro, per non parlare del via vai in ospedale. Io e Jennifer ci siamo prese la responsabilità di far visita ai feriti che sono ancora in via di guarigione, così da mantenere i contatti tra l’azienda e i suoi impiegati. Al contrario di quanto mi ero aspettata, prestare aiuto a questi uomini è stato un toccasana; sentirmi in qualche modo utile e infondere forza nei cuori dei sopravvissuti mi ha resa più tenace. C’è un solo paziente la cui compagnia mi devasta ogni qualvolta devo fargli visita: Zack Evans.


-N/A-
Buongiorno! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia anche se è solamente di passaggio. Ancora una volta vi invito a farmi sapere cosa ne pensate e soprattutto vi ricordo che ci sono ancora posti disponibile per entrare nel gruppo di whatsapp! Baci <3

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Capitolo 44
*** Old friends ***


“Jen ti ringrazio, ti devo un favore” le sorrido mentre indosso le scarpe. “Un favore? Per passare la giornata con il tuo splendido bambino? Sai che per me è un piacere!” Scompiglia i capelli biondi di Alex e gli lascia un buffetto sulle guance. “Anche lui ti adora, ma non volevo darti impegni in più come se già non ne avessi abbastanza…” “Ellie, tranquilla. Sono sicura che avere il piccolo per casa farà piacere anche a Matt: i bambini ringiovaniscono e portano gioia!” Mi dà un’amichevole pacca sulla spalla e si appresta a prendere le ultime cose di Alex. “Oggi vai da lui, vero?” Mi domanda improvvisamente. Annuisco. “Sicura di non aver bisogno di una mano?” Il suo tono è grave, “No, me la caverò. Insomma, prima o poi dovrà reagire…”

Quando Jen e Alex lasciano l’appartamento, faccio sì di restare il meno possibile in casa da sola per evitare ai miei pensieri di prendere il sopravvento. Le prime volte in cui facevo visita a Zack ero contenta: scoprire che era vivo mi ha resa la persona più felice della terra e il mio entusiasmo è durato circa un paio di settimane, dopodiché la situazione è scesa nel declino, era diventato difficile farlo mangiare, non se ne parlava di fargli aprire bocca e quelle poche volte in cui lo faceva era scontroso e lo è tutt’ora. I dottori mi hanno detto di essere comprensiva anche se sanno quanto sia difficile, ma d’altronde, il paziente è sotto shock e non c’è molto che si possa fare. Così, armata di tutta la mia pazienza, mi reco in ospedale e vado dritta verso la sua stanza che, come al solito, ha la porta chiusa. Busso pur consapevole che non mi dirà nemmeno un “avanti”, ma forse lo faccio per senso dell’abitudine: pensare a quando mi trovavo davanti al suo ufficio quasi tremante all’idea che ci fosse solo una semplice porta a dividermi dal grande capo, mi fa provare una forte fitta all’altezza del petto.
Attendo qualche secondo e dopo un profondo respiro, entro. Le pareti sono bianche come le lenzuola e solo la pelle e i capelli di Zack fanno da contrasto. “Buongiorno raggio di sole” lo prendo in giro nella speranza di ricevere almeno minimamente la sua attenzione. Alza lo sguardo e i suoi penetranti occhi di ghiaccio, fanno rabbrividire più del solito. Mi osserva a lungo, e decido che per oggi è più che sufficiente e so già che non riceverò oltre. “Hai mangiato qualcosa?” Se non altro qualche cenno di assenso lo sa ancora fare, infatti mi indica un piatto poco lontano da lui: non ha finito, ma sta iniziando a svuotare di più il piatto. Mi siedo accanto al suo letto come faccio di solito e inizio a raccontargli del più e del meno. Gli racconto tutte le cose buffe che fa Alex, gli elenco le mie giornate, spiego come procedono i lavori della Evans; anche se, su quest’ultimo punto mi soffermo sempre poco, poiché, non appena nomino la sua azienda, mi accorgo di un quasi totalmente impercettibile tremore delle sue palpebre, come se parlare di ciò lo turbasse. Ultimamente ho anche sviluppato la straordinaria capacità di comprendere se ha voglia di ascoltarmi oppure se preferisce il silenzio.
Nonostante tutti i miei sforzi per vederlo reagire e per cercare di non deprimermi a mia volta, certe volte penso davvero di non farcela: pensare a che tipo di uomo fosse prima, così carismatico, sicuro di sé, determinato e intraprendente, lascia l’amaro in bocca. “Le infermiere mi hanno detto che sei in via di guarigione, il tuo corpo è forte e sta reagendo bene alle cure”. Che poi, mi domando, a cosa servirà mai un fisico così tenace, se la mente è a pezzi? “Ti dimetteranno la settimana prossima. Io e Matt ci stavamo chiedendo se volessi andare nel tuo appartamento o se preferissi stare per un po’ a Montpelier…” Nulla. Nessuna risposta. Gli do tempo, ma i minuti passano e le lancette dell’orologio appeso alla parete continuano il loro viaggio imperterrite. Mi innervosisco, so che non dovrei e so che è sconvolto, ma non ci sta nemmeno provando ed io lo so bene. Non è la prima persona traumatizzata che incontro nella vita e non accetto che neanche provi a superarla. Mi alzo e raccolgo la borsa da terra, il mio brusco movimento lo stupisce dal momento che mi guarda stralunato. “Torno domani nel tardo pomeriggio. Vedi di avere una risposta per quel momento, Evans.”

“Niente neanche oggi?” Jennifer mi porge una tazza di cioccolata calda e si siede accanto a Matt, mentre Alex gioca sul tappeto del salotto. “Niente di niente” sbuffo irritata. I due mi guardano comprensivi. “Se vuoi posso provarci io…” si propone lui. “E a cosa servirebbe?” Restiamo tutti in silenzio, immersi nei nostri pensieri. “Uno psicologo?” Suggerisce Jennifer. “Non accetterebbe mai” risponde convinto Matt e non posso fare altro che assentire. La segretaria si avvicina a noi con fare furtivo e abbassa il tono della voce: “Una bella serata di sesso selvaggio?” La cioccolata mi va di traverso e comincio a ridere come non facevo da settimane e Smith mi segue a ruota. "Perché ridete? Magari potrebbe funzionare” vedere la mia amica così seria e convinta della sua ipotesi, mi fa ridere ancora più forte. “Glielo proporrò” affermo tra le risate.
“Alex?” Propone poi Matt, quando ci siamo quasi completamente ripresi. “Ci ho pensato, ma la verità è che non voglio che entri a far parte di questo casino. Sarà la nostra ultima spiaggia. Senza contare che Ross è in ospedale e non ho alcuna intenzione di portare là il mio bambino. È già abbastanza inquietante per me andarci”. Ross è sospettato di aver piazzato la bomba alla Evans, ma non avendo prove concrete, non è ancora possibile metterlo dietro le sbarre. Al momento si trova in ospedale a causa delle numerose ferite che ha riportato. Per quanto riguarda mio padre è in carcere, la sua pena è stata accorciata dal momento che si è consegnato alla giustizia; mentre di Allen e Kim non c’è nessuna traccia per ora, anche se le indagini proseguono.  “È ammanettato al letto e dubito comunque che riesca a muoversi” “Resta pur sempre un criminale” sostengo freddamente. I miei amici capiscono che è meglio non continuare questa conversazione.
“Ragazzi, si è fatto tardi, è meglio che torni a casa. Grazie per esservi presi cura di Alex oggi” lascio un rapido bacio a entrambi e prendo il mio bambino.

Mentre guido verso il St. Regis, passo davanti ad una bottega dall’aria famigliare. Arthur. Chissà se sa ciò che è successo. Trovo un parcheggio miracolosamente e decido di entrare nel negozio. “Buonasera” l’odore di vernice mi invade ancora una volta le narici e il calore di questo posto mi fa sentire bene. Slaccio il giubbotto di Alex e lo appoggio per terra, dove inizia a sgambettare a destra e a sinistra. “Ma guarda chi si rivede!” Nonostante l’età e il tempo trascorso dal nostro ultimo incontro, l’uomo sembra riconoscermi. “Qual buon vento vi porta qui?” Mi sorride affettuosamente. “In realtà non troppo buono…ecco…mi chiedevo, Arthur, se sapesse di Zack”. Il suo sorriso si spegne e i suoi occhi si fanno tristi. “Ho saputo della Evans…lui come sta?” “È in ospedale…fisicamente sta sempre meglio…ma è sotto shock, non vuole parlare e mangia poco…non abbiamo idea di come fare per aiutarlo”. “Cara, sei proprio nel luogo giusto!” Il suo volto torna ad illuminarsi. “Ho proprio ciò che fa al caso vostro” lo seguo verso il bancone prendendo Alex in braccio. “Quando lo dimetteranno, dagli questi…potrebbero essere un toccasana” posa sul ripiano una valigetta di legno e quando la apre, noto in ordine di grandezza alcuni pennelli, in ordine di colore pastelli e tempere e in ordine di durezza delle matite. Accanto a questo contenitore di tesori, mi porge un grande album dalla copertina nera con degli anelli. “Tu daglieli e basta, senza dire nulla, parlerà lui e se non lo farà…lo faranno le sue mani”.  


-N/A-
Buongiorno! Ecco il nuovo capitolo che spero vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando <3 Baci.

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Capitolo 45
*** Let's Go! ***


Dopo la visita al negozio di Arthur, una scarica di adrenalina ha iniziato a pompare in tutto il mio corpo ed ora, sono più che mai motivata a infondere questa energia al mio capo. È ancora molto presto, l’aria è fredda e gli alberi sono spogli; mi stringo nel mio cappotto e stringo più forte il bambino tra le mie braccia. Questa mattina non ho voluto disturbare nessuno, così ho deciso di portarlo con me: non resterò troppo in ospedale, quindi non credo che nel frattempo possa accadere chissà quale cataclisma. “Adesso andiamo a farci una bella colazione, vero tesoro?” Gli lascio un bacio sulla fronte rimasta scoperta ed entriamo in una caffetteria, o meglio, la stessa in cui ho incontrato Zack la prima volta. Ripenso al nostro primo incontro e mi immergo così profondamente nel rimembrare quegli occhi di ghiaccio che non mi accorgo della fila che procede. “Signorina…cosa desidera?” “Oh, mi scusi! Vorrei due cornetti al cioccolato, un cappuccino e una spremuta”. Mi accomodo ad un tavolo con Alex sulle ginocchia e non appena i nostri dolci arrivano, subito li ingurgitiamo dimenticandoci le buone maniere. Non ci sono molte persone, ma i pochi presenti ci osservano sorridendo: mai più di adesso sembriamo madre e figlio. “Cio-cio-co-to” farfuglia il piccolo con la bocca ricoperta di crema marrone. “Cioccolato” gli ripeto correttamente, “Cioccolato. Buono!” Una cameriera molto giovane con i codini biondi ci porta da bere e sorride guardando Alex. “Tale madre, tale figlio eh?” le sorrido a mia volta e ritorno a dedicarmi alla mia colazione.
Con lo stomaco pieno e il corpo ricoperto da un piacevole tepore, ci rimettiamo in macchina, alla volta dell’ospedale. Sul sedile accanto a me, c’è una valigetta che spero possa essermi davvero d’aiuto.

“Amore, adesso andiamo da Zack però devi fare il bravo perché lui non sta molto bene, okay?” So che è solo un bambino e queste parole possono sembrare assolutamente inutili, ma è incredibile, come a volte, i più piccoli riescano a comprendere certe cose ancora meglio degli adulti. Apro la porta, questa volta senza bussare e trovo il capo intento a guardare il cielo che si sta annuvolando. I suoi occhi sembrano quasi blu e per un momento mi perdo ad osservare il suo profilo rilassato in netto contrasto con lo sguardo in tempesta; “Z-Zack!” Sbotta Alex allungando le braccia paffute verso l’uomo e quest’ultimo, sorpreso, si gira verso di noi. “Scusa, non volevo disturbare Jennifer e ho preferito portarlo con me” mi avvicino cautamente e un po’ della mia determinazione sembra scemare quando vedo la sua espressione: si è addolcita come non faceva da mesi e sembra quasi sul punto di voler dire qualcosa, ma non lo fa. Piuttosto, allunga le mani verso Alex con l’intento di acconsentire alla sua richiesta. “N-Non credo sia una buona idea…le tue ferite…” “Wilson, chiudi il becco e lasciami prendere in braccio il bambino”. “Sì Signore. Aspetta, cosa?” Il suo tono autoritario mi aveva riportata indietro nel tempo a quando lavoravo per lui, ma ora, riprendendo contatto con la realtà, mi accorgo che non solo ha parlato, ma vuole tenere Alex. Non mi risponde, ma mi guarda in attesa. “Non riaprire le ferite” sbuffo mentre lascio che mi figlio gli si avvicini. Mi siedo sulla sedia accanto e li osservo in silenzio, finché quest’ultimo non diventa imbarazzante. Solo Alex fa qualche versetto di tanto in tanto mentre mette le mani ovunque sulla faccia di Zack. Un’infermiera entra per sistemare uno dei tubi nelle braccia del capo e sorride al quadretto che si trova davanti. “Non sapevo avesse una ragazza Signor Evans, e tantomeno un bambino”. “Non è suo!” Tutti gli sguardi si posano su di me e mi sento avvampare. “E nemmeno io” aggiungo per poi rendermi conto di cosa ho effettivamente appena detto. “Ehm…Signor Evans, più tardi passerò per altri controlli, buona giornata” la donna se ne va imbarazzata lasciandomi in una situazione alquanto scomoda. Sto ancora fissando la porta che altrimenti sarebbe alle mie spalle e non ho il coraggio di voltarmi verso Zack. “Non potrai ignorarmi per sempre” afferma facendomi sobbalzare. “Mi sembra che tu sia l’ultimo ad avere il diritto di parlare dal momento che non mi hai rivolto la parola per mesi” ribatto fredda. “Non ho ancora deciso comunque” ora anche lui è diventato distaccato e la cosa mi manda fuori di testa: è in torto e pretende di avere ragione. A tutto c’è un limite e la mia pazienza è esaurita. “Okay, adesso basta. Sai cosa ti dico? Arrangiati. Chiama Hamilton, Matt o chi ti pare, ma io non voglio più saperne.” Mentre gli  sputo addosso tutta la mia frustrazione, mantengo un tono basso per non far preoccupare Alex, ma al tempo stesso minaccioso. “Sono due mesi che vengo qui nel disperato tentativo di aiutarti e tu mi hai ignorata per settimane, adesso ti decidi a parlare, e queste sono le uniche cose da dire?  Là fuori, il tuo migliore amico sta lavorando duramente per ricostruire la VOSTRA azienda, tutti abbiamo un compito e tu sei l’unico che se ne sta qui con le mani in mano! Sei ferito, sei sotto shock, va bene, nessuno pretende che tu faccia i salti mortali , ma quantomeno sforzarti di venire in contro a chi ti vuole bene sarebbe già qualcosa.” Concluso il mio discorso, decido che è arrivato il momento di togliere le tende, così prendo il bambino tra le mie braccia e al suo posto, sul grembo di Zack, lascio la valigetta. “Ah, un’ultima cosa, questo è un regalo per te”.

Sono furiosa e come se non bastasse, Alex piagnucola da quando siamo usciti dall’ospedale. “Dai tesoro, smettila di piangere, Zack aveva bisogno di riposare”. Gli asciugo i lacrimoni che gli bagnano le guance paffute e mi siedo vicino a lui sul divano. “Chiamiamo zia Jen e zio Matt?” Gli domando dopo un po’ e sentir pronunciare i loro nomi, lo fa illuminare. “Lo prenderò come un sì” gli scompiglio i capelli e prendo il telefono. Saranno miei ospiti a pranzo e Jennifer si tratterrà per il pomeriggio quindi devo assolutamente pensare a cosa preparare. Opto per degli spaghetti al ragù e visto che ho tempo, preparerò una torta al cioccolato.
Mi piace stare ai fornelli anche se non sono troppo brava, mi sto impegnando al massimo per i miei amici perché mi sono sempre stati vicini ultimamente e mi sembra il minimo per  ringraziarli. Avrei potuto portarli fuori in un ristorante di lusso e offrire loro un pasto, ma credo che non sarebbe stato lo stesso. Passare quello che resta della mattina in cucina, rende il tutto più intimo e famigliare; anche se qualsiasi cosa io possa preparare non sarà mai all’altezza di un locale stellato, non importa e so che loro apprezzeranno.

Mentre il dolce è in forno e gli spaghetti cuociono, accendo il caminetto per riscaldare l’appartamento dal freddo che regna di fuori. Mi cambio e rimetto a nuovo anche Alex che giocando si è sporcato ovunque di pennarello. Non appena gli metto un maglione, suona il campanello e vado a accogliere i miei ospiti. “Ragazzi, accomodatevi” sono entrambi stretti nei loro cappotti pesanti e sorrido nel vedere le loro mani intrecciate. “Che profumino” afferma subito Matt annusando l’aria. “Matt! Pensi sempre a mangiare appena entri in una casa” lo rimprovera Jennifer. “Oh, andiamo, lascialo in pace” riprendo a mia volta la mia amica. Ci sediamo a tavola e servo il pranzo: “Spero vi piaccia, è una ricetta segreta della nonna e poi c’è una sorpresa”.

“Ellie, era ottimo, davvero” Matt si allenta la cintura e Jen si massaggia la pancia. “Spero abbiate ancora un po’ di spazio nello stomaco” mi alzo e vado a prendere la torta al cioccolato per poi servirla in tavola. Non se lo fanno ripetere due volte e fanno anche il bis; “Sarebbe perfetta anche per Zack quando rientrerà dall’ospedale” afferma Matthew con nonchalance, ma al sol sentire pronunciare quel nome, mi irrigidisco e la mia amica capisce subito che qualcosa non va. Indico il bambino come per farle capire che è meglio non parlarne davanti a lui e Matt si offre volontario per portarlo in sala a giocare. “Allora? Che succede?” “Io…stamattina credo di essere stata un po’ troppo dura con lui…ma…sono così stufa, Jen. Sono mesi che impegno e nessuno mi ha costretta a farlo, è vero, ma ora sta diventando insostenibile. Non vuole lasciarsi aiutare e io non so cos’altro fare.” Le racconto anche di Arthur e della valigetta dopodiché aspetto un suo commento in silenzio. “Senti, secondo me quel regalo ha cambiato qualcosa, dagli ancora un po’ di tempo” mi aspettavo qualcosa di più da parte sua, ma d’altronde, ha anche lei i suoi problemi e dovendo già sostenere Matt, non voglio esserle di peso dopo tutto quello che ha già fatto per me.

Quando ci rechiamo in sala, troviamo il ragazzo seduto sul tappeto, con la camicia allentata e i capelli spettinati e ben presto ne comprendiamo anche la causa: Alex è sopra di lui e sta ridendo come un pazzo mentre cerca di fare scherzi al suo nuovo compagno di giochi. Jen mi si avvicina furtivamente e mi sussurra ad un orecchio, così che solo io possa sentire: “Se fosse per me lo sposerei anche seduta stante”.
Dopo quella frase, Matt lascia l’appartamento per tornare al lavoro, ma non prima di aver lasciato un dolce bacio sulle labbra di Jennifer. “Sai, è così…dolce. Non dolce del tipo che non si stacca un attimo, dolce in modo…non lo so nemmeno io. È semplicemente perfetto, è quello che cercavo da una vita. Lo amo.” mi dice la mia amica in iperventilazione mentre mi aiuta a lavare i piatti. “Sono così contenta per te, Jen. Davvero. Te lo meriti, e anche tu sei fantastica, quindi sono felice anche per lui. avete fatto tanto per me e Alex, meritate tutte le gioie del mondo” le sorrido, grata. “Ellie, prima o poi arriverà anche il tuo turno” afferma enigmatica e la guardo confusa. “Magari l’amore è molto più vicino di quanto non pensi”.

Questa giornata è stata piuttosto piena e inizio a sentire la spossatezza dovuta al litigio con Zack e al tempo passato ai fornelli. Mi siedo sul divano vicino ad Alex che sta guardando i cartoni avvolto in una copertina. Sento gli occhi pesanti, quando il mio telefono inizia a squillare: cerco di fare più in  fretta possibile per rispondere e trovo un numero sconosciuto. “Pronto?” “Andrò a Montpelier e tu e Alex verrete con me. Niente storie Wilson.” Non ho nemmeno il tempo di rispondere che ha già attaccato. Dovrei essere arrabbiata, forse al momento semplicemente non ho la forza per esserlo, so solo che mi riaccomodo sul sofà e chiudo gli occhi, con un sorriso che aleggia sulle mie labbra. 

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Capitolo 46
*** Flowers ***


Alex dorme sul sedile posteriore accanto a me, Hamilton è alla guida e Zack è accanto a lui. “Per qualsiasi cosa, non esitate a chiamare, chiaro?” Afferma il più anziano. Annuiamo tutti in risposta e manteniamo il silenzio. Gli sono grata per non aver fatto domande sul perché stessimo partendo insieme, anche se dopo aver passato due settimane a fare avanti e indietro dall’ospedale, nel momento in cui ho annunciato che sarei partita con Zack, nessuno sembrava essere troppo colpito. Prima della dipartita non ci siamo visti, doveva fare gli ultimi esami e Matt voleva vederlo prima che se ne andasse per un po’; Jen era più eccitata di me all’idea di questo viaggio e io mi domando sinceramente cosa pensa che accadrà.
Come era già successo, Hamilton ci lascia a poco più di metà strada, dove ad attenderci c’è un auto nera dall’aria molto costosa: ne scende un autista che sale con il socio e se ne va, lasciandoci la vettura. “Guido io.” Affermo subito. “Cosa? Non se ne parla.” Sostiene Zack. “Sei ferito, non guiderai.” “E tu non metterai le mani sulla mia bambina.” “Notizia dell’ultima ora: l’ho già fatto e comunque, tu prendi addirittura in braccio il mio bambino” detto questo, monto al posto del conducente e aspetto che Alex sia sistemato sul seggiolino per partire. “Sai la strada?” “Ovviamente.” “Hai intenzione di essere così fredda per sempre?” Sbuffa irritato. “Potrei considerare l’idea” “e tutte quelle smancerie con Hamilton?” “Hamilton è un gentiluomo, non un ragazzino viziato come te”. “Chissà perché accidenti ho deciso di portarti con me” con la coda degli occhi lo vedo alzare lo sguardo al cielo. “Già, quello che mi domando anche io”.

Quando arriviamo in città, è ormai calata la sera e i profili delle case sembrano solo ombre scure e minacciose, ma forse è meglio così, questo luogo mi riporta alla mente troppe cose negative. In effetti non ho pensato che l’ultima volta  in cui sono stata qui, ero segregata nell’appartamento. Ora invece dovrò uscire, andare a fare la spesa, portare Alex al parco. Sospetto già che questo sarà un viaggio disastroso.
“Metti pure Alex sul letto, io dormo sul divano” afferma Zack. “Non se ne parla, sei ancora ferito, non ti farò dormire su un divano. Dormo io lì” spiego sbrigativa. “Sicura  di voler lasciare che io dorma con Alex?” Sembra…spaventato. “Oh andiamo, non lo schiaccerai e lui ormai è grande, di notte non si sveglia, non ti darà alcun fastidio e tu non ne darai a lui”. “Ellie…” “Non ora, sono stanca, lo siamo tutti.” In mia discolpa posso dire che le mie parole non si discostano troppo dalla realtà: è stato un viaggio piuttosto lungo e i numerosi pensieri che affollano la mia testa non hanno aiutato.

Un pungente profumo di caffè mi pizzica le narici mentre un caldo tepore mi avvolge. Ho avuto una notte piuttosto agitata nonostante la stanchezza e mi sono addormentata profondamente solo alle prime luci dell’alba. Schiudo piano gli occhi e guardo il mio corpo: non ricordavo di aver messo questa coperta così pesante. “Accetti un caffè in segno di pace?” Zack compare con una tuta grigia e una semplice maglietta bianca con due tazze fumanti in mano. Mi metto seduta per lasciargli posto e prendo con piacere la colazione. “Alex dorme ancora?” “Sì, stanotte ha avuto un incubo, ma si è riaddormentato quasi subito” mi spiega. “Oh…mi dispiace ti abbia svegliato” lo guardo con la coda dell’occhio. “Ero già sveglio in realtà…c’è stato un forte temporale e le temperature si sono abbassate parecchio…temevo avessi freddo” ora si spiega la magica apparizione della coperta. “Grazie” gli dico stringendo il plaid in una mano. “Scusa per ieri…io…” “Non fa niente, è colpa mia. Ti ho trattata male di punto in bianco ti ho costretta a venire qui e a trascinare anche tuo figlio”. “Perché?” Gli domando improvvisamente; “Perché noi?” Mi osserva senza dire nulla per un tempo che sembra infinito. “Avevo bisogno di compagnia…quando hai portato Alex in ospedale, la settimana scorsa, ero felice di vederlo. Mi ha fatto stare bene…non so spiegarlo nemmeno io, ma mi infonde serenità e ultimamente credo di averne davvero bisogno. Non potevo chiederti di portarlo via da solo, naturalmente, quindi ho pensato di far venire entrambi”. Mi ha praticamente appena detto che la mia presenza qui è dovuta solamente al fatto che non potesse portare via solo mio figlio, il che dovrebbe infastidirmi; ma la realtà è che sono felice poiché è bello sapere che il tuo bambino, con la sua semplice presenza, riesce a fare qualcosa in cui tu non hai avuto successo per mesi, è come una sorta di riscatto verso te stessa. “Lo capisco, anche a me fa questo effetto”. Restiamo ancora un po’ seduti, poi decido che è ora di controllare Alex, così mi dirigo nella stanza dove lo trovo seduto sul letto a grattarsi un occhio. “Ma buongiorno!” Mi avvicino. “Mamma!” Allunga le braccia e lo prendo subito in braccio. “Lo sai quanta nanna hai fatto? Tantissima!” “Fame!” “Adesso andiamo da Zack che ha preparato la colazione” lo porto in cucina e lo faccio sedere sull’isola al centro della stanza. “Ma guarda chi  si è svegliato!” Zack si gira e gli lascia un buffetto sulla guancia mentre io osservo la scena sorridendo. Quando il capo è con Alex, sembra completamente un’altra persona: è dolce, responsabile, scherzoso. È bello vederlo così, se in giacca e cravatta seduto nel suo ufficio è affascinante, nei panni di casalingo e papà lo è ancora di più. Questa attraente semplicità accomuna i due accanto a me e li rende unici. Zack mi ha spiegato come mio figlio riesca a infondergli pace, senza sapere che anche lui ha un effetto benefico sul bambino e senza sapere che vederli insieme, rende me la persona più felice del mondo.

In questo momento sembra che vada tutto bene, che la Evans Enterprise non sia andata a fuoco e che Zack non sia ferito; siamo come una normale famiglia che fa colazione ed è bello avere un po’ di tranquillità. Nonostante questo, la mia mente è sempre allerta: Ross è ancora in ospedale, Allen e Kim dispersi chissà dove. Finché non saranno tutti in prigione non potrò darmi pace davvero. “Ehi, tutto okay?” Mi domanda Zack vedendomi assorta nei miei pensieri. “Sì, certamente” rispondo sbrigativa, “ho solo bisogno di farmi una doccia” annuisce e fortunatamente non mi chiede più nulla.
Non voglio diventare scostante proprio adesso che lui sta iniziando ad aprirsi, ma questo posto mi mette di cattivo umore. Forse dovrei parlargliene, o forse potrei cercare di affrontare il mio passato una buona volta. Opto per la seconda ipotesi pur di non rivelargli tutta la storia, così, con la scusa  di voler fare la spesa, esco da sola. “Non scappare un’altra volta, eh” mi dice scherzosamente prima che io possa chiudere la porta alle mie spalle. La sua era una battuta, ma nella mia mente è suonata come un’idea allettante.

Tutto è terribilmente famigliare e ogni strada sembra riconoscermi, ringrazio il cielo per essere così grigio e minaccioso da spaventare le persone che dubito usciranno numerose dalle loro case. Temo qualcuno possa riconoscermi e iniziare a farmi domande a cui non ho nessuna voglia di rispondere.
Passo dinnanzi alla mia vecchia casa, ma non mi fermo, al contrario cammino ancora più velocemente. Con la coda dell’occhio ho notato tutte le tapparelle chiuse, chissà se Garrett è più entrato da quando me ne sono andata. Il supermercato è vicino, così decido che il mio tour è finito e mi affretto a comprare ciò che serve, con l’intenzione di tornare subito all’appartamento.

“Ellie? Ellie Wilson?” Merda. “Ehm…si?” Mi giro lentamente e trovo una delle cassiere che mi guarda in attesa di qualcosa. “Oh cara, sono felice che tu sia tornata! Sai, ho portato dei fiori sulla tomba di tua madre l’altro giorno, dovresti passare a vedere se ti piacciono”. Credo di aver sentito la parola fiori e che qualcuno mi abbia chiesto un parere a riguardo, ma ormai sono lontana, corro veloce verso l’appartamento senza spesa, senza ritegno, senza attenzione , con il cuore che palpita e il panico che si diffonde.
Quando apro la porta e la chiudo sbattendola alle mie spalle ho il respiro affannato e le mie gambe non sorreggono più il mio corpo da tanto che tremano. Sento le lacrime iniziare a bagnarmi le guance e poco dopo due braccia mi stringono forte, poi il buio.
 

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Capitolo 47
*** Take Over ***


“Ehi, ehi, va tutto bene. Calmati, sono qui”. Sono seduta su una superficie morbida, un letto o un divano, e due calde braccia mi avvolgono sostenendomi. “No, no, no” è l’unica parola che riesco a dire mentre tento di regolarizzare il mio respiro. “Sht, è tutto okay, tranquilla” iniziamo a ondeggiare, come se Zack mi stesse cullando, sussurrandomi frasi dolci per cercare di mettere a tacere la mia isteria. “No” dico ancora, “Cosa no? Ellie, cosa c’è che non va?” Ora il suo tono non è più solo consolatorio, ma anche preoccupato. “Ogni cosa non va!” Urlo improvvisamente scostandomi da lui. Mi osserva confuso, mentre io mi alzo e inizio a raccattare le cose di Alex, gettandole velocemente nel borsone. “Che diavolo stai facendo?” Ora anche lui si è alzato. “Sto facendo le valigie” rispondo con voce tremante. “Questo lo vedo, ma…ferma.” Mi prende il polso e lo tiene stretto. “Lasciami.” “No. Prima devi dirmi cosa sta succedendo” mi guarda con occhi penetranti e in qualche modo è come se mi leggesse dentro, o meglio, come se vedesse che c’è qualcosa da leggere, ma non riuscisse a comprendere a pieno le parole. Non riesco a fare altro se non rimettermi a piangere e crollare a terra, con ancora una felpa di Alex tra le mani, trascinando con me anche il capo, che ancora mantiene la presa sul mio avambraccio.
“Ehi, parlami, dimmi cosa c’è” il suo tono è dolce e il suo sguardo non mi trafigge più, anzi, mi circonda e mi consola. “Io…n-non posso, davvero non…ho bisogno di stare da sola per un po’”. Alla fine prendo la mia decisione, ovvero provare a calmarmi con le mie forze, come ho sempre fatto in questi ultimi anni. Mi osserva ancora per un po’, dopodiché annuisce e mi lascia i miei spazi come gli ho chiesto.

Sento ridere Alex e mi domando cosa stia succedendo al di là della porta chiusa della camera da letto in cui trovo, sono curiosa e vorrei esserci di più per mio figlio, ma al momento davvero non ci riesco. In compenso, mi rendo conto di essere stata troppo dura quando me la sono presa con Zack perché era sotto shock, in fondo, anche io adesso non ho voglia di parlare, né tantomeno di mangiare o fare qualsiasi altra attività; senza contare che almeno io ho dato sfogo alle mie doglie piangendo come una disperata, mentre dubito che lui l’abbia fatto. Non appena mi riprenderò, gli dovrò delle scuse e la mia mente mi suggerisce che sarebbero dovute anche delle spiegazioni, ma non credo proprio di essere pronta e chissà se mai lo sarò.
Quando il sole sta ormai calando, constato che è ora di finirla con il gioco del silenzio, realizzo che sono una madre e un’ospite e non posso starmene rintanata qui per sempre. Mi metto in piedi e sgattaiolo in bagno per darmi una rinfrescata al viso, sento la televisione che trasmette i cartoni e so che per il momento non rischio di incrociare il piccolo Alex per il corridoio.
Sono talmente concentrata a controllare che mio figlio non  mi veda in questo stato, da non accorgermi del vapore che esce dalla porta del bagno e dallo scrosciare dell’acqua della doccia. Quest’ultimo suono, in particolare, riempie le mie orecchie della sua assenza proprio quando un corpo scultoreo si sta legando un asciugamano in vita: Zack mi osserva stupito, con i capelli bagnati che lasciano scendere gocce sui suoi addominali e il vapore che lo circonda. Mi sento subito avvampare e abbasso lo sguardo: “Io…ecco…s-scusami n-non…oddio” sono le uniche parole sconnesse che riesco a farfugliare mentre sono colta da un capogiro, non so se dovuto al caldo della stanza o alla figuraccia che ho appena fatto. La cosa più intelligente da fare ora sarebbe uscire il più rapidamente possibile, ma le mie gambe non vogliono saperne di muoversi. “Pensavo volessi stare da sola…” sento Zack avvicinarsi mentre io spingo la schiena contro la porta, non ho il coraggio di guardarlo. “È così infatti, era così, vorrei stare un po’ con Alex…” “Capisco…ti senti meglio?” Non riesco a rispondere e finalmente alzo gli occhi e li fisso nei suoi, pessima idea. Il suo sguardo è languido e bollente e mi sento mancare il fiato. “No…cioè, sì!” Il mio cervello si sta sciogliendo come quello di una liceale alla prima cotta, e io che pensavo di essere una donna adulta, matura e intraprendente. “Sicura?” “Zack, che cosa stai facendo?” “Sei tu ad essere entrata mentre facevo la doccia” afferma con fare ovvio. “Giusta osservazione, ma…non avevo cattive intenzioni, non mi sono neanche accorta che…” ho iniziato a guardare le sue labbra da quando mi sono accorta che lui stava facendo lo stesso e la mia voce si affievolisce sempre di più mentre tento di terminare la frase che stavo dicendo. Avanza nuovamente e la temperatura sembra alzarsi ancora di più, ora addirittura le gocce che cadono dai suoi capelli mi bagnano il viso; le palpebre iniziano a farsi pesanti e il mio cuore accelera la sua corsa.
 “Mamma!” Alex mi chiama e sembra molto vicino alla porta del bagno, in un lampo sono fuori e mi gira la testa dalla velocità con cui ho aperto e richiuso l’uscio. “Tesoro!” Lo vedo e gli vado incontro, non lo prendo in braccio perché, al momento, temo che farei finire lunghi e distesi per terra entrami se lo facessi, ma gli tendo la mano che accetta volentieri. “Fame” mi guarda con gli occhioni spalancati e mi trascina in cucina. “Adesso la mamma ti prepara qualcosa di buono” gli lascio un bacio sulla testa e mi metto ai fornelli: preparo una cena piuttosto nutriente per tutti e tre, così da tenermi impegnata il più possibile e non pensare a quello che stava per succedere in bagno.

Incontrare lo sguardo di Zack durante la cena è imbarazzante a livelli inimmaginabili, quindi faccio di tutto per evitarlo e mi concentro su Alex il più possibile. “Ehi, perché non lo fai giocare un po’? Lavo io i piatti” gli propongo quando abbiamo finito di mangiare. “Non se ne parla, hai cucinato e io sistemo. Poi sono sicuro che Alex voglia stare con te” nonostante il suo tono sicuro e pacato, i suoi occhi sembrano ancora infuocati e per questo li tiene bassi e li punta nei miei solo quando mi sorride dopo aver parlato.
Faccio volentieri come mi ha detto e passo del tempo con mio figlio, recuperando quello perso nel pomeriggio e mostrandomi serena e felice. Quando Zack ci raggiunge, a parte per qualche occhiata fugace, ridiamo e giochiamo spensierati con Alex finché non si addormenta.
“Lo porto di là” avviso il capo e prendo in braccio Alex per poi posarlo sul letto dove subito si accoccola al cuscino. Sorrido guardandolo e spengo la luce per poi tornare di là.

“Si è svegliato?” Mi chiede, quando mi vedere arrivare. “Assolutamente no, dorme come un ghiro” mi siedo accanto a lui, così da non doverlo guardare negli occhi. “Forse dovremmo parlarne…” “Del bagno o della mia crisi?” Domando insicura. “In bagno non eri in crisi?” Scherza e l’aria diventa più leggera anche se il mio cuore fa un balzo irregolare e le mie gote si tingono di rosso. “Io…sono…” non so nemmeno come esternare tutto quello che mi frulla davvero in testa. “Satura?” Suggerisce. “Esatto!” “Posso sapere cosa ti preoccupa?” “Si tratta di Ross, Allen e Kim…soprattutto degli ultimi due dato che nemmeno sappiamo dove si trovino” sbuffo e un brivido mi percorre; “E?” Lo guardo con la coda dell’occhio, confusa. “C’è qualcos’altro che ti affligge. Ne sono sicuro” è determinato. “Zack, no, ti prego.” “Finché non me lo dirai, non te ne andrai da qui.” “Senti…è una cosa grave, del mio passato e io non voglio parlarne.” Mi sto innervosendo e agitando. “Credo che se tu lo dicessi, poi ti sentiresti meglio” “Non sapevo fossi uno psicologo” sputo acida. “Non voglio improvvisarmi psicologo come fai tu, sto solo cercando di aiutarti!” “Aspetta, cosa? Come faccio io? Ma di che diavolo stai parlando?” Ora sono in piedi davanti a lui e lo guardo furente. “Sei venuta a trovarmi quasi ogni giorno per due mesi!” “E con questo? Avresti preferito startene lì da solo, a crogiolarti nella tua sofferenza senza sapere cosa stava accadendo fuori dall’ospedale?” “Sì, forse è così! Forse avevo bisogno di spazio!” “Bastava dirlo. Comunque il mio passato non è affare che ti riguardi.” “Neanche quello che succede nella mia mente traumatizzata è affar tuo!” Si alza e mi fa fare un passo indietro, anche se siamo ancora molto vicini. “Beh, si da il caso che tu sia il mio capo” spiego con fare ovvio. “Sai che ti dico? Sei licenziata!” “COSA? Non puoi farlo!” “Sono il tuo capo, no?” “No, sei un bastardo, ecco cosa sei!” “Ripetilo” dice a denti stretti e si avvicina minacciosamente. “Sei…sei…” questa vicinanza mi confonde, la mente è in panne, sfinita, spaventata; forse uno svago è ciò che mi serve, forse è arrivato il momento di lasciarsi andare e pensare al presente anziché scappare dal passato e inseguire il futuro in continuazione. “Baciami.” Non mi chiede cosa, perché, se sono sicura, lo fa e basta ed entrambi capiamo subito che va bene così. Non per forza giusto, non per forza responsabile, ma  bello. Le nostre labbra si scontrano con voracità e subito le schiudo per permettergli di esplorare, assaggiare e accarezzare, lo stesso faccio io mentre gli poso le mani sulla nuca e sento le sue scendere sui miei fianchi e passare sotto la maglietta fino a toccarmi la pelle. Il calore invade ogni millimetro del mio corpo e laddove passano le sue mani, tremo. Lentamente mi spinge ad invertire le nostre posizioni e mentre indietreggio, arrivo a toccare i bordi del divano, finché ci ritroviamo entrambi sopra ad esso, con i respiri affannati, i cuori che palpitano, i corpi che vibrano e il dolce suono di schiocchi e sospiri a incorniciare la travolgente passione che sta prendendo il sopravvento.

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Capitolo 48
*** Hurricane ***


Non riesco a pensare a nulla, ho perso totalmente il contatto con la realtà e la causa ha un nome e un cognome: Zack Evans. Mi sta baciando con impeto da quando gliel’ho chiesto e il fatto che proprio dietro di noi ci fosse un divano, dove poter stare più comodi, non ha fatto altro se non prolungare la nostra passione. Agli schiocchi dei nostri baci si uniscono le gocce di pioggia che ticchettano sulle finestre; le mani di Zack sono calde quando le percepisco insinuarsi sotto alla maglietta a toccare il mio fianco scoperto. Rabbrividisco. Ed è come se questa scossa mi risvegliasse: spingo lievemente le spalle del ragazzo e lo allontano dolcemente. “Ehi, aspetta…” Mi guarda confuso com’è giusto che sia, in fondo sono stata io a chiedergli di baciarmi. “Ho fatto qualcosa di sbagliato?” Mi chiede. “Mm no, solo…ecco…” “Mi hai detto di baciarti e non di saltarti addosso” non c’è rabbia nel suo tono, anzi, sembra quasi ironico e ci guardiamo per un momento senza aggiungere nulla. “Forse è ora di andare a dormire” afferma improvvisamente, quando si alza, mi porge la mano e lascio scorrere il mio sguardo dal suo volto al suo arto, interrogativa. “Smettila di dormire su questo divano scomodo, ci stiamo tutti e tre di là”, non dovrei, sta succedendo tutto troppo in fretta, ma mi sta semplicemente invitando a dormire, con mio figlio nello stesso letto per giunta. Decido di lasciare da parte ogni freno per questa sera e accetto.

ZACK’S POV

Non riesco ad addormentarmi immediatamente, mi perdo ad osservare Ellie e Alex che riposano sereni: i capelli biondi di lei sono tra le mie dita mentre ne tasto la morbidezza e con una mano accarezzo febbrilmente il suo braccio che nel frattempo stringe il bambino a sé. È uno strano abbraccio il nostro, un po’ goffo oserei dire: non è mia consuetudine passare la notte con una donna e probabilmente nemmeno Ellie è più abituata a questo genere di situazione.
Non è solo questa posizione la causa della mia insonnia: il bacio di prima è stato…semplicemente indescrivibile a parole. Non me la sono presa quando mi ha fermato perché ritengo abbia fatto bene: non so cosa mi sia preso, ma stavo correndo decisamente troppo, qualcosa dentro di me ha avuto il pieno controllo del mio corpo e la mia mente completamente in tilt non è riuscita a resistere. L’idea che forse tutta la mia foga fosse dovuta al fatto che io abbia represso questa passione per troppo tempo, si fa strada dentro di me.
Quando finalmente riesco a chiudere gli occhi e a lasciarmi cullare dal sonno, sogno di un bambino e una donna dai capelli biondi che mi sorridono e mi vengono incontro.

Un sottile raggio di sole mi scalda il viso svegliandomi. La prima cosa che faccio è guardare accanto a me, dove la maggior parte del letto è vuoto, fatta eccezione per Alex. Non ho idea di che ora sia, ma forse Ellie starà preparando la colazione, decido di alzarmi per verificare la mia ipotesi, ma quando trovo la cucina vuota, il panico si fa strada dentro di me. Mi avvicino alla penisola e noto un biglietto, lo apro e trovo l’ordinata calligrafia di Ellie che mi avvisa che è uscita perché doveva assolutamente fare qualcosa e che mi avrebbe spiegato tutto al suo ritorno. Faccio del mio meglio per tranquillizzarmi e preparo la colazione per me e Alex: non so quanto starà via la Wilson, ma ora il mio compito è prendermi cura del bambino.
Dopo che la mia ansia si è acquietata, ha lasciato il posto alla curiosità: Ellie si comporta in modo molto strano quando siamo in questa città e ieri, non appena l’ho vista in lacrime e totalmente in panico, non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa le fosse successo. Il mio istinto mi dice che nasconde qualcosa, ma non voglio forzarla a rivelarmi cosa la turba così profondamente. A seguito di tutto ciò che è accaduto con suo padre e con Allen, ho capito che il passato è delicato e insidioso ed è meglio non forzarlo a mostrarsi.

I minuti si rincorrono veloci, le nuvole oscurano il cielo e i raggi del sole, uno strano senso di inquietudine si fa strada dentro di me e nonostante ciò vada contro ogni mio principio, mi ritrovo sul divano, con il computer posato sulle gambe incrociate a fare ricerche. Le prime notizie che compaiono sono quelle riguardati suo padre e la sua incarcerazione, con allegate le indagini che hanno coinvolto Ross (ancora in ospedale), e quelle in corso per ritrovare Allen e Kim. Pare non esserci nient’altro e in effetti non so nemmeno io cosa mia aspettavo di trovare, infondo è una ragazza qualsiasi, non certo una celebrità, e le sue informazioni personali non sono di dominio pubblico. Osservo lo schermo senza fare nulla, afflitto, poi mi viene un’idea: Ellie si comporta in modo strano solo in questa città, quindi quello che è successo in passato è per forza collegato a questo posto.
Montpelier è abbastanza grande da avere un sito internet, ma non abbastanza da avere talmente tante informazioni da doverne cancellare quelle vecchie per aggiungerne di nuove, di conseguenza non mi è troppo difficile navigare tra le pagine dei quotidiani. Filtro sempre di più la mia analisi, così da poter arrivare esattamente a ciò che desidero, finché un nome famigliare non mi balza all’occhio: Garrett Wilson.
Garrett Wilson in lutto per la morte della moglie, la figlia, di sedici anni, gli sta accanto.
La donna, dopo aver lottato per anni contro la malattia, ha perso la sua battaglia.
Il marito appare provato e con dei misteriosi lividi attorno al collo, inoltre i due parenti della defunta si rifiutano di lasciare alcuna dichiarazione.
Il rito funebre si è svolo nel cimitero della città, nonostante la donna in gioventù fosse sempre stata ben voluta da tutti, poche persone sono presenti alla cerimonia e nessun discorso viene pronunciato in suo onore; la causa di questa desolazione è forse dovuta al comportamento aggressivo della Signora Wilson, negli ultimi mesi della sua vita.
 
Non ho tempo di continuare a leggere l’articolo, perché il suono della chiave che gira nella serratura mi risveglia dal mio torpore mettendomi in allarme. Chiudo velocemente la pagina internet e assumo un’espressione il più normale possibile. “Ehi” saluto Ellie che ha un viso piuttosto stanco, ma decisamente più sereno di ieri. “Ehi…non dirmi che stavi lavorando!” Mi ha offerto su un piatto d’argento la scusa perfetta, così colgo al volo l’occasione. “Mi hai beccato” mi gratto la nuca con fare colpevole. Si avvicina e mentre toglie la giacca, prende in braccio Alex per salutare anche lui. “Vuoi mangiare qualcosa?” Ormai è tardo pomeriggio e non so se abbia pranzato o meno. “No, aspetto l’ora di cena, tranquillo” mi sorride dolcemente e percepisco che dopo ieri, qualcosa tra di noi è cambiato: anche solo la sua decisione di volermi raccontare di più sul suo conto è un indizio. Non le chiedo nulla riguardo al biglietto perché non voglio forzarla, piuttosto mi preoccupo se stia bene. Risponde affermativamente. “Sei riuscita a fare ciò che dovevi?” “Sì, ed è per questo che ora sto meglio” le credo perché lo vedo dal suo sguardo, più sereno e tranquillo. Ci sono ancora delle questioni che la turbano e che ovviamente rendono inquieto anche a me, ma risolvere un problema alla volta è un ottimo modo per uscire da tutto il  disordine che abbiamo affrontato negli ultimi mesi.

Mi fa cenno di seguirla mentre lascia Alex davanti alla televisione, così ci dirigiamo insieme in cucina. “Io…devo parlarti, ma non voglio che lui senta ciò che devo raccontarti, quindi rimanderemo questa conversazione a dopo che l’avrò fatto addormentare” i suoi occhi sono diventati vagamente tristi. Mi avvicino e alzo il suo volto verso il mio. “Va tutto bene, ci sarò in qualsiasi momento tu vorrai” solo dopo aver pronunciato queste parole mi rendo conto della loro portata. Mi guarda e mentre io sono ancora immerso nei miei pensieri, mi lascia un bacio sull’angolo delle labbra. Non è un gesto fugace il suo, ma ci si sofferma parecchio per poi muoversi veloce nell’altra stanza, lasciandomi solo con mente  e cuore in subbuglio.

Vado a farmi una doccia prima di cena e lascio la donna alle prese con i fornelli. Avevo proprio bisogno di distendere i nervi e i muscoli irrigiditi delle spalle: mi sento terribilmente in colpa per quello che ho fatto e mi maledico per non essere riuscito ad aspettare qualche ora, come se non bastasse, non voglio che lei perda la fiducia in me proprio ora che il nostro rapporto sembra aver fatto un passo in avanti. Forse dovrei dirle la verità e basta, dovrei confessarle che ho ceduto alla mia curiosità, ma che l’ho fatto solo perché ero preoccupato per lei e non solo per farmi gli affari suoi; o forse sarebbe meglio tacere perché nessuna giustificazione potrebbe mai compensare l’invasione della sua privacy.
Sono tormentato e forse se ne accorge perché durante la cena mi osserva di sottecchi e non parla. Lascio che per questa sera sia lei a giocare con Alex e mi ritiro in camera con la scusa di dover terminare il lavoro che stavo svolgendo questo pomeriggio.
Sento madre e figlio ridacchiare mentre fanno qualche gioco a me sconosciuto e il sapere che sono impegnati mi tranquillizza, ma non appena scende il silenzio e la porta della stanza inizia ad aprirsi con fatica, comincio a sudare freddo. Ellie compare sulla soglia con Alex addormentato in braccio e subito mi appresto ad aiutarla a metterlo sotto le coperte.

È arrivato il momento della tanto attesa conversazione, e ormai so che è troppo tardi per confessare il mio errore, così taccio e osservo Ellie, in attesa. “Io sono nata e cresciuta qui. La mia famiglia è nata e cresciuta qui. Sono figlia unica e mio padre e mia madre si amavano molto, insomma, stavamo tutti bene ed eravamo felici”. Il suo tono è molto distaccato, e me ne accorgo per il contrasto alla dolce cadenza del pomeriggio; affibbio ciò al fatto che stia raccontando qualcosa di doloroso e in cui non vuole essere coinvolta nuovamente. “Un giorno mia madre si ammalò, o per meglio dire, la sua malattia si è manifestata…è….una cosa genetica quindi è sempre stata dentro di lei. Come molte patologie genetiche, non aveva cura e per giunta era degenerativa…gli ultimi mesi sono stati un inferno, per tutti noi. Quando è deceduta…io e mio padre eravamo davvero molto provati, ma credo che un’infinitesimale parte di noi era quasi sollevata perché il tormento di mia madre era finalmente giunto al termine e lei aveva smesso di soffrire.” “Te ne sei andata perché questa città era ormai troppo stretta?” “Anche, qui sono successe molte cose oltre alla morte di mia madre…tutti la adoravano una volta…poi ha iniziato ad essere aggressiva e…lo sai” mi lancia uno sguardo come di…sfida. “È…arrivata alla fine” cerco un modo per ripetere quello che anche lei è già riuscita a dire, ma senza troppo successo. “Oh no, intendo prima” sono terribilmente confuso, ma lei mi schiarisce immediatamente le idee. “I lividi sul collo di Garrett”. Oh. “Suvvia Zack, non guardarmi così… so che hai letto l’articolo” il suo sguardo e il suo modo di parlare mi fanno rabbrividire. È così…calma. Ma so che in realtà dentro di sé è tutto fuorché tranquilla. Questa è solamente la quiete prima della tempesta, o trattandosi di Ellie, dovrei dire dell’uragano.  

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Capitolo 49
*** Blast from the past ***


- N/A -
Buongiorno! Scusate se metto qui le note, ma ho un avviso importante da darvi e vorrei che lo leggeste. Siccome domani parto, sarò impossibilitata a pubblicare il prossimo capitolo per qualche giorno, di conseguenza il prossimo aggiornamento arriverà intorno al 3/4 di agosto. VI chiedo scusa per il disagio. 
Per il momemento, godetevi questo capitolo, spero vi piaccia, baci <3


ZACK’S POV

“Io…posso spiegare…” farfuglio sentendomi colpevole come mai prima di adesso. “Immaginavo l’avresti detto, dite sempre così. Però sono curiosa, quindi sentiamo la tua grande spiegazione e vedi di essere convincente” ha un tono glaciale, ma questa possibilità che mi sta dando, mi tranquillizza e mi conferisce il coraggio necessario per iniziare a parlare. “Ero preoccupato per te, volevo saperne di più, capire cosa ti facesse stare così male”. “Hai letto il biglietto che ti ho lasciato stamattina, no? E ti prego, almeno su questo non mentirmi” mi osserva in attesa. “Sì, l’ho letto.” “Quindi cosa ti costava avere ancora un po’ di pazienza? Sai da mesi che nel mio passato c’è qualcosa…e l’arresto di mio padre te l’ha confermato; hai atteso così tanto, perché non potevi farlo ancora per un po’?” Ha ragione: ero veramente in pensiero per lei, ma il suo ragionamento non fa un piega. Avrei dovuto soffocare la mia curiosità invadente e aspettare che fosse lei a rivelarmi la verità. “Non è necessario che tu nasconda nulla: tua madre era malata, non ha deciso lei di avere qualsiasi cosa abbia avuto!” Le mie parole sono dirette, ma non vogliono essere un attacco, più un modo per capire. “Questo lo so benissimo, io non mi vergogno di nulla. Semplicemente non amo farmi compatire e mi piace che le mie questioni personali restino tali. In questa città tutti ci adoravano, la mattina salutavamo i vicini appena uscivamo dal vialetto, le persone ci aiutavano a portare le buste della spesa quando erano troppe o troppo pesanti, il meccanico e l’elettricista ci facevano lo sconto perché essere in questa comunità significava essere in una famiglia, poi le cose sono cambiate. Quando è stata diagnosticata la malattia a mia madre, tutti la pensavano esattamente come hai detto tu poco fa, in fondo, nessuno vorrebbe stare male; poi la patologia è degenerata, lei ha iniziato ad essere aggressiva, ce l’aveva con il mondo e gli unici che riuscivano a capirla eravamo io e mio padre. La perdonavamo quando ci urlava contro, quando rompeva i piatti a causa degli scatti d’ira e persino quando la violenza le sembrava l’unica soluzione per combattere. Per me è stato davvero difficile, ero solo una bambina, ma la realtà è che sapevo che stava affrontando una guerra e in guerra non si va mai disarmati: la rabbia era la sua unica arma.”

 Ho i brividi a causa del suo racconto e non so in che modo rispondere, nessuna parola sembra quella giusta da usare in questo momento. Sta facendo una piccola pausa, il suo viso è perso, immerso nei ricordi e non posso fare altro se non aspettare che continui.
“Non esisteva una cura e non esiste tutt’oggi, la soluzione migliore sarebbe stata portarla in un centro dove si sarebbero presi cura di lei, ma…non volevamo lasciarla così presto. Mio padre…ha fatto tante cose sbagliate nella sua vita, ma lui la amava così tanto…ha passato la sua vita con lei, è un piccolo paese, si conoscevano da quando erano piccoli. Erano davvero felici, credo di non aver mai visto nessuno così. Per lui è stato un duro colpo da digerire. Non lo giustifico per il male che ha fatto negli ultimi tempi, ma infondo è solo un uomo, ha perso la persona che più amava e non credo sia possibile sopportare un dolore così, senza uscirne demoliti. “ Da queste sue ultime parole, trapela un sentimento di affetto verso Garrett che non le avevo mai letto negli occhi. Sono davvero stati uniti, una volta. E forse, anche se come ha detto lei, questa storia drammatica non giustifica le sue azioni, permette quantomeno di capire da cosa è stato innescato questo ciclo di decisioni sbagliate che ha preso.

“I lividi…è stata…” non riesco a concludere la mia domanda, ma lei comprende subito e mi risponde. “Sì, è stata lei. Non so esattamente come sia andata, ma mentre io ero a scuola, devono aver litigato e lei ha avuto uno dei suoi scatti d’ira…gli ha messo le mani attorno al collo e ha stretto.” Vorrei chiederle perché non l’ha fermata, come sia stato possibile che un uomo ben piazzato come Garrett, si stesse lasciando strangolare così facilmente da un’esile donna, ma poi ci arrivo: “L’amava talmente tanto che era pronto a sopportare qualsiasi cosa.” Annuisce e i suoi occhi sembrano tornare al presente. “Senza nemmeno accorgersene, lui ha urlato e dei vicini l’hanno sentito. Era disposto a lasciarsi uccidere, ma nel profondo sapeva che mi avrebbe lasciata sola e non era questo ciò che voleva. Poi l’ha fatto comunque, ancora non sapeva la portata del dolore che la morte di mia madre gli avrebbe causato”.

Nella sua espressione trapela un senso di abbandono che mi rivolta lo stomaco e il peso di questa conversazione mi colpisce con improvvisa durezza. La rabbia nei confronti del Signor Wilson monta nelle mie vene e non riesco a trattenermi: “Però hai sofferto anche tu!” Sorride dolcemente e posa una mano sulla mia, lasciando che dei brividi si irradino per tutto il mio corpo a partire dal punto in cui la nostra pelle si accarezza. “Ce l’ho ancora con lui per questo e tu lo sai, ma vedi…il periodo in cui mia madre è stata malata, è stato incisivo nella mia memoria. I ricordi felici che ho di lei, risalgono a quando ero fin troppo piccola, invece lui ha avuto anni e anni per imprimersi nella mente il suo sorriso e la sua risata.” Non so perché, ma in qualche modo continua a giustificare suo padre, nonostante io sia perfettamente consapevole di quanta rabbia nutra nei suoi confronti. “Non dovresti difenderlo così, non metto in dubbio l’inferno che ha passato, ma tutti soffriamo”. Stringo ancora di più la sua mano e con il pollice disegno dei cerchi sul suo dorso. “Siamo creature immensamente fragili, Evans, tu hai avuto il tuo momento di debolezza recentemente, il suo è solamente durato di più. Ha lottato per tanti anni e ora è semplicemente stanco. L’essersi consegnato, lo dimostra.” “Vuoi perdonarlo?” La mia non è un’accusa, in qualche modo, inizio a comprendere il suo discorso e incredibilmente riesco a mettermi nei panni di quell’uomo. “Ciò che voglio, è proteggere Alex. Non mi riavvicinerò a mio padre se questo significa mettere in pericolo mio figlio, ma odiare è faticoso e il tempo che passo a provare risentimento, potrei spenderlo in altri modi” so che non è il momento, ma queste sue ultime parole, mi fanno provare un certo calore, come se la sua fosse una sorta di illusione a ciò che è accaduto ieri.

Restiamo in silenzio a lungo, i viaggi nel passato sono stremanti e tutto il carico di informazioni e riflessioni è stato fin troppo pesante per entrambi e ora abbiamo bisogno di riprenderci.
Siamo ancora seduti alla penisola della cucina e non ci guardiamo nemmeno, semplicemente le nostre mani sono intrecciate come non lo erano mai state prima d’ora. È una sensazione piacevole, come se nessuno dei due volesse intromettersi in questo attimo di raccoglimento dell’altro, ma al tempo stesso, come a dire: “se vuoi dire qualcosa, io sono qui per ascoltarti; se hai bisogno di una spalla su cui piangere, eccomi; se ti senti stremato e hai bisogno di forza, ti cedo la mia”.
“Sei ancora arrabbiata?” Questo dubbio mi perseguita e non mi sento la coscienza pulita. “Un po’ sì. Perdono la tua curiosità e mi fa piacere che tu fossi preoccupato, ma avresti dovuto dirmelo” non ha un tono nervoso o di rimprovero, è più una costatazione. “Mi farò perdonare, promesso” le faccio l’occhiolino e il suo sguardo a metà tra lo stupito e l’incuriosito è tutto ciò che mi serve.

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Capitolo 50
*** Snow ***


ELLIE’S POV

Zack mi ha promesso che si sarebbe fatto perdonare e sinceramente non so cosa gli stia passando per la testa proprio in questo momento. Lo sto osservando mentre facciamo colazione in religioso silenzio, a seguito di una notte passata nuovamente tutti e tre nello stesso letto. Quando mi sono svegliata, lui era già in cucina a preparare il caffè e quando anche Alex ha aperto gli occhi per salutare il nuovo giorno, abbiamo raggiunto il giovane uomo e ci siamo accomodati intorno alla penisola.
Più osservo il capo, più mi rendo conto di quale bellezza spropositata descriva la sua figura: si potrebbe pensare che la mattina, tutti abbiano bisogno di qualche minuto per riprendersi, magari darsi una pettinata, lavarsi e cose così, ma non lui. Il ciuffo scompigliato gli conferisce un’aria decisamente affascinante, la tuta che ricade morbidamente sui fianchi sembra essere stata prodotta appositamente per il suo corpo e le braccia con un live strato di muscoli non accennano ad avere freddo, nonostante la maglietta a maniche corte. I suoi occhi, ancora assonnati, hanno un che di caldo e a prescindere dal loro colore di ghiaccio, sono estremamente affettuosi.
“Ellie? Ellie?” Improvvisamente sento il peso della tazza fumante nella mia mano, che , senza accorgermene, tenevo sospesa a mezz’aria. “Ehm…si?” Beccata su tutta la line a sbavare, mio figlio e Zack mi osservano incuriositi dalla mia totale mancanza di attenzione. “Hai capito quello che ho detto?” Finge un tono di rimprovero, e per un momento mi sembra di essere alla Evans Enterprise. Un flash dell’esplosione mi balena nella mente e decido di ritornare al presente. “Ehm…no” farfuglio imbarazzata. Il mio impaccio è dovuto non tanto al fatto che non lo stessi ascoltando, quanto più al motivo per cui non lo stessi facendo; ovvero, scansionare ogni millimetro del suo corpo. “Ti ho chiesto se ti piacerebbe andare a fare una gita in montagna. Ho un piccolo cottage non troppo lontano da qui e…pensavo ci avrebbe fatto bene andare in un posto nuovo”. Siamo venuti qui proprio per cambiare aria, ma Montpelier non mi fa sentire esattamente a mio agio, per cui la sua idea è allettante. “Volentieri”.

La notizia che avesse una proprietà in montagna non mi ha stupita, essendo a capo di una grande azienda, ed essendo anche i suoi genitori detentori di un patrimonio, i soldi non sono decisamente un problema. Dal trauma sembra si stia riprendendo piuttosto bene, anche se durante la notte l’ho sentito agitarsi e borbottare qualcosa riguardante “l’incidente”. Stamattina l’ho sentito parlare al telefono con Matt, gli stava chiedendo informazioni su come procedono i lavori di ricostruzione e successivamente mi ha raccontato che pare che il suo amico sia riuscito a trovare una piccola sede provvisoria, giusto per mantenere attiva l’azienda. Inoltre, durante la loro conversazione, Zack si è scusato per essere stato così passivo negli ultimi tempi e ringraziava di cuore Matt per il suo prezioso aiuto. Per dare un tocco in più al progresso della sua riabilitazione, il capo ha messo in valigia anche il regalo di Arthur, e ciò mi fa supporre che durante il nostro viaggio, avrò modo di rivederlo in azione.

Proprio come aveva detto, il cottage non è molto lontano e circa in un paio di ore di macchina, siamo arrivati. La strada era tutta in salita infatti siamo piuttosto in alto e nonostante i numerosi alberi che bloccano la visuale, credo ci sia un ottimo panorama al di là del bosco. Ciò che più mi colpisce però, è la neve. Bianca e gelida, ricopre quasi ogni millimetro di terreno. Alex sta ancora dormendo e non vedo l’ora che si svegli: non ha mai visto così tanto nevischio in una volta.
 Aiuto Zack con i bagagli e percorriamo un breve sentiero in mezzo alla natura finché non vedo sbucare una meravigliosa casetta interamente in legno. Resto affascinata dal colore chiaro del materiale e dalla precisione con cui le assi sono incastrate tra loro a formare una superficie uniforme. “Dentro è ancora più bello” mi sussurra Zack all’orecchio. Mi sembra incredibile da credere, ma più ci avviciniamo all’ingresso, più sono emozionata.
Quando il capo apre la porta, un confortante calore mi invade e ne capisco subito il motivo: il caminetto posizionato su uno dei lati della sala è accesso. “Ho chiesto alla donna delle pulizie di dare una sistemata e gentilmente ha pensato di accenderlo” mi spiega Zack facendomi strada all’interno. Alex inizia a muoversi tra le mie braccia e subito si gratta un occhio con la mano, dopodiché si guarda intorno confuso, ma piacevolmente colpito: questo cottage è meraviglioso. È a due piani, ma entrambi gli ambienti sono molto raccolti, il salone di ingresso è caratterizzato dal camino, un divano sui toni del beige e un enorme tappetto rosso; il lato opposto al caminetto è occupato da una piccola libreria posta accanto alla scala a chioccola che conduce al piano superiore.
Lascio il bambino sul sofà e seguo Zack in cucina: al centro di essa è presente un tavolo in legno più scuro rispetto a quello dei muri e i toni del piano cottura riprendono il marrone che caratterizzava la seduta nella stanza precedente.
“Questo posto è…wow” non so in quale altro modo descriverlo. “Lascia pure qui i bagagli, ci penso io a portarli di sopra” si propone Zack; non abbiamo portato molto con noi, trascorreremo in questo cottage un weekend e le borse così grandi sono dovute alle dimensioni di giusto un paio di maglioni. “Dobbiamo uscire a comprare qualcosa da mangiare?” “No, le scorte sono sempre ben rifornite” gli faccio un cenno di assenso e raggiungo Alex sul divano. Il bambino è intento a fissare il fuoco nel camino: il gioco delle fiamme, il loro cambiamento, l’intensità della loro luce e lo sfrigolio che producono, lo affascinano particolarmente. Non vedo l’ora di portarlo all’esterno, a vedere la neve; sono sicura che gli piacerà ancora di più dal momento che potrà toccarla e giocarci. Prendo il berretto e gli rimetto la giacca che avevo precedentemente tolto. “Adesso ti porto a vedere una cosa” gli spiego. Mi dispiace non aiutare Zack, ma non sto più nella pelle: gli ultimi mesi sono stati un inferno e mentre mi preoccupavo per la Evans e per il capo, non ho pensato che anche mio figlio stesse soffrendo; naturalmente la sua percezione è totalmente diversa dalla nostra, ma ciò non toglie che possa essersi spaventato. Questo è il suo momento e non permetterò a niente e nessuno di rovinarglielo.

Ho sempre amato la neve, nonostante nemmeno io, proprio come mio figlio, ne abbia vista molta nel corso della mia vita. Quando guardavo i film e vedevo persone progettare pupazzi di neve, mi chiedevo sempre se un giorno sarei stata in grado di farne uno anche io. L’unico grande problema di questa precipitazione, è il freddo pungente che porta con sé: a dispetto dell’euforia che mi ha assalita, lasciare la casa dominata da un piacevole tepore, è una sofferenza.
Quando apriamo la porta, un’aria gelida ci investe i volti e fa immediatamente arrossare i nostri nasi. Alex sgambetta contento e si lancia letteralmente in mezzo alla distesa bianca, non preoccupandosi minimamente delle bassissime temperature e della sensazione di bagnato che sentirà quando si rialzerà.
“Nieve!” allunga le mani verso di me mostrandomi una pallina che è riuscito a creare. “Senza la i, amore. Si dice neve”.

Passiamo circa un’ora a rotolarci e a farci scherzi in questo candore, finché Zack non esce dal cottage e ci osserva con una falsa aria di rimprovero. Ha le braccia incrociate all’altezza del petto e batte un piede sul terreno. “Voi due, vi sembra il caso di…” è un attore talmente bravo, che per un attimo mi sorge il dubbio che non stia scherzando e subito mi sento in colpa per non averlo aiutato a fare nulla. “Vi sembra il caso di iniziare a giocare senza di me?” Cosa? Lo guardo sbalordita e lui a sua volta mi osserva con fare di sfida, fino a quando una semplice palla di neve non lo colpisce in pieno petto, facendolo indietreggiare dalla sorpresa. Quest’ultima è ancora maggiore quando ci rendiamo conto che a sferrare l’attacco è stato proprio il bambino che, accanto a me, sta ridendo come un pazzo. “Questa me la paghi, piccola peste!” I due iniziano una lotta accanita, nella quale vengo tirata in mezzo e in meno di dieci minuti, mi ritrovo ricoperta di polvere bianca.

Quando siamo ormai stanchi, decidiamo di dilettarci nella realizzazione di un pupazzo per cui ci occorrono almeno tre tentativi per renderlo stabile, dato che nessuno di noi tre ha mai veramente avuto occasione di farne uno a regola d’arte. “Questo posto apparteneva ai miei nonni, io gli ho solo dato una sistemata per renderlo più moderno e accessibile dato che il tempo l’aveva rovinato” mi spiega Zack. “E i tuoi genitori non vengono mai qui?” So che i suoi hanno divorziato quando lui era un ragazzino, ma niente di più. “No, preferisco luoghi più altolocati” risponde sbrigativamente. Non indago oltre, siamo venuti qui per rilassarci e divertirci e questo argomento lo mette chiaramente a disagio. “È prevista una bufera per stasera, quindi godiamoci la neve finché possiamo perché poi saremo bloccati in casa” l’idea di restare chiusi in quel meraviglioso cottage, senza contatti con il mondo esterno, anziché terrorizzarmi, mi affascina.

Il pranzo consiste in una minestra calda e gustosa, che persino Alex non disdegna. Nel pomeriggio andiamo a controllare il nostro pupazzo che banalmente abbiamo chiamato “Signor Carota” per via del suo “naso” creato grazie all’ortaggio di straordinarie dimensioni, del tutto fuori dal comune. Alex vuole salutarlo, perché prima gli ho spiegato che sarebbe arrivata una tormenta e avrebbe portato via il Signor Carota; inizialmente i suoi occhioni azzurri si sono riempiti di lacrime, poi gli ho promesso che non appena il tempo si calmerà, ne faremo un altro ancora più bello e allora mi ha sorriso.

Il sole viene improvvisamente coperto da una nube e il cielo inizia a diventare minaccioso, i primi fiocchi cadono rapidamente in un tripudio di vento e sbuffi. Aiuto Zack a serrare tutte le imposte e a cercare delle torce, in caso ci fosse un blackout.
È la prima volta che affronto una situazione del genere e mi sento un po’ in agitazione, anche se la presenza e prontezza di Evans, mi tranquillizzano enormemente.
Tengo in braccio Alex perché piange impaurito e stringerlo mi infonde un certo coraggio.
“Non preoccupatevi, domattina il sole splenderà alto nel cielo” Zack si siede sul divano accanto a me, portandomi una tazza fumante di tè. “Sei abituato a questo genere di cose?” “Abituato non esattamente, però ci sono già passato e non c’è nulla di cui aver paura. Questa non è neanche una zona a rischio valanghe e quando ho fatto ristrutturare la casa, è stata completamente rinforzata.”
Le sue parole hanno posto definitivamente fine alla mia ansia, ora non resta che tenere occupato Alex per non fargli udire la bufera che imperversa all’esterno.

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Capitolo 51
*** Portrait ***


Alex è in braccio a me sul divano, trema quasi impercettibilmente, ma la sua mano paffuta stringe l’orsacchiotto di pezza con una forza che non si addice per nulla alla sua figura di bambino indifeso. “Sht amore, va tutto bene” cerco di tranquillizzarlo, ma il mio tentativo è vano. Guardo Zack in cerca di aiuto, anche se l’esperta in materia infantile qui, sono io. Il ragazzo accanto a me, è palesemente in difficoltà, ma riesco a capire subito che la sua mente sta pensando a qualcosa per correre in mio soccorso. Improvvisamente si alza e lo vedo scomparire al piano superiore, dov’è situata la camera da letto. Sono incuriosita dalla sua azione e attendo con trepidazione il suo ritorno; persino Alex si è accorto del fulmineo movimento accanto a noi e il uso sguardo è rivolto verso le scale. Zack non ci lascia troppo tempo ad aspettare e infatti eccolo  ricomparire un paio di minuti dopo con le mani impegnate. Riconosco l’album e la valigetta che mi aveva dato Arthur e un sorriso spontaneo solca il mio viso; mio figlio ha smesso di tremare e lo sento allungarsi sul divano verso Zack che ritorna a sedersi accanto a me.
Non si preoccupa di avere attenzione su di sé, ma si concentra nell’aprire con cura il prezioso contenitore dal quale scaturiscono numerosi colori e un tripudio di forme e dimensioni. Alex sorride alla vista del materiale da disegno e batte le mani dimentico della bufera che imperversa all’esterno. “Facciamo qualche disegno?” Domanda Zack come se niente fosse. Il bambino sembra capire la proposta e annuisce contento.
Il capo avvicina il tavolino al divano e i due si mettono comodi intorno ad esso per poter iniziare la loro attività creativa. Io, nel frattempo, osservo con attenzione tutti i pastelli, pennelli e matite presenti nella valigetta, ammirandone la consistenza e i toni. “Zack, sei sicuro che sia una buona idea?” Gli domando preoccupata. “Far disegnare un bambino?” Ribatte confuso. “No, intendo…fargli usare i tuoi strumenti…hanno un’aria costosa” non che i soldi siano un problema per lui, ma per principio, non credo sia una buona idea metterli in mano ad un bambino così piccolo. “Non li rovinerà” afferma sicuro. “Come fai ad esserne certo?” Non mi risponde; apre l’album e strappa un foglio per poi passarlo ad Alex. Si concentrano entrambi sulla superficie bianca davanti a loro, ancora incerti nel dare sfogo alla loro creatività.

Mezz’ora dopo, Zack, vedendomi distratta, mi propone di unirmi a loro, ma rifiuto. Non me la sento di disegnare, in realtà non ho voglia di fare nulla, una strana stanchezza si è impossessata di me. “Perché non vai di sopra a riposare?” Sto per declinare la proposta di Zack, quando decido di accettare, dopo che ogni fibra del mio essere si è resa particolarmente pesante.
Lascio un bacio sulla fronte di Alex e mi trascino verso le scale, che al momento mi sembrano davvero troppe e decisamente troppo ripide da percorrere. Mi attacco alla ringhiera e salgo lentamente, con il costante pensiero che mi stia venendo l’influenza, data questa mia mancanza di forze.
La camera, che non avevo ancora visto, è essenziale e principalmente occupata da un grande letto matrimoniale. Quest’ultimo sembra chiamarmi e mi pare molto più invitante di quanto non mi appaia di solito. Mi ci butto sopra con poca delicatezza e constato che la sua consistenza è perfetta: né troppo dura, né troppo molle. Il materasso aderisce alla mia figura, il cuscino mi dona pace e il piumone sotto cui mi posiziono, mi stringe in un caldo abbraccio che mi culla, trasportandomi nel mondo dei sogni.

Non so quanto tempo sia passato da quando ho chiuso gli occhi, ma la mia fronte è leggermente imperlata di sudore e il mio respiro è pesante: come avevo immaginato, la febbre è salita. La porta si apre lentamente e dietro lo stipite compare Zack con in braccio Alex, quest’ultimo tiene tra le mani un foglio. I due mi raggiungono sul letto e Alex gattona velocemente accanto a me, per poi mostrarmi il suo disegno stropicciato: “Mamma!” Il suo urletto mi procura un fulmineo dolore alle tempie, anche se cerco di non darlo a vedere. “Amore, ma è bellissimo!” Distinguo un cerchio rosa, solcato da due circonferenze più piccole azzurre e con intorno delle linee disordinate bionde. Ammiro il lavoro di mio figlio e gli lascio dei buffetti sulle guance per complimentarmi con lui finché dei colpi di tosse non mi fanno allontanare e raggomitolare su me stessa.  “Ellie, stai bene?” Zack mi si avvicina preoccupato. “Credo di avere un po’ di influenza, ma nulla di grave” non lo dico solo per non farli agitare, mi rendo conto di non essere in ottima forma, ma sono stata molto peggio di così. “Vado a prenderti un’aspirina e a preparare qualcosa di caldo da mangiare” prima che possa andarsene, gli chiedo com’è il tempo, dato che dormivo così profondamente da non essermi accorta delle condizioni della bufera. “Si sta calmando, ma è ancora impossibile uscire” mi spiega. “Alex è tranquillo, disegnare l’ha distratto completamente e ho cercato di spiegargli che fuori non c’è nulla di pericoloso” “Ottimo lavoro!” Gli sorrido fiera di lui e piena di gratitudine per essersi preso cura di mio figlio.

“Forse dovrei dormire sul divano…non vorrei attaccarvi l’influenza” dico a Zack mentre gusto una squisita minestra che riesce a placare i miei brividi. “Non se ne parla, devi stare comoda e soprattutto non devi prendere freddo” ribatte prontamente. “Agli ordini capo” lo prendo in giro per il suo tono autoritario. “Era da un po’ che non mi chiamavi così” osserva. “Nella mia testa ti chiamo spesso in questo modo” solo un attimo dopo aver pronunciato queste parole, mi rendo veramente conto di quello che ho detto. “Ah, quindi mi pensi frequentemente?” Ammicca. Oh. Mio. Dio. “NO” rispondo sbrigativamente, fin troppo. Mi guarda in attesa e sento il mio viso diventare sempre più rosso. “Smettila subito!” gli lancio un cuscino cercando di non rovesciare la cena. “Io? Non ho fatto nulla! Ti sei fregata con le tue mani…o dovrei dire, con le tue parole” ridacchia divertito e io mi sento sempre più in imbarazzo, fortunatamente un colpo di tosse viene in mio soccorso e Zack smette all’istante di divertirsi per iniziare a preoccuparsi. “Va bene, va bene, non è il momento di affrontare questo discorso, ne riparleremo quando sarai guarita. Ora dormi.” Si alza prendendo il mio piatto e aiutando Alex a scendere dal letto. Prima che possa chiudere la porta alle sue spalle, lo fermo: “Non c’è nessun discorso da affrontare!”

La mattina sono la prima a svegliarsi, la medicina ha avuto l’effetto sperato, e la mia lieve febbre è completamente sparita anche se non sono ancora del tutto in forze. Decido di preparare la colazione, così mi dirigo in cucina, ma mi fermo passando accanto al tavolino in sala. Sopra ad esso è posato l’album da disegno di Zack. Ho visto il ritratto di mio figlio, ma chissà quale bellissima opera avrà prodotto il capo. La curiosità ha la meglio e subito le mie mani aprono il quaderno: un volto dai lineamenti dolci e posto a tre quarti si staglia sul foglio altrimenti bianco. Non ci sono colori, il tutto è fatto a matita, persino le sfumature e le ombre che creano le palpebre e il naso sono create grazie alla grafite. Riconosco me stessa in questa giovane donna con un sorriso appena accennato e lo sguardo dolce. La figura guarda non troppo lontano da sé, anche se non è possibile vedere ciò che vede lei. Non riesco a distogliere gli occhi dalle linee scure, ne sono totalmente affascinata. “Ti piace?” La voce di Zack alle mie spalle mi fa sobbalzare, ma il mio volto resta comunque fisso sul ritratto. “Come potrebbe non piacermi? È…stupendo” mi manca il fiato mentre lascio uscire queste parole dalle mie labbra che spero siano esattamente come le ha rappresentate Zack, perché in questo caso, sarebbero davvero belle. “Mi vedi davvero così?” Questo dubbio mi assale improvvisamente. “Così come?” Mi stuzzica. “Così…piacevole?” Bella mi sembrava un parolone per descrivermi. Lo sento avvicinarsi ancora di più, il suo volto è sopra la mia spalla sinistra anche se non ci tocchiamo con nessuna parte del corpo. Sento il suo respiro accarezzarmi i capelli. “Allora?” Lo esorto a rispondermi. “Oh no, io ti vedo molto più che piacevole.” Lentamente mi fa girare verso di lui e adesso il suo fiato colpisce la mia tempia. “Per me sei bellissima”.

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Capitolo 52
*** Future ***


Bellissima. È l’aggettivo in sé che fa galoppare il mio cuore? O forse è merito dello sguardo magnetico di chi l’ha pronunciato? Cosa sarebbe successo se le parole fossero state altre, o se la persona ad emetterle fosse stata diversa? Non ho risposta a questi quesiti, ma nell’esatto momento in cui le nostre labbra si sfiorano, so che tutto è come deve essere. Non mi importa di altri vocaboli, non mi interessano occhi altrui; voglio solo la persona che si trova davanti a me e che mi sta baciando con una dolcezza tale che nessuno aveva mai usato con me prima d’ora.
Mentre assaporo tutta la tenerezza che Zack è in grado di donarmi, ripenso a quella che non ho mai ricevuto davvero dai miei genitori, troppo impegnati a soffrire, o da Allen, amante più di se stesso che del prossimo; e paragono questo nascente sentimento all’amore che era già dentro di me e che sono riuscita a riporre in Alex, non volendo perseverare negli errori altrui.
Le nostre bocche si separano di poco e il nostro bacio si interrompe. “Questo cos’era?” Sussurro. “Un modo per farti capire quanto tu sia piacevole” risponde con una nota di ilarità nella voce. “Pensavo di essere bellissima” resto al gioco e come al solito, il nostro scambio di battute si tramuta in qualcosa di scherzoso. Mi guarda intensamente, come so di star facendo anche io. Penso che voglia baciarmi di nuovo, perché se ci stiamo osservando nello stesso modo, forse stiamo anche pensando alle stesse cose e ciò che io adesso vorrei è ricongiungere le nostre labbra e nient’altro. Socchiudo lentamente gli occhi, ma proprio mentre mi sto riavvicinando, faccio un improvviso balzo all’indietro, inciampando nel tavolino.
Le sue dita mi hanno artigliato un fianco, facendomi sussultare per il solletico. “Ehi!” Lo riprendo, nervosa per aver interrotto l’intensità del momento; ma la mia rabbia si dissolve velocemente non appena lo vedo ridere: non a causa di qualche clichés per cui quando lo vedo sorridere il mondo intorno a me si ferma, ma semplicemente perché finalmente capisco che noi siamo questi. Non passeremo mai troppo tempo a comportarci in modo sdolcinato, non ci fisseremo come se fossimo le uniche persone rimaste sulla faccia della Terra, non ci daremo baci a fior di labbra dal mattino alla sera, non resteremo abbracciati dimentichi di tutto ciò che ci circonda; ma faremo a  modo nostro: interromperemo tutti questi momenti romantici per bisticciare, prenderci in giro e ridere insieme.
A seguito di questi pensieri, un ultimo assillante dubbio si fa strada dentro di me: sto davvero implicando un “noi” nel mio futuro?

Le mie domande traditrici non mi lasciano neanche durante la colazione, il mio umore è totalmente cambiato da poco fa e Zack se n’è accorto, visto che non fa altro che fissarmi in modo insistente. “Forse dovrei svegliare Alex, ora il sole splende e non vorrei fargli sprecare questa ultima giornata in mezzo alla neve” mi sento una persona orribile ad usare mio figlio per sfuggire da quegli occhi, ma al momento, è la mia unica possibilità per salvarmi e non farmi soffocare da quesiti esistenziali.

Incredibile pensare che fino a qualche ora fa, una bufera si stesse scatenando proprio dietro a queste quattro mura: il cielo ora è limpido e solo alcune piccole nuvole bianche in lontananza intaccano la sua nitidezza. Tutto sembra tranquillo, ogni tanto si alza un sottile vento, unico sentore del disastro che imperversava ieri, ma il sole è caldo e permette a me e al mio bambino di passare l’intera mattinata fuori. Siamo impegnati nella ricostruzione del nostro pupazzo di neve e solo ora, inizio a sentire la mancanza di Zack. Questa volta non si è unito a noi, ha preferito “cercare di ristabilire i contatti con Matt” perché “aveva alcune importanti questioni aziendali da risolvere”. Sono davvero felice che si stia riprendendo a seguito di quel periodo buio, dato che questo gioverà a tutti: il suo migliore amico potrà riprendere il fiato e credo proprio che non appena torneremo, sarà il suo turno per prendersi una vacanza.
Nonostante questo mio barlume di felicità, quella di Zack mi è sembrata una scusa per restare un po’ da solo o comunque per non avere a che fare con me, ma d’altronde, sono stata io la prima a comportarsi in modo strano, per cui non posso di certo rimproverare le sue azioni.

 Comprendo di aver sbagliato ad allontanarlo così e capisco che entrambi abbiamo un disperato bisogno di parlare di questo “noi” per designarne i caratteri. Naturalmente, non possiamo fare tutto questo mentre c’è Alex e forse io necessito di una chiacchierata con Jennifer, per cui decido di posticipare questa fantomatica conversazione al nostro rientro, ma prima, per farmi in qualche modo perdonare, mi offro volontaria per preparare la nostra ultima cena in questo luogo paradisiaco.
Per mia immensa fortuna, il cellulare prende, anche se a fatica, e riesco a trovare una ricetta perfetta mettendo insieme tutto quello che avevamo nella dispensa, o quasi. Domattina presto ripartiremo e non voglio che qualcuno si senta male per colpa delle mie pazze idee da chef improvvisato.
Zack ha il compito di badare ad Alex e io ho praticamente monopolizzato la cucina, chiudendo fuori i due uomini e vietando loro categoricamente di metterci piede. Zack ha giustamente sollevato un banale quesito: come avrebbero fatto ad abbeverarsi fino all’ora di cena, dato che siamo solo a metà pomeriggio. Così, mossa da un istinto materno e benevolo, mentre traffico con ogni utensile, mi appresto a preparare un the a cui accompagno dei biscotti al cioccolato che poi lascio sul tavolino della sala, prima di ritornare nel mio regno.
Cucinare in qualche modo mi rilassa, e se non fosse per lo stress da “devo farmi perdonare”, ora sarei allegra e spensierata. Da giovane madre single, so come muovermi tra i vari cibi e seguire la ricetta passo per passo, non mi è di alcun problema.
Un motivo per cui sono stata assunta alla Evans Enterprise è sicuramente il mio accurato metodo di lavoro: prima di tutto, considero quello che devo fare e ricerco il materiale che mi occorre, dopodiché procedo in modo preciso e ordinato, fino ad eliminare ogni voce dalla lista delle cose da fare.
Questa tattica è la stessa che utilizzavo a scuola e la mia metodicità mi ha sempre aiutato. È vero, ogni tanto serve anche “rompere le regole” e agire in modo più istintivo, ma forse avere un ordine mentale, nella maggior parte dei casi, è essenziale.
Mi risveglio dai miei pensieri solo quando  il timer del forno squilla; è assurdo come tutti questi ragionamenti si siano diramati nella mia testa, partendo dalla semplice messa in pratica di una ricetta culinaria. Devo essere completamente andata, il mio cervello è stato mandato in cortocircuito da un temporale che ha un nome ed un cognome: Zack Evans.

Dopo tre ore passate a fare l’eremita tra pentole e fornelli, apro finalmente la porta della cucina così da poter ammirare, ancora una volta, mio figlio e il capo che disegnano spensierati. Sono contenta che Zack stia trasmettendo questa sua passione ad Alex, anche se quest’ultimo ha ancora delle difficoltà a tenere in mano pastelli e matite, e ciò che disegna è ben lungi dalla realtà, l’arte è un ottimo metodo di sfogo, persino per bambini così piccoli. “Cos’è questo profumino?” Domanda subito Zack spostando la sua attenzione su di me. “La cena! Ho appena sgomberato l’isola così possiamo preparare e accomodarci” spiego sfinita. Se non altro, durante il viaggio di domani riuscirò a dormire. “Vieni qui a sederti un po’, ci penso io ad apparecchiare” si propone dolcemente il ragazzo. Non me lo faccio ripetere due volte e mi accomodo accanto a mio figlio che sembra davvero felice di vedermi. Lo prendo in braccio e mi faccio mostrare la sua creazione: questa volta si tratta del nostro pupazzo di neve; sicuramente più semplice da riprodurre rispetto al mio ritratto. Getto un occhio anche all’album di Zack, non credo che questa volta il soggetto dei due artisti sia lo stesso: in tutto questo tempo, avrà sicuramente rappresentato qualcosa di più complesso.
Proprio come immaginavo, l’opera del capo rappresenta non solo un pupazzo, ma anche tutto il contesto intorno ad esso. È come se l’osservatore guardasse da una finestra il paesaggio esterno: un cortile innevato con degli alberi e due piccole figure che si apprestano a costruire qualcosa con la candida neve. Due teste bionde compaiono da dietro la creatura bianca e capisco subito che si tratta di me e Alex. È incredibile come Zack sappia rappresentare magnificamente qualsiasi cosa. Scioccamente mi ritrovo a pensare che se non avesse avuto fortuna con l’azienda, avrebbe potuto occuparsi di arte.

“Io con la tavola avrei finito, se volete accomodarvi…” Zack esce dalla cucina cogliendomi di sorpresa, sussulto e lascio ricadere l’album sul ripiano in legno chiaro. “Arriviamo! Porta Alex a lavare le mani, intanto io servo la cena”.
Quest’ultima consiste in una prima portata di pasta al ragù e una secondo piatto di spezzatino accompagnato da piselli. Naturalmente sono già consapevole che ciò che più gradiranno i due commensali, sarà la torta al cioccolato che sono riuscita ad infornare dopo aver fortuitamente trovato del preparato per dolci nella dispensa.
“Coraggio, non fate complimenti e mangiate tutto!” Li invito e i due non se lo fanno ripetere due volte. Per Alex risulta piuttosto complesso mangiare lo spezzatino, ma i suoi dentini sono incredibilmente forti e lui, pur essendo solo un bambino, risulta particolarmente vorace. “È ottimo Wilson, credo che quando l’azienda sarà pronta, non ti assumerò più come segretaria, ma come cuoca!” “Grazie dell’offerta capo, ma il mio ruolo mi andava benissimo” ribatto ridendo. “A proposito della Evans Enterprise, come procedono i lavori?” Inizialmente sembra confuso dalla mia domanda, così aggiungo: “Non hai parlato con Matt questa mattina?” “Oh sì, sì, certamente”. Sembra sovrappensiero e soprattutto poco convinto; non ha ancora risposto alla prima domanda, ma non insisto perché qualcosa mi dice che al telefono, qualche ora fa, non era il suoi migliore amico. Non voglio rovinare questo bellissimo clima che si è creato fra noi e decido di posticipare le mie indagini al nostro rientro. “È un peccato che questo sia l’ultimo giorno…mi piaceva stare qui” affermo abbattuta. “Beh, se ti fa piacere, potremmo ritornarci in futuro” non sono solo le sue parole a colpirmi, ma anche la fermezza con cui le ha pronunciate. Significato e tono indicano che è convinto che ci sarà posto davvero per un “noi”. Le mie guance si surriscaldano al solo pensiero e la mia mente inizia a fantastica. Improvvisamente, non vedo l’ora di ritornare a New York. 

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Capitolo 53
*** Links ***


“Quindi state insieme?” Mi domanda Jennifer ammiccando. Le ho raccontato tutto quello che è successo con Zack durante il weekend e ora ci sta già organizzando le nozze. Non avevo idea di come iniziare la mia narrazione, ma l’occasione mi è stata offerta su un piatto d’argento quando la mia amica mi ha domandato come mai il capo fosse così raggiante al nostro ritorno. “Certo che no!” Rispondo sbrigativamente. “Oh andiamo Ellie! Non siete due adolescenti, avete intenzione di continuare a baciarvi così, senza impegno?” Ora il suo tono non sembra più quello di una ragazzina sognatrice, ma quello di una donna matura. Sono perfettamente consapevole del fatto che ha ragione, dobbiamo comportarci come adulti. “Dobbiamo parlare e affrontare la questione il prima possibile, è sole che…” Jeni mi osserva in attesa che continui. “Non è facile. Ora che si è ripreso quasi completamente ha intenzione di gettarsi a capofitto negli affari e di occuparsi dell’azienda, inoltre…” non so come esprimere la mia paura, ma fortunatamente la mia amica mi viene incontro e lo fa lei per mio conto: “Temi che una volta tornato alla vita reale ritorni a trattarti da dipendente?” Annuisco e abbasso lo sguardo. “Ellie” Non è solo l’aver pronunciato il mio nome, ma è il modo in cui è uscito dalle labbra della segretaria a richiamare la mia attenzione. “Ascolta, tra voi non c’è mai stato un semplice e banale rapporto professionale. Vi siete lanciati sguardi di fuoco dal primo momento in cui vi siete incrociati, lo so io, lo sai tu e sono sicura lo sappia anche lui.”
“Io…non sono sicura di quello che provo” le spiego. “E chi lo è? Guarda me e Matt, ormai stiamo insieme da qualche settimana, ci vediamo ogni giorno e praticamente conviviamo anche se non in maniera ufficiale…eppure…nessuno dei due ha detto chiaramente quello che sente per l’altro. Nei sentimenti non è tutto bianco o nero. Quello che proviamo è complesso e mutevole, non puoi prevederlo, non puoi comandarlo, non puoi rifiutarlo.” Jennifer ha appena espresso alla perfezione il concetto, ma ora un ulteriore dubbio mi assale: “Quindi cosa pensi che dovrei fare?” “Parlagliene e ascolta ciò che lui ha da dirti, spesso le persone sanno stupirci” mi lascia un occhiolino e un’amichevole pacca sulla gamba, dopodiché si alza dal divano su cui siamo sedute da ormai un paio d’ore.
“Ehi Jen” la richiamo, “davvero tu e Matt non vi siete detti nulla?” Sono colpita da questa rivelazione. “Qualcosa sì, ma di certo non le due paroline magiche…” capisco immediatamente a cosa si riferisce e decido di non indagare oltre. “C’è un momento e un luogo per tutto” quest’ultima frase mi lascia un po’ interdetta e non so come interpretarla, poi forse capisco: quando sarò il momento, tutto verrà da sé.

Ho cercato in tutti i modi di convincere Jennifer a portare Mattew fuori città almeno per un weekend: entrambi hanno bisogno di un po’ di meritato riposo, ma nessuno dei due ha acconsentito alla mia proposta. Smith, dopo il ritorno del suo amico così pieno di energie, sembrava ancora più motivato a darci dentro. I ragazzi si trasmettono forza e passione ed io e Jen siamo davvero felici di vederli interagire con tanta vitalità, proprio come facevano prima dell’incidente. La mia amica mi ha raccontato che i due hanno avuto un incontro non solo per discutere in merito all’azienda e anche se non è a conoscenza dei particolari, è convinta che Zack si sia scusato per il suo comportamento degli ultimi mesi e che Matt l’abbia perdonato senza pensarci due volte.
Ora anche noi donne siamo decise a dare una mano e così ci occupiamo delle scartoffie e delle telefonate, proprio come facevamo prima dell’incidente. Il fatto di avere una sede identificata in un edificio è solamente una questione burocratica: l’azienda ha bisogno di un’immagine e di un luogo professionale dove tutti i dipendenti possano trovarsi. Il nostro  impegno è la prova che con la passione si può fare tutto.
Hamilton offre persino il suo ufficio per ogni necessità e negli ultimi giorni io ed Alex passiamo molto tempo da lui. Tra le altre cose, l’uomo mi ricorda che dovrei trovare una babysitter così da non dover trascinare mio figlio in studi e in altri luoghi poco adatti ad un bambino. So perfettamente che ha ragione, ma dopo l’esperienza con Kim, sono molto diffidente e l’idea di lasciare Alex con qualcuno che non conosco mi terrorizza.

Matt ha invitato me e Zack ad una cena a casa sua, sottintendendo che ci sarebbe stata anche Jennifer, per passare del tempo tutti insieme. Ho accettato di buon grado, così adesso mi ritrovo in camera mia nel disperato tentativo di allacciare una camicia azzurra ad Alex che non vuole saperne di restare fermo per due minuti. Zack passerà a prendermi tra poco e io non sono ancora completamente pronta; “Tesoro coraggio, lascia che la mamma finisca di allacciare i bottoni” lo prego in tono lamentoso. “Se fai il bravo ti prometto che zia Jen ti darà una fetta in più di torta al cioccolato” è brutto ricattare un bambino, ma questo dolce è il suo punto debole e la mia unica possibilità di riuscire a prepararlo in tempo. Come se avessi pronunciato una formula magica, mio figlio si immobilizza e osserva meticolosamente le mia dita che procedono nella chiusura dell’indumento.
“Adesso non muoverti dal letto, vado a pettinarmi e torno” gli lascio un bacio sulla testa e dopo essermi assicurata che Alex fosse esattamente al centro del materasso, mi affretto verso il bagno. I miei capelli sembrano il nido di una rondine e nemmeno la spazzola mi è d’aiuto, così decido di legarli in una crocchia e lasciare morbido il ciuffo a lato. Non mi trucco, se non per un po’ di mascara e un velo leggero di terra per dare colore alla mia carnagione altrimenti pallida. Do un ultimo sguardo allo specchio intero e annuisco alla visione di me con indosso un semplice abitino nero, delle calze dello stesso colore e uno stivale di camoscio senza tacchi. Sicuramente Jennifer sarà impeccabile, ma recandomi in un luogo privato ed essendo tra amici, non sento alcuna necessità di mettermi in ghingheri. Per assurdo, mio figlio di soli due anni è più elegante di me. Metto il capotto lungo dello stesso colore del vestito e allaccio le scarpe di Alex giusto in tempo perché arriva un messaggio di Zack, il quale mi avvisa che è nel parcheggio del St. Regis ad attendermi. Prendo in braccio il bambino e riparandoci a vicenda dal pungente freddo serale, montiamo sulla macchina del capo.
Noto che anche lui, seppur bellissimo come sempre, indossa abiti molto casual. “Matt mi ha detto che Jennifer ha preparato cibo per un intero reggimento, quindi spero abbiate fame” esordisce Zack ridendo e mettendo subito in moto. “Mi auguro che ci sia la torta al cioccolato” persino nella penombra riesco a vedere gli occhi di Alex scintillare al solo sentir nominare il suo piatto preferito, mentre il ragazzo accanto a me mi lancia uno sguardo confuso e subito mi appresto a spiegargli la vicenda di poco fa.

“Ho portato lo champagne!” Zack non saluta nemmeno e si comporta proprio come se fosse a casa sua, dal canto mio invece, resto immobile sull’uscio in completa ammirazione dell’appartamento di Matt. Ci troviamo in uno degli ultimi piani di un palazzo veramente alto e nonostante i corridoi e l’ascensore all’avanguardia e in metallo sfavillante, l’interno dell’abitacolo è estremamente accogliente, con un arredamento che varia dal tradizionale al moderno. “Ellie! Non stare lì, entra pure” Matt, da buon padrone di casa, mi accoglie con estrema gentilezza, lasciandomi anche un lieve bacio sulla guancia e spettinando i capelli di Alex con una carezza. “Complimenti, questo posto è magnifico” gli dico mente mi aiuta a togliere il cappotto. “Vero? Glielo dico sempre anche io!” Afferma Jennifer comparendo da quella che suppongo essere la cucina. “Ehi Jen!” La saluto velocemente perché subito mi interrompe: “Mettetevi tutti a tavola, non voglio che le mie prelibatezze si raffreddino!”

“Mi dispiace per te Ellie, ma anche se non smetterò mai di dire che la cena che hai preparato in montagna era fantastica, Jennifer è una cuoca eccezionale. Matt, hai la mia benedizione per prenderla in sposa” afferma di punto in bianco Zack e, un po’ per il mondo inusuale in cui l’ha detto, un po’ per il momento inaspettato, tutti scoppiamo in una sonora risalta, o per meglio dire, tutti a parte Alex che si sta gustando la sua tanto agognata fetta di torta. “Ellie è molto talentuosa in altro” mi difende la mia amica, non rendendosi neanche conto dell’ambiguità che si cela dietro la sua frase. “Chi vuole lo champagne?” Matt cambia velocemente discorso, prima che le nostre menti possano macchinare pensieri equivoci. “Io direi che a Jennifer è meglio dare dell’acqua” affermo convinta. Non sono mai stata un’amante del vino, ma il rosso servito in tavola stasera era veramente ottimo e tutti ci siamo un po’ fatti prendere la mano. “Oooh, suvvia, io sto benissimo!” Dire che è un po’ alticcia è riduttivo. Matt le offre premurosamente un piccolo sorso di champagne, giusto per brindare tutti insieme alla nostra amicizia, dopodiché io aiuto a sparecchiare e la serata continua nella sala, più precisamente sul divano. Zack aiuta la mia amica a mettersi seduta e i due iniziano un’animata conversazione sugli argomenti più disparati, mentre io osservo Matt recarsi in cucina con l’intento di caricare la lavastoviglie, così lo raggiungo.
“Hai bisogno di una mano?” Non credo proprio che tutto ci starà nell’elettrodomestico. “No, no. Sei un ospite, non ti farei mai lavare i piatti” mi spiega sorridendo. “Allora mi permetti di asciugarli?” Propongo prendendo già uno straccio tra le mani. “Non ti arrenderai finché non ti darò qualcosa da fare, vero?” “Esattamente”.

“Grazie per questo invito, mi ha fatto davvero piacere passare la serata tutti insieme.” “Quella da ringraziare è Jen, io ho fatto la proposta, ma non credevo saremmo riusciti a mettere in pratica il tutto in casa mia. Non ho spesso ospiti” mi confessa. “Oh, non si direbbe” rimango colpita dalle sue parole. “Comunque Jennifer mi trascina molto…prima non ero tipo da queste cose, il massimo che facevo era andare a prendermi una birra con Zack. Ma adesso…dovremmo farlo più spesso e poi…non dirglielo, ma mi è mancato il mio vecchio amico, quando l’ho sentito all’inizio del vostro weekend in montagna, è stata la prima volta dopo mesi ed è stato piacevole. Certo, avrei preferito parlargli ancora…ma so che nel luogo in cui eravate non c’era campo…”  annuisco felice alle sue parole, proprio come ho sempre pensato, l’amicizia dei ragazzi è qualcosa di unico e bellissimo; poi però nella mia mente sembra accendersi una lampadina… “Scusa Matt, hai detto che hai parlato con Zack una sola volta?” “Sì”. Ma allora, con chi stava parlando l’ultimo giorno? Non sono la sua ragazza e non ho nessun diritto di controllare le sue telefonate, ma era stato proprio lui a dirmi che stava chiamando il suo amico. Quindi, perché mentirmi?
Ero sempre più motivata ad intraprendere la famosa conversazione con lui, ma se non siamo sinceri l’uno con l’altra, non so dove potremmo mai andare. “Ellie, va tutto bene?” Matt mi posa una mano sulla spalla, comprendendo che qualcosa non va perché come al solito ero immersa nei miei pensieri e non mi sono resa conte di aver abbandonato la realtà. “Sì, non preoccuparti” lo rassicuro, anche se dalla sua espressione capisco che sta per chiedermi altro, ma non ne ha l’occasione.
“Ragazzi, venite qui!” Zack ci richiama allarmato e subito ci muoviamo verso la sala per raggiungerlo. Per un momento, temo che sia successo qualcosa ad Alex, ma poi lo vedo gattonare tranquillo lungo tutto il perimetro del grande tappeto e mi tranquillizzo.
Esamino la situazione davanti a me e la mia calma evapora fino a tramutarsi in panico: Jennifer è improvvisamente più sobria che mai, Zack osserva atterrito la televisione che sta trasmettendo il notiziario.

“Pochi minuti fa, una bomba è esplosa nel carcere di New York. La polizia è in difficoltà e si sta occupando del conteggio delle vittime, ma da fonti attendibili abbiamo ricavato che l’ordigno è riconducibile a quello scoppiato alla Evans Enterprise non molto tempo fa.”

Proviamo a cambiare canale, alla ricerca di nuove informazioni.

“Buonasera, sono Michael Scott, mi trovo sul posto della strage, i feriti sono davvero numerosi e al momento si stanno contando i decessi che aumentano sempre più, tra questi, compare il nome di Garrett Wilson, incarcerato poco più di due mesi fa.” 

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Capitolo 54
*** Change ***


Il telegiornale ha appena annunciato la morte di mio padre e la mia mente riesce a pensare ancora in modo razionale. Come? Non lo so. Forse il fatto che avesse rapito me e mio figlio me lo ha fatto detestare più di quanto pensassi o forse sono talmente spaventata da chi c’è dietro a tutta questa storia, da non avere nemmeno la voglia di provare dolore. Ross. È a piede libero e ha fatto piazzare una bomba per uccidere il suo collaboratore e molte altre persone innocenti. È un pazzo.
Mi accorgo di essermi mossa solo perché sento improvvisamente una mano che attanaglia il mio polso e che mi tira bruscamente all’indietro. Mi volto arrabbiata verso la persona che mi sta trattenendo e trovo gli occhi decisi di Jennifer: “Che diavolo stai facendo?” Pensavo fosse Zack, ritrovare la mia migliore amica è uno shock che mi procura una scossa capace di riportarmi alla realtà. Lei capisce subito e allenta la presa, senza però lasciarmi completamente. “Io…” sono stata colta da una furia cieca. “Non siamo al sicuro” affermo infine. I miei amici mi guardano sconvolti e al tempo stesso consapevoli, perché sanno che quello che ho detto corrisponde alla realtà. “Dobbiamo assolutamente parlare con il Commissario Wood” dice Matt; “e cosa ti fa credere che sia ancora vivo?” La voce di Zack giunge alle nostre orecchie cupa e spaventata. Lo osservo e i suoi occhi hanno perso ogni luce e assomigliano in maniera impressionante al ghiaccio: freddi, rigidi e difficili da scalfire. “Zack, ma cosa…” Jennifer è incredula alla vista delle condizioni del capo, ma io comprendo immediatamente cosa non va: la bomba. Esattamente come quella che in pochi secondi è riuscita a distruggere il lavoro di una vita, la stessa che gli ha causato incubi, l’ha fatto finire in ospedale e che ha rovinato l’esistenza a un’ingente somma di persone. “Manteniamo tutti la calma!” Matt posa non troppo delicatamente una mano sulla spalla del suo amico e riporta l’ordine nella stanza. “Adesso nessuno si muoverà da questo appartamento. Attenderemo domattina per sapere novità, sicuramente trasmetteranno un notiziario in cui accerteranno le condizioni del commissariato e delle vittime” pronunciando quest’ultima parola, il giovane uomo osserva me, in particolar modo, probabilmente volendo alludere a mio padre.
Nell’alto della nostra età che ci rende adulti, comprendiamo immediatamente che ha ragione, così una volta tornati tutti con i piedi per terra, cerchiamo la disposizione migliore per dormire.
Jennifer mi spiega che Matt ha preferito spendere i suoi risparmi nella qualità piuttosto che nelle dimensioni, ed è per questo che il suo appartamento è molto raccolto, ma presenta un letto e un divano letto davvero comodi.
Alla fine mi ritrovo con Alex e non si sa come, con Zack. Suppongo che la mia amica abbia messo il suo zampino, ma mentre Matt mi consegna dei cuscini e delle coperte, mi confida che crede sia meglio che io stia con il capo: non ha una bella cera e magari la mia presenza lo tranquillizzerà. Io, dal canto mio, credo di non aver ancora realizzato che mio padre non c’è più, perché ancora non riesco a provare nulla. Non sento dolore, ma naturalmente nemmeno gioia. Nonostante tutto quello che ha fatto, mi bastava saperlo dietro alle sbarre.

Alex dorme profondamente da un paio d’ore ormai e io ancora una volta, ringrazio che sia così piccolo, perché ciò gli permette di restare innocente e di non essere coinvolto in tutto ciò che di brutto e pericoloso ci sta accadendo.
Il materasso è davvero confortevole come mi era stato detto, ma la mia testa non vuole lasciarmi tregua e i pensieri dilagano. Alle mie spalle sento del movimento e capisco subito che si tratta di Zack. Una parte di me, quella più egoista, è contenta di non essere l’unica ad avere problemi a dormire. “Zack” lo richiamo a bassa voce e percepisco che si è voltato verso di me. “Ho provato a chiudere gli occhi, lo giuro” si difende come farebbe un bambino e riesce a strapparmi un sorriso. “Capisco che per te sia difficile, non devi nasconderlo o vergognartene in alcun modo” gli confido. “Non sono l’unico che sta passando un brutto momento…” non rispondo e aspetto che continui: “Come ti senti?” Gli spiego il mio stato d’animo che al momento è più confuso che altro. “Forse è un bene che io sia così…devo pensare alla sicurezza di Alex e per farlo devo essere reattiva, non ho tempo di restare lì a crogiolarmi nel mio dolore” solo poco dopo mi rendo conto di quello che ho effettivamente detto e i sensi di colpa iniziano ad affiorare quando il suo silenzio regna indisturbato. “Scusa…io non intendevo…” “Nessun problema, è la verità, non intendo nascondermi dietro una facciata da duro e fare finta di nulla, almeno non con te”. Sono felice che abbia deciso di far crollare i suoi muri, per quanto lo Zack fiero e sicuro di sé sia affascinante, non c’è nulla di più bello di una persona vera.

Non so grazie a quale divinità io sia riuscita ad addormentarmi, ma se non altro ho recuperato un paio di ore di sonno, che sarebbero state di più se il notiziario non mi avesse svegliata. Mi domando chi abbia accesso la televisione alle sei del mattino e la risposta mi si palesa davanti non appena alzo il busto dal divano letto. Zack è in piedi accanto allo schermo e sta cercando di seguire la giornalista, la quale si trova proprio davanti al commissariato ridotto ad un cumulo di fumo e macerie, assomigliando decisamente troppo a ciò che resta della Evans Enterprise. “Ci sono novità?” Gli domando avvicinandomi. “Non ancora, stanno cercando di sistemare il collegamento, a breve ci sarà il bilancio”. Ne approfitto per svegliare Matt e Jennifer; non mi sento a mio agio ad entrare nella loro stanza come se niente fosse, ma sicuramente vogliono seguire anche loro il telegiornale.
Così, dopo aver adempito a questo imbarazzante compito ed aver spostato nel letto Alex che dorme ancora beatamente, ci ritroviamo tutti e quattro in sala pronti a tutto.
L’inviata è in collegamento dal luogo dove non è presente nessun altro oltre a lei e al suo gruppo di cameramen. “Come potete notare, la zona è stata isolata e persino noi abbiamo avuto difficoltà ad accedervi. La polizia sta già indagando sul colpevole, ma gli agenti del luogo purtroppo hanno subito gravi danni. Ci sono circa cinquanta vittime e i feriti sono circa un centinaio. Fortunatamente l’esplosione è stata contenuta e coloro che erano all’esterno dell’edificio durante l’esplosione, sono sotto shock ma stanno bene. Il Commissario Wood è in ospedale, ma le sue condizioni al momento sono stabili.” La diretta termina e il conduttore del notiziario dà l’arrivederci per l’orario di pranzo.
“Pensate che dovremmo andare a trovarlo?” Chiede Jennifer incerta. “Non credo sia sicuro, chi ha messo l’ordigno sicuramente ha visto il notiziario e sa dove si trova Wood. Forse il bersaglio del colpevole non era solo Wilson”. Troppi dubbi affollano la nostra mente e nessuno di noi ha risposte.
Decidiamo di fare colazione giusto per avere le forze di affrontare quella che si prospetta come una lunga giornata.

Verso metà mattina, il citofono suona e Matt (che non ha permesso che lasciassimo il suo appartamento) va ad aprire curioso. “Il Signor Smith?” Sentiamo solo le loro voci dalla cucina. “Sì, e lei è?” “Non è importante chi sono io, ma il motivo per cui sono qui. Mi manda Wood, posso entrare?” Sento la porta chiudersi, probabilmente il mio amico ha fatto entrare l’uomo misterioso solo perché è stato inviato dal Commissario. “Wilson, cercavo proprio lei.” Ci ha scorti dal salotto, mentre noi restiamo impalati sulla porta ad osservarlo. “Mi chiamo Jared Carter, mi occupo del Programma Protezione Testimoni.” Io e i miei amici ci guardiamo come se in qualche modo sapessimo già cosa sta per dirci Carter. “Cosa…” la mia voce esce rauca, così la schiarisco prima di continuare. “Cosa ci fa qui?” “Lei e suo figlio dovreste entrare nel nostro programma”. “Cosa significa?” Si intromette Jennifer. “Significa che la Wilson e Alex dovranno lasciare New York il prima possibile.”




-N/A-
Buongiorno cari lettori e lettrici! Sono qui per ringraziarvi di cuore per le visualizzazioni, le recensioni e tutte quelle altre cosine come aggiungere la storia ai preferiti/seguiti/ricordati, vi adoro immensamente, sappiatelo. Vorrei chiedervi se la storia vi sta piacendo e volevo avvisarvi che ho creato una pagina instagram: whenlovetakesover_   vi aspetto numerosi! Baci.

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Capitolo 55
*** Charcoal Drawing ***


ZACK’S POV

Dopo il weekend in montagna, pensavo di aver ritrovato la serenità di un tempo, o se non completamente, almeno in parte. Rivedere Matt, pensare insieme a come ricostruire l’azienda e passare del tempo con lui, Ellie e Jennifer mi ha reso davvero felice; ma d’altronde si sa: la felicità è come un raggio di sole che squarcia le tenebre, se da un parte illumina e riscalda, dall’altra è pur sempre circondato da nuvoloni neri pronti a coprirlo. Naturalmente le nubi non hanno la capacità di spegnere il sole, ma anche solo nascondendolo, tolgono momentaneamente la serenità.
Secondo questo principio, c’è sempre un barlume di gioia, basta solo essere pazienti e attendere, ma ormai, un certo pessimismo si sta insidiando in me. Se facessi un bilancio della mia vita, mi potrei ritenere piuttosto soddisfatto: seppur con qualche ostacolo, ho sempre raggiunto ogni mio obiettivo. Ma in questi ultimi mesi, sta cambiando qualcosa. Mi sembra che il mondo mi stia crollando addosso e ogni volta che sembra io sia riuscito ad arrivare ad un punto di svolta, qualcosa stravolge tutto, in peggio.
Il tempo trascorso con Ellie e Alex mi ha fatto capire che, qualsiasi cosa accada, è sbagliato chiudermi in me stesso. Ma in momenti come questo, faccio davvero fatica a stare a contatto con la gente, anche se si tratta del migliore amico di una vita, preferisco la solitudine, per pensare e sfogarmi.
Su questo ultimo punto però, non ringrazierò mai abbastanza la Wilson per avermi aperto gli occhi: che io sia da solo o in compagnia, devo sempre dare vita a ciò che provo e non trattenerlo.
Mi ha regalato una valigetta per i miei disegni e la sfrutterò al massimo, proprio come ho già iniziato a fare adesso. Riguardo i miei lavori e quelli creati durante il weekend in montagna sono decisamente tra i migliori mai fatti, credo proprio che li porterò da Arthur per fargli dare un’occhiata e per salutarlo: è da molto che non ci vediamo e mi farà sicuramente bene passare del tempo con lui.
In mattinata ho sbrigato alcune pratiche di lavoro, adesso sono rintanato in casa mia a mangiare un po’ di insalata mentre butto giù uno schizzo, dopodiché avrò alcune telefonate da fare, ma niente che non possa svolgere da qui; per oggi gli impieghi che richiedevano uno spostamento li ho delegati a Matt. Gli ho affidato parecchi compiti che lo impegneranno molto e nel frattempo, per ricambiargli il favore, gli organizzerò una fuga di un paio di giorni con Jennifer, così che possa godersi a fine settimana del meritato riposo. Al momento, sono sollevato visto che non ha troppo tempo da dedicarmi, così posso occuparmi di me stesso e della mia mente in subbuglio. Sicuramente nel tardo pomeriggio passerò nella bottega del mio Maestro d’arte: quel posto fino a qualche hanno fa era il mio rifugio preferito per ogni occasione.
La stanza che ho adibito a mio studio artistico è davvero un disastro come sempre: fogli ovunque e schizzi di colore conferiscono un’aria vissuta alla camera che sembra abbia appena visto la terza guerra mondiale.
Nella valigetta di Ellie era presente un set di carboncini che ho subito voluto utilizzare e ne sono rimasto ammaliato, era da tempo che non esercitavo questa tecnica e ora invece sembro aver abbandonato i colori per poter produrre solo in bianco e nero. Forse questo mio comportamento è strettamente collegato con ciò che sto passando nell’ultimo periodo, ma non mi sembra il caso di pormi tutte queste domande che andrebbero solamente ad aggravare il mio stato psicologico già abbastanza turbato.

Il pomeriggio passa velocemente tra chiamate e i più disparati disegni e finalmente arriva quella che io considero l’ora giusta per passare da Arthur. La bottega del mio Maestro, per me è sempre stata aperta in qualsiasi momento, ma negli anni, mi sono reso conto che esiste un orario che io considero più “adeguato”: i clienti sono veramente sporadici e i pochi che arrivano, sono soggetti davvero caratteristici con cui è piacevole avere a che fare. La bottega è tutta per me e Arthur e lui può studiare con attenzione i dettagli delle mie creazioni e aiutarmi a migliorare.
Nonostante il freddo pungente che affligge New York in questo periodo, decido di fare una passeggiata e arrivare alla mia meta a piedi.
Il solo vedere l’insegna, mette il mio cuore tumultuoso in tranquillità. Faccio un profondo respiro e spingo la porta di ingresso per entrare: un piacevole tepore mi accoglie e il sorriso di Arthur mi sembra ancora più ospitale del solito. “Ragazzo! Che piacere rivederti!” Lo abbraccio e sento le sue mani battere energicamente sulla mia schiena. “Arthur! Scusa se non mi sono più fatto sentire, ma ho avuto parecchio da fare negli ultimi tempi” la mia voce si abbassa di un’ottava al solo ricordo dell’azienda a pezzi. “Ho saputo, sono davvero dispiaciuto Zack” la sua mano è ora sulla mia spalla e in questo piccolo gesto trovo tutto l’appoggio di cui avevo bisogno.
“So che Ellie è stata qui” gli dico ad un certo punto distanziandomi di poco. “Sì, ti è piaciuto il regalo?” allude sicuramente alla valigetta. “Come poteva non piacermi? A proposito di questo, ho alcuni lavori da mostrarti” il mio buon umore pare essere ritornato e passo l’album all’uomo davanti a me.
Trascorriamo due ore buone ad esaminare con minuziosità tutti i miei disegni, ma ciò che mi fa ancora più piacere è il fatto che non parliamo d’altro se non di arte: avevo davvero la necessità di liberare la mente e sapevo che Arthur sarebbe stato l’unico con cui avrei potuto farlo.
“Ho sempre detto che avevi un particolare talento per l’utilizzo del carboncino, ancora non ho capito perché avevi accantonato questa tecnica” in realtà non lo so nemmeno io, forse ero semplicemente stufo di creare solo opere in bianco e nero e avevo voglia di apportare un po’ di colore. Cerco di esporre questa mia teoria al Maestro e resto in attesa di un suo parere: “Sai Zack, non sono convinto che il fatto di disegnare in bianco e nero sia necessariamente collegato a qualcosa di negativo come pensi tu. Una volta, lessi che il nero e il bianco sono dei colori limite e il primo rappresenta una sorta di protesta contro una situazione che si sta verificando, quindi direi che la ribellione non deve essere per forza qualcosa di ostile. Io personalmente trovo positivo che tu voglia reagire e attuarti per cambiare le cose.”
“Sì, forse hai ragione” le sue parole mi hanno fatto riflettere molto e sicuramente continuerò a ragionarci sopra ancora a lungo.
“Grazie Arthur, come sempre mi sei stato d’aiuto” gli dico mentre indosso il cappotto. “Figurati, sai che per me è sempre un piacere vederti! Vieni a trovarmi presto e la prossima volta porta anche Ellie!” “Lo farò” lo saluto ed esco.

Mentre mi muovo per i marciapiedi di questa così grande città, osservo il cielo ormai stellato e penso, penso a quanto io sia grato al mio Maestro, a quanto l’arte mi sia vicina e a quanto io sia codardo per non essere riuscito a dire ad Arthur che non credo la prossima volta potrò portare con me Ellie, e nemmeno la volta dopo ancora e infine penso a dove siano adesso lei e Alex e immagino se siano davvero così distanti da me, proprio come mi appaiono le stelle nella distesa nera che sovrasta la metropoli.  

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Capitolo 56
*** No Identity ***


ELLIE’S POV

Due settimane. Sono passate esattamente due settimane da quando ho lasciato New York e con essa anche i miei amici.
Forse dovrei fare un passo indietro e tornare a quella fatidica sera in cui Jared Carter mi ha strappata dalla mia vita. L’uomo, dopo essersi presentato a casa di Matt, mi ha prelevata dall’appartamento e mi ha scortata fino al St. Regis dove mi ha tenuta sotto controllo mentre preparavo il più velocemente possibile le mie valigie.
Inutile dire che tutte le proteste dei miei amici siano state vane, ma quantomeno le lacrime di Jennifer hanno convinto Carter a riportarmi da loro una volta pronti i bagagli.
In tutti questi spostamenti, Alex è rimasto zitto in braccio a me; credevo non capisse cosa stesse succedendo, o almeno lo speravo. Ma quando ha rivisto Zack ed è scoppiato in un pianto a dirotto, ho compreso che forse, nel suo cuore, sapeva cosa ci stesse aspettando.
Tutti i ragazzi si sono imposti caldamente, mi hanno strattonata tra le loro braccia, hanno pianto, hanno gridato, pronunciato parole scomode nei confronti di Jared, ma lui è rimasto immobile, a incassare ogni colpo, come se nulla fosse. Solo più tardi, a mente più lucida, ho immaginato quante volte avesse rivissuto questa terribile scena.
Lui stesso, durante il nostro viaggio, mi ha confessato di aver separato famiglie intere, non ne è mai andato fiero, ma si guadagna da vivere e soprattutto, questa professione è in grado di salvare molte persone. Ed è proprio su quest’ultimo punto che l’agente ha fatto leva: lasciare che io e Alex partissimo, era l’unico modo per proteggerci. Jennifer non voleva saperne, Matt l’ha stretta a sé a lungo, sorreggendola e cerando di calmarla; Zack teneva lo sguardo basso, senza dire nulla. Continuavo ad osservarlo in attesa di non sapevo nemmeno io cosa, vedevo la vena sul suo collo pulsare, i pugni stretti. Poi, improvvisamente, mi ha guardata con i suoi occhi del colore del ghiaccio e senza dire una parola, ha preso il mio polso e mi ha trascinata nella camera di Matt. “Ellie…” Non andare, ti prego. “Vai.” Non era quello che mi aspettavo, ma il suo sguardo fermo ha smosso qualcosa dentro di me e ho capito che prendere le mie valigie e seguire Carter era la cosa giusta da fare.
Mi sono avvicinata, mi sono messa in punta di piedi e gli ho lasciato un bacio all’angolo delle labbra; ho circondato le sue spalle con le mie esili braccia tremanti e gli ho sussurrato all’orecchio: “Prenditi cura di te”.

Non era la prima volta che lasciavo tutto e partivo, ma questa volta è stato diverso. Quando me ne sono andata da Montpelier, ero ancora Ellie Wilson, sono arrivata a New York con la stessa identità, ma adesso, adesso non so più chi sono.
“Buongiorno Margaret” la mia anziana vicina di casa mi saluta e fa un cenno anche ad Alex. Ricambio il saluto mentre cerco disperatamente le chiavi di casa nella borsa. Quando entro, lascio che mio figlio gattoni liberamente per il salotto mentre io mi appresto ad accendere il caminetto. Questo posto è più freddo di New York anche se appena arrivata, mi sembrava un piccolo angolo di paradiso: la cittadina è tranquilla, ci vivono molti anziani e ogni casa è al massimo di due piani, perlopiù le abitazioni sono villette a schiera. Il centro è poco lontano da dove vivo io, ma nonostante abbia tutto ciò che può servire, non è neanche minimamente paragonabile a New York.

Devo ammettere che dopo il tempo passato al St. Regis, in un attico disposto su un unico piano e collocato in quello che era un complesso di abitazioni molto popolato, è davvero difficile per me restare in questa casa. La solitudine non è l’unico problema: certe notti faccio davvero fatica ad addormentarmi perché provo una viscerale e agghiacciante paura. Senza contare che essere sola con Alex mi lascia molto tempo per pensare ed abbandonarmi ai ricordi.
“Tesoro, vado di sopra a prenderti la tutina, resta seduto finché non arrivo” sposto il bambino sul divano e mi avvio verso le scale. Al secondo gradino però, noto qualcosa di strano: un piccolo grumo di terra e poi altri ancora fino al piano superiore.
Lancio un ultimo sguardo ad Alex e tiro un profondo sospiro per poi ricominciare  a muovermi con passo felpato.
È molto stupido da parte mia andare incontro all’intruso senza nemmeno un’arma, ma teoricamente sarei sotto sorveglianza e sotto programma testimoni, quindi si suppone che io non sia davvero in pericolo.
La porta della mia camera da letto è socchiusa e il mio istinto mi dice di dirigermi verso essa. Il mio cuore sta battendo decisamente troppo forte e nelle orecchie sento il sangue pulsare. Mi avvicino cautamente cercando di restare nell’ombra e poso una mano sullo stipite per poi sporgermi e osservare l’interno della stanza: sembra vuota. Mi allungo ancora di più, nel tentativo di avere una maggior visuale. Nulla. Spalanco la porta rapidamente per superare la paura.
“Cerchi qualcuno?” Una voce alle mie spalle mi fa scattare e per lo spavento cado all’indietro. “Madison! Ma che diavolo ti salta in mente!” La donna, sulla trentina, mi porge una mano per rialzarmi. “Non volevo spaventarti, ti ho portato un caffè e un muffin al cioccolato per Alex” le lancio uno sguardo di fuoco: “Ti perdono solo per averci portato queste prelibatezze” la squadro e la invito a tornare di sotto.
 
La faccio accomodare sul divano e per un momento ci perdiamo entrambe ad osservare Alex intento a godersi il suo muffin. “Allora Margaret, come vanno le cose?” “Oh ti prego, chiamami Ellie, almeno tu”. Madison è un’agente che, nonostante la sua giovane età, ha già ottenuto una posizione di rilievo all’interno del commissariato. Il suo incarico è quello di lavorare sotto copertura per tenermi d’occhio; per i cittadini del posto infatti io e lei siamo cugine. “È un così bel nome Margaret” afferma con aria di sufficienza. “Ma non è il mio!” Sbatto i pugni sul divano e la donna davanti a me resta interdetta per alcuni secondi.    
Vedo il viso di Alex spaventato, così cerco di calmarmi facendo dei respiri profondi. “Ellie, mi dispiace okay? Io…non volevo. So quant’è difficile…” “No, non lo sai. Tu non hai idea di quanto tutto questo sia difficile. Non ho nemmeno potuto assistere al funerale di mio padre! Non so neanche dove l’abbiano seppellito in realtà. Senza contare i miei amici! Cosa staranno facendo adesso? Come procedono i lavori di ricostruzione della Evans?” Getto su questa donna minuta tutto il mio disappunto e la mia angoscia. “Hai ragione, non so nulla, ma una cosa forse la so: tutto questo non viene fatto per rovinarti la vita, ma per proteggerti.” So che tutto quello che dice è la semplice e cruda verità, ma una parte di me si rifiuta di accettarlo. “Potrò mai tornare a New York come Ellie Wilson?” Le domando con tono grave. “Non lo so”.

La risposta di Madison non è stata rassicurante, così decido di cercare nuove notizie nella speranza che almeno una di esse possa darmi conforto.
“A che punto siete con le indagini?” “Sono informazioni riservate.” Risponde sbrigativamente. "Siete ad un punto morto, capisco” le mie parole nascondono del sarcasmo e sicuramente svelano la realtà dei fatti e la smorfia di Madison me ne dà la conferma. “Come stanno i miei amici?” Sbuffa probabilmente infastidita dal mio interrogatorio. “Senti, so che volete salvarmi la vita e so anche che stai lavorando, ma cerca di capire: mi avete improvvisamente strappata dalla mia quotidianità e dalle persone a cui voglio più bene. Direi che quantomeno a qualche domanda potresti anche rispondere.” Le mie parole sono dure, ma cerco di mantenere un tono più dolce possibile. “Stanno bene, o meglio, la tua amica segretaria è abbastanza incazzata e ogni volta che vede Jared gli sbraita contro” il pensiero di Jen e della sua furia omicida riesce incredibilmente a strapparmi un sorriso. “Gli altri due invece si sono gettati a capofitto nel lavoro, procedono bene la progettazione dell’azienda e le operazioni di costruzione”. Vorrei chiederle di più, magari di Matt e Zack, di come si sentono realmente, ma non credo nemmeno che abbia una risposta. “Madison, grazie” le mie parole sono sincere e finalmente capisco, dopo due lunghe settimane, che lei è l’unica persona su cui al momento posso fare affidamento.
“Ti fermi a cena? Devo sdebitarmi per il muffin e il caffè” Le propongo. “Veramente devi sdebitarti anche per avermi fatto il terzo grado!” “Lo prendo come un sì. Resta con Alex mentre vado a fare la spesa”. “Agli ordini capo!”
Quella parola mi fa automaticamente pensare a Zack: non che io non ci pensi spesso, però il ricordo della sua risata, di lui mentre disegna o mentre si prende cura di mio figlio, sono una secchiata di acqua gelida. “Ellie, va tuto bene?” Mi riprendo dal mio stato di shock e rispondo balbettando: “Sì, sì…io…sto bene” prendo rapidamente la mia borsa e scappo letteralmente fuori di casa.

Il supermercato della città è veramente piccolo, ma devo ammettere che è ben fornito. In questo periodo passato qui, sono riuscita a capire a grandi linee i gusti di Madison, quindi la cena non sarà un problema. Vago per gli scaffali in cerca di tutto il necessario, quando improvvisamente la mia schiena entra in collisione con qualcosa, o per meglio dire, qualcuno. Mi giro per scusarmi e per accertarmi delle condizioni del malcapitato e quando incontro degli inconfondibili occhi di ghiaccio, resto gelata sul posto, incapace di muovermi o di emettere anche il più lieve respiro.


-N/A-
Buongiorno lettori e lettrici! Sono qui per dirvi che oggi la storia compie esattamente un anno! 
QUesto è il primo progetto che riesco a portare avanti così a lungo e mi sento fiera di me stessa e del mio lavoro, ma soprattutto vi sono immensamente grata per il supporto (anche silenzioso) che mi state dando. Non vi fate mai sentire e un po' mi dispiace, però vedo le visualizzazioni e so che ci siete, quindi davvero, GRAZIE DI CUORE A TUTTI. Baci.

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Capitolo 57
*** Spark in the eyes ***


“Oh, che sbadata! Mi scusi signorina” Sono ancora pietrificata sul posto, gli oggetti che avevo in mano sono per terra e i miei occhi sono spalancati. La donna davanti a me si china per raccogliere la sua borsa e interrompe il contatto visivo. Ciò mi permette di tornare alla realtà e capire che quelle iridi che mi sono così famigliari, non appartengono a chi pensavo. Non voglio passare per una maleducata, innanzitutto per una questione di principio e secondariamente perché ho l’impressione che questa donna abbia a che fare con Zack. So che esistono un’infinità di persone con gli occhi azzurri, ma qui non si tratta di un colore comune: parliamo di una tonalità fredda e profonda, capace di ammaliarti e paralizzarti.
Aiuto la donna e ne approfitto per rivolgerle la parola: “Non si preoccupi” le sorrido cordialmente. “Si è fatta male?” “Oh, no assolutamente!” “Sono davvero dispiaciuta, ero sovrappensiero e non ho guardato dove mettevo i piedi” mi spiega. “Stia tranquilla! Capita a tutti di avere la testa tra le nuvole” mentre ci alziamo, la guardo più da vicino: è di una bellezza disarmante. I capelli neri sono lunghi e ricadono intorno a lei in morbide onde, le luci al neon del supermercato ne esaltano la lucidità e la carnagione olivastra fa risaltare lo sguardo dolce e magnetico al tempo stesso. A quanto pare, il fascino è una caratteristica di famiglia…
“Sarà meglio che torni ai miei acquisti, questa sera ho ospiti” “La capisco!” Detto questo, ci salutiamo cordialmente e ognuna si occupa delle sue faccende.

Spero di aver preso tutto quello che dovevo, anche se si tratta di Madison, vorrei comunque fare una bella figura. Tutta questa mia dedizione mi riporta alla mente il weekend in montagna e nel mio petto si scava una voragine ad ogni passo più profonda. Il parcheggio con il cemento scuro, il cielo solcato da nuvole grigie e le macchine immobili, non fanno che accentuare questo mio senso di angoscia e nostalgia.
“Accidenti!” Una voce, per fortuna, interrompe il flusso macabro dei miei pensieri e, voltandomi a destra, riconosco la donna di prima. Una delle tre borse che trasportava è caduta e il contenuto si è riversato accanto a quella che suppongo essere la sua auto. Non ci penso due volte ad avvicinarmi per aiutarla; quando mi vede china insieme a lei, mi sorride affettuosamente e agli angoli dei suoi occhi si formano delle rughe di espressione che tradiscono la sua età. Un tuono interrompe per un momento i nostri movimenti. “Grazie cara, senza di te avrei rischiato di rimanere in balia del temporale che sta arrivando” la aiuto a caricare tutto nel bagagliaio e si offre di darmi un passaggio a casa mia. Normalmente non accetterei, non che non mi fidi, ma non vorrei recare disturbo, senza contare che  mi è stato ordinato categoricamente di mantenere un profilo basso. Ma per questa volta credo che potrò fare un’eccezione. “Allora? Ti prego non dirmi di no, voglio sdebitarmi!” Senza accorgermene ero con la testa tra le nuvole, così le rispondo sbrigativamente in modo affermativo e salgo sulla sua auto.
Per fortuna la strada da fare è poca e non mi è difficile spiegarle dove abito. Sono tentata di farmi lasciare davanti ad una casa non lontano dalla mia per non farle sapere esattamente dove vivo (come mi è stato prescritto da Carter), ma mi sembra piuttosto complicato dal momento che dovrei fingere di cercare disperatamente le chiavi finché non se ne va e gesticolare davanti ad un uscio non mio nella speranza che non mi veda nessuno. Accantono la mia idea da psicopatica e indico la mia (temporanea) villetta a schiera. “È meravigliosa! Complimenti.” “Oh la ringrazio” “Sei nuova di queste parti vero?” Okay, sta iniziando a fare qualche domanda di troppo, ma non è colpa mia, insomma in un paesino piccolo come questo è ovvio che le persone si accorgano subito di un nuovo abitante. “Sì, non so neanche quanto mi tratterrò”. Mi riesce molto difficile restare sul vago e sembrare comunque educata. “Allora devi assolutamente venire da me ad assaggiare qualche mia specialità al più presto!” Sono contenta che abbia cambiato discorso e non credo che Madison abbia nulla in contrario se faccio amicizia. “Lo farò con immenso piacere!” “Lasciami il tuo numero, così posso contattarti.” Lo scrivo dietro ad uno scontrino e glielo lascio appena prima di scendere dalla macchina, ringraziandola ancora per il passaggio.

“Ellie questa cena era ottima, non mangio così bene dall’ultima volta che sono stata da mia madre”. Madison si massaggia la pancia e si appoggia allo schienale della sedia con espressione soddisfatta. Alex si sta gustando l’ultima fetta di torta (rigorosamente al cioccolato). “Questo bambino ha una fissazione malsana per il cioccolato” nota l’agente. “Non so da dove derivi questa sua passione…però ricordo che quando ero incinta ne mangiavo parecchio.” “Com’è?” Mi chiede di punto in bianco. La guardo senza capire. “Avere un figlio, partorire…sai, cose così” “Direi che partorire è doloroso…molto, ma poi” guardo Alex “osservare crescere la creatura che hai dato alla luce…è qualcosa di speciale. Non so come spiegarlo, ma è bellissimo. Io non credo ci siano parole che possano descrivere le emozioni che si provano” sento i miei occhi brillare, riflettendo l’amore che solo una madre può provare per il suo bambino. “Sembra di sentir parlare mia madre, Ellie non si direbbe che tu sia più giovane di me” afferma in tono leggero. “Oh, se solo gelosa perché stai invecchiando velocemente” le rispondo a tono prima di scoppiare in una sonora risata.
Vorrei approfittare di questo clima leggero per dirle dell’invito che ho ricevuto: Madison è tenuta a conoscere tutti i miei spostamenti e non mi sembra corretto nei suoi confronti mentirle, oltretutto sarei davvero felice se potesse tenere Alex; non me la sento di esporre anche lui e mi sentirei più tranquilla sapendolo a casa al sicuro con l’agente.
“Madison…” le racconto tutto quello che è successo, tralasciando solo il fatto che sospetto la donna sia imparentata con Zack. “Non me la sono sentita di rifiutare e poi per non attirare l’attenzione mi sembra più giusto fare amicizia…insomma è un comportamento normale. A mio parere isolandomi darò più nell’occhio, ma se tu ritieni che sia troppo rischioso, posso declinare l’offerta”. Nonostante il nostro rapporto amore-odio, nutro un profondo rispetto nei confronti di questa donna e dato che qui parliamo del suo lavoro e della sicurezza mia e di mio figlio, voglio sapere il suo sincero parere da esperta. “Per me non c’è alcun problema. In fondo sono d’accordo con te” fa un cenno di approvazione e si alza pronta ad andarsene. “Fammi sapere gli orari precisi e scrivimi spesso per farmi sapere che va tutto bene, è l’unica condizione”.

Lilian mi ha dato appuntamento a casa sua per le cinque: vuole offrirmi un thè e uno dei suoi dolci.
Così mi ritrovo davanti allo specchio alla ricerca dell’outfit adatto. “Ehi, non stai andando al gran galà” Madison mi sta squadrando con una spalla posata sull’uscio, mentre io la osservo attraverso il riflesso dello specchio. “Voglio fare una bella figura” le spiego. “Sembra quasi che tu debba incontrare la madre del tuo futuro marito” ridacchia e per un momento resto interdetta pensando a quanto questa frase suoni maledettamente…interessante e curiosa.
Alla fine opto per un maglione rosso ed un pantalone nero, tutto molto semplice e casual insomma.
“Coraggio fotomodella, o arriverai tardi e questo sì che a casa mia ti farebbe fare una figuraccia!” Per quanto il suo sorrisino al momento mi infastidisca, le sono grata per avermi avvisata sull’orario. “Dov’è l’amore della mamma?” Dico uscendo dal corridoio per poi vedere Alex che gattona entusiasta verso di me. Lo prendo in braccio facendolo volteggiare e scoppia in una sonora risata allungando le sue braccia paffute verso di me. “Adesso stai qui con Maddy, ma la mamma torna presto” lo stringo forte a me: la mia reazione può sembrare esagerata, ma dopo tutto quello che è successo, ho sempre paura che possa accadere qualcosa di terribile.

Lilian mi attende fuori dalla porta visto che mi è persino venuta a prendere anche se le ho detto che avrei trovato un modo per raggiungerla. “Ciao” la saluto e parliamo del più e del meno durante il breve tragitto. Fortunatamente per me, la donna ha una parlantina niente male e riesce a mantenere viva la conversazione. Dal canto mio, cerco di non fare troppe domande perché ciò implicherebbe che lei le faccia a me e nella mia testa sento costantemente una vocina che mi ricorda di mantenere le distanze. “Eccoci!” Ci fermiamo davanti ad una villetta a schiera che vista da fuori, risulta molto simile alla mia. Ciò che però è diverso, è l’ambiente interno che lascia dedurre che Lilian abiti qui da molto. Ogni stanza ha le pareti di un colore diverso, tutte tendenti ai toni del rosa e del lilla, noto inoltre molti quadri. “Ti piacciono?” Mi domanda. “Molto, sei un’amante dell’arte?” Mi costa molta fatica darle del tu perché tra noi intercorre una certa distanza di età e ci conosciamo solamente da un paio di giorni. “Amante forse è una parola grossa, ma devo dire che la trovo affascinante, vieni, accomodati” mi invita a sedermi sul divano, accanto al tavolino nel soggiorno. “Tra poco sarà pronto il thè” annuisco e continuo ad osservare meticolosamente l’ambiente intorno a me. Scorgo delle foto. “Quelli sono i miei genitori” mi spiega quando il mio sguardo si sofferma su un’immagine in particolare. Essendo piuttosto vecchia e in bianco e nero, non mi ci soffermo troppo e continuo. Vedo un bambino sorridente e non posso fare a meno di sorridere a mia volta, è contagioso. “Lui è mio figlio e quella accanto sono io a ventun anni” la sua voce ha un che di malinconico. Si alza e porta la cornice con sé mentre si siede accanto a me. Osservandola da più vicino, riconosco perfettamente i suoi tratti ringiovaniti e il piccolo ha due profondi e famigliari occhi azzurri che attirano ancora più del suo dolce sorriso. Istintivamente osservo Lilian che a sua volta sta guardando la foto: nelle sue pupille mi sembra di vedere un bagliore, una scintilla che va al di là della sua nostalgia e di qualsiasi altro sentimento. Poso una mano sulla sua e attiro la sua attenzione. Per un momento, un lampo di consapevolezza le balena nello sguardo. “Margaret, tu hai un figlio?” Mi domanda in tono leggero. “Sì, come lo ha capito?” “Cara, hai quella luce negli occhi che solo una madre può avere” risponde. “Si chiama Alex” non so perché le ho rivelato il nome del mio bambino, ma mi sento come ipnotizzata e terribilmente vicina a quello che prova questa donna. Come se una strana empatia ci legasse e non riesco a capirne il motivo. “E suo figlio invece? Come si chiama?” “Zackary” riesce a dire, prima di scoppiare in un pianto a dirotto.



- N/A -
Buonasera cari lettori e lettrici! Ecco qua un nuovo capitolo che spero vi piaccia.
Vi prego di farmi sapere cosa ne pensate e vorrei invitarvi ancora una volta a seguire la pagine instagram della storia: whenlovetakesover_
e ad unirvi al gruppo whatsapp, così da restare sempre aggiornati sulla pubblicazione dei capitoli. Cercherò di riassestare la domenica come giorno dell'aggiornamento, ma non so esattamente quando arriveranno i prossimi capitoli perché un nuovo anno scolastico è cominciato e per me è il quinto anno di superiori, per cui potete immaginare quanto sarà ristretto il mio tempo per dedicarmi alla stesura dei capitoli. Per cui niente, spero che vogliate farvi sentire almeno su instagram o whatsapp o che siate più attivi qui. 
Nella speranza di avere vostre notizie, alla prossima. Baci.

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Capitolo 58
*** Mum ***


“Perdonami cara” Lilian si sta lentamente riprendendo dalla crisi che ha avuto poco fa. “Non preoccuparti” la rassicuro posandole una mano sulla schiena. “Ogni volta che nomino mio figlio, non riesco a controllarmi.” Ormai sono certa al novantanove per cento che si tratti di Zack e suppongo che la sua tristezza sia dovuta al fatto che i due non si vedono da molto. “Sai, mio figlio dirigeva una grande azienda a New York, qualche mese fa, ho visto al notiziario che c’è stata una grande esplosione e adesso…io…” non riesce a continuare perché la sua voce si spezza nuovamente e le sue lacrime rompono gli argini e solcano il suo viso. Non la consolo immediatamente come la prima volta per due motivi: il primo è che il ricordo di quel giorno mi ha tolto il respiro e il secondo è che non credo di aver compreso dove il suo discorso voglia andare a parare.
So che da parte mia non è molto cortese, ma ho bisogno di sapere. “Lilian, ma tuo figlio sta bene?” “La verità è che non lo so, non hanno più parlato di lui da molto tempo e non ho idea delle sue condizioni” mi risponde interrompendosi ad ogni parola a causa dei singhiozzi. Una dubbio mi sorge spontaneo: per quale motivo non chiamare il proprio figlio per accertarsi della sua salute?
Nonostante i miei quesiti, non mi prodigo in altre domande, non vorrei risultare invadente e al tempo stesso non posso permettermi di compromettere la mia identità sotto copertura.
“Sono sicura che lui stia bene” le dico ad un tratto. Mi guarda e nei suoi occhi vedo un barlume di speranza. “Come hai constato tu poco fa, sono una madre anche io e sono convinta che se dovesse capitare qualcosa al mio bambino, lo sentirei”. Ricordo la sensazione che provai quando rapirono Alex e di conseguenza posso affermare con una certa sicurezza che certe cose una mamma le sente. Inoltre, mi sbilancio con queste parole perché se davvero stiamo alludendo a Zack, ho la conferma che stia  bene. “Sei davvero saggia per essere così giovane” si complimenta con me. “Cosa vuoi farci, i casi della vita mi hanno messo davanti parecchie sfide” affermo in modo enigmatico e le faccio l’occhiolino per alleggerire la tensione.

Il resto del tempo lo passiamo a chiacchierare del più e del meno, in particolar modo della cittadina in cui viviamo: sapendo che sono nuova, la donna si è preoccupata di raccontarmi alcuni pettegolezzi sugli abitanti.

Mi ha fatto piacere passare il pomeriggio con lei, è una persona molto colta e ancora mi domanda come sia finita in questo luogo sperduto, da sola. Da come parla, ho la certezza che nel corso della sua vita abbia avuto modo di viaggiare molto ed essendo reduce da un divorzio con Evans, direi che anche da un punto di vista economico non ha grandi problemi. Avrei voluto approfondire la nostra conoscenza e forse avrò modo di farlo dato che mi ha invitata nuovamente a casa sua la settimana prossima, aggiungendo di portare anche Alex con me. Non ho accettato immediatamente, ma ancora una volta, sono rimasta sul vago, prima devo parlarne con Madison. Nonostante la mia sconfinata curiosità, non mi pare giusto racimolare informazioni senza far trapelare qualcosa sul mio conto.

“Sono tornata!” Appena metto piede in casa, un Alex a gattoni mi arpiona un polpaccio impedendomi ogni movimento. “Amore” lo saluto abbassandomi il più possibile verso di lui, che in risposta, tende le braccia per farsi sollevare: “mamma!” “Allora? Com’è andato l’incontro con la tua nuova amica?” Madison compare dalla cucina con in mano una tazza fumante di caffè. “Direi bene, anche se mi ha proposto di rincontrarci…” “Per me non è un problema” afferma confusa. “Mi ha chiesto di vedere Alex e non sono sicura che sia una buona idea”. “Mm…okay facciamo così: pensiamoci. Prendiamoci un po’ di tempo, tanto non credo che vi dobbiate vedere subito, no?” Annuisco e le chiedo di restare a cena. “Ancora? Dovresti smettere di viziarmi” si indica la pancia. “Mi farai ingrassare, sei peggio di mia nonna in cucina” alza gli occhi al cielo e non posso fare a meno di ridere. “Dovrò pur sdebitarmi in qualche modo” “O hai solo paura di stare qui da sola?” Mi sfida e nonostante la sua domanda retorica mi infastidisca, non posso negare che celi un fondo di verità. “Potresti anche finirla con questa storia una buona volta. Sai, non mi diverte tutta questa situazione. Tu proteggi le persone e hai scelto di fare questo lavoro in cui metti a rischio la tua incolumità, ma non si può dire lo stesso delle persone di cui ti occupi.” “Ellie, scusa, io non intendevo… starò più attenta a ciò che dico” si posa una mano all’altezza del cuore. “Ottimo.” Il mio tono è lapidario e non ammette repliche. Mi reco in cucina portando Alex con me e chiudo la porta alle mie spalle, lasciando Madison fuori.

Circa in un’ora il pasto, piuttosto frugale, che ho preparato è pronto. L’agente ha preparato la tavola senza dire una parola e io, a parte qualche scambio di battuta con Alex, ho fatto lo stesso. “Posso farmi perdonare in qualche modo?” Mi domanda quando siamo ormai a metà della consumazione della cena. Sto per dirle che deve semplicemente lasciarmi sbollire il nervoso e imparare a misurare le sue parole, quando mi viene un’idea. So che approfittarsene non è mai una cosa positiva, ma vorrei cogliere questa occasione per avere qualcosa che desidero molto. “Una cosa ci sarebbe…vorrei contattare Zack”. Mi osserva con un’espressione che capisco chiaramente essere di rifiuto, dal momento che “il protocollo non permette contatti fisici o verbali con nessuno dei conoscenti”. “Vedrò cosa posso fare”. Lascio cadere dalle mani la forchetta che a contatto prima con il piatto, e poi con il pavimento, produce un boato fastidioso che risuona in ogni centimetro della casa. “Cosa?” “Mi porgi una richiesta pensando che non la possa realizzare? Andiamo, non ha alcun senso, abbi un po’ di fiducia”.

La mattina è trascorsa in modo molto noioso, fortunatamente Alex con i suoi disegni e i suoi versetti è riuscito a portare un po’ di allegria tra queste quattro mura. Stranamente Madison non si è fatta vedere e a ora di pranzo passata, inizio a preoccuparmi. A seguito di tutti gli avvenimenti di questi mesi, dire che sono diventata paranoica è un eufemismo, ma dal canto mio, come darmi torto?

“Missione compiuta!” La porta si spalanca, una folata di vento gelida mi investe e resto per un momento interdetta ad osservare il ciclone Madison. “Buongiorno anche a te, o dovrei dire, buon pomeriggio” la saluto sarcastica. “Se fossi in te toglierei quel cruccio saccente dalla mia faccia e sarei più gentile.” “E perché dovrei fare quello che hai appena detto?” “Perché ho fatto il mio dovere.” Raddrizza la schiena e porta il petto in fuori. “Ho un telefono usa e getta e una linea libera dove potrai contattare il tuo amato” divento rossa come un peperone al solo sentire le sue ultime due parole. Mi avvicino e le tolgo il sacchetto di mano: “Non è il mio amato!” Nel frattempo lei si accomoda sul divano accanto ad Alex che mi guarda sorridente. “Sì, certo. Vallo a raccontare a qualcun altro. Non ci inganni signorina, noi sappiamo tutto” avvicina il viso a quello del bambino e i due sembrano essersi coalizzati contro di me.

Sono da sola nella mia stanza, con il telefono appoggiato ad un orecchio sperando che l’insistente bip smetta di suonare e lasci spazio alla sua voce. Uno squillo, due squilli, tre squilli,…

Mi sono seduta sul letto, ma proprio non riesco a stare ferma. Magari sta lavorando. “Andiamo, rispondi-“ “Pronto?” Non mi ero resa conto fino in fondo di quanto mi fosse mancato finché non ho sentito la sua voce. “Chi parla?” Mi sono persino dimenticata di parlare da tanto che sono rimasta senza fiato. “Sono io”. “Ellie? O mio Dio, stai bene? E Alex? Come sta? Dove siete?” “Ehi, calma, calma. Stiamo bene entrambi, ma non posso dirti dove siamo, spero di poter tornare presto”. “Mi mancate, tu come stai? E Jen? Matt?” “Ora è il tuo turno di restare calma” lo sento ridere dall’altra parte della cornetta e sembra che tutta l’angoscia che mi ha afflitta da quando sono qui, si sia volatilizzata. “Stiamo tutti bene, ma ci mancate” ritorna serio. “Anche voi ci mancate, tanto”. Restiamo  in silenzio per un po’, come se ci bastasse sentirci in qualche modo legati da questo stupido aggeggio tecnologico. “Come procedono i lavori?” Chiedo per rompere il ghiaccio. “A gonfie vele, stiamo recuperando anche gli affari e Hamilton con la sede provvisoria che ci ha fornito ci è di grande aiuto. Tu invece cosa combini tutto il giorno?” “Io…ecco…ho conosciuto tua madre” dico tutto ad un fiato. Nulla. “Zack? Ci sei ancora?” La linea sembra essere caduta e il vuoto torna a regnare nella stanza e nel mio cuore.

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Capitolo 59
*** Fathers and Sons ***


ZACK’S POV

Un’altra faticosa giornata di lavoro si è conclusa: sono piuttosto stanco e la mancanza di Ellie si sente, non intendo solo da un punto di vista sentimentale, ma anche professionale. Lei era infatti incaricata di occuparsi delle scartoffie  e nonostante il mio iniziale rapporto conflittuale, ho sempre pensato che sapesse svolgere egregiamente le sue mansioni.
Io e Matt stiamo facendo del nostro meglio per occuparci di tutto e il supporto di Hamilton è assolutamente fondamentale. Per quanto riguarda Jennifer invece, dipende dai giorni: a volte si getta a capofitto nel lavoro così da tenersi impegnata e non pensare alla sua amica, altre volte è ingestibile.
Credo che il problema principale non sia la distanza in sé, ma il fatto di non avere nessuna notizia sulla Wilson e su Alex. Potrebbero non stare bene, potrebbero essere molto più vicini di quanto pensiamo, potrebbero star facendo qualsiasi cosa. I quesiti che mi pongo e che sicuramente si pongono anche i miei amici ogni giorno, sono molti.
Mi getto sul divano a peso morto, azione che, a detta del medico, dovrei evitare dato che risulto ancora in riabilitazione. Un’altra cosa che non dovrei fare o che comunque sarebbe meglio limitare, è il bere alcolici. Da quando Ellie è partita, ogni sera mi bevo un bicchiere di whiskey davanti al camino. Non mi sono mai ubriacato in questi giorni e non intendo farlo, ma questo misero goccio di liquore in qualche modo mi aiuta a sentirmi più leggero e rilassato. Poso la testa sullo schienale e lascio che il liquido mi riscaldi la gola, quando il mio cellulare inizia a squillare. Sono tentato di non rispondere, soprattutto quando noto che si tratta di un numero sconosciuto, ma poi, preso dalla curiosità, decido di avviare la chiamata.
Inizialmente nessuno si fa sentire, così provo ad insistere: “Chi parla?” “Sono io” una lieve voce femminile mi toglie il respiro e nonostante io sappia con assoluta certezza di chi si tratta, ho bisogno di una conferma: “Ellie?” Non le lascio il tempo di rispondere e le domando subito in merito alle condizioni di salute sue e di Alex, ma soprattutto tento di racimolare informazioni su dove si trovino al momento. È un colpo al cuore realizzare che non può dirmi nulla, anche se udire il suono della sua voce è già di per sé una magra consolazione. Constatare che noi manchiamo a lei quanto lei manca a noi mi riempie il cuore di malinconia e già so che dopo questa telefonata, il bicchiere che ho lasciato sul tavolino non basterà.
Parliamo del più e del meno, aggiornandoci sugli ultimi avvenimenti anche se nulla pare essere particolarmente degno di nota. O quasi. “Io…ecco…ho conosciuto tua madre”.
Credo di aver lasciato il telefono e credo anche che lo schermo si sia appena frantumato a contatto con il pavimento, ma non sono sicuro di ciò che accede intorno a me. Mia madre. Ellie. Non capisco più nulla, la mia testa prende a girare vorticosamente e improvvisamente mi ritrovo steso accanto ai frammenti di quello che era il mio cellulare fino a poco fa.

Quando apro gli occhi, un raggio di sole mi acceca. Non so come io sia arrivato al letto e non ricordo nemmeno di aver perso i sensi. Nella mia mente è nitida la fastidiosa sensazione della mia testa che girava e forse il dolore al fianco è una conseguenza del fatto che mia sia ritrovato improvvisamente al suolo, ma dopo questo, nei miei pensieri c’è solo un buco nero.
“Buongiorno dormiglione” il volto del mio migliore amico mi si para davanti improvvisamente. “Che diavolo mi è successo?” Domando mettendomi una mano sulla fronte. “Non ti ha insegnato nessuno che alcolici e medicine non vanno d’accordo?” Il suo tono sarcastico cela un velo di preoccupazione. “Mi stai per caso facendo la paternale?” “Zack, siamo amici da una vita e tu sei un adulto vaccinato, non voglio rimproverarti, ma direi che vederti saltare in aria insieme alla nostra azienda mi ha già spaventato abbastanza.” “Non ho bevuto molto.” Mi guarda scettico. “Solo mezzo bicchiere”. “Quindi mi stai dicendo che quello che ho visto frantumato a terra è stato l’unico?” Annuisco e in nome della nostra lunga amicizia, mi crede senza bisogno di troppe giustificazioni. “In ogni caso non ti ha fatto bene dato che sei svenuto”. “Credo che la causa del mio mancamento sia un’altra” gli racconto ogni dettaglio della telefonata con Ellie.
“Aspetta, aspetta. Tua madre? Ma lei… sì, insomma, se la troviamo possiamo trovare anche Ellie” i suoi occhi si illuminano e la speranza lo accende. “Dubito che sia così semplice…lei è semplicemente scomparsa da un giorno all’altro. Mi ha lasciato una lettera con scritto di non cercarla e che un giorno mi avrebbe spiegato tutto, persino Hamilton mi ha consigliato di dare tempo al tempo anche se io ero intenzionato a trovarla.” “Forse un modo per saperne di più c’è…” lo vedo pensieroso è il suo sguardo si è incupito. Quando capisco a cosa si riferisce, il mio sangue ribolle. “No. Assolutamente no. Non pensarci neanche.” “Ma Zack…senti io comprendo, davvero, ma questo potrebbe essere l’unico modo per scoprire dove si trovano Ellie e Alex.” So perfettamente che ha ragione, ma l’idea di ciò che dovrò fare domani mi fa venire la pelle d’oca.

Il portone bianco con la maniglia d’oro è davanti a me proprio come lo ricordavo. Non metto piede qui da un’eternità e tutto sembra così diverso e uguale al tempo stesso. L’uscio si apre e compare una delle domestiche di cui non conosco il nome, probabilmente è stata assunta di recente. “Posso aiutarla?” “Sono Zack” mi guarda confusa. “Evans” preciso e non hai bisogno d’altro. “Si accomodi, chiamo Chris…ehm…volevo dire, il Signor Evans”. Il lapsus avuto dalla giovane donna è stato sospetto, ma al momento ho problemi più gravi a cui pensare.
“Zack. Non ti aspettavo” Ecco il grande uomo d’affari scendere le maestose scalinate della grande villa che ormai occupa da solo. “Sono qui per avere un’informazione, nulla di più” “Immaginavo”. La freddezza con cui entrambi ci rivolgiamo la parola è agghiacciante, non sembriamo padre e figlio talmente è grande l’astio che intercorre tra noi. “Posso offrirti un thè?” “No grazie, sono a posto così”. “Allora vieni nel mio studio, staremo più comodi”.

Dò un’occhiata intorno a me e tutto è rimasto uguale, persino la porta del suo ufficio, unica stanza in cui io ho sempre temuto entrare, si staglia minacciosa davanti a me. Ho varcato questa soglia raramente, ma è incredibile adesso accorgermi di quanto la sua scrivania assomigli a quella di Arthur che per è stato un secondo padre, molto più presente del primo. “Non sapevo avessi la passione per l’arredamento” afferma sarcastico. “Non sai molte cose di me, e in ogni caso, ad intendersi di mobilio era la mamma” lo vedo irrigidirsi al richiamo della donna.
“Be? Cosa vuoi sapere?” Mi chiede sbrigativo. “Lei dov’è?” Non faccio giri di parole, voglio trattenermi qui il meno possibile. “Non lo so.” “Ma davvero?” “Vorrei ricordarti che abbiamo divorziato. Non siamo tenuti a sapere i nostri reciproci spostamenti” se c’è una persona al mondo che sa tenere testa a Christopher Evans, è suo figlio. “Qualcosa mi dice che stai mentendo. Dimmi quello che sai.” “Ti ho già detto che non ho idea di dove sia” è vero. Ma qualcosa non torna. “Va bene, ammettendo che sia la verità, tu sai qualcosa che io non so. Voglio sapere cosa è successo prima che sparisse.”
Non parla, ma resta immobile come una statua. Allargo le braccia come a voler dire: “allora?” e mi lascio cadere sulla poltrona davanti a lui sollevando le spalle. “Ho tutto il tempo che vuoi”.
“Ho del lavoro da fare.” “Non mi interessa”. Sbuffa e so che è sul punto di cedere. “È venuta da me una sera, aveva bisogno di aiuto. Sembrava…spaventata. Mi ha detto che sapeva delle cose su delle persone, cose che non poteva dirmi.” “Puoi essere più preciso?” “C’entrava qualcosa la tua azienda. Se non ricordo male, un tuo socio in particolare anche se non mi ha fatto nomi. Disse che tu eri in pericolo, che lei aveva sentito tutto. Non so altro.” “Fammi capire, la tua ex moglie viene da te, disperata, dicendoti che tuo figlio è in pericolo, e tu non muovi un muscolo?” Non so cosa mi abbia sconvolto di più tra l’enigmatico racconto di quella sera o il comportamento di quello che dovrebbe essere mio padre. “Sembrava una pazza! Delirava!” Il suo tono si è alzato e non posso sopportare oltre. Mi alzo di scatto e guardandolo profondamente negli occhi gli rivolgono le ultime parole che mi restano. “Mi fai schifo.”

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Capitolo 60
*** The Key ***


ZACK’S POV
“Quindi fammi capire, tua madre si era presentata da lui spaventata e agitata e lui le ha praticamente dato della pazza non curandosi minimamente delle sue parole?” Matt è allibito quanto lo ero io, o forse anche di più. In fondo, io conosco mio padre e shock iniziale a parte, il suo comportamento era sufficientemente prevedibile. “E adesso che si fa?” Sorseggio un bicchiere di whiskey, il mio amico inizialmente non approvava, ma gli ho spiegato che dopo il mio racconto ne avremmo avuto bisogno, e così è stato. “Ve lo dico io cosa si fa!” Jennifer sbuca dalla camera da letto e non la vedevo coì raggiante da molto, molto tempo. “Perdonami Zack, ma temo di aver origliato la vostra conversazione, ma giuro che l’ho fatto per una buona causa, anzi, per due: Ellie e Alex”. Ha un lieve velo di trucco che le ha ridonato colore al viso, indossa un abito semplice, ma piuttosto elegante e le sue inseparabili scarpe con il tacco; direi che, anche se nella sua sobrietà, si sta riprendendo. “Hai qualcosa in mente?” Matt la capisce meglio di chiunque altro e la invita ad avvicinarsi. “Dire che ho già progettato un piano, sarebbe decisamente affrettato e inesatto, ma ho un punto da cui partire”. “Ti ascoltiamo, ah e se tutto questo riuscirà a riportare da noi la Wilson e l’ometto, sarò più che disposto a perdonarti per aver origliato questa ed altre conversazioni” accenno al passato e la vedo diventare rossa come un peperone. So che da buona segretaria ha fatto anche il suo lavoro di pettegola in questi anni. “Dobbiamo parlare con Wood, lui potrebbe saperne di più. È  uscito dall’ospedale no?” “Da quanto ne so io sì, naturalmente è temporaneamente fuori servizio” spiega Matt. “Meglio! Magari così sarà maggiormente disposto a lasciar trapelare qualche informazione in più”. “Allora è deciso! Domani andremo a fargli una visita, trovare il suo indirizzo non sarà un problema”. Non voglio sapere in quale modo illegale Jen metterà le mani sulla residenza del Commissario, ho deciso che in tutto questo progetto non mi addentrerò nei dettagli.

Decidiamo di recarci tutti e tre a casa di Wood, abbiamo dibattuto a lungo sulla questione perché inizialmente non ci sembrava il caso di essere in troppi, considerando che sicuramente lo disturberemo in ogni caso; ma poi abbiamo deciso che essere insieme sarebbe stata la cosa migliore: abbiamo appurato che siamo un’ottima squadra e anche se ci manca un componente, senza ombra di dubbio lavoreremo meglio così.
Wood vive in una zona periferica della città, ma da quanto ne so,  molti poliziotti sono nella stessa condizione perché per il lavoro che compiono, è meglio che non diano troppo nell’occhio, soprattutto se hanno una famiglia.
Dalle scoperte di Jennifer, sappiamo che al momento il Commissario non si trova nella sua abitazione, ma in quella della madre, forse per stare più tranquillo e, da quanto dice la fonte della segretaria, per non dover dare conto ai giornalisti che, a seguito dell’incidente, lo hanno torturato con svariate domande.
“Allora è deciso. Non ci tratterremo per più di mezz’ora, altrimenti vi trascinerò fuori io a costo di dovervi tirare dai cappotti” Matt continua a darci tutte le precauzioni del caso, da buon uomo razionale qual è. Forse è semplicemente meno impulsivo di noi oppure, anche se è butto detto così, è il meno attaccato ad Ellie; non intendo di certo che non si stia impegnando, ma forse questo legame più leggero, gli permette di essere più lucido e va bene così. Un po' di razionalità in questo gruppo di sbandati non guasta.
“Hai altri insegnamenti da trasmetterci grande guru?” Jen unisce le mani in segno di preghiera e china la testa. Mi viene da ridere e la sostengo: “Andiamo Matty, sappiamo anche noi come ci si comporta” gli do una pacca sulla spalla. “Lo sapete solitamente, ma non adesso.” Il suo tono freddo e lapidario smorza ogni nostra risata e restiamo gelati sul posto a guardarlo, finché non ci dà le spalle e si dirige verso la porta, senza aggiungere nessun'altra parola. Io e la segretaria ci guardiamo negli occhi stupiti, come se non avessimo coscienza di ciò che è appena successo. “Vi muovete o no?” Il mio amico si volta verso di noi un secondo prima di bussare, così, con un’alzata di spalle, andiamo verso di lui.
 
“Buongiorno ragazzi, come posso aiutarvi?” Una bellissima donna dai capelli ramati e gli occhi azzurri apre l’uscio e ci accoglie calorosamente. “Salve, scusi il disturbo Signora, siamo qui perché stiamo cercando il Commissario Wood” Matt si auto elegge portavoce del gruppo. “Siete degli agenti?” Domanda titubante e il suo sguardo si incupisce. Sulla sua fronte compare una ruga che definisce meglio la sua mezza età. “No, abbiamo bisogno di fargli un paio di domande se è possibile, ma non vorremmo affaticarlo in nessun modo o darvi fastidio, possiamo ripassare un'altra volta se preferite.” La voce di Matt è dolce e accomodante. Al contrario dei nostri sguardi di fuoco, siamo qui per un motivo e non abbiamo intenzione di andarcene a mani vuote. Jen gli lascia una lieve gomitata nello stomaco. “Per me non c’è problema, però non sono io quella a cui è caduto addosso un edificio. Intanto accomodatevi, non restate qui fuori a prendere freddo” apre maggiormente la porta permettendoci di avanzare.
L’anticamera è sui toni del giallo e dell’arancione e conferisce all’abitazione un'aria accogliente. Non ci guardiamo troppo intorno per non sembrare dei curiosoni, perfino Jennifer stranamente non si mette a curiosare in giro, ma guardandola, ne capisco il motivo: è furiosa con Matt e il suo silenzio dura ben poco. “Ma che diavolo dici?” Gli dà persino una lieve spinta. “Non essere egoista Jennifer! Ellie e Alex stanno sicuramente bene, quest'uomo è quasi saltato in aria per la miseria!” Il mio amico non alza la voce, ma ancora una volta, il suo tono non ammette repliche.
I passi della donna ci distolgono dalla conversazione e Jennifer sibila un amaro: “io e te non abbiamo finito”.
 
“Ragazzi, Aloysius dice che se la sente di parlare con voi, venite pure”. Io e la segretaria ci osserviamo con aria trionfante.
Seguiamo la nostra guida fino al soggiorno, dove troviamo Wood seduto su una poltrona con la gamba ingessata allungata su un poggiapiedi. Indossa un maglione beige e un pantalone di flanella, gli occhiali posati sul naso e un giornale in grembo: più che un Commissario, al momento sembra un nonno burbero infastidito dalla presenza dei nipoti.
“Immaginavo foste voi, Isabel vi ha descritti e direi che Evans ha un aspetto piuttosto caratteristico” il suo tono è ironico e lancia un'occhiata alla donna alle nostre spalle che arrossisce vistosamente. “Loy smettila di fare l’idiota!” Il rimprovero che udiamo è del tutto inaspettato e quella che pensavo essere la compagna di Wood, si rivela molto più simile a lui di quanto non sembrasse in un primo momento. “Posso portarvi un tè?” Torna gentile e accomodante e dopo che Jen ha annuito e ringraziato, sparisce verso la cucina. “Stupida ragazzina” farfuglia il Commissario. Lo guardiamo confusi: “è mia sorella e resterà la stupida ragazzina che è sempre stata” alza gli occhi e sbuffa. “Sento ancora molto bene al contrario di te” l'urlo di Isabel giunge chiaro e acceso alle nostre orecchie e non possiamo trattenere un sorriso.
 
“Allora, sputate il rospo”. “Commissario, lei sa di Ellie e Alex, giusto?” Comincia Matt tastando il terreno. “Certo. Sono stato io a contattare la Protezione Testimoni. Avevo detto loro che se fosse successo qualcosa a me o ad uno di voi, sarebbe stato necessario il loro intervento. Scommetto che siete qui perché volete sapere dov'è, o forse c’ di più…mi sembrate avventati e impiccioni, ma non stupidi. Sicuramente sapete che chi entra fare parte di quel programma, non può essere trovato e voi non avete le carte in regola per avere informazioni.”
“Ha ragione. Infatti vorremmo parlare di altro con lei.” Questa volta sono io ad intervenire. “Mi avete incuriosito, vi ascolto.”
“Vorrei sapere se qualche anno fa, è venuta da lei mia madre esponendole una certa preoccupazione riguardante uno dei miei soci”. “Signor Evans, se sua madre si fosse recata da me accusando uno dei suoi soci, sicuramente avrei aperto un’indagine ed ora non mi ritroverei su questo divano incapace di muovermi”.
Accidenti, questo significa che non sa nulla. “Mi dispiace ragazzi, ma se era questo ciò di cui avevate bisogno, non saprei come aiutarvi”.
 
La visita dal Commissario è stata inutile e ora, in macchina con la pioggia che batte insistentemente sui finestrini, nessuno osa aprire bocca. “È stato un buco nell'acqua” sbuffa Jennifer. “Non sono d'accordo” afferma deciso Matt. “Ma che strano” borbotta la sua ragazza. “Spiegati meglio” lo incoraggio. “Beh, è vero che non abbiamo scoperto nulla di concreto, ma almeno così possiamo escludere certe ipotesi e possiamo togliere Wood dagli informatori. Ora non ci resta che pensare a chi altro chiedere”. Il suo tono è leggero e anziché innervosirmi, mi infonde una strana serenità; se al suo posto ci fosse stato qualcun altro, sono sicuro che avrei dato in escandescenze.
“Ma certo, allora dicci Smith, da chi altri potremmo andare? Ma fammi il favore! Sembra che non te ne importi nulla di Ellie e Alex.”
L'unica donna del gruppo incrocia le braccia al petto, furibonda. Matt inchioda e devo reggermi ai sedili davanti per non cadere come un sacco di patate. “Ma che diavolo fai?!” “Scendete.” “COSA?” Urliamo all'unisono. “Ho detto, scendete. Entrambi. Non voglio più avere a che fare con voi per il resto della giornata. Mi sono rotto.” “Ma Matt…” se inizialmente eravamo furibondi per il suo gesto, osservandolo ci siamo calmati entrambi. Non l'avevo mai visto così arrabbiato. 
“Niente ma! Fuori da questa macchina. Ora.”
 
Ci ha lasciati davvero sul ciglio della strada ed è sgommato via. Abbiamo chiamato un taxi e Jennifer è scoppiata a piangere appena si è seduta. “Gli-gli passerà, vero?” La verità è che lo spero, ma è la prima volta che ha una reazione simile e non so come si evolveranno gli eventi. Però in mancanza di Ellie, credo sia mio compito tranquillizzare la segretaria, così le rispondo cercando di essere il più convincente possibile: “ma certo! Sai com'è fatto, è una persona buona”. “O mio Dio, ma che diavolo gli ho detto! Come ho potuto! Mi sento un mostro”.
Non potevo lasciarla sola in quelle condizioni, così l'ho portata nel mio appartamento e abbiamo passato un'ora buona a cercare di rintracciare Matt, ma senza risultati.
“Vuoi restare? O preferisci che ti riaccompagni a casa?” Le propongo dopo la magra cena che abbiamo consumato. “Potremmo provare ad andare da lui!” Propone illuminandosi. “Jen, ascoltami” le poso le mani sulle spalle e mi rivolgo a lei come farei con una sorellina che si è appena sbucciata un ginocchio. “È meglio lasciargli i suoi spazi, fidati di me. Domattina passo a prenderti, andiamo a fare colazione e pensiamo al da farsi. Ma ora abbiamo bisogno di riposare, tutti e tre. La notte porta consiglio e del sano riposo ci farà bene e ci aiuterà a schiarirci le idee e a calmarci.” Annuisce e così si conclude questa giornata infernale.
 
DUE GIORNI DOPO
 
Ora sto seriamente iniziando a preoccuparmi. Matt è scomparso. Il suo appartamento è vuoto  e non ci sono segni del suo passaggio, al telefono non risponde e Jennifer sta dando di matto già da ieri. Le avevo detto che Matt è un uomo adulto e non deve tenere conto a noi di dove va, però non era mai successo che sparisse di punto in bianco senza lasciarmi neanche un messaggio.
Le peggiori ipotesi si affacciano nella mia testa e tra me e Jen non so chi sia più nel panico. “Dobbiamo andare alla polizia. Potrebbe essergli successo qualcosa, Ross è a piede libero”.
Se la nostra vita negli ultimi mesi fosse stata diversa, le avrei detto di aspettare ancora un po'. Ma visto l'andamento delle cose e soprattutto la sua ultima frase, mi ha convinto e ho già il telefono in mano. Sto per comporre il numero di emergenza, quando una chiamata in entrata interrompe ogni mia azione: Wood.
 
“Avete perso in pezzo per strada, ragazzi?” Ci domanda quando entriamo nel suo soggiorno in due. “Siamo piuttosto di fretta, cosa non poteva dirmi al telefono?” Domando sbrigativamente. “Ehi signorino, vedi di calmarti, sono fuori servizio e non ero tenuto a fare ciò che ho fatto.” “E cosa avrebbe fatto esattamente?” Si intromette Jennifer che stranamente appare più calma di me. “Ho parlato con alcuni colleghi che stanno abbastanza bene, non mi hanno saputo dire grandi cose, ma pare che un agente in pensione abbia parlato con Lilian qualche anno fa. Ha aperto un'indagine su Ross che però è stata archiviata nel giro di un paio di settimane”. “E ora dove si trova questo agente?” “Al cimitero.”
“C-Come ha detto?” Jennifer ha dipinta in volto un'espressione terrorizzata. “Evans, c'è sotto qualcosa, qualcosa di bello grosso che non coinvolge solo la tua amica. Temo che molte persone siano in pericolo, noi compresi. Bisogna trovare Ross e metterlo in gattabuia. Un ultimo consiglio: smettete di cercare Ellie e il bambino, sono più al sicuro ovunque siano, lontani da questa merda. Ma ti autorizzo a cercare tua madre, lei sapeva qualcosa che nessun altro sapeva. Potrebbe essere la chiave di tutto”. 

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Capitolo 61
*** Impossible ***


ELLIE’S POV
Non sono più riuscita a rintracciare Zack, ma la verità è che non sono preoccupata, dubito gli sia accaduto qualcosa, ma piuttosto ritengo che abbia attaccato volontariamente. So che i suoi si sono separati anni fa e lui non mi ha mai parlato di loro, probabilmente non avendone piacere, ma la sua reazione è stata eccessiva, quindi ho iniziato a pensare che non gli importi più di me, in fondo, come biasimarlo? Era il capo di una delle aziende più rinomate al mondo e tutto andava a gonfie vele, ma da quando sono arrivata io, qualcosa è cambiato e si è innescata una serie di sfortunati eventi.
Magari ha ritenuto il mio allontanamento una benedizione e chiamandolo non ho fatto altro che rovinargli ancora la vita.
“Ehi bionda! Cos’è quella faccia?” Madison comprende subito che qualcosa non va, ma non me la sento di parlarne con lei. “Senti, io e te non ci conosciamo poi da così tanto e posso capire che magari non ti fidi, però so che c’entra quella telefonata.” Mi guarda in attesa con le braccia incrociate sul petto. “Non ci voleva un genio per capirlo” ribatto sarcastica. “Va bene, continua pure a fare la stronza, io me ne vado”. “Tanto domattina dovrai tornare per forza” le urlo mentre la vedo scendere le scale. “Non esserne troppo sicura Miss so tutto io” e se ne va sbattendo la porta; il suono rimbomba in tutta la casa e mi desta dal mio stato nervoso. Non avrei dovuto trattarla così, alla fine non ha colpe e oltre a sopportarmi deve proteggere me e mio figlio, sono una persona orribile e forse è per questo che Zack ha chiuso così bruscamente la chiamata.

Le tende vengono aperte bruscamente e la luce mi desta dal mio sonno travagliato. “Ellie! È mezzogiorno, che diavolo ci fai ancora nel letto?” Mezzogiorno? È impossibile. Apro leggermente gli occhi ancora infastiditi dai raggi del sole troppo abbaglianti e lancio un’occhiata alla sveglia. “Alex stava piangendo come un matto!” Alex? Oh porca miseria! Mi alzo di scatto e un capogiro mi costringe a ributtarmi sul materasso. “Ehi, aspetta. Non fare questi movimenti appena sveglia” Madison si siede al mio fianco e mi posa una mano sulla spalla. “Alex? Dov’è?” Le domando preoccupata e colpevole. “Tranquilla, sta bene. È di sotto a guardare i cartoni. Ora vado a prenderti un bicchiere d’acqua” si sta alzando, ma la strattono per un polso. “Avevi detto che non saresti tornata” “abbiamo detto entrambe tante cose di cui ci siamo pentite. Torno subito”. “Grazie” sospiro e non sono sicura che mi abbia sentita.
“Ascolta, non voglio obbligarti a parlarmi di quello che è successo, ma hai un disperato bisogno di sfogarti e se non vuoi farlo con me… c’è una persona di sotto con cui forse ti sentirai più a tuo agio” guardo l’agente in modo confuso e mi domando chi possa essere… che abbia chiamato Lilian? Non credo si sarebbe sbilanciata; magari Jennifer? Improbabile.
“Datti una sistemata, ti aspettiamo di sotto” allude ai miei capelli che sento essere annodati e neanche troppo puliti. Non sapendo chi devo incontrare, decido di darmi una rinfrescata e credo che la doccia abbia davvero poteri rigeneranti: mi sento come rinata, pulita e profumata.
Essendo in casa, non voglio truccarmi, ma quando vedo la mia immagine riflessa nello specchio, riconsidero l’idea e applico del correttore per coprire le marcate occhiaie, giusto un rossetto nude per dare tono alle labbra esangui e sono finalmente pronta.
La mia solita curiosità rende i miei movimenti più rapidi e in un batter d’occhio sono davanti alla porta del salotto di casa. Mi blocco, incerta e quasi impaurita da chi poteri trovarmi davanti. Sento solo Madison parlare del più e del meno e qualche versetto di Alex, ma nulla che faccia capire chi è il mio ospite. Poi mi decido ad entrare e, senza che me ne accorga, calde lacrime solcano il mio viso.

“O mio Dio! Ma cosa ci fai qui? Come…” gli salto letteralmente addosso e le sue braccia mi accolgono mentre sorridente cerca di calmarmi. “Ehi, frena, frena” sciolgo l’abbraccio e fisso i miei occhi in quelli dello stesso colore del cioccolato del giovane uomo che ho davanti. “Pensavo che non fosse possibile tutto questo” “Infatti non lo è, in teoria” Madison risponde con un tono innocente, ma il suo sguardo è furbo. “Sei stata tu?” “Non ne vado fiera, sappilo” torna immediatamente seria, “però lo rifarei. Ora vi lascio parlare in pace”. Prende il bambino con sé e lo porta al piano superiore.
“Matt, come hai fatto a trovarmi?” Sono davvero entusiasta e invito il mio amico a sedersi accanto a me. Vedere un volto famigliare dopo queste settimane di reclusione, è una benedizione. “Non ci sarei mai riuscito, però sono arrivato a Madison e l’ho convinta. Mi ha detto che ti avrebbe fatto bene vedere qualcuno che conosci”. “E aveva ragione…”
“Stiamo cercando di farvi tornare a casa, Ellie, ma non è facile. Ci sono di mezzo questioni legali e soprattutto c’è in ballo la vostra vita.” “Io pensavo che… temevo vi foste dimenticati di me o che steste meglio senza la mia presenza” affermo afflitta. “Cosa? Ma sei impazzita? Non dirlo neanche per scherzo! Jennifer è a terra, si è ripresa di recente quando si è convinta che c’era una possibilità di trovarvi e Zack… sta facendo il possibile. Sono successe delle cose…” Così, Matt inizia a raccontarmi di un incontro di Evans con suo padre e della visita dei miei amici al Commissario Wood, persino di un litigio tra lui e i nostri compagni.
“Mi sono persa parecchio” dico sovrappensiero per le numerose informazioni che ho ricevuto in poco tempo. “Tu invece hai novità? Come ti trovi qui?” Le racconto della madre di Zack a fronte di ciò che mi ha spiegato lui alcuni minuti fa.
“Io sono sottocopertura, non posso dirle che so chi è…” “Hai ragione, però potremmo organizzare qualcosa, io devo farle assolutamente delle domande. Lei è coinvolta in tutto questo.” “Che gran casino” appoggio di peso la schiena contro il divano e sbuffo sonoramente. “Il mondo è piccolo” aggiunge lui. “Fin troppo”.
“Ehi ragazzi, cosa sono queste facce da funerale? Ti ho portato Smith perché ti tirasse su il morale, non per deprimervi insime” Madison compare con in braccio Alex e la sua affermazione mi riporta alla mente Jennifer, poi collego: le due sono terribilmente simili, e la segretaria in una situazione come questa saprebbe esattamente cosa fare, ciò significa che anche Maddy lo sa.

“Chiama Lilian, dalle appuntamento al parco poi tu fingerai di essere in ritardo e lei causalmente si scontrerà con Matt, il quale sarà in questa cittadina per questioni di lavoro” spiega l’agente. “Può funzionare! La chiamo immediatamente” mi sposto in cucina e invito la mia nuova amica promettendole di portare anche Alex con me per farglielo conoscere, non mi piace l’idea di ingannarla, ma tutto questo è a fin di bene e questa storia sta iniziando a durare troppo per i miei gusti.

“Per le quattro sarà sul posto, hai un’ora per prepararti” dico a Matt interrompendo la sua conversazione con la giovane donna. “Posso usare il bagno? Vado a sciacquarmi il viso e a mettere insieme le idee” annuisco e gli do le semplici indicazioni.
“Di cosa parlavate?” Dovrei seriamente farmi i fatti miei. “Di Jennifer, è proprio cotto” afferma e il suo tono assume una strana malinconia. “Gli occhi da cucciolo colpiscono eh?” “Già… aspetta, cosa?” La guardo per farle capire che comprendo il fascino di Matt ed è normale cascarci. “Sei fuori strada e Jennifer è tua amica, quindi chiuso il discorso”. Si innervosisce e scompare in cucina, così io e Alex restiamo soli e mi perdo ad osservarlo disegnare un uomo con due profondi occhi di ghiaccio. 

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Capitolo 62
*** Dear Zack ***


ZACK’S POV

“Dove pensi che possa essere finito?” Jennifer è terrorizzata e nella sua voce colgo anche una nota di disperazione. “Non ne ho idea, ti ho detto che ho già guardato in tutti i luoghi in cui pensavo potesse trovarsi!” Solo in seguito, quando vedo i suoi occhi riempirsi di lacrime, mi accorgo di essere stato eccessivamente brusco. “Mi-mi dispiace Jen, non volevo aggredirti…è solo che… tutta questa storia mi sta facendo impazzire.” Mi appoggio allo schienale del divano e prendo la testa tra le mani. Tra la lontananza di Ellie e Alex, la scenata di Matt e il pericolo che incombe su tutti noi…
“Ehi…va-va tutto bene, capisco” la segretaria mi posa una mano sulla spalla. “Siamo entrambi sotto pressione, dobbiamo darci una calmata e capire cosa fare. L’unica cosa che so per certa al momento, è che dobbiamo restare uniti per recuperare l’altra metà del team”. Annuisco in accordo con lei e decidiamo di tornare ognuno a casa propria, farci una doccia bollente, mangiare un boccone e cercare di dormire un po’.

“Sei riuscito a chiudere occhio?” Jennifer che sembra essersi rigenerata, entra nel mio appartamento con due caffè fumanti e un sacchetto contenete probabilmente qualcosa di dolce. “Quanto basta per riorganizzare le idee” rispondo facendola accomodare. “Voglio sapere tutto” afferma sicura. “Prima necessito caffeina e qualsiasi cosa ci sia dentro quel sacchettino” faccio un cenno verso la sua mano.

“Affiderei per un po’ la ristrutturazione dell’azienda a Hamilton. Sa cosa fare e ha degli ottimi collaboratori, sono sicuro che faranno miracoli” spiego mentre facciamo colazione. “Mi sembra un’ottima idea, hai bisogno che lo contatti?” “No, ci penso io, trovo giusto chiedergli questo enorme favore di persona, inoltre vorrei spiegargli quello che sta succedendo”. Mi guarda scettica e continuo velocemente: “Non proprio tutto, giusto per fargli capire perché ho un disperato bisogno che si occupi lui dell’azienda per un po’. Magari mi inventerò una scusa, non ho intenzione di metterlo in pericolo, ma di lui so di potermi fidare.” “Hai pensato a come trovare tua madre?” Domanda esitante. “C’è una persona a cui posso chiedere… in giornata farò tutto” “ E io invece cosa dovrei fare?” Ha un’espressione perplessa disegnata in viso. “Aspettare” rispondo ovvio. “Aspettare e basta?” “Aspettare e rilassarti il più possibile o se proprio non vuoi stare con le mani in mano, puoi stendere un progetto dei lavori svolti fino adesso e di quelli che ancora sono da fare, così Hamilton non si ritroverà completamente spaesato. Mantieniti raggiungibile, appena ho novità ti chiamo”.

Jennifer era piuttosto contrariata all’idea, ma tutto ciò che devo fare oggi, devo farlo da solo. Innanzitutto mi occuperò di Hamilton, convincerlo sarà la parte più semplice.
Arrivo al suo ufficio dove sono costretto ad aspettare una buona mezz’ora dato che è in riunione, ma questa si rivela un’ottima notizia: avrò il tempo di pensare ad una scusa per giustificare l’assenza mia e di Matt. Hamilton conosce piuttosto bene entrambi, risultare credibile sarà una bella sfida.
“Zack! Ma che piacere vederti! A cosa devo la tua visita?” L’uomo è come sempre molto accomodante e senza accorgermene, mi ritrovo a paragonare questo momento all’incontro con mio padre e subito capisco il perché della mia preferenza verso l’uomo che mi sta davanti. “Ragazzo? Va tutto bene?” Hamilton mi risveglia dal mio stato di incoscienza e riporto l’attenzione su di lui. “Sono qui per questioni di lavoro purtroppo. Mi dispiace di farmi vedere solo quando ho bisogno” affermo afflitto e lo penso davvero. “Non preoccuparti, so che è un periodo intenso per te, quando le acque si saranno calmate però ti aspetto per un tè”. “Con molto piacere” gli sorrido, grato. “Ora parliamo di affari, dimmi tutto”.

Gli ho raccontato che io e Matt siamo decisi nel voler trovare Ellie e abbiamo un pista (anche se nemmeno questo è vero), di conseguenza ci assenteremo per un tempo indeterminato. Gli ho anche chiesto di non fare troppe domande quando ho visto lo scetticismo dipinto sul suo volto, dal momento che nella questione di Ellie sono coinvolti i federali e non è tutto semplice come volevo fargli credere io. Ha accettato senza troppi indugi, non ha curiosato, ma si è limitato ad assicurarsi che sarei stato attento.

Mentre il freddo imperversa per le strade di New York, mi perdo ad osservare le persone che indaffarate e con la testa china mi passano accanto. Ognuno segue il corso della sua vita e tutto il subbuglio che si è creato nella mia, dà problemi solo a me. Da un paio di settimane ormai, avevo come la sensazione che il mondo si fosse fermato per poi riprendere a ruotare al contrario; invece non è così e comprenderlo mi dona sconforto e serenità al tempo stesso. Scorgere persone felici, rende ancora più grave il macigno nel mio petto, ma immaginare che in realtà non sono l’unico ad affrontare delle avversità, mi fa sentire meno solo.
Finalmente arrivo davanti alla mia seconda casa e il suono del campanello quando apro la porta mi accoglie così come il calore della stanza e il profumo di tempera.
“Arthur?” Chiamo il mio Maestro perché non lo vedo da nessuna parte, probabilmente sarà di sotto, così mi reco al piano inferiore dove lo trovo intento a sistemare alcune cornici. Mi scorge con la coda dell’occhio, dopodiché realizza di non essere solo e sobbalza. “Ragazzo! Vuoi farmi venire un infarto?” Poco dopo avermi posto la questione sorride. “Scusa Art, ti ho chiamato di sopra” gli spiego. “L’età mi sta proprio facendo diventare sordo” sospira.
È quasi orario di chiusura, così mi propongo di aiutarlo a mettere in ordine mentre inizio ad aggiornarlo sugli ultimi avvenimenti prima di arrivare al punto. Per certi versi mi ricorda molto Hamilton e facendo un bilancio, anche se ho un pessimo rapporto con mio padre biologico, ho rimediato non uno, ma bensì due fantastici padri adottivi. In nome di questo legame che ci unisce, non ho alcuna intenzione di mettere in pericolo nemmeno lui, così cerco di mantenermi il più possibile sul vago.
“Arthur, tu per caso hai idea di dove possa trovare mia madre? Ho davvero bisogno di parlare con lei” mi guarda incerto, come se stesse meditando sul da farsi e ciò mi fa comprendere che lui sa qualcosa. “Ti prego” aggiungo. Nulla. Non è convinto. “Perché non vuoi aiutarmi?” Lo imploro. “Non è che io non voglia, Zack. Ma è pericoloso, tutto questo è più grande di te.” Se anche lui sa, significa che tutto questo casino è davvero di dimensioni apocalittiche. “Arthur, ci sono già dentro fino al collo, ora dimmi quello che sai” il tempo delle suppliche è finito, adesso inizia quello delle imposizioni. Devo arrivare a capo di tutta questa faccenda.
Il mio maestro sospira afflitto e lo vedo cedere. “Seguimi” mi alzo da dietro il bancone e cammino dietro di lui verso quello che è sempre stato il suo studio privato, dove raramente ho messo piede. L’ambiente è come lo ricordavo, forse solo un po’ più polveroso. Mi fa cenno di fermarmi all’ingresso, mentre lui continua a muoversi verso una grande quadro affisso alla parete di fronte a me. Quell’opera mi ha sempre affascinato tremendamente: rappresenta un paesaggio nebbioso in cui si possono scorgere in lontananza i profili di alcuni alberi che in primo piano sono di un verde scuro intenso.

Non capisco immediatamente quello che l’uomo sta facendo, ma quando realizzo, mi sembra di essere in un film: la cornice del grande dipinto è stata spostata leggermente e dietro ad essa c’è un’apertura nel muro contenente una scatoletta di metallo. “Aprila, mi è stata data tempo fa da tua madre. Mi disse di dartela solo in caso di estrema necessità”.
L’oggetto nelle mie mani non ha nulla di speciale, se non per l’incisione raffigurata sopra: è lo stesso disegno che c’è sul mio anello che Ellie aveva ritrovato mesi fa.
Lo apro con mani tremanti e all’interno trovo un foglio piegato più e più volte.
 
Caro Zack,
se stai leggendo questa lettera, significa che le cose non sono andate come avevo programmato e ho fallito nel mio compito di proteggerti.
Probabilmente al momento sarai pieno di dubbi e domande, ma la verità è che le risposte sono insidiose, troppo.
Ma arrivato fino a qui, non potrai più fare marcia indietro e sarai costretto a scavare per scoprire ciò che si cela nei meandri del tuo più grande progetto di vita: la tua azienda.
Uno dei tuoi collaboratori ti tradirà, lo ha già fatto ed è pronto a tutto pur di toglierti di mezzo.
So di essere molto vaga, ma è rischioso per entrambi scrivere queste parole, quindi trovami figlio mio e saprò darti tutte le informazioni di cui hai bisogno.
P.S. Porta tuo padre con te.
Sempre tua, mamma.
 
Sto guidando decisamente oltre i limiti di velocità, non ho nemmeno salutato Arthur limitandomi ad urlargli un “grazie” mentre schizzavo fuori dal suo negozio. Spero che Jennifer sia a casa.
“Trovami. Sul serio? Almeno un indizio poteva dartelo” sbuffa sonoramente la segretaria prima di lasciarsi cadere sul divano. “Credo che l’abbia scritto così perché pensava che avrei saputo come fare a rintracciarla”. “Ottimo, allora spremi le meningi Evans” mi guarda in attesa. Poi un flash: rivedo me stesso da piccolo mentre tengo per mano una bellissima donna dai lunghi capelli corvini. Mi sta parlando mentre passeggiamo in un prato. “Quanto mi piace questa tranquillità. Sarebbe bello vivere in un posto così, senza tutte quelle macchine, i grattacieli, le persone, il traffico. Qui ci si sente al sicuro, è come se tutto il male non potesse raggiungerci” afferma lei con aria sognante.
“Jennifer, andiamo a prendere mio padre. So come raggiungere Lilian”.

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Capitolo 63
*** Late Night Conversation ***


ZACK’S POV

“Non ho alcuna intenzione di prendere parte a questa pagliacciata, non sono un ragazzino come voi e ho delle faccende da sbrigare!” Mio padre è a dir poco furioso. Vederci ben due volte nel giro di così poco tempo non ha fatto bene a nessuno dei due. “Non mi interessano le tue intenzioni. Ora tu verrai con noi, che ti piaccia o no”. Mi impongo e rimane per un momento interdetto a causa del mio tono. Mi sono sempre ribellato a lui e la mia fuga ne è stata la dimostrazione, ma a parer mio, non si abituerà mai ad essere in qualche modo sottomesso da me, o da qualsiasi altra creatura sulla faccia della terra.
“Potresti almeno avere la decenza di dirmi dove stiamo andando e perché diavolo ti serve la mia presenza?” Non posso assolutamente dirgli che nemmeno io so rispondere a questo quesito perché probabilmente sarebbe capace di aprire la portiera con l’auto in corsa e buttarsi sull’asfalto pur di non seguirmi. “Lo saprai a tempo debito”, o forse avrei dovuto dire: lo sapremo.

Jennifer è stranamente silenziosa e credo che sia la presenza di mio padre a metterla in soggezione. “Ehi Jen, hai mandato quei documenti ad Hamilton?” Sarà un viaggio piuttosto lungo e non ho intenzione di passarlo in un silenzio così teso ed imbarazzato. “Uhm…certamente!” Vedo Christopher guardarla dallo specchietto retrovisore e mi domando a cosa stiano pensando entrambi. “Che fine ha fatto Matthew?” Domanda l’uomo di punto in bianco e fortunatamente ho entrambe le mani sul volante, altrimenti avrei rischiato di sbandare. “Non ne ho idea, ma qualcosa mi dice che è nel luogo in cui stiamo andando” affermo non troppo convinto. La segretaria annuisce per sostenere la mia ipotesi, anche se il suo sguardo rimane piuttosto vacuo. “Ti avevo detto che non sarebbe stata una buona idea fare affari con un socio non appartenente alla famiglia”. La strada è libera e questa volta non riesco a trattenermi dal fare un’idiozia, così inchiodo. “Matt fa parte della mia famiglia molto più di quanto non faccia tu! E da adesso non voglio più sentirti fiatare, sono stato chiaro?” “Vorrei ricordarti che mi hai costretto tu a venire” si giustifica, testardo come sempre. “E ora ti obbligo a tenere la bocca chiusa.” Questa volta non gli do’ il tempo di replicare e riparto a tutta velocità.

Maledetto traffico. C’è stato un incidente, un tamponamento a catena se non ho capito male, ed ora siamo imbottigliati in una strada che altrimenti sarebbe completamente sgombera. Non voglio essere frainteso, mi dispiace per coloro che sono rimasti feriti, ma è incredibili come le forze dell’ordine non siano in grado di gestire gli altri guidatori. Con tutto questo affollamento, rischiamo di fare un altro incidente. “Dovremmo passare la notte in un motel…hai guidato molto Zack, hai bisogno di riposare” suggerisce Jennifer. “Oppure potresti far guidare me” interviene Christopher che fino ad ora era rimasto in religioso silenzio. “Certo, così inserirai la retro e ci riporterai a New York” ribatto sarcastico. Alza gli occhi, ma fortunatamente non osa dire altro. “Cerca se c’è un albergo in zona, così da non dover fare deviazioni e rimanere sulla via” Jennifer fa subito come le ho detto e le indicazioni del navigatore riempiono l’abitacolo.

“Volete davvero farmi passare la notte qui?” Mio padre è schifato, evidentemente troppo abituato ad altri agi. “Non devi fare chissà cosa, solo darti una rinfrescata e dormire. Non hai bisogno di una reggia per questo.” Lo rimprovero e sembra quasi che io sia il genitore e lui il bambino capriccioso. Io per primo solitamente mi tratto meglio quando faccio un viaggio, ma per qualche ora, posso accontentarmi. Sono o no una persona adulta? Nemmeno Jen sembra apprezzare molto il luogo, ma come me, decide di passarci sopra e si fa strada verso l’ingresso.
È un motel, non ci si può aspettare granché per ovvi motivi. Lo stile dell’interno è anni cinquanta, le moquette non sembrano molto pulite e sui muri compaiono delle macchie di umidità. Il tutto è in netto contrasto con la piacevole essenza floreale che inonda le narici.
La receptionist è una donna molto in carne con i capelli ricci che donano maggiore volume al suo viso paffuto, la sua espressione è cortese e accomodante. “Come posso esservi utile?” Domanda non appena ci vede. “Sarebbe possibile avere una stanza con due letti singoli e un divanetto?” La risposta è negativa, a quanto pare, nonostante il posto non sia dei migliori, molti transitano qui, per non parlare del fatto che qualcuno rimasto imbottigliato nel traffico come noi, avrà pensato di fare una sosta.
“Posso darvi due stanze, una matrimoniale e una singola” propone la donna leggendo qualcosa al computer. “Non sarebbero disponibili una singola ed una doppia?” Chiede Jennifer come a voler spiegare che io e lei non siamo una coppia. “Oh…ora controllo”. Ogni tanto ci guarda di sottecchi, cercando di capire in quale modo siano collegati gli elementi di questa curiosa combriccola. “Mi dispiace signorina, niente da fare”. Non ci resta che accettare e capire come dividerci. A rigor di logica la camera singola dovrebbe spettare a Jen, ma lei non se la sente di restare sola e io mi sento in dovere di “proteggerla” e lasciarla un’intera notte in solitudine nella camera di un motel, non mi sembra che sia l’ideale. Così, lascio andare mio padre verso la sua camera, assicurandomi di avere con me le chiavi della macchina. “Buonanotte” “Vedi di non fare stronzate” lo minaccio.

Io e Jennifer siamo all’entrata della nostra stanza e osserviamo il letto matrimoniale come se fosse un qualche oggetto mai visto prima. “Magari si possono staccare” tenta lei. Mi avvicino per provare la sua teoria, ma incredibilmente si tratta di un unico materasso. “Dormi tu, hai guidato parecchio e dovrai farlo anche domani” Afferma convinta. “Non se ne parla, dormi tu.” Che razza di uomo sarei a non farla riposare? Restiamo in silenzio, pensando ad una soluzione plausibile. “Non ci resta che dividerlo. È grande e possiamo stare lontani” sono fermamente convinto di quello che dico. Da mesi ormai considero Jennifer come una specie di sorella e forse per lei è lo stesso dal momento che si rivela d’accordo con me.
Siamo entrambi sdraiati a pancia in su e nemmeno ci sforiamo, fortunatamente ci abbiamo visto giusto e questo giaciglio è spazioso. “Li troveremo?” La voce di Jennifer rompe la quiete della notte e percepisco la sua preoccupazione. “Certo che li troveremo e non solo, ma metteremo fine anche a tutta questa storia”. Giro il viso verso di lei anche se nell’oscurità riesco solo ad intuire le linee della sua fisionomia. “Lei ti manca?” Ovviamente non è necessario fare nomi per capire di chi stiamo parlando. “Sì”.
“Zack?”
 “Mm”
 “Credo che quando ci saremo riuniti, dovrai dirle qualcosa” allude alla mia disperata ricerca, a come sono stato appena se n’è andata; sicuramente Matt le avrà riferito buona parte di quello che ho detto e fatto.
 “Jennifer?”
 “Mm”
 “Risolverai con Matt. Si risolverà tutto”.

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Capitolo 64
*** A Shot in the Dark ***


ELLIE’S POV

“Non ce la faccio a stare qui, devo andare con lui”. Ormai non manca molto all’orario prefissato per il mio appuntamento con Lilian e la tensione è palpabile. “Sei sicura che sia una buona idea?” Madison non è convinta, è sicuramente preoccupata per me e probabilmente teme che io mi faccia scoprire. “No, non ne sono sicura, ma davvero non posso restarmene qui con le mani in mano ad aspettare. Tutto questo casino mi ha già sovrastata abbastanza. I fatti mi hanno travolta senza che potessi fare nulla per decidere della mia vita. Ora basta.” Sono ferma nelle mie convinzioni e sono pronta a rischiare. Fino adesso la mia unica fonte di timore è sempre stata che potesse accadere qualcosa ad Alex, ma c’è Madison con me: si occuperà di lui e lo proteggerà al meglio, ne sono certa. Guardo intensamente la mia nuova amica sperando che riesca a capire che le mie azioni sono dettate da buone intenzioni. “Stai attenta” mi dice prendendo in braccio il bambino. Gli lascio un bacio sulla fronte ed esco di casa, intenta a voler scoprire la verità.

Pensavo di riuscire a rintracciare Matt per strada, dimenticandomi completamente di essere in una cittadina talmente piccola da non dover percorrere troppi passi prima di arrivare al luogo scelto. Scorgo il mio amico in lontananza che ha già individuato la donna, la quale si sta guardando intorno probabilmente cercando me. Le si avvicina in modo molto naturale, rendendo incredibilmente verosimile la causalità dell’incontro. Decido di accostarmi maggiormente a loro, nella speranza di sentire qualche stralcio della loro conversazione. Fortunatamente oggi il parco non è troppo affollato: nonostante gli abitanti di questa città non siano molti, questo è l’unico angolo verde presente e ho notato che nei pomeriggi più miti, anziani, bambini e famiglie si recano qui per passare del tempo all’aria aperta.
Ho indossato un foulard in testa e sembro essermi teletrasportata dagli anni cinquanta, spero che questo abbigliamento insieme agli occhiali da sole non dia nell’occhio. In ogni caso, sfrutto alberi e cespugli per non restare troppo esposta. Mentre mi avvicino, vedo Matt scontrarsi “accidentalmente” con Lilian. “Mi scusi” lo sento dire con lo sguardo ancora rivolto verso il basso per la quasi caduta. Quando i loro occhi si incontrano, mi sembra di scorgere una scintilla intercorrere tra loro. L’ha riconosciuto. “Matthew?” la sua espressione non è come quella di una madre, ma ci si avvicina molto. “Lilian”. Il mio amico non è quello che si può definire un attore da oscar, però devo dire che la sua interpretazione non lascia sospettare nulla. “Cosa ci fai qui?” Domanda lei ancora sconvolta mentre lo invita a sedersi su una panchina a pochi passi da loro. “Io…” sembra ponderare un momento sulla risposta, ma alla fine sceglie la verità. “Ti stavo cercando” butta fuori tutto d’un fiato. “È successo qualcosa a Zack?” La sua espressione passa da shockata a preoccupata. “Non esattamente…cioè lui sta bene, ma stanno succedendo delle cose” comprendo subito che è incerto se farle un riassunto degli ultimi mesi oppure no. “Hai saputo cosa è accaduto a New York?” Agire in modo cauto e tastare il terreno, ottima idea. In effetti la Evans Enterprise era una delle aziende più conosciute, la notizia dell’esplosione avrà fatto il giro degli States. Annuisce con aria afflitta e Matt sembra innervosirsi. “Allora dovresti sapere come sta tuo figlio, no?” Il tono è accusatorio e Lilian asciuga velocemente una lacrima che stava per rigarle lo zigomo. “Pensavo che se gli fosse successo qualcosa di grave sarei stata avvisata” afferma con voce tremante. “Quando sei diventata cosi?” Ora Matt ha perso ogni voglia di litigare, ma sembra profondamente ferito. La madre di Zack si limita ad abbassare gli occhi sulle sue mani che si muovono freneticamente cercando di lisciare le pieghe del cappotto. “È sempre stato Christopher quello meno interessato a Zack, hai preso la sua stessa piega?” “Io mi preoccupo per mio figlio!” Lilian si è messa a gridare e si è alzata con uno scatto, facendo cadere a terra la borsa. Smith, da gentiluomo, gliela raccoglie e la invita a calmarsi. “Allora perché sei sparita?” Non c’è traccia di accuse, ma solo una sincera e perplessa curiosità. “È complicato” si affretta a rispondere lei. “Spiegami, ti prego Lilian” Matt ha preso entrambe le mani della donna tra le sue e la guarda con aria supplichevole. “Se tu sai qualcosa di tutto quello che sta succedendo, devi dircelo”. “Io…non posso, Matt, davvero io non posso anche se vorrei”. Il suo tono è disperato e capisco che qualcosa di esterno la trattiene. Non può parlare perché qualcuno glielo impedisce. E poi capisco: io, Matt e Lilian non siamo al sicuro. Qualcuno ci sta osservando.

Dobbiamo andare via da qui. Vorrei portarli nella mia casa, ma non posso mettere in pericolo Alex e Madison, così agisco. “Lilian!” Esco dal mio nascondiglio segreto provocando stupore nei miei due interlocutori. Il fatto che neanche Matt sapesse che lo avevo seguito gioca a mio favore. “Ellie!” La donna non sospetta che io e il giovane uomo ci conosciamo e meno domande fa, meglio è. “Scusa tanto il ritardo, ho avuto dei problemi a casa, a proposito, potremmo andare da te? Sta per arrivare il temporale e da me ecco…non possiamo andare perché…” accidenti, sono stata così brava fino adesso… “Mio figlio non sta bene! Influenza intestinale, contagiosa tra l’altro. Il dottore ha detto di stargli lontano per un po’, l’ho lasciato con una mia amica che fa l’infermiera”. Spero davvero che se la sia bevuta anche se mi rendo conto dell’assurdità di tutto questo. Fortunatamente almeno i nuvoloni neri che si avvicinano sembrano sostenermi. “Oh, ma certo. Matt, vieni anche tu?” Sembra indeciso, così intervengo. “Certo Matt, vieni anche tu!” Lilian mi guarda confusa, perplessa per il tono informale che ho utilizzato. “Hai più o meno la mia età no? Scusa pensavo non sarebbe stato un problema se ti avessi dato del tu” rido istericamente e porto una mano alla fronte, come rimproverandomi per la mia sbadataggine. È palese che sta accadendo qualcosa di strano e il mio parlare in modo frenetico rende nervosi i due in mia compagnia.

Per mia immensa gioia ci muoviamo silenziosamente fuori dal parco e Lilian guida rapida verso il suo appartamento, non vuole far durare un minuto di più il silenzio carico di tensione che è sceso in macchina.
Quando finalmente arriviamo davanti alla casa della donna, scendiamo velocemente finché non ci accorgiamo che qualcuno ci sta aspettando. “Zack”,“Ellie”, “Matt”,“Jennifer” ,“Christopher”, “Lilian” diciamo tutti contemporaneamente e siamo uno più incredulo dell’altro. Non riesco a staccare i miei occhi da quelli di Zack e senza nemmeno accorgermene faccio un passo verso di lui. Improvvisamente, avverto uno spostamento d’aria accanto a me: Jennifer si è letteralmente fiondata tra le braccia di Matt. “Ero così preoccupata per te!” Piange colpendolo con dei lievi pugni sul petto. Lo osservo indietreggiare per l’impatto e guardare la ragazza in modo dispiaciuto. “Ehi, ehi, calmati” prende le sue mani dolcemente e io non posso fare a meno di pensare che non dovrei osservarli così insistentemente, non so cosa sia successo, ma questo momento dovrebbe essere solo loro, così mi giro decisa a riportare lo sguardo su Zack. Ciò che non avevo previsto era il ritrovarlo a pochi centimetri di distanza da me.
Il suo sguardo è terribilmente intenso, quasi acquoso e non riesco a capire cosa gli stai passando per la testa. L’unica cosa che so è che mi è mancato tanto, troppo. Mi sono mancati i suoi occhi azzurro ghiaccio, l’accenno di barba sul mento squadrato, la pelle olivastra, gli anelli, i capelli neri come la pece. Tutto.
Averlo così vicino dopo quelli che mi sono sembrati anni mi destabilizza e sento le mie ginocchia tremare. Lui mi afferra prontamente e le sue mani che stringono forte i miei fianchi mi riportano alla realtà. Ancora non riesco a parlare anche se le mie labbra si separano e fanno uscire uno sbuffo o per meglio dire, quelle che dovevano essere parole. “Mi sei mancata” mi precede ed è come se si fosse tolto un peso. I suoi occhi non sono più tempestosi, ma lasciano scorgere una nota di felicità. “Anch-“ ma non posso continuare perché una delle sue mani si è spostata sul mio viso, il suo corpo si è avvicinato al mio e le nostre labbra sono entrate in collisione, portando un’esplosione di sentimenti. Tutta la paura, la tristezza, la mancanza delle ultime settimane sembra essersi dissolta e intorno a noi non  esiste nient’altro o almeno così è finché un applauso agghiacciante risuona alla nostra sinistra.

“Ma che bel quadretto” Ross. “Che cosa ci fai tu qui?” Zack si mette davanti a  me con fare protettivo. “Sono qui per regolare i conti con la famiglia Evans che è stata così cortese da riunirsi di sua spontanea volontà. Mi avete tolto un bel po’ di lavoro” ride di gusto mentre il terrore accalappia ogni cellula del mio corpo. “Di che diavolo stai parlando?” Questa volta è Christopher a parlare. “Lo scoprirete presto” ed estrae una pistola.   



-N/A-
Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo! La scuola mi sta tenendo impegnata oltre ogni misura. Ma ora passiamo alle cose importanti. Manca davvero poco alla fine, forse un paio di capitoli! Probabilmente cis arà un breve sequel anche se nulla è certo al cento per cento. Fatemi sapere cosa ne pensate!

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Capitolo 65
*** When Love Takes Over ***


ELLIE’S POV

La verità è che non ho mai pensato molto alle conseguenze del mio continuo ficcanasare e solo ora mi rendo conto che, invece, avrei dovuto farlo.
Un’ulteriore cosa a cui avrei dovuto pensare è per quale motivo sono stata destinata a non avere mai un momento di piace: nell’essere sempre così indaffarata e nel mio obbligo di essere forte per due, non mi sono mai soffermata molto sulle notevoli sfortune che ho dovuto affrontare.
Poi penso a come sarebbe andata la mia vita se mia madre non fosse deceduta in quella condizione psicologica orribile, se non avessi mai conosciuto Allen, se non avessi avuto Alex e se non avessi incontrato Zack. Ma la verità è che questo mio arrovellarmi non cambierà la cose e non mi aiuterà a comprendere perché non vedo altro che bianco tutto intorno a me.

Non so se questo ambiente asettico che mi circonda sia presente da molto, non ho cognizioni spazio-tempo e mi sento particolarmente leggera, come se fluttuassi e non fossi un ente corporeo.
È una strana sensazione.
Ma è piacevole.
A volte mi sembra di cadere in un sonno profondo, poi mi risveglio e mi sento ancora meno appesantita.
Ho la sensazione di star dimenticando qualcosa, ma cosa? O meglio, chi?

Questo limbo mi dà pace. Mi sono appena svegliata e tutto appare più luminoso di quando mi sono addormentata. Sorrido, o almeno credo. Faccio un giro su me stessa, nulla. Resta tutto bianco e allora ritorno a pensare. Provo a riacchiappare quelle riflessioni che avevo già formulato, ma sono così lontane… è come se la mia mente stesse correndo per avvicinarsi ad esse, ma più essa si avvicina, più loro fuggono via.
Questa corsa mi mette stanchezza e gli angoli della mia bocca si abbassano istintivamente.
Sono triste e sola.
Il bianco non è più splendente come prima. È solo bianco. E immobile.

Quando ero piccola, adoravo stare nella mia camera, le quattro parenti parevano essere state costruite apposta per proteggermi e tenermi al riparo. Era il mio rifugio. Quando la mamma si ammalò, durante le sue crisi il papà mi gridava di andare nella mia stanza e io lo facevo, consapevole che lì sarei stata al sicuro.
Ma adesso, non ci sono nemmeno delle pareti, è tutto, solo, bianco.
Immagino di sedermi a terra, anche se non riesco a sentire la temperatura o a percepire la solidità della superficie.
Non sono nemmeno più leggera e felice. Il senso di tristezza che aveva iniziato a montare in me, si sta lentamente trasformando in paura.
Aiutatemi.
Sono in una prigione monotona.
Sono…già, chi sono?

Credo di dormire più a lungo, anche se non ho nessuna certezza. Sto perdendo sempre di più la voglia di guardarmi intorno, probabilmente perché ho capito che non c’è nulla che valga la pena di guardare. Eppure, una volta, qualcosa c’era.
Due occhioni azzurri mi balenano davanti. Un bambino? Mi è famigliare, chissà come si chiama. Poi scompare, troppo velocemente perché io possa cogliere altri dettagli del suo aspetto.
E mi ritrovo di nuovo sola.

Sono stanca. Non mi riferisco a una stanchezza fisica, ma mentale. Mi sono risvegliata perché è successo qualcosa: dopo quella che mi è parsa un’eternità, dietro alle mie palpebre serrate è comparso un lampo. È stato fugace, ma abbastanza per farmi rialzare. Comincio a risentirmi pesante, il bianco sta diventando grigio.

Riapro gli occhi, ancora. Tutto è nero. Le tenebre non mi fanno paura, anzi, paiono rassicurarmi. Qualcosa sta cambiando, lo so. Ma cosa?
Forse dovrei muovermi, ancora non sento il pavimento sotto ai piedi, ma va bene così. Riesco a camminare o comunque sono in grado di percepire la dinamicità del mio corpo. Improvvisamente mi fermo e nemmeno io so spiegare il motivo del mio arresto. Ancora quel lampo, svengo.

Vedo qualcosa…sembra…una porta. Ne riconosco i margini da cui entra uno spiraglio di luminosità e allora mi avvicino, consapevole di star uscendo da questa monotonia…oppure…mi sto semplicemente addentrando in un posto migliore.
Non ci sono maniglie, ma finalmente scorgo la mia mano che spinge l’uscio. Per un momento resto accecata, dopodiché i miei occhi si abituano all’ambiente: una villetta a schiera è davanti a me e nel vialetto ci sono delle persone.
Sono famigliari, ma mi costa troppa fatica ricordare precisamente le loro identità.
Mi avvicino per vedere meglio cosa sta accadendo: un uomo e una donna sulla cinquantina si osservano in modo strano, come se avessero appena ricevuto un pugno nello stomaco o fossero stati risvegliati violentemente da un sonno profondo. Due giovani si abbracciano piangendo. Zack sta…Zack? È forse questo il nome di quel bellissimo giovane uomo dagli occhi di ghiaccio? E come faccio a saperlo?

Istintivamente ho voglia di guardare i dettagli del suo viso più da vicino. Lui a sua volta si sta approcciando ad una persona che mi dà le spalle: riesco solo a scorgere i suoi capelli biondi e mi sembra che stia tenendo qualcosa in mano. Incuriosita, mi sposto e giro intorno al gruppo, nessuno percepisce la mia presenza. La bionda ha un bambino. Alex, mi suggerisce un angolo della mia mente. Sono incantata dalla piccola creatura, molto più di quanto non lo fossi nei confronti del moro che ora si trova alle mie spalle.

Possibile che qualcosa di così piccolo ed innocente possa essere così meraviglioso? È come se vedessi per la prima volta, come se il mio cuore fosse al suo più arcaico battito. Tremo. Scosse di brividi mi fanno percepire il mio corpo in tutta la sua completezza, ma sento freddo, tanto. La mia mano si tende a toccare quella del bambino: è morbida e calda. Ci siamo solo noi. Sorrido.

Dopo quella che mi è parsa un’eternità, con ancora le mie dita intrecciate in quelle di Alex porto lo sguardo più su. Mi aspetto di trovare qualcuno che gli somiglia perché probabilmente a stringerlo così è la madre, ma quando i miei occhi incrociano i suoi, torna il gelo che il bimbo era riuscito ad alleviare. Sono io. Sono viva. Ma se io sono davanti a me, io chi sono?

Un applauso riporta il tempo a scorrere e distoglie la mia attenzione dalla madre di Alex. L’uomo che compare mi terrorizza, pur sapendo di essere in qualche modo incorporea, temo per il bambino e per colei che lo tiene in braccio….e anche per gli altri presenti che riappaiono nel mio campo visivo.
“Ma che bel quadretto”. Ross, urla la mia mente. “Che cosa ci fai tu qui?” Zack si mette davanti a me, il suo intento è quello di proteggere la bionda: la guardo, o meglio, mi guardo, e il bambino è scomparso, perché?
“Sono qui per regolare i conti con la famiglia Evans che è stata così cortese da riunirsi di sua spontanea volontà. Mi avete tolto un bel po’ di lavoro”. Ma di che diavolo sa parlando? La sparizione del piccolo e queste parole senza senso mi stanno facendo scoppiare la testa. Qualcuno dice qualcosa, ma non capisco. L’uomo cattivo inizia  a raccontare quella che sembra una storia e la mia attenzione si fa più nitida.

La mia famiglia mi ha insegnato che nella vita le cose dobbiamo conquistarcele. I miei genitori erano quelli che si potrebbero definire un padre ed una madre amorevoli, pressochè perfetti. Ben istruiti, generosi, avrebbero dato la vita per i loro figli. Incredibile che nessuno di questi valori mi sia stato strasmesso, no?
Scommetto che eravate convinti che io avessi avuto un passato disastroso, tutti i conti così tornerebbero. Ma non sempre, ogni cosa si incastra alla perfezione, vedete, viviamo in un mondo imperfetto; ed io sono l’incarnazione di questo difetto.
Sono la pecora nera della famiglia, li ho sempre odiati quegli stupidi sorrisi e gesti di incoraggiamento. Non è possibile essere sempre felici! Così, un giorno decisi di sbarazzarmi di loro: come dicevo, sarebbero stati disposti a tutto pur di far felice me. Il primo a soccombere fu mio padre: quando avevo diciassette anni, mi regalò una barchetta intagliata a mano, perché lui adorava il mare. La portammo al fiume per osservarla mentre veniva trascinata dalla leggera corrente ed io sorrisi, fingendo di divertirmi. La verità era che odiavo quello stupido giocattolo e volevo liberarmene: proposi a mio padre di provare l’imbarcazione nel lago, saremmo riusciti a recuperarla con l’aiuto dei pescatori. La lasciammo e ci recammo sul ponte per osservarla passare al di sotto. Mio padre si sporse, ed io lo spinsi. Dissi che era scivolato, ci credettero tutti ed il caso venne archiviato seppur con qualche dubbio dalla parte del capo della polizia.

Siamo immobili ad ascoltare i deliri di un pazzo, ma non è solo ed è armato. I suoi complici che appaiono come persone normali hanno tolto i  telefoni dalle tasche dei presenti e hanno lasciato intravedere le pistole nascoste sotto ai vestiti. Non ci sono passanti, ma non credo che converrebbe a qualcuno avvicinarsi e non penso neppure lo farebbero: vista da fuori, la scena appare tranquilla, ogni cosa in regola.

Mia madre era disperata, ma contrariamente a ciò che pensavo, non perse la sua forza e continuò ad abbracciarmi e a dirmi che andava tutto bene. Ero intenzionato a risparmiare almeno colei che mi aveva portato in grembo per ben nove mesi e che con fatica mi aveva dato alla luce, ma la mia rabbia ebbe il sopravvento. Quella sua volontà indistruttibile mi dava il tormento; meditai a lungo su come agire, farlo sembrare un incidente era più complicato del previsto. Nel frattempo i mesi passavano e mia madre conobbe un uomo piuttosto facoltoso e incredibilmente intelligente. Quando me lo presentò, ciò che mi colpì furono i suoi occhi di ghiaccio e non mi riferisco solo al loro colore, ma anche alla loro espressione. Mi scrutava attentamente, come un cacciatore fa con la sua preda e non ne capivo il motivo. Possibile che in un solo incontro, quell’uomo fosse riuscito a comprendere quanto la mia mente fosse malata?
Era un peso, un ostacolo che dovevo superare. Poi il destino si mise in mezzo: tra lui e mia madre le cose andavano bene, ma entrambi si accorsero di comportarsi più come fratelli, così decisero di restare buoni amici e si lasciarono. Era la mia occasione, tuttavia, dovetti aspettare ancora qualche anno perché potessi agire. Si ammalò e dovetti assumere una badante che si prendesse cura di lei: una mattina, scambiai le medicine che le erano state lasciate con altre e andai in fretta e furia al lavoro. La domestica venne incriminata e incarcerata e mia madre morì. Al suo funerale, si presentò il suo migliore amico, che nel frattempo si era sposato e aveva avuto un bambino: Christopher Evans.

Tutti hanno un sussulto e poi tornano a trattenere il fiato. Il nome non mi è nuovo e il mio capo si volta meccanicamente verso l’uomo sulla cinquantina che ora è avanzato e non è più vicino alla donna. “Quindi?” Osa pronunciare questa domanda e Zack e lo guarda spaventato, portando una mano sul suo avambraccio, come a volerlo trattenere.

Mia madre, come ultimo desiderio, voleva che tuo padre mi assumesse e lui, seppur con qualche incertezza, lo fece. Certo, il lavoro era ottimo, ben pagato. Ma l’uomo ha sempre nutrito dei sospetti nei miei confronti e quando suo figlio, ovvero tu, ha avuto modo di fondare la sua azienda, io sono passato completamente in secondo piano nonostante i miei anni di servizio. Pensavo che l’impresa sarebbe stata lasciata a me, invece no. Poi ho conosciuto Wilson, Allen e Kim e be, il resto della storia lo conoscete.

Sembra appagato  della suo racconto e ora non sta più nella pelle mentre estrae una pistola da sotto la giacca. “Pensi davvero di farla franca?” Questa volta è Lilian a parlare… conosco anche il suo nome. “Ti prenderanno!” “Ma certo che lo faranno, però mi sarò tolto la soddisfazione di aver fatto soffrire tutti voi!” Per un misero momento, ognuno dei presenti cerca di capire come sia possibile in un solo gesto, rendere tutti infelici, ma quando Zack sembra aver raggiunto la consapevolezza è già troppo tardi.

Uno sparo. Un dolore lancinante. Il buio. La Ellie alle mie spalle cade, per fortuna non ha più in braccio il bambino. Sta diventando pallida, il suo colorito è in netto contrasto con il liquido cremisi che sgorga da una ferita. Vedo solo lei, nient’altro. Mi porto una mano sulla pancia, per un secondo mi sembra di vedere un pancione, poi il mio ventre ritorna piatto e sanguinante.
Ora non sono più una semplice spettatrice.
Sento male ovunque.
Qualcuno mi chiama, forse è Zack.
Qualcuno piange, forse è Jennifer.
Qualcuno chiama un’ambulanza, forse è Christopher.
Qualcuno sta per passare a miglior vita, forse sono io.

ZACKS’ POV

Sto allacciando i bottoni della camicia ad Alex, come faccio ormai ogni mattina. Lui mi sorride quando sistemandogli il colletto, accidentalmente, gli faccio il solletico. “Allora ometto, pronto per il primo giorno di scuola?” Annuisce deciso, anche se riesco a leggere un velo di paura nei suoi occhi. “Ehi, andrà tutto bene” mi abbasso alla sua altezza e gli poso una mano sui capelli biondi. “Adesso facciamo colazione, altrimenti faremo tardi” lo prendo per mano e lo porto in cucina aiutandolo a sedersi al tavolo. Mi accomodo accanto a lui dopo avergli dato del latte ed un cornetto al cioccolato. “Non sporcarti la camicia, mi raccomando” gli lascio un buffetto sul naso e continuiamo a mangiare in silenzio.

“Ehi amico! Rilassati, sembri più agitato di lui!” Matt è venuto a prenderci, così poi andremo al lavoro insieme. “Idiota, ne riparleremo tra un paio d’anni, quando Nina comincerà  le elementari” lo prendo in giro sapendo quanto si preoccupa per la sua bambina. “La accompagnerà Jennifer probabilmente, sai, quelle due si coalizzano contro di me in continuazione!” “Non dire sciocchezze” il mio migliore amico riesce, come sempre, a strapparmi una risata.

Durante la giornata lavorativa, non faccio altro che pensare ad Alex. Chissà se sta andando tutto bene, se ha già fatto amicizia e se le sue maestre sono brave. Prima di andare a prenderlo, andrò a comprargli un gioco, magari un peluche.

“Allora, com’è andato il primo giorno di scuola?” Sono in attesa mentre lo osservo con aria interrogativa. Il mio cuore palpita non udendo alcuna risposta. “È stato bellissimo!” Prorompe poi facendomi buttare fuori tutta l’aria che avevo nei polmoni. Lo prendo in braccio e  lo stringo più forte del solito. “Ho un regalo per te” lo accompagno alla macchina e apro il bagagliaio, una scatola si staglia davanti ai nostri occhi e lui non vede l’ora di scartarla.
“Andiamo dalla mamma?” Mi chiede dai sedili posteriori. Lo guardo dallo specchietto retrovisore. “Certamente”.

Mi fermo davanti all’ospedale e Alex scende prendendomi subito la mano. Da bravo bambino qual è, si comporta in modo educato: cammina lentamente, resta in silenzio e mi segue per i corridoi freddi. “Bussiamo?” Mi chiede solo una volta giunti davanti alla porta. “Non credo ce ne sia bisogno” e apro.
“Ma guarda chi è venuto a trovarmi!” Il piccolo perde la sua compostezza e comincia a correre verso il letto, arrampicandocisi sopra e abbracciando la persona che sta sotto le candide lenzuola. “Zio Arty!” Sì, lui chiama così Arthur. Il mio maestro ha avuto un infarto un mese fa e ora è sotto costante controllo. Lui e Alex hanno legato molto e ciò mi rende immensamente felice.
Nonostante io non ami l’ambiente, passiamo circa un’ora nella camera dell’uomo. Il suo album da disegno è aperto e alcune bozze sono appese alle pareti: una concessione per essere amico della famiglia Evans.

“Accidenti è tardissimo” corro in macchina trascinando Alex. “La mamma ci metterà nel forno insieme all’arrosto!” dice lui e scoppiamo a ridere.
Fortunatamente il tragitto è breve e in poco tempo giungiamo a destinazione.
“Mamma! Siamo tornati!” Il piccolo stringe il suo nuovo gioco e avanza lentamente. “È questa l’ora di rincasare, Signor Evans?” Mi metto sull’attenti e un brivido percorre la mia schiena. “S-siamo stati da Arthur” mi giustifico, grattandomi la testa colpevole. Avrei potuto avvisarla. “Lo immaginavo” il suo viso si addolcisce. “Ehi piccolo, a lavarsi le manine” gli lascia un bacio sulla fronte e gli dà una lieve spintarella in direzione del bagno. “Con te facciamo i conti dopo, Evans” mi si avvicina con fare seduttore e la stringo in un abbraccio. Fisso i miei occhi nei suoi e ne resto completamente abbagliato. Mi sembra incredibile pensare a cosa siamo diventati, ma d’altronde si sa: quando l’amore prende il sopravvento, non ci resta che piegarci ad esso.
Le do un bacio a fior di labbra e sussurro: “non vedo l’ora, Signora Evans”.  


~ N/A ~
Buongiorno cari lettori, il 2017 sta per chiudersi, e con esso anche questo incredibile viaggio trascorso insieme ad Ellie, il piccolo Alex e Zack. Quello che avete letto è l'ultimo capitolo, ahimè.
Come avrete notato, è più lungo degli altri e spero che questo metodo di scrittura un po' particolare vi sia piaciuto. 
La nostra idea, è ora quella di creare un sequel fatto dai cosiddetti missing moments, tramite i quali cercheremo di raccontarvi gli eventi salienti che qui non sono stati narrati, cosa ne pensate?
Detto questo, è giunto il momento dei ringraziamenti.
Quando Rita mi propose di iniziare insieme questa avventura, non stavo più nella pelle, quindi la prima da ringraziare è proprio lei. Ha avuto l'idea di partenza e mi ha spronata affinché dalla mia testa uscisse tutto questo. Data la collaborazione, mi sono impegnata per portare a termine questo progetto, uno dei più importanti e belli della mia vita, il primo degno di nota e il primo veramente concluso. Il secondo grazie, ma non meno importante, va a tutti voi lettori, senza i quali non sarei riuscita a continuare. Grazie per il sostegno, per la vostra presenza silenziosa e non. 
When Love Takes Over è una parte di me e spero sia riuscita ad entrare nei vostri cuori almeno quel tanto da lasciare un piccolo segno. 
Grazie, grazie a tutti.
Buon anno nuovo, buona vita e non smettete mai di credere nei vostri sogni.
Baci, Veronica.

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