Dark Necessities di _ A r i a (/viewuser.php?uid=856315)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Where it all began ***
Capitolo 2: *** The Red Stripes ***
Capitolo 3: *** Wonderwall ***
Capitolo 4: *** Things start tumbling down ***
Capitolo 5: *** Raindrops ***
Capitolo 6: *** Epilogue – Dark Necessities ***
Capitolo 1 *** Where it all began ***
「 You
don’t know my mind
You don’t know
my kind
Dark necessities are
part of my design and
Tell the world that
I’m
Falling from the sky
Dark necessities are
part of my design 」
Red Hot Chili Peppers — Dark necessities
Jude non
ricorda con esattezza come sia finito in quella situazione
– forse anche quel ricordo è anestetizzato dai
fumi che albergano i luoghi che frequenta ultimamente.
Una
sera d’inverno, il vento freddo. Fuori si era fatto buio
e lui, come al solito, era in ritardo per tornare a casa. Avrebbe
dovuto smettere di intrattenersi in biblioteca fino a
quell’ora, prima o poi.
Casa
sua era dalla parte opposta della città,
perciò, nel tentativo di risparmiare un po’ di
tempo, aveva deciso di tagliare attraverso la zona malfamata.
Pessima
scelta, se solo ci ripensa adesso.
「 Southwest
Corridor, Boston, 12th January
h. 07:25 p.m. 」
Era
un vicoletto secondario, dove non arrivava neanche la luce
rossastra dei vecchi lampioni. Ogni cosa era avvolta
dall’oscurità e nella nebbia sottile scie di fumi
si alzavano dalle pattumiere di latta lì affianco.
Passandoci davanti, nella mente di Jude era affiorato chiaro il
desiderio di non addentrarsi mai e poi mai in un posto del genere
– peccato che, in effetti, non avesse avuto nessuna
possibilità di scelta.
Mentre
camminava lungo il marciapiede illuminato dalle luci malandate
eppure, a modo loro, così rassicuranti, aveva sentito una
voce nota emergere da quelle tenebre e pronunciare il suo nome.
«Sharp?»
Jude
si era stretto un po’ più a sé la
tracolla della borsa, restando inchiodato sul posto. Si era guardato
intorno con circospezione, quasi volendosi accertare con quanta
più sicurezza possibile di non aver preso un abbaglio. In
cuor suo, d’altronde, Jude sperava di essersi sbagliato.
Eppure,
sapeva già di avere ragione.
Purtroppo,
infatti, era proprio dal vicolo buio alla sua sinistra che
era provenuta quella voce.
E
Jude conosceva fin troppo bene il suo insopportabile proprietario.
Poco
dopo aveva sentito un gran frastuono invadere quella viuzza senza
uscita – qualcuno che inciampava, metallo che cadeva
rumorosamente a terra, il miagolio di lamento di un gatto, una sequela
di imprecazioni trattenute tra i denti – mentre lentamente
tre figure emergevano dall’oscurità.
«Cazzo,
David» aveva sbottato il ragazzo di poco
prima «un po’ più di
attenzione?»
David
Samford era comparso sulla scena di lì a poco, con un
aspetto piuttosto trafelato. Con una mano poggiata sul muro di mattoni
alla sua destra, si era piegato su se stesso, il respiro affannato.
«Come
se ce l’avessi messo io quel secchio,
lì» aveva replicato passandosi nervosamente una
mano nella chioma di capelli turchini. «Oh, ciao,
Jude!»
Il
ragazzo sembrava essersi illuminato alla presenza
dell’amico in quel luogo. Jude, invece, si sentiva
stranamente confuso: lui e David si erano parlati un paio di volte, a
scuola – certo, era ben lontano dal definirlo un suo amico,
d’altronde tuttavia quante persone potevano veramente
definirsi suoi amici? Ah, se solo non fosse stato sempre
così riservato…
Nel
frattempo, una terza figura era comparsa sulla soglia del vicolo e
Jude non ci aveva messo molto prima di riconoscerlo: era Joseph King,
il ragazzo che era sempre in compagnia di David – anche se
forse sarebbe stato più corretto dire che fosse Stanford a
seguire Joe come un’ombra.
Joseph
aveva tirato uno schiaffo sulla testa del primo ragazzo,
ignorando le sue proteste.
«Pure
tu potresti evitare di criticarlo qualsiasi cosa
faccia, Caleb» aveva soggiunto Joe, osservando con aria truce
il primo ragazzo.
«È
colpa mia se è deficiente? Comunque
potresti pure evitare di difenderlo per qualsiasi cosa, è
abbastanza adulto da farlo da solo e, se proprio non ci riesce, cazzi
suoi. Non è un bambino e tu non sei la sua mammina. Al
massimo sarà il tuo ragazzo – ma io non mi
azzarderei comunque a definirvi in questo modo, mi sembra piuttosto che siate due che si limitano a scopare
insieme, ma poco importa» aveva commentato Caleb Stonewall,
senza perdere la sua solita aria strafottente.
«Non
è il mio ragazzo» aveva replicato
Joe, afferrando il suo interlocutore per il colletto della maglietta.
«Oh,
se reagisci così fai supporre tutto il
contrario» gli aveva fatto notare Caleb, nello sguardo una
provocazione per nulla velata.
Jude,
nel frattempo, si era agitato lievemente sul posto, spostando il
peso del corpo da un piede all’altro. Se fosse stato per lui,
a quest’ora non avrebbe perso ulteriore tempo per scattare e
correre via da lì il più velocemente possibile,
tuttavia ormai i tre ragazzi lo avevano notato: erano in
superiorità numerica, perciò non ci sarebbe
voluto loro molto tempo prima di raggiungerlo e bloccarlo. Considerando
anche il fatto che sembravano avere delle corporature piuttosto
allenate e adatte agli sforzi fisici, fuggire era decisamente al di
fuori delle sue opportunità.
Il
ragazzo aveva pensato allora di richiamare la loro attenzione.
«Joe?
David? Caleb? Che cavolo ci fate qui?» aveva
domandato infatti. Forse con la retorica sarebbe riuscito a distrarli,
assicurandosi così la fuga.
«Come
che ci facciamo qui? È dove veniamo sempre,
dopo le lezioni» era stata la spiegazione che gli aveva
fornito David, con il fiato ancora piuttosto corto.
«La
vera domanda» aveva ripreso Caleb, passandosi
una mano nel ciuffo di capelli castani «è cosa ci
fai tu, qui.»
Jude
si era morso un labbro inferiore, muovendo di nuovo nervosamente i
piedi.
«Niente
di particolare, a dire la
verità» aveva cominciato a spiegare, a disagio
«stavo andando a casa e ho pensato che passando da qui avrei
fatto prima. A tal proposito, forse adesso è arrivato il
momento che io me ne vada—»
«Ohh,
non così in fretta, amico» Caleb
era scattato in avanti, afferrando Jude per un braccio e trascinandolo
verso il vicolo «andarsene via così in fretta,
d’altronde, è da maleducati, non trovi?»
Joe
e David si erano limitati a lasciarsi sfuggire un lieve sogghigno,
per poi inoltrarsi nelle tenebre insieme agli altri due.
Angolo
autrice
Mi sono
spaventata quando mi sono resa conto che ci ho messo più di
quattro mesi per finire questa long. Perché sì,
per la prima volta in vita mia sono riuscita a concludere qualcosa. Ne
sono così entusiasta che potrei pubblicare tutti i capitoli
di questa long in una volta sola... ma non lo farò,
fondamentalmente perché sono una persona estremamente sadica
– e credo che questo ormai lo sappiate tutti.
In totale,
ve lo dico già da adesso, la storia si comporrà
di sei capitoli, compresi il prologo e l'epilogo. Parliamo di 27.700
parole circa... un vero e proprio muro di parole, in effetti. Visto che
pubblicarla come OS mi sarebbe sembrato fin troppo pesante, ho deciso
di percorrere la via della long fiction. Magari anche per togliermi la
soddisfazione di vedere una mia storia giungere al termine? Chi lo sa.
In ogni caso, visto che già dal numero di parole si capisce
che il 7 sarà un numero molto presente all'interno di questa
storia (non è vero ma illudiamoci che sia così
LOL) i capitoli verranno pubblicati ogni 7, 17 – al diavolo
la scaramanzia, insomma – e 27 del mese, e beh, ho pensato
che questo potesse essere un modo carino per farvi compagnia in questi
caldi mesi estivi... dato però lo scarso riscontro che
generalmente le mie storie ottengono su questo fandom diciamo che
principalmente la pubblico per me, ahah.
Non
aspettatevi fluff e cose allegre da questa storia: vengono affrontate
tematiche quali l'alcol, la droga e la delinquenza, perciò
diciamo che le coppie ci sono ma potrebbe trattarsi anche di rapporti
disfunzionali, in taluni casi. Se sono argomenti che credete di non
riuscire a sopportare in una lettura, vi consiglio caldamente di non
proseguire oltre, non vorrei mai urtare la vostra
sensibilità. Il linguaggio sarà spesso molto
pesante, così come alcune scene... perciò
sì, credetemi, se non ve la sentite vi capisco. Inazuma
Eleven non è certo la patria di queste cose poco allegre...
io stessa, mentre scrivevo, mi sono dovuta fermare innumerevoli volte,
perché a tratti la storia diventava fin pesante o temevo di
non aver approfondito a sufficienza alcune tematiche.
Altra
cosa: questo è il prologo e non succede granché,
credetemi però se vi dico che il terzo, quarto e quinto
capitolo saranno davvero... pieni. Okay, questo non vuol dire saltate a
quelli e non leggete gli altri, però insomma, dopo l'impegno
che ci ho messo per finire questa storia magari date uno sguardo un po'
a tutto.
A
proposito... lo so, come ho detto le mie storie su questo fandom non
ricevono mai molti pareri... però, visto che ci ho messo
più di quattro mesi per finirla e che ci ho letteralmente
sputato sopra del sangue per finirla, almeno un piccolo parere per
dirmi cosa ne pensate vi andrebbe di lasciarlo? :3
Le coppie
penso di non dover neanche dire quali siano... e sì, questa
è l'ultima storia che pubblicherò su questo
fandom. Perché? Oh, molto semplice: ormai Inazuma Eleven mi
provoca soltanto dispiaceri. Ho trovato fandom in cui mi sento molto
più benaccetta, per cui non vedo il motivo di restare
ulteriormente qui. Per continuare a soffrire? Grazie, ma no, grazie. Ma
ehi, ho concluso una long, bisogna festeggiare, no?
E niente,
per questa volta ho detto tutto – e anche troppo, forse. Ringrazio come al solito Gaia per aver betato tutto ciò e ci
vediamo il 17 luglio!
Aria
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Capitolo 2 *** The Red Stripes ***
「 Back
Bay, Boston, 5th September
h. 05:37
p.m. 」
Da quel giorno sono passati otto mesi – e tutto è
cambiato.
Gli skate sfrecciano in fretta lungo le strade della città.
Settembre è appena iniziato, eppure il freddo punge
già.
Caleb abbaia qualcosa nel vento e i tre ragazzi annuiscono,
servizievoli come cani. Un’altra spinta a terra e le tavole
saettano sui marciapiede, gettando il panico tra i passanti ignari. Ad
alcune signore cadono le buste di carta con la spesa mentre gridano
terrorizzate; gli uomini gli lanciano contro diversi improperi, eppure
è ormai troppo tardi: i quattro teppisti sono già
scomparsi, veloci come il vento.
Due agenti della polizia corrono loro dietro, estraendo le pistole dal
fodero e agitandole a mezz’aria: forse così
credono di sembrare più intimidatori, chi lo sa.
Caleb si volta un momento indietro per poterli osservare,
dopodiché torna a fissare la strada davanti a sé.
Lancia uno sputo di lato, per poi accelerare di nuovo. Ha un piano ma
è folle: spera solo che i suoi compagni, come al solito,
decidano di seguirlo.
«Il corrimano» comunica loro, in fretta e furia,
certo che capiranno.
Il gruppo si dirige compatto verso la zona della spiaggia.
C’è una lunga scalinata, in mezzo alla quale si
staglia un lungo corrimano che funge un po’ da spartiacque:
un lato per scendere, l’altro per salire. Caleb non ci pensa
due volte e punta dritto verso di esso, seguito a ruota dagli altri;
quando ormai mancano pochi istanti all’impatto spicca il
salto, trascinando con sé anche lo skate, che atterra senza
problemi sul corrimano, continuando la sua discesa. Joe lo raggiunge
dopo pochi istanti, imitato di lì a breve anche da David;
l’ultimo ragazzo ha indosso una felpa, il cui cappuccio gli
copre il volto, rendendolo irriconoscibile, perciò
è impossibile dire di chi si tratti. Fatto sta che
anch’egli inizia la propria discesa; i passanti terrorizzati,
si allontanano subito dal supporto in metallo, mentre gli agenti
scendono le scale e fanno del loro meglio per stare al passo dei
ragazzi.
«Fermatevi!» intima loro uno dei poliziotti.
«Vi stiamo alle calcagna, non avete modo di farla
franca.»
Caleb sogghigna nel vento, con la consapevolezza che
riuscirà a salvarsi anche stavolta.
«Questo lo dici tu, stupido sbirro» commenta
infatti, grindando sul corrimano quando vede di essere arrivato quasi
alla fine di quest’ultimo. Non appena il tubo termina, Caleb
spicca un altro balzo e le ruote del suo skate tornano a scivolare
sull’asfalto, divorando un metro di strada dopo
l’altro. Gli altri lo seguono, in totale
tranquillità: quella è la loro zona, in
particolare Caleb la conosce come le proprie tasche, perciò
per loro non sarà un problema lasciarsi trasportare via come
delle ombre.
L’ultimo skater, quello con il volto coperto, si muove in un
modo così elegante che sembra quasi star pattinando sul
ghiaccio. Ha decisamente più grazia e classe rispetto ai
suoi compagni, che invece sembrano limitarsi al mero andare veloci. Il
ragazzo che chiude la perfetta fila indiana dei teppisti sembra avere
qualche problema a seminare gli inseguitori, tuttavia non ne fa un
dramma, procedendo a slalom tra lampioni e vasi di fiori.
In quella zona c’è ancor più folla sui
marciapiedi, essendo vicini al porto e alla spiaggia, i centri
nevralgici della vita cittadina, tuttavia – a differenza dei
passanti dell’altro quartiere – questi ultimi
sembrano quasi nutrire un timore reverenziale nei confronti di quegli
skater, perciò non appena li vedono avvicinarsi si scansano
di lato, permettendo loro di passare indisturbati. Ben presto gli
agenti si vedono costretti ad ammettere che quei ragazzi sono riusciti
a sfuggirgli ancora una volta, sparendo nel bel mezzo del nulla.
「 Southwest
Corridor, Boston, 5th September
h. 06:12
p.m. 」
«Sì, cazzo»
David svolta
all’interno del loro vicolo, esultando entusiasta
«li abbiamo fregati un’altra volta!»
«Calma i bollenti spiriti, David» Caleb solleva lo
skate con la punta della scarpa, afferrandolo
dall’estremità opposta «abbiamo
rischiato grosso, stavolta. Per poco non ci prendevano.»
«David, Caleb ha ragione» Joe sospira con aria
grave, lasciandosi cadere seduto a terra «se non ci svegliamo
prima o poi ci mettono al fresco.»
David, notando l’espressione seria dell’amico,
subito serra la mascella, pur di non apparire ridicolo agli occhi degli
altri.
«Piuttosto» Caleb scrolla le spalle, con noncuranza
«il vero problema è che qui
c’è qualcuno che è più
preoccupato di non farsi riconoscere che altro… non
è così?»
Con un movimento rapido scatta in direzione del compagno con ancora il
cappuccio sollevato e subito glielo abbassa, rendendo di nuovo il suo
volto visibile.
Jude sospira mestamente. Per un momento solleva lo sguardo, fissando
intensamente Caleb negli occhi, dopodiché china nuovamente
il capo, tornando a scrollare l’applicazione che ha aperto. A
partire da quella mattina ha ricevuto almeno una cinquantina di
telefonate e forse un centinaio di messaggi. Se controlla bene, solo
una ventina di chiamate e una misera decina di messaggi arrivano da suo
padre. Le altre interazioni sono riconducibili ai suoi –
ormai ex – compagni di classe e, in gran parte, ad una
persona che conosce fin troppo bene. Spera di finire presto con i
ragazzi, stasera, perché ha una voglia terribile di vederlo.
Il riverbero luminoso del telefono sul volto di Jude infastidisce a
dismisura Caleb, soprattutto perché non lo sta ascoltando.
Allora afferra il colletto della felpa del ragazzo, sollevandolo appena
da terra.
«Sei pregato di darmi retta quando ti parlo»
ringhia, i denti stretti.
Jude sospira teatralmente, scrollando le spalle. «Ma io ti
sto dando retta, Caleb» ribatte
infatti, come se
quella fosse la cosa più ovvia del mondo «fino a
prova contraria, non mi pare di essere sordo.»
Caleb sente il ringhio salirgli in gola fino a diventare più
roco e profondo di quanto potesse immaginare; alla fine però
sa di dover lasciare Jude: a volte vorrebbe davvero poterlo picchiare
fino a spaccargli la faccia. Quella sua aria da damerino saputello lo
irrita come poche cose al mondo, tuttavia da quando – quasi
un anno prima – aveva concesso al ragazzo di unirsi al loro
gruppo, era quasi come se fosse diventato intoccabile. Già,
non poteva certo mettere le mani addosso a uno di loro, non senza un
buon motivo. E, sfortunatamente per Caleb, l’insolenza e la
presunzione che talvolta il suo vice era in grado di dimostrare non
erano considerati delle valide motivazioni.
Tra l’altro, durante quei mesi Jude si era integrato alla
perfezione nella banda: David lo adorava, avrebbe fatto qualsiasi cosa
per quel ragazzo dagli strani occhialini; perfino Joe nutriva simpatia
nei suoi confronti – assurdo, proprio lui che detestava a
prescindere chiunque. Perciò, se Caleb si fosse lasciato
sfiorare anche solo lontanamente dall’idea di dare a Jude una
bella lezione, probabilmente il ragazzo coi dreadlock avrebbe avuto
dalla propria due alleati da non sottovalutare.
L’ultima cosa che Caleb desiderava era
un’insurrezione interna: la loro gang si teneva a malapena in
piedi, non c’erano motivazioni profonde a tenerli uniti. A
volte pensava che fossero solo quattro estranei rimasti insieme per
inerzia, troppo pigri per cercarsi un’alternativa di vita
migliore. Finché potevano avere fumo, droga e alcol
– gli anestetici che facevano loro dimenticare le brutture
che li circondavano – dubitava che si sarebbero allontanati
più di tanto.
A dire la verità, col passare dei mesi era stato proprio il
suo vice a diventare il collante tra di loro: tutti lo rispettavano,
alcuni in modo sincero e spassionato come Joe e David e altri solo per
il patto di tacito assenso che vigeva tra loro… e questo era
proprio il caso di Caleb, in effetti.
«In ogni caso» Stonewall si volta, dandogli le
spalle «per proteggere il tuo anonimato perdi un sacco di
tempo, Jude. Pur di non far calare il tuo caro cappuccio, sei costretto
ad andare più lentamente di tutti noi. Andando avanti
così finirai per farti catturare, uno di questi
giorni…»
Jude sbuffa, irritato; detesta dover ripetere ogni volta le stesse
cose. Finisce di inviare il messaggio che stava scrivendo –
“Ho bisogno di
vederti. Ci vediamo stasera al solito
posto?” – quindi blocca lo schermo del
suo
telefono. Ora le tenebre sono tornate a padroneggiare nel vicolo.
«Ah, beh, scusa tanto se mio padre è uno degli
imprenditori più influenti dello stato del
Massachusetts» replica ancora, esasperato «se si
venisse a scoprire che suo figlio fa parte di una delle gang che stanno
portando scompiglio in città come pensi che la prenderebbe?
La sua carriera sarebbe rovinata per sempre, di sicuro.»
Caleb sogghigna, soddisfatto. Assurdo, Jude continua a cadere ogni
volta nelle trappole che le sue parole sanno tendere – al che
Caleb si chiede se lo faccia apposta o meno.
D’altronde, Jude è un ragazzo estremamente
sveglio, è chiaro che riesca ad individuare i suoi tranelli
senza troppe difficoltà. La domanda allora è:
perché continua a lasciarsi cadere all’interno di
esse, se ormai sa perfettamente quale sia il loro meccanismo?
A volte Caleb crede che lo faccia perché gli piace, tuttavia
subito finisce per smentirsi: sarebbe un comportamento fin troppo
autolesionista perfino per quel damerino, no?
«Beh, questa non è altro che l’ennesima
dimostrazione di quel che ho sostenuto per tutti questi mesi»
lo informa, con tono chirurgico «se avessi evitato di ficcare
il naso dove non dovevi, sei mesi fa, adesso non staremmo parlando di
questo.»
L’espressione di David muta subito, divenendo stizzita; Joe
si rimette in piedi, mentre fa per dire qualcosa. Jude, invece, non
sembra intenzionato ad aggiungere altro.
Caleb ne approfitta per cogliere la palla al balzo.
«Ad ogni modo» riprende infatti, stringendo le mani
dietro la schiena «ho pensato che adesso potremmo andare a
perdere tempo giù al binario abbandonato della ferrovia.
Più tardi passiamo alla nostra distilleria a Roxbury e ci
prendiamo qualcosa da bere per stanotte, almeno sappiamo che cazzo
fare. Tutto chiaro, gente?»
David sorride, grato del fatto che abbiano cambiato argomento.
«Ottimo, per me va bene» acconsente infatti,
stringendosi un braccio al corpo.
«Anche io ci sto» commenta Joe –
nonostante tutti immaginassero che non si sarebbe fatto problemi in
merito. Da quando Joseph King rinunciava alla prospettiva di una bella
bevuta?
Jude controlla l’orario sul suo telefono. Sa già
che la serata andrà per le lunghe, in fondo però
valuta che sarà meglio così, altrimenti dovrebbe
rientrare a casa e ammazzare il tempo in compagnia di suo padre. Non
saprebbe esattamente cosa dirgli, una volta trovatoselo davanti
– forse qualcosa del tipo “Ciao papà,
scusa se sono in ritardo ma ero in giro con una di quelle gang che, nel
tuo programma per la candidatura a governatore del Massachusetts, ti
sei prefissato di debellare. E no, non sono andato a scuola neanche
oggi, come d’altronde tutti i giorni scorsi, questa
settimana. Oh, non è che posso uscire, più
tardi?” – inoltre sarebbe decisamente
più complicato sgattaiolare al suo appuntamento segreto, una
volta tornato a casa.
«D’accordo, andiamo» acconsente infine,
con un sospiro stanco. Incredibile, sono ancora le sei e lui
è già esausto.
David, invece, sembra essere nel pieno delle sue forze, visto che poco
dopo si lascia sfuggire delle nuove esclamazioni di giubilo,
elettrizzato.
I ragazzi poggiano le tavole a terra e sono subito a partire alla volta
della loro prossima meta.
「 Roxbury,
Boston, 6th September
h. 01:26
a.m.
」
L’insegna esterna del Red
Stripes sfrigola sopra le loro
teste, mentre per un momento il neon rosso smette di funzionare. Di
nuovo.
Jude fa illuminare lo schermo del telefono, rileggendo per
l’ennesima volta il testo del messaggio. L’ha
ricevuto ore fa, eppure non ha avuto cuore di sbloccare il cellulare e
aprirlo. No, preferisce vederlo lampeggiare lì, ogni volta
che preme il tasto di Home.
“Va bene. Non
fare troppo tardi, domani ho lezione alle prime
ore” – è questo quel che vi
è
scritto. Jude crede ormai di aver imparato a memoria quelle parole, a
forza di leggerle. Non vede l’ora di andare davvero
lì, sta contando i minuti che li separano…
«Si può sapere di chi è quel
messaggio?» Caleb sbuffa rumorosamente, dando una scorsa
all’orologio che ha al polso. «Ma quanto cazzo ci
mettono quei due deficienti? Non sapevo che per rubare un paio di
bottiglie di alcolici ci si mettesse tutto questo
tempo…»
«È di mio padre. Il messaggio, dico» si
affretta invece nel mentre a rispondere Jude, cercando di nascondere un
leggero imbarazzo. No che non è del signor Sharp, il
messaggio, però è meglio che Caleb creda questo.
Jude non osa immaginare quanto lo sfotterebbe se fosse a conoscenza di
chi è il suo vero mittente.
Caleb lo osserva attentamente, trattenendo a stento una risata.
«Cristo, Jude» commenta infatti, poco dopo
«sarai anche un ottimo stratega e non te la cavi poi
così male con lo skate, certo però che a
raccontare balle fai davvero pena. Dai, da quando in qua si sorride per
ore riguardando lo stesso messaggio del padre?»
Jude agita nervosamente le mani nella tasca gigante della sua felpa, di
qualche taglia troppo grande per lui. Accidenti, non credeva che fosse
così evidente.
«Uhm, non lo so, da adesso?» Jude prova a sviare
Caleb, sperando che il suo tentativo vada in porto.
Ovviamente, al contrario, finisce per fallire miseramente.
Caleb infatti si mette a ridere ancora di più; ad un certo
punto è costretto a piegarsi su se stesso, pur di
trattenersi – in fin dei conti, non può certo far
crollare la loro copertura.
«Pff» il ragazzo raddrizza la schiena, asciugandosi
una lacrima che gli è scesa a causa dell’eccessiva
ondata d’ilarità «sì,
sì, certo, come no. Tutti ad arrossire e a
sorridere come degli ebeti ogni volta che riceviamo un messaggio da
parte di nostro padre, d’ora in poi. Certo che sei proprio un
coglione, a volte.»
Jude fa per ribattere. Vorrebbe dirgli che se arrossisce è
perché si sente in colpa per non essere tornato a casa
nemmeno stasera – ma si ferma già prima di
cominciare, perché stavolta si rende conto anche da solo che
suonerebbe come una stronzata. Sia perché sa che Caleb gli
chiederebbe allora cos’abbia da sorridere e sia
perché non ci crederebbe nemmeno lui, a quelle parole.
Può perdere la faccia tutte le volte che vuole, magari
però stavolta passa volentieri.
Caleb lo osserva rimanere in silenzio e sotto sotto sa che, anche
stavolta, ha avuto la meglio su di lui.
«Senti, Jude» lo sente riprendere pochi istanti
dopo «a me non me ne frega un cazzo se ti vedi con una tipa o
meno. Cioè, buon per te, insomma. Quindi sinceramente non
capisco perché tutto questo mistero: siamo una banda, no?
Dirci quello che ci succede dovrebbe venirci spontaneo.»
Jude fa dondolare giù i piedi dalla ringhiera su cui
è seduto. Oh, se solo fosse quello il problema…
«Per una volta volevo solo tenermi un segreto tutto
mio» mente, di nuovo – e sa già che
Caleb l’ha capito anche stavolta.
Il leader della gang si limita ad alzare le spalle. In fin dei conti,
gliene frega ben poco dei problemi personali di Jude; non vuole dirgli
che gli prende? Fatti suoi. Se in tutti quei mesi non ha ancora capito
che può fidarsi di loro, allora vuol dire che non ci
riuscirà mai.
«Tu, piuttosto» Caleb si passa una mano nel ciuffo
in cima alla testa «prima o poi dovrai smetterla di andare in
giro in incognito o farai finire tutti noi nei guai. Quando hai
intenzione di piantarla con questa storia del dover nascondere la tua
identità? Siamo delinquenti, Jude, mica i giustizieri
mascherati.»
«Presto, presto» si affretta a rispondere, tornando
a tormentarsi le mani nella tasca della felpa «ci sono ancora
delle cose che devo risolvere, prima. Tipo trovare un modo per dire a
mio padre che sono un ladro che si unisce alle scorribande in giro per
la città che tanto si prodiga a reprimere o ritirarmi dalla
scuola. Sarebbe un po’ complicato se nel mio liceo si venisse
a sapere quello che faccio, non trovi?»
«D’accordo, però vedi di darti una
mossa» Caleb pesta i piedi per terra, si vede da lontano un
miglio che si sta trattenendo per non imprecare – a quanto
pare, i tempi di attesa per Joe e David stanno diventando decisamente
troppo lungo «sai quanto mi dia fastidio avere a che fare con
dei perdigiorno. Tipo quelle due teste di cazzo là
dentro… giuro che se non si danno una mossa entro e li
picchio.»
Jude sorride, senza aggiungere altro. È riuscito a scampare
anche stavolta all’ennesima ramanzina di Caleb; forse, col
tempo, ci sta prendendo la mano. Ad ogni modo, anche lui spera davvero
che quei due si muovano: non per niente, solo che avrebbe un
appuntamento…
Tra lui e Caleb, nel frattempo, è calato il silenzio. Mentre
i neon sfarfallano un’ennesima volta sopra di loro, Jude si
sente quasi in dovere di mantenere viva la conversazione.
«Come va con Camelia?» domanda allora, certo che
così otterrà tutta l’attenzione
dell’altro.
La testa di Caleb, infatti, schizza nella sua direzione. Per un momento
il ritardo di Joe e David diventa di così poca importanza,
rispetto a quello che gli è appena stato chiesto.
«Sempre la solita merda» si decide finalmente ad
ammettere, dopo diversi interminabili momenti di silenzio
«dice che la dovrei smettere con questa storia della banda e
tornare a studiare, o magari cercarmi un lavoro vero. Se solo riuscisse
a capire quanto io tenga a quello che facciamo…»
Jude tira fuori dalla tasca della felpa un pacchetto di sigarette e un
accendino. Ne estrae una, dopodiché fa scattare la rotella e
la fiamma rischiara per un istante quella notte fin troppo oscura. Si
porta la sigaretta alle labbra e aspira forte quel sapore di nicotina:
per un momento lo sente invadere completamente la sua mente, tutti i
pensieri che d’improvviso si fanno più leggeri.
Dopo qualche secondo espira e tutto il fumo gli esce dalle labbra,
riempiendo l’aria tra lui e Caleb. Jude pagherebbe oro per un
migliaio di quegli istanti di beato ottenebramento; non è un
grande amante del sapore del fumo: ha cominciato solo perché
lo facevano Caleb e gli altri, credeva che, omologandosi a loro, si
sarebbe sentito più grande e i ragazzi lo avrebbero
accettato nel gruppo con maggiore facilità. Se ora continua
un po’ è per via della forza
dell’abitudine, anche se il motivo principale resta pur
sempre quegli istanti d’oblio che solo il fumo e poche altre
cose al mondo sono in grado di concedergli.
«Non hai mai pensato di smettere, con la gang?»
domanda poco dopo a Caleb, quando sente di riuscire nuovamente a
connettere i pensieri «magari Camelia potrebbe non avere
tutti i torti e la vita, al di fuori di quel che facciamo, potrebbe
essere altrettanto divertente o interessante.»
Caleb lo fissa attentamente, come se non riuscisse a comprendere il
vero significato delle parole di Jude.
«Cos’è, un modo per dirmi che ti
piacerebbe tagliare la corda?» gli domanda infatti, poco
dopo. «Beh, pensavo che avessimo chiarito già
parecchio tempo fa che questa non è una cosa da cui puoi
tirarti indietro, Jude. Ad ogni modo no, non ho mai pensato di smettere
perché, come ho detto, mi piace quel che facciamo. Quanto a
Camelia, so che una parte di ragione ce l’ha anche lei,
però immagino che se vuole continuare a stare con me
dovrà farsi una ragione di questa storia, prima o poi. E
adesso passami quella fottuta sigaretta, che sto andando in
astinenza.»
Jude gli allunga la cicca appena consumata, senza aggiungere altro. Sa
bene che con Caleb è meglio non tirare troppo la corda,
perciò si sente già immensamente sollevato
così per com’è andata, quella
conversazione.
Vede brandelli di cenere alzarsi in volo, mentre Caleb consuma quella
sigaretta piuttosto rapidamente. A giudicare dal modo in cui se la sta
fumando, sembrerebbe essere parecchio nervoso.
Il leader della gang si volta a lanciare uno sguardo
all’interno del negozio – e gli sembra di vedere la
prima cosa bella di quella notte.
«Oh, stanno arrivando, finalmente» commenta
infatti, ghignando eccitato «preparati a correre.»
Caleb lascia cadere la sigaretta a terra, che finisce in una
pozzanghera piena d’acqua sotto gli scalini, spegnendosi;
ormai non gli serve più. Jude invece salta giù
dalla ringhiera sottile in tubi d’acciaio e i suoi piedi
tornano a toccare il suolo, posandosi sugli scalini davanti alla porta
del locale.
In effetti vede Joe e David attraversare il locale con delle ampie
falcate – e sa che è arrivato il momento di
andarsene di lì.
Lui e Caleb iniziano a correre più o meno nello stesso
momento. Saltano giù dai gradini di cemento armato non
rasato e filano via dalla piazzola del locale alla velocità
della luce. Caleb lo precede di qualche secondo, tuttavia la distanza
tra loro è davvero minimale. Sanno che, più
indietro, ci sono anche Joe e David – o almeno se lo augurano
per loro – che li stanno seguendo correndo a loro volta
più veloce che possono, però al momento non hanno
modo di curarsene. Jude sente il cuore battergli a mille nel petto,
martellargli contro la gabbia toracica con una furia inaudita, mentre
l’adrenalina corre lungo le autostrade delle sue vene e i
polmoni gli ardono; i polpacci tirano e pulsano a causa dello sforzo
fisico, la testa inizia a dolergli e il fiato è
già corto, nonostante questo però il ragazzo
è felice.
Sì,
felice.
Jude
sorride, è così elettrizzato che se non
avesse una copertura da mantenere si metterebbe ad urlare. La
verità è che in quei momenti, quando è
in giro con i suoi amici a combinare casini, si sente libero come in
poche altre occasioni nella sua vita.
I quattro attraversano un ponte di metallo e i loro passi rimbombano
assordanti nella notte. Hanno corso per due o tre isolati consecutivi,
ormai sono assolutamente certi che non li stia inseguendo nessuno,
tuttavia non riescono proprio a rallentare, ora che quella scarica di
emozione è entrata in circolo è davvero difficile
tenerla a bada.
Solo una volta tornati nel vicolo di Southwest Corridor si permettono
finalmente di accasciarsi al suolo, esausti. Non mangiano da quasi
dodici ore consecutive, perciò non hanno la più
pallida idea di dove trovino tutte quelle forze.
Caleb è il primo a riprendersi, ovviamente.
«Allora, queste bottiglie di alcol?» domanda,
infatti; non sta nella pelle, sembra incapace di trattenersi oltre.
«Eccole, eccole» commenta David, con ancora il
fiato corto. Subito si solleva la maglietta, mostrando una bottiglia di
vodka, che di lì a poco lancia in direzione di Caleb.
Joe fa la stessa cosa, limitandosi ad allungare la sua confezione a
Jude.
«Sotto le
magliette, come le fighettine» se ne esce
d’improvviso Caleb, mentre stappa la propria bottiglia
«perché c’avete messo tutto quel
tempo?»
«Il commesso non ci levava gli occhi di dosso»
spiega Joe, strappandogli la vodka di mano «siamo dovuti
andare al cesso a far finta di limonare, altrimenti dubito che saremmo
riusciti ad uscire di lì.»
«“Fare finta” di limonare, certo,
certo» Caleb recupera la bottiglia e beve un’ampia
sorsata di quel liquido trasparente «magari vi guardava
perché voleva unirsi a voi, che ne sai?»
«Ugh, Caleb, che immagine ripugnante!» strepita
David, disgustato; il ragazzo dai capelli turchini si fa restituire la
bottiglia di vodka da Jude per un breve sorso, dopodiché la
ripassa all’altro ragazzo, nauseato dalle parole del capo
della banda, mentre si stringe le ginocchia al petto. «Era un
uomo basso, grassoccio, pelato e unto! Doveva solo provarci a seguirci
al bagno, a quel punto un bel paio di pugni in faccia non glieli
avrebbe tolti nessuno.»
«Tu che usi la violenza su qualcuno? Ci credo sicuramente,
David» replica Caleb, con espressione sardonica
«visto che hai avuto modo di osservarlo così
attentamente magari ti è anche dispiaciuto che non vi abbia
raggiunto al cesso per una scopata, chi lo sa.»
L’espressione di David è così allibita
che Jude non può fare a meno di scoppiare a ridere. In
fondo, frequentare quella compagnia di individui pessimamente assortiti
non è poi così male.
Lancia un’occhiata all’orario sullo schermo del suo
telefono: sono quasi le due. Non credeva che fosse così
tardi. Il messaggio – ancora segnato come non letto
– gli ricorda che è arrivato il momento di
lasciare quel posto.
«Ragazzi, temo di dover andare, adesso» Jude si
alza in piedi, con un espressione rammaricata in volto. Spera solo che
non gli facciano troppe domande, dubita di saper rispondere.
«Cosa…? Te ne vai di già,
Jude?» chiede David, deluso. «Guarda che il
divertimento iniziava adesso…»
Jude apre la bocca per replicare, tuttavia viene – a sorpresa
– anticipato da qualcun altro.
«Lascialo andare, David» commenta Caleb, infatti.
«Jude ha un appuntamento galante.»
«Come? E non volevi dirci niente?» David quasi
strilla, adesso «Ma questa è una notizia
fantastica, Jude!»
Il ragazzo in questione, tuttavia, non sembra pensarla allo stesso modo.
«Caleb, doveva restare un segreto!» sbotta infatti,
irato.
«Un segreto che mi porterò nella tomba, assieme ai
miei amici, infatti!» ribatte quest’ultimo,
gongolante. «Avanti Jude, dovresti saperlo ormai che tra noi
non ci sono segreti.»
Jude sbuffa nervosamente. Alla fine si volta, senza neanche salutarli,
per poi poggiare lo skate a terra e cominciare a muoversi verso
l’uscita del vicolo.
«Ciao, Jude» lo saluta Caleb, da dietro, agitando
appena una mano – anche se l’altro è
ormai di spalle e non può più vederlo.
«Buonanotte, Jude» sussurrano invece Joe e David,
all’unisono.
La figura di Jude svanisce nelle tenebre, mentre il ragazzo scivola
elegantemente nell’oscurità con lo skate.
Solo quando sono passati diversi minuti dall’ultima volta in
cui l’hanno visto nitidamente e hanno ormai la certezza che
si sia allontanato del tutto, i tre riprendono a parlare.
«Secondo voi perché non vuole dirci dove
va?» domanda Joe, confuso.
«Non so come la pensiate, ragazzi» aggiunge Caleb,
lapidario «ma secondo me in questa storia
c’è qualcosa di davvero molto, molto
strano.»
Angolo autrice
E ce la fa! Per il rotto della cuffia, ma ce la fa ^^"
Ringrazio in aramaico antico Gaia per essere riuscita a betare questo
capitolo in meno di ventiquattr'ore. sul serio, sono scema, mi dispiace
così tanto per non avertelo inviato prima--
Comunque, veniamo a noi. Sono felicissima che lo scorso capitolo sia
stato recensito da ben quattro persone... sul serio, non mi aspettavo
di ricevere tutti questi riscontri, grazie mille ** e vi chiedo scusa
se non riuscirò a rispondervi a breve, purtroppo sono una
persona molto lenta (e già il fatto che abbia rischiato di
non riuscire a fare in tempo a pubblicare oggi dovrebbe dimostrarlo
ampiamente >.<) però sappiate che ho letto
tutto e che prima o poi le risposte arriveranno, lo giuro! Tra l'altro
siete state tutte davvero molto carine nei commenti, e di questo ve ne
volevo ringraziare... mi dispiace di aver sbagliato il cognome di
David, chi mi segue su Twitter sa che mi sto martirizzando da giorni
per questo... giuro che appena possibile lo metterò a posto,
ancora grazie mille per avermelo fatto notare! ;;
Uhm? Perché continuo a dire "appena possibile"? Beh,
è presto detto: venerdì parto per il Rimini
Comics, visto che c'è qualcuno che mi aspetta (♥)
e tornerò a casa solo lunedì. Per cui sappiate
che se non vedete risposte alle recensioni è
perché questo periodo è un po' incasinato,
però davvero, adesso cercherò di sbrogliarmi, lo
giuro. Quattro recensioni a capitolo non le ricevevano più
nemmeno le mie interattive, ultimamente, arigatou ;;
Una cosa la volevo dire: in molti avete ipotizzato nelle recensioni che
le coppie di questa storia sarebbero state la FudoKido e la GenSaku...
beh, questa cosa è vera solo in parte. Perché se
sicuramente ci sarà la seconda - come credo che si sia
largamente intuito in quest'ultimo capitolo - mi spiace deludervi ma la
prima è lontana anni luce da me. Sono la mia NOTP, al
massimo riesco a vederli come bros, sorry. Chi conosce un minimo le mie
storie probabilmente avrà capito quali saranno le coppie di
questa storia, ad ogni modo vi sarà tutto più
chiaro nel prossimo capitolo.
E boh, credo di aver detto tutto. Ringrazio chiunque
leggerà, inoltre, se qualcuno dovesse decidere di recensire,
beh... sappiate che vi voglio bene. E vi regalo un biscotto, se vi va
(?)
Ci vediamo il 27!
Aria
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Capitolo 3 *** Wonderwall ***
「 Brookline,
Boston, 6th September
h. 02:12
a.m. 」
Brookline
è un
quartiere residenziale piuttosto chic, non
molto distante dal centro. In giro per le strade ci sono alcuni
ragazzi, di stampo sociale decisamente più elevato rispetto
ai brutti ceffi che frequentano Roxbury o Southwest Corridor, mentre
nelle case le luci sono già spente e adesso centinaia di
onesti lavoratori si sono già coricati –
perché andare a dormire tardi se il giorno dopo si ha da
fare è un po’ come un peccato mortale.
Jude
si sente decisamente a disagio, in mezzo a quelle persone: tutte
vestite impeccabilmente, profumate dopo una doccia rigenerante di
sapone alla lavanda o di dopobarba, con i vestiti perfettamente
rassettati e nemmeno una parvenza di borse sotto gli occhi, talmente
sono riposati. In quel momento, Jude darebbe qualsiasi cosa per
assomigliare anche solo ad uno di quei passanti, immersi nelle luci
sfavillanti della notte. Vorrebbe essere bello, emanare un
bell’aroma di vaniglia e non sentirsi così stanco.
Magari, con una camicia linda e dal colletto inamidato, piacerebbe di
più a lui.
Ma
no, cosa va pensando: se lo ama è perché lo ha
visto interamente, compreso il pacchetto fatto di felpe sformate, odore
di fumo e labbra al sapore di vodka. Almeno, questo è quello
che gli ripete ogni volta. Spesso Jude ha paura che possa stancarsi di
lui e della sua vita spericolata, prima o poi.
Sotto
gli occhi increduli e sconvolti di quella gente un po’
snob, Jude accosta nei pressi di una di quelle eleganti palazzine.
Magari pensano che sia un ladro, chi lo sa. Certo, dubita che un ladro
suonerebbe il citofono – e che la sua ipotetica vittima gli
apra senza nemmeno domandargli chi sia – ma cosa vuole che ne
sappiano, quelle persone?
Jude
s’infila nel palazzo con un sospiro esausto, lasciando
che la porta si chiuda dietro di sé. Dubita di avere la
forza necessaria per affrontare quattro piani di scale a piedi,
perciò si affretta ad andare a prenotare la chiamata
dell’ascensore. Quella notte gli sembra un’Odissea,
sul serio.
In
ascensore ne approfitta per sedersi sulla pedana a terra. Vorrebbe
mettersi un po’ di musica in cuffia, sa tuttavia che il
viaggio che lo attende è talmente breve che, in fin dei
conti, non ne vale poi così tanto la pena. Quando avverte il
trillo che gli annuncia di essere arrivato al piano e le porte si
aprono accanto a lui, si costringe a mettersi di malavoglia in piedi,
trascinandosi sul pianerottolo.
La
porta dell’appartamento è già stata
aperta. Sulla soglia c’è un uomo, una giacca
avvolta attorno alle spalle per potersi proteggere dal freddo esterno;
sotto, con ogni probabilità, è in abiti da
camera, tuttavia Jude non riesce a vederlo con chiarezza: alle spalle
della sua figura, infatti, la luce calda e accogliente
dell’ingresso si espande lungo tutto
l’appartamento, gettandogli un’ombra oscura sul
volto.
Jude
sorride beatamente; è stanchissimo, sente le gambe
cedergli in avanti, probabilmente finirà con la faccia
schiacciata a terra. Fortunatamente l’uomo
all’ingresso dell’abitazione scatta in avanti e lo
afferra prima che ciò possa succedere, stringendogli un
braccio attorno alla vita e attirandolo all’interno
dell’appartamento. Jude gli è così
grato, per quel contatto.
Il
ragazzo sente la porta chiudersi alle sue spalle, mentre il suo
soccorritore gli fa poggiare la schiena contro il muro di casa per
farlo stare in piedi. Ora che sa di essere al sicuro, Jude si convince
a cercare di recuperare quelle forze che, poco prima, lo hanno
così di colpo abbandonato.
L’altra
persona, nel frattempo, gli accarezza il volto con
premura, angosciato al pensiero di vederlo ridotto in quello stato.
«Jude,
ragazzo mio, che succede?» lo sente
mormorare, mentre non smette di distribuire carezze rassicuranti sul
suo volto.
«Niente…
niente» mente il giovane,
poggiando la guancia su una di quelle mani così premurose
«va tutto bene.»
«Non
direi» l’uomo davanti a lui passa le
dita in quel groviglio cespuglioso che ormai sono diventati i suoi
capelli. Jude vorrebbe implorarlo di ripetere quel gesto per il resto
della sua vita, così rassicurante e al tempo stesso
possessivo.
«Shh,
non importa» il ragazzo abbassa lo sguardo,
le guance che s’imporporano di emozione «baciami,
Ray, il resto non conta.»
Jude
lo sente sussultare, sorpreso; per un momento quasi teme che si
negherà a quell’ennesima richiesta, tuttavia poco
dopo la mano tra i suoi capelli lo attira verso il volto
dell’altro e nel giro di pochi secondi sente le labbra
dell’uomo posarsi sulle sue. Ed è esattamente come
ogni altra volta: un’esplosione di fuochi
d’artificio, un benessere talmente intenso che mai nessuna
droga sarà in grado di fornirgli.
Sente
l’altra mano tastargli il fianco e per un momento Jude
vede doppio, salvo poi lasciare che ogni cosa nel suo campo visivo
svanisca in una piacevole oscurità.
«Direi
che possiamo continuare questo discorso in camera da
letto» commenta Ray, posando maliziosamente le labbra sul
collo del ragazzo.
Non
appena l’espressione “camera da
letto” giunge alle sue orecchie, Jude si lascia sfuggire un
gemito di approvazione, il che fa venire a Ray una gran voglia di
ridacchiare, mentre comincia a sfilargli la felpa e prendendolo in
braccio si avvia proprio verso quella stanza.
È
difficile spiegare come sia iniziato il loro rapporto.
Fino
a qualche mese prima, quando ancora frequentava il liceo, Ray Dark
era il suo insegnante di letteratura. Jude era uno studente eccellente,
raggiungeva senza particolari sforzi il massimo dei voti in tutte le
materie.
Eccetto
in letteratura, ovviamente.
Il
suo insegnante gli diceva spesso che continuava a mancargli
qualcosa.
Per quanto Jude studiasse – Ray era quasi certo che
sarebbe stato in grado di conoscere alla perfezione ogni singola pagina
del loro manuale – proprio perché vedeva
così tanto potenziale in quel ragazzo, desiderava che lui
riuscisse ad andare più in profondità in quegli
argomenti.
Peccato
che non avessero avuto il tempo materiale per sviluppare quel
progetto.
All’inizio
dell’anno, infatti, Jude aveva
cominciato improvvisamente – e in maniera piuttosto sospetta
– a non presentarsi a scuola. D’accordo, a volte
tornava, succedeva tuttavia per un paio di sporadici giorni dopo
settimane e settimane d’assenza.
Ray
non crede di essersi mai preoccupato così tanto per
qualcuno in vita sua: non riusciva più a concentrarsi nel
fare lezione, pensava continuamente a quel ragazzo – e a
quanto avrebbe voluto poterlo vedere ancora.
A
discapito dei suoi voti non propriamente eccellenti in quella
materia, Jude aveva avuto sempre un ottimo rapporto con il suo
insegnante di letteratura. Spesso capitava loro di concedersi una
chiacchierata, oppure delle volte Ray gli aveva perfino consigliato
delle letture al di fuori della sfera scolastica.
Per
questo motivo, le sempre più frequenti assenze del
ragazzo avevano preoccupato così tanto il professor Dark.
Separarsi
dal sicuro e protetto ambiente del liceo non era stato
così facile nemmeno per Jude, anzi: gli capitava spesso di
pensare a quel professore così gentile, a quanto gli
mancassero i loro discorsi sull’ultima opera su cui lo aveva
indirizzato o anche solo vedersi, avere la consapevolezza di essere
lì, l’uno a pochi passi dall’altro.
Poi,
in una tiepida notte di maggio, si erano rincontrati.
Jude
stava tornando a casa di nascosto, dopo giorni e giorni trascorsi
insieme ai suoi nuovi amici. Ray gli aveva raccontato che si era
trovato a passare casualmente in auto sotto casa sua, tuttavia il
ragazzo non gli aveva mai creduto del tutto. Temeva che il professore
avesse passato giorni interi appostato nei pressi della lussuosa villa
di suo padre – ma questo Jude non gliel’aveva mai
detto.
Il
ragazzo stava proprio per intrufolarsi all’interno della
proprietà, quando aveva notato la vettura
dell’insegnante parcheggiata non molto distante dai cancelli
di casa sua. Senza pensarci due volte, l’aveva raggiunta,
certo che il professore non si sarebbe rifiutato di farlo salire.
«Posso
sapere che diavolo ci fa lei qui?» aveva
sbottato, incrociando le braccia con astio.
«Potrei
farti esattamente la stessa domanda, Jude! Dovresti
essere a casa da ore…» era stata la replica
dell’uomo, in evidente stato di apprensione.
«Ah,
sì?» aveva replicato il ragazzo,
furente. «E da quando in qua lei saprebbe quando devo o meno
essere a casa? Come se si preoccupasse per me…»
«Veramente
è esattamente quel che faccio,
ragazzo» Ray si era affrettato a precisare, afferrando le
mani di Jude «all’incirca da quando ti conosco, per
l’esattezza.»
Allora,
senza dargli tempo di replicare, si era spinto in avanti,
trattenendo il volto del giovane tra le mani e baciandolo, con un gesto
impulsivo.
In
un primo momento Jude aveva desiderato potersi liberare da quella
stretta, quando tuttavia le labbra del suo ex insegnante si erano
posate sulle sue si era sentito invadere da un tanto peculiare quanto
piacevole insieme di emozioni meravigliose.
Forse,
per tutto quel tempo, era stato a sua volta innamorato di lui
senza nemmeno accorgersene.
Ecco
perché, alla fine, aveva risposto a quel bacio.
Esattamente
a partire da quel momento Ray Dark è divenuto il
suo posto sicuro, la persona presso cui rifugiarsi ogni
volta, nel momento del bisogno. Il fatto che, in tali condizioni,
fossero diventati amanti, non era che una normale conseguenza dello
svolgersi degli eventi.
Jude
è disteso a pancia in giù sul materasso, il
corpo avvolto nelle lenzuola morbide di cachemire rossastro. Ha
un’espressione beata dipinta sul volto, ora finalmente
così rilassato, mentre sorride lievemente. Ray è
coricato su un fianco, alla sua destra e gli sta carezzando la schiena
nuda, gli occhi che scintillano un po’ di più ogni
volta che sente un brivido percorrere la colonna vertebrale del ragazzo.
«È
stato magnifico. Come ogni altra volta, del
resto.» Ray si china in avanti, lasciando un bacio leggero
sulla guancia di Jude non premuta contro il cuscino.
«Mhh»
il ragazzo mugugna amabilmente, socchiudendo
appena gli occhi «sono così felice di essere
qui…»
«Dovresti
venirmi a trovare più spesso. So di
avere degli effetti sorprendenti su di te» Dark si distende
accanto a lui, circondandogli la vita con le braccia.
«E
io ci verrei volentieri, più spesso…
se solo non fossi sempre così impegnato con i
ragazzi…» il ragazzo abbassa lo sguardo, con aria
colpevole.
«Jude»
Ray gli lascia un bacio su una spalla
«sai già come la penso, in merito a questo
discorso. Non sono entusiasta di vederti frequentare certe persone,
né tantomeno di sapere che sei in giro a combinare
determinate cose—»
«Ray,
ne abbiamo già parlato…»
«Lo
so. E proprio per questo vorrei che tu sapessi che ci
sarò sempre, qui per te. Non approvo quello che stai
facendo… però sono qui, Jude. Vorrei solo poter
essere il tuo porto sicuro, il luogo in cui tornare, sia che le cose
vadano bene sia qualora dovesse succedere qualcosa di brutto»
commenta, appoggiando il volto tra i capelli cespugliosi del ragazzo.
«Ma
tu lo sei già, Ray» mormora Jude,
sull’orlo della commozione «io ti amo, non vorrei
essere da nessun’altra parte senza di
te…»
«Shh»
l’uomo rotola tra le coperte,
trascinando con sé il corpo del ragazzo «abbiamo
bisogno di riposare, adesso. Oh, tesoro, sei così
stanco…»
«Grazie
per aver medicato la mia ferita» mormora
Jude, contro le sue labbra. Avverte ancora nitidamente il bruciore
nella parte terminale della schiena: fortunatamente, Ray ha avuto il
buonsenso di disinfettargli tutta la parte lesa e avvolgere attorno ad
essa delle bende. Almeno, adesso il dolore è molto
più contenuto.
«A
proposito, non mi hai ancora detto come hai fatto a farti
male in un modo del genere» gli rammenta l’uomo,
carezzandogli languidamente i fianchi.
«B-beh»
spiega il ragazzo, il volto rosso a causa
di quei tocchi «diciamo che potrebbe esserci stata una rissa,
l’altro giorno, allo skate park.»
«Jude»
Ray alza gli occhi al cielo, preoccupato
«questa vita non fa per te, è troppo pericolosa.
Dovresti essere seduto ad un banco di scuola a studiare, non a farti
riempire di botte in giro da degli sconosciuti. Tu sei un ragazzo
pacato e diligente, non un teppista.»
Le
braccia forti dell’uomo scorrono sulla sua schiena candida
del ragazzo, mentre lo aiuta cordialmente a distendersi supino sul
letto. Sa che lasciarlo riposare è la cosa giusta da fare,
in quel momento, anche se rimarrebbe volentieri a parlare con lui per
delle ore intere.
«Ma
a me piace, questa vita» sospira Jude,
lasciandosi accarezzare la fronte, appena imperlata di sudore
«quei ragazzi sono diventati miei amici, mi trovo bene con
loro. Quanto alla scuola, non so… da una parte mi manca,
dall’altra mi sento molto meglio senza quelle incombenze a
gravarmi sulle spalle.»
«Sono
delle abitudini corrosive» replica Ray, il
tono duro «ho paura che tu possa ferirti in maniera ben
più grave di quei graffi sulla schiena, continuando
così, prima o poi…»
«Posso
migliorare, lo so. Ti prometto che farò del
mio meglio per riuscirci» sussurra Jude, la voce ridotta ad
un flebile mormorio; percepisce la bugia nelle proprie parole, mentre
si costringe ad ingoiare il groppo in gola che avverte – e
che pesa più di mille macigni «magari uno di
questi giorni tornerò a scuola, chi lo sa.»
A
quelle parole gli occhi di Ray s’illuminano di qualcosa
pericolosamente simile alla speranza – e Jude si sente
così terribilmente in colpa, per aver creduto
così poco nelle sue stesse parole.
«Non
credevo che potessi dirmi qualcosa di più
bello di un “ti amo”» commenta infatti,
la voce sembra sorprendentemente impregnata di un’emozione
– purtroppo – così simile alla
felicità «come al solito mi sbagliavo. Riesci
sempre a sorprendermi e a smentirmi in maniera positiva, sei
fantastico.»
Le
guance di Jude s’imporporano lievemente quando le labbra
di Ray si posano sulle sue – e non tanto perché si
senta lusingato da quel gesto, quanto piuttosto a causa di quella
promessa che teme di non essere in grado di mantenere.
«Te
ne andrai nel cuore della notte anche
stavolta?» s’informa l’uomo, non appena
si separano, interrompendo quel bacio.
«No,
stavolta no» gli assicura Jude – e
sa che adesso gli sta dicendo la verità. È stanco
di fuggire come un ladro da quella casa che ogni volta lo accoglie come
un nido sicuro. Vuole rimanere al caldo tra quelle coperte ancora per
un po’, risvegliarsi la mattina e trovare il caffè
caldo e la colazione pronta che Ray gli ha preparato prima di uscire
per andare al lavoro. Vorrebbe restare per sempre tra le braccia di
quella persona che forse è l’unica che ancora lo
ama davvero, oppure trovare il giorno seguente i vestiti che ha
dimenticato lì la volta scorsa puliti e profumati di bucato,
la felpa verde mela di due taglie più grande per lui, con
quel suo fisico minuto ed emaciato, insieme ad uno dei suoi
innumerevoli jeans strappati sulle ginocchia. L’ultima volta
Ray non l’aveva lasciato uscire di casa con quegli abiti,
troppo impregnati di fumo ed altri odori sgradevoli, insistendo che un
ragazzo come lui non dovesse andare in giro conciato in quel modo e che
glieli avrebbe restituiti al loro incontro successivo, dopo un doveroso
giro in lavatrice. Quello che Ray ancora non sapeva è che
non avrebbe più rivisto la camicia che gli aveva prestato,
considerando che Jude se l’era strappata durante un giro allo
skate park – o forse se lo immaginava, l’aveva
sempre saputo, in fondo, che quel che donava a Jude difficilmente
faceva una bella fine.
Jude
sa già che, la mattina seguente, tutto ciò
che ha previsto, puntualmente, si avvererà. Si
siederà da solo, nella lussuosa cucina
dell’appartamento del suo ex professore, sorseggiando
caffè bollente da una tazza di ceramica bianca, mentre da
dietro il tavolo ad isola nel mezzo della stanza osserva lo skyline di
Boston che gli appare alla finestra davanti a sé, la
città che si risveglia e una sottile linea di nubi che
aleggia nel cielo. Sa anche che penserà alla notte
precedente, a quelle mani tanto amate che hanno sfiorato ancora una
volta il suo corpo e sorriderà in maniera sciocca,
mordicchiando un biscotto, pensando a quanto tutto ciò sia
maledettamente bello e perfetto. Magari un giorno lui e Ray riusciranno
davvero a vivere assieme la vita che hanno sempre sognato e desiderato
per loro stessi, chi può dirlo. Nel frattempo, Jude si
accontenterà di cambiarsi d’abito – una
nuova lavatrice di indumenti che non gli appartengono, per Ray
– e correre al vicolo, con un ritardo spaventoso. Sente fin
da ora, come ogni altra volta, i rimproveri di Caleb trapanargli le
orecchie, tutto sommato però Jude è quasi
contento di riceverli, se questo vuol dire che se li è
beccati per aver passato del tempo con Ray. Il ragazzo andrebbe
incontro a qualsiasi punizione, pur di non rinunciare al rapporto con
l’uomo.
Jude
sorride, incantato: niente di diverso dalla loro solita routine
– e in fondo va bene così.
Ray
lo abbraccia, posandogli un bacio sulla fronte.
«Molto
bene, allora» mormora, accarezzando quei
capelli, dello stesso colore dorato della sabbia «buonanotte,
Jude.»
«Buonanotte,
Ray» ricambia il giovane,
accoccolandosi contro il petto del suo amato.
In
quell’abbraccio, Jude cade in un sonno profondo; adesso,
tuttavia, le tenebre non lo spaventano poi così tanto,
perché sa che finché Ray sarà al suo
fianco nulla potrà andare per il verso storto.
「
Southwest
Corridor, Boston, 14th March
h. 03:57
p.m. 」
Jude
si stiracchia pigramente, mentre un raggio di sole lo colpisce in
pieno.
Finalmente
è arrivata la primavera e il cambiamento
già si sente nell’aria: le giornate sono
più soleggiate, le temperature più miti e
sopportabili rispetto a quelle rigide dei mesi invernali che si sono
appena lasciati alle spalle.
Il
ragazzo valuta distrattamente che, in fin dei conti, è
meglio così: almeno, quando escono nel cuore della notte,
evita di congelarsi e diventare una sottospecie di pupazzo di neve.
Quel
pomeriggio si trovano all’interno del loro covo:
è un vecchio appartamento abbandonato, situato al
pianterreno di uno dei palazzi tra cui è compreso il loro
vicolo.
In
realtà dubita che quel luogo fosse inizialmente destinato
a divenire un’abitazione, considerando che è
sviluppato in modo che l’ingresso sia il pianerottolo a cui
si ha accesso dalla porta di servizio e che il resto del locale
è strutturato in un unico stanzone, raggiungibile mediante
una breve rampa di due o tre scalini. In pratica, è come se
si trovassero in un seminterrato.
Ci
sono scalini di accesso sia alla sua sinistra che a destra, pochi e
in cemento armato non rasato. Entrambe le minuscole rampe conducono ad
una sorta di soppalco, delimitato da una balconata di ferro sottile.
Alle loro spalle, la porta che li conduce fuori dal disordine di quel
luogo. Spesso lui e Caleb si mettono in piedi e da quello spazio
rialzato si dilettano in discorsi alla banda – che, il
più delle volte, terminano nelle risate di sbeffeggiamento
di Joe e David. Quel giorno, invece, si trovano tutti di sotto.
L’unica
stanza della tana è ampia e polverosa,
assomigliando in maniera peculiare ad un magazzino di scarico merci. Il
parquet a terra è tutto crepato a causa delle numerose
infiltrazioni di pioggia che spesso vessano quel luogo – ci
sono spifferi praticamente ovunque – e gli unici arredamenti
presenti in quel luogo sono il vecchio e logoro divano verde bottiglia
e un tappeto talmente impregnato di sporcizia che, ormai, definirne il
colore originale è praticamente impossibile.
Joe
e David sono appollaiati sul divano, mentre lui e Caleb si sono
accontentati del tappeto. Un tempo Jude si sarebbe rifiutato
categoricamente di accomodarsi su una superficie tanto lercia, ora
tuttavia si rende conto che i suoi stessi vestiti non sono messi poi
così meglio.
Sul
volto di Caleb compare un sorriso pericolosamente simile ad un
ghigno – e Jude sa già cosa li aspetta.
«Allora»
esordisce infatti, poggiando le mani sul
tappeto e dondolandosi appena «fuori le ferite.»
David
si lascia sfuggire un lieve squittio, Jude e Joe invece hanno
già cominciato ad arrotolarsi i jeans e le maniche delle
felpe.
«David,
smettila di lagnarti come una ragazzina»
gli abbaia contro Caleb, incominciando a stappare una bottiglia di
alcol «lo sai che questa è la tradizione della
banda. Ogni volta che ci facciamo una ferita, la bagniamo con la vodka;
è il nostro modo di medicarci.»
«Ma
brucia»
si lamenta ancora il ragazzo con la
pelle dello stesso colore del caffellatte.
«Grazie
al cazzo che brucia, è alcol»
rincara Caleb, innervosito da tutto quel temporeggiare
«insomma, ti dai una mossa o devo venire lì a
spaccarti la bottiglia in testa, almeno sono sicuro che tu abbia vodka
su tutto il corpo?»
«Va
bene, va bene, ho capito» sbotta David,
rimboccandosi le maniche.
Caleb
ghigna, pronto a rifilargli la lezione che merita.
«Bravo
gattino» commenta infatti, cominciando a
versare la vodka proprio sulle ferite di David; il ragazzo dai capelli
turchini si dimena furentemente, stringendo i denti per trattenere le
imprecazioni. La punizione sta nel fatto che, invece di andarci
leggero, il capo della gang sta coprendo in breve tempo e con grandi
quantità di alcol i tagli dell’altro ragazzo,
così che il liquido bruci ancora di più.
Jude
valuta che, quando vuole, Caleb sa essere parecchio spietato.
Decide di segnarselo bene a mente, chissà, magari un giorno
o l’altro potrebbe servirgli.
Ricorda
che, i primi tempi in cui era entrato a far parte della banda,
finiva spesso per cadere dallo skate, facendosi più o meno
male. Oltretutto, visti i caratteri così diversi, i litigi
tra lui e Caleb erano sempre all’ordine del giorno,
perciò gli era capitato varie volte di dover subire quello
stesso trattamento che ora tocca a David. Sa quanto tutto
ciò faccia male, ecco perché col tempo ha
imparato a ponderare le proprie reazioni: conosce bene cosa comporta
far innervosire Caleb e, se in qualche modo può
risparmiarselo, di certo non vede perché non dovrebbe
evitarlo.
È
anche vero che, inizialmente, con lo skate faceva pena: si
ritrovava ogni due minuti con il fondoschiena per terra, ecco
perché, ora che – per fortuna – ha
acquisito maggiore stabilità e consapevolezza della tavola,
le cadute sono diminuite, così che anche il numero di ferite
si è ridotto. Inutile dirlo, Jude è immensamente
grato di questo.
Quando
Caleb ritiene di aver torturato a sufficienza David, passa ad
irrorare i vari tagli e graffi di Joe. Il ragazzo non si scompone
minimamente, trattenendo il dolore e serrando la mascella, senza
mostrare il minimo segno di cedimento. Joe ha decisamente meno ferite
di David, inoltre sembra essersi abituato a quel bruciore familiare,
cosicché ormai non è più neanche
troppo impossibile da sopportare.
Caleb,
infine, arriva davanti a Jude. Deve ammettere che non gli
è andata poi tanto male, stavolta: tagli su gomiti e
ginocchia ma niente di più. Jude sente il liquido colare
sulle sue ferite e deve gettare la testa all’indietro per non
mettersi a gridare: si è fatto male di recente,
perciò la carne sotto è ancora viva, rendendo il
dolore più intenso e insopportabile. Alcune lacrime si
formano agli angoli delle sue cornee, tuttavia si costringe a non
lasciarle cadere, certo che altrimenti gli altri lo prenderebbero in
giro fino alla fine dei suoi giorni. Sperava che, col passare del
tempo, si sarebbe abituato a quello strano modo di curarsi le ferite,
eppure a quanto pare non ci ha ancora preso completamente la mano.
Finalmente
la vodka smette di scorrere sulla sua pelle e Jude
percepisce il corpo di Caleb tornare a sedersi a terra a gambe
incrociate, mentre il loro leader inizia a far colare l’alcol
sulle proprie ferite. Jude non lo vede, ha ancora gli occhi chiusi a
causa di tutto quel bruciore che avverte in giro per il corpo.
Quando
riesce a riportare la testa in posizione normale e a riaprire
gli occhi, Caleb ha appena finito con le medicazioni – vede
l’alcol scivolargli giù dalle braccia e dai polsi
– e si sta lasciando sfuggire un lieve sospiro di sollievo.
Poco dopo si porta la bottiglia alle labbra e butta giù
un’ampia sorsata di liquido, forse più per
riprendersi da tutto quel bruciore che per assecondare una voglia.
Caleb
si separa dal contenitore; quando si accorge che lo sta fissando,
passa la vodka a Jude con un leggero lancio. Alcune gocce cadono a
terra, tuttavia il ragazzo riesce ad afferrare la bottiglia al volo e
subito se la avvicina alla bocca. Il liquido dolciastro e trasparente
scivola giù, lungo la sua gola, ardendo il palato e le
pareti dello stomaco, non appena riesce a giungere fino
all’interno di esso. Malgrado quel bruciore, ormai
così familiare, Jude non riesce a trovarne sgradevole il
sapore.
Una
volta presa la sua sorsata, passa la bottiglia a Joe, stendendo il
braccio nella sua direzione.
Gli
altri due ragazzi si servono con l’alcol e nel frattempo
Jude sente la testa incredibilmente pesante. L’ultimo periodo
è stato frenetico, è riuscito a vedere Ray
sì e no un paio di volte in croce. Vorrebbe poterlo
incontrare ancora, tuttavia di recente i suoi impegni con la banda
stanno aumentando: man mano che la sua figura va affermandosi come
quella del vice leader, Jude è consapevole di dover dedicare
sempre maggiore impegno e attenzioni a quello scapestrato gruppo di
delinquenti.
Peccato
che, in questo modo, non faccia altro che sottrarre tempo a
tutto il resto: la famiglia, lo studio e – purtroppo
– anche Ray. Sono due mesi che non entra più a
scuola, quasi tre settimane che non vede il suo ex professore e
comincia a credere che, continuando di questo passo, finirà
per impazzire. A volte teme che si dimenticherà che faccia
ha suo padre, visto che a Natale sono rimasti a malapena nella stessa
stanza, ignorandosi bellamente per la maggior parte del tempo
– niente di diverso da quel che fanno di solito, comunque.
È piuttosto certo che suo padre sia stato avvertito delle
sue continue assenze da scuola, tuttavia, seppure avesse intenzione di
rimproverarlo per questo, di fatto non ne aveva avuto il tempo
materiale, considerando che la campagna elettorale era alle porte: per
tutta la durata della cena era rimasto al telefono, impegnato tra una
chiamata di lavoro e l’altra. A detta di Jude, quella era
stata in assoluto la peggiore vigilia di Natale della sua vita e, pur
di non replicare l’esperienza, a Capodanno si era rifugiato a
casa di Ray. Mentre fuori esplodevano i fuochi d’artificio,
Jude riusciva a sentire solo quelli che scoppiavano tra di loro, sotto
le coperte.
All’improvviso
sbatte ripetutamente le palpebre, rendendosi
conto di aver perso – non sa esattamente per quanto tempo
– il contatto con la realtà. La prima immagine che
i suoi occhi catturano sono i corpi aggrovigliati di Joe e David sul
divano, intenti a limonare in maniera affiatata.
D’improvviso, la bottiglia di vodka non rappresentava
più un passatempo così esaltante, per loro.
Voltandosi,
si accorge di avere ancora gli occhi di Caleb puntati
addosso. Non sa, probabile che guardarlo perdersi nei suoi pensieri sia
comunque uno spettacolo migliore – o meno destabilizzante
– dei suoi due amici intenti a scambiarsi effusioni piuttosto
intense.
Jude
vorrebbe chiedergli cosa gli stia passando per la testa, tuttavia
Caleb non glielo permette.
«Vado
a farmi una canna» gli annuncia infatti,
mettendosi in piedi.
«Vengo
anche io» commenta subito Jude, lasciando
non poco sorpreso Caleb.
Per
quanto cercasse di fare il duro, Jude non era mai stato il tipo di
ragazzo appassionato a robe simili, ecco perché
quell’improvvisa proposta di compagnia lo insospettiva e non
poco.
Nonostante
ciò, Caleb scrolla le spalle, lasciandosi seguire
dal compagno. Chissà, magari Jude non riesce a sopportare la
vista di quei due assieme per il suo stesso motivo.
Si
accomodano sul davanzale dell’unica finestra presente in
quel posto. Alcune zone del vetro sono scheggiate, altre direttamente
rotte, tuttavia, considerando l’uso che fanno di quel luogo,
Caleb non vede davvero perché dovrebbe lamentarsi.
Mentre
inizia a rollare lo spinello, decide di rivolgere nuovamente la
parola a Jude.
«Ricordami
che ti devo portare con me in un posto, tra
qualche giorno» lo avverte, in effetti, poco dopo.
«Okay.
Posso chiederti di che posto si tratta?»
s’informa Jude, mentre le sue dita giocherellano con alcune
schegge di vetro lì intorno.
«No.
È una sorpresa» ribatte Caleb,
mentre cerca l’accendino nelle tasche dei suoi pantaloni
militari.
«Uhm,
a giudicare dal tono con cui l’hai detto e
dal sorrisetto sospetto che ti è spuntato sul volto oserei
ipotizzare che questo posto non mi piacerà
affatto» valuta Jude, di nuovo immerso nei suoi pensieri
«un bordello o un incontro con uno dei tuoi spacciatori,
sicuramente.»
Caleb
sogghigna: il suo migliore amico è completamente fuori
strada.
«Cazzo,
Jude, non pensavo che mi conoscessi così
bene» ride sguaiatamente, il fumo che esce sotto forma di
ampie volute dalle sue labbra e riempie con l’odore tipico
delle canne lo spazio attorno a loro «comunque no, mi
dispiace informarti che non ci sei andato neanche lontanamente vicino.
Poco importa, lo vedrai una volta che saremo lì.»
Jude
alza le spalle, con noncuranza. Di lì a breve Caleb gli
allunga lo spinello e finalmente anche lui può farsi un tiro
di marijuana. Il solito odore acre – stessa cosa vale per il
sapore – l’inconfondibile senso d’oblio
che gli invade la mente. Le canne non sono esattamente il suo
passatempo preferito, tuttavia pur di sentire la testa leggera come in
quel momento Jude è disposto a continuare il suo percorso
lungo quel sentiero spinoso ancora per un po’.
«Oh,
mica starai andando in botta al primo
tiro» Caleb scoppia nuovamente a ridere, tirandogli
un calcio sullo stinco «non provare a lasciarmi da solo con
questi due che pomiciano come due scolarette, altrimenti mi
toccherà tagliarmi le vene. Sei l’unico
– oltre me, ovviamente – ad avere un briciolo di
cervello, qua dentro, sveglia! Piuttosto, dimmi: come va con la tua
ragazza?»
Per
un momento Jude sobbalza, lo spinello ancora tra le labbra:
è curioso il fatto che Caleb abbia dato per scontato che la
sua relazione sia con una ragazza. In effetti, considerando anche
quanta poca stima abbia nel rapporto tra David e Joe, Jude si sente
quasi sollevato per non avergli mai rivelato che ha una relazione con
un uomo.
«Bene…
diciamo» risponde allora,
mettendosi ad osservare il vetro rotto alla sua destra «solo
che a volte vorrei solo avere un po’ di tempo in
più da passare insieme. A proposito, forse tra qualche
giorno non ci sarò.»
«Uhm?»
Caleb si acciglia, sorpreso.
«Perché, porti la tua bella a trascorrere un
weekend romantico?»
«Ma
no, ma no» Jude sospira, il fumo che scivola
fuori dalle sue labbra e prende ad aleggiare tra loro –
“magari si
trattasse di un’uscita
insieme…” mormora tra sé
il ragazzo
«solo che credo che sia arrivato il momento di mettere a
posto questa cosa con la scuola.»
«Ohh,
finalmente hai deciso di ragionare, Jude!»
Caleb si china in avanti per lasciargli una pacca sulla spalla
– più forte del previsto.
Poco
dopo Jude lo sente sfilargli la canna dalle dita, mentre se la
porta nuovamente alle labbra. Il covo viene riempito dai gemiti di
David e Caleb getta la testa all’indietro, esasperato.
«Perché
non ve ne andate a casa vostra, se dovete
fare certe cose?» urla allora il ragazzo dal ciuffo di
capelli castani, mentre sta evidentemente cercando di trattenere
l’istinto di andare lì per picchiarli.
Jude
si porta una mano alle labbra e ridacchia, divertito. A volte
pensa che quel loro quartetto non sia poi così strano, in
fin dei conti.
Angolo
autrice
Questa
storia che sto cominciando a diventare puntuale inquieta anche
me, lol.
Ad
ogni modo, eccoci di nuovo qui! Sono tornata da Rimini
più stanca di prima – e dire che sarebbe dovuta
essere una vacanza – ma poco importa.
Allora,
patro col dire che io amo questo capitolo, sinceramente
è uno dei miei preferiti. Ovviamente, come vi avevo
già preannunciato, questa storia non è una
FudoKido – ma come avete potuto pensare una cosa del genere?
Io che scrivo sulla mia NOTP? Vi voglio bene, però continuo
seriamente a domandarmi questa cosa da due settimane a questa parte, o
forse anche di più. Comunque, ovviamente non potevo
astenermi dall'inserire un po' della mia OTP suprema – la
KageKi – anche in questa storia, so here we are, people!
Per
il resto ho poco da dire, perché a parte mostrare un
piccolo squarcio di intimità della mia coppia preferita
questo capitolo non è che faccia granché.
Ritroviamo la nostra gang preferita (?) alle prese con delle
divertentissime attività (??), ma per il resto niente di
speciale. Restiamo però con due grandi interrogativi in
sospeso: come si risolverà la questione scolastica per Jude?
E dov'è che lo vuole portare Caleb?
Ovviamente,
tutto ciò si verrà a sapere a tempo
debito, aka nel prossimo capitolo.
Ah,
a proposito di capitoli, vi avviso: i prossimi due saranno pieni di
angst e di dolore, come mio solito, d'altronde. In effetti non so come
mi sia uscito qualcosa di molto più soft, per questa volta--
Niente,
come al solito ringrazio Gaia
per essere un angelo sceso in
terra, visto che si è fatta carico della
responsabilità di
correggere tutto ciò che trovate qua sopra. Come al solito
un parere è sempre benaccetto, anche se ormai sono piuttosto
disillusa al pensiero di riceverne, ahah. Se il problema è
che non ho risposto alle altre recensioni me ne dispiaccio
sinceramente, purtroppo in questo periodo non ho molto tempo da
dedicare ad Efp, ecco perché l'arco degli aggiornamenti di
DN è abbastanza vasto. Personalmente non lo trovo un motivo
valido per smettere di recensire, perché quando una storia
mi interessava ho sempre lasciato almeno uno straccio di commento, al
di là del fatto che poi l'autore mi rispondesse o meno,
principalmente perché lo trovavo un atto di correttezza nei
miei personali confronti – se una storia mi piace lo dico,
punto e basta, me ne importa relativamente poco di ricevere una
risposta alla recensione da parte dell'autore – capisco
tuttavia che qualcuno possa aver percepito la mia come una mancanza di
rispetto nei vostri confronti, perciò lungi da me incolpare
qualcuno di una qualsivoglia cosa. Come ho detto, ultimamente non ho
molto tempo per Efp, ecco perché non vi ho ancora risposto.
Vi chiedo scusa, spero di riuscire a farmi perdonare, un giorno.
Grazie
a chiunque leggerà questo capitolo, a chi ha inserito
la storia tra le preferite e a chi invece la sta seguendo, in silenzio
o meno che sia. 150 visualizzazioni per capitolo in una decina di
giorni è una cifra sorprendente, per me.
Ci
vediamo il 7 agosto con l'angst- pardon, il prossimo capitolo!
Aria
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Capitolo 4 *** Things start tumbling down ***
「 Cambridge,
Boston, 20th March
h.
10:24 a.m. 」
L’istituto Cambridge Rindge and Latin School è
senza dubbio una delle più rinomate scuole di Boston, con la
sua architettura ricercata e moderna, oltre ovviamente ai migliori
insegnanti della città. Suo padre lo aveva iscritto
lì controvoglia, avrebbe preferito di gran lunga che il
figlio frequentasse una scuola privata, soprattutto in vista della
campagna elettorale che si sarebbe apprestato a portare avanti nel giro
di due anni a quella parte, tuttavia lui aveva insistito con decisione
affinché si optasse per un liceo pubblico.
Ovviamente, a quel punto il signor Sharp aveva scelto il miglior liceo
pubblico presente su piazza, tuttavia col senno di poi Jude non
riusciva davvero a trovare motivo di lamentarsi.
Aveva cominciato a frequentare quella scuola con risentimento,
presentandosi a lezione sempre imbronciato e con il costante desiderio
di sprofondare in quelle sue felpe enormi e sformate. Quando aveva
cominciato tuttavia a seguire i corsi del professor Dark qualcosa si
era acceso in lui, come la consapevolezza che là dentro non
fosse tutto perduto. Lui… possedeva uno strano magnetismo,
in grado di catturare l’attenzione di ogni studente presente
nella stanza. Mentre lo ascoltava parlare, Jude si sentiva sempre
trasportare in un’altra dimensione.
Così, il sole era tornato a brillare, per Jude.
Ora che è appollaiato sul tetto dell’istituto, gli
viene da ripensare a quel periodo. Aveva cominciato a tornare a casa
col sorriso e suo padre ne era stato entusiasta, finalmente sembrava
che suo figlio avesse trovato l’equilibrio che tanto
disperatamente cercava. Spesso Jude gli parlava in maniera entusiasta
del professor Dark, raccontandogli di come l’avesse spinto
all’appassionarsi alla lettura di Kerouac o Salinger: i suoi
occhi scintillavano ogni volta che il nome dell’insegnante
scivolava sulla sua lingua. Colpito da quel luccichio e dalle parole
lusinghiere, il signor Sharp si era convinto a recarsi ai colloqui
scolastici per conoscere di persona l’insegnante che Jude
nominava continuamente.
Ricorda bene ciò che, quella sera, suo padre aveva
affermato, riferendosi al loro colloquio.
«È una persona interessante» era stato
il suo commento, mentre infilzava un altro pezzo di arrosto dal proprio
piatto «mi ha parlato a lungo di te, dice di
trovarti… straordinario.
Sono felice che tu abbia cominciato ad apprezzare il tuo liceo,
Jude.»
In quel momento Jude aveva sentito il cuore battere fortissimo come in
pochissime altre occasioni, in vita sua.
La porta di servizio si apre di soprassalto, mentre un Ray piuttosto
trafelato compare sulla soglia della terrazza.
«Jude» lo saluta amorevolmente, mentre cerca ancora
di riprendere fiato – evidentemente le scale da salire per
arrivare fin lassù lo hanno sfinito più del
previsto «sono passato in segreteria, mi hanno detto che mi
cercavi… non sapevo che saresti venuto qui, oggi.»
«Non ne ero molto sicuro neanche io,
all’inizio» ammette il ragazzo, alzando le spalle
«però ti avevo promesso che sarei
tornato… così eccomi qui.»
Sul volto di Ray compare un sorriso entusiasta, mentre gli occhi si
illuminano di gioia.
«Allora torni a studiare qui» commenta, raggiante
«oh, Jude, ma questa è davvero una
notizia—»
«Sbagliata» lo interrompe Jude, incrociando le
braccia dietro la schiena «è una notizia
sbagliata.»
Ray si ferma a metà strada – aveva già
cominciato a percorrere la distanza tra loro con delle grandi falcate
per poterlo abbracciare – e sbatte diverse volte le palpebre,
confuso.
«Come… come sarebbe a dire che è
sbagliata?» domanda infatti, sempre più perplesso.
«Allora perché mai sei venuto qui?»
Jude sorride mestamente, torturandosi le mani dietro la schiena. Sa
già che Ray non la prenderà affatto bene,
tuttavia è consapevole di non poterglielo nascondere in
eterno; prima o poi lo verrà a scoprire da solo,
perciò preferisce dirglielo subito e di persona.
Com’è che si dice? Via il dente, via il dolore.
«Beh… perché volevo dirtelo di
persona» ammette allora, lasciandosi sfuggire un profondo
sospiro.
Ray si acciglia, impensierito. Ha un brutto presentimento, spera tanto
di sbagliarsi…
«C-cosa devi dirmi?» chiede mentre si avvicina,
sospettoso, scrutando il suo ragazzo con occhi pieni di apprensione.
«Mi dispiace» Jude agita lievemente le braccia
intorno a sé, come a voler mostrare tutto il proprio
disappunto. «Non potevo più andare avanti
così. Ogni giorno i ragazzi continuano a farmi un mare di
pressioni e alla fine mi è toccato accontentarli.
D’altronde, per come stavano andando le cose, non
sarà un cambiamento poi così radicale, tanto di
fatto avevo già smesso di frequentare le lezioni.»
In quell’istante Ray sente crollare tutte le sue certezze.
Per ogni mese di lontananza di Jude, non aveva mai perso la speranza di
vederlo ritornare a studiare, prima o poi. Si diceva che il tempo lo
avrebbe aiutato a capire quale fosse la scelta giusta, inoltre
– forse egoisticamente – si augurava che il ragazzo
decidesse di tornare almeno per stare un po’ più
vicini. Jude è fatto per lo studio, Ray non riesce davvero
ad immaginarlo in un posto che non sia tra i banchi di scuola. Invece
avevano vinto loro: i suoi amici incoscienti, che per tutto quel tempo
non avevano fatto altro che allontanare sempre di più Jude
dalla sua famiglia e dagli studi.
Glielo avevano portato
via.
«È uno scherzo, vero?» il professor Dark
stringe con rabbia i pugni. «Tu non puoi fare questo, Jude.
Me l’avevi promesso… che cosa dovrei pensare,
allora, che per tutto questo tempo non hai fatto altro che
mentirmi?»
Si sente un fallimento: come insegnante, come confidente, come amante. Avrebbe
dovuto indirizzare il suo ragazzo verso la strada giusta, invece aveva
permesso in maniera alquanto passiva che dei delinquenti –
perché questo erano i suoi amici, in fondo, gente che se ne
andava in giro per la città a turbare l’ordine
pubblico – lo conducessero sulla cattiva strada,
allontanandolo forse per sempre da lui.
«Ray, no» Jude scatta in avanti, cercando di
ricacciare indietro le lacrime che sente ora formarsi agli angoli dei
suoi occhi «come puoi anche solo lontanamente pensare una
cosa del genere? Io ti amo,
perché mai avrei dovuto mentirti?»
«Perché è esattamente quello che hai
fatto!» l’uomo copre con un solo passo la distanza
che lo separa da Jude e afferra il ragazzo per il colletto della felpa.
«Mi avevi promesso che saresti tornato qui come alunno, non
per ritirarti dagli studi!»
«Beh, non è andata così»
sbotta Jude, esasperato «ragiona, era l’unica cosa
che potessi fare! Finché non avessi lasciato il liceo non si
sarebbero mai fidati di me, così da farmi rischiare di
diventare ogni volta il nuovo bersaglio dei loro pestaggi.»
«E ti sembra normale andare in giro con della gente che non
vede l’ora di metterti le mani addosso?» Ray
avvicina il viso a quello di Jude, ormai sono separati da una distanza
di appena qualche millimetro. Sente il sangue ribollirgli nelle vene,
è così infuriato, adesso…
«R-Ray… lasciami, per favore… mi stai
spaventando…» mormora il ragazzo, gli occhi ora
sono davvero pieni di lacrime.
Subito Dark lo lascia andare e Jude sente di nuovo i piedi toccare il
suolo. Non si era nemmeno accorto che Ray lo avesse sollevato.
«Scusami» sussurra il professore, abbassando il
capo con aria colpevole.
«Comunque sono miei amici, non è vero che non
aspettano altro che picchiarmi» rettifica Jude, rassettandosi
la felpa «sai che questa non è una cosa da cui
posso tirarmi indietro, altrimenti avrei finito per andare incontro
alle stesse conseguenze che rischiavo continuando a frequentare questa
scuola.»
«Avresti potuto chiedermi aiuto» gli fa notare Ray,
sentendo di nuovo salire l’irritazione dentro di
sé «nessuno sa della nostra relazione, ti saresti
potuto nascondere a casa mia! Sai che te l’avrei permesso,
per me ospitarti sarebbe stato un immenso piacere—»
«Ma non ci arrivi?» Jude vorrebbe mantenere la
calma, davvero, solo che sente il sangue ribollirgli nel cervello nel
momento in cui Dark gli rivolge quelle parole. «Se non ti ho
chiesto aiuto è stato perché non voglio metterti
in pericolo! Qualora mi ritirassi dalla banda e qualcuno dovesse venire
a scoprire che mi nascondo a casa tua, pensi davvero che si farebbero
dei problemi a prendersela anche con te, pur di arrivare a me? Francamente
mi sorprende il fatto che tu non riesca a capirlo, Ray.»
Uno stormo di uccelli si libra in aria, sfrecciando rapidi come
aeroplani sopra le loro teste – probabilmente sono stati
messi in allarme dai toni concitati della loro discussione. Con
l’arrivo della primavera diverse specie di volatili sono
tornate in città, spinti in direzione di Boston dalle
correnti oceaniche, così adesso non è raro,
camminando nel centro cittadino, assistere a dei veri e propri
spettacoli, le ali che li sostengono mentre si esibiscono in delle
danze a mezz’aria.
Quel giorno la temperatura è piuttosto mite; in cielo
risplende un sole pallido, mentre da lontano Jude può quasi
vedere i vapori neri alzarsi dalle ciminiere delle navi ferme al porto.
Tutto ispirerebbe tranquillità, se non fosse per quella loro
discussione.
«Spiegami come diavolo potrebbero trovarti,
lì» ribatte Ray, avvicinandosi minaccioso
«d’altronde tu non hai detto a nessuno della nostra
relazione, no? Ah, già, dimenticavo
che te ne vergogni…»
Per un momento a Jude sembra di non vederci più dalla
rabbia. Il ragazzo pesta i piedi a terra, forse infantilmente, pur di
trattenere la stizza.
«Io mi vergogno?
Ma fai sul serio?» replica infatti, agitando le braccia
attorno a sé. «Credevo che fossi tu il primo a
concordare con me sul fatto che fosse meglio tenere nascosto il nostro
rapporto ancora per un po’, perlomeno finché
continuerai ad insegnare qui. Non dicevi che, se si fosse scoperto,
avresti rischiato di perdere il posto da insegnante?»
Ray si lascia sfuggire un sogghigno al tempo stesso triste ed
inquietante, mentre fissa Jude in maniera penetrante.
«Tanto a te cosa importa, ormai?» commenta poco
dopo, con tono cinico. «Ormai non tornerai mai più
a studiare qui.»
«Credi che l’abbia fatto apposta?» Jude
sferza un pugno nel vuoto; inutile, non ci riesce: mantenere la calma
in una situazione del genere è impossibile.
«Non so più cosa credere, Jude» sbotta
Ray, stancamente. «Pensavo che mi amassi e invece non fai
altro che scappare da me. Ero convinto che ti piacesse venire a scuola
e che detestassi la vita in cui ti ritrovi adesso, e
invece…»
Jude si sente mortificato da tutta quella situazione. Anche lui credeva
tante cose: che Ray lo supportasse nel percorso che aveva deciso di
intraprendere, che lo capisse… a quanto pare, tuttavia, si
era sbagliato di grosso.
È immensamente deluso, gli viene da piangere. Ricaccia a
stento indietro le lacrime, sa che non potrà trattenerle
ancora per molto, il che significa che deve darsi una mossa e andarsene
via da lì. Non vuole che Ray lo veda così
fragile, l’ultima cosa che desidera è farsi
scoprire mentre piange come una ragazzina, perché altrimenti
vorrebbe dire che tutti quei discorsi sono stati vani. Ha bisogno di
stare un po’ da solo e sfogarsi, adesso, tutto qui.
«A questo punto immagino che non abbiamo più
niente da dirci» conclude allora il ragazzo. Sente la voce
infrangersi mentre parla, tuttavia si costringe a non crollare, non
ancora, non adesso.
Jude si avvia verso l’ingresso sulle scale, rivolgendo le
spalle all’uomo; certo che non lo possa vedere, si strofina
il dorso della mano sugli occhi lucidi, cercando di cancellare le
tracce di quelle lacrime, ancora sul punto di scivolare giù
dai suoi occhi.
È ormai arrivato davanti alla porta antincendio, tuttavia
non fa in tempo a poggiare il palmo sulla grossa maniglia che Ray lo ha
già afferrato per il polso, costringendolo a
voltarsi.
Si fissano, per un momento che pare durare in eterno, il rosso che
affoga nel nero e viceversa. D’improvviso lo sguardo di Jude
sembra quasi essere diventato soffocante, per Ray: è come se
quegli occhi tanto amati non lo riconoscessero più, ora che
sono così spaventati e pieni di lacrime. Entrambi vorrebbero
dirsi un sacco di cose, peccato che in quel momento le loro labbra
siano incapaci di parlare.
«N-non toccarmi, Ray» lo ammonisce Jude, seppure la
sua voce continui ad essere spaventata, persa, confusa.
Il professore lo lascia subito andare. Non si riconosce in quel gesto
così impulsivo, si domanda cosa gli sia preso.
E forse la risposta è che, in fin dei conti, ha solo paura
di perderlo per sempre. È vero, i ragazzi della banda
l’avevano allontanato da lui, tuttavia hanno sempre trovato
un modo per restare insieme, nonostante tutto. Ora, invece, a Ray quel
momento suona tanto come un addio, più che come un
arrivederci e no, non vuole che una definitiva parete di cristallo cali
a separarli. Lui ama quel ragazzo – e il pensiero di non vederlo mai
più lo logora.
Jude sa di essere nella stessa situazione dell’uomo, tuttavia
percepisce di aver bisogno di una pausa, soprattutto dopo quello che
è appena successo. Stare per un po’ da solo con se
stesso lo aiuterà, ne è certo.
«Ti prego, non cercarmi per un po’»
mormora, anche se sente il cuore spezzarsi a quelle parole
«ho bisogno di rimettere in ordine i pensieri e facendo
così non mi aiuti, affatto.»
Ray apre la bocca. Vorrebbe poter dire qualcosa, tuttavia le parole di
Jude l’hanno ferito a tal punto che elaborare una risposta
adeguata gli pare impossibile.
Cogliendo al volo il silenzio dell’insegnante, Jude si volta,
per poi sparire mentre scende giù per le scale. Ray invece
rimane immobile, gli occhi che continuano imperterriti ad osservare il
punto in cui il ragazzo è sparito, poco prima. Sa che non
tornerà su, dicendogli che si è sbagliato e che
tutto ciò che desidera è passare insieme il resto
della loro vita. D’altronde, il tutto sarebbe fin troppo
simile ad un sogno – e
Ray ha ormai smesso di credere ai sogni.
L’unica parola che riesce a pronunciare, in un momento del
genere, è il nome del ragazzo, che affiora sulle sue labbra
con un mormorio leggero come petali di rosa.
«Jude…»
「 Back
Bay, Boston, 24th March
h.
03:15 p.m. 」
Un tatuatore. Jude si sarebbe immaginato che Caleb potesse portarlo in
qualsiasi posto, fuorché lì.
In quei giorni, Jude non riesce a fare a meno di sentirsi
incredibilmente confuso, l’unica cosa che desidererebbe
davvero sarebbe riuscire a trovare quelle risposte che sta
così disperatamente cercando.
Continua a pensare alla discussione con Ray. Si odia da morire, non
riesce a credere di essere riuscito a perdere anche l’ultima
persona che ancora credeva in lui. Dopo la sua fuga in lacrime dal
liceo Ray aveva provato a chiamarlo diverse volte, probabilmente
spaventato al pensiero che il ragazzo, ridotto in quelle condizioni,
potesse farsi male o combinare qualche stupidaggine. Jude, tuttavia, si
era costretto a non rispondere, spegnendo il cellulare quando le
telefonate si erano fatte più intense. Se gli aveva chiesto
di dargli un po’ di tempo per riflettere aveva i suoi buoni
motivi.
Si era rifugiato in una zona abbandonata della città, dalle
parti di Southwest Corridor. Girando per quel quartiere in skate,
assieme ai ragazzi, aveva notato la presenza di uno scavo abbandonato,
non molto distante dai binari della vecchia ferrovia inutilizzata dove
spesso andavano ad affinare le loro abilità. Probabilmente
in quel luogo un tempo dovevano aver deciso di costruire una nuova rete
di impianti fognari, perché dei grossi cilindri di cemento
armato spuntano fuori dal terreno. Qualcosa deve essere andato storto,
forse i fondi per i lavori non sono stati abbastanza o ci si
è resi conto che quell’impianto non poteva essere
installato lì, fatto sta che ad un certo punto gli operai
hanno smesso di scavare e di quel luogo non è rimasto altro
che una landa arida e desolata. Quando piove, il terreno sabbioso si
ricopre di fango e pozzanghere, diventando impraticabile. Eppure,
nonostante tutto, Jude continua a trovarlo un posto perfetto in cui
nascondersi a riflettere, in una giornata uggiosa. Così,
ogni volta in cui ne sente il bisogno, corre a perdifiato fin
lì, salta giù in quella fossa e scivola nei
vecchi cilindri, tra ristagni di acqua non troppo salubre e ratti che
zampettano da una parte e dall’altra. Può sembrare
uno scenario non esattamente idilliaco, tuttavia a volte Jude si
ritrova a pensare che non ci sia poi così tanta differenza
tra lui e quello scavo abbandonato.
Jude avverte un’onda infrangersi sulla spiaggia, non molto
distante e solo in quel momento sembra riemergere dai suoi pensieri,
ricordandosi di colpo del luogo in cui si trova.
Back Bay. Negozio di tatuaggi. Certo.
L’interno del locale in cui si trovano è azzurro
come il mare e a Jude sembra che lo aiuti a riflettere.
D’improvviso vorrebbe poter correre via da lì e
scappare – nemmeno troppo lontano, a dir la
verità: gli basterebbe raggiungere l’oceano, a
pochi passi da lì. Poco importa che sia marzo e faccia
sorprendentemente freddo, se solo potesse si getterebbe in mare con
ancora indosso i suoi vestiti logori, giusto per sentire
l’acqua gelida impregnare il tessuto e baciargli la pelle con
quelle labbra di ghiaccio. È certo che, immerso nel
silenzio, sott’acqua, tutti i suoi pensieri diventerebbero
subito più lievi. Nessuno più ad assillarlo,
potrebbe anche lasciarsi annegare in quel mare così
accogliente.
Peccato che, in tutto questo, debba accontentarsi delle pareti di quel
locale; inoltre, come se tutto ciò non fosse sufficiente
– anche se, a detta di Jude, lo sarebbe eccome –
gli tocca anche dare retta a Caleb.
«Questo qui?» Come a voler confermare quel suo
ultimo pensiero, il ragazzo interpella il suo parere, indicando un
disegno sull’album che il proprietario del locale ha fornito
loro. È un tribale, raffigurante una tigre.
«Beh, non è male» commenta Jude, con un
sospiro.
Caleb lo osserva attentamente, accigliato.
«Non sembri molto convinto» gli fa notare infatti,
poco dopo.
«Sì, scusa» Jude strizza gli occhi e
scuote la testa, disorientato. Trova
una giustificazione, trova una giustificazione, trova una
giustificazione… «solo
che… cosa te ne fai di una tigre? Non è molto nel
tuo stile.»
Caleb smette di osservarlo, con quel suo sguardo indagatore, tornando a
rivolgere tutta la sua attenzione al catalogo dei tatuaggi. Alle sue
spalle, Jude tira un silenzioso sospiro di sollievo, sperando che Caleb
non si accorga anche di quello.
«In effetti non hai tutti i torti» ammette il
ragazzo, riprendendo a sfogliare le pagine plastificate
«anche se mi chiedo cosa ne sappia tu, del mio
stile.»
«Mah, forse a forza di stare con te avrò imparato
a conoscerti un po’ meglio, no?» azzarda Jude,
mordicchiandosi il labbro inferiore.
L’altro scrolla le spalle e torna ad ignorarlo – o
almeno, questo è quel che Jude crede e spera. È
incredibile: all’inizio, quando è entrato a far
parte di quella banda, Caleb lo detestava, letteralmente; ora, invece,
sembra che l’unico di cui si fidi sia proprio Jude. Se ci
pensa bene, dubita che sarebbe riuscito, fino a qualche mese prima, ad
immaginare di poter entrare nelle sue grazie. Invece, a quanto pare,
è esattamente quel che è accaduto.
Crede di essere la persona quanto di più vicina possibile ad
essere un migliore amico, per Caleb – e se da una parte la
cosa lo lusinga sinceramente, dall’altra si sente quasi
spaventato, considerando che genere di persona sia.
Tuttavia, Jude non vuole attribuirgli colpe a prescindere, visto che sa
di aver commesso buona parte dei suoi stessi errori. Come si dice,
“chi va con lo
zoppo impara a zoppicare”.
«Non mi hai ancora detto come mai hai deciso di farti un
tatuaggio» gli fa notare Jude, dopo diversi minuti di
silenzio.
Caleb si volta subito a guardarlo, sorpreso. Non si aspettava una
domanda del genere, evidentemente. Jude si sta già
maledicendo, dannazione
a lui che non riesce mai a tenere le parole a freno…
Inaspettatamente, tuttavia, i suoi pensieri vengono di colpo interrotti.
«Ho pensato che fosse una buona idea» gli risponde
infatti, alzando le spalle «sai, qualcosa che mi facesse
apparire come il temibile capo di una banda di teppisti. Ad ogni modo
no, sono spiacente ma temo di doverti informare del fatto che tu non mi
conosci ancora del tutto, affatto.»
Mentre pronuncia le parole “temibile capo di una banda di
teppisti”, Caleb fa ondeggiare le braccia in avanti, mimando
un espressione pericolosa. Jude scoppia a ridere e deve coprirsi le
labbra con una mano per non fare troppo rumore, ricevendo comunque
un’occhiataccia dal proprietario del locale, un certo Seymour
Hillman.
D’improvviso Caleb picchia un pugno sull’album,
facendo sobbalzare Jude. L’uomo barbuto dalla parte opposta
del bancone, invece, sembra restare impassibile.
«Sono venti minuti che stiamo qui a sfogliare questo
raccoglitore, senza riuscire a deciderci» sbotta il ragazzo
dal ciuffo bruno, irato «non è possibile che
scegliere un cazzo di tatuaggio sia così fottutamente
difficile!»
I due ragazzi si guadagnano un secondo sguardo inceneritore da parte di
Hillman.
«Ehi, ragazzino» l’uomo mette in guardia
Caleb, continuando a fissarlo minaccioso «vedi di tenere la
lingua a freno, qua dentro, altrimenti ti butto fuori.»
Caleb, tuttavia, gonfia il petto con aria arrogante, per nulla
intimorito dalle parole di Hillman.
«Io parlo come caz—»
«Caleb, no!»
Jude interviene appena in tempo, affrettandosi a coprire la bocca del
compagno con una mano. Mentre Stonewall cerca di divincolarsi, il
giovane Sharp tira fuori il suo migliore – e falsissimo
– sorriso a trentadue denti, gli occhi strizzati a causa di
quell’espressione mentre riprende:«La prego di
scusare il mio amico, signor Hillman, purtroppo è un
po’ sboccato. Crede che la cosa lo renda più
interessante, chissà perché.»
«Jude, vffc—»
Prima che la situazione possa peggiorare, Jude si sbriga a rifilare un
calcio negli stinchi all’amico. Per un momento a Caleb sembra
quasi di non riuscire più a vedere, mentre le lacrime gli
salgono agli occhi. Vorrebbe urlare o quantomeno piangere a causa del
dolore, tuttavia, dovendo perennemente mantenere quel suo atteggiamento
da duro, è costretto a ricacciare indietro le lacrime e a
soffrire in silenzio. Jude, nel frattempo, continua a sorridere
raggiante al proprietario, sperando che gli dia ascolto.
Seymour Hillman sospira silenziosamente, voltandosi ad osservare il
portatile che ha lasciato acceso sulla scrivania.
«E va bene» conclude l’uomo, alzandosi
dallo sgabello su cui era seduto «vado a preparare gli
strumenti. Di’ al tuo amico di darsi una mossa a scegliere
quel tatuaggio.»
«Certamente, signore» conclude Jude, continuando a
sorridere apertamente anche mentre Hillman esce dalla stanza.
Non appena Seymour sparisce nel suo laboratorio, Caleb ne approfitta
per mordere la mano di Jude.
«Ahi!» sussurra il ragazzo, stringendosi al petto
la parte lesa. In questo modo, Caleb torna ad essere libero.
«Ah, e sai io che caz—»
Prima che possa aggiungere altro, Jude si avvicina l’indice
alle labbra, osservando l’altro con aria truce e minacciosa. Fai silenzio.
Caleb sbuffa pesantemente, alla fine però vede di dare retta
all’intimazione di Jude.
«Sei uno stronzo, comunque» riprende poco dopo, a
voce decisamente più bassa «mi hai tirato un
calcio sugli stinchi e per poco non rischiavi di soffocarmi. E dire che
ti credevo un amico, Jude.»
«E infatti se l’ho fatto è proprio
perché sono tuo amico» gli fa notare Jude,
risentito «o volevi essere cacciato da questo locale prima
ancora di esserti chiarito le idee su quale tatuaggio vuoi? Piuttosto,
tu avresti anche potuto evitare di prendermi a morsi. Che schifo,
adesso ho la tua saliva addosso…»
Con questo, Jude comincia a strofinare in maniera nevrotica il punto
della mano in cui Caleb l’ha morso sulla felpa, disgustato.
«Smettila di comportarti come un frocio della peggior
categoria» lo ammonisce poco dopo, lo sguardo in egual misura
severo e beffardo.
Jude sobbalza lievemente sul posto, stavolta non riesce proprio a
ribattere. D’altronde, cosa si dovrebbe replicare, quando
dall’altra parte hanno ragione?
Caleb rotea lievemente gli occhi, tornando di nuovo ad ignorare il
compagno. Jude, invece, per mezzo secondo non riesce più
né a muoversi, né a far nient’altro: ha
gli occhi leggermente dilatati, è caduto ancora una volta
nei suoi mille pensieri.
E se Caleb avesse dei sospetti sul suo vero orientamento sessuale?
Impossibile… è sempre stato così
attento a tenerlo nascosto, per tutto quel tempo…
Jude raddrizza la schiena, cercando di fare finta di niente. Non
può certo dare a Caleb altri motivi per poter dubitare di
lui, no?
«Comunque, dobbiamo davvero darci una mossa a scegliere
questo tatuaggio» commenta, cercando di cambiare discorso
agilmente, mentre si rimette a sfogliare gli esempi di tatuaggi che
Hillman ha proposto loro «qualcosa che ti rappresenti, eh?
Accidenti, Caleb, certo che potevi pure pensarci prima di venire
qui…»
«Beh, scusa se non l’ho fatto» commenta
il ragazzo, incrociando le braccia sul bancone, per poi affondare il
volto tra di esse «adesso mi pare un po’ troppo
tardi, comunque.»
«Pure tu non hai tutti i torti» Jude smette di
sfogliare l’album, sospirando stancamente. In
realtà nessuna di quelle idee riesce a convincere pienamente
neppure lui, il che è davvero un problema.
Qualcosa che rifletti
Caleb… qualcosa che lo identifichi, che faccia intuire la
sua personalità e che possa riferirsi unicamente a
lui…
«Potresti scegliere qualcosa che ti faccia pensare a
Camelia» commenta infine, in un lieve sussurro.
Subito gli occhi di Caleb schizzano in direzione del volto
dell’altro ragazzo, di colpo l’argomento della
conversazione sembra essere decisamente più interessante.
«Questa è la prima cosa sensata che dici da
stamattina» ammette, un sorriso appena accennato che gli
compare sul volto.
Jude sorride a sua volta, soddisfatto. Sapeva che quell’idea
avrebbe incontrato i gusti di Caleb e averne la conferma lo riempie
ancor più di orgoglio per aver avuto
quell’intuizione.
«Sì, certo» riprende Caleb, mentre ha
già cominciato a valutare quella possibilità
«però cosa potrei farmi fare? Le iniziali? Mica
sono una ragazzina--»
«Magari qualcosa che abbia a che fare con il vostro
rapporto» propone Jude, tutto esaltato «che ne so,
una cosa che potrebbe rappresentare la vostra relazione, oppure un
oggetto che si lega ad un’azione che fate sempre
insieme…»
Caleb si ferma per un momento a riflettere, colpito. Un modo per
definire la loro relazione? Che domanda curiosa… non
è sicuro di sapervi rispondere. Per lui Camelia è
la persona più importante della sua vita. Con lei riesce a
sentirsi bene come non mai e se dovesse immaginarsi con una persona al
proprio fianco, tra una decina di anni, punterebbe senza dubbio su
quella ragazza dai capelli color glicine. I loro caratteri sono
diametralmente opposti, infatti spesso si domanda come sia possibile
che due persone così diverse riescano a stare insieme
– anche perché si rifiuta di dare credito a quella
smanceria mielosa degli opposti che si attraggono o robe simili
– infatti capita spesso che si ritrovino a litigare. Camelia
vorrebbe che lasciasse perdere questa storia della banda,
perché dice che non è fatto per quel mondo; Caleb
sa che ha ragione, tuttavia la sua testardaggine gli impedisce di darle
retta. È anche una questione di orgoglio – e, in
fin dei conti, Caleb sa bene di essere fin troppo egocentrico per
permettersi di perdere la dignità in un modo del genere. Per
quante volte possano discutere, anche per questioni estremamente
futili, tuttavia, entrambi sanno che finiranno sempre per fare
nuovamente pace, perché si amano troppo – in una
maniera irrazionale e tutta loro, certo – per perdersi.
«Beh» risponde, dopo interminabili minuti di
riflessione «se penso a lei – o, più in
generale, alla nostra relazione – mi verrebbe da parlare di
un fuoco. Una fiamma che brucia e che divampa, inarrestabile. Ci sono
dei momenti in cui andare d’accordo è davvero
impossibile, eppure, nonostante tutto, non potrei mai vivere senza di
lei…»
Mentre racconta, Caleb sembra un fiume in piena, incapace di fermarsi.
Nel frattempo, Jude afferra un foglio e una matita dalla scrivania di
Hillman, iniziando a tracciare linee leggere sulla carta. È
come se le mani agissero contro la sua volontà, i pensieri
che invece sono ancora tutti concentrati sulle parole di Caleb.
Quando le dita di Jude lasciano cadere la matita, a disegno ormai
ultimato, Caleb sta ancora parlando. Il ragazzo ha il tempo di lanciare
uno sguardo al foglio, al che un’espressione soddisfatta si
dipinge subito sul suo volto.
«Credo che una cosa del genere potrebbe andare»
annuncia infatti, di lì a poco, allungando il disegno al
capo della banda «tu che dici? Ho pensato che, oltre a
rappresentare in pieno quello che provi per Camelia, in buona parte
inquadri anche la tua personalità. E poi ehi, potrebbe anche
essere considerato un simbolo da “temibile
teppista”, no?»
Caleb osserva attentamente il bozzetto. Quella è, a tutti
gli effetti, la rappresentazione del fuoco. Il disegno ricorda
l’elemento naturale, linee nere più spesse che
vanno a diradarsi, diventando sempre più sottili, man mano
che le lingue di fiamma vanno salendo verso l’alto. Deve
ammettere che non sarebbe mai riuscito ad immaginare niente di meglio.
«Vedi perché quando vado in giro mi porto dietro
te, piuttosto che Joe o David?» gli domanda poco dopo,
sorridendo in maniera sardonica. «Sei tu quello con le
intuizioni geniali, Jude.»
Jude sorride. È sul punto di dire qualcosa a Caleb, tuttavia
proprio in quel momento Hillman fa nuovamente la sua comparsa
all’interno della stanza.
«Allora, avete deciso?» domanda loro in tono rude,
burbero. «Di là è tutto
pronto.»
«Sì, ecco, arrivo» annuncia Caleb,
alzando il foglio con il bozzetto di Jude a mezz’aria.
Vorrebbe poter ringraziare meglio il suo amico, tuttavia neanche un
secondo dopo si ritrova inchiodato alla poltrona del tatuatore, mentre
si costringe a trattenere le lacrime di dolore nel momento in cui
l’inchiostro penetra nella sua pelle.
Jude osserva in silenzio tutta la scena da dietro una vetrata, in uno
stanzino attiguo. Per l’ennesima volta, l’immortale
cocciutaggine del suo migliore amico lo diverte più di quel
che dovrebbe – aspetta,
da quand’è che ha cominciato a considerare Caleb
il suo migliore amico? Accidenti, a forza di frequentare quei ragazzi
deve aver finito per farsi friggere anche l’ultimo briciolo
di cervello che ancora gli restava a funzionare bene.
Forse, riflette Jude, dovrebbe farsi anche lui un tatuaggio.
L’idea non l’ha mai sfiorato minimamente, tuttavia
magari i ragazzi potrebbero trovarla una buona idea. In effetti, se
proprio dovesse farsi qualcosa, gli piacerebbe la rappresentazione del
battito cardiaco sul lato destro del collo – e non sulla
spalla, come ha scelto invece Caleb. È abbastanza sicuro che
gli altri boccerebbero quell’idea, etichettandola come una
scelta da ragazzine, tuttavia con ogni probabilità sarebbe
perché ignorano i veri motivi dietro quella decisione. La
verità è che un giorno Jude vorrebbe mettersi a
frugare tra i referti medici a casa di Ray, trovare un suo
elettrocardiogramma e scattargli una foto col cellulare, per poi
farselo imprimere sulla pelle in maniera indelebile. Hanno litigato,
è vero, tuttavia non può negare a se stesso che,
seppure siano appena quattro giorni che non lo vede, gli manchi
terribilmente; nonostante tutto lo ama davvero, di quella sorta di
amore folle e profondo che potrebbe durare perfino in eterno
– all’incirca lo stesso che vede riflesso anche
negli occhi di Caleb, ogni volta che lo sente parlare della sua Camelia.
Magari un giorno lo farà sul serio, chi lo sa.
「 Southwest
Corridor, Boston, 12th April
h. 02:44
p.m. 」
Succede così, un giorno di metà aprile.
All’improvviso, quando nessuno se lo aspetterebbe.
Jude sta attraversando una strada desolata di Southwest Corridor, con
un vecchio zainetto malandato sulle spalle. Là dentro ci ha
infilato la maggior parte dei suoi effetti personali –
vestiti, spazzolino e dentifricio, un paio di libri perché
non si sa mai, metti caso che dovesse trovarsi a combattere la noia
– dopo una breve sortita a casa sua, approfittando del fatto
che suo padre fosse in visita da alcuni suoi amici imprenditori, nello
stato di New York. Ormai era abbastanza certo che non sarebbe
più tornato a casa per un bel po’,
perciò aveva valutato che sarebbe stato meglio avere tutto
il necessario a portata di mano, nel momento in cui ne avesse dovuto
aver bisogno.
Dà un calcio ad un sasso per terra, che rotola
giù lungo il marciapiede che sta percorrendo. Vecchi
fabbricati con i mattoni a vista gli fanno compagnia, mentre si
affretta a raggiungere il covo della banda.
Quel giorno si sente particolarmente allegro, nemmeno lui saprebbe dire
perché. Forse è per via di questo fatto che se ne
sta ormai andando ufficialmente da casa di suo padre, tuttavia non ne
è poi così sicuro. Ad ogni modo, gli ultimi metri
che lo separano dalla tana li sta affrontando muovendosi letteralmente
con un’andatura saltellante. Se i ragazzi lo vedessero,
finirebbero per prenderlo in giro per delle settimane – e,
per una volta tanto, non si sente infastidito neanche più di
tanto da quella prospettiva.
È esattamente in quel momento che riceve la telefonata.
Il cellulare comincia a vibrare furiosamente nella tasca dei suoi
pantaloni, costringendolo a fermarsi. Jude lo estrae con un gesto
rapido, lanciando uno sguardo di sfuggita al nome sullo schermo
– è David, il che lo lascia piuttosto interdetto.
Gli ha detto che sarebbe arrivato al covo all’incirca alle
tre ed è in anticipo di ben un quarto d’ora,
perciò perché mai dovrebbe chiamarlo? Jude
risponde, senza troppa convinzione.
«David, che succede?» domanda infatti. È
piuttosto infastidito da quella telefonata: dannazione, non
è un bambino incapace di badare a se stesso. Se ha detto che
arriverà per le tre, allora sarà sicuramente
così, no? Incredibile, è da più di un
anno che frequenta quel gruppo di scapestrati, eppure, a quanto pare,
non hanno ancora imparato a conoscerlo. In tutta onestà,
Jude non credeva di essere una persona tanto contorta.
«J-Jude! Menomale che hai risposto» replica David,
come se non avesse minimamente sentito la domanda che gli ha rivolto.
La sua voce sembra ben più concitata del solito –
e Jude non riesce a fare a meno di chiedersene il perché
«devi assolutamente venire qui, è successo un
casino…»
Jude corruga la fronte, confuso. Se prima non capiva il motivo di
quella telefonata, adesso gli sembra di non riuscire nemmeno ad
afferrare le parole che David gli rivolge.
«Come? “Qui” dove?» gli chiede
allora, sempre più perplesso. «Non capisco
perché sei così agitato, David…
comunque, se ti riferisci alla tana, sappi che sono quasi
arrivato…»
«No!» l’altro ragazzo strepita,
dall’altra parte dell’apparecchio. «No,
no, non siamo lì, Jude.»
«E allora dove?» Jude sbuffa, spazientito.
«Credevo che avessimo un appuntamento! Guarda, giuro che se
scopro che è uno degli ennesimi scherzi di
Joe—»
«Jude, sono serissimo» David prende diversi respiri
profondi, sembra non riuscire a calmarsi «devi venire subito
alla centrale di polizia, siamo tutti qui. Hanno arrestato
Caleb.»
Angolo autrice
Oddio, per un soffio! *tira un sospiro di sollievo*
Sul serio, ormai temevo che non ce l'avrei fatta ad aggiornare oggi!
Volevo postare come al solito intorno a mezzogiorno, diciamo
però che ci sono stati un po' di inconvenienti, del tipo che
ieri sera sono tornata a casa alle due di notte dopo aver passato tutta
la serata al pronto soccorso e che adesso mia madre ha un braccio
fratturato... visto che però dei miei problemi penso che non
importi niente a nessuno, andiamo avanti.
Dunque, questo è un capitolo che attendevo da molto tempo,
anche se al tempo stesso lo si potrebbe considerare un po'
"transitorio". Chi mi conosce sa che ho una tendenza preoccupante
all'angst, inoltre più amo un personaggio e più
tendo a farlo soffrire. Okay, probabilmente questo è
sadismo, ma dettagli--
Comunque, sì, mi dispiace per Kageyama e Kidou... dio, sono
un mostro— la scena ambientata nel negozio di tatuaggi,
invece, ha un che di molto più comico, credo...? Ormai Kidou
e Fudou sono BROTP a livelli inimmaginabili, ahah.
Per quanto riguarda il finale, invece... ve l'aspettavate? Cosa pensate
che potrebbe succedere, adesso?
Scusate se questo angolo autrice è un po' breve ma, davvero,
mi ero preparata un sacco di cose da dire e adesso mi pare di aver
fatto tabula rasa a causa dell'ansia di aggiornare... è la
prima volta in vita mia che riesco a rispettare una tabella di marcia
che mi autoimpongo, se non avessi postato oggi mi sarei sentita in
difetto con voi, visto che ormai vi avevo allettati con la garanzia
degli aggiornamenti regolari, oltre al fatto che per me sarebbe stata
una grossa sconfitta sul piano personale. Probabilmente sto esagerando,
sono tuttavia ormai giunta in un'età in cui prendersi delle
responsabilità e rispettare la parola data hanno ben altro
valore che in precedenza, soprattutto in vista del lavoro che mi
piacerebbe fare da grande.
(Cosa sto dicendo, non capisco più niente--)
Ciò detto, ringrazio tutti i lettori che recensiscono (e che
recensiranno, magari...?) questa storia, insieme a chi l'ha messa tra
le preferite e le seguite. Scusate per lo sfogo dell'altra volta, era
una giornata no in cui mi avete beccata decisamente nervosa e
giù di morale. Avvilita, soprattutto, perché
spesso non ricevere feedback mi fa quest'effetto, come ho detto
però so di non potermi aspettare la Luna. Anzi, scusate se
molto probabilmente non riuscirò a rispondere alle vostre
recensioni neanche stavolta, ma con mamma in queste condizioni
preferisco sinceramente concentrarmi più sulla sua salute
che su EFP, spero che la mia scelta possa essere compresa ^^
Ah, una cosa: mi hanno detto che il 27 avrò un impegno che
mi terrà lontana per tutta la giornata... spero di riuscire
comunque a postare il capitolo, anche a costo di svegliarmi all'alba,
però se non dovessi riuscirci sappiate che è per
questo motivo.
Grazie a Gagiord
per aver betato il capitolo, ci vediamo il 17 (spero...?) per il quinto
chap, in cui... succederà di tutto!
Aria
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Capitolo 5 *** Raindrops ***
「 Roxbury,
Boston, 12th April
h. 03:12
p.m. 」
Jude corre a perdifiato, lo scalpiccio dei suoi passi affrettati
riecheggia rimbalzando lungo le strade di Boston. Fortunatamente il
commissariato non è poi così lontano dalla zona
di Southwest Corridor, perciò anche senza correre avrebbe
raggiunto gli altri in pochissimo tempo.
Quella, tuttavia, è un’emergenza vera e propria,
per cui Jude non riesce a fare a meno di trovare adatta
quell’andatura.
Le braccia si muovono lungo i suoi fianchi a ritmo delle gambe, solo
che il ragazzo non riesce a darci peso, la mente completamente occupata
dalle parole che, poco prima, David gli ha rivolto, al telefono.
Hanno arrestato Caleb.
Jude trattiene le imprecazioni tra i denti – cazzo, cazzo, cazzo –
mentre sfreccia con folle velocità, attraversando la strada
e fiondandosi all’interno del commissariato senza pensarci
troppo. Solo quando ormai si trova all’interno della
struttura sembra ricordarsi di dover mantenere un comportamento
appropriato a quel luogo, perlomeno se non vuole finire a fare
compagnia in cella a Caleb, così si decide a prendere dei
respiri profondi, immobilizzandosi sul posto.
Si guarda attorno, confuso: non è mai stato in quel luogo,
tant’è che adesso si sente come un pesce fuor
d’acqua. Tutt’attorno a sé ci sono
agenti in divisa che si muovono da una parte all’altra del
distretto con assoluta tranquillità e disinvoltura
– e Jude per questo li invidia anche un po’, come
vorrebbe sapere a sua volta dov’è che deve
andare…
«Serve una mano?»
Jude si volta di scatto, sorpreso di sentire quella voce. È
abbastanza certo che, chiunque sia stato a parlar lare, si stesse
rivolgendo a lui: d’altronde, dubita che altre persone
lì attorno possano avere la stessa espressione smarrita che
sa di avere in quel momento sul suo volto.
Jude ci mette un po’ a mettere a fuoco l’ambiente
attorno a sé e, quando finalmente ci riesce, si accorge
della presenza di un piccolo gabbiotto alla sua sinistra.
All’interno di esso c’è una donna
– anch’ella con indosso una divisa da agente
– che lo sta squadrando attentamente. Il ragazzo non ha dubbi
che lo trovi incredibilmente inadeguato; d’altronde, sa
perfettamente di essere la persona meno in ordine del mondo, in quel
momento: con la sua aria affannata, il volto paonazzo per lo sforzo
dovuto alla corsa di poco prima e i vestiti malridotti non è
certo un gran bello spettacolo. Magari crede che sia un ladruncolo alle
prime armi venuto a costituirsi, chi lo sa.
«Ehm» dietro la schiena Jude si tortura le mani,
alquanto a disagio «sono qui perché mi ha chiamato
un mio amico, dicendo che uno di noi era stato arrestato e portato in
centrale—»
Il ragazzo si blocca all’istante quando nota lo sguardo della
donna squadrarlo da capo a piedi. Inutile dirlo ma quella sorta di
radiografia non fa che mettere Jude ancor più in imbarazzo.
«Ahh, ho capito» commenta la donna, mentre torna a
fissare il ragazzo in volto «deve trattarsi di quei tre tipi
poco raccomandabili arrivati qualche minuto fa. Santo cielo, non la
smettevano un momento di urlare…»
Jude vorrebbe dirle che non
ha capito niente, che qualsiasi idea si sia fatta di loro
sta certamente sbagliando. Peccato che non abbia tempo, per quelle
sciocchezze.
«Urlavano? Allora deve trattarsi sicuramente di
loro» Jude si lancia in direzione della scrivania,
osservandola intensamente attraverso il pannello di plexiglass che li
separa «e mi dica, adesso dove si trovano?»
«Beh, il detective Cormac ha portato di sopra, al primo
piano, il teppista che ha arrestato, probabilmente in sala
interrogatori per poterlo torchiare per bene—»
Jude non le dà il tempo di finire la frase che è
già schizzato in direzione delle scale, senza neppure
ringraziarla. Ha saputo ciò di cui aveva bisogno, ora ha ben
altro di cui occuparsi.
Non appena raggiunge il primo piano si trova per un momento di nuovo
senza la minima idea di dove andare, perlomeno finché non
sente un gran vociare provenire dalla sua destra. Jude neanche
controlla, è già partito in quella direzione,
riconoscerebbe quei timbri – uno roco e profondo,
l’altro più acuto e squillante –
all’incirca tra milioni. Ora, infatti, vede nitidamente
davanti a sé Joe e David, mentre continuano a tormentare
l’uomo che è appena uscito da una stanza in fondo
al corridoio, chiudendo la porta alle proprie spalle. A Jude non ci
vuole molto per capire che deve trattarsi del detective Cormac a cui
gli ha accennato poco prima la donna all’entrata.
«La prego, non può trattenerlo» afferma
David, agitando convulsamente le braccia «state commettendo
un grosso sbaglio, non avete motivo per non lasciarlo andare!»
«Beh, questo sta a noi stabilirlo» replica Cormac
– un uomo sulla trentina, al massimo trentacinque anni,
dall’aspetto tutto d’un pezzo e una zazzera
arruffata di capelli castani – impassibile «e
comunque il vostro amico è stato colto in flagrante sulla
scena di un reato, per cui lasciarlo andare sarebbe piuttosto
folle.»
«Questa è
un’assurdità» sbotta Joe, con veemenza
«e sentiamo, quali sarebbero queste prove?»
Il detective Cormac appare piuttosto spazientito, con ogni
probabilità è sul punto di esplodere e sta per
intimare ai ragazzi di lasciar fare alla polizia il proprio dovere,
aggiungendo che, se davvero Caleb è innocente, allora loro
lo scopriranno senza ombra di dubbio; Jude tuttavia sente che, qualora
lasciasse morire così quella conversazione, forse per Caleb
non ci sarebbero possibilità di scampo: è per
questo che, ne è certo, deve fare qualcosa – e
anche alla svelta, in effetti.
«Joe! David!» si affretta allora a chiamare i suoi
amici, cercando di attirare la loro attenzione.
I due ragazzi si voltano subito nella sua direzione, sorpresi di
avvertire una voce amica in quel mare di persone sconosciute e infide.
«Jude!»
David si lancia letteralmente addosso al ragazzo per salutarlo
– e per questo Jude si becca un’occhiataccia da
parte di Joe – come se in quel momento avesse disperatamente
bisogno del suo sostegno fisico e psicologico. E, in effetti,
è esattamente così.
«Meno male che sei arrivato» riprende David,
continuando a tenersi stretto a lui «non riusciamo a parlare
con Caleb, sembra che nessuno qui voglia dirci cosa sta
succedendo—»
Jude intreccia mollemente una mano tra i capelli turchini di David,
carezzando lievemente la chioma del ragazzo e sperando, almeno con quel
gesto così apprensivo e premuroso, di riuscire a calmarlo un
po’.
«Shh, vedrai che adesso andrà tutto a
posto» mormora, senza troppa convinzione.
In realtà, Jude non sta fissando David: il detective Cormac,
infatti, non gli ha ancora tolto lo sguardo di dosso da quando li ha
raggiunti, così adesso il ragazzo si è deciso a
fronteggiare con decisione quello sguardo, senza la minima intenzione
di retrocedere nei propri intenti.
«Salve» s’introduce il ragazzo coi
dreadlock, agitando appena i piedi sul posto – quel genere di
situazioni lo mettono sempre così a disagio «non
è che potrei parlarle un momento in privato?»
Cormac annuisce, senza troppa convinzione, per poi distendere un
braccio di lato, indicandogli di avviarsi in quella direzione.
Jude tiene gli occhi bassi e fissi sul pavimento – una
monotona sequenza sempre uguali di piastrelle avana di medie dimensioni
– mentre si avvia mestamente lungo il corridoio. Il detective
lo segue, a pochi passi di distanza; a Jude sembra quasi di sentire il
fiato dell’uomo sul suo collo ed è abbastanza
certo che no, quella non è una suggestione, affatto.
Poco dopo il ragazzo è costretto a fermarsi,
perché si accorge solo in quel momento di essere giunto al
termine del corridoio. Ora, infatti, davanti a lui si trova una
finestra, la tenda a sottili losanghe di ferro è abbassata,
tuttavia attraverso lo spazio tra una strisciolina di metallo e
l’altra Jude riesce a distinguere la presenza di un piccolo
parco pubblico, qualche metro sotto di loro.
«Allora» il detective Cormac si schiarisce la voce,
evidentemente seccato da quella che, con ogni probabilità,
non riesce a concepire in maniera differente da un’inutile
perdita di tempo «di che cos’è che
volevi parlarmi?»
«Perché avete fermato quel ragazzo?»
Jude arriva subito al sodo: sa perfettamente, infatti, che in una
situazione come quella non si può permettere nessuna sorta
di perdite di tempo.
«Lo abbiamo beccato mentre stava ritirando della merce da un
piccolo spacciatore, in un vicolo appartato nella zona della Back
Bay» gli spiega allora Cormac, con una calma che ha del
sorprendente – ma che, al contrario, non fa altro che far
innervosire ancora di più Jude «solo qualche
grammo d’eroina, niente di eclatante, a dire la
verità. Il suo fornitore è riuscito a darsela a
gambe nella confusione generale – due agenti avevano appena
fatto irruzione nel vicolo – mentre il tuo amico non ha avuto
modo o tempo di fare altrettanto.»
Jude abbassa di scatto lo sguardo, ritrovandosi improvvisamente a
fissare il parchetto di poco prima. La situazione è
più complicata di quanto immaginasse, cazzo. Sa che Caleb
non assume assiduamente sostanze stupefacenti, di solito capita con una
cadenza saltuaria di all’incirca una volta ogni cinque o sei
mesi. Da quando frequenta Camelia quella frequenza è perfino
diminuita, per cui Jude non può fare a meno di notare, per
l’ennesima volta, quanto il destino sappia essere infame:
possibile che Caleb dovesse farsi beccare proprio in
un’occasione del genere? E dire che, in generale,
è sempre piuttosto attento, quando si tratta di non farsi
scoprire dalla polizia. Oltretutto, è un delinquente
abbastanza esperto, ormai, perciò Jude non riesce proprio a
spiegarsi come possa essere possibile che si sia lasciato cogliere
tanto facilmente con le mani nel sacco.
Jude sospira: detesta dover ricorrere a quell’escamotage,
tuttavia dubita di poter risolvere la questione in altri modi.
«Ascolti, detective» esordisce infatti, mentre
comincia a rovistare all’interno delle tasche dei suoi
pantaloni «da quello che mi è parso di capire non
c’è modo di interloquire con la persona che avete
fermato. A questo punto mi vedo costretto a dover chiamare mio padre,
il candidato governatore Sharp, affinché si metta in
contatto con i suoi superiori ed interceda in modo da potermi concedere
un colloquio con il ragazzo arrestato. Tuttavia, qualora preferisse
evitarsi un richiamo da parte del capitano del suo distretto, forse
potrebbe procedere in qualche altro modo, non trova?»
Jude estrae finalmente il telefono e fa per comporre il numero di suo
padre sulla tastiera, quando d’improvviso il detective lo
interrompe bruscamente.
«Se credi che io sia quel genere di persona che si lascia
corrompere così facilmente ti sbagli di grosso,
ragazzo» commenta infatti Cormac, avviandosi a grandi falcate
lungo il corridoio.
A Jude non resta altro da fare che seguirlo. D’altronde, il
suo non era nient’altro che un bluff: non avrebbe mai potuto
chiamare suo padre, poiché sa bene quanto disprezzi la sua
scelta di frequentare una banda di delinquenti, per cui mai e poi mai
sarebbe sceso in campo per porgergli il suo aiuto – e forse,
in fin dei conti, Jude è quasi più lieto
così, considerando quanto altrimenti il signor Sharp gli
avrebbe fatto pesare una cosa del genere.
In effetti, non c’è nulla di piacevole nel dover
ricorrere al potente nome di suo padre pur di riuscire a sbrogliare
determinate situazioni. Jude non ama riempirsi la bocca di quel cognome
pesante come macigni, anzi, non fosse stato che i suoi amici erano
già a conoscenza dell’identità dei suoi
genitori dai tempi della scuola, probabilmente avrebbe preferito
nascondere perfino a loro le sue origini. Gradisce in maniera di gran
lunga maggiore essere ricordato come “Jude”,
piuttosto che per essere “il figlio del candidato governatore
Sharp”: in poche parole, ha sempre preferito che gli altri lo
identificassero per i propri meriti, anziché quelli di suo
padre. Per questo motivo cerca sempre di non avvalersi di privilegi
che, per ovvie ragioni, il suo nome è in grado di
conferirgli. Non è un pallone gonfiato, si domanda come
certa gente possa sentirsi grande e importante per una roba del genere,
quasi come se questo li legittimasse a gonfiare il petto o cose di
questo tipo.
Peccato che, invece, in una situazione come quella gli sia toccato
farne uso.
Cormac si arresta davanti alla porta della sala interrogatori,
posandosi per un momento le mani sui fianchi, per poi poggiarne una
sulla spalla di Jude.
«Hai cinque minuti» gli comunica il detective, con
espressione seria «non uno di più.»
«La ringrazio» commenta Jude, proprio un momento
prima che Cormac possa spingerlo all’interno della stanza e
chiudere la porta alle sue spalle.
La sala interrogatori è una stanza vuota, che Jude non
stenta a definire desolante e desolata al tempo stesso: le pareti sono
di un verde scolorito che infonde una tristezza indicibile, oltre al
fatto che ci sono diverse macchie scure di muffa negli angoli
più defilati del soffitto. Gli unici complementi
d’arredo presenti sono un tavolo al centro della stanza e due
sedie, una di fronte all’altra, poste ai lati di esso. Una di
queste, tra l’altro, è occupata proprio da Caleb.
Il ragazzo è seduto in maniera scomposta, una gamba
accavallata sull’altra poggiate sul tavolo, le braccia
incrociate dietro la nuca mentre col busto si tiene in equilibrio,
facendo dondolare la sedie su cui si è accomodato solo sulle
due gambe posteriori. Ha un’espressione indolente, come se
essere lì sia la cosa più noiosa del mondo, per
contro tuttavia non sembra affatto spaventato dal fatto di essere stato
appena arrestato e di trovarsi adesso in un commissariato –
il che non può che mandare Jude ancor più su
tutte le furie di quanto già non sia.
Quand’è che quel ragazzo comincerà a
rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni e magari anche a
prendersene carico, eh?
Nel momento in cui si accorge della presenza dell’altro nella
stanza, Caleb sogghigna.
«Cos’è, è arrivato il
principe dall’armatura scintillante a salvarmi?»
commenta allora, con evidente tono canzonatorio.
«Ma falla finita» sbotta Jude, prendendo posto
sull’unica altra sedia disponibile con uno scatto irato, la
voce che suona più ammonitrice del previsto «tu,
piuttosto: si può sapere cos’hai combinato, questa
volta?»
Caleb sbuffa, con quell’espressione di noncuranza che proprio
non ne vuole sapere di scomparire dal suo volto.
«Ma farti i cazzi tuoi?» replica Caleb, con
malcelata irritazione. «Come se non te l’abbiano
già detto…»
«Non fare finta che non te ne freghi niente» lo
riprende Jude. Sta davvero faticando a trattenere la stizza che prova
in quel momento; vorrebbe riempirgli la faccia di sberle, in fondo
però sa già che non lo farà mai:
entrambi cercano sempre di fare i duri ma ormai è innegabile
che ci sia un legame, tra loro. Qualcosa di estremamente complesso da
definire, certo, eppure, superato uno strato superficiale di diffidenze
e rivalità reciproche, pare proprio che abbiano imparato a
volersi bene
– per quanto in un modo strano e tutto loro.
«Non è che non m’importi»
ribatte Caleb, pensieroso «solo che ormai il casino
l’ho combinato, no? Per cui immagino che tu adesso sia qui
per farmi notare quanto sono deficiente e
quant’altro—»
Jude scuote la testa, infastidito.
«Credimi, per quanto mi piacerebbe poterlo fare adesso non ne
abbiamo proprio il tempo materiale» gli fa notare infatti,
cercando di far risultare il suo tono di voce quanto più
neutrale possibile «al momento la nostra priorità
è tirarti fuori di qui…»
«Ah, sì? E come penseresti di fare, di
grazia?» Caleb scoppia a ridere, di un riso amaro e
disilluso. «Jude, so che ti hanno cresciuto facendoti credere
questo, ma lascia che t’insegni una cosa: non è
così che funziona il mondo. Non siamo tutti come te, che ti
basta schioccare le dita per avere tutti ai tuoi piedi. Sai
com’è, ho avuto la sfortuna di nascere Caleb
Stonewall, per cui nulla mi è dovuto. Non ho un padre
ricchissimo alle mie spalle pronto a procurarmi il migliore avvocato su
piazza o disposto a versare qualsiasi cifra esorbitante di cauzione pur
di tirarmi fuori di qui. C’è chi se lo
può permettere e chi no, insomma.»
«Beh» Jude si stringe nelle spalle, a disagio; non
è che gli faccia piacere sentire gli altri rivolgersi a lui
in quel modo, tuttavia comprende che la situazione in cui Caleb si
trova in quel momento non sia delle migliori, per cui decide di
fargliela passare – ma solo per quella volta «forse
tu non hai tutto ciò… ma, come hai detto, io
sì. Senti, sappiamo entrambi che il rapporto tra me e mio
padre non sia propriamente idilliaco, però… forse
posso convincerlo. Gli dirò che tornerò a casa,
che riprenderò ad andare a scuola e la farò
finita con questa vita e che questo sarà l’ultimo
sacrificio che dovrà compiere per me. Forse…
potrebbe pure funzionare. Per cui ascolta, non abbiamo molto tempo a
nostra disposizione—»
«Tks» Caleb lo interrompe, con un verso sprezzante
«non sei il mio legale, è inutile che ti affanni
tanto a preparare una versione dei fatti che potrei usare in mia
difesa. L’hai detto tu, Jude, il rapporto tra te e tuo padre
è disastroso, perciò perché mai
dovrebbe aiutarti? Riempirti la bocca di belle parole non
servirà a nulla: quell’uomo non è uno
stupido, non ci metterà molto a capire che gli stai
raccontando un mucchio di balle. E poi, se anche dovesse decidere di
prendere a cuore la tua causa, il candidato governatore Sharp
potrà pure trovare l’avvocato migliore del mondo,
ciò non toglie tuttavia che gli sbirri mi abbiano beccato
con le mani nel sacco. Sono colpevole, per cui sbrogliarsi da una
situazione del genere sarebbe piuttosto difficile. Piuttosto, visto che
riconosci tu stesso che non abbiamo molto tempo – a quanto
pare, per quanto tu possa andare in giro a ripetere a vanvera di chi
sei figlio, i tuoi fantastici superpoteri hanno un limite –
sarà meglio occuparci di questioni davvero serie: visto che
non credo che uscirò da qui tanto facilmente, dobbiamo
vedere come riorganizzare la banda. In qualità di vice
leader, mi pare ovvio che adesso il comando passerà a te,
per cui—»
A questo punto, Jude non riesce più a trattenersi. Sbattendo
entrambe le mani con veemenza sul tavolo, si rimette in piedi, con uno
scatto improvviso. Quel ragazzo riesce sempre a fargli tirare fuori il
peggio di sé: lui, sempre così tranquillo e
posato, improvvisamente si sente come se non riuscisse più a
controllare le proprie reazioni. Oltretutto, la calma imperturbabile
con cui Caleb continua ad osservarlo, negli occhi perfino una sfumatura
a metà tra la sfida e lo sbeffeggiamento, non può
che farlo infuriare ancora di più.
«Mi prendi in giro? Non riorganizzerai proprio nessuna banda!
Sei tu il capo di questa cosa, e io non ho alcuna intenzione di
prendermi responsabilità che non mi appartengono. Sono
venuto qui con l’unico intento di tendere una mano nella tua
direzione, perché sono tuo amico, perché in fin
dei conti ci tengo a te; hai sbagliato, va bene, questo però
non significa che tu non possa porre rimedio ai tuoi errori. Davvero
credi che mi faccia piacere riempirmi la bocca col nome di mio padre?
Hai ragione, il nostro rapporto fa pena, anzi potrei dire quasi con
assoluta certezza che ormai tutti i ponti tra noi sono
pressoché saltati: io lo odio, con tutte le
mie forze, tuttavia ho preferito tirar fuori il suo nome
perché volevo aiutare te.
Ma visto che non ci arrivi e che, a quanto pare, non desideri ricevere
questo genere di aiuto, i miei sono stati tutti sforzi vani»
sbotta Jude, al limite della collera.
È abbastanza sicuro che Caleb non l’abbia mai
visto così arrabbiato; tuttavia, per qualche strana ragione,
sul volto del ragazzo dal ciuffo castano continua a non essere presente
alcun tipo di inflessione.
Jude si accorge solo in quel momento di star provando un forte dolore
alle palme delle mani. Lancia loro uno sguardo distratto, accorgendosi
solo in quel momento che, al momento dell’impatto con quel
tavolaccio di legno, diverse schegge di legno si sono conficcate nella
sua pelle, formando dei piccoli taglietti in più punti, che
ora sembrano decisamente sul punto di sanguinare. Gli viene quasi da
piangere, finisce tuttavia per ricacciare indietro le lacrime
– sta già facendo una figura ridicola, agli occhi
di Caleb, per cui meglio non renderla ancor più patetica.
«Sì, beh, resta il fatto che stai prendendo un
po’ troppo sottogamba un punto fondamentale della
questione» gli fa notare Caleb, con calma glaciale
«tuo padre non ti aiuterà mai, non dopo che te ne
sei andato di casa e hai smesso di andare a scuola. Inoltre, appena
saprà che sono uno dei delinquenti che vorrebbe tanto
sbattere a marcire per sempre in gattabuia, figurati come si
muoverà in mio soccorso. Si prodigherà e
farà qualsiasi cosa per darmi una mano, certo. A quel punto,
come vorresti convincerlo ad aiutarmi? Promettendogli che ti rimetterai
a studiare e che tornerai a casa da lui? Pensi che non si renderebbe
conto che gli stai raccontando una cazzata dietro l’altra? E
tu, non ti sentiresti in colpa a mentirgli così? Ti ricordo
che non puoi troncare così con la banda. Abbiamo un patto:
tu resti e noi evitiamo di andare in giro a sbandierare ai quattro
venti che il figlio del candidato governatore del Massachusetts, che
tanto si prodiga a estirpare le gang criminali dalla sua tanto amata
città di Boston, in realtà è il primo
a farne parte. Anche un neonato capirebbe lo scandalo enorme che
verrebbe fuori se questa notizia cominciasse a circolare. Visto che,
nonostante tutto l’odio che provi nei suoi confronti, hai
voluto parare il culo al tuo vecchio, vedi bene di non fare
cazzate.»
D’un tratto tutto torna ad essere secondario, per Jude: il
dolore alle mani, l’umiliazione di dover essere ricorso al
proprio cognome pur di entrare là dentro… niente
ha più valore.
Si sente svuotato di ogni certezza. Per quanto possa aver provato a
offrire il proprio aiuto al suo amico, sembra quasi che Caleb abbia
alzato una barricata tra loro, rifiutando con decisione ogni suo
tentativo di mettergli a disposizione una via d’uscita.
Irato, ferito e deluso, Jude si sente totalmente, completamente inutile. Se non
c’è modo di tirare fuori Caleb da lì
– che continua comunque a scartare ogni soluzione che gli
propone – allora la sua permanenza lì è
davvero inutile.
«Benissimo» conclude allora, la voce deformata
dall’avvilente sensazione dell’insuccesso
«visto che la mia presenza qui, a quanto pare, è
totalmente inutile, vedrò di togliere il disturbo.
D’altronde immagino che sarai bravissimo a risolvere tutto
anche da solo, no, Caleb?»
Detto questo, Jude si volta di scatto, raggiungendo l’uscita
della stanza con delle ampie falcate e lasciando che la porta si chiuda
alle sue spalle con un colpo deciso, senza dare a Caleb la
possibilità di replicare.
Nel giro di pochi secondi, David e Joe stanno già accorrendo
nella sua direzione.
«Jude, allora, com’è andata?»
gli domanda il primo, mentre sta ancora percorrendo la distanza che li
separa.
Jude dubita di essere nelle condizioni di poter intrattenere una
discussione del genere, adesso. Sente di nuovo il bisogno di restarsene
un po’ da solo – incredibile come siano aumentati i
momenti del genere, ultimamente.
«M-mi dispiace, non me la sento di
parlarne…» cerca di mormorare, lo sguardo basso e
fisso sul pavimento.
«Ma… perché? È successo
qualcosa che non va?» prova ad insistere David.
Gli occhi di Jude ora saettano da una parte all’altra del
lungo corridoio in cui si trovano, inquieti. Cosa potrebbe dire loro,
d’altronde? Che ha fallito su tutta la linea e che Caleb ha
preferito restarsene in gattabuia, piuttosto che accettare il suo aiuto?
«Scusate, io… non posso» conclude
infine, scansando le braccia di Joe e David, che cercano di trattenerlo.
Prima che possa accorgersene, sta già correndo
giù per le scale, e poi fuori, via da lì, lontano.
「 Southwest
Corridor, Boston, 12th April
h. 11:43
p.m. 」
Perduto. È
tutto perduto, stavolta.
Jude si immerge nelle tenebre della tana di Southwest Corridor fino a
lasciare che il buio gli ferisca gli occhi, restando noncurante anche
quando gli arti iniziano a dolergli, dopo essere rimasto fermo immobile
nella stessa posizione per diverse ore.
È tutto
perduto.
Dopo essere fuggito dal commissariato di polizia è stato
quasi istintivo rifugiarsi lì, per lui. Dopotutto,
è un po’ come se tutto fosse iniziato proprio in
quel luogo: l’incontro con i ragazzi, che l’hanno
trascinato sempre più verso l’abisso della
perdizione.
E adesso che ci si trova
dentro fino al collo, è ormai impossibile riemergerne, per
lui.
Nella mano destra stringe forte il collo di una bottiglia di birra.
È l’unica cosa che si è premurato di
prendere, prima di nascondersi lì. Annegare i dispiaceri
nell’alcol non è mai stato il suo modo preferito
per risolvere le situazioni, questa volta però lo scenario
che ha davanti gli appare talmente drastico che non riesce ad
immaginare di poter ricorrere a soluzioni differenti da quella.
Butta giù un’altra sorsata di quella bevanda
amara, che gli raschia la gola e gli brucia le pareti dello stomaco. In
fin dei conti, però, a Jude quel dolore risulta fin
sopportabile, se solo ripensa invece a quanto male gli abbiano fatto le
parole di Caleb di quel pomeriggio.
Ha rifiutato il suo aiuto, come se tutti i mesi trascorsi insieme di
colpo non valessero più nulla. Era convinto di essere
riuscito a trovare finalmente dei veri amici, invece se Caleb preferiva
per testardaggine e amor proprio restare in prigione anziché
accettare l’aiuto che gli aveva offerto, allora Jude si
chiede se non sia stato lui l’unico stupido ad essersi
affezionato, in tutto quel tempo.
Aveva iniziato a frequentare la banda perché si era sentito
ricattato: se non l’avesse fatto, non solo la sua reputazione
di studente modello sarebbe stata rovinata, inoltre Caleb non avrebbe
esitato un momento prima di mettere in circolazione la voce che il
figlio di un candidato governatore trascorreva buona parte del suo
tempo con dei teppisti.
Sì, aveva preferito salvare il nome di suo padre,
permettergli di avere ancora qualche speranza di vittoria nelle
prossime elezioni, tuttavia così facendo aveva perso tutto
ciò che gli era più caro: la scuola, la famiglia,
gli amici e perfino la persona che amava.
Se si fosse venuto a sapere che il figlio del candidato governatore
Sharp faceva parte di una delle gang criminali che il padre tanto si
era impegnato ad estirpare, nel suo programma elettorale, sarebbe stata
la fine. Così aveva preferito abbandonare la scuola, finendo
per farsi odiare da suo padre, piuttosto che dar vita ad un tale
scandalo. Jude detestava trovarsi sotto la luce dei riflettori, per cui
al pensiero di potersi evitare delle grane aveva subito deciso di
accettare quel compromesso – per quanto disgustoso
continuasse a sembrargli.
Non aveva messo in conto però che, così facendo,
avrebbe perso anche l’unica persona che avesse mai amato
davvero.
Ripensare a Ray è come ricevere una coltellata dritta nello
stomaco, il che costringe Jude a bere subito un altro sorso di birra.
Dicono che l’alcol aiuti a dimenticare, ma la
verità è che non fa altro che renderti la testa
così terribilmente pesante, il che contribuisce a riportarti
alla mente tutti quei pensieri così maledettamente dolorosi
che vorresti dimenticare. Altro che leggerezza.
Jude sblocca il telefono con un gesto rapido, quasi senza nemmeno
accorgersene. Ormai quella per lui è un’azione
talmente naturale che gli viene spontanea compierla.
Una luce fioca invade il seminterrato. Ci sono diverse chiamate da
parte di Joe e David, oltre a qualche messaggio – Jude non ha
nemmeno bisogno di controllare per sapere che anche questi siano loro
– ma per il resto niente di che. Se fosse scomparso un anno
fa, probabilmente adesso si sarebbe ritrovato inondato di telefonate
senza risposta e sms non letti, invece adesso la lista di persone a cui
importa ancora qualcosa di lui è talmente corta che forse
non dovrebbe sorprendersi poi nemmeno così tanto se non lo
cerca più nessuno.
Fino a neanche un mese fa, forse, le chiamate sarebbero state molte di
più: d’altronde, allora c’era ancora Ray
a preoccuparsi per lui…
Altra fitta di dolore,
stavolta al cuore. Altro sorso di birra.
In quel momento un rumore sordo – lo scatto di una serratura
– lo fa sobbalzare sul posto. Istintivamente fa spegnere il
telefono, mentre si rannicchia ancor di più nel suo
nascondiglio dietro al divano. Si rende conto da solo che da
lì è comunque perfettamente visibile, tuttavia
preferisce di gran lunga continuare a cullarsi in quella dolce
illusione, piuttosto che abbandonarsi ancora una volta alla dolorosa
realtà.
Ah, come sono belle le
bugie…
Forse dovrebbe ragionare, dirsi che non c’è
pericolo che qualcuno possa entrare là dentro con
l’intenzione di fargli del male –
d’altronde a chi potrebbe mai venire in mente
un’idea del genere? – ma evidentemente ha
così tanto alcol in corpo che i pensieri razionali non sono
una sua prerogativa, al momento.
Prima che la porta si chiuda del tutto le luci che giungono in
lontananza dalla strada gli permettono di distinguere due figure nel
buio, avvinghiate l’una all’altra. Una di esse
è più alta, una chioma leonina e rossiccia a
troneggiargli sul capo, l’altra è leggermente
più bassa, i lunghi capelli turchini che ondeggiano
nell’aria mentre si abbandona alle effusioni che il suo
amante gli rivolge.
Joe e David. Jude avrebbe dovuto aspettarsi che si sarebbero rifugiati
anche loro lì, dopotutto.
Schiocchi di baci intensi e famelici si susseguono uno dietro
l’altro, con un ritmo serrato. Joe solleva il corpo di David
afferrandolo per i glutei, cogliendo così
l’occasione di stringerli tra le proprie mani. David geme,
mentre sente le labbra di Joe lasciargli baci umidi e furiosi sul
collo. La schiena del turchino cozza e si strofina con violenza contro
il muro grezzo, alcuni tagli si formano sulla pelle color caffellatte
del ragazzo.
Jude sente che in tutta quella situazione c’è
qualcosa di profondamente sbagliato. Non saprebbe nemmeno dire con
certezza da che cosa sia suscitata quella sensazione di indignazione
– perché sì, sa perfettamente che
è d’indignazione che si tratta –, se dal
vedere i suoi amici intenti in atteggiamenti così intimi
mentre un loro compagno è stato arrestato dalla polizia o
dal fatto che si stia limitando a sua volta a restare lì
inerme a guardarli, tuttavia deve ammettere che gli è
davvero difficile tenerla a bada, in quel momento.
Joe scende le scale d’ingresso, con ancora David in braccio,
nel frattempo però non smette di tempestare le labbra e il
collo del ragazzo di baci, così come l’altro non
riesce a fermare i suoi gemiti.
Nel momento in cui arrivano sul divano, Joe sfila senza esitazioni la
maglietta di David, accarezzandogli così tutto il torace.
Questo suscita del ragazzo nuovi tremori e mugolii, mentre si sente
spingere verso i cuscini logori sotto di sé.
Il corpo di Joe lo segue di riflesso, la testa che plana verso il
basso; è solo allora che, tuttavia, si accorge della
presenza di un’altra persona all’interno della
stanza, il suo sguardo che per un momento ne intercetta la figura.
«Chi c’è?» domanda di scatto,
la voce impastata.
Jude sobbalza appena sul posto, facendo attenzione a non farsi sentire.
A giudicare dal tono alticcio di Joe, non deve essere stato
l’unico a ricorrere all’alcol, a quanto pare.
«Shh, Joe, non c’è nessuno…
vedrai che sarà stata solo una tua
impressione…» mormora David, strofinandosi con
impazienza contro il corpo dell’altro. È evidente
che non riesca più a tenere a bada l’eccitazione,
ormai.
«No, c’è qualcuno, ne sono
sicuro…» replica Joe, la voce ebbra
d’alcol che ha lo stesso suono di una catena di metallo
trascinata pesantemente al suolo. «Esci allo scoperto, se non
vuoi vedertela con me…!»
Jude riflette distrattamente che devono essere davvero ubriachi marci,
se non sono riusciti a rendersi conto che, al momento,
l’unica altra persona oltre loro che conosce quel luogo e che
vi può tranquillamente avere accesso è proprio
lui. Così, seppur di malavoglia, si tira su in piedi.
«Joe, David, sono io, Jude» ammette infine, la voce
lenta di chi sta spiegando per l’ennesima volta un concetto
fin troppo semplice ad un bambino testardo, che non vuole recepirlo in
alcun modo.
«Jude! Che ci fai qui?» David ridacchia, la sua
voce è simile ad un trillo di campanelle.
Jude valuta distrattamente che rispondere a quella domanda sia
piuttosto inutile, anche se sono tutti e tre ubriachi:
fondamentalmente, il motivo per cui si trova lì è
esattamente lo stesso degli altri due ragazzi, ossia quello di riuscire
a trovare un po’ di pace, dopo tutte le preoccupazioni che
hanno riempito loro la mente, durante il giorno. Si domanda come David
faccia a non arrivarci, nonostante tutto l’alcol che deve
avere in corpo al momento, alla fine però arriva alla
conclusione che ciò non abbia assolutamente alcuna
importanza.
I suoi pensieri vengono di colpo interrotti nuovamente dalla voce di
David.
«Ehi, Jude, non è che hai voglia di unirti a
noi?» gli domanda infatti, senza riuscire a smettere di
ridere – uno degli effetti collaterali dell’alcol,
valuta in fretta Jude.
La cosa che più lo sorprende è il silenzio che
segue, poco dopo. Stenta a crederci, evidentemente tuttavia i due si
aspettano davvero una risposta da parte sua.
Per un momento Jude s’immagina come potrebbe essere trovarsi
conteso tra quei due fuochi: i corpi dei suoi due migliori amici
premuti contro il proprio, petto contro petto con Joe mentre il torace
di David aderisce perfettamente alla sua schiena; lascia vagare i
pensieri e le fantasie più recondite, le mani dei due
ragazzi che lo sfiorano ovunque, mentre, inginocchiati sul divano
rotto, avverte quelle dita scivolare sotto i suoi pantaloni. Per un
momento le guance di Jude avvampano: forse sarebbe bello, per una
volta, lasciarsi andare a quelle sensazioni così piacevoli,
permettere a Joe d’impossessarsi del proprio corpo mentre lui
fa lo stesso con quello di David. Eppure si rende conto in fretta
– fin troppo
in fretta, per i suoi gusti – che, tuttavia,
tutto ciò non basterebbe a cancellare dalla sua mente quei
brutti pensieri così opprimenti che ultimamente
l’albergano. Sa inoltre che, in fondo al proprio cuore,
continua a desiderare di poter far sì che certe cose
avvengano solo con Ray. Sì, ora lui non
c’è più, però è
passato ancora troppo poco tempo per pensare di tornare a fare
ciò con chiunque altro che non sia lui.
«Per questa volta passo» si decide finalmente a
rispondere, sperando che i due ragazzi siano così ricolmi
d’alcol da non aver fatto caso alla sua esitazione.
David ridacchia di nuovo, al limite dell’ilarità.
«Va bene, la prossima volta però non ti salverai
così facilmente» commenta infatti, stringendo le
braccia attorno al collo di Joe con uno slancio passionale, mentre
attira a sé l’altro ragazzo, inducendolo a
scambiarsi un nuovo bacio pieno d’ardore.
Jude arretra, sempre più in imbarazzo. Per un momento
inciampa, finendo per cadere all’indietro. La bottiglia di
birra che ancora teneva stretta in una mano s’infrange al
suolo, schegge acuminate di vetro che si conficcano nei palmi delle sue
mani, formando dei lievi tagli che iniziano subito a sanguinare. Jude
cerca di non farci troppo caso, ignorando il bruciore cieco che ora
avverte e tirandosi di nuovo subito in piedi. Spera di non aver fatto
troppo trambusto o perlomeno di non aver disturbato eccessivamente i
due ragazzi, a giudicare però dai gemiti accaldati che gli
giungono alle orecchie e dai baci frenetici che stanno continuando a
scambiarsi così non si direbbe. Così ne
approfitta per correre fino alla finestra rotta, dalla parte opposta
della stanza, scavalcando l’intelaiatura di ferro malandato e
arrugginito e lasciandosi cadere al di là di esso. Altre
schegge si piantano nella sua mano, mentre inciampando
sull’asfalto all’esterno si ferisce anche le
ginocchia, tuttavia – nonostante il dolore – si
affretta a scappare via da lì, la mano di Joe che
s’infila dei boxer di David e gli ansimi del turchino che si
fanno sempre più intensi.
「 Roxbury,
Boston, 13th April
h. 01:14
a.m. 」
Non si era nemmeno accorto che avesse cominciato a piovere. Ora che le
gocce di pioggia colpiscono impietose la sua pelle, tuttavia, Jude non
sembra neanche farci troppo caso.
Il rombo dell’acqua sotto di sé attira il suo
sguardo. Il fiume è nero come la notte infausta che sta
attraversando.
Il suo naso percepisce ancora l’odore di birra versata a
terra, mischiata a polvere, sporcizia e vecchi resti di vomito, un mix
tanto orrendo quanto caratteristico della loro tana che ormai nota per
abitudine. Riesce quasi a sentire ancora i gemiti acuti di David nelle
orecchie, diventati ormai la colonna sonora di quella serata da
dimenticare.
Non sa come abbia fatto a ritrovare il ponte di ferro che lui, Caleb,
David e Joe hanno attraversato ormai una vita di tempo fa, in una
fredda notte di settembre, nonostante tutto l’alcol che ha in
corpo. Forse ci saranno passati sopra così tante volte che
ormai la sua memoria ha localizzato alla perfezione quel luogo,
malgrado tutto.
Ricorda ancora l’ebbrezza e la sensazione di
felicità che l’avevano pervaso, là
sopra. Per la prima volta in vita sua s’era sentito vivo,
nonché parte integrante di un collettivo. Aveva sentito di
avere degli amici, e per Jude non c’era stato nulla di
più importante.
Ora, invece, era tutto finito. Non restava altro che il ricordo lontano
delle ruote degli skateboard che giravano veloci, il rumore intenso che
provocavano strisciando su quella superficie metallica.
All’epoca Jude non era riuscito a non trovarlo meraviglioso,
ora invece gli riportava alla mente ricordi di una felicità
che sentiva non avrebbe mai più ritrovato, così
da trovarlo infausto.
Le mani ferite e macchiate di sangue si stringono attorno alle travi
d’acciaio davanti a sé.
L’umidità, assieme alla pioggia e agli spruzzi
d’acqua che giungono da sotto le rendono scivolose, tuttavia
Jude si ritrova a ringraziare il cielo per aver fatto sì che
le sue ferite alle mani si siano già chiuse,
perché altrimenti la sensazione di viscosità
sarebbe stata così eccessiva che, con ogni
probabilità, sarebbe già finito sul letto del
fiume.
Non che la cosa gli sarebbe poi così dispiaciuta, in fin dei
conti: d’altronde, se adesso si trova in piedi, sospeso in
bilico sulle travi d’acciaio che sostengono quel ponte,
è perché in fondo ci ha pensato, a buttarsi
giù.
In fondo, non gli rimane più niente per cui lottare. Ha
perso i suoi amici nel momento in cui Caleb ha rifiutato il suo aiuto,
suo padre lo disprezza per le scelte che ha fatto e non
vorrà mai più rivederlo in vita sua e
Ray… oh, Ray…
Ha deluso perfino l’unica persona di cui gli importasse
davvero qualcosa. Rinunciando agli studi non solo ha perso
l’ultima possibilità che ancora gli rimaneva per
vederlo, inoltre l’ha ferito così tanto che Jude
non si meraviglierebbe se adesso non desiderasse più di
vederlo o se addirittura lo odiasse.
Un’improvvisa folata di vento gelido fa tremare il suo corpo,
che si sbilancia pericolosamente in avanti.
Poi, però, una voce familiare gli giunge alle orecchie.
All’inizio la meraviglia nell’udirla è
così tanta che, per un momento, Jude crede di essersi
immaginato tutto.
Quando però la sente nuovamente capisce che quella non
è altro che la realtà.
«Jude» un timbro cupo e solenne lo fa tremare come
un fuscello squassato dal vento, mentre i suoi occhi si riempiono di
lacrime.
Di riflesso il ragazzo si volta indietro ad osservare la situazione.
Sotto il diluvio universale, alcune macchine sfrecciano lungo il ponte,
incapaci di trattenersi dal suonare il clacson passando accanto ad
un’altra auto, ferma in un punto in cui la
viabilità è decisamente ridotta, lo sportello del
guidatore aperto e nessuno a bordo, mentre la pioggia bagna i sedili.
Jude valuta distrattamente che conosce fin troppo bene
quell’utilitaria nera, perché è
lì che ha ricevuto il suo primo bacio.
Il ragazzo inarca lievemente le sopracciglia, a dir poco sorpreso di
incontrarlo lì.
«Come hai fatto a trovarmi, Ray?» domanda, saltando
a piè pari i convenevoli. Non ha davvero tempo per quelli,
adesso.
«Ha davvero importanza?» replica l’uomo,
tendendo una mano verso di lui. Ha indosso un impermeabile scuro, su
cui la pioggia scivola via veloce. «Jude, Scendi da
lì, adesso, per favore. È pericoloso.»
«N-non posso…» mormora, il corpo sempre
più scosso da tremori «la mia vita non ha
assolutamente alcun senso. Io non ho motivo di
esistere…»
«Sì che ce l’hai, invece.» Ray
si trattiene a stento l’impulso di azzerare la distanza che
lo separa da Jude e trarre in salvo il ragazzo. Deve agire con cautela,
la priorità è essere certi che Jude non finisca
davvero sul fondo del fiume. «Possiamo ancora mettere a posto
tutto, insieme.»
«Non è vero!» Jude si agita sul posto,
inquieto «T-tu mi odi…»
Per un momento Ray si arresta sul colpo, sorpreso.
«Cosa? Odiarti, io? Jude, io ti amo. Se sono rimasto lontano
da te, in questi giorni, è stato perché tu mi hai
chiesto di farlo.» Ray si morde il labbro inferiore, adesso
andare avanti sta diventando difficile persino per lui.
«Dovrei odiarti per il litigio che abbiamo avuto sul terrazzo
in cima all’istituto? Eri fuori di te, comprendo che buona
parte delle cose che mi hai detto quel giorno non le pensassi davvero.
Perciò ehi, ti assicuro che non ce l’ho
assolutamente con te.»
Jude volta il capo di scatto, posando lo sguardo nuovamente sulle acque
in tempesta. Se ci pensa si sente esattamente come quel fiume,
così tormentato…
Perché, perché adesso? Come se non si sentisse
già abbastanza in colpa, ci mancava solo che colui che
dall’alto tesse i fili del suo destino gli inviasse in quel
momento proprio la persona che meno avrebbe voluto che lo vedesse in
quello stato. Sente di essere un fallimento, inoltre se
c’è anche Ray ad avere la sua disfatta davanti
agli occhi, allora il tutto si fa ancor più umiliante.
L’ultima parte razionale di sé gli sta urlando di
scendere da lì, tuttavia sente i propri sensi
così offuscati… ogni cosa è confusa.
Dovrebbe lasciarsi cadere o tornare indietro? Ray sarebbe davvero
disposto a perdonarlo o lo sta dicendo solo per non avere la sua vita
sulla coscienza? Non lo sa, dannazione, Jude giura a se stesso che
davvero non lo sa. Purtroppo, per quanto vorrebbe averne
un’idea, teme che tutto l’alcol e il dolore che ha
in corpo gli impediscano di compiere anche il più piccolo
ragionamento di senso compiuto, al momento.
Il vento gli fischia furioso nelle orecchie, facendo oscillare
pericolosamente il suo corpo verso il vuoto sotto di
sé.
«Jude, posso chiederti un ultimo favore?» la voce
di Ray lo porta nuovamente alla realtà, calma, sicura.
«Cosa c’è ancora?» domanda il
ragazzo, impaziente.
Non può vederlo poiché gli dà le
spalle, tuttavia in questo momento le labbra del suo ex insegnante sono
una linea sottile e tesissima a causa dell’ansia che prova.
«Chiudi gli occhi, per favore. Poi non ti chiederò
mai più nient’altro, te lo prometto»
propone, cercando di non far trasparire l’ansia che prova.
Jude soppesa attentamente quelle sue parole. In fondo è
notte fonda e non vede a un palmo dal suo naso, inoltre è
così probabile che, ormai, il suo equilibrio abbia anche
solo un momento di debolezza e lo faccia volare direttamente
giù nel fiume, per cui perché non dovrebbe
accontentarlo, visto che forse senza la vista a supportarlo
sarà anche più facile cadere?
Così Jude lascia che le palpebre calino sui suoi occhi.
Quasi subito una nuova raffica di vento, più intensa delle
altre, colpisce il suo corpo, facendolo sbilanciare in avanti.
Finalmente,
pensa il ragazzo. È certo infatti che ora
giungerà la fine di tutte quelle sofferenze che da mesi lo
tormentano. Un ultimo, folle volo verso il fiume scuro e poi
più niente, solo acqua gelida che gli riempie i polmoni fino
a farlo soffocare e nient’altro. Non avrebbe potuto
immaginare una fine differente, oltre al fatto che certamente la parte
migliore di quel disperato piano è la cessazione di ogni
preoccupazione, che certamente non tarderà ad arrivare,
assieme alla morte, una volta che quelle acque scure come la notte
avranno accolto il suo corpo.
Ray, tuttavia, non è dello stesso avviso. Prima che la forza
di gravità possa reclamare il ragazzo verso il fiume,
infatti, lo afferra saldamente con una mossa rapida, attirandolo ben
presto sulla terraferma, accanto a sé.
Quel momento è così veloce che Jude non ha quasi
tempo di accorgersene. Per diversi istanti resta infatti con gli occhi
chiusi anche dopo che Ray l’ha tratto in salvo, troppo
confuso per rendersene conto in una situazione del genere. Quando
tuttavia le gocce di pioggia continuano a colpirgli la fronte anche
dopo che, secondo i suoi calcoli, sarebbe dovuto essere finito nel
fiume già da qualche secondo, si costringe ad aprire gli
occhi, alla ricerca di una spiegazione per tutto ciò.
La prima cosa che riesce a mettere a fuoco è il volto del
suo ex insegnante, che lo sovrasta totalmente nel tentativo di
proteggerlo dalla pioggia. Ray gli rivolge un sorriso lieve ma
incredibilmente luminoso, l’acqua che scorre giù
dal cappuccio del suo impermeabile mentre alcuni lunghi capelli castani
sono sfuggiti dalla sua coda di cavallo e ora gli ricadono delicati
sulle guance. Jude valuta distrattamente che quell’uomo
riuscirebbe ad essere in perfetto ordine anche nel bel mezzo
dell’apocalisse.
Ray, nel frattempo, gli accarezza concitatamente le gote; Jude lo
osserva e pensa distrattamente che i suoi occhi piccoli e neri
assomigliano ai ciottoli di un torrente, scuri e levigati nel tempo dal
corso delle acque.
Il suo sguardo
è l’unico fiume in cui vorrebbe annegare.
Sembra accorgersi solo in quel momento che Ray l’ha disteso
sulla superficie metallica del ponte; lo tiene sollevato solo per la
schiena, dietro la quale ha posto una delle sue braccia forti.
La consapevolezza che il suo tentativo di suicidio sia stato sventato
lo colpisce all’improvviso, riportandolo ben presto alla
realtà.
«Perché non mi hai lasciato morire?»
domanda infatti ben presto all’insegnante, nella voce una
nota ben percepibile d’ira.
Ray non riesce a trattenere il sorriso che ben presto fiorisce sulle
sue labbra, facendo innervosire ancor di più Jude.
«Perché ti amo» risponde, con una
spontaneità disarmante «e se pensi che ti
lascerò gettare la tua vita al vento così
facilmente ti sbagli di grosso, Jude.»
Gli occhi del ragazzo si dilatano a dismisura, sorpresi, mentre piccole
lacrime iniziano a formarsi agli angoli delle sue cornee.
«Però non puoi dirmi una cosa del genere
adesso» commenta, la voce commossa.
«Oh, posso eccome, invece» ribatte Ray,
stringendolo istintivamente a sé. «Non piangere,
le tue lacrime mi spezzano il cuore…»
Jude si limita ad affondare il volto contro il petto
dell’uomo, inspirando profondamente il suo profumo. Aveva
dimenticato quanto fosse buono; se solo pensa che ha rischiato di non
poterlo più sentire, giusto fino a pochi istanti prima, non
riesce proprio a perdonarselo.
Ray, nel frattempo, gli accarezza premurosamente i capelli, cercando di
aiutarlo a calmarsi.
«Si può sapere cos’è
successo?» gli domanda, le parole quasi mormorate
nell’orecchio del ragazzo.
Jude tira su col naso, cercando di fare mente locale.
«Caleb è… è stato
arrestato» ammette, le parole che lo trafiggono come lame
«ha rifiutato il mio aiuto per uscirne e io… non
sapevo più che cosa fare. Sta andando tutto a rotoli: prima
il nostro litigio, poi questo…»
Durante tutto quel suo confusionario racconto, Ray non smette nemmeno
per un secondo di accarezzargli gli zigomi. Non riesce ad accettare di
vedere il suo ragazzo così sofferente, né mai ci
riuscirà.
«E questo ti sembra un valido motivo per morire?»
gli domanda, continuando a tenerlo stretto a sé.
«Io… non sapevo cosa fare. Mi
dispiace…» sussurra, mortificato.
«Shh… non c’è niente di cui
tu debba scusarti, Jude» lo rassicura l’altro,
distaccandosi lievemente dal corpo del ragazzo – seppur con
estremo rammarico – per poterlo guardare in volto
«te l’ho detto, siamo insieme. Risolveremo tutto,
te lo prometto…»
Gli occhi del ragazzo continuano a riempirsi di lacrime. Una di queste
inizia a scendere, solcando il volto del giovane, tuttavia le dita
abili dell’uomo la intercettano all’altezza della
guancia.
«Ti amo. Non mi lasciare mai più,
Ray…» mormora il ragazzo, trattenendo un
singhiozzo tra i denti.
Ray solleva il volto del giovane, avvicinandolo impercettibilmente al
proprio. Lascia che per alcuni brevi quanto intensi istanti le loro
labbra si sfiorino, in un contatto tanto intimo quanto dolce. Non
appena si separano, sul volto di entrambi sboccia un sorriso lievissimo.
«Ovvio che non ti lascio più. Ti amo,
Jude» ricambia, il cuore che scoppia di gioia.
Jude sente il proprio corpo venire sollevato da terra, tuttavia non ha
paura, perché sente che con passi sicuri Ray ha preso ad
avviarsi verso la propria autovettura, per mettere entrambi al riparo
da quella maledetta pioggia.
Finalmente al riparo, mentre la pioggia continua a colpire il tetto
dell’auto, i loro corpi si beano della sensazione del calore
dell’altro, così vicino. Dopo tanto tempo, in quel
momento Jude sente finalmente che tutto si sistemerà.
Angolo autrice
Ed eccoci qui, finalmente, con l'ultimo vero ed effettivo capitolo
prima dell'epilogo di questa storia!
Sapete, mi fa un effetto stranissimo dire questa cosa... è
la prima volta che porto a termine un progetto tanto importante. Per me
Dark Necessities è un po' come un figlio, vederla arrivare
alla conclusione dà la stessa soddisfazione che si prova
nell'osservare il proprio unico discendente realizzato, sposato, con
figli ed un lavoro che apprezza-- okay, comincio già a
delirare, perfetto.
Andiamo con ordine: intanto ringrazio mia figlia (chi mi segue su
Twitter sa perché la chiamo così) Gagiord per il suo
– come al solito – ottimo lavoro di betaggio.
Indipendentemente da ciò che dicono gli altri, io sono
estremamente fiera del nostro lavoro di squadra, non potrei chiedere di
meglio.
Volevo ringraziare anche tutti voi lettori che avete seguito la storia.
Non mi aspettavo così tanto sostegno, sarò
sincera.
Mi dispiace che alcune cose siano state percepite come dei
"cliché", sebbene non lo fossero. Se proprio vogliamo andare
a guardare il capello, l'intera storia si basa tutta su un grosso
cliché, o perlomeno su una visione piuttosto stereotipata
della società americana – per la precisione, di una parte della
società americana, ma sorvoliamo.
Tornando a noi, questo capitolo mi ha creato non pochi problemi, in
fase di stesura: sono personalmente molto vicina allo stato emotivo di
Kidou nella terza sezione, ho pianto già solo ad
immaginarla, mi ha fatto tornare alla mente un periodo nient'affatto
felice della mia vita e mi è servito un po' come sfogo,
spero per cui che possiate perdonarmi.
Forse l'ultima parte è leggermente OOC. Se vi dà
fastidio lo segnalo, non lo so.
E niente, credo di aver detto tutto, fondamentalmente perché
credo di non dover spiegare un granché, in questo capitolo.
Ringrazio chiunque leggerà, le anime pie che arriveranno fin
qui e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite. Una recensione,
come al solito, è sempre benaccetta.
Ci vediamo il 27 agosto con l'epilogo
– fa strano dirlo, sì.
A presto
Aria
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Capitolo 6 *** Epilogue – Dark Necessities ***
「
Brookline, Boston, 12th June
h. 03:24 p.m. 」
Epilogue
«Ecco, e invece questo è il piano
superiore!»
Un uomo sulla cinquantina, non particolarmente alto e dalla corporatura
robusta, prosegue con passo deciso attraverso un lungo corridoio dalle
pareti color crema. La sua voce è squillante, più
alta del normale di qualche ottava, forse la visita che ha ricevuto lo
entusiasma più di quanto si potesse immaginare.
Alle sue spalle altre due figure lo seguono, quella di un uomo di
all’incirca la sua stessa età, alto e dal fisico
asciutto, e quella di un giovane, forse più magro del
dovuto, mentre la statura è all’incirca nella
norma.
«E qui, uhm, che stanze ci sono?» domanda Ray, la
coda di cavallo castana che oscilla inquieta. Jude riesce quasi ad
intravedere alcuni capelli bianchi, fili d’argento che
sembrano scie di stelle rimaste impigliate nella sua chioma; nonostante
tutto, non può fare a meno di valutare che non gli stiano
affatto male, e che anzi gli donino ancor più fascino di
quanto già non ne abbia, ai suoi occhi.
È certo infatti di star osservandolo con sguardo ammirato,
per cui spera solo che suo padre non se ne accorga –
considerando tuttavia quanto il neo-governatore Sharp sia sempre
così concentrato sul suo lavoro anche mentre si occupa
d’altro, Jude non può fare a meno di trovare
questa possibilità piuttosto remota. Al contrario, se
c’è una cosa che ha notato, quella è
senza ombra di dubbio l’imbarazzo con cui
l’insegnante si sta approcciando alla situazione in cui ora
si trovano: in un primo momento Jude aveva creduto che fosse dovuto
all’elevato ruolo sociale di suo padre, tuttavia adesso sta
cominciando a credere che si tratti di ben altro.
«Le camere da letto – due padronali, tre per gli
ospiti – e due bagni. Ah, e lo studiolo,
ovviamente» risponde Jude, quasi in automatico. Questo gli fa
guadagnare uno sguardo pieno di sollievo da parte di Ray, a cui non
può che rispondere con un sorriso sincero.
In quel momento, il telefono del padre del ragazzo inizia a squillare.
«Oh» commenta l’uomo, controllando
rapidamente di chi sia il numero che lo sta chiamando
«vogliate scusarmi, è il mio ufficio
stampa…»
Nemmeno un secondo dopo ha già risposto, mentre comincia ad
allontanarsi lungo il corridoio.
Ray si limita ad inarcare le sopracciglia.
«Questo fondamentalmente è il motivo per cui
litigavamo di continuo, fino a qualche tempo fa» commenta
Jude, con un sospiro stanco.
«Ah, davvero? E io che credevo che fosse perché
avevi smesso di frequentare la scuola e te ne andavi in giro con una
banda di teppisti…» precisa Ray, senza nascondere
il sarcasmo.
Jude si volta a lanciargli un’occhiataccia, tuttavia il
professore alza le spalle, rivolgendogli un sorriso irresistibile.
«Allora, che ne dici di mostrarmi la tua stanza?»
propone, senza perdere quell’espressione incoraggiante.
Jude, al contrario, non sembra poi così entusiasta.
«Ah, sì. Okay» commenta, con un leggero
sbuffo, per poi voltarsi mentre afferra la mano dell’uomo e
prosegue attraverso il corridoio.
Ray lo osserva di sottecchi, con un solo sopracciglio inarcato e un
sorriso divertito stampato sul volto. Certo che il suo ragazzo
è davvero buffo, quando si arrabbia…
ciò non toglie tuttavia che resti comunque dolcissimo, per
lui.
Nel frattempo Jude continua a trascinarlo, superando in fretta diverse
porte. Suo padre è scomparso, probabilmente si è
ritirato nello studio. “Poco importa” mormora tra
sé il ragazzo.
Decide di arrestarsi solo quando ha ormai raggiunto la fine del
corridoio. Abbassa la maniglia della porta alla sua destra con un
movimento fluido e naturale, mentre si lascia scivolare
all’interno della stanza.
Ray valuta che la tranquillità con cui Jude e suo padre si
muovono all’interno di quella casa così immensa
gli pare innaturale; d’altronde però, lui
è solo alla sua prima visita lì, probabile che ci
metterà dei mesi per imparare a muoversi là
dentro con almeno un minimo della loro agilità. Anche Jude,
che per quasi un anno non ha varcato la soglia
dell’abitazione, cammina con una sicurezza disarmante, mentre
se pensa ai propri passi li trova così goffi e impacciati.
Evidentemente, è impossibile dimenticare certe cose, dopo
che le si ha imparate, anche a distanza di molto tempo.
In fin dei conti, però, deve ammettere di aver
particolarmente apprezzato la sua guida, soprattutto in
quest’ultimo tratto in cui sono rimasti da soli, al che
decide che Jude si è decisamente guadagnato un premio.
Non appena la porta si chiude alle loro spalle, infatti, Ray fa
scattare la chiave all’interno della serratura; un secondo
dopo le sue mani sono già sui fianchi del ragazzo, con
l’intento di indurlo a voltarsi nella sua direzione.
«Adesso puoi anche smetterla di tenermi il broncio, non me lo
merito» gli fa notare, giusto un secondo prima di poggiare le
labbra sulle sue.
In un attimo di smarrimento, gli occhi di Jude si dilatano a dismisura,
salvo poi chiudersi subito dopo, pronti ad abbandonarsi alle sensazioni
piacevoli scaturite da quel bacio. Come ogni altra volta, quel contatto
è così dolce e delicato, come petali di rosa
umidi di rugiada mattutina che si sfiorano, lentamente.
Si separano appena, le punte dei nasi che si sfiorano, mentre entrambi
sorridono, rilassati. Le guance di Jude sono leggermente arrossite,
davvero non si aspettava quella dimostrazione d’affetto.
«Ti amo» mormora Ray, accarezzandogli i capelli.
Jude abbassa lo sguardo, in imbarazzo.
«Si può sapere come ti è uscita questa
dichiarazione così, all’improvviso?»
domanda, le guance ormai irrimediabilmente in fiamme.
«Beh» Ray solleva il volto del ragazzo con
l’indice, riempiendogli le guance rossissime e bollenti di
baci «non saprei, forse la maglietta che ti sei messo oggi mi
ha ispirato.»
In un primo momento, Jude resta nuovamente spiazzato –
possibile che quell’uomo debba sempre lasciarlo a corto di
parole? – così è costretto ad abbassare
lo sguardo. Non ricorda nemmeno come si sia vestito, quel giorno, non
ha mai fatto particolarmente caso alla scelta dei propri abiti.
Dopotutto, chi l’apprezza lo fa indipendentemente da
ciò che ha indosso o meno, no?
Le solite scarpe basse bordeaux da skater, perché le vecchie
abitudini sono sempre dure a morire, un bermuda color cachi e una
semplicissima t-shirt blu. Continua a non avere idea del
perché Ray sia così entusiasta di quella
maglietta – forse gli mette in risalto il fisico asciutto?
– fino a quando l’uomo non lascia scivolare le dita
sul tessuto morbido dell’indumento, all’altezza del
petto del ragazzo.
E Jude capisce che è per via della stampa.
Grandi lettere maiuscole, dal carattere leggermente rovinato per
conferirvi un aspetto antico e di un bianco accecante, ruotano attorno
ad uno stemma cremisi; all’interno di quest’ultimo,
fanno bella mostra di sé tre libri, sulle pagine di ognuno
dei quali è stata riportata una sillaba della parola latina
“veritas”, verità.
«Harvard» commenta Ray, riconoscendo fin troppo
bene il simbolo. «Ti piacerebbe andarci?»
Le guance di Jude tornano a tingersi di rosso, bollenti come due
piccoli falò accesi nella note.
«A dire la verità non ci ho mai pensato»
ammette, abbassando lo sguardo. «Dopotutto, ho ancora due
anni per pensarci bene prima di decidere, no?»
Ray gli accarezza le guance ustionanti, un sorriso lieve che gli spunta
sulle labbra. Fino al mese precedente non gli sarebbe sembrato
possibile essere lì, con il ragazzo che ama, a parlare di
quale università avrebbe frequentato in futuro. Con le dita
sfiora lievemente la schiena di Jude, sospingendolo con lentezza a
distendersi sul letto alle loro spalle.
I loro corpi atterrano sul materasso; entrambi distesi, sono
così felici, le labbra di uno nuovamente a pochi centimetri
da quelle dell’altro, il che fa sorridere ancora una volta
tutti e due.
«Harvard è stata anche la mia
università» gli confessa Ray, massaggiando con
levità il volto del ragazzo, partendo dalla zona sotto
l’occhio sinistro fino ad arrivare alle labbra. Non
riuscirà mai a comprendere se lo confondano maggiormente
quelle spettacolari iridi rosse oppure le sue labbra morbide.
È più probabile che siano entrambe a sconvolgerlo
così tanto – o forse anche solo la semplice
presenza del ragazzo basta e avanza a mettere fuori gioco anche
l’ultimo briciolo della sua razionalità, chi lo sa.
«Ah, davvero?» lo provoca Jude, le labbra che si
arricciano per via del piacere che quel massaggio rilassante gli sta
infondendo. «Il college dei cervelloni, tipo Mark Zuckerberg
e Bill Gates?»
«Già» risponde Ray, ignorando il
punzecchiamento, per poi affondare il volto nel collo del ragazzo,
così che mentre continua a parlare le sue labbra possano
sfiorargli sensualmente la pelle. «Sono sicuro che
riusciresti a entrare senza troppi problemi.»
«Io invece ne dubito» ammette Jude con un sospiro,
le guance che tornano ad arrossarsi. «Vengono accettate
pochissime persone, bisogna avere una media e delle referenze
inattaccabili… e dopo tutti i giorni di assenza che ho
collezionato quest’anno non so se riuscirò davvero
a farcela…»
Ray puntella i gomiti sul materasso, tirandosi appena un po’
più su, così da poter osservare il suo ragazzo
negli occhi. Al momento Jude ha un’espressione
così affranta da spezzargli il cuore, tuttavia non riesce ad
impedire ad un sorriso di spuntare sul proprio volto.
«Jude» lo chiama, quel nome che esce dalle sue
labbra con un soffio leggero. Ama il modo in cui le lettere che lo
compongono rotolano sulla sua lingua, e poi scivolino giù
lungo il palato. «Assieme a tuo padre siamo –
faticosamente – riusciti a giustificare la tua lunga assenza
dalla scuola a forza di certificati medici. Per fortuna i tuoi voti
sono sempre stati altissimi, quindi non hai avuto troppe
difficoltà. Abbiamo trascorso praticamente tutto
l’ultimo mese sui libri, per cui voglio seriamente sperare
che gli sforzi che abbiamo fatto per recuperare in pochi giorni il
programma di un anno e per fare verifiche anche a giugno pur di non
farti rimandare siano quantomeno valsi a qualcosa.»
Jude abbassa nuovamente lo sguardo, stavolta non per imbarazzo,
bensì per riconoscenza.
Notando che il ragazzo si è fatto di colpo cupo, Ray si
affretta a sollevargli il volto, rivolgendogli il suo sorriso migliore.
«Ehi… non devi fartene una colpa» lo
rassicura, appoggiando dolcemente la fronte sulla sua. «Non
era una cosa che rientrava nel tuo controllo, e questo lo sappiamo
perfettamente entrambi. Abbiamo ancora due anni molto intensi che ci
attendono, vedrai che andrà sempre meglio. Se vuoi uno di
questi giorni posso accompagnarti lì, dista solo
un’ora di macchina da Boston, e poi credo che ci siano ancora
alcuni dei professori che hanno fatto lezione anche a me. Puoi
parlarci, se la cosa ti rassicura… vedrai, sono delle
persone gentilissime. Poi posso passarti tutti i miei vecchi libri e
depliant informativi, li ho conservati nel corso degli anni nella
speranza che mi sarebbero tornati uti—»
Ray non fa in tempo a finire la frase, perché Jude gli ha
già gettato le braccia al collo, attirandolo ancor
più verso di sé. Finisce così con
l’affondare il volto all’interno dei capelli
cespugliosi del ragazzo, il respiro accelerato che s’infrange
contro la nuca del giovane e il cuore che gli batte
all’impazzata all’interno della cassa toracica.
«Ti amo» mormora Jude, poco più sotto,
la faccia premuta contro la camicia di lino candido di Ray, le guance
leggermente arrossate.
«Oh, penso che dei modi per dirmi che stavo parlando troppo
tu abbia scelto il migliore.» Ray ridacchia, scompigliando
appena i capelli del giovane. «Ad ogni modo ti amo
anch’io, Jude. E stai pur certo che non smetterò
di farlo se non sarai ammesso ad Harvard. Se smettessi di amare il
ragazzo più bello, intelligente e dolce che io abbia mai
conosciuto per una sciocchezza del genere sarei assolutamente uno
stupido, senza ombra di dubbio.»
«E non è così, dato che sei un
secchione.» Jude ride a sua volta, stringendo forte la mano
di Ray, che trova abbandonata tra le lenzuola.
«Uh, siamo una coppia di secchioni!» Ray lo
abbraccia, facendolo rotolare sul materasso. Inverte rapidamente le
posizioni, lasciando appoggiare Jude sul proprio addome, carezzandogli
lievemente i fianchi.
Poco dopo il professore gli posa un bacio sulla fronte: nonostante sia
piuttosto riluttante ad interrompere il contatto fisico con il corpo
del ragazzo, sa bene che un appuntamento li attende.
«Che dici, andiamo?» gli domanda, lasciando
strofinare appena le punte dei loro nasi.
Jude si lascia sfuggire un mugolio contrariato, che non può
che suscitare ancor di più l’ilarità
dell’insegnante.
«Mhh… e va bene, andiamo» acconsente
infine, con un ultimo sospiro.
Si lascia tirare su pigramente, per poi avviarsi assieme a Ray verso
l’uscio. Entrambi sorridono mentre si prendono per mano, le
loro dita che si stringono come nodi indissolubili.
「 Back
Bay, Boston, 12th June
h.
05:02 p.m. 」
Piedi candidi di fata calpestano lievi l’arena.
Il vento riempie l’aria dell’odore della salsedine
e fa ondeggiare a lunga chioma violacea di Camelia con grazia, mentre
la ragazza si volta indietro, un sorriso raggiante ad illuminarle il
volto non appena gli occhi si posano sul ragazzo alle sue spalle.
Caleb la segue a qualche passo di distanza, quasi con reverenza.
Più guarda la sua fidanzata e più si convince
d’aver incontrato il suo angelo custode, con quella pelle
eterea e il sorriso scintillante.
Se solo pensa che per un motivo così banale abbia rischiato
di non vederla più per almeno vent’anni quasi si
sente soffocare.
Quando aveva visto un avvocato entrare nella cella in cui
l’avevano rinchiuso il suo primo pensiero era stato quello di
aver avuto un’allucinazione. Lui non aveva soldi per
permettersi di pagare qualcuno bravo che lo difendesse,
perciò la contea avrebbe dovuto affidargliene uno
d’ufficio, quel genere di consulenti che non
s’impegnano mai troppo per far valere i tuoi diritti,
perché d’altronde è lo stato a
retribuirli, per cui in fin dei conti mandare un delinquente in
più in carcere sarebbe stato quasi un ricambio del favore da
parte dell’avvocato. Soldi per carcerati, insomma, nonostante
il sovraffollamento degli istituti di detenzione americani.
Poi, però, l’aveva osservato meglio: completo
gessato, cartellina professionale… no, quello non era uno
dei soliti avvocati d’ufficio. Qualcuno doveva aver pagato la
parcella – e anche piuttosto alta, tra l’altro
– al posto suo, solo che proprio non era riuscito a
immaginare chi potesse essere stato. Era passato troppo poco tempo,
neanche con tutte le belle parole del mondo Jude sarebbe riuscito a
convincere suo padre, per cui l’aveva escluso a prescindere.
Solo che, arrivato a quel punto, non gli erano più venuti
alla mente nomi di persone che avrebbero potuto volerlo aiutare e in
possesso di una cifra di denaro così alta. Così
era arrivato alla conclusione che scoprire chi fosse il suo benefattore
non fosse poi così importante: era stanco, non aveva voglia
di spremere ulteriormente le sue meningi. Nel giro di poche ore quel
tizio elegante l’aveva tirato fuori di lì, per cui
il resto non era poi così importante.
Certo, gli aveva scucito il nome del suo spacciatore, tuttavia il
pensiero di deludere ancor di più Camelia lo logorava,
così aveva preferito ricorrere a tale bassezza, piuttosto
che finire in galera. Non che non ci avesse pensato parecchio, prima di
dirglielo: in fondo, gli era costato parecchio tradire la fiducia di
quel ragazzo, che ormai considerava come un fratello. Hector era nato
in una regione dimenticata dell’Africa, e si era trasferito
assieme ai suoi genitori in America quando era ancora molto piccolo.
Gli aveva sempre detto di non avere molti ricordi di quel periodo,
Caleb però sospettava che fosse per via della droga, che ad
ogni assunzione gli aveva cancellato un pezzetto di memoria. I suoi non
riuscivano a trovare lavoro, inoltre la famiglia in cui viveva era
molto povera, così a dodici anni aveva smesso di andare a
scuola, iniziando invece a spacciare stupefacenti. Ormai erano quattro
anni che andava avanti così, tra stenti e miseria. Non
apprezzava la vita che faceva, però se ne prendeva comunque
carico, pur di aiutare i suoi genitori.
Caleb aveva sempre provato una forte empatia per la storia di Hector,
forse rivedendo se stesso in più punti, come ad esempio
quello di essere cresciuto in una famiglia nient’affatto
ricca, ecco perché era andato d’accordo con quel
ragazzo dal sorriso gentile fin dal primo momento in cui
l’aveva incontrato. Proprio per questo motivo consegnarlo
alla giustizia era stato ancor più difficile; il suo
avvocato, tuttavia, gli aveva assicurato che non sarebbe finito in
carcere: vista la situazione in cui viveva e dato che non era ancora
maggiorenne, si era deciso di affidare Hector ad un centro di
rieducazione, mentre sarebbero stati inviati dei sostegni economici
alla sua famiglia, così da permettere loro di vivere in
delle condizioni di vita migliori, e certo non più nella
fatica di non riuscire ad arrivare a fine mese. L’avvocato
aveva preso a cuore la questione, infatti si era impegnato
personalmente per risolverla. Con quella promessa, e con le parole che
l’uomo gli aveva rivolto all’inizio del colloquio
– “chi mi ha assunto mi ha chiesto di dirti che
Camelia ti sta aspettando, fuori di qui” – Caleb si
era finalmente deciso a confessare. Poche ore dopo, era stato subito
rimesso in libertà.
Camelia allunga una mano nella sua direzione e lui l’afferra
prontamente, lasciandosi trascinare verso la riva del mare.
«Glielo dirai, prima o poi?»
Un’onda s’infrange contro lo scoglio su cui si sono
accomodati. Ray osserva l’orizzonte, il sole è una
sfera infuocata che lentamente scivola verso il basso, affondando nel
mare. Le parole di Jude l’hanno colpito: crede di sapere a
che cosa si riferisce, prima di rispondergli però ha bisogno
che il ragazzo gli confermi i suoi sospetti.
«A che cosa ti riferisci?» gli domanda infatti, le
mani premute contro la roccia umida.
Lo sguardo di Jude non segue quello del suo insegnante: al contrario,
è fermo sulle figure di Caleb e Camelia che, in lontananza,
camminano lievi sulla riva dell’oceano, noncuranti dei flutti
che continuano ad arrivare, per poi puntualmente tornare indietro.
Hanno dei sorrisi meravigliosi stampati sul volto, Jude spera di
poterli vedere così felici per sempre.
«Al fatto che sei stato tu a pagare il suo
avvocato» ammette infine il ragazzo, i piedi nudi che
dondolano appena giù dallo scoglio, riempiendosi di schizzi
di candida spuma marina.
Ray sorride appena: come sospettava, in quel momento i pensieri del
ragazzo sono rivolti unicamente al suo migliore
amico.
Rinunciare a tutti quegli stipendi che aveva saggiamente messo da parte
in passato, in attesa di poterli adoperare per organizzare una sorpresa
a Jude – magari una vacanza insieme, chi lo sa –
era stato un bel sacrificio, tuttavia i risultati lo avevano
sicuramente ripagato: una volta che Caleb era stato scagionato,
infatti, la sua ragazza, Camelia, gli aveva proibito di tornare a far
parte di quella banda. Il loro gruppo di teppisti si era
così sciolto – scegliere tra il continuo rischio
di finire in prigione o l’amore della sua ragazza era stata
una decisione piuttosto semplice, per Caleb – e i quattro
ragazzi erano così tornati a studiare. La loro amicizia era
comunque rimasta salda, certamente tuttavia adesso si trattava di un
legame molto più sano e sincero per tutti e quattro i
ragazzi.
«Non credo» gli confida infine, spostando lo
sguardo in direzione dei due ragazzi, che in lontananza continuano a
ridere e scherzare. «Guardali, sono così
felici… penso che vivranno benissimo anche senza
saperlo.»
«Già.» Jude sorride, stringendogli la
mano.
Lo sguardo di Ray si posa sul sorriso lucente di Jude: è
strano, non avrebbe mai immaginato di poterlo vedere ancora
così felice, dopo così tanto tempo e tutto quello
che avevano passato.
Non avrebbe potuto desiderare nulla di diverso, in fin dei conti.
Con una mano gli accarezza lievemente una guancia, attirandolo a
voltarsi verso di lui.
«Ti amo» sussurra, delicato, prima di baciarlo
lentamente.
Sotto di sé, sente le labbra del ragazzo piegarsi in un
sorriso dolcissimo, e sa che non avrebbe potuto sperare in niente di
meglio.
«Ehi, piccioncini!» dalla spiaggia, la voce
canzonatoria di Caleb li riporta alla realtà.
«Avete intenzione di restarvene lì sugli scogli
ancora per molto o ci raggiungete? E anche voi… Dio, ci
manca poco che vi mettiate a rotolarvi nella sabbia!»
Con questo, lancia uno sguardo in direzione di Joe e David, seduti con
le schiene premute contro il muretto che delimita il confine tra la
spiaggia e la strada. Alle loro spalle, centinaia di automobili
continuano a sfrecciare, noncuranti, mentre i due ragazzi continuano a
scambiarsi effusioni.
Alle parole di Caleb, Joe e David sollevano la testa, roteando lo
sguardo.
«Non ho capito, quindi tu sei l’unico che
può baciarsi in santa pace e basta?» protesta il
ragazzo dai capelli turchini, con un borbottio infastidito.
Joe, nel frattempo, ha già cominciato a rialzarsi, e una
volta in piedi aiuta David a fare altrettanto. Quest’ultimo
si aggrappa alle braccia forti del suo ragazzo come se ne andasse della
propria vita, scoppiando a ridere di gusto quando si rende conto che la
presa di Joe è davvero troppo potente e ci manca poco che
non finisca a volare a mezz’aria.
Mentre i due si affrettano ad avvicinarsi alla riva, Jude e Ray hanno
già raggiunto Caleb e Camelia. Ormai, i commenti acidi del
castano non spaventano più nessuno: hanno capito infatti
che, da quando c’è Camelia, non hanno
più nulla da temere, perché quella ragazza fatta
di luce porterà sempre il loro amico sulla retta via.
Insieme camminano lungo la spiaggia, mentre il sole tramonta e un nuovo
giorno muore.
The end.
Angolo autrice
Lo ammetto, sono io stessa la prima ad essere incredula. Se ci fate
caso, sul mio profilo ci sono prevalentemente one-shot, mentre le long
sono quasi tutte interattive che non sono mai riuscita a portare a
termine a causa della mia incostanza. Per me arrivare alla fine di una
long è davvero un grande traguardo, non immaginate quanta
gioia mi dia premere il quadratino che indica che la storia
è completa.
Se sono arrivata qui lo devo a più di una persona. Il
ringraziamento più grande va alla mia beta, Gaia aka Shizuha
aka Gagiord, che non ha corretto dei capitoli, bensì dei
panfleu. Non so come faccia a non avermi ancora azzannato il collo per
tutti i punti che mi dimentico ^^" tornando seri, non ho mai incontrato
qualcuno tanto gentile e paziente come lei, ha sempre fatto del suo
meglio per aiutarmi con la correzione di questi capitoli e
perciò le sono infinitamente grata. Per non parlare dei suoi
commenti ai capitoli, senza dubbio tra i più belli ed
accurati che io abbia mai ricevuto in vita mia. Grazie, grazie e ancora
grazie, amica mia <3
È poi d'uopo per me ringraziare le persone che hanno
lasciato una recensione alla mia storia, ossia Happy_Ely, Lila May,
White_LF e White Realm. Mi dispiace se a volte non sono riuscita a
rispondervi o a trasmettervi la gioia che ho provato nel ricevere i
vostri pareri, nel caso ve lo dico qui: pensavo che nessuno si sarebbe
filato questa storia, e invece sono felice di essere stata smentita!
Un altro grazie gigante va alle persone che hanno inserito la storia
tra le preferite e/o le seguite, in particolare C o c o
e MartyDevil, che su questo fandom sono sempre state le mie
"sostenitrici", per così dire.
Anche se non c'entra molto volevo ringraziare anche le mie
amiche/colleghe che mi seguono ormai da mesi come delle ombre su
Twitter: non potrei esservi più grata, siete le migliori
supporter che si possano desiderare! Siete tante, per cui non posso
citarvi tutte (altrimenti le note vengono più lunghe del
capitolo, sigh) perciò ho deciso di eleggere a
"rappresentanti" Ayumu, _Lady di inchiostro_ e nigatsu no yuki. Siete
anche delle autrici fantastiche, perciò continuate
così, ragazze!
Ho concluso – stavolta per davvero. Già,
perché come ho tenuto a dirvi fin dall'inizio, questa
è la mia ultima storia su questo fandom. Ormai qui non mi
sento più a casa, perciò sarà meglio
levare le tende. Penso che non pubblicherò niente di nuovo
per un po', comunque, perché ho in mente un progetto per una
nuova long, stavolta sul fandom di Boku no Hero Academia, e temo che
quest'ultimo mi porterà via un po' di tempo
– per cui insomma, non preoccupatevi se sparirò
per qualche mese, non sono morta, ahah! Starò studiando, o
al massimo lavorando a questo nuovo progetto.
Bene, è giunto il momento di partire alla volta di questa
avventura: sarete con me?
Aria
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