Glimmers

di Blablia87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lost ***
Capitolo 2: *** Eroi ***
Capitolo 3: *** Always ***
Capitolo 4: *** Famiglia ***
Capitolo 5: *** Sentieri ***
Capitolo 6: *** L'eccezione ***
Capitolo 7: *** Custodi ***
Capitolo 8: *** Abitudini ***
Capitolo 9: *** Charging ***
Capitolo 10: *** Custodia ***



Capitolo 1
*** Lost ***




Prompt
: “Getting lost somewhere” (Perdersi da qualche parte)
Tipo di coppia: Slash (Johnlock, accenni Mystrade)
Rating: Verde

 
 
 


Lost
 
 

«Non mi sembra una buona idea.»
John - chino in avanti, le mani sulle ginocchia e la bocca socchiusa – scosse la testa, cercando di riprendere fiato dopo la corsa.
«È l’unica cosa da fare, invece» ribatté Sherlock, un ricciolo scuro attaccato alla fronte imperlata di sudore. «Dividersi.»
«Non ho nessuna intenzione di perderti di vista. Usciremo insieme da questa situazione, e lo faremo rimanendo l’uno nel campo visivo dell’altro.» Il medico si riportò in posizione eretta, appoggiando le mani sui fianchi per aiutarsi a distendere completamente la schiena.
«Sono ore che non usciamo l’uno dal campo visivo dell’altro, John. Non sta funzionando. Dobbiamo cambiare approccio al problema.» Sherlock fece una veloce piroetta su se stesso, in cerca di ogni percorso visibile. «Io proseguo verso sud. Tu puoi andare di là» consigliò, indicando con un rapido gesto della mano un bivio alle spalle dell’altro.
«Non riuscirò mai a convincerti a tentare ancora una volta insieme, vero?» sospirò John.
«Neanche se tu fossi dotato – cosa che risulterebbe, a ben pensarci, piuttosto bizzarra – di una pianta accurata di questo posto» confermò il detective, annuendo con forza.
«E va bene. Dividiamoci. Ma se nessuno dei due trova una soluzione entro dieci minuti faremo come dico io. Lo tireremo giù.»
«Il tuo metodo risolutivo è semplicemente barbaro» protestò Sherlock, con fare oltraggiato.
«La tua idea è barbara! Lo è stata fin dal principio! Fanno quasi quaranta gradi, il sole è a picco sulle nostre teste e non hai la più pallida idea di dove siamo!» ribatté John, esasperato, muovendo in modo concitato le mani di fronte a sé.
«Però devi ammettere che quando ho proposto questo come luogo per trovare un po’ di frescura hai condiviso il mio pensiero…» provò il detective, con voce incerta.
«È stato tre ore fa!» esplose il medico. «Tre ore, Sherlock! Ed entrambi ci stavamo annoiando a morte!»
«Va bene, va bene!» si arrese l’altro, alzando le mani in segno di rinuncia. «Dieci minuti. Poi, se non troveremo una soluzione, faremo a modo tuo.»
«Bene. Ottimo» annuì John. «Perfetto» continuò, iniziando a muoversi con passo marziale nella direzione che gli era stata assegnata.
Sherlock lo osservò allontanarsi con la testa leggermente inclinata da un lato. Poi, in silenzio, si incamminò a sua volta.
 
«JOHN!»
La voce del detective, ovattata da rami e foglie, colse il medico di sorpresa.
Spaventato si voltò indietro, non riuscendo a scorgere altro che vegetazione.
«Sherlock?» rispose, titubante.
«JOHN!» urlò di nuovo l’altro, con maggior foga. «JOHN!»
«SHERLOCK!» gridò a sua volta il medico, iniziando a correre. «SHERLOCK!» riprovò, più forte, svoltando a destra e trovandosi in un vicolo cieco. «Maledizione…» imprecò a mezza voce, ingoiando una grossa boccata d’aria prima di riprendere a correre, ostacolato dalla stoffa pesante e rigida dei pantaloni. «SHERLOCK!» tentò ancora, continuando a imboccare percorsi senza una precisa logica. Alla fine, dopo aver svoltato l’ennesimo angolo, il profilo del detective – seduto a terra, la testa contro una siepe - comparve sul fondo del passaggio. «Sono qui…» riuscì a dire Sherlock, agitando stancamente una mano.
«Dio del cielo, mi hai fatto morire di paura!» lo sgridò John, usando gli ultimi sprazzi di energia per compiere i pochi metri che lo separavano dall’altro. «Perché diamine urlavi così?» ansimò, lasciandosi cadere di fianco al detective.
«Non ero sicuro che riuscissi a sentirmi…» boccheggiò lui, abbozzando un sorriso stanco. «Avevo paura ti fossi perso.»
«Ci siamo persi» precisò John, allungando una mano per sfiorare il volto di Sherlock.
«Non è del tutto vero» sussurrò il detective, avvicinandosi in modo che le loro fronti potessero sfiorarsi. «Ma ho capito perché preferissi non uscissimo l’uno dal campo visivo dell’altro.»
«Sì?» domandò il medico, sorpreso.
«Sì» annuì Sherlock, facendo scorrere i suoi capelli su quelli dell’altro. «Anche uno stupido gioco come questo fa paura, se non sai dove si trova la persona che-»
 
«Ah, ecco dove eravate finiti! Il pranzo sta per essere servito» esclamò Lestrade, comparendo all'improvviso alla loro sinistra. «Visto? Abbiamo ritrovato i testimoni» rise poi, girandosi verso Mycroft – immobile davanti all’ingresso di foglie e siepi - con uno sguardo divertito.
«Solo tu potevi scegliere per il ricevimento di nozze una magione con un labirinto, Mycroft» soffiò Sherlock, staccando la testa da quella di John e girandosi in direzione dei due.
«E solo tu, o forse dovrei dire voi, potevate perdervici dentro» commentò il maggiore, serafico, alzando le spalle.
«Ad ogni modo, come vedi, non è propriamente esatto affermare che “ci siamo persi”» commentò il detective, rivolto a John. «Ho trovato l’uscita.»
«Hai…» balbettò il medico. «Perché non lo hai detto subito?!» domandò, esterrefatto.
Sherlock si voltò verso Lestrade, rimanendo in silenzio. In risposta l’ispettore alzò un sopracciglio, confuso.
«Andiamo, Greg. Gli invitati si staranno chiedendo dove siano gli sposi» intervenne Mycroft, con voce pacata. «Sono certo che siano in grado di raggiungere la sala anche da soli, adesso» terminò, lanciando un’occhiata al fratello.
«Forse dovremmo raggiungerli» disse John poco dopo, quando i due – in abito da cerimonia, affiancati – scomparvero oltre l’ingresso del dedalo.
«Concordo» annuì il detective. «Ma, prima, vorrei dirti cosa mi ha impedito di comunicarti semplicemente che avevo trovato l’uscita» sussurrò, appoggiando le labbra, stremato, su quelle dell’altro.
«Mi sono reso conte che non mi piace perderti di vista. Neanche in uno stupido gioco» soffiò fuori, gli occhi chiusi e il respiro superficiale. «Quindi non andare da nessuna parte, senza di me. Okay?»
«Okay» acconsentì il medico, quasi commosso, sorridendo sulla bocca del detective. «Però, al prossimo attacco di noia da cerimonia, cerchiamo un passatempo meno… a rischio di morte per sopraggiunto colpo di calore, va bene?»
«Qualche idea?» ribatté Sherlock, socchiudendo gli occhi.
«Almeno un paio» bisbigliò John, morbido, staccandosi dall’altro e preparandosi ad alzarsi. «E cominciano tutte con un “ti amo”.»
 
 



Angolo dell’autrice:
 
il 29 agosto, dopo quasi 11 mesi, tornerò in Italia.
La nostra esperienza marsigliese è quasi terminata e non so bene come sentirmi, a riguardo.
Sono felice, chiaramente, ma ho da sempre qualche problema (come forse avrete capito! XD) con i cambiamenti.
Ad ogni modo manca davvero poco e stavo pensando che, forse, mi sarebbe d’aiuto - per “ingannare” un po’ il tempo e tenere sotto controllo il nervosismo crescente - scrivere di John e Sherlock come non ho, alla fine, mai fatto (per chiari e manifesti limiti nel trattare il "genere"): con leggerezza.
L’idea sarebbe quella di pubblicare una serie di OS o flash seguendo l’elenco che vi allego qui sotto.
Spero solo non sia un'idea troppo balzana, e che i risultati non siano del tutto disastrosi. ^_^''
 
Intanto, come sempre e di cuore, grazie a chiunque abbia letto fin qui.
 
A presto,
B.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Eroi ***




Prompt
: “Pet names”
Tipo di coppia: Slash (Johnlock)
Rating: Verde
Avvertimenti: Parent!lock

 
 
 


Eroi
 
 

«Omicidio!» esclamò Sherlock – sdraiato a terra tra le due poltrone, le mani congiunte sotto al viso - spalancando gli occhi.
 
«No» ribatté secco John, dal divano, senza alzare gli occhi dal giornale che stava leggendo. 
«Assassinio» riprovò l’altro, ruotando la testa in direzione del medico.
«Ehm…» finse di riflettere lui, piegando le pagine in modo da comparire con gli occhi da dietro il muro di carta stampata che si ergeva tra loro. «No.»
«Cicuta?» tentò ancora il detective.
«Stai scherzando, vero?» sospirò John, lasciando cadere il quotidiano accanto a sé e inclinando la testa da un lato.
«Dare un nome a qualcosa ci permette di catalogarla e, in cas-»
«Non è una cosa, Sherlock!» protestò il medico, a voce alta, pentendosene subito dopo. Incassò la testa nelle spalle, lanciando un’occhiata preoccupata alla propria poltrona.
«E - riprese pazientemente il detective da dove era stato interrotto, calcando molto il tono sulla prima parola - in caso di esseri viventi, è il primo passo di affezione nei loro riguardi.»
«Non sono certo che Curaro sarebbe d’accordo» rise John, a bassa voce.
«Cicuta» lo corresse Sherlock, con un sospiro profondo. «Il curaro ha troppi difetti nella propria struttura chimica, per essere preso in considerazione come opzione. Ad esempio è letale se introdotto nel flusso sanguigno, ma praticamente innocuo se ingerito: i succhi gastrici sono in grado di degradarlo e digerirlo quasi per intero.»
«Mi stai dicendo che c’è una logica, dietro le tue proposte, e non il puro e semplice intento di farmi impazzire?» si sorprese il medico, sollevando un sopracciglio.
«C’è sempre una logica dietro ciò che faccio, John. È la mia struttura del pensiero. E non muta neanche quando si tratta di trovare un appellativo a-»
Sulla poltrona di John, ad un basso e rauco sbadiglio se ne aggiunse uno morbido, cristallino.
Dopo qualche secondo, due occhi azzurri ed un paio di codini biondi spuntarono da dietro il bracciolo destro, seguiti a poca distanza da un naso scuro e due piccole orecchie pelose.
«Papà» sbadigliò di nuovo Rosie, stropicciandosi gli occhi con una mano e allungando l’altra in direzione di John.
«Ben svegliata, piccola» sorrise l’uomo, alzandosi.
Sherlock si diede un colpo di reni, tentando di fare altrettanto. A metà del movimento, però, due minute zampe pelose – premute all’altezza dello stomaco - lo bloccarono a terra.
Mentre John la sollevava per potersela accomodare su un fianco, Rosie si sporse verso l’esterno, ridendo davanti all’espressione oltraggiata con la quale Sherlock, immobile, subiva piccoli morsi scherzosi alternati a brevi leccatine da parte del cucciolo di bulldog che, da poco meno di due giorni, era entrato a far parte della loro vita.
«Rivalutando vari fattori… - iniziò il detective, allungando il collo per cercare di sottrarre il viso all’attacco festoso del cagnolino – “Curaro” non sembra più tanto male.»
«Andiamo a fare merenda, che ne dici?» chiede John alla figlia, lanciando un’occhiata divertita in direzione dell’altro. «Sono certo che Sherlock saprà cavarsela da solo, per questa volta. Ti ho mai raccontato di quando mi chiuse in una gabbia, fingendo che un enorme mastino mi stesse inseguendo…?» aggiunse - la fronte contro quella di Rosie e un sorriso dolce sulle labbra – iniziando a dirigersi verso la cucina.
«Papooo!» gridò lei poco dopo, sporgendosi oltre le spalle di John con entrambe le braccia. «Papoooo!» urlò di nuovo, vedendo che Sherlock non dava segni di volerli seguire nell’altra stanza.
«Okay, va bene. Liberiamo papo dall’enorme bestia feroce» rise il medico, fermandosi e tornando sui propri passi. Appoggiò delicatamente Rosie a terra, aspettando di vederla sorreggersi alla poltrona prima di staccare del tutto le mani da lei. Poi, divertito, sollevò il cucciolo, dando a Sherlock il tempo di mettersi in piedi.
«È stata un’esperienza… illuminante» commentò il detective dopo un secondo di silenzio attonito. «Dopo aver raccolto ulteriori dati, penso che “Ciano” potrebbe essere un nome adeguato.»
«”Ciano”» ripeté John, confuso.
«Il cianoacrilato di metile è un estero dell'acido cianoacrilico, dalla capacità adesiva portentosa. L'adesione delle superfici è avvertibile già un minuto dopo l'applicazione e si completa in circa due ore rimanendo impermeab-»
«HeiHei, ‘iamo!» urlò Rosie, spazientita, lasciandosi cadere a terra e iniziando a indicare la cucina.
«Hei?» domandò il detective, chinandosi su di lei.
«HeiHei» confermò la bambina, allargando le braccia in modo che il cucciolo – che stava caracollando verso di lei – riuscisse ad accoccolarsi sulle sue gambe. «HeiHei» ripeté ancora una volta, indicandolo.
«Sono confuso» ammise il detective dopo qualche secondo, alzando uno sguardo disorientato verso John.
«Se non avessi passato tutto il tempo su Twitter, ieri sera, adesso sapresti che il nostro cucciolo ha già un nome» rise John, con voce morbida, prendendo nuovamente in braccio la piccola.
«HeiHei sarebbe il suo nome?» chiese Sherlock, sbattendo un paio di volte le palpebre.
«È il nome di un eroico dio polinesiano! Non è vero, Rosie?» rispose il medico, appoggiando un bacio leggero sulle labbra dell’altro, sperando che questo mitigasse lo sconcerto che vedeva sul suo viso. «E papo scoprirà le INCREDIBILI cose delle quali è capace HeiHei stasera, quando riguarderete “Oceania” assieme - dopo che gli avrò requisito il cellulare - mentre io rispondo ai commenti sul blog.»
 
 



Note:
 
HeiHei” (o Hei Hei, o Heihei) è il gallo un po' (molto, a dire il vero! XD) svampito che accompagna - in "Oceania", film Disney del 2016 - Vaiana e Maui nella loro avventura. Se non avete idea di chi sia, e di quanto si possa discostare dall'indea di intrepido ed eroico dio polinesiano, potete scoprirlo qui.
 
Ho scelto un cucciolo di bulldog perché, nel canone, John ne ha uno (almeno nei primi racconti. Poi scompare magicamente, senza che ne venga più fatta menzione. XD)


 
Angolo dell'autrice:

Una breve (brevissima) incursione solo per ringraziarvi. 
Per aver commentato, aggiunto la raccolta ad una qualche categoria o - semplicemente, ma non certo come "livello di importanza" - scelto di passare un po' di tempo in questi lidi.
È un privilegio, per me, poter godere ancora una volta della vostra compagnia.

A presto,
B.

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Capitolo 3
*** Always ***




Prompt
: “Patching each other up”
Tipo di coppia: /
Rating: Verde
Avvertimenti: Kid!lock

 
 
 


Always
 
 

«Sta’… fermo» gli intimò John Watson, la voce smorzata dal tessuto appiccicoso che teneva stretto tra i denti. «Se non smetti di agitarti la ferita si chiuderà per seconda intenzione e ti rimarrà il segno!»
«Per “seconda intenzione”?» gli fece il verso Sherlock Holmes, la faccia sporca di terra e erba.
«Lo dice sempre mio padre ai pazienti, quando non vogliono farsi mettere i punti» borbottò l’altro, strappando l’ultimo pezzo di garza adesiva aiutandosi con gli incisivi superiori, più pronunciati rispetto agli altri denti. «È una cosa brutta» si limitò ad aggiungere, facendo aderire la striscia beige al ginocchio piegato di Sherlock. «Ecco qua, come nuovo.»
Lui annuì, osservando con interesse il cerotto arricciarsi ai bordi, dove non riusciva a fare sufficiente presa sulla pelle. Sollevò un angolo con un dito, fermandosi non appena John - ancora in ginocchio di fianco a lui - gli intimò di smettere con sguardo severo.
«Ho capito. Seconda intenzione» sbuffò Sherlock, appoggiando i palmi a terra per aiutarsi a tornare in piedi. «Noioso.»
«Di sicuro non entusiasmante, ai tuoi occhi, come provocare quel bullo di Jonathan Boyd fino a farti prendere a botte» sospirò John, alzandosi a sua volta.
«Qualcuno doveva pur informarlo delle sue evidenti somiglianze con un macaco» ribatté Sherlock, sollevando le spalle.
«Un… che?»
«Un macaco. Ho visto un documentario ieri, sulla BBC One. Sono piccole scimmie dispettose.»
John spalancò gli occhi, gonfiando il petto nel tentativo di trattenere la risata che sentiva allargarsi sempre più tra sterno e gola. Alla fine, con uno sbuffo soffocato, lasciò uscire tutta l’aria insieme, in una singhiozzante crisi di riso.
«È un primate!» si risentì Sherlock, alzando la voce. «Non è poi così offensivo, essere paragonati ad un primate! A ben vedere non lo è affat-» continuò, con tono sempre più sostenuto, bloccandosi all’improvviso. Una minuta goccia di sangue – scura e vischiosa – stava scorrendo lenta sulla guancia dell’altro. Sherlock ne seguì il percorso a ritroso con gli occhi, scoprendo una piccola ferita sul suo sopracciglio destro di John.
«Che c’è?» si bloccò lui, smettendo di ridere e tornando serio. «Tutto ok?»
Sherlock aggrottò la fronte, assumendo un’espressione sospesa tra preoccupazione e senso di colpa.
«Sherlock?» tentò ancora l’altro, portandosi istintivamente una mano nel punto dove lo sguardo teso dell’amico stava puntando. «Oh» commentò poi, sorpreso, quando il bruciore attorno alla pelle lesionata si accese di colpo sotto ai suoi polpastrelli. «A quanto pare mi aveva preso, in qualche modo, con quel pugno» si meravigliò, scuotendo le spalle con noncuranza subito dopo. «Non importa, sarà un graffio.»
«Sta’ fermo!» gli ordinò Sherlock, allontanandogli con forza la mano dal viso. «Ti rimarrà il segno, se continui a strofinarci sopra terra e sporcizia! E l’unica cosa che penserai ogni volta che ti guarderai allo specchio sarà che hai una cicatrice perché Sherlock Holmes ha dato del macaco a Jonathan Boyd, invece di stare zitto, e lo hai dovuto difendere» gemette, accorato, il volto attraversato da una angoscia profonda.
John socchiuse la bocca, sorpreso. Si lasciò guidare docilmente il braccio fino al fianco, combattendo l’istinto di tornare a toccarsi la fronte.
«Sherlock…» sussurrò, la mano dell’altro ancora stretta attorno al polso. Lui abbassò gli occhi, rimanendo in silenzio.
«Ho avuto un’idea!» esclamò John, con tono allegro, qualche secondo dopo. «Lo sai cosa impedirebbe che rimanga il segno?» domandò, cercando di allontanare la tristezza improvvisa che stava adombrando le iridi chiare dell’amico.
Sherlock scosse la testa, ancora attraversato da una profonda inquietudine.
«Metterci un cerotto» sorrise John, indicando l’ingresso di casa sua, alle loro spalle. «Ti andrebbe di aiutarmi? Papà ne ha una confezione intera, nella valigetta bianca in bagno» aggiunse, prendendo le mani di Sherlock tra le sue e iniziando a camminare all’indietro, diretto al portico. 
«Comunque… – sussurrò, il viso leggermente arrossato – se rimane la cicatrice, non è poi un grosso problema.»
«Perché ti ricorderebbe di non metterti più in mezzo tra me e uno del quinto anno?» domandò Sherlock, sconsolato.
«Perché mi ricorderebbe che, finché siamo insieme, nulla può farci davvero del male. Noi due contro il resto del mondo, ricordi?»
«Per sempre?» sussurrò l’altro, con poca convinzione.
«Per sempre» confermò John, aprendosi in un enorme sorriso, in risposta e quello timido che stava sbocciando – splendido - sul volto dell’amico.
 
 
 

 
Angolo dell’autrice:
 
approfitto di questo spazio, come prima cosa, per ringraziarvi.
State accompagnando queste giornate di attesa, e non posso che esservene grata.
Prometto di rispondere alle recensioni al più presto.
Le leggo sempre ma, purtroppo, ho a disposizione solo piccoli scampoli di tempo tra una commissione e l’altra e – se posso – cerco di occuparli scrivendo. ^_^
 
A presto,
B.
 

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Capitolo 4
*** Famiglia ***




Prompt
: “Hospital visits”
Tipo di coppia: Slash (Johnlock)
Rating: Verde

 
 
 

Famiglia
 
 

«Mi dispiace, non posso farla entrare.» L’infermiera alzò le spalle, scuotendo la testa. «Oltre l’orario di visita sono ammessi solo i parenti» spiegò, in un inglese incerto, indicando il cartello alle proprie spalle.
Sherlock lesse l’avviso con aria insofferente, sillabando ogni parola con le labbra socchiuse.
«Très bien» rispose dopo qualche secondo, rispolverando dal Mind Palace tutto il francese del quale fosse a conoscenza e abbassando gli occhi sulla donna. «Je pense que nous pourrions obtenir un accord.»
 
«Bonjour chéri» esordì qualche minuto più tardi, entrando trionfante nella piccola stanza dove John – la gamba destra tenuta in trazione da grosse corde metalliche – stava riposando, la testa reclinata da un lato e le mani strette sul petto.
Il medico socchiuse gli occhi, confuso. Impiegò qualche secondo prima di riuscire a mettere a fuoco il profilo dell’altro, in piedi di fianco alla porta.
«Sherlock…» sussurrò, rauco, cercando di mettersi seduto. «Pensavo ti avessero fatto uscire…» aggiunse, un sollievo evidente nella voce.
«Visto la tua pressoché nulla conoscenza dell’idioma parlato dal personale medico, era impensabile che ti lasciassi solo e mi limitassi a farti visita per due misere ore al giorno» ribatté il detective, avvicinandosi al letto. John aggrottò la fronte, sbattendo un paio di volte le palpebre. «Sono i farmaci, o hai appena esposto un pensiero gentile riuscendo comunque a darmi dell’incompetente?» rise, fingendosi offeso. «Ad ogni modo, non ho capito cosa hai detto entrando, poco fa.»
«Nulla, era sol-» cominciò Sherlock, interrotto dal suono di passi lungo il corridoio. L’infermiera si affacciò nella stanza, un sorriso dolce sul viso. «Vous allez bien?» domandò al detective, lanciando un’occhiata complice a John. Lui sollevò un sopracciglio, disorientato.
«C'est bon, merci» la tranquillizzò Sherlock, chiudendo la mano destra del medico nella propria. John avvampò di colpo, spalancando gli occhi e la bocca. «Che…» cominciò. Il detective si girò verso di lui, facendogli un veloce occhiolino e aumentando la presa attorno alle sue dita.
La donna li osservò per qualche secondo con aria complice, prima di salutare e chiudere la porta dietro di sé. Per un lasso di tempo imprecisato, i due rimasero immobili. John basito, gli occhi fissi sulla mano del detective. Lui in piedi accanto al letto, concentrato sul calore che sentiva irradiarsi sotto il palmo.
«Sherlock…?» provò il medico qualche istante dopo, il viso in fiamme.
«Come?» sembrò scuotersi lui, girandosi verso l’altro. «Ah, sì. Certo» commentò, liberando la mano di John dalla sua stretta.
«Mi vuoi dire cosa sta succedendo…?»
«Nulla di importante» rispose il detective, andandosi a sedere su una delle poltrone a lato del letto. «Ho dovuto dire una piccola bugia, per poterti garantire una mia presenza costante come sostegno e interprete.»
«Che tipo, esattamente, di bugia?» si informò John, continuando a guardarsi la mano. La sensazione della pelle dell’altro stava scomparendo poco a poco e, si rese conto, la cosa lo rattristava.
«Una sciocchezza» replicò Sherlock, cercando una posizione comoda per riuscire a riposare. «Ho detto loro che siamo sposati.»
«Tu… Cosa?» balbettò John, iniziando a tossire convulsamente, la saliva incastrata in gola.
«Erano ammessi solo i parenti, quindi mi sono informato su che tipo di controllo applicassero per la verifica della familiarità» rispose il detective, senza scomporsi. «È venuto fuori che era sufficiente compilare un modulo ed assumersi, in caso, ogni responsabilità di un’eventuale falsa dichiarazione» terminò, alzando le spalle con noncuranza. «Dubito che verranno mai a Londra a contestarmi un reato minore compiuto a Parigi.»
«Per… questo, mi hai preso la mano?» domandò il medico, sollevando con un certo sforzo gli occhi dalle proprie dita.
«Una copertura, per poter risultare credibile, necessita di piccoli accorgimenti. Da’ alle persone ciò che si aspettano di vedere, e non noteranno nient’altro.» Il detective si lasciò scivolare in avanti, allungandosi in diagonale sulla seduta.
John rimase ad osservarlo, in silenzio, per qualche secondo. Con il collo piegato in modo innaturale e le gambe lunghe e magre quasi per intero fuori del cuscino della poltrona, sembrava quasi fragile, indifeso. Improvvisamente non era più il grande Sherlock Holmes, il detective delle incredibili capacità che lo aveva trascinato sino in Francia per riuscire ad assicurare alla giustizia un pericoloso latitante. Non era più nemmeno la persona carica d’ira cieca che aveva minacciato di morte il fuggitivo – prima che il tempestivo arrivo della polizia gli impedisse di compiere qualche gesto avventato – perché, durante la colluttazione seguita al suo tentativo di fuga, gli aveva spezzato tibia e perone in vari punti. Era un uomo che, senza lamentarsi, cercava di trovare una posizione adatta a poter riposare su una poltrona troppo piccola per lui.
Un pensiero improvviso attraversò la mente del medico come una lama: non avevano fatto altro, da quando si erano conosciuti. Si erano adattati l’un l’altro giorno dopo giorno, a costo di stare scomodi, pur di non lasciare mai l’altro da solo. E, sebbene Sherlock lo avesse fatto sempre in modi tanto bizzarri da risultare spesso molesti, non c’era stato un solo momento importante nel quale non fosse stato presente.
«Non puoi dormire in quella posizione» sussurrò John, spostandosi di lato per quanto reso possibile dai ganci che gli ancoravano la gamba alla struttura metallica posta attorno al letto.
«Non dormo. Riposo» rispose l’altro, scivolando ancora un po’ in avanti.
«Certo. Dimentico che il grande Sherlock Holmes non dorme mai» sorrise il medico, battendo la mano nello spazio libero che si era venuto a creare di fianco a lui. «Puoi riposare qui, se vuoi» suggerì, spostandosi ancora di qualche centimetro. «Questo letto è enorme. E non credo ti faranno storie, visto che siamo sposati» aggiunse, con tono allegro.
Sherlock alzò un sopracciglio.
«Domani mattina dovrai andare a rilasciare una dichiarazione su quanto successo, non credo tu voglia andarci con la schiena a pezzi» insistette John.
«La mia schiena starà benissimo» lo tranquillizzò il detective, con fare sbrigativo.
«Come vuoi» si arrese l’altro, riportandosi al centro del materasso e affondando la testa nel cuscino.
Rimasero in silenzio qualche secondo, entrambi con gli occhi chiusi.
«Pensi ma a come sarebbe?» chiese John in un sussurro, quando il silenzio iniziò a sembrargli troppo pesante. Le palpebre ancora abbassate, ebbe la sensazione che l’aria fosse divenuta elettrica, così come i suoi respiri.
«Come sarebbe cosa?» Sherlock socchiuse gli occhi, accigliandosi.
«Essere sposato. Avere una famiglia tua» rispose il medico, rimanendo immobile.
«Il concetto di famiglia è ampio» replicò il detective e, per un istante, la sua voce parve tremare. «Potrei affermare di averne già una, ad esempio. Formata da me, il mio lavoro… e te.»
John socchiuse le labbra, sorpreso, voltandosi in direzione dell’altro. «Mi ritieni la tua famiglia?» sussurrò, il respiro fermo al centro del petto.
«Il significato etimologico di “famiglia” è “piccola comunità di persone che abitano nella stessa casa". Come vedi…»
«Avanti, sai che non intendevo “famiglia” in senso etimologico» lo interruppe John, sospirando. «Intendo: non pensi mai a come sarebbe trovare qualcuno da amare, con il quale progettare il futuro…»
«Perché dovrei» ribatté Sherlock, aiutandosi con le mani a tornare seduto in modo corretto.
«Perché è nella natura degli esseri umani creare legami, e cercar-»
«Non è nella mia natura cercare qualcosa che già possiedo. Perché dovrei comprare – o desiderare - un nuovo pacchetto di sigarette se ne ho già uno nascosto sotto il divano?» spiegò, portando le mani davanti a sé.
«Tu… cosa? Pensavo di averli buttati tutti!» John prese un profondo respiro, scuotendo la testa. «Okay, va bene. Di questo parleremo poi. Comunque non credo tu abbia colto il punto.»
«No, John, sei tu a non averlo colto» commentò il detective, con voce bassa.
Il medico aggrottò le sopracciglia, confuso.
«Non ho bisogno di immaginare come sarebbe, avere una famiglia» sussurrò Sherlock, alzando le spalle. «Perché ne ho già una.»
«È bello che tu pensi a me e al tuo lavoro come a una famiglia, ma ci sono tanti aspetti che non prendi in considerazione, facendolo. Ad esempio l’affetto, l’amore, il coinvolgimento sentimentale e fisico, e…» John si bloccò, gli occhi immobili sul volto serio dell’altro. «Aspetta… In realtà tu li prendi in considerazione, non è vero?» balbettò poi, mentre la verità diveniva limpida davanti ai suoi occhi. «Dio…» esalò, agitato. «Certo che li prendi in considerazione… quando mai hai tralasciato un aspetto, nel formulare un’affermazione…»
Sherlock abbassò gli occhi per qualche secondo, deglutendo. Poi li riportò sul viso dell’altro, cercando di rimanere impassibile. «Come ho già ribadito, non è mia abitudine cercare qualcosa che già possiedo. Che la mia idea di famiglia non sia condivisa da un altro membro della stessa è, ai fini del mio sentirmici parte, ininfluente. Adesso, se vuoi scusarmi, credo che andrò a fumare una delle sigarette del pacchetto nascosto nella nostra stanza d’albergo» terminò, alzandosi.
«Ho sempre pensato non ti interessassero, queste cose» ammise John, con voce roca, osservando l’altro indossare con un veloce movimento di spalle il proprio cappotto.
Sherlock si bloccò, guardandolo con aria interrogativa.
«Tutti quei discorsi sull’amore, su come renda sciocchi, fragili, e andrebbe evitato…» continuò il medico, un sorriso amaro sul viso.
«L’amore rende fragili, logora i rapporti, e andrebbe evitato» confermò il detective. «Ne stiamo avendo una prova lampante proprio adesso» sottolineò, iniziando a chiudersi i bottoni del soprabito.
«L’amore rende fragili se si sceglie di maneggiarlo come se fosse un’arma.»
«Io ho scelto anni fa di non maneggiarlo affatto. Eppure, eccone le schegge.» Sherlock si portò le labbra tra i denti, lasciando vagare lo sguardo nella stanza per qualche secondo. «Sarò di ritorno prima del prossimo giro di visita.»
«Non…» iniziò John, puntellandosi sulle mani per potersi tirare più su possibile. «Potresti non andartene, per favore?» chiese, con voce bassa.
Il detective inclinò la testa da un lato. «Non ho intenzione di continuare a parlare di questo, se è quello che vuoi fare» chiarì, nel tono una durezza che John non aveva mai sentito prima.
«Va bene» acconsentì il medico, annuendo. «Non parlare di questo, se vuoi. Ma ho bisogno di farlo io. Perché è questo che si fa, in una famiglia.»
«John.»
«Quindi adesso siediti e lascia che dica io un paio di cose» continuo John, senza dar segno di averlo sentito. «Sono anni, anni, che ti sento ripetere quasi quotidianamente quanto i rapporti siano poco più che meri strascichi dei nostri istinti atavici…»
«A ben guardare non è possibile negarl-»
«Quanto chi ama sia debole, irrazionale, menomato.»
«Anche questo…»
«Sono anni che mi sento un completo idiota, davanti alla tua algida figura da virtuoso del pensiero, da incorrotto portatore della verità su cosa sia da uomini savi e cosa da bestie irrazionali.»
«Non ho mai dett-»
«Sono anni, maledizione, che sbatto come una mosca contro un muro di gomma, cercando di trovare qualcuno in tutta Londra che possa anche solo per un secondo adombrare la tua onnipresente figura nella mia povera mente da uomo normale, che riesca a oscurare, e zittire, quella voce nella mia testa che ripete senza tregua da quando ti ho conosciuto che mai nessuno in nessuna parte del mondo sarà mai abbastanza per prendere il tuo posto nella mia esistenza, anni che giro come un satellite cieco attorno ad un pianeta che non mi scorge se non quando mi trovo ad oscurare per qualche secondo la sua visuale rispetto ad un enorme sole di raziocinio e logica, e tu, oggi…»
Le labbra del detective premute con forza contro le proprie, John sentì le parole spengersi in gola. Tutta la frustrazione percepita fino ad un attimo prima scomparve tra le mani fredde dell’altro, che gli racchiudevano il viso con una presa salda ma delicata.
Si staccarono, senza fiato, qualche attimo dopo, rimanendo a fissarsi in silenzio.
«Vuoi…?» riuscì a dire John, dopo un paio di tentativi, tornando a spostarsi di lato rispetto al materasso.
Sherlock - con un movimento lento e fluido - si sdraiò accanto a lui raggomitolandosi in posizione fetale, la testa china sul petto e vicina a quella dell’altro.
«Forse dovresti toglierti il cappotto, sai?» commentò il medico, cercando di parlare normalmente nonostante il frastuono del proprio cuore che si agitava nel petto.
Il detective si sfilò il soprabito senza alzarsi, lasciandolo cadere a terra.
«Da quanto… Da quanto pensi che siamo una famiglia?» domandò John in un sussurro, quando il silenzio divenne troppo prolungato.
«Dal primo giorno, penso. Non ricordo con precisione, all’epoca tendevo a catalogare i ricordi legati alle emozioni per aree troppo vaste1)
«Adesso non lo fai più?»
«Non quelli che riguardano te, no» mormorò il detective, alzando un po’ la testa.
John prese un respiro profondo, cercando di combattere la commozione che sentiva premere all’altezza del petto. Si chinò verso il detective, sforandogli la fronte con la propria.
«E tu? Da quando ti senti “un satellite cieco”?» domandò lui, serio.
«C’è stato un pomeriggio, circa tre mesi dopo il mio trasferimento Baker Street, nel quale sono uscito dalla clinica pensando che ero davvero felice di tornare a casa» ricordò John, cercando di girarsi verso l’altro senza mettere in tensione i fili che sorreggevano la gamba. «Mentre mi avviavo verso la metro, all’improvviso, mi sono reso conto che “casa” non significava più Baker Street, ma te» confessò, impacciato. «Perché diamine abbiamo aspettato che finissi ricoverato in una clinica francese, per dirci tutto questo?»
«Non lo so» ammise Sherlock. «Forse perché non ho mai dovuto fingere che fossimo sposati, prima di oggi» ipotizzò, aprendosi in un sorriso impacciato. John rimase qualche secondo immobile, osservando con meraviglio il viso dell’altro illuminarsi.
«A tal proposito…» sussurrò il medico, incantato, portando una mano sul volto del detective. «Grazie, per essere rimasto.»

«Sei la mia famiglia» rispose semplicemente il detective, in un sussurro, chiudendo gli occhi.

«E tu la mia» aggiunse John, le labbra a sfiorare quelle dell’altro.
 
 
 
 
 
Note:
 
1) Sto leggendo un libro, interessantissimo, dal titolo “Mastermind: pensare come Sherlock Holmes” di Maria Konnikova.
Nel testo si analizza il metodo di pensiero di Holmes (in opposizione a quello di Watson, più simile a quanto messo in opera ogni giorno da tutti noi), insegnando metodi per allenare la mente a ragionare in modo più pulito e logico.
Oltre che una buona guida, è anche un appassionante viaggio nell’intelletto del nostro amato detective, e ne consiglio caldamente la lettura. :)
So che la frase al termine della quale ho aggiunto la nota potrebbe sembrare “poco sentimentale”, considerando che Sherlock ammette di non ricordare con esattezza il momento nel quale ha iniziato ad amare John.
Ma leggendo il libro della Konnikova si impara presto che non è facile fissare un ricordo se, mentre lo si vive, non si ha la sensazione forte che sia indispensabile e vada custodito. E Holmes è il primo a definire la propria mente come un contenitore dove scegliere accuratamente cosa inserire o meno.
Ho immaginato che, semplicemente, un giorno abbia guardato John e si sia reso conto in modo coscientemente di amarlo e di averlo sempre fatto.
Non potendo recuperare ricordi cancellati (la prima volta che ha sentito lo stomaco contrarsi vedendo l’altro, ad esempio, sensazione sulla quale magari non si era focalizzato, preso da caso o da un esperimento), ha volutamente scelto di custodire gelosamente tutti i successivi.
Non lo so, mi sembrava una scelta romantica, vista nell’ottica “Sherlock Holmes”. ^_^’’



Angolo dell’autrice:
 
Ancora una volta, grazie.
Sto diventando (ma ho il sospetto di esserlo sempre stata! XD) ripetitiva, me ne rendo conto. Spero che possiate perdonarmi. ^_^’’
Mancano 19 giorni al rientro. La casa è completamente a soqquadro, e la mia mente assieme a lei.   
Scrivere queste piccole OS mi sta aiutando molto, e spero che possano essere una buona compagnia anche per voi.
 
A presto,
B.
 

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Capitolo 5
*** Sentieri ***




Prompt
: “Scar worship”
Tipo di coppia: Slash (Johnlock)
Rating: Verde

 
 
 

Sentieri
 
 

John - postura rigida e sguardo scuro - prende un respiro profondo, serrando le mani a intervalli regolari nel tentativo di mantenere la calma.
«Quante volte dovrai vederle, esattamente, prima di abituarti alla loro presenza?» domanda Sherlock senza voltarsi, un asciugamano di spugna bianca stretto attorno alla vita. «È tessuto cicatriziale, John. Spiegarti ancora una volta come si sia formato sarebbe un insulto alla tua formazione medica ancor prima che alla tua intelligenza.» Con passo veloce si avvicina al proprio armadio, aprendo l’anta destra quel tanto da riuscire ad inquadrare il medico nel piccolo rettangolo formato dallo specchio che vi è attaccato sopra.
John alza un sopracciglio, abbozzando un sorriso teso che gli inarca solo una parte delle labbra.
«Non lo so, esattamente» risponde, ricalcando il tono di voce dell’altro. «Forse un altro paio di volte. Forse mai» ammette, scrollando le spalle. «Ed è proprio perché so come si è formato, che fingere che sia normale non mi è possibile.»
Il detective lo osserva attraverso il riflesso, abbassando velocemente lo sguardo. Poi, in silenzio, comincia a cercare tra i vestiti appesi un abbigliamento consono a ritirare il premio che Lestrade ha insistito - in modo a tratti molesto - che venisse loro consegnato per l’ultimo caso risolto.
«È passato. Non puoi cambiarlo» riprende dopo qualche secondo, la voce ovattata dalla fila di camicie appese che sta facendo scorrere davanti agli occhi.
«Vero. Ma non puoi pretendere che non mi senta… in colpa. Che non siano un memento costante a ciò che hai dovuto passare. Che io ho dovuto passare. Cosa dovrei fare? Venerarle?»
«Perché no» ribatte il detective, voltandosi di scatto verso l’altro. «È quello che faccio io. Le onoro ogni mattina, ogni volta che sento la pelle tirare, o dolere. Ringrazio che siano lì, ed io sia qui. Non sono il simbolo di un fallimento, ma l’emblema di una vittoria.»
John aggrotta la fronte, inclinando la testa da un lato.
«Non mi hai permesso di esserci. Di proteggerti. Di guardarti le spalle» sussurra qualche secondo dopo, e sembra improvvisamente stanco, triste, arrabbiato.
«Avevo bisogno di un porto al quale fare ritorno, John. Un faro non può far luce, se lo porti con te nelle tenebre.» Sherlock si volta nuovamente verso l’armadio, indossando la camicia scelta con un movimento fluido.
«Non pretendo che tu capisca. Ti chiedo solo, se puoi, di non odiarle» conclude, cominciando a chiudersi i bottoni.
«Non le odio…» si arrende l’altro, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. «Non potrei. È solo…»
«Una volta mi hai detto che la cicatrice dello sparo sulla tua spalla ti ricordava costantemente perché vivere, avendoti mostrato quanto fosse facile morire» lo interrompe il detective, le dita impegnate a far entrare i bottoni nelle asole dei polsini. «Loro mi hanno insegnato per cosa vivere, mentre mi veniva mostrato quanto fosse difficile morire.»
«Sherlock…» John chiude gli occhi, il respiro bloccato in gola. Scuote la testa, mentre il cuore sembra farsi piccolo e fragile nel suo petto.
«Ognuna mi ha riportato un passo più vicino a Londra. A te. Sono state i miei sentieri verso casa. E non posso che ringraziarle, per questo.»
«Vieni qui» sospira il medico, aprendosi in un sorriso emozionato. Si porta velocemente vicino all’altro, appoggiandosi con la testa contro la sua schiena. Sherlock socchiude occhi e labbra, sorpreso. «Lo sai che ti amo, vero?» gli sussurra John tra le scapole, le labbra contro il cotone della camicia.
«Certo» conferma il detective, confuso. «Ho detto qualcosa di sbagliato?» domanda poi, con tono e sguardo disorientato.
«No. Niente di sbagliato» lo rassicura John, appoggiandogli un bacio al centro della schiena, dove una delle cicatrici più spesse solca il tessuto teso che la copre. «Volevo solo dire “grazie”. Vogliamo andare?»
 
 


 
Angolo dell’autrice:
 
è stato particolarmente difficile, lo ammetto, trovare un modo per affrontare questo prompt. Ogni idea mi sembrava assolutamente OOC, e ho iniziato a comporre questa OS più e più volte, finendo sempre col cestinare ogni cosa scritta.
Non sono sicura di aver ottenuto un buon risultato (ed è piuttosto evidente che abbia spudoratamente “barato”, nello sviluppo della traccia data! XD), ma non sarei stata in grado di affrontare il tema in altro modo.
 
I preparativi procedono e, ormai, mi sembra di essere sospesa tra due mondi. Non so, esattamente, come sentirmi a riguardo. Ma scrivere mi sta aiutando molto.
 
Grazie infinite, come sempre e di cuore, a chiunque abbia letto fin qui. ^_^
 
Provvederò al più presto a rispondere alle vostre recensioni, prometto!

A presto,
B. 
 



 
P.S.: “Brainteaser” esce oggi anche in versione eBook. 
È per noi (per me, ma soprattutto per Sasha ed Alex) l’inizio di una nuova avventura,
che si affianca a quella meravigliosa cominciata a giugno di questo anno.

Ancora una volta vi chiedo (se vi va) di pensare a noi con affetto e incrociare le dita.

È un’energia inestimabile, quella del vostro sostegno. ^_^

Se volete dare un'occhiata lo trovate qui:


 e 


 

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Capitolo 6
*** L'eccezione ***




Prompt
: “Making fun of one another”
Tipo di coppia: Slash (Johnlock)
Rating: Verde

 
 
 


L'eccezione
 
 

Sherlock si lasciò andare contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto e assumendo l’espressione più oltraggiata della quale fosse capace. «Come ho già avuto modo di dire una volta… o almeno mi sembra di ricordare di averlo fatto… Conosco la cenere! 1) Non dirmi che non la conosco!» sibilò, offeso.
«Non lo contraddire, per carità. Sarebbe capace di prenderti a pugni, pur di difendere la sua conoscenza della cenere» rise John, seduto di fianco al detective, alzando uno sguardo divertito su Greg. «L’ho visto con i miei occhi» aggiunse con un sorriso, scuotendo la testa e portandosi il boccale di birra alle labbra.
«Insinuare che non la conosca è un’affermazione che lede il mio onore, “John-tre-continenti2)”, e…» lo rimbeccò rapido il detective, il viso arrossato e gli occhi lucidi.
«John cosa?» tossì Greg cercando di riprendere fiato, il respiro bloccato tra la birra che gli era appena andata di traverso e una risata mozzata.
«Il dottor Watson si vanta di avere un'esperienza in campo amoroso che si estende “su molte nazioni e tre diversi continenti”» spiegò Sherlock, gesticolando in modo confuso. «Come se fosse possibile.»
«Non potendo vantare la conoscenza di duecentoquaranta3) tipi di tabacco…» lo punzecchiò John, il viso coperto per metà dal bicchiere.
«Cos…?» Sherlock inclinò la testa da un lato, confuso, socchiudendo gli occhi per qualche istante prima di spalancarli subito dopo aver compreso a cosa l’altro stesse facendo riferimento. «Ehi! Questo è un colpo basso!» si lamentò, con tono insolitamente alto. «E comunque sono duecentoquarantatre, i tipi di tabacco» protestò, girandosi di scatto verso il medico.
«Non era un colpo basso. La verità è che sei la regina del dramma» si limitò a rispondere lui, alzando le spalle.
«Detto dall'uomo che diventa del tutto irragionevole non appena si prende in prestito il suo computer è quasi divertente!» Sherlock si voltò in direzione di Greg, portandosi la mano destra a protezione della bocca. «Ieri sera ha fatto una scenata incredibile» confidò all’ispettore, con un fare complice accentuato dall’alcool bevuto fino a quel momento.
«Non sapevo che “prendere in prestito” fosse sinonimo di “smontare ogni singola componente per provare la resistenza al fuoco della scheda madre”» rispose John, piccato, la voce lievemente impastata.
«Potrebbe sempre tornare utile. E non sono responsabile delle tue evidenti lacune su grammatica e vocabolario della tua stessa lingua» ribatté Sherlock, alzando il mento in un gesto altezzoso.
«Scusa, mi ero dimenticato che preferisci di gran lunga l'astronomia, non è vero?» John terminò la birra rimasta in un unico sorso, sorridendo ironico in direzione del detective.
«Che succede?» Mike Stamford - bicchiere di vino rosso in mano e sguardo sorpreso - prese posto accanto a Greg. «Mi sono perso qualcosa?» gli domandò poi in un sussurro, leggermente preoccupato.
«John e Sherlock si sono ubriacati e si stanno rinfacciando cose assurde» bisbigliò lui di rimando, cercando di non farsi sentire dai due seduti all’altro capo del tavolo. «Il miglior addio al celibato che potessi chiedere.»
«L'astronomia4) è inutile. Sapere come aprire una cassaforte potrebbe tornare più utile, nella vita» si giustificò il detective, alzando un sopracciglio e finendo a sua volta la birra rimasta nel boccale.
«Soprattutto se la combinazione della cassaforte sono le misure di una dominatrice che si è seduta nuda sulle tue gambe, dico bene?»
«Cosa?!» proruppero all’unisono Greg e Mike, gli occhi sgranati.
«NULLA!» risposero insieme John e Sherlock, voltandosi in loro direzione per qualche secondo prima di tornare a rivolgersi l’uno verso l’altro.
«Ancora? Perché dobbiamo sempre finire a parlare di lei?» chiese il detective, prendendo un respiro profondo.
«Dimmelo tu, signor “le donne non sono la mia area”» lo rimbeccò l’altro, con voce stridula.
«Forse perché sono così tanto la tua, di area, che non fai che vederle ovunque e inserirle in ogni discorso!» esplose Sherlock, alzandosi.
«Questo non è giusto!» John si sollevò a sua volta, muovendo un paio di passi traballanti in direzione dell’altro. «Dove stai andando?»
«No. Ingiusto è che tu debba costantemente cercare di legarmi ad una qualche donna per sentirti libero di fare altrettanto!» rispose Sherlock, caparbio. «Sto andando a prendere da bere, ad ogni modo!»
«Non essere ridicolo! Cerco di “legarti costantemente” a qualcuno perché almeno, se accadesse, saprei che hai delle pulsioni anche tu, come tutti noi!» continuò John, appoggiandosi con una mano al tavolo e con l’altra sulla sedia occupata fino a poco prima dal detective.
Greg diede una sorsata, in silenzio. Con la coda dell’occhio vide Mike fare altrettanto, lo sguardo attento, ma sereno, fisso su John e Sherlock.
«Per l’amor del cielo!» sospirò il detective, allargando le braccia. «Certo che ho delle pulsioni! Sono un essere umano!» esplose, con voce scura.
Il medico raddrizzò le spalle, sorpreso. «Sono anni che viviamo insieme! Mai un appuntamento, una cena fuori, un coinvolgimento…» iniziò, con tono dubbioso.
«Ho costantemente appuntamenti, vado a cena fuori almeno due volte alla settimana e...» cominciò Sherlock, venendo interrotto subito dalla voce concitata dell’altro.
«Ma quello non conta! Non puoi pensare alle nostre uscite come ad appuntamenti!» annaspò John, muovendo le mani davanti a sé.
«Perché no?» si limitò a rispondere il detective, alzando le spalle.
Per un attimo il rumore del pub nel quale erano seduti sembrò scomparire, inghiottito da un silenzio frastornante. Greg si schiarì la gola un paio di volte, teso. Mike, serafico, sorrise bevendo un altro sorso di vino.
«P-Perché dovresti uscire con qualcuno che ti piace? Che ami?» azzardò John, sollevando un sopracciglio.
Il detective sbatté un paio di volte le palpebre, muto.
«Davvero pensi alle nostre uscite come appuntamenti romantici?» domandò sbigottito il medico, ricevendo in risposta – nuovamente – un battito d’occhi imbarazzato e un’ostinata reticenza a proferire parola da parte di Sherlock.
«Oh…» comprese alla fine John, arrossendo violentemente davanti al volto altrettanto paonazzo dell’altro.
Greg diede un’ultima sorsata alla propria birra, battendosi sulle gambe un paio di volte prima di alzarsi. «Ok… credo che adesso Mike ed io ci allontaneremo…» li informò, venendo del tutto ignorato dai due che - ancora in silenzio - si stavano osservando con l’espressione sorpresa di chi, appena stato colto da un’epifania, comincia a guardare il mondo con occhi nuovi.
 
«Magari è la volta buona che riescono a dichiararsi…» sussurrò Mike un paio di minuti più tardi, sedendosi al bancone con Greg.
«Speriamo» rispose l’ispettore, voltandosi velocemente in direzione del tavolo. Sherlock e John, di nuovo seduti vicini, si stavano parlando a bassa voce, le teste quasi a sfiorarsi. «Sono anni che aspettiamo solo che trovino il coraggio!»
«Sherlock sembra quasi dolce in questo momento, non è vero?» commentò Mike, affabile.
 
«Comunque conosco la cenere!» proruppe il detective pochi istanti dopo, girandosi quel tanto da riuscire a mettere a fuoco Greg. «Non dirmi che non la conosco!» aggiunse, cocciuto, prima di tornare con la fronte contro quella di John.
 
«Sì…» confermò l’ispettore, con un sospiro rassegnato. «Dolcissimo. Ma solo se ti chiami John Watson.»
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
“Making fun of one another”. Letteralmente: “prendersi in giro l’un l’altro”.
Quindi sì, ancora una volta ho spudoratamente barato nello sviluppo del prompt. XD
Chiedo scusa, ma non immaginavo che sarebbe stato così difficile! ^_^’’
 
Avrete sicuramente riconosciuto i piccoli richiami al canone e alla serie che ho inserito qua e là, quindi li tratterò velocemente:
 
1) Sherlock lo urla, ubriaco (da qui l’idea che non ricordi bene), ad un uomo nel pub dove si trova con John per festeggiare l’addio al celibato durante TSoT (3x02).
2) Ne “Il segno dei quattro” viene detto che il dottor Watson ha, in fatto di donne, "un'esperienza che si estende su molte nazioni e tre diversi continenti".
3) Nel canone, Holmes è autore di una monografia su come distinguere le ceneri di vari tabacchi. È una trattazione che analizza 140 specie di cenere di sigaro, sigarette e tabacco da pipa, con numerose tavole colorate illustrative. Viene menzionata in “Uno studio in rosso”, ne “Il segno dei quattro” e ne “Il mistero di Valle Boscombe”.
Un ringraziamento speciale ad adlerlock per essersi ricordata il numero esatto!
4) In “Uno studio in rosso”, Watson stila un elenco di 12 punti sulle conoscenze di Holmes. Al punto 3 di questa lista si legge: “Conoscenza dell’astronomia – Zero”. Nella serie, in TGG (1x03), Sherlock conferma di aver cancellato l’informazione che la Terra giri attorno al Sole, perché inutile.
 
Vi ringrazio - come sempre e di cuore - per aver letto fin qui, deciso di lasciare un commento, e/o aggiunto la storia ad una delle categorie. ^_^
 
A presto,
B.
 
 
 

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Capitolo 7
*** Custodi ***




Prompt
: “A death of someone close"
Tipo di coppia: /
Rating: Verde
Avvertimenti: AU; kid!lock

 
 
 


Custodi
 
 

«Era… mio… amico.» Sherlock reclinò la testa all’indietro, cercando di trattenere le lacrime che sentiva premere ai bordi degli occhi.
Mycroft, seduto di fronte a lui, annuì stirando le labbra in un’espressione tesa. «Lo so» sussurrò, irrigidendo la postura. «È per questo che ti ho detto più volte di non affezionarti troppo. Che non sarebbe stato un vantaggio» sospirò, scuotendo la testa. «Era già molto anziano, quando mamma e papà lo hanno portato a casa.»
Il fratellino annuì, il collo ancora piegato verso lo schienale della sedia. Tirò su col naso un paio di volte, cercando di sciogliere il nodo tenace che gli stringeva la gola.
«Pensi che attaccarsi a qualcuno sia sempre un errore?» singhiozzò qualche secondo dopo, rialzando il capo e fissando il maggiore con due enormi occhi azzurri, liquidi e arrossati.
«Penso che si debbano conoscere pro e contro di ogni scelta che si decide di prendere» rispose lui, facendo girare il manico dell’ombrello che teneva stretto tra le mani. Piccole gocce d’acqua si staccarono dalla tela scura, cadendo sul pavimento lucido. «Amare qualcuno è un privilegio. Ma legare il proprio cuore a quello di qualcun altro può anche portare dolore.»
«Perché?» domandò Sherlock, passandosi velocemente le maniche del maglione sugli occhi, per asciugarli.
«Perché non sempre si può proteggere quanto si vorrebbe ciò che si ama» ribatté l’altro, con un sorriso triste. «Rendersene conto è uno dei vantaggi di una mente sveglia e operosa… ma è anche un grande fardello col quale convivere.»
«Holmes?» li chiamò una giovane donna in camice bianco, avvicinandosi. «Adesso potete riportare Redbeard a casa» comunicò dolcemente, appoggiando una mano sui riccioli scuri di Sherlock. Lui si lasciò scivolare giù dalla sedia della sala d’aspetto, attendendo che il fratello allungasse una mano in sua direzione per entrare assieme nella piccola sala operatoria della clinica veterinaria.
 
 
«Mi dispiace per Redbeard…» sussurrò John, spostandosi sull’erba quel tanto da far toccare la propria testa con quella di Sherlock, sdraiato supino di fianco a lui. «E che tu sia triste.»
«Amare qualcuno è un privilegio. Ma è anche un grande dolore» rispose l’altro, citando le parole del fratello e girandosi in modo che i loro sguardi potessero incontrarsi. «Farò sempre del mio meglio per proteggerti, lo sai?» domandò all’improvviso, una piccola ombra scura sul viso pallido. «Sempre.»
John socchiuse le labbra, sorpreso. «Anche io» replicò poi, senza esitazione.
«E lo sai che potrebbe essere difficile?» si informò Sherlock, gli occhi enormi e lo sguardo teso.
«Se sarà difficile mi impegnerò di più» lo rassicurò John con un sorriso. «Come faccio con la matematica. Ma… forse non è esattamente la stessa cosa…» rifletté qualche secondo dopo, aggrottando la fronte ed assumendo una buffa espressione perplessa.
Sherlock rimase ad osservarlo un paio di secondi, serio. Poi sollevò la testa, appoggiando l’orecchio sul suo petto.
«Che fai?» John cercò di guardare in basso, ma l’unica cosa che riuscì a mettere a fuoco fu la massa caotica dei capelli ricci dell’altro.
«Lego il mio cuore al tuo» rispose Sherlock, semplicemente, aumentando la pressione del capo sullo sterno di John. «È una cosa che può portare sofferenza. Ma non mi importa.»
«Davvero?» domandò lui, sorpreso.
«Ho valutato i pro e i contro» affermò Sherlock, sereno. «Sono sicuro.»
«Allora insegnami come si fa, così posso legare il mio al tuo!» esclamò entusiasta John facendo sobbalzare il capo dell’altro, ancora posato sul proprio petto.
Sherlock sollevò la testa, voltandosi stupito verso l’altro. «Sul serio?»
«Certo! Se lo facciamo entrambi sarà un nodo doppio!» gesticolò lui, entusiasta. «E con un nodo doppio si può arrivare fino in cima a una montagna!1)»
 
 
Un’ora dopo Mycroft, incaricato dalla madre di richiamare i due per la merenda, li trovò ancora sdraiati nell’erba alta del grande giardino dietro casa. Le fronti vicine e le braccia strette al collo l’uno dell’altro, si erano addormentati sotto il pallido sole primaverile.
Rimase ad osservarli per qualche secondo, soffermandosi sul sorriso lieve che distendeva il viso del fratello.
Non avrebbe potuto proteggerlo sempre da ogni male, lo sapeva.
Ma forse - si trovò a pensare con sollievo - il cuore di Sherlock aveva scelto da solo, per sé, un custode adeguato.
 
 
 
 
Note:
 
1) Il doppio inglese è un nodo di giunzione che viene spesso usato in arrampicata e alpinismo per creare un anello di cordino chiuso, partendo da un semplice spezzone di cordino in nylon, kevlar o dyneema. Si tratta in realtà di un nodo composito: due diversi nodi lavorano tra loro in contrapposizione, facendo sì che, all'aumentare dell'eventuale forza di trazione sul cordino, aumenti di conseguenza anche il serraggio del nodo.
(Fonte: Wikipedia)
 

 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
La storia sfora di pochissimo il numero minimo di parole necessarie per essere annoverata tra le OS. È molto breve, me ne rendo conto, come sono conscia di aver, ancora una volta, “barato” sul tema.
Avevo mille idee, ma erano tutte (molto) angst, e sarebbero state in contrastato con lo spirito della raccolta.
La morte di Redbeard è comunque un enorme dolore per Sherlock… Sinceramente, non me la sono sentita di calcare la mano più di così.
 
Fra una settimana esatta un volo mi riporterà in Italia.
È tutto sottosopra, dal nostro appartamento alla mia testa. ^_^’’
Scrivere mi sta davvero aiutando molto e spero che queste piccolissime cose possano essere una lettura, se non soddisfacente, quanto meno piacevole.
 
Come sempre, poi, devo scusarmi per non aver ancora risposto alle recensioni.
Ci riuscirò, promesso!
 
Ancora una volta, grazie a chiunque abbia letto fin qui. ^_^
 
A presto,
B.

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Capitolo 8
*** Abitudini ***




Prompt
: “Sleeping in” 
Tipo di coppia: Slash (Johnlock)
Rating: Verde

 
 
 


Abitudini
 
 


Quando fosse cominciata, esattamente, non lo ricordava.
Tutte le volte che aveva provato a spingere i propri pensieri indietro - cercando di sfiorare con la memoria la prima notte insonne passata a respirare le pagine di un manuale - si era ritrovato arenato tra gli scogli aguzzi della rigida selezione mnemonica che, negli anni, si era imposto.
Non era sicuro, quindi, di quanto tempo fosse trascorso, da quando aveva deciso di abdicare al sonno in favore di altri interessi.
Conservava gelosamente, invece, il ricordo del preciso istante nel quale quell’abitudine tenace si era interrotta.
Era una chiara mattina di maggio e – sdraiato sul proprio letto – aveva osservato per qualche secondo, con occhi assonnati, il nome di Lestrade lampeggiare sullo schermo del cellulare prima di decidere di ignorare la chiamata.
Si era poi, con un sospiro leggero, voltato verso il centro del materasso, incontrando il volto disteso di John Watson, profondamente addormentato.
  
 

Quando fosse cominciata, la sua insonnia solitaria, Sherlock Holmes non lo ricordava.

Ma conservava un ricordo esatto dell’attimo nel quale, con naturalezza, quell’abitudine si era interrotta.
 
Era una mattina di maggio e, con un sorriso lieve, aveva scelto di continuare a riposare al fianco dell’uomo che – solo qualche ora prima – aveva ammesso con timore di amare, ricevendo in cambio un bacio impacciato e commosso.
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Sono sparita per giorni, lo so, e la mia ricomparsa in questa raccolta consiste in poco più di duecento parole.
Avrei voluto scrivere molto di più su questo tema ma, purtroppo, non ne ho avuto modo: la casa che stiamo lasciando (domani sera dormirò nel mio letto romano, ancora non riesco a crederci!) ha deciso di sgretolarsi in questi ultimi giorni, proprio a ridosso dell’ètat des lieux che ci sarà domani. L’ultima sorpresa è stata la vasca da bagno: tubo di scarico rotto con conseguente impraticabilità della suddetta. ^_^’’
Quindi, oltre a fare i bagagli, abbiamo dovuto destreggiarci tra perdite d’acqua (ancora! XD), agenzie, vicini…
In più, oggi ci verrà staccata la linea internet.
Volendo comunque mantenere l’abitudine di pubblicare a ridosso della partenza, in modo da avere un “ponte” ideale tra un ciclo che si conclude ed uno che comincia, il risultato è stata questa piccolissima cosa.
 
Spero che possa essere comunque di vostro gradimento. ^_^
 
Grazie, come sempre, a chiunque abbia letto fin qui.
E grazie ancora per tutte le recensioni che state lasciando alla raccolta. :)
 
A presto,
B. 
 

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Capitolo 9
*** Charging ***




Prompt
: “Hugging”
Tipo di coppia: Slash (Johnlock)
Rating: Verde
Avvertimenti: Parent!lock

 
 
 

Charging
 
 
 

John appoggiò, con un sonoro sbuffo, una grossa valigia nera davanti a sé.
Recuperò poi un borsone in pelle chiara, portandoselo sulla spalla con un movimento rapido che lo face indietreggiare di un mezzo passo. Sistemata con un breve saltello la tracolla, stando attento a non caricare il peso sopra la cicatrice, attese - guardandosi attorno distrattamente - che il rullo girevole restituisse anche l’ultimo bagaglio, un piccolo trolley rosa. Quando lo vide comparire dietro la curva a gomito del circuito gommato abbassò gli occhi, incontrando una massa di capelli chiari e disordinati.
«Andiamo, tesoro» bisbigliò alla bambina seduta, gambe incrociate e braccia conserte, ai suoi piedi.
«Ma papà!» protestò lei, sollevandosi controvoglia. «Sto facendo il gioco degli abbinamenti!»
John sorrise, passandole una mano tra i ciuffi spettinati.
«Sono sicuro che li avresti indovinati tutti, miele» le disse, con voce morbida e venata di stanchezza. «Ma ho davvero bisogno di riposare.»
Si piegò in avanti, sollevando il piccolo trolley dal nastro e posandolo a terra. Poi, con una leggera spinta, lo fece scorrere verso di lei.
«Papo me lo avrebbe fatto fare» borbottò la bambina, imbronciandosi. Per un attimo, il tempo di uno sospiro sconsolato, sembrò una copia in miniatura di Sherlock.
Somigliava sempre a lui, in momenti come quelli. Negli anni aveva incamerato ed assunto tutti i movimenti e le espressioni più peculiari del detective, quasi a compensare - in modo amorevole e istintivo - con i segni caratteriali la mancanza di quelli più strettamente genetici.
«Ne sono certo» rise il medico, iniziando a trascinarsi lungo il corridoio che conduceva all’uscita.
 
«PAPO!» La voce cristallina di Rosie rimbombò all’interno della piccola hall degli arrivi nazionali. John non aveva fatto in tempo a capire che l’urlo di gioia arrivasse da sua figlia che lei, abbandonato il proprio bagaglio al suo destino, era già corsa oltre i nastri bianchi, le braccia sollevate in una richiesta perentoria e disarmante di affetto.
La ritrovò qualche secondo dopo avvinghiata alle gambe di Sherlock che, chino in avanti, si accingeva a posarle un bacio sulla fronte.
«Lo sapevo che saresti venuto!» gridò la bambina, girandosi poi di scatto verso John con un’espressione trionfante sul volto. «Te lo avevo detto che non si sarebbe dimenticato!» esultò, le guance arrossate dalla felicità.
John si lasciò guidare docilmente dall’azzurro delle iridi del detective – che adesso erano fisse su di lui - fino a loro, facendo cadere a terra il borsone non appena fu sufficientemente vicino da riuscire ad appoggiare la fronte contro il petto di Sherlock, chiudendo gli occhi.
Lui, sorpreso, si irrigidì appena. Dopo un attimo di smarrimento, lentamente, alzò le braccia circondando in modo impacciato la vita del medico.
A quel contatto John rilassò le spalle, lasciandosi andare completamente contro l’altro.
«Ehi, così mi schiacciate!» protestò Rosie qualche attimo dopo, liberandosi con una risata dalla prigione di gambe nella quale si era ritrovata bloccata.
«Com’è andata, questa prima riunione familiare dopo anni?» sussurrò Sherlock all’orecchio di John, facendo un occhiolino alla piccola.
«Mi ci vorrà una settimana per riprendermi» bisbigliò lui, con una mezza risata. «Mi sei mancato…»
«Anche tu» rispose il detective, sorprendendosi per la serena facilità con la quale si era lasciato andare ad un’ammissione simile.
«Dev’essere vero, se mi hai concesso persino un abbraccio…» disse il medico, spingendo con ancora più forza il viso tra la stoffa profumata del cappotto dell’altro.
«Andiamo a casa, o volete continuare ad abbracciarvi per tutta la sera?» domandò Rosie, alzando le mani verso l’alto ed enfatizzando un’espressione di divertito fastidio.
«Ancora un attimo, tesoro» rispose John, la voce soffocata dal tessuto del soprabito di Sherlock. «Papà è stanco, e gli abbracci sono un ottimo modo per far scomparire la fatica, lo sapevi?»
«Davvero?» domandò lei, alzando gli occhi su Sherlock in cerca di conferma.
«Esistono, in effetti, vari studi che confermano una reale correlazione tra contatto fisico e ristoro psichico...» annuì lui, sentendo John ridere contro il suo petto.    
Rosie rifletté per qualche secondo, seria. Alla fine si avvicinò, circondando con le braccia le gambe di entrambi.
Rimasero così -  immobili e uniti mentre attorno a loro l’aeroporto continuava a brulicare di vita - fin quando, circa un minuto più tardi, Rosie non si staccò sbadigliando. «Adesso sono stanca io» sussurrò, socchiudendo gli occhi.
«Vuoi un abbraccio per ricaricarti?» le domandò John, appoggiando un rapido bacio sulle labbra di Sherlock prima di separarsi del tutto da lui.
«Meglio un gelato…» rispose lei di getto, improvvisamente sveglia.
John si girò verso il detective, sorprendendolo a metà di un entusiasta movimento di assenso.
«Siete davvero incredibili, voi due» Il medico scosse rassegnato la testa, trattenendo a stento una risata.
«Perché mai?» chiese Sherlock, sollevando le sopracciglia con fare innocente.
«Perché? Perché la vetrata interna della gelateria affaccia sui nastri della riconsegna bagagli, ecco perché.»
«Davveeeero?» proruppero insieme Sherlock e Rosie, assumendo la stessa identica espressione di finta sorpresa.
«E va bene… vi concedo due abbinamenti valigie-passeggeri e un cono gelato. Ma poi andiamo dritti a casa, o vi costringerò ad abbracciarmi continuativamente per le prossime ventiquattro ore.»
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Il rientro è stato decisamente più movimentato di quanto avessi previsto.
Con enorme fortuna sono riuscita a trovare subito un impiego ma, naturalmente, iniziare una nuova avventura lavorativa ha significato aggiungere altri impegni a quelli – già piuttosto numerosi! ^_^’ - derivanti dal trasloco.
Oggi, per la prima volta in assoluto dal nostro arrivo, ho trovato un po’ di tempo per sedermi e scrivere una nuova OS per la raccolta.
È davvero una sciocchezza, me ne rendo conto, ma per me vuol dire tanto essere riuscita a farlo.
 
Grazie, come sempre e di cuore, a chiunque abbia letto fin qui.

E ancora una volta grazie per tutte le meravigliose recensioni. Troverò il tempo di rispondere, promesso!
 
A presto,
B.
 
 

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Capitolo 10
*** Custodia ***




Prompt
: “Watching the other sleep"
Tipo di coppia: Slash (Johnlock)
Rating: Verde

 
 
 


Custodia
 
 

Sherlock socchiude gli occhi, lento, la penombra stretta addosso come una coperta.
 
 
Istintivamente trattiene il fiato, sorpreso dal manto di tepore che la notte ha steso sulla sua pelle nuda.
La mente attenta e il corpo assopito si lascia scivolare da un lato, cercando di non emettere alcun rumore che possa coprire quello che, morbido, riempie la stanza a intervalli regolari: un respiro – leggero, abbandonato – in grado di bloccare il suo in un turbamento carico di emozione.
 
Ha scoperto da poco più di un mese, con stupore, che il sonno – da sempre considerato alla stregua di un’imperdonabile perdita di tempo – reca invece con sé un privilegio prezioso, unico: quello di potersi destare ogni notte, con viva meraviglia, sul volto disteso di John Watson.
Rivolto verso il centro del letto vede emergere con sempre maggior chiarezza dalle ombre, ad ogni battito di ciglia, il paesaggio – un susseguirsi di colline morbide e rosate, pronte a schiudersi come le labbra dell’altro – per il quale, senza rimpianti, ha lasciato che l’essere vigili si piegasse docile al vegliare1).
 
 
Alla fine, gli occhi sazi e l’anima paga, abbassa nuovamente le palpebre lasciando che l’immagine dell’altro – luminosa - si distenda su di lui come una coperta.
 




Note:
 
  1. Vegliare” ed “essere vigili” (così come “svegliarsi”) condividono la stessa etimologia. Provengono dal francese antico “esveillier”, a sua volta derivato dal latino “exvigilāre”, dove il prefisso “ĕx-” funge da rafforzativo per il termine “vigilāre”.
 
Tutto questo preambolo per esprimere un concetto che, mi rendo conto, è anche un chiaro esempio del grado di follia raggiunto dalla mia povera mente: Sherlock è sveglio. Ma, per lui, svegliarsi non significa più diventare vigili (operativi, utili, pronti all’azione) ma poter vegliare sul riposo di John. ^_^
 
Sì, lo so, sono una vera persecuzione con questa storia dell’etimologia delle parole… perdonatemi, se potete! XD
 
 

Angolo dell’autrice:
 
In questi giorni, cosa che non accadeva da un bel po’ di tempo, non sono stata in grado di formulare una sola riga (né per questa raccolta, né per il nuovo romanzo) di senso compiuto.
Più mi imponevo di sedere al computer e scrivere, più non riuscivo neanche ad avvicinarmi al portatile.
Alla fine, oggi, mi sono costretta davanti alla tastiera con la promessa di non alzarmi senza aver prima buttato giù qualcosa. Qualsiasi cosa.
Vi pubblico questa micro flash (nemmeno duecento parole!) così com’è stata composta, senza rileggerla né revisionarla. Potrebbe quindi essere sconnessa, o presentare refusi più o meno gravi. Mi scuso, nel caso.
Ma le “terapie d’urto” non funzionano, se si tergiversa troppo! XD
 
Spero di poter tornare al più presto con qualcosa di più sostanzioso. ^_^
 
Grazie, come sempre, a chiunque abbia letto fin qui.
 
A presto,
B.
 

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