Il retaggio del Metallo

di L_aura_grey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bacio del ragno ***
Capitolo 2: *** La solitudine dei numeri primi ***
Capitolo 3: *** Grida sott'acqua ***



Capitolo 1
*** Il bacio del ragno ***



prologo






2011
Peter ha appena compiuto cinque anni quando zia May, dopo settimane di stressanti richieste, sospira e gli promette che lo porterà alla serata di esposizione dell’Expo Stark. Non capisce perché un bambino tanto piccolo dovrebbe interessarsi a cose pericolose e preoccupanti come armi e armature, ma la faccia supplicante che Peter fa, e i continui manifesti e poster delle Stark Industries che continuano a comparire in camera sua quasi per magia alla fine la fanno cedere. Sa che adora tutto ciò che è scienza e tecnologia, e in questo da la colpa a Ben, che gli parla troppo bene di suo padre. 

Di certo se ne pente quando, in mezzo alla folla urlante, si accorge che la mano del piccolo è scappata dalla sua presa, e la vista che si trova davanti quando si volta, la mostruosa armatura dalle armi contro Peter e la sua maschera, comprata in una bancarella prima di entrare, le toglie il respiro, fermandole per un attimo il cuore. Quello che succede dopo è quasi peggio, perché quel “Ottimo lavoro” di Iron Man lascia il ragazzino saltellante ed euforico per giorni e lei non riesce a fargli capire in quanto pericolo si è trovato e a quanto è arrivata a rischiare di perderlo.

Passa diverso tempo prima che riesca a trovare un coraggio di uscire di nuovo con Peter per andare a fare delle gite, e la prima è alla Oscorp. Peter non ha molti amici all’asilo, e quando il ragazzino le parla di un invito per un’uscita istruttiva assieme a un suo compagno di classe si riempie di sollievo e orgoglio. Si stupisce che il bambino di una persona tanto ricca possa andare a una scuola comune, ma il piccolo Henry le spiega con una dizione e un atteggiamento più maturo di quello di molti adulti che sua madre vuole che abbia un’infanzia il più normale possibile. È praticamente un ometto e al suo fianco Peter sembra un folletto a tratti esuberante, a tratti timido, ma i due sembrano andare molto d’accordo e di questo è contenta. 

Dopo essere stata rassicurata con la presenza di un adeguato controllo durante la visita, fa salutare lo zio Ben a Peter per portarlo alla macchina che li avrebbe accompagnati al palazzo dell’azienda e ai laboratori. Sono di certo cose complesse per un bambino, ma il piccolo sembra capirne già più di lei ed Henry è entusiasta di fare da guida attraverso il regno del padre, anche se si limita a sottolineare colori ed effetti particolari, che comunque lasciano Peter a bocca aperta. L’importante è il suddetto l’effetto wow, sottolinea il principino, e l’amico annuisce convinto. 

Nonostante le rassicurazioni, May è tesa per gran parte della visita, ma a poco a poco l’entusiasmo dei bambini la contamina e si ritrova a rilassarsi e a godersi attraverso i loro occhi le varie meraviglie scientifiche che si ritrovano davanti; è un po’ come una gita al museo, ma ancora più avvincente e, spera, appassionante per Peter. Poi, finalmente, arrivano nella stanza espositiva delle specie animali studiate nel palazzo. Lì i bambini impazziscono e iniziano a correre da una teca all’altra, puntando questo e quell’animale, parlando agitati tra di loro. May fa loro una svogliata raccomandazione, prima di tornare a parlare con una delle simpatiche guardie che li ha accompagnati e con cui sta scambiando delle ricette di dolci. 

Un attimo di distrazione, questo basta, e il grido del bambino riempie velocemente la sala. Tutti gli adulti sono lì in un attimo e si trovano davanti un Peter che chiaramente sta trattenendo le lacrime davanti al suo amico per non fare brutta figura, e la mano sinistra nascosta contro il petto. Henry, invece, sta schiacciando col piede qualcosa per terra con insistenza, sul viso un’espressione agguerrita. 

-Peter, cos’è stato?!- domanda agitata, portandosi davanti a lui. Il bambino alza i grossi occhi nocciola su di lei prima di riportarli a terra. 

-Niente, zia…- 

-Non dirmi niente, giovanotto. Era un bell’urlo, quello. Fammi vedere la mano, su.- lo sprona. Attorno a loro non ci sono vetri rotti o sangue e questo la rincuora, ma ciò non significa che non sia preoccupata. Peter, per quanto timido, ha paura di poche cose ed è chiaramente in uno stato di dolore, il faccino contrito. A poco a poco allunga la mano e finalmente la donna può vedere una puntura rossa e gonfia sul torso di essa, tra pollice e indice. 

-È stato un ragno, zia… mi ha morso.- spiega a bassa voce il bambino. 

La donna sospira, sollevata: -Allora niente di preoccupante. Vedrai che il dolore va via, e se dopo persiste ci mettiamo un po’ di pomata, ok?- propone. 

-E un cerotto…?- Peter domanda d’un tratto speranzoso; -Uno di quelli con le astronavi?- 

May sorride; di certo non è questo è il caso, ma annuisce, sperando di far passare il dolore al bimbo al pensiero del cerotto. Henry sembra persino invidioso di lui e Peter scrolla le spalle in segno di scuse. 

-Non ci sono ragni pericolosi, qua, vero?- si volta comunque a chiedere conferma, per ogni evenienza. 

-Tutti gli esemplari esposti sono assolutamente sicuri per i visitatori; dev’essersi trattato di un ospite indesiderato che le pulizie si sono dimenticate di sfrattare.- risponde pacata la guardia, e per quanto questo la rassicuri c’è un senso di irrequietezza che non l’abbandona del tutto. 

La gita comunque prosegue senza altri intoppi e si conclude con un lungo e toccante saluto da parte dei due bambini e una promessa di rivedersi domani e portare i reciprochi dinosauri per simulare la caduta dell’asteroide; per tutto il viaggio di ritorno Peter non fa che saltare su e giù, ripetendo le cose meravigliose imparate durante la visita e stupendo May con la quantità di informazioni che sembra aver immagazzinato. Il dolore del morso del ragno sembra essere ormai dimenticato. 

Il giorno dopo, però, Peter non può mantenere la sua promessa. Ben lo trova febbricitante e dolorante nel letto, gemente e stremato, in preda a un dolore che deve averlo tenuto in sveglio per tutta la notte. Quando i due zii sono pronti a portare il bambino da un medico, questi sembra però improvvisamente migliorare e tornare in forze. 

Non che zia May non sia preoccupata ma alla fine le calme parole di Ben la quietano; è vero, ora che il bambino ha perso i genitori nell’incidente aereo sono loro che devono occuparsi di lui, sono loro che devono proteggerlo dal mondo esterno e farne un uomo, ma questo non vuol dire chiuderlo in una cupola di vetro. È allora, però, che iniziano ad avvenire strani avvenimenti attorno a Peter. Inizia a fare facce strane se parla troppo forte, giocattoli apparentemente indistruttibili finiscono in pezzi quando distoglie lo sguardo, diventa improvvisamente più sgusciante di un’anguilla prima del bagno, ancora più del solito almeno e, infine, quando May apre la porta della stanza e si ritrova il bambino a urlare: -Guarda, zia! Cammino sui muri!- attaccato al soffitto quasi finisce per terra. Quasi. 

-Che cosa facciamo?- bisbiglia a Ben, terrorizzata da quello che potrebbe accadere a Peter, per il suo futuro. 

-Lo teniamo nascosto- risponde risoluto lui, mentre stringe con un po’ troppa forza il bimbo al petto, con lui che non comprende ciò che sta succedendo e perché si preoccupano così tanto. È un supereroe anche lui, adesso! Proprio come Iron Man! 

Ma le raccomandazioni, i giorni d’asilo saltati, le persiane chiuse, alla fine non servono a nulla. La Osborn sa, devono essersi accorti che il ragno schiacciato a terra da Henry non era normale e che non è un caso che Peter sia scomparso nel nulla. Lo vogliono e per un motivo soltanto, un motivo che fa tremare Ben e piangere silenziosamente May.

-Chi stai chiamando?- la donna ormai non più giovane domanda terrorizzata al marito e si tiene stretta contro Peter, mentre osserva il salotto sfigurato dagli uomini che sono entrati in casa loro mentre erano assenti, evidentemente in cerca delle loro tracce. Le ultime serate passate in albergo non sembrano più una precauzione eccessiva. 

-Richard mi diede questo numero. Mi disse di usarlo solo in caso di estrema necessità, soprattutto se Peter era coinvolto. Non mi spiegò mai il perché e non penso avesse in mente questo, quando me lo diede, ma dal momento in cui non possiamo andare dalla polizia, non penso di avere altre opzioni- risponde lui, prima di sentire qualcuno rispondere dall’altra parte della linea.

Ma è ormai tardi per loro quando gli aiuti arrivano. 

May e Ben giacciono al suolo, sporcato dal sangue delle fuoriuscite dei proiettili che li hanno trovati. Il vicolo attraverso cui stavano scappando è pieno di uomini vestiti di nero e armi, ma di supereroi corsi al salvataggio non ce ne sono. Peter lancia urla strazianti, mentre si dimena tra le braccia dei loro assalitori, a un passo dall’essere trascinato all’interno di un van nero come la pece e scomparire per sempre.  

È allora che le frecce di Banner e i proiettili della Vedova Nera colpiscono i loro bersagli e il bambino si ritrova a gattonare verso i corpi di quel che è rimasto della sua famiglia. Gli occhi di May fissano il vuoto, un braccio teso verso di lui, il palmo aperto in un ultimo tentativo di protezione. Alle orecchie del bambino arrivo i rantoli di Ben, il dolore dei suoi ultimi respiri. 

-Ricorda, Peter…- afferma, la voce bassa, ogni parola una fatica immensa, mentre attorno a loro prosegue la battaglia: -I poteri che hai… devi usarli per il bene… Il bene… perché sono grandi, e sono una grande responsabilità- riesce finalmente a dire, mentre versa una lacrima per May, per il fratello perduto, e per il giovane uomo che Peter deve ancora divenire e al cui fianco non sarà, quando avrà bisogno di lui. 

Gli occhi di Peter sono pieni di lacrime e per questo non riesce a vedere quando la vita abbandonano quelli dello zio Ben, lasciandolo solo. A poco a poco cala il silenzio, i suoi singhiozzi sono tutto ciò che si sente nella notte di New York e nulla lo disturba fino a quando non si comsumano del tutto e si spengono, lui con loro. Non lotta quando due braccia forti ma gentili lo tirano su, portandolo via da lì. Il suo mondo di bambino di cinque anni è distrutto e danneggiato e la forza che lo portava a saltare, correre, gioire sembra essere svanita assieme ai suoi genitori, assieme alla zia May e zio Ben, e non sembra possibile che possa fare ritorno. 

Nota appena l’aquila disegnata sulle spalle degli uomini che lo circondano, anche se sarà un simbolo che continuerà a vedere costantemente negli anni a venire, fino ad averne quasi la nausea. 

-Non preoccuparti, ometto- dice l’uomo con le frecce; -Ci occuperemo noi di te. Ti terremo fuori dai guai- afferma, mentre sale su un altro van e si siede, senza però lasciarlo andare. Gli occhi del bambino sono però intrappolati dalla chioma rossa della donna che si siede in silenzio di fianco a loro, un rosso non tanto diversi dai fiori comparsi sulla camicia bianca di suo zio. 

Questa è la notte in cui Peter Parker scompare nel nulla e la sua vita nelle mani dello SHIELD comincia, una vita che lo porterà poi alla porta degli Avengers.







 
nda
 
grazie per essere arrivati fin qui. inizio dicendo che i personaggi non mi appartengono e che mi sono presa delle libertà personali per quanto riguarda la tempistica e l'età sull'età di Peter, che ho ringiovanito di diversi anni. questa fic vuole essere una superfamily, una Stony condita di tanto fluff ma anche di tanto angst come piace a noi. il rating potrebbe alzarsi in futuro.

per quanto riguarda il prossimo capitolo, sorvoleremo Avengers e incontreremo finalmente il nostro genio, miliardario, filantropo preferito che si troverà costretto a fare delle scelte che di certo condizioneranno la sua vita.
 
stay tuned,
your Humble Narrator
l'aura grey
 

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Capitolo 2
*** La solitudine dei numeri primi ***








 






1.

Un viso di metallo senza occhi e senza bocca, una luce sempre più forte che promette di spazzarlo via, il braccio alzato e il palmo aperto, finché il bagliore non ingloba tutto quanto.

A volte Peter non sogna, altre lo fa, altre ancora si risveglia così, con il ricordo del drone impresso sulle cornee, più reale della stanza in cui si trova, più dettagliato del volto di zia May o dello zio Ben, figurasi quello dei suoi genitori. Peter sa che dovrebbe avere una mamma e un papà, o almeno i suoi zii, ma tutto quello che ha visto negli ultimi mesi sono stati agenti dietro agenti che cercano di educarlo in case asettiche e lontane da qualsiasi segno di vita.

Non può usare i suoi poteri quando vuole, ma deve stare buono mentre esaminano il suo sangue e monitorano il suo corpo. Non può avere amici, ma deve fare in silenzio i suoi compiti e gli esercizi che servono a capire se il morso del ragno ha agito anche sul suo cervello. Dicono che è intelligente, che potrebbe essere un effetto delle radiazioni, ma i suoi zii avevano sempre detto che era un bambino sveglio, anche prima che potesse fare queste cose fantastiche. Ora però non sono più tanto fantastiche, perché sono il motivo per cui si trova qui, sono il motivo per cui i suoi zii sono morti e sono il motivo per cui non potrà più tornare a casa a fare la vita che faceva prima.

Peter odia i suoi nuovi poteri. Peter odia lo SHIELD. Peter odia il drone che ricorda meglio di quanto ricordi i suoi zii. Certi giorni Peter è tanto pieno d’odio da non riuscire a parlare.

Peter si ribella, passa dall’essere silenzioso e collaborativo a una creatura fatta di grida e unghie che attacca tutto ciò che gli si avvicina per cercare di calmarlo. Per questo cambiano educatore dopo educatore, sperando di trovare qualcuno con cui riesca a collaborare ed empatizzare, ma quando sembra che tutto possa finalmente procedere tranquillo Peter ha un’altra crisi e si ricomincia da capo.

Peter odia l’uomo con la bandana nera sull’occhio, che nei momenti peggiori viene a trovarlo, perché la sua voce lo spaventa e riesce sempre a rimetterlo in riga. Ha sei anni, gli dice, ma che gli piaccia o meno non ha più il tempo di fare il bambino. I poteri che scorrono nelle sue vene non glielo permettono.

Peter odia essere spostato settimana dopo settimana, ma sembra che non sia mai abbastanza sicuro. I suoi doni sono instabili, le sue conoscenze limitate, è un bersaglio troppo facile e troppo ghiotto. Peter odia essere ancora un bambino e spera di crescere il più fretta possibile. Magari dimenticherà anche i suoi zii, così la loro scomparsa non farà più male come fa adesso, anche se le ultime parole dette dallo zio Ben sembrano essere incise col fuoco nella sua mente. Forse dimenticherà anche la luce fredda del drone.

È maggio quando sta per andare a dormire e improvvisamente sente le voci degli agenti in una stanza limitrofa; sono troppo basse perché possa capire cosa dicono, ma il tono preoccupato lo fa fermare in mezzo al corridoio nel mezzo del viaggio tra il bagno e quella che al momento è la sua stanza. Il bambino si morde il labbro inferiore, prima di decidere di disobbedire a una delle regole e arrampicarsi sulla parete fino al soffitto, arrivando alla porta della cucina senza farsi vedere; lì i due agenti che si stanno occupando di lui al momento stanno ancora discutendo e in sottofondo sente la tv, anche se il volume è basso e non gli arriva niente. Invece finalmente può capire chiaramente quello che i due stanno dicendo.

-Hai sentito gli ordini della Hill, dovremmo dare la caccia a quel dio norreno come tutti gli altri.-

-E tu sai che abbiamo i nostri ordini, so che…-

-Ordini?! Vuol dire che anche a te va bene sprecare anni di allenamenti, sacrifici e studi per fare da babysitter a un bambino con le mani appiccicose? Dovremmo essere là, dovremmo...-

-Molly, so che volevi essere in California, che pensi che avresti potuto fare qualcosa per Sam, ma saresti semplicemente morta assieme a lei. Quel dio… non c’è niente di quello che abbiamo fatto che potrebbe prepararci a qualcuno lui.-

-Sarà anche così, ma ora tutti stanno correndo all’elicarro, e anche se non riusciranno a fare niente per scongiurare questa crisi, almeno ci proveranno, saranno utili a qualcosa. Mi vuoi dire che tu sei soddisfatto di stare qua, a fare nulla se non controllare che un bambino faccia i compiti?-

A rispondere è il silenzio e a quel punto Peter lascia il suo posto sopra la porta, scendendo a terra per incamminarsi lentamente verso quella che è la sua camera e raggomitolarsi dentro le coperte, chiudendo e stringendo gli occhi con forza, cercando di ricostruire l’immagine di zia May che gli sorride, mentre gli mostra il suo regalo di compleanno; un bellissimo robottino telecomandato che aveva chiamato Iron Scout e con cui aveva fatto impazzire entrambi gli zii inseguendoli per casa. Aveva provato a smontarlo per capire come funzionasse, un giorno, e May era impazzita quando lo aveva trovato, piangendo tutti i soldi spesi per quello che ora era sparso sul pavimento. Quasi non aveva creduto ai suoi occhi quando lo aveva ritrovato intero e funzionante, con Peter sorridente dietro di lui, che lo faceva andare ancora più veloce di prima. La notte, poi, lo sistemava ai piedi del suo letto in modo tale che facesse la guardia al suo sonno.

Quanto avrebbe voluto Iron Scout lì, in quel momento; aveva appena consumato le batterie per la terza volta quando Ben e May lo avevano portato via di casa di corsa e da allora non l’aveva più visto.

Il giorno dopo i due agenti dello SHIELD non lo degnano neppure di uno sguardo quando entra in cucina, totalmente concentrati sulla televisione e il notizario. Anche lui si lascia incantare dalle immagini che scorrono sullo schermo, scene di alieni ed eroi, palazzi distrutti e gente ferita. Ci sono tutti, li riconosce, il tizio che lancia le frecce, la donna dai capelli rosso sangue, Hulk, Capitan America (di cui leggeva i fumetti), ma soprattutto lui, nella sua armatura rossa e oro: Iron Man.

I Vendicatori, li chiama la donna che parla del disastro di New York.

D’un tratto Peter sa chi vendicherà i suoi zii, chi vendicherà la sua infanzia perduta. Avanza, arrivando di fianco alla donna di nome Molly e ne attira l’attenzione posando la mano sul suo braccio:

-Voglio andare con loro- afferma, serio, osservandola dal basso verso l’alto, il tono secco e sicuro: -Dì all’uomo con la benda che voglio stare con i Vendicatori.-




 

2.

Quando Fury, dopo lunghi attimi di silenzio, aveva detto sì Peter si era aspettato di tornare a New York ed essere portato nella grossa torre che al momento mostrava una grossa A sul lato. Invece ora si trova in una lunga macchina nera, apparentemente diretto in California. Un bel viaggio visto che con gli zii non aveva mai lasciato la città che non dorme mai. Il bimbo tiene i pugni sudati sulle ginocchia e gli enormi occhi nocciola inchiodati sull’uomo con la benda.

Dal viaggio iniziale in macchina, lasciando la villetta di periferia dov’era stato nascosto, e quello in aereo (mezzo che gli aveva fatto un po’ paura, vista la storia dei suoi genitori) Fury ha spiccato si e no due parole, oltre la destinazione, e perlopiù dirette al telefono. Peter si è però fatto coraggio e ha seguito l’uomo senza lamentarsi, sapendo che è l’unico modo per ottenere quello che vuole, stare con i Vendicatori.

Sono tutte persone diverse e straordinarie, come lui; forse lo comprenderanno, forse troverà una nuova famiglia e non la perderà questa volta.

In questo momento però trova solo un’enorme casa a dirupo sul mare, fatta di cemento e vetro, moderna e intimidatoria. Osserva attaccato al finestrino mentre i cancelli si aprono e la macchina avanza fino a che non sosta nell’enorme piazzale circolare. Senza dirgli una parola Fury esce dalla macchina, per poi fermarsi ad aspettare che lo faccia a sua volta.

-Forza. Prima esci prima finiamo qui.- lo sprona e dopo aver preso un respiro profondo Peter scende, avanzando titubante verso quello che pare l’ingresso. Fury è subito dietro di lui e con pochi passi lo precede, suonando il campanello. Dopo una manciata di istanti le porte si aprono da sole, facendo saltare il bambino, che però trotterella dietro all’uomo quando questi entra senza farsi problemi, scansionato dai sistemi di sicurezza dell’ingresso.

-Bentornato, signor Fury. Il signor Stark è stato messo al corrente del suo arrivo, sarà qua a momenti. Si metta pure comodo. Intanto posso chiedere chi sia il signorino?- afferma una voce che sembra uscire dalle pareti, facendo spalancare gli occhi a Peter che si affretta a nascondersi vicino alle gambe dell’adulto, soprattutto quando la voce parla di lui.

-Qualcuno che spero di affidare alle mani di Tony, prima di tornare a fare il mio lavoro.- è la secca risposta di Fury che, per quanto si muova nel salotto come fosse suo, non fa alcun cenno di sedersi.

-Affidarmi? Cos’è, ora oltre che consulente volete affidarmi un posto come baby sitter, lì allo SHIELD?- è la risposta che arriva dalle scale a chiocciola laterali al salotto, seguite poi da un uomo saltellante, intento a fare i gradini a due a due per arrivare al piano terra. Peter trattiene il fiato nel trovarsi davanti l’uomo che fino a pochi mesi prima rappresentava gran parte del suo mondo, il suo eroe, la sua ispirazione come genio e come supereroe. Lo aveva chiesto e ora è lì, il cuore che rimbalzava nel suo petto tanto forte da farlo preoccupare.

Tony Stark li osserva entrambi mentre circumnaviga il salotto per arrivare fino al divano, dove si lascia cadere con uno sbuffo. È passato quasi un mese dalla battaglia di New York e ogni traccia che sia avvenuta è quasi scomparsa dal corpo di Stark, tolte qualche piccola crosta e i movimenti un poco duri. Sembra però stato interrotto nel bel mezzo di un allenamento, la maglietta sudata e l’asciugamano sulle spalle a testimoniarlo.

-Stark, sono felice di vederti in salute; in ogni caso, questo è Peter, il primo bambino dal DNA geneticamente modificato di cui lo SHIELD è… al corrente.-

-Dici al corrente per non dire entrato in possesso, non è così?- Tony rimarca, facendo sussultare il bambino di fronte a quelle parole prive di apparente empatia.

-Il caso di Peter non ha precedenti e puoi immaginare che non siamo pronti per occuparci di una situazione come la sua, che sembra però inadatta a essere lasciata ad altre organizzazioni.-

-Lasciami tradurre anche qui: non volete che nessun altro abbia tra le mani un bambino coi superpoteri da poter plasmare come vogliono. Che cosa saprebbe fare, poi, ha la super forza, spara raggi laser, sa volare...-

-Questo non è corretto, Stark. Vogliamo che lo tenga tu.-

-... mangiare cento hot dog di fila senza stare male, o... che cosa?! Penso di aver capito  davvero male. Volete che io tenga con me un bambino di… quanto, quattro anni?-

-Sei…- interviene timidamente Peter, comunque ignorato dai due adulti, che si stanno guardando come se entrambi fossero in possesso di un ordigno nucleare e stessero cercando di capire chi l’avrebbe usato per primo.

-Lo SHIELD non è un’organizzazione adatta alla crescita di un bambino.-

-Invece io lo sarei?!- Stark ribatte in un tono più stridulo del solito.

-Tu hai risorse per proteggerlo ed educarlo, una dimora fissa dove passi il tuo tempo quando non sei in giro a essere una spina nel fianco dell’esercito, una morale che, per quanto nascosta, spero tu possa passare al ragazzo che, da parte sua, non ha niente e nessuno.-

Stark assottiglia gli occhi, cercando di capire se è questa la bomba o meno lanciata da Fury, perché di certo ha scosso le fondamenta delle sue difese: -Che vuol dire nessuno, avrà dei parenti da qualche parte, o ha già anche lui una tragica origine da supereroe?-

-Ha perso i genitori quasi tre anni fa, ha vissuto con gli ultimi parenti rimasti, gli zii, fino a quando non è entrato in possesso dei suoi poteri a causa di un incidente alla Oscorp, industria che crediamo essere anche dietro all’assassinio dei suddetti quando hanno cercato di recuperare il bambino per, evidentemente, studiare gli effetti dell’alterazione genetica.-

-Credete?- il miliardario sottolinea.

-Purtroppo non abbiamo prove sufficienti per risalire a loro, ma è ovvio che siano i colpevoli; è probabilmente l’unico esperimento che è riuscito loro ed è stato un caso, Peter rappresenta l’apice del loro lavoro e l’unico modo per capire cosa hanno fatto giusto e come replicarlo.-

-Quindi li ha alle costole.-

-E questo è il motivo per cui non possiamo limitarci semplicemente a nasconderlo in un normale ambiente, ma c’è bisogno di qualcosa di più… specifico per la sua situazione. È stato morso da un ragno modificato e per questo ora sembra essere in grado di poter arrampicarsi su qualsiasi parete, assieme ad avere sensi più acuti e dei riflessi sovraumani.-

-E quindi volete dare a un superbimbo una superbalia, non è così?- Stark alza un sopracciglio e incrocia le braccia, di nuovo dietro le sue barricate. Fury avrà anche cercato di prenderlo impreparato con la carta del crescere da solo (e diamine, se non lo sa lui cosa significa) ma questo non fa di lui un buon partito per la questione. Prendere un bambino? Lui? Ma non li guarda i notiziari? Per non parlare del fatto che distrugge casa un giorno e sì e l’altro pure.

-Come ho già detto, voglio qualcuno che sappia cosa ha davanti e lo prepari per la vità che avrà, perché non sarà affatto facile, che decida di nascondere i suoi poteri o che decida di usarli per fare qualcosa di buono.-

-Intendi dire che dovrei fargli da modello di vita.- Stark sbuffa quasi ridendo.

-Tu l’hai già salvata una volta.- una voce sottile richiama l’attenzione dei due adulti, i cui sguardi si catapultano sul bimbo che non si è mai mosso da lì ma sembra essere stato dimenticato. Peter sta guardando fuori dalla finestra, i pugni stretti ai lati e un’espressione seria, troppo seria per stare sul viso di un bambino di sei anni; -La mia vita, intendo.-

-Che cosa intendi? Stai parlando di New York? Beh, non c’è di che, ma è stato un lavoro abbastanza comunitario e relativamente disinteressato.- risponde l’adulto.

-No.- Peter dice con forza, facendo scomparire l’espressione di noia dal volto di Stark, che ora si appresta ad ascoltarlo con più attenzione : -È stato un anno fa… All’Expo Stark.-

-Tu… eri lì?- Tony domanda, di colpo più pallido.

-Io ero il bambino che ha fermato il drone, prima che lo distruggessi. Io ero quello che… beh…- continua piano, portando finalmente gli occhi su di lui per poi alzare il braccio e infine aprire il palmo della mano. Dovrebbe essere impossibile ma improvvisamente a Stark sembra davvero di riconoscerlo. Da quando è tornato dall'Afghanistan parla sempre di retaggio, ma non ha mai pensato che quel retaggio potessere essere un bambino allevato da lui. Cerca di scacciare quel pensiero, ma come sempre quando un’idea prende posto nella sua mente difficilmente la abbandona.

-Hai famiglia?- ha chiesto una volta a un uomo in una grotta e quando questi ha scoperto che era solo aveva sorriso bonariamente, un’espressione triste negli occhi; -Allora tu sei un uomo che ha tutto… e niente.-

Non aveva forse avuto ragione? Pepper gli ha insegnato cosa significa lasciar avvicinare un’altra persona quel che basta per potersi innamorare di qualcun altro al di fuori di se stessi, Rhodes il valore della fedeltà di un fratello, verso la propria famiglia e la propria casa. Dannazione, anche i Vendicatori gli hanno insegnato cosa significa essere disperati al fianco di qualcun altro, la consapevolezza che potrai anche cadere, ma non lo farai da solo.

Per quanto riguarda il retaggio, quello di cui tanto parla, con cui si riempie la bocca… quello è ancora astratto e lontano. Eppure vive nel piccolo Peter anche adesso, in questo momento, e lo farà sempre perché che lo prenda con sé o meno, vivrà nel mondo che gli lascerà.

-Dannazione- sbotta, dopo essersi accorto di essere rimasto in silenzio per troppo tempo e di aver perso questa battaglia, forse anche la guerra; il piccolo Davide ha colpito Golia in pieno.

-Tu lo sapevi. Sapevi che portandolo avresti distrutto il mio egocentrico mondo.-

-È un ragazzo sveglio.-

 






 
nda
 
grazie per essere arrivati fin qui. inizio dicendo che i personaggi non mi appartengono.

per quanto riguarda il prossimo capitolo, esperimenti esploderanno, pazienze esploderanno, persone esploderanno e infine, case esploderanno. praticamente Iron Man 3 ma condito con un pizzico di piccolo Peter.
 
stay tuned,
your Humble Narrator
l'aura grey
 

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Capitolo 3
*** Grida sott'acqua ***






 

3.

-Mio il tetto, mie le regole.- è stata la prima condizione di Stark una volta che Peter è passato ufficialmente sotto la sua giurisdizione. Assieme ai suoi pochi averi (vestiti e libri) Fury aveva fatto scaricare anche il programma che aveva seguito negli ultimi mesi e che comprendeva numerose visite mediche assieme al ligio regime di lezioni e allenamenti fisici. Era finito quasi tutto nella spazzatura, molti vestiti compresi.

-Pepper, questo è Peter, starà con noi a tempo indeterminato. Peter, Pepper, amministratrice delegata delle Stark Industries nonché il motivo per cui sono al momento in una relazione e una routine abbastanza stabile.- è invece la veloce presentazione tenuta quella sera, che ha visto successivamente Pepper cercare di dare un senso alla cosa e capire il nuovo ruolo di Peter nella loro casa e, soprattutto, nella loro vita.

La prima notte Peter dorme in una delle stanze degli ospiti, l’enorme vetrata che si affaccia sul mare nero di Malibu. O meglio, dovrebbe dormire. Se ne sta invece a gambe incrociate di fronte al vetro, il viso rivolto al cielo dove le stelle brillano imperturbate nella notte, in attesa di vedere quella cometa che è Iron Man volare via da questa nuova responsabilità.

Il mattino dopo si sveglia sdraiato per terra, con un cuscino sotto la testa e una coperta sulle spalle. La colazione è servita da Pepper, che deve correre a lavoro; -Tony ti aspetta di sotto. Là ci sono i vestiti che ha ordinato per te, dovrebbero andarti. Se vuoi fatti aiutare a sistemarli, altrimenti lo faranno quelli delle pulizie.- gli annuncia, sulle labbra un sorriso già stanco, mentre corre verso Happy che l’aspetta all’ingresso, la porta della limousine aperta per lei.

Peter fa colazione con calma, scegliendo tra le vaste possibilità che sembrano essere comparse dal nulla dei semplici cereali con latte e afferra una banana prima di incamminarsi, scalzo, verso la scala a chiocciola, ignorando i pacchi coi vestiti nuovi. Per ora gli va bene andare in giro in pigiama. Mordicchia distrattamente il frutto quando si ritrova davanti le vetrate del laboratorio e sgrana gli occhi nel vedere gli esperimenti e gli attrezzi lasciati in giro. Ferrovecchio si volta verso di lui, un cappello con su scritto Asino su quella che viene considerata la testa, e dopo una veloce scansione gli apre la porta.

Stark è seduto a un tavolo che fa ballare il piede al ritmo di musica: -Lezione numero uno.- inizia a dire senza neanche voltarsi nella sua direzione; -Gli AC/DC sono intoccabili, pilastri della musica, assieme ad altri che ti farò ascoltare. Questa è “Back in Black”; buoni gusti in fatto di musica sono importanti per un uomo.- alza il dito, abbassando poi il volume da ‘spacca muri’ a ‘possiamo parlare senza urlare’; -Lezione numero uno: ascoltiamo solo roba buona in questa cosa.-

Peter, che continua a sbocconcellare la sua banana, gli rivolge uno sguardo confuso ma finisce per annuire, allungando poi la mano per indicare quello che sembra un pezzo dell’armatura su cui Stark sembra star lavorando: -Cos’è quello?-

Tony lancia un veloce sguardo all’oggetto in questione e risponde alla domanda con un veloce cenno con la mano: -Niente che tu dovrai toccare, sporcare o dislocare. In verità non sono neanche sicuro che tu debba stare qua sotto, per la sicurezza del mio lavoro… e tua, ovviamente. Anche la tua, anche se mi sembra di capire che sei un ragazzino resistente.-

Peter ridacchia alle parole dell’altro, che non sembra essere diverso dal Tony Stark che appare in tv nei telegiornali; -Non toccherò niente.- promette, una mano dietro la schiena e le dita incrociate.

Stark non sembra del tutto convinto ma con un sospiro torna a lavoro: avere un bambino in giro per casa gli sembra già stancante; -Ok, allora, io ho delle cose da fare. Se non tocchi niente hai il permesso di girare, guardarti intorno. Puoi anche salire in una delle macchine se questo ti fa stare buono, solo… non starmi troppo tra i piedi.- afferma, deciso a finire il braccio della Mac24 prima di pranzo… per poi accorgersi del senso di deja vu che le sue stesse parole gli hanno creato. È con un brivido che gli attraversa la schiena che rivede suo padre dire le stesse parole ma dopo essersi morso il labbro decide di posticipare i cattivi pensieri dopo il pasto.

Peter è stato in mezzo a persone che non si volevano curare di lui abbastanza da riconoscerne un’altra e le ultime parole vanno a intaccare quella piccola speranza di non dover più cercare un posto e qualcuno per cui era solo un peso. Quando Stark però borbotta qualcosa di molto simile a: -Dopo pranzo cercheremo di capire cosa fare di te… e poi quante volte al giorno mangia un bambino? Avrò bisogno di risistemare i miei orari…- Peter si ritrova a fare un piccolo sorriso per fare come gli è stato detto, girare tra la robaccia sparsa in giro.

Stark lo ha voluto, ha detto sì; forse non subito, forse non troppo convinto, ma è un eroe e gli eroi mantengono la parola data.

La prima tappa sono ovviamente le armature messe in esposizione che osserva a occhi sgranati; si avvicina fino a quando non gli fa male il collo e non rischia di cadere all’indietro a causa di quanto sta piegando la testa verso l’alto, ma non osa sfiorarle a causa dell’avvertimento di Stark. Sono più grandi di quel che si aspettava, lucenti e piene di avventure e gesti eroici di cui raccontare. Peter rimane fermo lì davanti per così tanto tempo che Tony si scorda completamente della sua presenza fino a quando il bambino non ricomincia a muoversi per continuare il tour.

Osserva con interesse i tavoli e i vari aggeggi che ci sono sopra, non rischiando con le macchine ma allungando le mani per accarezzare gli attrezzi di lavoro: -Ah, ah! Giovanotto! Ti vedo- arriva il richiamo di Stark e veloce come il vento Peter ritira le dita. Passa quindi a studiare i quadri appesi, ma quelli sono di poco interesse e quindi si catapulta sulle macchine, che scintillano quasi quanto le armature. Visto che ha avuto il permesso si arrampica dentro una decappottabile, deciso a ignorare la portiera, e una volta seduto al posto del conducente si diverte giocando col volante o gli abbaglianti, tanto che gli arriva il richiamo dell’adulto, disturbato dei continui flash: -E pulisciti le mani, che saranno sporche di banana!- Tony aggiunge esasperato e proprio in quel momento Peter si chiede dove abbia lasciato la buccia, perché proprio non lo ricorda.

A rispondere la sua domanda ci pensa un forte rumore, seguito da un’imprecazione di Stark, seguita a sua volta da un’esplosione e una serie di comandi urlati a Jarvis che comunque non riesce a impedire a diversi sistemi di sicurezza di mettersi in moto, tra cui Ferrovecchio che inizia a inondare il laboratorio con un estintore. Peter non fa in tempo ad alzare la testa da oltre la portiera per vedere cosa sta succedendo che un: -ABBASSATI!- lo avverte giusto in tempo e riesce a evitare la mano della Mac24 evidentemente sfuggita al controllo del suo padrone e che si era messa a volare nella sua direzione.

Il bambino si tocca la faccia per vedere se evidentemente è ancora al suo posto.

Passano un paio di minuti prima che Stark riesca a spegnere tutto e mettere il laboratorio in sicurezza e questo il bambino lo capisce quando un’ombra compare a troneggiare su di lui, il fuoco negli occhi dell’uomo: -Ma tu non mi avevi promesso di non toccare niente?!-

-Avevo le dita incrociate… E poi tecnicamente non ho toccato nulla, ho solo dimenticato la buccia.-

-... va bene, mi sembra legittimo. Ma ciò non toglie il fatto che tu sia bandito dal laboratorio, con effetto IMMEDIATO.- Tony praticamente ruggisce a un Peter sempre più raggomitolato nel sedile della macchina.

Stark fa poi un passo indietro e chiude gli occhi, cercando evidentemente di riacquistare il controllo -Ok… ok… Questo non lo diciamo a nessuno, così non vengono a sapere che io sono un pessimo tutore e tu sei un pessimo protetto. Ok? Ehi, guardami, ok?-

-Ok...-

Incredibili le cose che si possono effettivamente ottenere con una buccia di banana dimenticata in giro.




 

4.

La vita nella magione Stark non è monotona.

Peter ha fatto amicizia con Pepper, che sembra essere dolce quanto zia May e allo stesso tempo risoluta come lo era sua madre, almeno secondo i racconti. Jarvis, la voce che viene dai muri (l'intelligenza artificiale che si occupa di tutto ciò che è tecnologico in casa, spiega Tony) è simpatico e volte gli rivolge risposte sarcastiche che gli lasciano un sorriso sul viso troppo abituato a una triste espressione da quasi un anno a questa parte.

La mattina fa colazione con Pepper, poi la saluta quando va a lavoro e aspetta che arrivi Jonas, il suo maestro, con cui studia tutta la mattina; leggere e scrivere non sono un problema da tempo, visto che lo zio Ben si era sempre offerto di insegnargli, mentre aspira a imparare cose circuiti elettrici, motori o impianti. Il maestro ride e gli dice che neppure dovrebbe saperle, quelle parole, ma Peter è risoluto poiché sa che alla sua età Tony sapeva già tutte quelle cose. Quando ne ha parlato con il genio, però, questi si è adombrato per rispondergli che c’è un motivo per cui un bambino non dovrebbe saperle. Non che questo abbia fatto desistere Peter.

Dopo un pranzo leggero ha la casa tutta per sé. Il laboratorio gli è stato recluso dal giorno uno, quindi passa le giornate a passeggiare tra una camera e l’altra, passando le dita sui vetri al suo passaggio, anche se sa che non dovrebbe. Comunque non c’è nessuno che lo rimproveri, anche Jarvis non l’ha più avvertito dopo la prima volta. Alle quattro arriva l’istruttrice di autodifesa e per due ore passano da una disciplina all’altra; Jenny è simpatica e per lo più silenziosa, ma pronta a parlare per correggerlo o lodarlo e la sua voce dolce piace a Peter, che spesso finisce le lezioni stanco ma contento.

Dopo un po’ di attesa torna Pepper e a volte al tavolo per cenare si aggiunge anche Happy, quando hanno sforato con l’orario e arriverebbe a casa sua troppo tardi. Spesso portano cose già pronte ma sono buone lo stesso. Di solito bisogna aspettare che il piatto di Tony sia freddo nonostante il coperchio che è stato messo sopra per vederlo risorgere dal laboratorio, le mani sporche di olio e i capelli in disordine.

-Com’è stata la giornata?- è la domanda rituale di Pepper.

-Ah, ottima. Abbiamo studiato e poi passato un buon pomeriggio, non è vero, Peter?- Tony risponde e il bambino sa che tecnicamente è corretto, quindi annuisce in silenzio. La bionda sembra soddisfatta, probabilmente troppo stanca per voler indagare di più le parole dell’uomo. -Immagino vi faccia bene passare del tempo insieme.- commenta di tanto in tanto.

Peter non dice mai niente, forse per non voler far preoccupare Pepper, forse perché infondo ha paura che Stark possa cambiare idea e rimandarlo tra le mani dell’uomo con la benda sull’occhio. Eppure, per lui, l’uomo è ancora quella creatura incredibile, lontana e misteriosa che ha visto negli schermi televisivi o sui palchi. Sente quasi più vicino il Tony che a sei anni aveva costruito il primo motore. Quindi rimane in silenzio e ascolta i due adulti chiacchierare, litigare, scherzare, rispondendo alle loro domande e ridendo quando anche lui capisce la battuta.

I mesi passano, ogni tanto osserva Iron Man uscire di casa e volare sopra Malibu prima di scomparire in mezzo alle stelle o le nuvole, prosegue coi suoi studi e i suoi allenamenti, ascolta le discussioni tra Tony e Pepper sul fatto che dovrebbe stare in mezzo ad altri bambini, ma il miliardario lo impedisce perché non sarebbe “al sicuro” e quindi sono da punto a capo. Lentamente, ma non troppo, Stark diventa sempre più schivo e pronto a saltare a ogni minimo rumore, così come a rispondere bruscamente se Peter domanda qualcosa che richieda qualcosa di più di dire a Jarvis di comprarla per lui e farla trovare nel piazzale.

-Non ho tempo, non vedi che sto lavorando! Ovviamente non puoi capire quanto sia importante.- è una frase che sente sempre più spesso.

Peter non ha mai vissuto senza avere qualcuno intorno che faccia attenzioni ai soldi o non compri qualcosa di seconda mano, è passato il tempo dove anche lui doveva fare dei sacrifici, o almeno capire cosa siano, ma non si è mai sentito così solo in quella che dovrebbe essere la sua casa.

È il 19 di agosto quando sente parlare per la prima volta del Mandarino.

Il colonnello Rhodes è un uomo gentile, l’unico oltre a Pepper che riesce a farsi ascoltare da Stark anche se spesso non sembra. Quando viene a trovarli a volte passa del tempo con Peter ed è simpatico anche se non sembra abituato a stare attorno ai bambini.

-Devo raccontarti di quella volta che…- il colonnello inizia spesso, per essere bloccato da Jarvis e il ricordo della minaccia fatta del padrone di casa. L’uomo si zittisce subito e cambia argomento fino alla comparsa di Stark dalle scale, che si pulisce le mani in un fazzoletto: -Tenti di screditarmi davanti al ragazzo, eh, Rhodey?- lo prende in giro mentre l’altro cerca di recuperare un po’ di dignità.

-È giusto che sappia anche i peccati dell’uomo con cui condivide il tetto- risponde, scherzando ma non troppo, nei confronti di Stark che ride.

-In ogni caso, non sono qua per prenderti in giro. Immagino avrai già sentito degli attentati al telegiornale?-

-Attentati? Quali attentati?- domanda innocentemente Stark mentre si apre una bibita energetica.

-Come se non tenessi d’occhio quel che succede in maniera ossessiva compulsiva, rompendo in continuazione le palle a me e a quelli della sicurezza. Ops, scusa per la parolaccia, Peter.- Stark si limita a ridere per poi fare un cenno all’altro perché continui.

Sono proprio i peccati di Stark che li raggiungono, sotto forma di bombe e attacchi di panico. Peter ha perso il conto delle volte in cui Tony con un brusco gesto di mano gli dice di andare a fare qualcos’altro perché è occupato e spesso l’unica interazione che ha con lui, tolta la cena, è andare a sedersi sulla cima delle scale in modo tale da non farsi vedere (chiedendo a Jarvis di non dire niente, per favore) e osservarlo lavorare alle sue armature, tutte diverse, che sembrano non finire mai.

Peter immagina che il lavoro sia il modo di Stark di essere contento, come diceva sempre zio Ben, ma quando torna su dal laboratorio è sempre più teso e sgarbato (tutti atteggiamenti che davanti a Pepper ovviamente scompaiono). Peter osserva, in silenzio, mentre un’armatura dopo l’altra finisce sotto al pavimento, nascosta al mondo esterno.

Ma tutto sommato per un paio di mesi tutto sembra tranquillo, Halloween, la festività preferita del bimbo, passa con pochi festeggiamenti alla magione Stark ma a Peter viene permesso di stare tutto il giorno con indosso un costume da ragno e saltare da una parete all’altra, gridando: -Sono fantastico!- e la sera, a cena, fa indossare delle orecchie da topo a tutti gli adulti che, per una volta, sembrano disposti a farlo sgarrare ai rigidi ritmi e regole.

Non c’è limite (o quasi) di dolciumi e zucche alla magione Stark e gli viene concesso anche di andare a letto un’ora dopo il solito; il tutto si riassume in un Peter che corre su e giù tra scale e salotto, mentre cerca di raccontare storie dell’orrore inventate sul momento che ottengono più il risultato di far ridere, che spaventare; persino Happy si ritrova a sorridere di tanto in tanto. Quando infine viene creato un fortino perché si possano nascondere le caramelle e raccontare seriamente qualche storia paurosa, Peter si appoggia al fianco di Pepper per addormentarsi nel giro di pochi minuti, esausto.

La donna lo osserva, sulle labbra un tenue sorriso; non mai stata una che pensava ai bambini, ha sempre messo la carriera prima di tutto e non se ne è mai pentita. Poi è arrivato Stark, un fanciullo mai cresciuto, eterno Peter Pan, e pensava di sapere cosa provavano le madri esasperate. Poi se n’era innamorata e per quanto il suo atteggiamento infantile non sia cambiato l’affetto e l’amore che provava per lui lo sono di certo. In ogni caso, di certo non si era mai aspettata di avere un bambino per casa (al di fuori di Tony) e le poche volte in cui aveva provato a immaginarlo le era sempre comparse immagini di terrore e una vita rovinata.

Ma per quanto Peter non sia suo, per quanto alla fine non lo vede probabilmente quanto dovrebbe, le sembra a poco a poco che le stia insegnando cosa significhi essere una figura di riferimento, e quando lo stringe a sé come adesso e gli sposta una ciocca di capelli dalla fronte prova una fitta al cuore che comprende essere un istinto di protezione, di voler tenere al sicuro, al caldo, e questo la scalda un poco e l’aiuta ad arrivare a fine giornata meno stanca.

Forse non tutti i bambini sono così, forse Peter è davvero speciale, e non per il morso di un ragno ma per aver perso così tanto in così poco tempo ma essere ancora capace di sorridere nella maniera in cui fa.

-Ti sembrerà una cavolata… ma per certo aspetti mi ricorda te. Ha una volontà molto forte ed è fin troppo pronto a saltare in nuovi progetti senza voler pensare a come lo ridurranno.- Pepper sussurra, spostando finalmente lo sguardo del bambino al divano, dove crede di aver lasciato Tony. Invece lo spazio tra i cuscini è vuoto e ora che ci fa attenzione sente dei rumori provenire dalle scale, i soliti che simboleggiano l’inizio degli ennesimi esperimenti del genio.

Pepper sospira, decisa a non cercare lo scontro in una serata che, nonostante la non partecipazione di Tony, è stata comunque bella e si sistema meglio tra i cuscini del fortino, lasciando che Peter le si accoccoli al fianco. Happy ha lasciato la casa da un po’, quindi sono solo lei e il bambino. Sa che potrebbe andare a letto, portare Peter nella sua cameretta (che per quanto ormai sia qua da mesi sembra ancora una stanza degli ospiti), che domani mattina rimpiangerà la decisione di dormire sul pavimento, ma in poco tempo il respiro regolare e tranquillo del bambino sul suo collo, la sua presenza calda al suo fianco, la cullano in un sonno rilassato.

Jarvis, ormai rimasto solo, abbassa le luci, deciso a lasciare gli abitanti della casa tranquilli e protetti fino al mattino.



 

5.

Altre bombe scoppiano, Rhodes torna sempre più spesso, Pepper e Tony litigano, Happy rimane ferito e il mondo di fuori sembra sempre più cupo e spaventoso, anche con la presenza silenziosa dei Vendicatori.

-E nella possibilità che tu sia un uomo, ecco il mio indirizzo di casa: 10-8-80 Malibu Point, 90265. Lascerò la porta aperta. Era quello che volevi, giusto?- Peter sente Stark dire, di fronte a decine di telecamere e osserva a occhi sgranati mentre quello che dovrebbe essere il suo tutore se ne va in fretta e furia, fuggendo dall’ospedale e dal corpo in fin di vita di Happy. Pepper gli stringe la mano fino a fargli male ma lui non dice niente.

Per la prima volta da tempo quel senso di sicurezza di essere comunque a casa, di essere comunque protetto, scompare e le mura che lo circondano sembrano ora inospitali, fredde e aliene, come il loro padrone.

 






 
nda
 
grazie per essere arrivati fin qui. inizio dicendo che i personaggi non mi appartengono.

nel prossimo capitolo, i bambini raggiungono il picco massimo di presenze, Peter e Pepper scoprono cosa vuol dire stare nelle mani dei cattivi, Tony si ritrova col sedere congelato a rubare un poncho a una statua di legno e Happy si ritrova a spoilerarsi senza volerlo la trama di Downton Abbey
 
stay tuned,
your Humble Narrator
l'aura grey
 

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