Battle Divine

di Fe_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** It's a kill or be killed game ***
Capitolo 3: *** A song of kindness and despair ***
Capitolo 4: *** Peace and War (on planet Earth) ***
Capitolo 5: *** Innocence's Death ***
Capitolo 6: *** Il significato delle metafore ***
Capitolo 7: *** Amicizie e Tradimenti ***
Capitolo 8: *** Dolci sogni ***
Capitolo 9: *** Gioco pericoloso ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Battle Divine
Prologo


➊ Emily- Rassegnazione
7.34 am, 3 marzo 2xx7, Pacific Mountain High School


Emily guardò con attenzione l'entrata della scuola, i ragazzi addentrarsi, i poliziotti armati che sostituivano gli alberi all'ingresso.
Cercava di imprimersi ogni mattina l'immagine, registrandone le stranezze per non diventarne assuefatta. I semidei che frequentavano la sua scuola erano per la maggior parte adolescenti arrabbiati, e non bisognava essere figli della dea della sapienza come lei per capire che non era una cosa saggia.
Strinse i libri al petto: il breve tragitto dai dormitori alle aule non impediva che, talvolta, alcuni bulli glieli buttassero a terra e questo rendeva i volumi scolastici ben meno lindi di quanto desiderasse. Talvolta le mancava poter stare con la sua famiglia, perché per la maggior parte di loro dalla high school in poi si veniva segregati in istituti come quello, isolati dal mondo come bestie malate, come potessero diffondere il la loro discendenza come un morbo.
Alcuni venivano segregati già dalla middle school, e talvolta vedeva i ragazzini più piccoli, dagli undici ai quattordici, andare tristemente a lezione: le loro classi erano così sfornite che ce n'erano solo un paio per anno, tre all'ultimo, e non tutte le scuole avevano le sezioni inferiori.
Sospirò, poi varcò la soglia dell'aula. La professoressa Johnson le lanciò una delle sue famose occhiatacce, i banchi erano già occupati per metà ma la donna, figlia di Mnemosine, ricordava perfettamente le abitudini degli studenti e non approvava il suo soffermarsi davanti l'istituto. Aveva oltre sessant'anni e ricordava com'era prima, quando i semidei erano liberi, protetti dall'anonimato, e trovava uno spreco delle loro risorse sperare di modificare ciò che il mondo faceva loro. Era una sconfitta, pensava Emily, ma dai suoi occhi grigi non traspariva mai il sentimento di compassione.
Prese posto al suo banco, il terzo da destra, in seconda fila, come sempre. L'abitudinaria insegnante smise subito di guardarla, poi attese il suono della prima campana per iniziare l'appello.
Il primo argomento del giorno non fu, come ci si sarebbe potuti aspettare, l'amata storia americana, ma un tema ben più triviale e preoccupante al tempo stesso: la gita scolastica.
La classe ammutolì, pendendo dalle labbra della professoressa come se questa potesse rivelare loro in anticipo se la meta sarebbe stata piacevole o mortale.

➋ Jason- Rabbia
9.12 am, 3 marzo 2xx7, Bagni maschili del secondo piano


Allen tirò un pugno al muro, con una rabbia tale da lasciare tracce di sangue sulla parete.
Non era il primo colpo che sferrava all'inanimato oggetto, ma quando vide che s'era ferito la sorellastra si mise in mezzo e gli prese il polso.
-Adesso basta, AJ. Quelle mani sono più importanti della tua solita ira.- lo ammonì, ignorando bellamente lo sguardo astioso del ragazzo.
-Certo. Non ti importa di essere parte di uno show per quegli idioti spaventati? Non ti importa di uccidere o morire per il loro divertimento?- la rimbeccò, stringendo nuovamente il pugno.
-Certo che mi importa. Ma romperti una mano non aiuterò nessuno, e posso sempre sperare che non capita a me.- rispose, apparentemente calma.
I due figli di Efesto non avrebbero potuto essere più diversi: una morbida ragazza dalla pelle ambrata ed un calmo sorriso contrapposta a lui, capelli castani ed occhi profondi come il mare, ed altrettanto inquieti. Le loro attitudini, poi, erano ugualmente diverse. Infatti il ragazzo scosse la testa, assottigliando ancora lo sguardo.
-Certo, speriamo! Speriamo che muoia qualcun altro, vero? Che siano qualcuno che non conosciamo, magari. Già che ci siamo, speriamo che la smettano da soli? Che torniamo tutti amici?!-
Victoria sapeva che il fratellastro andava solo fatto sfogare, e aveva pronunciato quella frase sciocca e piena di illusione apposta per farlo infuriare, in modo che potesse uscire dal bagno in cui lo aveva trascinato come una tranquilla, pacifica pecorella che non avrebbe attirato l'attenzione delle guardie.
Aspettò qualche altro minuto, fino a che AJ non le permise di osservare la sua mano e il pugno fu sufficientemente rilassato da non stringersi fino a sbiancare. Dopo una rapida valutazione decise che non era necessario andare in infermeria, dove avrebbero dovuto spiegare come e perché.
Si limitò a lavare la sbucciatura sotto l'acqua, poi lo ammonì con un leggero schiaffetto sulla nuca. In qualità di maggiore, si sentiva in dovere di riprenderlo e difenderlo come poteva.
-... non so come tu possa così calma, Vik. Non lo sopporto.- mormorò, uscendo dal bagno maschile in cui lo aveva rinchiuso fino a quel momento.
-Ho imparato che neanche le macchine perfette durano in eterno, e loro sono decisamente difettosi. Ancora poco tempo, e si romperanno da soli.-




ℒ''angolo di ℱe
Eccoci, speravo che qualcuno mi fermasse e invece no.
Questa fanfiction è ispirata a Battle Royale. Era in origine un crossover con Hunger Games, ma se ne vedono tanti, così magari cambiamo un po'.
Spero di riuscire a portarla a termine, mi impegnerò più possibile per renderla soddisfacente per voi.
Il numero minimo di semidei per far partire la storia è 13, anche se pensavo di fare una classe da 20-22 studenti totali; inoltre non prenderà più di metà di OC femmine rispetto al totale, perciò non fatemi solo donnine. L'altra cosa che non accetto è più di un figlio/a dei pezzi grossi, perciò se me li proponete sappiate che non deve essere un pg fatto per essere semplicemente figo.
Accetto schede fino al 28 luglio, perché domenica 20 vorrei pubblicare il primo capitolo con gli OC scelti.
Per ogni autore accetto massimo tre Oc, diversi tra loro per il genitore divino e non tutti dello stesso sesso. Le schede saranno soggette a selezione, non vale la regola del “chi primo arriva meglio alloggia” se non per il pacchetto: da 1 a 22. Questo è perché in Battle Royale viene data una sacca con una razione di cibo e acqua, ed un'arma o oggetto, entrambi più o meno utili. Per evitare favoritismi, ho preparato 22 pacchetti, ditemi quale prende il vostro con il numero e buona fortuna!
Per qualsiasi dubbio chiedete senza esitazione, anche nella recensione, potrebbe essere utile per qualcun altro~
Vi lascio la scheda da compilare, vi chiedo di usare questa- se ne avete altre già compilate copincollate le informazioni in questa.
Grazie.

Ed ora, le schede!
Dati anagrafici
-Nome e cognome, eventuale soprannome:
-Età e compleanno: i semidei son tutti nella stessa classe, al penultimo anno della High School. L'età è 16-17 anni, ma accetto anche un paio di bocciati se li volete un anno più grandi.
-Nazionalità e città di nascita:
-Genitore divino:
Rapporto con lui/lei: non devono essere riconosciuti, ma è preferibile.
-Famiglia mortale:
Rapporto con loro:

Dati psico-fisici
-Aspetto fisico:
Prestavolto:
-Descrizione caratteriale: siate originali e soffermatevi su questo punto, ditemi anche come si sente riguardo la battaglia e quanto uccidere lo/a turberebbe
Pregi e difetti:
Difetto fatale:

Dati sociali
-Modo di porsi e rapportarsi con gli altri:
Persone cui cui potrebbe/non potrebbe andare d'accordo: potete mettervi d'accordo tra di voi o fare i nomi di altri vostri Oc, oppure darmi solo linee guida
-Orientamento sessuale:
-Storia personale:

Dati generali
-Arma:
-Abilità: nulla di esagerato.
-Poteri:
-Cosa ama/odia:
-Frase di presentazione: qualcosa che lo rappresenti, che potrebbe dire o che riassuma secondo voi il personaggio.
-Altro: mettete qui il numero del pacchetto

Eventuale richiesta particolare:

Infine ecco i “piccoli” semidei presentati nel capitolo.


testo

Emily Jolene Taylor, 15 anni
Figlia di Atena



testo

Allen Jason “AJ” Smith, 17 anni
Figlio di Efesto



testo

Victoria “Vik” da Silva, 19 anni
Figlia di Efesto

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Capitolo 2
*** It's a kill or be killed game ***


Battle Divine
It's a kill or be killed game


➊ Damian- Amicizia
13.59 am, 12 maggio 2xx7, Profondo della foresta


he idea idiota.
Solo degli idealisti potevano formularla, nel gioco degli umani.
“Restiamo uniti,” aveva detto quella figlia di Thanatos, sciocca, “non possono costringerci a combattere”.
E invece potevano, quei maledetti collari sarebbero esplosi se si rifiutavano di farlo, se scappavano o tentavano di toglierli.
Perciò Damian se n'era andato, come oltre metà della classe, per esplorare da solo la scuola e se necessario anche l'intera maledetta area. Alcuni non erano una sorpresa, lui ad esempio o Lucien, figlio di Ares, o persino quell'inquietante bambola di Cordelia, mentre Diabolik o Kamura erano stati una piacevole stravolgimento dei suoi piani... certo, l'asiatico non aveva abbandonato la scuola, ma con tutta probabilità non si sarebbe messo in combutta coi pacifisti che speravano di sopravvivere facendo pigima party nelle aule in cui era morta la Johnson.
In quel gruppo di smidollati, capitanati dalla Blank, , ricordava soprattutto quel paranoico di Minori e la bella Marianne, mentre gli altri non aveva nemmeno fatto a tempo a notarli che già si era allontanato.
Che si aspettavano, di essere lasciati vivi per il solo amore tra compagni di classe? Poi, quando aveva visto che non tutti abboccavano, Alysse aveva continuato.
“Noi non vogliamo ferirvi,” e il ricordo ancora suscitava una smorfia sprezzante nel ragazzo. Certo, non volevano, ma erano obbligati fa persone stupide, persino più stupide di loro, e dal proprio desiderio di sopravvivere. Se non ne avevano, beh...
“E cosa ci darete in cambio della grazia?” aveva chiesto con tono arrogante Lucien, e accanto a lui Diabolik aveva incrociato le braccia, allontanandosi un poco dal fidanzato.
“Vi saremo utili.” aveva risposto Minori. “Non siamo una minaccia, ma possiamo... essere una sorta di rifugio. Medici, cuochi...”
forse non avevano desiderio di sopravvivere. Forse non volevano tornare a casa vivi, se significava sporcarsi del sangue dei loro simili.
Ma a Damian non importava. Se volevano restare a giocare al mercato che facessero, si sarebbe servito di loro e, in uno sprazzo di gentilezza, li avrebbe lasciati per ultimi. Se si fossero dimostrati persino utili, davvero, li avrebbe uccisi con un colpo letale e indolore. Per quanto possibile, ovviamente.
Si posò contro un albero, sentendo la familiare frescura della notte carezzargli le membra.
Non aveva paura, non aveva dubbi, anche se il fastidio di essere costretto ad uccidere... sapeva che era l'unica cosa da fare, e non si sarebbe tirato indietro. Odiava ammetterlo, ma avrebbe risparmiato inutili sofferenze a tutti i suoi nemici, e forse avrebbe anche provato rimorso nell'uccidere gli stupidi semidei che non volevano ferire nessuno. In un certo senso sarebbe stato più facile, se avessero deciso di adattarsi al mondo come aveva fatto lui.
Si guardò intorno: era certo che fossero in pochi ad essere usciti, e nessuno sano di mente si sarebbe addentrato tanto nel bosco. La mancanza di luce in quel momento sarebbe stata pesante per tutti, ma non per lui: le ombre ed il buio erano familiari, non credeva lo avrebbero mai tradito, e stare solo per poter per primo conquistare una delle sacche non era certo una brutta idea.
Sapeva che ve n'erano dentro la scuola, lo aveva detto la malefica voce del presentatore, ma anche in altri ambienti come il bosco. Sperava che il coraggio di uscire per primo gli facesse guadagnare una bella lama affilata.
Dopo un poco, per sottrarsi ai pesanti e fastidiosi pensieri che li avevano circondato come nubi, scosse la testa. I ricci corvini si mossero con lui, ed una parte di sé pensò che forse avrebbe dovuto tagliarli.
Con sguardo affilato si mise a cercare attorno a sé, nella speranza di vedere tracce di quelle maledette sacche, ma solo dopo diversi minuti di cammino qualcosa attirò la sua attenzione.
Non poteva certo contenere una spada, ma le regole erano chiare: ciò che si trovava si teneva. Non si potevano prendere più pacchetti se non dalle proprie vittime, o rubandole o costringendoli a cedere.
Vicino ad un cespuglio, con il fruscio di un fiumiciattolo nelle vicinanze, una sagoma tozza e nera: avvicinandosi riconobbe una sacca di tela con un manico per essere più facilmente trasportata, e frugandovi dentro trovò la piantina dell'isola come da accordi e, in aggiunta, del tonno in scatola, una bottiglia d'acqua e...
-... che diamine di arma sarebbe una corda?-

➋ Rune- Esplorazione
16.38 am, 12 maggio 2xx7, Corridoio della scuola


une era ferma, immobile, lo sguardo saettava dagli armadietti alle luci del corridoio che, intermittenti, ferivano a tratti i suoi occhi grigioazzurri.
Era certa, potendoli forzare, vi avrebbe trovato qualcosa di utile, ma non che fosse quello il momento di farlo: avrebbe attirato l'attenzione degli altri semidei che, come lei, non volevano affidarsi al gruppo e alla benevolenza dei più forti per sopravvivere.
No, per ora sarebbe stato meglio proseguire, ispezionare le aule del piano superiore e poi cercare un rifugio.
-Tic toc, miei semidei. La prima notte è sempre la più interessante: la prima vittima è stato anche il primo carnefice, ma non vorrete lasciare alla cara Jolene tutto il divertimento, vero?- disse la voce, che veniva diffusa dagli altoparlanti come fosse l'annuncio di un preside malato.
Che la chiamasse Jolene non toccava la semidea, ms trovava strano che usasse il secondo nome di Emily. Come se fossero in confidenza.
Probabilmente lo faceva per metterli ancora più a disagio, come se sapere che l'amica si fosse suicidata non fosse abbastanza.
Trattenne un sospiro soffocato, ripensando alle lacrime di Marie e allo sguardo turbato di MJ. Le due ragazze erano troppo sensibili per queste cose e, per quanto non le piacesse il pensiero, anime così morbide non sarebbero mai uscite vive da quel gioco. Per sopravvivere avrebbero dovuto spargere almeno il sangue di una persona e, ammesso che ne fossero in grado, era certa non ne sarebbero rimaste illese. Per lo meno, non mentalmente.
Con passo leggero si avviò verso le scale, fermandosi poi quando una figura alta quanto lei spuntò da un angolo. Il tono alto e la massa informe di capelli biondi le fece riconoscere Amelie, figlia di Ecate della sua classe. Era arrivata quello stesso anno, per via di una bocciatura, ma frequentava la scuola da molto prima e era facile notarla nei corridoi, un po' per la statura ed un po' per la voce sempre di un paio di ottave troppo alta.
Stava parlando con un ragazzo con un maglioncino che teneva la mano sulla testa della più minuta del gruppo.
-... passi il testimone!- diceva la più alta, gesticolando in maniera allegra.
Marianne, questo il nome della bionda, abbassò lo sguardo.
-Non serve che ti preoccupi per noi...- rispose, con voce così bassa che Rune quasi stentò a sentirla. Per essere figlia di Afrodite amava molto poco essere al centro dell'attenzione, e spesso veniva messa in ombra non solo dai fratellastri ma anche dalle personalità più spumeggianti dei due amici. Tuttavia il terzetto, per quanto apparisse male assortito, funzionava molto bene ed era anche molto ben visto a scuola, e la presenza di uno zuccherino come MJ portò la figlia di Ecate a decidere di non interromperli.
-Non ho intenzione di restare e lasciarmi morire, ma allo stesso tempo voglio che siate protette. Okay?- incalzò il ragazzo, e Rune era certa si fosse messo in testa di poterle salvare entrambe. Vide Amelie esibire un grande, incoraggiante sorriso.
-Vai, vai pure! Noi staremo bene, e se alla fine sopravvivremo tutti farò in modo che tu non debba toccarci, chiaro?- disse, come se l'idea non la turbasse affatto. Non era certa fosse la verità, quanto piuttosto un tentativo di rassicurare l'amico.
-Ci hai già protette. Lo so che il coro lo hai iniziato per distrarci dall'eventualità di finire qui, ma ormai ci siamo e non puoi liberarci tutte.- incalzò la biondina.
Moony non sembrava troppo convinto, ma annuì.
-Va bene, dai, prima però voglio trovare una sacca a testa.- dal tono non le sembrava convinto... e una testa calda come Simon che si metteva a seguire fedelmente le regole di quello show?
La cosa le pareva davvero strana...
Decise di non indagare oltre, in ogni caso, e una volta passati li seguì un attimo con il solo sguardo prima di salire le scale.
Il piano superiore, a differenza dell'inferiore, non aveva le luci funzionanti e nonostante l'interruttore poco lontano Rune decise di non provare a premerlo, per non rendere troppo palese la sua posizione.
Quest'ala aveva un aspetto più trascurato, con polvere sul pavimento e porte non sempre intatte; persino l'aria sembrava più spessa e fredda e, se fosse stata una tipa superstiziosa, avrebbe pensato ad un ambiente infestato. Si sentiva a suo agio, invece, in quel piacevole clima invernale e percorse senza timore il corridoio, sino ad arrivare ad una stanza chiusa. Aveva attirato la sua attenzione per quel solo particolare: l'aula che aveva davanti pareva l'unica con un meccanismo ancora funzionante che le permetteva di restare saldamente chiusa.
Beh, non proprio saldamente, visto che alla minima pressione sulla maniglia la porta si lasciò aprire con un cigolio troppo acuto per i suoi gusti.
Ma il rischio fu ricompensato: davanti a sé vide due sacche, una vuota e una ancora intoccata. Si avvicinò e, senza nemmeno ispezionarla, prese quella piena.
Piano piano, da fuori, sentì dei passi. Porte aprirsi, ed una voce femminile e dolce canticchiare una canzone di cui non comprendeva le parole, ma identificava istintivamente come una ninna nanna. Era così fuori posto da farle venire un brivido lungo la schiena perciò, senza voltarsi a vedere chi fosse, uscì dall'aula e corse via nel modo più silenzioso e cauto che le riuscì.

➌ Cordelia- Ninna Nanna
16.52 am, 12 maggio 2xx7, Corridoio al secondo piano


h, era stata così fortunata!
Tra le due sacche aveva trovato quella con il coltello. Certo, aveva trovato anche del disgustoso the in bottiglia e un pacco di biscotti, che non le avrebbero garantito molto supporto, ma non contava di restare troppo a lungo intrappolata in quel gioco geniale quanto idiota.
Aveva appena iniziato a rigirarsi l'arma tra le dita, sfiorando i polpastrelli pallidi con la splendida lama affilata, quando sentì qualcuno salire le scale.
L'ambiente era così bello... avrebbe potuto iniziare a giocare, forse?
Svelta, piccola macchia pastello nel buio, si nascose in una delle aule vicine. Chiuse solo la porta dell'aula dalla quale era uscita, sperando che il semidio in questione fosse tanto curioso da guardare prima le altre, aperte. Avrebbe trovato lei ancora disarmato.
Ed invece no! Proprio lì doveva andare. Strinse le labbra chiare assieme e le dita attorno al manico del coltello, ma un gioco diverso le venne in mente. Un gioco che forse avrebbe potuto riprendere, per poter gustare il suo piatto preferito- che decisamente sarebbe più soddisfacente di the e biscotti.
Prese un lieve respiro, per poi iniziare a cantare con la voce più dolce possibile, mentre si avvicinava all'aula. -Guten Abend, gut' Nacht, mit Rosen bedacht...-
Un passo, sentì il semidio che non aveva riconosciuto fermarsi mentre riconosceva il rumore estraneo.
-Mit Näglein besteckt, schlupf unter die Deck...!-
Si tolse un ricciolo rosa dalla spalla, in caso avesse voluto contrattaccare i lunghi capelli di lei l'avrebbero resa più impacciata, anche se non aveva alcuna intenzione di tagliarli.
-Schlaf nun selig und süß, schau im Traum 's Paradies...-
Oh, una semidea! La riconobbe, si trattava di Rune, figlia di Etere. Ecco perché la paura che sentiva era così leggera e deliziosa, come panna montata: probabilmente cercava di mitigarla, ed essendo figlia di Etere non poteva che avere un retrogusto... stucchevole.
-Schlaf nun selig und süß, schau im Traum 's Paradies.*-
Sorride ugualmente, nel vederla correre via con la coda tra le gambe. Certo, non aveva potuto portare ad uno in meno i suoi ostacoli verso la vittoria, ma almeno avrebbe potuto mettere in gito, con un po' di fortuna, la voce che la scuola fosse infestata.
E avrebbe reso il pasto dei deboli semidei che vi si erano nascosti per estraniarsi dal campo di battaglia ancor più succulento...
Cordelia, figlia di Phobos, non aspettava altro.
Tornò in una delle aule, dove aveva deciso di stabilirsi fino al termine di quel gioco.



*Si tratta del testo originale della Ninna nanna di Brahms, la cui melodia penso conoscano tutti- è la classica ninna nanna. Non ho messo il link solo perché l'ho trovata solo in versione maschile, che ovviamente non è come la immaginavo cantata dall'adorabile Cordelia...




ℒ''angolo di ℱe
Ecco il secondo capitolo!
Spero vi piaccia, ci sono ancora tanti Oc nuovi e posso felicemente dirvi che siamo arrivati a quota! Ho composto la classe, inserendo alcuni dei miei Oc che infoltiranno le fila dei morti, sia come cadaveri che come assassini. Okay, non dovrei esserne felice.
In ogni caso abbiamo tanti personaggi presentati anche in questo capitolo, dei tre che avevo progettato all'inizio siamo arrivati a sei e, solo perché mi sono resa conto che non le avevo dato una vera presentazione, Madama professoressa! È stata una figura importante per molti Oc, sia miei che non, perciò anche se morta nello scorso capitolo (la prima vera vittima, anche se non lo avete notato) penso che verrà ricordata per le sue perle di saggezza nel corso dei vari capitoli.
Come sempre, recensite per farvi amare dalla sottoscritta (e per non vedere aumentate le probabilità di morte dei vostri pargoletti) e ditemi se ho fatto errori, se qualcosa non vi è chiaro e soprattutto se la storia è di vostro gradimento!
Prima di iniziare con le domande individuali che vi verranno fatte, in privato, nel corso della storia, questa è per tutti: c'è un oggetto che i vostri OC vorrebbero portare sempre con sé? Può essere generico, come le strisce depilatorie per una figlia di Afrodite (?) o personale come un pupazzo d'infanzia, ma nessuna arma.
Bacioni, vi lascio ai bei visini dei nuovi arrivati.


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Damian Blackwood, 16 anni
Figlio di Nyx

❝ Le cose reali, nel buio, non sembrano più reali del buio. ❞



testo

Rune Saulė Dahll, 17 anni
Figlia di Etere

❝ E i cani danzano sulla tomba dei leoni, mai cani restano cani ed i leoni restano leoni. ❞



testo

Amelie Kandinskij, 18 anni
Figlia di Ecate

❝ I'm curious. Why would you do that?
What was the purpose behind it? ❞



testo

Simon “Moony” Murphy, 18 anni
Figlio di Apollo

❝ C'è quello in cui credo, e ci sei tu. ❞



testo

Marianne “MJ” Joly, 17 anni
Figlia di Afrodite

❝Non temere un'arma o un altro essere umano.
Temi te stesso, perché saranno i tuoi desideri a portarti nella tomba. ❞



testo

Cordelia Winslet, 16 anni
Figlia di Phobos

❝ Seid ihr das Essen?
Nein, wir sind der Jäger! ❞



testo

Madame Adelaide Johnson, 63 anni
Figlia di Mnemosine

❝ Noi siamo la memoria che abbiamo e le responsabilità che ci assumiamo. ❞


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Capitolo 3
*** A song of kindness and despair ***


Battle Divine
Prologo


➊ Kay- Amicizia
10.43 am, 12 maggio 2xx7, Pulmino scolastico


no sguardo annoiato, palpebre leggermente calate e ciglia che si sfioravano, nonostante la non particolare lunghezza, solo perché tanto vicine a causa della noia che ostentavano.
Avrebbe voluto poter posare il mento sulla mano, o almeno avere delle cuffiette per sopperire alla mancanza di interazione con i compagni di classe ma, sfortunatamente, gli umani erano infide creature sottosviluppate che consideravano lussi come un un lettore Mp3 superflui per gente come loro. Come se avere Simon a dirigere il coretto dell'autobus fosse paragonabile ad ascoltare i My Chemical Romance interpretare Welcome to the black parade. Senza ombra di dubbio.
Kay era certo che si trovasse lì perché obbligato a partecipare, ma non che fosse l'unico motivo. Forse anche non potendo scegliere, e avendo la possibilità di finire in un'isola a trucidare i e farsi trucidare dai suoi compagni, avrebbe potuto sfruttare l'occasione per legare con loro..? Si trovava in loro compagnia da appena un anno, uno degli ultimi arrivati, e talvolta si sentiva isolato. Soprattutto perché lui aveva ancora l'odore dell'esterno, e per molti di quei lupi sapeva di straniero.
D'improvviso, perso nei suoi pensieri, davanti a lui un'ombra nera fece la sua comparsa. Alzò lo sguardo, mormorando un confuso "Donnie...?" nel riconoscere il ragazzotto davanti a lui, e se ne pentì all'istante: Donnie non era il suo vero nome, ma nessuno in classe, nell'intero istituto, lo chiamava col nome completo.
Gli occhi castani lo squadravano, ricevendo solo in parte il calore del sorriso che gli rivolgeva. Nonostante il moro fosse una delle poche persone a dimostrarsi subito gentile con lui, apparentemente senza altri fini, Kay non riusciva a fidarsi del tutto. Era troppo bello per essere vero.
-Ehi, Mordicchio.- lo salutò allegramente, sollevando una mano.
Non avrebbe dovuto stare in piedi mentre l'autobus percorreva le strette stradine che, dalla loro scuola a New York, li avrebbe portati nelle spiagge del Connecticun.
-Ciao, Don. Che ti porta da questo lato del pulmino?- chiese, accennando con lo sguardo alla sua posizione. Normalmente il festoso figlio di Dioniso sedeva nelle ultime file, assieme ad amici ed ammiratori, ben lontano dal posto tra le prime file che occupava il ragazzo.
Si spostò una ciocca di ricci neri dagli occhi scuri, per guardare meglio il suo interlocutore che ancora sorrideva, in pericoloso bilico.
Era attraente, in qualche modo, affascinante: ecco perché di tanto successo. Kay avrebbe voluto essere più simile a lui, magari meno festaiolo.
-Oh, non mi piace vedere le persone tristi. Laggiù nessuno ha il muso lungo, si divertono. Potresti unirti a noi.- disse Donovan. Quando era uno come lui a parlare sembrava davvero facile, come chiunque potesse diventare in un attimo il più popolare come in quei film che guardava con suo fratello Arthur... prima.
Scosse la testa, per impedirsi che i pensieri andassero alla sua famiglia e a tutto ciò che era dolorosamente legato loro.
Forse il moro aveva pensato che il gesto del figlio di Ecate fosse un declino per la propria proposta, perché aveva aperto la bocca per continuare, quando una graziosa ragazzetta gli posò una mano sul braccio che usava per reggersi.
-Eddai, Don, perdi tempo qui. Lo sai che la principessa qui non esce con noi, vieni con me. Lu è andato a bisticciare con Moony perché il coro lo infastidisce, e se non mi aiuti a separarli mi sa che li metteranno in punizione e stanotte dovrò dormire sola. Non sarebbe molto triste?-
Ecco qualcuno che Kay decisamente non avrebbe voluto vedere. La figlia di Afrodite appena arrivata era decisamente uno spettacolo per gli occhi, come tutti i suoi fratelli e sorelle, ma questa in particolare aveva ereditato il tratto di Adrophonos della madre: come molti fiori davvero belli era velenosa.
Posò gli occhi verdi sul ragazzo, ed uno più sciocco avrebbe ricambiato il suo bel sorriso triste.
-Non hai davvero paura li caccino, altrimenti avresti già deciso con chi dormire in alternativa. Comunque sia penso che tu abbia ragione, Mordred non accetta mai i nostri inviti. Potrei ritenermi offeso, se non sapessi che hai solo bisogno di ambientarti. Non deve essere facile, ma almeno tuo fratello è venuto con te, no? Anche la mia cara madre mi ha seguito in questo inferno... sta a casa con Katja e Tiger, i miei gatti. Ti piacciono i gatti?- chiese Don, in un ultimo tentativo di fare amicizia.
Il ragazzo, tuttavia, piuttosto colpito e forse turbato dal fatto che il figlio di Dioniso avesse certe informazioni su di lui- informazioni che non aveva condiviso con nessuno, tra l'altro.
-Non... non molto, no.- si limitò a rispondere, e vide l'insoddisfazione brillare violetta negli occhi del ragazzo.
-Beh, allora direi di andare. Che ne dici se facciamo una piccola gara, in caso stasera quella testa calda ti lasci sola? Magari ti diverti più con me che con lui e finalmente lo molli, Diabolik.- disse poi allegramente a Lucrèce, riportandola indietro verso le ultime file.
Osservandoli andare Kay sospirò: ma che diavolo di problemi aveva? Avrebbe solo voluto accettare il loro invito e fare amicizia. Eppure non ci era riuscito, neanche questa volta. “Forse con il mio compagno di stanza...” si disse, quando l'autobus frenò bruscamente.
Non capiva, guardando rapidamente fuori dal finestrino scorgeva una strada di montagna- montagna? Che ci facevano lì?
Poi l'aria si riempì di un fumo dolciastro e le sue palpebre divennero pesantissime. L'ultimo pensiero prima di addormentarsi fu che, effettivamente, non avevano ancora dato loro le sistemazioni per le camere.

➋ Alysse- Sentore
00.39 pm, 12 maggio 2xx7, ???


a testa gli appariva pesante come un mattone.
Sentiva il proprio corpo posato contro un materiale poco morbido, ma l'essere sdraiata le faceva capire di non trovarsi più nel pulmino.
Gli ultimi ricordi erano offuscati, non ricordava di essersi addormentata ma non credeva fosse una cosa troppo improbabile: durante il viaggio di fine anno tendeva sempre ad isolarsi, temendo quasi che il suo potere si attivasse prima ancora di avere i compagni feriti. Tuttavia ora come ora si sentiva normale, solo un po' intontita, perciò con calma aprì un occhio chiaro e vide la luce artificiale di lampade da soffitto che avrebbe potuto trovare anche a scuola.
Attorno a sé sentiva i lievi rumori di persone che si risvegliavano, mugolii soffocati e anche qualche parola non troppo cortese, e voltando il viso vide i suoi compagni di classe. Come lei, erano tutti draiati in lettini o a terra, o ancora posati in sedie di plastica; si trovavano in quella che le sembrava l'infermeria di una scuola, ma le finestre erano chiuse e solo loro erano presenti.
Alzandosi a sedere ebbe un lieve capogiro, e il suo stomaco protestò sonoramente, ma si rese conto che anche gli altri non dovevano sentirsi meglio. Piegato a terra c'era un ragazzo dai capelli completamente bianchi, si teneva una mano premuta sulle labbra e con l'altra si toccava la gola. O meglio, il collare di metallo che gli circondava la gola.
Con una nota di terrore fece lo stesso, trovando attorno al proprio collo lo stesso arnese.
Tutti lo avevano.
Scattò in piedi, sentendo il proprio padre avvicinarsi rapido.
-Elderwood? Minori! Stai bene?- conosceva il figlio di Asclepio e sapeva che probabilmente stava avendo un attacco di panico, era sempre stato un ragazzo fragile, coi tratti femminei che lo rendevano la preda preferita dei bulli.
Era certa che Thanatos stesse arrivando per lui, e poi per tutti gli altri, ma quando alzò il viso gli occhioni neri erano spalancati e lucidi.
-Moriremo tutti...- aveva aperto la bocca, ma le parole erano femminili e delicate. Non era stato lui a pronunciarle.
Emily era subito dietro di lui, tremava come una foglia ora che tutte le sue certezze erano venute meno per quel mondo senza logica. Alysse ricordava il terrore nei suoi occhi grigi, quando era stata portata a scuola la prima volta, e solo quando l'aveva fatta sua la nuova vita le aveva concesso un po' di calma.
Ora, probabilmente, si sentiva allo stesso modo.
La bionda uscì dalla stanza come la tempesta che le vorticava negli occhi, lasciando i compagni di classe turbati, per lo meno la maggior parte.
Smith si alzò e la seguì, probabilmente preoccupato per l'amica-rivale, mentre gli altri ancora si guardavano intorno.
-È... è solo un brutto sogno, vero?- chiese Minori, guardandosi attorno con aria spaurita. Era ancora a terra, a quattro zampe, e le lacrime minacciavano di traboccare dalle palpebre. La semidea non se la sentiva di distruggere ancor di più le sue fragili speranze, però gli si avvicinò e li posò una mano sulla spalla.
-Non proprio... ma ce la caveremo in qualche modo, no? Dai, andiamo fuori e vediamo com'è la scuola...- mormorò.
Ogni anno una classe delle scuole semidivine veniva presa e lasciata in un'arena isolata, con al centro una scuola inquietantemente abbandonata, perché questi si uccidessero. Lo spettacolo veniva proposto in tutto il mondo, come un reality show, forse per sentirsi superiori ad esseri semidivini.
Di certo avrebbero trovato un modo... un modo diverso dal trucidarsi a vicenda.
Lo aiutò ad alzarsi, per poi avviarsi verso la porta. Avrebbero dovuto per lo meno prendere familiarità con la scuola, per trovare le sacche che davano ad ognuno dei partecipanti.
Una volta fuori, però, sentì Jason parlare con voce stranamente calma. La sua voce proveniva da una stanza lì vicina, un'aula probabilmente, dalla porta aperta.
-Stai calma, Millie, stai calma. Andrà tutto bene.- disse, ma quando Alysse sporse il viso per guardar dentro ringraziò mentalmente Tyche per aver premuto la mano sullo stomaco di Minori, in modo che non potesse vedere la scena.
Dalla finestra aperta entrava la calda luce di mezzogiorno, che in contrasto con la luce artificiale di poco prima rendeva quasi difficile vedere, ma la ragazza riuscì ugualmente a delineare i contorni della stanza: l'aula era poco spaziosa, su un banco si trovava una sacca aperta, e lì accanto Emily aveva un pugnale. Tremando, lo puntava con entrambe le mani verso il ragazzo e la figlia di Thanatos sentiva l'ombra del padre allungarsi, tanto presente da sembrare materiale.
Appesa alla lavagna per i capelli argentei c'era una testa. Solo una testa, recisa all'altezza del collo, l'aula aveva l'odore rugginoso del sangue ma le pareva secco. Il viso, pur contratto dal dolore, apparteneva alla professoressa Johnson, ne era certa.
-Emily!- esclamò Alysse, scattando dentro la stanza, ma nello stesso tempo anche l'altra semidea fece la sua mossa. Rapida, volse la lama del pugnale verso sé stessa e si pugnalò allo stomaco. Si piegò e Jason la prese al volo, scostandole i biondi capelli dal viso.
-No... respira, Millie, adesso andiamo in infermeria e...- mormorò con voce lieve. Alysse non aveva mai pensato al figlio di Efesto come un ragazzo gentile, le pareva solo un'anarchica testa calda sempre fumante, ma dal modo in cui le dita di lui sfioravano la pelle chiara della ragazza dovette ricredersi.
-No... non sono abbastanza forte. Voglio finire... così...- mormorò la semidea, mentre il calore le spariva dal viso e gli occhi di facevano vitrei.
-Questo...-
-È solo l'inizio, miei semidei!- esclamò una voce adulta dall'altoparlante.




ℒ''angolo di ℱe
Ecco il primo capitolo!
Come potete vedere non ho inserito tutti gli Oc per due semplici motivi: uno si tratta di 22 personaggi, mostrarli in un solo capitolo avrebbe creato confusione o un capitolo troppo lungo, preferisco spezzettare, e due perché non ho ancora riempito tutti i posti: nonostante mi siano arrivate quasi tutte le schede, solo alcune erano adatte o soddisfacenti. Per il momento ho una decina di Oc, tra maschi e femmine sono quasi in pari perciò quanto detto in precedenza non cambia: le regole e la scheda per partecipare la trovate nel capitolo precedente, aggiungo solo una nota in cioè che non accetto figli dei Tre Pezzi Grossi, ovvero Zeus, Poseidone ed Ade.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Segnalatemi tutti gli errori, di grammatica e di coerenza col personaggio inviatomi in caso siate i loro creatori.
Vi chiedo di non sparire, posso capire non recensire ogni capitolo ma almeno ogni due o tre fatevi sentire (le recensioni aiutano anche l'autore a non scoraggiarsi nel progetto!)
Infine, ecco i primi protagonisti scelti!
Metto solo una piccola postilla: le età potrebbero non essere quelle datemi da voi, le ho modificate in base al compleanno datemi: la storia inizia il 12 maggio, perciò chi compie gli anni prima di questa data ha 17 anni, già compiuti, chi dopo deve ancora farli perciò ne ha 16. Per i bocciati vale lo stesso discorso +1.


testo

Kay Mordred Jenkins, 16 anni
Figlio di Ecate

❝ Un bambino che perde la speranza diventa pericolosissimo.
Ci sono molte situazioni difficili nell'infanzia,
ma un bambino non deve mai perdere la speranza. ❞



testo

Donovan “Don” Dillinger, 16 anni
Figlio di Dioniso

❝ La vita è breve; quindi, baby, balliamo insieme sull'orlo della follia,
fino a quando non diventeremo un mucchio di ossa \
ed anche allora continuiamo con la nostra macabra danza. ❞



testo

Lucrèce “Diabolik” Dubois, 16 anni
Figlia di Afrodite

❝ Credo nelle sensazioni a pelle, nel colpo di fulmine, nell’istinto.
Credo in tutto quello che il mio corpo sceglie prima della mia testa. ❞



testo

Alysse Blank, 17 anni
Figlia di Thanatos

❝ Chi non può essere guarito, nella morte trova conforto. ❞



testo

Minori Elderwood, 16 anni
Figlio di Asclepio

❝ Noi beviamo, mangiamo o respiriamo il 90 per cento delle nostre malattie. ❞



testo

Emily Jolene “Millie” Taylor, 15 anni
Figlia di Atena

❝ Ridevano di Edison, ridevano di Fulton,
e rideranno di ogni pazzo senza speranza. ❞



testo

Allen Jason “AJ” Smith, 17 anni
Figlio di Efesto

❝ Il fuoco nel cuore manda fumo nella testa. ❞

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Capitolo 4
*** Peace and War (on planet Earth) ***


Battle Divine
Peace and War (on planet Earth)


➊ Milo- Mattino
6.06 am, 13 maggio 2xx7, Dintorni della scuola


ilo correva.
Non per salvarsi la vita o spegnerne un'altra, ma solo perché il sole stava sorgendo dopo quella notte buia e lui lo salutava in questo modo. Una volta lo faceva con padre, insieme ai loro bei cani, poi aveva continuato solo una volta raggiunta la prigione per semidei, ed infine aveva trovato un'amica che corresse con lui.
Ma quell'amica, la sua sorellastra, era scomparsa nelle tenebre prima dell'alba e lui aveva ripreso il suo rituale da solo.
Non era male, dopotutto, la scuola sembrava deserta ma un giro di ricognizione non gli era sembrato una brutta idea. Marie aveva scambiato volentieri lo stocco da lei trovato, inservibile nelle sue mani innocenti, per i fiammiferi di lui.
Fuori dalle porte l'aria era frizzantina, Eos si stava trascinando nelle ultime fatiche prima di lasciare il posto al divino Apollo che avrebbe portato il carro del sole per tutto il cielo. Gli scattanti occhi scuri seguirono il vento muovere alcune foglie, appena un alito lieve per disturbare l'immobilità.
Sarebbe stato un piccolo paradiso, se non fosse stato per quei giochi. Un figlio di Afrodite semplice qual era lui lo avrebbe saputo apprezzare, un ritrovo pacifico per fare pic-nic ed andare a pesca.
Era certo ci fosse un fiume, da qualche parte, perché parte della sua dotazione era una borraccia purificatrice vuota, a che altro avrebbe potuto servire? Scosse piano la testa.
Non doveva pensare a quello, non all'esterno delle mura, facile preda dei compagni che non volevano rispettare la tregua. Ed infatti un lieve tossicchio rivelò la presenza di un altro umano. Un semidio, un ragazzo a giudicare dal tono basso della voce.
D'istinto portò la mano al manico dello stocco, che non era proprio la sua arma prediletta ma meglio di nulla; non lo estraette, però: se lo sconosciuto si era annunciato, attirando la sua attenzione, era probabilmente perché non voleva ucciderlo. No?
Si voltò con lentezza, sfoderando tutto il fascino che possedeva, rendendo probabilmente fiera sua madre da qualche parte nel mondo. Ma, vedendo chi aveva davanti, solo una notevole dose di autocontrollo gli aveva impedito di inorridire.
Davanti a lui c'era Pride e, nonostante gli anni in cui erano stati compagni di classe, l'orribile cicatrice che gli deturpava il volto ancora lo scuoteva. Per il resto non era un brutto ragazzo, quale spreco!
Eppure sapeva che non era quello il suo punto debole. Lo percepiva, grazie al potere di sua madre, non lontano. Anzi, la percepiva, non lontana
-Fallen. Dov'è la mia adorata sorellastra?- chiese, senza perdere il sorriso.
Dove andava lui, certo lei lo seguiva, pronta a coprirgli le spalle. E allo stesso tempo, sapeva che non lo avrebbe ferito, non con la cara Luce così vicina.
-Mi ha dato retta, per una volta, e mi ha fatto andare per primo.- rispose, con quel suo tono basso e roco. Lucrèce lo definiva sexy, ma Milo era di tutt'altro parere.
-Certo, certo. La forza deve proteggere la dolcezza e via dicendo. Cosa ci trovi di dolce e da proteggere, poi, lo sai solo tu.- forse non tutti avrebbero avuto il sangue freddo da scherzare-prendere in giro!- quasi due metri di figlio di Ares con una cicatrice sul viso, ma lui non era affatto preoccupato.
Non era pericoloso come avrebbe potuto sembrare, e aveva un debole per i bei figli di Afrodite. Beh, figlie, ma non era importante.
Grugnì qualcosa in risposta, irritato, poi fece un vago gesto con la mano. Non l'aveva notata, prima, si chiedeva come fosse possibile perché accanto a lui, con l'asta che toccava terra e la brillante punta di bronzo celeste, reggeva una lancia. La cosa che più lo sorprese, tuttavia, fu che doveva essere la sua lancia: completamente in metallo, per resistere ai colpi di spada che ne avevano appena graffiato la superficie, difficile da utilizzare per chiunque non fosse l'abituato padrone.
Eppure con naturalezza le dita callose si chiudevano attorno all'arma con la dolcezza con cui lui avrebbe stretto un'amante.
-Cosa vuoi, Lucien?- chiese, il sorriso meno sicuro, un brivido abilmente nascosto.
-Nulla. Sono solo venuto a dare un'occhiata... Diabolik voleva vedere come stavate.-
-Siamo tutti sopravvissuti alla notte, se questo volevate chiedervi. E nessuno è venuto a chiederci aiuto.- si congratulò mentalmente con sé stesso per il tono, freddo e casuale, come se sapere che già si cercavano altri morti non lo avesse infastidito.
-Peccato. L'unica speranza, allora, è che i feriti non abbiano fatto in tempo ad arrivare.-

➋ Arthur- Leadership
9.35 am, 13 maggio 2xx7, Interno della scuola


rthur avrebbe voluto imprecare. A voce alta, nella sua lingua natìa, ma non era sicuro che gli altri compagni avrebbero gradito.
In particolare aveva davanti la piccola Sanders dagli occhi di cucciolo, anche non lo avesse capito si sarebbe sentito quasi sporco.
-Allora... per l'ultima volta. Dividiamo tutto, perciò anche il tuo tè.- ripeté il ragazzo, premendosi il pollice e l'indice alla base del naso sottile. La ragazzina aveva la sua stessa età ma era ostinata e persino più bassa di lui- nonostante raramente lo facessero in sua presenza, il figlio di Ade sapeva che lo chiamavano Tappo.
-Hai avuto il mio voto perché avevi promesso di difendere i nostri diritti! Perciò anche quello di tenermi il tè. Vi poterò altro, fratellino.- mugugnò la ragazzina.
Non sapeva cosa della frase lo facesse sentire più a disagio: se il fatto che lo facesse sentire come avesse cercato di derubare una ragazzina o se accennasse così alla loro falsa parentela.
Dopotutto lei era figlia della moglie di suo padre, Persefone.
-No... non serve. Ma siamo una comunità, tutti fanno la loro parte, e avevi accettato.- Osservò le iridi verdissime saettare al suo fianco, dove la katana in ferro dello Stige mandava riflessi gelidi. Sapeva che era stato un bel colpo di fortuna trovarla, molti avevano ricevuto armi completamente inadatte o oggetti inutili, perciò alcuni guardavano con sospetto il dono fortuito.
Portò una mano sull'oggetto, poi scosse la testa.
-Questo lo tengo io perché avete bisogno di difese, e nessuno la usa bene quanto me. Lo sai, non fingere non sia vero, o non avresti dato lo stocco che hai trovato a qualcuno più capace di te.- l'ammonì. Marie non poteva più obbiettare, strinse le labbra morbide l'una all'altra e, con un lieve rossore imbarazzato sulle guance gli tese la bottiglietta di tè che aveva trovato nella sua sacca.
Il figlio di Ade lo prese, prima che la volubile ragazzina cambiasse idea, poi le diede un buffetto sulla guancia godendo in silenzio della sua sorpresa. Sarà anche stata figlia della moglie di suo padre, ma non era minimamente pronta al gelo della sua mano.
Risolto anche questo problema, la ribelle mocciosetta che voleva tenersi il tè, si voltò.
Non era facile essere il capoclasse, anche se il ruolo gli era stato offerto in quanto figlio di uno dei tre pezzi grossi. Doveva risolvere piccole beghe e litigi... quasi aveva sperato di non farlo più, una volta iniziato questo show da strapazzo, ma non aveva avuto cuore di uccidere i suoi compagni.
O almeno, questo era quello che aveva detto, come giustificazione al suo restare con quei deboli agnellini.
Eppure era la scelta più comoda, non capiva come avevano fatto gli altri a non pensarci: avevano un guaritore, Elderwood figlio di Asclepio, e Marianne di Afrodite che aveva promesso di fargli da aiuto, aveva Marie e Alysse che erano figlie degli inferi, perciò poteva facilmente influenzarle. Inoltre sapeva che Marie, oltre ad un bel faccino, aveva il potere della primavera in quel momento: cibo gratis senza rischi. Dell'ingannevole figlio di Proteo non sapeva che pensare, ma sembrava abbastanza intelligente da non mettersi a brillare in quella guerra, perciò sarebbe probabilmente sopravvissuto a lungo e fuggito in caso di guai, senza creare problemi.
L'unico che un po' lo impensieriva era Milo, ma il figlio di Afrodite era un ragazzo semplice e piuttosto attraente: in caso avesse deciso di ribellarsi, cosa di cui dubitava, avrebbe potuto minacciare la sorellastra o persino lui.
Non era una cosa che avrebbe voluto fare, ovviamente, ma la propria sopravvivenza era la sua priorità.
Non credeva, però, che la propria priorità contemplasse anche far da babysitter a dei coetanei litigiosi.
Un lieve singhiozzo spaventato lo fece voltare: Alysse si era tagliata con un coltello e Minori aveva pensato che Marianne potesse fare pratica pulendo la ferita, ma la vista del sangue era stato troppo per la sua fragile persona e l'aveva fatta svenire.
-... occupati prima di lei, il mio graffietto non è nulla.- mormorò Alysse, e Arthur sospirò.

➌ Neville- Spionaggio
00.48 pm, 13 maggio 2xx7, Dintorni della scuola


e le sue compagne lo avessero visto, in quel momento, non era sicuro lo avrebbero riconosciuto.
I suoi occhi avevano un taglio a mandorla, di un castano scuro, o almeno questo sperava, e la bocca non aveva le solite labbra sottili e pallide ma più morbide, piccole e carnose con l'arco di cupido ben accentuato. Ci aveva lavorato molto, era fiero di come fossero venute, ma gli mancava .
Non amava suo padre, persino meno degli altri semidei, ma la capacità di camuffarsi e rendere il suo viso diverso ed irriconoscibile non sarebbe stato scomodo in quella gara.
Eppure aveva ancora molto da fare per somigliare al ragazzo che stava osservando.
Era posato vicino alla scuola, stava leggendo calmo mentre due semidee della loro classe, figlie di Ermes, stavano armeggiando con un arco.
Il suo stomaco brontolò, rendendolo ben felice del fatto che non avesse scelto una delle due ragazze come soggetto del suo esperimento: Neville era certo che il pacchetto di patatine trovato gli avrebbe saziato quel buco allo stomaco, ma una trasformazione più impegnativa? Ne dubitava.
La più minuta, la bionda Cass, lanciò per errore una freccia nella sua direzione, che però centrò un albero ad un metro e mezzo sulla sua destra, oltre che almeno settanta centimetri troppo in alto per colpire chiunque.
Angelica scosse i ricci castani, la pelle brunita che veniva accarezzata dolcemente dal sole. L'aveva sempre trovata una ragazza estremamente attraente, e forse la sua presenza lo aveva distratto più di quanto non volesse ammettere, e per questo una trasformazione parziale e normalmente abbastanza semplice gli aveva occupato tanto tempo.
Strinse la labbra, tornate al loro solito aspetto, poi riprese ad osservare la scena con una diversa curiosità: evidentemente Cassidy aveva evidentemente ricevuto un arco dalla sua sacca, ed era altrettanto evidente che non fosse ben allenata ad usarlo. Probabilmente avrebbe voluto scambiarlo con il pugnale che vedeva legato alla vita di Angelica, o meglio ancora con i due pugnali gemelli che vedeva spuntare da sotto le gambe incrociate di Hide, e ne aveva ottenuto solo delle lezioni piuttosto scadenti.
Tuttavia conosceva la figlia di Ermes: non era cattiva, ma estremamente brava ad ottenere ciò che voleva dagli altri, nonostante la sua apparenza sommessa.
-Ehi, Nakamura! Vieni con noi a recuperare la freccia? È pericoloso da soli.- esclamò ad un certo punto Angelica, puntando lo sguardo sulla zona in cui era stata lanciata la freccia. La stessa zona in cui si trovava lui.
Dovettero attendere quasi un minuto che l'asiatico rispondesse, alzando lo sguardo sereno e posando l'indice alzato per segnalare la sua presa coscienza della domanda tra le pagine che stava leggendo.
Era una persona tranquilla e sobria, ma il figlio di Proteo non sopportava la sua ostinazione a voler finire la frase fino al punto per avere una semplice risposta.
-No.- disse semplicemente. Il sospetto era che avesse rifiutato per il voluto errore del suo nome.
Angie annuì come se non si aspettasse altro, un bel sorriso brillante le macchiava le labbra ed illuminava il viso dai tratti infantilmente delicati ed allegri.
Ma, quando le due si avviarono verso il suo rifugio, Neville era già sparito.

➍ Zakiya- Famiglia
3.27 pm, 13 maggio 2xx7, Foresta


cintille. Le mancavano le scintille.
Non aveva voluto seguire quei pacifisti, per quanto l'idea di uccidere la ripugnasse totalmente, perché all'interno della scuola non avrebbe potuto lavorare con calma ai suoi progetti. La mancanza di armi non la disturbava: aveva camminato spensierata lungo il bosco, seguendo con lo sguardo le affascinanti linee dei tronchi, pronta a riprodurle nell'arco di Legolas che aveva in mente di realizzare prima di essere rinchiusa lì dentro.
Certo, avrebbe dovuto capire come integrare i suoi tratti caratteristici per un'eventuale rivisitazione, magari trasformando le delicate decorazioni alle estremità in ingranaggi? No, lo avrebbe totalmente snaturato.
Ma nella sua lieve passeggiata Zakiya, figlia di Efesto, non pensava alla battaglia ma a come risolvere quel dilemma.
Fu per puro caso, la mattina successiva al loro arrivo, che trovò una sacca. Si era allontanata quasi subito, dopo il suicidio di Millie, perché non sopportava l'idea che qualcosa che considerava sacro come la vita fosse stata spenta dalle mani della sua proprietaria.
Dormire all'aperto era stato scomodo, non tanto per il freddo della foresta- dopotutto aveva il fuoco delle fucine nelle vene, non sentiva mai i morso del freddo- quanto per lo scomodo giaciglio creato: non aveva raccolto abbastanza foglie per la sua alta figura, né per il tutore che le cingeva la schiena.
E poi, al mattino, fresca e riposata, aveva preso a canticchiare. Con le sue componenti meccaniche la sua ultima preoccupazione era la segretezza, perciò canticchiava e camminava, e d'era imbattuta in una sacca appesa come un impiccato ad un ramo.
Curiosa, si era avvicinata allegra e l'aveva raccolta.
-Frecce... che me ne faccio delle frecce senza un arco? Mah, le darò ai ragazzi nella scuola, in cambio di cibo o un accendino. Poi che altro?- si chiese, a voce alta, frugando con la mano sinistra in metallo nella stoffa.
Con l'assenza di tatto non poteva capire cosa fosse, ma sentì qualcosa di rigito e delle pallette fragranti: guardando riconobbe una bottiglia da un litro d'acqua e tre pagnotte rotonde.
-Nulla di eccezionale, ma...- iniziò, per poi essere interrotta.
-Ma ho qualcosa per te, se vuoi fare uno scambio.- non s'era resa conto di esser stata seguita, ma istintivamente sfiorò con il pollice meccanico un ingranaggio nell'indice. Si voltò e, quando sorride, i denti bianchi contrastarono con la pelle caramello che a sua volta contrastava con i capelli tinti color del fuoco.
-AJ. Delle frecce non me ne faccio nulla, che mi offri?- non pensava che il fratello le avrebbe fato del male, erano entrambi grandi e grossi ma probabilmente l'avrebbe potuta prendere alle spalle... ma non lo credeva capace di una cosa del genere. Non dopo Millie.
Il fratellastro le lanciò un oggetto, infatti: un acciarino, legato ad una graziosa pietra focaia.
-Per le frecce, questo è nulla. Potrai accendere un fuoco... o prenderlo come un gesto di buona fede per un'alleanza. Ho creato una piccola fucina di fortuna, magari potresti aiutarmi.- le sorrise. In qualche modo, Allen le faceva pensare che tutto si sarebbe risolto.
-Vuoi davvero lavorare qui, come nulla fosse?- le chiese, un'insolita nota sospettosa nella voce.
-Non come nulla fosse, ma come fosse l'unica cosa che sappiamo fare.-
-Ci sto. Andiamo.-




ℒ''angolo di ℱe
Eccoci qui!
Con un po' di ritardo, ma vi ho mostrato tutti i pargoletti scelti. Spero che il capitolo un po' più lungo vi ripaghi della lunga attesa.
Ho finito tutti gli Oc, sono 21 personaggi più la mia Emily, pace all'anima sua. So che non tutti vi piaceranno, ma alcuni di loro resteranno fino alla fine, perciò spero che almeno la maggior parte vi ispirino!
E che anche la storia sia di vostro gradimento, ho superato la maledizione del terzo capitolo, perciò sono fiduciosa- inoltre ho parecchie idee riguardo scene, morti e colpi di scena!
Soprattutto morti, se non risponderete o risponderete male.
Bacioni, vi lascio ai bei visini degli ultimi nuovi arrivati.


testo

Milo “Mils” Cooper, 17 anni
Figlio di Afrodite

❝ I'm jealous of the nights that I don't spend with you.
I'm wondering who you lay next to.
Oh, I'm jealous of the nights ❞


testo

Lucian “Fallen Warrior” Gabriel Pride , 17 anni
Figlio di Ares

❝ Vincere la guerra sarebbe facile, ma non voglio farlo senza di te. ❞


testo

Arthur “Arthie” Olsen, 16 anni
Figlio di Ade

❝ Non bisogna essere perfetti per tutti.
Basta essere speciali per qualcuno. ❞


testo

Marie Sanders, 16 anni
Figlia di Persefone

❝ Non ti sia male esser piccola, lo sono anche i fiori e le stelle. ❞


testo

Neville Jonas-Armstrong, 17 anni
Figlio di Proteo

❝ We must always change to stay true to ourselves. ❞



testo

Hidetora “Hide” Kimura, 17 anni
Figlio di Elio

❝ There's no going back
Time has already come
Sun is gone and no more shadows
Can't give up I know and this life goes on
I'll be strong I'll be strong 'til I see the end ❞



testo

Angelica “Angie” Valentine, 16 anni
Figlia di Ermes

❝ In cerca di guai? Trova Valentine e non sbagli mai. ❞


testo

Cassandra “Cassidy” Benson, 16 anni
Figlia di Ermes

❝ Il destino è ineluttabile: il burattinaio tira i fili, la marionetta obbedisce ❞




Zakiya Schoema, 17 anni
Figlia di Efesto

❝ I am machine
A part of me
Wishes I could just feel something. ❞


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Capitolo 5
*** Innocence's Death ***


Battle Divine
Innocence's Death


➊ Lucrèce- Malizia
10.00 am, 14 maggio 2xx7, Radura


i morse le labbra, sfiorando poi quello inferiore con la lingua.
La sua arma più forte, nonché unica visto che Lucien era partito in perlustrazione con la lancia, era il suo fascino ed era ben decisa a sfoderarlo tutto, senza eccezioni, per aver salva la vita.
Lucrèce sbatté le lunghe ciglia, vide un lampo di esitazione negli occhi caldi di Damian, forse perché non si aspettava quella reazione. Anche avesse deciso di provare a cavargli gli occhi con le unghie curate- e ci aveva pensato seriamente, per l'essergli saltato addosso a quel modo senza prima offrirle da bere- non avrebbe potuto far molto prima che la soffocasse.
-Non vuoi davvero uccidermi, Dam. Sei un guerriero, non un assassino.- disse, infondendo nella voce la giusta dose di dolcezza e una quantità extra della propria convinzione.
Portò una mano sulla sua, un tocco lievissimo, cercando di fargliela spostare dal proprio collo. Non ottenne alcuna reazione, ma almeno era fermo, indeciso su come proseguire.
-Non sono una minaccia. Posso dirti dove abbiamo nascosto le provviste, se mi lasci andare. Tu avrai del cibo, io la mia vita.- continuò. Poteva quasi vedere il ragionamento nel suo cranio, il cuore cambiare battito mentre decideva ciò che fare.
Una leggera impennata nelle pulsazioni le fece capire come avesse cambiato punto di vista. Non era più a cavalcioni su una preda, ma su una ragazza. La femorale, posata contro il suo fianco, passò da circa sessantacinque ad oltre ottanta palpiti.
-... non mi interessa- disse alla fine. Era solo il primo giorno, ma la figlia di Afrodite non represse uno sguardo infastidito e anche un po' preoccupato.
-Stamattina ho trovato more, lamponi e un campetto in cui crescono fragole rosse.- alzò un sopracciglio, sorridendogli con una nota sensuale. -Magari vuoi che te le mostri e ti imbocchi?-
Oh, forse aveva toccato un punto scoperto: trattenne un sorriso divertito quando lo vide allontanare le mani di scatto, neanche la sua pelle bruciasse. Lo aveva osservato, li aveva osservati tutti in classe: Damian se ne stava sempre sulle sue, quasi infastidito quando gli altri ragazzi provavano a parlargli, ma aveva anche notato come la sua giugulare si contraeva quando i ragazzi e le ragazze più carine lo guardavano. Bello e tenebroso, ma non immune al fascino, di entrambi i sessi.
-No.- rispose, dopo un poco. -Specialmente non da te.-
Si scostò, per farla alzare.
-Vai verso est, all'albero con le foglie rosse gira a destra. C'è una stradina, seguila sino ad una tendina di rampicanti su una parete rocciosa: c'è una fenditura, è larga mezzo metro e alta uno e mezzo, nascosta dalle piante, oltre c'è il campo di bacche.-
Non aggiunse che rovi e fiori e farfalle distraevano le persone, ed il campo finiva all'improvviso con uno strapiombo.
-Non te lo avevo chiesto.- la rimbeccò.
Lo vide alzarsi, allontanarsi, ispezionando il loro piccolo campo.
-Non ho armi, qui. Non serve che controlli. E non me lo hai chiesto... ma per ogni evenienza. Tu fai un favore a me, io faccio un favore a te.- rispose. Appariva calma, ma con una mano si sfiorò il collo arrossato dove il semidio aveva stretto- neanche troppo forte in realtà- la sua pelle arrossata.
Non rispose, semplicemente se ne andò continuando a gettarle occhiate di sottecchi. Forse era perché non si fidava, ma lei preferiva pensare che volesse conservare un'immagine fedele della sua bellezza.
Si ripromise di esser lei la causa della sua morte, perché in quel gioco non uccidere è una richiesta di morte.

➋ Donovan- Fiducia
10.06 am, 14 maggio 2xx7, Foresta


ridi castane incontrarono occhi verdi da cerbiatto.
Le labbra della ragazza erano sporche di rosso, fragole mature che, a giudicare dall'aria soddisfatta nello sguardo della ragazzina e dal suo sacco aperto a terra, appartenevano proprio a lui.
la spada era ancora foderata, la piccoletta si trovava seduta ad un ramo ad un paio di metri d'altezza e, probabilmente, anche senza l'arma avrebbe potuto prendere una delle gambe che stava facendo dondolare nel vuoto e gettarla a terra, spegnendo la sua breve vita torcendole il collo sottile.
Donovan era dopotutto un armadio americano e superava il suo metro e sessanta scarsi di oltre venti centimetri.
Ma accolse la ragazzetta con un sorriso, apparentemente senza prendere a male il furto subito.
Anzi, evocò morbidi tralci di vite che, aiutati dal potere della ragazza, crebbero in fretta formando una scala per farla scendere.
-Ehi, Marie. Cosa ci fai qui?- chiese, alzando una mano a mo' di saluto.
Le piaceva l'aura della ragazza, la maggior parte del tempo: non aveva l'aria da dannato-e-tenebroso che assumevano la maggior parte dei figli degli inferi, forse bilanciata dalla parte di Kore, la Fanciulla della primavera.
Assumeva un atteggiamento dolce e remissivo, talvolta protestando sonoramente come un uccellino, ma Dioniso non era solo il dio del vino e del festeggiamento, come la personalità di Don avrebbe potuto suggerire.
Era anche dio della follia, e la sentiva propagarsi ad ondate dalla piccola Marie, più o meno intensa, dolce come melassa, più profonda che dagli altri suoi instabili fratelli.
-Grazie. Nulla, sono venuta perché una voce mi ha detto di farlo.- rispose semplicemente, poi si chinò a terra e spazzolò il terreno. Vi posò ma mano a coppa, con il palmo rivolto verso il basso.
-Non dovresti ascoltare le voci nella tua testa, ti faranno uccidere.- il ragazzo rise piano, scuotendo la testa. -E cosa diceva la voce?-
-Di andare nel bosco. Di portarti i fiammiferi.- alzò la mano, rivelando piccoli boccioli raggruppati. I più alti erano aperti, piccoli fiori di colore blu-violetto. Donovan li guardò con scarso interesse.
Era ben più interessato alle voci che la avevano portata qui: aveva passato mesi ad alimentare la sua follia, all'inizio quasi inconsapevolmente, e poi per la pura curiosità di vedere se si sarebbe spezzata. Aveva un aspetto fragile, ma l'esser figlia della dea della morte e della rinascita le dava una mente... non forte, ma abbastanza elastica da contenere tutta la follia che le regalava senza crollare. Ma queste sue voci... erano una novità.
Vide il suo sguardo preoccupato; per molto tempo era stato il suo confidente, si fidava di lui, le aveva detto che non era una brutta cosa la sua pazzia ma che gli altri non avrebbero capito.
-È molto carino. Cos'è?- le chiese, per sviare il discorso, e il suo sguardo si illuminò di nuovo. Erano in quella situazione da tre giorni, ed era sopravvissuto in maniera abbastanza comoda una volta trovata una fonte d'acqua limpida: non aveva fuoco ma tra gli alberi, lontano dall'umido terreno, aveva vissuto bene.
Ed ora il suo esperimento si stava ripagando, portandogli il fuoco. Un piacevole quanto inatteso risultato.
-È un giacinto! Ci sono molti graziosi fiori nascosti in questi boschi! Questo significa divertimento. Credo li abbiano piantati per avvantaggiare i figli degli dei legati alla natura. Anche la tua vite è stata piantata, un seme nascosto nel terreno e fatto sbocciare da noi.- disse, allegra. Si frugò nella tasca del leggero vestito verde, per porgergli poi un pacchettino crema con due strisce rosso mattone sui lati più lunghi.
Don allungò una mano, per prenderlo. Era uno scambio equo, le fragole per i fiammiferi.
-Cos'altro hai trovato nel tuo sacco?- chiese, alla fine.
-Del pane, una bottiglia di tè ed uno stocco. Non so usarlo, perciò l'ho dato d Milo per i suoi fiammiferi. Il pane ed il tè sono stati messi in un fondo comune, ma non avremmo abbastanza cibo se io e Marianne non cercassimo bacche e noci e se gli altri non cacciassero. Oggi ci ha accompagnate anche Amelie, ma di solito non lo fa. Minori ha trovato un amo, ma abbiamo anche poche armi...- si bloccò, la sua parte ancora sana diffidente nell'elencare le loro fragili difese.
Tuttavia sarebbe stato utile conoscerle, perciò Don ce la mise tutta per rendere il suo sguardo più innocente ed innocuo possibile. Come attore nato, anche una persona meno saggia dell'ingenua Sanders ci sarebbe cascato.
-Eddai, Marie, sono io. Puoi dirmelo, prometto che sarà un altro nostro piccolo segreto.- vede un lampo di esitazione, poi la moretta annuì e le trecce le rimbalzarono sulle spalle.
-Sì...- ed iniziò a raccontargli.

➌ Kay- Insonnia
10.24 am, 14 maggio 2xx7, Foresta


re giorni, in cui faticava a dormire. Il viso chiaro di Kay era ancora più pallido del solito, pallore sottolineato dalle occhiaie scure che gli circondavano gli occhi castani.
Da quando aveva lasciato la scuola, per non stare con quegli sciocchi, Morfeo lo aveva ignorato.
Probabilmente era a causa del terreno che lo rendeva inquieto: era impossibile riposare serenamente, quando avevi la sensazione che da un momento all'altro un mostro, un compagno, persino un cane avrebbe potuto aggredirti e ucciderti. Poi nel suo sacco aveva trovato una padella, che doveva fare, difendersi come la Rapunzel nel vecchio film? No. Ma in cima all'albero, aveva scoperto la notte prima, si sentiva meglio. Al sicuro, nei limiti del possibile in quella gabbia di matti. Con la Foschia poi si era ammantato al meglio delle sue capacità, per mostrare solo un albero privo di interesse: niente semidei, niente frutti, nemmeno un nido di uccellini, sia mai che qualcuno decidesse di far colazione con le uova e si ritrovasse lui davanti.
Ma un rumore strano lo svegliò. Si sentiva allarmato, nonostante fosse una dolce nenia, simile al suono di un gioco per bambini ma privo della sua allegria.
Oh, Cordelia.
La bambolina in rosa lo angosciava enormemente, era graziosa ma girava voce che fosse un Segugio.
Un paio di semidei della scuola avevano detto di esser stati scoperti a causa sua, che li puntava come un cane da caccia, e se glielo si chiedeva la risposta non era incoraggiante.
-Forse sì... forse no...- diceva, come se non le importasse nulla dei suoi simili. Avrebbe perfino giurato che con la coda dell'occhio li guardasse, tutti i presenti uno ad uno, godendo del loro terrore. Dannazione, era maledettamente inquietante.
Poi sentì la sua voce, non troppo distante.
”Pomme de reinette et pomme d'api,
d'api d'api rouge...”


➍ Marianne- Passeggiata
10.26 am, 14 maggio 2xx7, Foresta


arie era scomparsa.
Erano uscite in mattinata a cercare radici, frutta e dell'acqua, riempiendo le bottiglie vuote con l'acqua purificata dalla borraccia trovata dal suo fratellastro Milo.
Aveva un arco e qualche freccia, più per evitare che qualcuno le vedesse disarmate e fragili che per vero interesse nell'usarlo, mentre a Marie era stato prestato il coltellino svizzero di Alysse. Amelie, che le aveva accompagnate eccezionalmente, teneva una spada in bronzo celeste al fianco, poco diversa dalla sua solita arma, simile ma in ferro dello Stige.
Sembrava un compito facile, ma dovevano essersi allontanate più di quanto non avesse voluto: la ragazzina saltellava giocosa tra i sassi del fiume, fioriti grazie alla sua allegria di colori vivaci, giocava ad acchiapparella con la figlia di Ecate e di tanto in tanto si chinavano per raccogliere le noci della pianta che faceva loro ombra.
“È strano, pare che le piante fruttifichino a casaccio. Le noci dovremmo averle in autunno.” aveva detto, ma Marianne non ci aveva fatto caso.
Poi si era chinata ed aveva fatto crescere una splendida rosa bianca, aperta a bocciolo, affermando che le riuscissero bene solo perché lei era presente.
“Ecco qui. Una rosa, simbolo di tua madre, ma tinta della tua purezza.” e gliela aveva appuntata tra i capelli.
“Che bello! Riesci a creare un carpino bianco?” aveva chiesto Amelie, senza però mostrarsi delusa quando la figlia di Persefone le aveva detto che da sola riusciva a fare solo fiori.
“Perché... non so neanche cosa sia, un carpino bianco.”
“Lo avevo a casa mia, in Russia. A San Pietroburgo il clima è rigido, non riescono a sopravvivere tanti alberi come qui.” aveva risposto. Amelie era sempre stata un tornado, ma per la prima volta Marianne si rese conto di non conoscerla affatto: parlava molto, anche troppo a volte, ma raramente avevano avuto conversazioni più profonde o personali. Di solito la metteva a suo agio parlando di cose sciocche e sorridendole, con i pollici alzati, quando riusciva a farla ridere. Si sentiva in colpa: e se avesse avuto bisogno di lei? Era stata una pessima amica.
Stava per scusarsi, dopo qualche minuto di riflessione, quando fu la russa a parlarle.
Puntò le iridi smeraldine su quelle zaffiro della figlia di Afrodite, sempre con un mezzo sorriso incoraggiante, poi le chiese dove fosse Marie.
Si guardarono intorno, la chiamarono, poi esplorarono le zone vicine al fiume. Magari si era nascosta, anche se non sembrava logico, magari si era allontanata o aveva scorto dei pericoli... no, le avrebbe avvertite, sarebbero andate via insieme.
Una volta appurato che non si trovava lì vicino, avevano recuperato le noci, l'acqua e le radici che avevano raccolto, ed imbracciato l'arco, fiera di non vederlo tremare nelle sue mani chiare. Aveva anche appuntato i capelli biondi, legati in modo che le dessero un'aria più sicura, senza abbandonare però la rosa bianca che le aveva regalato l'altra ragazza.
Amelie aveva semplicemente estratto la spada, per essere più sicura e minacciosa.
”Pomme de reinette et pomme d'api
d'api d'api gris.”


➎ Lucien- Paura
10.28 am, 14 maggio 2xx7, Foresta


umori di passi, una persona, un semidio leggero che non era abituato a muoversi silenziosamente nel bosco.
D'istinto guardò Lucrèce, che gli fece cenno di restare in silenzio.
Allungò una mano, per prendere quella della ragazza.
Si sentiva meglio quando erano soli, lei era abbastanza forte da permettergli di rinunciare alla maschera dell'impavido figlio di Ares, e non lo prendeva in giro per questo.
Sentì le sue dita sottili stringerlo, le unghie affilate contro la pelle, poi si sporse.
Lucien, il guerriero caduto, che si faceva consolare da una figlia di Afrodite. Patetico. Ma non gli importava troppo.
-Sono Marianne e Amelie, armate.- sussurrò. Entrambe facevano abbastanza rumore, Amelie per la mancanza di fluidità mentre Marianne era terribile, avanzava china in avanti, cercando di apparire cauta ed esperta, ma ad ogni passo il vestito strusciava sui leggins, o calpestava un ramo o una foglia, o sussultava per i normali rumori del bosco, rendendola una preda appetibile.
-Andiamocene. Non sono una minaccia.- mormorò la moretta, in un tono meno guardingo.
Il ragazzo annuì, poi scorse una macchia chiara alle spalle delle due.
Si voltò verso la compagna, indicandogliela con lo sguardo.
-È il cane da caccia degli umani.- sibilò. Lucien vide la preoccupazione nel suo viso, strinse la sua mano per impedire che si avventasse contro Cordelia per proteggere Marianne, attirandola verso il suo petto per stringerla. Era più minuta di lui, ma scalciava come una cavalletta impazzita. Il rumore attirò entrambe le semidee, ma loro non se ne accorsero.
“Cache ton poing derrière ton dos
Ou je te donne un coup de marteau.”


➏ Amelie- Terrore
10.29 am, 14 maggio 2xx7, Foresta


os'era sto?
Amelie non provava spesso la paura, lei era vitale, allegra, un'esplosione di energia che la paura avrebbe soffocato. Non la amava e cercava di non mostrarla.
Ma il rumore... sembrava un litigio, aveva sentito anche una voce femminile, una canzoncina prova di allegria. L'aveva ignorata, troppi film forse, sembrava la trama di un film horror in effetti: le tre ragazze nel bosco, una si perde e le altre la cercano, un serial killer le bracca cantando.
No, avrebbe solo spaventato Marianne, alle sue spalle, pronta con l'arco mentre lei armata di spada stava in prima linea.
-Cos'è stato?- chiese allarmata Marianne, prima di emettere un lieve urletto.
Si voltò, si voltarono entrambe, Amelie vide l'arco di Marianne a terra e la ragazza tenuta da una ragazza che conosceva. Cordelia, con un'espressione insolitamente allegra- non si sarebbe mai azzardata ad utilizzare un simile aggettivo su qualcun altro ma, vista la mancanza di espressione perenne sul volto della semidea, pensava che sopracciglio alzato denotasse una gioia incontenibile.
Non sapeva che fosse figlia di Phobos, ma era certa che fosse un'angosciante divinità del genere: lei, coi suoi boccoli rosa e i vestiti da bambola, le metteva addosso una profonda inquietudine.
-Amelie...- mormorò la figlia di Afrodite. Doveva essersi persa, bloccata per un attimo, vide la punta della sua spada tremare ed era una reazione assolutamente inconsueta.
-Shhh... se butti la spada, magari non vi faccio tanto male. Oppure... è un'artista, l'ho visto disegnare. Magari la uso come tela?- chiese Cordelia. Non esprimeva nulla, con la voce, ma sembrava tenerla con una presa salda ma gentile, come un ballerino con la sua dama.
Forse il suo scopo era proprio quello, spaventarle a morte. Prese un pugnale dalle balze, iniziando ad incidere la pelle di Marianne. Amelie era disgustata, ma qualcosa nel suo viso le faceva pensare che Cordelia fosse affascinata dalla pelle rosa chiaro della ragazza, mentre il sangue scarlatto la macchiava.
Marianne emise un altro urlo, cercando di divincolarsi in preda al panico, estendendo ulteriormente le sue ferite.
Uno schiocco, e dal bosco uscì Lucrèce. Alle sue spalle, con la lancia e un brutto segno di morso sul braccio, Lucien.
-Lascia andare MJ.- sibilò la figlia di Afrodite, stringendo i pugni. Amelie ne aveva viste tante, di ragazze del genere, ed era certa che in una vera rissa i pugni curati di lei non facessero male quanto le unghie. O i denti, a giudicare dall'espressione di Lucien.
Tornò a prestare la sua attenzione a Cordelia che, per quanto crudele, non era stupida. Doveva aver capito che da sola non avrebbe potuto tener testa a due semidei armati, non senza effetto sorpresa. Fece un paio di tagli alla sua prigioniera, sull'interno della gamba e sull'avambraccio, gettandola distante mentre il sangue iniziava ad uscire copioso.
Poi si voltò e corse via, ma Amelie sentì un'ondata di nera paura che le impedì di correre e prendere l'arco come avrebbe voluto fare. Nell'impeto del momento aveva pensato di puntare una freccia alla schiena di Cordelia, ma un attimo di spaventosa esitazione e la ragazza era scomparsa.
Vide Lucrèce correre dalla sorellastra, poi sentì un rumore e ancora scossa si voltò per fronteggiare il nuovo venuto come una pericolosissima minaccia.

➐ Marie- Speranza
10.31 am, 14 maggio 2xx7, Foresta


altellava allegra.
Doveva tornare indietro, o non avrebbe potuto aiutare Marianne ed Amelie con il buon cibo che dovevano portare ad Alysse e Minori e Neville e anche il suo fratellastro. Contavano tutti su di loro, era una missione davvero importante!
Ma prima di tornare dove l'aveva lasciata, le vide.
Vide molto più di quello che avrebbe dovuto, in realtà: la schiena di una ragazza, tanto sangue, Amelie che le puntava una spada contro con lo guardo sconvolto.
-Che succede? Marianne...?- chiese, per poi avvicinarsi a lei senza preoccuparsi della lama e della figlia di Ecate. C'era sangue, Marianne a terra, con Lucrèce china su di lei. Cantava piano, mentre la ragazza sporca di sangue e lacrime sorrideva appena.
Non capiva. Perché sembravano tristi?
-Marie! Siamo venuti a cercarti, dove ti eri cacciata?- disse Amelie, con tono stranamente irato, abbassando la spada.
-Sono andata a cercare da mangiare.- disse semplicemente. Poi si chinò sulla ragazza, le sorrise e le sfiorò la guancia.
-Eccomi qui, Marianne. Adesso andrai dalla mia mamma, ti raggiungerò presto, e poi in primavera torneremo e ci reincarneremo in splendidi fiori, e tu sarai una rosa bianca.- disse, sorridendole. La ragazza le sorrise di rimando, e nessuno riuscì a prevederlo o fermarla quando prese il coltellino e le tagliò la gola.




ℒ''angolo di ℱe
Eccoci qui!
Ho cambiato il capitolo, perché il precedente non mi soddisfaceva e perché lo avevo pubblicato senza aspettare i due giorni. Non succederà più, d'ora in avanti aspetterò anche se dovesse dire pubblicare più lentamente.
Tra l'altro, questo capitolo vi è offerto online dall'aeroporto di Berlino! Viaggio per lavoro, volevo pubblicare prima di partire ma a quanto pare non l'ho fatto alla fine. (so che ci sono degli errori, l'ho riletto sette volte e ormai lo trovo persino noioso, ma non penso di averli trovati tutti. Segnalatemeli)
Siccome ora spetterò due giorni (48 ore precise da quando invio il messaggio, che di solito è tipo notte fonda perché scrivo a quell'ora) non succederà più che si modifichi un capitolo, perciò tranquilli.
Ho inserito anche Amelie per evitare una strage, senza Damien avvelenato Marianne veniva uccisa, Lucrèce cercava di salvare la sorellastra ma non aveva la minima chance, Lucien la seguiva e moriva ferendo Cordelia, nel frattempo arrivava Marie... beh, long story short, avevamo cinque morti ed un ferito. Gli scontri epici non sono offerti oggi, mi dispiace (anche perché non era epico per niente) Che altro... beh, nulla credo. Fatemi sapere che ne pensate, per favore, le recensioni mi aiutano ad essere più veloce! (non è vero, è che mi piace sapere se il testo è soddisfacente e se i personaggi vi piacciono, e soprattutto se sto muovendo bene i vostri cucciolini)
Baci, al prossimo capitolo! Per qualsiasi richiesta (che fa un determinato pg, come funziona una determinata cosa) chiedete pure, e farò in modo che il capitolo successivo tratti la vostra curiosità~
Fe_

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Capitolo 6
*** Il significato delle metafore ***


Battle Divine
Il significato delle metafore


➊ Cassandra- Strategia
10.40 am, 15 maggio 2xx7, Esterno della scuola


on capiva, non capiva davvero.
Questo aveva dedotto Cassandra osservando la figlia di Persefone: non era un'assassina, non era malvagia, era veramente convinta di quello che diceva.
Sapeva che gli altri non lo avrebbero capito, al pari di lei: con Kandinskij stava riportando il corpo morto di Marianne quando si erano incontrate.
Si era fatta raccontare cos'era accaduto, Amelie non aveva parlato, e questo era davvero strano: era muta, rimugginava, guardava l'altra brunetta.
E l'altra aveva risposto.
-Marianne è con la mamma, ora. Cordelia... l'ha ferita. Così io l'ho fatta smettere di soffrire. Sarà una splendida rosa bianca.- non aveva capito all'inizio, ma un po' deducendo ed un po' interpretando le loro parole o assenza di parole aveva ricostruito la storia.
Le persone erano facili, per lei, dopotutto: aveva persino notato una certa malcelata tristezza quando parlava di Cordelia, e Cassandra si era fatta l'idea che fosse lei il pesce pericoloso in tutta questa storia. Non aveva ucciso materialmente Marianne, ma senza quella ferita Marie non sarebbe scattata. Non era una minaccia, la bruna, solo ingenua ai limiti della stupidità. O della pazzia, o di entrambi: non era mai stata la stella più brillante del firmamento.
E poi, aveva aggiunto una cosa.
-Don sarà arrabbiato con me. Lui non capirà.- aveva detto, e guardandola la figlia di Ermes aveva scorto una nota di sincero rammarico nel suo sguardo.
-Perché no?- le aveva chiese, mettendo tutta la gentilezza che poteva senza sembrare falsa in quelle parole.
-Perché lui voleva bene a Marianne. Non vorrà sentire che stava male, che diverrà fiori a primavera e starà al sicuro tutto il tempo.-
E questo le aveva dato un'idea.
Per questo aveva aspettato il funerale, la semplice sepoltura sotto lo sguardo di alcuni semidei del corpo esangue di Marianne.
La sua tomba stava accanto a quella di Emily, un tripudio di papaveri per augurare un buon riposo alla semidea suicida, ma Marie aveva raccolto tanti semi, o quel che erano, di rose.
E ora li stava facendo germogliare, piccoli e a fatica, rovi senza boccioli.
-Ciao, Marie.- la salutò, sedendosi accanto a lei.
-Ciao, Cassidy.- rispose semplicemente, concentrandosi per cercare di far aprire un piccolo fiore. Doveva essere più turbata di quanto non dimostrasse, perché la rosa si seccò e cadde a terra. Marie la schiacciò col palmo, in un gesto di stizza.
-Ho un'idea.- le disse, sorridendo in maniera gentile.
La semidea alzò lo sguardo, incuriosita.
-Devi andare da Don, devi essere tu a dirglielo. Digli che Cordelia aveva ferito a morte MJ, che non si poteva salvarla. Non sarà arrabbiato con te, lo conosci.- disse. Se le fosse andato bene, Donovan avrebbe ucciso Cordelia, uno scricciolo contro un gigante. Se le cose fossero andate male... forse la figlia delle bambole darebbe stata un'avversaria più interessante del previsto.

➋ Simon- Trasloco
3.22 pm, 15 maggio 2xx7, Aula al terzo piano


alvolta la sua insonnia era una benedizione.
La mancanza di sonno gli permetteva di fare molte cose, anche se non era raro si sentisse stanco difficilmente rinunciava alle sue cause.
Forse l'insonnia era la causa dei suoi sbalzi d'umore, abbastanza famosi da dargli il soprannome di Moony, ma poche erano state le volte in cui lo aveva trovato tanto frustrante.
Fissava fuori dalla finestra, ricordava la notte precedente il paesaggio reso così diverso dalla luce della luna. L'aula che aveva occupato aveva una vista persino interessante, studiandola aveva notato un riverbero che era sicuro essere un corso d'acqua dentro la foresta, ma soprattutto vedeva il rosso dei papaveri che nascondevano la tomba di Emily.
Non lo infastidiva, non lo rendeva nemmeno particolarmente inquieto, ma l'idea di non aver protetto una sua amica e che questa a breve sarebbe stata sepolta lì sotto... aveva deciso di cambiare aula, e forse anche cambiato idea riguardo i pacifisti.
Sapeva che non erano cattivi, ma aveva ostinatamente difeso la sua idea di fare il cane solitario, nonostante le suppliche di MJ.
Credeva di poter convincere tutti a non uccidersi, ed era partita dal più convinto dei semidei.
Ma ora non riusciva a sopportarlo, la sua tomba era un tripudio di rovi e lui non voleva continuare a vederla.
Perciò aveva raccolto le sue cose- un sacchetto di caramelle ancora chiuso e due convertiti in contenitori per noci e persino un pezzo di carne cotto, la bottiglietta riempita d'acqua e la spada al fianco, oltre che dei bastoncini appuntiti nelle notti insonni- ed aveva deciso di partire.
Lasciare quell'aula si era però rivelato più complesso del previsto, un po' per i preparativi un po' per il dover decidere quale sarebbe stato il suo primissimo passo: voleva davvero rinunciare alla sua umanità, ed uccidere per non essere ucciso? O voleva continuare l'opera di Marianne, e convincere tutti a non farsi del male, sciocca idealista?
Si sedette alla cattedra, riflettendo con la dovuta calma, quando l'occhio gli cadde sul computer acceso.
-Ma che cazz...?-

➌ Hidetora- Guai
3.47 pm, 15 maggio 2xx7, Ala est della scuola


ome aveva fatto a convincerlo?
Hidetora era il ragazzo più tranquillo della classe, tanto sobrio da spiccare in contrasto con le personalità accese dei suoi compagni.
Eppure camminava tranquillo a fianco di Angelica, che aveva deciso che per alleggerire l'umore generale la mancanza dell'angosciante voce che tutti chiamavano “il preside” sarebbe stato un bel passo avanti.
Gli stava raccontando, però, che in mattinata era stata in esplorazione. Aveva visitato l'ala est della scuola, lasciata praticamente abbandonata in quanto la maggior parte dei semidei stavano nella parte ad ovest dove si trovava la palestra, e quindi spogliatoio e docce, ed infermeria e mensa.
-Ma il problema è, vedi, che ci sono un sacco di trappole... o almeno così credevo. Pensavo bastasse evitarle, e mi ci sono fiondata. Ma...- e gli mostrò il braccio, fasciato appena prima di incontrarlo. -E se non ci riesci tu, perché dovremmo migliorare in due?- chiese. Sapeva che la figlia di Ermes era un bel peperino, il classico tipo che prima agisce e poi si chiede se sia la cosa più saggia da fare, Ma era anche minuta e svelta, e non vedeva come il suo pacato essere avrebbe potuto aiutarla. Non era certo un figlio di Atena, per quanto non si considerasse stupido, né era forte come un figlio di Ares che avrebbe probabilmente distrutto tutte le trappole prima che scattassero.
Era un figlio di Elio, e a meno che non gli servisse della luce per il primo tratto non credeva l'avrebbe aiutata. Non avrebbe certo messo a repentaglio la sua vita per migliorare l'umore generale.
-Sono quesiti! Per disattivare le trappole bisogna rispondere a delle domande.- rispose.
Si perse un momento ad osservarla. I ricci capelli castani erano tagliati corti, e aveva ben poco delle graziose ragazze che si vedevano a volte. Inoltre apprezzava il fatto che non venisse spesso ad infastidirlo, non si erano parlati molto ma quella mattina gli si era presentata in maniera quanto mai calma, aggettivo che raramente le avrebbe associato prima, solo per ottenere il suo favore.
-E speri che io ti dia le risposte.- era una situazione strana, lui aveva capito che la ragazza era piuttosto capace quando si trattava di ottenere il massimo dalle situazioni, ma allo stesso modo pareva che non sempre si rendesse conto delle conseguenze delle sue parole ed azioni se non aveva nulla da guadagnarci. Allo stesso modo, la ragazza doveva aver capito che non era difficile ottenere la sua collaborazione, era gentile per natura e gli bastava non essere infastidito.
-Che mi aiuti. Ho provato ad andare da sola, ma hai visto.- chissà cosa avrebbe ottenuto da questa mossa, si chiese l'asiatico.
Ma scosse le spalle, non del tutto convinto. Avrebbe sempre potuto andarsene, se avesse visto che non ne valeva la pena, ma almeno la cortesia di provare la prima domanda non lo avrebbe ucciso, no?
-Vengo anche io.- sia lui che la ragazza si voltarono, alla voce improvvisa. Alle loro spalle, scuro in viso, era uscito dalla stanza Moony, cocciuto figlio di Apollo.
Hide non aveva intenzione di negarglielo, sarebbe stato inutile, mentre Angelica si aprì ad un sorriso allegro.
-Vieni dal preside? Sarà come ai vecchi tempi, ma stavolta ci portiamo anche un bravo ragazzo!- esclamò, accennando al figlio di Elio. Effettivamente per motivi diversi ma entrambi avevano passato buona parte del loro tempo fuori dalla classe, in punizione.
-Vengo dal preside, voglio che mi spieghi questa storia del registro elettronico.- rispose Simon. Aveva il pugno stretto, ed Hide decise che forse era meglio stargli lontano. Fosse mai che il suo umore altalenante lo colpisse.
-Cosa intendi?- chiese poi, dopo essersi allontanato.
-Tutti i computer sono aperti sul registro della nostra classe. Siamo tutti presenti, eccetto Emily che è sempre segnata assente, e Marianne. Lei è stata segnata assente questa mattina.-

➍ Arthur- Decisioni
4.00 pm, 15 maggio 2xx7, Palestra della scuola


he bel casino.
La riunione era iniziata, erano tutti presenti, ma nessuno riusciva a far partire il discorso.
Alysse, Milo, Minori e Neville guardavano in giro, a terra, ovunque meno che gli uni gli altri. E Arthur faticava a far partire il processo.
Del loro gruppo mancavano MJ, deceduta, e Marie. Dovevano decidere le sorti di Marie, Piccola assassina.
-Allora... sappiamo tutti perché siamo qui. Cosa ne pensate?- iniziò Arthur.
Si sentiva decisamente a disagio, anche se lo sguardo era gelido e il viso non traspariva minimamente questa sua sensazione.
All'inizio aveva pensato che la soluzione migliore fosse eliminare la piccola Sanders senza nemmeno farlo sapere agli altri, dopotutto la sua maggior preoccupazione era il mantenimento dell'ordine, ma poi si era reso conto che la ragazza era totalmente indifesa. L'aveva portata lontana e lei lo aveva eseguito docilmente, e la sua parte umana lo aveva fatto desistere. Avevano dei bei ricordi insieme, non si fidava ciecamente di lei ma la figlia di Persefone sembrava farlo. E non si era allontanata nemmeno quando le aveva chiesto di farlo.
E, alla fine, nonostante non ci fosse traccia di pentimento nei suoi occhi, gli era parso di capire che l'aveva uccisa solo per tenerla al sicuro. Nel suo contorto modo di vedere le cose, aveva protetto la sua amica. Non poteva prendere questa decisione da solo, doveva almeno farla sembrare una scelta di gruppo.
-Non possiamo tenerla qui. Non dopo ciò che ha fatto.- iniziò Neville, con tono basso. Non gli piaceva mettersi al centro dell'attenzione, ma trovava necessario farlo. Non voleva condividere il letto con una ragazzina instabile che probabilmente considerava la miglior fine per tutti essere soffocati da rose e rampicanti.
-Non possiamo nemmeno ucciderla.- rispose Alysse. Arthur represse un'alzata di sguardo: s'era messo a farsi dar consigli dalle due persone meno propense a parlare in pubblico.
Aveva sperato nessuno dicesse nulla, con Milo ancora turbato e gli altri sempre in disparte, ma l'unico che seguiva fedelmente la sua parte di zitto e muto era Elderwood.
-E allora buttiamola fuori, no?- propose il figlio di Proteo, alzando un sopracciglio. Nell'eseguire il movimento questo passò da nero a biondo miele.
-Sarebbe come ucciderla. Non sopravvivrebbe con quei cacciatori.- lo incalzò Alysse. In qualche modo sentiva di potersi fidare di lei, ma non era certo vedesse in modo obbiettivo la questione. Non era una ragazzina malata da curare, era una malattia senza speranza che avrebbe ucciso tutti. Forse.
-Ha ragione Alysse. Mettiamolo ai voti.- risolse Arthur. Non era sicuro di volerla uccidere, ma quasi certamente la decisione finale sarebbe stata sua: Alysse avrebbe votato per tenerla, incapace di condannarla, mentre Neville e Milo quasi certamente avrebbero votato per mandarla via. Minori avrebbe seguito Alysse, perciò il suo voto sarebbe stato decisivo. Cosa voleva fare?

➎ Angelica- Scampagnata
4.24 pm, 15 maggio 2xx7, Corridoio della presidenza


orrise, un ghigno furbetto e contagioso.
Si era messa a giocherellare con le dita, ignorando le occhiate astiose di un evidentemente irritato Simon. Sperava che il suo soprannome fosse più preciso, erano insieme da dieci minuti e ancora il suo umore era scuro come il cielo fuori.
Forse la colpa era in parte anche sua, ma il figlio di Apollo si stava portando dietro tutta la sua roba, e non solo le armi come lei ed Hide, che colpa ne aveva se le sue invitanti caramelle erano a portata di mano?
Aveva dovuto restituirle prima di poterle assaggiare, uffi.
Però ora erano arrivati al corridoio che portava alla presidenza, come segnato da inquietantissimi fogli con scritte colorate.
Neanche il fantomatico preside volesse farsi trovare, e li prendesse in giro.
-Quindi... la prima prova?- chiese Hide, chinandosi per osservare un foglio rosa con dei palloncini ad incorniciare la freccia con su scritto “Presidenza”.
-Dietro i cartelli ci sono delle domande. E se guardi per terra ci sono delle lettere, numeri, parole...- mentre parlava il brunetto aveva girato il cartello, mentre lei indicava le mattonelle a terra.
-Vedo solo dei numeri... da uno a dieci.- rispose Moony, avvicinandosi.
-Fermo! Se passi lì scatterà una trappola.- lo bloccò Angie, fermandolo per un braccio.
-“Quante sono le regole nella Fattoria degli animali?” Bisogna saltare sul numero corretto?- propose, dopo aver letto la domanda che aveva in mano, poi il ragazzo si scostò la liscissima frangetta che gli aveva coperto gli occhi a mandorla ed indicò il numero 7.
-Questa era abbastanza facile. Quante piastrelle bisogna saltare?- continuò poi guardando i due compagni di squadra.
-Sono vediamo... dal bordo della trappola, cinque per arrivare a quella col numero. Suppongo siano a metà, quindi...- calcolò Simon, e prima di finire la frase fece due balzi e atterrò oltre la decima piastrella: un salto impossibile o quasi da risolvere in un solo slancio, ma passando per la piastrella col numero 7 non era scattata nessuna trappola.
-Ehi! Questa è la mia missione. Sono io il capo!- protestò Angelica, seguendolo a ruota.
Per ultimo arrivò Hidetora.
-Sia ben chiaro: andrete sempre voi per primi.- precisò infatti, dopo i salti.
-Dobbiamo proteggere la nostra mente, eh? Sei l'Annabeth del gruppo.- Angelica sorrise.
Aveva letto dei Sette della Profezia, semidei come loro in un tempo in cui non venivano cacciati. Un tempo in cui avrebbero potuto diventare eroi insieme, e non l'uno contro l'altro.
-... certo, proprio uguale è.- ribattè Moony. Ed Angelica perse il suo sorriso.
Stava per ribattergli, una delle sue risposte schiette e poco addolcite, quando Hidetora lesse ad alta voce il successivo quesito.
-“Come morirono Romeo e Giulietta?”- chiese, e Angelica decise che si sarebbe potuto aspettare un momento successivo per battibeccare.
-Eh, questa l'ho tirata a caso. Sono saltata sulla mattonella che diceva “veleno”, ma la trappola è scattata.- rispose.
L'asiatico aggrottò le sopraciglia, mentre Moony mormorava “Ma veleno è corretta...”
-Sì, veleno è la risposta... ma in parte. Giulietta morì accoltellata... si suicidarono.-
Osservando le piastrelle effettivamente una, all'estrema destra, recitava “Suicidio”.
-Ora la domanda è: bisogna scegliere suicidio, o saltare contemporaneamente su veleno e pugnale?- rifletté ad alta voce, ma con uno sguardo già lei e Simon si erano capiti.
Presero la rincorsa, saltando insieme e atterrando in contemporanea sulle due mattonelle. Solo grazie ai loro affilatissimi riflessi da semidei riuscirono ad abbassarsi in tempo per evitare il getto di fuoco. Prima che potesse riprovarci atterrarono oltre il bordo sicuro.
Qualche momento dopo, il tempo di rallentare le pulsazioni del cuore, e Hide atterrò leggero al loro fianco.
-Se aveste aspettato, avreste capito che le trappole non possono essere progettate per un determinato numero di semidei. Era semplicemente suicidio.- li apostrofò, controllando nel frattempo le loro condizioni. Poteva anche apparire serio e calmo, ma Angelica era certa che tenesse a loro, in qualche modo.

➏ Simon- Sorpresa
4.58 pm, 15 maggio 2xx7, Davanti la presidenza


inalmente!
Era bruciato, tagliuzzato e affamato, ma avrebbe finalmente potuto dare un senso alla sua frustrazione.
Si era reso conto nel corso delle prove che uccidere il Preside non avrebbe riportato in vita la sua amica, né avrebbe impedito che altri innocenti morissero, ma era meglio che starsene con le mani in mano.
Poteva fare qualcosa, qualcosa che chiarisse come lui non ci stava, non voleva “giocare” a quel modo e soprattutto non alle loro regole.
Angelica, con quel suo sorriso sbieco e furfante, e Hidetora con la sua composta integrità, avrebbero certo potuto essere compagni leali, e in qualche modo l'aver rischiato con loro per un motivo stupido- la serenità per Angie, la vendetta per sé e chissà cosa per Hide- lo aveva distratto dai suoi scuri pensieri.
-Siamo arrivati.- disse semplicemente, guardando le porte della presidenza. Fece per entrare, ma fu bloccato dal minuto asiatico.
Perse un minuto ad osservare la porta, poi scosse la testa.
-Credo sia chiusa a chiave, ma nulla di più.- concluse alla fine. Ma Simon era stanco, stanco dei loro stupidi giochetti, e fece per estrarre la spada.
-Lascia fare a me. Non vogliamo certo allertare chi c'è dentro, non trovi?- fece Angelica, prima che potesse mettersi ad aprire la porta nel mondo più rapido che gli era venuto in mente.
Aveva specificato di non essere riconosciuta come figlia di Ermes, ma il modo sereno con cui si mise in ginocchio ed aprì la porta scassinandola, con a disposizione solo un pugnale ed una forcina (rubata, a suo dire, a Lucrèce), faceva capire in maniera lampante la sua discendenza.
-Okay, Hide risolve le domande, tu apri, ma il Preside lo sistemo io.- disse Simon.
Entrambi annuirono, e lasciarono entrare entrare lui per primo.
Non si aspettava quello: la stanza era buia, illuminata solo da monitor di computer, con una figura in penombra immobile seduta lì davanti.
Simon entrò in silenzio, la spada in mano e gli occhi grigioblu fissi sulla sedia. Vedeva un braccio, cianotico forse a causa dell'illuminazione, ed un puzza terribile...
E, quando girà la sedia, si diede dell'idiota da solo: avrebbe dovuto immaginarlo.
Seduta sulla sedia, decapitata e ormai in via di decomposizione, c'era la professoressa Johnson. O meglio, il suo corpo, che ora avrebbe potuto essere sepolto assieme alla sua testa.
Aprì la bottiglietta, per versare l'acqua sui computer, che fecero cortocircuito.
-Bene. Ora non dovrebbe essere più un problema. Portiamo fuori la professoressa, non aveva colpa.- sibilò.
Si voltò verso i due compagni: Angelica aveva una mano a coprirle bocca e naso, gli occhi chiari sgranati, mentre Hide aveva gli occhi assottigliati e l'espressione nervosa quanto sconvolta.
Prese la professoressa, attento a non toccare la pelle, e la sollevò. Gli facevano quasi impressione i disegni neri delle vene sulla pelle verdastra, ma soffocò il disgusto.
-Come usciamo? Dobbiamo... saltare con lei?- chiese Angie, dopo aver ripreso la capacità di parola.
Simon scosse la testa.
-No, passiamo per la finestra. Sono certa ce ne sia una, e siamo solo al secondo piano.- rispose, avvicinandosi alla parete più lontana dalla porta per cercare un'apertura.
Quei maledetti... non avrebbe mai, mai giocato al loro gioco.




ℒ''angolo di ℱe
Sesto capitolo!
Qui abbiamo la risposta parziale alla domanda “Che succede ai morti, come si sa chi vive e chi no?”
I morti possono essere sepolti in caso chi li uccide se ne occupi, perciò vi lascio una domanda: i vostri Oc seppellirebbero le loro vittime? Si, no, solo gli amici? Ditemi!
Inoltre ci sono due modi per sapere chi è vivo: o lo si vede, o si consulta il registro di classe. Come ho mostrato nel capitolo, in tutte le classi c'è un computer aperto sul registro elettronico, se il ragazzo è segnato “assente” vuol dire che è morto.
Infine... come (sperato? Scelto da me, insomma) abbiamo per un attimo distolto l'attenzione dal problema che è diventato Marie, visto che si stava prendendo un po' troppe attenzioni per quanto sia una bambina bella, e vediamo Hide (e Angelica e Simon) risolvere uno dei misteri della scuola.
Se avete dubbi sul tempo (li avete, fidatevi, li ho pure io a volte) la morte di Marianne è accaduta il terzo giorno, l'hanno seppellita la mattina del 4°. Per dubbi o curiosità, chiedete e verrete esauditi nei capitoli successivi~
Spero vi sia piaciuto, e chiedo venia per la lunga attesa!
Bacioni
Fe_

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Capitolo 7
*** Amicizie e Tradimenti ***


Battle Divine
Amicizie e Tradimenti


➊ Minori- Ansia
5.26 pm, 15 maggio 2xx7, Ala ovest della scuola


on riusciva a respirare.
In una giornata normale Alysse o Marianne o persino Marie lo avrebbero calmato, ma la prima non c'era, l'ultima nemmeno, e Marianne... Marianne...
Si chinò a terra, cercando di far andare le ampie boccate di ossigeno che inspirava sino ai polmoni, al cuore. Marianne non ci sarebbe stata mai più.
Il suo era un attacco di panico in piena regola. Era ridicolo, no? Suo padre era il dio della medicina, e lui si faceva mettere k.o. da un attacco di panico.
Provò a posare le braccia a terra, per sollevarsi dalla posizione inginocchiata e china in avanti che aveva assunto. Si trovava nei corridoi tra la palestra e l'infermeria, situati strategicamente vicini, e di certo qualcuno prima o poi lo avrebbe trovato. Doveva solo aspettare, anche se una parte di lui temeva che l'asfissia non fosse solo una sensazione. Se il collare lo avesse ucciso? Nessuno lo avrebbe trovato, sarebbe morto lì, formiche e mosche si sarebbero saziati della sua giovane carne e nessuno avrebbe pianto per lui.
Sentì il panico stringergli maggiormente il petto, la punta delle dita farsi insensibile, avrebbe addirittura potuto giurare di avere un'esperienza extracorporea e, mentre osservava il sé stesso chino a terra, non si accorse di Milo che correva verso di lui.
Solo quando il ragazzo lo prese per le spalle, scuotendolo con vigore, Minori si riprese.
-Ehi piccoletto, tutto bene? Rispondimi, dai!- esclamò.
-... ! Mils!- rispose, sentendo d'improvviso il sangue tornare a scorrergli nelle vene in maniera quasi dolorosa, e riacquistando lucidità. Non avrebbe mai pensato che un approccio del genere potesse funzionare, eppure lui riusciva a respirare.
-Ti senti bene? Ti hanno ferito?- chiese, portando il viso vicino al suo. Troppo vicino. Minori arrossì violentemente e si allontanò di scatto.
-.. sì, cioè no, sto bene. Tranquillo. Ero solo... sai, ogni tanto cado e...- balbettò, aggiungendo una risata nervosa.
Maledetto fascino di Afrodite, lui era già abbastanza impacciato senza dover anche fronteggiare una cotta adolescenziale. Non era il momento per farsi dare un due di picche, proprio no.
-... e smetti di respirare?- chiese Milo, alzando un sopracciglio e riprendendo il ghigno divertito che gli macchiava spesso le labbra.
-Sì, tipo. Anche.- tornò a guardarlo, con un sorriso timido.
Preferiva decisamente parlare con lui che essere lasciato solo, aveva il potere di metterlo a suo agio abbastanza da aprirsi un po'. Riusciva a dargli l'impressione che lo ascoltasse davvero, senza fastidio.
-Dove stavi andando? Ti accompagno.- disse. Minori annuì, indicandogli la classe di scienze. Sperava di poter trovare qualcosa di utile, sempre che non fosse già stata svaligiata, e vedere il ragazzo precederlo gli dava la perfetta occasione per osservarlo senza risultare strano.
La pelle del ragazzo era candida, diversa dal suo pallore, compatta e liscia nonostante lo stocco al suo fianco rivelasse il suo lato attivo, guerriero. I capelli erano scuri, in contrasto, corti ai lati e mossi sulla sommità del capo, davano al suo viso allungato un aspetto armonioso.
Anche la corporatura massiccia era ben diversa da quella minuta di chi osservava, e Minori si ritrovò nuovamente a sospirare. Non sapeva se era amore, una cotta o solo desiderio di poter essere più simile a lui, ma non riusciva a togliergli lo sguardo di dosso.
E poi si ricordò.
Lui aveva votato per lasciare che Marie morisse.

➋ Jason- Amicizia
8.17 pm, 15 maggio 2xx7, Fucina improvvisata


l sole stava tramontando, e quindi loro stavano spegnendo il fuoco.
Per Jason la presenza della sorellastra era una benedizione ed una maledizione al tempo stesso: la calma della ragazza lo contagiava, calmando i suoi attacchi d'ira come prima solo Viktoria sapeva fare, ma lo rendeva anche estremamente impaziente. Era il più iperattivo dei semidei, e metterci più di un secondo per un'operazione era già troppo per lui.
-Ehi, 'Kiya, mi aiuti con la sabbia o no?- ripeté, dopo aver atteso ben dodici inutili secondi che la ragazza alzasse il viso dalle carte che stava osservando, una matita in mano.
Solo in quel momento la ragazza gli rivolse l'attenzione, apparentemente sorpresa.
-Mh? Ah, certo, eccomi.- rispose, con un tono altrettanto alto. Jason trattenne un sospiro, l'intreccio di erbe che fungeva da contenitore per la sabbia ormai quasi al suo posto accanto alla piccola fornace costituita da argilla e pietre di fiume.
Se non si fossero mossi in fretta, la luce li avrebbe resi prede fin troppo appetibili per i mostri che popolavano la foresta. Era successo la prima sera, e da allora si erano assicurati di soffocare il fuoco prima che il sole sparisse del tutto, oltre ad assicurarsi legna asciutta per alimentarlo al mattino successivo, riportandolo in vita dalle braci coperte.
La bella sudafricana gli si avvicinò con calma, immergendo la mano destra nella sabbia fresca con un'espressione di piacere. Era qualche centimetro più alta di lui e, alzando il viso, vide le sue labbra distendersi in un'espressione di piacere.
Immerse a sua volta entrambe le mani, aperte come una pala, e gettò una bella dose di sabbia sulle fiamme morenti.
-Come si dice dalle mie parti, è meglio arrivare un’ora più tardi a casa che un’ora prima all’ospedale.- rispose al suo gesto, per poi mettersi a lavorare.
Mancavano ancora diversi minuti al buio totale, ma questo non impedì ad AJ di alzare gli occhi blu al cielo.
-Sì, ma così ci beccheranno. E finiremo...- non gli servì finire la frase, perché con un sorriso contagioso Zakiya mosse la mano come il becco di una papera. Da quando era lui a fare la predica agli altri?
-Sapete, AJ ha ragione! Vi ho trovati subito.- disse una voce allegra alle loro spalle.
Di scatto i due semidei si voltarono, uno stringendo i pugni e l'altra prendendo in fretta la lancia che avevano costruito come prototipo. Non era il massimo, per lei, ma per fortuna non avrebbe dovuto usarla.
Davanti a loro c'era Don, le mani alzate in modo scherzoso, come un ladro davanti la polizia. Un sorriso allegro gli illuminava il volto.
-Mi sa che non mi avevate sentito, eh? Dai amici, sono io.- disse allegramente.
Zakiya abbassò lentamente l'arma, senza tuttavia mollarla. Certo, lo conosceva, era suo compagno di classe. Non lo avrebbe mai ucciso, era comunque un essere umano. AJ, invece, abbassò le braccia ma continuò a stringere i pugni.
Amici, certo. Erano amici, ogni tanto, anche se più spesso si trovavano in compagnie diverse: il figlio di Dioniso era troppo... esuberante per lui, e sembrava apprezzare di più l'allegra sorellastra, anche se preferiva di gran lunga altre persone rispetto a loro.
In effetti, non si poteva considerarlo loro amico.
E le strane voci su di lui... AJ scosse la testa. Non doveva dubitare così, sarebbe diventato un assassino senza motivo in quel modo.
-Eh, mi sa proprio di no. Come mai sei qui?- gli chiese, simulando un sorriso rilassato.
Meglio fingere fosse tutto apposto, Don era comunque un colosso, e se poteva non metterselo contro ci avrebbe solo guadagnato.
-Ho visto cosa fate. Cercate di costruire anche qui, e mi sono detto che è meglio cercare di essere amici, no?- rispose.
Zakiya sorrise. AJ poteva quasi sentire i suoi pensieri, un amico era qualcuno che non avrebbero dovuto uccidere. E, si rese conto solo in quel momento, il ragazzo parlava a voce fin troppo alta. Solo per farsi sentire anche da lei...?
-Certo.- rispose, prima che la ragazza potesse esprimersi.
-Perciò, visto che siamo amici, vi posso consigliare un bel posto dove raccogliere radici commestibili. Scommetto che il cibo nelle vostre sacche sta scarseggiando, se non lo avete già finito, no?- continuò Don, come non notasse lo strano comportamento del ragazzo. Certo che lo notava, si disse.
Però, in effetti, avrebbero dovuto trovarne presto. Il pane e le fette biscottate che avevano trovato non li avrebbero nutriti ancora per molto, anzi, le loro scorte erano quasi finite, anche se erano stati attenti, e la fame iniziava a farsi sentire.
-E in cambio di questa gentilezza, noi potremmo costruirti qualcosa. Hai un'arma, vedo.- si intromise la ragazza, accennando col lo sguardo alla spada che portava al fianco. -Magari qualcosa per pulire l'acqua del fiume?-
Don sorrise, gli occhi che brillavano.
Jason si disse che era proprio quello che sperava.

➌ Neville- Risveglio
8.17 am, 16 maggio 2xx7, Palestra della scuola


i alzò, si stiracchiò, e si sentì bene.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma era la prima volta che era riuscito a dormire.
Non aveva un rapporto d'amicizia con Marie, ancor meno che con gli altri, dato che la ragazzina lo aveva sempre lasciato indifferente. Qualcuno era affascinato dalla sua innocenza, lui la trovava semplicemente piatta. Gli unici momenti in cui aveva dimostrato di poter essere interessante erano diventati inquietante pazzia, che l'aveva portata ad uccidere un'altra persona che aveva sempre considerato ben poco in realtà, rapportandovi solo per convenienza o gentilezza: Marianne.
Il gesto in sé non lo turbava nemmeno troppo, ma sapere di dormire con una probabile assassina pazza... non era proprio entusiasta, ecco.
Era stato felice quando Arthur aveva deciso di ascoltarli e allontanarla.
Un po' meno quando gli era stato comunicato che l'avrebbe allontanata solo la notte.
Aveva origliato la conversazione, tuttavia, ed il modo in cui l'aveva girata...

➍ Marie- Contrattazione
4.50 pm, 15 maggio 2xx7, davanti l'infermeria


veva le lacrime agli occhi.
Erano... cattivi!
La stavano punendo per non aver fatto nulla di male.
Sentì la mano di Arthur posarsi sulla sua spalla, gelida e familiare, e dita conosciute alzarle il viso.
-Dai, Marie. Non vogliamo... metterti in castigo. Lo sai.- le disse, cercando il modo più adatto per convincerla.
Ma lei non ci voleva dormire negli spogliatoi. Non voleva stare da sola, al buio, non voleva che i suoi amici avessero paura di lei. Non avrebbe mai fatto male a nessuno.
Marianne era sua amica, era stata Cordelia a ucciderla.
Il sangue sgorgava come fiori rossi, come quella volta nella mano del suo papà, ma la mano del papà poteva guarire. Marianne avrebbe provato tanto dolore e basta.
-È per il tuo bene. Cordelia sarà arrabbiata, e forse anche altri... quindi tu stai lì, e se qualcuno di cattivo arriva, possiamo difenderti. Non vuoi?- le chiese.
Marie si asciugò un occhio verde col dorso della mano, poi tirò su col naso.
-Non siete arrabbiati, vero? Non avete paura di me?-
-Certo che no, sorellina.- rispose Arthur.
Marie si sforzò di sorridergli, anche se pensava stesse dicendo una bugia.

➎ Neville- Pianificazione
8.18 am, 16 maggio 2xx7, Palestra della scuola


tava mentendo.
Certo che qualcuno era spaventato, ma chiuderla negli spogliatoi li avrebbe tenuti al sicuro. E lui aveva dormito proprio bene, anche se avrebbe dovuto averla in giro durante il giorno con la giusta preparazione non era affatto un pericolo.
Neville si alzò dalla brandina che aveva trascinato lì dall'infermeria, poi allungò una mano e si rigirò tra le mani l'ascia che aveva trovato nel suo sacco.
Avrebbe potuto usarla. Avrebbe potuto uccidere, e poi sarebbe andato via di lì.
Lo si poteva considerare furbo, ma non saggio, perciò aveva ancora qualche dubbio. Poteva davvero uccidere? Li conosceva.
Se avesse iniziato con qualcuno di meno pericoloso?
Se avesse attirato fuori Marie? Di sicuro sarebbe stato facile.
Non avrebbe nemmeno dovuto usare l'arma, la piccola ragazzina si sarebbe fidata, e poi non sarebbe stata abbastanza forte da sopraffarlo in corpo a corpo.
Un piano si faceva strada nella sua mente, ma sarebbe davvero stato in grado di compierlo?
Si avviò verso i corridoi, sperando che una passeggiata potesse aiutarlo a decidere. Senza nemmeno volerlo, gli occhi blu divennero verdi, e la cresta di capelli scuri passò per tutte le tonalità calde che variavano lo spettro dell'arancione. Non lo faceva apposta, il suo potere andava senza riflessione e senza dargli un vincolo consumava anche davvero poche energie.
Fu solo dopo diversi minuti che si rese conto di aver fame. Non aveva fatto colazione.
Alzando lo sguardo, si rese conto di essere in un posto mai visitato eppure familiare in qualche modo.
Prese la cartina che portava sempre nella tasca posteriore dei jeans, per confermare o smentire l'ipotesi che gli si era formata in testa.
Osservò con attenzione la piantina della scuola, scoprendo che effettivamente aveva ragione: il posto era tanto familiare perché quell'edificio era uguale alla scuola che avevano lasciato. In quel corridoio, in particolare, si sarebbe dovuto trovare il suo armadietto.
Osservando i mobiletti, alcuni erano aperti per l'usura. Era certo che in zone già visitate quelli aperti sarebbero stati molti di più, dai suoi compagni che cercavano oggetti, ma lì la maggior parte era intatta.
Si avvicinò a quello che sarebbe dovuto essere il suo, ben chiuso, e provando la combinazione la portellina si aprì.
Dentro trovò i suoi libri, il cambio della palestra e persino una confezione di crostatine, che teneva sempre lì in caso gli venisse fame.
Non ne era sicuro, ma persino la data di scadenza pareva la stessa.
-Questo è interessante. Forse, forse potrei...-




ℒ'angolo di ℱe
Sono tonata!
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, è più... tranquillo degli altri, una specie di "slice of life" per vedere come si comportano in un momento di calma apparente i semidei nel gioco.
Chiedo scusa per quanto è corto, ma siccome poi succedono cose ho deciso di spezzarlo qui e non nel bel mezzo dell'azione, anche perché sta per accadere! Tornano le domande, yay.
Non temete, siccome sono lì da cinque giorni ormai e ci sono stati "solo" due morti, e uno dei due non è stato spettacolare, le cose verranno spinte gentilmente ad una velocità maggiore.
Ricordate che si tratta comunque di uno show per gli umani, abbiamo semidei pazzerelli e loro vogliono vederli agire.
Parlo al plurale, quindi Cordelia e Marie... ed altri. Dovrebbero esserci abbastanza indizi per capire chi potrebbe essere il prossimo assassino, siete così bravi da coglierlo?
Inoltre ho corretto (sì, ora, dopo un anno tipo ma meglio tardi che mai) i capitoli precedenti, oltre ad aver modificato l'impostazione. Vi piace?
Comunque, questo è tutto. Spero che il fatto che abbia pubblicato l'ultimo capitolo tipo l'anno scorso non significhi per forza che tutti gli autori siano spariti dal sito (sob sob)
Bacini,
Fe_

P.S., ho una domanda per Leoneruggente, spero sia ancora attiva, se qualcuno lo sa potrebbe dirmelo?
Non vorrei succedesse di nuovo il problema del quinto capitolo (sì, ma ha traumatizzata), ma è una domanda abbastanza fondamentale per il corso della storia. Se nessuno sa niente il le invio il messaggio e aspetto 48 ore, più che altro non vorrei fosse in vacanza o cose così...

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Capitolo 8
*** Dolci sogni ***


Battle Divine
Dolci sogni


➊ Alysse- Presagio
2.16 pm, 16 maggio 2xx7, Esterno della scuola


lysse sospirò di benessere, con il sole caldo del primo pomeriggio che le sfiorava le guance.
Erano in quella scuola maledetta da appena quattro giorni, ed in ognuno dei 5835 minuti trascorsi dal loro risveglio aveva sentito chiaro, debole ma sempre presente, l'alito del padre su tutti i loro colli.
Per questo, per quanto fosse una persona molto aperta e desiderosa di fare amicizia, si era ritrovata sempre più ad isolarsi. Non si considerava debole, ma l'idea di non poter dimenticare mai il destino di tutti i semidei presenti, meno uno ovviamente, le rendeva difficile concentrarsi su altro.
Eppure, in quel momento, era sola e poteva concedersi un po' di beata ignoranza.
Con gli occhi chiusi e i tratti da bambola illuminati dal sole avrebbe potuto pensare di non essere lì.
Si passò una mano tra i lunghi capelli neri, la parte che per prima si scaldava e aveva per questo bisogno di tanto in tanto d'essere smossa, poi schiuse le labbra pallide e lasciò un ulteriore sospiro quando il vento iniziò a scuotere le foglie, rendendo assolutamente perfetto quel momento di paradiso.
Forse stava così per il barlume di speranza che Angie, con quel suo piano sgangherato ed irrealizzabile, aveva acceso dentro di lei: si era persino ritrovata a sorridere genuinamente alla ragazza mentre le parlava.
E poi, rapido com'era arrivato, il benessere sparì.
Il sole non era più così caldo, tanto che un involontario brivido le scosse le spalle esili, e il rumore di un urlo femminile soffocò quello lieve e rilassante degli alberi.
Alysse aprì di scatto le iridi di cielo, puntandole con istintiva precisione al margine del bosco.
Fece appena in tempo a vedere Marie entrare tra gli alberi, e sparirvi come una piccola ninfa.
Marie sarebbe morta.
Alysse ne era certa, ma non era un evento inevitabile. Sapeva, però, che se non avesse fatto nulla suo padre avrebbe teso la mano e portato via un'altra giovane vita, perciò senza pensarci una seconda volta si alzò dal muro contro il quale era posata e si avviò decisa dietro alla ragazzina.
Era piccola, persino più bassa del suo metro e sessanta, perciò era certa che l'avrebbe raggiunta presto e riportata al sicuro all'interno della scuola.
L'interno della foresta era fresco e umido, scurissimo per i suoi occhi abituati al sole, tanto che le ci volle qualche minuto per potersi adattare e dovette seguire Marie praticamente solo con l'udito ed il proprio potere, incapace di riconoscere la ragazzina in quella penombra.
Quando finalmente riuscì a trovarla, diversi metri più avanti e parzialmente nascosta dalla boscaglia, non era sola.
Un ragazzo dai capelli neri ed il fisico asciutto le stava davanti, di spalle rispetto ad Alysse, che però lo riconobbe: Damian, con un'ascia nella mano destra. Marie gli sorrideva ingenua, e smise solo quando il ragazzo sollevò l'arma.
Lo vide, le parve con una certa reticenza, calare la pesante lama in direzione della compagna che schivò agilmente.
Alysse fece per avvicinarsi, per impedire la lotta con tutte le sue forze, ma prima che potesse palesarsi o vedere sangue spargersi, un muggito meccanico risuonò in lontananza. Poi la terra iniziò a tremare.

➋ Neville- Dubbio
2.29 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


ngoiò a vuoto, Neville, stringendo la sua arma in una mano e assicurandosi, per l'ennesima volta,
Certo, era stato facile ideare quel piano: vai lì, la uccidi. È piccola, debole, stupida e pazza, che problemi dovrebbe mai creare?
Ed in effetti non ne creava, sarebbe stato davvero facile spezzare una vita: l'aveva avvicinata con facilità disarmante, non erano stati un problema nemmeno l'aspetto di Damian o l'arma che gli penzolava evidentemente al fianco, Marie gli si era avvicinata ed aveva sorriso.
"Va tutto bene, Neville. Non serve che usi una maschera con me",aveva detto, e lui aveva alzato l'arma. Marie aveva smesso di sorriderle, con un'espressione confusa. Non capiva, davvero, però era comunque... una persona.
Poi aveva mancato.
Non avrebbe saputo dire se lo avesse fatto inconsapevolmente, schiacciato dalla consapevolezza che non era così facile spezzare una vita quando questa non ti stava minacciando. A pensarci, si disse, chiunque può commettere un omicidio: il problema si pone quando sei davanti all'atto da compiere, e allora capisci cosa sta per succedere e ti rendi conto che qualcuno, nel mondo, prova dei sentimenti per lei. Amore, odio, paura... uccidere vuol dire annullare non solo una coscienza, ma centinaia di interazioni. È un tradimento. Strano come la mente funzioni: in quel momento vide chiaramente l'immagine delle sue due mamme.
Sbatté le palpebre e Marie era viva, lo guardava come se nemmeno lei capisse come mai non fosse a terra sanguinante. Neville si sentiva... sollevato?
Poi un muggito, la terra che si scuoteva.
C'erano... dei mostri? Eppure erano lì da quattro giorni! Non aveva senso, li liberavano solo quando le cose iniziavano a farsi troppo lente... due morti in quattro giorni non era fuori dal solito.
Gli occhi passarono dal suo blu naturale al verde, poi al marrone ed il nero, ed allora realizzò. Un mutaforma. Un dettaglio. Marie lo aveva chiamato Neville. Sapeva. Avrebbe potuto avvertire gli altri che aveva provato ad ucciderla incolpando Damian.
Doveva morire, o gli altri avrebbero ucciso lui.
La guardò, mentre lei gli si avvicinava con un sorriso inquietante.
-Andiamo, non è ancora il momento di andare da mamma, dai. Saremo al sicuro anche a scuola, con tutti.- Gli porse la manina, e Neville strinse con entrambe le mani l'accetta.
La boscaglia era abbastanza fitta in quel punto, probabilmente il toro non li aveva ancora individuati ma sarebbe arrivato presto. Se avesse trovato una piccola semidea, lei non si sarebbe salvata. Non doveva... ucciderla. Come primo passo, lasciarla sola. Avrebbe provato a vincere un altro giorno, non era pronto, ma quello... quello era diverso, no?
In un attimo pensò di lasciare che fosse il mostro ad ucciderla, magari romperle una gamba, tanto era certo che non avrebbe comunque provato paura mentre quello le si avventava contro, ma qualcosa... qualcosa lo fece desistere. Si sentiva tremendamente in colpa, non poteva permettere che rovinasse tutto, ma non voleva nemmeno farla soffrire inutilmente. Se l'avesse fatta svenire...? No, non sarebbe stata una buona esca, immobile.
Il tremore si fece più insistente e poté capire che sarebbe comparso da destra, dove un ampio cespuglio di more nascondeva la visuale. D'istinto si voltò dalla parte opposta, dove vide una figura che prima non aveva notato.
Oh, cazzo.
Don si stava avviando verso di lui di corsa, sul viso un'espressione violenta e un sorriso- si, sorriso- largo e spaventoso.
Vedeva solo Damian con un'accetta in mano e Marie vicino, non ci voleva un genio per trarre una conclusione. Non poteva affrontarli entrambi insieme, si sentiva già indebolito dal lungo periodo di trasformazione, però così poteva funzionare.
Tra due fuochi, Neville ebbe solo un'opzione: si girò di nuovo, verso destra questa volta, verso il punto in cui era arrivata Marie. Sarebbe corso verso il margine del bosco, verso la scuola. Si sarebbe salvato, e se avesse avuto anche un pizzico di fortuna il toro avrebbe distratto Don abbastanza da non farglielo saltare alla schiena prima di trovare qualcuno.
Dio, se quel ragazzo era inquietante, specie mentre sorrideva quando gli altri cadevano nella disperazione.
Voltò con un gesto abile l'accetta e colpì la ragazza con il manico in legno un lato della tempia. Vide i suoi occhi tremare un attimo, come cercasse di mettere a fuoco qualcosa di molto confuso, poi crollò come una marionetta a cui vengono tagliati i fili.
Ora Donovan doveva essere proprio furioso, ma forse andava anche meglio così. Damian poteva essere un osso duro, perso chissà dove nel bosco: se ne sarebbe occupato Donovan, se fosse riuscito a battere il toro. E poi, chiunque riuscisse a cavarsela, sarebbe stato molto indebolito. Non gli era andata troppo male.

➌Donovan- Mostro
2.30 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


orto.
Damian era decisamente, fottutamente morto.
Non riusciva a concepire che qualcuno attaccasse così una bambina- nonostante fosse pienamente consapevole che Marie avesse la sua età, aveva un'innocenza e una dolcezza paragonabili quasi a quelli di MJ, e non concepiva che qualcuno potesse davvero pensare di ferirle.
Non riusciva nemmeno a flirtaci, lui, come faceva con tutti gli altri. Provava un sentimento molto simile a quello che si prova per due sorelle minori.
Perciò vedere Damian che la colpiva lo aveva mandato fuori dai gangheri, e si era precipitato verso i due.
Avrebbe voluto inseguire quel maledetto codardo, prendere la sua vita come prima, per poi poter comparare quella nuova esperienza con quelle che aveva avuto. Sarebbe stato eccitante? Gli sarebbe piaciuto, oppure lo stava caricando di troppe aspettative e si sarebbe sentito deluso, da un'emozione blanda e non troppo diversa dall'uccidere i mostri?
La sua mente iperattiva era già passata ad altro, stava per girare per tagliargli la strada, quando comparve un toro della Colchide.
Gli ci volle meno di un secondo per cambiare nuovamente idea, e non deviare dal suo percorso.
Probabilmente quel bestione avrebbe corso direttamente verso di lui, calpestando il corpo di Marie come non importasse più di un piccolo accumulo di terra che non poteva in alcun modo rallentarlo.
Viticci di vite spuntarono dal terreno, rapidi si inspessirono e da un lieve verde si ricoprirono subito di corteccia resistente. Il toro rallentò confuso, girando la possente testa da entrambi i lati con un cigolio meccanico, quindi sbuffò fumo all'odore d'incenso dalle narici ed eruttò un torrente di fuoco.
Il legno era fresco perciò il fuoco lo bruciò con un odore acre, senza propagarsi troppo nella vegetazione rigogliosa. I viticci rimasti, però, tornarono a farsi strada con solerzia, e Donovan sentì che non era solo il proprio potere a nutrirli. Marie doveva essere viva, confusa e ferita, ma almeno in parte cosciente.
Prima che tornasse ad aprire la bocca Don gli avvolse le piante a serrare la mandibola, a contatto con il metallo rovente le piante sfrigolarono ma ressero. In meno di un minuto quel coso era pesantemente intralciato, con un collare lussureggiante che costringeva la sua elefantesca figura quasi attaccata al suolo.
Come molte altre volte, il ragazzo prese la sua arma- quanto era bello poter sentire il peso familiare del bronzo celeste, forgiato da antichi figli di Efesto, stretta nel proprio pugno?
Si avvicinò con passo lento, attento ad eventuali bizze del mostro, poi soppesò la spada. Pareva fatta apposta per lui, la sentiva come un prolungamento del proprio braccio. Con un solo, preciso fendente squarciò il metallo che legava la zampa al corpo, e quel coso ruggì come se provasse dolore. Improbabile, si disse Don, dato che era una macchina.
Quindi, già stanco di quel gioco e preoccupato da altro, saltò e staccò di netto la testa del bestione. Sentì cedere, come stesse tagliando un panetto di burro lasciato troppo tempo fuori dal frigo, non era servita nemmeno la premura di usare entrambe le mani sull'elsa della spada.
Riattaccò l'arma alla propria cintura, in un fodero improvvisato che aveva intrecciato lui stesso, poi con dolcezza prese tra le braccia Marie.
La ragazzina lo guadava con un sorriso dolce, mormorando piano alcune parole che lui non si prese nemmeno la briga di ascoltare.
-Dai, ti porto in infermeria. È come quando ti metti in mezzo tra quelli che litigano e loro ti spingono via, no? Sei al sicuro, quando arrivo.- Le disse.
Questo parve tranquillizzarla, la sentì chiedere "Non sei arrabbiato, quindi?" e lui scosse la testa.
No, certo che no. Di che colpe avrebbe mai potuto macchiarsi, una bambina che credeva che i morti si reincarnassero in fiori?
Forse, se avesse corso, sarebbe riuscito a raggiungere Damian... no, portarla in infermeria era una priorità.
Si avviò di corsa verso il margine del bosco, spuntando in pochi minuti oltre il limite delle piante.
L'aria era molto più calda, l'ambiente luminoso lo costrinse a fermarsi per solo qualche secondo, il tempo che gli occhi vi si abituassero. Batté ripetutamente le palpebre, ed ora che era tornato relativamente calmo il bagliore violetto che li aveva illuminati per tutto lo scontro si attenuò sino a scomparire del tutto, nascosto dal sole rassicurante e caldo come da una maschera perfettamente modellata.
In un attimo superò anche il breve cortile che separava la scuola dalla vegetazione, per poi entrare da una porta secondaria e dirigersi con passo non troppo convinto lungo il corridoio. Doveva... non sapeva come orientarsi, in realtà: non aveva punti di riferimento e la scuola aveva troppi pochi abitanti per sperare di incontrane uno per caso.
Rapidamente guardò le porte aperte, che davano su aule vuote, fatta eccezione per alcuni banchi, lavagne ed in alcuni casi persino cattedre o scaffalature con libri di testo e un mappamondo. Dallo strato di polvere e le ragnatele che decoravano superfici ed angoli, si sentì di escluderle come posti in cui qualcuno poteva vivere.
Girò a sinistra al primo bivio, decidendo che le scale a destra non dovevano essere un buon percorso: le stanze principali, come l'aula magna, normalmente stavano al primo piano e se non ricordava male Marie gli aveva detto che si erano stabiliti in palestra, o da qualche parte lì vicino.
Ebbe fortuna: vide un'adorabile, esile figura sparire dietro un angolo. Rune non era mai stata la sua migliore amica, anzi, sospettava che la ragazza non nutrisse particolare simpatia per lui e, anche se non poteva essere certo che non lo avrebbe attaccato per far fuori due avversari in un colpo solo, decise di provarci.
-Dahll, mi daresti una mano? Marie è ferita. Sei stata qui abbastanza da capire come funziona, questo posto, quindi potresti dirmi dov'è l'infermeria?- Chiese, con un sorriso incoraggiante nonostante non potesse vederla.
-L'hai attaccata tu?- Rispose una voce, diversa, maschile quando raggiunse la stanza in cui Rune si era rifugiata: alla sua sinistra la ragazza, con un'asta tenuta al fianco come una lancia spuntata, mentre dall'altro lato Arthur con la spada sguainata. Era... abbastanza certo non lo avrebbero ucciso.
L'eco lontano di un urlo roco, fuori dalla porta, lo raggiunse, non riuscì a riconoscere la voce ma questo fu sufficiente a smuoverlo.
-No. Damian l'ha attaccata, è scappato e io l'ho portata qui.- Riassunse brevemente, senza accennare al mostro né aggiungere qualche simpatica battuta. Non era il caso, non con quel guastafeste dall'oltretomba lì vicino.
-Dammela.- Allungò una mano, e Don si chiese come avrebbe preteso di portare una ragazzina reggendola solo così. Poi vide che il suo sguardo era puntato oltre, alla propria spada, e si lasciò andare ad una risata di cuore.
-Credi sia proprio scemo?-

➍ Alysse- Dolcezza
2.33 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


on poteva crederci, davvero: Damian non era un ragazzo socievole, né caritatevole o particolarmente altruista... ma da lì a uccidere a sangue freddo una persona, ne passava di acqua sotto i ponti.
Alysse aveva sempre pensato che lo avrebbe fatto per difesa... non credeva avrebbe cercato direttamente lo scontro. Non gli pareva il tipo, ma forse era solo dovuto al fatto che nemmeno in classe tendeva a relazionarsi molto con gli altri, lui. Come se si considerasse un gradino sopra, o meglio, in una scala completamente diversa rispetto a quella in cui posizionava tutti gli altri.
Lo aveva visto colpire Marie quando si era reso conto che sarebbe arrivato un mostro, lasciandola lì. Nemmeno aveva avuto il coraggio di finirla, l'avrebbe lasciata divorare viva, era terribile.
Per un istante valutò la possibilità di correre ad aiutarla: disarmata com'era sarebbe stato un suicidio, ma non riusciva a non pensare a nulla che non fosse salvare quella giovane vita. Per fortuna, poi, era arrivato Don. Non si era intromessa, per non creargli ulteriore impiccio, ma l'aura del padre non se ne era andata ancora. Chi, chi era destinato a morire, se non loro?
Confusa e lievemente nauseata, si voltò e barcollò via, abbastanza distante da non sentire i ruggiti del mostro.
Fu lì, quasi al limite della foresta, che lo vide: era Damian, ma non del tutto.
Seduto come se dovesse riprendere fiato, il corpo si faceva lievemente più.. magro? Sì, magro, sotto i suoi occhi. I capelli rimasero neri, ma parvero ritirarsi dentro il cranio- che visione orribile, a pensarci in questi termini la sua nausea aumentò un poco- fino a raggiungere una corta cresta rasata ai lati.
In un minuto, non era più Damian quello che aveva davanti. Era Neville.
Era un piano contorto, degno di una mente macchiavellica. Alysse strinse le labbra pallide, poi fece un passo indietro cercando di non fare rumore. Gli occhi corsero all'accetta, ed emise un lieve singulto mentre cercava di non fare alcun rumore. Si immobilizzò, come davanti ad un serpente velenoso, ma per fortuna Neville pareva troppo concentrato su qualunque cosa stesse facendo per badare a quel rumore appena accennato e continuò a non guardarla, dandole le spalle.
Era quasi arrivata con le spalle ad un grande tronco, in cui avrebbe facilmente potuto nascondersi o, in caso, provare ad arrampicarsi, quando da qualche parte sentì una voce.
-Dai, ti porto in infermeria. È come quando ti metti in mezzo tra quelli che litigano e loro ti spingono via, no? Sei al sicuro, quando arrivo.-
Era distante, ma nel silenzio pesante che lei cercava in tutti i modi di conservare si udì chiara. Riuscirono persino a distinguere le parole di Don, e Alysse capì di essere fregata.
Neville si voltò di scatto e quasi con lo stesso momento si rimise in piedi, la mano corse al fianco per cercare la sua arma e trovò facilmente il manico di legno.
Senza aspettare un secondo di più la figlia di Thanatos si voltò e prese a correre , ma la sua fuga fu stroncata sul nascere proprio dallo stesso albero in cui aveva sperato di trovare rifugio, e contro il quale finì per fortuna senza farsi male. Sarebbe stata una scena decisamente comica, se non fosse accaduta a lei, in quella situazione.
Ebbe l'istinto di gridare, ma il tempo di capire cos'era successo e il ragazzo le fu addosso. Le premette una mano contro la bocca, per impedirle di chiamare aiuto, ed entrambi caddero rovinosamente a terra. In un secondo poté notare due cose: uno, Neville non aveva avuto il tempo di accettarle la schiena, o forse era meno codardo di quel che aveva pensato all'inizio e non aveva voluto colpire un'avversaria disarmata ed alle spalle. Due, era ancora viva, ed aveva la possibilità di lottare. La stretta sulla bocca combinata alla nausea le faceva spuntare lacrime che le velavano gli occhi azzurri, offuscandole la vista, ma anche lui pareva fiacco. Se non ricordava male, una trasformazione gli bruciava parecchie energie, perciò se fosse riuscita a buttarlo a terra avrebbe magari potuto correre via abbastanza in fretta. Non credeva che, in mezzo agli altri suoi compagni, lui avrebbe provato ad attaccarla- o per lo meno, non sarebbe stata lei la sua priorità. Era un destino crudele il loro, sperava solo fosse abbastanza intelligente da non seguirla per evitare il sonno finale.
Gli morse il palmo della mano, per costringerlo a lasciarla, e affondò il denti tanto forte da sentire il sapore ferroso del sangue. Quando la liberò, pur restandole sopra, Alysse riuscì a voltare il viso e sputare, disgustata, poi riprese la lotta furiosa per la propria vita. Sentì le sue mani circondarle la gola e stringerle la trachea, quindi provò ad allontanarle, graffiandogli i polsi e il dorso destro. Contemporaneamente, avvertì anche chiaramente delle gocce tiepide d'acqua sul viso. Lacrime. Sue, di lui, mischiate, dolore e mancanza d'ossigeno.
Cosa stavano facendo? Da qualche parte delle persone ridevano di quello spettacolo disumano, cercavano di sentirsi al sicuro lasciando che dei ragazzini si uccidessero per il solo peccato di essere nati.
Scalciò con tutte le sue forze e, in modo anatomicamente impossibile, sentì il proprio ginocchio colpire qualcosa di solido. Doveva essere una parte del corpo di lui, perché la presa sulla sua gola si allentò e le permise di prendere una boccata di prezioso ossigeno.
La gola le faceva malissimo, tossì un paio di volte e spinse con tutte le forze che riuscì a racimolare il petto del ragazzo. Si era alzato e non era troppo stabile, perciò fu sufficiente e farlo capitolare via da lei.
Era... salva! Salva!
Si alzò barcollante, poi provò a correre via, ignorando il dolore all'anca che era appena spuntato, regalo del suo colpo fortuito di certo. Di nuovo, la sua fuga durò pochissimo, ma questa volta per un motivo molto meno tragicomico: Neville le aveva afferrato la gamba, un impedimento sufficiente a rallentarla mentre con la mano dominante afferrava la sua accetta.
Mossa dalla disperazione scosse l'arto, dandogli però il tempo di mettersi in ginocchio e sferrarle un colpo con la lama. Il dolore si propagò acuto e terribile da appena sotto il ginocchio, sbocciando in un calore inusuale e un grido roco che probabilmente non avrebbero sentito in tempo per salvarla.
Ecco di chi era la morte annunciata. Una ragazza, che si era infilata in quella situazione da sola, ma non Marie come aveva pensato all'inizio.
Avrebbe dovuto essere più accorta, più diffidente ed egoista, ma una parte di lei era felice di morire prima di rinunciare ai propri principi. Non si era resa conto di essere caduta, ma probabilmente l'impatto col terreno era stato un'inezia comparata al dolore della gamba. Ed ora Neville era sopra di lei, in piedi, con in viso un'espressione davvero pietosa. Combattuto, sapeva che uccidere lo avrebbe reso un'escluso almeno quanto Cordelia... se qualcuno fosse venuto a saperlo. Eliminando lei, probabilmente pensava di salvarsi.
-Non serve... sei ancora in tempo per...- Iniziò, ma le sue parole vennero stroncate da un fiotto di sangue. L'accetta spuntava dal suo petto, perfettamente a metà, infilzata con tanta forza che persino le mani del ragazzo erano sporche di sangue.
Accadde una cosa davvero strana, in quel momento: Alysse non sentiva dolore, e la luce le pareva davvero troppo fievole, così come la temperatura che si abbassava di colpo come se l'inverno fosse arrivato all'improvviso.
Accanto a lei comparve una figura, mai vista ma allo stesso tempo familiare. I capelli neri erano come i suoi, mentre gli occhi di puro oro. Suo padre non doveva essere lì, la sua morte non era pacifica e serena, stava venendo uccisa, ma forse aveva fatto una piccola eccezione per sua figlia. Ironico come lo vedesse per la prima volta quando stava per chiudere per sempre gli occhi.
Dolcemente, l'uomo alato si chinò su di lei e sentì una moneta tonda premerle conto il palmo.
Si alzò con leggerezza, come non avesse sostanza, ed in effetti così era: aiutata dalla sua mano solo la sua anima si era levata, lasciando indietro le sue spoglie mortali.
-Ti seppelliranno, ma ora vieni con me, Aly. Non è più questo mondo orrendo il tuo posto.- Le sussurrò con dolcezza. Alysse annuì, poi chiuse gli occhi e lasciò che suo padre la portasse via.

➎ Neville- Panico
2.33 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


onovan. Da qualche parte, ma non in cerca di lui.
Ne era quasi stato sollevato, per poi accorgersi di una falla nel suo piano. Una gentile, caritatevole falla, Alysse. A conti fatti, avrebbe preferito qualcuno di più disprezzabile, magari proprio Damian, non qualcuno che si premurava di curare gli altri come lei o Minori.
Non si era reso conto di essersi avventato contro di lei, il suo corpo aveva reagito prima che lui potesse ordinarglielo, proprio come avrebbe fatto quello di un normale semidio i cui riflessi erano perennemente impostati in modalità "battaglia".
Era sopra la ragazza, una mano sulla sua bocca mentre cercava di capire come comportarsi. Sperare che non dicesse nulla riguardo il suo tentativo di omicidio, fallito tra l'altro, e di incolpare un altro- un doppio fallimento- era decisamente fuori discussione.
Doveva ucciderla? Era davvero l'unico modo perché non parlasse mai?
No, poteva magari farla svenire, e dire che l'aveva trovata. Non era una bugia complessa, l'avrebbero bevuta. I suoi ricordi confusi, in cui lui si trasformava in Damian, potevano diventare solo un delirio: sì, lo aveva visto prima di svenire, e in quel momento la sua mente confusa aveva collegato le due cose immaginandosi una lotta. Più azzardato, ma lui si era dimostrato sempre una brava persona, era credibile.
Sì, avrebbe fatto così, e avrebbe ucciso una persona che lo meritava di più, un altro giorno. Molto meglio.
Mentre decideva questo, Alysse gli morse la mano- ecco, questo sarebbe stato più difficile da spiegare, ma magari poteva tagliarsi e incolpare chi l'aveva fatta svenire.
Doveva muoversi, gi strinse le mani attorno alla gola, mentre una parte di lui perfezionava la bugia. Attento, doveva svenire, non morire.
Era quasi fatta, sentiva le sue proteste mano a mano più deboli, quando gli tirò una ginocchiata sulla schiena. Avrebbe dovuto bloccarle le gambe, ma non ci aveva pensato, e quello unito alla spinta che gli diede lo gettò a terra rovinosamente. Ora che i polsi e le mani erano in pessime condizioni, diventava sempre più difficile da spiegare, e la sua vittima stava fuggendo.
No, non poteva lasciare rovinasse tutto. Gli faceva male quasi ogni parte del corpo, ma con uno sforzo non indifferente si tirò su e le prese il polpaccio. Le dita affondarono nel proprio fianco, ed in quel momento si rese conto di avere la vista offuscata. Lacrime? Era.. senso di colpa? Disperazione? Panico? Non conosceva esattamente l'emozione che lo fece agire in maniera così brutale, ma la ferì alla gamba con l'accetta. Non era più spiegabile. Doveva agire, rinunciare al suo piano per l'opzione più semplice e lineare.
-Non serve... sei ancora in tempo per...- Le parole le morirono sulle labbra, come morì lei.
Neville si sentiva... strano. Non era solo dolore fisico, ma anche mentale. Spirituale. Chissà se sua madre si era sentita così, quando era nato lui, frutto di una relazione inconsapevole.
Rimase qualche minuto ad osservare il cadavere della ragazza, così vicino alla salvezza per sé quanto alla sua scoperta. Che doveva fare, ora?
Nell'impeto del momento non aveva pensato, solo agito. E forse era così che doveva fare, un piano non troppo studiato: quello era fallito, in effetti, mentre la foga riusciva a portare risultati... quasi accettabili.
Si alzò, quando il suo cuore smise di martellare nel petto. Aveva ucciso. Doveva farsene una ragione, e sopravvivere: se avesse vinto, le sue mani si sarebbero tinte di rosso almeno un'altra volta, molte ad essere meno ottimisti.
Però non poteva tornare così, si disse. Chiuse gli occhi della ragazza, in modo che non dovesse vederlo ancora, il mostro che era diventato, la nuova maschera che aveva indossato. Lui era diverso da lei, infatti era vivo.
"La seppellirò", decise. Si costrinse a ripetersi che lo faceva perché nessuno la trovasse, non subito almeno, ma una parte di lui sapeva che non era del tutto vero. Per quanto fosse un ottimo bugiardo, non sempre riusciva a mentire anche a sé stesso.
Gli ci volle molto più tempo del previsto per scavare la buca, nonostante Alysse fosse una ragazza minuta e non gli servisse troppo spazio. Quando aveva finito il sole aveva iniziato la sua lenta discesa verso l'orizzonte, per quanto fosse ben lontano dal tramonto vero e proprio: il caldo delle due si stava mitigando, e Neville calcolò dovessero essere almeno le quattro del pomeriggio. Strappò un piccolo arbusto di cui non avrebbe saputo riconoscere il nome nemmeno volendo, simile ad una spiga ma composta di minuscoli fiori violetti, le uniche foglie visibili sul fondo a forma di piccoli aghi. Distrattamente pensò alle tombe di Emily, Marianne e persino quella della Johnson, e raccolse altri di quei piccoli fiori per decorare il sepolcro che non sarebbe mai stato onorato.
Si passò una mano sulla fronte, che trovò imperlata di piccole gocce, e si maledisse. L'aqua era importante, e lui aveva sprecato le sue energie in quello stupido moto sentimentale. Avrebbe dovuto essere più accorto. Si guardò intorno: il luogo scelto era abbastanza lontano dal margine del bosco, improbabile qualcuno vi si avventurasse per sbaglio, ma l'odore terroso delle sue dita unito ad altri ben meno gradevoli- sangue, sudore, paura- lo convinsero che prima di rientrare avrebbe dovuto darsi una breve doccia.
Da qualche parte alla sua destra, concentrandosi, poteva sentire il lontano sciabordio di un rivolo d'acqua non troppo rapido, perciò vi si diresse, attento a non incrociare nessuno nella sua strada.

➏ Rune- Coincidenze
3.05 pm, 16 maggio 2xx7, Entrata della scuola


i tutte le persone che avrebbe potuto apprezzare- innocenti zuccherini o sarcastici brillanti- Arthur Olsen non credeva sarebbe mai entrato nemmeno in lista. Non apparteneva né alla prima categoria, per motivi evidenti, ma nemmeno completamente alla seconda: Rune non lo considerava stupido, anzi, ma di primo acchito quella che lei aveva valutato senza mezzi termini superbia l'aveva portata a ridurre subito al minimo le loro interazioni.
Era stato solo all'inizio di quell'anno che aveva cambiato idea, aveva detto qualcosa che nella sua memoria era un generico "insulto in norvegese", e quello si era voltato a guardarla, negli occhi la tipica scintilla di chi ha colto il significato della parola.
Solo in quel momento aveva capito che no, Olsen non era solo il cognome di un vecchio parente che per lui non significava nulla. Arthur veniva dalla sua stessa patria, era un deportato come lei.
Da allora si era lievemente ammorbidita nei suoi confronti, e in quei pochi mesi avevano stabilito un rapporto... non saldo, ma di quella che entrambi consideravano un buon inizio di amicizia.
Proprio per questo si era fidata del suo istinto, quella mattina, gli si era avvicinata ed aveva iniziato a parlarci.
Lui ed il suo gruppo abitavano la scuola, come lei, ma non se l'era sentita di relazionarsi con tante persone, tanti possibili traditori, perciò se ne stava tranquillamente in disparte: loro dalle parti della palestra, al primo piano, lei al secondo in uno sgabuzzino. In un moto di gentilezza li aveva anche avvertiti di starci lontano, anche se a suo avviso non avrebbe dovuto essercene bisogno, lasciando solo intuire di aver messo delle protezioni a guardia della sua stanza.
Accennò un lieve sorriso, appena un'ombra, rilassando le spalle quel tanto che bastava da far capire il suo agio: parlare nella sua lingua natia la faceva sentire bene, accendendo di tanto in tanto una spia sotto forma di odore, gusto o immagine riguardante la sua infanzia, nebuloso come un sogno al mattino.
I loro discorsi erano puramente pratici, ovviamente: i due panini che aveva trovato il primo giorno non l'avrebbero sostenuta a lungo, lo zucchero del the invece poco poteva contro la fame, e di quello discutevano. A quanto pareva il gruppetto del figlio di Ade si fidava a mangiare ciò che trovavano in giro, quasi non ricordasse che l'edizione della battaglia di quattro anni prima era finita in un massacro per quello stesso motivo: avevano scoperto troppo tardi che tutto ciò che si trovava attorno alla loro scuola era velenoso, compresi cortecce e acqua.
-Ti ricordo che quell'edizione durò sei giorni e venne considerata una noia dagli umani. Vedere ragazzini che soffocano nel loro vomito o nel sangue non è divertente come uno scontro.- Le ricordò in un sussurro, come se la lingua straniera che usava non fosse sufficiente a confondere eventuali spie.
Rune strinse gli occhi, facendo saettare lo sguardo di ghiaccio ai due lati del corridoio. Non era l'atteggiamento di Arthur a renderla così cauta, era insito nel suo essere, il suo istinto che le aveva suggerito la presenza di qualcuno prima ancora di accorgersene consapevolmente coi sensi. Un'ombra alla sua destra, in fondo al corridoio, qualcuno di grosso ed impacciato, insieme ad un sentore metallico. Zakiya, forse? No, era decisamente più grosso.
Strinse la presa sulla propria asta, indicando con un guizzo rapido del capo la direzione in cui arrivava lo sconosciuto. Arthur, dal canto suo, se n'era accorto con qualche istante di ritardo rispetto a lei, ma era scattato con la sua uguale rapidità: un passo indietro e una mano sulla spada che portava legata al fianco, ed era fuori vista. In un gesto silenzioso estrasse l'arma, tenendola con naturalezza, gli occhi fissi in quelli della ragazza.
Maledetto, le stava facendo fare da esca. Ecco perché non doveva fidarsi di nessuno se non di sé. Sparì nell'aula alle sue spalle, in una mossa insolitamente poco fluida che rivelava la sua presenza in modo discreto.
-Dahll, mi daresti una mano? Marie è ferita. Sei stata qui abbastanza da capire come funziona, questo posto, quindi potresti dirmi dov'è l'infermeria?-Chiese una voce maschile dal tono urgente, nonostante il quale Rune avvertiva una lieve intonazione particolare. Un sorriso, capì con un istante di ritardo, e attornoa quello costruì un viso dalle guance piene, coperte un accenno di barba ispida, labbra sottili ed un naso largo, occhi azzurri stretti e una cascata di riccioli castani. Donovan. Avrebbe decisamente preferito Zakiya.
-L'hai attaccata tu?- Rispose prima di lei Arthur, il linguaggio del corpo che urlava al di là di ogni ragionevole dubbio la sua ostilità.
Fosse stata in Donovan non avrebbe fatto mosse azzardate- era letteralmente circondato di nemici- e anche lui dovette essersi reso conto del pericolo in cui si trovava, ed in cui si trovava la sua piccola protetta, perché rispose brevemente, senza perdere il sorriso ma allo stesso tempo evitando di fare lo splendido.
-No. Damian l'ha attaccata, è scappato e io l'ho portata qui.- Riassunse brevemente, in un tono davvero troppo calmo per un semidio.
-Dammela.- Arthur allungò una mano, e Don si lasciò andare ad una risata di cuore.
-Credi sia proprio scemo?- Ribatté. Solo allora si rese conto che non aveva capito subito che parlava della spada che il ragazzo aveva al fianco. Aveva infatti guadato prima Marie e poi di nuovo il ragazzo basso accanto a lui, con un'espressione genuinamente dubbiosa.
In quel momento però non era quella la priorità, e fu un quinto arrivato a riportare la loro attenzione sul problema cardine.
Non avevano ancora abbassato le armi, ed in quel momento in uno scalpiccio di piedi impacciati alle spalle di Arthur comparve Minori.
-Che succede?- Chiese con tono insolitamente duro, quasi a volerli sgridare. Si sfiorava la base del collo, dietro sulla nuca, ed aveva gli occhi grigi schermati dalle ciglia in un'espressione infastidita. Istintivamente portò la mano nello stesso punto, ma di Marie, e Donovan fece uno sforzo per non scostarla.
-L'infermeria è di qua. Seguimi, per favore.- Risolse, in modo del tutto inaspettato.
Rune alzò le sopracciglia, in una muta esclamazione di sorpresa, e anche Arthur era senza parole. Lasciò andare i tre senza protestare, abbassando lentamente la spada solo quando ormai il ragazzone lo aveva superato.
-Insomma... non me lo sarei mai aspettato.-
-Lo avresti lasciato andare anche tu. Sai che tiene sinceramente a quella che ti chiama fratello.- Mormorò Rune, mimando con le dita delle virgolette all'ultima parola. Arthur strinse le labbra, ma annuì con un solo cenno deciso, tagliando contro.
Sobbalzarono entrambi quando sentirono lo spettro di alcune parole, quasi riecheggianti nel corridoio. "Allora Schizzetto, mentre tu ti occupi di Marie io vado a salutare MJ. Trattamela bene, intesi?"
Non era finita. Non erano affari suoi, ma Arthur si voltò di scatto e seguì a grandi passi i due.
Rune tuttavia era più furba, e aveva capito quanto potesse essere pericoloso quel ragazzo con un perenne sorriso sulle labbra che ci provava con tutti e proteggeva quelli che sembrano troppo fragili per resistere in quel mondo.
Lieve e leggera si voltò a destra, imboccando il corridoio laterale che portava alle scale. A casa. Al sicuro.

➐ Amelie- Rivelazioni
3.16 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


l corridoio era particolarmente animato quel pomeriggio. La lieve corrente calda veniva dall'esterno, portava voci ed era estremamente invitante per Amelie.
Cercava di non lasciarsi prendere nella morsa della tristezza, sapeva che prima o poi sarebbero morti, eppure vedere Marianne così... cercava di non pensarci,e la sua iperattività era decisamente d'aiuto in quel caso.
La mente vagava quasi senza meta, concentrandosi su quel pensiero o quell'altra curiosità, in un percorso che una persona normale non avrebbe mai potuto compiere. Già l'aria smossa e le parole le erano bastate per rilegare i pensieri tristi in un angolo buio e nascosto della propria mente.
Sì, decise, quello che ci voleva era proprio un po' di compagnia. Sapeva anche che Minori era un ragazzo molto dolce, aveva riconosciuto la sua voce imbarazzata, lo avrebbe salvato da una conversazione sgradevole e avrebbe imparato a conoscerlo un pochino di più. Era affascinata dal suo carattere introverso, quasi spaventato.
Con passo baldanzoso prese ad avvicinarsi, la spada che le batteva sul fianco in modo inquietantemente confortante. Le sue vecchie scarpe fortunate, dalla suola liscia per il troppo utilizzo, battevano ritmicamente annunciando la sua presenza: l'ultima cosa che voleva era ritrovarsi un coltello nel fianco per aver colto di sorpresa qualche semidio un po' troppo cauto.
-Marianne... tu non ne sai nulla?- Sentì chiedere con timore Minori.
Ecco, quella frase era una stilettata al cuore, peggiore di qualsiasi ferita fisica: i giorni erano interminabili, persino noiosi talvolta, ma l'ultima cosa che veniva loro in mente era fare gossip sui propri morti. Questo portava, ovviamente, al fatto che chi non era presente all'omicidio difficilmente sapeva cos'era successo ai compagni.
Con un brivido, accelerò il passo. Se qualcuno fosse morto nella foresta avrebbero potuto non scoprirlo mai. Era un pensiero orribile, che opprimeva il petto di Amelie e le faceva sembrare ogni boccata di ossigeno inspirata gelida, come lame di ghiaccio lungo la gola e nei polmoni.
-Minori, tranquillo. Vai dentro con Marie...- Girò l'angolo per vedere Donovan, o meglio la sua schiena massiccia. A parlare era stato Arthur, che in quel momento indicava la porta dell'infermeria, appena visibile data la scarsa altezza. Si era parato con coraggio tra i due ragazzi.
Con braccia tremanti Minori aveva raccolto qualcosa- qualcuno- dalle braccia di Donnie, per poi sparire nella stanza. Marie, incosciente. Doveva essere successo qualcosa di grave.
-Vieni a parlare di là?- propose con tono educato il figlio di Ade, gli occhi di ghiaccio che saltavano impazienti dal viso del suo interlocutore al fianco dove, si rese conto Amelie, portava una spada. Entrambi la avevano, a dire il vero. Avrebbe dovuto concentrarsi meglio su quelle cose non esattamente secondarie.
-Ehi!- Esclamò apparentemente senza logica. Voleva solo che i due non scoppiassero a litigare lì e, soprattutto, non venissero alle mani. O alle spade, ecco.
Come fosse programmato, i due si voltarono verso di lei, lo stesso movimento fluido che portava le loro mani destre alle rispettive else.
-Sono solo io, su su. Stiamo calmi e buoni, possiamo parlare senza saltarci addosso come belve, vero?- Continuò con un sorriso prontamente ricambiato dal ragazzo più alto. Diamine se le piaceva, Donnie. Era un casinista, veniva mandato dal preside molto meno spesso di lei ma certe sue risposte ai professori o alle guardie della scuola la facevano morire. In senso buono, ovviamente.
-Certo che possiamo, anche se ci hanno ingabbiato di nuovo siamo esseri cortesi... o solo corti, in certi casi.- Rispose il ragazzo, facendo l'occhiolino ad Arthur. Il ragazzo sbuffò.
-Fiacca. Ne ho sentite almeno dodici più divertenti nel solo ultimo mese.- Ribatté, ma Amelie percepì chiaramente una nota piccata nella sua voce. Tutto sommato, però, a lei la battuta era piaciuta.
-Bene. Ti portiamo da MJ... però prometti di stare calmo. Potrai darle l'ultimo saluto, come abbiamo fatto tutti. Tutti noi amavamo molto Marianne.- Riprese Arthur, lentamente, scegliendo con cura ogni parola. L'ultima parte era esitante: Donnie si era girato di nuovo, ed Amelie non poteva più vederlo in viso, ma qualcosa non andava a giudicare dall'espressione di Art.
-Non capisco.- Rispose semplicemente, con tono assente, il ragazzotto. Scrollò le ampie spalle, poi si posò le mani sui fianchi.-Non è tanto un bello scherzo, anche se capisco perché tu ci abbia provato.- stava sorridendo, non riusciva a metabolizzare.
-Donnie... Cordelia ha pugnalato MJ, due giorni fa. Perdeva tantissimo sangue, quindi Marie ha deciso di porre fine alle sue sofferenze.- L'espressione che aveva mentre si voltava verso di lei le fece capire che forse intromettersi non era stata una buona idea.
Il sorriso era largo ma gli occhi ardevano di furia, come se solo con quello sguardo potesse incenerirla. Amelie avvertì un brivido di gelido terrore lungo lo stomaco, il secondo in pochi minuti.
-Non. È. Divertente.-
-Però è vero. Marianne è morta, ci dobbiamo convivere tutti, la sua tomba è accanto alle altre.- Disse Arthur, con tono duro. Amelie scosse la testa, ma questo non impedì al ragazzo di pronunciare quelle parole tremende.
Donnie cadde in ginocchio, inarcò la schiena come un gatto e posò il viso tra le mani aperte. Lo vedeva sussultare, e Amelie si avvicinò, convinta di sentirlo piangere. No, invece, i piccoli movimenti erano dettati da un riso isterico ma quasi del tutto silenzioso. La ragazza ebbe un moto di compassione ma, prima di arrivare a toccarlo per mostrargli supporto, quello alzò di scatto il viso. Gli occhi erano spalancati e, anziché scuri, brillavano di luce violacea, come certe pile e lampade. Sorrideva, ma aveva le guance striate di lacrime salate.
Rideva forte, come un pazzo, e guardava in alto come avesse un'apparizione della Madonna.
Da dentro l'infermeria si sentì un urlo acuto, disumano, carico di ancestrale terrore.




ℒ'angolo di ℱe
Okay, okay. L'ultimo capitolo risale a fine agosto, perciò sono tipo nove mesi che non aggiorno.
A mia discolpa posso dire che il capitolo è pronto da credo novembre, dicembre? Non ricordo, so solo che sono andata avanti a scrivere e ho quattro-cinque capitoli pronti per voi. Non li ho potuti pubblicare perché il mio computer non mi permetteva l'accesso ad internet e ho solo questo, quindi avrei dovuto copiare tutto sul cellulare e... vabbé, lasciamo perdere. Vi basti sapere che ora dovrei riuscire a portarla a termine (se c'è ancora qualcuno che mi segue meglio, però)
Poi... beh, il capitolo è corposo, succedono cose, voi sentitevi liberi di chiedermi tutto e faccio anche qui la proposta che ho fatto nella mia altra interattiva: con Itzi e Bun si pensava di aprire un qualcosa (è stato deciso profilo instagram, appena si sa qualcosa sul nome avvertiamo) per rendervi partecipi delle sclerate e del disagio che esce quando si tratta di OC. Itzi ha Arcana e Conta fino a dieci (andate a leggerle daje!) ed io ho questa e, Il prezzo della Conoscenza: si condividono cose a tema, come headcanon, facts, disegni, quel che volete. Vi ispira?

Parte due, anche qui: questo capitolo è in memoria di Alysse, che era così dolce che non poteva che essere la vittima che segue Marianne, però le rivedrete entrambe presto! Sto organizzando i capitoli "precedenti", che raccontano la storia precedente e mi permettono di approfondire i morti, saranno 22 parti singole (una per ogni oc) e due bonus, perciò probabilmente saranno quattro capitoli divisi all'interno della storia. Ne approfitto per ricordarvi che fino ad ora sono morti Emily, Marianne e Alysse.
Voglio anche chiedervi... chi vorreste veder interagire nei capitoli bonus? So di certo che probabilmente Lucrèce comparirà con Damian (per farvi vedere con quanta ferocia si odino, questi due o passavano tutto il tempo ad amarsi tantissimo o si odiavano con tutta l'anima, e siccome averli in coppia li rendeva davvero imbattibili si odiano) oppure con Cordelia, ma per gli altri sono disponibile a seguire le vostre idee! Tanto le cose che devo mostrarvi sull'organizzazione le mostro lo stesso.

Ora ho finito, spero la lettura sia stata gradevole e vi piaccia vedere il capitolo lungo!
Ci sentiamo presto,
Fe_

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Capitolo 9
*** Gioco pericoloso ***


Battle Divine
Gioco pericoloso


➊ Angelica- Conforto
1.27 pm, 16 maggio 2xx7, Esterno della scuola


on avrebbe mai pensato che potesse diventare un punto di riferimento, per lei.
Eppure eccola lì, a dividere il pasto con qualcuno che gli umani la costringevano a pensare come un nemico. Angelica allungò le gambe magre e stirò le braccia, cercando di controllare il tremore delle mani.
-È perfettamente normale.- Mormorò con tono calmo Hide, davanti a lei. Con gentilezza le porse alcune foglie intrecciate che contenevano dei germogli verdi: il sapore non era il massimo, ma almeno non le avevano ancora fatto venire mal di pancia o puntini rossi su tutto il corpo, come altre piante che aveva provato a mangiare, scambiandole per commestibili.
Lo ringraziò con un cenno del capo, poi allo stesso modo gli passò una delle sue due bottigliette, piena dell'acqua purificata dal ragazzo. Il loro pasto era decisamente frugale, ma li manteneva in forze e riempiva lo stomaco, oltre a fornire una discreta scusa per potersi riunire: da quando avevano trovato il cadavere decapitato della Johnson, Angelica trovava quel rituale una confortevole banalità.
-Non lo so, non mi sento io così. È come se avessi perso la mia positività.- Confessò la ragazza, abbassando lo sguardo sulle mani abbronzate dalle unghie una volta perfettamente ovali: ora erano scheggiate e macchiate di erba e terra. Frustrata, gettò indietro il collo ed un dolore alla nuca le ricordò come dormisse malissimo negli ultimi tempi. Il cielo era terso e limpido, una giornata perfetta, tiepida e con una lieve bava di vento che avrebbe dovuto scacciare ogni brutto pensiero.
-Non credo sia possibile, sai? Sei ancora tu,- mormorò l'asiatico, facendo una pausa brevissima prima di continuare, -solo che è un brutto periodo.-
-Lo è davvero, per tutti. Però almeno non ci danno compiti.- Angelica accennò un sorriso. Fiacca, come nota positiva, ma il ragazzo le sorrise ugualmente, con gli occhi tristi.
-Dovremmo cercare Simon.- Continuò poi la brunetta. Il figlio di Apollo non doveva stare da solo, o almeno così credeva. Erano amici, buoni amici, ed ora che...
Scosse la testa di riccioli castani, impedendosi per un soffio di aprire il cassetto rosa in cui aveva imprigionato il ricordo di MJ. La situazione era già abbastanza una merda, non serviva aggiungerci altro.
-Potrei essere d'accordo, se non fosse un'idea suicida. Lo hai visto, si è allontanato verso la foresta.- Le fece notare Hide. Entrambi, con un gesto perfettamente sincronizzato, voltarono il viso verso il minaccioso confine che, idealmente, segnava la fine di alleanze e civiltà: nelle loro menti si era insinuata l'idea, ad una seconda occhiata ovviamente falsa, che restare alla luce del sole, accanto alla scuola, li avrebbe protetti dal dover entrare nel vivo della battaglia. Dal dover uccidere. Pie illusioni.
Sentì con chiarezza il sospiro di Hide e tornò a guardarlo, mordendosi le labbra delicate. I loro visi erano estremanente diversi, per conformazione ed emozioni espresse, ma entrambi avevano una cosa in comune: erano troppo giovani per esprimere tutta quella preoccupazione. Si era messo a rassettare, con movimenti precisi, conservando anche la più piccola traccia di ciò che sarebbe potuto tornargli utile.
-D'accordo. Ci vediamo domani, stessa ora, stesso posto?- Riprese, cercando di ravvivare il tono della conversazione. Hide la inchiodò con la sola forza dei suoi occhi, serio, come se l'ultima cosa che volesse fosse essere positivo.
-No, troviamoci davanti alla porta principale: essere abitudinari ci ucciderà.-

➋ Kay- Speranza
1.28 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


l sole nel cielo era alto in maniera quasi fastidiosa: si schermò gli occhi scuri con una mano, visto che le ciglia corte non fornivano alcun riparo, e li strizzò nella speranza si abituassero più velocemente alla penombra in cui cercava di sbirciare.
Sapeva di star compiendo una scelta pericolosa, andando a cercare proprio lui tra tutti i semidei disponibili: Kay non era un ragazzo socievole, nonostante gli sarebbe decisamente piaciuto esserlo, ma cercare di fare amicizia con Damian, tra tutti, era praticamente chiedere di essere il prossimo morto.
Non avrebbe saputo dire perché, tra tutti, si fosse intestardito a cercare proprio il tenebroso moro; forse perché era certo avesse minime, se non nessuna, possibilità di ottenere altri alleati, o forse perché gli sembrava un tipo forte, qualcuno su cui poter contare, qualcuno a cui non avrebbe mai potuto far del male.
Si morse le labbra carnose, mentre i pensieri dirottavano verso lande pericolose, aprendo per l'ennesima volta quel cassettino che si sforzava con tutte le sue forze di tener chiuso: sarebbe stato capace di uccidere ancora, se necessario? Ma soprattutto, sarebbe riuscito a sopravvivere a questo nuovo rimorso?
Un fruscio leggero lo distraette, per fortuna, e costrinse la sua figura di sedicenne a farsi minuta contro il tronco che lo ospitava. Dall'alto aveva una visuale perfetta, e poteva anche stare allungato sul ramo sotto al sole, senza paura di essere notato.
Il bosco sotto di lui era irregolare, pieno di rametti e piccoli arbusti che rendevano difficoltoso il cammino e facile individuare i percorsi, e alberi dai tronchi così larghi che si chiedeva quanti anni potessero avere. Era facile perdere l'orientamento e, in ogni edizione, i posti come quello erano il maggior terreno di scontro, quello che più facilmente si impregnava di sangue.
E sangue era quello che aveva notato, dopo aver aguzzato la vista, brillante ed ormai asciutto ma ancora rossiccio sulla corteccia, uno sbuffo a circa un metro e mezzo da terra: scese con circospezione dall'albero, poi vi si avvicinò e incurvò le spalle, come dopo una ferita. La sua mano si posava esattamente su quel punto per sorreggersi perciò, a logica, chi aveva lasciato l'impronta era ancora abbastanza vicino e più o meno della sua altezza. Solo, se per scelta o perché il suo compagno lo avesse tradito non sapeva dirlo, o forse braccato da qualcun altro.
Il suo istinto lo portava a credere si trattasse proprio di Damian, e quale occasione migliore di aiutarlo per guadagnarsi la sua fiducia?
Ora che sapeva cosa cercare le tracce erano più evidenti, e si chiese come avesse fatto a non notarle prima: in quella direzione il terreno era stato smosso da poco, rivelando il suolo più umido e fertile sottostante, e persino qualche insetto che si agitava idignato per esser stato esposto ai pericoli. Però qualcosa era sbagliato... le tracce erano troppo confuse, come se fosse stato qualcosa di davvero grosso. Magari c'era qualche animale e Damian cercava di cacciare?
Si sarebbe posto poi il problema, ora che poteva agire doveva coglierne l'occasione: un semidio non era fatto per attendere e, anche se non era certamente il più avventato della classe, aveva ripassato il suo piano troppe volte nei giorni che aveva passato a proteggersi. Non ne poteva più di stare fermo.
Il bruciore dei muscoli era piacevole mentre correva, anche se lo stomaco gli faceva male per i pasti saltuari ed esigui che aveva consumato da quando era partito da casa.
Mentre gli occhi castani seguivano il percorso si sentiva bene, anche notando come il suo passo fosse leggero e silenzioso, fattore non dovuto alla sua grazia o attenzione ma alla sua magia: in quel momento di bisogno il suo controllo della Foschia si era acuito, come i sensi fanno quando uno di loro viene a mancare; sentiva con chiarezza i limiti di quella che una volta gli era parso un peso ed era era un panno, elastico e morbido, che si adattava con facilità ai suoi desideri. Era ragionevolmente sicuro che nessuno lo avrebbe individuato ad una prima occhiata, e questo gli dava una sensazione di sicurezza che non avrebbe mai pensato di poter provare in quella situazione.
Nel mentre, però, le sue orecchie erano tese al massimo per cogliere ogni altro rumore, ed infatti...
Un muggito?
Sì, un muggito meccanico, ed uno sbuffo affaticato.
Si fermò di colpo, per poi sbirciare la scena da dietro un pino massiccio. Era Damian, aveva ragione, i capelli neri erano striati di rosso per via di un taglio sul capo che non sembrava profondo ma sanguinava in maniera preoccupante, a suo avviso, ed il bel viso femmineo era contratto in una smorfia più infastidita che affaticata o sofferente.
Stava affontando da solo un Toro della Colchide, un bestione di due metri che però pareva messo in difficoltà da qualcosa che gli legava fermamente le zampe.
-Maledetta vacca, mi lasci in pace?!- Sentì sbottare il moro, che stava prendendo a bastonate il mostro come se potesse farlo fuori così o, per lo meno, convincerlo ad andarsene. Nonostante i movimenti rallentati ed impacciati, però, quello stava avendo la meglio sul ragazzo.
La cosa migliore sarebbe stata decisamente girare i tacchi ed andarsene: nella sua dotazione, oltre ai viveri ed una mappa stilizzata del luogo, non aveva trovato armi, solo una padella. Però poi il toro riuscì a liberare le zampe e la corda si afflosciò inerte a terra. Damian avrebbe avuto la peggio, era già in difficoltà.
Kay brandì la padella come un'arma e si buttò in mezzo, colpendo il mostro sul muso; era impreparato ad un attacco del genere, perciò riuscì facilmente nel suo intento nonostante a scuola non fosse mai risultato tra i più forti: il testone schizzò di lato, e Kay potè aproffitarne per far spostare un incredulo Damian dietro un altro albero. La magia scorrè libera e disperata, con un impeto che quasi spaventò i due semidei che potevano avvertirla, ma sufficiente a nasconderli dagli occhi del muccone che corse, furioso, oltre loro nella speranza di riacchiapparli.
Ripresero a respirare solo quando quello fu sparito dalla loro visuale.
Damian aveva ripreso la sua espressione da poker, lo squadrò da capo a piedi e si alzò. Non gli porse la mano né tentò di mostrarsi amichevole, nonostante gli avesse, di fatto, salvato la vita.
-Prego, eh.- Borbottà Kay, alzandosi e rassettando i pantaloni. La padella era ammaccata, praticamente inservibile, ma non la lasciò andare ugualmente: era comunque meglio che prenderlo a pugni, in caso.
-Nessuno ti ha chiesto nulla.- Ribattè sulla difensiva: probabilmente era in imbarazzo per essersi fatto beccare in quella situazione, qualunque fosse il motivo per cui ci si fosse trovato, ma il figlio di Ecate non se ne curava molto, visto che il suo lato più bellicoso iniziava a bussare agli angoli del suo cervello, mandandogli il fumo negli occhi e rendendolo davvero poco tollerante.
-Ah, la prossima volta ti lascio morire allora. Uno in meno, no?- Sbottò, stringendo un pugno, e l'altro ragazzo gli rivolse un'occhiata assassina.
-Già. Tanto lo sappiamo come va 'sta cosa: uno solo sopravvive. Perciò è una stronzata far finta di essere amici.- Lo passò come considerasse finita la conversazione, e Kay ebbe l'istinto di prenderlo a pugni. Chi cazzo si credeva di essere?
-Quindi non voglio alleati. Grazie, a mai più.- Continuò Damian, poi si chinò per raccogliere la corda ed arrotolarsela attorno al braccio con cura.
-Sei davvero uno stronzo. Hai già ammazzato qualcuno?- Sputò come veleno, e a quel punto il ragazzo si fermò. Davvero, bastava così poco per invitarlo ad una rissa?
-Io non sono un assassino. Non mi lascerò morire, e non giocherò al bravo ragazzo perché so che sopravvivere significa sporcarsi le mani, ma non è una cosa che mi diverte. Quindi puoi andare a cercarti un amichetto diverso, qualcuno che finga per poi pugnalarti alle spalle.-
Non si era mai voltato a guardarlo ma era certo che l'espressione sul suo viso fosse tutt'altro che amichevole. Prese ad allontanarsi e, quando fu appena udibile, aggiuse.
-Non sono neanche uno stronzo. Te ne devo una, Jenkins.-
Kay strinse gli occhi, poi si ficcò le mani in tasca e se ne andò.
Era stata una perdita di tempo.
Che palle.

➌ Gabriel- Irragionevole
1.57 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


palancò gli occhi, ingoiando a vuoto, cercando di registrare la notizia.
Non era una cosa così impensabile, anzi, se lo avesse chiesto qualcun altro lo avrebbe trovato così ragionevole da non doverci pensare più di qualche secondo prima di accettare.
Ma non era una persona qualcunque davanti a lui: un metro e sessanta senza tacchi, curve morbide quanto il sorriso che le rivolgeva, ed invitanti allo stesso modo, mani delicate che non avevano mai tenuto nulla di più pericoloso di un ago, un viso pulito ed adorabile. Non riusciva proprio ad immaginarla col ghigno del guerriero, non era affatto nella sua natura, le sue battaglie non erano fisiche anche se potevano fare molti danni.
Lucien boccheggiò qualche secondo, incapace di rispondere, e Lucrèce schioccò seccatamente le dita davanti al suo viso.
-Pronto? Lu, dammi segni di vita!- Le sopracciglia erano alzate, in trepidante attesa, ma aveva una mano sul fianco, pronta a richiamarlo di nuovo con ben poca pazienza.
-Io... sì... no! È una follia, non sei addestrata!- Riuscì a mettere insieme senza soffocarsi con le parole.
Era incredibile... impossibile! Lucrèce, la sua Luce... non poteva chiedergli di avere un'arma. Era completamente atipico. Preoccupante.
Portò le braccia ad incrociarsi sul petto, per segnare con maggiore convinzione la sua contrarietà, e l'espressione della ragazza si indurì; gli occhi verdi come foglie parevano smeraldo, gelidi, ed assunse la sua stessa posizione in un riflesso incondizionato.
-Ah, non vuoi sappia difendermi? Vuoi attaccare tu, davvero, ferire qualcuno, magari ucciderlo?- Sibiliò. Non si aspettava tanta cattiveria, né un rimando così diretto al suo passato, il segreto che aveva promesso di custodire.
-Oh ma sì, basterai di certo, specie se arriva Cordelia... no?- Che stronza. Non lo infastidiva che si comportasse male con gli altri, ma non era minimante pronto alle sue frecce avvelenate rivolte contro... di lui. Doveva essersi accorta di aver esagerato, perché le si dipinse in viso un'espressione sconcertata e di rimorso.
-No, Lu... non volevo dire...- La bloccò con un cenno della mano, voltandosi e rifiutando un'ulteriore presa in giro.
-Certo, non volevi. Eppure lo sai come ci si sente a perdere un fratello.- L'accenno a Marianne era stato un colpo basso, ne era pienamente consapevole, ma non se la sentiva di voltarsi. Era certo che fosse a causa sua che aveva deciso di armarsi, ma andare a cercare Cordelia o Marie non avrebbe certo riportato in vita i loro cari. Non sapeva se qualcuno tenesse alle ragazze, ma se così fosse stato, chi erano loro per portargliele via? Avrebbero continuato la catena d'odio e basta. Un conto era uccidere per necessità, per sopravvivere, ma iniziare una guerra solo perché lo si poteva fare... lui non lo capiva.
Furono delle mani lievi a distralo dai suoi soschi pensieri, quelle di Luce che si insinuavano sui suoi fianchi e poi sul petto, la fronte posata contro la sua schiena. Tremava appena.
-Lo so. E non avrei dovuto dirlo... voglio solo che tu sappia che non devi difendermi. Ogni tanto, posso essere io a proteggere te. Ma mi servono gli strumenti, e la tua spada è troppo grossa per me, a stento la sollevo.- Le sue parole erano un sussurro lievissimo, il battito d'ali di una farfalla avrebbe potuto coprirle.
Lucien sapeva che aveva ragione, ma... era tutta quella fottuta situazione ad essere tremendamente sbagliata. Solo dei pazzi instabili potevano apprezzare la vista di ragazzini, amici, che si ammazzavano a vicenda per una vittoria fasulla.
-... a cosa pensavi, e come volevi procuratela?- Chiese alla fine, con un sospiro sconfitto. Era pronto a cercare di dissuaderla, in caso proponesse di derubare qualcuno, ma la sua risposta, come spesso accadeva, la sorprese.
-Abbiamo due figli di Efesto, quella tua arma potrebbero anche averla costruita loro. Posso provare a chiedere se me ne fanno una.-

➍ Zakiya- Curiosità
2.13 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


a loro piccola fucina improvvisata era tremendamente funzionale: forniva calore, permetteva loro di sterilizzare l'acqua del fiume, cucinare il pesce che avevano catturato... tutto sommato, se non consideravano la loro prossima morte come possibilità più concreta, sembrava quasi una vacanza.
Quella situazione le ricordava oncredibilmente la sua infanzia, un momento apparentemente idilliaco in compagnia di un familiare che si sarebbe risolto con una tragedia: questa volta, però, non era certa di riuscire a sopravvivere.
Zakiya stava appunto girando le freccie che aveva trovato nel suo pacchetto e, anche se a dire il vero in un primo momento le aveva considerato piuttosto inutili senza arco, ora si stava ricredendo sui loro effettivi quanto incredibili scopi nascosti. Erano ad esempio perfetti come bastoncini per cuocere, come strumenti di precisione e, in maniera molto minore, per cercare di ripulirle gli ingranaggi da polvere e terriccio.
Un rumore alle sue spalle, e si voltò giusto in tempo per vedere una massa di pelle abbronzata e ricci castani le fu addosso.
-Lenta e sorda!- Esclamò una voce familiare ridendo, e con uno sbuffo seccato ed una certa fatica Zakiya alzò di peso il suo stupido fratellastro divino che avrebbe dovuto essere più grande e più saggio.
-Sai, come si dice dalle mie parti...- Iniziò la ragazza, gli occhi grigio-ottone che brillavano di una luce che rendevia chiaro che non fosse effettivamente arrabbiata, ma anche che probabilmente non avesse idea di come finire la frase non avendo in mente alcun detto che potesse adattarsi alla situazione. Allen le rispose con un sorriso, lo stesso sguardo ad illuminargli il volto in un'espressione che prometteva qualche cazzata, e con tutta l'agilità dei suoi novanta chili di muscoli si alzò ed esibì nel più impacciato ma serio inchino che era in grado di produrre. -Grazie, grazie, grazie per avermi graziato con la vostra presenza!- la interruppe, per poi iniziare a cantare con una voce lievemente stonata e gracchiante.
-Good afternoon, Sir. What can I do, Sir?- Ammiccò nella sua direzione ma, consapevole di quanto fosse in realtà polemica quella canzone, la ragazza affondò le dita meccaniche della mano sinistra nel terreno e prese una manciata d'erba, che venne prontamente lanciata contro AJ. Il ragazzo si zittì, per fortuna, assumendo un'espressione ferita ed offesa.
-Ma ti pare il caso, Schoema? Ed io che ti stavo onorando con delle doti canore degne non solo della progenie di Apollo, ma di tutte le Muse in persona!
... divinità. Insomma, quello che sono.- Si abbassò alla sua altezza in una posizione instabile e mezza accucciata, le ginocchie larghe e le braccia appoggiare sulle cosce. -Ed io che ti ho portato qualcosa!-
La ragazza strinse le labbra in un'espressione che cercava di dissimulare la sorpresa e l'attesa, ma si sporse un poco per vedere se il ragazzo le avesse portato quello che le serviva: con un gesto svolazzante, come un mago o un idiota, dal sacco che gli pendeva mollemente dalla schiena estrasse una lattina di olio per motori e glielo lanciò.
-Avevi ragione, erano nel tuo armadietto. Anche quest'anno ci hanno lasciato dei regali, ce n'erano tre.- Continuò scuotendole piano: la stoffa era tesa verso il basso per via del peso, e sentiva un lieve clangore che tradiva la presenza di altre cose al suo interno.
-Sei andato anche al tuo? Ti hanno fatto passare?- Con la sua stazza, un'azione stealth era decisamente fuori discossione, ma ora che lo osservava più attentamente aveva un graffio lungo il braccio e maglia e viso sporchi di qualcosa di nero, poteva essere terra o polverein egual misura, probabilmente entrambi.
-Si, si, quello che vedi è il risultato di una caduta dal pino che abbiamo visto ieri: avevi ragione, c'è una telecamera, e avevi ragione, non si aspettano che qualcuno le tocchi. Ma che non ci siano protezioni, non vuol dire che non ci saranno ripercussioni...-
Quell'atteggiamento era più congeniale a Vik, la loro responsabile sorellona che li proteggeva ed aveva crisi di nervi ogni volta che venivano spediti alla fucina, finendo per far sfrigolare le sue lacrime salate sulle braci che dovevano servire a costruire le loro armi. Zakiya scosse la testa sospirando, poi si sforzò di sorridere: era certa che fosse obbligata a guardare, e non voleva si preoccupasse anche dei loro sentimenti oltre che delle loro vite. Con movimenti calcolati e tranquilli aprì l'olio e se lo passò lungo le giunture, un gesto vecchio, familiare e confortante in tutto quel casino, e che l'aiutava a mettere insieme i pensieri.
-Che ci siano delle coseguenze è ovvio,- mormorò con il tono più basso possibile, così tranquilla che lei stessa quasi non si sentiva, -ma credo dovremmo provarci. D'accordo, Allen? Allen?. ripetè e, quando alzò lo sguardo, vide che il moro non la stava neanche ascoltanto. Le dava le spalle, guardando da qualche parte verso la foresta.
Seguendo il suo sguardo, si rese conto che qualcuno stava arrivando... una ragazza minuta accanto ad un ragazzo grosso, il cui maggior segno distintivo era una brutta cicatrice sul volto.
-Eh? Che ci fanno loro qui?-

➎ Allen-
2.16 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


he Kiya non ci sentisse era solo una delle tante, piccole cose di cui si era sorpreso sempre più spesso a pensare con un atteggiamento che raramente adottava a casa. Allen era, senza ombra di dubbio, preoccupato: per la sorellastra, per sé stesso, per Emily che non era mai stata la sua migliore amica ma era comunque morta... e poi, a chi altro sarebbe toccato? A Marianne, che era così dolce rispetto agli altri figli di Afrodite, o a Kay, che non aveva mai potuto conoscere davvero? Alysse, Milo, Simon?
Il figlio di Efesto si era distratto ancora, Zakiya gli stava parlando con un tono basso che non le apparteneva ma lui le dava le spalle e non sentiva assolutamente nulla.
-Non parlare del piano. Non so se possiamo fidarci... conosco bene Lucien, ma Queen WannaBee...- Sospirò, e la ragazza gli lanciò un bastoncino a mo' di avvertimento: sapeva che Lucrèce le era simpatica, talvolta la frequentava persino quando non erano obbligati a starci insieme, ma lui non ne capiva assolutamente il motivo e non gli interessava nemmeno più di tanto, francamente. Si limitò a sbuffare e stringersi nelle spalle, borbottando un "Mica è colpa mia se è una stronza arrivista", ma solo a mezza voce, in modo da non farsi sentire- e rimproverare- una seconda volta.
Nel frattempo i due si erano avvicinati abbastanza da far suonare il suo istinto di autonservazione, e con un gesto rapido e meccanico estrasse il martello che portava legato alla cintura: non era propriamente un'arma né propriamente uno strumento, ma una sorta di sgraziata fusione tra i due che poteva svolgere entrambi i ruoli, seppur non alla perfezione. Strinse le dita attorno al manico e vide Lucien fare lo stesso sulla propria spada, posando l'altra mano sulla spalla della ragazza con lui per impedirle di avanzare ancora.
-Lu, principessa, che ci fate qui?- Chiese, cercando di mettersi sul viso un sorriso amichevole; avrebbe decisamente preferito evitare uno scontro diretto, per tante ragioni, non da ultima la sicurezza che Zakiya non era fisicamente in grado di ferire nessuno nonostante non fosse esattamente una ragazzina minura ed esile. Si lanciò un'occhiata alle spalle, e la vide alzarsi e dirigersi verso verso la coppia; Allen si morse le labbra ma, una volta tornato a prestar loro attenzione, vide che anche Lucrèce stava facendo la stessa cosa, sola.
Okay, okay, cercò di convincere il suo cervello iperattivo a concentrarsi solo su poche, positive possibilità anziché vagliare ogni possibile finale, e ancora più diffile, cercò di capire come raggiungere il migliore dei mondi possibili; Kiya e la principessa dovrebbbero essere amiche. Lei è una stronza, ma non è crudele, e se si è affezionata a...
Troppo tardi, i pochi metri che le separavano si erano ridotti drasticamente nel suo vano tentativo di formulare un piano e Lucrèce sorrideva, vedeva già le zanne di quella cagna sporche del sangue di sua sorella, perciò scattò in avanti. Troppo tardi si accorse che effettivamente la sua posa non era affatto minacciosa, e che entrambe le ragazze avevano le braccia aperte, probabilmente per salutarsi con calore. In un attimo, era tra le due, con la schiena della rossa premuta sullo stomaco ed un braccio attorno al suo collo.
La spada di Lucien era così vicina al suo naso che per guardane la punta doveva incrociare gli occhi, e anche avesse voluto era troppo pericoloso lasciar andare la sua prigioniera: era l'unico motivo per cui il ragazzo non gli aveva aperto la faccia in maniera simile a ciò che era stata fatta a lui, o forse peggio.
Ci fu un solo momento di gelo irreale, qualche istante in cui rimanettero perfettamente fermi, finché una voce bassa ma femminile non interruppe quel silenzio surreale.
-Come si dice dalle mie parti, questo è uno stallo alla messicana. Uno stallo alla messicana in piena regola.- Non ci credeva, Allen, che Zakiya davvero volesse uscirsene in quel modo, ma sentì lievemente le spalle della principessa rilassarsi.
-Anche se forse manca un'arma per lo stallo alla messicana, no? Però nessuno può attaccare l'altro senza finr attaccato a sua volta quindi forsse...- Ecco, Kiya era nervosa e straparlava. Era certo che lo quel modo di dire non fosse tipico delle sue parti- perché avrebbero dovuto chiamarlo "stallo alla messicana" in Africa?- ma quello sciolse un poco la situazione.
-Direi che non è perfetto ma ci si avvicina, però direi anche che possiamo uscirne senza farci tutti male, no? Basta che abbassiate le armi... o allontaniate le mani dal mio collo, eh?- Propose Lucrèce; quelle parole erano decisamente allettanti, anche senza l'aiuto della lingua ammalitrice che la ragazza non possedeva, quindi con calma sciolse la presa. Allo stesso tempo, vide che la lama si allontanava dal suo viso.
-Ottimo! Ora non è neanche più uno stallo.- Sentì distintamente il sollievo nella voce di Kiya mentre le armi venivano abbassate. -Luce, Fall, non è una visita di cortesia alla nostra nuova casetta, vero?-
La figlia di Afrodite scosse la testa poi, con un sorriso allegro e disgustosamente carino si rivolse all'altra.
-No, vorrei mi costruiste un'arma!-
L'espressione stupita sul viso di Kiya fu nulla rispetto al disappunto che notò chiaramente nell'espressione di Lu.
-... come, scusa?- Chiese, e la ragazza si voltò verso di lui ed annuì, come fosse la richiesta più normale del mondo. Non l'aveva mai vista faticare nemmeno durante le lezioni di educazione fisica, ed ogni tanto si chiedeva se a casa facesse qualcosa oltre dormire- sospetto smentito quando, gettando un'occhiata nella sua borsa, aveva erroneamente visto una confezione di preservativi.
-Un'arma! Sapete farlo, no? È il vostro compito, Kiya è stata chiamata solo un paio di volte ma tu Allen sei lì praticamente sempre dopo scuola.- Era... difficile negarle qualcosa.
Non che Allen avesse mai avuto una cotta per quella, ed anche fosse successo era stato tanto tempo fa. I suoi occhioni verdi non gli facevano alcun effetto, nossignore. Però fece un passo indietro dopo averla vista troppo vicina, e sbuffò.
-Non hai trovato nulla nel tuo sacco? Non ti basta una guardia del corpo?- Le rispose, con una punta di acidità, e la ragazza incrociò le braccia sotto al seno, rendendolo ancora più evidente. Zoccola.
-Non mi serve una guardia del corpo. So difendermi, ma se mi trovo uno armato davanti, vorrei uno scontro alla pari.- Pareva stranamente seria, ma nonostante l'espressione accigliata la vita lanciarsi un'occhiata alle spalle, in direzione di Lucien. Non sembrava un tentativo di comunicazione... sembrava seriamente preoccupata. Stavano insieme da abbastanza da non considerarla una storiella da nulla, ma per la prima volta si chiese se si sarebbero protetti a vicenda come avrebbe fatto lui con Kiya. Come una famiglia. Abbassò per un attimo lo sguardo, riflessivo.
Forse la sorellatra non avrebbe potuto crearle un'arma, visto che gli unici progetti seri in cui si era mai imbarcata erano solo repliche di armi da fumetti o romanzi. Questa sua attitudine ribelle le abeba fatto guadagnare un posto nella lista nera di coloro che organizzavano i giochi, visto che i figli di Efesto erano pochi e avrebbero voluto che tutti quelli disponibili creassero macchine di morte spattacolari per i loro giochi. Allen si snetiva effettivamente male a sapere che le sue creazioni venivano usate per uccidere altri semidei anziché per proteggerli, ma non poteva farci molto, se si fosse rifiutato avrebbe avuto dei problemi, e con lui i suoi cari.
-... non potrei neanche volendo. Non ho il materiale nemmeno per un aghetto, figurati per un pugnale o una spada.- Rispose alla fine, e si voltò. -In ogni caso, il ferro non può competere col bronzo celeste, anche se lo avessi.-
-Ho un progetto e un'idea su dove procurarmi il ferro. Me l'hai data tu, Zakiya cara, mentre tornavi qui.- Vide la sorellastra sobbalzare e guardarlo con una lieve sfumatura d'imbarazzo sulle guance. Si era fatta seguire, eh?
-Va bene, dai. Mostraci e ci penseremo... vero, Allen?-
-Non sarà gratis.-

➏ Minori- Alive
3.21 pm, 16 maggio 2xx7, Esterno della scuola


e mani gli tremavano forte dal momento in cui aveva sentito le sue catene spezzarsi, il legame empatico coi suoi compagni presente ma non sufficiente a nascondere le sue stesse emozioni. Spalancò gli occhi quando sentì lo scricchiolio maligno di un corpo che rovinava a terra senza vita, e spostò lo sguardo dalle sue dita tremanti al terreno, dove Marie era stesa: nell'impeto del momento aveva dimenticato di tenerla e si era occupato solo di sé. Si rannicchiò a terra, coprendosi la testa con le braccia, ed un urlo primitivo carico di angoscia lasciò le sue labbra per un solo secondo, il tempo di accorgersi che il dolore della ragazza pulsava sordo in un angolo del suo cervello, senza sopraffarlo. Era viva.
Confuso e probabilmente pieno di adrenalina scattò verso la serratura della porta, che nessuno si era preoccupato di distruggere, e la chiuse; questo gli avrebbe dato qualche istante per pensare, anche se era certo che a breve avrebbero fatto ugualmente irruzione: Arthur era agitato, irritato; Rune era appena curiosa, ma diffidente; Donovan era... oh, un miscuglio di dolci sensazioni che non aveva mai provato in vita sua. Egoismo, vendetta, rabbia soprattutto, rovente e deliziosa, pù qualcosa che non sapeva distinguere ma che montava nel suo stesso petto in maniera estremamente... semplice. Elementare.
Indugiò qualche secondo in quelle impressioni, la mano destra sul ventre strisciava lenta, un percorso obbligato fino alla gola, dove le sue pulsazioni erano accelerate, il fiato corto. Meraviglioso. Era solo lui nella sua mente, per una volta: non sentiva l'angoscia di Emily, la certezza che si sarebbe uccisa, combattere strenuamente perché i pensieri di lei non lo ingoiassero, costringendolo a prendere il suo posto; non provava lo stesso panico di Amelie, che lo aveva costretto a terra, quasi soffocato, costretto a mentire per mantere obbligatoriamente quel segreto che non era suo. Tutto quello che avevano fatto per lui era rischiare di ucciderlo, senza ringraziare.
Voltò lo sguardo verso la finestra, chiusa ma che prometteva di dargli altro tempo prima di tornare a recitare la parte dello strano, fragile ragazzino che lui sentiva ogni secondo meno sua. In un movimento fluido scivolò sul pavimento e verso quel piccolo quadrato di libertà, e quando l'aria tiepida del pomeriggio di metà maggio gli solleticò le guance i suoi pensieri iperattivi si concentrarono per un solo istante su quanto il mondo fosse diventato matto.
Non gli rimaneva che accettare quella follia ed iniziare a viverla, per una volta non come passivo spettatore, non come una foglia trasportata dagli eventi, ma come... un predatore. Non sarebbe stato più un errore a far cadere un corpo, sarebbe stato lui, ed una volta a terra avrebbe assaggiato quella preda affondando i denti nel suo collo per assicurarsi che non si alzasse mai più. Da solo? Nessuno di quelli che conosceva era abbastanza forte o affidabile da affiancarlo.
Si passò le mani sul viso con una nota di disperazione, la pelle chiara e sensibile che si macchiavava di rosso per quel contatto troppo violento a cui non era abituata, poi tra i capelli perfettamente ordinati: li scompigliò, per cancellare del tutto quello che era una volta. Non lo sarebbe stato mai più.
Mai.
MAI.
Una risata gli sgorgò dal petto: era sbagliato, quello che provava? Forse sì, ma alla fine, chi poteva giudicarlo? Quelli che avrebbe ucciso, che volevano ucciderlo? Ma chisse frega, alla fine, no?
Un tossicchiare delicato lo distratte da quei pensieri e, quando si voltò, la figura minuta di una sua inquietante compagna di classe gli rivolse un lieve, tirato e falsissimo sorriso. Aveva un coltello in mano la cui punta era macchiata di sangue, lo stesso sangue che le si era seccato lungo il braccio opposto in un rivolo sottilissimo, evidente solo perché in forte contrasto con la pelle chiarissima. Proveniva da un piccolo disegno di farfalla, marchiato a lama nell'inteno dell'avambraccio: ne vedeva la deliziosa, piccola ala decorata.
-Signorina Winslet.- La salutò con un'espressione folle, portando le dita a sistemarsi il ciuffo in modo che non gli coprisse gli occhi. Restò miracolsamente tirato indietro, come se il suo stesso corpo si fosse reso conto del cambiamento nella sua personalità.
Cordelia non variò la posizione, indecisa su come proseguire. Sentiva che lei sapeva ciò che provava lui, ma non come reagirne.
-Tu hai paura.- Constatò infine, dopo un istante di silenzio. Non era una domanda, e mentire non avrebbe ingannato nessuno dei due.
-Certo che ne ho, signorina. Ma non chiamarmi Minori. Lui è andato, spero per sempre.- Le confidò, avvicinandosi ed abbassando la voce come se le stesse rivelando chissà quale segreto. Vide le sue dita stringere il manico del coltello, ma con calma allungò la mano e prese quella della ragazza, leggerissimo, cosicché potesse allontanarsi se lo desiderava. Portò il dorso sinistro alle labbra, in un quasi imperfetto baciamano, ma quando fu il momento di sfiorare la pelle schiuse le labbra e assaggiò il sangue che la decorava, evidando di compiere l'ennesimo errore. Aveva un gusto spento, ferroso, che non gli dispiaceva né lo faceva impazzire. Nascose la delusione.
-Chiamami Hyde.- La informò, senza mai scostare le iridi grigie da quelle dlla ragazza che, ad un esame più attento, si rivelarono dello stesso colore. Aveva sempre pensato i suoi occhi fossero neri come l'inferno, ma effettivamente non li aveva mai nemmeno guardati con tanta attenzione. Erano carini, con la rima interna cadente che ne rivelava una nota rossastra, particolari.
-Edward Hyde.-
Doveva essere una ragazza dal gusto sopraffino, o aver trovato qualcosa di quella sua presentazione divertente, perché una risata lieve le sfuggì dalle labbra. Poté percepire del sincero divertimento.

➐ Cordelia- Farfalla
3.46 pm, 16 maggio 2xx7, Esterno della scuola


uella paura era così forte da averla condotta a sé in maniera inconscia, come il profumo di un arrosto attirava certi personaggi nei vecchi film. Cordelia era certa di non star volando, ma la sua testa era leggera come il passo che la portava verso la via più breve verso i suoi compagni.
Senza volerlo si era ritrovata all'esterno, davanti a quella che dopo un breve calcolo degli spazi aveva identificato come la finestra dell'infermeria. Aveva avvvertito il terrore di diversi semidei agitati ed aveva fatto un salto nel passato, quando il suo compito era il cane da caccia: era ragionevolmente sicura che fosse uno dei principali motivi per cui gli altri la temevano, ma allo stesso modo era certa che non sarebbe piaciuta loro lo stesso. Non che le importasse molto, trovava piò soddisfacente l'idea di poter spaventare a morte un tizio come Lucien, alto due volte lei o quasi, che non poter fare amicizia con una come Amelie.
O come Minori, che stava uscendo da quel momento dalla finestra. Il suo profumo era pungente, strano, come qualche alcolico troppo dolce di cui non ci si rende conto del grado finché non brucia nella gola. Tossicchò piano, la sgradevole sensazione che si era trasferita dal naso alla bocca, ed il ragazzo si girò, lo spettro di una risata che gli storceva in modo insolito i lineamenti efebici, quasi da ragazza.
Sentì i suoi occhi scrutarla per qualche istante, ed ignorò le sue parole che di certo sarebbero state non poi così interessanti, più occupata a decidere come comportarsi. Il figlio di Ascelepio era certo strano, in quel momento, ma una costante della sua personalità non era sparita.
-Tu hai paura.- Sentenziò, senza cambio d'espressione o sorpresa. Era una verità che nessuno dei due aveva bisogno di contestare, ma sapeva che per loro natura le persone- specie i ragazzi che avevano bisogno di sbandierare il loro machismo- tendevano ad ignorare, quando non la negavano del tutto; fu quindi sorpresa quando il ragazzo iniziò ad avvivinarsi, apparentemente disarmato e senza intenzioni ostili.
-Certo che ne ho, signorina. Ma non chiamarmi Minori. Lui è andato, spero per sempre.- Le disse una volta che fu abbastanza vicino, un sorriso maniacale sul volto e gli occhi che luccicavano per uno strato di lacrime non liberate. Sembrava le stesse rivenando chissò quale segreto, i loro visi erano vicini ed era certo che qualche altra ragazza avrebbe provato attrazione o spavento; lei no, lei ne era semplicemente incuriosita: quest'edizione contava un numero insolitamente alto di soggetti deboli che cedevano la sanità sotto pressione. Strinse il manico del coltello in un gesto istintivo, anche se non sapeva se dettato dal suo scarso istinto di sopravvivenza o se dal desiderio di vedere se avrebbe urlato, una volta aperto a metà il suo ventre.
Il ragazzo le prese la mano e la portò al viso, e Cordelia distrattamente pensò a quanto era sbagliato quel gesto: certo, non c'era nessuna ragazza in vista a cui avrebbe dovuto riservare lo stesso trattamento, ma allo stesso modo non si doveva fare all'aperto, specie in modo così volgare e cerimonioso: un gesto rapido ed impersonale era la miglior via per non sembrare goffi. Non sarebbe dovuto essere riservato ad una giovane non sposata come lei, poi, ma questo poteva forse essere sorvolato visto che evidentemente nessuno dei due poteva essere interessato all'altra. Aveva preso poi la mano sbagliata, ed era stato fino a quel momento questo l'errore più grande finché, anziché sfiorarle senza toccare il dorso della mano con le labbra, non assaggiò il sangue oltre il suo polso: lui era un rozzo ragazzino senza educazione, ma una come lei sapeva che le aveva praticamente dato dell'amante o prostituta.
Il suo viso probabilmente non riflettè il suo disappunto per quel gesto una volta elgante così martoriato, ma se le avesse chiesto qualcosa non avrebbe esitato a spiegargli in maniera analitica perché avesse appena ammazzato la galanteria.
-Chiamami Hyde.- Le riferì, ed almeno la posizione dello sguardo fu mantenuta corretta: non aveva mai abbandonato i suoi occhi. Hyde... era forse un riferimento al libro inglese, la controparte del dottor Henry Jekyll? Non sperava in una così alta allusione in una classe che a stento raggiungeva la media della C.
-Edward Hyde.- Completò, e Cordelia si lasciò fuggire una lieve risata che le modificò appena i lineamenti, quasi un'espressione troppo viva potesse rompere la pelle di porcellana. Oh, poteva quasi essere interessante averlo in giro.
Voltò di scatto il viso, il suo potere che l'avvertiva che gli altri si stavano avvicinando.
-Vienite con me, mister Hyde. Potremmo divertirci insieme, anche se per poco tempo.- Si voltò senza attendere una risposta, per poi iniziare a correre via: qualcosa le diceva che restare sarebbe stato un suicidio, e lei non era ancora pronta a morire; non lo sarebbe stata mai, non perché avesse conti in sospeso o paura di ciò che sarebbe successo dopo, ma semplicemente perché, nel suo modo di vedere le cose, lei era l'unica che avrebbe potuto sopravvivere senza pentirsi di ciò che aveva fatto, avendo compiuto atti ben peggiori. Non era la prima volta che usava i suoi simili, li vendeva e lasciava morire o peggio, solo per prolungare la sua vita.
Solo quando fu abbastanza lontana, quasi nel suo rifugio, si accertò se il ragazzo l'avesse seguita o meno. Per l'ennesima volta il suo comportamento la stupì, si ritrovò delle mani attorno ai polsi ed una volta che i loro visi furono l'uno di fronte all'altro sentì la sua stretta farsi più salda.
Fu strano, non esattamente confortevole, e per un attimo potè percepire come se le avesse sulle proprie le sue labbra: la pelle non era morbida per tutte le volte che era stata morsa, ed il gusto ferroso del sangue che le macchiava avrebbe reso il tutto rude, affatto romantico, non che lei desiderasse il romanticismo. Tuttavia non si disse delusa quando, dopo aver graggiato con la lama del coltello che ancora teneva in mano il fianco del ragazzo a mo' di avvertimento, Minori si allontanò, sorridendole come nulla fosse.
-Magari la prossima volta mi farete un disegno carino come il vostro, e non solo una linea.- Constatò semplicemente, alzandole con gesto brusco il braccio ed esponendo la splendida opera d'arte che si era incisa nella carne, rosa confetto in contrasto con le sottili, precise linee scarlatte.

➑ Simon- Sorpresa
4.59 pm, 16 maggio 2xx7, Aula del terzo piano


ra decisamente stufo di tutta quella storia. Pareva che quei coglioni che trovavano tanto divertente vedere ragazzini iperattivi ammazzarsi non volessero far altro che convincerlo ad ammazzare per sopravvivere, e lui decisamente non ci stava.
Non perché uccidere non fosse una cosa brutta, Simon aveva provato sulla sua pelle cosa voleva dire sopravvivere a qualcuno che si amava, ma soprattutto perché non voleva dar loro altro potere. Potevano averlo costretto a vivere isolato con i suoi simili, ma non potevano manipolarlo come una marionetta. In un momento di rabbia aveva lasciato un messaggio sulla lavagna, pur consapevole che non solo avrebbero eliminato questa sua ennesima protesta come avevano fatto con tutte le altre, ma anche che probabilmente non ne sarebbero stati felici e ci sarebbero state selle conseguenze.
Quante cazzate.
Si sbattè la porta dell'aula alle spalle, deciso a non aprirla mai più.
Aveva ripensato alle sue convinzioni grazie ad una ragazza che per colpa delle proprie idee era morta, e non avrebbe più commesso quello stesso errore.
Camminava tanto deciso lungo il corridoio da non badare nemmeno a chi poteva incontrare lungo la sua strada; forse fu per quello che non notò l'alto ragazzo probabilmente distratto quanto lui, e finirono per scontrarsi.
Simon si passò una mano tra i capelli castani, ristemandoli piano. Ottimo, la giornata non faceva che peggiorare. Gli lanciò un'occhiata di sbieco e lo identificò come Milo, uno dei pochi semidei puramente romani della loro scuola. Marianne non faceva queste differenze, e lo chiamava fratello come con Luce. Strinse i denti e le dita gli scesero lungo il viso come a cancellare lacrime che non c'erano mai state.
-Che ci fai qui?- Sbottò, rendendosi conto subito dopo di essere stato ingiustamente scortese. Per quanto non gli andasse realmente, rettificò: -Qui ci sono solo io, e me ne sto andando.-
-Sì, ma non credo dovresti restare solo, ora. Sono venuto a proporti di unirti a noi, per stanotte: ti farà bene.- Milo era forse un idiota, ma sembrava gentile e sincero. Anche se invitare un potenziale assassino per un pigiama party non era esattamente la prima cosa che avrebbe fatto al suo posto, ma forse era una forma di coraggio; continuare a preoccuparsi per gli altri, anche quando tutto avrebbe consigliato di essere egoisti.Simon si strinse nelle spalle.
-Per una notte, credo possa andare. Tanto non ho ancora deciso dove accamparmi.-
Vide il ragazzo sorridergli, gli occhi scuri che rivelavano senza alcun pudore la contentezza per quella notizia. Simon avrebbe voluto sentirsi seccato, ma si chiese invece se non avrebbe dovuto iniziare a parlarci prima: in classe, Milo sembrava semplicemente un bravo ragazzo, un po' testardo ma semplice e di poche pretese; il figlio di Apollo aveva sempre pensato che accettasse passivamente la situazione solo perché, a differenza sua o di altri ragazzi come Allen, non si ribellava apertamente.
-Ah, perfetto! Spero che anche gli altri accettino così in fretta.- Aggiunse, e si lasciò sfuggire una risatina leggera che probabilmente in una folla sarebbe stata seguita ed imitata.
-Milo, tu sei bravo in arte?- Chiese alla fine.
-Eh? Uhm... non particolarmente, però ho un buon senso estetico.- Confessò, e fece per voltarsi e scendere lungo le scale, ma Simon gli prese il braccio.
Lo sentì irrigidirsi lievemente, un riflesso da combattimento tutto sommato perfettamente comprensibile, ma non strinse nemmeno il pugno per difendersi.
-Aspetta, vorrei mi aiutassi per una cosa. Ho scritto una cosa sulla lavagna, credo che se entriamo entrambi saranno costretti a mostrarla.- Sussurrò dopo aver avvicinato il viso al suo orecchio. Così sembrava ancora più sospetto, e non credeva avrebbero censurato un possibile scoop per quello.
Vide il moro annuire, ed indicare l'aula.
Entrarono nella piccola aula spoglia e chiusero la porta: era certo ci fosse una telecamera, anche se non era del tutto sicuro di dove, perciò si limitò a portarlo davanti alla lavagna: bianco sullo sfondo nero si leggeva a chiare lettere La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci, senza orpelli o altro.
Milo lo soppesò per qualche istante, poi incrociò le braccia ed annuì come un critico d'arte.
-Degno di un pittore, direi. Mi concede un'aggiunta alla sua opera?- Chiese con tono formale, e Simon sentì un sorriso sincero storcergli le labbra. Fingendo un mezzo inchinò, diede la sua benedizione.
Milo aprì il computer ed aggiunse il nome degli assenti alla lavagna.
Emily
Marianne

Una piccola esitazione, le guance si fecero ancora più pallide. Basta, no? Non c'erano altri moti, vero? Non aveva sentito nulla, forse qualcuno degli esterni? Kay, che se n'era andato e non aveva più fatto avere sue notizie?
Alysse




ℒ'angolo di ℱe
Allora, come andiamo?
Non nasconderò che alcune parti di questo capitolo mi lasciano insoddisfatta, ma confido che nel complesso sia apprezzabile: non è stato facile inserire tutti gli oc, farli interagire, far proseguire la trama e non uccidere nessuno per ben un capitolo!
No, sto scherzando, almeno sull'ultima parte: ho davvero voluto dare una comparsa a tutti, e spero che questo capitolo non risulti "piatto" rispetto al precedente.
I nodi vengono al pettine, qualcuno mostra risvolti psicologi che magari non avevate messo in conto, qualcuno sta per fare una bruttissima fine... chi, però?
Lo scopriremo presto!
Ora, passando alle cose meno importanti: queste fanfiction hanno tanta, tanta lore dietro. Ho creato un mondo che probabilmente non vedrete mai fatto di relazioni, avvenimenti ed abitudini che non posso usare (ma ai quali faccio riferimento ogni tanto, tipo i giochi precedenti o i rapporti implicati sopra). Vi interesserebbe conoscerli, e passare il tempo tra un aggiornamento e l'altro?
Bene! Io ed altre autrici abbiamo aperto una pagina instagram per tenervi aggiornati. Ci saranno curiosità, disegni ed extra riguardo le nostre fanfiction. Potete trovarla qui
Val la pena di seguirla solo per i meme di Ebs (i meme di Ebs > qualsiasi altra cosa)
Ci sentiamo presto (prestissimo, se seguite la pagina sopra)
Fe_

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