Encore

di Blackberry23
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nouveau départ ***
Capitolo 2: *** Le miroir ***
Capitolo 3: *** Un coup de tête ***
Capitolo 4: *** Bonjour ***
Capitolo 5: *** Ensemble ***
Capitolo 6: *** Problèmes ***
Capitolo 7: *** Déjà vu ***
Capitolo 8: *** À quoi tu t'attendais? ***
Capitolo 9: *** Le fou ***
Capitolo 10: *** Pensées ***
Capitolo 11: *** Ma peau t'aime ***
Capitolo 12: *** Perdre quelqu'un ***
Capitolo 13: *** Métamorphose ***
Capitolo 14: *** Souvenirs ***
Capitolo 15: *** Prise de décision ***
Capitolo 16: *** Combats-moi ***
Capitolo 17: *** Proies et prédateurs ***
Capitolo 18: *** Les rides font peur ***
Capitolo 19: *** Premières expériences ***
Capitolo 20: *** Dans le terrier du lapin ***
Capitolo 21: *** Le fouet ***
Capitolo 22: *** Action ***
Capitolo 23: *** Voix et cages ***
Capitolo 24: *** Sacrifice ***



Capitolo 1
*** Un nouveau départ ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Mia Ikumi e Reiko Yoshida. Questa storia non ha alcuno scopo di lucro.


Lui è qui.

Ti ha vista.

Corri.

Ti grida di fermarti.

Corri.

Lo senti vicino, ti sta raggiungendo.

Corri più forte.

Il cuore ti batte a mille, i rovi si impigliano ai tuoi vestiti, li strappano e ti feriscono la pelle.

Non importa, ormai non c’è più tempo. Pensa solo a correre.

Sei stanca, hai il fiatone. Provare a nasconderti tra la vegetazione più fitta non servirebbe a niente, c’è la luna piena. 

E lui è sempre più vicino.

Laggiù c’è un ponte sospeso nel vuoto. È pericolante. Esiti. Hai paura. Ti senti in trappola.

Perché non buttarsi?

È tutto inutile, la sua mano ti afferra il braccio. È finita.

È finita.

 

Ichigo si svegliò di soprassalto. Era solo un sogno...  e la sveglia sul comodino segnava le tre del mattino. La ragazza si massaggiò le tempie, sospirando.                                                                                                                         

« Maledetto tormento! » pensò.                                                                                                                                                                   

Da giorni, precisamente da quando era rientrata a Tokyo, era perseguitata dallo stesso incubo: scappare dal nemico che la inseguiva in una foresta buia. Ma chi era questo nemico? Non lo sapeva: si svegliava sempre prima di voltarsi verso il suo aggressore. E completamente sudata, come se avesse corso all’impazzata davvero. Decise di andare in bagno per sciacquarsi la faccia. Si guardò allo specchio.                                                                      

Ichigo Momomiya, 23 anni, lunghi capelli rossi arruffati e una laurea in veterinaria conseguita a Londra. Tornata a casa per proseguire gli studi, per mettere in pratica quanto imparato e per ricominciare senza Masaya Aoyama.
« Soprattutto per ricominciare senza Masaya Aoyama... » si corresse ridendo.
Già, Aoyama-kun... per lui, il suo cosiddetto grande amore, si era sacrificata per salvare la Terra. Per lui, aveva studiato con fervore l’inglese. Per lui, si era trasferita nel Regno Unito, lasciando la squadra Mew Mew a tempo indefinito. Ma non bisognava dare tutto il merito al suo ex: se aveva ottenuto a pieni voti il Bachelor of Veterinary Medicine, lo doveva solo a se stessa. Dopo la fine del Progetto Mew, infatti, si era responsabilizzata, trasformandosi da pasticciona ritardataria a studentessa modello. Certo, Masaya aveva contribuito a tirar fuori il meglio di lei, però era stata la sua grande passione per gli animali unita al suo passato da “angelo protettore della Terra custode” a spingerla a compiere quel tipo di studi. All’epoca, pensava di aver trovato l’Amore e di non poter vivere senza di lui… ma era amore? Lei era solo un’adolescente cresciuta nella logica di un Paese maschilista. D’altronde, che ne sapevano due ragazzini della vita e del facile crollo dei castelli in aria?                                                                                                                                                      

Lui era sempre così tranquillo, ligio al dovere, conservatore, protettivo all’eccesso. Lei invece era impulsiva, sognatrice, ribelle… e libera. Sì, libera. I geni del Gatto Selvatico di Iriomote si erano fatti sentire, un po’ come nel film Catwoman. Per quanto Masaya fosse importante, Ichigo aveva capito che poteva farcela benissimo da sola e che non aveva bisogno di lui. Non le serviva un uomo che decidesse ogni aspetto della sua vita, non voleva diventare una semplice casalinga come sua madre. Così, il “per sempre” le era sembrato una minaccia. E aveva osato: aveva rifiutato la sua proposta di matrimonio, lasciandolo. A nulla erano valse le sue proteste, lei era stata irremovibile. Era cresciuta. E aveva voglia di ricominciare a vivere.

Dopo aver trascorso il resto della nottata insonne, Ichigo decise di fare una passeggiata. Sebbene fosse rientrata in Giappone da una settimana, non aveva avuto ancora modo di rivedere tutta la squadra Mew Mew. Zakuro risiedeva ormai negli Stati Uniti, dove alternava la carriera di modella a quella di attrice, Purin era tornata in Cina dal padre e Retasu era partita con un’associazione di ambientalisti per un progetto di osservazione e censimento della fauna marina in Sudafrica. Solo Minto era rimasta a Tokyo: un brutto incidente di qualche anno fa l’aveva costretta alla sedia a rotelle e ad abbandonare il sogno di diventare una grande ballerina. Tuttavia, la passione le era rimasta e l’aveva portata ad aprire la propria scuola di danza classica. Quella sera si sarebbe svolto il saggio di fine anno, ovvero uno spettacolo basato sul romanzo di Lewis Carroll “Alice nel Paese delle meraviglie”, a cui Ichigo era stata invitata ad assistere.

– Vedrai come sono brave le mie allieve! Non avrebbe potuto essere altrimenti! – aveva declamato a gran voce Minto, quando erano uscite insieme.                                                                                                                                                                                                    

Sommersa nei propri pensieri, Ichigo non si era accorta di essere giunta nella via in cui le era stato rubato il primo bacio. L'alieno l'aveva presa alla sprovvista e in quel momento lei era troppo stupita per opporsi. Senza volerlo, si passò la lingua sulle labbra, che strinse brevemente l’una contro l’altra come per far ritornare il sapore di quel bacio che ormai le sembrava surreale, quasi come se fosse stato tutto un sogno. Ma non aveva sognato. Era successo davvero ed era passato così tanto tempo da quel giorno… chissà che fine aveva fatto Kisshu! Lui e i suoi fratelli erano tornati sul loro pianeta? L'Acqua Mew era bastata a salvare la loro gente? E lui si ricordava di lei?
La ragazza tirò un lungo sospiro.
« Non bisogna che mi faccia delle illusioni: mi considerava solo come un giochetto, era un’infatuazione momentanea da adolescente » si disse risoluta, scuotendo la testa. Però… però l’aveva svegliata dal sonno incantato provocato dal Chimero, si era dichiarato più volte e soprattutto… soprattutto aveva sacrificato ogni cosa per lei. Ed era inutile negarlo: lui aveva fatto esattamente quello che lei aveva fatto per Aoyama. Pensando che fosse amore… ma era amore?

 

***​
 

– Capitano, ci siamo! Quella laggiù è la Terra!

Non gli sembrava vero. Dopo tutti quegli anni… stavolta le cose sarebbero andate diversamente. Avrebbe vissuto ogni istanteavrebbe compiuto la sua vendetta.

– Finalmente! – esclamò il capitano della navicella spaziale con un ghigno. – Tutti ai propri posti! Prepararsi all’atterraggio in 10… 9… 8…

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Capitolo 2
*** Le miroir ***


Quella sera, dopo lo spettacolo, Minto restò a lungo sulla terrazza di camera sua, con un bicchiere di vino rosso in mano, a riflettere sulla giornata appena trascorsa. La notte era dolce ed una pallida luna faceva capolino da dietro una nuvola color grigio fumo. Sarebbe stato il momento perfetto per una sigaretta, ma lei aveva smesso di fumare grazie alle ramanzine della sua governante. O meglio, aveva provato a smettere di fumare, e ciò significava semplicemente che non fumava più a casa ma solo al lavoro. Sospirò e alzò gli occhi al cielo. La giornata era cominciata così bene: aveva deciso che sarebbe stato un giorno particolarmente bello e che lei stessa sarebbe stata particolarmente bella. Per le prove generali, aveva messo il suo vestito preferito – un modello puntato da minuscoli fiori blu chiaro con scollatura tonda e maniche trasparenti – accompagnato da orecchini turchesi che avevano oscillato ad ogni suo movimento. Per il saggio, invece, aveva optato per un lungo abito da sera di Ferragamo abbinato a delle scarpe décolleté blu con tacco alto. Scarpe che indossava ancora.
« L’ironia non ha prezzo » pensò sorridendo. 
Ogni giorno, da dopo l’incidente, riceveva nella sua villa un team di fisioterapisti per fare gli esercizi indispensabili. Un po’ stancante, certo, ma paradossalmente la fatica la faceva stare meglio perché le ricordava i duri allenamenti di danza a cui si sottoponeva quando aveva ancora l’uso delle gambe. Ora doveva accontentarsi di osservare e correggere le sue allieve, di inventare coreografie con l’aiuto delle più grandi e, quando le lezioni erano finite, di restare da sola e ballare con le braccia. Guardarsi allo specchio le faceva tremendamente male. La carrozzina stonava di brutto, lo sapeva bene. Ma non poteva farci proprio nulla: era successo. Durante il suo stage all’Opéra di Parigi, per l’appunto. La fine del sogno di una vita. Fortunatamente, la sua famiglia era ricca e lei aveva potuto facilmente aprire la sua scuola di danza, per far finta di dimenticare il dolore che il grave incidente automobilistico in cui era rimasta coinvolta le aveva provocato. Si era però ripromessa di curare sempre personalmente la coreografia degli spettacoli e di non affidarsi alle altre insegnanti, ma alle allieve più brave: voleva sentirsi al centro della scena solo attraverso i loro movimenti. E quella sera, grazie a Mirai e Sakura, si era immaginata rispettivamente nei ruoli di Alice e del Brucaliffo: il primo perché voleva vedersi come prima ballerina, il secondo perché sapeva cosa si provava ad avere le ali. E anche perché aveva deciso di far rappresentare le zampe di Sakura alle bambine più piccole – vederle tutte insieme in fila indiana, piegate vicine per nascondere la testa e formare così il corpo del bruco, mentre facevano volutamente passi di danza diversi, le aveva scaldato il cuore. Ma questo non lo avrebbe mai ammesso: era pur sempre l’erede degli Aizawa, oltre che direttrice della scuola, non poteva lasciarsi andare ai sentimentalismi in pubblico. A quello ci aveva sempre pensato Ichigo.

Già, Ichigo. Dopo il saggio l’aveva invitata a fermarsi a casa sua in nome dei vecchi tempi e adesso stava occupando il bagno da parecchio.
« Certe cose non cambiano mai! » si disse tra sé e sé, bevendo un sorso di vino.

– Scusami Minto, togliere tutto il trucco che avevo usato per coprire le occhiaie ha richiesto più del previsto! E poi i prodotti che mi hai prestato sono fantastici, dovevo provarli tutti! – disse la rossa ridacchiando imbarazzata, a modo di scusa.

– Lascia perdere. Piuttosto, voglio sperare che non me li hai finiti: arrivano direttamente dalla Francia. La prossima volta, se vuoi nascondere la vecchiaia, fatti un lifting! – le rispose maliziosamente con un sorriso furbetto.

– Cosa? Vecchiaia? Guarda che abbiamo la stessa età! E io la porto alla grande!

– C’è solo un modo per dimostrarlo... – disse Minto ridendo. – Battaglia di cusciniiiiiiiiiii!

Le due ragazze trasformarono la stanza in un vero campo di battaglia e, tra colpi all’ultimo cuscino e risate a crepapelle, proseguirono il loro piccolo momento di follia fino allo sfinimento. La lotta si concluse in un soffio di piume bianche. Con le lacrime agli occhi, Ichigo si sforzò di ricomporsi.

– Che spasso! Era da tanto che non facevamo a cuscinate! E poi, non mi sarei mai aspettata che iniziassi tu che sei sempre così pos…

Ichigo si interruppe improvvisamente. Minto si era rabbuiata in viso: l’euforia del momento aveva ceduto il posto alla tristezza.

– Minto, che cosa c’è? – chiese preoccupata.

– Non giochiamo a fare le bambine da quando è successo – rispose lei amara.

– Minto…

– No, per favore. Non guardarmi così. Scusami, lo so che mi vuoi bene, ma io… io… io ci provo a non pensare più alla mia condizione, a dirmi che bisogna andare avanti lo stesso, ma… oh Ichigo! – disse scoppiando a piangere, – Sapessi quanto è difficile! 

– Minto! – sussurrò abbracciandola.

Rimasero strette così a lungo, senza parlare. Il silenzio di quel momento era interrotto solo dai singhiozzi della mora che, dopo un po’, si staccò dall’abbraccio.

– Sai, ho dei vuoti di memoria. Cioè… certi dettagli dell’incidente mi vengono in mente in disordine. Dettagli su cui vorrei solo chiudere gli occhi, come si fa quando c’è una luce troppo forte. Ma come faccio? Come faccio, quando la realtà si presenta ogni giorno della mia vita attraverso l’immagine di uno specchio? Attraverso lo sguardo di chi mi sta intorno? Non posso più ballare!  

Ichigo stette zitta. Poi, con voce roca, decise di parlare:

– Nella vita esistono limiti invalicabili. Noi, durante il Progetto Mew, ne abbiamo infranti parecchi. Ma l’Acqua Mew è finita sul nostro pianeta: non riusciamo più a trasformarci e non abbiamo più poteri. Non siamo capaci di compiere ancora dei miracoli. E non possiamo fare altro che accettarlo. Adattarsi è complicato, certo, però ricordati che non vuol dire accontentarsi. Siamo capaci di far rifiorire il buono di noi attraverso le piccole cose e di ricominciare. Stasera sei riuscita a realizzare uno spettacolo fantastico, hai dimostrato di avere tanta creatività. Non buttarti giù, pensa a tutto quello che hai fatto: la scuola, le varie coreografie, la bravura delle tue allieve. Non sei una sedia a rotelle, tu sei sempre una ballerina e sei una grande!

Minto si calmò.

– Ichigo…

« Grazie » pensò, buttandole le braccia al collo.

Un’improvvisa folata di vento fece risolvere le ragazze a chiudere la porta-finestra della camera di Minto e a coricarsi, ignare di quello che era appena successo: non era stata una semplice ventata, bensì uno spostamento d’aria causato da… teletrasporto.

 

 

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Capitolo 3
*** Un coup de tête ***


– Allora? 

– Brutte notizie, Capitano. Come temevamo, le Mew Mew hanno perso i loro poteri poiché l’Acqua Cristallo è definitivamente esaurita. Inoltre, in Giappone abbiamo trovato solamente Mew Ichigo e Mew Minto, che non è più capace di camminare, mentre le altre non sono state ancora localizzate. 

– Maledizione! – urlò l’alieno dagli occhi dorati, sbattendo il pugno contro la parete dell’astronave. – Questo rallenterà i nostri piani! 

Kisshu Ikisatashi era sempre stato un ragazzo passionale, facilmente in preda ai fumi dell’ira e famoso per perdere il controllo: il soldato terrorizzato che aveva di fronte lo sapeva benissimo e perciò tremava. Dopo la rinascita del loro pianeta grazie ai poteri dell’Acqua Mew, i fratelli Ikisatashi avevano ricevuto ogni possibile elogio ed erano considerati come degli eroi, tanto che il Consiglio degli Anziani, che aveva ripreso il potere dopo il tradimento di Deep Blue, li aveva promossi generale, colonnello e maggiore in base alla loro età. Ma erano in molti a non riuscire ad accettare il fatto che ciò fosse stato possibile solo con l’aiuto degli umani, che alla fine si erano dimostrati superiori e li avevano sconfitti, e l’idolatria di Deep Blue persisteva ancora in buona parte della popolazione. Il rancore si era intensificato nel tempo e aveva portato alla formazione di un gruppo di ribelli che, appoggiato anche da alcuni membri dell’élite aliena, era riuscito a seminare panico e distruzione sul pianeta, interrompendo così il periodo di pace che si era instaurato. Si trattava di una vera e propria guerra civile senza esclusione di colpi che mieteva ogni giorno numerose vittime, tra cui tanti bambini. Recentemente, i ribelli erano riusciti ad hackerare gli archivi segreti di Deep Blue, ottenendo un potente virus in grado di scatenare un attacco biologico letale. L’ex capo alieno aveva pensato di usare la suddetta arma virale per annientare il genere umano, in quanto non esisteva cura. Con la scoperta dell’Acqua Mew, si era però ricreduto e aveva abbandonato il progetto. Ma adesso che il Cristallo era finito, lo scenario era tragico: il virus era volutamente scagliato sulla popolazione aliena, creando un’epidemia spaventosa. I sintomi erano terribili e i tempi di propagazione rapidi: la malattia si manifestava con febbre alta, emorragie interne ed esterne, comparsa di ematomi, spasmi muscolari e gravi danni al cervello. Il paziente colpito era costretto ad una morte lenta e dolorosa. Il Consiglio aveva ordinato di isolare i focolai epidemici e a volte era stato necessario eliminarli a priori. L’Acqua Cristallo era la sola speranza per fermare quella guerra biologica e il conseguente massacro di innocenti. Kisshu aveva voluto compiere un disperato tentativo offrendo agli scienziati l’ultimo frammento esistente dell’Acqua Mew, quello contenuto nella sua collana, che aveva voluto conservare come ricordo della missione sulla Terra. E della sua micettaForse era possibile sintetizzare tale sostanza miracolosa in laboratorio, tuttavia per sapere se quanto riprodotto fosse veramente efficace servivano delle cavie, dato che la specie aliena non era in grado di reagire senza prima venire a contatto diretto con il Cristallo. Ma ciò era troppo pericoloso, perché in caso di fallimento non si voleva aggravare la condizione di chi era già affetto da atroci sofferenze. Ecco allora che il Consiglio aveva decretato di servirsi delle Mew Mew, capaci di reagire all’Acqua anche senza un contatto diretto, e di analizzare a fondo il loro DNA. Quello studio avrebbe potuto essere utile per creare un’arma da usare contro i nemici, poco importava se sarebbe stato doloroso per le umane. Il disprezzo per i terrestri non era molto mutato.

« Ichigo… » pensò Kisshu. Non l’aveva mai dimenticata, anzi: a causa sua era diventato matto. L’aveva odiata e si era odiato per la sua debolezza. Aveva cercato conforto tra le braccia di tante ragazze della sua specie e ciò non era servito a nulla. Erano passati dieci anni, ma non aveva mai provato un sentimento così forte per nessun’altra. Prima di conoscerla aveva avuto le sue esperienze, come tanti altri adolescenti, mentre le brevi relazioni che aveva avuto al ritorno dalla Terra erano state più una necessità, uno sfogo. Per dimenticarla… 
Malgrado tutto, ci era ricascato. Quando un commilitone lo aveva schernito per essersi infatuato di una “sporca umana”, non aveva esitato a prenderlo a pugni e ciò gli era costato il declassamento da colonnello a capitano. E questo grazie al tempestivo intervento di suo fratello, il generale Pai, altrimenti sarebbe stato pure peggio. Per lei, aveva perso ancora il suo onore.

Una parte di lui sperava che l’Acqua Cristallo si fosse rigenerata sulla Terra, in modo da semplificare la situazione. E per non fare del male alla sua gattina. Ma aveva subito soppresso quel pensiero: lei non lo aveva mai amato. Avrebbe gioito nel vederla soffrire. Lui aveva patito tanto per lei. Lei, sempre e solo lei. Era un’umana. Era solo un’umana. Così bella, così fragile

« Basta! » si disse.

L’Acqua Cristallo era in grado di conferire alle ragazze Mew Mew grandi poteri e il loro patrimonio genetico, che era stato modificato per sempre, avrebbe reagito alla nuova, raggiungendo lo scopo.

– Trovatemi l’intera squadra Mew Mew! – tuonò.

– Agli ordini, Capitano!

 

***​

Cara Ichigo,

mi dispiace sapere della tua insonnia. Prova a bere qualche tisana o camomilla prima di andare a dormire, vedrai che avrai dei miglioramenti. 

Il mio viaggio in Sudafrica si sta rivelando un’esperienza fantastica! La varietà delle specie ittiche presenti è sorprendente, è possibile incontrare di tutto: balene, delfini, razze, tartarughe, murene, squali tigre, squali toro, squali bianchi… insomma, la biodiversità marina ci tiene impegnati durante le nostre immersioni.

Ancora non so quando tornerò a Tokyo, qui c’è tanto da fare. Mi serviva, sai, staccare un po’ la spina. Perché non vieni anche tu, magari insieme a Minto? È una proposta stupida, lo so, però mi mancate tanto. Zakuro è irreperibile e Purin è sempre occupata a badare ai suoi fratelli e ad insegnare nella scuola di arti marziali di famiglia, anche se sono sicura che verrebbe volentieri. 

Un abbraccio, 

Retasu

 

La ragazza rilesse velocemente quanto scritto nell’e-mail prima di cliccare su “Invia”. Eh sì, i tempi da Mew Mew erano finiti e la squadra si era sparsa un po’ in tutto il mondo. Era da tanto che non rivedeva le sue amiche tutte insieme. Sospirando, spense il computer e bevve un sorso di succo di frutta… che le andò subito di traverso. Lo schermo nero del PC le aveva restituito un’immagine alquanto strana.

– Eh eh, ci vedo sempre meno, eh eh eh, non c’è altra spiegazione! – disse Retasu con una risatina isterica, prendendo una salviettina per pulirsi gli occhiali.

– Ecco fatto! Ora me li rimetto davanti allo specchio della stanza… che dovrebbe essere lì… o forse qui… 

Sboing. Craniata.

– Sì, eccolo, trovato eh eh! – disse massaggiandosi la testa. – Vediamo un po’... oh cielo! – strillò.

Non si era sbagliata, sul décolleté le erano ricomparsi i segni da Mew Mew. 

– Eh eh eh… – continuò…

… e svenne.

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Capitolo 4
*** Bonjour ***


– Sveglia dormiglioni, la colazione è pronta! – urlò a pieni polmoni Purin. – Alzatevi senza fare troppe storie, Papà vi aspetta in palestra per l’allenamento quotidiano! 
– Onee-sama…  
– È presto… lasciaci dormire! 
– Ho sonnoooooooo… 
– Mmm… 
– … no… ancora cinque minuti… 
– Ma come? Chincha, Hanacha, Ruucha, Honcha, Heicha…  non sapete che il mattino ha l’oro in bocca? Forza, forza, forza! E poi, non vorrete deludere nostro padre, vero? – ribatté la ragazza.
– Mai! – gridarono tutti e cinque all’unisono, alzandosi di scatto.
I suoi fratelli, anche se adolescenti, richiedevano tante attenzioni… però era soddisfatta di come li aveva cresciuti.
La mamma sarebbe stata fiera di lei.
– Bene! Sappiate che oggi devo rientrare subito in Giappone. Niente di grave, non preoccupatevi, ma nei prossimi giorni sarà la nostra vicina, la signora Chan, a cucinare per voi. Quindi fate i bravi! – ammonì. – Ora giù in cucina… e mi raccomando, non scordatevi il pranzo che vi ho preparato! 
– Va bene… però torna presto! – dissero in coro i quattro ragazzi, dirigendosi in cucina dopo aver abbracciato la maggiore.
– Heicha, aspetta – sussurrò Purin alla sorella. – Ti devo dire una cosa: tieni d’occhio i nostri uomini mentre sono via, so che posso fidarmi di te! 
– Ok! Conta su di me! – rispose Heicha strizzandole l’occhio, prima di andare a fare colazione con gli altri.
Purin tirò un lungo sospiro di sollievo. « E anche questa è fatta! » pensò. Adesso non le restava che chiamare le altre e correre in aeroporto, dove avrebbe fatto il biglietto per Tokyo. In Giappone era già mattina, a Los Angeles erano un giorno indietro ma comunque in pieno giorno… mentre a Cape Town…
« Accidenti, non sarà facile! » si disse mentre sbatteva la porta di casa, cercando velocemente nella borsa le chiavi della macchina e l’auricolare.
Essere una Mew Mew le era sempre piaciuto. Difendere la Terra dai cattivi, stare insieme con le amiche, avere un lavoro fisso per guadagnare qualche soldino in più e per esibirsi: le avventure vissute in quel periodo le erano servite ad andare avanti dopo la morte di sua madre. Erano una distrazione dalla vita quotidiana, che ruotava (e ruota) intorno ai fratellini, alle faccende domestiche, all’onore della sua famiglia. Quanto le era mancata la sensazione che provava durante la trasformazione! E quanto le erano mancate le sue amiche! E adesso stava per iniziare una nuova missione… non ci poteva credere!
Con un gran sorriso, si mise la cintura, sistemò lo specchietto retrovisore, cercò i numeri delle ragazze sul cellulare e mise in moto.
– Si ricomincia, na no da! – disse la ragazza, premendo sull’acceleratore.
– Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La invitiamo a riprovare più tardi…
 
***​

L’aeroporto di Los Angeles era estremamente caotico quel giorno. Perché? Paparazzi, paparazzi ovunque.
– Signorina Fujiwara, signorina Fujiwara! 
– La prego, da questa parte, signorina Fujiwara! 
« Che seccatura... »
– È in partenza? 
– Dove sta andando? È vero che va a trovare la sua amante segreta, con cui tradisce il suo fidanzato? 
« Meno male che sono single… »
Zakuro Fujiwara era abituata ad avere a che fare con i giornalisti sin da quando era adolescente. Ma in quel momento aveva parecchia fretta. E non aveva nessuna intenzione di rilasciare interviste. Perché? Semplicemente non era proprio giornata: le erano tornati i segni da Mew Mew, di conseguenza aveva dovuto sospendere il servizio fotografico che stava facendo, annullare tutti gli altri appuntamenti, chiamare il pilota del suo jet privato per poi scoprire, una volta in aeroporto, che un’ondata di paparazzi e di curiosi l’aveva seguita di nascosto!
– Signorina Fujiwara! 
« Se non la smettono, va a finire che li sbrano tutti! »
 
***​

Stava volando.
Non sapeva bene come aveva fatto, ma stava volando. E ne era orgogliosa.
Si sentiva così leggera… si poteva muovere in tutte le direzioni, senza pensare… in quel momento, c’era solo il vento e il fruscio delle sue ali. Le sue ali.
Minto aprì lentamente gli occhi.
« Che bel sogno! » pensò la ragazza. Le erano ritornate le ali… le sue morbide, soffici ali… e volava… volava sempre più in alto… più in alto del sole…
Sembrava tutto così vero.
Si mise a sedere sul letto, con qualche piccola difficoltà. Guardò verso il comodino alla sua destra, lo schermo del cellulare riportava numerose chiamate perse. Che strano.
Alla sua sinistra, Ichigo stava ancora dormendo profondamente facendo le fusa, noncurante della sua parte di lenzuolo che era finita per terra.
Minto si stiracchiò… e sentì uno strano movimento dietro la schiena… come quello di uno spiegamento d’ali.
Si irrigidì. 
Un momento
Ichigo stava placidamente facendo le fusa alla sua sinistra. Vere fusa. Fusa da gatto. Ed era una coda quella che vedeva attorcigliata alla sua gamba…?
Un fremito la scosse. Aveva l’impressione di avere qualcosa dietro la schiena, più precisamente all’altezza delle scapole. E adesso stava sbattendo le ali, in uno stato di notevole confusione. E si stava pure alzando dal letto… volando.
No, impossibile.
– Ichigoooooooooooooooooooooooooo! Svegliati subito! – urlò a squarciagola, mentre si librava nell’aria.
 

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Capitolo 5
*** Ensemble ***


Le sue amiche erano di nuovo con lei. Dopo tanto tempo, la squadra Mew Mew era finalmente riunita.
« Non ci posso credere… » pensò Ichigo sorridendo.
Villa Aizawa era stata scelta all’unanimità come luogo di ritrovo.
Gli abbracci, le lacrime, le risate, le frecciatine di Minto, i sorrisi imbarazzati di Retasu, l’energia di Purin, i saggi silenzi di Zakuro, la preoccupazione per il futuro del Pianeta… sembrava tutto come allora. Ma il nuovo nemico era completamente sconosciuto.
La Terra aveva ancora bisogno di loro, d’altronde i segni non erano mai apparsi per caso. Erano state scelte per salvare il mondo e dovevano sempre aspettarsi il peggio. E in quanto leader delle Mew Mew, spettava ad Ichigo prendere l’iniziativa.
« Let’s get down to business! » si disse seria Ichigo.
– Bene! Ora che siamo tutte qui, è importante chiarire alcuni punti. In primis, dobbiamo capire che cosa vuole dirci la Terra. Perché ci ha chiamate? Da dove viene la minaccia? La causa è l’inquinamento e quindi il problema va riferito al genere umano o si tratta di un attacco alieno? Per saperlo, dobbiamo vedere i parametri terrestri e se ci sono state variazioni nel campo magnetico. Ma di questo – continuò la rossa, – ma di questo se ne sono sempre occupati Ryan e Keiichiro. Ciò ci porta al secondo grande quesito del giorno: perché non riusciamo a metterci in contatto con loro? Com’è possibile che non si siano accorti di nulla? Sono due scienziati che eseguono un monitoraggio costante dei valori del nostro Pianeta. E i creatori del Progetto Mew. 
– Ichigo ha ragione – intervenne Minto. – Non è da loro non avvisarci di nuovi pericoli. Quando i Chimeri dimenticati dagli alieni si misero ad attaccare Tokyo in maniera autonoma, si scatenò un vero putiferio: Ryan ci chiamò alle tre del mattino, ma si presentò solo due ore dopo indossando nient’altro che i pantaloncini del pigiama. Keiichiro ci raccontò che prima di arrivare Ryan aveva quasi investito in pieno un tizio col cane. Per evitarli, era andato contro la vetrina del negozio di cristalli più caro della città… e poi, dopo questo incidente, era stato fermato e multato per eccesso di velocità da una pattuglia della polizia. Come se non bastasse, aveva avuto anche un grosso diverbio con gli agenti per cercare di sottrarvisi e raggiungerci in fretta ed era stato arrestato… 
– Fortuna che il nostro amico è ricco e famoso e che ha tante conoscenze! Uscì subito di prigione su cauzione ed arrivò giusto in tempo per vedere la mia interpretazione della danza della scimmia vittoriosa! – ricordò soddisfatta Purin.
– Ve l’ho detto ragazze: ho chiesto al mio agente di mandare qualcuno nella sua villa negli States, ma non è stato trovato nessuno – disse Zakuro.
– Deve essergli successo qualcosa! – esclamò preoccupata Retasu, portandosi le mani al volto.
– Purin, continua a cercarli. Se non rispondono entro stasera, avvertiremo le autorità giapponesi e statunitensi. Sono trascorsi alcuni giorni dalla comparsa dei segni e anch’io non sono tranquilla dal loro silenzio – disse Ichigo. – Non vorrei che fosse tutto collegato – aggiunse nervosa, mordendosi le labbra.
Zakuro scosse la testa, mormorando: – È inutile stare qui ragazze… 
– Già – concordò Ichigo. – Dobbiamo andare al Caffè Mew Mew a cercare indizi su questa storia. C’è in gioco il destino del Pianeta! 
 
***​

« Dove sei? E perché non rispondi? Perché, perché, perché? » pensò la ragazza dai capelli verdi, rigirandosi tra le mani la lunga treccina colorata fatta in Sudafrica. Il lungo viaggio l’aveva provata parecchio, anche perché le aveva dato modo di ricordare la sua vita da adolescente e… lui. Ryan significava ancora molto per lei, non poteva negarlo. Era la sua prima cotta… un amore impossibile che aveva continuato a tormentarla anche da adulta. Lui l’aveva sempre considerata come una sorella, come parte della famiglia. E lei aveva bisogno di saperlo felice e al sicurocome chi ama senza essere amato.
Retasu guardò la leader del gruppo cercando di trattenere le lacrime.
« Ti prego, fa’ qualcosa per lui! » la supplicò mentalmente, mentre uscivano da Villa Aizawa.

***​

– Finalmente ti sei svegliato, Umano – tuonò una voce lugubre.
Ryan sbatté le palpebre più volte.
La testa gli doleva terribilmente, si sentiva debole e tutto era ancora avvolto dall’oscurità. 
– Ma cos… 
Il biondo non riuscì a finire la frase: un dolore lancinante al fianco sinistro lo pervase.
– Silenzio! Nessuno ti ha concesso di parlare. Non ho intenzione di ripetermi, quindi apri bene le orecchie: non provare mai a ribellarti ai miei ordini. Mai. Sono stato chiaro? Se ci provi, farai la fine del tuo sciocco compare! 
« Il mio… NO! »
– No! Keiichiro! Cosa gli avete fatto? 
Un altro dolore, più forte di quello di prima, attraversò il suo corpo.
– Non capisci, eh? Lo abbiamo riempito di botte… fino ad ucciderlo! Stupidi umani… voi e i vostri sentimenti… – ringhiò la voce misteriosa. – Avete contagiato i fratelli Ikisatashi, ma non riuscirete ad impietosire noi seguaci del divino Deep Blue! 
« Deep Blue! » pensò spaventato Ryan.
– Ah, avresti dovuto vederlo, il tuo amichetto! – continuò con disprezzo la voce aliena. – Pronto a sacrificarsi per proteggerti… patetico! È crollato subito. Ma non ti preoccupare: abbiamo fatto in modo che soffrisse! 
– Maledetti! – urlò Ryan, prima di essere nuovamente colpito, questa volta sul viso.
– Cosa ti aveva detto? Stai zitto! Se fosse stato per me, non avrei perso un minuto a eliminare anche te… ma sfortunatamente ci servi. Devi costruire per noi il raggio laser che hai usato per il Progetto Mew: ha una gittata mirata e potremmo usarlo per iniettare il nostro virus a precisi target… e poi potrai raggiungere il tuo compagno di giochi! – schernì la voce.
« MAI! » avrebbe voluto gridare l’americano, se un forte colpo assestato sulla nuca non lo avesse fatto precipitare di nuovo nell’inconscio.
 

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Capitolo 6
*** Problèmes ***


– Oooooooh, ma che è possibile avere sempre dei problemi? – esclamò sbuffando Minto.
La squadra era arrivata all’ex Caffè Mew Mew. In effetti, quando le ragazze erano diventate grandi, lo stabile era stato trasformato in una pasticceria dove non era più possibile consumare le ordinazioni sul posto, dato che Ryan si era sempre rifiutato di assumere nuove cameriere. Aveva comunque deciso che per non destare sospetti e preservare la copertura del laboratorio era necessario continuare l’attività di produzione dolciaria. Ecco quindi che “Chez Keiichiro” aveva visto la luce, anche se per tutte quel posto restava “il Caffè Mew Mew”.
Purtroppo, la porta era chiusa da una serratura digitale. Per aprirla serviva il codice, che ovviamente nessuna del gruppo poteva sapere. Chissà quale combinazione avevano scelto i ragazzi per proteggere il negozio dai ladri! Purin non si perse d’animo e digitò incautamente numeri a caso, bloccando il sistema… ecco allora che, su proposta di Retasu, decise di arrampicarsi fino alla finestra del balcone: una volta rotto il vetro e disattivato l’allarme, andò ad aprire la porta alle compagne.
– Grande Purin! – disse Ichigo, abbracciandola.
– Presto, andiamo al laboratorio! – incitò Zakuro.
Le ragazze non se lo fecero ripetere due volte. Quando giunsero al seminterrato, Retasu lanciò un grido. Nessuna delle Mew Mew poteva credere ai suoi occhi. Il laboratorio di Ryan e Keiichiro era stato messo a soqquadro e gravemente danneggiato: c’erano pezzi di computer sparsi sul pavimento, libri dalle pagine strappate, preparati chimici rovesciati sul tavolo, una lavagna rotta dove erano scritte delle formule di fisica e un’equazione lasciata a metà… e, soprattutto, sangue. Tanto sangue.
– Oh cielo! – mormorò Minto. – Chi mai può aver fatto tutto questo?
– Maledetti! – sibilò Zakuro.
– Q… q... qualcuno… qualcuno deve essere entrato e… e deve esserci stata una c… c… colluttazione… – balbettò incredula Ichigo, – ma… ma… ma come è possibile? La porta era chiusa, l’allarme funzionante e non ci sono segni di effrazione! A… a meno che…
– A meno che i ragazzi non conoscessero i loro aggressori – concluse Zakuro. – Sempre che quest’ultimi siano umani, senza nessun superpotere. Mi spiego?
« Sempre che quest’ultimi siano umani… » pensò Ichigo.
– I segni non sono mai comparsi senza una ragione… extraterrestre. L’inquinamento del Pianeta era da escludere sin dall’inizio. E so di non essere la sola ad aver ipotizzato una cosa del genere – continuò Zakuro.
– No. Non sei la sola – disse Retasu. Dopo una lunga pausa, aggiunse: – Ma non abbiamo delle vere prove, eravamo venute qua per questo. E non sappiamo cosa potessero volere da Ryan e Keiichiro. E soprattutto non sappiamo cosa gli hanno fatto! – finì urlando, non riuscendo più a trattenere le lacrime.
– Retasu-chan… – sussurrò Purin.
Ichigo, dal canto suo, non si sentiva bene. La vista del sangue, i pensieri negativi, l’ansia di quei giorni, la ricomparsa dei segni, gli incubi, l'insonnia… tutti i fattori necessari per un gran mal di testa, accompagnato da un forte senso di nausea.
– Ragazze, esco un attimo fuori, mi gira la testa.
Noncurante dello sguardo preoccupato di Minto, la giovane si diresse verso il giardino dell’ex Caffè.
« Sempre che quest’ultimi siano umani… »
La frase le riecheggiò nella mente, come una cantilena. Non appena fu uscita, cercò di rilassarsi, mentre il venticello di quella sera le scompigliava i capelli…

BOOM

Un boato la fece trasalire.
– Ma cos… – esclamò impaurita Ichigo.
Ci mise un po’ a realizzare quanto accaduto. Una parte dell’edificio era crollata. Sembrava essere venuto giù il tetto…
« No! »
La ragazza si precipitò dentro. Il cuore le batteva a mille.
– Heeyyyy! State tutte bene? Minto, Retasu, Purin, Zakuro, rispondete! – gridò la leader delle Mew Mew.
« Per favore, per favore, per favore, fa’ che non sia successo nulla, fa’ che non sia successo nulla, fa’ che non sia successo nulla! » ripeté nella sua testa come un mantra.
Le sue amiche… cosa avrebbe fatto senza di loro? E poi c’era Minto… adesso più vulnerabile delle altre…
– Ichigo! Ichigo, tutto a posto, siamo qua!
La voce di Minto!
« Grazie al cielo! » pensò la rossa.
Con qualche difficoltà, Ichigo raggiunse le altre, che erano uscite dallo scantinato dove si trovava il laboratorio per andare nel salone principale, fortunatamente nell’ala che non era crollata. Erano tutte un po’ scosse, ma illese.
– Cavoli, che paura! – esclamò Purin. – Se poi consideriamo che non possiamo nemmeno trasformarci perché avevamo ridato le spille a R…
La ragazza non riuscì a terminare la frase, poiché un Sai sibilante le toccò di striscio il braccio destro, andando a conficcarsi nella parete.
– Non potete trasformarvi? Ma che peccato! Mi ero affezionato ai vostri costumini sgargianti!
« Quella voce… quella voce… » pensò Ichigo…

***​

– Beh? È così che si saluta? Mmmm… no, non va bene. Mi sa proprio che qualcuno ha bisogno di una lezioncina di buone maniere! – disse Kisshu, sferrando una scarica elettrica con il Sai rimastogli in direzione della leader del gruppo. Ichigo riuscì a schivare l’attacco per un soffio grazie all’agilità e ai sensi felini.
– MA COME TI PERMETTI, SCREANZATO! – urlò Minto.
– Guarda, guarda… un uccellino in gabbia! – esclamò l’alieno dagli occhi ambrati, facendo riferimento alla carrozzina della ragazza.
– Perché tu ti sei visto? – replicò la ballerina. – Sembri un avvoltoio orecchiuto*, per giunta spennacchiato!
– Cosa? Io, un avvoltoio? Come osi parlarmi così, umana! Avrei dovuto far crollare l’intera palazzina!
– Come come come? “Come oso”? Stammi bene a sentire, alieno: a causa vostra, il nostro DNA è stato modificato per sempre e non abbiamo potuto avere un’adolescenza normale. Quando Deep Blue è rinato, la mia amica ha rischiato la pelle per riportare in vita anche voi. Poi, vi abbiamo donato ciò che era rimasto dell’Acqua Mew per sistemare il vostro pianeta quando non eravamo assolutamente obbligate, con tutto quello che ci avete fatto passare! Come se non bastasse, dopo che ve ne siete andati via tutti tranquilli, ci siamo trovate a doverci sbarazzare dei vostri Chimeri incautamente lasciati sulla Terra! E adesso te ne torni qui in Giappone a romperci le scatole e a comportarti come se non fosse successo niente! Di’ la verità: ci sei tu dietro alla sparizione dei nostri amici! E magari anche i tuoi fratelli hanno partecipato, no? Cosa gli avete fatto, eh, cosa gli avete fatto? Bastardi! – urlò a pieni polmoni Minto.
– Taci sciocca! Non sai quello che stai dicendo. E io non so niente dei vostri amici. Ma non temere, non sono venuto a divertirmi da solo, giusto ragazzi? – disse Kisshu, pronunciando l’ultima frase sghignazzando.
Le Mew Mew si irrigidirono, scambiandosi sguardi interrogativi. Ragazzi? Intendeva i suoi fratelli, Pai e Taruto? Come per rispondere alle loro domande, all’improvviso comparvero circa venti soldati alieni, armati fino ai denti.
– Sì, signor Capitano! – esclamarono all’unisono, mettendosi in posizione di attacco.
Minto rimase a bocca aperta: mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti ad un intero plotone extraterrestre. Non senza spilla, almeno. Già, le spille. Teoricamente, erano tutte nascoste da qualche parte lì nella loro vecchia base operativa, probabilmente in cantina, nel laboratorio. E se chi aveva creato quello scompiglio non le aveva prese, al 99% erano là sotto. Ma come poteva andare a controllare rapidamente, sulla sedia a rotelle e con gli alieni col fiato sul collo? Era veramente facile colpirla. Unica soluzione: far capire alle altre di dover ritornare al laboratorio. Ma come?
« Zakuro... » pensò, « Zakuro, dimmi che se non sei telepatica sei almeno della mia stessa opinione! »
Minto ebbe appena il tempo di guardare la modella che Kisshu ordinò ai suoi effettivi di sferrare l’attacco.
– Questa volta non potete scappare! Forza, scateniamo l’inferno! – disse Kisshu, alzando la mano verso il cielo e chiudendola a pugno in segno di rabbia e di inizio offensiva.
– Ma ricordate, – aggiunse in lingua aliena, – Ichigo è solo mia!
 
 
 
 
* Avvoltoio orecchiuto (Torgos tracheliotos) = specie realmente esistente. Pun intended.

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Capitolo 7
*** Déjà vu ***


Mai avrebbe immaginato di rivedere così tanta rabbia nello sguardo di Kisshu. Ichigo era davvero basita. Come era possibile tutto ciò? Alla fine, aveva abbandonato Deep Blue e, assieme ai suoi fratelli, si era schierato dalla loro parte, trovando così la giusta via da seguire. Aveva ricevuto il necessario per sistemare il suo pianeta… e sembrava aver capito che in quel momento lei non lo ricambiava. Almeno… non del tutto. Però in fondo, erano passati ben dieci anni: se ci fossero stati problemi con l’Acqua Mew, gli alieni sarebbero ritornati prima sulla Terra, con la bandiera della pace o con l’ascia di guerra.
E invece no.
Kisshu era lì. Più alto, più muscoloso e senza codini, ma era lì. Fluttuante a mezz’aria davanti a lei.
Cosa era andato storto?
« Con lui, proprio tutto… » le suggerì una vocina dentro di sé.
Una scarica elettrica, lanciata nella sua direzione, la riportò alla realtà. La ragazza riuscì a schivarla con un balzo felino per il rotto della cuffia.
« Che vado mai a pensare? Questo attacca: bisogna agire subito! »
– MA COME TI PERMETTI, SCREANZATO! – urlò Minto.
– Guarda, guarda… un uccellino in gabbia!
– Perché tu ti sei visto? Sembri un avvoltoio orecchiuto, per giunta spennacchiato!
Ichigo aveva la testa confusa e il cuore che le batteva fortissimo perché era appena scampata ad un attacco, ma la battuta dell’amica riuscì lo stesso a strapparle una risatina, che non sfuggì all’alieno. Ancora più adirato, Kisshu ribatté digrignando i denti: – Cosa? Io, un avvoltoio? Come osi parlarmi così, umana! Avrei dovuto far crollare l’intera palazzina!
– Come come come? “Come oso”? Stammi bene a sentire, alieno: a causa vostra, il nostro DNA è stato modificato per sempre e non abbiamo potuto avere un’adolescenza normale. Quando Deep Blue è rinato, la mia amica ha rischiato la pelle per riportare in vita anche voi. Poi, vi abbiamo donato ciò che era rimasto dell’Acqua Mew per sistemare il vostro pianeta quando non eravamo assolutamente obbligate, con tutto quello che ci avete fatto passare! Come se non bastasse, dopo che ve ne siete andati via tutti tranquilli, ci siamo trovate a doverci sbarazzare dei vostri Chimeri incautamente lasciati sulla Terra! E adesso te ne torni qui in Giappone a romperci le scatole e a comportarti come se non fosse successo niente! Di’ la verità: ci sei tu dietro alla sparizione dei nostri amici! E magari anche i tuoi fratelli hanno partecipato, no? Cosa gli avete fatto, eh, cosa gli avete fatto? Bastardi! – urlò a pieni polmoni Minto.
– Taci sciocca! Non sai quello che stai dicendo. E io non so niente dei vostri amici. Ma non temere, non sono venuto a divertirmi da solo, giusto ragazzi? – disse Kisshu, pronunciando l’ultima frase sghignazzando.
Le Mew Mew si irrigidirono.
« Non è solo? » si chiese Ichigo, guardando preoccupata le amiche.
Venti soldati alieni si manifestarono in risposta, tutti quanti armati… a differenza della squadra Mew Mew.
« No… non è possibile, non sta accadendo davvero. NO! » pensò allarmata. Il cuore le batteva più forte che mai e il respiro le era diventato più affannoso. Inveì mentalmente contro Ryan e la sua decisione di riprendersi i ciondoli. « Le spille, maledizione! »
– Questa volta non potete scappare! Forza, scateniamo l’inferno! – disse Kisshu, dando il segnale di attacco e pronunciando strane parole in una lingua sconosciuta.
I soldati puntarono le armi più disparate contro le ragazze. Erano in trappola.
Un urlo improvviso si liberò nell’aria: – Caricaaaaaaaaaaaaaaa!
Purin.
Senza esitazioni, la più giovane del gruppo si era scagliata contro gli alieni, tirandogli sedie, piatti e altre stoviglie e alternando mosse di karate.
– Venderemo cara la pelle! – affermò, mentre assestava potenti colpi a destra e a manca. Era l’unica a conoscere le arti marziali e sicuramente stava facendo il possibile per proteggerle, mettendo a frutto tutto quello che aveva imparato dal padre.
Retasu si precipitò all’istante ad aiutare l’amica. Scagliò tutto ciò che le capitò a tiro verso gli alieni e si difese come meglio poteva, evitando per un soffio un attacco nemico. Sembrava che volesse creare un diversivo per Purin...
Dal canto suo, Ichigo strinse i denti e si preparò a fronteggiare il plotone alieno. Tra di loro, c’era una persona più vulnerabile di tutte: Minto. Era un bersaglio fin troppo facile. Perciò, in quanto leader del gruppo, era suo compito difenderla e darle il tempo di mettersi in salvo. Ma la ragazza non ebbe modo di dire o a fare qualcosa perché un colpo forte e inatteso al ventre la fece finire rovinosamente a terra. Tremante, Ichigo si rimise a stento in piedi, i sensi intorpiditi per il dolore.
– Cosa… cos… AAAH!
Un altro colpo più forte, questa volta alla schiena, la fece ricadere a terra.
– Cosa credi di fare, bambolina?
Puntellandosi sulle braccia, Ichigo guardò in faccia il suo aggressore. Radunando le forze, gridò con quanto fiato aveva in corpo: – Cosa credi di fare tu, razza di ingrato che non sei altro!
– Ooooh, ma che tenera! – continuò Kisshu, ignorandola. – Vuole proteggere la sua amichetta! Non vuoi vederla soffrire, vero? Già non cammina, sarebbe terribile farle ancora del male. Peccato…
L’alieno dagli occhi dorati, che nel frattempo aveva recuperato l’altro Sai, si inginocchiò vicino a lei.
– … perché è proprio quello che ho intenzione di fare! – proseguì con voce suadente, preparando una sfera di energia con le sue armi.
Fu un attimo. La rossa non ci pensò due volte e con le poche forze che le erano rimaste si buttò addosso a Kisshu, deviando il colpo. Ma ciò la indebolì ulteriormente e in poco tempo si ritrovò schiacciata sotto il corpo dell’alieno, con le mani imprigionate sopra la testa.
– Codardo! – ruggì Ichigo.
Per tutta risposta, l’alieno scoppiò a ridere.
– Non dirmi che sei gelosa!
– Ichigo! Lasciala stare, brutto maniaco! – gridò Minto.
Senza staccarsi dalla ragazza, l’alieno ordinò a un suo sottoposto, con voce fredda: – Liberati di lei. Ora.
Il soldato sguainò una katana e si diresse minacciosamente verso la mora, facendola indietreggiare verso il muro, in maniera da non darle vie di fuga.
« Minto! » pensò impaurita Ichigo.
L’alieno stava per sferrare un colpo letale, ma Zakuro, nascosta dalla porta della cucina, comparse prontamente dietro alle sue spalle e lo colpì alla testa con un vaso, mettendolo subito fuori gioco. La modella si parò poi davanti a Minto, in posizione di attacco.
Kisshu rimase sbigottito. Non aveva fatto caso all’assenza di Zakuro!
La leader delle Mew Mew, incoraggiata dall’azione dell’amica, tirò una ginocchiata al suo aggressore e si divincolò dalla sua presa, allontanandosi velocemente da lui.
– Maledetta! – sibilò Kisshu, piegato in due dal dolore, mentre si portava una mano al basso ventre. – Non ti dovevi permettere! Tu mi devi portare rispetto!
Per vendicare l’offesa subita dal loro capitano, gli alieni iniziarono a lottare più duramente contro le ragazze. Kisshu, alzatosi lentamente, appariva più arrabbiato e minaccioso che mai. I Sai fremevano di elettricità e attorno a lui si percepiva un’aura negativa.
– Presto Ichigo, scappa! Kisshu è pericoloso! – le intimò Zakuro.
– Non posso lasciarvi qui! – rispose la ragazza dai capelli rossi, indignata.
– Invece sì, Ichigo, scappa! È te che vuole ed è completamente pazzo! – le fece eco Minto.
– Ti copriamo noi, na no da! – esclamò Purin. – Questi bestioni non possono resistere alla mia mossa segreta della mantide religiosa!
– Forza, muoviti! – disse Retasu.
Compiendo un ultimo sforzo, Ichigo si mise a correre. Per quanto potevano resistere le sue amiche? E per quanto poteva resistere lei? Le faceva male tutto il corpo.
« E gli alieni possono teletrasportarsi » pensò.
La ragazza corse, corse e corse fino ad arrivare al parco Inohara. Era ormai notte a Tokyo.
« Non ce la faccio più! » si disse ansimante. Stremata, si appoggiò ad un albero di ciliegio, quando ad un tratto sentì uno strano venticello scompigliarle i capelli…
« Lui è qui! »
L’aveva vista.
« Corri! »
Kisshu le gridò di fermarsi.
« Corri! »
Lo sentì vicino, ormai la stava raggiungendo.
« Corri più forte! »
Il cuore le batteva a mille. Nella sua folle corsa, i rovi le si impigliarono ai vestiti e li strapparono, ferendole la pelle.
« Non importa, ormai non c’è più tempo. Pensa solo a correre! »
Era stanca, aveva il fiatone. Provare a nascondersi tra la vegetazione più fitta non sarebbe servito a niente, c’era la luna piena.
« E lui è sempre più vicino... »
Laggiù, sopra il fiume del parco, c’era un vecchio ponte di legno che sembrava come sospeso nel vuoto. Era certa che fosse pericolante. Esitò. Aveva paura. Si sentiva in trappola.
« Perché non buttarsi? »
Tutto inutile, sentì la sua mano afferrarle il braccio. Déjà vu. « È finita! » pensò disperata.
È finita.
 
 
 

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Capitolo 8
*** À quoi tu t'attendais? ***


Kisshu afferrò Ichigo e riuscì ad immobilizzarla velocemente tra le sue braccia, ma non prima che la ragazza gli tirasse uno schiaffo.
– Bastardo!!! Lasciami andare subito! – urlò a pieni polmoni Ichigo. – Volevi fare del male alla mia amica. Sei un essere spregevole e…
– Non avevo intenzione di colpirla davvero, faceva parte del piano – la interruppe Kisshu.
– Cosa? Non volevi ucciderla? – chiese stupita la ragazza.
– Ma ti pare? Ci servite tutte vive. Quello che è successo faceva solo parte del piano. 
– Non capisco – disse Ichigo. – A cosa vi serviamo? Di quale piano stai parlando? 
– Vi abbiamo tenute d’occhio da quando siamo atterrati sulla Terra. Sapevo che avevate perso i poteri perché non c’è più Acqua Mew su questo pianeta, ma che recentemente vi sono tornati i segni. Sapevo ugualmente che Minto non può più camminare e ho deciso di sfruttare la situazione per fare un esperimento: volevo vedere se un’emozione forte come la rabbia poteva farvi trasformare senza dover usare le spille… ma a quanto pare no. Siete indifese senza quei ciondoli. E ciò gioca a nostro favore, sai? Non c’è tempo per combattere. Il mio popolo è in piena guerra civile e i seguaci di Deep Blue hanno messo a punto un’arma biologica che sta facendo un sacco di vittime. L’Acqua Mew è finita e l’unica speranza per chi è stato contagiato dal virus è riuscire a sintetizzarla in laboratorio. Solo voi riuscite a reagire in sua presenza e perciò il Consiglio degli Anziani ha decretato di utilizzarvi come cavie: i nostri scienziati testeranno su di voi i loro preparati. Il mio compito è quello di portarvi sul nostro pianeta. I miei soldati avranno già catturato e informato le tue amiche a quest’ora.  
Ichigo non riusciva bene a connettere le tante informazioni appena ricevute. Seguaci di Deep Blue? Arma biologica? Consiglio degli Anziani? Cavie?
– COSAAAA? Ma sei matto? No, tu sei proprio matto! Anzi, tutti voi alieni siete pazzi! Perché mai dovremmo farci usare così? Potremmo persino morire!  
– Il Consiglio vi ha scelto per questo motivo – ribatté freddo Kisshu. – Non possiamo sacrificare la nostra gente, ma voi umani sì. Correrete questo rischio, è vero. 
– Ah, grazie per il pensiero! – disse sarcastica la ragazza. – Ma che carini che siete! E tu sei pure d’accordo? Kisshu!!! Non abbiamo esitato a darvi l’ultimo frammento di Acqua Mew per farvi stare meglio. Come potete farci questo adesso, come puoi farmi questo! 
Kisshu non rispose subito. Dopo un lungo silenzio, sentenziò con voce dura: – Gli ordini sono ordini.  
Ichigo non poteva crederci. Lui… lui… non provava niente nel dire quelle parole? Non le importava di lei?
« E perché gli dovrebbe importare qualcosa di te? Hai scelto un altro! Che ti aspettavi? » le ricordò la vocina dentro di lei.
– E… e Ryan e Keiichiro? Cosa è successo a Ryan e Keiichiro? 
– Te lo ripeto: non c’entro nulla con la sparizione di quei due. Hai ragione però a preoccuparti: sono i due scienziati terrestri che hanno creato il Progetto Mew, i ribelli potrebbero averli rapiti… farò esposto più tardi. Ora devi venire con me e questa volta sul serio.  
Detto questo, l’alieno sfiorò con un Sai la fronte della ragazza, che cadde subito in un sonno profondo.
– Buonanotte, micetta...
 
***​

– Generale, c’è un messaggio urgente sulla Linea 3. 
– Grazie Shuri – rispose Pai alla sua segretaria. Senza distogliere lo sguardo dal computer su cui stava lavorando, l’alieno schiacciò un pulsante sulla sua scrivania. In un attimo, si ritrovò in video collegamento con il colonnello del Distretto Militare n° 6.
– Salve Colonnello, mi dica tutto – esclamò senza guardare l’ologramma, mentre continuava a scrivere al computer.
– Generale Ikisatashi, abbiamo un problema – disse il colonnello con voce lugubre.
– Cosa è successo? – chiese il giovane, alzando gli occhi dallo schermo.
– Ritengo sia meglio mostrarglielo... – disse l’altro, spostandosi dal campo visivo per far vedere il problema al suo superiore.
– No… no… non può essere!
 

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Capitolo 9
*** Le fou ***


Ichigo si trovava in un campo di lavanda in piena fioritura. Che spettacolo! Sembrava di nuotare in un immenso mare viola. La ragazza si immerse nel profumo inebriante proveniente da quei fiori. Si sentiva così rilassata... ma... un momento! Le era parso di sentire una voce in lontananza, sembrava fare il suo nome: c’era forse qualcuno lì con lei? Eppure, non vedeva nessuno, era sola tra le ampie distese di colore viola.
– Svegliati subito! – le gridò dal nulla la voce. Svegliarsi? E perché? Era già sveglia: stava camminando felice tra la lavanda.
– Ho detto che ti devi svegliare, Ichigo! – ribatté la voce. – Svegliati immediatamente, hai capito?
Quel tono così imperativo lo conosceva: era di Minto!
– Minto? – chiese confusa la ragazza. Dov’era la sua amica? Non riusciva a vederla...
All’improvviso, il paesaggio davanti a lei cominciò a mutare: era come essere in un grande vortice di luce brillante che roteava su se stesso.
– Hey! Ma che succede? Basta, mi gira la testa!
Ad un tratto, il vortice di luce si trasformò in nero totale. Ichigo aprì piano gli occhi.
– Oooooh, ti sei svegliata finalmente! – esclamò contenta Minto.
– Ichigo! Eravamo così preoccupate! – disse Retasu.
– Ichigo! – squillò la voce di Purin, che l’avvolse in un abbraccio scimmiesco.
La leader della squadra Mew Mew si guardò intorno. Erano in una stanza dalle pareti metalliche, piena di pulsanti e lucette... sembrava di essere in un’astronave di un qualche film di fantascienza... oh no! Gli alieni le avevano rapite!
– Siamo in balìa di Kisshu e dei suoi scagnozzi – disse fredda Zakuro, confermando i suoi pensieri. – Ti ha portata qui che eri priva di sensi e poi si è teletrasportato nella sala di comando. Temevamo il peggio, non ti svegliavi. E siamo sorvegliate da telecamere, nemmeno fosse il Grande Fratello.
– Che ti ha fatto quel pazzo? – domandò arrabbiata Minto.
– Lui... lui... nulla, ma mi ha detto cosa hanno intenzione di farci... tutti gli altri! – disse Ichigo tremando.
– Lo sappiamo anche noi. L’astronave si sta dirigendo verso il pianeta degli alieni... – sussurrò Retasu.
Maledizione! Se solo non avessero mai ridato indietro le spille a Ryan e Keiichiro! Dovevano trovare una soluzione e anche in fretta.
– Ciao, bella addormentata!
Kisshu! Si era teletrasportato nella loro “prigione” assieme a due soldati. Ma prima che potesse aprire di nuovo bocca, un alieno dall’espressione austera e preoccupata si manifestò in una videochiamata olografica.
– Capitano! Il suo onorevole fratello, il Generale Pai, ha chiesto di conferire con tutti voi. È della massima importanza.
– Generale? È diventato generale? Wow... – disse sottovoce Retasu, arrossendo.
In un attimo, Kisshu, i soldati e le ragazze si ritrovarono in collegamento con Pai.
– Buonasera Umane, buonasera Kisshu. Vedo con piacere che l’operazione “Sakura” è riuscita. L’unica buona notizia nella giornata di oggi.
– Buonasera un fico secco! Vi rendete conto di cosa ci avete fatto? – ribatté inferocita Purin.
– Silenzio! Voi non avete idea di quello che stiamo passando! – la zittì l’alieno. Aggiunse poi tristemente: – Kisshu, se ti ho chiamato, c’è un motivo preciso... che devi vedere con i tuoi occhi.
L’inquadratura si spostò da Pai a quello che sembrava un reparto ospedaliero... e c’era qualcuno sdraiato su un lettino. Il suo corpo era completamente ricoperto da piaghe insanguinate, gli occhi erano rossi e lacrimanti e sul suo viso si poteva leggere tanto dolore. Il cuore di Ichigo ebbe un sussulto: quel malato era...
– ...Taru-Taru... – mormorò Purin.
Ma allora era tutto vero, un virus terribile stava falciando tante vite sul pianeta alieno!
– Taruto! Taruto, ti prego rispondimi! Tarutoooo!!! – urlò Purin, mentre le lacrime le rigavano il viso. Non era riuscita a non piangere di fronte a quell’atroce visione. Era sempre stata molto legata al ragazzo, lo sapevano tutti.
Kisshu era diventato come di sasso. Ichigo osservò che il suo respiro si era fatto irregolare e che le mani gli tremavano.
– Quanto... quanto gli resta? – chiese l’alieno a testa bassa.
– È al secondo stadio. Gli organi interni non sono stati ancora attaccati, ma non ci vorrà molto per un peggioramento. I dottori gli stanno somministrando dei palliativi. Serve al più presto una vera cura. Solo l’Acqua Mew lo può salvare. Capite adesso perché ci servite?
Gli occhi di Ichigo sprofondarono nello sguardo sofferente di Taruto. I singhiozzi di Purin facevano da macabra cornice a quella triste novità. Il modo di fare degli alieni era più che discutibile, però le Mew Mew erano le paladine della giustizia, come potevano tirarsi indietro?
– Vi aiuteremo! – esclamò risoluta la ragazza dai capelli rossi.
Le sue compagne annuirono all’unisono.

***​

Kisshu la guardò a lungo. Erano passati tanti anni, ma lei era sempre la stessa ragazzina che lo aveva fatto innamorare. Sì, innamorare. E avrebbe mentito a se stesso se avesse detto che ormai era diventato indifferente al suo sorriso, ai suoi capelli così soffici e rossi, a quei suoi occhioni nocciola... ogni volta che pensava a lei, il cuore gli faceva male. Non poteva smettere di immaginarsi tutto quello che non avevano mai avuto. Era riuscito a convincerla della veridicità dei suoi sentimenti solo in punto di morte... e forse nemmeno pienamente. Così, la tristezza lasciava il posto alla rabbia, che si impossessava della sua mente e del suo corpo. Ichigo lo faceva diventare matto... e, a dire il vero, ciò non gli dispiaceva per niente. Perché? Semplice: in quel modo, lei gli prestava attenzione. E la rabbia si tramutava in felicità. La più folle, assurda, totale forma di felicità. Oh, se lo faceva diventare matto...
Quello che provava quando pensava a lei bruciava come il fuoco e lo faceva distaccare dalla realtà. La sua parte irrazionale prendeva velocemente il sopravvento, noncurante delle possibili conseguenze. Aveva dato la vita per lei. E oggi come allora poteva benissimo affermare che non avrebbe esitato un solo secondo a sacrificarsi di nuovo. L’avrebbe protetta ad ogni costo.
Parola d’onore di un folle.

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Capitolo 10
*** Pensées ***


Dio mio, in che guaio si erano cacciate? Zakuro non voleva pensarci. Si mise così ad osservare per l’ennesima volta gli oggetti che occupavano la loro stanza, ma le pareti metalliche e le finestre che davano sullo spazio sconfinato la riportarono velocemente alla realtà. Lei e le sue compagne avevano appena accettato di sottoporsi agli esperimenti alieni. Con la sola piccola differenza che mentre le sue amiche avevano agito con il cuore, lei aveva fatto i suoi calcoli. Calcolava sempre tutto nei minimi dettagli: studio, carriera, tempo libero, vita privata…

Non avevano tanta scelta: erano state rapite e si trovavano su un’astronave extraterrestre, in viaggio per un pianeta sconosciuto dove sarebbero state usate come cavie da laboratorio. Anche se avesse manifestato il suo dissenso, a nulla sarebbe valso. I soldati che le avevano catturate avevano parlato di un certo Consiglio degli Anziani quale organo decisionale alieno e ciò era stato confermato da Ichigo, che aveva raccontato per filo e per segno quanto era accaduto con Kisshu. Questi Anziani non sembravano tanto pro-esseri umani e nemmeno tanto clementi: sicuramente erano stati loro a mandare sulla Terra tre giovani ragazzi, di cui un bambino di sì e no dieci anni. A quanto pare, i potenti di tutto l’universo non si curavano troppo delle vite spezzate oppure di quelle stravolte dalla guerra e dalle sue atroci conseguenze: questa triste verità accomunava da sempre il tragico destino di terrestri ed extraterrestri.
La tasca destra le pesava, così come la coscienza. Non aveva avuto modo di dire la verità alle sue migliori amiche. Ma come avrebbe potuto? C’erano telecamere dappertutto. Lei conosceva bene le telecamere, aveva imparato presto a gestirle. Sapeva bene che certe cose non potevano essere rivelate. Fingere… era una vita che fingeva e avrebbe continuato a farlo per sopravvivere. E così, anche in quel frangente aveva fatto quello che le riusciva meglio: recitare. La vita le aveva dato i motivi per essere un’attrice, non solo sul palcoscenico. In primis, la morte di suo padre. Il suo papà. Morto davanti a lei. Stroncato da un infarto, le dissero. Aveva solo otto anni. E poi, si erano susseguiti psicologi, svariati fidanzati della madre, numerose assenze fatte per sfuggire ai bulli della scuola e giustificate con falsi certificati medici. Un turbine di menzogne dette per proteggersi e per sfuggire in un posto migliore, frutto solo della sua fervida fantasia. La vita le aveva dato però anche l’occasione di emanciparsi. A tredici anni, era stata notata da un talent scout di una famosa agenzia di modelle. A sedici, aveva cominciato a ricoprire piccoli ruoli in film e serie TV per bambini e ragazzi. A diciassette, era diventata una Mew Mew e...
« ... il resto è storia! » concluse.

Una gran bella storia felice.
A differenza del suo passato.

Zakuro scrollò le spalle come se l’avesse punta una vespa. Doveva scacciare i brutti pensieri. Non poteva permetterseli, non ora: c’erano di mezzo la sua vita e quella delle sue amiche. Doveva analizzare la situazione e scoprire il punto debole della faccenda. Se aveva dato il suo consenso ad aiutare gli alieni, c’era un motivo: attaccarli a sorpresa dall’interno. Per farlo, doveva continuare a recitare. E il robottino, recuperato nella cantina della pasticceria durante un momento di distrazione dei suoi rapitori e che si trovava adesso nella tasca dei suoi pantaloni, avrebbe potuto aiutarla nell’impresa. 


***​

Nella stanza dell’astronave in cui era prigioniera assieme alle amiche, Retasu camminava in cerchio a passi veloci, senza rendersene conto, indifferente a tutto. Troppi, troppi, troppi pensieri. Cosa sarebbe successo una volta arrivate? Potevano veramente aiutare il povero Taruto e gli altri alieni? Dove erano Ryan e Keiichiro? E soprattutto, perché vedere l’ologramma di Pai l’aveva fatta arrossire?

 

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Capitolo 11
*** Ma peau t'aime ***


Ichigo si annoiava.
I soldati avevano detto che il viaggio non sarebbe durato molti giorni, ma a lei stava sembrando infinito. Poi era stanca, ancora indolenzita dallo scontro e non voleva rimuginare su quanto Pai aveva fatto vedere tramite l’ologramma. Pensarci o parlarne le faceva solo male al cuore… e anche a quello delle altre. Il suo orologio da polso si era rotto durante l’attacco a sorpresa degli alieni. Purtroppo sulla navicella non erano presenti orologi o calendari terrestri, quindi orientarsi era impossibile, almeno per loro. Come potevano conoscere il sistema di misurazione del tempo di un altro pianeta, completamente sconosciuto?
La ragazza guardò fuori dagli oblò dell’astronave. Spazio, spazio e ancora spazio. Stelle di qua, pianeti di là… bello, ma ripetitivo.
Passeggiando lungo i corridoi della navicella (gli alieni avevano concesso alle ragazze di camminare in certe zone), notò una porta che non aveva ancora visto. Non si poteva accedere automaticamente alla stanza, probabilmente serviva digitare un codice o fare uno scanner facciale…
Mentre si domandava come fare per entrare, la porta si aprì di scatto. Ichigo entrò, senza pensarci troppo. Si trovava in una sala con sopra un’ampia finestra con vista sull’universo, adornata solo da colonne greche volanti dai capitelli ionici. Ma non era da sola, c’era Kisshu: stava fluttuando nell’aria come le colonne.
– Vengo spesso qui, sai? Le stelle possono darti tutte le risposte di cui hai bisogno. 
Kisshu le fece un sorrisetto compiaciuto prima di inclinare la testa all’indietro, guardando il cielo. Scrutò attentamente le stelle nel firmamento, quasi come a tracciare delle linee immaginarie con gli occhi per congiungere i vari astri nelle rispettive costellazioni.
– Intendi dire che… stai praticando una sorta di… divinazione? – chiese Ichigo scioccata.
– Sì – rispose lui, continuando ad osservare lo spazio sconfinato.
– Voi che siete tanto tecnologici credete in queste cose? Voi
L’alieno la guardò incuriosito, alzando le sopracciglia.
– Sì – ripeté. – … tu invece no? 
– Beh… c’è gente che ci crede, certo. Ma sono tutte cretinate! – asserì la ragazza.
Kisshu levitò lentamente verso di lei, divertito.
– Eppure, un tempo eri superstiziosa… credevi nel potere dei talismani e pensavi che con le sfere di cristallo si potesse predire il futuro – ribatté.
– In Giappone noi… 
– Rispettate fortemente i vostri riti e le tradizioni, i fenomeni della natura, bla bla bla. Sì, lo so… – la interruppe l’alieno. Dopo una risatina, continuò: – Vedi? Ognuno è libero di credere in ciò che vuole o di non credere in niente. Non c’è una sola verità, non c’è un solo punto di vista. Anche gli esseri umani che sono tanto tecnologici credono in qualcosa che altri possono considerare delle sciocchezze: è quello che fate in Giappone. Sul mio pianeta rispettiamo l’antica arte della divinazione così come sosteniamo le teorie scientifiche e matematiche più avanzate. Ti devo sempre spiegare tutto? 
– Mi hai preso per una stupida? I riti giapponesi sono affascinanti e fanno parte della mia cultura, però posso solo dare ragione alla scienza e alla matematica. Nella vita servono dati indiscutibili, prove, fatti. È così che riusciamo a progredire.
Kisshu la guardò a lungo, il sorrisetto canzonatorio aveva lasciato spazio ad un’espressione più seria. In un attimo, si teletrasportò davanti a lei, le afferrò i polsi e la fece indietreggiare fino a farle toccare con la schiena la parete dell’astronave, bloccandola con il suo corpo.
– Hey! Ma che fai? – gridò Ichigo.
– Ci sforziamo entrambi di sembrare più grandi… fingiamo, fingiamo e fingiamo… – sussurrò lui.
– Cos…
– Da quando in qua non ti lasci più guidare dall’istinto Ichigo? Quell’umano ti ha cambiata… io lo so che tu non sei così cinica e lo sai bene anche tu. Sei indomabile, impulsiva, selvaggia e così… passionale… proprio come me. Io e te ci apparteniamo. Tu ti ostini a far finta di non vedere, di non sentire, di non credere… vorresti reprimere tutto. Non puoi farci niente: noi due ci apparteniamo. E giuro che quando ti ho rivista al Caffè, con quello sguardo così fiero, così determinato, ho dovuto lottare con tutte le mie forze per trattenermi. Lo so che anche tu hai provato qualcosa per me dieci anni fa e che inconsciamente lo provi ancora, l’ho sempre saputo. Non ti ero del tutto indifferente, non lo sono mai stato. Ma hai voluto comportarti nel modo che era più consono, hai fatto la tua scelta e ti sei fatta mettere un collarino attorno al collo… 
Kisshu si soffermò a disegnarle il contorno della bocca con le dita, scendendo lentamente giù per il mento e il collo, poi continuò:
– Non lo porti più… qualcosa in te si è risvegliato alla fine… 
– Smettila! Non sono affari tuoi! – disse a gran voce la ragazza.
– Te lo richiedo, Ichigo: da quando in qua non credi più nelle tue sensazioni? Hai mai notato che quando stavi con quell’umano cercavi di reprimere le tue emozioni, nascondendo le orecchie da gatto? Non era accettabile per Aoyama girare in città con un ibrido, vero? Avevi paura di mostrarti al mondo, alla società, alle persone care… ti importava tanto salvaguardare le apparenze. Solo quando ti trasformavi in Mew Mew ti lasciavi andare, ti affidavi pienamente al tuo sesto senso… vuoi sapere la verità? Quando ti sei messa con lui – ringhiò con disprezzo, – hai a poco a poco abbandonato la tua vera natura, hai cominciato a credere solo nei fatti, ad immaginarti più grande e sposata con uno che aveva il Male dentro di sé… senza curarti di chi ti avrebbe accettata così come sei. 
– Masaya aveva accettato che io fossi una Mew Mew! Stai dicendo solo bugie! – esclamò.
– Ah sì? Dico solo bugie? Allora come mai non mi respingi? 
Kisshu cominciò a baciarla con foga sulla bocca, sul collo, sul viso, ovunque.
Ichigo sussultò. Sentì brividi lungo tutto il corpo, il contatto delle labbra del ragazzo con la sua pelle la fece trasalire. Aveva la mente completamente annebbiata, non riusciva a muoversi, non riusciva a reagire. Era come se fosse in un’altra dimensione, dove l’unico appiglio al presente era dato soltanto dalla sensazione di calore provocata dai baci di Kisshu sulla sua pelle. Se era un sogno, non voleva destarsi…
– Dimmi, – continuò l’alieno tra un bacio e l’altro, – lui ti faceva sentire così? Te ne stavi tanto imbambolata? Le sue carezze ti facevano svenire? Eh? Mi fai impazzire, mi fai solo impazzire… 
Ad un tratto si fermò. Prima di teletrasportarsi di nuovo, sentenziò tristemente:
– … ma fino a quando continuerai a negare ciò che provi, tra di noi non potrà esserci niente. 

***​

Minto era nervosa: una guardia le aveva detto che stavano per atterrare. Cosa dovevano aspettarsi dagli alieni, una volta arrivate sul loro pianeta? Lei e le sue amiche erano ufficialmente prigioniere di un governo extraterrestre, erano state rapite. Poi avevano visto quello che i ribelli stavano facendo, la condizione del povero Taruto… e si erano impietosite, accettando di aiutarli nella creazione in laboratorio dell’Acqua Cristallo. Ma a che prezzo? Sarebbero uscite vive da quegli esperimenti? Sarebbero mai ritornate sulla Terra? Non c’era un’altra soluzione? C’erano tante cose che dovevano essere chiarite.
Sull’astronave l’atmosfera era tesa, soprattutto nella stanza in cui si trovava assieme alle sue compagne. Dopo aver visto la chiamata olografica di Pai, Purin non aveva detto una parola per tutto il resto del viaggio. Certo, era più che comprensibile.
All’improvviso, un soldato alieno si materializzò dietro di lei, spaventandola.
– Il capitano ha dato l’ordine di prepararsi all’atterraggio, avete meno di 5 minuti – ordinò.
« Ci siamo » pensò la ragazza, guardando le altre e allacciando la cintura di sicurezza.
Sembrava di essere su un aereo. Dai piccoli oblò, Minto riuscì a vedere il paesaggio che si avvicinava, facendosi sempre più nitido. Una distesa di città futuristiche e confusionarie, con delle specie di veicoli volanti e degli schermi messi su qualsiasi superficie piatta, le si presentò davanti agli occhi. Nonostante l’alto livello di tecnologia, sopra gli edifici e nelle strade c’erano tantissimi fiori e piante sconosciute di mille forme e colori.
– Wow… – sussurrò.
– Benvenute sul nostro Pianeta!

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Capitolo 12
*** Perdre quelqu'un ***


Dopo aver visto lo straziante ologramma di Taruto, Purin era scoppiata a piangere. La ragazza aveva pianto così tanto da non riuscire a respirare. I suoi singhiozzi e lamenti erano udibili da ogni stanza dell’astronave. Poi, il nulla. Si era sdraiata sul letto e non si era più alzata per tutto il resto del viaggio, restando immobile, con gli occhi aperti e lo sguardo lontano. A nulla erano serviti gli abbracci e le parole di conforto delle amiche: il suo dolore sembrava ingestibile. Vedere il ragazzo alieno sofferente aveva risvegliato in lei il triste ricordo della morte di sua madre. Suo padre non aveva voluto che i figli rimanessero con lei fino all’ultimo, ritenendolo un atto troppo duro per dei bambiniChissà se aveva avuto paura della morte, se l’aveva sentita arrivare, se era cosciente…
Purin non aveva nemmeno fatto troppo caso alla voce della guardia che annunciava l’imminente atterraggio e distribuiva alle ragazze delle speciali pillole per respirare. Una volta inghiottita la compressa, si diresse meccanicamente verso l’uscita della navicella, seguendo le compagne.
« Mamma… proteggilo! » pregò, scendendo dall’astronave come un automa.
Una luce accecante abbagliò le ragazze. Il pianeta degli alieni, un tempo dominato dal freddo e dalle tenebre, era diventato caldo ed accogliente. La vegetazione prosperava e trovava il giusto equilibrio con gli edifici altamente tecnologici di creazione extraterrestre.
– Wow… – fece Ichigo, guardandosi attorno meravigliata.
– Presto, da questa parte! – intimò un soldato alieno. – Il Consiglio vi sta aspettando. 
 
***​

I membri del Consiglio degli Anziani erano una decina. Indossavano tutti una tunica bianca adornata da preziosi ed elaborati ricami. Stavano seduti in cerchio in una piccola saletta sotterranea, illuminata interamente da luce artificiale. La squadra Mew Mew fu fatta accomodare all’interno del cerchio formato dagli Anziani, al centro della stanza. Un soldato distribuì a tutte le ragazze dei dispositivi di traduzione simultanea sotto forma di cuffie auricolari con microfono.
« Sembrano incartapecoriti… e ammuffiti! » pensò Retasu, guardando ansiosamente i vecchietti alieni.
– Eccellenze, vogliamo cominciare? 
– Pai! – esclamò sorpresa Retasu ad alta voce.
– Silenzio, Terrestre! Il Generale Pai Ikisatashi parteciperà a questa seduta e non va certo chiamato per nome, ma con l’onorevole titolo che gli spetta! E non si è rivolto a voi! – la zittì un membro del Consiglio, con voce tagliente.
– C... chiedo scusa… Signor Generale Pai Ikisatashi... – disse umilmente la ragazza, imbarazzatissima.
Pai la guardò a lungo con un’espressione illeggibile, ma non pronunciò una parola. Piuttosto, l’Anziano che aveva redarguito Retasu cominciò il suo discorso.
– Umane, la situazione è tragica, come avete potuto accertare con i vostri occhi. È in atto una feroce ribellione contro l’Autorità da noi rappresentata. Il virus si sta propagando a velocità preoccupanti: a volte siamo stati costretti a far eliminare i più grossi focolai. 
Le giovani trasalirono e rabbrividirono. Far eliminare i più grossi focolai? Cioè far uccidere dei poveri innocenti? Era davvero un male necessario?
– Abbiamo bisogno dell’Acqua Mew. Abbiamo bisogno di voi. Se vi sottoponete volontariamente agli esperimenti dei nostri scienziati e medici, vi risparmierete ulteriori colluttazioni e calmanti forzati – proseguì l’Anziano in tono minaccioso.
– Non ci lasciate molta scelta... – borbottò Zakuro, stringendo i pugni.
– Perché noi ne abbiamo? – chiese sarcasticamente un altro Anziano.
Un silenzio sgradevole si levò nell’aria.
Ma ad un tratto, una voce si scagliò contro di esso.
– Voglio vederlo. 
– Purin… – bisbigliò invano Ichigo.
– Voglio vedere Taruto Ikisatashi. Voglio stargli vicino e stringergli la mano. 
– Come osi rivolgerti in quel… – urlò un soldato, che fu però interrotto dalla giovane.
– Adesso. 
– Sciocca, non hai capito che il virus è altamente pericoloso e che potrebbe infettare anche te? Persino i nostri medici rischiano la vita ogni giorno solo per poter visitare! Sebbene siano protetti da una tuta, ci sono stati casi di contagio pure tra i nostri dottori più altamente qualificati! – la ammonì un membro del Consiglio.
– Ho detto che voglio vederlo. 
– Umana, non insist… 
– Va bene – disse all’improvviso Pai.
Tutti si voltarono sorpresi verso di lui. Come se non fosse successo nulla, l’alieno continuò, in tono fermo:
– Eccellenze, perdonate l’impulsività della ragazza. La sua richiesta va però accettata: se si ammala, potremo iniziare gli esperimenti su di lei, mentre se sopravvive, sarà lei stessa a voler provare i nostri preparati per prima. 
– E sia – sentenziò l’Anziano che aveva parlato per primo. – Preparatela alla disinfezione.  
« Pai, perché sei così freddo e distaccato? Io lo so che hai anche tu un cuore. Dopo tutto quello che è successo… perché fai così? » pensò tristemente Retasu.
– Io sono pronta. E potete iniziare da me, indipendentemente da quello che mi accadrà – disse risoluta Purin. Poi sussurrò: – Taruto, resisti. Non posso perdere anche te!

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Capitolo 13
*** Métamorphose ***


– Q… q… questa luce… è così… così accecante! – mormorò flebilmente Ryan, svegliatosi da poco. Si era addormentato sulla scrivania dove c’era il terribile progetto a cui era costretto a lavorare.
– Hai dormito anche troppo, Umano. Torna subito al lavoro! – intimò ferocemente il suo carceriere, continuando a indirizzargli verso il viso il fascio di luce di una potente pila extraterrestre.​
– Basta… basta! Non ci vedo. Non vedo niente! Scosta quella maledetta luce! – strillò il ragazzo.​
Il fascio di luce passò dal suo viso al petto, lasciandogli negli occhi una miriade di punti colorati.​
– Muoviti! – sbraitò l’alieno.​
– E se non obbedissi? 
La luce lo colpì nuovamente negli occhi.​
– Non fare il furbo. Non posso farti saltare le cervella, ma posso farti saltare qualcos’altro! – gridò il suo aguzzino, puntandogli una specie di pistola automatica alle parti basse.​
– Ok, ok. Ho capito. 
Ryan si risolse mestamente ad ultimare il progetto del potente laser. Non aveva alcuna voglia di essere mutilato. I seguaci di Deep Blue lo avevano picchiato duramente ogni volta che aveva provato a ribellarsi, ma non gli avevano ancora tagliato o asportato chirurgicamente nulla. Sapeva che non potevano ucciderlo: serviva uno scienziato vivo per costruire l’arma capace di iniettare direttamente nel sangue il famigerato virus. Tuttavia niente impediva loro di privarlo di qualche parte del corpo o di farlo fuori una volta finito il lavoro. Quel pensiero lo fece rabbrividire. Ma non poteva arrendersi. Doveva tentare di trovare una soluzione, qualunque essa fosse. 

***​
 
Mentre le infermiere aliene preparavano Purin ad incontrare Taruto, un soldato aveva fatto accomodare le ragazze in una stanza sopra il laboratorio destinato agli esperimenti per l’Acqua Mew. Da lì, grazie ai vetri trasparenti, avrebbero potuto vedere la loro amica quando sarebbe iniziato il primo test. Di fronte a loro si trovava un’altra sala che dava sul laboratorio, più grande ed accogliente poiché destinata al Consiglio degli Anziani e ai capi di stato maggiore delle forze armate aliene. Era ancora vuota, ma si sarebbe riempita a breve.​
– Ragazze, devo dirvi una cosa importante – annunciò Zakuro, una volta che il soldato se ne fu andato ed ebbe chiuso a chiave la porta.​
– Quando gli alieni ci hanno attaccate al Caffè Mew Mew, sono riuscita a ritornare giù in cantina senza farmi notare e… ho trovato questo – disse la ragazza, mostrando alle compagne un minuscolo ciondolo di peluche per il cellulare, a forma di pipistrello rosa…​
– Mash! – esclamò Ichigo, prendendo in mano il piccolo R-2000. – Perché non ce l’hai detto subito? ​
– E come facevo? Eravamo sorvegliate 24h su 24 in una navicella nello spazio infinito! ​
– Hai… hai ragione. Scusa.
– Tranquilla. ​
– Ma Ryan e Keiichiro avevano deciso di spegnerlo quando avevamo eliminato definitivamente i Chimeri rimasti sulla Terra! Come facciamo a riattivarlo? – chiese Retasu.​
– Semplice! – rispose Ichigo, tirando la coda di Mash e facendolo tornare alla sua grandezza naturale. – Basta impostarlo in modalità ON! 
Non appena la ragazza spostò il pulsante da OFF a ON, R-2000 riprese immediatamente vita, per la gioia delle presenti.​
– Ichigo, Ichigo! Che bello rivederti! ​
– Mash, piccolo mio! – disse la rossa, stringendo al cuore il suo adorato robottino. L’abbraccio però durò poco, perché Mash avvertì subito la presenza degli extraterrestri e cominciò a volare di qua e di là, impaurito.​
– Ragazze! Alieni, alieni! ​
– Grazie Mash, lo sappiamo – disse dolcemente Minto. – Ma adesso che si fa? Non abbiamo più le spille e saremo usate tutte come cavie, che ci piaccia o no! – domandò poi alle amiche.​
– Ci penso io, ci penso io! – disse il robottino, vomitando i ciondoli della squadra Mew Mew sotto lo sguardo sbalordito delle ragazze.​
– Beh, non c’è che dire: la pancia di Mash è un nascondiglio perfetto! – commentò Retasu con una risatina nervosa, rompendo il silenzio che si era creato.​
– Sentite, non ho voglia di restare a guardare mentre fanno chissà quali esperimenti su Purin. Se questi vanno male, continueranno a testare i loro preparati su di noi senza curarsi né della sua né della nostra salute. Avete visto come ci trattano qua dentro – disse risoluta Ichigo, camminando avanti e indietro. Poi aggiunse, dopo una breve pausa: – Forse Purin non ha molte speranze di uscire indenne dagli esperimenti. Ma Mew Purin sì. E a questo punto, tutte per una e una per tutte: dobbiamo trasformarci. Non possiamo lasciare la nostra amica da sola, affronteremo insieme tutti gli intrugli che gli alieni ci proporranno. 
– Concordo in pieno – affermò Zakuro.​
– Anche io – disse Retasu.​
– Idem. Con le ali posso fare molto di più – disse Minto in tono fermo.​
– Gli alieni stanno prendendo posto: vuol dire che tra poco Purin verrà portata nel laboratorio – disse Zakuro, con lo sguardo fisso alla sala di fronte a loro.​
– È già qui, sta entrando adesso. Dobbiamo darle la spilla! – esclamò Retasu.​
– Avete notato che queste vetrate non sembrano poi così diverse da quelle terrestri? – fece Minto con un sorrisetto. – Mi sa proprio che solo la squadra Mew Mew può realizzare un’entrata hollywoodiana che si rispetti senza sfregiarsi con dei vetri veri – continuò.​
– Eh già! – convenne Ichigo. – Quindi… ​
– METAMORFOSI! 
 

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Capitolo 14
*** Souvenirs ***


Pai camminava per i corridoi pensieroso. Il Consiglio degli Anziani lo aveva invitato ad assistere al primo test di laboratorio sulle Mew Mew. Era un grande onore potersi sedere tra gli Anziani e i capi di stato maggiore delle forze armate, in normali circostanze ne sarebbe stato felice. Ma le circostanze di quel momento erano tutt’altro che normali: il suo popolo era in piena guerra civile e il suo fratellino era stato infettato dal virus dei ribelli. Il dovere gli imponeva di andare avanti come se nulla fosse, però nessuno poteva obbligarlo ad essere felice. 
Sospirò. ​
Aveva servito nell’esercito per gran parte della vita. Aveva lottato per dare alla sua gente un futuro migliore, aveva combattuto per riconquistare la Terra, aveva sfidato Deep Blue sacrificandosi per salvare le ragazze Mew Mew, ma lottare contro un’arma biologica che veniva usata per distruggere i propri simili? Mai aveva affrontato una minaccia del genere.
Le immagini dell’ultimo scontro armato a cui aveva partecipato gli riempirono la mente. Ricordava la battaglia, l’odore metallico del sangue, il frastuono delle spade, le urla strazianti dei soldati feriti e le grida bellicose dei nemici. Erano caduti in un’imboscata. I ribelli erano in superiorità numerica e nel pieno delle forze, mentre i suoi, invece, erano affamati a causa del razionamento delle scorte e ancora provati dal precedente scontro. Ad un certo punto, aveva sentito un terribile boato ed era stato scaraventato lontano: i seguaci di Deep Blue avevano fatto esplodere una bomba. Purtroppo, erano morti molti soldati della sua unità a causa di quell’esplosione. Lui era stato colpito al polpaccio da una scheggia e aveva riportato una concussione cerebrale ma, trattandosi di un ordigno ordinario, non era stato contaminato dal virus nemico. Taruto non aveva avuto la sua stessa “fortuna”: mentre era impegnato in una missione volta a ripristinare le infrastrutture e i servizi essenziali di un’area recentemente distrutta dai ribelli, era stato colpito da una scheggia di una bomba carica dell’arma biologica.​
Pai sospirò di nuovo.​
Non era stato capace di proteggere suo fratello minore dagli orrori della guerra. Taruto era solo un bambino quando erano andati sulla Terra e lui non si era opposto al suo reclutamento. Lo aveva fatto partecipare a missioni pericolose, gli aveva affidato il comando di alcune operazioni militari, gli aveva fatto maneggiare dei Chimeri da solo e…​
Chiuse gli occhi. Il ricordo del corpo esanime del fratello si fece largo nella sua mente.​
Lo aveva ucciso. ​
Quando erano tornati in vita, Taruto non si ricordava di essere stato assassinato dal fratello più grande: lo shock della battaglia finale gli aveva provocato dei vuoti di memoria. Di tanto in tanto, aveva avuto degli incubi, però con il passare del tempo questi erano finiti. ​
I suoi no.​
Kisshu aveva mantenuto un religioso silenzio sull’intera vicenda, ma non l’aveva più guardato come prima. Qualcosa tra loro si era rotto per sempre. Non poteva biasimarlo: quale mostro uccide il proprio fratello? Non poteva darsi pace. Non si meritava nulla.​ Nemmeno il perdono di Retasu.
Pai si diresse verso la sala sopra il laboratorio. Il protocollo di sicurezza vietava il teletrasporto all’interno dell’edificio e lui doveva sbrigarsi: a momenti, Purin avrebbe testato il primo preparato dei loro scienziati. Il piano per produrre artificialmente l’Acqua Cristallo doveva funzionare: non voleva perdere di nuovo il suo fratellino. ​
Era certo che la scimmietta avesse rallegrato un po’ Taruto. Sapeva benissimo che da bambini si trovavano entrambi simpatici e che la ragazza era sempre piena di ener…​
Un rumore di… vetri infranti… e il successivo suono dell’allarme interruppero i suoi pensieri.​
– Qui parla il Generale Pai Ikisatashi. Ma cosa diavolo succede? – chiese, attivando l’interfono del vestibolo.​
– Signor Generale, le Mew Mew! Si sono trasformate e hanno rotto il vetro protettivo, ora si trovano nel laboratorio! – gli urlò una guardia attraverso l’interfono.​
In quel momento, Pai sperò ardentemente che si trattasse di uno scherzo di pessimo gusto. Ma quando aprì la porta della sala sovrastante il laboratorio, constatò che era tutto vero: la squadra Mew Mew aveva di nuovo i superpoteri.​
Na no da!​

 

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Capitolo 15
*** Prise de décision ***


Dopo la disinfezione, alcune infermiere aliene aiutarono Purin a indossare una tuta protettiva, necessaria a ridurre il rischio di contagio durante la visita a Taruto. In effetti, l’indumento poteva fornirle solo una protezione del 90%: per il restante 10%, era obbligatorio affidarsi alla sorte.
Quando la ragazza entrò nel reparto dove era ricoverato il giovane Ikisatashi, fu pervasa da un’ondata di tristezza. C’erano molti pazienti che, come lui, erano al secondo stadio della malattia. Il fruscio delle tende dei séparé che si aprivano e chiudevano al passaggio dei medici era accompagnato da forti gemiti e lamenti. Un’infermiera le indicò il letto di Taruto. Il ragazzo vi era disteso immobile, con un tubo infilato in gola, le cannule ai polsi e al collo e due flebo al braccio. A lato del letto pendeva una sacca per l’urina. ​
– P… Purin… – mormorò l’alieno, con grande sforzo.​
Le ultime parole di sua madre le riecheggiarono nella mente.
« Su, fai un bel sorriso... » ​
– Taru-Taru… – sussurrò la giovane sorridendo, cercando di ignorare il dolore che sentiva al petto.​
Il ragazzo le sorrise di rimando e le strinse la mano.​

***​

Purin fu scortata al laboratorio da cinque guardie. In silenzio, percorsero rapidamente corridoi lunghi e deserti. Ma dalle porte chiuse che si affacciavano su di essi, si sentivano voci e brusii.​
Il laboratorio alieno si trovava nelle viscere dell’edificio governativo e per accedervi serviva, dopo aver digitato un codice, fare uno scanner facciale e digitale. Una volta entrata, Purin si guardò attorno: era circondata da monitor, schermi radar e varie apparecchiature chimiche. In mezzo alla sala, c’era un tavolo operatorio con accanto un macchinario che emetteva uno strano ronzio. Gli scienziati, che indossavano lunghi camici bianchi e degli occhiali protettivi, erano intenti ad armeggiare con alambicchi e provette. L’unica fonte di luce era artificiale. In alto, sopra il laboratorio, una galleria dalle pareti di vetro rinforzato permetteva di assistere agli esperimenti: tra gli spettatori, la ragazza poté distinguere i volti dei membri del Consiglio degli Anziani, che la stavano osservando comodamente seduti in poltrone rosse.​

CRASH!​

L’inconfondibile suono del vetro che si infrangeva fece sobbalzare tutti i presenti: una freccia di luce, scagliata dalla parte opposta a quella dove si trovava il Consiglio, aveva rotto le vetrate e si era conficcata nel muro vicino alla testa del membro più anziano, facendo così scattare l’allarme.​
– Fermi tutti dove siete!​
– R… ragazze? – balbettò incredula Purin.​
Mentre Mew Minto si librava nell’aria brandendo il suo arco, le altre amiche avevano spiccato un gran balzo e, con un’elegante capriola, erano atterrate nel laboratorio sotto una pioggia di vetri. ​
– Presto Purin! Trasformati! – urlò Mew Ichigo, lanciandole la spilla.​
La ragazza non se lo fece ripetere due volte e afferrò al volo il ciondolo.​
– Mew Mew Purin Metamorphosis!​
Una luce abbagliante la avvolse, dandole una forza che non sentiva da tanto tempo. Era di nuovo piena di energia, era di nuovo una Mew Mew! ​
– Na no da!​
I soldati extraterrestri si precipitarono nel laboratorio e nella galleria sovrastante, mettendosi in posizione di attacco. Una guardia provò a lanciare una potente scarica elettrica contro le Mew Mew, ma Mew Ichigo la deviò immediatamente con la sua Strawberry Bell.​
– Aprite bene le orecchie! Non abbiamo alcuna intenzione di guardarvi somministrare alla nostra amica chissà quale diavoleria. Non potete comportarvi con noi come se maneggiaste spazzatura, nya! ​
– Avevate acconsentito… vero, Generale Ikisatashi? – sibilò furioso uno degli Anziani, fissando il neo arrivato. ​
– Abbiamo promesso di aiutarvi! Ma non è questo il modo di trattare delle signore! – esclamò Mew Minto.​
– Siamo in guerra, dannazione! – ruggì Pai, perdendo il suo famoso autocontrollo. Poi aggiunse, cercando di mantenere la voce il più ferma possibile: – Ogni giorno… ogni santo giorno… il nostro popolo e i nostri soldati lottano per non essere trucidati dai seguaci di Deep Blue. Bombardamenti, armi cariche del virus, aria, acqua e cibo contaminati… dobbiamo sopportare di tutto. I ribelli si fanno addirittura contagiare volontariamente per infettare a loro volta più gente possibile. E avete visto bene cosa vuol dire venire a contatto con il loro virus. Non esiste una cura al momento: sono attacchi suicidi! Ma questo a loro non importa, sono convinti che il loro Signore li salverà e…​
– Basta così. Per oggi ha dato abbastanza spettacolo, Generale – lo freddò il membro più anziano del Consiglio. Poi proseguì, rivolgendosi alle ragazze: – Allora, che avete intenzione di fare?​
– Eccellenza, vogliamo mantenere la parola data. Non siamo insensibili alle vostre sofferenze. Dovete però capire che serve un compromesso pacifico: non potete sezionarci vive o lasciarci morire dopo averci iniettato qualche sostanza strana. E non potete nemmeno modificare deliberatamente il DNA di qualche combattente coraggioso, come è stato fatto con il nostro, per usarlo contro i nemici: la genetica non è uno scherzo, non si torna più indietro, ci possono essere delle complicanze disastrose! Noi, però, siamo sopravvissute alla mutazione. Possiamo collaborare e trovare insieme una soluzione per sconfiggere i ribelli! – disse Mew Retasu.​
– Parole dolci. Ma non bastano: per alleviare i dolori della nostra gente serve l’Acqua Cristallo. ​
– Testeremo i vostri preparati come Mew Mew, non come normali esseri umani. Ogni esperimento verrà eseguito soltanto in presenza di un’équipe medica, pronta a intervenire. Nessuna vivisezione, nessun veleno, nessuna cella e niente studi troppo invasivi. O così, o niente – affermò con voce dura Mew Ichigo, muovendo con fare minaccioso la sua arma.​
L’Anziano la guardò a lungo, soppesando le sue parole.
Mew Purin sapeva che era furioso. Eppure, avevano tutti bisogno di loro...​
 E sia – grugnì, dopo aver discusso animatamente con gli altri Anziani. ​

***​

– Perdonatemi Eccellenze, permettete una parola?​
– Capitano Ikisatashi! Eravamo in pausa... ma va bene, parli pure!
– La leader delle Mew Mew, Mew Ichigo… è diversa dalle altre. È la più forte, ha…​
– Ha sconfitto Deep Blue. Sì, lo sappiamo. Continui.​
– Proprio per questo, Eccellenze, è sprecata a fare da cavia per la nuova Acqua Cristallo. Al contrario, potrebbe rivelarsi un’arma segreta contro i ribelli. Ha già dimostrato in passato di avere dentro di sé un enorme potere. Ma non combatte da tanto tempo. Lasciate che l’addestri personalmente.​
Il Consiglio degli Anziani si consultò sotto voce per decidere. Infine, dopo una pausa che a Kisshu sembrò interminabile, il membro più anziano gli fece cenno di avvicinarsi.​
– E sia.  ​
Kisshu tirò un sospiro di sollievo. ​

 

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Capitolo 16
*** Combats-moi ***


Dopo aver aspettato che gli alieni rimettessero tutto a posto, le Mew Mew si accinsero a rientrare nel laboratorio.​

– Tu no – la fermò bruscamente un soldato. – Prima devi incontrare il Capitano Ikisatashi, ti porterò da lui.​

– Il Capitano Ikisatashi? E perché mai?​

– Ordini superiori. Seguimi.​

Mew Ichigo guardò le amiche con aria interrogativa. Mew Retasu alzò le spalle in risposta.​

« Kisshu… »​

Si era data più volte della stupida per essere rimasta così inebetita durante il loro tête-à-tête sull’astronave. Non era un giochetto, non era una bambola da baciare a piacimento. 
« E allora perché lo hai lasciato fare, godendoti il momento? » sussurrò la sua solita vocina interiore. La parte razionale di lei scacciò subito quei pensieri.​

Il militare la condusse in un’ampia stanza circolare, dove Kisshu la stava aspettando. Il soldato eseguì il saluto al superiore e si allontanò velocemente, lasciandoli soli. La ragazza lanciò un’occhiata in giro: quel luogo era completamente spoglio e c’era della sabbia per terra.​

– Questa è la sala per gli allenamenti numero 7. È qui che sono stato selezionato per la mia prima missione sul Pianeta Azzurro.​

– Perché mi hai fatto chiamare? Le altre stanno iniziando con gli esperimenti e…​

– Qui è permesso teletrasportarsi. Non ci sono regole: puoi fare di tutto.​

– Cosa? Che vuoi dire con…​

Mew Ichigo non finì la frase che il suo sesto senso da gatto l’avvertì di un pericolo. Un istante dopo, Kisshu si materializzò sopra di lei, pronto a colpirla alla testa con un Sai. La ragazza schivò il fendente per un soffio spostandosi agilmente di lato e sferrò un calcio nella direzione dell’alieno, che però andò a vuoto.​

– Hey! – gridò Mew Ichigo. – Ma che cavolo ti salta in mente?​

– Devo addestrarti. Se vuoi davvero aiutarci a sconfiggere i ribelli, bisogna che tu sia pronta a combattere anche nel corpo a corpo. Se ci intrufoliamo nella loro base, devi aspettarti di tutto.​

Con un movimento veloce e preciso, parallelo al terreno, Kisshu sferrò un nuovo fendente, questa volta all’altezza della vita. Mew Ichigo fu rapida a parare il colpo con la sua Strawberry Bell, che le fece da scudo, e lo spinse indietro. L’alieno contrattaccò subito mirando alle sue gambe, ma la ragazza evitò la lama con un salto. Non appena la Mew Mew toccò il suolo, Kisshu scomparve in un battito di ciglia.​

– Sono qui! – esclamò il ragazzo, teletrasportandosi alle sue spalle e dandole una potente gomitata, facendola rovinare a terra. Mew Ichigo non ebbe il tempo di rialzarsi che l’extraterrestre si era materializzato in piedi davanti a lei.​

– Non sei più abituata a combattere. Saresti già morta a quest’ora – constatò Kisshu, puntandole un Sai alla gola.​

– Volete irrompere nella base nemica?​

– Stiamo elaborando una strategia, sì… – disse lui, aiutandola a rialzarsi. Poi aggiunse: – Ricominciamo!​

– Aspetta! Perché sono da sola? Anche le altre devono allen…​

– No. Ci hanno disturbato diverse volte… troppe volte. Stavolta ci siamo solo noi due. Combatti! – la interruppe Kisshu, provando a colpirla sul fianco destro. La ragazza riuscì ancora a farsi scudo con la Strawberry Bell.​

– Non ho alcuna intenzione di lasciare le mie amiche da sole! Quante volte devo ripeterlo?​

– Quante volte devo ripeterti che tu appartieni a me?​

– IO NON APPARTENGO A NESSUNO! – urlò a pieni polmoni Mew Ichigo, graffiandolo a sorpresa.​

Kisshu indietreggiò e si toccò la guancia, pulendosi un rivolo di sangue. Dopodiché scoppiò a ridere, facendo cadere i Sai a terra.​

– Ma brava! Proprio come ai vecchi tempi! – esclamò battendo le mani.​

– Dieci anni fa volevate annientarci con una falena gigante in grado di cospargere polveri velenose per tutta la città. Io e le mie compagne l’abbiamo sconfitta insieme, rischiando di morire avvelenate nel venire a contatto con le sue ali. Ora siete voi a subire attacchi biologici e avete bisogno dell’intera squadra Mew Mew, non puoi separarci! E poi… – disse Mew Ichigo con rabbia.​

– Eravamo sotto il giogo di Deep Blue. Sareste morti tutti velocemente, a differenza della mia gente in questo momento – la interruppe nuovamente lui.​

– Smettila di interrompermi! Io non sono tua! – strillò la ragazza, attaccandolo con una scarica di pugni. Poi proseguì, tra un pugno e l’altro: – Tu… tu… tu sei solo uno stupido… un vero stupido…​

– Whoa, gattina, vacci piano! Potresti farti male! – ribatté Kisshu, parando ogni suo colpo con facilità. L’alieno si teletrasportò di nuovo alle sue spalle, abbracciandola da dietro e affondando il viso nel suo collo.​

Lei chiuse gli occhi, inspirando a fondo il suo profumo. Il cuore le batteva a mille. Erano così vicini…​

– Ti sbagli. Tu appartieni a me ed io appartengo a te. Ci apparteniamo, Ichigo! Non voglio che nessuno ti faccia del male. Ascoltami per una buona volta, ascoltami…

Mew Ichigo si girò lentamente. Ora erano faccia a faccia.​

– Sta succedendo tutto troppo in fretta – disse la ragazza, con gli occhi pieni di lacrime.

– Succede sempre tutto in fretta tra noi… – mormorò dolcemente lui, accarezzandole il viso.​

Si avvicinarono l’una all’altro fino a quando i loro nasi si sfiorarono. Lui le cinse i fianchi con le braccia, stringendola a sé e…​

– Devo tornare dalle mie amiche. Dobbiamo trovare la nuova Acqua Cristallo per il tuo popolo, non possiamo permettere questo sterminio di massa. Poi continueremo il nostro allenamento – disse Mew Ichigo, posando delicatamente una mano sul petto di Kisshu e rompendo la magia che si era creata in quel momento.​

– Testarda e battagliera come sempre… – commentò l’alieno sospirando, guardandola con tenerezza.​

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Capitolo 17
*** Proies et prédateurs ***


Nel frattempo, nel tempio della base dei ribelli, l’Alto Sacerdote del culto di Deep Blue stava pregando in ginocchio, alzando di tanto in tanto le mani verso il cielo. Era un alieno tarchiato, vestito con una tunica vecchia e logora. I lunghi capelli grigi erano raccolti in un codino disordinato dietro la nuca. Nel complesso, il suo aspetto era in netto contrasto con quello del tempio, dove regnavano l’ordine e la pulizia e l’aria era carica dell’aroma di incenso sistemato insieme alle offerte alla divinità.

Quando uno dei combattenti che avevano rapito Ryan si teletrasportò nel luogo di culto, l’Alto Sacerdote fece finta di non notarlo e continuò la sua preghiera come se niente fosse. Alla fine, dopo un lungo sospiro, si girò verso il ribelle e lo fulminò con un’occhiataccia.

– Ebbene? Cosa c’è di così importante, Anis?

– Eminenza, mi dispiace di essere piombato qui all’improvviso, ma le nostre spie hanno scoperto che le cinque assassine terrestri si trovano sul nostro Pianeta! Sono state portate al cospetto del Consiglio degli Anziani da due dei traditori Ikisatashi! Si mormora anche che vogliano attaccarci nella nostra fortezza.

L’Alto Sacerdote non rispose. Con le mani tremanti dall’emozione, accese una candela davanti ad una rudimentale statuetta e inspirò profondamente.

– Eminenza, cosa dobbiamo…

– È arrivato il momento che tanto aspettavamo. Abbiamo chiesto vendetta e le nostre preghiere sono state ascoltate! Elimineremo una volta per tutte chi ha osato uccidere il Sommo Deep Blue! – disse euforico, con una strana luce nello sguardo.

Anis osservò gli occhi dell’Alto Sacerdote: erano grandi e scuri e in quel momento le pupille erano dilatate. Ricordava di averne visti così solo in una foto di un libro terrestre, scannerizzato molti anni prima dal maggiore dei traditori Ikisatashi quando era sulla Terra. Erano gli occhi di chi sa uccidere, di un predatore assetato di sangue. Erano occhi da squalo.

– Capisci, Anis? È la profezia del Luminoso Crepuscolo. Facciamo tutti parte di un disegno… un grande disegno creato da Deep Blue. Ognuno di noi ha un compito preciso nella battaglia contro le cinque assassine terrestri e tutti i traditori! Una volta che il virus avrà depurato il nostro Pianeta, distruggendolo, il nostro Signore ritornerà per salvare i suoi umili servitori e rigenererà il loro spirito sul Pianeta Azzurro! – incalzò l’Alto Sacerdote. Porgendo la candela al guerriero, proseguì: – Ma non qui, non ora. Porta la fiamma della vendetta agli altri fedeli: che diffonda coraggio e voglia di rivalsa contro i miscredenti!

– Sì, Eminenza! – disse Anis, teletrasportandosi.

L’Alto Sacerdote rimase da solo nel tempio. Le cinque assassine terrestri… le Mew Mew… meritavano di patire le più atroci sofferenze. Doveva pensare ad un modo per annientare ciascuna di esse.

Dopo aver pregato un’ultima volta, si teletrasportò nelle sue stanze. Qui, consultò sui suoi computer le informazioni sulla Terra che, assieme agli altri ribelli, aveva recuperato dai file criptati del governo in carica e da quelli del computer dei creatori del Progetto Mew. In particolare, analizzò bene le schede degli animali Red Data con cui le nemiche terrestri avevano fuso il DNA. Gatto selvatico di Iriomote, lorichetto blu, neofocena, scimmia leonina e lupo grigio… 

– Un momento. Il lupo grigio non è in via di estinzione – borbottò a voce bassa, riflettendo.

Ma quella non era l’unica stranezza. Lo scienziato terrestre, che adesso era costretto a lavorare per loro, aveva utilizzato il DNA di tre predatori e di due prede… 

– Tsk, la neofocena un predatore*… ma per piacere! – esclamò con disprezzo, facendo scorrere le foto dell’animale.

L’Alto Sacerdote continuò le sue ricerche fino a che una nota (scritta in… inglese, secondo i suoi studi delle lingue terrestri…), sotto la foto della nemica n.1, attirò la sua attenzione.

« When she’s very excited or embarrassed, 
she can morph into a cat and then morph back into her human form with a kiss.
We still don't know if the others can turn into animals in the same way…
»

Un terribile sorriso maligno si fece largo sul suo viso, sotto gli occhi da squalo.

 




* La neofocena è un predatore “pigro”: la sua dieta è composta dai pesci e gamberetti che trova nel suo habitat, non si sposta per cacciare e può nutrirsi anche di vegetali. È un amore! <3

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Capitolo 18
*** Les rides font peur ***


– Sono una deficiente, sono una deficiente, sono una deficiente!
Ichigo aveva deciso di tornare al laboratorio, ma... si era persa tra gli innumerevoli corridoi dell’edificio governativo extraterrestre, girovagando a vuoto e tornando sempre davanti alla porta della sala di allenamento numero 7, ormai vuota.
« Grandioso! » pensò, mettendosi le mani nei capelli.
Era così stanca: era atterrata su un pianeta sconosciuto, aveva litigato con dei vecchi alieni bisbetici e dopo dieci anni di inattività si era ritrovata a dover combattere contro Kisshu...
Il cuore le batteva ancora forte per via dell’incontro da poco conclusosi. Troppe emozioni, che diamine! E poi le faceva male dappertutto, aveva dovuto annullare la trasformazione per recuperare un po’ di energie. Aveva solo voglia di farsi una doccia bollente e buttarsi sul letto. Ma ciò non era proprio possibile: non era a casa sua e doveva ritrovare le amiche. Che fosse stato tutto un piano di Kisshu per allontanarla dalle altre?
Baka! Ma perché non mi sono fatta dare prima delle indicazioni?
 
***​

– Ma dove caspita è finita? – chiese spazientita Mew Minto, svolazzando vicino alle compagne davanti all’ingresso del laboratorio. I soldati le avevano informate che gli ordini erano cambiati di nuovo e che dovevano attendere il ritorno di Mew Ichigo. Era da tanto che aspettavano la leader del gruppo e tutte cercavano di ingannare il tempo e attenuare la tensione nel modo a loro più congeniale: Mew Purin facendo capriole, Mew Retasu intrecciandosi i capelli, Mew Zakuro riposando appoggiata al muro con le braccia incrociate e Mew Minto inveendo contro una certa ragazza dai capelli rossi.
– Non si è nemmeno portata dietro Mash, quell’oca giuliva?
Uno scienziato alieno basso e goffo si avvicinò titubante alla Mew lorichetto. Portava un paio di occhiali dalle lenti molto spesse e dalla montatura verdastra. Sul camice aveva appuntata una targhetta identificativa con su scritto “Cardamome”.
– Ehm... signorine Mew Mew... signorina Mew Minto... noi siamo pronti per cominciare... aspettiamo l’altra signorina ma... ma se volete, potete accomodar... – disse l’alieno, tentando nervosamente di abbozzare un discorso.
– No. Non si discute. Dobbiamo esserci tutte! – lo interruppe la ragazza, con tono perentorio.
– C... capisco signorina... c... certo! – balbettò Cardamome, arrossendo copiosamente e indietreggiando di qualche passo.
Mew Minto serrò i denti in una smorfia di dolore: non volava da dieci anni e il fatto di non essere più padrona del 100% del suo corpo rendeva il tutto più difficile, tanto che le ali stavano cominciando a farle male per lo sforzo. Quasi rimpiangeva la sua carrozzina, dimenticata nella galleria sovrastante...
Notando la sofferenza dell’amica, Mew Retasu le sussurrò con fare apprensivo: – Non va bene che ti affatichi così. Mentre aspettiamo Mew Ichigo, dovresti ritrasformarti e... ecco, mi ricordo di aver visto nel laboratorio una sedia con lo schienale di fronte ad un grosso monitor! Sono sicura che agli alieni non dispiacerà se la usi un attimo... non è vero Cardamome-san? Anzi, sareste così gentili da portarci direttamente la sedia a rotelle che abbiamo lasciato di sopra?
– Oh, noi... naturalmente.
– Perfetto! Grazie mille! – esclamò la Mew neofocena con un gran sorriso.
– È tutta colpa di quella stupida gattaccia! Come si fa ad essere così stupidi? Andare da sola da Kisshu... in un posto sconosciuto... senza volere nessuna di noi... ma come si fa? – disse la giovane dai capelli corvini, annullando la metamorfosi e appoggiandosi alle amiche prima di sistemarsi sulla sua sedia a rotelle, prontamente recuperata dagli scienziati extraterrestri. L’ingenuità di Ichigo la faceva arrabbiare: perché non aveva preteso di essere accompagnata? Si era fatta valere con il Consiglio, però non aveva detto nulla quando quel maniaco del Capitano Kisshu l’aveva fatta convocare per parlarle in privato. Da quando in qua ci si poteva fidare di lui? Sbuffando, si tolse il traduttore automatico e portò il ciondolo da Mew Mew alla bocca.
– Minto chiama Ichigo, ripeto, Minto chiama Ichigo. Hey, vecchiaccia, ci sei? Mi ricevi? 
Dopo qualche istante e fruscio di fondo, la voce di Ichigo si fece sentire.
– Minto! Sì, ti ricevo! Perché non ho pensato prima a usar... hey, aspetta un momento! A chi hai dato della vecchiaccia?
– Ho aspettato fin troppo e sì, ho dato proprio a te della vecchiaccia. Vecchiaccia, ritardataria, sciocca e imprudente! Sei fortunata che queste vecchie spille funzionino ancora! Si può sapere dove ti sei cacciata?
– Senti, non lo so dove mi sono cacciata, se proprio lo vuoi sapere, mi sono persa... sì, mi sono persa, va bene? Questi maledetti corridoi sono tutti uguali e non ci capisco più niente, mi sembra di stare in un labirinto! Sono da sola, Kisshu si deve essere teletrasportato da qualche parte e...
– Ci avevano detto che per motivi di sicurezza è vietato teletrasportarsi in questo edificio! Se qualcuno ci prova, scatta l’allarme! E perché non c’è nessuno lì con te?
– La sala di allenamento numero 7 è un’eccezione alla regola. Non c’è nessuno perché... perché... perché è una lunga storia, insomma! Sto cercando di tornare al laboratorio, sto girando da parecchio e anche se mi impegno... ritorno sempre vicino a questa stanza che serve ad allenarsi... o almeno credo...
– Cosa? Non muoverti, resta ferma dove sei! Mash ti verrà a prendere!
A quelle parole, il robottino si attivò con un bip-bip e, dopo aver girato su se stesso sbattendo le ali per intercettare il segnale, si diresse alla ricerca di Ichigo.
– Stupida, dovevi chiamarci subito! In tutto questo tempo, ho sforzato il mio corpo a volare!
– Cosa? La stupida sei tu! Perché non hai annullato immediatamente la trasformazione? Vuoi farmi preoccupare e basta, vero? Baka!
– No, sei tu che mi fai preoccupare e basta, baka! – esclamò la mora, chiudendo la comunicazione.
– Avete un modo del tutto particolare di dimostrarvi affetto, eh! – affermò Mew Purin, mentre Mew Retasu e Mew Zakuro annuivano in silenzio.
Siccome Minto si era tolta il traduttore simultaneo, gli scienziati e i sorveglianti, accorsi fuori dal laboratorio a causa delle sue urla, non avevano capito bene a cosa avevano appena assistito. Solo Cardamome sembrava essere a disagio, i suoi occhiali verdi si abbinavano perfettamente al rossore che si stava facendo largo sul suo viso.
« Chissà, forse parla la nostra lingua... » pensò Minto, mentre estraeva dalla tasca del suo vestito un pacchetto di sigarette malconcio e un piccolo accendino blu cobalto. Fortunamente li portava sempre con sé e fortunatamente il rapimento e il viaggio spaziale non li avevano danneggiati. Ne aveva bisogno adesso più che mai. Alieni maleducati e maniaci, ribelli satanisti, scienziati pazzi, fantomatici esperimenti contro un virus letale, dolori tremendi per via di una gatta stupida, niente tè... insomma, in quel momento c’erano tutti gli ingredienti necessari a farle salire il crimine. Posata la spilla sul grembo, si mise in bocca una sigaretta e fece per accenderla... quando il ciondolo cominciò a vibrare, distogliendola dall’intento.
– Guarda che lo so cosa vuoi fare! Anche se non sono lì con te, sappi che so cosa vuoi fare e che ti impedirò di farlo! Avevi detto che smettevi! – risuonò la voce di Ichigo.
– Grrrrrr... e piantala! – sibilò furiosa Minto, scaraventando lontano la spilla, che andò a colpire la testa del povero Cardamome.
– Ahi!
– È colpa di Ichigo!
– Non... non... non si preoccupi signorina, io... ecco, tenga! – disse lo scienziato, porgendole la spilla.
« Sì, parla la nostra lingua... » pensò irritata la ragazza, guardandolo a lungo. Notò che l’alieno aveva non solo gli occhiali, ma anche gli occhi di colore verde. Questi, che arrossì nuovamente sentendosi addosso lo sguardo di Minto, si schiarì la voce con un leggero colpetto di tosse.
– Signorina, se permette una parola... la sua collega ha ragione. Il fumo nuoce gravemente alla sal...
– Silenzio! – sbraitò la giovane, lanciandogli contro il dispositivo di traduzione simultanea e facendo cadere la sigaretta ancora inutilizzata sulle sue gambe.
Cardamome fu centrato in piena fronte e non osò continuare oltre la conversazione. 
– Mi dispiace, ma è sempre colpa di Ichigo, non mia! – urlò la mora.
– Minto... me lo avevi promesso... – mormorò dolcemente la Mew lupo.
– Ti prego, non ti ci mettere anche tu!
– Beh... sai, non è mica per la salute che te lo dico... è che ti vengono le rughe! – disse con un sorrisetto Mew Zakuro, indicandole un cestino nelle vicinanze.
Questa volta fu il turno di Minto per arrossire. Senza proferire una parola, la ragazza ripose la sigaretta nel pacchetto e buttò tutto nella spazzatura, assieme all’accendino. In seguito, ritornò alla porta del laboratorio ad attendere insieme alle altre.
Dopo diversi minuti, le ragazze videro spuntare Mash e Ichigo alla fine del lungo corridoio che conduceva al laboratorio.
– Ragazze, mi dispiace! – disse la ragazza dai capelli rossi, correndo incontro alle compagne.
– Dai, non è successo nulla... e poi erano ordini superiori! – si affrettò a dire Mew Retasu, prima che Minto potesse strillare qualcosa. Poi proseguì, posando una mano sul braccio dell’amica: – Piuttosto, cosa voleva da te Kisshu in questa... sala di allenamento numero 7, hai detto?
– Oh, lui... lui voleva... cioè gli alieni... loro... stanno pianificando di attaccare la base dei seguaci di Deep Blue. Kisshu mi ha detto che dovevo essere pronta a combattere anche nel corpo a corpo se volevo partecipare alla missione. Mi ha colpita diverse volte, però alla fine sono riuscita a graffiarlo. E poi... e poi... e poi gli ho detto che non potevate provare gli esperimenti senza di me e me ne sono andata. Ma il soldato che mi aveva accompagnata non era ad aspettarmi fuori dalla sala, suppongo che ci abbia lasciati soli per maggiore privacy e io... non sapevo come fare per tornare da voi.
– Vogliono attaccare la base dei ribelli? Ma... ma per quale motivo vogliono solo te? Voglio dire... insieme siamo una forza: lo dovrebbero sapere, no? – domandò Mew Retasu, visibilmente confusa.
– È quello che ho cercato di far capire a Kisshu... – sussurrò Ichigo, abbassando lo sguardo e concentrandosi sulla sua ombra, proiettata sul pavimento dalla luce artificiale delle potenti lampade del soffitto. Senza rialzare gli occhi, continuò: – Minto, come ti senti? Ce la fai a trasformarti?
– Mi serve un altro traduttore, il mio disgraziatamente si è rotto. Per il resto, sì, penso di farcela. E tu? Ti sei fatta male?
– Stavo meglio prima, ma penso di farcela anch’io. Non sono poi così vecchia! – rispose Ichigo, facendo una linguaccia. Poi aggiunse: – Questo posto è davvero un labirinto sotterraneo! Come fanno a orientarsi?
– Qui siamo nell’area segreta del Palazzo del Consiglio, al centro della capitale aliena – spiegò Mew Purin. – L’ospedale militare, che hanno costruito nell’edificio adiacente a questo, ha le luci di un colore diverso a seconda del settore. Le infermiere mi hanno detto che è stato costruito appositamente per i membri dell’esercito colpiti dal virus: sono loro che provano le cure palliative prima dei civili. Il reparto dove si trova Taruto si affaccia su un’area verde privata e...
Un soldato con una benda sull’occhio destro interruppe bruscamente la scimmietta.
– Umane, il Consiglio è di nuovo in galleria e voi ci siete tutte, quindi gli esperimenti possono iniziare sul serio! Entrate nel laboratorio, alla svelta!
– Mi potete tradurre quello che ha detto? – chiese la mora.
– Dobbiamo entrare, cominciano gli esperimenti. Minto, Ichigo: trasformatevi! – disse Mew Zakuro.
– S... signorina... se... se acconsente... posso...
Lo scienziato si bloccò, mordendosi le labbra e arrossendo violentemente: Minto si era appena trasformata.
– ... posso farle io da... da traduttore... – finì deglutendo.
– Grazie Cardamome, ma la sua traduzione non sarebbe simultanea e non voglio abusare della sua gentilezza. L’ho già colpita due volte oggi, penso possa bastare.
– Oh, lei può... c... cioè... non... non si preoccupi, non è accaduto niente di grave, eh eh... 
– Bene, allora per favore mi procuri un altro congegno.
– S... subito, signorina.
Lo scienziato materializzò un tablet dallo schermo verde, vi digitò sopra una serie di numeri e infine bisbigliò qualche parola all’orecchio di una guardia, che annuì e fece cenno alla ragazza di seguirlo. La condusse alla fine del corridoio, dove c’era un minuscolo magazzino pieno di strani marchingegni elettronici, tra cui dei dispositivi auricolari di traduzione simultanea. Mew Minto si mise il nuovo traduttore e ritornò indietro. I militari alieni all’ingresso la fecero entrare nel laboratorio, dove si trovavano già le altre ragazze: erano distese su dei tavoli metallici al centro della sala. Gli scienziati stavano preparando dei sensori di monitoraggio cardiaco e la giovane riuscì a sentire qualche stralcio di conversazione.
– Che confusione oggi! Prima ci danno l’ordine di iniziare gli esperimenti su una Terrestre e via via sulle altre, poi di esaminarle tutte insieme e, nel caso, di curarle, dopo ci obbligano a non testare niente su Mew Ichigo e adesso ci dicono che possiamo usarle tutte, ma di andarci piano con lei. Ti rendi conto di quanto tempo abbiamo perso, se contiamo pure la rottura dei vetri protettivi? – borbottò uno scienziato alto e calvo, rivolgendosi a Cardamome.
– Gingembre, sai bene che queste... queste non sono circostanze normali. Lo sai bene...
– Sì, ma non mi aspettavo una cosa del genere! Queste Mew Mew... perché deve essere tutto così complicato?
« Avevano ricevuto ordine di non provare nulla su Mew Ichigo? E ora possono farlo ma devono “andarci piano”? Che ci sia lo zampino di Kisshu? » si chiese la ragazza.
– Umana, cosa fai lì impalata? Forza, vola accanto alle tue compagne! – le ingiunse il soldato con la benda.
La ragazza non poté far altro che ubbidire e sistemarsi sul tavolo a lei assegnato, non senza una smorfia di disgusto.
– Esperimento numero 1, preparato a) 37 – annunciò Gingembre, mentre alcuni dei suoi colleghi trasportavano con cautela un grosso contenitore cilindrico pieno di un liquido grigio scuro e gelatinoso. Quando lo aprirono, un tanfo incredibile si diffuse gradualmente in tutto il laboratorio.
« Kami-sama, che schifezza! » pensò Mew Minto, tappandosi il naso.

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Capitolo 19
*** Premières expériences ***


La vista di quella sostanza non le piaceva affatto. Per non parlare dell’odore: le faceva semplicemente ribrezzo. Non poteva essere Acqua Mew, persino un bambino lo avrebbe capito. Possibile che quei cervelloni alieni fossero così stupidi?
Mew Zakuro cercò di non vomitare. Doveva resistere, doveva essere forte. Dopo l’incontro con Kisshu, Ichigo non sembrava molto lucida e in quel momento serviva un punto di riferimento. E dato che era la più grande, quel compito toccava a lei.
« Devo guidare il mio branco... » si disse, prendendo un respiro profondo prima di sbraitare: – Pensate di fregarci? Quella non sarà mai la nuova Acqua Cristallo! 
Cardamome balbettò terrorizzato: – Abb... abbiamo t... t... tanti campioni da t... testare e...
– Stai zitta e fa’ quello che ti viene detto! – ordinò con voce dura il militare con la benda sull’occhio destro, accendendo uno schermo gigante che avrebbe proiettato le varie fasi degli esperimenti.
La ragazza gli ringhiò in risposta. Sul monitor cardiaco, il battito impazzito del suo cuore non tradiva la rabbia che provava in quell’istante.
– Nessuna Mew Mew si illumina alla presenza del preparato a) 37. Proviamo ora con un contatto diretto... – annunciò Gingembre, facendo un cenno a due scienziati. Questi presero subito cinque contagocce, li riempirono della sostanza grigia e li usarono su tutte le ragazze, facendo cadere un po’ di liquido sulle loro braccia.
Quando la prima goccia le toccò la pelle, Mew Zakuro sentì una scossa nel cervello e brividi in tutto il corpo.
– Eeehuuuu! È una cosa viscida! – esclamò disgustata Mew Minto.
– Nessuna reazione... – disse Gingembre pensieroso. Poi aggiunse, materializzando un pugnale dorato e avvicinandosi al tavolo di Mew Purin: – Proviamo ora a usare il preparato a) 37 su una ferita. 
A quelle parole, le ragazze si irrigidirono. Lo scienziato praticò un piccolo taglio sul braccio destro della giovane. Era una lesione cutanea superficiale, tuttavia fuoriuscì un po’ di sangue. Gingembre vi mise subito sopra alcune gocce della sostanza. Dopo qualche minuto, la ferita era sempre lì.
– Primo esperimento fallito. Disinfettatela e poi portate il preparato b) 62! – ordinò ai colleghi.
– È normale che pizzichi? – chiese Mew Purin a Cardamome, il primo ad essere accorso ad occuparsi di lei.
– Mi... mi dispiace s... signorina. È la prima volta che proviamo questi campioni, vi stiamo f... facendo t... t... testare le soluzioni con la c... composizione più simile al Cr... Cr... Cristallo. La terrò sotto controllo personalmente, ha la mia parola.
– Sarà meglio per te... – disse minacciosa Mew Zakuro, digrignando i denti e facendo tremare di paura l’alieno.
« Che vi avevo detto, razza di stupidi che non siete altro? Quella roba non è l’Acqua Cristallo! » pensò furiosa la Mew lupo.
L’aria era irrespirabile: tutto il laboratorio era impregnato del terribile fetore del primo esperimento. Ed erano soltanto all’inizio.
Il preparato b) 62 era un composto verdastro che assomigliava vagamente, a seconda dei punti di vista, ad un passato di verdure o ad una pozzanghera melmosa, tuttavia il liquido in questione era effervescente. Fissando le bollicine, Mew Zakuro recitò mentalmente una preghiera.
– Nessuna Mew Mew si illumina alla presenza del preparato b) 62. Procediamo ora con l’esperimento... – disse Gingembre, grattandosi la testa completamente calva. Questa volta, nel momento in cui la prima goccia le toccò il braccio, la Mew lupo si lasciò sfuggire un gemito di dolore: era bollente. 
– Niente. Nessuna delle Terrestri si illumina venendo a contatto diretto con la soluzione... che ora verseremo su una ferita.
Mew Retasu fu scelta come cavia per quel passaggio. Anche il secondo esperimento non diede i risultati sperati, ma in compenso la pelle della Mew neofocena vi reagì con tante dolorose vesciche.
– Iniziamo il terzo esperimento: forza, il preparato c) 81! – disse Gingembre agli altri scienziati, che prontamente portarono un alambicco con dentro una sostanza trasparente.
« Questo composto promette meglio degli altri... » si disse Mew Zakuro, aspettando una reazione dal corpo che, però, non avvenne. La ragazza vide che nella galleria sovrastante il laboratorio molti alieni non riuscivano a stare fermi sulle loro poltrone: era evidente che i capi delle forze armate si trovavano in uno stato di forte agitazione.
– Versiamo adesso qualche goccia del campione c) 81 sulle Mew Mew!
Il liquido era filante come l’albume di un uovo e non provocò alle ragazze brividi o bruciore. Ma nessuna di loro si illuminò.
– Vediamo cosa succede a usarlo su una ferita... – borbottò Gingembre, accostandosi titubante a Mew Zakuro, che fece una smorfia guardando scintillare la lama del pugnale sotto la luce artificiale del laboratorio. Lo scienziato effettuò una piccola incisione sul braccio della ragazza e vi versò alcune gocce del preparato. Se all’inizio quel liquido sembrava innocuo, una volta entrato a contatto con il sangue evaporò sotto forma di nuvola rossastra. Un “ooooooooooh” di stupore si levò dalle ragazze Mew Mew, ad eccezione della viola. Quella soluzione le aveva lasciato una grossa chiazza rossa sul braccio e il taglio non si era rimarginato. 
– Terzo esperimento fallito... – annunciò mestamente Gingembre, guardando la piccola ferita di Mew Zakuro. Poi continuò: – Ora... ora... passiamo al... beh... al campione d) 12!
L’alieno recuperò in un cassetto segreto una provetta contenente un liquido blu elettrico... a cui nessuna delle supereroine reagì. Allora lo scienziato si servì di Mew Ichigo per la continuazione del quarto esperimento e l’unico risultato fu che la punta della sua coda assunse il colore della sostanza. Come se se lo aspettasse, Gingembre dichiarò il fallimento anche di quella prova di laboratorio.
« Strano... o forse no? » rifletté la Mew lupo. 
Cardamome si fece avanti timidamente, tenendo tra le mani un cilindro graduato colmo di una soluzione giallina. 
– In... iniz... iniziamo il q... q... q... quinto esperimento! E... e... ec... ecco il t... t... test e) 103!
Neanche in questo caso le Mew Mew si illuminarono all’istante, nemmeno venendo a contatto diretto con la sostanza. Solo Mew Minto non aveva ancora provato qualcosa, perciò Gingembre si preparò a farle il taglietto necessario al proseguimento dell’esperimento. Mew Zakuro chiuse forte gli occhi quando la lama del pugnale dorato incise la pelle della Mew lorichetto. Un mormorio di disapprovazione le fece capire che anche il test sul preparato e) 103 era stato un fallimento. La Mew lupo riaprì così gli occhi e vide quello che non avrebbe mai voluto vedere: nonostante fosse passato pochissimo tempo, il composto aveva infettato la ferita dell’amica e le aveva fatto fuoriuscire tantissimo pus. Era ovvio che le stesse facendo molto male.
« Sta trattenendo le lacrime per non dare soddisfazione agli alieni... » pensò Mew Zakuro, stringendo i pugni e respirando affannosamente. Doveva ripetersi che Mew Minto sarebbe guarita presto... doveva guarire presto, accidenti! Quei buffoni dovevano curarla!
– Pulitele immediatamente quel taglio e disinfettatela subito, non state lì imbalsamati! Avevamo un accordo, rispettate la vostra parte! – ringhiò la ragazza, infuriata.
– Calmati, donna-lupo! Ci occuperemo di tutte voi, ma bisogna continuare con... – affermò uno scienziato a cui mancava un orecchio, ma fu interrotto da una voce in galleria, trasmessa dall’interfono.
– No! – asserì Pai. – Per oggi possiamo finire così. Eccellenze, esimi scienziati... ritengo sia meglio aggiornarci a domani. Sono certo che il nostro team di studiosi vorrà esaminare a fondo i risultati di questa sessione per capire cosa cambiare nella composizione delle soluzioni... 
– Il Generale Ikisatashi ha ragione: oggi ne ho avuto abbastanza di queste Terrestri! Su, rimettetele a posto e portatele nelle loro stanze! – esclamò il più vecchio del Consiglio, alzandosi in piedi e uscendo dalla galleria, seguito dagli altri Anziani. A poco a poco, anche i capi di stato maggiore e gli alti comandanti extraterrestri abbandonarono la loro postazione.
Dopo essere state visitate, le ragazze annullarono la trasformazione e si lasciarono condurre da delle guardie nelle camere che erano state loro assegnate. Zakuro era insieme a Minto e a Purin, mentre Retasu e Ichigo avrebbero dormito in un’altra stanza.
Cardamome aveva riempito la ballerina di antibiotici e aveva balbettato un sacco di cose incomprensibili, arrossendo come un peperone. Tuttavia aveva mantenuto la parola data e si era occupato personalmente anche della giovane scimmietta. Ma nonostante le attenzioni ricevute, Purin non aveva smesso di grattarsi la ferita e aveva sviluppato uno strano rash cutaneo su tutto il corpo. Secondo gli scienziati, quell’effetto collaterale sarebbe scomparso nel giro di qualche ora, così come la tintura della coda di Ichigo. La povera Retasu, che aveva il braccio bendato a causa delle vesciche scoppiettanti, avrebbe invece dovuto aspettare qualche giorno per riprendersi totalmente. Mentre per la sua chiazza rossa... nessuno sapeva con certezza se sarebbe andata via o rimasta per sempre.
« Poco male, la posso coprire con un po’ di trucco... »
La camera in cui avrebbe alloggiato era molto spartana. C’erano tre misere brandine con sopra delle vecchie coperte tarlate e, accanto ad ognuna di esse, tre colonnine marroni fluttuanti. Al centro, un piccolo tavolino con una brocca azzurra per l’acqua e tre bicchieri decorati da ghirigori rossi. Sulla destra, c’era un armadio a muro contenente pantaloni, casacche, vestiti e scarpe di stile chiaramente alieno. Il bagno (grazie al cielo, c’era un bagno) era separato da una leggera tenda realizzata cucendo insieme tantissime foglie arancioni dalla forma circolare. Il pezzo forte dell’arredamento era sicuramente dato dalle lampade da notte, in quanto avevano la forma medusoide di un Para-Para.
– Secondo voi vedremo mai il pianeta di Taruto? – chiese Purin, sedendosi sul letto.
« L’unico pianeta che vorrei vedere è la Terra... » pensò Zakuro, guardandosi tristemente la grossa macchia sul braccio.

***​

Faceva freddo.
Un freddo da battere i denti.
Sentiva freddo soprattutto alla schiena, quasi come se fosse sdraiata su un enorme blocco di ghiaccio. Avrebbe voluto alzarsi, ma non ci riusciva: il freddo le aveva invaso anche gli arti, pareva che fossero congelati.
« Dove mi trovo? » si chiese Ichigo, girando con difficoltà la testa di lato per guardarsi attorno. Si sentiva così intorpidita...
Era tutto bianco. Un deserto di neve bianco e gelido. E le sue braccia... le sue braccia! Erano immerse nel ghiaccio fino alle spalle! Incredula, Ichigo provò a muovere le gambe, senza successo: anch’esse erano intrappolate nella lastra ghiacciata su cui giaceva supina. Era completamente bloccata.
Il panico si fece largo in lei.
– No! No... a... aiuto... aiutatemi, per favore!
Nessuno rispose al suo flebile grido d’aiuto. C’era un silenzio surreale. Chi mai avrebbe potuto sentirla in quel luogo freddissimo che sembrava essere congelato nello spazio e nel tempo?
Ad un tratto, una fitta pioggia di candidi fiocchi di neve iniziò a cadere, colpendole il viso e il tronco del corpo. Il leggero vestito verde che indossava diventò velocemente bianco. A breve, sarebbe stata interamente sommersa dalla neve. La ragazza si rese conto che non c’era niente che potesse fare per sfuggire alla morte. La sua vita sarebbe finita in quel modo. Chiuse gli occhi: faceva così freddo... tanto freddo... freddo...

– NO! – urlò Ichigo, svegliandosi di soprassalto. Percepì un rivolo di sudore freddo scenderle dalla nuca giù per la schiena. Impiegò qualche istante a rendersi conto che si trovava ancora nella camera da letto messa a disposizione dagli alieni. L’orribile lampada a forma di Para-Para sulla piccola colonna che fungeva da comodino si illuminò. 
– Ichigo! Ichigo-san, tutto bene?
– Retasu! Sì... sì... sto bene. Era solo un sogno. Era solo un brutto sogno.

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Capitolo 20
*** Dans le terrier du lapin ***


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Ryan aveva ultimato il progetto del raggio laser ed ora si trovava accucciato in una piccola cella scarsamente illuminata e dal soffitto basso, ammanettato ad un sifone di metallo attaccato saldamente ad una parete. 

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Sbuffando, il giovane alzò la testa. La tubatura sul soffitto continuava a perdere acqua rugginosa: si era ormai formata una copiosa pozza scura sul pavimento verniciato di verde. 

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Quel rumore a lungo andare era terribilmente fastidioso. Che diamine, non bastavano le manette fluorescenti di fuoco azzurro? Aveva appreso a sue spese che al minimo movimento delle braccia quelle strane fiamme si stringevano ai polsi, bruciandoli per interminabili secondi... addio quindi al progetto di liberarsi strattonando il sifone. 

« Una soluzione... che soluzione può mai esserci a questa situazione? » pensò, mordendosi le labbra. 

Keiichiro... Keiichiro era morto. Morto. Morto cercando di proteggerlo. Gli alieni lo avevano ucciso perché non serviva. Lui, invece, era stato picchiato, portato su un pianeta sconosciuto, picchiato di nuovo, obbligato a progettare un raggio laser, ripicchiato svariate volte e alimentato forzatamente. Aveva infatti provato a fare lo sciopero della fame, ma gli extraterrestri gli avevano infilato velocemente un sondino nasogastrico dove avevano riversato un intruglio noto come latte di qarth. No, non voleva assolutamente sapere cosa fosse un qarth, aveva già vomitato abbastanza. Aveva anche subito minacce di mutilazioni... e siccome non era così forte da sopportare persino quel dolore, si era risolto a realizzare quel dannato progetto. Ora si trattava solo di costruire l’arma.
I suoi rapitori si erano rivelati come seguaci di Deep Blue. Sapeva che c’era solamente una guardia che parlava la sua lingua, mentre gli altri aguzzini si limitavano a sputargli in faccia e a massacrarlo di botte. Ma perché volevano quel raggio? Chi erano i “target mirati” che volevano colpire con il virus? Le ragazze? I terrestri in generale? Alieni di un altro pianeta? 
Aveva così tante domande e così poche risposte...

Le ragazze... chissà come stavano. Ichigo lo aveva chiamato su Skype per dirgli che si era iscritta ad un Master a Tokyo e che sarebbe rientrata a giorni in Giappone... quanto tempo era passato da quella telefonata? Da quanto era rinchiuso lì dentro?

Plink.
Plonk.

« Una soluzione... » rifletté, chiudendo gli occhi, cercando di ignorare il dolore delle bruciature causate dalle manette.
Trasformarsi in Art? E che accidenti avrebbe potuto fare un gatto in una base aliena per salvarsi la pelle?

Plink.
Plonk.

« Una soluzione... una soluzione! » pensò, stringendo forte i denti.
Contattare il governo USA per farlo venire a prendere con l’esercito e le astronavi della NASA? FBI e CIA? Grazie, ma come? 

Plink.
Plonk.

– Una soluzione... – sussurrò.
« Forse i computer alieni sono come quelli terrestri, ma Keiichiro deve venirmi incontro con un segn... »

Plink.

« ... Keiichiro è morto... è morto... » si disse lentamente.

Plonk.

– È morto... – esclamò con voce roca.

Plink.
Plonk.

All’improvviso, la porta della cella si spalancò. Sulla soglia apparvero tre alieni.
Erano venuti a prelevarlo.
– Forza, alzati. È ora di tornare al lavoro! – gli intimò la guardia che parlava la sua lingua, mentre gli toglieva le manette. Poi continuò, sghignazzando: – Certo che puzzi come un qarth, Umano! Senti che tanfo: cos’è, te la sei fatta addosso, eh? 
L’alieno gli tirò un calcio alle parti basse, facendolo finire a terra dal dolore.
– No, non te la sei fatta addosso... ma appena il laser sarà completato, te la farai, non ti preoccupare!
Gli altri due scagnozzi lo sollevarono di peso da sotto le braccia e lo trascinarono fuori dalla sua prigione, in direzione del laboratorio.

« Una soluzione... »

Sì, nella cella c’era un terribile fetore di sudore, sangue, vomito, escrementi e carne bruciata. Ma lui era ancora padrone di tutto il suo corpo. In particolare, del suo cervello. Ad un tratto, il ragazzo scoppiò a ridere, noncurante delle occhiatacce e delle numerose sberle dei suoi carcerieri.

Forse aveva appena trovato una soluzione.

***​

Retasu sospirò, lasciando cadere il cucchiaio nella ciotola della colazione.
Era passato qualche giorno dalla prima sessione di esperimenti, ma le vesciche che aveva sul braccio non si erano ancora rimarginate. In compenso, i test continuavano ad andare avanti senza successo e il suo corpo (il braccio destro in primis) era tutto dolorante. Non aveva nemmeno la forza di mangiare la poltiglia che gli alieni offrivano come primo pasto della giornata. Non aveva ancora capito bene cosa fosse esattamente, ma assomigliava ad una zuppa d’avena. O meglio, era lei a voler credere che assomigliasse alla zuppa d’avena, perché non voleva ascoltare la seconda alternativa che le suggerivano Minto e la vocina segreta nella sua testa. Sì, quella pappetta era decisamente zuppa d’avena. Punto.
Sospirando di nuovo, la ragazza si alzò da tavola e andò in bagno a cambiarsi le bende che le coprivano le dolorosissime vesciche. Ichigo era già uscita perché aveva cominciato ad allenarsi regolarmente con Kisshu per “ordini superiori”, ma tornava sempre prima dell’inizio dei nuovi esperimenti, anche se esausta: l’amica le aveva confidato in gran segreto che la missione nella base dei ribelli avrebbe avuto luogo prima del previsto e che quindi doveva lavorare duramente. Non tutta la squadra aveva accettato il fatto che solo Ichigo avrebbe combattuto a fianco dell’esercito alieno contro i seguaci di Deep Blue. Inoltre, era chiaro che gli scienziati extraterrestri le stavano riservando un trattamento di favore proprio per questo motivo, facendole provare esclusivamente i preparati meno aggressivi. Ichigo però non aveva colpe... era solo l’ennesima pedina di un gioco più grande.
Retasu uscì dalla stanza per incontrarsi con le altre. Nessuna delle ragazze Mew Mew aveva idea di come gli alieni misurassero il tempo. L’unico calcolo approssimativo che potevano fare era quello dei giorni: in effetti, anche se non erano mai uscite dall’edificio governativo per beneficiare della luce della stella di quel sistema planetario, potevano basarsi sull’alternanza tra le sessioni in laboratorio e i momenti in cui era obbligatorio ritornare in camera per dormire. Per il resto, dovevano affidarsi ai soldati alieni: erano loro che svegliavano le ragazze con due allarmi sveglia (il primo era per Ichigo), erano loro che facevano apparire “magicamente” il cibo ed erano sempre loro a scortare la squadra dalle camere al laboratorio e viceversa. E sicuramente, anche quella mattina si sarebbe svolta la solita routine.
– Buongiorno ragazze! Avete dormito bene? – salutò Retasu.
– Buongiorno! – la salutò di rimando Zakuro. – Oh, ieri sera sono proprio crollata...
– Buongiornissimo Retasu-chan! Io sì, ho sognato che mangiavo tante caramelle! – disse Purin, alzando le braccia al cielo in segno di vittoria.
– Buongiorno! Retasu cara... sai anche tu che quelle brandine sono semplicemente or-ri-bi-li... quindi per favore, non farmi più questa domanda. Ah, e prima che tu ce lo chieda, sì, Purin continua a grattarsi come una scimmia! – rispose Minto. Poi proseguì, guardandole le bende: – Non smettono di sanguinare, vero? 
– Oh, beh... no... ma non preoccuparti, sono certa che domani andrà meglio! – esclamò Retasu, accennando un piccolo sorriso... e dopo pochi secondi il suo viso si contrasse in una smorfia di dolore.
« Ouch... »
Prima che le altre potessero dire qualcosa, la ragazza si affrettò a cambiare discorso: – Non c’è nessuno oggi che ci accompagna? 

Eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee

A quel suono, le ragazze si irrigidirono.
« L’allarme? Cosa... cosa sta succedendo adesso? » si chiese spaventata Retasu.

– Aaaaaaaaaaaaargh! 

« ... Kisshu...? »

– Noooooooooooooooooooooo! Torna subito quiiiiiiiiiiii!

« Ichigo! » 

Scambiandosi un cenno di intesa con Minto, Purin e Zakuro, la giovane tirò la spilla fuori dalla tasca, pronta a trasformarsi e...

Un gigantesco scarafaggio peloso con tre corna spuntò alla fine del corridoio, dirigendosi verso di loro come un toro impazzito e sputando fuoco.

– AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! – urlarono in coro le ragazze. Fu un attimo: la prima a scappare fu Zakuro, che afferrò la carrozzina di Minto e corse alla velocità della luce. Dimenticate le spille, Purin e Retasu seguirono il suo esempio un millesimo di secondo dopo, dandosela a gambe per i vari corridoi dell’edificio.

***​

Retasu stava correndo come non aveva mai corso in vita sua.
« Corri... puff... corri... pant... corri... » si disse tra sé e sé, ansimando.
Non aveva la più pallida idea né di dove stesse andando né da quanto tempo stesse correndo. Ma le gambe e il fianco sinistro stavano cominciando a farle male: quando mai era stata brava nella corsa? A scuola odiava le ore di educazione fisica!
Girandosi per controllare di non essere seguita dallo scarafaggio, Retasu si accorse piano piano di essere da sola...
« Oh no! Abbiamo preso tutte delle direzioni diverse! » pensò, rallentando la corsa e piegandosi leggermente in avanti, sorreggendosi l’addome. Non ce la faceva davvero più, aveva il fiatone: non era abituata a correre come una matta.
Un terribile frastuono proveniente da un punto imprecisato alle sue spalle la fece rabbrividire.
« ... no... »
Di tutti i corridoi... proprio quello che aveva preso lei doveva imboccare quel bestione? Terrorizzata e ansimante, riprese subito a correre. Sì, non ce la faceva più, ma non voleva essere spiaccicata da uno scarafaggio.
Retasu corse, corse e corse. Girò a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra e ancora a destra, quando ad un certo punto vide...
« Un coniglio? Puff... che... che ci fa un coniglio bianco fermo nel bel mezzo di un corridoio del Palazzo del Consiglio? Ma... pant... è veramente un coniglio? Ha solo... ha solo le zampe posteriori ed è bassissimo... pant... sembra che abbia la gobba! E che orecchie lunghe! » pensò, respirando affannosamente. 
– Devi... devi andartene da qui... pant pant... c’è... c’è uno... uno sca... sca... anf! – cercò di dire la povera Retasu.
In tutta risposta, il coniglio extraterrestre piegò gentilmente la testa di lato e zampettò nella direzione da cui veniva la giovane.
– No... bisogna andare via! Per favore! – supplicò Retasu, provando ad acchiapparlo. Ma l’animale non aveva alcuna intenzione di essere preso, così cominciò a saltare velocemente, facendosi inseguire dalla ragazza ormai al culmine della disperazione. Il coniglietto portò Retasu in un vicolo cieco. A sinistra c’era però una piccola porticina rossa di metallo che arrivava all’altezza del ginocchio della ragazza e che aveva sul fondo una minuscola gattaiola. Guardandola con aria di sfida, il coniglio passò attraverso l’apertura. Prima che Retasu potesse dire o fare qualcosa, una potente fiammata le sfiorò la testa: lo scarafaggio l’aveva trovata! Ed era così grande e mostruoso, le corna sfioravano il soffitto! Senza pensarci, la ragazza si chinò, aprì immediatamente la porticina (grazie al cielo, non era chiusa a chiave) e la richiuse velocemente una volta entrata. Era completamente al buio. Con le spalle appoggiate alla porta per tenerla ferma, poteva sentire che il Chimero non era assolutamente contento di averla persa: batteva con le zampe sul metallo, ringhiava e sputava fuoco (qualche fiamma riusciva ad entrare attraverso la gattaiola e Retasu doveva stare attenta a non bruciarsi, anche perché il metallo stava diventando molto caldo). Ma quel passaggio era troppo piccolo per lui, non sarebbe mai potuto entrare.
« Fa’ che regga... » pregò la ragazza. All’improvviso, uno terribile scossone alla porta la fece sbalzare in avanti e... siccome non aveva più il pavimento davanti a sé, Retasu non poté far altro che cadere giù.
– Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah! – gridò.
Dopo interminabili secondi, rimbalzò su qualcosa di estremamente morbido e si trovò sdraiata lì sopra dove era atterrata. Nella caduta aveva perso gli occhiali: vedeva tutto sfuocato... c’erano luci azzurre e verdi... e tante ombre... 
– Nooo... dove... dove sono? – borbottò Retasu, strisciando a carponi fuori dalla cosa morbida e scivolando sul pavimento freddo. Tastando alla cieca alla ricerca dei suoi occhiali, la ragazza andò a sbattere contro un tronco d’albero... 
« Un albero? » si chiese, toccando il punto che le bloccava il passaggio. Al tatto non sembrava un tronco d’albero... era simile ad una... gamba? Una gamba vestita? Due gambe vestite?
– Voi Umane siete un pochino strane a volte...
« Oh no... » pensò Retasu, arrossendo come un peperone. Si alzò di scatto in piedi, sprofondandosi in diversi inchini.
– Chiedo scusa, chiedo profondamente scusa, mi dispiace, mi dispiace tantissimo Signor Onorevole Generale Ikisatashi, io non vol...
– Non sono in servizio oggi, puoi chiamarmi Pai. Oh, mi sa che questi sono tuoi, ecco... – disse Pai, sistemandole gli occhiali. Riacquistata la vista, Retasu poté notare che l’alieno non indossava l’uniforme militare, ma dei pantaloni sportivi scuri, una giacca azzurra con il cappuccio annodata in vita e una maglia nera a maniche lunghe molto aderente che evidenziava tutti i muscoli del suo... oh, Retasu si sentiva le orecchie fumare da quanto erano calde...
– Gr... grazie mille, onorevole Gen... cioè Pai. Pai-san. Grazie.
– Di nulla. Ma dimmi, come hai fatto a trovare la nostra area relax?
« Area relax? »
Ora che glielo faceva notare, effettivamente era una sala molto tranquilla: la luce era soffusa e di colori tenui e alle pareti c’erano degli immensi e bellissimi acquari con tantissime creature e piante acquatiche. Retasu rimase a bocca aperta per la meraviglia: che spettacolo! C’era una stella marina a dieci punte di dieci colori diversi che fluttuava placidamente nell’acqua... una strana specie di medusa violetta che si dondolava a testa in giù, appesa al bordo dell’acquario con i suoi tentacoli... un parente del cavalluccio marino con piume dorate al posto della coda... una sottospecie di pesce spada senza pinne ma con cinque spade... e mille altre creature!
Nella stanza erano presenti anche diversi tavoli con sopra grandi cesti ricolmi di frutta extraterrestre e terrestre (gli Ikisatashi avevano importato qualche albero da frutto) ed erano sparse numerose poltrone sacco. Dato che era atterrata su una di esse, poteva certificare che erano molto confortevoli: sembravano quasi di pelliccia...
Un leggero colpetto di tosse da parte del suo interlocutore la fece tornare al presente.
– I... io... beh... mi ci ha portata un coniglio bianco. 
Pai corrugò la fronte, pensieroso.
– Un coniglio bianco? 
– Sì... – rispose flebilmente Retasu. Quanto era assurda quella situazione da zero a cento? Centodieci?
– Oh capisco! – disse Pai, distendendo la fronte. Poi continuò: – Ma non è un coniglio quello che hai visto.
– Ah... e... e che cos’è?
– Ewu.
– Salute!
– No, no. Non ho starnutito. Si chiama proprio così: è un ewu. Guarda, qui ne siamo pieni.
– Ma... ma io... – disse Retasu guardandosi intorno, – io qui vedo solo delle poltrone... poltrone morbidose... – proseguì incerta.
Abbozzando un piccolo sorriso, Pai le disse: – Sicura? Guarda meglio!
A quelle parole, la poltrona più vicina (era di un dolcissimo color nocciola) si tramutò in un ewu grassottello che saltellò subito sopra il pouf su cui era atterrata Retasu... pouf che si rivelò essere nientemeno che il coniglio bianco che aveva rincorso! 
– Ooooooooooh! 
– Usiamo gli ewu da millenni, tengono caldo e sono eco-friendly... – spiegò Pai. Poi aggiunse: – Mi dispiace per la caduta. Sai, qui non ci si può teletrasportare, ma noi di solito voliamo quando usiamo quell’entrata... 
– Non... non preoccuparti, mi... mi sembra giusto...
D’improvviso, Retasu si ricordò il perché della sua folle corsa.
– C’è... c’è... c’è uno sca... sca... sca...
– Lo scarafaggio gigante dici? Sì, lo so... – asserì Pai. Tirando un forte sospiro e incrociando le braccia al petto, disse: – Uno non può andare a correre in santa pace nel suo unico giorno libero che quello sciagurato di Kisshu si lascia scappare il Chimero scarafaggio. Il bestione è impazzito e ha provocato molti danni, chi è di turno oggi sta ancora cercando di prenderlo... ma io non ho alcuna intenzione di immischiarmi. Spetta a mio fratello in primis... e poi anche alla tua amica. Che coppia, quei due. Insieme creano solo dei problemi. Non voglio nemmeno sapere come sia potuta accadere una cosa così.
Pai si sedette su un ewu in versione poltrona sacco, invitò con un gesto Retasu a imitarlo e spiegò: – L’allarme suona in base alla gravità dell’emergenza da una a sette volte. Quando suona una volta sola, vuol dire che c’è un problema di poco conto, come in questo caso. Se suona cinque volte, come quando vi siete trasformate e avete rotto i vetri del laboratorio, è un’emergenza molto grave. Se invece suona sette volte, siamo in serio pericolo di vita: ancora non è mai successo. Ma prima o poi Kisshu lo farà scattare, me lo sento... 
Chiudendo gli occhi, continuò: – Quando i nostri genitori portarono a casa Kisshu appena nato, me lo diedero in braccio per farmelo conoscere. Ricordo di averlo cullato un po’ e di aver subito proposto di riportarlo all’ospedale... sfortunatamente, mamma e papà non mi hanno mai voluto dare ascolto... peccato...
Retasu trattenne a stento una risatina.
– Temo che il laboratorio oggi non sarà proprio accessibile a causa del Chimero: avete anche voi un giorno libero. Se vuoi, ti riaccompagno io nella tua camera. 
– Oh... grazie, Pai-san. Sei molto gentile!
Pai la fissò a lungo in silenzio. Retasu si sentiva sempre più rossa.
– “Gentile”... sono un Generale dell’esercito regolare del Pianeta e ho dato un grosso contributo all’organizzazione dell’operazione “Sakura”... operazione che vi ha portate qui con la forza per essere usate come cavie. E tu dici che sono “gentile”! Non so proprio come io possa essere definito “gentile”... 
– Ma... mi hai aiutata anche prima a trovare gli occhiali. Ed è molto carino da parte tua offrirti di riaccompagnarmi, soprattutto perché è il tuo giorno libero!
Scuotendo la testa, Pai affermò: – Non sei cambiata di una virgola, Retasu... lo stesso cuore puro di allora...
Dopo un’altra pausa silenziosa, Pai si alzò in piedi. Retasu era incerta se si dovesse alzare anche lei in segno di rispetto. Schiarendosi leggermente la gola e guardandola negli occhi, il ragazzo le chiese: – Dato che oggi sei libera, ti va di venire a fare un giro nella nostra capitale? Non hai visto granché del nostro Pianeta, se non ricordo male...
Retasu si sentì mancare il respiro. Era un... un appuntamento? Un appuntamento con Pai?
– Mi... mi... mi farebbe molto piacere! 
Alla ragazza sembrò che il volto dell’alieno si illuminasse per un attimo.
Pai le porse la mano per aiutarla ad alzarsi.
– Vieni con me allora. Ti porto io volando!
Retasu gli prese la mano e sorrise timidamente.

***​

Pai spiegò a Retasu che il loro sistema planetario orbitava intorno ad una nana gialla simile al Sole del sistema solare per dimensioni e luminosità. Anche il loro Pianeta era l’unico abitabile in quel sistema ma, a differenza della Terra, era molto più piccolo (era grande più o meno quanto il continente sudamericano) e si trovava in una posizione più lontana dalla stella madre: le temperature erano naturalmente molto più rigide e la quantità di ghiacci presenti era quindi superiore. L’Acqua Cristallo aveva però cambiato radicalmente la vita del suo popolo: non solo aveva innalzato di qualche grado la temperatura media, permettendo così di coltivare e di pascolare gli animali all’aperto, ma aveva anche fatto crescere nuove specie di piante mai viste prima. Sul Pianeta c’era un’unica massa d’acqua salata, chiamata Môr, e molti fiumi e laghi di ogni dimensione che adesso, sempre grazie all’Acqua Mew, ospitavano tantissime creature acquatiche.
A livello amministrativo, sul loro Pianeta non esisteva una divisione in Stati ma solo in ampie regioni. C’era una sola capitale, Antea, dove si trovavano il Palazzo del Consiglio, lo Stato maggiore dell’Esercito e il Prato della Giustizia e dove viveva la maggior parte della popolazione. In effetti, Antea non aveva ancora subito attacchi nemici: era difesa da una potente flotta di portaerei e dalle astronavi dell’esercito, gli ospedali erano i più avanzati e il livello dell’acqua potabile e dell’aria erano costantemente controllati dai migliori tecnici del Pianeta. Il resto degli alieni viveva in villaggi distribuiti equamente sul territorio. Ma a causa del virus dei seguaci di Deep Blue, purtroppo alcuni di questi villaggi non esistevano più: il Consiglio, con una sofferta decisione, aveva decretato la loro eliminazione per cercare di non far propagare la malattia.
Retasu non poteva credere ai suoi occhi: anche se la popolazione aliena continuava ad utilizzare edifici sotterranei, costruiti prima del miracolo compiuto dal Cristallo, oggi esistevano tante strutture anche in superficie e, come aveva potuto vedere un po’ dall’oblò dell’astronave, queste erano ricoperte da piante e fiori di ogni tipo. Gli abitanti si teletrasportavano o volavano indaffarati di qua e di là: il cielo era molto trafficato. Addirittura, per gli anziani, per i bambini piccoli o semplicemente per i più pigri, esisteva un tubo trasportatore trasparente che depositava gli alieni nel posto in cui volevano andare.
– Tieni, mettiti questa e usa il cappuccio: meglio non destare scalpore per le tue orecchie... – le disse Pai una volta che furono atterrati in un vicoletto nascosto, porgendole la sua giacca.
– Grazie.
Retasu fece come le aveva detto il ragazzo. Stringendo a sé la giacca, non poté far altro che sentirvi il profumo di Pai: era così... così... così meraviglioso! Sapeva di sapone, del piacevole odore che si avverte alla fine di un temporale, di erba appena tagliata e... e... lei ci sentiva anche il profumo di tiglio, possibile? 
Arrossendo, posò automaticamente lo sguardo sull’alieno, che era girato di profilo. Non portava più il codino a sinistra, adesso aveva i capelli corti. 
« Ora che ci penso, nemmeno Kisshu porta più i capelli legati in due codini... che sia un segno della maggiore età? » si chiese la ragazza.
– Qualcosa non va, Retasu? Ti sei bloccata con la bocca aperta. Stai bene?
– Eh? Oh, i... io... eh eh eh... sì, sì, sto benissimo, eh! È che... ho visto... ho visto il mercato! – rispose imbarazzatissima, indicando la prima cosa vicina.
Pai la guardò un po’ confuso, piegando la testa di lato.
– Va bene, andiamo pure a vedere il mercato.
Le bancarelle erano traboccanti di merci: c’erano delle spezie dall’odore molto pungente, svariate carni di animali, innumerevoli pietre preziose, stoffe colorate, lacci per codini, ewu portatili e addirittura dei prodotti terrestri DOC.
Retasu riuscì a sfuggire ad un commerciante insistente che voleva venderle del latte di qarth a metà prezzo (anche se Pai le aveva detto che era molto nutriente, aveva un odore troppo forte) e per poco non perse di vista il suo accompagnatore: c’erano così tanti extraterrestri a far compere quel giorno!
– Dai, dammi la mano. Ti porto sulla terrazza panoramica del grattacielo più alto della città!
Il teletrasporto le diede una leggera sensazione di nausea, ma il calore della mano di Pai bastò a non farla vomitare.
– Ora che siamo in guerra, il teletrasporto ad Antea è fortemente limitato: è stata messa una speciale barriera, l’esercito è in grado di vedere su un computer ogni forza vitale presente in città. I civili residenti possono teletrasportarsi ovunque all’interno del territorio della capitale, ma per andare fuori devono chiedere dei permessi speciali. Lo stesso vale per chi non abita qui: se vogliono venire, devono compilare un sacco di documenti e chiedere il DTS della città.
– DTS?
– Dispositivo di tracciamento sottocutaneo. Siamo tutti identificati grazie ai DTS, si iniettano nel braccio. A noi militari non servono permessi per ottenerli, quando dobbiamo andare in missione fuori ci vengono forniti automaticamente. Ogni città ha il proprio DTS. Chi non è in regola, è prontamente bloccato dai soldati. Voi terrestri siete un caso particolare perché la vostra forza vitale è diversa dalla nostra: siccome sappiamo che tu e le tue amiche siete sul nostro Pianeta, nessun militare ti darà fastidio oggi. E poi sei con me. 
I ragazzi si appoggiarono alla ringhiera della terrazza.
– Vedi quel grosso edificio rettangolare laggiù? Ecco, quello è il Palazzo del Consiglio visto da fuori. Come sai, continua ad estendersi anche sotto terra. Mentre quell’altra struttura a punta, alla tua destra... quella è l’Accademia militare, dove mi sono diplomato poco prima di venire sulla Terra. Là invece, la grande distesa verde, la vedi? È il Prato della Giustizia: il Consiglio e gli abitanti più anziani della capitale si siedono in cerchio sul prato, attorno all’attore e alla sua controparte, decidendo sulle varie controversie giuridiche. Tutti coloro che hanno interesse possono assistere. Ah e poi... là, guarda, dove c’è l’insegna con il cono gigante: quella è la gelateria più buona di tutto il Pianeta!
– Una gelateria?
Pai sorrise.
– Sì, abbiamo importato anche il vostro gelato... ci piaceva così tanto! E ha avuto un grande successo con il mio popolo!
– Capisco! – disse Retasu, sorridendo a sua volta. Poi, guardando il Palazzo del Consiglio, si fece seria.
« Devo chiederglielo... »
Prese coraggio, fece un bel respiro e disse: – Pai, non mi è chiara una cosa...
– Che cosa?
– Se nessuno è immune al virus e non c’è attualmente una cura, perché i ribelli stanno attaccando la loro stessa gente con quest’arma? Cosa vogliono ottenere? 
Il ragazzo stette a lungo in silenzio. Poi, guardando il panorama, si risolse a parlare, lentamente e con voce roca.
– C’è un’antica profezia che si è tramandata tra la mia gente di generazione in generazione: la profezia del Luminoso Crepuscolo. Un giorno, ci sarà una grande battaglia tra luce e caos. Un potente guerriero guiderà il nostro popolo alla vittoria e, una volta distrutto il posto a cui siamo incatenati, ritorneremo tutti in pace sul Pianeta Azzurro. Vedi, fino a dieci anni fa, prima del Cristallo, eravamo “incatenati”: eravamo costretti a vivere in condizioni terribili su questo Pianeta, che era freddo e poco ospitale. Lo volevamo distruggere per avere una vita migliore. Abbiamo sempre definito voi terrestri come degli usurpatori. Eravamo convinti di potervi sconfiggere e di poter riconquistare il nostro Pianeta Natale sotto la guida di Deep Blue, che si era manifestato da poco. Poi, visto lo stato della Terra, pensavamo che per liberarci dalle catene dovevamo distruggere anche il Pianeta Azzurro e dopo ricrearlo dal nulla: credevamo che la profezia si riferisse a questo. Ora, a seguito della nostra sconfitta, chi si è ribellato al Consiglio pensa che la profezia debba ancora avverarsi. Pensano che siamo diventati tutti quanti impuri, che ci sono tanti traditori dello spirito del nostro popolo, che il Consiglio degli Anziani non rappresenti il vero potere. Pensano che solo Deep Blue sia la soluzione. Il loro compito è quello di annientare ogni opposizione riportando sulla retta via quanta più gente possibile. Secondo loro, dopo la distruzione di massa con il virus, Deep Blue farà rinascere i suoi fedeli seguaci sulla Terra, dove vivranno in pace e armonia. Il Pianeta Azzurro è la meta, ma ci possono arrivare solo i veri credenti.
– È... è... 
– È un omicidio-suicidio di massa.
Pai sospirò, continuando a guardare fisso davanti a sé.
Retasu non poté fare a meno di notare che per tutto questo tempo aveva stretto duramente la ringhiera del terrazzo tra le mani. Il suo viso era molto teso.
« Ha parlato di dieci anni... è quindi trascorso lo stesso periodo di tempo anche qui? » si chiese la ragazza, senza distogliere lo sguardo dal volto di Pai. Il giovane aveva cominciato a respirare in modo irregolare e le sue narici erano dilatate.
– Sono in molti ad odiare gli Ikisatashi, sai? Siamo quelli che si sono messi contro Deep Blue, che hanno perso la guerra, che hanno portato solo un frammento del Cristallo, che potevano fare molto di più... 
– A Deep Blue non importava niente della vostra gente, voleva l’Acqua Mew solo per se stesso!
– È stata la nostra testimonianza contro la fede di molti in una divinità. Come vedi, il Consiglio e i suoi sostenitori ci hanno creduto e continuano a farlo, ma...
– Pai...
– Si sono già presi mio fratello con il loro virus maledetto! 
– Pai... è ancora vivo...
– Per quanto tempo ancora? Dannazione! Per quanto? Sta soffrendo e basta, io...
– Pai, ti prego, calmati! – lo implorò Retasu con le lacrime agli occhi. Istintivamente, gli mise la mano destra sopra la spalla. Ma le vesciche sul braccio, ancora scoppiettanti e sanguinanti, le strapparono l’ennesima smorfia di dolore, facendole ritirare la mano. Le bende erano ormai intrise di sangue. Pai se ne accorse subito e si calmò. Guardandole il braccio, le disse dolcemente: – Ti riporto indietro, devi farti medicare.

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Capitolo 21
*** Le fouet ***


– Dai!
– No.
– Daiiiiiiiiiii!
– No.
– Daiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
– No.
– Per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore...
– Ho detto di no. È pericoloso. Non insistere.
– Uffa però! Sei diventata noiosa!
– Cosa? Io noiosa?
– Allora è un sì?
Ichigo sospirò.
– Purin...
– Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie! – disse la sua amica, gettandole le braccia al collo. – Taru-Taru sarà super contento!
« Ma perché finisce sempre così? » pensò la ragazza dai capelli rossi, guardando una certa scimmietta allontanarsi tutta soddisfatta mentre stringeva in mano la sua campanella.
Purin era riuscita a convincere Pai a farle vedere Taruto una seconda volta, prima dell’odierna sessione degli esperimenti. Per l’occasione, aveva pensato ad un nuovo numero acrobatico e di giocoleria, da eseguire con i sonagli dei suoi tamburelli e nientemeno che la Strawberry Bell. Ichigo le aveva ripetuto mille volte che le Mew Mew non si erano mai scambiate le armi e che potevano esserci delle gravi conseguenze... ma, come al solito, Purin aveva ottenuto lo stesso quello che voleva. 
« Kami-sama, che tipetta! » si disse sorridendo.
Forse prestarle la sua campanella era una cosa meno pericolosa di un esperimento alieno. Sì, doveva essere così. E poi, come si poteva resistere a quel tenero musetto? A quanto pare, nemmeno Pai aveva saputo dirle di no. Aveva addirittura fatto un mezzo sorriso. 
« Certo che è strano: è sempre stato così freddo e distaccato... cos’è successo ieri con Retasu? »
La ragazza aveva raccontato a tutta la squadra delle sue scoperte sul Pianeta degli alieni e sui ribelli, ma quando erano tornate in camera ed erano loro due da sole, non aveva voluto dirle nient’altro. Aveva solo balbettato starnutendo qualcosa a proposito di un coniglio che non era un coniglio e dei propri occhiali. Doveva essersi presa un bel raffreddore, perché poi, senza dire una parola, era andata subito a letto avvolta in un’enorme felpa azzurra. 
« Mmmmm... » rifletté, giocherellando distrattamente con un filo che penzolava dalla manica destra del vestito grigio che indossava quel giorno. Era un abito della lunghezza necessaria a coprire i lividi e le bruciature sulle braccia che quel dannato Chimero scarafaggio le aveva procurato.
Già, che casino ieri.
Kisshu aveva voluto lanciarle contro svariati Chimeri per il loro allenamento quotidiano, ma, a differenza degli altri, quel bestione era sfuggito completamente al loro controllo. C’era voluto parecchio per riportare tutto alla normalità. Oggi però, dato che non poteva usare la Strawberry Bell, non avrebbe affrontato alcun mostro alieno. 
« Speriamo che a Taruto piaccia lo spettacolo... »
Doveva affrettarsi: Purin l’aveva bloccata appena fuori dalla porta della sua stanza e Kisshu la stava sicuramente aspettando. Ichigo, guidata da Mash, si diresse a passi veloci verso la sala numero 7.
« Che succederà durante la missione nel quartier generale dei nemici? Ne usciremo vivi, Kisshu ed io? Se muoio, chi lo dirà a mamma e papà? » si chiese.
Shirogane non poteva farlo, era scomparso assieme a Keiichiro. Sicuramente erano stati rapiti. Ma da chi? 
Kisshu aveva fatto rapporto, come le aveva promesso, ma l’esercito extraterrestre non aveva novità sui loro amici. E se si fossero sbagliate? Se i seguaci di Deep Blue non c’entrassero per niente con la sparizione di Ryan e Kei? Shirogane aveva tante conoscenze... che fosse finito in un brutto giro terrestre? Forse erano stati rapiti dai servizi segreti di un altro governo: uno scienziato famoso in tutto il mondo per le sue pubblicazioni e il suo assistente potevano fare gola a molti...
Ma cosa potevano fare lei e le altre da lì? Erano state rapite anche loro e non potevano comunicare con nessuno ad eccezione di Cardamome e degli Ikisatashi, figuriamoci con le autorità giapponesi. O con le loro famiglie.
Ichigo sentì una fitta al cuore.
Chissà come erano preoccupati sulla Terra...
Pensò ai suoi genitori e a tutte le bugie che gli aveva raccontato quando era diventata una Mew Mew a tredici anni. Cosa era cambiato, a dieci anni di distanza? Quando le erano ritornati i segni, aveva chiamato velocemente sua madre per dirle che sarebbe stata da Minto per l’intero weekend. Non si ricordava nemmeno l’ultima volta che le aveva detto “ti voglio bene”. E suo padre... il suo papà, che la voleva accompagnare per mano anche all’università... le mancava veramente tanto. Il dolore al cuore si fece più forte. Ichigo chiuse gli occhi, immaginandosi i propri cari abbracciati a piangere nel salotto di casa. 

No.

No, non doveva pensare a queste cose. Non adesso. Adesso doveva continuare ad allenarsi. Doveva farlo anche per loro. La missione non era ancora cominciata.
« Andrà tutto bene. Poi, non appena troveremo una cura al virus, ritorneremo subito sulla Terra, dove dovremo inventarci qualcosa... » si disse, stringendo forte la spilla da Mew Mew. 
« Oh sì, spiegare le ragioni della nostra scomparsa sarà davvero entusiasmante. Ciao mamma, ciao papà, scusate tanto ma siamo state rapite dagli alieni! Ora possiamo partecipare ai programmi TV, andare a qualche convention di svitati negli Stati Uniti e scrivere un libro! » ironizzò Ichigo, mentre si trasformava.
« Kisshu deve cominciare a prepararmi il cappello di carta stagnola... » pensò, aprendo la porta della sala di allenamento numero 7.

***​

– Esperimento numero 123, preparato c) 83! 
Mew Minto sbadigliò elegantemente. Seduta sopra il tavolo metallico, si sollevò la gamba destra per accavallarla sopra l’altra.
« Nessuna Mew Mew si illumina alla presenza del preparato c) 83. Proviamo ora con un contatto diretto... »
– Nessuna Mew Mew si illumina alla presenza del preparato c) 83. Proviamo ora con un contatto diretto! – annunciò a gran voce Gingembre.
La ragazza bevve un lungo sorso del caldo infuso di erbe extraterrestri che Cardamome le aveva gentilmente portato.
« Nessuna reazione. Proviamo ora a versare qualche goccia del campione su una ferita... »
– Nessuna reazione. Proviamo ora a versare qualche goccia del campione su una ferita! – disse lo scienziato, scegliendo Mew Zakuro come cavia per testare quella sostanza. E dopo qualche minuto...
– ... esperimento fallito...
« Ma dai? » disse tra sé e sé Mew Minto, alzando gli occhi al cielo. Ogni giorno, da quando erano atterrate a questa parte, sempre la stessa storia. Mai un esperimento che andasse a buon fine. Anche i militari alieni avevano perso interesse: c’erano parecchi posti vuoti nella galleria che sovrastava il laboratorio. Come biasimarli? Avrebbe fatto anche lei la stessa cosa. La sostanza che aveva appena testato la sua Onee-sama era troppo viscosa per essere Acqua Mew. E poi... era di colore rosa.
Rosa.
« Qui abbiamo dei seri problemi di vista o siamo sprofondati nell’abisso della disperazione... » 
Era scesa anche lei là sotto tre anni fa. Bastava così poco per ricaderci...

Mew Minto scosse le ali.

Mentre beveva un altro sorso dell’infuso, guardò Mew Ichigo che, tra un esperimento e l’altro, cercava di riattaccare la campanella della sua arma.
Era stata la prima persona che aveva visto al suo risveglio. I suoi genitori, suo fratello e la sua anziana governante erano ancora in viaggio per la Francia, avevano preso l’aereo. Anche le altre, insieme a Ryan e Keiichiro, stavano per arrivare all’ospedale parigino in cui si trovava. Ma Ichigo era a Londra e ovviamente aveva fatto in fretta.
« Ichigo... »
Grazie al cielo era lì in quel momento. Se non ci fosse stata lei, se fosse stata da sola, non... non... non...

Mew Minto sbatté di nuovo le ali.

– Oh, ci sono riuscita! Finalmente! – esclamò forte Mew Ichigo, facendola sussultare leggermente. Portò ancora la tazza che stringeva fra le mani alla bocca, per continuare a bere. 
« E Zakuro... »

– Stop agli esperimenti! Sospendete tutto immediatamente! Portate subito le Mew Mew in sala 21, ripeto, portate subito le Mew Mew in sala 21! – gracchiò la voce di Kisshu da un altoparlante, distogliendo la ragazza dai suoi pensieri.

***​

La testa le faceva malissimo. Sembrava che stesse per scoppiare da un momento all’altro. Che diamine le avevano dato oggi?

– Oggi? Ma... ma...
– Sì, oggi. Tra poco apriremo un portale per arrivare ad un centinaio di metri dalla rete fognaria della loro base.
– Dobbiamo passare dalle fogne? Ma che schifo! Non c’è un altro modo? Nella mappa interattiva che mi avevi fatto stud...
– Tesoro, ti concedo di salutare tutte le tue amiche. Non basta questo a soddisfarti, micetta? – disse Kisshu a voce bassa, toccando con fare scherzoso la punta del naso della sua amica.

Mentre Mew Ichigo sbraitava contro un certo alieno che rideva a crepapelle, Mew Zakuro cercò di ordinare tutte le informazioni che aveva appena ricevuto. 
Oggi, l’unità di commando capitanata da Kisshu si sarebbe infiltrata nella base dei seguaci di Deep Blue. Obiettivo: eliminare l’Alto Sacerdote, il capo spirituale e paramilitare dei ribelli, in vista del suo prossimo comizio. Quella missione doveva rappresentare un’operazione di controguerriglia, in risposta al grave attacco durante il quale era stato ferito e infettato Taruto. I membri del commando (inclusa Mew Ichigo) dovevano mettersi uno speciale congegno elettronico a forma di bracciale, che, come mostrava per l’ultima volta Cardamome con il prototipo, permetteva tra le altre cose di visualizzare la pianta 4D della base ribelle e di indossare una tuta mimetica dotata di un casco protettivo.
Gli schermi di tutti i computer della sala 21 mostravano la foto dell’Alto Sacerdote da diverse angolazioni. Anche se le doleva molto la testa, la ragazza riuscì a ringhiare alla vista della faccia dell’alieno. Non le piaceva per niente. Ma, in verità, non le piacevano neanche tutti gli altri extraterrestri, compresi gli Ikisatashi. 
« Come si dice? Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio! »
Non aveva alcuna intenzione di fare alleanze con degli alieni che le stavano usando come dei topi da laboratorio. E poi, non aveva mai amato il gioco di squadra: era un lupo solitario. L’unica eccezione che aveva fatto era stata per le sue amiche e per la salvezza della Terra. Dovevano restare guardinghe: quegli alieni potevano essere capaci di tutto e di più. Mew Ichigo si stava lasciando troppo andare e probabilmente non si era resa conto che se i ribelli facevano fuori Kisshu, lei restava da sola: gli altri militari dell’unità erano dei perfetti sconosciuti, non potevano proteggerla. 
« Le emozioni tolgono lucidità. Soprattutto in guerra. Un attimo di distrazione e... zac, siete finiti... » pensò, guardando la sua amica e il resto del commando venire risucchiati uno ad uno dal portale.
« Mew Minto può solo volare e Mew Retasu non può usare il braccio destro per via delle vesciche. Mew Purin è l’unica che è in grado di combattere, quando non si gratta come una scimmia. Basterà... »

Fu un attimo.

Mew Zakuro strappò di mano a Cardamome il prototipo del bracciale. Dopodiché, con un potente schiocco di frusta, afferrò la gamba dell’ultimo soldato, facendosi così risucchiare anche lei dal portale, tra le grida disperate delle sue amiche e degli scienziati extraterrestri.

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Capitolo 22
*** Action ***


– CHE COSA ACCIDENTI AVETE COMBINATO?! – sbraitò il membro più anziano del Consiglio.
– Ec... Ecc... Eccellenza, s... s... sono des... desolato, io... – balbettò Cardamome con un filo di voce, prima di venire interrotto dai severi rimproveri dell’Anziano.
« Poverino... » pensò Mew Purin, assistendo in silenzio alla scena. 
Prontamente informato di quanto accaduto nella sala 21, il Consiglio non aveva esitato a convocare al suo cospetto gli scienziati presenti all’apertura del varco (di cui Cardamome era il responsabile) e ciò che rimaneva della squadra Mew Mew. Vista la gravità della situazione, erano subito giunti sul posto anche i più alti ufficiali alieni, tra cui Pai. 
Mew Purin non riusciva proprio a capire quello che aveva fatto l’amica: era una vera e propria follia. La loro leader aveva ricevuto un minimo di preparazione militare alla missione, ma Mew Zakuro? Che le era saltato in mente? Non aveva studiato nessuna mappa, non era al corrente dei piani del commando e non combatteva contro gli extraterrestri da ben dieci anni. Dieci anni. Certo, per fare la modella e l’attrice doveva tenersi in forma, ma... in che modo? Pugilato? Judo? Lotta greco-romana? Nuoto? Danza moderna? Equitazione? Pilates? Non ne aveva la più pallida idea: non era mai andata a trovarla a Los Angeles... 
Che fosse impazzita, a stare così tanto nell’edificio governativo alieno? O... o... o che fosse stata una di quelle sostanze che stavano provando a farle dare di matto? Che fossero destinate tutte a diventare completamente pazze a causa degli esperimenti? Lei stessa non aveva smesso di grattarsi per via del primo test e, francamente, non ne poteva più. L’aveva notato anche Taruto che era giunta al limite della sopportazione.
– È inammissibile! Ma come diamine ve la siete fatta scappare? Si può essere più idioti di così? Dove erano le guardie? 
– Er... er... erano ad aspettarci fuori dalla porta... su ordine del... del Capitano Ikisatashi! – replicò spaventato lo scienziato. 
A quelle parole, si levò un brusio di disapprovazione.
– Generale Ikisatashi! Che cos’è questa storia? Esigo subito una spiegazione! E che sia una spiegazione accettabile!
Pai si fece avanti ed eseguì prontamente il saluto militare.
– Eccellenza, è molto semplice: sospettiamo che ci sia una talpa.
Uno sgradevole silenzio calò sui presenti.
Il più vecchio degli Anziani, sorpreso, strabuzzò gli occhi.
– Che cos’è? Uno scherzo?
– No, Eccellenza. È così.
– E da dove nascono i vostri sospetti?
Pai estrasse da una tasca interna della giacca una pergamena giallastra, accuratamente sigillata da ceralacca rossa. Senza proferire una parola, la porse all’Anziano.
Mew Purin lo guardò srotolare con cautela il foglio di pergamena e seguì attentamente i suoi occhi mentre leggeva il messaggio, scrutandone l’espressione. 
« Adesso è lui ad avere paura... »
Spaesato, l’Anziano alzò lo sguardo verso Pai. Con voce grave, sentenziò: – È così.
Gli altri membri del Consiglio, increduli, si affrettarono a leggere la pergamena, passandosela di mano in mano.
Dopo aver dato il tempo di leggere a tutti gli Anziani, il più vecchio li chiamò in disparte per una rapida consultazione segreta.
« Che ci sarà mai scritto su quella pergamena? » si chiese incuriosita la ragazza, grattandosi il mento.
Una volta che i membri del Consiglio ebbero finito di parlare tra loro, Pai disse: – Eccellenze, come avete potuto appurare, non è uno scherzo. Potrebbe essere chiunque...
– Va bene, va bene! Per questa volta non ci saranno punizioni né per il Generale Ikisatashi né per il Capitano Ikisatashi! – tagliò corto l’Anziano più vecchio.
– Grazie, Eccellenza – esclamò Pai, facendo un profondo inchino e tornando al proprio posto.
– Cardamome! – tuonò il solito Anziano.
– S... s... sì, Ecc... Ecc... Eccellenza? 
– Per le tue gravi mancanze, oltre a svolgere le solite mansioni, pulirai tutti i bagni dell’edificio fino a nuovi ordini!
– C... c... certamente, Ecc... Eccellenza. Gra... grazie... – farfugliò lo scienziato, chinando mestamente la testa.
– E voi tre! – sibilò con tono minaccioso l’Anziano, guardando torvo le Mew Mew. – Voi tre! Voi sapevate... voi Umane eravate al corrente di tutto! Vi eravate messe d’accordo! Sciocche!
– Eccellenza! Non è vero! Non potevamo assolutamente immaginare che Mew Zakuro decidesse di aggregarsi al vostro commando speciale! – obiettò Mew Retasu.
– Ah sì? E come potete provare la vostra estraneità ai fatti? 
– Noi... ecco... noi... – cominciò incerta la Mew neofocena, guardando le amiche in cerca di supporto.
– Dandovi la nostra parola d’onore! Parola di Mew Mew! – esclamò con orgoglio Mew Purin, portandosi la mano destra sul petto, all’altezza del cuore. Chi mai poteva dubitare delle paladine della giustizia più famose dell’universo?
Ci fu un momento di silenzio, poi un coro di risatine irritanti. La ragazza vide Pai alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa.
– Beh? Lo sanno tutti che siamo angeli protettori della T... ahia!
Che male! Mew Minto le aveva appena dato un pizzicotto sul fondoschiena!
– Ma perché mi... AHIA!
– Zitta, devi stare zitta! – le sussurrò l’amica, dopo averle dato un altro terribile pizzicotto.
– Guarda che mi...
– Ssshhh! – le intimò, scoccandole un’occhiataccia.
« Certo che anche lei è strana! Va bene essere nervosi per quello che ha fatto Mew Zakuro... però perché se la deve prendere con me? Non ho detto niente di sbagliato! » pensò, massaggiandosi il posteriore.
– Non avete prove! Non potete provare che siete innocenti!
– Cosa? Ma... – iniziò Mew Retasu.
– Ma neppure colpevoli... – interruppe Pai, con tono fermo.
L’Anziano era paonazzo in volto.
– Basta! Portatemele fuori di qui! Guardia, scortale subito in laboratorio! Che continuino con gli esperimenti! – urlò, facendo segno a quel simpaticone del soldato con la benda sull’occhio destro di eseguire l’ordine. 
Una volta giunte nel laboratorio, Mew Purin non poté non notare come lo stato di agitazione in cui versava Mew Minto fosse peggiorato. Scambiandosi un’occhiata con Mew Retasu, prese la mano alla mora e la strinse forte.
– Hey! – bisbigliò. – Stai tremando come un budino!
– Dai, non fare così... Mew Zakuro se la caverà. Non è vero Mew Purin? – fece Mew Retasu, cercando di sembrare convincente. 
– Sì... sì! È intelligente!
– È sveglia!
– È pure sportiva: fa... che fa?
– Ehm... sport?
– Kickboxing... fa kickboxing... – rispose Mew Minto, senza guardare le compagne di squadra.
– Kickboxing! – esclamarono le due ragazze all’unisono.
– Allora spacca... spacca di brutto!
– I ribelli non avranno scampo! E poi... e poi c’è anche Mew Ichigo con lei!
– Già!
– Evvai!
– Forza!
– Sìììì!
– Na no da!
– Ragazze... – iniziò Mew Minto con voce lugubre, ignorando i patetici tentativi delle amiche di tirarle su il morale.
– S... sì? 
– ... e se la talpa fosse tra i soldati del commando di Kisshu?

***​

Era complicata.
Accidenti se era complicata.
La giovane donna che aveva di fronte era una complicazione in costante evoluzione.
Sempre sorridente e gentile al lavoro... silenziosa e cinica nel privato...
Kisshu scoppiò a ridere.
« Sa decisamente recitare... » pensò.
Che tipa... si era aggregata di punto in bianco ad un’operazione militare delle forze speciali. Così, come se nulla fosse.
Era riuscita a stupirlo ancora una volta. Ricordava bene il sorprendente cazzotto che gli aveva tirato in faccia dieci anni prima: gli aveva regalato un orribile labbro spaccato e un’odiosa ombra violacea sulla guancia. E come dimenticare l’inaspettata domanda sulle emozioni, posta a bruciapelo in una chiesa terrestre, in una fredda sera d’inverno? Che donna...
La sua micetta preferita era un libro aperto per lui, ma la Mew lupo era un enigma, un enigma incredibilmente intricato. 
« Un bellissimo enigma... »
Sentì un piacevole brivido percorrergli la schiena.
Lo intrigava.
Oh, se lo intrigava.
Era soprattutto l’idea di scoprire a poco a poco tutti gli altri lati nascosti della sua personalità ad intrigarlo. Ce n’era almeno un altro... uno più celato... ne era sicuro...
Aveva voglia di scoprire ogni sua singola sfaccettatura.
Applaudì lentamente, sorridendo.
– Congratulazioni! Hai vinto il premio per l’azione più stupida dell’anno! Vuoi fare un discorso di ringraziamento? 
– Piantala e dimmi come si mette questo coso... – bofonchiò Mew Zakuro, indicando il bracciale che aveva in mano.
– Perché... perché lo hai fatto? Perché? – le chiese preoccupata Mew Ichigo, accorrendo subito in suo aiuto.
Mentre le abili dita della Mew gatto bloccavano, con diversi click, il congegno elettronico al braccio nudo della compagna, Kisshu si morse il labbro inferiore. Erano entrambe bellissime...
Mew Zakuro guardò l’amica intensamente, con un’espressione così seria e profonda che quest’ultima non poté fare a meno di arrossire.
« C’è qualcosa che mi sfugge? » pensò l’alieno, senza distogliere lo sguardo dalle due e viaggiando con la fantasia. Il suo respiro si fece più affannoso e il cuore prese a battergli più velocemente. Che cosa gli facevano quelle Terrestri...
Quando la Mew viola si decise a parlare, non rispose alla domanda di Mew Ichigo, ma ne pose un’altra. In effetti, si rivolse a Kisshu con tono duro, richiamandolo alla realtà: – Chi sono i tuoi soldati?
– Intendi i tuoi salvatori, tesoro mio... – le sussurrò l’extraterrestre all’orecchio, dopo essersi teletrasportato alle sue spalle.
– Smettila! – replicò esasperata la Mew lupo.
L’alieno rise di gusto nel vederla tanto irritata.
– Neanche per sogno. Se la missione non va a rotoli, sarà solo grazie a loro. 
Prima che la ragazza potesse rispondere, Kisshu esclamò: – Signore, vi presento la squadra migliore con cui abbia mai lavorato. Ecco Safran...
– ‘sera... – disse un militare, accennando un sorriso e mostrando un vistoso dente d’oro.
– Persil...
Un soldato robusto con una grossa katana tra le mani fece un breve cenno di saluto con la testa.
– Coing...
– Hey! – salutò un giovane dal viso rotondo e pieno di lentiggini.
– Aneth...
Aneth, l’unico membro del commando ad avere la barba, strizzò l’occhio alle ragazze con complicità.
– ... e Trèfle! 
– Piacere! – disse l’ultimo soldato, un militare con le braccia completamente tatuate.
Kisshu, sorridendo maliziosamente in direzione di Mew Zakuro, disse: – Dunque... ricapitolando per la nuova arrivata...
Ignorando il ringhio di rabbia della giovane donna in questione, continuò: – Siamo nella zona dell’obiettivo. È una zona rurale a sud del Pianeta, dove ci sono per lo più costruzioni e capanne di legno... come quella in cui ci troviamo. I bastardi hanno pensato bene di farci il loro quartier generale, eh? Chi andrebbe mai in un posto dimenticato da tutti, in mezzo ad un bosco? Ma abbiamo individuato la loro base, finalmente... e i nostri, sotto copertura, ci hanno lasciato pure un ricordino: un piccolo arsenale adatto all’occasione. Servitevi pure...
Con il piede sfondò in un colpo secco il legno poroso di alcune assi del pavimento, rivelando il nascondiglio del deposito di armi: c’erano un paio di mitragliatrici con le relative munizioni, cinque pistole laser con silenziatore, tre lanciafiamme e diverse spade, sia a lama lunga che corta. Persil e Aneth si impossessarono subito delle mitragliatrici, mentre Safran, Coing e Trèfle dei lanciafiamme e di una pistola ciascuno. Kisshu prese le ultime due pistole e ne lanciò una a Mew Zakuro, che l’afferrò al volo. Tutti, compresa Mew Ichigo, presero almeno una spada dal mucchio.
– La base dei ribelli è nascosta tra la vegetazione. È sorvegliata giorno e notte da soldati in uniformi grigie, ma anche da guardie in abiti civili. Teletrasportarsi all’interno è impossibile, verremmo subito individuati perché siamo estranei. Fate attenzione. Per entrare, useremo il condotto fognario, che ci porterà fino alla grata di scarico del seminterrato dell’edificio. Da lì, ci sono le scale per andare ovunque, anche nella sala del discorso. Quando saremo dentro, voi cinque darete alle fiamme i settori che vi sono stati assegnati. Io e Mew Ichigo tenteremo di raggiungere l’Alto Sacerdote nel suo pulpito, approfittando del caos. Mew Zakuro, ti unirai a noi, ci coprirai le spalle. La riuscita del nostro piano dipende da un sincronismo perfetto. E se ci scoprono, abbattete qualunque cosa si muova, intesi?
L’intero commando annuì all’unisono.
– Bene! Attivate il bracciale e indossate la tuta... anche il casco! – ordinò Kisshu.
Mew Ichigo si affrettò a mostrare velocemente all’amica come usare il congegno.
– Così ti metti la tuta, così il casco... e se clicchi qui li togli. Questo pulsante qua serve a sparare laser, nel caso ti si scaricasse la pistola... invece quest’altro serve ad attivare la visione notturna. Oh, se pigi lì hai la torcia, mentre là hai la mappa. E poi...
– I miei ragazzi possono muoversi anche ad occhi chiusi. Tu no. Devi starci dietro, capito? Non potrai usare sempre la mappa del bracciale! – la interruppe Kisshu, rivolgendosi alla Mew viola.
– La vuoi smettere di interrompermi sem...
– Cosa vedi, Aneth?
– Via libera, Capitano!
– Forza, andiamo!
– Sì, signor Capitano! – dissero insieme i soldati.
Senza indugiare oltre, il commando uscì dalla capanna di legno e si diresse, in fila indiana, verso il corso d’acqua dove riversava lo sbocco fognario. Quest’ultimo aveva una forma arcuata.
Kisshu accese la torcia ed entrò per primo nel condotto.
– Entriamo tutti da qui e usciamo tutti da qui! Il varco per tornare a casa si aprirà sempre alla capanna. Ce la faremo!
« Chissà, forse avrò anche l’occasione di vedere gli altri tuoi particolari, Mew Zakuro... »

***​

Pai prese la tazza di tè terrestre che aveva sulla scrivania del suo ufficio e sorseggiò lentamente la bevanda calda.
Chiuse gli occhi per un attimo, sopraffatto dalla stanchezza. Gli avvenimenti di quel giorno lo avevano affaticato parecchio.
Non era il momento di recarsi nuovamente nella sala 21 per la riapertura del portale, c’era ancora molto tempo.
Il commando di suo fratello era partito per una missione speciale di massima segretezza. Perciò, agli alti ufficiali dell’esercito che, come lui, erano a conoscenza dell’importanza di quella operazione, non restava che aspettare, sperare e continuare a lavorare.
Lasciandosi inebriare dal profumo del tè, ripensò alla conversazione avuta con Kisshu poco dopo averlo informato della situazione di Taruto, quando era ancora in viaggio per fare ritorno sul loro Pianeta.

Inizio flashback

– Mi volevi parlare, fratello? 
L’ologramma di Kisshu era intento ad affilare i Sai, comodamente seduto a gambe incrociate sul bracciolo di un sedile della navicella spaziale.
– Sai cosa voglio. È ciò che vuoi anche tu – sentenziò con voce dura, senza degnarlo di uno sguardo e continuando ad occuparsi delle sue armi.
– Vendetta.
Kisshu alzò lentamente un Sai, specchiandosi nella lama.
– Qualcuno ci ha traditi. Ci ha traditi e ha consegnato Taruto e la sua unità ai nemici.
A quelle parole, tra i due fratelli calò un silenzio profondo.
– Quello che dici è molto grave.
– Ed è una possibilità molto concreta... – iniziò Kisshu, riprendendo ad affilare le armi.
– ... perché il piano con il luogo e il giorno dell’operazione che dirigeva nostro fratello era segreto. Lo so... – finì Pai, stringendo i pugni.
Ci fu un’altra pausa in cui nessuno dei due disse nulla. L’unico rumore che si sentiva era dato dalla pietra usata da Kisshu per affilare i Sai.
Poi, ad un tratto, il maggiore esclamò: – Bisogna controllare i DTS di tutto l’esercito e vedere se si riscontrano delle anomalie. Me ne occupo io.
– Bisogna far cadere la testa di quel fanatico dell’Alto Sacerdote. Di quello me ne occupo io.
– Conta pure su di me per la logistica...

Fine flashback

Con il passare dei giorni, i loro sospetti si erano intensificati. Non solo il tracciato dei vari DTS riportava diverse stranezze, ma anche gli esperimenti condotti sulle Mew Mew si stavano rivelando un fallimento totale. 
Pai bevve un altro po’ di tè.
Nella pergamena che aveva consegnato al Consiglio c’erano tutte le prove che aveva potuto raccogliere sino a quel momento, incluse le sue personali osservazioni in merito. Qualcuno stava informando i ribelli dall’interno. Doveva continuare a lavorare per scoprire chi. 
« E sperare che Kisshu non venga infettato o ammazzato prima di allora... »

***​

Dentro al condotto fognario era terribilmente buio, per vedere qualcosa serviva necessariamente la torcia.
E fortuna che indossava la tuta: l’acqua putrida le arrivava fino a metà coscia.
« Che. Grandissimo. Schifo. Colossale! » pensò disgustata Mew Ichigo, appoggiandosi con una mano alla parete ammuffita di pietra, in modo da cercare di proseguire più agevolmente.
Kisshu le aveva detto delle fogne solo all’ultimo... e aveva pure riso!
« Questa me la paga... questa proprio me la paga! » si ripromise, scansando una strana forma di vita non meglio identificata che galleggiava a pochi centimetri da lei. In risposta, la creatura le schizzò un liquido scuro sulla visiera del casco protettivo. 
« Perché capitano sempre tutte a me? Perché, perché, perché? Perché? » si chiese, ripulendosi come meglio poteva.
« Il rapimento degli alieni, gli esperimenti, il Chimero scarafaggio, la missione, le fognature, la cosa galleggiante, Mew Zakuro che si comporta in maniera strana... e basta! »
In effetti, l’amica non le aveva detto il motivo che l’aveva spinta a unirsi al commando. Non le aveva detto assolutamente niente, in verità.
« Non voleva che stessi da sola con gli alieni? » si domandò, voltandosi ad osservare la ragazza che camminava chinata dietro di lei. Il condotto non era molto alto: dovevano tutti piegarsi e la sua compagna era tra quelli che dovevano farlo di più. 
C’era... c’era qualcosa di diverso in lei quel giorno... qualcosa che non tornava: sì, lanciava occhiatacce penetranti a tutti e parlava pochissimo come al solito, ma... Mew Ichigo aveva la sensazione che non fosse tutto a posto. Forse era il fatto di andare contro corrente in una lurida fogna puzzolente... forse era la scarsa illuminazione... però... anche prima...
– Mew Zakuro, sei... sei sicura di sentirti bene? – le sussurrò.
– Risparmia il fiato, ci serve per muoverci in questo schifo! – le intimò la compagna, con un tono che non ammetteva repliche.
– G... giusto... – balbettò arrossendo.
« Forse mi sbaglio... »
All’improvviso, Kisshu si fermò. Secondo la mappa, dovevano girare alla galleria di destra e continuare per un centinaio di passi. Là avrebbero trovato la grata di scarico della cantina: il loro accesso al quartier generale dei ribelli.
– Ci siamo! Spegnete le torce e attivate la visione notturna!
L’intero commando eseguì prontamente l’ordine. In silenzio, avanzarono tutti verso la grata, che era chiusa con un piccolo lucchetto elettronico. Una volta sotto di essa, il Capitano fece un segno a Coing, che mise il proprio braccialetto il più vicino possibile al lucchetto. Il giovane, cliccando su vari tasti, lo fece saltare in un battito di ciglia, senza fare alcun rumore. Lanciando un’occhiata di intesa alla sua squadra, Kisshu sollevò la grata e si issò per primo fuori dall’apertura. Un attimo dopo, anche il resto del commando era nel seminterrato dell’edificio. Mew Ichigo poté finalmente liberarsi del casco e della tuta. Come ricordava dallo studio della pianta 4D, c’erano varie scale che portavano ai piani sovrastanti. Lei, Kisshu e Mew Zakuro presero le seconde a sinistra, così da dirigersi verso gli appartamenti dell’Alto Sacerdote. 
« E fare quello che va fatto... » si disse, nascondendosi insieme agli altri due nella nicchia laterale che si trovava vicino alla fine della rampa.
Si era ripetuta un milione di volte che era una guerriera da quando aveva tredici anni, che aveva posto fine all’esistenza di Deep Blue con i suoi poteri, che Shirogane e Akasaka erano disposti a farle fare di tutto per la difesa della Terra, compresa l’eliminazione definitiva degli Ikisatashi. Aveva pensato al povero Taruto, a tutti gli alieni colpiti dal virus, alla disperazione dei loro cari. Si era ricordata della devastazione della sua amata città causata dalla rinascita di Deep Blue, degli scampati pericoli e avvelenamenti, delle parole di Ryan sulla guerra. Ma più lo scopo di quella missione si faceva concreto, più provava una feroce morsa allo stomaco.
Aveva paura.
Paura di uccidere.
Paura di passare dalla parte del torto.
Paura di diventare un mostro.
Paura di non poter tornare più indietro.
« È giusto? È sbagliato? »
Kisshu attirò la sua attenzione stringendole il braccio. Dal punto in cui si trovavano, potevano vedere alcune guardie della base fare avanti e indietro lungo il piano sovrastante: a momenti, avrebbero girato l’angolo. Loro tre dovevano uscire e prendere l’ascensore a destra. Avevano solo 15 secondi per evitare di essere ripresi dal sistema di videosorveglianza del corridoio: erano appena sufficienti a percorrere quella distanza. Grazie al bracciale, potevano chiamare a distanza l’ascensore e manomettere la telecamera all’interno, bloccando l’immagine, ma per quanto concerneva il corridoio, era necessario disattivare un certo numero di telecamere alla volta, creando un black-out in quella finestra temporale. Se usavano quello stratagemma con cautela, come avevano pianificato, gli addetti alla sicurezza non si sarebbero preoccupati più di tanto del breve malfunzionamento di alcune delle loro apparecchiature in quel settore della struttura, soprattutto se l’ascensore risultava vuoto.
Mew Ichigo fece segno all’amica di correre velocemente e di seguirla.
Non appena ci fu campo libero, Kisshu impostò il bracciale e i tre si precipitarono di corsa fuori dal loro nascondiglio. Come dai calcoli, impiegarono 15 secondi esatti per raggiungere l’ascensore ed eludere il sistema di videosorveglianza. 
Ora si trattava di arrivare al piano in cui si trovava il loro obiettivo.
L’Alto Sacerdote avrebbe iniziato il suo comizio mensile dopo il tramonto: erano attesi più di diecimila seguaci e mancava pochissimo. Gli altri membri del commando avrebbero creato a breve un diversivo con il fuoco: lei, Kisshu e Mew Zakuro dovevano attendere il segnale.
« Mi... mi tremano le mani... » notò, mentre salivano al piano.
Anche la sua amica non era del tutto ok: teneva gli occhi chiusi, stringeva forte il calcio della pistola ed era completamente appiattita alla parete, quasi come se avesse le vertigini. Le toccò il braccio, ma la Mew viola si ritrasse subito al contatto.
– Sto bene! – le disse stizzita.
– Beh? Che problema avete, voi due? Paura di sporcarvi le mani? – chiese Kisshu, con un sorrisetto sghembo.
Mew Ichigo si morse il labbro.
– E tu?
– Tsk. Le mie mani sono già sporche da un pezzo.
Ting.
Erano arrivati al piano.
– Presto, dietro le statue a sinistra!
Dal nuovo nascondiglio, Mew Ichigo cominciò a contare con la mente finché non udì delle urla (che poté capire grazie al traduttore automatico portatile) a est e a ovest.
– Al fuoco, al fuoco! 
Un istante dopo, i soldati che facevano la ronda a quel piano si precipitarono a spegnere le fiamme, allontanandosi.
« È il segnale! »
Dovevano entrare nelle stanze dell’Alto Sacerdote. L’accesso era protetto da un paio di nemici, che facevano la guardia ai lati della porta.
Kisshu disattivò in un lampo le telecamere necessarie, uscì fuori dal nascondiglio e con il bracciale sparò un laser immobilizzante in direzione delle sentinelle, così da farle rimanere fisse in piedi fino alla fine dell’operazione. Poco prima dello scadere dei 15 secondi, l’extraterrestre riuscì a far saltare la serratura elettronica della porta. Dopo essere entrato, la lasciò leggermente accostata.
« Ce l’ha fatta! Ora tocca a noi! » pensò la ragazza.
Con un gesto della mano, fece capire a Mew Zakuro che dovevano aspettare 60 secondi prima di disattivare di nuovo le telecamere. I sorveglianti avrebbero pensato ad un cortocircuito per via dei piccoli incendi che erano in corso.
Allo scadere del tempo, Mew Ichigo manomise le telecamere e, dopo essersi guardata alle spalle, partì di scatto. L’amica la seguì, chiudendo la porta dietro di sé senza far rumore.
« E anche questa è fatta! » si disse la Mew gatto riunendosi con Kisshu nel vestibolo.
Gli appartamenti dell’Alto Sacerdote si affacciavano su un’ampia sala, dove si ergevano delle imponenti colonne corinzie volanti, tramite un balcone: il capo dei ribelli avrebbe tenuto da lì il suo discorso. 
La poca luce che c’era nelle sue stanze proveniva dall’affaccio sulla sala delle colonne e da alcuni bracieri emananti un odore molto pungente.
Kisshu materializzò i suoi Sai e fece cenno alle ragazze di avanzare molto lentamente. L’obiettivo si trovava a pochi passi da loro, voltato di spalle. L’Alto Sacerdote e la sua cerchia di collaboratori erano infatti sul balcone a salutare con la mano i fedeli: il comizio stava per iniziare. Dalle rumorose acclamazioni che giungevano alle loro orecchie, era chiaro che la sala sottostante fosse piena.
Mew Ichigo sapeva che bisognava togliere di mezzo prima gli scagnozzi (che erano tre) e poi, davanti a tutta la folla...
– Popolo di Deep Blue! Miei cari, bentornati e benvenuti! Il nostro Signore ha reso possibile anche questo incontro. Onore e gloria a Deep Blue! – esclamò l’Alto Sacerdote.
– Onore e gloria a Deep Blue! – ripeterono gli adepti.
Mew Ichigo fece apparire la sua Strawberry Bell.
« Piano... piano... » disse tra sé e sé, stringendo forte l’arma tra le mani e facendo un passo avanti. Il cuore le batteva fortissimo.
– La creatività è energia. L’universo esiste perché è l’animo creativo di Deep Blue. L’universo è energia. Ciò che smette di esistere ritorna nello spazio sotto forma di energia. La vita sembra creata dal nulla, ma in realtà viene da qualcosa che pervade l’intero universo: il nostro Signore Deep Blue. Egli entra nel cervello del vero credente e lo aiuta a capire i segreti della creazione e delle creature esistenti.
« E quindi dovete usare il cervello... » pensò la ragazza, facendo un altro passo avanti verso le tende rosse della porta del balcone.
– Tutti i nostri mali sono causati da chi sceglie di negare la rivelazione del nostro unico Creatore. Questa scelta è fatta inconsciamente da quelli che vivono nella menzogna e sono perciò peccatori. La menzogna! L’unica vera grande minaccia è la menzogna! Menzogna che i traditori Ikisatashi hanno osato portare a casa nostra! Menzogna che noi stessi abbiamo alimentato, mandandoli sul Pianeta Azzurro! Credevamo che volessero aiutarci, ma ci hanno solo privati della manifestazione del Sommo Deep Blue, alleandosi con le cinque assassine terrestri. Traditori e assassini!
– Traditori e assassini! – esplose furiosa e indignata la folla.
« Che delirio collettivo... » pensò la Mew gatto, alzando gli occhi al cielo.
– E il Consiglio non fa che assecondarli! Hanno ingannato tutti! Tutti! Così, mentre giorno dopo giorno rendono impuro il nostro amato Pianeta con le loro innumerevoli bugie, i ricchi e potenti si fregano compiaciuti le mani, sordi e ciechi davanti al nostro dolore!
Un boato di rabbia e di grida ostili si levò dai seguaci di Deep Blue.
– Ma oggi... oggi è diverso. Noi siamo diversi! Noi! Noi oggi abbiamo la grande opportunità di cambiare le cose!
La folla accolse quelle parole con un applauso fragoroso.
– Uniti possiamo fare di tutto!
Uno scroscio ancora più forte di applausi e grida di esultanza riecheggiò nella sala.
– E chiunque tenterà di ostacolarci, sarà spazzato via dopo il Luminoso Crepuscolo!
A quel punto, ci fu una tempesta incontenibile di applausi, di urli e di colpi battuti sul pavimento con i piedi.
« Buono a sapersi... » si disse Mew Ichigo, guardando i suoi compagni. Notò che Mew Zakuro aveva la sua fedele frusta in una mano e la pistola laser nell’altra. 
– Smettetela di razionalizzare, smettetela di mettere tutto in discussione, smettetela di cercare il perché di ogni cosa. Avete già la risposta alle vostre domande. La riflessione e l’analisi sono malattie che bloccano la rivelazione. Pensando troppo, la mente è confusa. Fidatevi di me! Liberatevi e lasciatevi andare pienamente a Deep Blue! – terminò l’Alto Sacerdote alzando le braccia al cielo, accompagnato da innumerevoli grida di assenso e di entusiasmo.
Mew Ichigo capì che per loro era giunto il momento di agire: erano tutti in posizione.
Qualcosa si mosse nell’ombra.
– Altrimenti la vostra anima sarà persa come quella dei nostri ospiti... – aggiunse lentamente il guru dei ribelli, voltandosi assieme ai suoi gregari.
Kisshu imprecò.
« Maledizione! Ci hanno scoperti! » pensò disperata la ragazza, guardandosi attorno. 
Erano circondati da soldati nemici.
L’Alto Sacerdote disse, mostrando un terribile sorriso: – Divertitevi ad uscire vivi da qui...
Scoppiando in una risata malvagia, si teletrasportò via con i suoi collaboratori.
Un istante dopo, le guardie gli furono addosso.
Un soldato fece un balzo verso Mew Ichigo cercando di trafiggerla con la spada, ma lei si abbassò, schivando il fendente, e contrattaccò, colpendolo alla schiena con la propria arma. La ragazza parò un secondo colpo, proveniente da un extraterrestre diverso. Poi si difese da un altro. E da un altro. E da un altro ancora.
« Sono troppi! » si disse.
– Ribbon Strawberry Surprise! – urlò, accecando i soldati che aveva vicino.
Approfittò di quel momento per cercare con lo sguardo i suoi compagni.
Kisshu aveva fatto fuori un sacco di guardie, però aveva perso i Sai e ora lottava strenuamente corpo a corpo con uno dei ribelli. In un attimo, tirò fuori il pugnale che portava lungo lo stivale destro e con un gesto repentino lo immerse fino all’elsa nel collo del ribelle. Con uno strattone, estrasse l’arma dal nemico, che stramazzò a terra, e si rimise in posizione, pronto ad affrontare il prossimo soldato. Colpì anche quel nemico con il pugnale, ma questi era troppo distante per essere ferito con precisione. La punta infatti scivolò sul petto dell’uniforme e deviò, facendogli solo un taglio sul fianco sinistro. Il ribelle si toccò il fianco, guardando inorridito il sangue che sgorgava dalla ferita. Nel mentre, un altro soldato stava correndo in direzione di Kisshu per saltargli addosso. Rapidamente, quest’ultimo tese il braccio destro in fuori, rigido. Il soldato si infilzò nella lama. Dopodiché, Kisshu estrasse fulmineo la pistola laser, puntandola contro il nemico ferito al fianco che aveva di fronte, e sparò.
Mew Zakuro, dal canto suo, stava colpendo tutti i ribelli che poteva, alternando la sua frusta di luce alla pistola laser.
– Ribbon Zakuro Pure! Ribbon Zakuro Pure! Ribbon Zakuro Pure!
Ma nonostante i loro sforzi, i soldati sembravano spuntare dal nulla come funghi.
« Accidenti! Sono davvero troppi! E chissà dove sono gli altri... il piano era di creare un altro incendio nella sala delle colonne, in modo da poter scappare. Adesso però è saltato tutto! » pensò Mew Ichigo, graffiando l’ennesimo nemico.
Le raffiche di una mitragliatrice la distolsero dai suoi pensieri. 
« Persil! »
Seguirono altri spari.
« Safran! »
Due membri del commando avevano raggiunto gli appartamenti dell’Alto Sacerdote. Ma dov’erano gli altri tre?
– Capitano... – esclamò Safran tra un colpo e l’altro – ... mi sa tanto che dobbiamo salutare i nostri ospiti e teletrasportarci dove sappiamo. Oramai i nostri nomi li sanno lo stesso. E poi è quasi ora!
– Dannazione! Recuperiamo i ragazzi! – disse Kisshu, colpendo un soldato con una sfera di energia, fatta con i Sai che aveva ripreso.
– Sono di sotto, li abbiamo lasciati nella sala delle colonne! Là Persil può liberarci il passaggio! – lo informò Safran, avvicinandosi al balcone.
– Signore, c’è un cambio di programma! – annunciò Kisshu in giapponese, così da non far capire nulla ai ribelli. Poi continuò: – Micetta, mi serve un po’ di luce. Ah, lupacchiotta, quando dò il segnale, molla tutto e fidati di me! Quindi... ora!
– Ribbon Strawberry Surprise! – gridò a pieni polmoni Mew Ichigo. Dopo che ebbe sferrato il suo attacco, sentì Kisshu cingerle la vita con un braccio e, in un battito di ciglia, venne teletrasportata vicino all’amica e poi di nuovo nel locale sottostante.
Molti dei seguaci che avevano preso parte al comizio si erano dileguati: la sala era praticamente vuota. Persil aveva sgomberato il passaggio aprendo il fuoco sulle sentinelle presenti.
Ma...
Aneth, Coing e Trèfle giacevano senza vita a terra, riversi nel sangue. Era una vista raccapricciante: i tagli e le ferite da spada che riportavano erano così numerosi da renderli quasi irriconoscibili.
– N... no... – sussurrò la Mew gatto, portandosi le mani alla bocca. 
Mew Zakuro si fece il segno della croce.
– Bastardi! – sibilò Kisshu. Chiudendo gli occhi ai compagni, continuò: – Dobbiamo riportarli indietro. Persil, Safran! 
– Agli ordini, Capitano! – mormorò Safran, prendendo tra le braccia il corpo di Coing.
Persil, essendo più massiccio, si caricò sulle spalle gli altri due, in silenzio.
All’improvviso, un venticello familiare scompigliò i capelli di tutto il commando: non erano i soli ad essersi teletrasportati... 
– Oh no! Ci sono altri soldati! – disse impaurita Mew Ichigo.
– Presto, andate! – ordinò Kisshu ai suoi sottoposti, facendo scintillare i Sai.
– Capitano, il portale... – iniziò Safran.
– Ci vediamo là. 
I due alieni chinarono la testa e sparirono in un attimo.
– Signore, vi chiedo un attimo di pazienza, poi sono tutto vostro. Ho alcune faccende in sospeso da sbrigare... 
Kisshu lanciò un grido di battaglia e partì alla carica verso il drappello di soldati. Come un animale selvaggio, riversò nella lotta furia e dolore, massacrando di fendenti tutti i nemici che gli si paravano davanti.
« Devo aiutarlo! » pensò Mew Ichigo, mettendosi in posizione di attacco.
– Ribbon...
Purtroppo non riuscì a finire la frase, perché la campanella della sua arma si staccò e cadde, tintinnando, vicino agli stivali di uno dei ribelli. Questi la raccolse, sghignazzando senza ritegno.
– NO! – urlò la ragazza, abbandonando ciò che restava della sua arma a terra e gettandosi in men che non si dica addosso all’alieno. Entrambi finirono a lottare corpo a corpo sul pavimento.
– Ridammi subito la mia campana, brutto ladro che non sei altro! – esclamò, cercando di strappargliela dalla mano.
« Devo riuscire ad usare il laser del bracciale! » si disse. 
Ma l’alieno stava avendo la meglio: le aveva bloccato il braccio sinistro per impedirle di usare il congegno a destra.
Un colpo di frusta schioccato sulle mani del soldato nemico risolse la situazione, costringendo l’extraterrestre a lasciare la presa. La campanella finì dietro una colonna, trillando più che mai.
– Mew Zakuro!
Con un altro colpo di frusta, la Mew lupo prese l’alieno e lo scaraventò contro un muro lontano, mettendolo ko.
– Fa’ attenzione, perdi pezzi! – la redarguì la compagna, correndo dietro la colonna e tirandole con un calcio la campanella.
– Grazie. Ma non ho tempo per rimetterla, bisogna aiutare Kisshu! Mew Zakuro... Mew Zakuro?
L’amica era ancora vicino alla colonna, in piedi e immobile.
« Ma che fa? Si sente bene? »
Aveva un’aria strana, sembrava... sembrava distratta.
– Shirogane... – disse piano la Mew viola, con gli occhi sgranati.
« Shirogane? »
Mew Ichigo non ebbe il tempo di pensare a quello che aveva detto la compagna: un potente getto di luce verde, lanciato dal fucile di un soldato muscoloso come un toro, colpì Mew Zakuro alla schiena, facendola cadere sulle ginocchia.
– Mew Zakuro! Cos... AAAH!
Questa volta fu lei ad essere colpita, ma alla gamba sinistra. Tre ribelli alieni l’accerchiarono immediatamente, sfoderando le loro spade.
– Bastardi! – disse Mew Ichigo in preda alla rabbia.
– Guardate che bella bambolina abbiamo qui... – disse uno di loro con tono viscido, senza smettere di fissarle il seno. Aveva gli occhi piccoli come quelli di un maiale.
Gli altri due ridacchiarono e fischiarono.
– Non so voi, ma io ho proprio voglia di giocare con lei... – continuò il primo mentre si toccava la patta dei pantaloni, avvicinandosi sempre di più.
La gamba le doleva in modo insopportabile, era a terra e non poteva alzarsi in piedi.
Ma non si arrese.
Non era una bambola.
Era una donna.
E anche senza la Strawberry Bell, era pur sempre una Mew Mew.
– Nyaaaa!
Prese il pugnale che aveva nascosto nella giarrettiera e lo lanciò verso il soldato che assomigliava a un suino, colpendolo al braccio. Un istante dopo, sfruttando l’effetto sorpresa, impostò il laser immobilizzante del bracciale e sparò a tutti e tre i nemici che la circondavano, colpendoli in pieno petto.
– Game over! – esclamò soddisfatta.
Ma non poteva cantare vittoria.
Provò a strisciare verso la sua compagna, cercando di avvicinarsi a lei per avere una mira migliore ed aiutarla.
Mew Zakuro stava cercando di divincolarsi dall’abbraccio mortale del soldato che le aveva sparato. Il suo avversario aveva una forza incredibile. Ciò nonostante, la ragazza strinse i denti e passò al contrattacco. Gli morse la mano e rotolò su un fianco, riuscendo a rialzarsi. Però, nella foga, perse la frusta. Cercò subito di riprenderla, ma l’alieno fu più veloce e la calciò lontano. Lei lo colpì in risposta con un calcio rotante in piena faccia. Estrasse poi la pistola laser e premette il grilletto, ma... era scarica! Si doveva essere scaricata quando erano nelle stanze dell’Alto Sacerdote!
L’alieno non esitò: l’afferrò per i capelli, la bloccò e le fece reclinare il capo all’indietro, puntandole il fucile alla gola.
– Noooooooooo! – gridò Mew Ichigo. Provò a fermarlo con il laser del bracciale, ma i suoi colpi andarono a vuoto.
Ad un tratto, un Sai sibilante andò a conficcarsi nel collo del bestione che teneva in scacco la sua amica.
– Kisshu!
Era vivo! Era ansimante e coperto di sangue altrui dalla testa ai piedi, ma era vivo! Era riuscito ad annientare da solo tutti i ribelli di cui si era occupato!
Il soldato ruggì di dolore e mollò la presa per sfilarsi il Sai, lasciando cadere Mew Zakuro. Così, una copiosa pioggia di sangue schizzò ovunque come una fontana: l’arma di Kisshu gli aveva reciso un’arteria e per lui non ci fu scampo.
Kisshu si precipitò accanto a Mew Ichigo.
– Ichigo! La tua gamba... stai sanguinando! Zakuro, sei ferita? Dobbiamo ritornare nella capanna! – fece l’alieno, parlando a raffica.
Mew Zakuro era ancora distesa a pancia a terra, con le braccia tese in avanti. Si stava riprendendo dallo shock che aveva appena subito.
Prima che Kisshu potesse teletrasportarsi dalla Mew viola, una porta oscura si aprì improvvisamente dietro di lei. Una frusta di luce si avvolse attorno ai piedi della ragazza, imprigionandoli, e in un attimo, Mew Zakuro venne trascinata per le gambe nell’oscurità.

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Capitolo 23
*** Voix et cages ***


Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Le parole le ronzavano confusamente in testa. Ronzavano, ronzavano e ronzavano.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Alla vista dei cadaveri di tre membri del commando, Mew Minto aveva sussultato. Qualche istante dopo, il portale aveva scaraventato rumorosamente Kisshu e Ichigo nella sala 21.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


– Ma sei fuori ad aggeggiare con la tua arma? Che diamine ti è saltato in testa?
– Cosa? Guarda che è successo tutto a causa tua! Non dovevi permetterle di seguirci nella base! Non dovevi! Tu non dovevi, maledizione! Dovevi farla restare nella capanna!

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Mew Minto aveva atteso.
Aveva atteso, atteso e atteso.
Era rimasta ad attendere in silenzio mentre gli ultimi due arrivati continuavano a litigare, addossandosi la colpa a vicenda. Non aveva smesso di attendere neanche quando le sue amiche, gli scienziati e i militari alieni avevano finalmente ricevuto le necessarie risposte.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Sbattere le ali era diventato di colpo doloroso.
Le parole continuavano a ronzarle confusamente in testa. Ronzavano, ronzavano e ronzavano.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Alla fine, il portale si era chiuso.
Ichigo era scoppiata a piangere.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


La maggior parte degli alieni era già andata via. Peccato, perché adesso c’erano tante immagini colorate che volteggiavano come in un girotondo impazzito intorno alla sala 21.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


La trasformazione doveva essersi annullata da sola.
Le ali non sbattevano più.
E le parole ronzavano, ronzavano e ronzavano...

Poi, il buio.

***​

– Sei una giraffa, sei una giraffa, na na na na na na!
– Sei una di noi!
– Noi aspetteremo sempre il tuo ritorno a casa...
– Fatti sotto!
– Voglio vederti ballare!
– Signorina Fujiwara!


Mew Zakuro aprì gli occhi di scatto.
Era sdraiata prona sul pavimento di pietra.
L’aria era intrisa di un penetrante odore acre.
La testa continuava a farle male. Per non parlare della pelle della schiena: le bruciava terribilmente.
Dove si trovava? Cosa era successo, dopo che Kisshu aveva ucciso l’energumeno che l’aveva colpita?
Lentamente, cercò di rimettersi in piedi.
Sussultò.
Qualcuno le aveva tolto il bracciale.
Si guardò in giro.
C’erano... c’erano delle sbarre di metallo davanti... dietro... ai lati... e sopra di lei. 
Era in gabbia.
– Cosa... cosa...
Si trattava di uno scherzo? Non era affatto divertente.
Raccogliendo le forze, afferrò le sbarre con le mani e gridò.
– Hey! Dico a voi, alieni dei miei stivali, dove siete? Fatevi vedere, buffoni! Hey!
Nessuno le rispose.
Sapeva che potevano capirla: aveva ancora indosso il dispositivo di traduzione simultanea.
Sbatté ripetutamente il proprio corpo contro la prigione, facendo più rumore possibile.
– HEY!!! LO SO CHE MI SENTITE! HEY!
Niente. Nessuna risposta. Solo un’altra fitta lancinante alla testa, l’ennesima.
Ad un tratto, ricordò: aveva visto... aveva visto... aveva visto Shirogane! Non se l’era sognato, lui...
D’improvviso, una porta cigolante si aprì di scatto.
Sulla soglia, apparvero quattro losche figure. Una di esse era l’Alto Sacerdote e in mano... in mano aveva la sua frusta di luce.
– Ladro! – ringhiò la ragazza. Un’ondata di nausea la fece piegare in due. 
Ridacchiando e flettendo la frusta tra le mani, il guru alieno si avvicinò lentamente alla gabbia.
– È un vero piacere sapere che il campione c) 83 funziona. Non ci aspettavamo che anche tu ti aggregassi al commando del traditore Kisshu Ikisatashi. Eh già, nemmeno io ero al corrente della tua partecipazione... – disse l’extraterrestre, sfoderano un orribile sorriso giallastro.
Ma certo: qualcuno ad Antea stava facendo il doppio gioco, sabotando gli esperimenti e informando i ribelli.
– Siete dei mostri. Di questo ne eri al corrente?
L’Alto Sacerdote schioccò la frusta e la punta le lacerò la guancia destra.
– Perché ci costringi a queste spiacevolezze, Umana? Dovresti sapere che non è il caso di perorare la causa dei traditori Ikisatashi. Oh, ma tu lo hai già fatto dieci anni fa, non è così? E vuoi farlo anche ora, giusto? Tsk. Sei solo una spregevole assassina, usurpatrice dei pianeti altrui. Non temere: la profezia del Luminoso Crepuscolo si realizzerà presto!
Dopo essersi toccata il viso, Mew Zakuro guardò a lungo il sangue sulle dita.
– Il vostro virus non ha una cura. Morirete tutti. Arrendetevi, per il bene della vostra stessa gente. Deep Blue non vi aiuterà. 
L’Alto Sacerdote scoppiò a ridere, seguito dai suoi scagnozzi. Ma un attimo più tardi, fece abbattere con forza la frusta sulle gambe della ragazza, che gemette di dolore.
– Ah, la menzogna! La menzogna che continuate a diffondere! – esclamò, scuotendo la testa. Poi proseguì, mettendosi esattamente davanti a lei e guardandola fisso negli occhi: – Il nostro Signore Deep Blue sarà vendicato dai suoi umili servitori. Come ricompensa, noi rinasceremo sul Pianeta Azzurro. Tu, invece, morirai soffrendo, così come le tue amichette, gli altri traditori e tutti i miscredenti! 
– Rinascerete all’inferno! – sibilò la Mew viola, sputandogli in faccia.
Senza distogliere lo sguardo, l’alieno si pulì con la manica della tunica. Con fare gentile, le scostò i capelli dagli occhi e li sistemò lascivamente dietro l’orecchio, sussurrandole con voce suadente: – Sei mia prigioniera. Per essere un’Umana, sei anche molto bella. Posso farti fuori in meno di dieci secondi, se necessario. Veloce e indolore. Ma sai com’è, mi piace essere implorato...
– Scordatelo. Non mi fai paura. Mi fai solo schifo! 
– Come preferisci. Sappi, però, che te ne pentirai amaramente... – disse lui a denti stretti.
Usando l’impugnatura della frusta, l’Alto Sacerdote assestò a Mew Zakuro un potente colpo alla testa, facendole perdere immediatamente i sensi.

***​

Minto era svenuta. Cadendo aveva sbattuto forte la testa, ma grazie all’intervento di Cardamome aveva ripreso conoscenza. Adesso era assistita amorevolmente da Purin nella loro stanza.
Ichigo e Kisshu non avevano fatto altro che litigare dal loro rientro. Erano volate parole grosse, sia da una parte che dall’altra.
Retasu sbuffò, rigirandosi nel letto per l’ennesima volta.
Gli scienziati alieni le avevano detto di andare a dormire, ma dopo tutto quello che era successo non riusciva proprio a prendere sonno. Ichigo si era addormentata da poco, tra un singhiozzo e l’altro: su di lei, la stanchezza aveva avuto la meglio.
Retasu sbuffò di nuovo e si alzò di scatto, noncurante del groviglio di coperte che era appena caduto a terra.
Decise di andare nella sala relax: aveva bisogno di muoversi un po’. Non aveva paura di incrociare qualche guardia: nel caso, si sarebbe semplicemente fatta riaccompagnare in camera. Si vestì quindi velocemente, impostò Mash come navigatore e, in silenzio, si incamminò verso la sua destinazione.
Stando al racconto di Ichigo, Zakuro aveva detto “Shirogane” poco prima di sparire. L’aveva forse visto nella base dei ribelli? Aveva sentito la sua voce? 
Retasu si morse le labbra.
Se l’aveva visto, allora... allora lui era... era... e quindi anche Keiichiro... loro... potevano essere ancora vivi. 
Ma Zakuro? Dov’era adesso? Dov’erano adesso tutti e tre? 
Ad un tratto, sentì qualcosa che le si strusciava contro le gambe. Quel contatto inaspettato la fece sobbalzare.
– Eh? Cosa...?
La ragazza si trovò improvvisamente faccia a faccia con una piccola palla di pelo bianco che la guardava fissa.
– Hey! Io ti conosco! Tu sei il bianconigl... cioè no... oh, insomma! Sei tu! – fece sorridendo.
La creatura extraterrestre sbatté gli occhi.
– Scusami tanto! Ti sei fatto male? – chiese Retasu, chinandosi per prendere in braccio l’animaletto.
Lo accarezzò dolcemente e lui le si strofinò affettuosamente contro il petto. Era così morbido! Avrebbe potuto coccolarlo per ore. Forse poteva portarlo con sé in camera...
Prima che Retasu potesse fare qualcosa, l’ewu sgusciò dalle sue braccia con un balzo.
– Hey, dove vai? Aspetta!
L’animale saltellò velocemente di qua e di là, lasciandosi inseguire dalla ragazza per gran parte dell’edificio governativo extraterrestre. Retasu cercò di stargli dietro, ma ben presto...
– Oh no! L’ho perso!
– Alieni, alieni! 
– Grazie, Mash, ma siamo sul Pianeta degli alieni e...
– E tu che cosa ci fai qui?
Retasu si voltò di scatto.
– Pai-san! Io... ecco, io...
– Non sei autorizzata a girare da sola. Specialmente quando è notte, quando sei obbligata a restare su un altro pianeta dove c’è un’epidemia mortale e quando qualcuno sta facendo la spia. Andiamo, seguimi. Ti scorto fino alla tua camera – disse Pai, con un tono che non ammetteva repliche. 
I due iniziarono a camminare rapidamente.
L’atmosfera era elettrica.
– Grazie per... grazie. Per accompagnarmi. Sono... sono desolata...
– Non farlo più, intesi? È pericoloso.
La ragazza corrugò la fronte, pensierosa.
Lui non era più il generale Pai che aveva visto qualche ora fa. C’era... c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi. Qualcosa di estremamente vulnerabile. 
– Va... va tutto bene?
Il giovane non rispose e continuò a camminare. 
Retasu ebbe subito una strana sensazione: qualunque cosa fosse, quel qualcosa di lui stava per arrivare a travolgerla come una marea devastatrice.
– Pai... – provò di nuovo, con più dolcezza, – Pai, che è successo?
Silenzio.
Lui si fermò in mezzo al corridoio deserto.
I loro sguardi si incontrarono ancora una volta.
Oh. Ora aveva capito.
Era dolore quello che c’era nei suoi occhi.
– Taruto. È peggiorato. Hanno dovuto... hanno provato... lo hanno operato d’urgenza. È in coma.
Eccola là, la marea.
Era arrivata.
L’acqua era salita e aveva sommerso tutto.
Le onde cariche di schiuma bianca e luccicante si erano schiantate con violenza sulla riva del suo cuore.
– La tua amica... il portale...
– ... è stato concepito perché non ci si può teletrasportare all’interno di questo edificio. E anche perché fuori in città possono essere nascosti dei nemici.
– Mi dispiace – mormorò, mentre lacrime salate e silenziose gli rigavano il volto.
Retasu allungò la mano destra e gli sfiorò le guance, lasciandosi finalmente andare al proprio pianto.

***​

–  Sei una giraffa, sei una giraffa, na na na na na na!

Mew Zakuro si svegliò di soprassalto.
Si guardò attorno. Era... era ancora nella sua gabbia, prigioniera dei seguaci di Deep Blue. Un dolore lancinante alla testa le confermò che stava ancora male.
– Dannazione! – imprecò. Aveva di nuovo sognato le loro voci. Voci che ancora le rimbombavano nella mente.

–  Sei una giraffa, sei una giraffa, na na na na na na!

Tsk. Maschi. Prima l’avevano presa in giro perché era troppo alta, ma poi a tredici anni volevano diventare tutti suoi amici. Patetici. 
Come dimenticare tutte le angherie subite? Ovvio che non aveva mai dato loro una chance. Da piccoli, i suoi compagni di scuola non si erano fermati nemmeno quando suo padre...

– Sei una giraffa, sei una giraffa, na na na na na na!

Ma perché adesso sentiva le loro voci? Che cosa stava succedendo?
Non ce la faceva più. Troppe voci. Troppi ricordi. Troppi pensieri. Stava scoppiando.

– Sei una giraffa, sei una giraffa!

– Bastaaaaaaaaaaaa! – urlò disperata, portandosi le mani ai lati della testa.

– Na na na na na na!

***​

– Ecco il mio pulitore di bagni preferito!
– Piantala, Gingembre. Non è per niente divertente! – protestò Cardamome, entrando in laboratorio con il secchio e lo spazzolone che aveva usato.
– Non è divertente? Ma come, hai anche un pezzo di carta igienica attaccato alla scarpa!
Cardamome sospirò. 
Per pulire tutti i bagni dell’edificio ci avrebbe messo un’eternità. Quella punizione avrebbe rallentato terribilmente il suo lavoro.
Gingembre attirò la sua attenzione: – Dai, guarda qua! Non è fantastico?
Il monitor a cui faceva riferimento lo scienziato mostrava i dati del Progetto Mew.
– È... è pazzesco. Quel Terrestre...
– Ti rendi conto di cosa potremmo fare sul nostro Pianeta? Ci sono molti più animali che sulla Terra. Te lo immagini?
– Non... non voglio immaginarmelo. È... è... è troppo. È così potente che mi fa paura. E poi non... non... non abbiamo il raggio.
Il suo collega si grattò il cranio pelato.
– A quello in teoria si rimedia... una siringa speciale... o qualcosa di simile. Accidenti! È geniale! Folle, ma geniale! Se finisce tutto in mani sbagliate...
– No. Non deve.
– No. Non deve... – ripeté Gingembre, spegnendo il computer e tornando ai suoi preparati chimici.
Anche Cardamome si recò alla sua postazione, ma non iniziò subito a svolgere le sue ordinarie mansioni. Cliccando un pulsante azzurro, fece apparire un ologramma dello scheletro umano.
– Mmmmmm...

***​

Era ufficiale: sentiva delle voci.
Maledetti test di laboratorio.
Si era accasciata sul pavimento da quanto si sentiva frastornata.
Mew Zakuro si passò una mano sulla fronte madida di sudore. 
Faceva molto caldo o era lei che stava sudando in modo incontrollabile?
Non osava annullare la trasformazione per via delle ferite che il suo corpo aveva ricevuto. 
Adesso aveva anche sete.
La ragazza chiuse gli occhi, chiedendosi quanto potesse resistere un essere umano senza bere.
Non voleva quella fine. Non la voleva.
Voleva tornare a casa sua.
Voleva tornare a recitare nei film.
Voleva tornare a sfilare.
Guardò il suo costume da Mew Mew.
Le piaceva tanto, ma avrebbe fatto volentieri a meno di indossarlo. 
Perché la Terra l’aveva scelta?
All’epoca, era solo una modella...
Che tempi, quelli. 
Quando aveva mosso i primi passi nel mondo della moda, aveva avuto occasione di rivalutare e di recuperare la fiducia negli individui di sesso maschile, incontrando tanta gente in gamba. Ma aveva capito ben presto di non esservi interessata: durante uno shooting fotografico, aveva conosciuto Olivia, un’altissima, bellissima e biondissima modella statunitense. 
Olivia... Liv... la sua Liv... 
Liv aveva stravolto la sua esistenza. 
Era così felice quando stava insieme a lei.
La prima volta che si erano baciate, aveva sentito in lontananza le campane di una chiesa suonare a festa.
Suo padre... suo padre l’avrebbe capita. Ma sua madre e il suo compagno l’avevano umiliata, facendola piangere e stare male per tante, troppe volte. La situazione era diventata così insostenibile che era stata costretta a fare le valigie e a chiedere l’emancipazione. Poi un giorno, dopo tanto tempo, aveva ricevuto una lettera: sua madre implorava perdono. L’aveva letta e riletta, anche al porto. Aveva quasi lasciato la squadra per il dolore dei ricordi.
Liv... 
Liv non apparteneva al suo branco. Il giorno del suo sedicesimo compleanno, l’aveva beccata avvinghiata a Stella, la giovane fotografa australiana che aveva realizzato la sua prima cover. Che storia: aveva ottenuto in un colpo solo la prima copertina e la prima delusione d’amore. 
Liv...
Non aveva più avuto una storia così.
Si era fidata ed era stata tradita. Era stata solo colpa sua, si era lasciata andare come una sciocca. Aveva sofferto. Non aveva voglia di riprovare quel dolore. 
Negli anni che si erano susseguiti, aveva avuto brevissime relazioni. Lo aveva sempre messo in chiaro sin dall’inizio con tutte le sue conquiste: non voleva legami. Non voleva soffrire di nuovo. Non voleva più una compagna vera e propria. Non poteva permettersi di lasciarsi andare ancora una volta. Aveva già dato tutta se stessa.
Ora non si fidava più di nessuno.
Liv non faceva parte del suo branco. Non ne aveva mai fatto parte. I lupi sono fedeli al proprio partner, non tradiscono.
Mew Zakuro si prese tristemente la coda tra le mani.
Ma lei stessa non era un lupo, vero? Era solo un ibrido. Era solo un dannato ibrido.

– I’m sorry, I’m so sorry!

Maledetti test di laboratorio.
Sentiva le voci. 

***​

Il giorno dopo, il Consiglio decretò la prosecuzione degli esperimenti. 
Minto non si trasformò. 
Alcune guardie, su ordine di quella con l’occhio destro bendato, la trasportarono lo stesso nel laboratorio.
L’espressione che aveva sul viso fece desistere gli scienziati dal chiederle di trasformarsi.
Quegli inutili esperimenti... che senso aveva continuarli, se gli alieni non erano in grado di proteggere la loro base dall’azione delle spie nemiche?
Minto si guardò attorno.
Le boccette con dentro i campioni del giorno erano state messe in fila sotto una teca protettiva di vetro. Da quanto erano lì? Erano già state alterate? 
Minto alzò la testa: in galleria, c’erano pochi ufficiali militari di alto rango. Non c’era nessuno del Consiglio degli Anziani. Evidentemente, lo spettacolo era diventato noioso. Poverini, non dovevano annoiarsi: dovevano divertirsi.
Guardò le sue amiche. 
Lei non c’era.
Non c’era.
Forse non c’era proprio più.
Un istante dopo, la ragazza si trasformò in Mew Minto. Si alzò in volo e spinse lontano la sedia a rotelle. Velocemente, chiamò a sé il suo arco. Mirando in direzione della teca, scoccò una freccia di luce che ruppe il vetro e trafisse tutte le boccette, mandandole in frantumi. Il loro contenuto si riversò sul pavimento e gli schizzi finirono ovunque, anche addosso a lei. Le guardie comparvero immediatamente, puntandole contro le loro armi e sfere di energia, ma la giovane aveva già pronta una seconda freccia nell’arco e non aveva paura di usarla.
– Mew Minto! – esclamò spaventata Mew Ichigo.
– Fermatevi, vi prego! – supplicò Mew Retasu.
– Umana, scendi subito da lì! Primo ed ultimo avvertimento! – disse un militare alieno con un orecchino rosso.
– Ah sì? Altrimenti cosa? Siamo rimaste in quattro a testare le vostre schifezze, volete veramente che restino in tre?
– Basta, per favore! – gridò Mew Purin. 
Cardamome tentò di intervenire.
– Cal... calm... calmiamoci tutti, non... non c... c... c’è bisogno di...
– Tu chiudi il becco! – sbraitò il militare con la benda sull’occhio. Poi proseguì: – E tu, razza di pennuta fabbricata male, tu! Chi ti credi di essere? Io ti...
– Non continueremo con la forza, se posi subito quell’arco e torni a terra! – lo interruppe il militare che aveva parlato per primo.
– Signore, quella è...
– Silenzio, Sergente! Lei non è autorizzato! – lo zittì.
– No, Tenente Betterave – fece in tono sommesso l’alieno con la benda.
– Ti prego, fa’ quello che ti dicono! Lei non avrebbe voluto questo... – disse Mew Ichigo.
Mew Minto digrignò i denti.
Con un fruscio d’ali, si abbassò leggermente verso terra.
La corda del suo arco era sempre tesa.
– Metti giù quell’arco. Da brava, mettilo giù! 
Mew Minto guardò tutti gli alieni presenti. Poi finalmente esclamò: – Siete degli stupidi. Stupidi che continuano ad illudersi. Siete solo degli stupidi! 
Fece scomparire la propria arma in un battito d’ali.
– L’Acqua Cristallo è finita. È finita! Fi-ni-ta! Fatevene una ragione!
– Mew Minto...
– Quello che state facendo non è la soluzione giusta. Dovete mettervelo in testa. State sbagliando!
– Mew Minto...
– Non potete ricreare in laboratorio una sostanza il cui segreto è perso nel tempo! È finita, non ce n’è più! Concentratevi sul vero presente! Non potete lasciare che la vostra gente muoia senza tentare di trovare un vaccino al virus dei...
– Mew Minto!
– Che cosa c’è di così importante? – gridò esasperata Mew Minto a Mew Ichigo.
Con una mano tremante, l’amica le indicò qualcosa in basso.
La ragazza abbassò lo sguardo. 
Era atterrata senza rendersene conto.
Le ali non sbattevano più.
Era... era in piedi... da sola.
Barcollò in avanti.
Fece due passi.
Li sentì.
Poi perse l’equilibrio e cadde giù come un sacco di patate. 
Nel laboratorio regnava il silenzio più assoluto. 
– Che... che cosa... è successo?

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Capitolo 24
*** Sacrifice ***


Pianeta Terra, diciassette anni prima


 
Alouette, gentille alouette, alouette, je te plumerai...
In un caldo pomeriggio di sole, sotto l’occhio vigile della bambinaia, la piccola Minto giocava allegramente alla corda nel giardino di Villa Aizawa, canticchiando una filastrocca per darsi il ritmo.
Alouette, gentille alouette...
Ad un tratto, Minto vide la madre uscire frettolosamente dalla porta di casa. La bambina smise subito di saltare e, con un gran sorriso, trotterellò verso di lei.
Maman, maman!
Ma puce! Cosa c’è di così urgente?
– Vuoi giocare con me?
– Tesoro, non ho tempo. Ho una riunione d’emergenza tra trenta minuti.
– Oh... anche di sabato... – fece la bimba, rabbuiandosi in volto. Il suo sguardo si posò tristemente sulla Rolls-Royce nera appena arrivata nel vialetto. L’autista della famiglia Aizawa, il signor Takamura, scese velocemente dalla macchina e, dopo un breve inchino, aprì la portiera.
– Però stasera andiamo a vedere “La bella addormentata” come mi avevi promesso, vero? – chiese speranzosa.
– Minto... mi sa che stasera tornerò tardi...
– Ma me l’avevi promesso!
– Oh, ma puce, ma puce... non sai quanto mi dispiace! Mi farò perdonare... te lo prometto! – esclamò la donna, chinandosi ad abbracciare la figlia. Dopo averla baciata sulla fronte, aggiunse: – Questa sera sarà la tua governante ad accompagnarti a vedere il balletto a teatro. E domani mi racconterai tutto, d’accordo? Sono sicura che vi divertirete moltissimo!
Sorridendo alla sua bambina, la signora Aizawa salì in macchina e l’autista chiuse la portiera.
– Non faccia il musino, signorina. Sua madre è molto impegnata al lavoro, ma è veramente dispiaciuta di doversi assentare – disse la governante, mentre Minto guardava l’automobile allontanarsi.
– Sono sempre tutti molto impegnati e non hanno mai tempo per stare con me… – mormorò la bimba.
– Il lavoro è importante, signorina! Si fanno sacrifici per chi si ama: lo capirà da grande. Su, torni a giocare!  
Minto riprese il gioco della corda. Spiccava salti talmente leggeri che sembrava che volasse come un uccellino.
Alouette, gentille alouette...
Come le sarebbe piaciuto volare nell’infinito del cielo azzurro! Che sfortuna non avere un paio d’ali! Con le ali, avrebbe raggiunto facilmente gli uffici dei suoi genitori. Con le ali, si sarebbe posata sul davanzale della finestra di suo fratello, per fargli compagnia mentre studiava. Con le ali…
– Signorina, è l’ora del tè!
 

Pianeta degli alieni, presente


 
– Signorina, è l’ora del tè!
Minto si voltò di scatto. Era immersa nei ricordi e non si era resa conto che Cardamome aveva bussato alla porta della sua camera per servirle il tè pomeridiano.
– Prego, entri pure!
Dopo aver varcato la soglia, lo scienziato le rivolse un sorriso imbarazzato e posò il vassoio sul tavolino al centro della stanza. Minto ricambiò il sorriso e si avvicinò con la carrozzina, facendo arrossire l’alieno.
– Grazie. Lei è sempre così gentile con me.
– Oh… si figuri!
– E io le ho tirato dietro un ciondolo e un traduttore automatico. Che bel modo che ho di ricambiare la sua gentilezza! – esclamò la ragazza con una risatina amara, scuotendo la testa. Dopodiché continuò: – Mi dispiace tanto. Mi creda, non so cosa mi sia preso. Chissà che brutta opinione deve avere su di me…
– Oh no, io… io non… insomma, sono cose che capitano! Non parliamone più! – fece l’alieno, versandole il tè nella tazza.
Minto disse con dolcezza: – Lei è un vero tesoro.
Il viso di Cardamome diventò di una sfumatura molto scura di rosso.
– Limonelatteozucchero? – chiese tutto d’un fiato, troppo imbarazzato per respirare.
– Limone, grazie – rispose lei, con un gran sorriso. Prima che l’alieno che aveva di fronte svenisse dall’emozione, aggiunse: – La prego, mi faccia compagnia. La consideri un’offerta di pace!
– V… vol… volentieri, signorina… – accettò lo scienziato, aggiustandosi gli occhiali e porgendole la tazza con mano tremante. Dopo aver materializzato un’altra tazza, un piattino, un cucchiaino e una sedia, l’extraterrestre si accomodò e si versò a sua volta la bevanda.
– Mi ha perdonata per averle lanciato addosso la spilla e il congegno quando ci siamo conosciuti, ma vorrei scusarmi di nuovo anche per come mi sono comportata l’altro giorno in lab…
– No – la interruppe lui con decisione, fissandola con i suoi limpidi occhi verdi. Poi spostò subito lo sguardo sul pavimento e proseguì, balbettando: – M… m… mi scusi, ma… ma… ma… – deglutì – ma aveva assolutamente ragione ad essere arrabbiata. Non deve scusarsi con me, non la biasimo affatto per come ha reagito. A… a dire il vero, sono… sono rimasto impressionato…
– Impressionato per la nuova Acqua Mew ad effetto temporaneo? O per tutto il caos che ho creato?
– Beh… per… per entrambe le cose.
Minto bevve un sorso di tè.
– Siete riusciti a isolare il campione?
Allo scienziato brillarono gli occhi.
– Sì, ci siamo riusciti. Anche se l’effetto non è permanente, è certamente un notevole passo avanti nelle nostre ricerche. Abbiamo prodotto la sostanza in questione in grandi quantità, per studiarla meglio. Da quando abbiamo scoperto che c’è una spia, è tutto più difficile, ma… siamo ottimisti. Speriamo di raggiungere presto risultati più duraturi e soddisfacenti.
– Lo spero anch’io, Cardamome, lo spero anch’io… e ritiro quello che ho detto giorni fa… – disse lentamente Minto. Tacque per qualche istante, poi aggiunse, avvicinandosi leggermente all’alieno: – Vede, la mia compagna di stanza, la mia amica Purin, non vuole più allontanarsi dal reparto dove è ricoverato Taruto Ikisatashi. Ora che è peggiorato, salvarlo è una corsa contro il tempo. Non posso immaginare quanti altri si trovino nelle sue stesse condizioni. Se è realmente possibile sintetizzare in laboratorio un nuovo Cristallo, mi auguro che ciò accada il prima possibile.
Lo scienziato si incupì.
– Signorina, io… sono veramente dispiaciuto per quanto è successo nella sala 21, è… è… è tutta colpa mia. Era mia responsabilità vigilare su… su di voi.
– Per favore, Cardamome! Non si prenda colpe che non ha. Era un compito che spettava alle guardie. E poi, Zakuro è fatta così: si tiene tutto dentro e preferisce fare di testa sua, senza dire nulla agli altri.
– Lasciare una Mew Mew in mani nemiche non è una scelta intelligente. Immagino che il Consiglio stia… stia decidendo… a riguardo.
– Il Consiglio vuole una cura per i malati. Ricreare l’Acqua Mew è fondamentale: la vostra gente ha bisogno d’aiuto.
– Ma se… se… se riusciamo a ricrearla in laboratorio… se ci riusciamo sul serio, allora possiamo… possiamo aiutare anche...
La ragazza lo zittì posandogli delicatamente un dito sulle labbra, facendolo arrossire ancora di più.
 – Non sono in pericolo di vita. Voi scienziati dovete pensare ad aiutare il vostro popolo… – sussurrò.
Si guardarono in silenzio. Cardamome aveva le guance in fiamme. Minto allontanò la mano dal suo viso e prese un altro sorso di tè, senza staccare gli occhi dall’extraterrestre.
– Questo tè è davvero buonissimo! – esclamò, sorridendo.
L’alieno balbettò compiaciuto: – S… S… S… Sono c… c… contento che… che le piaccia, s… signorina. È tè te… terrestre!
Minto rise.
– Lei sa come farmi sentire a casa! Mi porta sempre delle bevande squisite: un giorno mi dirà dove si rifornisce!
– C… certo! – disse, sorseggiando il suo tè. Sistemandosi gli occhiali sul naso, spiegò: – I fratelli Ikisatashi ci hanno fatto conoscere molti prodotti tipici del Pianeta Azzurro. Quello che non riusciamo a riprodurre o a coltivare nelle nostre serre, viene importato dai mercanti autorizzati. Sa, hanno l’obbligo di nascondere le orecchie per… per evitare di… di dare nell’occhio: abbiamo pur sempre perso una guerra, dieci anni fa.
Schiarendosi la voce con un leggero colpo di tosse, continuò: – Anche se… non ho ben capito perché alcuni dei nostri fornitori sulla Terra indossino così tanta carta stagnola. È… è per caso… una moda?
– Carta stagn… oh… oh! Ecco… vede… sì, diciamo di sì! Una moda poco seguita, in verità… eh eh, non si preoccupi troppo, Cardamome! – commentò la ragazza con una risatina.
– Va… va bene… – disse lo scienziato, non troppo convinto. Restò a lungo in silenzio. Dopodiché, prese un respiro profondo ed esclamò: – Ho… ho… ho un’intera collezione di t… t… tè e inf… inf… infusi. Occupa molto spazio, ma non… non è molto lontana dal… dal la… la… la… laboratorio. Lei… cioè, io… c… cioè…
– Mi piacerebbe tanto vederla! Questa sera? Io sono libera: gli esperimenti sono sospesi fino a quando non avrete delle varianti più stabili della nuova sostanza. Lei, invece, è ancora obbligato a pulire i bagni, purtroppo… facciamo dopo cena? La aspetto qui! A più tardi! – fece Minto, con un sorriso radioso.
 
***​
 
Kisshu sbuffò.
Quella notte, era andato a sdraiarsi sul tetto del grattacielo più alto di Antea a guardare il cielo stellato. Per il suo popolo, ogni morto diventava una stella.
Una brezza gli accarezzò il viso.
Coing, Trèfle e Aneth erano in un altro posto. Adesso il firmamento era il loro posto. Chissà, forse lassù c’era anche Zakuro…
Senza smettere di fissare il cielo, Kisshu si passò la mano destra sul petto, dove un tempo era stato trafitto dalla spada di Deep Blue.
« Maledetto demonio! » pensò, digrignando i denti.
Perché continuava a tormentarlo attraverso i suoi seguaci? Era stato annientato per sempre, dannazione! Come poteva la sua gente venerare ancora un essere immondo, a cui importava solamente di se stesso? La libertà di culto comprendeva anche il culto del male? Era il primo a sostenere che ogni essere vivente era libero o meno di credere in qualcosa... doveva forse cambiare opinione?
Dannata setta. Dannata profezia. Dannate menzogne. Dannato Deep Blue.
Lo stava uccidendo un’altra volta.
Quale divinità poteva mai chiedere di seminare odio e di sterminare i propri simili?
« La stessa che ascoltavi tu anni fa, quando volevi far fuori tutti gli abitanti della Terra... » gli sussurrò la coscienza.
Kisshu strinse i pugni fino a farsi uscire il sangue. Si tirò velocemente su a sedere. Tremando di rabbia, si guardò le mani.
Le sue mani erano sporche di sangue.
Aveva ucciso.
Aveva visto uccidere.
Aveva conosciuto la morte.
« In nome di cosa? » si chiese.
Sul Pianeta Azzurro, aveva capito che aveva avuto torto marcio a seguire ciecamente Deep Blue. Lo aveva capito provando il dolore delle sue scelte sulla sua pelle. Quanti innocenti erano morti? Che senso aveva credere in qualcosa che lo spingeva solo a fare del male agli altri, alla sua famiglia e persino alla persona a cui teneva più della sua stessa vita?
Si era sporcato le mani.
Si era sporcato dentro.
« In nome di cosa? » si chiese un’altra volta.
E ora, dopo che aveva rifiutato il male e scelto il bene, era di nuovo costretto ad uccidere. Uccidere. Uccidere i suoi simili. Per difendersi? Per vendicarsi? Per proteggere la donna che…
Sbattendo i pugni sul tetto davanti a sé, si mise in ginocchio.
la donna che amava?
– In nome di cosa? – domandò al cielo, noncurante delle lacrime di rabbia che gli rigavano il volto.
Un urlo squarciò la notte stellata.
La sua anima era persa in tutti i modi.

***​
                                                                                                     
Zakuro si trovava in un campo di lavanda in piena fioritura. Che meraviglia! Era come se stesse nuotando in un immenso mare viola. E che profumo inebriante! Si sentiva rilassata... molto rilassata... rilassatissima! Scoppiò a ridere. Era tutto così bello!
– Zakuro!
Ma... un momento! Qualcuno la stava forse chiamando? Le era parso di sentire una voce in lontananza... mmmmm, ne sentiva così tante ultimamente... una in più, una in meno, che differenza faceva? Rise di nuovo e perse l’equilibrio.
– Ooops!
Era caduta! Che buffa! Continuando a ridere, cercò di rialzarsi ma finì per rotolare a terra.
– Cosa le avete fatto? Siete dei bastardi!
Ancora quella voce? Eppure, non vedeva nessuno: era da sola tra le ampie distese di colore viola.
– Zakuro! Zakuro, ti prego, rispondimi! – le gridò dal nulla la voce.
Che strano, le sembrava di riconoscerla. Lentamente, si alzò in piedi, per vedere meglio. Strizzando gli occhi per mettere a fuoco, notò delle sagome. Mmmmmm... proprio strano...
– Zakuro! Zakuro, sono io, mi riconosci? Per favore, guardami! Parlami, dimmi qualcosa, dimmi qualunque cosa! Svegliati, ti prego!
Svegliarsi? E perché? Era già sveglia: stava camminando felice tra la lavanda.
Però, ora che ci pensava, c’erano dei capelli biondi davanti a lei...
Liv? Is that you?
Liv? No! I’m Ryan, Ryan Shirogane! – ribatté la voce. – Zakuro, can you hear me? What happened?
Non era Liv? In effetti, non era la voce di Liv. Ma allora... chi era? Perché le era così familiare? Perché la stava disturbando? Perché non la faceva restare tra i fiori di colore viola? Che mal di testa!
Oh.
Adesso aveva capito.
Are you the banana man?
 
***​
 
Era così bella! Quando l’aveva vista per la prima volta, era rimasto senza fiato. I suoi occhioni scuri lo avevano stregato, riflettendogli le galassie dell’intero Universo. E il suo sorriso… oh, il suo sorriso!
L’alieno sospirò con aria sognante, mentre si sistemava la giacca.
Che creatura meravigliosa! Apparteneva proprio ad un altro mondo. Aveva sofferto tanto nel vederla triste. Avrebbe voluto prenderla tra le braccia, consolarla e risolverle tutti i problemi. Avrebbe voluto… avrebbe voluto… avrebbe voluto baciarla.
Le guance di Cardamome si colorarono di rosso.
Che imbecille. Che grandissimo imbecille. Come osava pensare a una cosa del genere? Minto Aizawa era troppo elegante, distinta e raffinata per uno come lui. Non avrebbe mai baciato un insulso topo di biblioteca, un quattrocchi impacciato, uno scienziato senza gloria costretto a pulire per punizione i bagni del Palazzo del Consiglio. Non aveva neppure un cognome, per via delle sue umili origini. Ooooh, se solo fosse stato più alto, bello, forte e coraggioso…
L’extraterrestre sospirò nuovamente, sistemandosi la giacca per l’ennesima volta.
Prima non era riuscito a finire di parlare a causa delle sue emozioni, ma avrebbe voluto dirle che intendeva regalarle la sua collezione di tè e infusi, non solo mostrargliela. Tuttavia… lei gli aveva dato un appuntamento! Un appuntamento! Minto Aizawa gli aveva dato un appuntamento!
Il cuore gli batté forte.
Gli aveva sorriso… gli aveva sorriso! Oh, come era dolce il suo sorriso! Poteva… poteva forse sperare?
Cardamome bussò alla porta della ragazza.
– Avanti! – cinguettò Minto con voce melodiosa.
Lo scienziato entrò e vide la sua adorata di spalle, intenta a spazzolarsi i capelli di fronte ad uno specchio.
– Si accomodi, ho quasi finito! – disse senza voltarsi, ma guardandolo dallo specchio.
– Gra… gra… grazie! – fece lui, imbarazzato.
Minto riprese a spazzolarsi i capelli, canticchiando un motivetto.
Alouette, gentille alouette, alouette, je te plumerai. Je te plumerai la tête, je te plumerai la tête
Con un ultimo colpo di spazzola, buttò i capelli all’indietro a formare una curva nera come l’ala di un corvo e poi li raccolse in uno chignon dietro la nuca. Dopodiché, prendendo uno scialle rosso appoggiato su una sedia, si girò ed esclamò: – Ecco, sono pronta. Possiamo andare!
Cardamome deglutì sonoramente.
Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Come era bella! Anche lei si era cambiata d’abito: ora indossava un elegante tubino nero rallegrato dal coprispalle rosso. Oh, come era bella! Con i suoi occhi luccicanti che le illuminavano il volto dall’ovale perfetto, con le sue lunghe ciglia naturalmente arcuate, con la sua pelle diafana e…
Rendendosi conto che la stava fissando inebetito da troppo tempo, l’alieno si alzò in piedi e balbettò, tenendole aperta la porta: – Pre… prego, da… da… da… da quest… quest… questa parte!
La ragazza lo ringraziò e diede una spinta alle ruote della carrozzina, uscendo.
Che imbecille! Non le aveva fatto nessun complimento!
Mentre si dirigevano verso la loro destinazione, cercò di rimediare, farfugliando nervosamente: – Bel… bel… bel vestito…
– Oh, grazie! Ma, come sa, non è mio: siete voi alieni a fornirci tutto.
L’extraterrestre si sentì avvampare.
Imbecille!
– Anche il suo abbigliamento è molto interessante… – disse Minto, sorridendo.
Sotto la giacca di pelle sintetica, aveva messo una maglietta terrestre con la scritta “I ❤ UFO”.
– Grazie… – mormorò, con un sorriso timido.
Ci aveva azzeccato! Le mode del Pianeta Azzurro non avevano più segreti per lui!
Ad un certo punto, Minto riprese distrattamente a cantare la melodia di prima.
– Canta molto bene. Ha… ha… ha preso lezioni di canto? – le chiese, schiarendosi la voce.
– Sì, quando ero una bambina. Ma ho smesso presto e mi sono dedicata interamente alla danza – rispose. Poi precisò: – Danza classica, ovviamente. Dove non esiste il dolore, ma solo la disciplina.
– Si… si allenava tanto?
– Incessantemente.
– Come i nostri guerrieri, quindi.
Minto scoppiò a ridere.
– E lei? Sa cantare?
Cardamome arrossì violentemente.
– Sono… sono stonato come una campana. Ma mi piace tanto la musica, anche quella terrestre! E un giorno… un giorno imparerò a suonare uno strumento. Anche se lo dico sempre e non lo faccio mai…
La ragazza gli sorrise e lui si sentì mancare.
Facendosi coraggio, l’alieno continuò: – È… è… è una canzone del… del momento?
– È una canzoncina per bambini!
– Oh. È… è molto carina… la canzone. C… cioè, anche lei… cioè lei… lei è…
Deglutì vistosamente.
– … è arrivata! Cioè, noi siamo… siamo arrivati, signorina! Eccoci qua! La mia collezione si trova in questo magazzino!
Dandosi nuovamente dell’imbecille, Cardamome fece apparire il suo tablet dallo schermo verde e vi digitò sopra un codice segreto. La porta del magazzino si aprì con un clic.
– Questo è una specie di passepartout, come dite voi sulla Terra… – spiegò, con voce bassa. – È una mia piccola invenzione che, tra le altre cose, dà accesso a tutto: se inserisco un’unica combinazione speciale, mi permette di entrare in ogni stanza del Palazzo del Consiglio e di evitare qualsiasi scanner digitale e facciale. Uso questa funzione solamente quando… quando non mi ricordo i vari codici… ce ne sono così tanti, a volte mi confondo…
Vedendo lo sguardo sbalordito di Minto, si affrettò ad aggiungere: – Naturalmente, lo proteggo con la mia stessa vita! Ce l’ho solo io, è unico nel suo genere… e cambio il codice tutti i giorni, per sicurezza!
– Lei è… è pieno di sorprese, Cardamome. Immagino… immagino sia molto difficile creare un dispositivo del genere.
– Beh… sa com’è… dopo tanti anni di studio… – borbottò imbarazzato, – … ma la prego, entri!
L’espressione della ragazza alla vista della sua collezione era impagabile. Oh, che creatura stupenda! Con i suoi capelli corvini, con il suo nasino così…
– Non ci posso credere! Non ho mai visto tanti tè e infusi in vita mia!
– Le… le piace?
– È meraviglioso! Su questi scaffali ci saranno migliaia di confezioni, di non so quante varietà!
– Per la precisione, 12500 varietà di tè e 300 tipi di infusi.
– Accipicchia! E quello è… il Da Hong Pao!
– Sì… sì, è così. Questo invece è lo Zhu Cha.
– Caspita! È una collezione davvero fantastica!
– È… è tutta sua. Se… se le fa piacere, posso… posso darle il codice di questa stanza, non appena… non appena mi ricordo qual è…
A quelle parole, Minto gli regalò il sorriso più affascinante che avesse mai visto.
– Oh, Cardamome! Grazie, grazie! Lei non sa quanto mi rende felice!
Lo scienziato provò improvvisamente molto caldo.
– Per… per così poco…
– È il più bel regalo che mi abbiano mai fatto! Grazie! – disse Minto, posando la mano sulla sua.
Cardamome si sentì vacillare.
– Ma… si sente bene? Forse qui dentro fa un po’ troppo caldo, è meglio se usciamo… – esclamò la ragazza, togliendosi con delicatezza il coprispalle sotto lo sguardo rapito del suo accompagnatore.
Prima di fare una terribile figuraccia, l’alieno le spinse la sedia a rotelle fuori dal magazzino.
– Già… caldo… fa molto caldo…
Per alcuni minuti, percorsero in silenzio i lunghi corridoi dell’edificio.
Come era bella lei! E come era imbecille lui! Oh, se solo fosse stato…
– Mi dica, Cardamome: da quanto tempo lavora qui? – chiese Minto, distogliendolo dai suoi pensieri.
– Da circa tre anni, signorina.
– Allora conosce bene gli altri scienziati. Chi crede che possa fare il doppio gioco?
– Tra di loro? Oh, io non… non… non penso che la spia sia da ricercare tra di loro. Lavorano tutti duramente per il bene del nostro popolo!
– Ah sì? E di lei che mi dice? Cosa combina con il suo tablet?
– Signorina! – esclamò esterrefatto, guardandola negli occhi. – Non farei mai del male a nessuna di voi! Non potrei mai alterare gli esperimenti, né tantomeno passare informazioni a…
Una risata cristallina lo interruppe.
– Oh, mio caro Cardamome! Stavo scherzando! Ho piena fiducia in lei.
– Le… le assicuro che… che nessuno del mio team crede alle fandonie dell’Alto Sacerdote. Non vediamo più Deep Blue come una divinità – disse con voce seria. Poi continuò: – Non condividiamo tutte le decisioni del Consiglio, ma mi creda, nessuno di noi scienziati ha a che fare con i ribelli.
– Se ne è così sicuro…
Cardamome si morse le labbra.
– Venga con me.
Spingendole la carrozzina, la condusse velocemente al laboratorio. A quell’ora era vuoto. Non c’era bisogno del passepartout per entrare: ricordava bene quel codice, così come quello della sala 21. Una volta fatti i riconoscimenti digitali e facciali, l’alieno mostrò a Minto la sua postazione di lavoro. Sul tavolo c’era un po’ di confusione: oltre al computer, c’erano fogli sparsi qua e là, siringhe, libri, garze, cacciaviti, anestetici, antibiotici, provette e alambicchi vari. Sgomberò rapidamente il tavolo e vi posò sopra il tablet: quello strumento avrebbe tradotto per Minto i dati non secretati contenuti sul suo computer.
– Qui può leggere i nomi di chi è entrato e uscito dal laboratorio dal giorno in cui siete arrivate – disse porgendole il tablet, dopo aver acceso il computer.
La ragazza corrucciò la fronte, concentrandosi. Facendo scorrere le pagine, mormorò: – Sembra tutto regolare. Voi scienziati, noi Mew Mew e… la lista dei militari che ci hanno accompagnate, giusto?
– Sì, signorina.
– Anche Pai e Kisshu sono stati qui dentro!
– È così. Sono autorizzati anche loro, naturalmente.
– Aspetti un momento: questo è l’ultimo accesso di oggi, no? Figura solo il suo nome… mi faccia indovinare: io non risulto perché sono… perché è su di me che vengono fatti gli esperimenti. A me e alle altre non è mai stato chiesto di inserire un codice o di fare uno scanner digitale per entrare.
Cardamome arrossì.
– Esatto. Siamo noi scienziati ad avervi sempre inserite manualmente nel registro elettronico. Siete però… un caso speciale, per via della vostra forza vitale. Infatti, possiamo aggiungere solo voi Mew Mew a questo database. Teoricamente è impossibile falsificarlo in un’altra maniera.
– Teoricamente?
L’alieno abbassò tristemente le orecchie, in segno di sconfitta.
– Da quando ha saputo dell’esistenza di una spia, il Consiglio interroga ogni giorno tutti coloro che accedono al laboratorio, me compreso. Gli Anziani vogliono verificare le entrate e le uscite riportate nel registro. E ogni giorno, quando viene fatto il controesame attraverso i nostri DTS, sembra che nessuno di noi si sia teletrasportato o recato in luoghi sospetti. Quindi, come risulta dai nostri sistemi di sicurezza, o… o siamo tutti innocenti…
– … oppure c’è stato un sabotaggio di proporzioni gigantesche… – finì Minto, riconsegnando il tablet.
– Mi hanno detto che il monitoraggio dei DTS è stato sottoposto a controlli più stringenti perché ci sono state delle anomalie.
– Anomalie? In che senso?
– Non lo so, signorina. Non è il mio lavoro.
– Ha… ha ragione. Ha altro a cui pensare: sintetizzare il Cristallo è molto difficile e impegnativo.
– Già. Ma facciamo volentieri dei sacrifici per ciò che ci sta a cuore… – esclamò Cardamome, usando il codice passepartout per aprire uno scomparto segreto. Dentro vi erano le boccette della nuova sostanza che riproduceva per breve tempo il miracoloso potere curativo dell’Acqua Mew.
Minto si lasciò sfuggire un ansito di sorpresa.
Lo scienziato prese in mano una boccetta per mostrarla alla ragazza. Con voce rotta dall’emozione, disse: – La soluzione è qui. Tutti i sacrifici che abbiamo fatto e che faremo sono qui dentro. Siamo vicini. Questa volta siamo vicini, me lo sento.
Rimise a posto il preparato e richiuse lo scomparto.
– Ce la faremo. Manterremo la promessa che abbiamo fatto al nostro popolo. Ne sono sicuro, ce la faremo!
I loro sguardi si incontrarono, in silenzio.
Il cuore gli batteva fortissimo. Era riuscito a non balbettare per tutto quel tempo! Incredibile! E lei… lei… oh, come era bella! Si perdeva volentieri nei suoi occhi scuri e magnetici, che sembravano volerlo scrutare nel profondo dell’animo. Oh, come era bella! Con quello sguardo sicuro e vincente e… con le ali? Le erano spuntate le ali? Si era… si era emozionata? Oh, come…
Un rumore li fece trasalire.
Lo scopettone di cui si serviva per pulire! L’aveva appoggiato lì vicino ed era caduto facendo un gran baccano. Accidenti, proprio mentre si guardavano negli occhi?
Cardamome si scusò con Minto e andò subito a raccoglierlo.
– Sono… sono… sono davvero desolato! Non… non… non… non l’avevo messo nel ripostiglio del nostro laboratorio per non fare tardi, ma… ora lo faccio! Ecco… ecco, così? Ci sta? No, ovviamente no… eh eh… allora così? S… s… sì! Fatto!
Tornando dalla ragazza, notò che le ali le erano scomparse. La magia del momento era finita. Forse era stato lo spostamento d’aria provocato dal battito delle sue ali a… oh, ma che importanza aveva? Si era emozionata anche lei! Aveva le guance arrossate! Era ancora più bella così!
– Vuole… vuole bere qualcosa?
– No, grazie.
– Forse, allora… è meglio… è meglio andare?
– Forse sì. Si… si è fatto tardi…
– Mi permetta… – esclamò Cardamome, dopo aver smaterializzato il suo tablet. Spingendo delicatamente la sedia a rotelle di Minto, si avviò verso l’uscita.
– Non… non dovrebbe prima inserire il mio nome nel registro? – chiese nervosamente la ragazza.
– Domani sarò interrogato sul motivo di questa visita notturna al laboratorio. Non c’è bisogno che infastidiscano pure lei.
– Oh… oh, grazie. Lei è davvero molto gentile.
– Mi… mi promette che non dirà niente a nessuno?
– Certo, sarà il nostro piccolo segreto. Promesso.
L’alieno arrossì.
Avevano un piccolo segreto!
Ripercorsero i corridoi del Palazzo del Consiglio, silenziosi e assorti. Quando arrivarono davanti alla porta della camera di Minto, la ragazza lo ringraziò per la serata e spinse le ruote della carrozzina per entrare nella sua stanza. Ma le bloccò poco dopo.
– Cardamome?
– S… sì? – chiese incerto lui, avvicinandosi.
Minto lo afferrò per il bavero della giacca, lo tirò a sé e lo baciò sulla guancia.
– Ho fiducia nelle sue capacità e sono certa che riuscirà a salvare il suo popolo… – gli sussurrò. Dopodiché, entrò in camera, chiudendo la porta.
Cardamome rimase solo.
Sorrise, toccandosi la guancia.
Forse poteva sperare.
 
***​
 
Ryan si passò una mano sulla fronte madida di sudore.
Stava lavorando duramente alla costruzione del raggio laser per i seguaci di Deep Blue. E avrebbe lavorato anche al suo piano, se solo non fosse stato per la squadra Mew Mew.
Accidenti! Quella proprio non ci voleva!
Qualche giorno fa, aveva appreso a sue spese che tutte le ragazze si trovavano, come lui, su quel dannato pianeta alieno.
Infatti, aveva assistito impotente al comizio dell’Alto Sacerdote (nessuno aveva tradotto per lui, ma aveva capito subito di trovarsi in una gabbia di matti) e alla successiva battaglia, terminata con il rapimento di Mew Zakuro. Gli alieni gli avevano riservato un posto in prima fila, appendendolo legato e imbavagliato ad una colonna volante. Nella confusione, solo la Mew lupo si era accorta della sua presenza. E a causa sua, si era distratta.
Dannazione! Cosa le avevano fatto, quei brutti schifosi dalle orecchie lunghe?
Come se quello spettacolo non fosse stato abbastanza, gli extraterrestri gli avevano anche mostrato un video girato nel laboratorio di un qualche palazzo governativo. L’alieno che parlava la sua lingua gli aveva spiegato che lì dentro le sue Mew Mew venivano usate come cavie: dovevano testare diversi campioni per trovare una nuova Acqua Cristallo.
A quella rivelazione, era diventato una bestia. Noncurante delle conseguenze, aveva colpito e morso chiunque gli era vicino. Solo un gran frastuono proveniente dalla registrazione lo aveva fermato: Mew Minto aveva fatto esplodere con una delle sue frecce una teca contenente diverse sostanze… ed era successo un miracolo.
Aveva ritrovato l’uso delle gambe. L’effetto era durato poco, ma aveva camminato da sola.
Oh, come avrebbe gioito se si fosse trovato in una situazione diversa!
Maledizione! Doveva essere da solo con gli alieni per attuare il suo piano, maledizione! Le ragazze non dovevano trovarsi lì! Maledizione!
Specchiandosi in una lastra di metallo, si toccò la barba, lunga ed incolta. Come l’avevano ridotto…
Aveva un aspetto debole e affamato. Era stato picchiato talmente tante di quelle volte che ormai aveva perso il conto. I suoi vestiti firmati erano diventati degli stracci. Ed era così sporco…
Ma avrebbe preferito continuare a subire quell’orribile prigionia all’infinito, piuttosto che sapere le ragazze in pericolo.
Dov’era Zakuro?
– Terrestre, l’Alto Sacerdote ha bisogno di te. Ti ci porto io. Non fare scherzi.
Con un fucile puntato alla nuca, Ryan posò la chiave inglese e uscì dal laboratorio dei seguaci di Deep Blue. Con le mani sopra la testa, seguì i comandi della guardia che parlava la sua lingua.
 – Mi hanno detto che devi essere presentabile. Fila subito qui a farti una doccia! – gli ordinò, assestandogli un calcio per farlo entrare in un bagno. L’alieno gli lanciò degli indumenti puliti e chiuse la porta.
Dopo essersi lavato, sbarbato e vestito con gli abiti offerti dai suoi carcerieri, Ryan giunse al cospetto dell’Alto Sacerdote, in un’angusta saletta poco illuminata dalle pareti e dal pavimento di pietra. Ma non erano soli: oltre alla guardia, c’era una gabbia di metallo con dentro…
– Zakuro!
Era ancora trasformata! Ma cosa aveva all’orecchio? Una specie di auricolare? E poi stava… stava ridendo… stava ridendo così tanto da perdere l’equilibrio.
– Ooops! – fece la ragazza, dopo essere caduta. Cercò penosamente di rialzarsi, ma non vi riuscì e rotolò a pancia all’aria. Il tutto senza smettere di ridere.
– Cosa le avete fatto? Siete dei bastardi!
Dannati! Se ne stavano lì a sghignazzare, ma sicuramente l’avevano drogata!
– Zakuro! Zakuro, ti prego, rispondimi! – le gridò, precipitandosi alle sbarre della gabbia.
Aveva uno sguardo svampito. Sembrava persa nel suo mondo…
– Zakuro! Zakuro, sono io, mi riconosci? Per favore, guardami! Parlami, dimmi qualcosa, dimmi qualunque cosa! Svegliati, ti prego!
Liv? Is that you? – chiese Zakuro, con fatica.
Liv? No! I’m Ryan, Ryan Shirogane! – ribatté lui. – Zakuro, can you hear me? What happened?
Are you the banana man?
Ryan allentò la presa sulle sbarre.
– No… Zakuro…
Una risata acuta alle sue spalle lo fece rabbrividire.
– Sorpreso, Umano? – sussurrò l’Alto Sacerdote.
Allora anche lui parlava la sua lingua! E forse… capiva pure l’inglese!
What did you do to her, you little
Dude, you need to calm down, all right?
I’m not your
Una lunga scarica elettrica all’altezza dello stomaco gli impedì di terminare la frase. Piegandosi in due dal dolore, finì a terra.
– Grazie Anis, ci voleva proprio… – disse l’Alto Sacerdote. Con le mani dietro la schiena, cominciò a camminare per la stanza. – Umano, ancora non hai capito che sei un essere inferiore e che devi solo ubbidirmi in tutto e per tutto! A volte dubito della tua intelligenza…
– Ba… star… do… – mormorò Ryan con un filo di voce, prima di venire colpito da un’altra scarica elettrica.
Ignorandolo, l’Alto Sacerdote continuò: – Sai, anche noi siamo considerati dei ribelli… e solo perché rifiutiamo il potere degli usurpatori negatori del Divino Deep Blue! Il Consiglio degli Anziani governa la nostra gente diffondendo le menzogne dei traditori Ikisatashi… e adesso, si sta servendo delle tue Mew Mew per trovare una soluzione al nostro virus.
Scoppiò a ridere, seguito da Anis.
– Poveri illusi! Non conoscono la potenza delle nostre risorse! Appena il raggio laser sarà pronto, inietteremo il virus a tutti i membri del Consiglio! Ci riprenderemo il potere che ci spetta e li annienteremo, assieme agli altri traditori! La profezia del Luminoso Crepuscolo diventerà realtà e noi fedeli rinasceremo sul Pianeta Azzurro! Siamo già riusciti ad alterare facilmente i loro patetici esperimenti... e alla cara Mew Zakuro, è toccato provare una droga a scoppio ritardato di nostra invenzione.
– Mmm… la mia lavanda profumata… – fece la ragazza. Riusciva a tenersi in piedi a stento, appoggiandosi ad una sbarra.
A terra, Ryan strinse i denti dalla rabbia.
Maledetti!
– Ci ha sorpresi, sai? Non sapevamo che si sarebbe infiltrata anche lei nella nostra base, ma l’abbiamo accolta lo stesso a braccia aperte, in nome del nostro Signore! Onore e gloria a Deep Blue! – esclamò il guru alieno, avvicinandosi alla gabbia.
– Onore e gloria a Deep Blue! – ripeté Anis.
– Ma adesso… come ha dimostrato il traditore Kisshu Ikisatashi nella sua recente missione sul Pianeta Azzurro… è giunto il momento di renderla veramente indifesa!
Con un movimento repentino, l’Alto Sacerdote strappò la spilla dal collo di Mew Zakuro. La trasformazione si annullò immediatamente.
– Nooooo! – urlò Ryan, raccogliendo le forze.
Anis gli sferrò un calcio.
– Le Mew Mew sono indifese senza queste spille… – mormorò con voce melliflua l’Alto Sacerdote. Poi proseguì, tirando in aria il ciondolo e riprendendolo in mano: – Ed è qui che entri in gioco tu, Umano. Ci servi per il raggio laser, ma ora hai anche un altro scopo: un’arma forse ancora più potente…
Il capo spirituale dei ribelli fece un segno ad Anis. La guardia sollevò di peso Ryan, rimettendolo in piedi e bloccandolo per le braccia.
– Oh, che sbadato! Ha ancora indosso il suo inutile traduttore automatico… – borbottò nel mentre l’Alto Sacerdote. Con poco garbo, tolse a Zakuro anche il congegno e lo buttò a terra. In seguito, aprì la gabbia e afferrò malamente la ragazza per i suoi lunghi capelli lilla, tirandola fuori. Zakuro non oppose resistenza: era completamente incapace di reagire.
– Come ricorderai, i tuoi ibridi non sono irreversibili. Basta un bacetto e… poof… non sono più degli ibridi…
A quelle parole, Ryan strabuzzò gli occhi.
Solo Ichigo si trasformava in un gatto con un bacio. Era l’unica ad avere il fidanzatino dieci anni fa, no? E se…?
Oh no!
No… No… NO!
Era tutto un incubo! Un incubo!
Zakuro era fuori di sé, poteva diventare pericolosa!
Spaventato, cercò di divincolarsi dalla presa di Anis, ma senza successo: sembrava d’acciaio.
– Hai paura di baciare una donna? – lo schernì la guardia.
Mentre l’americano si agitava, Zakuro non era in grado di rendersi conto di quello che stava succedendo: gli alieni li stavano avvicinando forzatamente, premendo sulle loro teste.
– Naturalmente, non puoi pretendere che sia io o Anis a farlo: siete entrambi degli esseri inferiori. Quindi… now kiss!
– NO! NOOOO! Nnnnnn…
Smack!
Ryan staccò le labbra da quelle di Zakuro, tremando.
– …
– …
– …
Liv?
– …
– …
– Non… non succede niente, Eminenza?
– Non… non capisco…
Lentamente, Ryan capì.
Quella volta, fu il suo turno per scoppiare a ridere.
– Non è con un bacio che puoi trasformare le mie ragazze in animali! Non riuscirai mai a usarle per i tuoi loschi piani! – esclamò trionfante, mentre l’Alto Sacerdote riportava furioso la ragazza nella gabbia.
Certo! Ecco la prova che non aveva all’epoca! Era successo solo a Ichigo perché era la prima Mew Mew, la leader del gruppo, l’alfa… e una ragazzina che non sapeva gestire le sue emozioni: i baci non c’entravano niente! Zakuro invece non era al comando della squadra e si sapeva sempre controllare. Così come le altre. Doveva essere quella la spiegazione: in loro tale effetto collaterale non poteva manifestarsi. Ichigo aveva dei grandi poteri… ma forse dieci anni fa era troppo giovane per riuscire a dominarli pienamente.
Accidenti, l’aveva scampata bella!
Rise ancora più forte e, in risposta, Anis gli tirò un pugno in faccia, facendolo finire di nuovo a terra.
A quel punto, un flebile grido si levò nell’aria.
– Ryan… Ryan! No… lasciatelo… lasciatelo stare…
Zakuro! Era tornata in sé!
– Zakuro!
– Ryan! Ryan, ti prego… aiutami! Ho sete… tanta sete… anche fame…
Che bastardi. Ma le avrebbero pagate tutte. Tutte!
Alla ragazza sfuggì un lamento.
– Basta! Fai smettere le voci nella mia testa! Falle smettere! Falle smettere!
Voci? Quali voci? Che diamine stava succedendo a Zakuro? Era realmente tornata in sé?
– Datele da bere! O non terminerò il raggio laser! – minacciò Ryan, mettendosi a sedere con grande sforzo.
– Non sei nella posizione di dettare condizioni, Umano! – tuonò Anis.
L’Alto Sacerdote aveva ripreso a camminare per la stanza con le mani dietro la schiena, profondamente assorto nei suoi pensieri. D’improvviso, si fermò. Con un segno di intesa ad Anis, materializzò una bottiglietta e la lanciò a Zakuro. Lei la prese al volo e, assetata com’era, la bevve tutta d’un fiato. Ma poco dopo aveva uno sguardo stralunato e… oh no!
– L’avete drogata di nuovo!
– Umano, ci hai chiesto di darle da bere. Così è stato. L’effetto della nostra droga si stava affievolendo… – fece il guru extraterrestre, sghignazzando.
– Cosa le hai dato?
– Oooooh, niente di che. Solo qualcosa per confonderla un po’… – disse l’Alto Sacerdote, sminuendo la situazione con un cenno della mano. Poi aggiunse, guardando negli occhi Ryan: – Sai, mi è venuta un’idea…
Accadde tutto molto velocemente.
Dopo che l’Alto Sacerdote ebbe dato ordini in lingua aliena al suo bieco servitore, quest’ultimo afferrò il braccio sinistro dell’americano, lo piegò e…
CRACK!
Ryan urlò di dolore. Urlò, urlò e urlò.
– Maledetto bastardo!
– Noooooooo! – gridò Zakuro dalla sua cella. Dopodiché cadde in ginocchio, portandosi le mani alla testa con una smorfia di dolore.
L’Alto Sacerdote si mise davanti a lei.
– Oooooh, povera cara! Ti sei pentita di aver rifiutato la mia offerta, vero?
– Non ascoltarlo! Ti vuole mmmmpf… – gridò Ryan, prima che Anis gli mettesse una mano sulla bocca e gli immobilizzasse le gambe con il proprio corpo.
Il guru alieno fece una sonora risata e continuò: – Non ci conviene avere tra i piedi uno scienziato che si ribella in continuazione. Tanto, il raggio laser è già a buon punto, non abbiamo poi così bisogno di lui…
– No… no… non lo fare… – implorò Zakuro, respirando a fatica e tremando.
– E perché non dovrei? Vederlo morire gioverebbe anche a te. È per colpa sua se adesso hai il DNA modificato. Quante bugie ti ha raccontato? Non è stata la Terra a sceglierti: è stato lui a obbligarti…
– Ti… ti sbagli… – mormorò la ragazza, stringendo i denti.
– Mi sbaglio? Chi è che ha creato il Progetto Mew? Chi è che per primo ti ha usata come cavia? Chi è che ti faceva lavorare giorno e notte per arricchire le proprie tasche?
Il braccio rotto gli faceva un male cane, ma lo sguardo accusatorio di Zakuro lo ferì come cento lame roventi.
– Ti sei fidata di lui… e hai sbagliato un’altra volta. Ti faccio solo un favore…
Ryan notò che la ragazza non smetteva di tremare. Avrebbe voluto dirle di non avere paura, di essere forte per le altre, di lasciarlo andare perché si meritava di morire per averla trascinata in questo pasticcio. Invece, ciò che riuscì a fare fu soltanto mugugnare. Dannato Anis!
– No! Lascialo stare! Non… non ho sbagliato! Io sono una… una Mew Mew!
– Sei una Mew Mew? Un ibrido, vorrai dire. A proposito, dove sono le tue amichette? Non le vedo… non è che ti hanno abbandonata? Eh sì! Hanno rinunciato a venire a salvarti. Ti hanno tradita anche loro…
Che fandonie stava raccontando, quel dannatissimo fanatico? Lo scienziato americano cercò di liberarsi da Anis mordendogli la mano, ma invano: l’alieno sembrava non provare alcun dolore.
– Sei diversa dalle altre… – continuò l’Alto Sacerdote. – Infatti, sai solo circondarti di persone che non fanno altro che deluderti… a partire dalle tue compagne di squadra.
Zakuro aveva il respiro corto e digrignava i denti.
Ryan era convinto che stesse tremando di paura, ma si era sbagliato. Tremava di rabbia.
– Sta’ zitto! – gridò la ragazza, colpendo con le braccia le sbarre della gabbia. La sua voce echeggiò per tutta la stanza. – Non sei degno nemmeno di nominare il mio branco! – aggiunse furiosa, mostrando i denti.
– Come osi? Anis, procedi!
L’alieno spostò la mano dalla bocca al mento dello scienziato americano e con l’altra lo agguantò per la testa, per spezzargli il collo.
Ryan chiuse gli occhi.
– Nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo! – urlò Zakuro.
Fu questione di pochi attimi.
L’eco del grido di Zakuro si trasformò in un guaito.
Un rumore metallico si diffuse nell’aria.
Dopodiché si udì un ringhio profondo.
Anis lasciò lentamente la presa.
Un istante dopo, Ryan aprì gli occhi, incredulo.
La giovane donna che conosceva non c’era più.
Al suo posto, nella gabbia, c’era un enorme lupo grigio che digrignava i denti. E nei suoi occhi… nei suoi occhi non risplendeva più umanità.
– Onore e gloria a Deep Blue per avermi fatto venire questa idea! – esultò l’Alto Sacerdote. – Ah, voi stupidi usurpatori del Pianeta Azzurro! Voi e le vostre stupidissime emozioni…
– Onore e gloria a Deep Blue! – gli fece eco Anis.
– Cosa… come… – fece Ryan, inorridito, spostando lo sguardo dal lupo agli extraterrestri.
Con una risata crudele, l’Alto Sacerdote spiegò: – Ti ricordi? Senza le loro spille, i tuoi ibridi non possono diventare Mew Mew. Però la leader del gruppo, la nostra nemica giurata, può trasformarsi nell’animale con cui condivide il DNA: non sono mai stati i baci a provocarle la trasformazione, ma le emozioni. Siccome le cinque assassine hanno un carattere diverso, il Sommo Deep Blue mi ha suggerito la soluzione: cosa ci può essere di più catalizzante della rabbia di una donna-lupo?
Ryan deglutì.
Maledizione!
Il lupo ringhiò. Fece un mezzo giro della gabbia e ringhiò ancora. Il pelo sulla sua groppa si rizzò.
– Si è trasformata in un lupo vero e proprio. Lo sento, la sua forza vitale è cambiata… – notò il capo spirituale alieno, mentre un sorriso malvagio si dipingeva sul suo volto. – Oh sì! La droga che ha preso ha fatto effetto prima del previsto: l’ha confusa e le ha fatto dimenticare la sua natura. Vedi Anis? L’Altissimo Deep Blue ci fa scoprire ogni giorno nuove meraviglie. Perché continuare a pensare? Basta avere solo Deep Blue in testa e i problemi non esistono più. Spargerai la voce, non è così?
– Sì, Eminenza.
– Oh, dimenticavo! Umano, sai a cos’altro serve la droga che le abbiamo somministrato? Non solo confonde agendo sulla memoria, portando a galla tutti i ricordi più tristi e dolorosi, ma permette anche di aumentare l’aggressività. Ah, quante cose belle che faremo adesso…
Ryan era letteralmente distrutto. In ginocchio, reggendosi il braccio rotto, mormorò: – Zakuro…
La bestia sollevò la testa e ululò.
 
***​
 
Certo che si era comportata proprio come una grandissima...
Un rumore la fece sussultare.
L’avevano scoperta?
– Falso allarme… – sussurrò piano Mew Minto, guardando una di quelle strane creature di cui aveva parlato Retasu zampettare allegramente davanti a lei.
Dopo che l’animale se ne fu andato, la ragazza emise un lungo sospiro.
Anche se le ali cominciavano a farle male, la trasformazione era necessaria. Non poteva sprecare la preziosa boccetta di quasi Acqua Mew che aveva… che aveva… oh accidenti! Perché era così difficile ammetterlo a se stessa? Sì, aveva rubato! Minto Aizawa aveva rubato come una gazza ladra! Che vergogna! E aveva ingannato il povero Cardamome! Che duplice vergogna!
Senza smettere di sentirsi in colpa, riprese a volare per i corridoi del Palazzo del Consiglio, chiedendosi cosa avrebbe detto la sua governante se l’avesse saputo.
Quando lo scienziato aveva aperto con il passepartout uno scomparto pieno zeppo di boccette, un’idea si era fatta subito largo nella sua mente. Si era però vergognata e le erano spuntate le ali… à la Ichigo. Nel frattempo, l’alieno aveva già rimesso tutto in sicurezza. D’istinto, aveva sbattuto le ali e così aveva fatto involontariamente cadere lo spazzolone di Cardamome. Lui si era allontanato e lei… aveva agito. D’altronde, gli aveva visto il codice segreto e anche se la tastiera del tablet non era nella sua lingua, aveva riprodotto lo stesso la combinazione. Non vista, si era impadronita di una boccetta… e di una siringa con un anestetico (dopo tutti gli esperimenti che aveva affrontato, sapeva riconoscerlo). Aveva sfruttato l’occasione che da tempo stava cercando. Un’occasione: era questo il motivo che l’aveva spinta ad avvicinarsi a Cardamome, vero? Oh, povero, povero, povero Cardamome! Non si era accorto di nulla, non facendo caso al fatto che non si era più rimessa lo scialle. Doveva pur nascondere il suo bottino, no? Oh, povero, povero, povero Cardamome! Ripensandoci, era stata davvero una grandissima…
Mash vibrò, segnalandole che era giunta a destinazione.
L’aveva preso in prestito (sì, quello era un prestito) da Ichigo, con la scusa dell’appuntamento con lo scienziato. Il robottino aveva infatti memorizzato diversi tragitti attraverso il segnale emesso dalle loro spille e poteva fare da navigatore: sapeva la strada per il laboratorio, per la sala di allenamento che aveva usato la sua amica, per l’area relax e, soprattutto, per la sala 21.
La sala 21.
La sala del portale.
La sala che ora si trovava a pochi battiti d’ali da lei.
La sala che era sorvegliata da una guardia che faceva avanti e indietro.
Se lo aspettava. Non poteva non incontrare qualche soldato, anche se era notte fonda… o era mattina presto? Boh. Quando era uscita, Purin dormiva profondamente.
In silenzio, si nascose velocemente dietro al muro, zittendo Mash prima che potesse strillare che c’era un alieno. Era diventato un po’ vecchio e la sua intelligenza artificiale non era più quella di un tempo: non aveva ancora capito che il pianeta su cui si trovavano era abitato da extraterrestri.
Mew Minto fece comparire il suo arco. Quando la guardia fu sufficientemente lontana, scoccò una freccia di luce che si infranse in innumerevoli bagliori luminosi sulla porta della sala 21, senza scalfirla. Già, a parte la serratura digitale, era uguale a quella della camera dove alloggiava. E dove si era allenata.
L’alieno, allarmato da tutta quella luminosità, si precipitò a controllare. Vedendo la porta intatta, inserì cautamente il codice d’accesso per andare a verificare che non fosse accaduto qualcosa all’interno.
La ragazza puntò di nuovo il suo arco. Ma al posto di una delle sue frecce, scagliò il robottino.
Mash sfrecciò alla velocità della luce e cadde, rimbalzando, davanti ai piedi della sentinella.
– Ohi ohi…
– E tu che diamine… seeeeeeeeeeeeeeeeeeiiiiiii…
Tonf!
Mew Minto aveva raggiunto l’alieno alle spalle e gli aveva iniettato l’anestetico, facendolo cadere a terra addormentato.
– Sogni d’oro… – bisbigliò. Afferrando per la coda il piccolo robot, entrò nella sala 21, chiudendo la porta dietro di lei.
Ce l’aveva fatta! Era dentro! Era stato facile!
Si guardò attorno.
Al centro, c’era uno spazio vuoto, necessario per il portale. Alla sua sinistra, c’era il macchinario che aveva usato Cardamome per aprire il varco. Come era grosso! E a cosa servivano tutti quei pulsanti? Quale di essi creava il collegamento con il covo dei ribelli? Mentre quel disco sottostante… sembrava una specie di generatore… o qualcosa di simile. Caspita. Che invenzione. Non sapeva esattamente come funzionasse quell’apparecchiatura, ma poteva solo ammirare le menti che l’avevano costruita. O la mente. Oh, povero, povero, povero Cardamome! Non era sua intenzione farlo soffrire, ma doveva riportare indietro Zakuro. Avrebbe mai potuto perdonarla?
Accanto al macchinario, fluttuanti nell’aria, c’erano i braccialetti in cui lo scienziato aveva incorporato la pianta della base dei seguaci di Deep Blue. La ragazza ne prese uno e lo indossò, senza pensare.
Eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
Era stato facile arrivare fino a lì. Troppo facile. Infatti, era appena scattato l’allarme.
– Mash! Gli alieni saranno qui a momenti! Ho bisogno che mi attivi il portale, altrimenti ci distruggeranno! – disse con agitazione Mew Minto, mentre l’allarme continuava a suonare. Chiamò a sé il suo arco, pronta ad attaccare.
– Ci penso io, ci penso io!
Il robottino si collegò al sistema di controllo del macchinario extraterrestre tramite la coda, accendolo. In pochi secondi, il pannello di pulsanti prese vita e…
– Distruzione del portale attivata! – fece una voce metallica.
– Mash! Ho bisogno di questo portale, non devi distruggermelo! – urlò Mew Minto, senza smettere di sperare che il traduttore simultaneo avesse tradotto male.
– Distruzione del portale attivata! – ripeté la voce metallica.
All’improvviso, cinque militari fecero irruzione nella sala 21, puntandole addosso le loro armi.
– Alieni, alieni!
No! Non doveva andare così!
– Terrestre, cosa credi di fare stavolta? – le chiese furioso il tenente Betterave.
– Quello che non ho fatto la scorsa volta: Ribbon Minto Echo! – gridò, scoccando una freccia di luce più potente di quella precedente. Gli alieni rimasero abbagliati e Mew Minto ne approfittò per volare a nascondersi dietro il macchinario. Il dolore alle ali era diventato più forte, doveva farle riposare. In preda al panico, prese la boccetta che aveva in tasca, la aprì e si versò l’intero contenuto sulle gambe che, a poco a poco, riacquistarono sensibilità.
– Brava, brava! Ora tocca a me, ora tocca a me! – esclamò Mash, concentrandosi. Il pannello dei pulsanti si illuminò di nuovo e…
– Allontanarsi! Distruzione della sala 21 in 60 secondi: 59… 58…
– MASH! – urlò la ragazza.
– Scusa, scusa!
Finalmente, al terzo tentativo di R-2000, il portale si aprì. Doveva correre ad attraversarlo!
– FUOCO!
Gli extraterrestri, nel frattempo, avevano riacquistato la vista e avevano iniziato a sparare una serie di scariche elettriche per impedirle di avvicinarsi al varco.
– 35… 36…
– Vai, vai! Ci penso io, ci penso io! – fece Mash, mettendosi davanti agli alieni. Prima di poter essere colpito, aprì la bocca a dismisura, in modo da risucchiare tutti i loro attacchi. Ma così facendo, accumulava tantissima energia…
Mentre il robottino continuava a proteggerla dagli alieni, che sembravano non volersi fermare, Mew Minto raggiunse il portale.
– 10… 9… 8…
– Via! Tutti fuori! Qui esplode ogni cosa! – ordinò il tenente. I militari extraterrestri uscirono dalla sala 21 in un battibaleno, ma Mash rimase fermo immobile a mezz’aria. Era… era troppo carico per funzionare correttamente…
– MASH!!!!!
– 4… 3… 2…
Non avendo scelta, Mew Minto oltrepassò il varco.
Le sue lacrime fecero lo stesso.

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