Red Snow

di StarFighter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                         

Norvegia Centrale, Lillehammer, notte di Natale 1855

 

Il bambino si stiracchiò impercettibilmente contro il suo petto, stretto com’era nelle coperte di lana colorata non aveva molta libertà di movimento. La donna correva come non aveva mai corso in vita sua, attraverso il sottobosco innevato, sotto un cielo senza stelle. Solo un’innaturale luna piena regnava su quel cielo invernale, brillante come il riverbero del sole sulla neve, filtrando attraverso i rami rinsecchiti degli alberi.

Doveva raggiungere il piccolo villaggio al confine della foresta prima dell’alba, prima di essere vista da qualcuno. Doveva portare a termine il compito che le era stato assegnato dalla madre del bambino sul letto di morte. Povera donna, così giovane eppure con un così nefasto destino sulle spalle: si era spenta pochi minuti dopo aver dato alla luce quel piccolo fagotto che ora le premeva sul cuore.

Salvalo, le aveva detto tra i singhiozzi, con un filo di voce, mentre la luce abbandonava i suoi occhi e la sua anima tornava ad essere un tutt’uno con la Madre Terra. Non aveva avuto nemmeno il tempo di stringere la piccola creaturina tra le braccia.

In lontananza sentì delle voci e si fermò di botto, con una mano su un tronco e l’altra stretta sulla schiena dell’infante. Doveva essere vicina. Una cantilena incomprensibile si alzava dal confine della foresta, dove una forte luce rischiarava l’oscurità. S’incamminò piano in quella direzione e fece attenzione a non farsi notare. Gli abitanti del villaggio, uomini e donne, erano riuniti in cerchio attorno ad un grande albero adornato con ghirlande, frutti colorati e piccoli oggetti, che luccicavano alle luci delle candele che brillavano nelle mani di tutti gli astanti: doveva essere incappata in una delle festività della nuova religione. Rimase nascosta per più di un’ora, seduta nella neve, dietro una siepe abbastanza alta di arbusti bruciati dal freddo glaciale degli ultimi mesi, aspettando con pazienza che la piazza del paesino si svuotasse, per raggiungere la sua meta.

Deboli vagiti si alzarono dal piccolo fardello che teneva tra le braccia: lo cullò appena e subito tornò ad addormentarsi.

Quando finalmente tutta la gente si allontanò dall’albero, e un fiume di candele ardenti si sparpagliò per le stradine di terra battuta che si allargavano a ventaglio in tutte le direzioni, osò muovere un passo nel cono di luce proiettato dal grande fuoco che bruciava poco distante dal grande albero. Si mosse veloce, come se da un momento all’altro qualcuno avesse potuto sorprenderla e, arrivando davanti alle enormi porte dell’unico edificio in pietra del villaggio, si fermò indecisa sul da farsi: bussare e aspettare che qualcuno le aprisse o lasciare il neonato sugli scalini gelidi e sperare che qualcuno lo raccogliesse prima che morisse di ipotermia?

Scelse una via di mezzo: posò il fagotto sull’ultimo gradino, proprio davanti alla porta, gli rivolse un ultimo sguardo e con un peso sul cuore bussò forte. Una. Due. Tre volte. Poi si voltò e corse via, nella stessa direzione da dove era arrivata, sparendo nella notte.

Mentre correva, con il fiato corto e la neve che le arrivava alle caviglie, ostacolando ogni suo passo, augurò al bambino un destino meno infelice di quello che era toccato alla sua povera madre.

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Tre tocchi. Tre colpi di battente contro il portale di quercia della chiesa, lo svegliarono dal suo sonno leggero. Sentì la sua perpetua alzarsi dal letto nella stanza accanto, e la raggiunse nel corridoio freddo, portando con sé una candela per illuminare la via, trascinando le sue povere ossa stanche prima nella piccola sagrestia e poi lungo l’unica navata, fino al portale d’ingresso. La donna lo seguiva a pochi passi di distanza, stringendosi nel suo scialle di lana, con i capelli scuri striati d’argento raccolti in una morbida treccia che le ricadeva lungo la schiena.

Quando aprì la porta e non trovò altro che la fredda aria invernale ad attenderlo, pensò che qualche ragazzino doveva aver trovato divertente svegliare il vecchio parroco e la sua aiutante, la notte di Natale.

Ma quando fece per richiudere, la donna alle sue spalle esclamò incredula: “Oh mio Dio ”.

Seguì lo sguardo della donna e il cuore gli si strinse a quella vista: un piccolo neonato dormiva placido sul sagrato della chiesa, incurante dell’aria gelida e sferzante di quella notte. “Bulda”- chiamò la donna-“Vorresti prenderlo tu?”- le chiese portandosi una mano alla schiena scricchiolante. La donna raccolse il bambino con mani tremanti, ne osservò il visino arrossato dal freddo e il piccolo naso a bottoncino, e poi se lo strinse al petto, avvolgendolo ulteriormente nello scialle. 

Il vecchio prete la osservò cullare il piccolo con le lacrime agli occhi, mentre gli carezzava le guance paffute con un dito.

-“Sembra che quest’anno il Signore ti abbia inviato il regalo che hai sempre desiderato.”- le disse, chiudendo il portale. La donna lo osservò con tanto d’occhi e poi gli sorrise tra le lacrime. “Buon Natale, Bulda.”


Angolo delle Autrici:

Salve! Benvenuti in questa nuova avventura  :D questa storia è nata qualche mese fa, quando io e Amberly_1 cercavamo su fanfiction.net una crossover che avevamo letto tempo addietro, tra Frozen e Cappuccetto Rosso. Purtroppo non l'abbiamo trovata e abbiamo deciso di scriverne una tutta nostra, dando libero sfogo alle nostre fantasie più nascoste di fangirl represse XD Ovviamente, nemmeno a dirlo, è una Kristanna, con lievi accenni Hanna, e forse, ma non è ancora deciso, un pizzico di Helsa. Speriamo tanto che possa piacervi e tranquilli siccome non la scrivo da sola, gli aggiornamenti saranno abbastanza costanti anche perché molti capitoli sono già scritti :)
Grazie per essere arrivati fino in fondo! Speriamo di sentirvi numerose/i  :D

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


“Kristoff…Kris!”la bambina dalle trecce rosse continuava a chiamare col fiatone, mentre correva, cercando di raggiungere l’amico.
Kristoff intanto, senza il minimo sforzo, continuava a correre, sordo ai richiami della bambina dietro di lui, che con un ultimo sforzo affrettò il passo e gli si gettò addosso, prendendolo alle spalle.
“Whoa!” si lamentò il bambino, cadendo carponi nell’erba alta del prato dietro la chiesa.
La bambina cominciò a ridere di gusto, mostrando la bocca per metà sdentata. “Ti ho detto di rallentare! Ti ho chiamato mille volte ma tu non hai ascoltato.”
“Scusa, Anna.”le rispose il bambino, scrollandosi la terra dai calzoni.
“Certo che sei velocissimo, Kris.”
Il bambino scrollò le spalle, non trovando nulla di anomalo nelle sue capacità: correva veloce da quando aveva imparato a camminare, era nella sua natura.
“Sei tu che sei troppo lenta.” la prese in giro a cuor leggero, senza la minima malizia.
Anna strappò un mucchietto d’erba e gli saltò di nuovo in spalla, cercando di imboccargli gli steli verdi. “Rimangiatelo.”
“Anna!”urlò, cercando di togliersela di dosso e quando finalmente ci riuscì, l’amica ruzzolò ad un paio di passi di distanza, ma si alzò subito senza il minimo danno.
“Certo che sei proprio una furia.”la rimproverò, sputacchiando pezzi d’erba “Ho trovato! D’ora in poi ti chiamerò furia scatenata.” Esclamò Kristoff soddisfatto. “Ti piace?”
“Che?!” fece offesa Anna, mettendo il broncio ed incrociando le piccole braccia al petto.

“Furia scatenata, ti si addice molto.” Rise Kristoff. “Elsa sarà di sicuro d’accordo con me.”
“Uffa, non è giusto!” si lamentò Anna.
Accorgendosi del reale fastidio dell’amica, cercò di rimediare. “Andiamo Anna, non te la prendere. Stavo scherzando.”
“Se non vuoi che me la prenda, dovrai farti perdonare in qualche modo.”
“Certo, in che modo?” le rispose, ma subito si pentì d’aver accettato: le idee balzane di Anna li mettevano sempre nei guai e di solito era sempre e solo lui a farne le spese; mentre lei se la cavava con una ramanzina, lui era costretto a pulire l’altare e tutti i paramenti usati da Pabbie per celebrare.
Il viso di Anna si illuminò. “Dovrai scalare il Grande Albero e spiare oltre i confini della foresta.”
“Il Grande Albero? Ma è impossibile.”
“Hans ci è riuscito.”
Kristoff valutò l’idea e alla fine accettò “Lo farò.”

********************


“Anna, perché l’hai fatto?”
L’ultima cosa che le serviva in quel momento era una strigliata di capo da parte della madre. Il male alla gamba era insopportabile e non riusciva a smettere di piangere. L’unica cosa che voleva era un abbraccio e forse anche un bacio e la rassicurazione che presto quel dolore sarebbe passato. Ma la mamma insisteva a non darle nulla di tutto ciò.
“Perché sei saltata giù dal Grande Albero? Avrai fatto un volo di almeno cinque metri, santo cielo! Avresti potuto romperti l’osso del collo!”
“Kristoff lo fa sempre.” Blaterò sottovoce, asciugandosi le lacrime con la manica della camicia.
“Cosa?” indagò ancora la mamma.
“Kristoff lo fa ogni volta e non gli è mai successo nulla. Niente, nemmeno un graffio.” Si lamentò, mentre le lacrime riprendevano a caderle dagli occhi ormai rossi.
Idunn sospirò demoralizzata a quelle parole. I due bambini erano l’uno l’ombra dell’altra e facevano tutto assieme, anche gettarsi giù dagli alberi a molti metri dal terreno a quanto pareva. Il problema era che non sempre le situazioni in cui si cacciavano erano salutari.
Legò stretta la fasciatura attorno alla gamba della figlia. Anna strinse forte i denti per non urlare.
“Kristoff è più grande di te, più forte e più alto. Non devi imitarlo, non è da brave signorine arrampicarsi sugli alberi o scorrazzare nel fango dopo la pioggia.”
“Ma io...”cercò di controbattere.
“Non c’è nessun ma,  Anna. Sarai fortunata se non rimarrai zoppa a vita, dopo questa caduta.” Il tono sempre dolce della madre era alterato da qualcosa che la bambina non riusciva a decifrare. Un tremito sul fondo della gola impediva alla donna di alzare la voce contro la figlia.
“Mamma?”
Idunn distolse lo sguardo dalla gamba fasciata della bambina. “Scusa.”le sussurrò tra le lacrime “Non essere arrabbiata con me.”
“Oh, tesoro.”la strinse forte al petto, stando attenta a non farle male “Non sono arrabbiata con te. Mi hai solo spaventata.”
Ecco l’abbraccio di cui aveva bisogno. “Tu ed Elsa siete le cose più preziose che abbia, non potrei sopportare di perdervi.” Le spiegò carezzandole i capelli ancora sporchi di terra a causa della caduta.
“Prometti che farai attenzione e che cercherai di non metterti più in certi pasticci.” Anna annuì.
 “E che non imiterai più Kristoff, né Hans o chiunque altro dei ragazzini di Lillehammer.” Idunn sapeva che chiederle una cosa simile sarebbe stato come tagliarle le gambe, riusciva a leggerlo negli occhi tristi di Anna e nella sua piccola fronte aggrottata. Quindi ritrattò la promessa “Almeno fin quando non sarai completamente guarita?”
Un mezzo sorriso si aprì sul volto della bambina “Te lo prometto.”
 
**********************
Era nella foresta. Riusciva a sentire gli aghi di pino e la terra umida sotto i piedi nudi.
La luna occhieggiava ipnotica nel cielo altrimenti buio. Nessuna stella a rischiarare l’oscurità.
Qualcosa gli premeva al centro del petto, qualcosa che presto o tardi non sarebbe riuscito più a controllare, qualcosa che sarebbe balzato fuori in maniera prorompente, alterando l’immobilità del sottobosco: era lui l’unica cosa in movimento. Eppure gli sembrava quasi di star fermo.
Una forza irresistibile gli stirava le zampe, costringendolo a procedere sempre più veloce. Più veloce, sempre di più, saltando gli ostacoli sul suo cammino senza difficoltà.
Il bubbolare di un gufo sulla sua testa arrestò la sua corsa. Le zampe anteriori si piantarono nel terreno e il muso scattò in alto, verso il rapace che planava tra i rami alti degli alberi.
Il verso dell’uccello era opprimente, come un martellare ritmico alle sue orecchie. Il suono amplificato oltre l’immaginabile, come se il gufo fosse bellamente appollaiato sulla sua spalla e gli stesse bubbolando direttamente all’orecchio destro.
Kristoff, sembrava chiamarlo.
Kristoff!, gli urlò.
Kristoff, svegliati!
 
******************
“Andiamo, non è poi così difficile.” Cercò di convincersi Anna, ridendo nervosamente tra sé.
Il fiume ghiacciava puntualmente ogni anno e lei, in quattordici anni di vita, non aveva mai imparato a domare quell’elemento. I pattini che suo padre le aveva portato da uno dei suoi tanti viaggi nelle città oltre la foresta, rimanevano appesi nell’armadio per tutto l’inverno a prendere polvere.  Rare volte si era lasciata convincere da sua sorella a prendere parte ad un pomeriggio di giochi sul ghiaccio, e quella era una di quelle volte.
Elsa, Kristoff e Hans, prodigi sui pattini, scivolavano allegri sulla superficie gelata del fiume. Anna inspirò profondamente, cercando di racimolare un po’ di coraggio, prima di mettere piede sul fiume. La lama scivolò in avanti e lei perse l’equilibrio per una frazione di secondi.
“Suvvia Anna, è semplicissimo. Tieni i piedi così.” Le indicò la sorella da qualche metro di distanza, cercando di incoraggiarla.
Anna, con le braccia aperte ai lati del busto per tenersi stabile sui pattini, cercò di muovere un passo dopo l’altro per raggiungere il resto del gruppo.
“Andiamo Anna, ti daremo una mano noi.”
“Hans, se continui a viziarla e a trattarla come una bambina, non imparerà mai.” Disse seria Elsa, al ragazzo che si stava avvicinando con grazia ad Anna.

La ragazzina arrossì vistosamente e cacciò la lingua alla sorella, scatenando l’ilarità del ragazzo che le porgeva la mano.  Anna inghiottì imbarazzata.

Kristoff intanto osservava la scena da lontano, con un sorriso sornione sulle labbra, screpolate dal freddo.  “Vi consiglio di non perder tempo con lei, è una causa persa in partenza.” S’intromise finalmente nel discorso “Insomma, una furia come lei che ha paura di pattinare, non ha senso.” La schernì il ragazzo, sfidandola con lo sguardo.

Anna ringhiò “Ti faccio vedere io.” Ignorò la mano tesa di Hans e i consigli di postura di Elsa e si lanciò sul ghiaccio. Cercò di tenersi in equilibrio, sbattendo le braccia come stesse per spiccare il volo. La sorella si avvicinò per sostenerla, un secondo prima che si abbattesse in terra.
Kristoff rise, fiero degli sforzi di Anna.
“Lasciala andare, Els.” Chiamò Hans. “Coraggio Anna, cerca di tenerti su da sola.” La incoraggiò.
La ragazza provò a fare come le era stato suggerito, ma non appena sua sorella mollò la presa sulle sue braccia, cadde rovinosamente sul ghiaccio, come c’era da aspettarsi.
Tutti le si avvicinarono. Elsa e Hans ridacchiavano sommessamente, mentre Kristoff scoppiò in una fragorosa risata, che la fece tremare d’umiliazione. Anna gli lanciò un’occhiataccia e proprio quando stava per mandarlo al diavolo, lui le offrì la mano con un sorrisetto. “Ottimo tentativo, furia scatenata.”
 
******************


“Ti dona questo colore.” Le disse Hans, tirandole una delle sue trecce.
“Grazie.”gli sorrise Anna, imbarazzata da quelle attenzioni. Si tirò il cappuccio del suo nuovo mantello giù sulla fronte, fin quasi sugli occhi, tentando di mascherare il rossore improvviso che le tinse le guancie.
“È un regalo?”le chiese, tenendo un lembo del mantello tra le dita.
Anna annuì. “Mio padre me l’ha portato dalla capitale. Dice che questo colore sia il preferito tra le dame d’Europa quest’anno.” Si pentì di quelle parole non appena lasciarono le sue labbra. Ora Hans l’avrebbe vista come una ragazzina frivola, interessata solo a pizzi e nastri.
“Mi piace il rosso.” Affermò lui, facendola sospirare di sollievo, scoccandole uno dei suoi irresistibili sorrisi “Cosa ne pensi, Kristoff. Questo mantello non rende la nostra Anna ancora più graziosa?”
L’amico, rimasto in disparte, focalizzò la propria attenzione sul colore vermiglio della stoffa che avvolgeva le spalle dell’amica e del contrasto che creava con gli occhi brillanti di Anna. “Già.” Disse solo distogliendo lo sguardo.
“Laconico come sempre, amico mio. Che hai ultimamente?” lo stuzzicò Hans.
“Sto bene, tranquillo. È solo che non mi intendo di stoffe e moda, a differenza tua a quanto vedo.” Lo prese in giro, cambiando discorso.
“M’intendo solo di belle fanciulle.” Lo rimbeccò prendendo una delle piccole mani di Anna e portandosela alle labbra. “Cose che di certo tu non puoi capire. A te basta la compagnia delle pecore.”
Kristoff rimase in silenzio, lanciando uno sguardo omicida all’amico, prima che quest’ultimo scoppiasse a ridere. Anna fortunatamente non colse l’allusione  e rimase interdetta dalla reazione di Hans.
Prima che la ragazza potesse chiedere il motivo di tale ilarità, Kristoff girò i tacchi e con le mani in tasca se ne andò, lasciandoli soli.
“Perché devi sempre trattarlo così?” chiese Anna, lasciando scivolare la propria mano via dalla presa di Hans.
“Il problema non sono io. È lui! È suscettibile oltre l’inverosimile, dovrebbe imparare a ridere una buona volta.”
“Lui sa già ridere e tu dovresti smetterla di punzecchiarlo a tal modo. È il tuo migliore amico!”
“Arriva un momento nella vita d’ognuno di noi in cui gli amici perdono d’importanza, e la nostra attenzione si sposta su…altro.” Le rispose guardando nella direzione in cui era sparito Kristoff.
“E cosa sarebbe questo altro di cui parli?”s’ incaponì Anna.
Hans inspirò profondamente, respirando l’aria frizzante dei primi di novembre, che sapeva di aghi di pino e legna bruciata. Poi si voltò verso l’amica, che aspettava ancora una risposta.
Anna era cresciuta nell’ultimo anno, diventando una giovane donna piena di vita, con una vitina sottile e labbra rosse da baciare. Più di un ragazzo di Lillehammer si era fermato a fissarla quella mattina, indugiando sulle forme nascoste dal mantello rosso e lui era stato pervaso da un brivido d’orgoglio nel saperla attaccata al suo braccio. Finora era stata solo sua amica, ma ben presto sarebbe potuta diventare altro.
Le si avvicinò ancora di più, intrappolandola nel suo spazio vitale e con un gesto veloce le tolse il cappuccio dalla fronte, e si specchiò nei suoi occhi chiari. Le pupille dilatate e il respiro che le si condensava in fugaci nuvolette alla soglia delle labbra: la perfetta preda per il più temibile dei cacciatori.
“Te lo dirò quando sarai più grande.”
 
********************
“Cos’è quella faccia?”
La scure calava sul tronco abbattuto con forza brutale, distraendolo dalla presenza assillante dell’amica alle sue spalle.
“Kristoff, sembra tu non chiuda occhio da una settimana.”
L’abbaiare del cane, il belare delle pecore nel recinto, il rintocco delle campane della chiesa, la voce di Elsa e soprattutto la mancanza di sonno lo stavano soffocando, tormentando la sua mente e le sue orecchie.
“Hai fatto ancora quel sogno? Forse dovresti parlarne con qualcuno o…”
“Basta, Elsa!” le ringhiò contro, scagliando l’ascia lontano, voltandosi a fronteggiarla “Sto bene. Non dormo da quattro giorni, ma sto bene.”
La ragazza si ricompose dall’iniziale spavento “Devi riposare. Non ti rendi conto dell’effetto che la privazione di sonno ha su di te.” Gli si avvicinò di un passo, puntandogli un dito contro “Mi hai appena urlato contro.”
“I-io non volevo. Perdona il mio scatto d’ira.”
“Vuoi parlarne?”
“No.” Fu la sua risposta secca “Anche perché non saprei cosa dirti. È tutto così confuso e…mi sembra di impazzire. Forse sono malato, una di quelle malattie incurabili che ti portano alla follia e che alla fine ti uccidono.” Girava in tondo, come un cane in gabbia, ammassando la legna che aveva già tagliato in ciocchi piccoli e regolari. Era fuori di sé. “Si, dev’essere così, altrimenti non ho una spiegazione.”
“Non dire sciocchezze, non sei malato ma solo stanco. Quello che ti ci vuole è una bella dormita e vedrai che ti rimetterai presto.” Gli sorrise benevola. “Manca una settimana al tuo compleanno e tu vuoi arrivarci, non è vero?”
“Certo.” Annuì, asciugandosi il sudore dalla fronte.
“Bene, è tutto quello che volevo sentire. Ora va a riposare prima che costringa tua madre a trascinarti dentro con la forza.” Si voltò per andarsene “E sai che ne è capace.”
“Già, di questo ed altro.” Ridacchiò tra sé al pensiero della madre che lo trascinava a letto tirandolo per l’orecchio.
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NdA: Salve gente! Avevo detto che avrei aggiornato molto presto vero? D’ora in poi non badate più a quello che dico XD Questo ritardo ovviamente è solo colpa mia, perché Adriana mi aveva inviato quello che aveva scritto circa un mese fa e io ho perso tempo a correggere e ad integrarlo con quello che ho scritto di mio pugno…faccio pena lo so. Spero di riuscire a pubblicare presto il prossimo capitolo, ma siccome devo ancora scriverlo, non sperate di vederlo molto presto da queste parti.
Ci si legge presto :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

Notte di Natale 1873

 

Anna sedeva tra le panche della piccola chiesa, stretta tra Elsa e sua madre, allungando il collo per cercare di scorgere Kristoff da qualche parte nelle prime file. Elsa le diede un pizzicotto sulla mano “Siedi composta”, la rimproverò.

“Sai dov’è Kristoff?”, le chiese, cercando di rimanere quanto più ferma possibile. L’amico le aveva detto che sarebbe stato lì quella sera e lei gli aveva portato un piccolo dono per festeggiare il suo compleanno. Ne avevano parlato tanto ed ora lui non c’era. Guardando bene si accorse che anche Bulda cercava il figlio tra la folla dei fedeli assiepati tra le panche. Doveva essere successo qualcosa.

Elsa scosse la testa leggermente, guardando davanti a sé.

Ultimamente era strana, più distaccata, la trattava quasi come se lei le avesse fatto uno sgarbo. Ma più ci pensava più non riusciva a trovare un motivo per quel comportamento.

Alla fine della funzione tutti gli abitanti si riversarono nella piazza, sistemandosi attorno al grande albero adornato a festa, cantando a voce alta nonostante il freddo intenso di quella notte. I fuochi delle candele e dei bracieri, collocati alle estremità dello spiazzale, facevano brillare tutto di incantevoli bagliori ambrati,  conferendo un’atmosfera surreale all’evento, complice anche una lattiginosa luna piena. Si respirava aria di festa, di tranquillità, lì in quel piccolo paese nel cuore delle montagne.

Eppure quella notte la quiete placida di Lillehammer venne interrotta.

Il lupo fece la sua prima carneficina proprio allora. Il suo ululato risuonò chiaro e terrificante nell’immobilità della foresta, raggiungendo i cittadini assopiti fin nelle loro case. Non era strano che da quelle parti del paese si aggirassero lupi solitari o branchi poco numerosi, ma quel verso così potente non apparteneva a nessun animale che i cacciatori avessero mai visto.

All’indomani, quando vennero scoperte le carcasse di decine di animali azzannati senza pietà e smembrati, in parte svuotati delle interiora, gli abitanti capirono subito di non trovarsi di fronte ad un semplice lupo di passaggio nella regione.

Il salvabile venne salvato: i cadaveri vennero sotterrati, per non attirare altri predatori, e gli animali feriti gravemente vennero macellati. Tutti rimasero sconvolti dalla brutalità di un tale attacco, bisbigliando che forse era stato il demonio in persona a commettere quell’atrocità in una delle notti più sacre dell’anno. Ma, superstizione a parte, esaminando le ferite degli animali gli allevatori non ebbero dubbi a riguardo: si trattava di un grosso lupo famelico.

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“Dove credi di andare?” Idunn fermò Anna per un braccio, prima che potesse mettere un piede fuori dalla porta.

“In chiesa, a trovare Kristoff.” La sera precedente non si era fatto vivo nemmeno al falò e cominciava davvero a preoccuparsi. L’amico non aveva mai disatteso uno dei loro appuntamenti. Appena sveglia il suo primo pensiero era stato lui. Aveva aperto i regali in fretta e furia, facendo a brandelli la carta dei pacchi senza tante cerimonie, sotto lo sguardo irritato della madre e della sorella, mentre suo padre aveva sorriso della sua caratteristica foga. Dopo era andata di corsa ad infilarsi qualcosa con l’intenzione di correre a vedere cosa gli fosse successo.

“Non voglio che tu esca dopo quello che è successo stanotte.”

“Non mi allontanerò, andrò dritta in canonica, senza deviazioni. Non devi preoccuparti, farò attenzione e se vedrò il lupo scapperò.” Ridacchiò, come se i fatti accaduti la notte precedente non l’avessero nemmeno sfiorata.

“Anna, non scherzare.” Idunn sospirò. Non c’era modo di far desistere Anna. Se si era messa in testa di andare dal suo amico, niente l’avrebbe fermata. “Hai mezz’ora di tempo. Poi, se non sarai qui, verrò a prenderti.”

Anna non se lo fece ripetere due volte. Schioccò un bacio a sua madre e si precipitò in strada. “Non correre! Potresti scivolare sul ghiaccio.” la sentì gridarle dietro. Rallentò, cercando di mantenere un passo sostenuto e non appena fu fuori dalla strada di casa sua, cominciò a correre a perdi fiato verso la chiesa, cercando di fare presto. Dopotutto aveva i minuti contati e voleva passarne quanti più possibili in compagnia di Kristoff.

Quando bussò alla porta nessuno le venne ad aprire, almeno non subito. Saltò da un piede all’altro per scaldarsi, soffiandosi sulle mani congelate: aveva dimenticato per l’ennesima volta di infilarsi i guanti prima di uscire. Passò un buon minuto prima che Pabbie spuntasse sulla soglia, il bastone in una mano e gli occhiali inforcati sul naso tuberoso.

“Buon Natale, padre. Kristoff è in casa?” non aspettò nemmeno che il vecchio chierico la salutasse. “Vorrei dargli il suo regalo di compleanno. Ieri sera non ho potuto farlo perché lui non c’era. A proposito, sta bene?”

Il parroco sospirò, abituato all’infinita quantità di parole che fluivano dalla bocca di Anna, e alla velocità con cui riusciva ad esprimersi. “È qui, ma non è in grado di ricevere visite.”

“Cos’è successo?” il panico le strinse lo stomaco a quell’affermazione, ma cercò di rimanere calma e di non saltare subito alle conclusioni più tragiche.

“Niente di grave, figliola. Solo un malanno di stagione, vedrai che si riprenderà presto.” Le sorrise rincuorante. Ma Anna non si lasciò sfuggire il tremolio dell’occhio destro di Pabbie e lo sguardo pensieroso.

 Rimasta stranamente a corto di parole, abbassò lo sguardo, studiandosi gli stivaletti che sbucavano dall’orlo della gonna. “Oh.” Riuscì solo a dire.

“Gli dirò che sei passata. Gli farà molto piacere.”

Si riscosse, cercando di non lasciar trapelare troppo il suo disappunto. “Potrebbe dargli questo da parte mia?”, tirò fuori dalla tasca un piccolo pacchetto, avvolto in carta da pacchi e chiuso da uno spago.

Lo depose nella mano di Pabbie. “Grazie. Glielo darò quando si sveglierà. Ora torna a casa, prima di congelare.” Le batté piano una mano sulla testa quasi per rabbonirla. “Sono sicuro che tua madre starà scalpitando nell’attesa del tuo ritorno.”

La ragazzina sorrise nervosa, annuendo. “Saluti Kristoff e Bulda da parte mia.” Agitò una mano in segno di saluto e si avviò piano da dove era venuta.

Sapeva che qualcosa non andava. Non riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che Kristoff si fosse ammalato. Forse pensandoci bene non era mai successo. A differenza sua e di Elsa, che si ammalavano quasi ogni inverno, lui era sano come un pesce. Mai un raffreddore, né febbre, né tantomeno la scarlattina. Lei l’aveva avuta qualche anno prima ed era stata un’esperienza assolutamente orribile! Non aveva potuto vedere Elsa per giorni interi, per evitare che anche lei venisse contagiata, e solo la mamma si era occupata di lei, cercando di abbassarle la temperatura e di alleviare il suo pressante prurito con impacchi di latte e menta. Kristoff era venuto a farle visita di nascosto un pomeriggio, portandole i biscotti di Bulda. Lei aveva cercato di scacciarlo, dicendogli che era pericoloso, ma lui non aveva voluto sentir ragioni. Alla fine lei era guarita e lui non si era ammalato.

Forse ora si era ammalato per tutte le volte che non lo era stato! E se questa grave malattia l’avesse portato alla morte?

Anna si fermò di botto e scrollò la testa per dissipare quel terrificante pensiero.

Quando tornò a casa la mamma fu sorpresa del suo così largo anticipo. Idunn infatti aveva già previsto di dover andare a trascinare via Anna dalla chiesa, ed invece la figlia era tornata appena quindici minuti dopo essere uscita, con il viso mogio e le spalle incurvate.

“Mamma  potresti andare da Bulda domani? Kristoff è malato, ma non so cos’abbia. Forse potresti aiutarla.”

“Andrò appena possibile, tranquilla.” Guardò la figlia allontanarsi pensierosa.

Quella era una novità e non una di quelle positive. Sperò solo che non fosse una cosa grave.

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Bulda sedeva accanto al letto del figlio, immobile ed in silenzio. Interrompeva la sua staticità solo per bagnare uno strofinaccio in un catino e poggiarlo sulla fronte febbricitante di Kristoff. La febbre non si era abbassata e il ragazzo tremava e delirava, rigirandosi tra le coperte. Quella mattina l’avevano ritrovato nel cimitero, riverso tra le tombe, con i vestiti laceri, privo di conoscenza e sporco di sangue. Lei e Pabbie avevano faticato non poco a portarlo dentro, senza che nessuno li vedesse. Non riusciva ancora a credere a quello che era accaduto. 

All’inizio aveva temuto che qualche balordo lo avesse ferito a chissà quale scopo, ma ripulendolo dal sangue si era accorta che non era suo; a parte qualche graffio superficiale non aveva alcuna ferita che potesse spiegare tutto quel sangue. Poi era arrivata la notizia della strage di bestiame e la sua mente era esplosa. Come era possibile?

Era sconvolta, atterrita, disperata. Più cercava una spiegazione meno riusciva a rimanere lucida. Pabbie non aveva detto molto, si era solo limitato ad aiutarla a cambiare Kristoff e a metterlo a letto, poi si era rintanato nel suo studio, tra i suoi libri e le sue scartoffie.

Verso metà mattina aveva sentito bussare alla porta della canonica. Il cuore le era balzato in gola per la paura che qualcuno fosse venuto a prendere il figlio,  poi aveva sentito la voce squillante di Anna e si era rilassata, per quanto possibile in una situazione del genere. Pabbie era rientrato poco dopo, posando un pacchetto sul comodino accanto al letto, le aveva stretto una spalla e poi era uscito di nuovo.

Si sentiva abbandonata. Non sapeva cosa fare. La sua prima preoccupazione era quella di prendersi cura del figlio e poi? Voleva delle risposte e l’unico che avrebbe potuto dargliele giaceva sofferente sotto i suoi occhi.

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Era sicuro di star bruciando tra le fiamme dell’inferno. Ogni parte del suo corpo, dalla punta dei piedi alla cima dei capelli, doleva come mai prima d’allora. Fiamme fameliche gli lambivano il petto e il collo, lasciandolo senza fiato. Era un’agonia insopportabile, avrebbe voluto urlare, chiedere aiuto, ma la voce era bloccata sul fondo della gola.

Ogni appendice del suo corpo fremeva, scossa da violenti brividi, ed aveva come l’impressione, nel suo stato di delirio, che il suo stesso corpo stesse cercando di farsi a pezzi dall’interno. Riusciva quasi a sentire la pelle lacerarsi e gli schiocchi secchi delle ossa che si spezzavano e si riallineavano in nuove posizioni.

Non credeva potesse esistere un tale tormento. Non pensava che un corpo fatto di sangue e carne potesse sopportare tanto dolore.

Pregò che la morte lo raggiungesse presto.

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La sera del 25, come promesso alla figlia, Idunn si recò da Bulda per accertarsi delle condizioni di Kristoff. Non lo faceva solo perché Anna glielo aveva chiesto, ma anche perché da quando era arrivato in fasce a Lillehammer, non aveva potuto non affezionarsi a lui. Lo aveva visto crescere con le sue due bambine, diventare loro amico, proteggere Anna dai bambini più grandi, sfidare Elsa nelle gare più improponibili, diventare un giovane rispettabile ed infine farsi uomo.

Quella sua improvvisa malattia la destabilizzava. C’erano poche costanti nella sua vita da medico e una di quelle era che, in diciotto anni di vita, Kristoff Bjorgman non aveva mai avuto bisogno delle sue cure.

Quando Bulda le venne ad aprire, le sembrò esitare, come se non volesse lasciarla entrare. Poi però il senso materno della perpetua prevalse sulla sua paura.

Quando lo vide riverso nel suo letto, sudato e delirante, non riuscì a credere ai suoi occhi. Doveva trattarsi di qualcosa di brutto, un morbo insidioso che aveva covato a lungo o un’infezione fulminea che lo stava lentamente portando all’oblio.

La madre aveva fatto tutto il possibile per accelerare il decorso della malattia, ma senza risultati. Idunn lo visitò, facendosi aiutare da Bulda e Pabbie per voltarlo di schiena. Il ragazzo era massiccio e alto per la sua età, inamovibile come una montagna secondo Anna, non avrebbe potuto spostarlo da sola nemmeno volendo. All’apparenza sembrava andare tutto bene: auscultando non le parve di sentire alcun rumore degno di nota e ad un esame attento della gola e del torace non individuò nulla che potesse spiegare quella febbre così alta.  Solo alcuni tagli superficiali le diedero da pensare: forse aveva contratto il tifo? Ma i sintomi non corrispondevano.

Quella situazione la turbava.

Dopo aver consigliato a Bulda il trattamento da seguire per la guarigione, fece rientro a casa.

Non appena varcò la soglia, Anna si precipitò da lei, piena di speranza. “Allora?”

“Non preoccuparti, si rimetterà presto.”, riuscì solo a dirle, ma in realtà non era tanto sicura che Kristoff avrebbe visto il nuovo anno.

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Anna aspettò con pazienza che Kristoff rispondesse al suo biglietto d’auguri, rassicurandola sulla sua salute e rivolgendole i suoi apprezzamenti per il regalo. Ma la sua attesa fu vana. Nonostante la mamma l’avesse rassicurata che presto sarebbe guarito, a due giorni dal nuovo anno il suo amico non si era ancora fatto vivo e lei cominciava a preoccuparsi davvero.

Chi invece aveva attestato a voce alta la propria presenza era stato il lupo che, nelle due notti successive al primo attacco, aveva battuto il bosco e le fattorie limitrofe alla cittadina, finendo ciò che aveva cominciato la notte di Natale. Gli allevatori erano sgomenti e il sindaco, suo padre, aveva fatto di tutto per placarne gli animi.

Il 31 dicembre, quando ormai rattristata aveva perso ogni speranza, la ragazza si era incamminata a passo spedito verso la chiesa. Aveva percorso quel tragitto migliaia di volte e avrebbe potuto farlo anche ad occhi chiusi, ma quel giorno le sembrò più lungo e faticoso. L’amarezza era un fardello pesante da portarsi dietro.

Bussò alla porta della canonica come sempre e le venne ad aprire Bulda. La donna aveva l’aria stanca, sembrava mantenersi a stento in piedi, e gli occhi erano arrossati come se non avesse fatto altro che piangere negli ultimi giorni. Anna quasi si spaventò: cosa aveva potuto ridurre quella donna così forte in un fantasma di se stessa?  “È  al capanno.” riuscì a dirle Bulda, cercando di sorriderle. 

A quelle parole quel persistente senso di pesantezza si acuì, schiacciandole i polmoni come un macigno.

Eppure cercò di scacciarlo, stampandosi un accenno di sorriso sulle labbra. Raggiunse il capanno e lo vide, vivo ed in apparente perfetta salute davanti ai suoi occhi, intento a scavare un’enorme buca. Nonostante il suo recente malanno se ne stava nell’aria gelida di fine dicembre con solo una giacca indosso sprezzante del freddo e della neve.

“Avresti potuto avvisarmi della tua guarigione.” Lo salutò, cercando di non suonare noiosa. “Io ero a casa a preoccuparmi per la tua vita e tu invece te ne stavi qui a scavare buche per…”

“Seppellire le  mie pecore.” Concluse lui, continuando a tenere la testa china sulla vanga tra le sue mani, concentrato sulla terra che aveva ghiacciato sotto la coltre spessa di neve.

Solo in quel momento si accorse del piccolo ammasso di lana dietro alle sue spalle: i corpi senza vita delle sue bestie. A qualcuna di loro aveva anche dato un nome, con sommo disappunto di Kristoff, che le aveva intimato di non affezionarsi, tanto il loro destino era segnato.

“Il lupo?”gli chiese, senza approfondire. Era sicura che Pabbie gliene avesse parlato.

“Già.”

Continuava a non guardarla. Il corpo era teso e l’espressione del viso seria. Nonostante la sua riluttanza a considerare quegli animali come qualcosa di più che semplici oggetti di sostentamento, doveva esserci rimasto male per la loro morte. Riusciva a leggerglielo nelle labbra tirate e nelle sopracciglia aggrottate.

“Stai bene?”

Riuscì ad infilare ancora una volta la vanga nel terreno ghiacciato. “Si.”

“Sicuro?”

Asportò della terra, lanciandola dietro di sé verso una piccola montagnola che cresceva di colpo in colpo. “Sicuro.”

“Va bene.”

“Va bene.”

Anna gonfiò le guance, trattenendo il respiro per non urlargli in faccia. “Sei uno stupido.” Buttò fuori d’un fiato, qualche colpo di vanga dopo.

Kristoff si voltò a guardarla, continuando a scavare.

“Che c’è? Pensavo stessimo giocando al gioco dell’eco.” Fece spallucce, per niente intimorita dalla sua espressione tetra.

“Mi perdonerai, ma non sono in vena di giochi, come puoi vedere.” Rivolse di nuovo lo sguardo al suo lavoro.

“Non sei nemmeno in vena di sincerità da quel che mi risulta.” Ribatté lei.

“Cosa vuoi, Anna?” le chiese con tono aspro, piantando con un gesto secco la vanga nel terreno. L’attrezzo rimase in equilibrio, mentre lui si ripuliva le mani sui pantaloni con gesti quasi rabbiosi.

Un verso scioccato le sfuggì dalle labbra. “Cosa…cosa voglio? Sapere come sta il mio amico. Se si è rimesso dal suo malanno e se gli è piaciuto il mio regalo per il suo compleanno. Ecco tutto.”

“Sto bene, mi vedi.” Sospirò. “Non ho ancora aperto il tuo regalo, mi dispiace. Ho avuto altro a cui pensare.” Strusciò i piedi nella neve, facendola scricchiolare sotto la suola degli stivali.

Ad Anna venne quasi da piangere: aveva impiegato così tanto tempo per quel regalo e lui non l’aveva ancora nemmeno visto. “D’accordo, non fa nulla.” La sua voce non suonò sincera nemmeno alle sue orecchie. “Quando lo aprirai mi farai sapere cosa ne pensi?”

“Certo, grazie comunque.” Kristoff tornò alla sua vanga, senza degnarla di uno sguardo, dichiarando chiusa la loro conversazione.

“Quando vorrai parlare sai dove trovarmi.” Disse fra sé, sperando che la sentisse. Mentre si allontanava,  il vento le sferzò i capelli, facendo svolazzare il mantello rosso alle sue spalle.

Sulla via di casa rimuginò su quanto appena accaduto, ripetendo tra sé il loro dialogo. Il suo amico non era mai stato un gran parlatore, né un amante dei convenevoli, ma in quell’occasione le era sembrato un eremita scorbutico sprovvisto delle basilari buone maniere. Qualcosa si era incrinato in lui ma non avrebbe saputo dire se la cosa fosse da imputare al suo stato di salute. Eppure era da un po’ che si comportava così, evitando se possibile la compagnia degli altri giovani di Lillehammer.

Cacciò un sospiro nervoso. Desiderò solo che le cose tra loro tornassero ad essere come una volta.

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Una folata di vento aveva accompagnato Anna mentre si allontanava da lui, portando al suo naso il suo caratteristico odore dolciastro. Si ritrovò ad annusare inconsciamente l’aria alla ricerca di quel delicato sentore di menta e cioccolata e di…qualcosa di delizioso che non riusciva ad identificare.

Solo dopo averlo fatto, si rese conto di essersi leccato le labbra. Sconcertato gettò la pala nella neve e si allontanò nella direzione opposta, verso il bosco.

Le cose avevano già cominciato a cambiare irreparabilmente.

 

 

 

 

NdA: era da molto tempo che non riprendevo questa ff tra le mani e, nonostante abbia cercato di mantenermi coerente con lo stile e il registro dei precedenti due capitoli, credo d’aver cambiato qualcosa per strada. Spero vi sia piaciuto e di ricevere comunque pareri e considerazioni a dispetto di tutto il tempo che è passato dall’ultimo aggiornamento. Non abbiate paura di scrivere qui sotto e di inoltrarmi le vostre opinioni/idee. A differenza del lupo, io non vi mangio mica! E dopo questa freddura me la squaglio ^3^

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