Heart memories

di OnnanokoKawaii
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Survive ***
Capitolo 2: *** thanks a lot dear fiends ***
Capitolo 3: *** Broken memories ***
Capitolo 4: *** Memories are gone ***
Capitolo 5: *** Goodbye my lover ***
Capitolo 6: *** Loosing faith ***
Capitolo 7: *** Breath and fight ***
Capitolo 8: *** Searching peace... finding hope ***
Capitolo 9: *** memories and stolen kisses ***
Capitolo 10: *** Stolen Innocence ***
Capitolo 11: *** Goodbye again ***
Capitolo 12: *** Heart memories ***



Capitolo 1
*** Survive ***


Tooru Oikawa si alzò dal letto, e lo accolse la voce della televisione al piano di sotto. L'ennesimo servizio sul Programma, sulla sua efficacia contro la piaga del nuovo millennio: l'epidemia di suicidi in età puberale.
Era iniziato tutto in sordina. In tutto il mondo i casi di suicidio tra i giovani avevano iniziato ad aumentare. Lì in Giappone i numeri avevano iniziato a farsi preoccupanti prima perché la media nazionale di suicidio tra gli studenti era sempre stata più alta che altrove.
Nel giro di qualche mese la situazione era diventata intollerabile: il suicidio era diventato non solo una malattia... era diventato contagioso.
Il governo aveva tardato a reagire ma da un anno a quella parte aveva adottato i metodi usati oltreoceano.
Era nato il Programma.

Gli studenti venivano monitorati, studiati, osservati, analizzati e chi risultava depresso o sospetto tale veniva prelevato dal programma che provvedeva a debellare dalla sua mente l'infezione.
Tooru aveva visto ormai molti studenti venire prelevati dagli Istruttori in patetiche scene che viravano dalle lacrime alla lotta.
Il Programma salvava dalla malattia, era vero. Ma il prezzo da pagare, era decisamente troppo alto.
Nel giro di un mese svuotava la mente dei malati da ogni pensiero infetto o pericoloso.
I Rientranti erano solo pallide imitazioni dei ragazzi che erano stati prelevati.
Imitazioni felici, ignare di aver perso un pezzo di se stesse.

Come ogni volta Oikawa ringraziò la propria stella di non essersi ammalato.
Ancora sei mesi e avrebbe compiuto 18 anni e il Programma non avrebbe più potuto fargli nulla. Anche Ajime sarebbe stato salvo.
Uscì di casa recitando la solita farsa dell'adolescente spensierato e raggiunse Iwaizumi che lo stata aspettando
Quando i suoi occhi incontrarono quelli del compagno Tooru si sentì esplodere il petto di buon umore.
Sì, loro stavano bene.

Erano in classi separate anche se presto probabilmente le cose sarebbero cambiate.
Il numero di studenti era drasticamente calato negli ultimi tempi. Tooru lasciò vagare lo sguardo sui tredici sopravvissuti della propria sezione e mentre il professore si accomodava alla cattedra sfiorò il posto vuoto di Hanamaki.

Era uno dei suoi migliori amici insieme ad Hajime e Matsukawa.
Nessuno di loro voleva credere che Hana fosse malato. Avevano cercato di non vedere il suo sguardo perso nel vuoto, la sua apatia e il nulla dietro ai suoi occhi. Avevano tentato di aiutarlo. Di salvare le apparenze agli occhi degli istruttori ma non era servito.
Un dolore profondo gli strinse il cuore al ricordo di quel pomeriggio a casa sua. Avevano finto davanti ai suoi di giocare con lui come al solito. Avevano sperato che tutto quel che avevano fatto fosse bastato a convincerli.

Era ormai sera quando si erano decisi a tornare a casa. Avevano appena percorso qualche decina di metri quando sgommando erano arrivati due furgoni bianchi da cui erano scesi quattro istruttori nei loro camici candidi.
Nel tempo che impiegarono a capire cosa stava succedendo questi erano ricomparsi sulla porta trascinando a forza il loro amico che scalciava, urlava, piangeva e implorava con tutta la forza che aveva.
Il ricordo di quanta forza era stata necessaria per tenere Mattsun lontano da quella scena pietosa lo fece rabbrividire mentre gli veniva consegnato il solito foglio con l'autovalutazione.
Abbassò lo sguardo su quelle domande che ormai sapeva a memoria.
 
TI SEI SENTITO TRISTE O DEPRESSO NELLE ULTIME VENTIQUATTRO ORE?
 
Come se avesse avuto davvero la libertà di rispondere, pensò con stizza.
 
 NO
 
Chiuse gli occhi quando ricordò i tentativi di fuga di Hanamaki poi ridotto all'obbedienza con l'utilizzo di un taser.
Il suo corpo era crollato a terra come quello di una bambola di pezza. In un attimo lo avevano caricato sul furgone ed erano andati via.
Il Programma aveva preso il suo amico.
 
HAI AMICI O PARENTI CHE SI SONO SUICIDATI?
 
Non aveva più voglia di ridere dell'ironia di quella domanda.
Non era morto nessuno dei suoi più cari amici. Come potevano? Erano tutti sorvegliati a vista. Le finestre degli edifici scolastici e quelle delle case erano sigillate per evitare di farli buttare, attorno alle scuole e ai centri ricreativi era vietata la circolazione di veicoli, persino i pasti venivano serviti già tagliati e da mangiare rigorosamente con un cucchiaio di plastica.
 
NO
 
Mentire era la sola risposta giusta. Anche se ovviamente quella domanda non teneva conto di coloro che erano stati prelevati per essere curati. Tutti coloro che dimenticavano quasi completamente chi erano stati. Che erano come zombie non putrescenti.
Consegnò il suo modulo in silenzio cercando di non dare nell'occhio, sperando di aver mantenuto decentemente le apparenze.
 
Durante l'intervallo si precipitò nel magazzino della palestra. Nelle scuole era vietata l'attività agonistica perché creava stress quindi la loro splendida palestra era stata sprangata con dentro tutto il materiale sportivo.
Iwaizumi era lì, nella penombra ad aspettarlo.
Si abbracciarono stretti senza una parola. Tra loro non era necessario fingere.
Entrambi sapevano che la paura era normale, che i nervi erano così tesi che un nonnulla avrebbe potuto far saltare per aria la facciata che si erano costruiti con tanta cura.

-Hanno prelevato Kunimi.

La voce di Hagime era piatta, senza alcuna emozione.
Per Tooru era un mistero come facesse a chiudere fuori tutto, come potesse essere così refrattario.

-Era solo questione di tempo. Dopo che... Kindaichi...-

Gli si spezzò la voce.
Iwaizumi lo strinse più forte schiacciandogli il viso nel proprio collo per soffocare il suono dei singhiozzi silenziosi.
Pianse per qualche secondo prima di riuscire a riprendere il controllo.

-Scusa...

Il compagno lo guardò serio prima di asciugargli gli occhi coi pollici e sistemarlo in modo da camuffare il gonfiore del pianto già visibile sulla pelle candida di Oikawa.

-Devi mantenere il controllo. Una volta che inizi a piangere... non ti fermerai più.

Annuendo il più alto si schiarì la voce.

-Sei così forte Iwa-chan... io non so... dove sarei senza di te...

L'altro si limitò a stringerlo ancora una volta fino a fargli scricchiolare le ossa.
 
Quando finalmente fu ora di uscire si trovarono nel cortile. Matsukawa era così alto che era impossibile non vederlo e a fianco a lui... 
Il dolore arrivò in un attimo attanagliandogli il cuore. Stava cercando Hanamaki con i suoi capelli rosa fragola e l'espressione da finto duro.
Non ci sarebbe più stato per loro...  non li avrebbe più ricordati.
Questo faceva il programma.
Avvicinandosi notò l’espressione sul viso di Issei. Era seria, mortalmente seria e determinata.

Il silenzio era quasi palpabile e restò una cappa pesante tra loro fino all’arrivo di Iwaizumi.
Mentre si spostavano verso la fermata dell’autobus finalmente l’amico si decise a parlare e sganciò la bomba. L’ennesima:

-Hanno dimesso Hana… Lo ha visto Kyotani al… Centro Benessere…

Un lungo silenzio accolse le sue parole. Iwaizumi fu il primo a riprendersi e snocciolò una lunga serie di imprecazioni.
Tooru digerì la notizia più lentamente e si permise di parlare solo quando fu certo che la sua voce fosse salda.

-Vuoi andare a incontrarlo?

Per i primi tempi i Rientranti potevano avere contatti con il loro vecchio mondo solo nei Centri Benessere sotto la sorveglianza degli Istruttori. Anche la scuola che frequentavano era separata d quella normale e nelle classi prendevano posto anche  coloro che erano addetti a sorvegliare il loro ritorno alla quotidianità.
Ma nonostante tutta la pubblicità che facevano dei Centri Benessere, le scene che vi avevano luogo erano struggenti e deprimenti proprio perchè spesso non vi erano ricordi ne di legami ne di alcun sentimento.

Matsukawa non rispose subito, guardava davanti a sè come se l’aria immobile avesse potuto dargli una risposta.

-Non voglio andare al Centro Benessere. Devo…. devo parlargli da solo, devo vedere se si ricorda …  di me … di noi. Pensi che mi riconoscerà?

Con un nodo alla gola Oikawa si costrinse a sorridergli.

-Chissà, potrebbe anche riconoscerti. Non si sa mai.

Dallo sguardo dell’amico si rese conto che nessuna rassicurazione l’avrebbe davvero convinto. Perchè nessuno ricordava mai. Perchè non era mai successo. Il Programma non lasciava alcuno spaio all’errore.

-Se non vuoi incontrarlo al centro benessere… dove vorresti farlo? Sai bene che è vietato andare alla loro scuola, i Rientranti sono psicologicamente fragili e se ti vedessero lì verresti segnalato e prelevato nel giro di qualche ora.-

Iwaizumi come sempre aveva centrato il nocciolo della questione.

Matsukawa si fermò a metà di un passo stringendo i pugni.

-Se al posto di Hanamaki ci fosse Oikawa, non faresti qualsiasi cosa per assicurarti che si ricordi di te?

Oikawa vide come a rallentatore Iwaizumi bloccarsi e impallidire, aprire e chiudere la bocca più volte per poi non proferire parola.
La tensione era palpabile, Issei si era reso conto di cosa avesse detto mentre Hajime si rendeva pian piano conto di quanto profonda fosse la solitudine dell’amico.
Ed ecco che Tooru prese in mano la situazione.

-P-possiamo andare ad aspettarlo davanti alla sua nuova scuola…. si ehm… potremo sempre dire che è per una relazione… scolastica… no? Quante volte abbiamo dovuto scrivere idiozie sulla benedizione che è stata la creazione del Programma?-

Le sue parole parverò spazzare un pò della pesantezza.

-Potrebbe funzionare. Mi basterebbero… pochi minuti… sempre che mi riconosca…

Iwaizumi rimase in silenzio mentre si accordavano per il giorno successivo. Quando lasciarono Matsukawa sul vialetto di casa tra loro scese un silenzio inquieto.

-Sai quanto è pericoloso quello che hai proposto?

Il tono non era arrabbiato, era preoccupato, stanco forse.
Tooru gli prese la mano e ne strinse le dita forti tra le sue più pallide e delicate.

-So quanto sarà pericoloso, so anche che se non facciamo qualcosa per aiutarlo, quello scemo farebbe di testa sua e andrebbe da solo…. Non mi interrompere…

Iwaizumi stava per controbattere ma ubbidì controvoglia.

-Sai perchè so che lo farebbe lo stesso? Che rischierebbe con o senza di noi anche se volesse dire farsi segnalare sicuramente?

Prese fiato Oikawa, e quando pronunciò quelle parole gli sembrò di non averne mai pronunciate di più vere.

-Perchè se fossi al suo posto io lo avrei già fatto.

Era quasi buio ormai, nel giro di qualche minuto i lampioni avrebbero iniziato ad accendersi ma in quel momento, nel confine tra luce e tenebra, sul filo di quella lama grigia e incerta tutto smise di esistere.
Iwaizumi lo spintonò in una nicchia sul retro di due villette.
Lo spinse contro il muro con violenza e lo baciò con un amore e una dolcezza che sapevano di disperazione.
Le loro lingue danzarono accarezzandosi, rincorrendosi mentre i loro respiri troppo caldi si fondevano in piccole nuvolette nel freddo del crepuscolo di Febbraio.
Le loro mani avide cercavano la pelle sotto agli strati di vestiti mentre il corpo robusto e sodo di Hajime premeva contro quello del compagno sfregando nei punti giusti.
Troppo presto, col fiatone e gli occhi verdi ardenti di desiderio, si staccò da lui.

-Ti proteggerò. Staremo bene. Aiuteremo Matsukawa e poi sopravvivremo fino ai diciotto anni. Te lo prometto.


ANGOLO DI ONNANOKOKAWAII

Ed ecco questa prima fatica. Credo che diventerà una long fic ma se questo assaggio vi ha incuriosito.. vi prego, accompagnatemi in questo viaggio lungo e avventuroso! 
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** thanks a lot dear fiends ***


Il giorno seguente, usando una delle numerose giustificazioni che Hana era così bravo a falsificare, lasciarono la scuola alla seconda ora e si avviarono verso la scuola dei Rientranti.
Quando scesero dall’autobus Matsukawa era teso, si mordicchiava inquieto le unghie e non riusciva a stare fermo fuori dal cancello verde.
Era vietato aspettarli fuori dalla scuola quindi fecero attenzione ad appostarsi dietro alla pensilina dello scuolabus che i Rientranti prendevano per tornare a casa.

Iwaizumi era nervoso, sapeva che quello che stavano per fare avrebbe potuto essere l’inizio della rovina.
Se fossero stati beccati, se fossero stati visti, se Hanamaki non li avesse riconosciuti come era quasi certo che sarebbe successo.
Qualsiasi piega avesse preso la situazione ci sarebbero stati dei danni collaterali. Quale fosse il male minore ne lui ne Oikawa sapevano dirlo.
Il suono della campanella li spaventò a morte e li fece rannicchiare ancora di più dietro alla protezione dei pannelli color verde bosco della fermata.
Osservarono i cancelli aprirsi lentamente e gli Istruttori uscire per primi disponendosi in due file che dal portone conducevano fino a metà del cortile.
Solo quando furono tutti sistemati iniziarono a uscire i Rientranti. 
Erano numerosi i visi familiari che comparvero nel cortile, visi puliti, freschi, ragazze struccate, tutte coi capelli neri, tutte vestite con semplici camicette bianche e gonne verdi.
Il particolare più stupefacente era che tutte portavano la gonna appena sopra al ginocchio. Nessuna  minigonna, nessun orlo sbarazzino che oscillava mostrando candide cosce.
Tutte tenevano gli occhi bassi e i libri stretti al petto. Molte sciamarono attorno a loro senza vederli o fingendo di non vederli.
Poi finalmente uscì.
Hanamaki.

Stentarono a riconoscerlo senza la zazzera rosso  fragola. Teneva uno zaino nero sulle spalle, i capelli corvini e ben pettinati gli sfioravano le sopracciglia. Non guardava a terra, era uno dei pochi che camminando guardava dritto davanti a sè.
Oikawa solo guardandolo provò un dolore immenso. Iwaizumi gli strinse gentilmente il braccio e quel gesto gli impedì di andare in pezzi per l’ennesima volta.
Aveva la sensazione di essere come i vetri delle auto che anche se venati e spaccati in mille pezzettini erano tenuti insieme dalle pellicole. Lui era tenuto insieme dalla pelle e da Hajime.

-Che stai…? Cazzo!-

Si riscosse giusto in tempo per incontrare lo sguardo terrorizzato di Iwaizumi mentre Matsukawa con disinvoltura si avviava verso Hanamaki.

-Dovremmo andarcene.-

Il tono teso del suo unico alleato in quel mare di divise bianche e verdi lo agitò.
In un silenzio che era solo nella sua testa visto il sommesso vociare degli studenti osservò la confusione sul volto del nuovo Hanamaki, lo guardò scuotere la testa mentre Issei lo incalzava e infine vide il terrore e la confusione fiorire sul suo viso quando l’altro lo afferrò per le braccia.
A rallentatore lo vide liberarsi dalla presa e correre fino ad un secondo scuolabus.
Il vuoto nello sguardo di Matsukawa quando li raggiunse dietro alla pensilina raggelò i due amici fin nell’animo.
Ecco che le conseguenze iniziavano a mostrarsi.
 
 
Quella sera Tooru sgattaiolò fino a casa di Iwaizumi, dopo quel che era successo nel pomeriggio e lo stato in cui Issei era quando li aveva salutati, aveva fatto molta più fatica del solito a mantenere la sua facciata imperturbabile  a cena.
Aveva visto le occhiate preoccupate che sua madre gli aveva rivolto nei rari momenti in cui non raccontava di una giornata idilliaca  che non aveva mai vissuto raccontando anche di come avesse saputo che Hanamaki fosse finalmente tornato a scuola. Aveva sorriso quando il padre gli aveva suggerito di andare a trovarlo al Centro Benessere.

Appena possibile si era rintanato in camera sua con la scusa dei compiti ma la sua testa aveva continuato a girare a vuoto. Continuava a vedere la sconfitta negli occhi di Issei e il terrore in quelli del loro amico rovinato.
Aveva aspettato che i suoi genitori andassero a dormire per sgattaiolare fuori e ora stava aspettando fuori dal cono di luce del lampione che Hajime uscisse.
Si rilassò nel vedere la sua sagoma avvicinarsi.
Non dissero una parola.
Non dicevano mai niente in quelle occasioni sempre più frequenti. Non serviva.
Si abbracciarono e tenendosi per mano come avrebbero voluto fare anche alla luce del sole percorsero i tre isolati che li separavano dai giardini pubblici.

Avevano scoperto per caso che una delle cancellate era difettosa e pur essendo chiusa a chiave con uno strattone si apriva facilmente e quel regno incontaminato di prati, alberi e aiuole fiorite era diventato il loro rifugio notturno.
Entrarono il più silenziosamente possibile, la luce della strada che arrivava solo in parte all’interno filtrata dalle fronde delle alte betulle che costeggiavano la recinzione di ferro battuto.
Il silenzio, il profumo dell’erba e le stelle che iniziavano a intravedersi man mano che si addentravano nel buio del parco crearono la magia che permetteva di loro di calare la maschera.

Per quella che sembrò un’eternità rimasero semplicemente fermi in mezzo al sentiero in silenzio con le dita intrecciate.
Il tempo pareva essersi fermato.
Il respiro della notte li avvolgeva chiudendoli in una bolla solo loro.

-Pensi che si sia ammalato?

Non  serviva chiedere  a chi si stesse riferendo. Perche anche nella testa di Oikawa frullava  la stessa domanda.

- Non lo so. Immagino che sia stato un duro colpo per lui... E’ forte... ma lo sarà abbastanza?

Gli rispose un silenzio carico di dubbio e apprensione.
Dopo quella che parve un’eternità Iwaizumi rispose.

-Deve esserlo.

E poi smisero di pensare.
Percorsero i pochi passi che li separavano dall’erba soffice dell’aiuola centrale e si stesero sull’erba mentre le loro mani e le loro labbra stavano già iniziando a cercarsi.
Spensero il cervello rispondendo solo al bisogno che avevano l’uno dell’altro, stringendo tra le mani la pelle soda e i muscoli guizzanti, saggiando la morbidezza delle pelle  e il sapore che avevano sulle labbra.
Quando ansimanti tornarono presenti a se stessi erano più calmi, più determinati che mai a non permettere a nessuno di rubar loro quello che erano.
Quello che significavano l’uno per l’altro.
Contemplarono le stelle lontane nel cielo per una buona mezz’ora, controllando l’orologio per non rischiare  di rientrare troppo tardi a casa.
Le conseguenze sarebbero state catastrofiche.
Si scambiarono tanti piccoli baci mentre si rivestivano allontanando a suon di carezze e di piccole tenerezze l’inquietudine e la paura.
Stava per albeggiare quando i due si separarono davanti a casa di Hajime.

Quando poche ore dopo i due videro Matsukawa in cortile non seppero dire se stesse meglio o no. Aveva gli occhi pesti di chi ha pianto o non ha dormito per giocare tutta la notte a videogiochi per non parlare delle occhiaie bluastre e delle labbra screpolate che insieme ai capelli spettinati e ai vestiti del giorno prima rendevano il quadretto poco confortante.

-Heilà.

Persino la sua voce era rauca.

-Ti trovo maluccio Issei. Sai che rischi di essere notato in questo stato vero?

Il tono di Iwaizumi era teso e accusatorio, come se non si aspettasse una tale dimenticanza da parte dell’amico. Tooru, che forse era meno intransigente e più empatico con gentilezza gli sistemò i capelli passandovi le mani e spettinandoli ad arte, strattonò la camicia della divisa spiegazzata e quando vide che non c’era modo di stirarla si tolse il maglioncino di cotone e glielo fece indossare sopra alla camicia nonostante il freddo di quella mattina.
-Ecco fatto Mattsun, ora sei presentabile.

Con un pallido sorriso l’altro approfittò della campanella per dileguarsi nella folla.
Come ogni giorno, prima delle lezioni furono distribuiti agli studenti i questionari per l’autovalutazione.
La stranezza di quell’operazione di routine era che in quei momenti regnava il più totale silenzio in tutta la scuola.
Tutti sapevano quanto fossero importanti quelle due domande e le loro risposte.

TI SEI SENTITO TRISTE O DEPRESSO NELLE ULTIME VENTIQUATTRO ORE?

Come ogni giorno una risata fu sul punto di sfuggirgli dalle labbra. Depresso? Il solo sentire lo sguardo dell’Istruttore scivolargli sulla nuca lo mise in allarme mentre il riso gli moriva in gola.
Era la norma sentirsi depressi o frustrati alla loro età, ma nessuno lo avrebbe mai ammesso perché una simile frase avrebbe scatenato l’inferno.

NO

Con orrore passò alla domanda successiva.

HAI AMICI O PARENTI CHE SI SONO SUICIDATI?

Senza contare Kindaichi, lo conosceva poco per  definirlo davvero un amico nel senso stretto del termine, era stato abbastanza fortunato da non vedersi portare via nessuno dalla malattia in quel modo orrendo. Poi pensò ad Hanamaki, al suo sguardo vuoto, alla totale assenza di riconoscimento nel suo sguardo e decise che sì, un suo carissimo amico era morto, ma non suicida, era stato ucciso dalla cura.
Tutto quello che era stato prima di entrare nel Programma era stato spazzato via.

La voglia di scrivere che era stato il programma a uccidergli l’amico era forte ma con un supremo sforzo di volontà rispose ciò che volevano che rispondesse.

NO

Firmò il foglio, scrisse la data e sotto lo sguardo vigile dell’Istruttore andò a consegnare la propria fasulla autovalutazione.
Le ore proseguirono lente mentre il professore di letteratura spiegava con voce piatta e monotona un autore di cui non fregava nulla a nessuno. A uno sguardo attento, infatti, ogni studente era immerso in una profonda e personalissima meditazione sugli affari propri.
Oikawa riflettendo si chiese  a cosa servisse ormai la scuola. A pensarci, i professori non avevano più la possibilità di verificare le conoscenze degli studenti perché i test potevano provocare una quantità di stress tale da innescare la malattia; non si facevano più compiti in classe da un anno ormai, non si faceva più sport agonistico, non si facevano competizioni di nessun tipo ed erano stati banditi i festival scolastici.
L’attività didattica si era ridotta alla presenza in classe e alla speranza di non contrarre la malattia.

Quando all’ora di pranzo potè raggiungere Iwaizumi  nella mensa, Oikawa si rese conto che tutto il suo corpo iniziò a rilassarsi. Era una reazione potente e con un certo disagio notò quanto dipendesse dall’altro.
Nei momenti in cui era solo con se stesso, la tensione quasi gli sfilacciava i nervi; il dover sempre pensare a che faccia fare, a quale reazione fosse più adatta per questo o quell’avvenimento, restare concentrato per non fissare lo sguardo in qualche punto vuoto o a non lasciare mai cadere la conversazione con qualcuno rischiando di sembrare confuso o peggio ancora depresso.
Tutto questo lo sfiniva, lo consumava e solo nei rari momenti in cui poteva star solo con Hajime  si permetteva di essere se stesso.
Ma non lì, non nel bel mezzo della mensa, non sotto agli occhi di undici Istruttori attenti a scrutare ogni studente.

-Non hai una bella cera, stai bene?

Come  sempre era un libro aperto per lui. Aveva notato la piccola crepa nella sua espressione? Oppure aveva notato lo sguardo teso che per un attimo  non era riuscito a nascondere?

-Tutto bene Iwa-chan. Sono solo stanco.

La preoccupazione dell’altro non si dissolse. Doveva dire qualcosa per tranquillizzarlo o  quella sua espressione corrucciata avrebbe attirato l’attenzione.

-Quando ti vedo mi viene sempre da pensare che è un peccato non essere finito in classe con te e mi viene la malinconia.

L’altro lo fissò ancora per un momento, poi con un’occhiata penetrante finse di credergli e lasciò cadere l’argomento.

-Con tutti i morti  e i prelevati di questo periodo finiranno per accorpare le classi, magari saremo fortunati e finiremo insieme come l’anno scorso. Hai visto Matsukawa?

Con lo sguardo percorsero l’intero locale ampio e affollato. L’amico svettava sempre in mezzo alla folla e si allarmarono quando non videro alla prima occhiata la sua zazzera scura. Iniziarono a dissimulare l’ansia voltandosi con discrezione a cercarlo.
Il cuore in tumulto al pensiero che forse non riuscivano a trovarlo perché  era stato prelevato o peggio ancora  che si fosse suicidato.

-Eccolo.

Con calma studiata Iwaizumi lo prese per mano e lo guidò fino all’angolo più isolato della sala mensa dove Issei  stava seduto da solo con lo sguardo perso fuori dalla finestra sigillata.

-Ma che cattivo Mattsun! Non ti trovavamo!

Il tono più giocoso possibile non bastò a cancellare l’accusa nella voce di Oikawa che per alleggerire lo scambio aggiunse una linguaccia a beneficio degli Istruttori che stavano osservando con particolare interesse l’amico. Questo strappò al moro un mezzo sorrisino di scherno.

-Perché dovete andare a fare un controllino alla vista mi sa. Diventerete due talpe di questo passo.

Non era proprio una battuta arguta ma era sempre meglio del mutismo che avevano temuto.

-Sei sempre così simpatico Mattsun...

Con uno scappellotto  ben assestato Iwaizumi si sedette senza tante cerimonie seguito a ruota da Oikawa che con la coda dell’occhio vide gli Istruttori cambiare bersaglio.

-Stavamo pensando di andare al campo dopo. Alla seconda ora del pomeriggio avrei psicologia ma non ne ho per niente voglia di ripassare ancora la storia di come è nato il cazzo di Programma.  Iwaizumi ha ancora il blocchetto con le giustificazioni che Hana... aveva compilato...

Bastò il riferimento all’amico per far adombrare Matsukawa che nonostante tutto fece del suo meglio per mantenere un’espressione rilassata.
Hana mancava a tutti ma a lui in particolare. E come non capire? Tooru sapeva, se lo sentiva fin nelle ossa che non sarebbe riuscito a sopravvivere senza Hajime. Non ce l’avrebbe mai fatta.
Per un momento pensò allo sforzo che stava facendo l’amico per non cedere alla disperazione.
Si concentrò sull’eredità che Hana aveva inconsapevolmente lasciato dietro di sé: un blocco di giustificazioni per l’uscita anticipata con firme e permessi falsificati ad arte.
Ne avevano già usate molte e nessuno aveva mai messo in dubbio la validità di uscite giustificate per una visita psicologica o per andare al Centro Benessere.

-Certo, alla seconda ora giusto?

I due annuirono prima di compilare con discrezione i tagliandi con le giustificazioni  e dividerseli.
Tutto filò liscio.
Quando tutti e tre furono finalmente fuori dall’edificio scolastico sospirarono di sollievo.
Era un ambiente opprimente o stressante oltre ogni dire. 
Per non destare sospetti nei passanti usarono le solite scorciatoie e stradine secondarie, talvolta passavano direttamente in mezzo ai boschetti della periferia.
Quando finalmente giunsero al campetto di pallavolo all’aperto sul viso sudato dei ragazzi fiorì un sorriso.

Il campetto era abbandonato da anni e le erbacce lo avevano quasi del tutto ricoperto ma dal giorno in cui lo avevano scoperto si erano dati da fare per rimetterlo in sesto quel tanto che bastava a giocare in sicurezza.
Trascorsero così alcune ore, saltando, schiacciando, servendo e salvando in improbabili partitelle uno contro uno.
Quando il sole iniziò la sua lenta discesa dietro alle colline Issei, rosso in viso e bagnato di sudore salutò gli altri due e, con il morale decisamente più alto, si incamminò verso casa.
Hajime e Tooru giocarono ancora e ancora fino a quando il fiatone e le gambe molli non  li ridussero all’impotenza. Si sdraiarono sotto a un grande albero poco lontano ansimanti e rilassati.

-E’ stata una buona idea. Venire.

Iwaizumi pensava sempre al bene di tutti anche se spesso sembrava il più freddo e distaccato. Era solo il suo modo di essere a renderlo all’apparenza egoista  e insensibile.
Lui non dimenticava nessuno. Ecco perché sul suo avambraccio spiccavano i nomi di Kindaichi, Kunimi, Kyotani e Hana tatuati in caratteri semplici, puliti, come una lista della spesa.
La spesa della morte o dell'oblio.

-Ne avevamo bisogno tutti. Matsukawa in primis ma anche noi.  Almeno non hai più in faccia quell’espressione idiota che ti viene quando sei a un passo da una crisi di nervi.

Ridendo Tooru gli diede una gomitata.

-Non tutti abbiamo i nervi saldi come i tuoi Iwa-chan.

Per la prima volta da molti giorni si avviarono verso casa con il cuore un po’ più leggero. Stancarsi, correre, mettersi alla prova aveva dato sfogo alla frustrazione alla paura, all’incertezza e al dolore della perdita.
Camminavano fianco a fianco con le nocche che spesso si sfioravano in lievi carezze. Non avevano mai osato rendere di dominio pubblico ciò che provavano l’uno per l’altro, sarebbe stato pericoloso, imprudente e avrebbe attirato fin troppo l’attenzione.
Avevano percorso quasi metà della strada che separava il campetto da casa di Iwaizumi quando il cellulare di Oikawa si mise a suonare.
Vedendo sul display il nome di Mattsun  il moro rispose senza esitare.

-Mattsun! Siamo a tre isolati da casa tua, come mai questa chiamata?

Prima che l’amico rispondesse giunse all’orecchio di Tooru un sinistro rumore di colpi.

-Sono andato a casa di Hana. E’... è scoppiato un casino... sono arrivati i suoi genitori e mi hanno segnalato...

Per poco il telefono non gli cadde di mano mentre metteva il vivavoce e strillava in risposta:

-Oddio! Dove sei?  Sei sicuro che ti abbiano segnalato? Perché sei andato da Hanamaki? Non ti è bastato ieri?

Parole vuote. Sapeva che se fosse stato nei suoi panni non sarebbe bastato mai.

-Sono a casa... io... stanno arrivando. Ma non mi prenderanno...

Un brivido percorse i due amici.

-Mattsun... cosa hai fatto?

Non avevano bisogno di una risposta vera... Lo sapevano... Tutti  sapevano come procurarsi quel veleno spacciato attorno alle scuole da tipi senza scrupoli che avevano deciso di arricchirsi sfruttando l’epidemia di suicidi.

-Ho preso il Qick Death. Non mi avranno mai.

Le sue parole caddero come sassi mentre loro iniziarono a correre verso casa sua con tutta la forza che avevano nelle gambe già affaticate.

-Stiamo arrivando! Non muoverti!

Dal ricevitore poterono sentire la sirena che si avvicinava  e altri colpi alla porta accompagnati da grida. Il tutto però fu coperto da violenti e rapidi colpi di tosse.

-Vi ho chiamati per ringraziarvi... di essere stati miei amici, di avermi protetto, di avermi regalato degli anni bellissimi e spensierati...

Altri colpi di tosse e botte contro quella che doveva essere la porta della sua camera.

-Sono felice di avervi... sentiti... ancora una volta... e... loro non mi avranno mai...

Un’altra serie di colpi di tosse talmente violenti da spezzare il cuore, un tonfo e la linea cadde.

Corsero a perdifiato mentre le lacrime rigavano loro le guance. Si fermarono poco lontano dal cortile della villetta di Issei ingombro di auto e da un’ambulanza. Ma tutto era fermo, immobile come il corpo massiccio che proprio in quel momento fu trasportato sopra ad una barella coperto da un telo bianco.
Il pianto della signora Matsukawa ruppe la magia di quella macabra passerella. La videro correre fuori di casa dietro alla lettiga, sollevare appena il lenzuolo per poi crollare a terra senza con il volto tra le mani.

Come in un sogno guardarono attraverso il velo delle lacrime che inondavano i loro visi le auto partire dal cortile seguite dall’ambulanza a sirene spente.
Quando i veicoli sparirono dietro l’angolo Iwaizumi al suo fianco fu percosso da un violento brivido prima di iniziare a correre come un pazzo.

ANGOLO DI ONNANOKOKAWAII

ed eccoci alla fine del secondo faticoso capitolo di questa fic che sta diventndo sempre più cupa e depressa. 
Mi sono ispirata alla trama generale di un libro intitolato THE PROGRAM,  un volume con grandi potenzialità se fosse stato scritto in modo meno impersonale.

Spero continuerete a seguire l avventure che sto preparando per Oikawa & friends anche se ormai di "friends" ne resta solo uno...

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Capitolo 3
*** Broken memories ***


In un momento sparì alla vista e Tooru impiegò qualche secondo di troppo a capire cosa stesse succedendo.
Prese a correre nella stessa direzione presa dall’amico. Si guardò attorno nella speranza di scorgerlo ma di lui non pareva esserci traccia.
Si fermò in mezzo alla strada incerto su dove andare, prese un bel respiro e decise di riflettere: dove poteva essere scappato Hajime? Non aveva mai avuto una reazione simile, non aveva mai dato alcun segno di cedimento, nonostante lo stress e la preoccupazione fossero cresciuti molto negli ultimi mesi.
In quella direzione, pensò, c’era casa sua. Magari era tornato lì.

Camminò di buon passo e nel giro di pochi minuti si trovò davanti la porta aperta della villetta a due piani che tanto gli era familiare.
Col cuore che batteva a mille entrò e volò su per le scale fino alla porta della stanza di Hajime. Con cautela aprì e la scena che gli si parò di fronte lo raggelò.

Iwaizumi era in piedi, al centro della stanza ordinata e brandiva un coltellino insanguinato.
Il liquido denso e rosso vivo gli gocciolava sulla mano e, notò in un secondo momento, colava copioso anche dall’altro braccio.
Senza alcuna espressione l’amico, sollevò l’arto disarmato e gli mostrò l’avambraccio.

Con orrore Tooru capì.

Sotto i nomi tatuati dei loro amici compariva, inciso con tagli slabbrati, il nome di Issei Matsukawa.

-Iwa-chan... cos'hai fatto...-

Non aveva nemmeno la prontezza di spirito di arrabbiarsi per un tale colpo di testa. Era sotto shock per la morte dell’amico e l’insensibilità aveva iniziato a farsi spazio tra i suoi sentimenti come per proteggerlo.

- Non volevo... aspettare il tatuatore. Non volevo aspettare nemmeno un secondo.-

Riscuotendosi Oikawa  prese in mano la situazione, cercando di ignorare il tono fragile e flebile del compagno; corse in bagno, prese disinfettante e compresse di garza fino a svuotare per metà l’armadietto dei medicinali.
Fece sedere Hajime che come un automa eseguiva le sue indicazioni con sguardo vacuo.

Mentre gli medicava i tagli irregolari e profondi la certezza che la sua metà non fosse più in sè gli si radicò nelle ossa.
E quello poteva voler dire solo una cosa: si era ammalato.

Nonostante la stanchezza e la mancanza di sonno si prodigò fino a tardi per prendersi cura dell’amore della sua breve e travagliata vita. Se non era lui a parlare il tempo trascorreva nel più completo silenzio. Le uniche frasi che erano uscite in un soffio dalle labbra sottili di Iwaizumi erano semplici constatazioni su come la loro vita stesse andando a rotoli.
All’arrivo del padre di Hajime, Tooru si era sforzato di fare casino per due in modo che dal suo studio non si insospettisse per il silenzio.
Aveva ordinato due pizze d'asporto per non dover scendere a cena, si era prodigato a costringere l’altro a mangiarne almeno metà e alla fine, stremato, Oikawa aveva messo a letto l’involucro vuoto che era diventato il suo amore, prima di fiondarsi a casa.

Mentre camminava  a passo svelto nell’ombra cercò di razionalizzare il tumulto che sentiva agitarsi nel petto.
Come poteva Iwaizumi essere andato in pezzi così di colpo? Era davvero successo tutto così in fretta oppure non aveva notato i segni? Era davvero morto Issei?
Una folgorazione lo congelò a metà di un passo.

Tutto quello che lui stesso era stato fino a quel momento stava scomparendo. Stava morendo insieme alla mente di Hajime.
Hanamaki... Matsukawa... ora Lui... Cosa sarebbe di rimasto dell'infanza di Oikawa se nessuno avesse ricordato di averla vissuta con lui?
Che fine avrebbe fatto lui se tutto il suo mondo fosse andato avanti senza ricordarlo? Senza sapere dell’affetto che li legava a lui?

Un brivido di freddo lo scosse. Il motivo non era l’aria notturna ancora fredda, quanto il gelo dentro al petto che sembrava volergli inghiottire le viscere in un doloroso abbraccio senza fine.

Prese un bel respiro e con le gambe tremanti proseguì fino a casa sgattaiolando in camera senza svegliare i suoi genitori.
Sfinito si infilò a letto vestito, riflettendo sul da farsi e deciso a tentare di salvare il suo unico amore: l’unica ancora di salvezza che avesse mai avuto, ora aveva bisogno di lui.
E lui non si sarebbe tirato indietro.
Già... quelle erano le intenzioni, ma si rendeva conto che sarebbe stato difficile riuscire nel suo intento prima che qualcuno segnalasse Hajime.
Si addormentò promettendo a se stesso che avrebbe tentato ogni cosa per riaverlo con sé.
I suoi piani erano chiari e sarebbe andato fino in fondo, questo di ripeteva mentre a passo svelto Tooru si recava a casa del suo ragazzo il mattino seguente per scortarlo a scuola.

Quello che proprio non aveva calcolato era di non avere nemmeno una notte di tempo per salvarlo.

Nel cortile ben curato di casa Iwaizumi le auto bianche degli istruttori erano allineate con cura come se avessero avuto il tempo di parcheggiarle bene invece di balzare  giù per catturare il malcapitato che era stato segnalato.
Il suo cuore perse un battito mentre si fermava dall’altro lato della strada. Gli girava la testa e un conato lo costrinse a piegarsi di avanti non appena vide un istruttore sulla porta spostare quasi di peso il padre del suo amico che cercava spiegazioni ancora con la vestaglia sopra al pigiama azzurro.

Lo sapeva. Hajime si era segnalato da solo.
Come in trance, con la pelle formicolante e gli occhi stranamente sabbiosi guardò una scena molto diversa da quella del giorno prima. Il suo amore uscì dalla porta camminando con calma, l’espressione svuotata di ogni emozione, le occhiaie profonde di chi non ha dormito. Si lasciò accompagnare ad una delle vetture e si accomodò all’interno senza protestare, anzi... era gratitudine quella che Tooru aveva affiorare sul suo viso?

Voleva andare là e fermarlo. Voleva riavvolgere il nastro e tornare alla sera prima, salvarlo quando ancora si illudeva di poter fare qualcosa, di avere più tempo.
Le auto fecero retromarcia e silenziosamente si immisero sulla strada principale portando via quel che restava della sua vita.

Come uno zombie arrivò a scuola giusto in tempo per completare il solito questionario.
Mise le “X” in automatico, senza nemmeno pensare all’ironia delle sue risposte e in poco meno di un minuto lo consegnò all’insegnante  che lo guardò stupito. Fece per tornare al suo posto quando uno degli Istruttori fece capolino dalla porta e chiese di lui.
Col cuore stranamente calmo  e una certa calda rassegnazione seguì l’uomo alto e smilzo fino alla sua scrivania in corridoio, postazione da cui scrutava ogni studente con occhio critico da avvoltoio.

-Tooru, come ti senti?-

Che domanda stupida.

-Bene, ho una salute di ferro.-

Lo vede irrigidirsi appena.

-Parlavo emotivamente. Visti gli eventi degli ultimi giorni non sarebbe strano se ti sentissi... depresso o triste. In fondo Matsukawa era uno dei tuoi migliori amici no? Da quanto vi conoscevate? Dieci anni? Dodici? Che stupido a uccidersi così quando ormai anche i muri ormai sanno che c’è una cura...-

Man mano che parlava la sua voce assumeva un tono di sufficienza che fece andare il sangue alla testa di Oikawa. Cercando di mantenere il controllo di sé si mise le mani in grembo per non far vedere quanto tremavano.

-Non ci eravamo nemmeno accorti che stesse male, è stata una sorpresa. Poi.... sappiamo cosa è successo.-

Sotto il suo sguardo calmo l’Istruttore sembrava a disagio.

-Non sembri così dispiaciuto per la sua morte. Ma in fondo è in questi casi che si vede la profondità di un legame.-

Ancora una volta Oikawa rimase passivo di fronte a quelle insinuazioni offensive. Sapeva  di essere sotto esame.

-E di Hajime Iwaizumi? Della sua decisione di auto segnalarsi che mi dici? Tu ne sapevi nulla?-

Gli occhi indagatori dell’uomo non lasciavano i suoi, alla ricerca di un guizzo che non trovarono. Nonostante dentro stesse ardendo di una rabbia così esplosiva da lasciargli in bocca il sapore del sangue, dalla sua espressione non trapelò nulla.

-Credo sia successo a causa del gesto di Matsukawa. Siamo arrivati mentre lo prelevavano e senza dire nulla Hajime è corso via. Sono andato a casa sua ma non mi sembrava strano, a parte una naturale tristezza per la morte di un carissimo amico. Abbiamo mangiato una pizza, giocato ai videogame e poi sono tornato a casa a dormire.-

Ancora una volta lo vide digrignare i denti davanti a una reazione tanto tiepida da parte sua.

-Capisco. Bene, Per ora puoi andare Tooru, ma stai tranquillo, in questo momento difficile avrò un occhio di riguardo per te.-

Senza fidarsi a parlare Oikawa annuì, e con un profondo inchino si congedò e tornò in classe dove tutti lo osservarono sorpresi del suo ritorno.
Si sedette al proprio posto e guardò fuori dalla finestra.
Il fuoco dentro di lui non accennava a spegnersi.
E come poteva?
Quell’uomo aveva gettato benzina  su un rogo già acceso. Era ovvio che le fiamme divampassero con quella violenza. 

Nonostante tutto si stupì della freddezza con cui aveva mantenuto il controllo, della disciplina ferrea con cui aveva gestito le proprie espressioni, le proprie parole e  gesti. Forse poteva farcela. Doveva resistere fino all’intervallo.

Quando finalmente suonò la campanella si alzò con calma e con passo languido si avviò verso  la palestra, il suo luogo segreto. Il luogo dove lui e Iwaizumi amavano incontrarsi per rilassarsi, per scambiarsi qualche bacio e ricordarsi vicendevolmente che il mondo non era tutto buio e paura. Era anche calore e amore.

Mancavano pochi mesi alla maggiore età. Ce l’avevano quasi fatta... Poi tutto era andato in pezzi sgretolandosi come una lastra di ghiaccio troppo sottile.
Attraverso quella lastra avevano visto la libertà senza il rischio della malattia e quel miraggio li aveva illusi.

Rimase per tutti i dieci minuti della pausa appoggiato al muro, nella penombra immerso nei ricordi per calmarsi.
Quando tornò in classe era quasi tranquillo. Aveva chiuso a chiave nel suo cuore la pena per i suoi amici e quella porta sarebbe rimasta serrata fino al momento opportuno.

Ogni suo spostamento era osservato da vicino, sentiva lo sguardo rapace dell’istruttore addosso come una viscida carezza. Lo stava sfidando in attesa di un passo falso, ma non ne avrebbe fatti.
Quel giorno tornò a casa a piedi, si cambiò e andò al campetto.

Gli fu incredibilmente difficile percorrere quella strada in solitudine.
Non era mai successo.

Erano sempre stati quattro, sempre loro quattro. Poi le loro vite erano precipitate in quell’inferno e Hana era stato il primo a cedere. Fare il percorso abituale senza di lui aveva scalfito un graffio nel loro cuore ma si erano fatti forza a vicenda. Non avevano fatto in tempo a riprendersi che nel giro di dodici ore anche Mattsun e Hajime...
Non ce la fece.  Si sedette si una pietra tra le sterpaglie e si rannicchiò abbracciandosi stretto per paura di finire in pezzi da un momento all’altro. Non pianse. Per quanto fosse una zona poco frequentata non era sicuro lasciarsi andare lì. Con un altro grande sforzo si rimise in piedi e raggiunse correndo il campetto.
L’ora che trascorse lì fu intensa. Cercò di sfinire il proprio corpo per anestetizzarlo quel tanto che gli serviva a non sentire il dolore sordo al petto.

Fu un figlio modello quella sera. Conversò coi suoi genitori mescolando alla perfezione malinconia per la morte dei suoi amici e falsa irritazione per lo stupido suicidio di Issei. Non poteva certo dire che lo considerava un eroe.  Sparecchiò e lavò i piatti, poi si ritirò con la scusa dei compiti.

Rimase seduto sul letto per ore e ore guardando le foto che lo ritraevano sorridente coi suoi amici più cari.
La tristezza che gli attanagliava il cuore era così gelida e violenta da fargli credere di essere sul punto di ammalarsi, così per la prima volta si trovò a riflettere su se stesso e su cosa avrebbe fatto se si fosse ammalato.

“Non  me ne fregherà nulla di nulla quando mi ammalerò ma... vorrei davvero perdere ogni cosa? Quello che fa male? Quello che è stato bello? Tutto ciò che era prezioso? Vorrei davvero dimenticarmi di Hajime?”
Il solo pensiero lo scombussolò al punto da costringerlo a prendersi a schiaffi per rinsavire e dirsi che non stava succedendo.
Ma doveva correre ai ripari. Potevano prenderlo se si fosse ammalato. Ma lui avrebbe lottato. Avrebbe lottato fino alla morte. Ma in caso qualcosa fosse andato storto doveva assicurarsi che qualcosa della sua vecchia vita sopravvivesse.

Raccolse quelle foto e dietro ognuna scrisse i nomi dei suoi amici, qualche considerazione e parecchie ovvietà ma che, immaginava, per uno senza ricordi sarebbero state importanti informazioni. Scrisse su una pagina di quaderno tutto quello che gli passava per la testa di bello su di loro sulla loro infanzia, sulla loro amicizia. Descrisse per sommi capi qualche episodio particolarmente felice. Infine, staccato da  tutto il resto scrisse tre parole che riassumevano tutto ciò che erano e avrebbero voluto essere.
Quel piccolo tesoro andava nascosto per bene. Sapeva che i Rientranti una volta  tornati a casa non trovavano foto nè alcuna testimonianza del passato. Quindi doveva nascondere tutto in un posto che nessuno avrebbe mai pensato esistere.

Saltò giù dal letto e rivoltò il materasso e con una forbice aprì un piccolo spazio nell’imbottitura dentro cui ripose, arrotolandolo, il suo più grande tesoro.
Rimise tutto a posto, ma il suo cuore non voleva smettere di martellare e straziarsi per la solitudine. Ormai era notte fonda e la camera buia gli dava la sensazione di serrarglisi addosso, così afferrò la giacca e sgattaiolò fuori, come faceva da tempo immemore per vedere i suoi amici... per vedere Iwaizumi.

Aveva intenzione di fare una passeggiata ma i suoi piedi lo portarono fino ai giardini, i loro giardini. Sgattaiolò oltre il cancello trovandosi immerso nella magia del parco di notte e lì... vedendo il loro prato, i sentieri che avevano percorso a piedi tenendosi teneramente per mano senza vergogna... il suo pianto esplose.

Singhiozzò senza freni col petto dolente mentre calde lacrime gli inondavano il viso. Chiamò il suo nome, i loro nomi mille e mille volte correndo, poi fermandosi e abbracciandosi, rintanandosi ai piedi della quercia antica che era stata il loro nido. Pianse così tanto che non gli restarono più lacrime e continuò a singhiozzare in respiri raschianti e dolorosi che sembravano volerlo dilaniare dall’interno.
Chiamava il suo nome ancora e ancora, instancabile; alla fine non era più che un sussurro e quando la voce gli venne meno continuò a chiamarlo muto finchè non perse i sensi.

ANGOLO DI ONNANOKOKAWAII

Ora siamo arrivati al vero punto di inizio. tooru è solo, abbandonato in un mondo che sembre non avere più un posto per lui. Cosa farà? Cederà alla malattia? Resisterà in attesa di Iwaizumi?

Ai posteri l'ardia sentenza... no scherzo XD Continuate a seguire questa triste discesa all'inferno e scopriremo insieme se dopo questa prova così difficile ci sarà tempo per un sorriso!
A presto!


 

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Capitolo 4
*** Memories are gone ***


 
I giorni trascorrevano lenti e monotoni. Oikawa cercava di mantenere un profilo basso, di non lasciare mai trapelare la sua profonda tristezza, il senso di vuoto che sentiva nel petto.
Alla lunga il continuo fingere lo stava logorando. A scuola, sotto lo sguardo sempre attento e vigile dell’Istruttore, a casa sotto gli sguardo ansiosi dei suoi genitori da quando avevano saputo anche di Iwaizumi si era ammalato.

Tooru non poteva abbassare la guardia.

Si trascinò per quasi un mese, a scuola si sforzava di socializzare, di ridere alle battute insignificanti e di sopportare la compagnia di alcuni compagni di classe.
A casa cercava di intavolare e pilotare le conversazioni serali lontano da se stesso, sempre lontano da sé stesso come se inconsciamente avesse deciso di abbandonare la nave della sua mente che affondava nell’abisso in balia del dolore.
Si ritirava a studiare presto e aspettava  che i suoi dormissero per fuggire da quella che non sentiva casa sua perché nemmeno lì era al sicuro.
Nessuno era al sicuro dal programma.

Scappava nel parco, andava  a nascondersi tra le radici della vecchia quercia o si  sdraiava sul prato a guardare le stelle ripetendosi che non tutto era perduto, che Hajime non era morto e che avrebbe avuto la possibilità di farlo innamorare ancora, di averlo ancora... di poterlo amare ancora.
Tornava a casa stanco poco prima che iniziasse ad albeggiare per prendere parte alla replica di uno spettacolo messo in onda troppe volte di cui sapeva ormai a memoria il copione.

Vestiti.

Scendi in cucina e mangia.

Sorridi.

Cammina.

Sorridi.

In classe compilava il questionario, ma anche se ormai era passato del tempo era terribilmente doloroso rispondere a quelle domande.

Ricomponiti.

Rilassati.

TI SEI SENTITO TRISTE O DEPRESSO NELLE ULTIME VENTIQUATTRO ORE?

Era doveroso rispondere che no, non poteva essere più felice eppure più di una volta gli era tremata la mano mentre tracciava una X su quella bugia.

HAI AMICI O PARENTI CHE SI SONO SUICIDATI?

Ed ecco il vero scoglio. Ogni mattina, ogni dannata giornata iniziava con quella domanda che volente o nolente gli riportava alla mente il corpo di Issei sotto quel telo bianco, il pianto straziato di sua madre, l’inizio della fine di tutto. No. Tutto era iniziato con Hana.

Respira.

Rilassa le spalle.

Con  la mano salda come quella di un chirurgo Tooru barrò il SI.

Posa la penna.

Vai a consegnare.

Ormai la sua esisteva era uno scandirsi di freddi comandi, di azioni pilotate.
Quante volte aveva sorriso perché sapeva di doverlo fare?
In quante occasioni aveva partecipato alle conversazioni anche se non gli interessavano?
Ogni minuto.
Di ogni ora.
Di ogni giorno.
Stava uscendo da scuola con un gruppo di compagni quando l’istruttore che lo aveva preso in “simpatia” gli si avvicinò.

-Tooru, ti trovo bene. Sei un ragazzo incredibilmente forte.

La voce melliflua e viscida gli scorreva sulla pelle con fare suadente alla ricerca di una breccia.
Sorridi.

-Me la cavo piuttosto bene come vede.

La cordialità sparì dal tono dell’uomo.

-Ti consiglio di fare un salto al Centro Benessere, ho visto dalla tua cartella che  sono diverse settimane che non ci vai.

Hanamaki  è quasi sempre lì negli orari extrascolastici.

Respira.

Rilassati.

Sorridi.

-Credo abbia ragione... anzi, è un’ottima idea, credo che domani andrò a trovarlo.

Voltati lentamente.

Cammina.

Una mano grande  calò sulla sua spalla con decisione.

-Sono occhiaie quelle che vedo Tooru? Se hai qualche tipo di problema a dormire puoi parlarmene. Sai che io posso aiutarti. Il
Programma può aiutarti.

Sorridi.

-La ringrazio, terrò a mente la sua generosità per quando ne avrò bisogno.

Si voltò e sforzandosi di mantenere un passo rilassato si allontanò.
Mentre camminava verso casa nella silenziosa solitudine che accompagnava ogni suo spostamento riflettè sulle parole dell’Istruttore. Non era mai andato a trovare Hanamaki.
Era stato uno dei suoi migliori amici e nonostante questo non aveva mai sentito il bisogno di rivederlo.
Sapeva perché.
Anche se non era razionale, anche se non era giusto, anche se Hana era una vittima... non poteva non incolparlo per la morte di Matsukawa.

Un brivido lo percorse.

Sapeva che non era volontario, che l’amico di sicuro era rimasto sorpreso e che era scappato spaventato perché realmente non ricordava ma nella sua mente, tra i mille pensieri che gli vorticavano in testa, c’era una scintilla di speranza: la speranza che i ricordi e gli affetti più cari rimanessero nel cuore anche di coloro che passavano attraverso il Programma.
Mentre entrava in camera sua in silenzio, godendo della prospettiva di quasi tre ore in solitudine senza la pressione  di dover fingere costantemente un buonumore e una felicità che non provava, quasi sorrise.
Occupò tutto il tempo a pensare, a ricordare come avrebbe riempito quel tempo morto se non fosse rimasto solo.

Dopo una lunga meditazione sui pro e sui contro, sulla possibilità di scoprirsi troppo e sulla necessità di ritrovare qualche frammento di sé, decise che il giorno dopo sarebbe andato al Centro Benessere.
Voleva risposte.
Voleva conferme.
Voleva Speranza.
E fu così che la mattina seguente si alzò con il cuore più leggero.
L’idea di avere un impegno, o forse solamente la prospettiva di avere una possibilità di ricostruire una parte di quel che credeva distrutto e perduto per sempre lo avevano riportato ad uno stato mentale quasi stabile.
Si rese conto che il sorriso fatto a sua madre uscendo era stato sincero, che non gli fu così fastidioso accodarsi a un gruppo di compagni per andare a scuola e nemmeno lo fu partecipare alla conversazione.

Il momento del questionario  fu penoso come ogni giorno.
Ogni volta che rispondeva alla seconda domanda la sua mente gli riproponeva la triste scena dell’ultimo viaggio di Issei sotto al lenzuolo immacolato mentre la mano nell’abbandono della morte faceva capolino dalla coltre penzolando inerte.
Alla seconda ora, come aveva pianificato si fece fare la richiesta per una giustificazione in modo da avere la documentazione necessaria per andare al Centro Benessere con il benestare della scuola.
Quando un’ora dopo uscì dall’aula per dirigersi alla fermata dell’autobus, l’istruttore lo scrutò in silenzio con uno sguardo carico di ingordigia tenuta a freno a stento.

“Non avrai la soddisfazione. Guardami pure quanto vuoi. Guarda quanto ti fotto...”
Sorridendo appena Tooru si diresse verso la fermata cercando di mantenere la calma mentre il momento di vedere Hanamaki si avvicinava.

Il centro Benessere era una struttura moderna, sembrava quasi un bar molto grande, con tavolini e divanetti all’aperto o in discreti separè, le pareti tinteggiate di un tenue e fresco color acquamarina che ben si intonava al tono più intenso delle piastrelle. L’atmosfera era sempre gioiosa; il brusio delle chiacchiere cullato da melodie allegre e tintinnanti.
Era lì che i Rientranti potevano avere i loro primi contatti con il mondo esterno alla famiglia dopo la cura nel Programma.
Erano facilmente distinguibili coloro che erano freschi di cura; impossibile non notare le spalle rigide e l’espressione di chi sorride per non sembrare strano.
Nei loro occhi l’ombra della paura e della confusione offuscava lo scintillio della risata.

Come facevano tutti a non vedere quanta tristezza e crudeltà c’erano nel “reintegrare” qualcuno in una realtà che era stato costretto a lasciare e a dimenticare?
Come poteva essere una risposta?
Dopo qualche momento passato ad esaminare la folla in cerca della zazzera color fragola del vecchio amico Oikawa ricordò che anche quel particolare non esisteva più.
Si concentrò così a cercare i tratti spigolosi  tra le tante facce che lo circondavano. Stava quasi per andare a chiedere alla reception quando udì una risata inconfondibile.

Un suono scampanellante, gioioso e contagioso.
Quella risata... quanto tempo era passato dall’ultima volta? Non ricordava, quindi doveva essere decisamente troppo.
Seguendo il suono si trovò a incrociare un paio di occhi brillanti di ironia, appena velati di agitazione su un viso decisamente familiare. Con la sensazione del sorriso sulle labbra Tooru si avviò verso il vecchio amico.
Forse fu l’euforia, forse fu la felicità contagiosa della sua risata ma l’irruenza con cui si avvicinò tramutò l’espressione gioiosa di Hanamaki in una maschera rigida di terrore a stento trattenuto.
Si arrestò di colpo a qualche passo da lui. Le chiacchiere al suo tavolo si interruppero e tre paia di occhi sconosciuti si piantarono insistentemente su di lui.

-Io... ero... un suo caro amico... volevo solo...

Voleva solo cosa?
Vederlo?
Parlargli?
La calma e poi una lieve ironia venarono lo sguardo del Rientrante.

-Quindi ci conoscevamo?

Con cautela l’alzatore annuì.

-Noi... ci conoscevamo... eravamo amici sin da piccoli... Abbiamo sempre giocato a pallavolo insieme... io te  e...

Gli si ruppe la voce.

-E chi?

Il tono sinceramente curioso e gentile di Hanamaki lo riprotrasse al presente.

-E altri amici. Ma adesso non importa.

Si riscosse.

-Come... come stai?

Cavolo. Era lì, davanti ad un amico eppure si comportava come un perfetto estraneo nonostante quello non lo stesse guardando con lo stesso terrore con cui aveva guardato Issei.

-Sto bene, ora sono meno spaesato, mi sono fatto degli amici e anche a scuola sono un pò più a mio agio, sai com’è... quando hai la memoria a buchi... rattopparla è dannatamente difficile.  Adesso ho Akira che mi aiuta e mi sostiene...

Un movimento attirò lo sguardo di Tooru: la pallida mano di Hana cercò e strinse una grande mano.
Quella zampa olivastra apparteneva ad un ragazzo moro che anche da seduto era robusto e imponente come un toro. Una zazzera nera e due occhi indolenti che lo scrutavano guardinghi appartenevano al gigante che con un sardonico sorriso sulle labbra gli rivolse un cenno del capo senza parlare.
L’aspetto, la stazza, lo sguardo... tutto in quello sconosciuto gridava Issei Matsukawa. Tutto mostrava come nonostante la cura del Programma qualcosa fosse rimasto. Forse il sentimento, forse un’immagine, forse qualcosa di inspiegabile molto simile a una sensazione.
Ma nonostante questo pensiero dovesse scaldarlo, riempirlo di speranza, vedere l’amico stringere un’altra mano, affidare la propria vulnerabilità a qualcuno che non fosse Mattsun lo fece sentire come svuotato.

-s-sei fortunato...

Sentì quelle parole uscirgli dalle labbra come se il pilota automatico avesse preso il sopravvento in un momento di ambasce. Doveva mantenere la facciata nonostante tutto.
Hajime sarebbe stato fiero di lui.
Era il momento di andare via prima di perdere un altro pezzo di se stesso cercando di rimettere in asse un mondo in cui per lui sembrava non eserci più posto.
Salutò con educazione e un sorriso radioso promettendo di tornare.
Ma sapeva in cuor suo che mai avrebbe mantenuto quella promessa.

Il tragitto del ritorno fu rapido e silenzioso. La mente svuotata. Non voleva provare nulla Oikawa ed era diventato dannatamente bravo ad anestetizzare ogni cosa. Tornò a casa senza nemmeno provare a tornare a scuola e proprio quando credeva di potersi nascondere in camera per metabolizzare il tutto il suo cellulare trillò.
Con uno sbuffo controllò lo schermo.  Watari Shinji gli aveva mandato un messaggio. Si erano un po’ persi da quando la squadra di pallavolo si era sciolta a causa della chiusura del club.
Incuriosito aprì il messaggio e il suo sangue ghiacciò all’istante.

Poche parole che avevano ribaltato l’universo. Ancora una volta lui precipitava nel vuoto. Perdeva qualche pezzo prima di rimettersi dritto.

“Hajime è tornato a casa.”


ANGOLO DI ONNANOKOKAWAII

Allora... Hanamaki sta bene, non bene come vorremmo ma è felice e beatamente ignorante, Tooru... a perso qualche altro pezzo qui e là ma resiste e Hajime... è finalmente tornato a casa dopo quasi un mese nelle mani del Programma.
Chissà quale ricongiungimento li aspetta? Quale reazione avrà il moro nel momento in cui reincontrerà Oikawa?

Alla prossima puntata!!!

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Capitolo 5
*** Goodbye my lover ***


Quella sera fu particolarmente difficile mantenere la propria facciata spensierata e felice,. Proprio in un momento di ambasce, quando la sua mente era nuovamente stata risucchiata dalle molteplici possibilità che presentava il futuro, aveva lasciato cadere nel vuoto la conversazione.

-Tooru! Mi stai ascoltando? Ho saputo dal padre di Hajime che finalmente è tornato a casa. Mi ha chiesto di suggerirti cautela. A quanto pare la sua terapia è stata molto aggressiva ed è spesato al momento. Per tutta la prossima settimana resterà a casa... andrà a scuola sotto lo stretto controllo degli Istruttori… e…-

Fu la pausa a mettere in apprensione Oikawa.

-...mi ha gentilmente intimato di lasciargli del tempo prima di incontrarlo… sì per… riprendersi.

Il gelo aveva già preso possesso delle sue membra e anche la sua mente sembrava imprigionata in un loop senza fine dove sua madre ripeteva all’infinito “la sua terapia è stata molto aggressiva”

Sorridi.

Non ci riuscì.

Sorridi maledizione.
Ancora una volta senza successo.

Annuisci e cambia discorso.
Non gli uscì un fiato mentre la sua testa oscillava appena in un cenno.

“La sua terapia è stata molto aggressiva… La sua terapia è stata molto aggressiva… La sua terapia è stata molto aggressiva”
Riusciva a sentire il proprio cuore battere allo stesso ritmo di quelle parole.
Parole che ancora non riusciva a comprendere e che si stavano marchiando a fuoco nel suo cervello.

-Tooru? Tesoro… stai bene? Sei pallido.

Mise a fuoco sua madre, il volto teso, lo sguardo preoccupato puntato su di lui. In attesa di una sua risposta.
Non andava bene. Stava mandando tutto a puttane. Doveva calmarsi come gli aveva insegnato Lui…

Riprenditi coglione.

Respira.
Prese un lungo respiro tremante.

-Si mamma, scusa. Sono solo… felice che finalmente Hajime sia stato curato e possa tornare a casa.

L’emozione che venava la sua voce dovette convincerla poichè si lanciò ad abbracciarlo stretto. Non gli era sfuggito lo sguardo sollevato che le aveva illuminato i tratti eleganti; quello di chi è relativamente sicuro che suo figlio non fosse malato. Sembrava essersi convinta che Tooru stesse bene.
E lui glielo lasciò credere mentre respirava il suo lieve profumo di gelsomino stringendola tra le braccia.
La serata trascorse stranamente tranquilla. La passarono insieme e Oikawa si sforzò di essere presente, solerte e solare abbastanza da far scomparire l’ombra della paura dallo sguardo di colei che gli aveva dato la vita, ma che era anche pronta a salvargliela segnalandolo al minimo errore.

Quando finalmente rimase solo in camera sua, assordato dal silenzio della casa addormentata, il suo cervello tornò a ricordargli perchè tutte quelle chiacchiere, quegli abbracci e quelle risate non erano che una bella farsa da famigliola felice, una variazione imprevista dello spettacolo che era solito recitare da troppo tempo.

“la sua terapia è stata molto aggressiva…”

Se quella di Hanamaki era stata standard come tutto lasciava intendere, cosa sarebbe rimasto dell’Hajime che conosceva? Sarebbe stato sempre lui? O tutto quello che lo rendeva se stesso era stato cancellato insieme al suo ricordo e al loro amore?

Nel delirio di quella notte al limite della pazzia quasi non si accorse che stava albeggiando.
Non aveva chiuso occhio.
La sua mente aveva vagato e vagliato ogni possibilità che il futuro sembrava presentare. Ogni rischio. Ogni coltellata che avrebbe scelto di sopportare mentre perseguiva il suo nuovo scopo. “Riconquistare Iwaizumi” pensò, doveva essere la sua priorità. Non importava chi fosse diventato. Non aveva importanza quante volte lo avrebbe guardato con terrore o senza capire.
“Non importa” continuava a ripetersi .

La settimana successiva trascorse in un battito di ciglia. Le domande di autovalutazione erano ormai divenute routine anche se i ricordi di casa Matsukawa erano sempre dolorosi come il primo giorno; l’istruttore ormai era una presenza fissa ovunque andasse all’interno dell’edificio scolastico.
Sentiva il suo sguardo rapace scivolargli sul viso sorridente, sulle spalle rilassate e scandagliare i suoi movimenti e le sue reazioni alla ricerca di una depressione che non vedeva.

Nessuno vedeva il mare nero che si agitava sotto la pelle del sorridente Tooru Oikawa perchè era troppo bravo e troppo attento a nascondere il tremito delle dita quando con lo sguardo sfiorava la folla accorgendosi di essere alla ricerca della zazzera svettante di Mattsun; era scrupoloso nel non mostrare i pochi attimi in cui gli si inumidivano gli occhi quando uscendo passava di fianco all’angolo dove Hajime lo aveva stretto a sè così tante volte che non poteva contarle.

Nessuno poteva vedere quanto profonda fosse la sua disperazione quando ogni giorno come un mantra contava le cose che aveva perso. Tutto ciò che la malattia e il Programma gli avevano sottratto.
Le passeggiate verso la scuola con i suoi migliori amici.
Le risate durante gli estenuanti allenamenti mattutini.
L’adrenalina delle partite, la passione che li univa e l’accanimento con cui perseguivano la vittoria.
Il bruciore della sconfitta sul campo quando quella sensazione era la peggiore che conoscessero.
I sorrisi.
Le serate d’estate in campeggio a guardare le stelle.
Il tocco delicato di Hajime. I suoi baci affamati.
Il senso di appartenenza che lo legava a coloro che erano tutto il suo mondo.
L’amore per quella che ormai era la sua famiglia.

E contava Oikawa, contava questo elenco per coltivare la sua motivazione, la sua nuova ossessione.
La riconquista di Hajime.

Trascorsero i giorni e nulla sembrava poter scalfire la determinazione con cui Tooru si preparava a incontrare finalmente il suo migliore amico, il suo amante, il suo amore.
Giorni cupi, adombrati dal dubbio e dall’atavica paura del rifiuto. Giorni soffusi di speranza e di velato ottimismo.

Le nottate le trascorreva a immaginare, a volare con la fantasia cercando di figurarsi il loro primo reincontro. Voleva presentarsi al meglio, sorridente, con la maglietta di Godzilla che Iwaizumi gli aveva regalato e che indossava poco per non rovinarla. Voleva essere rassicurante, gentile e voleva affascinarlo con i suoi grandi occhi castani che sapeva essergli sempre piaciuti molto.
Voleva iniziare bene.

Finalmente dopo due lunghe settimane di preparazione psicologica e di autoincoraggiamento ricevette il permesso di andare a trovare Iwaizumi al Centro Benessere.
Si preparò con cura lavando i capelli con più shampoo del necessario, vestendosi come aveva già deciso da tempo e dandosi un’occhiata prima di uscire fu soddisfatto del risultato.

L’unica nota stonata erano le occhiaie violacee che gli solcavano il viso pallido. segno inequivocabile della sua ormai cronica carenza di sonno. Ignorandole con una risatina si pizzicò le guance e il lieve rossore che le tinse  lo fece sorridere ancora mentre si metteva il braccialetto che Iwaizumi gli aveva regalato quando si era finalmente deciso a ricambiare l’amore inconfessabile che provava  per lui.

Sapeva cosa fare. Doveva solo lanciarsi in questa nuova avventura. Con Hajime. Sempre con Hajime. Perchè nessun altro era così giusto per lui come il moretto tutto musi e tenerezza.

Saltò le lezioni mattutine e si presentò al Centro Benessere proprio all’orario di apertura, si sedette ad un tavolino e attese.
Il nervosismo non faceva che aumentare, altalenava, man mano che i minuti passavano, dall’euforia alla depressione più nera, dalla speranza alla disperazione. La porta si era aperta già alcune volte ma nessuna di queste aveva  annunciato la comparsa del suo amore perduto in attesa di essere ritrovato. Salvato da lui.

La porta si aprì di nuovo e finalmente LUI fece la sua comparsa.
Non era poi tanto diverso da come lo ricordava: il viso pulito dai tratti decisi era sempre suo, le labbra erano, come al solito, strette in una linea dura di silenziosa disapprovazione e solo la rigidezza della spalle mostrava quanto in realtà fosse teso e all’erta. Poi i suoi occhi si posarono su Oikawa e un brivido lo scosse mentre il suo sguardo scivolava altrove.

Un pò della spavalderia dell’ex setter scomparve. Non vi era stato riconoscimento. Non che se lo fosse aspettato ma ugualmente quella conferma incrinò qualcosa dentro di lui.

I due istruttori che lo accompagnavano pilotarono Hajime al suo tavolo e dopo aver fatto le presentazioni essenziali si allontanarono.

Iwaizumi si guardò attorno e solo dopo qualche secondo sollevò uno sguardo serio e concentrato su Oikawa. I secondi passarono lenti durante quell’esame minuzioso.

-Non mi ricordo di te.

Si sforzò di sorride Oikawa.

-Lo so Iwa-chan, non preoccuparti. Sono venuto qui perchè non volevo che tutto ciò che avevamo finisse… così…

Mentre parlava cercando di essere il più sincero possibile senza spaventarlo Tooru lo vide agrottare la fronte  senza rispondere.

-Sai… è strano essere qui con te, vederti, parlarti... sapere di aver vissuto una vita insieme eppure essere il solo a ricordare cosa abbiamo vissuto, cosa siamo stati, con chi abbiamo riso…-

Gli si era incrinata la voce forse?
Il suo amore lo guardava in silenzio, serio e teso come tutti i Rientrati. Dal suo viso non traspariva nulla. Dal suo sguardo verde come il bosco più segreto non riusciva a evincere alcun pensiero.
Sembrava… Rotto.
Quel filo che li aveva da sempre connessi, senza parole, senza nemmeno dover alzare un sopracciglio era stato spezzato.

“La sua terapia è stata molto aggressiva”

Ecco. Aveva già la sua risposta. Hajime non era solo stato cancellato,era anche stato rotto. Sì, fisicamente stava bene, era in salute e godeva di una forza vitale pimpante ed energica ma… a parte questo c’era il nulla.

-C’è… qualcosa che ricordi Iwa-chan? Qualche ricordo della tua infanzia? Qualche avvenimento speciale?-

Si rese conto di aver iniziato a tormentare il famoso braccialetto e si impose di fermarsi.

Gli rispose il silenzio.
Non era un rifiuto. Ma il solo fatto che non ci fosse più nulla da riconquistare dietro quel viso così dolorosamente familiare lo distrusse.

Non c’era speranza quindi? Era lì che finiva la corsa? Davanti a una persona irrimediabilmente rotta come un giocattolo di cui si è abusato?
Fu in quel momento che comprese. Hajime Iwaizumi era morto. Forse non fisicamente morto, certo, ma tutto ciò che era stato, tutto ciò che avrebbe voluto e potuto essere era stato cancellato.
Non si accorse delle lacrime che gli scendevano lungo le guance finchè Iwaizumi non gli porse meccanicamente un fazzoletto.

Si riassettò in fretta fregandosene di chiunque potesse averlo visto. Prese un bel respiro per fare quello che credeva un tentativo disperato per riuscire a suscitare un’emozione quando il suo interlocutore parlò.

-Tu dici che siamo stati amici, da come parli mi pare di capire che lo siamo stati per molto tempo. Sei venuto qui per riallacciare un rapporto che solo tu ricordi con una persona che non sa chi sei.
Sei venuto baldanzoso e sorridente avvolto in una nauseante nuvola di vaniglia e con prepotenza mi stai imponendo un rapporto che per me non esiste e non è mai esistito. Non credi di essere decisamente arrogante?-

Parole dure, pronunciate con una leggera vena rancorosa che non era solito sentirsi rivolgere.

-No… io… volevo solo...essere tuo amico…-

L’altro ormai aveva preso l’imbeccata.

-Essere mio amico? E come potrei? Mi sto ancora chiedendo come facessi prima a stare anche solo vicino a un superficiale, egoista e piagnone come te. E quel ridicolo soprannome? Da dove spunta? E’ disgustoso! Oikawa giusto? Beh caro il mio spilungone arrogante. Se ero tuo amico ora mi viene da pensare che sia a causa di questo tuo modo di fare che sono finito nel Programma deciso a dimenticare tutto. Di te e di “noi” come hai detto tu.-

Prese un respiro mentre quello di Tooru sembrava essere rimasto incastrato da qualche parte tra la gola e i polmoni.

-Lascia che ti dia un consiglio Oikawa-san… cambia atteggiamento. Poi forse qualcuno vorrà esserti amico. Abbiamo finito.-

Aveva la fronte sudata Hajime, le guance paonazze e i pugni stretti quando gli Istruttori arrivarono di gran carriera per accompagnarlo in una zona più tranquilla del Centro Benessere.
Mentre la schiena del suo unico amore perso per sempre si allontanava, mentre le sue parole ancora gli bruciavano nel cervello, mentre cercava di non credere che fosse colpa sua la fine di tutto… provò rabbia.
Non aveva mai provato tanta rabbia nei confronti di qualcuno. Rabbia per essere stato abbandonato. Rabbia perchè Hajime aveva scelto la strada più facile. Rabbia per tutte le volte che si era detto di dover sopravvivere e di dover resistere per entrambi, per mantenere vivo un ricordo troppo prezioso per essere semplicemente dimenticato.
Rabbia per tutta la fatica, per tutti gli sforzi fatti in quei mesi di assenza e silenzio e tormento senza fine.
Rabbia per la crudeltà con cui tutto questo era stato irrimediabilmente svilito e sottovalutato.
Ancora prima di accorgersi di ciò che stava facendo si trovò in piedi e si sentì urlare.

-Ho fatto tutto per te! Dannato stronzo!

Il tutto accompagnato dal lancio, verso l’oggetto di tanta di rabbia bruciante, del braccialetto a cui aveva tenuto così tanto.  Un semplice laccio di pelle con su scritto “PER SEMPRE - TOORU - HAJIME 10/11/2002”
La data in cui tutto per loro era iniziato. Anche se erano troppo piccoli per capire dove quell’incontro fortuito li avrebbe condotti.

Tutto quello che rappresentava non apparteneva più a nessuno dei due. Tutto... era perso per sempre.

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Angolino di Onnanokokawaii

HO faticato parecchio a scrivere questo capitolo, sia per disperazione con cui seguivo la storia sia per la voglia di arrivare ai lieti eventi che potrebbero verificarsi anche se non ne sono troppo sicura.
Ringrazio una cara amica per il betaggio rapido e professionale che mi ha permesso di pubblicare oggi, nel giorno del mio ventiseiesimo compleanno...
E... nulla... spero continuerete a seguirmi e a sostenermi in questa lenta discesa all'inferno.

A presto!

Marta

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Capitolo 6
*** Loosing faith ***


PREPARATEVI A SOFFRIRE IN QUESTO VIAGGIO CHE VI PORTERA' NELLA FOLLIA  nd OnnanokoKawaii



Tornò a casa a piedi Tooru Oikawa, svuotato di ogni speranza, privo di qualsiasi voglia di credere che qualcosa sarebbe migliorato.
Non voleva andare a scuola, non voleva vedere nessuno e soprattutto non era sicuro farsi vedere da quell Istruttore insistente quando non era certo di riuscire a mantenere la facciata che si era così faticosamente costruito.


Concentrati.

Svuota il cervello.

Salì al piano di sopra, fino in camera sua dove crollò sul letto senza nemmeno levarsi la giacca. Non sentiva il caldo; non sentiva nulla.
Quando entrava in quello stato di quiete emotiva ogni sua sensazione era anestetizzata.
Era l’unico modo per tenere a bada il dolore.
Quando il suo respiro tornò regolare e il battito del suo cuore smise di rimbombargli nelle orecchie Tooru decise di esaminare il suo incontro con Iwaizumi.
Si corresse mentalmente.
Con quello che era stato Hajime. Con quella persona irrimediabilmente rotta al di là di ogni possibilità di riparazione.
Forse, pensò, tutti i  Rientranti erano rotti. Forse la differenza stava solo in quello che poteva percepire visto il grado di confidenza e conoscenza che aveva con gli altri ragazzi presi dal Programma.
Forse stava solamente cercando di giustificare il fallimento colossale a cui era andato inconsapevolmente incontro quella mattina.

L’entusiasmo ormai dimenticato, sostituito da un gelido senso di ineluttabilità e sconfitta.
Era andato in pezzi molte volte nell’ultimo periodo ma in qualche modo era sempre riuscito a rimettersi insieme. Certo, il risultato era un grottesco patchwork che teneva insieme frammenti di ciò che era stato. Ogni volta qualcosa veniva perso per sempre.

A quel ritmo quanto ci avrebbe messo a perdersi del tutto?
Giorni, ottimisticamente parlando… probabilmente una settimana.
Con un sospiro decise di scendere a mettere qualcosa nello stomaco che si contraeva tristemente vuoto da ore.
Quanto era stato immerso nei propri pensieri?

Al piano inferiore trovò sua madre affaccendata in cucina per preparare la cena. Doveva essere più tardi del previsto.
Non fece in tempo a cucirsi in viso la solita espressione spensierata e felice. Non riuscì a trovare la convinzione e la prontezza. Non ebbe voglia di riproporre la farsa che metteva in scena ogni sera da settimane.
L’espressione di sua madre lasciava ben poco spazio alla speranza. Lo mitragliò di domande.

-Tooru? Eri già a casa? Perchè non hai risposto quando sono entrata?-

Non ebbe il tempo di rispondere.

-So che sei andato al Centro Benessere a trovare Iwaizumi, come lo hai trovato?

Perse l’attimo e ancora fu incalzato.

-Mi hanno telefonato dalla scuola avvertendomi che non eri tornato per le lezioni pomeridiane dopo aver lasciato il Centro. Dove sei stato?

L’agitazione si era impossessata della fragile personalità di sua madre  e le ultime parole quasi gli forarono i timpani tanto era alto e stridulo il tono con cui erano state pronunciate.
Il fuoco gelido del terrore le brillava negli occhi sotto le lacrime a stento trattenute.

Sorridi.
Non ci riuscì.

Sorridi coglione, lei è l’unica persona che potrebbe mandare tutto a puttane nel giro di qualche minuto.
Con una sola telefonata.
Ancora il suo viso rimase immobile, inespressivo.
Vuoi davvero perdere ogni cosa? Cancellare ogni fottuto ricordo che ti resta della tua felicità?

Finalmente sorrise.
Sapeva che la sua era una pallida imitazione del solare e dolce sorriso che sfoggiava di solito ma era il massimo che riusciva a fare in quel momento.
Il panico di sua madre parve attenuarsi un pò così come il tremito della sue esili mani che ancora brandivano il mestolo.

Ora rispondi a quelle domande.

Menti.

Continua a sorridere.

-Scusa Mamma, sono tornato a casa dopo aver incontrato Hajime… ero agitato all’idea di incontrarlo e stanotte non ho dormito bene quindi ho pensato di tornare  e farmi un pisolino. -

SI, poteva andare. Doveva solo credere a quelle fesserie, doveva fingere che fosse tutto vero.

-Credevo di svegliarmi in tempo per andare a seguire le lezioni del pomeriggio ma… ho dormito fino a poco fa. Non ho nemmeno…-

Si, vai così, continua a mentire, continua a inventare.

-... sentito la porta quando sei entrata

Sua madre lo scrutava in viso alla ricerca di una bugia che non voleva vedere. Sbattè le palpebre e le lacrime scomparvero dai suoi occhi lasciandovi una lieve traccia umida illuminata dall’indulgenza dello sguardo che gli rivolse.

-Va bene, immagino che l’idea di incontrare il tuo migliore amico dopo il trattamento del Programma giustifichi una notte insonne. La prossima volta prendi una delle mie pastiglie. Sono miracolose.

Sì, le pastiglie di sua madre. L’ansia e la paura che il suo unico figlio cadesse vittima della malattia la consumava. Era dimagrita, il volto scavato dalla preoccupazione non era più bello come lo ricordava Tooru, le sue forme sensuali erano scomparse sostituite da esili spalle smagrite e fianchi troppo stretti per essere definiti belli.
L’insonnia l’aveva logorata a lungo prima che finalmente, spinta dal figlio, non aveva deciso di rivolgersi a un medico.  Da quel giorno nell’armadietto del bagno facevano bella mostra di sè barattoli e scatole di pastiglie per gestire ogni possibile disturbo dovuto allo stato cronicamente ansioso della donna.

Il senso di colpa che lo perseguitava sempre e a cui non aveva più pensato da quando Hajime si era consegnato al Programma tornò prepotente a farsi sentire.
Il gusto amaro della bile gli riempì la bocca. Doveva fare qualcosa.

Mosso dall’istinto si avvicinò alla donna di un passo e la strinse a sè stupendosi ancora una volta di quanto fosse smagrita e fragile. Contro il proprio corpo sano e forte sentiva le sporgenze delle ossa di lei, tra le proprie braccia la donna quasi scompariva inglobata dalle sue membra mascoline.

-Come… come stava Iwaizumi?-

La voce di sua madre gli giunse incerta, ovattata dal maglione contro cui premeva il viso.
Come poteva rispondere a quella domanda?

-Sta bene. L’ho visto… bene.

La sentì tremare contro di sè.

-Si… ricordava…

Non l’avrebbe lasciata finire.

-No. Non sapeva chi fossi. Non era nemmeno curioso di scoprirlo. Hanno… ripulito tutto. Non…

Cazzo. Gli tremava la voce e il profumo familiare di sua madre lo spingeva a crollare.

Ripigliati.

Respira.

-... non è più l’amico d’infanzia che conoscevo.-

La stretta debole di sua madre si fece insolitamente forte.

-Mi dispiace. Ma… almeno è vivo e sta bene.

Per sua madre quello era l’importante e nessuno, nemmeno lui aveva il diritto di mettere in discussione una convinzione tanto radicata.
Ma no. Non era una consolazione che Iwaizumi fosse in salute perchè il vero Hajime era morto.
Senza far rumore, all’interno del labirinto che è la mente umana, era morto il suo migliore amico scomparendo poco a poco nel buio dell’oblio.

Non riuscì a fermarla.
Una lacrima trovò il modo di sfuggire al suo ferreo controllo. La sentì rotolare giù per la gota fino al mento e poi cadere.

La serata trascorse in modo strano. Sua madre era stata dolce e affettuosa, persino suo padre, durante la cena era parso davvero interessato ad Hajime.
Sembrava che avessero capito quanto fosse difficile per lui gestire la nuova realtà. Quanto gli fosse di peso cercare di conformarsi a quella che sarebbe diventata la sola realtà importante.
Si sentiva svuotato mentre con un sorriso pallido saliva in camera propria sollevato eccezionalmente dalle incombenze.

Crollò sul letto ancora sfatto dalle ore trascorse in trance lì sdraiato.
Pareva quasi di non averla vissuta quella giornata e con questo pensiero spaventoso in testa si trovò a considerare quanto fosse confortante non aver vissuto affatto dopo aver incontrato l’involucro vuoto di Iwaizumi.
Chiuse gli occhi sperando che un bel sonno potesse curare l’apatia che sembrava essersi impossessata di lui.

Passarono ore o forse secondi, non sapeva dirlo visto il buio assoluto che regnava nella propria stanza.
Il silenzio rotto dal ticchettio della sveglia, il motore di un’auto che passava sotto alle finestre.
A cosa era dovuto quel senso di allarme?
Il cuore gli batteva forte nelle orecchie, tutti i suoi muscoli erano pronti a scattare in una fuga disperata.
Ma da cosa?
Non c’era alcun pericolo.

Si rimise in ascolto. Nulla di insolito.
Poi eccolo.
Proprio nel momento in cui stava iniziando a rilassare le spalle contratte lo sentì.
Un suono di passi. Troppi passi.
Chi c’era in casa sua? Chi stava salendo le scale cercando di non far rumore?
Con il cuore di nuovo in gola rimase in ascolto qualche secondo, giusto il tempo di avvertire il singhiozzo soffocato di sua madre seguito da un’imprecazione a mezza voce.
Una voce che, seppur ovattata, avrebbe riconosciuto ovunque: l’Istruttore che a scuola lo aveva preso di mira.

Stavano venendo a prenderlo.
Sua madre alla fine aveva deciso di distruggere suo figlio nonostante sapesse che sarebbe tornato irreparabilmente rotto.
Avrebbe pagato un prezzo altissimo per essersi lasciato andare una singola volta.

Non poteva scappare e lo sapeva. Ma cosa poteva fare in quei pochi attimi che aveva prima che facessero irruzione nella sua stanza?
No. Non si sarebbe arreso.
Con l’aiuto della moquette  arrivò silenziosamente alla porta e la chiuse a chiave, piantò la sedia sotto alla maniglia e corse alla finestra.
Era stranamente lucido e calmo. Nel momento in cui aveva deciso di non arrendersi, di non scappare dalla tristezza e dallo schifo come aveva fatto Hajime, era divenuto così efficiente da spaventarsi da solo.

Dalla finestra poteva vedere l’ambulanza e le auto degli Istruttori a fari spenti che attendevano silenziose in cortile. Non poteva saltare, ma poteva arrampicarsi sul tetto.
Come aveva promesso di non fare più quando aveva sette anni e sua madre era quasi morta di paura quando dalla strada lo aveva visto aggrappato alla canna fumaria con un telescopio fatto di cartone e cannucce.

Silenziosamente aprì la finestra, proprio in quel momento sentì il primo tentativo di aprire la porta.
Merda.
Poi iniziarono i colpi.
La sua speranza di fuggire sul tetto sembrava sfumare. Per passare sulle teste di coloro che erano in cortile aveva bisogno che non alzassero lo sguardo e con quel baccano… sarebbe stato impossibile.
Doveva tentare lo stesso. Oppure…
Strinse i pugni con quel pensiero inciso in testa e nel cuore.
Oppure morire provandoci.

Scavalcò il cornicione e si stupì quando dal basso non arrivò alcun suono rivelatore.
Non stavano nemmeno guardando.
Sollevato si issò sul cornicione e cercando di non far rumore fece forza con le braccia per arrampicarsi fin sul tetto.
Le tegole erano scivolose e sporche, il suo appoggio pericolosamente precario, ma tentò comunque di spostarsi per  non essere più visibile dal basso.
Stava spostando il peso sulla gamba sinistra che aveva un appoggio più stabile quando la tegola sotto il suo piede destro si staccò e iniziò a scivolare sbilanciandolo.

Accadde in un attimo ma a lui sembrò passare un secolo prima che la tegola volasse oltre al bordo precipitando a terra e il suo corpo sbattesse con violenza contro la grondaia prima di iniziare a scivolare verso il vuoto. Sentì di sfuggita le grida degli Istruttori e quelle stridule di sua madre mentre il suo corpo lungo e atletico oscillava nel vuoto.
Non sarebbe riuscito a reggersi per molto tempo con le punte delle dita.
Sarebbe caduto.
Un volo di quasi dieci metri.

Lottò con tutte le sue forze per rimanere aggrappato, per sollevarsi oltre il bordo; fece forza sulle braccia ma rischiò di perdere la presa. Non aveva più tempo, già sentiva qualcuno issarsi dalla suafinestra.
Non voleva essere preso, non voleva che lo facessero a pezzi. Non voleva lasciar andare la sua infanzia, i suoi bei ricordi i suoi amici e soprattutto…. non voleva lasciare andare Hajime. I ricordi erano tutto ciò che gli era rimasto e voleva che restassero i suoi.

Nessuno glieli avrebbe portati via.

Cercò con ancora più vigore di tirarsi su e con un grugnito ci riuscì. Stava per rimettersi in piedi quando un dolore bruciante gli fiorì su una spalla serpeggiando come una lingua infuocata in tutto il corpo.
Merda.
Aveva dimenticato i taser in dotazione agli Istruttori.
Mentre ricadeva pesantemente sulle tegole sudice si ritrovò a sorridere per l’ironia della situazione.
Poi tutto divenne buio.
Avrebbe perso tutto. Se stesso, i suoi ricordi… Hajime.
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Ok... chiedo scusa... per questo capitolo così confuso ma... state tranquilli... era voluto. Doveva proprio rendere l'idea di una persona che non percepisce più la realtà nel modo giusto. Qualcuno che sta pian piano perdendo comtatto con la propria partre razionale per sprofondare nella pazzia.
Spero non mi abbandonerete da sola in balia di questa storia perchè ho davvero bisogno di tanto supporto per andare avanti e continuare a far soffrire i miei bambini speciali. >///<
Si sono sadica. Li amo e li torturo. Più li amo più li faccio soffrire.
Gomen
OnnanokoKawaii

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Capitolo 7
*** Breath and fight ***


Tooru Oikawa riprese conoscenza lentamente.
Prima di trovare i propri occhi, nella sua mente si susseguirono frame confusi della sua cattura.
Un dolore sordo gli pulsava in tutto il corpo, a residuo della scossa con cui lo avevano messo fuori combattimento, ma ciò che lo faceva stare peggio, più del male fisico e della nausea che minacciava di vincerlo, era la consapevolezza che sua madre lo avesse denunciato.

Aveva chiamato gli Istruttori per farlo curare dal Programma.

Lo avevano preso e portato in una delle loro cliniche per cancellare dalla sua testa i ricordi dolorosi.
Lo avrebbero fatto a pezzi e poi avrebbero rimesso insieme quel che restava. Sentì aprirsi una porta e quel suono lo costrinse ad aprire gli occhi. Era in una stanza completamente bianca, sdraiato su un letto con lenzuola bianche. L’esame fu sommario perchè l’estranea in camice bianco che era entrata assorbì tutta la sua attenzione.
Era una donna molto bella: alta, con lunghe gambe sottolineate dai tacchi alti e dalla gonna corta. La pelle di porcellana contrastava elegantemente con la giacca del tailleur scuro che spuntava da sotto al camice. Le labbra erano dipinte di un rosso sanguigno e luccicarono in modo sinistro quando si piegarono in un sorriso.

-Ciao Tooru. Benvenuto nel Programma. Sono la Dottoressa Kanako Namba e ti accompagnerò nel tuo percorso per la guarigione.

I suoi occhi color primula brillarono mentre aspettava una replica. Che cosa avrebbe potuto rispondere?

-Piuttosto vuole dire che mi cancellerà la memoria senza possibilità di appello.

Gli era uscita una risposta acida, ma era più forte di lui visto che ormai non aveva altro che la propria rabbia e una bruciante frustrazione.
Era impotente e lo sapeva. Il sorriso della Dottoressa Namba si fece più tirato.

-Ora la pensi così. Vedrai che cambierai idea quando inizierai a star meglio. Per oggi resterai qui e consumerai in tranquillità la tua cena. Domani inizieremo con la terapia.

Oikawa sbuffò nel sentire quel discorso.

-Non ci riuscirete. Non mi arrenderò.

Il sorriso si fece determinato e ironico. Il tono della risposta gli mise i brividi tanto fu dolce e carezzevole.

-Così deve essere, Tooru. Sennò mi deluderesti.

Con queste parole piroettò sui tacchi a stiletto e con due passi uscì dalla sua stanza in uno svolazzo del camice bianco, lasciandolo solo.

Non aveva idea di che ora fosse né di dove fosse la clinica. Erano luoghi talmente protetti che nessuno sapeva quante cliniche esistessero o dove fossero. Il riserbo era il motivo per cui il Programma era considerato un progetto vincente e sanitariamente etico.
Nessuno scopriva i segreti del Programma. Chi ne usciva non ricordava nemmeno granchè, a quanto pareva.

Decise di provare ad alzarsi. Fece un immenso sforzo solamente per mettersi seduto, la testa gli girava vorticosamente e la bile gli bruciava in gola come un tizzone ardente. Prese una serie di lunghi respiri per calmare la nausea e infine, facendosi forza, si diede lo slancio per mettersi in piedi.
Pessima idea.
Vide tutto bianco mentre una scossa attraversava il suo corpo, poi rovinò a terra. La botta fu violenta e dolorosa, ma rimase cosciente mentre spasmi meno violenti continuavano a percorrergli le membra.
Rimase a terra fino a quando il suo corpo sfinito e i muscoli tremanti non tornarono immobili. Attese e attese sdraiato scompostamente sul pavimento di linoleum, i capelli incollati sul viso sudato e l’orgoglio mortalmente ferito.
Fu proprio quello a costringerlo.
Tentò di mettersi seduto e infine aggrappandosi al letto cercò di tirarsi sù. I muscoli straziati dai residui della scossa del taser rispondevano meglio ai comandi e riuscì e gettare il busto sul letto. Ansante decise di aspettare qualche minuto prima di lavorare sulle gambe. Mentre elaborava un piano d’azione per rimettersi sdraiato sentì la porta aprirsi e un rumoroso grugnito.

-Siete sempre patetici quando arrivate.

Non fece in tempo a girarsi per cercare la fonte di tanta antipatia che due grandi mani lo sollevarono come se fosse stato una piuma e lo depositarono di malagrazia sul letto morbido.
Quando riuscì a vedere chi lo avesse aiutato rimase basito.
Un ragazzo alto e imponente torreggiava su di lui, con le braccia incrociate che mettevano in risalto i bicipiti gonfi.
Il suo volto era serio e uno sguardo di consapevole superiorità gli brillava negli occhi. Doveva avere la sua età o essere poco più grande di lui.

-Immagino che essere rapiti e portati qui sia abbastanza patetico in effetti.

Nonostante la gola secca e la nausea la sua voce suonò salda e leggermente polemica. Il suo interlocutore non ebbe alcuna reazione.

-Tra poco ti porteranno la cena. Se devi andare in bagno dillo ora e ti ci porterò, come hai visto da solo non ci riuscirai. Non creare problemi.

La voce piatta e bassa del ragazzo era impersonale e terribilmente distante. 
Lo fece arrabbiare perchè nessuno poteva essere così insensibile e privo di empatia.

-Non ho fame.

A quanto pare non era il primo a dare una risposta simile, e il gigante si limitò ad annuire con il modo di fare di chi la sa lunga, prima di estrarre dalla tasca della divisa una fialetta insieme ad una siringa.

-Fermo! Che diavolo vuoi fare?!

Un conto era parlare, sfottere e sfogare la rabbia, ma credeva che almeno per quella nottata avrebbe potuto riordinare le idee.
Stava accadendo troppo in fretta.

-Se non vuoi mangiare devo farti una piccola iniezione con gli elementi nutritivi che ti servono. Non fare i capricci.

Incredibile.

-Mangerò. La puntura non serve.

Sperava di aver fatto la scelta giusta.
In fondo gli servivano le energie per poter lottare il giorno dopo. O per riuscire a scappare.
Annuendo il ragazzo tornò alla porta per andarsene, ma prima di varcare la porta si voltò verso di lui con una strana luce negli occhi.
Il volto inespressivo, come di consueto.

-Sono sicuro che ci divertiremo, Tooru Oikawa.

Un'inserviente silenziosa, poco dopo, gli portò la cena lasciandola sul comodino. Come un fantasma gobbo vagò per la stanza abbassando la tapparella e lasciandogli alcuni vestiti piegati sulla spoglia scrivania.

La sua cena era leggera e salutare ma la nausea gli suggeriva di procedere con cautela. Nonostante l’istinto gli dicesse che per quella sera poteva evitare di mangiare, la sua parte razionale strillava a gran voce la necessità di recuperare le forze.
Così mangiò.
La notte trascorse con lentezza mentre i suoi muscoli rilasciavano ancora scosse residue e il suo stomaco lottava per trattenere la cena. Ebbe tempo di pensare alla nuova situazione e la striminzita lista di elementi nelle sue mani lo avilì.
Era in una stanza abbastanza grande, singola. Aveva una sola finestra e sapeva che oltre la tapparella abbassata, prima dei vetri vi erano spesse sbarre d’acciaio.
La porticina sulla sinistra doveva essere quella del bagno ma non aveva ancora avuto modo di esplorarlo. Il soffitto era alto e come le pareti era dipinto di un bianco immacolato.
Quando finalmente le sue terminazioni nervose e le sue sinapsi ripresero a funzionare correttamente decise di riprovare ad alzarsi e nonostante una lieve debolezza ci riuscì senza problemi.

Come previsto il bagno non offriva alcuno spunto per la fuga. La piccola finestrella era impraticabile e i sanitari di certo non potevano aiutarlo in nessun modo. Si sciacquò il viso e lo specchio gli restituì il riflesso di un sé stesso pallido e gocciolante.
Era davvero così terribile essere stato preso?
In fondo tutto quello che per lui era prezioso era diventato inutile e privo di senso, quando tutti lo avevano dimenticato.

Si sentiva un superstite, come se fosse rimasto l’unico uomo sulla Terra. E lo era, in un certo senso, l’unico sulla terra a ricordare un mondo che era stato cancellato con prepotenza e crudeltà in nome di una salvezza il cui prezzo era troppo alto perchè il risultato potesse essere definito vittoria.

Era sopravvivenza.
E lui?
Voleva sopravvivere?

Il dolore sordo lo aveva accompagnato per tanto tempo insieme alla paura di essere preso, di ammalarsi e di dimenticare.
Ma dimenticare un passato che ormai esisteva solo per lui non sarebbe forse stato meglio?

Perchè lottare per qualcosa che non aveva più senso proteggere?

Cosa lo spingeva a lottare strenuamente per trattenere i ricordi che dolorosamente gli straziavano il cuore?
La porta si aprì nella sua stanza e sporgendosi dal bagno vide la vecchia e silenziosa inserviente posare il vassoio della colazione sulla scrivania prima di zoppicare fino alla porta e richiudersela alle spalle.
Mangiò, più che altro per evitare iniezioni e interventi drastici da parte del ragazzo che il giorno prima lo aveva minacciato senza alcuna espressione sul viso cesellato.
Poi attese, seduto sul letto, che accadesse qualcosa.

I nervi tesi, i sensi all’erta mentre l’aspettativa rendeva l’aria pesante e immobile.
Cosa sarebbe successo?
Cosa gli avrebbero fatto?
Immagini terrificanti continuavano a prendere piede nella sua mente.
Cinghie di cuoio a polsi e caviglie, sedicenti medici e macellai ad incombere sulla sua figura immobilizzata e gemente di dolore e disperazione.
Il lieve suono della porta che si apriva gli strappò un verso di terrore che subito represse.

-Vedo che i coniglietti restano tali anche dopo aver mangiato e dormito.

Un tono incolore, così come incolore era l’espressione sul viso del ragazzo in divisa da Istruttore.

-Ieri non mi sono presentato. Sono Ushijima Wakatoshie sono il sorvegliante di questa ala della clinica.

Oikawa represse una risata di scherno.

-Uuuuuh che paura! Il badante dei pazzi si è presentato.

Non era saggio inimicarselo ma quel ragazzo gli dava sui nervi a tal punto da rendergli impossibile il trattenere lo scherno e il sarcasmo.
Imperturbabile come suo solito il ragazzo piantò i suoi occhi scuri in quelli di Tooru.

-Non creare problemi. Sarebbe poco saggio farmi intervenire. Ho piena libertà di manovra qui.

Il tono era piatto ma la vena di malvagità che per un attimo serpeggiò nel suo sguardo affilato gli suscitò un brivido che con rabbia si affrettò a reprimere mentre lo guardava avvicinarsi con movimenti misurati e sicuri.
Combattè contro l’impulso di ritrarsi quando la grande mano calda di Ushijima gli afferrò il mento in una presa delicata obbligandolo ad alzare lo sguardo per mantenere il contatto visivo mentre incombeva su di lui.

-Spero che tu sia abbastanza stupido da tentare di scappare, Oikawa Tooru. Lo spero davvero.

Fece una pausa infinita scrutandolo negli occhi, scavando la sua espressione alla ricerca di… cosa?
Resa?
Timore?
E cosa vi lesse per giustificare l’accenno di sorriso predatorio che gli aleggiò sulle labbra?

-Ci divertiremo.

Oikawa si sottrasse alla presa con un rapido scatto del collo e alzandosi furente si rese conto che l’altro continuava a sovrastarlo di una spanna buona. Merda.

-Non osare toccarmi. Non osare parlarmi. Non avvicinarti a me più di quanto non sia necessario per svolgere il tuo lavoro.

Aveva cercato di mantenere il tono saldo e sicuro ma il risultato non convinse né lui né il suo aguzzino, che con un altro accenno di sorriso fece un passo indietro e stringendosi nelle spalle si limitò a dire con il solo tono piatto:

-Forza, andiamo. Hai la seduta conoscitiva con la Dottoressa Namba.

Quelle parole precipitarono il cuore di Tooru in un mare di terrore.
Era troppo presto.
Non era pronto.
Il confronto con il suo sorvegliante era stato snervante e il suo solito equilibrio mentale era solo un ricordo.
Prese un respiro.
Doveva tornare calmo e imperturbabile come un lago di alta montagna.
Placido.
Limpido.
Doveva osservare la struttura, le stanze, le persone. La sua missione era sopravvivere con quanti più pezzi di se stesso possibile.

-Bene. Facciamolo.

Si alzò e seguì le spalle di di quel dannato Istruttore fuori dalla sola stanza che aveva visto dell'intera clinica. 




ANGOLO DI ONNANOKOKAWAII


Eccoci qui... Oikawa è solo, in una struttura del Programma che nessuno sa dove sia in balia di una dottoressa diabolica e sorvegliato da un Istruttore a dir poco inquietante. Ci troviamo a un passo dalla salvezza oppure a un passo dalla istruzione totale? Quale sarà l'esito di questa "seduta conoscitiva?"
Spero ardentemente che continuerete a sostenermi così da dare sempre il meglio di me nella stesura di questa storia che sta estraendo il peggio delle mie malate fantasie.

Alla prossima!
 

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Capitolo 8
*** Searching peace... finding hope ***


Una volta vestitosi con i pantaloni e la casacca bianchi forniti dalla clinica sotto lo sguardo stranamente interessato di Ushijima, Oikawa si lasciò condurre per il corridoio illuminato da asettici neon candidi.
Passarono davanti a numerose porte aperte che affacciavano su stanze identiche alla sua, bianche, ordinate, spoglie e tristemente vuote fino a raggiungere una doppia porta a vetri con maniglioni antipanico rossi che spiccavano nel candore generale. 
Proseguirono oltre, ma non prima che Tooru sbirciasse dentro e vedesse una manciata di altri ragazzi di varie età, vestiti di bianco, alcuni solitari che fissavano malinconicamente fuori dalle grandi finestre e altri che in gruppo sembravano giocare a carte, ridendo rumorosamente.

-Quella è la sala comune. Se ti comporti bene e non crei problemi è lì che potresti trascorrere la maggior parte del tempo.

Una strana sensazione di tepore sembrò sfiorargli la mente. 
In un luogo così orribile come la clinica del Programma c’erano dei ragazzi che giocavano spensierati. Che si divertivano e facevano amicizia.
No. 
Non doveva lasciarsi fuorviare da una scenetta tragicomica come quella della vita idilliaca all’interno di una clinica di quel genere. 
Un mattatoio.

-Non mi interessa.

Una scrollata delle ampie spalle di Ushijima gli segnalò che all’Istruttore non importava un granchè di cosa pensasse.
Finalmente, dopo una miriade di curve, di porte chiuse e di rumori inquietanti giunsero di fronte a una porta di legno molto vecchio, consunto e sbeccato in più punti.

-Eccoci. Se vuoi evitare un trattamento poco gentile ti consiglio di essere educato.

Con queste parole il ragazzone aprì l’uscio e mostrò un luminoso studio con una grande scrivania in ciliegio e una libreria di ferro battuto scuro che cresceva in viticci e rami ritorti in un inquietante e mastodontico groviglio nero che sembrava trattenere gelosamente i grossi volumi che vi si annidavano.
La finestra era a tutta parete e il doppio vetro pulito ad arte mostrava un cortile lussureggiante, con prati verdi, piccoli sentieri con pensiline e panchine di pietra rosata. Una fontana faceva bella mostra di sé sullo sfondo tra i sempreverdi rigogliosi e i cespugli ben curati.

-Un bel quadretto vero?

A strapparlo da quella muta e ammirata contemplazione fu la voce vellutata e carezzevole della Dottoressa Namba, che alzandosi da un elegante e minimale divanetto di pelle rossa come le sue labbra si avvicinò alla scrivania.

-Se non fosse in questo contesto sì. Sarebbe bellissimo.

SI stupì della calma glaciale dalla sua voce. Dentro era un groviglio di tensione, rabbia e paura, ma a quanto pareva questa sua dote di estraniarsi nei momenti cruciali gli era di nuovo venuta in soccorso.
Anche l’espressione della Dottoressa mostrò un malcelato stupore. SI riprese in fretta e con eleganza spostò su una spalla una treccia spessa di capelli neri e lucidissimi.

-Vedo che non hai bisogno di essere tranquillizzato Tooru, accomodati e iniziamo a conoscerci. Qui dentro come vedi non vi è alcuna minaccia.

Effettivamente non aveva individuato nessuno degli arredi da film horror che aveva immaginato.

-Ti chiederei di prendere quella pillola, non è nessun tipo di droga, serve solamente ad aiutarti a focalizzarti  sulle domande che ti farò in questa visita conoscitiva in modo da scegliere insieme il percorso migliore da seguire per una completa guarigione.
Oikawa guardò il bicchiere d’acqua e la pillola rossa che gli veniva consegnata da un silenziosissimo Ushijima.

-Se non volessi prenderla?

Subito l’espressione della donna si accese di eccitazione e anticipazione mentre al suo fianco l’istruttore estraeva una pistola munita di uno spesso ago che brillò come un sinistro avvertimento.

-Se non volessi prenderla, saremmo costretti a farti assumere il principio attivo in un altro modo, molto meno gentile e indolore.

La voce era sempre carezzevole, addirittura materna ma dietro all’amabile superficie era percepibile una vena di crudele aspettativa.
Oikawa, rabbrividendo, con uno scatto prese la pillola e la buttò giù trangugiando l’acqua.

-Bene. Vedo che sei ragionevole. Possiamo cominciare.

Senza quasi far rumore Ushijima lasciò la stanza. Ora era solo con la Dottoressa. E la sensazione di strisciante panico, che prima era solo ai margini della sua coscienza, esplose. Iniziò a tormentarsi le mani sudate mentre tendeva i muscoli in una posizione guardinga che la donna notò e accolse con un cenno leggero del capo e un sorriso saputo.

-Rilassati Tooru. Non intendo farti alcun male. Oggi valuteremo solamente quale tipo di terapia sarà più efficace su di te. Potrebbe non essere necessario estirpare alcun morbo dalla tua mente. Potresti avere solamente bisogno di una semplice terapia per affrontare i cambiamenti che ha subito la tua vita negli ultimi mesi. Capita di rado ma non curiamo chi non ne ha davvero bisogno.

Fece una pausa allungando una mano esile e pallida verso di lui.

-Potresti non dover perdere nulla se non la tua tristezza.

Detto questo tacque lasciando ricadere la mano in grembo aspettando che le proprie parole penetrassero nella cortina di panico che sembrava attanagliare i pensieri del paziente.
Se fosse stato abbastanza bravo da sembrare equilibrato e spaesato, probabilmente non avrebbe dimenticato.
Era davvero così semplice?
Non voleva fidarsi ma non riuscì a impedire che il fiore della speranza fiorisse dentro di lui e mettesse radici.

-Quindi potrei non dover rinunciare a chi sono?

Con dolcissimo sorriso delle labbra sanguigne la donna che aveva di fronte annuì.

-Devi capire Tooru, che non siamo dei macellai senza cuore e senza etica. Siamo medici che intervengono più o meno radicalmente per assicurare a molti adolescenti di arrivare a coronare quei sogni che spesso siamo costretti a cancellare dando però loro la possibilità di crearsene di nuovi. Da vivi. Circondati dall’amore delle loro famiglie.

Visto così il Programma sembrava davvero una cosa buona per la società.

Non farti ingannare.

Respira.

Parla.

Controllati.

Resta concentrato.

-Capisco. Quindi ora lei mi farà delle domande e in base alle mie risposte sceglierà come affrontare la mia terapia?

Ancora un sorriso angelico trasfigurò le linee altere e bellissime del viso della donna.

-Esattamente. Cominciamo?

Cosa aveva da perdere? Poteva giocarsi una chance che non credeva di possedere. Doveva solo sforzarsi di sembrare stabile. Sconvolto. Ma non depresso o incline al suicidio.
Annuì.

-Bene. Ora vorrei che mi parlassi di chi sei. Di cosa vuoi dalla vita e di cosa ti ha trasformato nel ragazzo intelligente e pieno di amore che sei.

Poteva davvero riassumere tutto quello che chiedeva la donna in un colloquio? Era saggio parlare di sé in modo sincero o sarebbe stato meglio omettere alcune cose per non concentrare l’attenzione su di esse?
Non capì come, non seppe nemmeno quando iniziò a parlare ma si trovò a descrivere i suoi primi ricordi felici. 
Parlò dell’asilo, degli inseparabili amici, della pallavolo. Descrisse la sua classe e di quanto gli piacesse immaginare di vivere così per sempre.
Parlò e si aprì come non faceva da tanto tempo.
Si stupì di come fosse facile parlare con quella donna bella come un angelo che con un sereno sorriso lo incoraggiava e sorrideva, ascoltando gli aneddoti divertenti dei tempi delle elementari.
Parlò di come avesse iniziato a giocare a pallavolo da solo, contro al muro, e di come avesse pian piano trascinato e costretto a giocare anche il suo migliore amico Hajime Iwaizumi, di come fossero entrati nella squadra della scuola e avessero iniziato il loro percorso agonistico.
Raccontò delle interminabili ore trascorse ad allenarsi, della cura maniacale con cui perfezionavano tempismo e intesa.
Arrivò a parlare del liceo e della minaccia della malattia. Della squadra nata al primo anno, e delle nuove amicizie divenute sempre più importanti fino a diventare fraterne. 
Narrò di come era stato sconvolto il suo mondo quando il Programma aveva fatto il suo ingresso nel paese. Dello scioglimento della squadra di cui era il capitano, dei pomeriggi vuoti in compagnia degli inseparabili compagni, e di come avessero trovato il campetto abbandonato che avevano rimesso in sesto e che era diventato il loro piccolo angolo di paradiso. 

Infine narrò di come il suo mondo avesse iniziato ad andare in pezzi; quando i suicidi non erano più solo notizie sul giornale e foto sul notiziario delle sette ma persone che conosceva. 
Kindaichi era stato il primo. Non era proprio un amico ma era comunque rimasto sconvolto davanti ai fatti che lo avevano visto coinvolto. Si era gettato sotto un camion sotto lo sguardo attonito e sconvolto del caro amico Kunimi. Amico che era diventato un fantasma da quel momento. Aveva stretto i denti e aveva cercato di farsi forza, ma la volontà sembrava sempre troppo debole.
Ed ecco che era intervenuto il Programma.
Parlò di come i Rientranti fossero considerati dei “diversi”, dei poveri disgraziati.
Menomati.
Arrivò a parlare di Kyotani, salvato dal Programma mentre comprava il veleno da uno spacciatore. Al suo prelievo forzato, a Shigeru che cercava di resistere alla malattia senza il pilastro che lo aveva sempre sostenuto e per cui non aveva potuto fare nulla.
Giunse ad Hanamaki. Con un groppo in gola spiegò cosa era successo, cosa avevano deciso di ignorare sperando fosse solo un momento di abbattimento. Parlò dell’amico solare e casinista che diventava sempre più apatico e taciturno in una spirale di depressione e abbrutimento, che erano culminati nell’intervento del Programma.

Spiegò come quello fosse stato l’inizio della fine. Poi si interruppe.

-Sei stato bravo Tooru. Puoi rilassarti ora. Per oggi abbiamo finito.

La voce della Dottoressa Namba era carezzevole e gentile mentre posava una cartelletta su cui aveva scribacchiato fittamente moltissimi appunti e gli porgeva un fazzoletto di cotone decorato con delicati fiori gialli.
Non si era nemmeno reso conto di essere in lacrime.
Merda.
Doveva dar prova di non aver bisogno di cure profonde e cosa faceva? Piangeva come un bambino?
Aveva firmato la propria condanna e mentre si asciugava le guance con il delicato e femminile fazzolettino la bile gli risalì in gola bruciante quanto la sua paura.
Non riuscì a chiedere nulla alla donna che continuava a guardarlo con dolcezza.

-Allora Tooru, sei stato bravo. In base ai miei appunti e a quello che ho visto direi che tu non abbia bisogno di interventi radicali o di ricondizionamento. 

Lasciò che le sue parole facessero presa.  Oikawa quasi saltò ad abbracciarla. Era sul punto di parlare quando…

-Ma…

Eccola la fregatura. C’era un “ma” e non sapeva ancora quanto grande. Restò in attesa deglutendo a vuoto quelle parole di ringraziamento che gli raschiavano la gola.

-Resterai qui per tutto il mese che avevo preventivato. 

Fece una pausa per scrivere qualcosa accanto agli appunti scritti fitti.

-Non ti sottoporremo ad alcun trattamento ma vorrei che seguissi un programma di sedute come questa.

La donna sorrise nel vederlo rilassarsi, visibilmente sollevato.

-Gli unici medicinali che useremo saranno la pillola rossa che hai preso prima di questa seduta per aiutarti a mantenere la necessaria lucidità per rispondere alle domande; e una pillola gialla come questa…

Gliela porse insieme ad un nuovo bicchiere d’acqua.

-...che serve a rilassarti. Essendo sedute impegnative, che mettono a dura prova i nervi e le connessioni neurali della corteccia, è necessario poi dar loro un po' di respiro. 

Lo guardò comprensiva.

-La prenderai?

Sommerso dalla quantità di notizie, di novità e di informazioni il ragazzo si limitò ad annuire e prendere la pillola senza protestare.

-Ti avviso, uno degli effetti più comuni è la sonnolenza. Ti farò accompagnare nella tua stanza e, se riesci, ti consiglio di dormire un po'.

Effettivamente Oikawa iniziava a sentire una certa pesantezza. Le palpebre erano pesanti e le membra molli.
Come in un sogno vide rientrare Ushijima con la sua impeccabile divisa a fasciarne le spalle troppo ampie e senza fare attenzione alle sue parole si fece scortare in camera dove riuscì a sdraiarsi prima di crollare in un sonno profondo e senza sogni. 

L’ultimo pensiero razionale che ebbe prima di sprofondare nel buio fu che alla fine il Programma non era affatto come pensava. 
Se si fosse ancora sentito la faccia avrebbe sorriso.


Angolino dell'autrice
Ciao, ecco fresco fresco un nuovo capitolo betato dall'inimitabile Kurai :) cara amica e grande autrice molto attiva su questa piattaforma.
Che dire a commento delle reazioni di Oikawa?
Beh capitelo, stresato da far schifo, solo, in cerca di un appoggio che gli è venuto a mancare repentinamente... chi di noi non avrebbe voluto vedere del buono in quel che gli accade?
Farà bene a fidarsi? E Ushijima? Perchè è così interessato al nostro Tooru?
Il mio sadismo sfiorerà vette inesplorate, preparatevi perchè il prossimo capitolo (già in lavorazione) sarà denso di eventi, di riflessioni e di abrutimento personale per il povero provato alzatore del nostro cuoro.
Per sapere se vi piace come va la storia e soprattutto per capire cosa potrei migliorare, vi chiedo un commentino. (Aiutatemi pls... è la prima fic così lunga e articolata che scrivo >///<)
Alla prossima puntata con fiumi di lacrime e vampate di rabbia! 
Bye

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Capitolo 9
*** memories and stolen kisses ***


Quando rinvenne, o si svegliò, non sapeva come definire lo stato di incoscienza che lo aveva cullato fino a quel momento.
Tooru era rilassato e si concesse di assaporare, ancora avvolto nell’oscurità degli occhi chiusi, la consapevolezza di non dover perdere i ricordi, i suoi segreti.

-Buongiorno bella addormentata, hai dormito 8 ore. Hai saltato il pranzo e ho deciso di tenerti in caldo la cena.

La voce monocorde di Ushijima lo accolse non appena aprì gli occhi. Si sentiva stordito e ancora assonnato, ma nel complesso non stava male.
Si stupì del gesto di riguardo dell’Istruttore e per una volta decise di lasciare da parte la sua avversione nei suoi confronti in onore dell’educazione.

-Grazie. Sei stato gentile.

Con suo sommo stupore le gote del ragazzo si tinsero di una leggera sfumatura rosa. Interessante. Quindi non era così freddo e distante come voleva sembrare.

-Sì. Con te voglio essere gentile. Abbiamo iniziato col piede sbagliato e mi piacerebbe rimediare.

Soprendendolo ancora il ragazzone si avvicinò al letto e un po' impacciato gli porse una mano che meccanicamente Tooru si trovò a stringere con energia.
Ogni amicizia era una benedizione in quel momento. Ogni alleato poteva essere un’utile risorsa.

-Sì, non abbiamo iniziato bene, ma abbiamo un mese per rimediare.

Gli angoli della bocca di Ushijima tremarono prima di piegarsi timidamente all’insù. Quel ragazzo aveva decisamente problemi nei rapporti interpersonali, constatò Oikawa.
Ma, vista la piega positiva che stavano prendendo gli eventi, poteva anche chiudere un occhio e insegnargli a socializzare. Mangiò godendo della compagnia del suo nuovo alleato.

Chiacchierarono più che altro dei tempi in cui i club scolastici erano ancora permessi. Scoprirono di essere stati entrambi capitani delle rispettive squadre di pallavolo e di avere davanti una concreta possibilità di entrare a far parte della Nazionale.
Trascorsero così un’oretta piacevole, almeno fino al momento in cui si spensero le luci. L’ora del coprifuoco.
Nell’attimo di smarrimento in cui Tooru cercò di abituare gli occhi all’oscurità che regnava nella stanza sentì l’amico muoversi, e in un attimo un paio di calde e soffici labbra coprirono le sue in un lievissimo bacio.

Non fece in tempo a rendersi conto di cosa stesse succedendo, e quando finalmente riuscì a mettere a fuoco la stanza il ragazzo era già uscito chiudendosi la porta alle spalle.
Il cuore di Oikawa batteva lento e pesante nel petto mentre con la punta delle dita si sfiorava la bocca stupito di quanto un semplice contatto così casto e rapido potesse lasciare una traccia così persistente.
Era la prima volta che veniva baciato da qualcuno che non fosse Iwaizumi.

Iwaizumi Hajime.

Sentì il cuore sprofondare. Aveva baciato qualcuno che non era l’amore della sua vita.
Si sentiva così colpevole che avrebbe voluto sotterrarsi o pregare la Dottoressa Namba di cancellare dalla sua memoria gli ultimi minuti appena vissuti.
Crollò sul letto con le labbra formicolanti. O forse era solo la sua immaginazione a fargli sentire quel lieve fastidio?

Dopo una notte insonne accolse di buon grado la colazione servita dalla solita inserviente zoppa e silenziosa e abbandonò volentieri il disagio provato nel percorrere i corridoi bianchi che portavano allo studio della dottoressa seguendo le ampie spalle di Wakatoshi, il quale era stato stranamente silenzioso e distante.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa. Accennare a quanto accaduto la sera prima premurandosi di specificare che non sarebbe mai più dovuto accadere ma qualcosa lo bloccava.
Era solo lì, senza amici, senza alleati. Buttare alle ortiche il solo legame che si stava creando sulla base di un singolo bacio che forse non era nemmeno interamente voluto…
A sentirsi gli sembrava di essere alla disperata ricerca di una giustificazione. Stava cercando di scusare quel bacio classificandolo come un errore di percorso.

Voleva giustificarlo nonostante fosse un tradimento.

Iwaizumi ne sarebbe stato terribilmente scontento…

No. Hajime non poteva esserne scontento, perché non ricordava nulla. Nemmeno quel bellissimo sentimento che li univa prima del Programma. Non lo stava tradendo.
Semplicemente perché non si poteva tradire chi non sapeva nemmeno di essere un amante, la parte indispensabile di un rapporto basato sull’amore reciproco.
Senza quell’amore, tutto perdeva senso, perdeva peso… Non era reale.

Così Oikawa rimase in silenzio e quando entrò nello studio della Dottoressa Namba, prese di buon grado e in silenzio la pillola rossa che lo attendeva sulla scrivania.

-Vedo che sei molto più rilassato. Come ti sei sentito ieri dopo la seduta? So che hai dormito molto, ma vorrei sapere se hai avuto altri disturbi in modo da capire se il dosaggio è appropriato al tuo peso.

Il sorriso con cui lo aveva accolto era come un balsamo per i suoi pensieri cupi.

-Ho dormito molto sì. Non ho avuto nessun altro disturbo.

Il lieve fruscio della penna a sfera che scriveva sulla cartelletta una nota lo cullò. SI sentiva come in un bozzolo, protetto dai mali del mondo esterno. Era assurdo eppure stava iniziando a trovare piacevole il soggiorno nella Clinica del Programma.

-Bene Tooru, in base ai miei appunti di ieri uno degli eventi che ti ha causato più problemi a livello emotivo è stata la tragedia di Matsukawa Issei. Se per te va bene vorrei che ti concentrassi su questo evento doloroso e lo analizzassi.

Fece una pausa e allungò una delicata mano candida a sfiorargli il viso, sporgendosi sulla massiccia scrivania. Quel semplice contatto ruppe la diga dei ricordi che dall’accenno a Mattsun avevano iniziato a turbinargli in testa con rabbiosa prepotenza.
Raccontò ogni dettaglio della sua amicizia con Issei, il momento in cui si erano conosciuti, alle medie. Descrisse con un timido sorriso il carattere pacato, eppure ironico dell’amico, la sua invidia per la stazza fisica che aveva sviluppato crescendo e la sua dolcezza nei confronti di Hanamaki.
Si perse nel viale dei ricordi riesumando aneddoti, episodi che riemergevano dalle nebbie del tempo portandolo a riscoprire il bello di essere stato un ragazzino felice, circondato da amici che gli volevano bene. Giunse a ricordare come Matsukawa fosse perdutamente innamorato di Hanamaki, della tenerezza nel suo sguardo quando lo ascoltava parlare rapito.
Ricordò l’aspettativa di quando, grazie alla sua malizia, aveva intravisto che Hana corrispondeva quel sentimento e sorrise a ripensare e come il suo zampino aveva fatto sì che le cose tra quei due tontoloni si sbloccassero e scorressero nel giusto verso.
Arrivò a parlare, con una certa reverenza, del momento in cui tutto per loro aveva perso senso.
Quando il Programma aveva interferito.

Raccontò con il cuore pesante di come Matsukawa avesse tentato di farsi riconoscere, di come la depressione lo avesse corroso nel giro di poche ore, di quanto fosse stato sconsiderato a vanificare tutti i tentativi di coprire quel momento di ambasce agli occhi del sistema.
Infine arrivò a quella sera.

Al sentiero percorso stanco e in silenzio insieme a Iwaizumi, alla chiamata di Mattsun, alla sua voce tremante e spaventata mentre spiegava cosa avesse combinato. Di nuovo gli si inumidirono gli occhi nel descrivere i suoi ringraziamenti per la loro amicizia, per i bei ricordi e per il muto sostegno mentre iniziava a rantolare, segno che il veleno stava iniziando a fare effetto.
Chiuse gli occhi per non mostrare il suo dolore mentre le parole ormai fluivano da sole in un turbinio di descrizioni sconnesse come i colpi in sottofondo, le urla, ancora i respiri raschianti e umidi dell’amico morente che fiero diceva loro di non volersi far prendere dal Programma, ed infine l’ultimo flebile sospiro prima che l’apparecchio cadesse di mano al ragazzo ormai esanime.
Rivangò la corsa a perdifiato, l’arrivo davanti alla casa e la vista della barella, della mano che mollemente pendeva fuori dal lenzuolo e l’urlo straziato di una madre che aveva perso il suo unico amato figlio.

-Basta per oggi.

La voce della Dottoressa lo interruppe strappandolo dalla dolorosa morsa dei ricordi troppo freschi per essere rivissuti con distacco.

-Fermiamoci qui, Tooru. Non voglio sovraccaricare la tua analisi emotiva. Hai fatto un ottimo lavoro e soprattutto vorrei sapere come ti senti ora.

Già… aveva fatto un buon lavoro. Era sempre stato bravo con le analisi. Dopo tutto quel pensare e parlare e analizzare si sentiva… svuotato.

-Mi sento… tranquillo.

Il sorriso radioso che gli giunse in risposta lo ripagò dello sforzo fatto per aprire l’argomento Matsukawa.

-Prendi la pillola gialla, Tooru, vai a riposare. Domani faremo un’altra seduta prima di dare alla tua mente un giorno di pausa.

Ingollò la pillola con due grandi sorsi di acqua fresca e quando la sensazione di torpore iniziò a serpeggiargli tra i pensieri dovette farsi forza per alzarsi, salutare e seguire di nuovo Ushijima nel percorso che attraverso i vari corridoi l’avrebbe riportato in camera.

Quando giunsero nella sua stanza stava per crollare sul letto soffice, ma due grandi mani calde lo afferrarono per la vita con possessività e lo fecero voltare.
Con la vista sfocata e la mente annebbiata prese nota che stava per essere baciato da Wakatoshi.
Non riuscì a seguire il pensiero.
Sapeva che doveva resistere.
Sapeva che doveva allontanarsi, ma le gambe non rispondevano più ai comandi della sua mente quasi dormiente.
Il bacio iniziò come quello precedente. Un lieve e dolce sfiorarsi di labbra per poi farsi meno casto, meno incerto strappandogli un gemito che risuonò lontano alle sue orecchie ovattate quando con la lingua gli invase la bocca. Registrò con un angolo della mente che le mani del ragazzo gli erano scivolate sotto i vestiti fino a raggiungere la pelle. Era sbagliato, vero?
Non avrebbe dovuto, ma nella nebbia non riusciva più a trovare un vero motivo. Era da così tanto che qualcuno non lo toccava con tanta dolcezza e tanto desiderio, da quando Iwa-chan…

-No!-

Nonostante la sua mente fosse completamente spenta quella parola suonò limpida alle sue stesse orecchie.

-Lasciati andare, Oikawa. Vedrai che ti piacerà… Ti desidero. E’ così sbagliato volere qualcuno che ti stia vicino? Siamo soli qui…

Cavolo… erano parole così vere.
Era solo.
Sia dentro alla clinica, sia fuori.
Su chi poteva contare?
La sua famiglia lo aveva consegnato al Programma senza nemmeno chiedere un suo parere, senza prepararlo, trattandolo come un degente inconsapevole.

E lì dentro?
Chi aveva? La dottoressa? Non poteva far conto su una persona che da un momento all’altro era libera di decidere di applicare su di lui una cura terribile e devastante.

-No…-

Se c’era una cosa che poteva salvare non dovendo sottoporsi alla cura del Programma era la sua fedeltà a Iwaizumi Hajime. Il suo amore per lui. Almeno finché non fosse stato pronto a lasciarlo andare.

-Basta…-

Le mani sulla pelle lo strinsero per un attimo con possessività, prima di scostarsi e ricadere inermi.
Ormai stava quasi dormendo in piedi, ma seppur nel dormiveglia notò l’espressione determinata che per un attimo balenò sul viso della guardia prima che senza una parola lasciasse la stanza.

Crollò sul letto e fu completamente inghiottito dal dolce torpore del sonno. Dormì senza sognare, senza peso attraversando un buio confortevole e pacifico.
Quando si svegliò fu infastidito dalla sensazione di non aver riposato affatto.

Gli sembrava tutto diverso, gli pareva di aver dormito per una settimana intera e contemporaneamente di non aver chiuso per mesi. Nonostante l’orologio gli stesse dicendo che aveva riposato solo qualche ora si rese conto di aver perso il giro del pranzo che però qualcuno si era premurato di lasciargli sulla scrivania. Mangiò e rimase indeciso sul da farsi.

Aveva la libertà di andare nella sala comune, ma l’idea non lo allettava.

Come suo padre, aveva la tendenza a isolarsi quando si sentiva l’unico al di fuori del gruppo, così decise di restare in camera a rimuginare su quanto pensava fosse successo con Ushijima.
Perchè qualcosa era successo; e nonostante i suoi ricordi fossero annebbiati e parziali sapeva che il ragazzo si era approfittato degli effetti della pillola. Tentò di ripercorrere le ore precedenti per avere un’idea delle tempistiche.

Con la memoria andò indietro, quando aveva fatto il colloquio con la Dottoressa, si ricordava bene di aver parlato molto di Matsukawa, un suo amico.
Per poco non cadde a terra dallo shock. Come mai non ricordava altro che il suo nome? Era un suo amico giusto? Giusto?!
Come poteva non ricordare nemmeno il suo viso o qualche aneddoto? Il cuore gli batteva forte nelle orecchie mentre cercava di capire cosa gli stesse succedendo.
Pensò a Iwaizumi, il suo amore, ogni ricordo era al suo posto. Erano sempre stati loro due, gli inseparabili…
Un senso di disagio lo pervase quando tentò ancora di farsi venire in mente chi fosse Matsukawa… e il suo nome?
Se non ricordava nemmeno il nome, probabilmente non era stato un amico così importante… vero?
Non riusciva più a reggersi in piedi mentre il cuore gli rimbombava nelle orecchie con tanta forza da assordarlo.
Il problema con la guardia era ormai dimenticato mentre sondava la propria memoria alla ricerca di buchi e incongruenze.
Gli si appannò la vista.
Cercò di calmarsi e si sedette prendendo un bel respiro profondo.
Stava bene, vero?
Non lo stavano sottoponendo alla cura, quindi non correva il pericolo di perdere i propri ricordi, di perdere tutto.
Vero? VERO?!



Spazio di OnnanokoKawaii :3
Bene bene.... come promesso Ushijima non è un cattivone, è un ragazzo solo e un pò incapace a rapportarsi. Non avrà una parte rilevantissima ma sarà determinante per arrivare al finale. 
Se questo capitolo vi è piaciuto lasciatemi due righe sulle vostre impressioni,  se non vie è piaciuto sarei felice di conoscere le vostre opinioni in modo da poter correggere il tiro :)
Alla prossima puntata!!! Spero di aggiornare presto! 


 

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Capitolo 10
*** Stolen Innocence ***


Eppure nelle numerose partite di pallavolo che aveva affrontato e tra le svariate nuove conoscenze che aveva fatto non riuscì a trovare l’ombra di quell’amico.
Passò al periodo del liceo, ma nemmeno passando in rassegna quegli anni trovò traccia di lui.
Che strano.

Il senso di incompiuto, di irrisolto, di ingiusto continuava a tormentarlo e iniziarono a frullargli in testa dubbi e sospetti sull’efficacia delle sedute con la Dottoressa e sulla modalità con cui venivano eseguite.
Davvero le pillole che gli venivano date servivano a focalizzare i suoi pensieri? 
Le parole della Dottoressa erano sincere? Oppure lo stava prendendo in giro per far sì che non creasse problemi?
Non  andò in sala comune. Per quelli che avrebbero potuto essere giorni rimase a scavare dentro se stesso alla ricerca di un qualsiasi ricordo legato a Matsu...kawa? senza trovarne, nonostante fosse sicuro che non gli mancassero passaggi fondamentali della sua vita.
Non resistette e senza sapere bene dove andare iniziò a vagare per i corridoi, alla ricerca dell’unica persona che poteva considerare amica lì dentro: Ushijima.

Vagò per i corridoi asettici e identici gli uni agli altri fino a quando non perse completamente l’orientamento. Non incontrò mai nessuno nel tempo sospeso che trascorse bighellonando in quel mare bianco candido, finchè non tornò in uno dei corridoi su cui si affacciavano altre stanze come la sua.
Erano tutte vuote e un vociare allegro proveniva da quella che pensava essere la sala ricreativa. Cambiò direzione e voltò l’angolo per tornare in camera sua, per poi andare a sbattere contro il corpo sodo e massiccio della persona che aveva cercato senza successo.

-Oikawa. Cosa ci fai qui? Non dovresti vagare per i corridoi, ormai è quasi ora di cena.

Mentre lo aveva davanti non trovò il coraggio di dar voce ai propri timori, così si limitò ad annuire e andarsene.
Ma non andò lontano, perchè voleva quelle risposte e in un modo o nell’altro le avrebbe avute.

-Sta...sera ti va di venire a farmi… compagnia?

L’altro accolse la sua richiesta con la solita espressione neutra e impassibile. Dopo quello che parve un tempo infinito annuì prima di voltargli le spalle e andarsene in silenzio.
Qualcosa si mosse dentro Tooru. Vedere la schiena della guardia, sentire i suoi passi che si allontanavano risvegliarono qualcosa. 
Un dolore sopito.
Non voleva che qualcun altro andasse via. Non voleva essere di nuovo lasciato solo. Sapeva che l’invito di quella sera equivaleva a dare qualcosa in cambio. Era consapevole del prezzo da pagare ma doveva sapere se la Dottoressa aveva messo in atto la cura senza avvisarlo, raggirandolo. 

Scosse la testa cercando di schiarirsi le idee, ma non ci riuscì e il dolore al petto lo colse di sorpresa levandogli il respiro. In un attimo la vista gli si appannò tanto che tutto divenne bianco, non c’erano più pareti e pavimento, non c’erano più le porte ma solo un mare bianco, accompagnato dal rombo nel suo cuore impazzito.

Stese una mano alla ricerca di qualcosa di solido a cui appoggiarsi. Il freddo del muro lo confortò abbastanza da permettergli di prendere un vero respiro e di calmarsi abbastanza da mettere a fuoco il corridoio ormai deserto.
Facendosi coraggio e ignorando i battiti furiosi del proprio cuore lentamente si incamminò verso la sua camera. Doveva riflettere su come intavolare il discorso con Ushijima, su come sondare la sua lealtà nei propri confronti e nei confronti del Programma prima di agire e decidere come pagare le eventuali informazioni. 
Il solo pensare all’eventualità di una simile richiesta da parte del secondino lo fece rabbrividire. Ma di cosa? Era repulsione quella sentiva strisciare sulla pelle al pensiero di quali potessero essere le richieste del ragazzo oppure era necessità?

Attese seduto alla scrivania che arrivasse la solita storpia inserviente che in silenzio gli consegnò il vassoio con il pasto caldo comprendente riso e pollo.
Aspettò che la donna uscisse col suo passo strascicante, poi, incerto se aspettare Ushijima per mangiare o meno, decise di fare un patto con sè stesso: se il secondino non fosse arrivato nel giro di cinque minuti avrebbe mangiato da solo.
Detestava il cibo freddo.

Aveva finito di mangiare da un po' e si era ormai convinto che Ushijima non gli avrebbe fatto visita quando, proprio nel momento in cui le luci si spegnevano nello stabile, il ragazzone entrò in camera sua senza bussare.

-Pensavo non venissi.

Lo vide fare qualche passo per arrivare davanti a lui. Nel buio della stanza faceva fatica a distinguere la sua massiccia figura.

-Ho avuto da fare. Ci sono stati dei problemi in Sala Comune e siamo dovuti intervenire.

Doveva essere successo qualcosa di grosso. Chissà se gli avrebbe dato qualche informazione utile.

-Capisco. Se vuoi riposarti non ti trattengo.

Una via d’uscita? Davvero voleva rinunciare a chiedergli cosa ne fosse stato di Matsu...? Non ricordava il nome...
Vide la sagoma del secondino scrollare le spalle.

-Sono venuto, no? Tanto vale che mi dici quello che devi.

Il tono era aggressivo o era solo una sua impressione? Poi lo colse una folgorazione. Non era bravo con le persone e probabilmente visti gli ultimi sviluppi tra loro Wakatoshi pensava di aver rovinato irrimediabilmente  la loro neonata amicizia.

-Hai ragione. Volevo chiederti cosa c’è dentro alle pillole che mi date quando vedo la Dottoressa Namba. 

Lo vide rilassarsi con un sospiro di sollievo.

-Sono principi attivi che stimolano o rilassano le sinapsi. La pillola rossa le stimola in modo che ti sia più facile collegare le tue reazioni sentimentali agli eventi che realmente le hanno provocate e la pillola gialla le rilassa in modo da non sovraccaricarle oltre il necessario dopo l’utilizzo della prima pillola.

Sembrava una filastrocca imparata a memoria. Lui di certo non voleva la verità di comodo, voleva la realtà dei fatti. Nuda e cruda.

-Voglio sapere se possono danneggiarmi il cervello. Voglio sapere insomma se hanno tra gli effetti collaterali la perdita di memoria a breve o a lungo termine. Voglio capire cosa mi sta succedendo.

Una strana tensione irrigidì le spalle solitamente rilassate di Ushijima, ma fu un cambiamento talmente rapido e impercettibile che Oikawa non fu in grado di scorgerlo. Il secondino si mise le mani sui fianchi con fare indignato.

-Tra gli effetti delle pillole non c’è alcun sintomo di questo genere, se non ti fidi di me puoi anche chiedere alla Dottoressa. Probabilmente ti stai autosuggestionando. Sei arrivato qui talmente prevenuto…

Sospirò pesantemente.

-... che ad ogni dettaglio non fai che trovare una connotazione negativa.  Qui nessuno vuole farti del male. Quando te lo infilerai in testa?

Un altro sospiro ruppe il silenzio della stanza. Era davvero così? Tutti i suoi dubbi e i suoi timori erano legati al pregiudizio che aveva nei confronti del Programma? Era davvero così condizionabile? Vedeva solo quello che voleva vedere oppure i suoi timori erano fondati? Doveva credere a Wakatoshi Ushijima?

-Forse hai ragione… Immagino di essermi spaventato perchè non riesco a ricordare il nome di un amico che credevo essere stato importante. Sono stato un’idiota. Vuoi sederti?

Sapeva di trovarsi in una situazione pericolosa e che il suo invito poteva suonare come un permesso, ma non voleva restare solo. Il buio della stanza, il cervello fin troppo sveglio dopo un altro pomeriggio trascorso a dormire dopo la seduta rendevano fertile il terreno delle congetture e il tempo durante la notte non gli sarebbe mancato.
Era pericoloso per lui pensare troppo. Era sempre meno lucido e il suo pregiudizio a quanto pare lo rendeva tutt’altro che saggio e obiettivo. 
Doveva distrarsi e chiacchierare con il solo ad essersi dimostrato amichevole.

-Quante altre sedute pensi che farò? 5? 10? Mi preoccupo perché mi sento sempre più stordito… e ne ho fatte solo due... Non vorrei che peggiorasse.

Quel dialogo al buio stava prendendo una piega inaspettata. Chi avrebbe mai immaginato che si sarebbe aperto così tanto con un ragazzo che conosceva appena? Vedere la sagoma scura del guardiano incombere su di sé invece di essere fonte di ansia era quasi rassicurante. Non sentiva più il bruciante vuoto che la solitudine scavava dentro di lui, il dolore vivo si era ridotto a sordo pulsare vuoto del cuore. 

-Credo che la Dottoressa deciderà di fartene fare ancora una o due, ma non sono un medico. Sei tra quelli che reagiscono meglio per ora. Ah e… hai fatto tre sedute, non due.

Era uno di quelli messi meglio. Questa consapevolezza lo fece rilassare un poco. Probabilmente avrebbe terminato presto la cura e sarebbe stato uno dei pochi a ricordare cosa succedesse dentro le cliniche del Programma. ma… aspetta…

-Tre? No… ne ho fatta una conoscitiva… quella in cui la Dottoressa ha deciso di non sottopormi al ricondizionamento… e… la scorsa…  quella in cui… in cui abbiamo parlato di… 

Il terrore lo assalì con una velocità e una potenza mai provate in precedenza. Così come la realizzazione che, nonostante le parole rassicuranti della Dottoressa e le migliori intenzioni che si era illuso avessero i creatori del Programma,  gli stavano davvero rubando i ricordi. Lo avevano preso in giro? Lo avevano illuso? Lo avevano riempito di speranza per indurlo a collaborare e lui cosa aveva fatto? Gli aveva offerto i propri ricordi su un piatto d’argento.
Gli tremavano le mani e la sua mente era talmente in subbuglio che nel buio perse la percezione della presenza di Ushijima. 

-Oddio. Cosa… Cosa mi sta succedendo? Perchè non ricordo nulla?!

All’improvviso il fiato gli si mozzò in gola mentre miriadi di puntini luminosi iniziarono a danzargli davanti agli occhi sul fondo buio della stanza. 
Perse completamente  ogni punto di riferimento, gli sembrava di annegare e insieme di precipitare mentre lo stomaco era chiuso in una morsa dolorosa.

-Oikawa respira, calmati. Ora passa tutto.

La voce di Wakatoshi suonava distante e ovattata alle orecchie di Tooru mentre il suo cuore lo assordava battendo forte come un tamburo da guerra. Ma prese comunque un respiro tremante.

-Calmati. Ecco, così, bravo. Prendi un altro bel respiro.

Ciecamente obbedì, nel tentativo di placare la furia dei propri sensi, e fu in quel momento che il suo corpo iniziò a tremare incontrollatamente. Si morse la lingua quando iniziarono a battergli i denti. Sentì il sapore del sangue ancora prima del dolore.

-Oikawa, calmati, respira e cerca di rilassarti… merda! 

Ormai era impossibilitato a fare qualsiasi cosa non fosse raggomitolarsi sul pavimento dove non ricordava di essere caduto e cercare di cavalcare come possibile le ondate di tremori incontrollabili accompagnati da urla strazianti. Nel delirio dei suoi denti battenti e del ronzio nelle orecchie avvertì un lieve pizzicore si un braccio e in qualche secondo tutto il suo corpo iniziò a distendersi.

Rimase cosciente, o per lo meno gli sembrò di essere in grado di capire cosa stesse succedendo mentre si era rintanato nella propria testa e mani gentili lo sollevavano dal pavimento gelido e lo adagiavano con cautela sul letto soffice.

-E’ andato in shock. Ha capito che qualcosa non andava nella sua testa e all’improvviso è crollato.

La voce di Ushijima era leggermente alterata, più acuta, meno composta e impersonale. Cosa voleva dire? Avrebbe voluto guardarlo per vedere nei suoi occhi cosa stesse pensando ma le sue palpebre erano così pesanti che non riusciva a sollevarle.

-Era solamente questione di tempo prima che se ne accorgesse. Ha una mente brillante e un intuito davvero strepitoso. Uno stratega nato. 

Un sospiro ruppe il silenzio che aveva seguito quella frase rivelatrice.
Aveva perso.
La sua battaglia era finita ancor prima di iniziare. Tutta la sua intelligenza, tutta la sua determinazione. Tutta la fottuta volontà che credeva di avere erano state inutili. Accolse come una benedizione il buio che calò su di lui.

Quando aprì gli occhi Tooru vide solo nero. 
La sua stanza bianca nella bianca struttura segreta del Programma immersa nel buio notturno.
Quell’organo governativo aveva gestito il suo caso magistralmente spegnendo sul nascere la sua resistenza, quietando la sua ritrosia e la sua avversione nei confronti di una cura che invece di ridare integrità alle menti fragili corrotte dalla malattia le  distruggeva.
Iwaizumi.
Il suo amico, il suo amore, la sua vita. Chissà quanti amici aveva dimenticato. Quanti volti e ricordi gli avevano raschiato via dalla mente mentre credeva di avere la situazione sotto controllo.
Rabbrividì. Il suo corpo si scosse sul letto e qualcuno si avvicinò a controllarlo entrando nel suo campo visivo.
Ushijima. Traditore. Lui sapeva.

-Bastardo…

La sua voce era roca e quella singola parola aveva prosciugato l’aria dei suoi polmoni e scorticato la sua gola riarsa.
Il viso del ragazzo rimase stoicamente inalterato.

-Non parlare, Tooru. La crisi di panico è stata violenta. Hai urlato così tanto da scorticarti la gola.

Oikawa lo ignorò.

-Tu lo sapevi…-

Ushijima annuì serio.

-Sapevi che… mi stavano… mutilando…

Il sorvegliante scosse la testa. Sembrava veramente in pena dopo l’ultima frase pronunciata in un sussurro da Tooru.

-Ti stanno curando. Non lo capisci ma quando sarai libero da tutto ciò che ti provoca dolore sarai di nuovo te stesso. Io lo so. Io sono sopravvissuto.

Alla luce di quella rivelazione un pò dell’ira del giovane si attenuò. 

-Hai fatto la Cura? Non ti manca ciò che hai perso?

L’altro si strinse nelle spalle troppo larghe facendo un passo avanti.

-Non può mancarmi qualcosa che non ricordo. Non avevo famiglia. Quello che ho lasciato non era poi così importante se nessuno è venuto a cercarmi.

Da quella prospettiva il modo di fare di Wakatoshi assunse un nuovo significato. La sua dedizione al Programma, la sua assoluta fiducia nelle potenzialità della Cura, il suo essere favorevole a fare tabula rasa nei ricordi di giovani malati…

-Io non voglio perdere Hajime…

Finalmente lo disse. Prima di dire addio doveva parlarne con qualcuno. Doveva far uscire il gusto dolceamaro di quel sentimento prezioso e inconsistente che tuttavia gli gravava sul cuore.
L’altro annuì serio.

-E’ necessario eliminare la fonte della tua depressione Tooru. La sua decisione di consegnarsi e quindi il suo desiderio di abbandonarti  ha portato la tua mente  emotivamente troppo oltre. 

Fece una pausa lunga e calcolata.

-Quando non saprai più chi è, non ti mancherà, non sentirai più dolore nè perdita e non ti brucerà il tradimento.

A quelle parole il paziente si mosse sul letto, scomodo nella propria pelle. Aveva negato con tutto se stesso di provare quei sentimenti. Aveva estromesso dai propri pensieri tutto ciò che non designava Hajime come una vittima, ma quelle parole erano vere.
Si era sentito solo, molto più solo di quanto avrebbe mai potuto descrivere o immaginare, aveva sentito dolore nel buco vuoto che aveva lasciato la scomparsa del Suo Iwaizumi ma insieme a tutto ciò aveva anche  dovuto congelare con forza il bruciante senso di rabbia dovuto al tradimento del suo unico amore che nel giro di poche ore aveva deciso di abbandonarlo.
Aveva sentito rompersi qualcosa dentro quando aveva realizzato che il suo ragazzo si era consegnato spontaneamente. E poi… 
Rabbia.

-Tu non sai… niente.

Lo sguardo che si vide rivolgere era un misto di ammirazione e compassione.

-E’ vero. Ma non cambia le cose. Lo dimenticherai che tu lo voglia o meno e guarirai. Questo è ciò che conta.

No. Non avrebbe mai voluto scambiare la sua angoscia per un benessere fittizio in un mondo dove Iwa-chan non esisteva nel suo cuore.
Stava per rispondere quando qualcuno fuori dal suo campo visivo disse qualcosa a Ushijima, che dopo una breve occhiata e un cenno del capo si allontanò con passo deciso chiudendosi la porta alle spalle.

Il tempo trascorse stranamente lento mentre Tooru cercava di trovare un barlume di speranza nel mare di straziante disperazione che minacciava di sommergerlo. La prospettiva di perdere tutto ciò che avesse di caro al mondo lo atterriva e lo riempiva di una fredda e cruda paura. 
Chi sarebbe stato una volta dimenticato Iwazumi Hajime? Cosa sarebbe diventato senza la persona che più al mondo aveva condiviso con lui la vita?
La luce di un nuovo giorno venne annunciata nella stanza dal grigiore opaco dell’alba. Era troppo presto, non era pronto a combattere. 
Non era preparato a lottare per salvare il suo migliore amico. La sua ragione di vita.
La porta della sua stanza si aprì e un attimo dopo venne richiusa con un “click” che conosceva bene. Qualcuno si era chiuso dentro insieme a lui. Qualcuno che scivolò sottolle coltri del suo letto abbracciandolo.

-Che diavolo..!

La sua voce era notevolmente migliorata. Ma quel pensiero fu scacciato dalle forti braccia che lo circondarono con delicatezza e dalle labbra morbide che dal suo zigomo scesero alla ricerca delle sue.
Raggelato inspirò il profumo di pulito di Ushijima.

-Wakatoshi… che cavolo…?! Togliti!

Il ragazzo non solo non lo ascoltò, ma sollevò un ginocchio caldo fino a infilarlo tra le sue gambe.
Oikawa rimase raggelato dalla risposta del suo corpo.

-Lasciati andare Tooru. Lascia che mi prenda cura di te. Non ci sarà altro che noi domani.  Non svegliarti da solo.

Di tutte le cose che avrebbe potuto dire quelle scavarono una voragine nel suo cuore.

Solo. 

Era stufo di sentirsi solo contro tutti, di essere il solo a lottare. 
Una mano grande e pesante  gli accarezzò delicatamente una guancia per scendere subito sulla sua gola mentre il battito traditore del suo cuore accelerava.
Stava cedendo all’istinto del suo corpo anche se la mente non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Finchè avesse ricordato il suo amore per  Hajime gli sarebbe stato fedele.

-No…

Una parola debole, pronunciata in un gemito che era una supplica a continuare mentre il suo corpo eccitato tremava dalla necessità di  rendergli le carezze.

-Sì Oikawa. Accettami. Saprò essere ciò di cui hai bisogno. Saresti il mio primo pensiero e la mia unica preoccupazione. Non dovresti preoccuparti  di abbandono  e di tradimento. Dovresti solamente essere te stesso e vivere nella consapevolezza che mi appartieni.

Che bella prospettiva. Non lottare per qualcosa di irraggiungibile, per qualcuno che ormai era così distante da non essere più visibile… Il ginocchio di Ushijima sfregò tra le sue gambe strappandogli un gemito mentre il suo corpo ruggiva chiedendo soddisfazione.
Quanto tempo era che non pensava al sesso? Che non pensava a Iwaizumi che lo sovrastava con la pelle madida di sudore dando le spalle alle stelle nel cielo notturno? Quanto era passato da quando si era lavato via l’erba dalla schiena e i residui del loro amore dal corpo?
Non lo ricordava.

-Non… posso…

Continuò a mugolare quei rifiuti inconsistenti mentre Wakatoshi gli sfilava la maglia senza difficoltà baciando il suo petto liscio e sodo, giocando con la sua pelle, mordicchiando la tenera carne tra collo e spalla. I suoi respiri erano accelerati e si accorse che le sue anche si stavano muovendo da sole contro la gamba possente del suo aggressore in una danza vecchia come il mondo.  

No! Non poteva. Non avrebbe tradito Iwaizumi così. In un letto del Programma con uno dei suoi aguzzini, con un traditore. Non avrebbe lasciato decidere ai suoi bisogni fisici di cancellare ciò che la sua mente conservava con straziante chiarezza.

-NO!

Finalmente la voce gli uscì convincente. Chiara mentre con le mani spingeva via il petto marmoreo e bollente della guardia.

-Risposta sbagliata. 

All’improvviso con un colpo di reni il massiccio corpo del sorvegliante fu sopra il suo. Era pesante, caldissimo e premeva contro di lui con forza.

-Non posso, non capisci?! Io amo Hajime! Questo desiderio è vuoto! Solo necessità fisica! Non voglio che mi tocchi!

Ushijima si fermò abbassando il capo e sfiorandogli un orecchio col respiro rovente.

-Volevo che fosse piacevole, Tooru. Volevo soddisfarti e poi regalarti la possibilità di salvare un ricordo dalla seduta di domani. Ma tu non ci senti.

Tornò a premerlo sul materasso mentre il significato delle sue parole si faceva strada tra la rabbia e il bisogno del ragazzo sotto di lui.

-Salvare… un ricordo?

Nel grigiore tenue dell’alba la guardia portò una mano ai pantaloni e gli mise davanti agli occhi una pillola scura.

-Prendendo questa ti verrà sonno. Prima di crollare dovrai concentrarti su un solo ricordo. Uno soltanto, sennò non funzionerà. Ma quel ricordo sarà salvo. 

Ora tutta l’attenzione di Tooru era rivolta a quella minuscola pillola scura e seguì con gli occhi la mano di Wakatoshi posarla sul suo comodino.

-Se fai il bravo l’avrai, altrimenti domani scorderai ogni cosa come dovrebbe succedere. 

L’impatto di quel ricatto fu devastante.

Doveva scegliere se tradire Iwaizumi per non dimenticarlo oppure se restargli fedele e dimenticarlo per sempre.
Cosa doveva fare? Sapeva di avere poco tempo ed era consapevole di desiderare più di ogni altra cosa la possibilità di non perdere il suo amore.

-Io… lo… farò…

Quella frase lasciò le sue labbra tremanti scivolando come bile. L’orrore di ciò che stava per fare lo scosse fin nell’anima. Non fece in tempo a prendere un respiro che le labbra di Ushijima calarono implacabili sulle sue sgominando le sue difese e invandendo la sua bocca con prepotenza.
Il grosso corpo eccitato che lo schiacciava divenne una massa calda e oppressiva mentre grosse mani iniziarono a scorrere febbrili sulla sua pelle massaggiando, palpando e toccando in una rincorsa troppo breve.
Suo malgrado Oikawa si eccitò e quando una mano del suo amante raggiunse l’elastico dei pantaloncini leggeri, non riuscì a trattenere un gemito impaziente nonostante la sua mente continuasse a urlare che no, non avrebbe dovuto reagire così per mano di un’altra persona.

Denti delicati e implacabili gli morsero le labbra per poi spostarsi all’orecchio e al lobo sensibile e delicato. All’improvviso con un movimento brusco il sorvegliante gli calò i pantaloncini e i boxer  divaricandogli le gambe. Il terrore serpeggiò forte nelle sue membra ma prima che riuscisse a spingerlo via una mano forte gli imprigionò i polsi sopra la testa.

-Mi hai detto sì. Ora mi darai ciò che desidero e se sarà bello…. avrai quella pillola.

Non poteva muoversi così schiacciato e immobilizzato mentre quel corpo grosso e pesante incombeva su di lui e sul suo inguine vergognosamente teso ed esposto.
Si odiò, Oikawa per quella reazione fisiologica, ma il peggio venne quando un gemito tutt’altro che rabbioso lasciò le sue labbra nel momento in cui Ushijima usò il palmo della mano su di lui.
 
Era troppo. 
Il suo cuore e la sua testa volevano che si scostasse, volevano che reagisse, ma il suo corpo era vittima dei suoi bisogni, della lussuria che lo aveva sempre caratterizzato. Lacrime calde iniziarono a rigargli le tempie colandogli nelle orecchie in silenzio mentre si ripeteva come un mantra “Così ricorderai” ... “ricorderai Iwaizumi”...
Quando la bocca di Wakatoshi lasciò il suo petto il pensiero si schiarì un poco, giusto il tempo di esultare prima che che quelle labbra roventi calassero su di lui stringendolo in una vellutata morsa umida. 
Era al limite. Il lungo digiuno, la tensione e la paura avevano già logorato la sua resistenza; il suono umido del risucchio, la calda morsa che lo stringeva  e la rabbia verso se stesso fecero il resto.
L’orgasmo detonò serpeggiandogli lungo la schiena mentre le lacrime continuavano a scendere e il suo cuore a sanguinare battendo impazzito nel petto.

-Sei stato veloce.

Nel delirio la voce ovattata di Ushijima fu come un pugno. Era venuto. Aveva provato piacere tra le braccia di un’altra persona. Si odiò con rinnovata rabbia mentre provò a scostarsi senza successo. Il corpo del sorvegliante era pesantissimo e lo bloccava contro il materasso.
Gli formicolavano le mani nella forte stretta di Wakatoshi e gli doleva il labbro che si era stretto tra i denti nel tentativo disperato di bloccare le reazioni del suo corpo con il dolore.

-Ora viene il piatto forte… Stai buono ok? Cerca di godertelo, perchè i prossimi giorni saranno deliranti e sicuramente avrai bisogno di un bel ricordo a cui aggrapparti.

La voce era carezzevole e forse era venata da quello che sembrava…. rimorso? 
No. Non poteva essere. 

-Ehi no!

Si dimenò cercando di sfuggire alle dita della guardia che esploravano le sue zone più delicate. Zone a cui solo Iwaizumi aveva avuto accesso.

-Hai detto sì. Vuoi la pillola o no? 

Deglutì. Voleva quella pillola con tutte le sue forze ma quel che stava per succedere era così sbagliato che la nausea minacciò di travolgerlo. Piano annuì strappando un verso strano al suo aguzzino che ricominciò a esplorarlo con dita delicate.

Fu più forte di lui, il senso di orrore lo sommerse e il suo corpo già stremato iniziò a tremare con forza.

-Non basta un pò di tremarella per farmi desistere, Tooru.

Detto questo scuvolò nel suo corpo con un dito. Oikawa non riusciva a non provare aspettativa, necessità e lussuria mentre le terminazioni nervose si riattivavano in ondate elettriche. Le lacrime caddero ancora copiose mentre il mastodontico corpo statuario sopra di lui si sollevava.
Venne rigirato come una bambola di pezza fino a trovarsi prono, le mani ora libere dalla presa del suo aguzzino e il corpo schiacciato contro le lenzuola umide. Gli ci volle qualche secondo per realizzare cosa stava per succedere. 
Era giunto il momento. 

-Ora fai il bravo…. lascia che sia io ad amarti… Qui non c’è Iwaizumi Hajime e domani non esisterà nemmeno più. Scegli me…

Parole sussurrate. La voce era così seria eppure terribilmente espressiva e vulnerabile. Avrebbe preso lo stesso ciò che voleva ma gli stava chiedendo di accettarlo.
Stava cercando di non fargli più male del dovuto. Di non violare anche la poca libertà di scelta che aveva.
Ma non poteva.
Non avrebbe mai potuto accettare un amore che non fosse quello per Iwaizumi Hajime.
Scosse la testa strappandogli un sibilo di dolore. 
Era felice di averlo ferito eppure provò anche pena per quel ragazzone incapace di trattare le persone e senza nessuno al mondo che lo amasse come tutti dovrebbero essere amati. Provò compassione per il ragazzo che lo stava torturando nel più dolce e crudele dei modi. Perdonò la disperazione con cui stava per violare il suo corpo alla disperata ricerca di calore e accettazione. 

Ma non poteva lasciarglielo fare.
Mai.
Non importava che ricordasse o meno Iwa-chan. Non lo avrebbe tradito.

Quando lo sentì appoggiato su di sè scattò. Approfittando delle mani libere agguantò la pillola sul comodino e torcendo dolorosamente la schiena sotto il peso del ragazzo riuscì a sbilanciarlo e farlo cadere di schiena dal letto.
Il colpo fu duro e il corpo del ragazzo restò immobile, le gambe ancora per metà sul letto.

-Cazzo. L’ho ammazzato?

Ma non c’era tempo. Guardò l’ampio petto scolpito del giovane e notò un lieve movimento ritmico.
Respirava. Bene. Per paura che si svegliasse Tooru decise di chiudersi in bagno puntellando con lo schienale della sedia la porta.
Si sedette a terra e guardò la pillola nella sua mano.
Aveva poco tempo. Quale ricordo avrebbe dovuto salvare? Il loro primo bacio? La dichiarazione di Hajime? Una loro partita a pallavolo?
Poi ebbe una folgorazione: le foto nascoste nel materasso in camera sua. Concentrandosi su quelle si fece coraggio e ingoiò la piccola pillola scura. Nel giro di qualche secondo la nebbia del sonno inziò ad assalirlo.
Mentre sprofondava nell’incoscienza il suo unico pensiero furono quelle foto nascoste.





SPAZIO DELL'AUTRICE

Ed eccomi ritornare dopo mesi di silenzio e dubbio. Ho cercato di accontetare chi non voleva Ushijima come un cattivone senza stravolgere quella che era la trama che avevo in mente. Spero di essere riuscita a renderlo... meno odioso.
Detto questo... chiedo ancora mille scuse per la prolungata assenza. >.< Gommenasai minna san!

Alla prossima con la seduta definitiva e tutte le conseguenze del caso!

OnnanokoKawaii XO XO

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Capitolo 11
*** Goodbye again ***


Ed eccomi tornata con un nuovo straziante capitolo!
Per una resa perfetta consiglio, nel "momento in cui gli viene chiesto di prendersi un attimo alla fine della seduta con la dottoressa" (capirete di cosa parlo leggendo), di ascoltare in looploop questa canzone:

http://youtu.be/UXD52y9jsOU


L’oscurità lo abbandonò in fretta ma lui, stordito, non riuscì a rendersene conto. Quando tornò consapevole di sè stesso tutto quello che riuscì a pensare fu la brutalità di ciò che era successo subito prima di ingerire la pillola.
Aveva quasi tradito Iwaizumi.

Era stato brutalmente tradito dal suo stesso corpo, troppo preso dalle emozioni dolci e calde che le mani di Ushijima gli avevano suscitato.
Wakatoshi.
Chissà se si era ripreso. Se si era reso conto di ciò che era successo e se ricordava.
Si mise seduto appoggiando la schiena contro al muro con un gemito.

-Oikawa.

La voce di Ushijima era soffocata dalla porta chiusa e bloccata dalla sedia.

-Non ti avvicinare.

La sua suonò soffocata dal terrore e dall’incertezza.

-Stai bene?

Che strana domanda posta da qualcuno che aveva fatto di tutto per ferirlo.
No… non ferirlo. Per non farsi ferire da un suo rifiuto.

-Sì…

Che altro poteva dire? Fisicamente stava bene. La pillola non aveva dato alcun effetto collaterale strano, per quel che poteva sentire.

-Ok. Io… adesso me ne vado. Ok?

La voce si stava allontanando dalla porta.

-Vai.

Le sue parole caddero nel silenzio assoluto e lui attese. Attese un tempo che gli parve infinito, finchè non fu sicuro che nella stanza non ci fosse davvero nessuno e solo in quel  momento decise di spostare la sedia e uscire dal bagno.

La stanza era deserta.
Basandosi sul sole che filtrava dalla piccola finestrella in alto capì che era ancora mattina.  Il letto era fatto. La colazione era sulla scrivania.
Circospetto fece qualche passo e una volta acquistato coraggio si lanciò sul cibo, perché le emozioni e l’adrenalina lo avevano prostrato più di quanto avesse previsto.
Proprio mentre posava il bicchiere di latte ormai vuoto la porta della sua stanza si aprì e una guardia che non conosceva entrò con lo sguardo vuoto che aveva caratterizzato Ushijima fino a poco tempo prima.    

-Tooru Oikawa, è l’ora della seduta con la Dottoressa Namba. Seguimi.

Cosa doveva fare? Ushijima aveva riferito della pillola e adesso erano venuti a dargli qualche schifezza per inertizzarne l’effetto? Doveva seguire da bravo la guardia che sembrava uno zombie oppure opporre una fiera ed inutile resistenza?
Non riusciva nemmeno a pensare che tutto ciò era accaduto poche ore prima divenisse inutile. Se, come era presumibile, Wakatoshi avesse riferito ciò che era successo la sua speranza di ricordare era inutile. Eppure... eppure non era certo che l'Istruttore avesse avuto così tanta fretta di fare rapporto alla Dottoressa. In fondo aveva cercato di barattare una pillola che contrastava la Cura per dei favori sessuali. 
Tooru si interrogò.
Quello che sapeva di lui era poco ma riflettendo sul disperato bisogno di accetazione che sembrava animare ogni gesto del ragazzone, probabilmente non avrebbe rischiato di far perdere fiducia in lui alle sole persone che avevano avuto un minimo di riguardo nei suoi confronti dopo che gli avevano tolto tutto. Rinfrancato un poco da questa conclusione alzò lo sguardo e decise di andare incontro al suo destino.

Fece un passo verso il secondino vestito di bianco, che annuì senza cambiare espressione prima di voltarsi e uscire dalla stanza, avviandosi per il corridoio.
Con qualche secondo di ritardo Oikawa si trovò a seguirlo, cercando di immaginare cosa sarebbe successo da lì a poco.

Arrivarono davanti alla porta dello studio della Dottoressa, una stanza calda e rassicurante con una splendida vista sul verde vivace del giardino ben curato che circondava la struttura.

-Benvenuto Tooru. Ho saputo che sei preoccupato per i possibili effetti collaterali delle nostre pastiglie.
Fece una pausa ben studiata per scrutare la sua espressione. Ma parve non vedere nulla di insolito. Un piccolo moto di entusiasmo lo animò. In apparenza l'istruttore era stato zitto.

-In effetti ne ho fatto cenno alla guardia. Ushijima mi pare che si chiami.

La donna piegò le labbra laccate di rosso scuro in un sorriso gentile.

-Spero che la spiegazione che ti ha fornito sia stata sufficiente a placare i tuoi timori. Sappi comunque che questa sarà la tua seduta finale.

Sorrise di nuovo, ma la sua espressione rimase distaccata mentre il luccichio dei suoi occhi scuri aveva un che di crudele.
Oikawa non potè evitare di reagire.

Il suo corpo stremato dall’eccesso di adrenalina e la sua mente provata dalla cura e dallo stress aggiuntivo dovuto alla situazione con Wakatoshi avevano eroso il suo autocontrollo, che finì in pezzi quando divenne consapevole che era arrivato il momento.

Avrebbero cercato di cancellare Hajime.
Fu proprio la sua presa di coscienza che diede alla Dottoressa l’indizio che andava cercando.

-Devi dimenticarlo, Tooru. Devi liberarti dei fardelli e del dolore per condurre una vita libera e piena di felicità.

Non rispose. Cosa avrebbe potuto dire? Ogni parola gli sembrava ovvia, superflua, parte di un copione che non voleva recitare.
Poi la furia si diffuse in lui come una palla di fuoco.

-Potrà cancellare il suo nome e il suo volto dalla mia testa Dottoressa. Ma non potrà cancellare il graffio che Hajime ha lasciato nel mio cuore. Quello non potrà toccarlo. Sarà al sicuro per sempre.
L’espressione trionfante della donna si irrigidì appena.

-Sentimenti. Che bella cosa. Hai ragione Tooru, posso agire solo sulla tua testa, ma sappi che troppo spesso senza un significato e senza un volto anche il più forte dei sentimenti si spegne.

Con un tiepido sorriso soddisfatto si sedette elegantemente dietro alla pesante scrivania.

-Prendi la pillola.

Non era un suggerimento, non era nemmeno una richiesta.
Era un ordine, e Tooru capì che in quel momento stavano giocando a carte scoperte. Ma anche sapendolo non poteva far nulla. Rifiutare avrebbe solo innescato le misure estreme che avrebbero reso più radicale la pulizia dei suoi ricordi. Non poteva permettere che accadesse.
Non poteva finire come Iwaizumi. Lui avrebbe trovato la forza di ricordare. Di riscoprire se stesso e chi fosse per lui Hajime.
Prese la pillola e la ingoiò con un lungo e lento sorso d’acqua piacevolmente fresca.

-Bene. Son contenta che tu abbia deciso di non opporre resistenza. Le cose saranno più facili ora. Il Programma sa sempre come fare il vostro bene. Ora vorrei mi raccontassi come hai conosciuto Hajime Iwaizumi e come avete trascorso questi anni insieme.

Il silenzio che accolse quelle parole non fu voluto. Tooru cercò davvero di dire qualcosa ma il groppo in gola gli impediva di pronunciare alcunchè. Il dolore sordo che provava al petto sembrava bloccare tutta l’aria nei suoi polmoni. Aprì la bocca per prendere fiato ma tutto ciò che ottenne che fu un rantolo.

-Con calma Oikawa, non avere fretta.

La voce fintamente vellutata della Dottoressa non lo rincuorò minimamente ma non volendo mostrarsi debole nei suoi confronti trovò la forza di parlare.

-Conobbi Hajime all’asilo, mi ero appena trasferito coi miei da Kyoto e non conoscevo nessuno. Ero un bambino piuttosto timido e come è risaputo la cattiveria dei bambini più essere terribile, proprio perchè non ha secondi fini. Mi trovai nel mirino del bulletto della classe, e, dopo l’ennesima litigata finita alle mani, Iwaizumi venne a sedersi vicino a me: da quel momento ad ogni tentativo del bulletto di venire a infastidirmi lui si parava tra di noi e mi difendeva picchiandolo.

Rise, sciogliendo la tensione che gli massacrava le spalle, ormai immerso in quel preciso e nitidissimo ricordo.
Raccontò di come il ragazzino mingherlino e taciturno era divenuto prima un difensore su cui contare e poi un caro amico. Ricordò le merende divise e condivise, i pomeriggi dopo le ore di scuola a giocare a pallavolo fino a quando alle medie non avevano fatto domanda per entrare nel club. Sapevano lavorare di squadra: in poco tempo erano diventati il perno del reparto offensivo e negli anni successivi avevano rafforzato non solo la loro intesa in campo ma anche la loro amicizia.

Erano in quell’età in cui le prime ragazzine iniziavano a fare la posta a Tooru, divenuto un ragazzino solare e simpatico capace di affascinare chiunque dopo pochi minuti di conversazione, mentre Hajime era rimasto taciturno, fin troppo riservato e dava confidenza solamente ai pochi amici che si erano fatti dalle medie, con qualche rara eccezione.

Narrò, perdendosi nei ricordi dei suoi sentimenti che non avevano mai trovato una destinataria, una prescelta nonostante continuasse a uscire con così tante ragazze da non poterle contare. Lì era iniziato il periodo di terrore legato alla scoperta della malattia. Il raro morbo che colpiva gli adolescenti spingendoli in una lenta spirale di depressione e follia fino al suicidio.
La paura di ammalarsi o forse il terrore che fosse proprio il suo migliore amico a contrarre quel brutto male, avevano spinto Tooru a fare chiarezza tra i propri pensieri e a dare ai musi di Hajime un nuovo significato. Corrispondevano sempre ai giorni in cui aveva un nuovo appuntamento con qualche ammiratrice.

Si perse nel descrivere il labbro sottile leggermente sporgente e le sopracciglia aggrottate del suo amato compagno di vita, mentre raccontava di come avesse capito che non avrebbe mai potuto amare alcuna ragazza perchè nessuna gli era entrata sotto la pelle come aveva fatto Hajime.

Parlò ancora e ancora di come si fosse interrogato sulla possibilità di scoprire la profondità dei suoi sentimenti e della sua acerba sessualità, con la paura di essere abbandonato. Raccontò di come la mattina di una delle tante notti trascorse a casa di Hajime, quando la malattia era ancora solo una brutta notizia sul giornale, della colazione che quest’ultimo gli aveva portato a letto.
Solo molto tempo dopo aveva scoperto che quella gentilezza, la prima di molte sul terreno sdrucciolevole dell’imbarazzo, era la risposta alle parole d'amore che aveva farfugliato nel sonno davanti ad un attonito e stupitissimo Iwaizumi.

Con un sorriso sognante ricordò quei mesi di gentilezze e piccole attenzioni che si erano scambiati l’un l’altro finchè una sera, per la precisione la sera del suo diciassettesimo compleanno dopo una festicciola al club, Iwaizumi lo aveva accompagnato a casa e poco prima di entrare nel vialetto gli aveva augurato ancora una volta "Buon Compleanno", prima di spingerlo gentilmente contro al muro e sfiorargli le labbra con le sue e fissarlo con i suoi occhi seri e penetranti.
Erano di un verde così limpido e scintillante da aver fatto immaginare a Tooru di vedervi pagliuzze blu. Nessuno dei due aveva previsto la reazione Tooru, che senza pensare aveva stretto tra i pugni la maglietta dell’amico per tirarlo più vicino anelando ad un vero bacio.

Se ne erano scambiati così tanti lì, all’ombra del muro, ridacchiando senza smettere di stringersi, di sfiorarsi i nasi o appoggiare l’una contro l’altra le fronti.
Diavolo. Non ricordava quando era stata l’ultima volta che era stato così felice, o forse sì…
Qualche tempo dopo, quando Iwaizumi aveva organizzato un campeggio solo per loro due. Non gli aveva detto dove erano diretti la mattina che erano partiti e Tooru era troppo depresso per la chiusura del club sportivo per essere davvero entusiasta di partire, ma davanti al paesaggio che li aveva accolti una volta scesi dal treno perfino il suo umor nero si era attenuato.

Colline verdi punteggiate da ciliegi in fiore si stendevano a perdita l’occhio sotto il cielo azzurro e limpido di Aprile mentre Hajime lo conduceva fino ad un piccolo laghetto, sulle cui rive si poteva godere dell’ombra di due grandi alberi di ciliegio. L’aria aveva un profumo dolce e la brezza faceva danzare i petali delicatamente rosati tutto intorno a loro.
Ricordava di aver abbracciato Iwaizumi e di avergli confessato di slancio i propri sentimenti a voce alta, facendolo arrossire sotto la pelle ambrata.
Non avevano montato la tenda, si erano subito gettati nell’acqua fredda del laghetto entrambi troppo imbarazzati per ammettere la reazione dei loro corpi ai sentimenti che scorrevano tra loro. Avevano nuotato, avevano esplorato il fondale e si erano schizzati ridendo fino a restare senza fiato.
Era stato un pomeriggio bellissimo. Ma fu dopo aver consumato una cena fredda e abbondante che la loro vita era cambiata per sempre.

Il loro rapporto era cambiato per sempre quando Hajime si era sdraiato di fianco a lui a contemplare le stelle nel cielo attraverso i rami che rilucevano rosati, baciati dal chiarore della luna.
Era cambiato tutto quando, con una sicurezza che non gli aveva mai visto, lo aveva sentito così vicino da avvertire il suo corpo bruciare, mentre il suo viso sostituiva le stelle stagliandosi in ombra sullo sfondo del cielo prima di abbassarsi, con gli occhi verdi brillanti di una promessa senza parole, fino a posare le labbra sulle sue.
Non era stato un bacio come gli altri. Era stato un bacio imperioso, un bacio di conquista con cui aveva espugnato le sue labbra e saccheggiato Tooru di tutta la ragione e di tutti suoi dubbi. Quanto bruciava il corpo di Hajime, quanto scottava la sua pelle in risposta alle prime carezze maldestre.
Stringendosi al suo corpo aveva ricambiato con egual foga i suoi sentimenti ed entrambi avevano gettato l’imbarazzo da parte.

Impacciati avevano fatto sparire i vestiti uno ad uno scoprendo e riscoprendo corpi che vedevano ogni giorno eppure mai erano stati così vicini. Pelle calda da baciare e mordere, occhi socchiusi, occhi luminosi, piccoli bassi gemiti di piacere mentre le mani esploravano con sempre meno timore, fino a quando Hajime non gli aveva chiesto, a voce bassa e con la massima reverenza, di poter avere tutto. Di concedergli ogni parte di sè.

Fu in quel momento perfetto, col mostro della malattia e della sua terribile Cura che incombevano su di loro, che Oikawa si era lasciato amare dal suo migliore amico, con la pelle sudata baciata dalle stelle in una tempesta di petali traslucidi fluttuanti nel vento notturno.
Con voce rotta raccontò ad una attenta Dottoressa di come Iwaizumi lo avesse coccolato e stretto a sè mentre i loro cuori battevano impazziti e la brezza fresca asciugava la loro pelle umida e sensibile. Rivelò di quel bracciale che gli era arrivato in dono, un semplice cordoncino di pelle con scritte le sole cose che contassero davvero.
Il bracciale che con rabbia e tristezza gli aveva lanciato alla fine del loro unico triste incontro al Centro Benessere quando Iwaizumi lo aveva trattato n on solo come un estraneo, ma anche come qualcuno di indegno della sua amicizia.
Un bracciale che non si era premurato di recuperare e che ora rimpiangeva con tutto se stesso.

Le cose avevano iniziato a precipitare quando tra i primi ad ammalarsi nella loro cittadina c'erano stati alcuni conoscenti, cari compagni di squadra dei tempi del club: ben presto la malattia aveva trasformato la loro vita in una lunga sequenza di giorni impregnati di sofferenza, speranza, terrore e tristezza da cui avevano cercato di tenersi lontani a vicenda, facendosi scudo con il loro amore e il loro unico desiderio: sopravvivere insieme.
Hajime Iwaizumi con il suo amore e il suo carattere forte aveva sorretto entrambi quando Oikawa aveva iniziato a cedere sotto allo stress, agli scrolloni emotivi e agli eventi sempre più drammatici che stringevano la loro morsa attorno al piccolo nucleo vitale. Aveva attraversato quei mesi trascinando un terrorizzato Oikawa verso il traguardo dei diciotto anni salvandolo più volte dalla caduta libera nella spirale della follia, della malattia che come un tarlo mieteva vittime in tutto il mondo.
Fino a qualche mese prima.

Non ricordava il motivo del crollo, ormai sospettava di averlo dimenticato a causa della terapia, ma ricordava bene quando il suo mondo aveva iniziato a sbriciolarglisi sotto ai piedi.
Quando il suo amore si era consegnato al Programma scegliendo di dimenticarlo, scegliendo di fuggire dove lui non avrebbe potuto seguirlo.

Oikawa prese un lento respiro e con poche frasi raccontò dettagliatamente del disastroso incontro con il nuovo Hajime. Un ragazzo rotto che non aveva idea di chi fosse  nè di chi fosse stato. Un involucro sano per una mente irreparabilmente rotta che nemmeno tutto il suo amore e tutta la sua determinazione avrebbero potuto curare mai. 
Era come se Hajime Iwaizumi fosse morto.

Finalmente tacque.
Il ticchettio dell’orologio era il solo rumore udibile nello studio fino a quando Tooru non prese il bicchiere per prendere un lungo e corroborante sorso d’acqua.
Aveva ripercorso il viale dei suoi più cari ricordi vendendoli a una persona che non avrebbe mai potuto capire cosa avesse condiviso con Hajime. Non avrebbe potuto capire la folle, ebbra, esagerata felicità che lo aveva riempito solamente all’idea che il suo migliore amico avesse deciso di amarlo con la stessa intensità con cui lo amava lui.

Era il suo tesoro più grande quella felicità, il ricordo di essa e la promessa di non smettere mai di ritenersi fortunato ad averla sperimentata, provata... condivisa.
Ora che aveva venduto quel segreto, quel tesoro, non aveva più nulla. Era come svuotato.

-Questa storia è stata molto bella, Tooru. Sono rare le persone che alla tua giovane età hanno potuto assaporare così tanto della vita. Una benedizione per certi punti di vista e una maledizione atroce per altri.

Non rispose. Non aveva più parole. Rimase semplicemente immobile a fissarsi le mani.

-Prenditi un minuto, Oikawa. Raccogli tutti i pezzi e tutti questi bei sentimenti e trova la forza di dirgli addio. Fidati. Nel tempo che ho trascorso facendo il mio lavoro ho imparato che si vive meglio quando si sistemano i propri affari definitivamente.

Cosa doveva fare?
Era così apatico e svuotato che non sapeva nemmeno da che parte iniziare ad assimilare l’idea enorme di dire addio a una parte di sè. Alla parte migliore di sè.
Quella generosa, quella gentile, quella appassionata e ridicolamente fragile che non mostrava a nessun altro se non ad Hajime.

Dire addio al suono della suo voce intensa venata di passione, dire addio al calore bruciante del suo corpo, dire addio alla sicurezza del suo abbraccio. Addio al rossore che gli tingeva le gote quando lo obbligava a dirgli “ti amo” mentre si fissavano negli occhi pelle contro pelle. Dire addio… a quegli occhi così verdi e limpidi da sembrare screziati di blu. Addio alle risate, alla sua forza d’animo, al suo coraggio e alla sua incrollabile fiducia in loro.
Doveva solo dire addio a qualcosa che aveva già perduto. Qualcosa che non sarebbe più potuto essere… eppure era così dannatamente difficile pensare di essere il solo a conservare il ricordo di una tale felicità che poteva ferire come l’arma più distruttiva.
C’era solo lui a conservare quei preziosi attimi perduti nel tempo e da lì a qualche minuto sarebbero stati cancellati per sempre. Mai esistiti. Mai vissuti.

Prese un respiro tremante mentre una singola lacrima gli solcava la guancia pallida e liscia nel momento in cui lo perdonó.
Perdonò la sua fuga, perdonò l'abbandono e smise di provare rancore per tutto il dolore e la solitudine che aveva provato da quando il suo amore gli aveva voltato le spalle rinunciando a lui, a loro.
Perdonò con il cuore di chi sa di aver provato la rabbia dei giusti per la perdita di un sentimento prezioso... così prezioso... così vitale che aveva scatenato la sua ira al pensiero che Iwaizumi avesse voluto rinunciarvi.
Perdonò quelle parole fredde che gli avevano fatto sanguinare il cuore e avevano ucciso la sua speranza di ritrovare l'amore perchè, si rese conto, erano la fisiologica reazione di qualcuno che pur essendo spaventato non era incline a mostrarsi vulnerabile e debole davanti a chicchessia, men che meno un estraneo.

Con un lungo, lento, tremante sospiro lasciò la presa. Dal dolore, dalla rabbia, dal rancore, dal rimpianto e da tutto ciò che  negli ultimi mesi lo aveva tenuto in vita, svuotando il proprio cuore graffiato e malconcio. 

-Prendi la pillola, Oikawa.

La voce della donna era gentile, carezzevole, intrisa di una strana consapevole compassione. Per un fugace momento Tooru pensò che anche lei avesse vissuto tutto ciò, ma subito dopo ricordò a se stesso che se anche fosse stato così, non avrebbe potuto ricordarlo. Il Programma non commetteva errori.
Nel suo campo visivo una mano guantata gli porse la solita pillola gialla.

Con dita tremanti la prese e se la portò alle labbra, mentre prometteva a se stesso che avrebbe trovato un modo di ritrovarsi. Lo avrebbe fatto a costo di morire provandoci.
Inghiottì il confetto color canarino e in pochi secondi una pesante sonnolenza gli offuscò la mente.
Mentre si alzava per essere accompagnato nella sua stanza udì a malapena le parole della Dottoressa:

-Ci vuole più coraggio a dimenticare che a ricordare, Oikawa Tooru.

Il percorso fino al letto fu una lenta discesa nella nebbia. La sua mente ovattata non registrava quasi nulla a livello cosciente eppure c’era come una spaccatura.
Un angolo della sua testa era terribilmente lucido e dolorosamente consapevole del fatto che proprio in quel momento il principio attivo della pastiglia stava cancellando il suo tesoro più prezioso.
Quando si sarebbe svegliato non avrebbe avuto alcun ricordo di Iwaizumi Hajime, il ragazzo che lo aveva amato sotto un cielo stellato avvolto da petali di ciliegio fluttuanti come farfalle, il ragazzo che lo aveva amato così intensamente nel loro piccolo parco segreto, che aveva asciugato le sue lacrime e bevuto i suoi gemiti, i suoi sospiri e le sue grida di agonia e di paura.
L’unica persona che avesse mai amato e che non aveva contato su di lui per uscire dalla malattia.

Con quest’ultimo pensiero anche quella piccola scintilla di coscienza si spense arrendendosi alla nebbia e al sonno. All’oblio.
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ANGOLINO DI ONNANOKOKAWAII

ecco... ora... potete uccidermi.
L'ho fatto davvero. HO DISTRUTTO TUTTO. 😒😒😒😢😧😢😵😵

sono davvero curiosa di leggere le vostre reazioni a tutto ciò.

Ora la domanda è: ci sta meglio questo finale senza speranza, un finale aperto che lascia stralci di speranza oppure un vero lieto fine?
Ho già in mente tutti e tre i finali possibili ma non so decidermi. >\\\<

Apprezzate anche la canzone, le parole sono troppo perfette per non amarla...

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Capitolo 12
*** Heart memories ***


In un turbine di eventi si ritrovò a casa sua. Nella sua stanza ordinata, nella sua casa calda e accogliente. Si ritrovò sano.

Tooru Oikawa dopo esattamente trenta giorni di permanenza fu dimesso dal Programma, iscritto alla scuola per rientranti e gli fu permesso di tornare a casa dai suoi ansiosi e felicissimi genitori.
L’accoglienza era stata commovente e molto, molto piacevole lui, la casa che gli era mancata finalmente era di nuovo casa sua così come la sua stanza e le sue cose.

Quando si trovò solo in camera sua si sedette sul letto. Nonostante la confusione che regnava nella sua testa e il senso di stordimento che, come gli avevano assicurato, sarebbe passato nel giro di qualche giorno, Oikawa si sentiva bene.  

Prese un bel respiro e rimase stupito nel riconoscere perfino l’odore di quello spazio privato e tanto personale.
Aveva avuto paura di scordare ogni cosa, di perdere tutto e invece pareva che i suoi ricordi fossero inalterati. Almeno quasi tutti.
Prima di essere dimesso aveva avuto un ultimo colloquio con la Dottoressa Namba, una donna bellissima che con calore materno aveva seguito con professionalità e competenza la sua Cura e si era preoccupata per lui quando dopo l’ultima somministrazione dei medicinali era crollato in un sonno da cui sembrava non volersi più risvegliare..
Onestamente lui ricordava poco e niente della sua permanenza nella struttura del Programma in quanto era spesso stordito dai medicinali che lottavano con la malattia per salvargli la vita.

Con un sorriso si cambiò per dormire, finalmente dopo tante notti, nel suo comodo letto.

Passarono i giorni, la nuova scuola era ariosa, luminosa e nonostante la costante presenza degli Istruttori, era decisamente più bella della sua vecchia accademia, il Seijo.
Le aule erano grandi, i dibattiti in classe erano davvero interessanti ma non  era propriamente certo che quella sensazione fosse reale e non frutto della sua mente guarita.

Nella sua classe  quel mese era stato il solo rientrante “fresco” di Cura e come tutti i Rientranti era un poco confuso.
Il suo primo giorno di scuola era stato invitato a sedersi vicino ad un tipo taciturno che al suo arrivo aveva sbuffato e dopo una truce occhiata non gli aveva rivolto nemmeno un saluto.
Un pò depresso e un pò sorpreso da tanto astio, Oikawa aveva preso appunti col doppio del suo solito impegno solo per avere qualcosa che tenesse la sua mente lontano dal rimuginare sul motivo per cui quel ragazzo lo odiasse così tanto.
Iwaizumi Hajime si chiamava.

Tutt’altra storia era stato il suo primo dialogo con Hanamaki, circa due settimane dopo: l o aveva placcato al suono dell’intervallo per presentarsi e per dirgli che prima di fare la Cura era andato a trovarlo al Centro Benessere dicendogli che erano amici d’infanzia. Non se ne ricordava.

Gentilmente il ragazzo gli descrisse il suo aspetto spiritato e le profonde occhiaie che, a detta sua, non gli donavano.
Pareva avessero finito i discorsi visto che nessuno dei due ricordava che avessero mai avuto contatti prima di quella presentazione ma il giovane Takahiro era solare e stava pian piano prendendo più confidenza con la sua nuova vita dopo la Cura quindi si offrì di fargli da spalla durante la pausa pranzo e lo invitò al Centro Benessere dopo la scuola.

Le lezioni pomeridiane stavano arrivando al termine quando un Istruttore entrò in classe e dopo averlo insistentemente guardato negli occhi con una strana luce, chiese di poter fare un colloquio di controllo al suo scontroso compagno di banco.
Non aveva mai visto quell’uomo eppure un brivido gli corse lungo la schiena e un sospiro di sollievo gli sfuggì dalle labbra quando chiese del suo vicino di banco che alzandosi sbuffò ribelle.

Non era più tornato.
Alla fine delle lezioni Tooru non era sicuro di voler andar via prima di essersi assicurato che il suo compagno di classe stesse bene. Quando Hanamaki lo invitò ad uscire, con la scusa di dover parlare con un Istruttore lo fece andare avanti con la promessa di raggiungerlo il prima possibile. Si accomodò al suo banco nell’aula ormai vuota e attese.
Poco dopo il cigolio della porta ruppe il silenzio dell’edificio quasi del tutto vuoto. Tooru si sollevò di scatto destato dal rumore.

-Ah!...

Arrossì sotto lo sguardo truce del ragazzo che con passo deciso lo aggirava per recuperare la propria cartella.

-Sono felice di vedere che stai bene Iwaizumi… san.

L’altro si bloccò a metà di un passo e lo squadrò con occhi guardinghi. Occhi verdi notò Tooru, di un verde molto scuro e brillante. Belli anche se diffidenti e tutt’altro che amichevoli.

-Certo che sto bene, quello che dovevano cancellare lo hanno già cancellato. Ora volevano solo assicurarsi che io stesi tappando i buchi nel modo corretto.

Il tono era tagliente e scontroso. Rabbioso quasi.

-Scu...scusa. Io… immagino sia vero.. Beh… sono contento che tu stia bene. Ciao.

Impacciato e ancora stordito dallo strano ronzio che aveva iniziato a sentire in testa dopo aver guardato Iwaizumi negli occhi il giovane Rientrante si alzò in fretta e corse verso la porta. Sta per uscire quando…

-Non ti ricordi di me, vero?

Il tono non era accusatorio e nemmeno stizzito come prima. Le sue dita si bloccarono sulla maniglia della porta, prima che si voltasse a guardare quello strano ragazzo così affascinante e così arrabbiato

-Noi… ci conoscevamo?

Sentiva la testa leggera, ovattata mentre cercava nella sua memoria il viso di quel ragazzo. Nulla.
Avevano iniziato a ronzargli le orecchie e la vista si stava appannando.
Che diamine gli prendeva?

-Non lo so. Sei venuto al Centro Benessere  a parlarmi a drmi che eravamo amici e che avresti voluto riallacciare i rapporti… Sembrava che ci tenessi. Eri ridicolo.

Oikawa registrò quelle parole a rallentatore in mezzo alla nebbia.

-Non… mi ricordo… io… non so… chi tu sia…

Era certo di non ricordarsi di lui, di quel viso affilato e di quegli occhi così intensi eppure sentiva il cuore battere veloce come dopo una corsa che non aveva fatto, sentiva i muscoli rilassarsi e un senso di appartenenza che non sapeva spiegare.
Voleva essere abbracciato da Iwaizumi Hajime, un ragazzo che non conosceva… che non ricordava di aver mai conosciuto.

Una fitta alle tempie  gli strappò una smorfia.

-Ahi… io… non so chi sei nè perchè ce l’hai con me ma… ora devo andare.

Scappò.
Varcò la porta correndo mentre il dolore sembrava espandersi nel suo cranio a ondate. Quando arrivò in cortile cercò di prendere fiato e calmarsi in modo da fare un rapido check up.
Si sentiva bene.
La testa si stava schiarendo e le fitte sembravano affievolirsi ad ogni battito del suo cuore. Un battito regolare, anche dopo la sua folle fuga. Che strano.

Al Centro Benessere raccontò ad Hanamaki ciò che era successo in aula e l’altro, trascinandolo in bagno, dove non vi erano istruttori, lo spinse in un cubicolo e facendosi mortalmente serio gli disse:

-La tua memoria sta cercando di riaffiorare. Quello stronzo di Iwaizumi deve averti innescato qualche tipo di reazione. A me è successo col mio primo ragazzo dopo la Cura… Akira… era tutto perfetto, stavo imparando a convivere coi buchi nella mia memoria e ricostruirmi una realtà normale… Io… noi…

Si interruppe imbarazzato per poi fare un bel respiro e riprendere a parlare.

-noi… già immagino tu sia stupito che io sia gay, figuriamoci di tutto il resto… comunque, ne parliamo dopo… io e Akira eravamo in camera mia, stavamo per arrivare al dunque quando... mi ha preso un dolore incredibile alla testa. Sono svenuto. Svenuto capisci? Stavo per fare del gran sesso e sono svenuto tra le braccia del mio ragazzo!

Oikawa era stordito. Non si stupiva poi molto al pensiero che Takahiro fosse gay, se lo era immaginato così come si rendeva conto di non stupirsi nel sapere istintivamente che il sesso tra uomini più che fare schifo era una cosa dannatamente piacevole pur non avendolo mai fatto… era così vero?
Ormai non era più sicuro di nulla.

-Ti è successo altre volte? Hai… sì insomma…. hai ricordato..?

Hanamaki scosse la testa.

-Ho avuto solo qualche flash mentre crollavo nell’incoscienza. Akira si era stufato di essere usato come cavia da laboratorio e mi ha mollato.

Oikawa annuì.

-Pensi che sia possibile ricordare? Cioè… se il dolore che ho sentito con Iwaizumi fosse dovuto alla mia memoria perduta che riaffiorava, perchè con te non è successo? Ci conoscevamo anche noi no?

Il ragazzo scosse la testa.

-La mia teoria è che il dolore sia innescato dalle sensazioni forti che qualcuno suscitava in noi. Io credo di aver avuto quei flash e quella reazione ad Akira… perchè mi risvegliava sensazioni provate con qualcun altro. Qualcuno di importante. Ne parliamo in un altro momento.Il Programma non vuole che ricordiamo.

Il pomeriggio trascorse in una piacevole atmosfera rilassata tra chiacchiere e battute coi nuovi amici di Takahiro. Lui li chiamava così, gli amici nuovi, quelli conosciuti dopo la Cura. A quanto pareva Oikawa e altri due ragazzi erano stati gli unici ad andare a trovarlo ma dopo una singola visita erano spariti.
Tornando a casa Tooru continuava a rimuginare su quanto appreso quel pomeriggio e, con gli occhi della mente, vide di nuovo lo sguardo penetrante di Iwaizumi Hajime.
Subito il ronzio salì di volume nelle sue orecchie e le tempie iniziarono a martellare.
Si appoggiò al muro di una villetta nel tentativo di riprendere fiato senza però desistere dal suo obiettivo: ricordare.

Perchè per lui fosse così importante non lo sapeva ma sentiva fin nelle ossa che era la cosa giusta da fare e, soprattutto, quella più importante.
Stringendo i denti continuò a concentrarsi sul volto del suo compagno di banco agrappandovisi come se  fosse la sola ancora di salvezza mentre il dolore gli attraversava le tempie e la spina dorsale con una forza  spaventosa.

-Ehi, stai bene? Chiamo l’ambulanza?

Quella voce estranea e familiare al tempo stesso lo strappò dalla semincoscienza.

-Sì… sto… bene…

Non fece tempo a dirlo che dovette piegarsi sotto la forza del dolore e alla violenza dei conati che gli sconvolsero lo stomaco.

-Cazzo!

Due braccia forti lo afferrarono rudemente per le spalle mentre il suo stomaco protestava ancora e ancora.
Dopo una vita, o forse solo qualche secondo, finalmente l’attacco finì lasciando il ragazzo privo di forze e sudato.

-Sto… bene… ora… grazie…

Gli rispose il silenzio e quelle braccia forti esitarono un secondo prima di sciogliere la loro stretta su di lui.

-Cosa ti è successo? Che cosa ci fai dietro casa mia?

Nonostante la confusione e i dolori assortiti Oikawa trovò la forza di stupirsi.
Era casa di Iwaizumi?

-Stavo andando a casa… poi ho cercato di… ricordare… te…

L’altro lo guardò scettico.

-Stupido, non puoi ricordare, la Cura funziona solo perchè ti levano la memoria.

Oikawa si rimise dritto e lo guardò in viso mentre con una manica si asciugava la bocca sporca.

-Tu fai quello che vuoi. Io voglio sapere chi ero prima di diventare questo patchwork di contraddizioni ambulante.

C’era molto più veleno di quanto avesse voluto nel suo tono, ma le sensazioni che scorrevano impetuose dentro di lui insieme alla... delusione? di vedere che invece l’altro non avesse alcun desiderio di ricordare lo avevano fatto arrabbiare.
Non capiva Oikawa. Non capiva nulla era sempre più confuso, sempre più debole contro il mal di testa martellante che gli impediva di pesare lucidamente.

-Capisco. Se ti scoprono ti faranno il lavaggio del cervello e diventerai davvero un patchwork di contraddizioni Tooru Oikawa. Buona serata.

A rallentatore lo vide voltarsi e allontanarsi con le spalle rigide. Qualcosa scattò nel suo cervello. Altre volte aveva visto qualcuno andar via così.
Altre volte lo avevano lasciato solo.
Altre volte lo avevano lasciato indietro.

Il dolore gli tolse il fiato mentre un grugnito strozzato gli sfuggiva dalle labbra.
Non voleva perdere i sensi, non ora che si sentiva così ferito, così confuso, così vicino…

-Ehi! Oikawa!

La voce di Iwaizumi gli giunse ovattata, da lontano mentre, nonostante la lotta contro l’incoscienza, crollava a peso morto sull’asfalto.
Il buio lo accolse e mentre ancora lottava, dalla nebbia, come un film, vide le proprie mani scavare un buco nel materasso del suo letto e spingervi dentro qualcosa.
Istintivamente sapeva che era la risposta.
Istintivamente sapeva che aveva a che fare con Iwaizumi.

Rinvenne di colpo, era a terra tra le braccia di Hajime che lo scrollava agitato.
Quando si accorse che era sveglio lo investì con tutta la rabbia che lo spavento aveva acceso in lui.

-Che diavolo hai? Ti senti di nuovo male? Perchè devi scavare dove non dovresti? Perchè ci tieni così tanto?!

Ad ogni domanda il suo tono era sempre più altero e furioso. I suoi occhi sempre più fiammeggianti.

-Voglio ricordarmi di… te.

La sua flebile risposta lo zittì. Tooru lo sentì rabbrividire contro di sè prima che emettesse uno strano suono strozzato e si portasse una mano alla testa.

-Stai ricordando? Stanno riaffiorando i ricordi… anche tu… ci tenevi a... me…

Oikawa ero incredulo, stupito; eppure il senso di trionfo che gli stava fiorendo nel petto era quasi una conferma ad una aspettativa che non sapeva di aver nutrito.

-Non ricordo nulla. Ma tu… tu mi confondi come quella cazzo di prima volta che ti ho visto al Centro Benessere.

Sbuffò.

-Eri così contento di vedermi, avevi un aspetto orribile… occhiaie, guance scavate e occhi spiritati ma cercavi di sorridere in mezzo alla nuvola di olezzo alla vaniglia che ti circondava come un mantello…. Però avevi una maglietta di Godzilla.

RIdacchiò.  Un suono strano, gracchiante, basso. Un suono che non aveva mai sentito eppure che gli sembrava così familiare, così dannatamente privato. Suo.

-Quella maglietta mi piaceva.

L’atmosfera tra loro era cambiata.
Tooru era rilassato e a suo agio nel suo abbraccio e l’altro sembrava abituato a tenerlo in quel modo come se fossero avezzi a farlo.

-Ho… ricordato qualcosa… non sono… sicuro..

Diede voce al suo sospetto e a quelle parole il moro lo fissò per un lungo istante.

-Cosa hai ricordato? Sai che… non è normale vero? Non dovresti poter ricordare…

Il Rientrante fresco di cura lo zittì dicendo con voce ferma.

-Sapevo. Sapevo che mi avrebbero preso. Non volevo dimenticare. Devono… avermi segnalato… Ho nascosto qualcosa in camera mia… Devo… Vuoi…

L’altro, ancora combattuto tra la voglia di maltrattarlo per la sua idiozia e quella di chiedergli spiegazioni si ritrovò a seguirlo in una corsa all’ultimo respiro fino a una villetta un isolato più avanti, dentro un ingresso buio, su per una scalinata di legno chiaro fin dentro la camera che presumeva essere di Toou Oikawa.
Mentre l’altro rivoltava il letto nell’impeto della curiosità e dell’aspettativa Hajime si guardò attorno notando miriadi di poster e suppellettili con astronavi alieni e costellazioni.

-Ah! Qui c’è qualcosa!

Tooru stringeva tra le mani una busta spiegazzata che aprì con mani tremanti.

La prima cosa che videro furono le foto.
Bambini. Quattro bambini di circa nove anni posavano per lo scatto orgogliosi della loro divisa da pallavolo.

-Non può essere… quello sono io…

Il bisbiglio di Iwaizumi gli giunse alle orecchie attraverso lo shock. In quella foto c’erano lui Iwaizumi Hajime e Takahiro Hanamaki insieme ad un altro bambino la cui espressione gioiosa gli procurò una stilettata al cuore.

Il dito caldo del moro sulla guancia lo sorprese. Ma mai quanto lo stupì comprendere che quel dito aveva solo fermato la lunga, lenta, discesa di una lacrima.

Mosse le dita per mostrare un’altra foto.
Erano sempre loro quattro, doveva essere stata scattata al massimo un anno prima. In silenzio, sotto lo sguardo famelico e confusio del moro scoprì l’ultima fotografia.
Erano loro due.
Abbracciati in mezzo a un prato verdissimo, circondati da petali di ciliegio.
Forse non tutto era perduto. Perchè anche se i loro ricordi erano persi per sempre, qualcosa era rimasto.
Perchè anche se non ricordavano di essersi amati i loro cuori lo sapevano.
Perchè anche se Iwaizumi Hajime non avesse mai più voluto avere a che fare con lui, Tooru sapeva che il loro era stato un amore grande. Lo sentiva ormai quel graffio sul cuore, un solco che solo un sentimento puro e profondo può lasciare.
Lo sapeva perchè quel senso di smarrimento e di incompletezza che aveva provato e che provava da quando era tornato a casa stava scomparendo.

Due mani tremanti lo presero per le spalle, sorpredendolo al punto da fargli cadere di mano il piccolo tesoro appena riesumato.
Iwaizumi lo guardava con una strana luce negli occhi. Non ricordava, non era possibile. Nemmeno Oikawa ricordava alcunchè, ma i loro corpi lo sapevano, si riconoscevano e si mossero istintivamente anche se la mente non stava al passo.

L’ultima cosa che vide Tooru Oikawa prima di chiudere gli occhi e farsi baciare, furono gli occhi di Hajime Iwaizumi, verdi, intensi, così brillanti da sembrare screziati di blu.




ANGOLO DI ONNANOKOKAWAII

Ed eccoci alla fine. Un finale agrodolce? Un fnale pieno di seranza? Non so come lo intenderete. Mentre scrivevo avevo in mente millemila cose e invece la storia ha rivoluzionato tutto da sè. 
Spero abbiate gradito questo viaggio folle e disperato insieme a me :)

Ho già in cantiere altro angst, stavolta sulla KageHina, spero di ritrovarvi a leggere a leggere ancora i miei deliri!!!

Come alla fine di ogni storia sale un pò di malinconia... vi mando un bacio e ancora un ringraziamento!!

A presto!

Marta

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