Indiana Jones e la tomba dell’imperatore

di IndianaJones25
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Antiche rovine ***
Capitolo 2: *** Il tempio della Dea del Fiume ***
Capitolo 3: *** Marshall College ***
Capitolo 4: *** I sotterranei del castello ***
Capitolo 5: *** La torre di Vega ***
Capitolo 6: *** Sotto la moschea ***
Capitolo 7: *** Nel palazzo di Belisario ***
Capitolo 8: *** Wu Han ***
Capitolo 9: *** All'insegna del Loto d'Oro ***
Capitolo 10: *** La base segreta ***
Capitolo 11: *** La montagna leggendaria ***
Capitolo 12: *** Nei cunicoli maledetti ***
Capitolo 13: *** La tomba del primo imperatore ***
Capitolo 14: *** L'imperatrice della Cina ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Antiche rovine ***


1 - ANTICHE ROVINE

   Ceylon, 1935

   I rumori ed i versi degli animali, uniti ai leggeri sciacquii dei piccoli corsi d’acqua, giungevano attutiti dalla fitta vegetazione, che filtrava i raggi del sole creando giochi di luce e di ombra in cui spiravano lenti i vapori leggeri che si levavano dal suolo; l’unico suono rimasto inalterato sembrava essere il ronzio emesso dalle zanzare, le quali non concedevano alcuna tregua all’uomo che camminava lentamente aprendosi, di quando in quando, un varco tra le foglie con un secco colpo del coltellaccio che stringeva tra le mani.
   Ma ad Indiana Jones non importava nulla delle zanzare; che gli succhiassero pure tutto il sangue che volevano: ormai era così vicino alla meta da poter quasi udire il rumore dell’adrenalina che gli si riversava a fiumi nelle vene.
   Dopo mesi e mesi di dura ricerca, finalmente, avrebbe raggiunto il Tempio; si era ripromesso di non arrendersi, ed eccolo infine a destinazione. Mancava veramente molto poco.
   Era solo, quindi non poteva condurre un vero e proprio scavo archeologico, come d’altra parte gli era già capitato in diverse occasioni, ma doveva proseguire, sforzandosi di ignorare tutto ciò che vedeva attorno a sé. Diversamente, si sarebbe senza alcun indugio e ben volentieri fermato ad ispezionare minuziosamente i resti delle rovine che sbucavano qua e là tra le piante; e sarebbe bastato quello a regalargli fama mondiale, perché avrebbe dimostrato di come i Vedda, gli antichi abitatori dell’isola, un popolo della foresta, fossero stati in antichi tempi passati molto più avanzati tecnologicamente di quanto si sarebbe potuto intuire. Ma, allo stato attuale delle cose, avrebbe dovuto rinunciare a studi di tale portata per dedicarsi esclusivamente alla missione affidatagli dall’amico Marcus Brody: recuperare l’idolo della Dea del Fiume, un prezioso manufatto che popolava le leggende dell’isola.
   Brody, curatore di un museo le cui collezioni dipendevano in larga misura dai recuperi archeologici di Jones, aveva scoperto che il leggendario oggetto era molto più concreto di una semplice storiella, ed aveva pertanto spedito a recuperarlo l’amico archeologo, prima che potessero farlo altri. Non gli aveva, però, fornito che pochi indizi da cui partire, per cui l’archeologo aveva dovuto fare quasi tutto da solo, come al solito.
   Eppure, nonostante le diverse traversie in cui era incorso, eccolo lì, ad addentrarsi tra i resti di una città che neppure sarebbe dovuta esistere, stando alla storia ufficiale.
   Sapeva bene, però, che le difficoltà affrontate per l’attraversata in solitaria della giungla non erano che una parte dei pericoli; era più che mai certo, infatti, che anche qualcun altro stesse tentando di mettere le mani sull’idolo. Qualcuno che, spinto dalla sola bramosia, non si sarebbe fatto alcuno scrupolo per raggiungere il tesoro, senza rendersi conto che il vero patrimonio erano quelle favolose mura, quelle pietre intagliate ed i resti delle statue che lo scrutavano da ogni direzione, quelle testimonianze di un grandioso passato. Doveva, pertanto, giungere per primo alla meta, facendo attenzione a non farsi scoprire; se fosse accaduto, ne sarebbero derivati guai molto seri. Come se non ci fosse abituato.
   Ne aveva già avuto un primo assaggio nella polverosa biblioteca di Colombo, la capitale dell’isola, dove si era recato per recuperare una vecchia mappa delle rovine disegnata da un mercante olandese, il quale le aveva esplorate alla fine del XVII secolo; per sua fortuna, era riuscito ad impossessarsi di quel carteggio per primo, ma i suoi avversari avevano lottato con i denti per riuscire a sottrarglielo. Se era ancora vivo, ed incolume, lo doveva solamente alla sua sfacciata fortuna; se non fosse riuscito a saltare al volo sul tettuccio di un furgoncino che passava a velocità sostenuta sulla strada proprio fuori dalla biblioteca, infatti, non sarebbe mai riuscito a seminare i suoi inseguitori.
   Nonostante egli possedesse adesso l’unica mappa, però, era sicuro che quegli uomini avrebbero raggiunto egualmente le rovine, per cui sarebbe stata una cosa saggia, che gli avrebbe permesso di vivere più a lungo, guardarsi le spalle.
   Adesso, tuttavia, non riusciva a fare altro che guardare davanti ed intorno a sé, meravigliato da tanta bellezza; in anni ed anni di viaggi ed esplorazioni, infatti, non gli era mai capitata l’incredibile occasione di visitare ed attraversare, per primo in questo secolo, una città perduta avvolta dalla foresta intricata. E sì che, a soli trentasei anni di età, aveva già vissuto più avventure di qualsiasi altro viaggiatore fosse mai comparso sulla faccia della Terra. In quel momento, comprese che cosa dovesse aver provato Hiram Bingham, suo conoscente nonché buon amico di suo padre e di Brody, allorquando in Perù scoperse la città di Machu Picchu, l’ultima frontiera dell’impero incaico, ventiquattro anni addietro.
   Ed ora lui stesso, tra rampicanti ed alti alberi secolari, contorti e nodosi, poteva ammirare quello che un tempo doveva essere stato un maestoso e gigantesco agglomerato urbano, al cui interno fiorivano templi e palazzi, attraversato da strade lastricate e, senza ombra di dubbio, culla di una civiltà progredita, ormai scomparsa e quasi dimenticata, non solo dagli storici, ma anche dai lontani discendenti dei suoi originari abitatori; guardando le acque fresche e dolci di una cascata che cadeva dall’alto di una rupe, andando a formare un magnifico laghetto cosparso di foglie di ninfea, nel mezzo di una radura tra gli alberi, e seguendo il volo di uccelli variopinti, si domandò cosa mai potesse essere accaduto di così catastrofico da far regredire allo stato selvaggio il popolo che aveva abitato quei luoghi, in seguito sopravvissuto solamente grazie ai frutti della foresta ed all’applicazione di una cultura ridotta al minimo, se paragonata al passato.
   Da questa riflessione, gliene nacque spontanea un’altra: se quello era stato il destino di una civiltà, dove stava scritto che non sarebbe potuto anche essere un fato comune? E se la prossima, a scomparire, fosse stata quella società americana tanto forte di cui lui stesso era membro? Per un attimo, immaginò gli alti grattacieli di New York avvolti di liane e le sue strade rettilinee invase dalle erbe, ormai abbandonate dai pochi uomini rimasti, costretti a vivere in capanne nel deserto, ormai dimentichi del proprio passato. Si domandò se la situazione internazionale, che andava precipitando sempre più, ed inesorabilmente, verso una sicura catastrofe, avrebbe condotto gli uomini a regredire ad uno stato selvaggio e primitivo.
   Scuotendo la testa, allontanò quei pensieri e si concentrò sull’attimo; non poteva permettersi il lusso di perdersi in questioni filosofiche, adesso, anche perché lui era un archeologo e doveva occuparsi dei semplici fatti, non delle varie possibilità sul destino finale dell’uomo, nonostante fosse costretto ad ammettere che quei ragionamenti lo affascinassero. Ma, quelli, non erano né il luogo né il momento adatti. Chissà, avrebbe potuto rifletterci una volta fatto ritorno a casa, con l’idolo finalmente al sicuro in una teca del museo.
   «In tempo per l’inizio del semestre, magari» borbottò tra sé, «oppure questa è la volta che il rettore mi licenzia davvero.»
   Egli era, infatti, professore ordinario di Metodi di scavo e di ricerca archeologica presso il Marshall College di Bedford, nel Connecticut, sulla costa orientale degli Stati Uniti, ma aveva la cattiva abitudine di saltare costantemente le prime lezioni di ogni anno accademico, perché sempre impegnato in una qualche missione negli angoli più remoti del globo, costringendo sempre, così, il rettore a dover ricorrere ad un supplente per non far perdere troppo tempo prezioso agli studenti. Questa volta, però, era più che mai determinato a presentarsi addirittura all’inaugurazione del semestre, ossia prima ancora dell’inizio delle lezioni; non ricordava di aver mai presenziato a tale cerimonia, prima d’allora. Non essendoci mai stato neppure da studente, in effetti, non sapeva neppure bene in che cosa essa consistesse precisamente.
   Per riuscirci, però, doveva affrettarsi; così, distolto lo sguardo dalle meraviglie che lo circondavano, riprese la marcia attraverso la boscaglia.
   Dopo una svolta, tuttavia, fu costretto a fermarsi nuovamente, colto dallo stupore.
   Di fronte a lui, testimone silente della storia, si ergeva un palazzo in perfetto stato di conservazione, non fosse stato per qualche calcinaccio franato a terra e per i rampicanti che ne avevano avvolto la facciata.
   «Altro che studi stratigrafici alla ricerca di semini» disse a bassa voce.
   Quel luogo gli incuteva un rispetto tale che avvertì il bisogno di sfilarsi il cappello dalla testa e di portarselo al cuore, come se stesse entrando in una chiesa.
   Si incamminò lentamente verso il palazzo che, essendo circondato da una radura in cui crescevano solo piante molto basse, era facilmente raggiungibile e ben visibile. Si trattava di una maestosa costruzione di pietra a più piani, le cui grandi finestre superiori sembravano occhi intenti a fissarlo con una certa severità; le porte di accesso al piano inferiore, invece, erano molto piccole, evidentemente costruite a livello della statura degli antichi abitanti.
   Capì immediatamente, però, che quel palazzo doveva essere stato un centro di potere, non una normale abitazione; oltre che dalle dimensioni, lo intuì anche dai bassorilievi che correvano lungo tutta la facciata e che, seppure rovinati, mostravano ancora scene di battaglie e di incontri tra funzionari e tributari, che recavano in dono prodotti della terra od animali, alcuni dei quali facilmente riconoscibili - come scimmie, elefanti, orsi, bufali o varie specie di uccelli - ed altri, invece, impossibili da identificare; doveva trattarsi di bestie ormai estinte, oppure esseri mitologici, di quelli che certamente avevano popolato le leggende dell’antica popolazione. Si chiese se gli antichi abitanti dell’isola avessero creato anche una propria letteratura; magari ne sarebbe stato rinvenuto qualche frammento, prima o dopo.
   Gli sarebbe piaciuto studiare e copiare uno ad uno quei fantastici esempi di antica arte dell’isola, ma sapeva bene di non averne il tempo. Pertanto, si diresse verso una delle entrate del palazzo: stando alla carta del mercante olandese, infatti, da lì avrebbe avuto accesso ad un cortile e ad altri edifici, superati i quali avrebbe finalmente incontrato il Tempio della Dea del Fiume, il luogo in cui era custodito l’idolo che andava cercando.
   Con un poderoso colpo di coltello, tagliò i rami di una pianta rampicante quel tanto che bastava per riuscire a passare senza doversi chinare. Come fu entrato, cominciò a sudare ancora più abbondantemente di quanto già non stesse facendo perché l’umidità, intrappolata tra le pareti di pietra, aveva trasformato l’interno del palazzo in una specie di serra, in cui prosperavano piante di ogni genere, che per crescere si accontentavano delle piccole fessure tra le pietre sconnesse del pavimento.
   Si trovava, ora, all’interno di un corridoio abbastanza oscuro, lungo forse una decina di metri; in fondo, brillava la luce del giorno. Fu in quella direzione che si diresse ma, fatti pochi passi, si bloccò all’improvviso, perché il pavimento si interrompeva di colpo. Se non fosse stato per la sua abitudine di guardarsi sempre attentamente attorno, sarebbe precipitato di sotto.
   «Un volo di tre o quattro metri, mi sarei potuto rompere una gamba, o peggio» borbottò. «Perché diamine avranno scavato un buco proprio qui?»
   Osservò attentamente la cavità: era profonda, come detto, circa quattro metri, larga quanto il corridoio e lunga circa tre metri. Dopo quello spazio, il pavimento riprendeva e continuava normalmente fino alla fine del tunnel. Valutò che, in origine, doveva essere stata una specie di cantina, la cui copertura in legno era marcita e scomparsa ormai da secoli, generando, così, una pericolosa trappola per qualche incauto avventuriero non troppo attento a dove stesse mettendo i piedi. Senza farsi scoraggiare, rivolse lo sguardo al soffitto e notò il ramo di una pianta che era cresciuta saldamente aggrappata al muro. Quello sarebbe stato il suo ascensore per giungere dall’altra parte.
   Infilatosi il coltello nella cintura, srotolò una frusta che portava al fianco e, con un’abilità da fare invidia ad un domatore di leoni, la fece schioccare; con una mossa flessuosa, il nerbo si legò fermamente al ramo soprastante. Dopo aver saggiato la resistenza del legno, Jones si aggrappò con forza alla frusta e si lanciò nel vuoto. Lo aveva già fatto milioni di volte ma, in ogni occasione, provava un brivido di eccitazione nell’avvertire l’aria che gli scorreva addosso e l’assenza del terreno sotto i piedi. Infine, fu dall’altra parte.
   Ritirata la sua fedele frusta, da cui non si separava mai, cominciò a sistemarla per attaccarla nuovamente alla cintura, avanzando nel contempo verso la fine del corridoio.
   Percorse il resto del tragitto senza altri incidenti e si ritrovò, così, sopra una balconata che dava su di un cortile in pietra infestato di erbe selvatiche. La sua attenzione, però, non fu attirata tanto dalle rovine del cortile quanto, invece, dalle voci umane che da esso provenivano. Erano voci inglesi, che parlavano abbastanza forte da permettergli di comprendere cosa stessero dicendo, pur non riuscendo a scorgere, dal suo punto di osservazione, alcuna persona.
   «Che dannato posto, pieno di zanzare e sassi vecchi» stava lamentandosi uno. «Niente donne o birra, solo maledetti insetti! Che diavolo ci siamo venuti a fare?»
   «Finiscila di lagnarti, lo sai perfettamente perché siamo qui» gli rispose qualcuno. «Il tedesco ci pagherà profumatamente per il suo maledetto idolo. Possiamo ben sopportare una qualche puntura di zanzara!»
   «E dell’americano non tieni conto?» si intromise una terza voce. «Quel dannato ci è sfuggito, a Colombo! E la colpa è solo vostra che, anziché seguire il mio piano per coglierlo di sorpresa, gli siete voluti piombare addosso come tori scatenati!»
   «Parlano di me» pensò Jones, sentendosi quasi lusingato dall’essere citato da sconosciuti. «Devono essere per forza i tre simpaticoni che mi volevano fare secco in biblioteca.»
   «Quello non ci creerà problemi» sentenziò la seconda voce. «Che cosa vuoi che ci possa mai fare, un professorino? È vero, è stato piuttosto agile nel darsi alla fuga, ma vedrai che si sarà spaventato a morte e sarà già in volo per l’America, quel pivello, parola mia. Se, poi, per pura casualità, dovesse saltare fuori di nuovo, una bella fucilata in faccia lo liquiderà in eterno.»
   Jones udì un tintinnare di vetri, proprio sotto di sé; i suoi misteriosi avversari, dunque, dovevano essersi fermati a mangiare ed a bere all’ombra del grande balcone sopra il quale si trovava lui stesso. Decise che, per prudenza, si sarebbe dovuto allontanare da lì.
   Mentre si spostava, si chiese chi mai fosse il tedesco nominato da uno di quei tre; doveva essere una specie di collezionista, che voleva impadronirsi dell’idolo. Ma se era certo che Marcus lo cercava per chiuderlo nella teca di un museo, dove chiunque avrebbe potuto ammirarlo e studiarlo in ogni momento, difficilmente si sarebbe potuto asserire lo stesso di un uomo che si serviva, per le proprie ricerche, di scagnozzi pronti ad uccidere chiunque gli si fosse parato davanti e privi di qualsiasi interesse verso quelli che consideravano solamente sassi vecchi.
   Perso in quelle elucubrazioni, non si avvide di una pietra sul pavimento e, così, camminando, la calciò con forza, mandandola a sbattere contro la parete di fronte.
   «Cos’è stato?» risuonò immediatamente, da sotto, una voce.
   «Non ti preoccupare, sarà solo qualche animale» rispose un altro. «Una scimmia, direi. Oppure una pietra precipitata, questo postaccio cade a pezzi, vecchio com’è.»
   Dopo un attimo di silenzio, durante il quale Jones non si mosse né fiatò per evitare di provocare qualsiasi altro suono sospetto, la prima voce disse: «Se è una dannata scimmiaccia, la farò secca a fucilate… se è qualcos’altro, agirò allo stesso modo!»
   «Sei fissato, col tuo americano. Non è qui, te l’assicuro! E, di sicuro, se sapesse della nostra presenza, non sarebbe tanto stupido da farsi scoprire come un babbeo. Ma ti ripeto che non può sapere che noi siamo qui, perché è lontanissimo da questo posto!»
   Nonostante quelle parole, tuttavia, si avvertivano già pesanti passi percorrere il selciato sottostante; dopo un poco, li si poté udire mentre risalivano una scalinata di pietra che collegava la balconata al cortile.
   Rapido come il fulmine, Jones individuò una nicchia in un muro coperta da un cespuglio e vi nascose prontamente; allo stesso tempo, portò la mano alla fondina e ne estrasse la sua Webley Revolver color nero, un’arma che gli era stata d’aiuto a togliersi d’impiccio in diverse occasioni.
   Celato alla vista, poté così osservare senza problemi un grosso uomo che saliva le scale, sbuffando e grugnendo come un maiale. Era un omone tutto grasso e muscoli, abbondantemente sudato, il cui capo pelato era celato da un cappellaccio floscio di paglia. Tra le grosse mani sporche di unto, stringeva una carabina Winchester che, per quanto vecchia e malandata potesse sembrare a prima vista, doveva essere ancora perfettamente funzionante, nonché letale.
   L’uomo fece scorrere lo sguardo per tutto il balcone, ma i suoi occhi porcini non sembrarono fermarsi su nessun punto in particolare. Dubbioso, fece qualche altro passo in avanti, avvicinandosi abbastanza al cespuglio da permettere a Jones di avvertire l’odore rancido di alcol e tabacco che emanava il suo alito, unito alla sua puzza di sudore, nonché il suo respiro pesante. Nel vederlo, lo riconobbe immediatamente: era proprio, come aveva immaginato, uno dei tre che lo avevano assalito, e quasi sopraffatto, a Colombo.
   «Dove sei, scimmietta?» quasi sussurrò l’uomo. «Fammi vedere il tuo bel musino, avanti!»
   Jones si costrinse a non respirare, perché l’uomo era adesso tanto vicino che, se solo ne avesse avuti, avrebbe potuto contargli i capelli sulla nuca. Se soltanto si fosse voltato di un centimetro, lo avrebbe visto.
   E, infatti, accadde.
   Gli occhi dell’omone girarono sul cespuglio, e si spalancarono per lo stupore nel trovarsi a così breve distanza da Jones. Il quale, senza aspettare altro, fece scattare avanti il pugno destro e, con la canna della pistola, colpì l’avversario in pieno viso.
   L’uomo gridò e cadde all’indietro, premendo il grilletto; ma il fucile, puntato verso l’alto, non ottenne altro effetto che quello di provocare un grosso rumore.
   «L’hai trovata, la tua scimmia, Bob?» urlò una voce da sotto, ma l’interpellato non poté rispondere. L’archeologo, difatti, gli era piombato addosso e, dopo averlo disarmato, lo stava tempestando di pugni in faccia.
   «Ma questo che rumore sarebbe?» si sentì dire da sotto. «Qualcosa non va, andiamo a vedere!»
   Lo scalpiccio si propagò nell’aria, ma Indiana Jones era pronto.
   Sopraffatto il proprio avversario e rifoderata la pistola, attendeva i due compari dell’omaccione in mezzo al corridoio, in piedi ed a gambe larghe, il fucile già puntato con sicurezza di fronte a sé.
   Quando i due comparvero dalle scale, con le pistole strette in mano, tuonò: «Gettate le armi o svolazzerete all’inferno!»
   I due, sbigottiti, si bloccarono di colpo e, vistisi in grave pericolo, lasciarono cadere in terra i loro revolver, che cozzarono sul pavimento con un rumore metallico.
   «Molto bene. Ora…»
   Ma Jones non riuscì a terminare la frase, perché l’omone steso ai suoi piedi, riavutosi più in fretta del previsto, lo aveva afferrato per le gambe, sbilanciandolo nel tentativo di trascinarlo al suolo. Per sua fortuna, riuscì a non perdere di mano il fucile, perché immediatamente gli altri due si precipitarono sulle pistole. Uno dei due si voltò, intenzionato ad ucciderlo, però Jones fu più rapido e premette il grilletto. Sebbene non avesse avuto il tempo per mirare, il proiettile andò a conficcarsi in pieno nel petto dell’uomo, che scivolò a terra con un gemito.
   L’altro si scansò immediatamente di lato, gettandosi sulle scale per mettersi fuori tiro, mentre l’omaccione, che gli si era aggrappato ai pantaloni, continuava a tirarlo verso di sé; con uno strattone, però, l’americano riuscì a liberarsi dalla sua presa e, sferrandogli un calcio in pieno viso, lo mise nuovamente al tappeto, lasciandolo privo di sensi.
   Si voltò per guardare dove fosse finito il terzo uomo, e lo fece appena in tempo per vedere una pistola che gli apriva contro il fuoco; gettatosi a terra e lasciato il fucile che lo ingombrava, estrasse rapidamente la Webley dalla fondina e rispose al fuoco. Per un attimo echeggiò solo il frastornante rumore dei colpi secchi delle pistole, poi il terzo uomo gridò di dolore e la pistola che spuntava dalle scale venne lasciata cadere.
   Credendo in un inganno e che magari l’altro fosse armato con qualche altra pistola, Jones lasciò trascorrere almeno due o tre minuti prima di muoversi per sincerarsi dell’accaduto; poi, cautamente, si avvicinò alle scale e vi spiò. Il suo avversario, colpito da un proiettile di rimbalzo alla testa, era scivolato per i gradini ed ora giaceva privo di vita all’imbocco del cortile, a pochi metri dal luogo in cui, fino a poco prima, stava bivaccando con i due compagni discorrendo di zanzare e ricompense.
   Senza più badare agli altri due uomini, Indiana Jones discese le scale e si guardò attentamente intorno.
   Il cortile di pietra era, ovviamente, invaso dalle erbacce, ma vi si poteva ancora ammirare la squisita fattura dei bassorilievi che, anche lì, come all’esterno del palazzo, ornavano le pareti. Si soffermò ad osservare quella che, a ben vedere, doveva rappresentare una danza rituale, eseguita da alcune donne, mentre al loro fianco degli uomini adoravano una divinità femminile dall’aspetto molto florido e prosperoso.
   «Un’area sacra» dedusse tra sé e sé. «Evidentemente, le funzioni politiche ed amministrative si tenevano nel corridoio e nei piani alti del palazzo, mentre il cortile era una sorta di santuario. Mi sto avvicinando.»
   Dopo aver dato una rapida occhiata all’accampamento dei tre scagnozzi, senza tuttavia trovarvi nulla di significativo, all’infuori di qualche bottiglia di whisky scadente e di poche scatolette di cibo, girovagò per il cortile fino a quando non s’imbatté in un nuovo corridoio, che sembrava condurre al lato diametralmente opposto a quello da cui era entrato.
   Anche questo corridoio mostrava dei bassorilievi alle pareti: pur avendo una certa fretta, non riuscì ad esimersi dal controllarli tutti. Mostravano scene di iniziazioni rituali di uomini e donne, la venerazione della stessa divinità femminile di prima e pure quelli che parevano essere sacrifici umani: sacerdoti che spingevano in un fiume vorticoso, popolato da coccodrilli, dei prigionieri nudi. E, a giudicare dal loro numero, la Dea del Fiume doveva essere molto ghiotta di carne umana, e mai sazia. Dentro di sé, provò un brivido al pensiero della sorte toccata a quei poveretti, e si augurò di non dover fare la stessa, brutta fine.
   Giunto al termine del tunnel, si ritrovò sull’orlo di uno strapiombo, sotto cui scorreva impetuoso un fiume; ecco, da dove venivano gettati i prigionieri.
   Si guardò attorno, per capire in che direzione dovesse procedere adesso; secondo la sua mappa, il Tempio sorgeva lungo la sponda del fiume. Solo che il fiume scorreva trenta metri più in basso in un canalone di roccia, e non sembrava avesse alcuna riva.
   «Deve esserci un passaggio che conduca di sotto» meditò.
   Immerso nei pensieri riguardo al tragitto da seguire, non badò immediatamente al secco rumore che avvertì alle spalle. Troppo tardi si rese conto che Bob, il corpulento mercenario a cui aveva affibbiato un calcione in pieno viso, aveva recuperato i sensi e lo aveva seguito.
   L’omone gli volò addosso e lo colpì allo stomaco con un potente diretto, mozzandogli il respiro; nel cercare di difendersi, Jones perse l’antica e preziosa mappa, che una leggera brezza fece volare via.
   Rispose con un pugno alla mascella di Bob, che incassò il colpo e gli tirò una testata al petto, gettandolo a terra. Riuscito a rialzarsi, evitò per un pelo una nuova carica da parte dell’erculeo avversario e gli si avventò contro, colpendolo con calci e pugni, ricorrendo a tutte le proprie forze per impedirgli di potersi difendere.
   Ma Bob era furioso e, afferratolo per il braccio destro, riuscì a bloccarlo ed a colpirlo sul viso e sul naso. Vedendolo in difficoltà, lo tenne stretto e cominciò ad avanzare in direzione del precipizio, spingendolo innanzi a sé con violenza, evidentemente intenzionato a gettarlo di sotto.
   La situazione era davvero grave e Jones sapeva che, se non fosse riuscito ad arrestare l’avanzata dell’omone, sarebbe morto, sfracellandosi contro le rocce sottostanti dopo un terribile salto nel vuoto; ma, nonostante provasse a fare freno con i piedi, non riusciva in alcun modo a bloccarlo, e si sentiva spingere in avanti ogni secondo di più.
   Alzato a fatica il braccio sinistro, allora, conficcò due dita negli occhi di Bob, che strillò come una capra sgozzata; ma, invece di smettere di correre, l’omone accelerò l’andatura, fino a che Jones sentì i piedi lasciare il terreno e scalciare nel vuoto.
   Se doveva finire così, però, era intenzionato a trascinarsi dietro anche il gigantesco uomo.
   Per cui, invece di cercare di aggrapparsi a qualche ramo sporgente per salvarsi, fece in maniera di mantenersi stretto all’avversario, che lo guardò negli occhi con un misto di odio e di terrore nel momento in cui cominciavano a precipitare entrambi verso il fiume vorticoso.

 
=== Nota ===

Ciao a tutti! Questa è la mia prima storia dedicata al mitico Indiana Jones.
Si tratta di una mia personale rivisitazione del videogioco Indiana Jones e la tomba dell'imperatore (2003), del quale ho completamente stravolto la trama originale, mantenendo però inalterati le ambientazioni e alcuni personaggi,
Spero che questa nuova avventura dell’uomo con la frusta e il cappello vi piacerà!

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Capitolo 2
*** Il tempio della Dea del Fiume ***


2 - IL TEMPIO DELLA DEA DEL FIUME

   La fortuna, ancora una volta, si tolse la benda e baciò sulla bocca Indiana Jones con la medesima ardente passione di un’amante focosa.
   Il volo gli mandò il cuore in gola, facendogli riversare l’adrenalina nel sangue come una deflagrazione, poi giunse il tremendo impatto. Ma, al contrario di quanto avesse già preventivato, non si fece quasi nulla perché, nel cadere, Bob, più pesante, era finito sotto di lui, facendogli da cuscino ed attutendo il forte impatto. Il grosso omone, però, pagò in pieno le conseguenze del gesto avventato che aveva compiuto.
   Il suo corpo si sfracellò sugli scogli, rompendosi in più parti e tingendo di rosso, per un attimo, le impetuose acque del fiume, che subito trascinarono via quel cadavere martoriato ed il suo sangue.
   Jones, sbalzato via poco prima dell’urto contro le rocce, invece, seppure intontito e dolorante per le percosse ricevute, riuscì a vincere la corrente nuotandovi contro con tutte le proprie forze; così facendo, ottenne di guadagnare uno spuntone di roccia che emergeva dal fiume, issandovisi per poter tirare il fiato.
   Ansante, si trasse all’asciutto, sputando acqua. Scosse qualche volta la testa, ancora ricoperta dal suo inseparabile cappello, per schiarirsi le idee, e si guardò attorno.
   Il fiume scorreva rapido attraverso una stretta gola, con un formidabile frastuono, e tra le sue acque affioravano qua e là grossi ed aguzzi massi; era un miracolo che non vi ci fosse caduto proprio addosso. Un miracolo o, forse, la sua solita fortuna sfacciata? A dirla tutta, era più propenso a credere alla seconda ipotesi.
   «Ma ora come faccio ad uscire da qui?» si chiese.
   Rapidamente, esaminò la parete rocciosa, ma era troppo ripida e liscia per poter pensare di arrampicarvisi, e non voleva correre il rischio di arrivare a metà strada per poi rischiare di perdere la presa e precipitare nuovamente, per cui la sua unica opportunità di trarsi da quella situazione sarebbe stata quella di gettarsi nuovamente in acqua, lasciandosi trasportare dalla corrente.
   Aveva una vaga idea di dove quel fiume sfociasse, ma certo la prospettiva di un bagno tanto lungo e pericoloso non lo allettava, perché quelle acque pullulavano di rettili che non attendevano altro che di addentare la sua coriacea carne, e c’era, inoltre, la concreta, e per nulla stuzzicante, possibilità di imbattersi in una qualche cascata e, quindi, in un nuovo salto nel vuoto; sempre che, ovviamente, la forza della corrente non lo avesse prima sbattuto contro qualche scoglio affiorante. Come se non bastasse, sarebbe stato condotto molto lontano dalle rovine.
   Ricordò che, poco prima di venire aggredito, si era reso conto che il Tempio della Dea Fiume era disegnato, sulla mappa, lungo il fiume. Chissà, forse gettarsi in acqua non sarebbe poi stata un’idea cattiva come avrebbe potuto sembrargli di primo acchito. Tra l’altro, era molto meglio tentare un’impresa del genere piuttosto che rimanersene rintanato in eterno sopra uno macigno in attesa che accadesse qualche cosa.
   Si fece coraggio, pensando che, tanto, negli ultimi dieci anni aveva affrontato situazioni anche peggiori di quella, trasse un respiro profondo e si tuffò in acqua.
   Immediatamente, la rapidissima corrente lo rapì nuovamente, trascinandolo con sé e mozzandogli il respiro con le alte ondate. No, decisamente, la sua era stata una pessima trovata, ma ormai la cosa era fatta e non serviva a nulla recriminare; bastava tenere duro e sopravvivere il più a lungo possibile. La qual cosa, pensò con una certa soddisfazione, era una delle sue abitudini più peculiari. Tanto fortunato, era, ma allo stesso tempo una vera calamita per i guai! Un polo magnetico che attraeva a sé ogni tipo di pericolo al limite della conservazione umana!
   Udiva un fragore, di fronte a sé, che andava via via aumentando di intensità, e per un terribile attimo temette che sarebbe finito dritto in una cascata. Ma, in verità, non era proprio così.
   Un affluente, infatti, si riversava dall’alto della gola, precipitando con un boato nel fiume in cui si trovava lui; la forza dell’acqua, lo gettò dietro la massa liquida che pioveva dall’alto, e fu allora che la vide: oltre una piattaforma levigata che si protendeva nella sua direzione, una roccia intagliata con le sembianze di una faccia mostruosa sovrastava quello che pareva essere l’ingresso di una cavità naturale che si incuneava nella pietra. Doveva sicuramente trattarsi del luogo che stava cercando.
   Facendoli quasi urlare per lo sforzo, Jones costrinse i propri muscoli a vincere la violenza tremenda che lo trascinava lontano e ad avvicinarsi alla piattaforma che, dopo qualche tentativo andato a vuoto, a causa della melma formatasi sulla roccia, riuscì ad afferrare con le mani. Gemendo per la fatica, si sollevò dall’acqua e si arrampicò, stendendosi poi all’asciutto, per riprendere fiato.
   Si concesse soltanto due minuti prima di rialzarsi per studiare la situazione.
   Adesso, al sicuro sulla terraferma, poté notare dei particolari che, a prima vista, non era riuscito a scorgere: la faccia mostruosa, ma che da alcuni tratti si riusciva a distinguere ineluttabilmente come femminile, era circondata da bassorilievi raffiguranti quella che sembrava una sacerdotessa, vestita con un’ampia tunica aperta sul davanti a mostrare il prosperoso seno e con i lunghi capelli lasciati sciolti sulle spalle, nell’atto di officiare una funzione religiosa, stringendo in mano dei serpenti, ed alcuni adoratori con il capo chino e le braccia allungate davanti a sé in segno di preghiera e riverenza. Nonostante la spossatezza, Indiana Jones non poté esimersi dal riconoscere, in quella raffigurazione, tratti tipici delle culture mediterranee dell’Età del Bronzo; in special modo, la sacerdotessa era identica alla raffigurazione di una divinità cretese. Ma che cosa ci facesse lì, era un vero rompicapo. Forse che la grande civiltà del Mediterraneo, che aveva caratterizzato le fasi finali del Tardo Bronzo per la sua cultura internazionale, si fosse spinta ben oltre i confini di quel mare? Ora come ora non avrebbe saputo dirlo con esattezza, ma sicuramente ricerche approfondite su quel sito archeologico avrebbero condotto a scoperte sensazionali, che avrebbero obbligato gli storici ad ampliare con un gran numero di pagine i loro trattati. Adesso, però, lui non aveva tempo di fermarsi in quella questione, ci avrebbe pensato a tempo debito. Tornò ad osservare l’orrendo viso della dea, tanto diversa dalla sacerdotessa; quella divinità mostrava tratti certamente tipici dell’isola, non riscontrabili in alcun altro luogo, o almeno non gli rammentavano nulla di quanto avessi mai studiato fino a quel momento. Gli occhi della raffigurazione erano due pietre rosse, che riconobbe come enormi rubini, lavorati finemente ed incastonati nella roccia.
   «Se non fossi un bravo ragazzo, mi arrampicherei, prenderei quei due tesorini e li rivenderei in America al miglior offerente» meditò per alcuni istanti, prima di allontanare immediatamente quei pensieri, che non si addicevano certo ad uno studioso di antichità come lui.
   Piuttosto, preferì concentrare i suoi pensieri su qualcosa di molto più importante, ossia il modo di andarsene di lì una volta recuperato l’idolo. Quindi, girato tutto attorno lo sguardo, notò una scalinata intagliata rozzamente sul fianco della parete rocciosa, che si dipartiva verso l’alto con gradini rapidi e stretti, la quale inizialmente gli era sfuggita.
   «Ecco qual’era la via per giungere al Tempio» disse. «Perlomeno, quando avrò terminato qui, potrò risalire alle rovine anziché tuffarmi per la terza volta nel fiume.» Questa idea, dovette ammetterlo, gli sorrideva parecchio.
   Poi, voltati un poco gli occhi, focalizzò tutta la propria attenzione sull’ingresso del Tempio della Dea del Fiume, da cui proveniva una corrente d’aria che, al contatto con i suoi abiti umidi, sembrava ancora più fredda e fastidiosa di quanto dovesse essere veramente. Gettò una nuova occhiata al viso della dea: «Non sei proprio la ragazza che inviterei a uscire per bere qualcosa» borbottò col proprio solito spirito ironico, che non lo abbandonava mai, neppure nei frangenti più estremi. Quindi, si rivolse al bassorilievo della sacerdotessa: «Ecco, tu saresti già più il mio tipo.»
   Senza farsi intimidire dal poco invitante aspetto della statua della divinità, si incamminò di buon passo e penetrò nella galleria, pronto a svelare i misteri di un luogo rimasto segreto ed inviolato da parecchi secoli.
   E, camminando tra quelle rocce, si avvertiva sul serio il peso inesorabile del tempo in tutta la sua imponenza: i graffiti alle pareti, così come le statue degli idoli poste sul pavimento, sembrava lo guardassero direttamente da un’altra epoca con i loro sguardi fissati per sempre nella pietra da mani umane ormai da tempo ridotte in polvere.
   La grotta che stava percorrendo era in discesa, ed il soffitto si abbassava sempre più, tanto che ad un certo momento si accorse di star camminando piegato in avanti per non urtare con la testa la volta. Meno male che non era mai stato claustrofobico, o gli avrebbe potuto prendere un colpo. Era molto buio, e non riusciva a vedere un granché alla luce dei fiammiferi che accendeva in continuazione, e che si erano salvati dal bagno nel fiume soltanto perché aveva avuto la giusta pensata, al momento di metterli nella sua tracolla, di avvolgerli in carta cerata per preservarli dall’umidità dell’isola. Alla fioca luce di quelle fiammelle, le statue che gli antichi sacerdoti e fedeli avevano collocato lungo il corridoio sembravano davvero muoversi ed essere dotate di vita propria.
   Infine, il corridoio sbucò su di un vasto stanzone illuminato da una luce che, lo capì, proveniva da certe fessure che erano state ricavate nella volta, e da cui, insieme ai raggi del sole, entravano anche le radici di alcuni alberi; da quello, intuì di trovarsi sotto le rovine del palazzo che aveva scoperto.
   Di fronte a sé, Jones aveva uno spettacolo fuori dal comune, che non si sarebbe mai aspettato di trovare: oltre una piattaforma di pietra, infatti, si scorgeva un lago sotterraneo, alimentato probabilmente da qualche polla oltre che dall’acqua che cadeva dall’alto nei giorni di pioggia, al centro del quale si poteva scorgere una roccia piuttosto larga, sopra la cui superficie sorgeva un altare finemente intagliato. E, sul piano dell’altare, era stato posto un oggetto: l’idolo della Dea del Fiume, il prezioso artefatto che era stato inviato a recuperare.
   «Mi aspetta un altro bagno» constatò ad alta voce. «Questa volta, però, ben venga!»
   Stava per immergersi quando si bloccò all’improvviso; sotto la superficie del lago, infatti, aveva notato qualche cosa che lo aveva messo sull’allarme.
   Aguzzando la vista, vide nuovamente ciò che, un momento prima, aveva creduto potesse essere il frutto della propria immaginazione, ossia una grossa ombra che si muoveva sotto il pelo dell’acqua, proprio nei pressi dell’altare.
   «Uhm, pare che qualcuno abbia dato troppo da mangiare, a quel pesce» borbottò con il suo solito sarcasmo.
   Non si trattava, però, di un pesce, bensì di un enorme coccodrillo, lungo quasi dieci metri, provvisto di immense fauci che non avrebbero fatto alcuna fatica ad inghiottire un uomo adulto in un sol boccone; doveva essere rinchiuso là sotto da parecchio tempo perché, a causa della mancanza di luce, era divenuto albino. Probabilmente, si nutriva degli animali che, di quando in quando, cadevano di sotto dalle rovine sovrastanti, e doveva essere abituato a sopportare lunghi periodi di digiuno forzato; dentro di sé, Jones si augurò che l’ultimo pasto del rettile fosse stato consumato di recente, perché non gli andava di diventare il prossimo pezzo forte del banchetto del mostruoso animale.
   Guardandosi attorno, notò una scala di pietra che saliva lungo la parete di roccia che delimitava il lago, seguendo un giro tortuoso e circolare per, poi, interrompersi proprio sopra l’altare, dove si trovava una sorta di balconata, ad almeno quindici metri di altezza; forse, avrebbe potuto raggiungere quel balcone e, da lì, per mezzo di una corda, farsi scivolare sulla sua meta, mantenendosi al sicuro dall’acqua e, soprattutto, dal suo mostruoso abitante. Peccato, però, che oltre alla frusta, non avesse pensato di portare con sé una corda.
   «Un volo di quindici metri equivarrebbe a gettarsi nelle fauci del mio amico pesce» constatò ad alta voce, come faceva spesso quando si trovava in situazioni del genere. «Senza contare, tra le altre cose, che quella antica scaletta potrebbe crollarmi sotto i piedi non appena provassi a risalirla.»
   Gli rimanevano soltanto due possibilità: la prima sarebbe stata quella più saggia, ossia andarsene e tornare in un secondo momento con una spedizione archeologica adeguata, che avrebbe studiato a fondo l’intero sito e lo avrebbe posto in sicurezza, magari anche in compagnia di qualche esperto cacciatore in grado di catturare il rettile per poi portarlo in un qualche zoo; oppure, la seconda possibilità sarebbe stata quella di tentare di mettere a segno una delle soluzioni più azzardate che gli fossero mai balenate per la mente. Decise che sarebbe potuto benissimo comunque tornare con altri archeologi e studenti in un qualche momento del futuro, ma che avrebbe portato via l’idolo quel giorno stesso. Se il suo piano non avesse funzionato, avrebbe pensato a qualcos’altro. Nel frattempo, tanto valeva tentare.
   Si chinò, raccolse una grossa pietra che giaceva sul pavimento e, dopo averne saggiato il peso sul palmo della mano, la scagliò nell’acqua, il più lontano possibile da sé e dall’altare. Il sasso si inabissò con un forte gorgoglio e, proprio come aveva previsto, la grossa ombra sotto la superficie si diresse immediatamente in quella direzione, attratta dal rumore e dalla possibilità di farsi una scorpacciata.
   Senza fermarsi un solo istante a riflettere se ciò che stava facendo fosse pericoloso oppure no, s’immerse rapidamente, cercando di non far troppo rumore, ed iniziò a nuotare velocissimo, senza guardarsi attorno, diretto alla piattaforma con l’altare. Non aveva la più pallida idea di dove fosse il coccodrillo bianco, né la cosa sembrava interessarlo, ma dentro di sé provava un grande turbamento nell’immaginare le fauci possenti del mostro chiudersi a tenaglia sulle sue gambe e spiccargliele dal corpo con un colpo secco. Quel pensiero, tuttavia, fu utile per spronarlo a nuotare più veloce, ricorrendo a tutte le proprie forze. Ma l’altare, tuttavia, sembrava non avvicinarsi mai: doveva essere molto più distante di quanto avesse inizialmente pensato.
   «Forza, vecchio mio» pensò. «Ricordati di tutte le studentesse che fanno la fila per avere un appuntamento con te. Cosa direbbero se ti presentassi davanti a loro menomato?»
   Finalmente, la roccia dell’altare gli si parò davanti; senza perdere tempo, sollevo le mani e l’afferrò, ma una brutta sorpresa lo attendeva: come già gli era successo nel fiume, anche quella roccia era stata resa completamente viscida dalla fanghiglia umida. Le sue mani, quindi, non riuscivano a fare alcuna presa, ma scivolavano all’indietro, vanificando tutti i suoi sforzi.
   Dietro di sé, udì un forte risucchio, come se una massa imponente e velocissima stesse spostando l’acqua del lago. Tra l’altro, nella sua direzione. Evidentemente, il coccodrillo doveva essersi reso conto che un pasto molto più sostanzioso ed appetitoso di un sasso s’era immerso nel suo regno.
   Con l’adrenalina alle stelle, il cuore che batteva impazzito e le mani tremanti, Jones lasciò perdere i suoi vani tentativi di issarsi a forza di braccia sulla roccia. Veloce come il fulmine, srotolò la frusta dalla cintura e, impugnandola con la mano destra, la sollevò dal pelo dell’acqua. Con forza prodigiosa, dettata più che altro dalla paura che non dalla sua reale possanza fisica, la fece schioccare e, con un solo colpo secco, la mandò ad arrotolarsi intorno all’altare, che per fortuna non era troppo largo, altrimenti non ci sarebbe mai riuscito.
   Immediatamente, senza neppure perdere tempo ad accertarsi che non potesse muoversi, la mise in tensione, tirandola verso di sé e, puntellandosi con i piedi e le gambe rigide alla base della piattaforma rocciosa, iniziò il più velocemente che gli fosse possibile ad arrampicarsi, muovendo gli arti inferiori verso l’alto, uno dopo l’altro, in sequenza. Quando vide i propri piedi alla stessa altezza del perimetro esterno della roccia, smise di muoverli in su, altrimenti avrebbe perso la presa e sarebbe ripiombato in acqua, ed utilizzò le braccia per passare dalla posizione orizzontale a quella verticale, tirandosi lungo la frusta. Non appena fu dritto, utilizzò tutte i residui di energie che gli rimanevano per lanciarsi in avanti. Lasciò andare la presa sulla frusta e cadde in avanti, abbracciando strettamente l’altare, proprio come un supplice del passato colto nell’atto di chiedere la grazia alla divinità.
   Subito, però, si volse all’indietro, appena in tempo per vedere il coccodrillo tentare di arrampicarsi a sua volta sulla piattaforma.
   «Eh, no, mio caro amico, ho fatto troppa fatica per arrivare qui, e non mi va di dividere la festa con te!» borbottò, levandosi al contempo il coltellaccio dalla cintura. La sua prima intenzione sarebbe stata quella di esplodergli due proiettili dritti negli occhi, ma la sua arma e le sue munizioni erano, ormai, troppo fradice per poter sperare che non facessero cilecca.
   Si avventò in avanti brandendo il coltellaccio come se fosse stato una spada e, ignorando le pericolosissime zanne che avrebbero potuto agevolmente tagliarlo in due, assestò due potenti fendenti al muso dell’animale, che emise un grido disperato; prima che il coccodrillo potesse ricacciarsi in acqua per mettersi al riparo, lo colpì nuovamente, questa volta ad un occhio, che si staccò e rimase a galleggiare nell’acqua per alcuni istanti, prima di affondare. Il mostro ferito si capovolse e si agitò, sollevando grandi spruzzi di acqua fredda, e Jones, allungandosi pericolosamente oltre la base della roccia, sferrò una quarta pugnalata, colpendo il coccodrillo bianco al molle ventre, non protetto dalla forte corazza. Gridando e colorando di rosso sangue le acque già torbide del lago sotterraneo, l’antico mostro si agitò per alcuni istanti, dopodiché, rimasto immobile e mandando un sordo brontolio, affondò come un sasso, finché la sua ombra si perse nelle profondità.
   «Mi dispiace, amico mio, so che tu non c’entravi nulla, con tutta questa faccenda, ma io non avevo voglia di diventare la tua cena.»
   Risistemato il coltello nella cintura, Jones si lasciò cadere sul pavimento, completamente sfinito; si chiese cosa avrebbe mai fatto Marcus Brody nel caso non ci fosse stato lui ed avesse dovuto provvedere di persona al recupero dei manufatti. Probabilmente, il museo sarebbe stato solo uno stanzone vuoto e polveroso, ed il suo curatore sarebbe già finito da decenni nello stomaco di un qualche animale selvatico.
   Rimase disteso per alcuni minuti, intento a riprendere fiato, e cercando di ignorare i dolori che gli avevano invaso il corpo; decisamente, si maltrattava troppo. Ma perché non era divenuto un semplice storico, come suo padre? Avrebbe potuto passare intere giornate nelle biblioteche, a consultare polverosi volumi o documenti antichi ed a scrivere libri, standosene comodamente seduto in una poltrona, ed avrebbe viaggiato solo su confortevoli treni, per raggiungere lussuosi alberghi nelle maggiori città americane ed europee, da cui sarebbe uscito in taxi solamente per entrare in università ed aule magne in cui tenere le proprie conferenze. E gli avrebbero pure offerto pranzi luculliani in compagnia di eminenti personalità.
   E, invece, eccolo lì, adagiato sopra una piattaforma di roccia, nel mezzo di un lago abitato da un enorme mangiatore di uomini, al di sotto delle rovine di una città dimenticata da Dio, sporco e bagnato, con ogni angolo del corpo dolorante e fiaccato dagli sforzi, dopo aver percorso chilometri a piedi, nuotato con tutte le proprie forze e lottato contro mostri lacustri e uomini senza scrupoli; e, per di più, con la sola prospettiva, davanti a sé, di un lunghissimo ed altrettanto devastante viaggio di ritorno, per poi finire a tenere lezioni in un’università dove la quasi totalità dei colleghi lo guardava con sospetto, ritenendolo una sorta di avventuriero senza ritegno, in cui la maggior parte dei ragazzi seguiva svogliatamente il suo corso e le ragazze, senza dimostrare il minimo interesse per la disciplina, frequentavano le sue lezioni solo per convincerlo a concedere loro appuntamenti galanti. Appuntamenti che poi, lo sapeva fin troppo bene, si risolvevano in completi disastri ogniqualvolta che padri, zii, fratelli, ed in qualche occasione anche fidanzati traditi, scoprivano che figlie, nipoti o sorelle frequentavano un uomo tanto più grande di loro e, per giunta, con la testa perennemente tra le nuvole, che arrivava sempre tardi a lezione o, alle volte, non si presentava neppure. E che non presenziava mai agli eventi ufficiali. E che girava il mondo inseguendo manufatti archeologici che, il più delle volte, gli sfuggivano di mano all’ultimo istante. E che era persino colpevole di avere distrutto interi siti di estrema importanza per giungere a niente altro che ad un piccolo obiettivo, facendo inorridire fior di accademici.
   Tutti quei pensieri non erano proprio lusinganti, eppure un sorriso increspò le labbra di Indiana Jones.
   Perché lui, alla fine, che ci poteva fare? Quella, dopotutto, era la sua vita, e gli piaceva così; non l’avrebbe mai cambiata per nulla al mondo. Almeno, non fino a quando le forze non lo avessero abbandonato. Quando, poi, fosse diventato un vecchio con gli acciacchi dell’età come suo padre, avrebbe mutato vita, tramutandosi in un tranquillo insegnante in pensione. O, forse, neppure allora avrebbe smesso di catapultarsi in situazioni disperate ed apparentemente senza alcuna via d’uscita. Se non avesse svolto quel tipo di vita, si sarebbe chiamato semplicemente Henry Jones Jr, non Indiana Jones.
   «Sempre che ci arrivi, ad avere l’età del vecchio» borbottò, nel rimettersi a fatica in piedi a causa delle gambe, che doloravano immensamente dopo essere state utilizzate come rampini da arrampicata.
   Ma ogni dolore scomparve immediatamente dalla sua mente, non appena ebbe posato gli occhi sulla superficie piana dell’altare, sui cui lati erano riprodotte processioni di sacerdotesse e fedeli intenti ad adorare la Dea del Fiume; nel mezzo preciso della tavola, si trovava ciò che era venuto a cercare e che gli era costato così tante fatiche, ossia l’idolo.
   Non era altro che una statuetta, non più alta di trenta centimetri, raffigurante, molto probabilmente, la medesima divinità a cui il tempio era consacrato; ma, al contrario che nelle diverse raffigurazioni in cui aveva avuto modo di imbattersi fino a quel momento, trovava che qui la Dea avesse un viso dolce, quasi rassicurante, in completa armonia con le forme sinuose del corpo. La statuetta era stata ricavata da un blocco di pietra verde, molto probabilmente della giada tirata a lucido da mani esperte.
   Con riverenza, ed anche con un poco di timore non essendo nuovo a trabocchetti ideati secoli prima, ma ancora perfettamente funzionanti, per proteggere i tesori più preziosi dai ladri, strinse le dita attorno al magnifico idolo e lo trasse a sé; non accadde assolutamente nulla. Evidentemente, il lago ed il suo abitante erano una trappola considerata sufficiente a fermare chiunque. Ma egli non era chiunque, era Indiana Jones, e per l’ennesima volta aveva messo le mani sopra un importante manufatto del passato. Sapeva bene che, la parte più difficile, sarebbe venuta proprio adesso, perché avrebbe dovuto conservare quell’oggetto fino a quando non lo avesse visto al sicuro nella propria teca, al museo. E non era nuovo ad “incidenti di percorso”, come si era risolto a chiamarli, in cui il prezioso artefatto sarebbe passato dalle sue ad altre mani, molto meno accademiche.
   Gli bruciava ancora dannatamente, per esempio, un episodio avvenuto alcuni mesi addietro.
   Aveva svolto ricerche dettagliatissime che lo avevano portato a scoprire, in una tomba celata all’interno di una chiesa di un piccolo villaggio arroccato sui monti della Francia del Sud, Rennes-le-Chateau, un prezioso tesoro, in oro e gioielli, appartenuto nientemeno che ai re Merovingi, per poi vederselo soffiare sotto il naso da un suo rivale, l’archeologo René Belloq, un ex compagno di università che s’era votato alla cupidigia ed alla brama di ricchezze. Quella, poi, non era neppure la prima volta che Belloq gli portava via qualche cosa e, dentro di sé, sapeva che non sarebbe neppure stata l’ultima.
   Istintivamente, si volse verso l’ingresso della caverna, ben poco illuminato, ma non vide nessuno. Trasse un sospiro di sollievo, e sorrise nel ricordare che, in ogni caso, Belloq non avrebbe potuto trovarsi lì: prima di partire, infatti, lo aveva indirizzato su una falsa pista, mettendo in giro la voce che avrebbe svolto degli scavi archeologici nello Yukon. Dato che, da lunghi anni, ormai, il francese era divenuto la sua ombra ovunque andasse, non riuscì a trattenere una risata nell’immaginarselo intento a vagare lungo le sponde del fiume Klondike alla sua ricerca. Certo, prima o poi quell’uomo avrebbe scoperto di essere stato preso in giro ed avrebbe cercato di vendicarsi, e a quel punto sarebbero stati guai seri, ma adesso non era proprio il caso di pensarci troppo.
   Lasciati quei pensieri, Jones tornò a concentrarsi sul presente.
   Trasse dalla propria borsa un panno morbido e, con moltissima attenzione, lo utilizzò per avvolgervi la statuetta, che poi infilò al sicuro sul fondo della tracolla; quindi, recuperata la frusta e calcatosi meglio il cappello sul cranio, si preparò all’ennesimo bagno della giornata.
   Dopo aver scrutato con attenzione le pericolose acque del lago, per accertarsi che il coccodrillo non potesse tornare all’attacco, rifacendosi su di lui per le ferite infertegli, vi s’immerse un’altra volta, iniziando a nuotare verso l’ingresso della caverna; il tocco freddo dell’acqua era come un balsamo, per i suoi muscoli indolenziti, ma era ben conscio del fatto che, una volta fermatosi, avrebbe avuto ancora più male di prima. Cominciava ad essere stufo di nuotare.
   Con molta fatica, raggiunse la riva opposta, ed iniziò l’operazione per guadagnare la superficie che, lo sapeva, non sarebbe stata affatto facile; sperava, tuttavia, di non dover ricorrere nuovamente alla frusta per arrampicarsi. D’altra parte, non voleva allungare troppo la propria permanenza acquatica, non essendo sicuro di essersi sbarazzato definitivamente del mostruoso coccodrillo bianco; di certo, non voleva accertarsi di persona se fosse morto oppure ancora vivo.
   Fu con sua viva sorpresa, quindi, che avvertì delle mani robuste afferrarlo sotto le ascelle e sollevarlo dall’acqua; fu gettato rudemente sul pavimento da dove, sbigottito, osservò tre paia di piedi circondarlo.
   «Ma chi…?» cercò di dire completamente sbalordito, prima che un calcio lo colpisse al mento.
   Dall’alto, risuonò una voce untuosa dal palese accento tedesco: «Guten tag, dottor Jones. È un bellissimo giorno per una nuotata, non trova? Mi unirei a lei, ma temo d’aver scordato il mio costume da bagno.»
   A fatica, Jones si rimise in piedi, perdendo abbondantemente del sangue dal mento ferito dal colpo ricevuto; come aveva intuito, tre uomini lo circondavano, due energumeni ai lati, uno decisamente più magro standogli di fronte. Il tedesco, alto e biondo, indossava un completo grigio che sarebbe stato più adatto ad un ricevimento che in una grotta sotterranea. Dato che era stato quest’ultimo a parlare, gli si rivolse.
   «Se vuole, posso prestarle il mio. L’ho lasciato in albergo.»
   Il tedesco emise una risatina chioccia.
   «Ah, il famoso senso dell’umorismo americano» commentò. Poi, smesso di ridere, aggiunse: «Non l’ho mai capito.»
   Jones stava cominciando a spazientirsi, ma il suo cervello, adesso, lavorava febbrilmente per scoprire una via di fuga. Poteva anche tollerare che Belloq gli capitasse sempre tra i piedi al momento meno opportuno, ma che pure uno sconosciuto tedesco dall’aria tronfia e vestito come un pinguino lo cogliesse di sorpresa era decisamente troppo.
   «Guarda, Hans, o Claus, o qualunque sia il tuo nome» borbottò Jones. «Non so che cosa tu voglia da me, ma sono sicuro che possiamo trovare un accordo.»
   Il tedesco sorrise: «Molto bene» disse. «Ecco l’accordo. Lei mi consegnerà l’idolo… ora!»
   Ciò detto, il viso dell’uomo si fece truce e la mano destro impugnò la Luger che, fino a quel momento, era rimasta celata nella fondina nascosta dal lembo della giacca.
   «Va bene, va bene» brontolò Jones. «Ti sei spiegato. Ho ciò che vuoi proprio qui.»
   Fece due passi avanti e, tolta la statuina ancora avvolta nel panno dalla borsa, la ficcò nella mano dell’uomo.
   Il tedesco abbassò lo sguardo, per ammirare il prezioso manufatto, e quella distrazione gli costò cara.
   Rapidissimo, con la stessa velocità di un fulmine, Jones lasciò partire un potente diretto al viso dell’uomo, che con un grido cadde all’indietro, lasciando andare la statuina e la pistola. Prima che potesse toccare terra, però, l’archeologo lo afferrò per la collottola e, sollevatolo di peso, lo lanciò nell’acqua del lago sotterraneo. Il tutto avvenne così rapidamente che i due energumeni non ebbero neppure il tempo di reagire.
   «Uccidetelo!» gridò il tedesco, riemergendo dal lago, ma già Jones aveva sfilato la frusta e la stava utilizzando contro i due malcapitati, che erano corsi a rintanarsi in un angolo per non essere colpiti dai potenti fendenti della verga.
   Con un colpo preciso, avvolse il laccio attorno al collo di uno dei due avversari e lo attirò a sé, atterrandolo poi con una testata ed una ginocchiata nell’inguine. L’ultimo uomo tentò di approfittare di questo momento per gettarsi a capofitto sulla Luger abbandonata, ma Jones fu più rapido e gli si avventò contro, mettendolo rapidamente al tappeto con un calcio in pieno viso.
   Si volse verso il lago, per vedere che cosa stesse facendo il tedesco, ma rimase paralizzato di fronte ad uno spettacolo raccapricciante: il mostruoso coccodrillo bianco, difatti, seppure ferito, era riemerso ed aveva imprigionato tra le proprie poderose mascelle l’uomo, che si agitò inutilmente mentre veniva trascinato verso il fondo.
   Soddisfatto di essersi sbarazzato definitivamente di quell’uomo, che non gli avrebbe procurato nuovi guai fintanto che fosse rimasto a Ceylon, Indiana Jones gettò con un calcio la pistola nel lago, per impedire ai due energumeni di riappropriarsene quando fossero rinvenuti, poi raccolse l’idolo e se ne andò fischiettando.


 

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Capitolo 3
*** Marshall College ***


3 - MARSHALL COLLEGE

   Bedford, USA

   La luce del mezzogiorno filtrava dai lucernari mentre il professor Jones concludeva la prima lezione dell’anno accademico 1935 - 1936; la campanella squillò e gli studenti cominciarono velocemente a radunare le loro cose prima di lasciare l’aula.
   Ce l’aveva fatta, aveva stabilito un vero e proprio record personale; per la prima volta in circa dieci anni di insegnamento, era finalmente riuscito a presenziare alla prima lezione. Era fiero di se stesso. Non credeva sarebbe mai potuto accadere.
   Indiana Jones aveva fatto rientro negli Stati Uniti cinque giorni addietro, giusto in tempo per consegnare il prezioso manufatto a Brody prima dell’inaugurazione della mostra sulle antiche culture orientali, che sarebbe coincisa con l’inizio delle lezioni.
   «Davvero ben fatto, Indy» gli aveva detto il vecchio amico, ammirando la statuetta.
   Dopodiché, s’era ricordato degli accordi precedentemente presi ed aveva messo mano al libretto degli assegni.
   «Per una volta, ti pago per qualcosa che mi porti, e non per qualcosa che hai perduto» aveva commentato con ironia lo studioso, che ammirava molto il figlio del vecchio compagno di studi Henry Jones e sapeva bene che non era certo colpa sua se, in diverse occasioni, importanti reperti storici gli erano stati soffiati di mano.
   «Per poco non mi fregavano anche questa volta» aveva brontolato a quel punto Jones. «Un dannato crucco era pronto a tutto pur di mettere le mani sopra l’idolo, ma si è pentito amaramente di non essersene rimasto in Germania.»
   «Eventuali morti, ovviamente, non dovranno figurare nel rapporto» lo consigliò Brody. «Il museo non vuole sporcarsi le mani, lo sai bene.»
   «Ovviamente. Ma, Marcus, dovremo tornarci, laggiù! C’è ben altro che un idolo! Un’intera città antica! E con una cultura che… be’, dovresti vederlo tu stesso! C’è da riscriverci la storia di mezzo mondo!»
   «Magari il museo ti finanzierà una spedizione, durante la prossima stagione di scavi. Adesso, però, devi dedicarti ai tuoi studenti ed alle tue studentesse.»
   «Soprattutto alle studentesse» aveva risposto Jones, allontanandosi con in tasca il lauto assegno firmato ed in mano la promessa di rivedere Brody quella stessa sera per una costosissima cena offerta dal curatore del museo.
   Il giorno prima di cominciare le lezioni, invece, aveva avuto la gradita sorpresa d’imbattersi in un altro amico, il professor Harold Oxley, anch’egli eminente archeologo.
   Harold Oxley, detto Ox, era stato compagno di corso di Indiana Jones all’università, del quale era divenuto grande amico, quando insieme seguivano le lezioni del dottor Abner Ravenwood, che col tempo sarebbe divenuto il mentore di entrambi; i due, insieme a René Belloq, formavano un trio inseparabile, seppure fossero caratterialmente molto diversi. Così come Jones e Belloq erano esuberanti, Oxley era timido e riservato, nonché parecchio impacciato, tanto che preferiva di gran lunga trascorrere le proprie giornate chino sui libri piuttosto che all’aria aperta. Proprio per questo, s’era specializzato nello studio delle culture americane precolombiane, per non dover essere costretto a viaggiare troppo lontano da casa in caso dovesse condurre qualche spedizione archeologica. Inglese di nascita, Oxley s’era trasferito con i genitori negli Stati Uniti in giovane età e non li aveva più abbandonati.
   Durante gli anni universitari, si era lasciato affascinare dalle scoperte di Frederick Mitchell-Hedges riguardo i teschi di cristallo sudamericani, ed aveva coinvolto nelle proprie personali ricerche anche i due amici. Al momento in cui, però, era stata presa la decisione di partire per la foresta Amazzonica alla ricerca della mitica città di Akator, che secondo i tre giovani studiosi era legata a doppio filo con la storia dei teschi di cristallo, Oxley si era ritirato, non sentendosi pronto per un’avventura di tale portata. Con la testardaggine tipica della gioventù, invece, Jones e Belloq erano partiti per il Sud America, imbarcandosi in una ricerca che sarebbe costata loro molto più di quanto avrebbero potuto immaginare.
   Durante le ricerche, difatti, Jones aveva contratto il tifo, ed era rimasto in fin di vita; ma, anziché prestargli soccorso, Belloq aveva pensato bene di abbandonarlo, sottraendogli quei pochi reperti in cui si erano imbattuti.
   Indiana Jones, come si può ben intuire, guarì e si salvò, ma da quel momento i suoi rapporti con Belloq si deteriorano fino a sfociare nel puro odio reciproco, tanto più che il primo divenne un professore votato ad allargare le conoscenze del genere umano ed il secondo un mercenario intento solo a perseguire la ricchezza personale, pronto a vendersi al miglior offerente. Oltre a ciò, Jones perse anche qualsiasi interesse nei riguardi dei teschi di cristallo, e ciò raffreddò altresì i suoi rapporti con Oxley, che continuò a considerare come un amico ma vedendolo solo di tanto in tanto, soprattutto dopo che Ox si fu trasferito ad insegnare in un’altra università. Le rare occasioni d’incontro, comunque, erano sempre ben gradite.
   «Henry» lo salutò Oxley, che s’era sempre rifiutato di rivolgerglisi col soprannome di Indiana o con il suo diminutivo, Indy. «È un grande piacere incontrati qui. Pensavo fossi impegnato in qualche campagna di scavi, su in Canada.»
   Contento del fatto che la sua idea di far circolare false informazioni su dove si trovasse per depistare Belloq si fosse rivelata funzionante, Jones strinse calorosamente la mano che l’altro gli porgeva.
   «Mio vecchio Ox!» disse. «Il piacere è mio. No, come puoi vedere ho fatto ritorno, e per una volta in tempo utile per le lezioni. Ma cosa ti riporta qui al Marshall?»
   «Come ben sai, non ho rinunciato ai miei studi su Akator» gli rispose Oxley, «e sono qui per verificare alcune conclusioni a cui sono giunto. Devo consultare alcuni volumi che si trovano solo nella biblioteca di questa facoltà, ed il rettore mi ha concesso di esaminare alcuni dei documenti che conservate in archivio. Si tratta di relazioni autografe di alcuni conquistadores, mi interessano particolarmente quelle relative a Francisco de Orellana.»
   «De Orellana?» ripeté Jones. «Non sapevo che ci fossero relazioni sui suoi viaggi, qui al Marshall College.»
   Detto questo, Indiana Jones aveva osservato con molta tristezza il viso ben rasato dell’amico. Sapeva bene cosa dovesse provare quell’uomo, quale brama lo spingesse nelle proprie ricerche, perché aveva già conosciuto altre persone ossessionate da qualcosa oltre ogni limite.
   Uno di questi era suo padre, Henry Jones, il quale, da circa quarant’anni, stava andando alla ricerca di un manufatto leggendario, il Santo Graal; si poteva dire, anzi, che avesse sprecato l’intera propria esistenza alla ricerca di qualcosa che, ogni volta che sembrava essere vicina, svaniva come il fumo che era in realtà. Quella del vecchio Jones era divenuta una mania, un’ossessione che aveva distrutto ogni legame che un tempo li avesse uniti. Indy, quindi, credeva che anche quella di Oxley fosse ormai una fissazione, una vera e propria paranoia che lo aveva condotto a sprecare tutto il talento di cui era fornito nell’inutile ricerca del niente. Anche Indiana, d’altra parte, aveva un pensiero fisso: da circa due decenni, infatti, inseguiva un oggetto antico, la croce di Coronado, che gli era stata sottratta, come al solito, immediatamente dopo il recupero. Ma, mentre egli aveva stretto in mano la croce e sapeva benissimo della sua esistenza, né Henry Jones né Harold Oxley avevano mai veduto il Santo Graal ed Akator; e, questa era la dura ma pura verità, non li avrebbero veduti mai, poiché semplicemente non esistevano. In realtà, anche Jones aveva ricercato per circa dieci anni qualche cosa di cui non sapeva quasi nulla, ossia il diamante Occhio del Pavone, ma infine, prima di cadere vittima della propria ossessione, aveva saggiamente deciso di lasciare perdere, per dedicarsi ad altro.
   «Henry, che ti prende?» domandò Oxley improvvisamente.
   In quell’istante, Jones si rese conto di stare fissando in silenzio l’amico.
   «Nulla, nulla» brontolò il professore. «Ma dimmi, allora, come procedono le tue ricerche su Akator?»
   «Be’, per il momento non ho fatto grandi progressi rispetto al passato, lo ammetto. Non sono andato molto oltre il punto su cui avevo indirizzato te e… ehm…»
   Oxley, ben conscio del tradimento di Belloq, trovava sempre difficoltoso pronunciarne il nome. Inoltre, si era sempre sentito in colpa, nel credere che i due archeologi fossero partiti per il Sud America a causa sua e che, quindi, la rottura tra i due, e la quasi morte di Indy, fosse da imputarsi solo a lui.
   Ovviamente, Jones era al corrente di questi pensieri, e non li tollerava, ma oramai aveva rinunciato a pregare Oxley di mutarli; per esempio, aveva tentato in ogni modo di lasciargli intendere di come la contrapposizione che separava lui e Belloq fosse legata principalmente al fatto che il francese avesse rubato la tesi di laurea di Jones, una lunga divagazione sulla stratigrafia, attribuendosene il merito. Ovviamente, questo era uno dei fattori che li aveva separati, ma non l’unico; il maggiore, restava senza ombra di dubbio quel viaggio nella foresta Amazzonica.
   Decise, dunque, di sorvolare su quel punto, chiedendo: «E di Abner, hai avuto qualche notizia?»
   Il volto di Oxley, a quelle parole, si oscurò. Come detto, entrambi avevano trovato nello stimato professor Abner Ravenwood un importante mentore; e, entrambi, avevano nutrito una grande predilezione per la sua unica figlia, Marion, la quale aveva dieci anni di meno rispetto a loro. Ma, mentre l’amore di Oxley per Marion era stato quello di un fratello maggiore nei confronti di una sorella, Jones s’era spinto ben oltre, trattandola alla stregua di una delle tante donne che era solito adescare e, poi, abbandonare. La cosa, però, non era rimasta un segreto, come Indiana aveva sperato, ma era giunta sia alle orecchie dell’amico sia a quelle del professore.
   Inizialmente, l’ira di Oxley nei confronti dell’amico era sembrata implacabile; poi, però, aveva considerato che fosse stato sufficientemente punitivo l’allontanamento di Abner da colui che considerava il proprio migliore allievo, ed aveva fatto pace con Jones. Certo, ovviamente, non avrebbe tollerato che un simile affronto si ripetesse, ma il pericolo sembrava essere ormai scongiurato, perché Abner aveva fatto in maniera che Marion ed Indy restassero per sempre lontani. Non si sarebbero più incontrati, né sarebbero sorte nuove e brevi storie d’amore che avrebbero lasciato la ragazza con il cuore infranto.
   «Abner?» chiese con reticenza. «È in Nepal, pare, per le sue ricerche sull’Arca.»
   «Eccone un altro» pensò, allora, Jones. «Ecco un altro uomo che se ne va alla ricerca del fumo da mezzo secolo e più. Sono circondato da maniaci.»
   Jones, naturalmente, si riferiva al fatto che il suo vecchio insegnate fosse da anni sulle tracce della biblica Arca dell’Alleanza; un altro uomo ossessionato da un unico obiettivo, forse irraggiungibile. Era vero, però, che Abner, al contrario di Oxley e di Henry Jones, qualche risultato lo aveva ottenuto, arrivando a compiere studi sulla città perduta di Tanis, che per un certo periodo fu capitale dell’antico Egitto e dove, alcuni credevano, poteva forse essere conservata l’Arca degli Ebrei. Difficilmente, però, anche quegli studi avrebbero condotto a qualche risultato.
   «In Nepal?» ripeté Jones. «Un po’ lontano dall’Egitto.»
   «Ultimamente, neppure io ho più avuto molte sue notizie, lo devo ammettere» rispose Oxley, sottolineando volontariamente il fatto di aver perso i contatti con il professore solo di recente e non, come accaduto a Jones, da almeno dieci anni.
   «In Nepal…» mormorò Jones, perdendosi un’altra volta nei pensieri.
   La verità, infatti, era che non aveva mai scordato Marion. In tutto quel tempo, aveva continuato a pensarla, senza mai provare per alcuna donna ciò che aveva sentito nei suoi confronti. L’idea di averla fatta piangere ed averle spezzato il cuore lo torturava ancora atrocemente. Eppure era successo, e tanto valeva scordarsela. Ma adesso sapeva che si trovava da qualche parte in Nepal; ed il Nepal, dopotutto, non era tanto grande, non sarebbe stato così complesso rintracciarvi la figlia di un archeologo americano.
   «E poi?» si disse. «Cosa farai? Come potrai guardarla negli occhi? E ad Abner non ci pensi? Ha promesso di prenderti a fucilate, se ti fossi rifatto vivo. Ed è tipo da mantenerle, le promesse.»
   Si sforzò di sorridere.
   «Sono certo che, prima o poi, leggeremo una qualche pubblicazione in cui annuncia il ritrovamento dell’Arca» annunciò ad Oxley. «Mentre tu, troverai Akator. E ti posso assicurare che mio padre, invece, scoprirà l’ubicazione del Graal.»
   Pure Oxley fece un sorriso, prima di dire: «Anche tu, amico mio, avrai la tua occasione per farti valere, più di quante non ne abbia già avute fino ad oggi!»

   E così, se n’era andato il primo giorno di lezioni. Il primo giorno di lezioni a cui avesse mai partecipato in tutta la sua carriera di docente, inoltre. Quasi non gli sembrava potesse essere vero.
   Aveva inaugurato la sua carriera di insegnate con un’assenza, se lo ricordava bene, soprattutto perché c’era voluta tutta l’influenza di Marcus Brody e dell’amico Charles  Stanforth, uno degli uomini più importanti dell’ateneo, affinché il rettore, in quell’occasione, non lo licenziasse in tronco. La stessa scena s’era ripetuta, identica, l’anno successivo. Dal terzo anno in avanti, poi, il rettore, pur continuando a minacciare che non avrebbe tollerato altre assenze all’inizio dell’anno, si era rassegnato a quel professore ritardatario, ma solo perché era figlio di un importante storico medievalista, aveva raggiunto brillanti ed indiscutibili risultati in campo archeologico ed i suoi studenti avevano tutti una media molto alta.
   Comunque, quell’anno non avrebbe neppure potuto lamentarsi dei suoi ritardi.
   Jones, dopo l’uscita dell’ultima studentessa, la quale gli aveva rivolto uno splendente sorriso ed uno sguardo ancora più sognante di quello che gli aveva tenuto puntato addosso per l’intera durata della lezione, era rimasto seduto alla cattedra, intento a riordinare le sue carte, che quel pomeriggio gli sarebbero servite per preparare la lezione del giorno seguente; stava proprio scribacchiando alcune note ai margini di un foglio dattiloscritto dalla sua assistente, quando due persone entrarono nell’aula. Credendo che si trattasse di studenti in cerca di un luogo in cui studiare in pace o in anticipo per le altre lezioni della giornata, non vi badò.
   Fu solo quando udì pronunciare il proprio nome che alzò gli occhi.
   «Il dottor Jones, suppongo.»
   A parlare era stato un orientale, probabilmente un cinese considerandone la pronuncia, un uomo alto, con il pizzetto ed i lunghi capelli di un intenso color ebano; indossava quella che, a prima vista, sembrava essere una divisa, seppure Jones non ne avesse mai vedute di simili. Al fianco dell’uomo, era ferma una ragazza, sempre orientale, piccola e magra, sebbene di belle forme, con i capelli raccolti sulla testa ed un paio di occhiali sul naso, che non toglievano nulla alla bellezza dei delicati tratti del viso.
   Portando una mano ai propri occhiali, che indossava sempre quando teneva lezione, Jones studiò i due nuovi venuti, con particolare attenzione per la donna, sul cui corpo fece passare gli occhi almeno quattro volte, prima di rispondere.
   «Sono io, il dottor Jones, esatto. Voi siete forse gli studenti orientali in viaggio di studio negli Stati Uniti per apprendere le tecniche di scavo archeologico occidentali? Dovete rivolgervi in segreteria, allora; se volete parlare con me, il mio giorno di ricevimento è il mercoledì, dopodomani.»
   Senza scomporsi, l’uomo rispose, mentre la ragazza se ne rimaneva muta: «Noi non siamo studenti, dottor Jones. Sono il comandante Kai Ti Chang della Repubblica Cinese, e questa è la mia segretaria, Mei Ying.»
   Jones scrutò per l’ennesima volta la donna, prima di dire: «Uhm… bene. Cosa posso fare per voi?»
   Invece di rispondergli, Kai pose a sua volta un’altra domanda: «Che cosa sa, dottore, di Qin Shi Huang?»
   Di tutte le domande che si sarebbe potuto attendere, quella era l’ultima a cui Indiana Jones avrebbe immaginato di dover rispondere; e, tuttavia, dando, come sempre, prova di una vastissima conoscenza, iniziò immediatamente a snocciolare tutto ciò che gli saltava alla mente nei confronti di Qin Shi Huang. Egli sapeva bene di come, molto spesso, gli archeologi siano dei veri e propri ignoranti, quando si parla di storia; pur essendo essi stessi degli studiosi del passato, si limitano a basarsi sulle prove celate nel terreno, senza interessarsi ai fatti storici riguardanti un dato luogo. Se, al contrario, ci fosse maggiore comunicabilità tra archeologi e storici, le scoperte sul passato sarebbero molto maggiori e di grande profitto. Il più delle volte, tuttavia, gli archeologi pensano agli storici come a dei nonnetti brontoloni che vivono rinchiusi nelle biblioteche, mentre gli storici tendono a considerare gli archeologi come dei semplici spalatori di fango. Lo stesso era accaduto ad Indiana Jones: quando suo padre aveva scoperto il fatto che, lasciata la facoltà di linguistica, il figlio aveva iniziato a dedicarsi all’archeologia, era andato su tutte le furie, ricoprendolo di missive in cui lo invitava a ritornare sui propri passi ed a non sprecare la propria vita in una disciplina che serviva solamente a smuovere sassi. Ovviamente, Jones aveva fatto di testa propria, ma non aveva smesso di interessarsi alla storia: in buona parte, ciò era dovuto al fatto che, sin da piccolo, suo padre lo avesse obbligato ad imparare a memoria nomi di luoghi, date di battaglie, liste di imperatori e di papi, eventi storici e tanti altri, non legati solamente alla storia medievale, di cui Henry Jones era docente, ma all’intera storia universale. Il padre, infatti, sosteneva che, prima di specializzarsi su una data branca della storia, fosse necessario conoscerne, almeno in generale, l’interezza. E, per generale, egli intendeva qualcosa di molto, molto vasto e puntigliosamente approfondito. Basti pensare che, finiti gli studi liceali ed iniziata l’università, grazie al padre Jones sapeva già molte più cose dei suoi stessi insegnanti. Tra quella storia universale, ovviamente, egli ne sapeva parecchio anche dell’uomo cui il comandante Kai aveva accennato.
   «Qin Shi Huang fu il primo imperatore della Cina. Costruì la Grande Muraglia ed instaurò un governo dinastico che durò per secoli» iniziò Jones, alzandosi dalla sedia ed appoggiandosi alla cattedra, con lo sguardo che vagava da un punto all’altro dell’aula deserta, proprio come se stesse tenendo una lezione ai suoi studenti. «Il suo regno durò dal 238 avanti Cristo al…»
   Ma il comandante Kai sollevò una mano, interrompendolo.
   «Queste informazioni si possono trovare nei libri di scuola, dottor Jones. A me interessa la storia della tomba, dell’imperatore. Come certamente saprà, l’imperatore Qin è sepolto sotto un monte nei pressi della città di Xi’an.»
   Mentre l’uomo parlava, Mei Ying si avvicinò all’archeologo, porgendogli un libro; Jones lo prese ed iniziò a sfogliarlo. Era scritto in cinese, lingua che tra l’altro padroneggiava alla perfezione, avendo sempre avuto una grande predisposizione ad apprendere facilmente lingue straniere, tecnica affinata, poi, durante i suoi studi di linguistica, ma, senza bisogno di leggere neppure una parola, comprese, dalle immagini, che trattava della tomba dell’imperatore cinese. Il libro aveva l’aria molto antica e, tra le raffigurazioni disegnate a mano, ne spiccavano alcune di oggetti mai veduti prima, come quelle che raffiguravano un intero esercito di statue in terracotta. Jones era sicuro che non fosse mai stato rinvenuto nulla di simile.
   «Sì» rispose, sforzandosi, senza riuscirci, di celare il proprio scetticismo. «Almeno, è quello che in parecchi danno per certo. Secondo le leggende, la tomba di Qin sarebbe un’immensa città sotterranea piena di ricchezze inimmaginabili, la cui costruzione impegnò migliaia di lavoranti per un gran numero di anni. Dopo il suo completamento, tutti coloro che parteciparono ai lavori furono murati al suo interno o, almeno, questo è quello che dicono le storie. Nessuno conosce la verità, a causa della superstizione cinese.»
   Jones richiuse il libro ed alzò gli occhi verso Kai.
   Quest’ultimo annuì.
   «Sì, il popolo cinese ha sempre ritenuto che lo scavo e la profanazione della tomba siano la stessa cosa. Come conseguenza, nessuno ha mai potuto esplorarla.»
   Il comandante fece una breve pausa, prima di aggiungere, con aria enigmatica: «Fino ad ora.»
   Osservandolo con occhi colmi di dubbio, Jones domandò: «Perché è venuto a raccontarmi queste cose? La storia cinese non è certo la mia specialità.»
   Mentre poneva questo quesito, Indiana Jones, in cuor suo, si chiese quale potesse essere, in fondo, la sua specialità, dato che negli ultimi anni aveva brillantemente condotto scavi e osservazioni praticamente in ogni angolo del globo, spaziando all’interno di ambiti di ricerca che andavano dall’antica Roma alla cultura celtica, dall’antico Egitto alle rovine Maya, dalla Grecia alla Mesopotamia, dalle culture indiane a quelle dei nativi americani, dal Medioevo europeo alla preistoria africana, e tanti altri ancora. Insomma, non c’era campo archeologico di cui non fosse specialista, in verità, ma non gli andava a genio di vantarsene troppo. In più, senza sapere bene che cosa gli avesse fatto scaturire questo sentimento, sentiva che quel comandante Kai non si trovava lì per proporgli uno scavo archeologico classico, con squadre di spalatori, trincee da scavare e piccole cazzuole con cui saggiare le unità stratigrafiche. Più che altro, così di primo acchito, gli ricordava una specie di Marcus Brody orientale, venuto a proporgli il recupero di un oggetto prezioso in particolare. Molto presto, ne avrebbe avuto la conferma.
   E, infatti, Kai rispose: «È la sua reputazione non accademica ad interessarmi, dottor Jones. Mai sentito parlare del Cuore del Drago?»
   L’archeologo alzò le spalle.
   «Solo nelle leggende cinesi» disse. «È un manufatto mitologico, come Excalibur, o il Santo Graal.» Se suo padre lo avesse udito definire “mitologico” il Graal, lo avrebbe certamente punito come faceva quando, da bambino, gli disobbediva. Una sculacciata sarebbe stato il minimo che avrebbe potuto aspettarsi.
   «Ah» sbottò Kai. «Ma, diversamente da quelle sciocche fantasie occidentali, il Cuore del Drago esiste realmente.»
   Lo sguardo del cinese si fece sognante, mentre stringeva il pugno come se già stesse tenendovi saldo l’artefatto di cui stavano parlando: «Una perfetta perla nera, sepolta con l’imperatore, all’interno della sua tomba. Si dice che il Cuore possa controllare la volontà degli uomini.»
   «Senta» lo fermò Jones, adesso senza neppure tentare di dissimulare la propria incredulità. «So bene che entrambi avete viaggiato a lungo, per incontrarmi, ma io sono un archeologo, non un esoterico.»
   Prima che Jones potesse aggiungere altro, Kai aggiunse: «Uh. Allora è una vera fortuna, per me, che io non stia cercando un esoterico, bensì un archeologo. A parte la superstizione popolare, il Cuore è un tesoro inestimabile, per il popolo cinese. Non dovrà mai cadere nelle mani sbagliate. È per questo che la Cina vuole che lei lo trovi.»
   Jones rifletté rapidamente. Un’opportunità del genere, difficilmente gli si sarebbe ripresentata. Avrebbe trascorso il resto della vita a scavare nel terreno alla ricerca di piccolissimi resti del passaggio di antichi uomini, lo sapeva bene; ne era a conoscenza fin dal momento in cui, anni prima, aveva preso la decisione di diventare archeologo. Ma un’occasione così era decisamente ghiotta, non poteva certo lasciarsela sfuggire di mano. Se anche non avesse trovato il Cuore del Drago, della qual cosa era più che certo, avrebbe potuto scavare nella tomba del primo imperatore cinese, un evento per cui fior di studiosi avrebbero venduto l’anima, pur di esserne i protagonisti.
   Abner avrebbe sempre cercato l’Arca dell’Alleanza; suo padre Henry, il Santo Graal; Oxley, avrebbe continuato fino alla morte i propri studi su Akator. Nessuno di loro, però, sarebbe mai andato neppure un po’ vicino a scoprire ciò che stava cercando, perché stavano seguendo ombre e fantasmi. Egli, invece, avrebbe potuto ergersi sull’Olimpo dell’archeologia come primo uomo ad essere penetrato in quella tomba. Gli altri, si tenessero pure dietro alle loro leggende. Indiana Jones, nel futuro, avrebbe continuato a scavare nella terra con la consapevolezza di aver già effettuato, nel corso della propria vita, la scoperta che gli aveva cambiato l’esistenza.
   «E va bene» disse. «Diciamo che sono interessato. Ci vorranno mesi di scavi meticolosi, per trovare l’entrata alla cripta di Qin, e non so nemmeno da dove cominciare.»
   Kai fece un sorrisetto.
   «Al contrario, dottor Jones. Lei ha già iniziato.»
   Il comandante si rivolse alla segretaria, facendole un segno con la testa; la donna, rapidamente, si sbottonò la giacca. Per un folle istante, Jones credette che si sarebbe spogliata, il che non gli sarebbe affatto dispiaciuto. Invece, Mei Ying portò una mano alla tasca interna dell’indumento e ne estrasse un oggetto che Indy riconobbe rapidamente e che sapeva bene che non avrebbe dovuto trovarsi lì: l’idolo della Dea del Fiume, che gli era costata così tanta fatica trovare e condurre con sé da Ceylon.
   «Ehi!» gridò, ma invano, perché la donna s’era già avvicinata alla cattedra e, con un colpo secco, aveva infranto il prezioso idolo. Tra i quattro pezzi in cui si ruppe la statuetta, Jones riconobbe una sfera di metallo dorato, con incastonate, nel centro, delle pietre verdognole.
   Seppure estremamente indignato per l’accaduto, non riuscì a tenere a freno la propria curiosità.
   «E quello che cavolo è?» domandò.
   «È un terzo dello Specchio dei Sogni» rispose Kai, mentre Mei Ying, ignorando totalmente i preziosi frammenti dell’idolo, raccoglieva, quasi con venerazione, la piccola sfera di metallo.
   «Lo Specchio è la chiave per trovare l’entrata della cripta nella tomba» continuò la propria spiegazione il comandante. «Venne smembrato in tre parti immediatamente dopo il momento in cui la tomba fu sigillata. Per secoli, alcuni monaci cinesi se li tramandarono, custodendoli in segreto; ma quando, nel 1211 dell’era dei cristiani, il popolo dei Mongoli dichiarò guerra alla Cina, invadendola successivamente, i monaci decisero di affidare i tre pezzi ad altrettanti uomini di valore, affinché li conducessero con sé per nasconderli in luoghi dove nessuno avrebbe potuto trovarli. Uno di essi, come lei ben sa, raggiunse Ceylon, e nascose il proprio pezzo all’interno dell’idolo della Dea del Fiume, sicuro che nessuno avrebbe mai osato violare quel simulacro. Il secondo uomo, raggiunse l’Europa, precisamente la città di Praga, nel cui castello fu ammesso dopo essere entrato nelle grazie dell’imperatore Ottone IV. Egli celò il suo pezzo dello Specchio proprio all’interno del castello, proteggendolo con un’ingegnosa serie di trabocchetti che nessuno, ancora oggi, è riuscito a decifrare. L’ultimo monaco condusse il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni in una località ancora segreta che, però, siamo molto vicini ad identificare.»
   Per la prima volta da quando aveva posto piede nell’aula, Mei Ying prese la parola.
   «Non si rende conto dell’importanza degli eventi che ha messo in moto, dottor Jones» disse, mentre il volto di Kai si faceva truce. Imperterrita, la segretaria continuò: «Anche mentre parliamo, altri stanno cercando i due pezzi rimanenti. Se trovano lo Specchio, niente impedirà loro di entrare nella cripta, rubare il Cuore del Drago ed utilizzare il suo potere per ridurre il mondo in schiavitù.»
   Prima che potesse aggiungere altro, Kai la interruppe.
   «La prego di perdonarmi, dottor Jones. La mia assistente ha una vivida immaginazione… e una lingua impulsiva» aggiunse, scrutandola quasi con rabbia negli occhi.
   «Mi ricorda il mio ultimo appuntamento» commentò con sarcasmo Jones.
   Ignorando l’infelice battuta, Kai allungò la mano e si fece consegnare da Mei Ying il pezzo dello Specchio.
   «In ogni caso, il governo britannico, dai cui territori l’idolo della Dea del Fiume è stato sottratto senza i necessari permessi, mi ha gentilmente concesso di prendere possesso di questo manufatto per conto della Cina. Vogliamo che lei trovi gli altri due pezzi dello Specchio, entri nella cripta di Qin e recuperi il Cuore del Drago. Diventerà il più famoso archeologo della storia, posso assicurarglielo. Avremo il suo aiuto?»
   Un sorrisetto si allargò sul viso di Jones.
   «Io il primo uomo ad entrare nella tomba dell’imperatore?» chiese. «Quando si parte?»
   «Ne ero sicuro» commentò Kai. «Le ho già prenotato un volo per Praga. Partirà domattina. Parleremo in seguito della sua ricompensa. Arrivederci.»
   Imperturbabile, il comandante cinese si avviò all’uscita dell’aula.
   Mei Ying, invece, prese un incartamento dalla tasca interna della giacca e lo passò a Jones, riprendendosi, a sua volta, l’antico libro che conteneva le informazioni sulla tomba.
   «Questi fascicoli contengono tutto ciò che deve sapere» spiegò.
   Prima di lasciare a sua volta l’aula, aggiunse, con aria enigmatica: «Sia prudente, dottor Jones. Il percorso verso il Cuore del Drago è più pericoloso di quanto lei possa immaginare.»
   «Come sempre, dolcezza» rispose con voce suadente il docente, rimanendo immobile a fissarne la figura che s’allontanava.
   Mei Ying e Kai non avevano ancora svoltato l’angolo del corridoio di fronte all’aula che, tutto sudato e trafelato, arrivò di corsa Marcus Brody. Perso nei propri pensieri, Jones quasi non gli badò.
   Fu solo quando il direttore del museo gli si parò di fronte, gesticolando e borbottando, che gli rivolse l’attenzione.
   «Marcus, che succede?» domandò.
   Quasi senza fiato, Brody esclamò: «Indy! Per l’amor di Dio! Per fortuna ti ho trovato! L’idolo… dal museo… rubato!»
   «Che cosa?» chiese Jones il quale, con la mente ancora impregnata da ciò che gli aveva raccontato il comandante e dagli occhi e dal corpo della ragazza, non gli aveva prestato alcuna attenzione.
   «Stavo facendo il mio solito giro nel museo» spiegò Brody, dopo aver ripreso fiato ed aver riordinato le idee. «E mi sono accorto che la teca dell’idolo della Dea del Fiume era stata forzata! E l’idolo è sparito! Scomparso! Rubato, capisci? Bisogna dare l’allarme, chiamare la polizia, trovarlo!»
   L’archeologo sorrise.
   «Calmati, Marcus, vecchio mio. L’idolo è al sicuro. L’ho recuperato io stesso, è lì sulla cattedra.»
   «Dio ti ringrazio» cominciò a dire Brody, ma Jones aggiunse: «Purtroppo, dovrai portarlo al laboratorio di restauro dell’università.»
   Il curatore guardò con occhi addolorati i frammenti del bellissimo idolo, per il cui recupero aveva investito una somma stratosferica.
   «Ma… ma… ma che è accaduto?» balbettò.
   «Te lo spiegherei volentieri» rispose Indiana Jones, lasciando l’aula, «ma non ho tempo. Devo concentrarmi sulle parole giuste da utilizzare con il rettore per convincerlo a concedermi qualche settimana di ferie a partire da domani.»
   Trovare lo Specchio dei Sogni e la cripta di Qin, molto probabilmente, sarebbe stata una semplice passeggiata, dopo aver comunicato al rettore che avrebbe dovuto abbandonare l’università a partire dal secondo giorno di lezioni.

 

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Capitolo 4
*** I sotterranei del castello ***


4 - I SOTTERRANEI DEL CASTELLO

   Praga, Cecoslovacchia

   Non appena il sole fu calato oltre l’orizzonte un poco collinare, tramutando il cielo da un colore aranciato ad una tonalità blu scuro, quasi nera, anche le temperature si abbassarono notevolmente, come se non fosse stata una serata di inizio autunno, bensì una fredda notte di pieno inverno. Lungo le strade lastricate non si vedeva già più nessuno, e solo dalle porte di qualche locale pubblico, chiuse contro il gelo, si potevano ancora udire, soffuse e smorzate, delle voci umane, quelle di gente entrata a bere qualcosa per scaldarsi un po’.
   Stringendosi nella vecchia giacca di pelle da aviatore tutta rovinata e calcandosi meglio il cappello sulla testa, contento di essersi scelto un abbigliamento che si sapesse adattare perfettamente ad ogni tipo di clima, Indiana Jones si avviò a passo rapido verso il castello, in pieno centro urbano.
   Costruito a partire dal IX secolo, il castello di Praga era un imponente edificio che racchiudeva, al proprio interno, diverse chiese e monumenti. Sede di imperatori e re di Boemia, era stato per secoli una fortezza imprendibile; più simile ad un grande palazzo che ad un castello nel vero senso del termine, era una delle maggiori attrazioni della capitale cecoslovacca. Secondo alcuni studiosi, i suoi vasti sotterranei non erano ancora stati esplorati completamente, celando essi molti misteri e segreti.
   Raggiunto il cancello che si apriva nella cinta muraria della fortezza, l’archeologo lo trovò sbarrato, il che non si addiceva certo ad un luogo che attirava, ogni giorno, diversi visitatori; un cartello di legno attaccato all’inferriata, spiegava che il castello sarebbe rimasto chiuso a tempo indeterminato per via di alcuni lavori in corso.
   «Strano» borbottò Jones, che da lontano non aveva notato alcuna impalcatura e, adesso, non vedeva nella piazza, oltre il cancello, nessun segno del passaggio di operai: niente strumenti, niente assi, insomma, nulla che facesse pensare che alcuni lavoratori avessero appoggiato i propri arnesi nel punto in cui sarebbe stato più intuitivo. Vi era solo quel vasto cortile su cui si aprivano le porte di diversi edifici, religiosi e politici, e dove si trovava una bellissima fontana ed un monumento equestre intitolato a San Venceslao, il patrono di Boemia.
   All’improvviso, un fascio di luce balenò nell’oscurità e colpì in pieno il viso di Jones, che fu lesto a scansarsi ed a mettersi al riparo dietro un muro.
   «Alt!» gridò una voce. «Chi va là?»
   L’uomo che aveva lanciato l’intimazione, pur parlando nella lingua boema, aveva un forte accento tedesco.
   «Ancora un tedesco» bofonchiò tra sé Indiana Jones, ripensando allo spiacevole incontro di pochi giorni prima a Ceylon. «Qualcosa non va.»
   Rapidamente, si ritrasse ancora di più e si dileguò nell’oscurità, facendo perdere velocemente le proprie tracce, sicuro che non sarebbe stato affatto salutare imbattersi nell’uomo che aveva urlato; chissà perché, se lo figurava armato.
   Raggiunse velocemente uno dei pub ancora aperti e, cercando di darsi un cipiglio da nottambulo senza pensieri, vi entrò e prese posto ad un tavolo solitario, in un angolo nei pressi di un caminetto acceso e scoppiettante, ordinando una birra.
   Non prestò alcuna attenzione al locale, un’antica taverna costruita in pietra con le travi in legno del soffitto a vista e parecchi stemmi appesi alle pareti, né alla bella e prosperosa cameriera bionda che, nel servirgli da bere, gli lanciò un sorriso malizioso e carico di aspettative; in realtà, infatti, di pensieri, per la testa, ne aveva fin troppi.
   Il fatto che il castello fosse sbarrato e sorvegliato, in primo luogo, era motivo di preoccupazione; voleva dire, in effetti, che quanto previsto da Mei Ying si stava avverando. Certo, le aveva creduto, ma non avrebbe mai potuto immaginare che i pericoli iniziassero così presto. Di sicuro, non si sarebbe potuto presentare all’entrata, dichiarando di essere un archeologo incaricato di cercare un prezioso manufatto ed entrare indisturbato. Però, la storia dei lavori in corso doveva essere una menzogna fatta e finita: qualcuno, evidentemente, era molto interessato ad impedire che qualche estraneo mettesse piede entro la cinta muraria.
   E, poi, c’era da considerare l’uomo che aveva parlato con accento tedesco; non vi avrebbe prestato particolare attenzione, se non avesse saputo che quel tizio, chiunque egli fosse, stava montando la guardia al luogo in cui era racchiuso un terzo dello Specchio dei Sogni. E non aveva ancora scordato la brutta disavventura con un altro tedesco, ossia quello che cercava l’idolo della Dea del Fiume o, meglio, adesso se ne rendeva pienamente conto, il pezzo di Specchio in esso contenuto; averlo gettato in pasto al coccodrillo, dunque, non era servito a fermare i suoi complici.
   Evidentemente, concluse, non sarebbe stato solo in quella ricerca; quei tedeschi, chiunque essi fossero, stavano cercando la stessa cosa che cercava lui. E i suoi avversari non avrebbero esitato a ricorrere ai più sporchi trucchi pur di sbarazzarsi di lui. Avrebbe dovuto vincere ogni indugio ed agire come il più freddo e sadico dei calcolatori, per sopravvivere. Ci era abituato, d’altronde.
   Immediatamente, il suo pensiero corse alla Germania dove, da un paio d’anni, il potere era caduto nelle mani del cancelliere Adolf Hitler, il quale aveva tramutato la repubblica tedesca in uno Stato totalitario; e, da quel poco che ne sapeva, il Fuhrer aveva dato avvio ad una campagna di intolleranza contro gli avversari politici, che venivano arbitrariamente arrestati e condannati a morte, oppure rinchiusi in campi di concentramento, dove pure non avevano scampo. Se Hitler, che dalle informazioni trapelate nell’opinione pubblica pareva essere veramente ossessionato dall’occulto e dall’esoterismo, avesse messo le mani sul Cuore del Drago, avrebbe potuto ridurre il mondo ai propri piedi. Ecco, chi erano quei fantomatici “altri” contro cui lo aveva messo in guardia Mei Ying: nientemeno che i nazisti. E, pur non avendoli mai incontrati di persona, era più che convinto che fossero degli ossi davvero duri da rodere.
   «La mia solita fortuna» commentò Jones a bassa voce, guardando la schiuma della birra nel boccale dissolversi un poco alla volta. «Proprio contro una potenza mondiale, dovevo andare a mettermi.»
   Il comandante Kai, tuttavia, sembrava convinto che nessuno stesse veramente cercando lo Specchio e, di conseguenza, il Cuore; aveva solo accennato al fatto che la Cina lo volesse per custodirlo, magari in un museo. Indubbiamente, però, aveva torto, e l’immaginazione della sua segretaria era molto meno fervida di quanto avessero potuto pensare.
   Naturalmente, Indiana Jones non credeva che il Cuore del Drago avesse davvero dei poteri mistici; per un archeologo e studioso come lui, abituato alla concretezza ed al raziocinio, esso altro non era se non un importante manufatto storico. Ciò, però, non significava che si sarebbe ritirato, lasciandolo nelle mani dei tedeschi. Lo avrebbe preso lui stesso, per metterlo in una teca museale. Non avrebbe permesso che divenisse il vezzo di pochi gerarchi fanatici e assassini.
   «Vediamo di dare un po’ un’altra occhiatina a tutte queste carte» pensò allora l’archeologo, rimettendo mano ai fogli carichi di appunti che gli aveva passato Mei Ying ed ai quali aveva già dato una rapida lettura mentre era in volo dagli Stati Uniti all’Europa. Se c’era un indizio per penetrare nel castello senza essere scoperto, doveva trovarsi tra quelle pagine.
   I dattiloscritti contenevano un rapporto dettagliato delle scoperte di un anonimo agente segreto cinese, riguardo al castello di Praga; comprendevano varie informazioni di ordine storico e pure un resoconto sul modo in cui il monaco, dopo aver trasportato il suo pezzo di Specchio in Europa, riuscì ad entrare nelle grazie dell’imperatore del Sacro Romano Impero ed a farsi ammettere tra gli abitanti del maniero. Secondo gli appunti, l’uomo trascorse i successivi vent’anni nell’edificio, mettendo a punto, in stanze così segrete da non essere ancora state scoperte a distanza di secoli, diversi stratagemmi per celare il prezioso manufatto. L’agente cinese, dal canto suo, non aveva fatto molti passi in avanti, rispetto alle conoscenze precedenti, asserendo solamente che la strada sembrava puntare verso una torre chiamata Vega. Con tutte le torri del castello, era un po’ poco come inizio, constatò Jones.
   Ma c’era un altro problema a cui pensare, prima, perché se non lo avesse risolto non avrebbe mai potuto portare a termine la propria ricerca: il modo in cui entrare nella fortezza. L’agente segreto, in effetti, non ne parlava. Quando era stato inviato a fare il proprio sopralluogo, alcuni mesi prima, doveva aver trovato l’antico edificio ancora liberamente accessibile, e non accennava affatto alla presenza di guardie, segno che, a quell’epoca, i tedeschi non avevano ancora dato inizio alle proprie ricerche.
   «Questi castelli avevano sempre delle uscite segrete, per permettere agli abitanti di fuggire in caso di un assedio finito male» rifletté ad alta voce Jones. «Se io trovassi uno di questi passaggi, potrei percorrerlo al contrario.»
   Mentre così parlava, non s’era reso conto di essere stato raggiunto alle spalle da un uomo; fece quindi un leggero sobbalzo per la sorpresa, quando, improvvisamente, una voce gli chiese: «Tu vorresti entrare nel castello, straniero?»
   Si volse rapidamente, pronto a balzare in piedi per affrontare un eventuale nemico; era sicuro, infatti, che in qualche modo fosse stato raggiunto dai tedeschi. Invece, si trovò di fronte un anziano boemo, avvolto in un cappotto verde scuro, un berretto rosso sulla testa ed una grande barba grigia che gli arrivava al petto.
   Senza attendere risposta, il boemo indicò la birra ancora intatta sul tavolo, poi aggiunse: «Offrimi da bere e ti farò entrare nel castello.»
   Cogliendo al volo quell’occasione, Jones lo invitò a sedersi, spingendogli contro, nel contempo, il boccale colmo del liquido ambrato.
   «Per caso, ascoltavi i miei discorsi, nonno?» domandò l’archeologo, restando comunque un po’ guardingo, non potendo essere sicuro su chi fosse l’uomo che, adesso, gli si era seduto di fronte e beveva con avidità, inondandosi di schiuma i peli della barba.
   Dopo un sonoro rutto, l’uomo abbassò il bicchiere e, con voce soddisfatta, bofonchiò: «Io non origlio i discorsi altrui. Sei tu il pazzo, straniero, visto che parli da solo.»
   «Hai ragione» rispose Jones, con un sorriso. «Ma perché mi stavi alle spalle?»
   Il vecchio alzò le spalle.
   «Gironzolavo nei pressi del castello, poco fa, e ti ho visto allontanarti in fretta ed entrare nel pub. Credevo che, magari, mi avresti offerto da bere, così ti ho seguito. Saggia decisione, no? Ho ottenuto quello che volevo.»
    Insospettito, Jones domandò ancora, cercando di dare un tono noncurante alle proprie parole: «Gironzolavi dalle parti del castello? E perché mai?»
   «È mio dovere farlo!» rispose fieramente l’uomo, sollevando un folto sopracciglio. «Io, Olderico Piast, sono da cinquant’anni il custode del castello di Praga! E, prima di me, lo era mio padre! E, prima di mio padre, mio nonno! E, prima di mio nonno…»
   «Bingo!» pensò Jones, senza più badare all’elencazione di tutte le generazioni dei Piast che avevano valorosamente custodito il castello. «Se c’è qualcuno che possa davvero condurmi in quel posto attraverso un passaggio segreto, dev’essere quest’uomo.»
   Prima, però, doveva carpirgli maggiori informazioni.
   «…e pure il nonno di mio nonno» stava concludendo, in quello stesso istante, Olderico. «E pure le generazioni precedenti a queste!»
   «Adesso, però, non mi pare che tu stia facendo la guardia al castello» buttò lì Jones. «Anzi, quando sono andato al cancello, m’è parso di aver notato un custode tedesco.»
   Il viso del vecchio Piast si fece scuro.
   «È così, infatti» ammise. «Cinque giorni fa, sono stato licenziato improvvisamente, ed il castello è stato chiuso. Nessuno mi ha dato alcuna spiegazione in merito. E dire che noi Piast siamo sempre stati fedeli al castello di Praga, sì proprio noi, che da dieci e più generazioni gli prestiamo il nostro indiscusso servizio! Allontanarmi così e dare in mano il castello a degli sporchi tedeschi… maledetti loro!»
   «Cinque giorni!» esultò Jones.
   In soli cinque giorni, di certo, i nazisti non potevano aver risolto un enigma che durava da secoli; con un briciolo di fortuna, e sapeva di averne tanta dalla sua parte, avrebbe potuto anche arrivare al pezzo di Specchio prima di loro e lasciargli con le pive nel sacco. Lui, d’altra parte, aveva un punto di partenza preciso, le informazioni dell’agente cinese, che certo i tedeschi non possedevano. O, almeno, così sperava.
   «Ascolta, nonno» disse Jones, afferrando per un braccio il vecchio Olderico ed interrompendo la sua fiumana di imprecazioni. «Io ho urgente bisogno di entrare in quel castello. Entrarci di nascosto, senza che nessuno ne sappia nulla» specificò.
   «Ti ho detto che per una birra ti avrei aiutato, straniero, e noi Piast non siamo tipi da rimangiarci la parola data. Ma quello che vorrei sapere è perché tu voglia entrare là dentro. Chi è quella gente? Cosa sta succedendo al mio castello?»
   Domande, quelle, di cui neppure Jones era pienamente sicuro di conoscere la risposta; poteva anche essere, dopotutto, che la storia dei lavori in corso fosse vera, che quei tedeschi non fossero affatto nazisti, ma solamente operai specializzati nelle ristrutturazioni fatti venire dalla Germania, e che non stessero affatto cercando il pezzo dello Specchio dei Sogni. Questa sua riflessione, però, non lo convinceva affatto.
   «Non posso darti una spiegazione» rispose con sincerità. «In questo momento, infatti, sono in gioco enormi interessi. Ma posso assicurarti che, non appena avrò terminato quel che devo fare e me ne sarò andato, anche gli uomini che si trovano adesso nel castello lasceranno in fretta e furia Praga per corrermi dietro, e tu potrai riprendere il tuo posto di custode.»
   Olderico aveva ripreso a bere, tracannando avidamente, e non disse una parola né lasciò il bicchiere fino a che l’ultima goccia di birra non fu scomparsa nella sua gola; a quel punto, posò rumorosamente il boccale sulla superficie lignea del tavolo, s’alzò e disse: «Mi hai convinto, straniero. Seguimi. Ti mostrerò il modo di entrare in segreto nel castello.»

   Se Jones non fosse stato abituato ad attraversare foreste intricate od a correre per mettersi al riparo da autoctoni feroci e tombaroli infuriati, avrebbe certamente durato non poche difficoltà a tenere il passo del vecchio custode, il quale sembrava muoversi per i vicoletti bui e freddi del centro di Praga con la disinvoltura e la rapidità di un felino.
   Camminarono per circa un quarto d’ora, allontanandosi parecchio dal cancello d’ingresso del castello, per fermarsi, infine, lungo un ponte che sovrastava il fiume Moldava, che scorreva ad almeno quindici metri sotto di loro, nero e gelido.
   «Be’?» chiese Jones. «Cosa ci facciamo, qui in mezzo?»
   «Siamo arrivati, straniero» rispose Olderico, sporgendosi oltre la balaustra. «Guarda qui.»
   L’archeologo gli si avvicinò e si sporse a sua volta, cercando di capire che cosa volesse mostrargli il vecchio; nonostante avesse l’occhio acuto ed esperto, non vide altro che un tubo che correva lungo il perimetro del ponte.
   «Se è quello il passaggio» commentò con ironia, ritraendosi, «direi che è decisamente troppo stretto perché io, o qualunque altro essere umano, possa pensare di passarci. Forse un topo ce la potrebbe fare, ma anche su quello ho i miei dubbi.»
   Il vecchio sbuffò.
   «Voi stranieri non conoscete Praga né i suoi segreti, e pensate ambiziosamente di poter venire qui a svelarli. E non riuscite neppure a vedere un buco che vi s’apre di fronte agli occhi. Vieni qui, straniero malfidente, e guarda meglio. Segui il mio dito.»
   Poco convinto, Jones si affacciò per la seconda volta oltre il parapetto del ponte, e guardò nella direzione che il vecchio era intento ad indicare coll’indice. All’inizio, non notò nulla di particolare, ma infine la vide: un’apertura al di sotto del ponte, che si confondeva nell’oscurità.
   «Quello sarebbe il passaggio per entrare nel castello?» domandò l’archeologo.
   Contento che l’altro l’avesse visto, Olderico si tirò indietro, annuendo.
   «Il passaggio è quello» confermò. «Tra il piano stradale del ponte e la sua base sopra i piloni, vi è un tunnel, un po’ stretto e basso, ma praticabile. Quando arriva in fondo al ponte svolta a destra, dopodiché inizia a scendere, avanzando per qualche centinaio di metri. Continuando nel percorso, la volta del tunnel si alza. Certo, non bisogna soffrire di claustrofobia, altrimenti non ci si può entrare. Non è illuminato, ovviamente, ma non è un problema, perché vi è una sola direzione da poter seguire. In certi punti ci sono della scale da scendere, e la strada compie qualche svolta qua e là. Infine, se vorrai percorrerlo sul serio, ti troverai di fronte ad una massiccia porta di legno. Scoprirai che non è chiusa a chiave, non lo è mai stata, a quel che ne so. Spingila e ti ritroverai nei sotterranei del castello, un luogo umido e infestato dai topi, da dove, poi, potrai facilmente raggiungere il punto dell’edificio che ti pare.»
   Jones guardò nuovamente l’apertura sotto il ponte.
   «Come fai a sapere queste cose?» domandò, più incuriosito che sospettoso.
   Olderico sollevò le spalle.
   «Ti dice niente il fatto che sia dal 1885 che io stia prestando servizio come custode di quel posto? E che mio padre, prima con mio nonno, poi da solo e infine insieme a me, ci abbia lavorato dal 1874 al 1922? E che mio nonno fu guardiano del castello dal 1838 al 1879? E che, prima, dal 1813 al 1851, fu custode anche il padre di mio nonno? E che dal…»
   «Va bene, va bene, ho capito» lo fermò Jones. «Per voi Piast il castello non ha segreti. Ma, allora, forse, potresti essermi d’aiuto anche in qualche altro modo.»
   «Cercherò, ma sappi che il mio aiuto ti potrebbe costare un’altra birra.»
   Jones aveva avuto un lampo di genio, un’intuizione. Perché se la famiglia Piast lavorava all’interno del castello di Praga da intere generazioni, s’era detto, doveva essere in qualche modo informata sulla storia del monaco cinese che vi nascose un pezzo di Specchio. Tanto valeva domandarlo al vecchio.
   «Hai mai inteso parlare di un monaco cinese che si trasferì nel castello, molti secoli fa, e vi nascose qualcosa che non fu mai ritrovato?»
   L’anziano custode scosse immediatamente la testa.
   «Mai sentito, prima d’oggi, di cinesi all’interno del castello» ammise.
   Le speranze di Jones naufragarono immediatamente. Volle, però, provare a giocare un’ultima carta.
   «Sapresti indicarmi, allora, se c’è un posto chiamato torre di Vega o qualcosa del genere, nel castello?»
   La risposta del custode, questa volta, fu affermativa.
   «Niente di più facile» disse, indicando un punto in lontananza. «Vedi quella vecchia torre pericolante e fatiscente, dentro il perimetro del castello? Bene, quella è la torre che stai cercando. Ma ti avverto: nessuno ci mette piede da secoli, l’ingresso è stato murato chissà quando ed a nessuno è mai venuto in mente di riaprirlo, anche perché è un postaccio proprio brutto, in confronto al resto del castello. Credo, anzi, che prima o poi la butteranno giù, e sarà tanto di guadagnato per tutti.»
   Sul viso di Jones si allargò un ghigno; un luogo in cui nessuno entrava da così tanto tempo era proprio l’ideale, infatti, come nascondiglio per ciò che stava cercando. Si tolse una moneta di tasca e la lanciò ad Olderico, che riuscì ad afferrarla al volo.
   «Tieni, nonno. Fatti un’altra birra. Te la sei proprio meritata.»
   «Grazie a te, straniero. Ma ora, se permetti, toglimi tu, una curiosità. Come diavolo pensi di fare ad entrare nel cunicolo? Io l’ho sempre percorso dall’interno del castello, mai entrando dal ponte. Un tempo doveva esserci una passerella di legno o qualcosa del genere, ma è scomparsa. C’è solo quel tubo, ma non penserai di camminarci sopra, vero? Mi sa che dovrai farti spuntare le ali, per raggiungere l’entrata.»
   «Tu dici?» disse Jones, guardando in basso.
   Portò la mano alla borsa che teneva a tracolla, cominciando a frugarvi, fino a quando non trovò quel che cercava: un paio di spessi guanti di pelle, che infilò.
   Senza aggiungere una sola parola, scavalcò la balaustra e si lanciò nel vuoto, sotto lo sguardo stupefatto di Olderico, ben consapevole che avrebbe avuto a disposizione un solo tentativo per riuscire nella sua impresa; diversamente, sarebbe precipitato nel fiume gorgogliante, e questa volta non ci sarebbe stato il corpo di un grosso mercenario a proteggerlo. Ma, come al solito, non sbagliò.
   Le sue mani si strinsero saldamente al tubo metallico che, come aveva immaginato, era freddo e viscido a causa dell’umidità; ma i guanti lo aiutarono a mantenere la presa più salda. Adesso, però, stava dando le spalle al ponte, per cui doveva fare in maniera di riportarlo di fronte a sé. Lasciata la presa con una mano, quindi, si attorcigliò fino a che non riuscì a raggiungere la posizione desiderata; ciò, naturalmente, gli comportò seri dolori alle braccia, ma ormai era più che abituato a soffrire in silenzio. A questo punto, chiamando a raccolta tutte le proprie forze, tornò a serrare entrambe le mani al tubo metallico e cominciò a dondolarsi verso l’alto, fino a raggiungere un movimento rotatorio tale da permettere alle sue gambe di trovarsi parallele all’apertura nel mezzo del ponte. Infine, non appena si fu convinto di avere raggiunto una velocità di manovra sufficiente e non appena ebbe visto l’entrata del passaggio segreto proprio di fronte a sé, mollò il proprio appiglio.
   Si sentì lanciare nel vuoto, proprio come un uccello o, meglio, come un sasso lanciato da una fionda, o un proiettile sparato da una pistola. Velocissimo, cercando di tenere gambe e braccia rigide e distese per imprimere maggiore aerodinamicità e speditezza al proprio corpo ed al contempo ridurre l’attrito, volò verso il buco nella pietra e lo sorpassò, atterrando di schiena, piuttosto rudemente ma del tutto incolume, sulla dura pietra del pavimento dell’entrata segreta.
   «Sei ancora vivo, straniero, o sei precipitato di sotto?» udì provenire dall’alto la voce stupefatta del vecchio custode.
   Jones, prima di rispondere a quella domanda, si riservò un minuto per mettersi in ginocchio e controllare di non avere perduto nulla nel salto, ma il cappello, la frusta e la tracolla erano ancora al loro solito posto.
   «Atterraggio perfetto» comunicò ad Olderico, urlando per far penetrare la propria voce attraverso il piano stradale, che fungeva da soffitto per il passaggio. «Adesso, nonno, vai a berti qualcosa e non dire a nessuno del nostro incontro. Magari, quando uscirò da qui, verrò ad offrirti un’altra birra.»
   Sopra di sé, udì dei passi allontanarsi sul selciato, ed al contempo, nonostante la copertura, sentì chiaramente il vecchio bofonchiare: «Roba da non crederci…»
   Con un sogghigno, Jones concentrò la propria attenzione al tunnel; era buio pesto, e non appena si fosse allontanato dall’entrata non avrebbe più visto ad un palmo dal proprio naso. Sperò che le indicazioni del vecchio fossero corrette e, soprattutto, che non ci fossero dei bivi, là sotto. Non gli sorrideva affatto l’idea di perdersi, nella completa oscurità, in un intricato budello di strade sotterranee sotto Praga. D’altra parte, ormai era lì, e non poteva certo tornare indietro.
   Il passaggio, inoltre, era molto basso; fino a quando il soffitto non si fosse alzato, quindi fino alla fine del ponte, almeno, sarebbe stato costretto a camminare stando in ginocchio, il che non era certo comodo. Ma aveva rinunciato da tempo alle comodità.
   Si trascinò in quella malagevole posizione per un centinaio di metri, avvolto dall’oscurità più fitta e totale; non vedeva praticamente più nulla, e per muoversi era costretto a mettere per prima cosa le mani innanzi e poggiarle sul pavimento per accertarsi che non ci fossero ostacoli. Man mano che avanzava, però, sentendo di essere sempre più vicino alla meta, aumentava anche la propria andatura. Il che, a ben vedere, gli sarebbe potuto risultare fatale.
   Ad un certo punto, difatti, la sua mano non incontrò più la pietra, bensì il vuoto, ma Jones se ne rese conto un secondo troppo tardi, sbilanciandosi in avanti e rischiando di cadere di sotto. Fu un vero e proprio miracolo se, con prontezza di riflessi, riuscì a forzare la propria schiena a tirarlo all’indietro.
   «C’è mancato un pelo» borbottò, rimettendosi diritto per vedere cosa fosse successo.
   Non gli ci volle molto per comprendere che una sezione del passaggio era crollata nel fiume sottostante. Orientandosi con la fioca luce che proveniva dall’esterno, intuì di essere quasi giunto al termine del ponte. Ma c’era un dettaglio, adesso, che sembrava insormontabile, perché, dalla posizione in cui si trovava, non avrebbe certo potuto prendere lo slancio per gettarsi oltre la voragine di almeno quattro metri. Dall’ultima volta in cui il vecchio custode aveva esplorato il cunicolo dovevano essere trascorsi parecchi anni, altrimenti lo avrebbe certamente avvertito che non avrebbe potuto fare molta strada. In effetti, non riusciva proprio ad immaginarsi una persona tanto anziana avanzare carponi in quell’oscurità.
   «Rifletti» si disse. «Sei uscito da situazioni ben più spinose di questa.»
   Perlomeno, in quell’occasione, non stava fuggendo da qualche animale selvatico ed inferocito, né aveva alle costole uomini impazziti che mostravano una vera e propria impazienza di portarsi a casa la sua testa come un trofeo di caccia. Insomma, trovarsi sospeso all’interno di un ponte che non mostrava altre vie d’uscita all’infuori di un salto nel vuoto era una situazione davvero niente male, rispetto a quelle che gli capitavano soventemente.
   Lasciò vagare lo sguardo sull’ostacolo che gli si parava di fronte; dopo attente osservazioni, notò che, lungo la parete di destra, dove un tempo c’era il pavimento, era rimasto un bordo abbastanza sporgente da permettergli di passare. Se si fosse trattato di un passaggio più alto, avrebbe benissimo potuto accostarsi alla parete per strisciare fino all’altro lato, ma non ci sarebbe mai riuscito dovendo stare in ginocchioni; però, avrebbe potuto afferrare quel suo improvvisato passaggio con le mani, lasciandosi nuovamente penzolare nel vuoto, per poi raggiungere la meta a forza di braccia. Riconosceva, ovviamente, che comportarsi in quella maniera gli avrebbe regalato parecchi nuovi dolori muscolari, tuttavia non riusciva a vedere altra soluzione per uscire da quell’impiccio.
   «E se perdessi la presa e cadessi di sotto?» gli domandò una vocina fastidiosa dal profondo del suo cervello. «Cosa faresti a quel punto, eh?»
   «Ci penserei nel cadere» rispose ad alta voce per scacciarla.
   Certo, sapere che pochi metri sopra di lui vi era una comodissima strada che puntava nella medesima direzione in cui egli era diretto, era piuttosto scocciante; d’altra parte, però, non gli erano mai andate troppo a genio, le situazioni confortevoli. Sorpassare un abisso attaccato a mani nude ad un bordino di pietra che avrebbe potuto sbriciolarsi da un momento all’altro facendolo precipitare nel vuoto, rientrava nel suo trantran quasi quotidiano. Per l’ennesima volta, però, la sua mente contemplò tutti gli altri archeologi del mondo, ed il dottor Jones si domandò come fosse possibile che, quelle persone, dovessero affrontare, come rischio massimo, la caduta in una trincea appena scavata e male segnalata da altri colleghi. Non avrebbe mai trovato una risposta, ovviamente, ma quasi si pentì di aver scelto la strada dell’archeologia: se avesse deciso di lavorare come controfigura per gli attori del cinema, perlomeno, avrebbe corso meno rischi ed avrebbe guadagnato di più. D’altra parte, però, che vita sarebbe stata, la sua, senza neppure un briciolo di rischio?
   Decise di non indugiare oltre; non sapendo a che punto fossero i tedeschi con le loro ricerche, infatti, non poteva permettersi il lusso di sprecare tempo standosene rinchiuso per sempre in quel budello freddo e oscuro.
   Per prima cosa, allungò più che gli fu possibile il braccio destro, ed afferrò con forza il bordo frastagliato con la mano; un passo era fatto. Poi, cercando di non pensare al fatto che, se avesse sbagliato le misure, avrebbe finito i suoi giorni tra le gelide acque di un fiume della Mitteleuropa, si spostò di lato con tutto il corpo, per quanto glielo consentisse l’angusto luogo, ed al contempo lasciò scivolare in avanti la mano destra. Infine, anche la sinistra riuscì a stringersi attorno ai resti del pavimento. Adesso, era praticamente accovacciato sul limite del precipizio, con le mani, le braccia e buona parte del busto oltre ad esso e solamente le gambe a trattenerlo ancora al sicuro. Non gli restava che completare l’operazione.
   Sperando che fosse sufficiente a regalargli il giusto coraggio, trasse un profondo sospiro; non bastò, e dovette prendere nuovamente fiato. Avvertì i battiti cardiaci aumentare all’impazzata; perlomeno, adesso aveva in corpo abbastanza adrenalina per potersi permettere di compiere un’azione che, diversamente, non avrebbe mai avuto il coraggio di intraprendere veramente, nonostante tutte le sue buone intenzioni.
   Con lentezza, ostentando una calma che non ricordava di avere mai provato prima, fece avanzare le gambe verso il punto in cui il pavimento s’interrompeva; inizialmente, aveva pensato di tirarle fuori una per volta, ma aveva scartato questa idea immaginando che non sarebbe stato salubre correre il rischio di ritrovarsi con le gambe ad angolo retto in cima ad un precipizio.
   «Se è per questo, non è salubre neppure tutto il resto di ciò che stai combinando» aveva brontolato, prima di avviare quella che sarebbe potuta divenire la ultima azione nella vita.
   I piedi raggiunsero il bordo, ed egli fece in modo che continuassero a procedere, senza ulteriori indugi; improvvisamente, piombarono verso il basso come dei bolidi, trascinandosi dietro tutto il corpo come se fosse stato un sacco. Aspettandoselo, Jones aveva stretto con forza le mani al suo appiglio, cercando al contempo di assumere una posizione che limitasse eventuali danni; ma il peso della propria massa fisica, quando la caduta s’interruppe bruscamente, gli procurò lo stesso uno strappo ai muscoli, specialmente a quelli delle braccia e della schiena, il che lo fece quasi gridare per il dolore.
   In ogni caso, comunque, era appeso saldamente, e adesso sarebbe stato quasi una passeggiata spostarsi lungo il bordo per raggiungere il lato opposto. Quasi.
   Per avanzare, infatti, era costretto a muovere di solamente pochi centimetri le mani, ed ogni volta era costretto a fare una pausa per permettere alle dita di stringersi meglio e ritrovare l’appiglio sulla roccia, che sentiva sbriciolarsi troppo facilmente. In una dozzina di minuti, gli riuscì di arrivare solamente a metà strada. A quel punto, per di più, fu costretto a concedersi una sosta molto più lunga delle precedenti per permettere ai muscoli, che doloravano oltre misura, di riprendersi un poco; ma, anche stando fermo, non poteva certo impedirsi di rimanere appeso in quella scomoda posizione, per cui le sue braccia non avevano, in realtà, alcuna possibilità di ristorarsi dalle fatiche.
   Capì che, rimanersene lì immobile, non avrebbe certamente giovato alla sua causa; anzi, l’avrebbe solamente peggiorata, allungando il tempo da trascorrere in quella sospensione forzata. Riprese ad avanzare. Boccheggiava, i polmoni chiedevano ossigeno, il cuore batteva all’impazzata ed in bocca avvertiva il sapore ferruginoso del sangue; le braccia e le mani sembravano non avere più la forza di reggerlo, e le gambe, rimaste a penzoloni nel vuoto, iniziavano ad addormentarsi.
   «Cristo santo!» imprecò, cercando di trarre nuove energie tra quelle residuate che doveva ancora avere nascoste da qualche parte, sotto la sua pelle coriacea. All’improvviso, vide il pavimento ricrearsi a pochi centimetri dalla propria testa: c’era riuscito, era dall’altra parte.
   Con estrema fatica, e con molta cautela per non vanificare tutti i propri sforzi con un volo di sotto, si issò nuovamente nel passaggio, rimanendo poi sdraiato sulla fredda superficie, respirando a pieni polmoni e lasciando che i muscoli sfogassero tutto il loro dolore. Gli avrebbe concesso qualche istante di tregua, prima di domandargli nuovi sforzi.
   «Sei fuori forma, Jones» borbottò, voltandosi a guardare il pavimento interrotto che aveva appena superato; erano sì e no quattro metri, da percorrere, ma ci aveva impiegato oltre venti minuti. Un tempo lunghissimo, soprattutto se aggiunto a quello che gli sarebbe stato necessario a recuperare le energie. E, mentre lui se ne stava lì fermo col fiatone, i nazisti potevano avere già messo le mani sul pezzo dello Specchio dei Sogni ed essere intenti ad andarsene.
   Cacciò subito quei pensieri cupi, considerando di essere più intelligente di un branco di agenti segreti teutonici; o, almeno, questo era ciò che ardentemente sperava, anche se i ricordi del passato, di un terribile passato che non aveva mai cessato di perseguitarlo, continuavano ad affiorare con prepotenza nella sua memoria, costantemente. Spesso, gli era capitato di svegliarsi di soprassalto, la notte, quando quei medesimi pensieri s’incuneavano nei suoi sogni tramutandoli in incubi.
   Aveva prestato servizio come volontario durante la Grande Guerra, e non aveva mai potuto dimenticare il boato dei cannoni, le esplosioni, il fuoco, i proiettili, i gas e la morte. La morte che vedeva nei corpi straziati ed abbandonati sul terreno e negli occhi ancora accesi di quanti lo circondavano, che potevano essere benissimo gli stessi suoi occhi. E, neppure, aveva potuto cancellare dalla propria testa la freddezza del nemico tedesco, un cinico e spietato combattente del tutto impassibile di fronte alla sofferenza altrui.
   L’inferno… ecco cos’era stato, quel conflitto: un’infernale carneficina. Ed erano stati i tedeschi, i suoi attuali avversari, a scatenarla. Jones vi aveva preso parte, e non voleva che si ripetesse mai più nulla del genere. Ma se i tedeschi erano alla ricerca dello Specchio dei Sogni per rintracciare, in seguito, il Cuore del Drago, evidentemente convinti che quel manufatto avrebbe donato al suo possessore l’invincibilità necessaria a conquistare il mondo, nulla avrebbe impedito loro di scatenare un’altra guerra, ancora più devastatrice della precedente, che avrebbe annientato e cancellato per sempre dalla faccia della Terra gli ideali di libertà e di giustizia creati dall’essere umano lungo tutta la sua millenaria storia. Il pensiero che qualche giorno addietro lo aveva sfiorato, riguardo la fine delle civiltà del passato e di quelle attuali, tornò a pararglisi nella mente. Indiana Jones non avrebbe potuto permetterlo. Non poteva restarsene lì fermo, a risposarsi, con una prospettiva del genere di fronte.
   Di scatto, si rimise in moto, avanzando a tentoni nell’oscurità, deciso a raggiungere quanto prima gli fosse stato possibile l’entrata ai sotterranei del castello.
   Ben presto, si lasciò il ponte alle spalle, ed alcuni gradini ripidi e consunti lo portarono più in basso, facendo sollevare il soffitto e dandogli agio, finalmente, di poter camminare eretto, il che gli permise di accelerare l’andatura, seppure non di molto; brancolando praticamente nel buio, non voleva correre troppo con il rischio d’inciampare su qualche ostacolo invisibile e farsi troppo male per continuare a muoversi. Là sotto, inoltre, non lo avrebbe trovato nessuno, quindi non poteva certo contare sui soccorsi, in caso di un incidente; l’idea che un suo collega archeologo del futuro, magari dell’anno 2000 o più tardi ancora, s’imbattesse in uno scheletro con addosso i resti marcescenti di un cappello, di una giacca di pelle, di una frusta, di una tracolla e di una fondina contente una vecchia pistola rugginosa non lo allettava affatto. In più, qualche anno prima, aveva giurato a sé stesso che avrebbe raggiunto il 2000 ancora in vita ed in perfetta salute per constatare di persona se ci sarebbe stata oppure no la fine del mondo, come qualche millenarista dell’ultima ora sosteneva, e voleva rimanere fedele alla parola data.
   Comunque, non gli accaddero altri incidenti, e ben presto, superate salite, discese, brevi tratti di scala e corridoi più o meno lunghi e più o meno diritti, raggiunse la propria meta, ossia una porta di legno dall’aria decisamente massiccia; i suoi occhi, oramai, s’erano abituati all’oscurità, per cui non gli fu difficile vederla e poté fermarsi prima di andare a sbattervi contro.
   A tentoni, riuscì a trovare la maniglia della porta, e provò ad abbassarla, ma non accadde nulla, perché la ruggine l’aveva corrosa fino a bloccarla. Facendo ricorso a tutte le proprie forze, fece peso sulla leva, sperando di ottenere qualche risultato positivo senza fare troppo rumore. Questa volta, però, utilizzò troppa energia, e la maniglia si staccò di netto, togliendogli il proprio appiglio e mandandolo a ruzzolare sul pavimento.
   «Maledizione» borbottò, rialzandosi a fatica.
   Una volta in piedi, studiò nuovamente la porta. Be’, se non avesse voluto aprirsi con la maniglia, l’avrebbe abbattuta, anche al costo di doversi disfare le ossa prendendola a spallate. Per fortuna il vecchio gli aveva detto che gli sarebbe stato sufficiente spingerla, il che significava che essa si apriva verso l’interno dei sotterranei del castello, e non nella direzione del suo passaggio segreto.
   «Forza, Jones, non arrenderti alla prima difficoltà» pensò, mentre si accostava con il tutto corpo alla porta ed iniziava ad esercitarvi una costante pressione.
   Inizialmente, il pesante uscio rimase saldamente chiuso, come se fosse stato un tutt’uno con la parete circostante, ma poi, un poco alla volta, millimetro dopo millimetro, cominciò a cedere sui cardini rugginosi e cigolanti. All’improvviso, come se si fosse ricordata solo in quel momento che la sua funzione era quella di aprirsi e di chiudersi, la pesante porta scattò in avanti, facendo crollare per l’ennesima volta al suolo lo stupefatto archeologo. E, una volta di più, egli si alzò da terra, asciugandosi sui pantaloni le mani che gli si erano bagnate al contatto con l’acciottolato, e si guardò attorno per cercare di capire dove fosse capitato.
   Adesso, si trovava all’inizio di un lungo corridoio di pietra, le cui alte e nude pareti erano in parte rischiarate dalla fioca luce che penetrava da alcune fessure presenti all’altezza del soffitto; si udivano gocce di umidità cadere al suolo, ed uno zampettìo continuo unito, di quando in quando, a qualche squittio, lo informò che quel luogo era frequentato da topi che si mantenevano invisibili ai suoi occhi.
   «Perfetto» commentò.
   Era giunto nei sotterranei del castello, finalmente. Il che, tradotto meglio, voleva dire essere penetrato all’interno della sua destinazione facendola in barba a tutte le guardie dislocate nei pressi delle entrate superiori. Non gli restava altro da fare che trovare una via d’uscita da quel budello scavato nella terra e raggiungere la torre di Vega, la sua presunta meta finale, sperando che le difficoltà fossero finalmente superate. Se non si fosse imbattuto in un qualche tedesco, magari, le cose sarebbero filate lisce come l’olio, da quel momento in avanti.
   Avendo a disposizione una sola direzione da poter seguire, s’incamminò, deciso a scoprire dove lo avrebbe condotto quel corridoio.

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Capitolo 5
*** La torre di Vega ***


5 - LA TORRE DI VEGA

   Le gocce d’umidità cadevano incessantemente dal soffitto ed il loro cupo suono era amplificato dalla vastità dell’ambiente completamente vuoto; a giudicare dalla melma formatasi sul pavimento, intatta in qualsiasi punto si riuscisse a spingere lo sguardo, nessuno doveva essersi più avventurato là sotto da diversi anni a quella parte. La fioca luce proveniente dall’alto, poi, rendeva difficoltosa la deambulazione, ed ogni angolo oscuro avrebbe potuto celare un pericolo nascosto. Forse era quella paura dell’ignoto che aveva spinto Jones, del tutto inconsapevolmente, a tenere le dita strette attorno al calcio della pistola che spuntava dalla fondina di pelle attaccata al cinturone. I brividi che gli scuotevano il corpo, invece, erano da imputarsi a niente altro che al freddo causato dall’umido che pervadeva completamente quell’ambiente tanto inospitale. Arrivò persino a domandarsi come facessero, i topi, a vivere in un simile ambiente, e di cosa mai potessero nutrirsi; i loro sudici versi, che sembravano provenire da ciascun punto, però, erano la prova concreta ed effettiva della loro presenza. Un fremito, questa volta di ribrezzo, lo scosse: s’era immaginato di scivolare sulla melma e rimanere steso a terra, ferito: il banchetto degli immondi roditori, a quel punto, sarebbe stato servito.
   Percorso un breve tratto, che pure gli parve infinitamente lungo a causa del buio e del freddo, nonché per via della presenza per nulla rassicurante dei sorci, l’archeologo si trovò di fronte ad un bivio; una strada proseguiva dritta di fronte a lui, l’altra voltava decisamente a sinistra.
   «Testa o croce?» domandò a se stesso, cercando nel contempo di orientarsi e di capire quale delle due potesse essere la via giusta da percorrere.
   Ma entrambi erano semplicemente gelidi, tenebrosi e maleodoranti tunnel, del tutto identici tra loro. Tanto valeva continuare diritto, come aveva fatto fino a quel momento; se proprio si fosse accorto che stava dirigendosi nella direzione sbagliata, sarebbe sempre potuto tornare indietro. Niente di cui preoccuparsi, dopotutto.
   Quindi, s’incamminò nuovamente, proseguendo per circa un quarto d’ora in quell’oscurità; quando stava ormai cominciando a spazientirsi ed a prendere la risoluzione di fare dietrofront e provare a seguire la strada alternativa, s’imbatté in alcuni scalini, molto ripidi, che interrompevano la strada, salendo bruscamente verso l’alto.
   «Speriamo di poter tornare in superficie» borbottò, cominciando a risalire con estrema cautela la pericolosa scala la quale, oltre che dalla pendenza, era resa insicura dall’umidità del luogo. «Ne ho abbastanza di starmene al buio come i pipistrelli.»
   Era pure stufo di quell’acquosità che gli penetrava fino alle ossa, con il rischio di fargli buscare un accidente; un raffreddore non era certo il massimo per portare a compimento la missione che gli era stata affidata. Non poté evitare, però, di pensare con malinconia, e con una certa invidia, al fumoso e caldo bar in cui aveva incontrato il vecchio custode del castello. Era stata davvero una fortuna, conoscerlo? E se, invece, tutta la storia dei tedeschi che cercavano il pezzo di Specchio fosse stato solo un parto della sua immaginazione, resa sospettosa da anni ed anni trascorsi ad affrontare ladri di tombe e pericolosi avversari, e per entrare nel castello sarebbe stato sufficiente attendere l’indomani, magari pagando un biglietto d’ingresso? E se la sua impresa attraverso i budelli sotterranei di Praga si fosse rivelata un’avventura completamente inutile? Non sarebbe stato molto meglio rimanersene al caldo, magari cercando di abbordare qualche avvenente cameriera con cui trascorrere un paio di piacevoli ore? No, si disse. C’era davvero qualcosa che non andava a dovere, in quella faccenda, e quello che aveva scelto doveva essere realmente l’unico sistema per poter penetrare nel castello, a meno di non entrarci in volo paracadutandosi da un aeroplano, manovra che di sicuro, tuttavia, avrebbe avuto il cattivo difetto di attirare un po’ troppa attenzione su di lui. Qualcuno stava compiendo ricerche segrete, all’interno del vetusto edificio, e non sarebbero stati ammessi intrusi fino a esami conclusi; glielo diceva il suo istinto, un sesto senso affinato a dovere dopo molto tempo trascorso a lottare per manufatti antichi e, parecchie volte, per la propria stessa sopravvivenza. Era un po’ quello che accadeva ogni qualvolta Belloq si presentava per sottrargli qualcosa: quando ciò stava per accadere, lo presagiva.
   «Peccato solo che non ci arrivi mai abbastanza in tempo da prendere le necessarie contromisure difensive» concluse con una certa amarezza.
   Prima o poi, sarebbe arrivata anche la resa dei conti con quel dannato francese, si disse. Ma ci avrebbe pensato a tempo debito: ormai, quell’uomo doveva aver scoperto che non c’era alcuno scavo condotto dal dottor Jones, nello Yukon, ma per il momento non era il caso di preoccuparsene, perché non avrebbe fatto in tempo a scoprire dove potesse trovarsi. Per adesso, però, doveva dimenticarsi di tutto il resto per concentrarsi esclusivamente sul presente; anche perché sospettava che i tedeschi si sarebbero rivelati avversari infinitamente più pericolosi e determinati a tutto rispetto a Belloq.  
   Impiegò altri cinque minuti solamente per arrivare in cima alla scalinata dove, però, scoprì di essere ancora al chiuso, all’interno di una piccola stanza senza finestre da cui si dipartiva un’altra scala, sempre verso l’alto; ricordando, però, che la luce penetrava dalle feritoie vicino al soffitto del sotterraneo e valutando di essere asceso di almeno dieci metri, intuì di doversi trovare ormai decisamente sopra il livello del terreno. Si rese conto di ciò anche per via del fatto che l’umido, nella stanza in cui era sopraggiunto, era indiscutibilmente diminuito: l’ambiente era ancora piuttosto freddo e cupo, ma il gocciolio incessante di prima s’era finalmente interrotto, così come lo squittire dei ratti, il che non gli dispiaceva affatto. Deciso più che mai a scoprire dove fosse arrivato, salì rapidamente l’altra scala, meno ripida e scivolosa rispetto alla precedente, nonché molto più larga.
   Non appena fu in cima, capì che la strada per raggiungere, dal sotterraneo, i diversi punti del castello, quella utilizzata anche dal vecchio custode per scoprire il passaggio segreto, doveva essere il tunnel che egli non aveva percorso, quello che svoltava a sinistra; adesso, infatti, era capitato all’interno di una stanza senza uscite, non fosse stato per una finestra molto stretta sigillata con ante di legno inchiodate dal di dentro, dalla volta non troppo alta e colma di quelli che, lo capì rapidamente, erano veri e propri strumenti di tortura: dal soffitto pendevano catene arrugginite e corde quasi marce, mentre allineati sopra alcuni scaffali, contro le pareti, si trovavano coltellacci, tenaglie, maschere di metallo che si aprivano in due nel mezzo a mostrare il proprio interno ricoperto di chiodi acuminati, bottiglie contenenti strani liquidi ed altri oggetti di morte e sofferenza, tutti partoriti dalle menti malate, soprattutto quelle che sarebbero dovute appartenere a uomini ecclesiastici disposti al perdono, che un tempo ricorrevano a quegli orribili strumenti per estorcere confessioni o, anche, per il semplice gusto di vedere ed udire altri esseri umani gridare per il dolore ed implorare la loro pietà. Al centro esatto della stanza, poi, si trovava un tavolaccio con anelli di ferro, evidentemente il letto su cui venivano inferti i supplizi ai prigionieri.
   «Brutto posto» commentò Jones.
   Da sempre affascinato dal mondo antico, non aveva mai amato troppo la storia medievale; in buona parte, ciò era dovuto al fatto che essa fosse di competenza di suo padre, ed il non interessarsi a quel periodo dell’epopea umana - o, almeno, fingere di non interessarsene, in quanto ne sapeva abbastanza da potervi dedicare tutta una serie di corsi monografici, in verità - era stato un modo come un altro per dimostrare al vecchio Jones di quanto fossero diversi e distanti l’uno dall’altro. Per dargli fastidio, insomma, per prendersi una piccola rivincita contro quell’uomo che lo aveva trascurato in ogni maniera.
   Di sicuro, poi, Jones non aveva mai potuto tollerare la storia della tortura, che durante il periodo medievale era stata affinata oltre ogni limite da carnefici senza scrupoli; non era mai riuscito a spiegarsi come l’essere umano potesse aver concepito simili e riprovevoli azioni.
   Cercando di non prestare troppa attenzione a quanto lo  circondava, si diresse alla finestra inchiodata. Le vecchie assi erano così marce che non gli sarebbe occorso troppo tempo per disfarsene. E, difatti, dopo averle afferrate saldamente, gli fu sufficiente tirarle verso di sé solamente due o tre volte per poterle divellere. Fatto ciò, e gettati con noncuranza da parte quegli antichi pezzi di legno, spinse le ante, aprendo la finestra, e si affacciò, per capire dove si trovasse.
   Il cortile principale del castello era proprio sotto di lui che, lo comprese immediatamente, si trovava all’interno di uno dei tanti edifici che formavano l’area del vecchio maniero: un palazzo che, a giudicare dall’apparenza, doveva essere in stato di abbandono da secoli, da quanto appariva rovinata la sua facciata e dall’aspetto di tutte le porte e le finestre che vi si aprivano, ciascuna saldamente sprangata, proprio come lo era stata, fino a pochi istanti prima, quella da cui adesso stava guardando Jones. Sporgendosi di più, guardò verso l’alto. Il tetto del palazzo non era molto lontano e, con un po’ di fortuna, avrebbe potuto arrampicarsi lungo la parete, i cui mattoni scrostati fornivano facili appigli, e raggiungerlo. Da lì, si sarebbe potuto spostare lungo tutto il perimetro del castello, senza doversi calare nel cortile il quale, certamente, doveva essere ben pattugliato dalle guardie tedesche.
   Risoluto ad abbandonare al più presto quella stanza di sofferenza, salì sul cornicione della finestra e si guardò attorno, per cercare il primo dei numerosi sostegni a cui avrebbe affidato la propria scalata. Individuarne uno dall’apparenza solida fu questione di pochi istanti.
   Strisciò lungo il davanzale, verso destra, e, come ebbe raggiunto il bordo, non perse neppure tempo a valutare se quello che stava per fare fosse giusto o sbagliato; il pensiero di trovarsi ad almeno venticinque metri d’altezza, non lo sfiorò neppure. Si limitò a saltare di lato, al contempo allungando le braccia per fare sì che le dita delle mani trovassero qualcosa a cui stringersi. Per un paio di interminabili secondi, i suoi tentativi andarono a vuoto, e si trovò a graffiare l’aria; all’improvviso, però, fece presa sopra un paio di mattoni, e pure i piedi trovarono dei punti su cui poggiarsi.
   Sapendo di trovarsi in una scomoda posizione, nella quale non sarebbe potuto resistere molto a lungo, non si concesse nemmeno un secondo per riprendere fiato, ma cominciò ad inerpicarsi, con molta calma e precisione, saggiando ogni mattone su cui posava le dita, per valutarne la fermezza prima di caricarvi completamente il proprio peso. Non era preoccupato per quello che stava facendo; ne aveva passate anche di peggiori, in passato, oltre che nelle ultime ore. Sperò soltanto che a nessuno, di sotto, venisse in mente di guardare nella sua direzione, magari incuriosito dai calcinacci che, di quando in quando, faceva cadere in basso.
   Fu un’immane ed ardua fatica, quella che dovette compiere, molto più di quanto avesse potuto immaginare in un primo tempo, innanzitutto perché i mattoni a sua disposizione per aggrapparsi risultarono essere meno facili da scoprire e raggiungere del previsto e, secondo, perché il tetto, che gli era sembrato facilmente conquistabile nel giro di pochi metri, si trovava ad una distanza maggiore di quanto avesse inizialmente preventivato. Comunque, dopo aver rischiato in almeno un paio d’occasioni di mancare la presa e di precipitare di sotto, l’archeologo riuscì a raggiungere l’agognata superficie ed a issarvisi. Per prima cosa, vi salì con il busto e, poi, con entrambe le gambe. Come fu certo, quindi, che neppure un suo piede sarebbe stato visibile dal basso, della quale cosa, comunque, non avrebbe dovuto preoccuparsi neppure prima, essendo l’oscurità della notte molto fitta a causa del cielo senza luna e per buona parte coperto di nubi, tra cui occhieggiavano pallide e rare le stelle, rimase per alcuni minuti sdraiato sulle vecchie e fredde tegole del tetto, screziate di muschi e licheni, a riprendere fiato.
   Mentre si riposava, pensando già a quale sarebbe stata la sua mossa successiva, udì un rumore di tegole smosse provenire da pochi metri di distanza dal punto in cui si trovava; subitaneamente, Jones sollevò il capo e puntò gli occhi nell’oscurità della notte per vedere che cosa avesse provocato quel suono inaspettato. Impiegò alcuni secondi, per far abituare lo sguardo al buio che regnava profondissimo, dopodiché vide, a poca distanza, una figura snella che non avrebbe saputo riconoscere: l’uomo, chiunque fosse, era completamente vestito di nero, ed un cappuccio, pure nero, gli copriva il capo; essendo la parte inferiore del viso dello sconosciuto coperta da un fazzoletto del medesimo colore del resto del vestiario, soltanto i suoi occhi vivi e brillanti si potevano chiaramente scorgere. I due si fissarono per alcuni istanti, Jones sdraiato e l’altro torreggiante sopra di lui, seppure decisamente non lo si potesse considerare alto. In quei brevi attimi, alcuni pensieri cupi e contrastanti attraversarono la mente di Indiana Jones: si domandò chi potesse essere quel tale, se fosse un pericolo, magari un tedesco, ma in quel caso, allora, perché non lo aveva ancora attaccato, o non aveva gridato per dare l’allarme? E cosa ci faceva in cima al tetto di quel vecchio palazzo, poi, e con addosso un completo da scassinatore? Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e mettersi in guardia, ma allo stesso tempo aveva idea di non essere in pericolo, come se quella strana apparizione non costituisse un rischio, ma fosse quasi un aiuto.
   Tutti questi pensieri si esternarono in una sola frase, borbottata a mezza voce: «Ma che diavolo…?», frase che non riuscì neppure a terminare poiché, all’improvviso, lo sconosciuto figuro scattò, ma non verso di lui, bensì all’indietro, con un agilissimo ed inaspettato balzo che lo portò a grande distanza; con altri due salti, la silenziosa ombra nera si perse nella notte.
   Ignorando i propri muscoli che sembrava volessero mettersi a urlare dal dolore causato dallo sforzo di poco prima, Jones si alzò goffamente in piedi, provocando parecchio frastuono mentre muoveva le vecchie tegole, annerite dai secoli di esposizione alle intemperie, in più punti spostate e rotte e, qua e là, completamente ricoperte dal muschio che era cresciuto con grande abbondanza.
   Guardò nella direzione in cui lo sconosciuto era sparito, ma non scorse assolutamente nulla. Quella misteriosa figura non aveva lasciato alcuna traccia del proprio passaggio.
   «Spero che non sia corso a dare l’allarme a qualche amico, o me la vedrò brutta» constatò tra sé e sé. «In ogni caso, sarà meglio che mi sbrighi. Quel pipistrello troppo cresciuto potrebbe anche non c’entrare nulla con tutto il resto, ma ciò non deve indurmi a coricarmi sugli allori.»
   Allora, guardandosi attorno, cercò di penetrare l’oscurità totale, sforzando i propri occhi a trovare ciò che stava cercando. E, infine, la vide: la malmessa torre di Vega sorgeva a non troppa distanza, ma per raggiungerla avrebbe dovuto, prima di tutto, percorrere un buon tratto di strada in cima ai tetti, prima di discenderne. Non sembrava lontana, ma ai suoi muscoli indolenziti quella breve lontananza sembrava davvero incolmabile. Tuttavia, non poteva concedersi il lusso di ulteriori pause. Avrebbe avuto tutto il tempo di riposarsi dopo aver recuperato il pezzo dello Specchio. In realtà, non sapeva neppure dove avrebbe dovuto portarlo, una volta avutolo tra le mani, perché il comandante Kai non gli aveva fornito alcuna indicazione in proposito. Be’, a queste questioni avrebbe pensato più tardi. Prima, doveva impossessarsene davvero e, chissà perché, aveva come l’impressione che non sarebbe stata un’impresa facile. In quanto allo sconosciuto vestito di nero, non gli attribuì troppo peso, convincendosi che non fosse altro che un ladruncolo penetrato nel castello per trafugarne qualche oggetto di valore. Magari, era solo un qualche scassinatore di Praga, convinto di poter giocare facilmente un brutto tiro al vecchio Piast, non sapendo della presenza dei tedeschi nel castello; se lo avessero preso, il poveretto avrebbe certamente avuto poche probabilità di rivedere la propria casa. Ma, con ogni eventualità, era stato sufficiente incontrare lui per spaventarlo ed indurlo a darsi alla fuga. Non avrebbe più dovuto pensarci, perché erano ben altre le sue preoccupazioni, in quel momento. Una su tutte, per intendersi, quella di camminare sui tetti senza fare troppo rumore e senza correre il rischio di cadere di sotto. Anche se, con tutte le doti da equilibrista e scalatore che aveva sfoggiato quella sera, l’idea che potesse inciampare e precipitare da un tetto era quasi ridicola, nonostante il buio fitto ed il freddo, che gli intorpidiva le membra stanche, non giovassero molto alla sua causa.
   Lentamente, un passo dopo l’altro, s’incamminò in direzione della torre, cercando di non far scricchiolare eccessivamente i vecchi coppi, per non destare troppa attenzione in qualche non gradito tedesco dall’udito troppo fine; in più di un’occasione, poi, gli mancò poco per scivolare sopra alcuni grumi di muschio molto viscidi. Una volta gli scappò un’imprecazione a mezza voce, e se ne stette per un po’ immobile ed in ascolto, cercando di udire se qualcuno si fosse accorto della sua presenza. Ma, ovunque, regnava un silenzio assoluto e, nel cortile sottostante, non si poteva notare il benché minimo movimento. Sembrava quasi che, all’interno dell’intero castello, fosse presente solamente lui, o perlomeno Jones aveva come l’impressione di essere l’unico ancora sveglio.
   «Forse avrei fatto di gran lunga meglio a restarmene in albergo a dormire, magari tra le braccia di qualche bella boema» pensò. «Sarei potuto entrare qui domattina, senza alcun problema. Sto facendo la figura dell’idiota, comportandomi da fuorilegge, oltre che da funambolo, senza alcun motivo. Ma è tardi per tornare indietro, adesso.»
   Nonostante questi pensieri, inoltre, si guardò bene dal fare alcunché che potesse scoprirlo.
   Continuò la propria avanzata, camminando per circa un quarto d’ora, con gli occhi sempre fissi verso la torre svettante, la quale andava facendosi via via più grande mano a mano che la distanza si accorciava; e, avvicinandosi, si rendeva sempre più conto che quella torre, per quanto diroccata, appariva massiccia e possente, quasi come se fosse una fortezza aggiuntiva all’interno del castello. Lo attraeva come una maliarda e, proprio perché giunto al punto da non riuscire a staccarle gli occhi di dosso, a Jones mancò poco per cadere di sotto: il tetto del palazzo, infatti, all’improvviso si interruppe, affacciandosi sopra uno stretto, buio e profondo vicolo. Sbilanciato in avanti, l’ardito archeologo rischiò di precipitare, ma all’ultimo istante riuscì a ritrovare il proprio equilibrio e si tirò all’indietro.
   Una volta certo di essere al sicuro, tornò a guardare verso la torre. Il tetto del palazzo era interrotto per il semplice motivo che l’edificio, in quel punto, terminava. Per di più, oltre lo stretto vicolo, sorgeva la massiccia parete del torrione, che si perdeva verso l’alto e, ora, svettava sopra di lui come un imponente gigante di pietra. Sapeva di dover entrare lì dentro, soprattutto perché quello era l’unico indizio in suo possesso. Il problema, adesso, consisteva nel riuscirci.
   Avrebbe potuto dare per la seconda volta la scalata al palazzo, questa volta scendendo verso il basso, per poter raggiungere la strada e, da lì, cercare con calma un’entrata alla torre; oppure, e questa cosa gli sembrava decisamente più rischiosa, avrebbe potuto saltare ed aggrapparsi ad una balconata che, proprio di fronte a lui, si protendeva fuori dall’edificio. Più rischiosa, per certi aspetti, ma decisamente meno per altri. In effetti, così facendo, avrebbe evitato di correre il rischio di imbattersi in qualche tedesco di ronda, senza contare che, a terra, avrebbe potuto trovare un ingresso murato, privo di alcuna possibilità di poter abbattere il muro di mattoni senza essere scoperto; oltre il balcone, invece, era certo di scorgere un’apertura priva di qualsiasi tipo di chiusura.
   «Ma sì» pensò. «Ne ho provate di ogni, posso anche volare come un uccellino. Meglio rischiare di rompersi il collo una volta sola, che rischiare di farlo più volte.»
   Aguzzò lo sguardo verso il balcone, valutando la distanza; non avrebbe dovuto prendere troppa rincorsa, per fortuna, ed il salto sarebbe stato relativamente breve. Non gli sarebbe andata male, dopotutto. A preoccuparlo veramente, però, era un’altra cosa, ossia la possibilità che il balcone, non più calpestato da tempo immemore, cedesse sotto il suo improvviso peso. Ma, dopotutto, senza un po’ di rischio, chi si divertirebbe nella vita?
   Comprese che, se fosse rimasto fermo a fare tali valutazioni, non si sarebbe più mosso per tutta la notte; meglio abbandonare ogni indugio ed agire, invece.
   Non pensò altro.
   Prese la rincorsa, facendo scricchiolare le vecchie tegole, e continuò a correre fino a che fu sull’orlo del tetto, poi saltò nel vuoto. Stava cominciando a farci l’abitudine, a quelle imprese da equilibrista. Se gli fosse andata male come docente universitario, avrebbe sempre potuto rifarsi una vita come atleta o qualcosa del genere. Attraversò in volo la lunghezza che lo separava dalla torre di Vega finché le sue mani, con vigore, si strinsero alla possente balaustra del balcone. Bersaglio centrato. Si domandò perché mai avesse deciso di diventare archeologo e professore, quando avrebbe potuto diventare smodatamente ricco mettendo le sue innate doti al servizio di una qualche compagnia circense. Adesso, non aveva alcuna importanza. A forza di braccia, provocandosi dei dolori alla schiena, e sperando che non gli stesse spuntando un’ernia, si inerpicò sulla balaustra, innalzandosi fino a riuscire a scavalcarla completamente. Finalmente, pose piede sul pavimento in pietra, completamente cosparso di umido muschio verdastro e di pietrisco precipitato dall’alto della torre coll’andare dei secoli.
   «Eccoci arrivati» borbottò. «Il più dovrebbe essere fatto.»
   Ma sì. Adesso doveva solamente penetrare in una vecchia e cadente torre, facendo attenzione a non provocare nessun crollo, per procurarsi un manufatto della cui esistenza molto pochi erano a conoscenza e che nessuno aveva più visto da secoli. Che problema poteva esserci, dopotutto?
   Con circospezione, si avviò verso il tenebroso ingresso del torrione, da cui proveniva una corrente d’aria fredda, dovuta, probabilmente, ad una qualche apertura su un altro lato, oppure, più probabilmente, alle varie fessure che dovevano essersi create nei punti in cui la malta che teneva attaccati tra loro i mattoni s’era corrosa e staccata, nel corso del tempo.
   Si trattava di un varco tra i blocchi di pietra, nulla di più: non c’erano né cardini di metallo, ad indicare che lì una volta potesse esserci stata una porta, né niente altro. Come fu oltre l’ingresso, completamente buio, si maledì per non aver portato con sé una torcia elettrica: con tutte le volte che, durante quella notte, si era trovata ad avanzare tentoni al buio, gli avrebbe di sicuro fatto comodo. Ma non poteva neppure rischiare di attirare l’attenzione di qualcuno facendo filtrare della luce da una torre dove, in teoria, non ci sarebbe dovuto essere nessuno.
   Si arrischiò solamente, quindi, ad accendere uno dei fiammiferi che teneva nella borsa. Dopo averlo fatto, si affacciò oltre l’ingresso; alla luce fioca e tremolante della fiammella, notò una stretta scala a chiocciola, identica a mille altre che aveva veduto in altrettante torri.
   «Su o giù?» borbottò.
   Era, ancora una volta, di fronte ad una scelta da dover compiere da solo. Decise che, per prima cosa, sarebbe disceso: se davvero la torre era stata scelta come nascondiglio per qualcosa, era abbastanza intuibile che la cosa in questione fosse stata celata nei suoi sotterranei, dove sarebbe stata nascosta meglio. Lui, perlomeno, avrebbe fatto così.
   Quindi, imboccata la scala a chiocciola, cominciò a discenderla, tenendosi con le mani alle pareti ed avanzando con circospezione per non rischiare di scivolare sui ripidi gradini consumati. Quando, però, fu finalmente giunto al piano terra, si trovò di fronte ad un’amara sorpresa: lì, infatti, non c’era nulla al di fuori dell’antico ingresso principale alla torre, completamente murato. Alla luce di un altro fiammifero, si guardò attorno, cercando anche negli angoli qualsiasi indizio che potesse metterlo sulle tracce di una botola, di un pertugio, di un passaggio segreto, di qualsiasi cosa, insomma, che potesse servire a tenere nascosto il pezzo di Specchio ma, alla fine, dovette ammettere di essersi sbagliato. Sarebbe dovuto salire all’ultimo piano della torre. Il che, ovviamente, non voleva per forza dire che ciò che cercava si trovasse proprio lì: poteva anche aver sbagliato ogni cosa. Ma Indiana Jones non si sarebbe mai arreso senza prima avere verificato a fondo ogni sua ipotesi.
   Tornò quindi sulla scala, questa volta salendo più rapidamente, avido di scoprire se, almeno sulla cima della torre di Vega, potesse trovarsi qualche cosa di interessante; mentre procedeva, tuttavia, ebbe in almeno un paio di occasioni l’impressione che il vecchio torrione ondeggiasse e vibrasse cupamente, come se fosse prossimo al crollo. Ma, evidentemente, si stava sbagliando, era tutto frutto della sua immaginazione, idee assurde amplificate dal fatto di trovarsi tutto solo in un luogo scurissimo ed inviolato da diversi secoli.
   Senza darsi la pena di nascondere il fiatone, e con la testa che girava un poco a causa della rotazione della scala a chiocciola, finalmente, dopo cinque o sei minuti di salita, giunse in cima alla torre. Si fermò sopra un pianerottolo, alla cui estremità si trovava una vecchissima porta di legno.
   «Ecco qua» pensò. «Siamo al momento della verità.»
   Si avvicinò al portone e ne spinse la maniglia arrugginita; con un cigolio tremendamente fastidioso, il vecchio uscio si aprì, rivelando ad Indiana Jones uno spettacolo alquanto bizzarro, di sicuro decisamente differente da quello in cui si sarebbe aspettato di imbattersi. Ai suoi occhi, infatti, si rivelò una stanza rotonda, colma di scaffali, costruiti in maniera tale da aderire perfettamente alla forma delle pareti. Sopra ciascuno di essi, si trovavano strani oggetti ed ampolle contenenti liquidi fosforescenti che, nonostante dovessero trovarsi lì da secoli, emanavano ancora una pallide luce che contribuiva in larga misura, insieme alle feritoie praticate qua e là alle pareti e dalle quali penetrava un poco di chiarore, ad illuminare la stanza. Ma quel che maggiormente attirò l’attenzione dell’avventuriero, fu una sorta di grande cilindro che si trovava proprio nel centro della sala, contenente quello che sembrava essere un miscuglio di liquidi verdastri, in cui galleggiava un grosso oggetto di difficile identificazione.
   «E quello che diavolo sarebbe…?» borbottò Jones, incerto se entrare nella stanza o darsela a gambe.
   Proprio in quel momento, però, si udì un forte schianto ed il cilindro di vetro andò in frantumi, riversando tutt’attorno il liquido che conteneva, dal quale emanò immediatamente un puzzo tremendo. Lo strano oggetto, invece, si abbatté sul pavimento… ma, immediatamente dopo, si rialzò, rivelando tutta la propria atroce natura: un essere umano, o meglio un mostro, decisamente sproporzionato, come se fosse il frutto di un mal riuscito assemblaggio di diversi cadaveri; un torso enorme, braccia e gambe fin troppo muscolose, ed una testa minuscola, il tutto coperto da una pelle grigiastra e putrefatta priva di peli.
   Dopo essersi contorto per qualche istante sul pavimento, il disgustoso mostro si rialzò prontamente in piedi, agitando le braccia in ogni direzione e cominciando ed emettere urla disumane, altissime e terribili.
   In quanto a Jones, rimase per qualche momento come paralizzato dalla sorpresa poi, ritrovato il proprio solito sangue freddo e la consueta ironia, esclamò, con un mezzo sorriso: «Be’, amico mio, non credere di essere peggiore del rettore quando gli ho dovuto chiedere il permesso di partire per venire a trovarti. In confronto a lui, ti posso assicurare che sembri un pacioccone.»
   Solo in quel momento, il mostro sembrò accorgersi della sua presenza: rizzò la testa, smise di agitarsi e di gridare ed i suoi piccoli occhietti si concentrarono su di lui, riempiendosi di odio. Una smorfia malefica contrasse il suo volto orribile, poi allargò la bocca e riprese ad urlare come un forsennato. Si slanciò in avanti, correndo verso Jones, il quale prontamente si gettò di lato per evitarne l’impeto.
   Il mostro, che non doveva certo brillare per intelligenza, continuò a correre e si schiantò verso la parete, facendola tremare così forte che alcuni calcinacci si staccarono dal soffitto; nonostante ciò, non parve neppure stordito e si guardò intorno, alla ricerca dell’archeologo.
   Indiana Jones, dal canto suo, si spostò rapidamente sul lato opposto della sala ed estrasse la pistola dalla fondina, puntandogliela contro, pronto a fare fuoco. Attese che  l’obbrobrio gli volgesse il petto, poi premette sei volte il grilletto, attento a non sbagliare. E i proiettili, in effetti, fecero centro, andandosi a conficcare dentro l’enorme torace della creatura, ma non sortirono alcun effetto, all’infuori di far aumentare l’impeto e la violenza del bestione, che prese a correre ancora più forte nella sua direzione, agitando i pugni.
   Contemporaneamente, dal basso, risuonò un potente boato, che fece tremare tutto, come se qualcuno avesse fatto detonare della dinamite; quale fosse la causa di ciò, però, non era qualcosa di cui potersi preoccupare al momento, perché la faccenda, con l’orrendo essere, si stava facendo davvero seria. Avrebbe pensato dopo a cosa potesse avere provocato l’esplosione.
   Ancora una volta, con un salto, Jones riuscì a mettersi fuori tiro, ed il mostro, proprio come prima, continuò a trottare finché non si schiantò contro alcuni mobili, mandandoli in frantumi e rovesciandosi addosso il contenuto fosforescente delle ampolle.
   «Ed ora che faccio?» brontolò Jones, guardandosi attorno in cerca di qualcosa che potesse servirgli come arma. «Questa sottospecie di scimmione pare impossibile da fermare.»
   Eppure, proprio mentre diceva così, la sua attenzione fu attratta dall’ennesimo grido della creatura, questa volta non di furore, ma di dolore e sofferenza; guardando attentamente, Jones si rese conto che il liquido fosforescente s’era saldamente appiccicato alla pelle del mostro, e la stava consumando poco a poco. Ciò nonostante, quella deformità ambulante si rizzò nuovamente in piedi e riprese il proprio assalto. Per la terza volta, però, andò a sbattere, rovesciandosi addosso altre ampolle, le quali, andando in briciole, lo colpirono col proprio contenuto, che doveva essere un potente acido, in grado di liquefarlo.
   «E va bene» sbottò Indiana Jones. «Ho capito.»
   Raggiunse il più vicino scaffale ed afferrò due grosse ampolle di liquido rilucente, che subito scagliò contro il mostro, il quale stava ancora contorcendosi e gridando sul pavimento. Il nuovo attacco fu quello fatale: fumando come se avesse preso fuoco, la creatura, che non aveva più la forza nemmeno per gridare, si contorse orrendamente, sciogliendosi e deformandosi, fino a quando, in un brevissimo lasso di tempo, di essa non rimase altro che una massa liquida ed informe, oltre che puzzolente.
   «Cristo santo!» esclamò Jones, completamente sbalordito per l’accaduto. «Se la raccontassi, non mi crederebbe nessuno.»
   Lanciò un’altra occhiata verso il punto in cui s’era disciolto l’orribile essere e fu solo allora che la sua attenzione fu attratta da qualcosa che, fino a quel preciso momento, doveva essere stata custodita nelle viscere del terribile mostro. Era una specie di pezzo metallico, simile all’ala di un uccello; lo colpì maggiormente il fatto che fosse ricoperto di caratteri cinesi.
   «Il secondo pezzo dello Specchio dei Sogni» constatò. «Allora si trovava davvero su questa torre.»
   Si chinò per raccoglierlo e, così, non s’avvide della bombola sprigionante gas che fu gettata dentro la stanza; Jones cominciò a tossire e, dopo aver barcollato per un po’, cadde sul pavimento, ancora cosciente, ma incapace di fare alcunché.
   I vapori del gas alleggiarono per un po’ nella sala poi, come si furono dispersi, udì chiaramente lo scalpiccio di alcuni piedi che lo raggiungevano e gli giravano attorno. Dalla sua posizione, Jones non poteva vedere altro che il malconcio soffitto della torre di Vega.
   Tuttavia, avrebbe riconosciuto fra mille la voce che risuonò poco dopo, una voce sarcastica e maligna: «Mi riesce a sentire? Dottor Jones?»
   Indiana Jones mugugnò qualche cosa di incomprensibile, ma ciò che non espresse la sua bocca era comunque chiarissimo alla sua mente perché quella, anche se ciò poteva sembrare impossibile, era la voce dello stesso tedesco che, pochi giorni addietro, egli aveva gettato tra le fauci del coccodrillo bianco di Ceylon. Che diavolo ci faceva lì? E, soprattutto, com’era riuscito a sopravvivere?
   L’uomo si portò nel suo campo visivo; era orribile.
   L’occhio e l’orecchio destri ed un pezzo di naso gli erano stati strappati via, e certamente doveva aver subito anche altre atroci mutilazioni. Eppure si era in qualche modo riuscito a salvare, doveva avere vinto contro il coccodrillo, per cui Jones si rese improvvisamente conto di essere caduto nelle mani di un avversario oltremodo pericoloso.
   Udendo il suo mugolio, la voce del tedesco si fece ancora più untuosa.
   «Cosa? Non scherza più, dottore?»
   Dal canto suo, Jones riuscì a trovare le forza per borbottare: «Ancora lei… Meraviglioso…»
   «Ja» confermò compiaciuto l’uomo. «Non so proprio come esprimere la mia gioia nel rivederla. È stato molto gentile a fare tutto quel rumore per farci arrivare qui. Ma ci sono delle informazioni che dovrà rivelarmi. Abbiamo così tante cose da dirci, io e lei.»
   Il tedesco si spostò dal campo visivo di Jones e la sua voce si fece più autoritaria, mentre si rivolgeva a qualcuno che doveva essere con lui.
   «Buttatelo sul treno! Lo interrogherò quando raggiungeremo Istanbul!»
   Agli occhi di Jones apparve un’altra figura, che sollevò il piede e glielo calò con violenza sul volto.
   Dopodiché, ogni cosa si fece buia ed indistinta.

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Capitolo 6
*** Sotto la moschea ***


6 - SOTTO LA MOSCHEA

   Istanbul, Turchia

   I raggi del sole splendente facevano rilucere di mille colori e sfavillii i tetti delle case e degli antichi palazzi di quella che, fino a pochi anni addietro, era stata una millenaria capitale imperiale, prima bizantina e, poi, ottomana, ricca di storia antichissima e, a tratti, ancora sconosciuta e misteriosa.
   Fu il grido del talacimanno, che si levò alto e stentoreo da un minareto, recitando l’antica formula per chiamare i fedeli islamici alla preghiera, a risvegliare Indiana Jones.
   La luce che entrava dalla finestra aperta, dopo chissà quanto tempo di buio assoluto, gli ferì gli occhi, facendoglieli dolere; ma quel dolore non fu nulla rispetto alle fitte lancinanti che provò in capo non appena ebbe ripreso conoscenza.
   «Uhi…» bofonchiò, rimettendosi in piedi.
   Fu solo nel fare questo che si rese conto di avere entrambe le braccia incatenate; voltandosi un poco, vide che le catene, partendo dai suoi polsi, terminavano in due possenti anelli incastonati nella parete alle sue spalle. Inoltre, capì di indossare solamente i pantaloni e la camicia; il cappello, le scarpe e tutto il resto della sua roba gli erano stati tolti.
   La nebbia che gli offuscava i sensi sparì immediatamente, lasciando il posto ad un’improvvisa lucidità. Si guardò attorno. Era prigioniero all’interno di un’ampia sala, luminosa ed ariosa, completamente disadorna; ma la foggia delle pareti, tinteggiate di un colore pallido, ed il soffitto dalla caratteristica forma a cupola e coperto di motivi arabescanti, gli fece comprendere di trovarsi in una qualche località orientale. Un nuovo ed alto grido da parte del muezzino lo confermò in questa sua convinzione.
   Dal suo punto di vista, poteva vedere un’ampia finestra priva di vetri, oltre la quale, alzandosi un poco sulle punte dei piedi, riuscì a scorgere, stagliata nitidamente sull’orizzonte, un’immagine per lui famigliare: l’inconfondibile profilo di Santa Sofia, uno dei maggiori simboli della città.
   «Istanbul?» borbottò. «Perché diamine mi hanno portato qui?»
   In quel preciso momento, gli parve di notare, per un attimo solamente, una figura nera affacciarsi al lato superiore della finestra, ma forse fu solo un’ombra o il frutto della sua immaginazione, poiché scomparve subito. E, comunque, immediatamente dopo ebbe ben altro a cui pensare, dato che la porta della sua prigione si aprì per lasciare entrare il tedesco dal volto sfigurato.
   «Ah, vedo che finalmente s’è svegliato. Cominciavo a credere che volesse dormire in eterno e, purtroppo, non ho tanto tempo da dedicarle» furono le prime ed untuose parole proferite dallo sgradito nuovo venuto.
   «Dannazione, ancora lei» borbottò Jones, tirando le catene per cercare di scardinarle dagli anelli. «Si può sapere chi diavolo è?»
   «Le consiglio di risparmiare le forze» rispose con sadismo il tedesco, alludendo al vano tentativo dell’archeologo di riuscire a liberarsi. «I nostri interrogatori possono essere molto duri. E le ricordo che, qui, sono io che faccio le domande, non lei. Ma non ho alcuna difficoltà a risponderle, dottor Jones. Sono il maggiore Albrecht Von Beck, delle SS, assegnato alla divisione Ahnenerbe. Ho ricevuto un delicato compito dai miei superiori, ma a quanto pare lei si è messo di mezzo.»
   «A Ceylon, dico bene?» brontolò Jones.
   «Proprio così, dottor Jones. Ma non solo. E se anche il nostro incontro sull’isola fosse stato un caso, come credo che sia, altrettanto non può essere detto riguardo a quello di Praga! Chi l’ha mandata alla ricerca del pezzo dello Specchio dei Sogni?»
   «Lei è completamente fuori strada, se crede che io mi sia recato a Praga alla ricerca di un pezzo d’antiquariato. Ero lì in vacanza, ecco tutto, e voi mi avete rapito senza motivo» replicò Jones, con un sorrisetto.
   «Non cerchi di prendermi in giro!» gridò Von Beck. «Sappiamo bene entrambi qual’era lo scopo della sua visita laggiù. Il suo senso dell’umorismo da americano, gliel’ho già detto una volta, è sempre fuori luogo, e non fa ridere proprio nessuno. Ma non credo che lei sia così intelligente da essersi messo da solo sulle mie tracce. Qualcuno l’ha inviata! Chi? Me lo dica!»
   «Ehi, ehi, non c’è bisogno di scaldarsi tanto. Perché non mi libera e non andiamo a berci qualche cosa insieme? Così, tra un bicchiere e l’altro, potrei raccontarle qualcosina di me. Dove sono nato, cosa mi piace fare nella vita, per chi ho votato alle ultime elezioni, cose così.»
   Un ghigno perfido si allargò sul volto deturpato di Von Beck.
   «Liberarla? Davvero crede che potrei lasciarla andare via libero, dottor Jones? Lei è mio, adesso, e le assicuro che lo sarà per sempre. E vedo che la voglia di scherzare non le passa proprio mai. Bene, bene. Non vuole, dunque, rispondere alla mia domanda? Non mi rivelerà il nome? Guardi che lo so che si trovava a Praga per recuperare un terzo dello Specchio dei Sogni, l’unico strumento capace di condurre all’entrata della cripta del primo imperatore cinese, dove è conservato il Cuore del Drago!»
   «Ha una bella immaginazione, glielo concedo. Ma non le rivelerò proprio nulla, mio caro, per il semplice fatto che non ho niente da dirle» rispose Jones.
   «Lei lo farà, dottor Jones, ne stia certo. Malauguratamente per lei, non sarà altrettanto facile che con me. Le domande che mi interessano gliele ho già poste, adesso starà a lei decidere quando rispondere. Purtroppo, altre questioni, molto più importanti della sua brutta faccia, richiedono la mia attenzione altrove. Ma non si sentirà solo: i miei uomini le terranno compagnia e posso assicurarle che lei risponderà ad ogni mio quesito, dopo aver passato qualche oretta insieme a loro. Le farà male, dottore. Molto male. Ma non me ne sono ancora andato e possiamo, dunque, fare ancora in tempo a risparmiarle quell’inutile sofferenza. Mi basta solo un nome, uno solo. Vuole essere così gentile da collaborare di sua iniziativa o è proprio intenzionato a patire tremendi tormenti?»
   «Vattene all’inferno» brontolò l’avventuriero.
   «È quello che farò. Ma, quando ci arriverò, lei ne sarà già stato ospite fisso da lungo tempo. Addio, dottor Jones.»
   Von Beck si volse ed uscì dalla porta, richiudendosi l’uscio alle spalle.
   Contemporaneamente, una figura agile e silenziosa, vestita completamente di nero, saltò all’interno della stanza, passando dalla finestra ed atterrando a pochi centimetri di distanza dall’archeologo. Jones la guardò stupito, perché, incredibile a dirsi, era la medesima persona che aveva veduto sul tetto a Praga, scambiandola con uno scassinatore. Adesso, però, c’era molta più luce e, nonostante il viso coperto, la riconobbe immediatamente.
   «Mei Ying!» esclamò, senza riuscire a celare il proprio sbigottimento.
   La ragazza si sfilò il fazzoletto dal viso e fece un sorrisetto.
   «A quanto pare, ci siamo rivolti al dottor Jones sbagliato» constatò. «Si è lasciato sfuggire il secondo pezzo dello Specchio e si è fatto mettere nel sacco dai tedeschi.»
   «Non lasciarti ingannare da questo spiacevole contrattempo, dolcezza» replicò Jones. «Si è trattato di un… ehm… incidente di percorso.» Era così che li chiamava, no? Di solito, a sottrargli il manufatto, era Belloq, stavolta erano stati il tedesco ed i suoi scagnozzi, ma la sostanza, alla fine, non cambiava affatto.
   «Io non direi affatto incidente di percorso, dottor Jones, né tantomeno contrattempo» disse Mei Ying, rimanendo imperturbabile di fronte al modo in cui l’archeologo l’aveva chiamata. «Non possiamo permetterci di farci battere un’altra volta.»
   «E quindi? Hai intenzione di lasciarmi qui? I tedeschi non hanno idea di dove cercare l’ultimo pezzo dello Specchio e forse, se unissimo le forze…» tentò Jones, che cominciava a credere che Mei Ying fosse stata inviata fin lì da Kai solamente per comunicargli la rottura del loro patto.
   «Non ne sia così certo, dottore» lo interruppe lei. «I tedeschi stanno scavando un’intera città, sotto Istanbul.»
   «I nazisti hanno trovato il palazzo di Belisario?» esclamò Jones, la cui curiosità accademica fu ampiamente stuzzicata e stimolata, nonostante la sua precaria situazione. «Non ci credo!»
   Gli era capitato, durante i suoi studi, di imbattersi in alcune storie riguardanti quel leggendario palazzo; secondo certi studiosi, venne costruito durante il periodo in cui la città di Bisanzio fece atto di fedeltà ad Alessandro Magno. Più che di un palazzo, si trattava di una vera e propria città sotterranea, con case, templi, strade e fontane, alimentate da un acquedotto, costruita per resistere meglio nel caso che i Macedoni, cambiando parere, avessero tentato di scalfire l’autonomia che la città-stato era comunque riuscita a mantenere. Si diceva che fosse un vero capolavoro artistico, ingegneristico ed architettonico, tanto che in parecchi preferissero vivere lì piuttosto che nella città superiore. In seguito, tuttavia, agli inizi del I secolo a.C., l’ingresso alla città sotterranea venne sigillato da un tremendo terremoto, seppellendo al suo interno tutti gli abitanti che vi si trovavano in quel momento. Il ricordo della metropoli sepolta perdurò, sopravvivendo ai secoli sotto forma di leggenda, tramandata oralmente e, più tardi, anche in alcuni testi scritti; nel medioevo, la storia venne un po’ modificata, conducendo alla nascita della leggenda del palazzo sotterraneo edificato dal comandante bizantino Belisario il quale, per sfuggire alla cattura da parte dell’imperatore Giustiniano che, geloso ed invidioso di lui, avrebbe voluto farlo accecare, si sarebbe fatto costruire in segreto quella reggia celata nel sottosuolo, per vivervi nascosto ed al sicuro.
   Jones, ovviamente, non aveva mai dato alcun credito a quella storia: la riteneva, alla pari del mito di Atlantide, una semplice favoletta perdurata durante i secoli e giunta quasi indenne, con qualche distorsione, fino al XX secolo. D’altra parte, la millenaria storia della triplice città di Bisanzio - Costantinopoli - Istanbul aveva fatto sì che molti storici ed archeologi si interessassero alle sue vestigia, eppure non erano mai emerse evidenze dell’esistenza di un’intera città sotterranea.
   «Dovrebbe crederci, invece, dottor Jones, perché è esattamente lì che i tedeschi sono al lavoro» confermò Mei Ying. «L’ultimo pezzo dello Specchio, infatti, venne nascosto dal terzo monaco nelle profondità della città perduta, di cui egli riuscì a scoprire l’ingresso.»
   «Ora capisco la fretta di Von Beck. Ma perché mi stai raccontando tutte queste cose?» domandò Indiana Jones.
   «Perché, dottor Jones, anche questa volta toccherà a lei recuperare il pezzo dello Specchio» rispose Mei Ying, portandosi una mano alla tasca dei pantaloni. Ne estrasse una chiave, procuratasi chissà come, e la utilizzò per sciogliere le catene che imprigionavano Jones. Finalmente libero, l’archeologo poté massaggiarsi i polsi e le tempie che gli dolevano tremendamente, oltre che stiracchiarsi le membra intorpidite.
   Poi, però, gli sorse un sospetto: ancora una volta, quindi, avrebbe dovuto occuparsi da solo dell’intera faccenda?
   «Tu non vieni?» le chiese Jones.
   «Io l’accompagnerò fino all’ingresso degli scavi, poi dovrà darsi da fare da solo. Come a Praga, io la terrò d’occhio di nascosto. Farò in modo che le capitino meno incidenti possibili: sono capace di agire nell’ombra.»
   «Be’, dolcezza, a Praga non hai fatto nemmeno tu un gran bel lavoro, allora» replicò Jones. «I tedeschi si sono presi il pezzo di Specchio dei Sogni che avevo appena recuperato.»
   «Lo riprenderemo» rispose Mei Ying, abbassando lo sguardo con mortificazione. «E riconosco anche i miei personali errori, d’accordo. Ma ne discuteremo più avanti. Adesso dobbiamo andare.»
   «Avrei un mucchio di domande da farti: per esempio, cosa c’entrano in tutto questo i nazisti? Come diavolo hanno fatto a sapere dello Specchio?»
   «Non ora, dottor Jones. Il tempo stringe. Se il terzo pezzo dello Specchio cadesse nelle loro mani, per noi sarebbe la fine. Recupererebbero il Cuore del Drago, capisce?»
   «E come? Se non sbaglio, loro hanno un solo pezzo. Gliene manca uno, che è in mano al comandante Kai» le ricordò Jones. «Diciamo che, quindi, siamo in parità, per il momento.»
   «Giusto… ma ora, per favore, mi segua!»
   A passo rapido, Mei Ying si diresse verso la porta da cui, poco prima, era uscito Von Beck, e la socchiuse, gettando un’occhiata al di là di essa.
   «Via libera» comunicò. «Non hanno lasciato guardie.»
   «Si fidano un po’ troppo, questi tedeschi» borbottò Jones, seguendola.
   Non appena ebbero varcato l’uscio, si ritrovarono in un corridoio alla cui estremità si trovava un’apertura che doveva dare sull’esterno, a giudicare dalla brillante luce solare che vi penetrava; poco fuori dalla porta, invece, sul pavimento, erano ammucchiati gli effetti personali che erano stati tolti a Jones: il suo cappello, il giubbotto di pelle, le scarpe, il cinturone con la fondina e la pistola, la borsa e, soprattutto, la sua inseparabile frusta.
   «Ah, chi si rivede!» fece Jones, con soddisfazione.
   «Si sbrighi» gli intimò Mei Ying a mezza voce, senza celare la propria impazienza.
   «Calmati, bellezza, ché non posso entrare in quel palazzo pieno di tedeschi senza nemmeno indossare le scarpe» brontolò Jones. «E non vado da nessuna parte privo di frusta e cappello.»
   Velocemente, Jones indossò nuovamente scarpe e giubbotto, si legò il cinturone alla vita, vi assicurò anche la frusta, e si fece passare la borsa a tracolla; la aprì per controllare che tutto fosse in ordine, e constatò con piacere che non vi era stato asportato nulla. Evidentemente, i tedeschi volevano far sparire tutta la sua roba, compreso lui stesso, dopo averlo interrogato. Immaginò che avrebbero avuto l’intenzione di riservargli un rogo notturno innaffiato con molta benzina, o qualcosa del genere. Allegra prospettiva. Adesso, però, sarebbe stato lui a regalare loro una bella sorpresa.
   Infine, ritrovando il suo solito ghigno e quasi dimentico dei dolori che sentiva ad ogni parte del corpo, si calcò nuovamente il cappello sulla testa.
   «Possiamo andare» disse.
   «Alla buon’ora» sbuffò Mei Ying. «Le ho già detto che il tempo stringe. Non vedo il motivo di vestirsi da vaccaro, sinceramente. Non stiamo andando a domare un branco di bufali, dobbiamo entrare in segreto in uno scavo archeologico condotto da una superpotenza mondiale.»
   «Lo so, lo so. Ma, se io sono vestito da vaccaro, cosa dovrei dire di te, che sei conciata come l’uomo nero?» borbottò Jones.
   Si avviarono nuovamente, percorrendo a grandi passi il corridoio, cercando di fare il meno rumore possibile; avevano quasi raggiunto l’ingresso quando, proprio lì, nella luce del giorno, si stagliarono due possenti uomini completamente velati da ampie vesti bianche e nere, col volto coperto da ampi fazzoletti del medesimo colore ed armati con robusti spadoni alle cinture. Probabilmente, si disse Jones, erano gli incaricati del suo interrogatorio. Fu contento di avere le mani libere.
   I due levarono un grido ed estrassero le scimitarre dalle cinture, gettandosi verso di loro. Jones fece un paio di passi all’indietro e, sfilatosi in fretta la frusta dalla cintura, la scoccò in avanti, avvolgendola attorno alle mani di uno dei due, che fu costretto a lasciare cadere la propria arma. Mei Ying, invece, con un salto formidabile, che doveva sfidare le leggi gravitazionali, riuscì a portarsi alle spalle dell’altro uomo ed a colpirlo con un calcio alle spalle, atterrandolo.
   Jones, con uno strattone, tirò verso di sé l’uomo ancora prigioniero della frusta e lo colpì violentemente al viso con un pugno; ma quello, anziché perdere l’equilibrio, riuscì a mantenersi in piedi ed a rispondergli con un calcio negli stinchi. Poi, liberatosi della frusta, gli portò le mani al collo, nel tentativo di strozzarlo. Tuttavia, senza farsi scoraggiare, l’archeologo gli piantò una testata sul naso, fratturandoglielo. Così colpito e sanguinante, l’uomo cadde all’indietro, lasciandolo andare; sul pavimento, venne messo definitivamente fuori gioco dall’avventuriero con un paio di calci.
   In quanto a Mei Ying, s’era liberata molto più facilmente del suo avversario ed ora, stesolo a terra, lo stava rapidamente spogliando.
   «Ehi, ma che diavolo fai, adesso?» le chiese Jones, non appena ebbe ritrovato fiato.
   «Quello che farà anche lei, dottore» rispose la ragazza. «Dobbiamo indossare gli abiti di questi uomini, per mascherarci e non farci riconoscere. Così, avremo più probabilità di giungere agli scavi senza incorrere in altri intoppi.»
   «Giusto» brontolò Jones, dandosi immediatamente da fare.
   Tolse immediatamente all’uomo disteso sul pavimento la larga veste che indossava e se la infilò sopra i propri abiti; puzzava atrocemente, come se quel vestito non fosse mai stato lavato in tanti anni. L’idea di dover infilare in testa anche la kefiah dell’uomo, certo piena di pidocchi ed altri insetti e che, infatti, appariva completamente unta e sporca, non gli sorrideva affatto; ma, dato che la sua compagna era già pronta, non perse altro tempo. Tolto il proprio cappello, che piegò ed infilò nella cintura dei pantaloni, si sistemò alla meglio quell’orribile straccio; da ultimo, legò in vita la cintura di stoffa sottratta all’uomo e vi assicurò la pesante scimitarra.
   «Bene» constatò Mei Ying, gettandogli uno sguardo. «Dovrebbe andare. Adesso somigliamo abbastanza agli uomini assunti dai tedeschi da poter sperare di passargli in mezzo inosservati.»
   «Ce ne sono parecchi?» chiese Jones.
   «Ho scoperto che hanno assoldato un gruppo di spietati mercenari arabi» spiegò Mei Ying, rimettendosi in cammino. «Non brillano per intelligenza, ma sono tutti grossi come questi due e, per di più, sono in tanti.»
   «Va bene… ah, dolcezza» aggiunse Jones, «se qualcuno ci fermasse, lascia parlare me. Non tanto perché io parli perfettamente sia il tedesco sia l’arabo, ma soprattutto perché credo che si insospettirebbero se da sotto l’abito del possente e truce assassino giungesse una voce femminile dolce e melodiosa come la tua.»
   «Lo credo anch’io, nonostante io riconosca la mia superiorità nei suoi confronti, dottor Jones, per cui sarebbe meglio che parlassi solo io.»
   Indiana Jones avrebbe avuto qualche cosa da dire, a quella piccola presuntuosa asiatica, ma decise di lasciare perdere; primo, perché lei lo aveva appena liberato da quella che, altrimenti, sarebbe potuta risultare la sua morte certa. In secondo luogo, poi, perché la situazione attuale era troppo pericolosa e delicata per mettersi a questionare su tali faccende. Certo, sapendo a quali pericoli stava andando incontro, avrebbe potuto benissimo decidere di mollare tutto e tornarsene a casa, ma l’idea di vedere con i propri occhi il leggendario palazzo e, più tardi, di essere il primo a penetrare nella cripta di Qin, lo stuzzicava ben oltre la possibilità di rischiare la propria vita.
   Raggiunsero la fine del corridoio e, prima di uscire, spiarono all’esterno; alcune scalette conducevano su un ampio cortile, lastricato con pietre chiare, dove non si trovava nulla all’infuori di un vaso contenente erbe secche. Per cui, procedettero oltre.
   «Dove andiamo, adesso?» domandò Jones.
   «Lei mi segua, conosco la strada» rispose Mei Ying, incamminandosi verso il lato opposto del cortile, dove si trovava un cancello; vi erano quasi arrivati quando, dalla direzione opposta alla loro, sopraggiunse un altro arabo, vestito con abiti praticamente identici a quelli che avevano appena indossato, ma con una mitraglietta in spalla anziché una spada nella cintura.
   «Ci siamo» pensò Jones. «O la va o la spacca.»
   Andò. L’uomo passò loro in parte senza degnarli di un solo sguardo e proseguì verso la porta da cui erano appena usciti. Jones e la sua compagna si scambiarono un rapido sguardo d’intesa, senza alcun bisogno di parlare: l’uomo avrebbe certamente rinvenuto gli altri due, stesi a terra e spogliati. Era meglio allungare il passo, affrettandosi ad allontanarsi di lì e mischiandosi ad altri mercenari tutti uguali, prima che potesse dare l’allarme.
   Non appena ebbero varcato il cancello, quindi, si lanciarono in corsa sfrenata, la ragazza davanti, Jones un pochino indietro. Si ritrovarono a passare per stretti vicoli lastricati, dove i raggi del sole faticavano ad arrivare e ad attraversare cortili tali e quali a quello da cui erano usciti poco prima.
   Infine, giunti in prossimità dell’imbocco di una piazza, si fermarono. Mantenendosi nel buio del vicolo in cui si trovavano, entrambi un poco affannati per la corsa, tesero le orecchie. Da un punto distante, alle loro spalle, giungevano delle grida furenti, e videro passare di gran carriera alcuni mercenari, accompagnati da un uomo che doveva certamente appartenere all’esercito tedesco. Non c’era alcun dubbio che la fuga di Jones fosse ormai stata scoperta.
    Invece di unirsi alla ricerca, i due rimasero addossati al muro, finché un consistente gruppo di arabi, tutti vestiti con la veste bianca e nera e pesantemente armati, non fu passato oltre. Rimasti soli, Mei Ying accennò con il capo alla piazza selciata in pietra verde che si apriva di fronte a loro; alla sua estremità, si scorgeva un’antica moschea, affiancata da due minareti, con le pareti dipinte di un tenue azzurro, decisamente sbiadito e scrostato in più punti. Davanti all’ingresso, spalancato, stava seduto un altro mercenario, apparentemente addormentato.
   «Ecco» disse Mei Ying, indicando in direzione della moschea. «Quello è l’ingresso degli scavi.»
   «La moschea?» borbottò Jones. «Credevo stessimo cercando una città sotterranea di età ellenistica, non una moschea costruita durante l’impero ottomano.»
   «È così, infatti» spiegò Mei Ying, con la sua solita impazienza malcelata. «La moschea fu costruita al posto di una chiesa che, originariamente, andò a prendere il posto di un tempio antico dedicato al dio Poseidone, che era considerato il patrono della città sotterranea. Il tempio venne eretto quando la città fu sepolta, per calmare la furia del dio, signore non solo del mare, ma anche dei terremoti, affinché egli non riservasse la stessa sorte della città inferiore a quella superiore. I tedeschi, in qualche maniera, sono riusciti a scoprire la storia della moschea e, dopo averla acquistata dal governo turco, l’hanno utilizzata per iniziare i propri scavi.»
   «Quindi, l’ingresso del palazzo di Belisario è lì dentro?» borbottò Jones, dubbioso.
   «Non ha che da entrare ed accertarsene con i suoi occhi, dottor Jones» rispose la giovane.
   «È quello che farò. Tu non vieni?»
   «Io sarò la sua ombra, dottor Jones, ma né lei né nessun altro riuscirà a scorgermi. Sono stata addestrata ad agire di nascosto, a saper sfruttare ogni singolo recesso per rendermi invisibile. Ma le mie affinate e raffinate tecniche non funzionano, in sua compagnia. Lei è rozzo e grossolano, un marcantonio sempre pronto a fare più danno che altro, non certo in grado di stare al mio confronto.»
   Adesso, Indiana Jones cominciava davvero a perdere la pazienza.
   «Senti un po’, piccoletta, perché, se sei così brava, non ci vai tu, a recuperare il tuo dannato pezzo di Specchio?» domandò con rabbia.
   «Perché, dottor Jones, c’è bisogno anche di lei, in questa faccenda» rispose Mei Ying, senza badare alla sua reazione. «Dobbiamo essere almeno in due ad agire, in maniera che, se per uno le cose si mettessero male, all’altro rimarrebbe comunque qualche possibilità di riuscita.»
   «Bah» borbottò Jones. «E ad ogni modo, come credi che io possa entrare là dentro senza essere visto?»
   «Per tre validi motivi, direi» rispose l’altra. «Prima di tutto, buona parte degli uomini sono sparpagliati in giro per la città vecchia a cercarla; di certo, non si aspettano di trovarla qui, in un luogo che lei non dovrebbe affatto conoscere: molto probabilmente, terranno d’occhio tutte le vie per il porto o per il consolato americano, dove sarebbe facile credere che lei possa decidere di dirigersi per trovare soccorso. In secondo luogo, lei è vestito come loro, quindi potrà più facilmente mimetizzarsi e non essere riconosciuto. Terzo, infine, ma non meno importante, sono riuscita a narcotizzare l’acqua della borraccia dell’uomo all’ingresso, che adesso dorme della grossa.»
   «Oh, be’, allora…» bofonchiò Jones. «Be’, allora, io vado. O c’è altro che dovrei sapere?»
   «Niente altro, o almeno per adesso. Le spiegherò il ruolo dei nazisti quando avrà recuperato l’ultimo pezzo dello Specchio, sempre che ci riesca, o che ne esca vivo» disse in tutta franchezza e naturalezza la bella cinese.
   «E sia» rispose Jones. «Ci rivedremo, dolcezza, te lo posso assicurare.»
   Detto questo, Indiana Jones si avviò, uscendo dall’oscurità del vicolo e passando nella luce della piazza. Si sentiva esposto, quasi si aspettava di sentire gridare da un momento all’altro, ma non rallentò, continuando ad incedere con ostentata sicurezza.
   La moschea s’era fatta molto più vicina; da dove si trovava adesso, poteva udire il sommesso russare dell’uomo che sarebbe dovuto essere di guardia all’ingresso.
   Giunto nei suoi pressi, lo degnò solamente di un’occhiata, per accertarsi che non fingesse di essere addormentato; poi, penetrò nella penombra della moschea.
   Era un luogo che incuteva timore e rispetto e che non nascondeva affatto le sue tre anime, pagana, cristiana e islamica: le colonne, che correvano attorno alla struttura circolare dell’interno, erano chiaramente di origine greca, con capitelli di ordine corinzio; sul soffitto, solo in parte smaltato, si potevano ancora scorgere i dorati mosaici bizantini, recanti le immagini dei quattro evangelisti; e, dallo stesso soffitto, pendevano medaglioni con riportati versetti del Corano, gli stessi che erano stati inscritti lungo tutto il bordo del muro.
   Ma a colpire maggiormente l’attenzione, era senz’altro il pavimento dell’edificio, non perché fosse ben costruito; il fatto era che non c’era più alcun pavimento.
   «Mi prenda un colpo, Cristo santo!» pensò Jones. «Ma allora è vero!»
   Là dove avrebbe dovuto esserci la pavimentazione della moschea, infatti, c’era una larga voragine che scendeva nella profondità della terra; e dal suo punto d’osservazione, grazie ai potenti riflettori che erano stati montati al di sotto, si potevano benissimo scorgere antichi edifici ed una monumentale statua, che da lì non gli riuscì di identificare bene, solamente in parte crollata.
   Sotto la moschea, c’era davvero la città perduta, il leggendario palazzo di Belisario.

 

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Capitolo 7
*** Nel palazzo di Belisario ***


7 - NEL PALAZZO DI BELISARIO

   La scala, intagliata rozzamente lungo la parete rocciosa che fungeva da piattaforma naturale per la moschea, era ripida e sdrucciolevole, ma non sembravano esserci altri passaggi per poter raggiungere il fondo. Se, poi, gli operai tedeschi erano passati per di lì trasportando le attrezzature da scavo, poteva riuscirci benissimo anche lui, che aveva le mani libere.
   L’emozione della scoperta gli aveva fatto passare il mal di testa, e doveva ammettere che, quella, era una gran bella cosa; gli rimanevano, ancora, vari dolori in altri punti del corpo, ma ormai Indiana Jones aveva fatto il callo alle privazioni ed alle percosse, e non ci faceva quasi più caso.
  Prima di iniziare la propria discesa verso l’ignoto, però, volle sbarazzarsi del travestimento da arabo: non solo perché lo impacciava nei movimenti, ma soprattutto perché mai sarebbe penetrato in quello che appariva essere, a tutti gli effetti, il più importante cantiere archeologico che avesse mai avuto occasione di visitare, senza indossare quella che, col tempo, era divenuta la sua uniforme, ossia i pantaloni marroni, la camicia bianca, il giubbotto di pelle e, soprattutto, il cappello. Non si sarebbe nascosto come un codardo; là sotto, inoltre, gli operai potevano anche scambiarlo per uno dei tanti archeologi che, di sicuro, dovevano essere arrivati lì con Von Beck. Diamine, quel tedesco non poteva certo avere avuto occasione di far circolare la sua fotografia tra tutti i mercenari! Soprattutto, se pensava che, fino a qualche minuto prima, egli era saldamente nelle mani del nazista, che non avrebbe avuto alcun motivo, quindi, di mettere in allerta i suoi uomini. Adesso, forse, sarebbe stato diramato tra i mercenari un ordine di cattura nei confronti dell’americano ma, ne era certo, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di cercarlo all’interno della città sotterranea, della cui esistenza egli non sarebbe neppure dovuto essere a conoscenza. Si sarebbero sparpagliati inutilmente per Istanbul, nella vana speranza di rintracciarlo mentre si dava alla fuga.
   Si domandò se potesse fidarsi di Mei Ying: dopotutto, la conosceva appena, nonostante lo avesse salvato. Decise di non pensarci, adesso. Aveva ben altre incombenze di cui preoccuparsi, in quel momento, e sapere se la giovane cinesina fosse davvero un’alleata o, piuttosto, una nemica pronta a sbarazzarsi di lui a giochi finiti, non gli avrebbe cambiato in alcun modo la giornata. Se gli fosse stata davvero amica, avrebbe anche potuto trarne una qualche utilità; se, invece, si fosse rivelata l’ennesima doppiogiochista, come gli capitava anche troppo spesso quando pensava di conoscere bene qualcuno, be’ non avrebbe fatto grande differenza. Una persona in più da cui guardarsi le spalle, nulla di nuovo, dopotutto. C’era abituato.
   Adesso, la preoccupazione più grande di Indiana Jones era quella di riuscire a discendere la lunga, stretta, ripida e scivolosa scala senza mettere un piede in fallo; se avesse commesso tale imperdonabile errore, sarebbe volato di sotto per parecchie decine di metri, e la cosa non gli sarebbe affatto piaciuta. Adorava le entrate a sorpresa, certo, ma non fino a quel punto.
   Quindi, con cautela, cominciò ad avanzare lungo la scaletta, lasciandosi alle spalle la moschea per penetrare nella città perduta; ad ogni passo, sentiva l’emozione crescergli a fior di pelle. Per la seconda volta in pochi giorni, stava sperimentando la straordinaria sensazione di mettere piede in un luogo della cui esistenza si era sempre dubitato profondamente, una città i cui antichi abitanti erano ormai stati dimenticati. Ancora una volta, però, stava condividendo il grande momento con i nazisti. Quella gente, per il poco che aveva avuto modo di conoscerla, non gli piaceva affatto e, dentro di sé, sperò vivamente di non doverci avere mai più a che fare, dopo la conclusione di questa avventura.
   I gradini, per quanto sdrucciolevoli, non sembravano dare troppi fastidi e la discesa, sebbene lenta, non fu affatto difficile come aveva inizialmente creduto; più scendeva e più il silenzio si faceva assoluto, come se su quella città tramutata in tomba gravasse incommensurabilmente il fardello del tempo trascorso e delle persone che, lì dentro, avevano vissuto in maniera del tutto normale la propria esistenza fino al tragico momento in cui l’avevano perduta. E la sensazione di discendere inesorabilmente verso un sepolcro era acuita anche dal fatto che il buio si facesse via via più fitto ed il silenzio sempre più assoluto. Ma fu solo per qualche minuto, ossia mentre discendeva gli ultimi gradini, scavati all’interno di uno stretto pertugio tra due pareti di roccia trasudante umidità. Molto presto, sbucò oltre il condotto ed i potenti riflettori montati dai tedeschi, gli stessi che aveva avuto modo di osservare dall’alto, cominciarono ad illuminare ogni cosa in maniera innaturale, annullando la quiete con il loro ronzio elettronico.
   Indiana Jones spuntò su quella che appariva come un’antica piazza e vi rimase fermo, immobile, guardandosi attorno con commossa ammirazione; si trovava in quello che doveva essere stato l’agorà, il luogo in cui i cittadini dell’arcaica città si riunivano per discutere di politica e di filosofia, il cuore pulsante del centro abitato. Quale uomo del suo tempo avrebbe mai potuto affermare di essersi trovato a passeggiare per il maggiore centro di una polis greca ancora in perfetto stato di conservazione? Avvertiva il peso dei secoli gravargli addosso in maniera quasi spossante, eppure sembrava che gli abitanti se ne fossero appena andati, gli pareva addirittura di scorgere gli antichi uomini, politici, filosofi, semplici passanti, avvolti nel loro pallio, fermarsi a discutere ad alta voce di questioni molto simili a quelle di cui aveva letto nelle opere di Platone ed altri autori del mondo antico.
   L’ampia piazza, piastrellata da pietre grigie solamente in parte sconnesse, aveva nel suo centro esatto una fontana, ormai asciutta, di forma circolare e recante nel mezzo, sopra un piedistallo marmoreo, una statua bronzea del dio Poseidone, colto nell’atto di scagliare il proprio tridente, alta all’incirca due metri; a Jones ricordò molto la statua di un dio, forse Zeus o forse lo stesso Poseidone, non bene identificato a causa della mancanza dell’oggetto che stava lanciando, ritrovata una decina d’anni prima a Capo Artemisio, sulla costa nord dell’Eubea, in Grecia, che lui stesso aveva avuto modo di studiare dettagliatamente poco dopo il recupero dal fondo marino. La piazza era circondata, su ciascuno dei lati, da un porticato colonnato, ancora intatto, non fosse stato per qualche pezzo di frontone crollato al suolo. Decisamente, il terremoto che ne aveva decretato la fine non sembrava aver colpito più di tanto la città sotterranea, forse proprio per via della sua posizione sotto la superficie della terra.
   Jones stava osservando con curiosità un bassorilievo recante l’immagine di una processione quando, dal portico alla sua destra, emerse la figura di un soldato tedesco in uniforme. L’uomo si accorse immediatamente di lui e, estratta la pistola che portava alla fondina, gridò: «Alt!»
   Ovviamente, Jones non gli badò. Afferrata con fulminea rapidità la frusta, la srotolò e la fece scoccare, avvolgendola esattamente attorno alla canna della pistola dell’uomo, con un colpo degno di un prestigiatore. Tirò a sé l’arma, che sfuggì dalle mani del soldato, poi si gettò in avanti, intenzionato a mettere fuori combattimento il tedesco prima che potesse correre a dare l’allarme. Lo colpì con un forte pugno sotto il mento, poi lo mandò a gambe all’aria con un diretto alla mascella. Dal modo in cui il soldato si comportava, decisamente non era stato addestrato nella lotta corpo a corpo.
   L’archeologo sollevò il capo dall’uomo, ormai tramortito, appena in tempo per vedere un arabo, indossante la divisa dei mercenari, piombargli addosso come un macigno. Riuscì a scostarsi quel tanto che fu sufficiente ad evitare un impatto più devastante, ma venne comunque colpito alla spalla sinistra da un pugno davvero poderoso, tanto che gli parve di udire le proprie ossa scricchiolare cupamente. Ringhiando come una bestia, l’arabo tornò all’assalto, cercando di afferrargli la testa.
   Indiana Jones, ancora una volta, fu più veloce del suo avversario. Con un salto si portò fuori tiro poi, afferrata la frusta che aveva in precedenza lasciato cadere, prese la mira e saettò nuovamente l’elastico nerbo che, questa volta, andò ad arrotolarsi, come un serpente che catturi inesorabilmente la preda tra le proprie spire, attorno al collo dell’arabo, che venne poi strattonato verso di sé da Jones. Senza fiato, l’uomo perse l’equilibrio e cadde sul selciato, arrancando e tossendo. Poco dopo, avendo ricevuto un pesante calcio in pieno viso, si ritrovò disteso senza più sensi.
   «Scusate se non mi trattengo oltre, ragazzi, ma ho da fare» commentò l’archeologo, cercando con lo sguardo la direzione da seguire.
   Ma, adesso, c’era un problema a cui non aveva pensato: non aveva idea di dove potesse essere nascosto il terzo pezzo dello Specchio e, se quel luogo era immenso come si diceva, gli ci sarebbero anche potuti volere anni per riuscire a rintracciarlo. Anni che non aveva a propria disposizione, però. Se fosse stato per lui, tuttavia, si sarebbe altamente fregato dello Specchio, a questo punto: rinunciare alla cripta di Qin valeva bene il poter condurre uno studio attento di quella città. Doveva fare i conti con due fattori, però: primo, la scoperta non era sua, ed i nazisti prima o poi si sarebbero di certo imbattuti in lui, e allora non gliel’avrebbero fatta passare liscia; secondo, non gli andava troppo a genio di lasciare un lavoro in sospeso. No, avrebbe continuato la propria ricerca, anche se non sapeva bene neppure da dove cominciare per condurla.
   Per il momento, decise di guardarsi un po’ attorno. Magari, così facendo, gli sarebbe venuta l’ispirazione su come muoversi. Non sarebbe stata la prima volta, dopotutto. Riavvolgendo la frusta, si diresse verso il porticato di fronte a sé, oltre il quale si udiva un curioso rumore di risacca, come se ci fosse un lago sotterraneo, là sotto. Assurdo, ma solo fino ad un certo punto. Non si sbagliava, in effetti.
   Appena oltre il portico, dove un tempo doveva esserci stato un grosso tratto di città, a giudicare dai tetti degli edifici che si potevano scorgere affiorare in superficie, si era formato un grande bacino acquatico, forse alimentato dalle acque di una falda acquifera, oppure da infiltrazioni marine provenienti dal vicino canale del Bosforo, o da entrambe le cose combinate tra loro. Il lago brillava sinistramente ed in maniera innaturale, illuminato com’era dai riflettori posizionati dai tedeschi, e nel suo centro si trovava la colossale statua che Jones aveva veduto dall’alto e che, adesso se ne rendeva pienamente conto, raffigurava anch’essa il dio Poseidone; anzi, la statua bronzea all’interno della fontana doveva essere stata una copia di quella gigantesca di pietra, a giudicare dalla somiglianza.
   «Un altro lago sotterraneo, magnifico» borbottò.
   Istintivamente, gettò un’occhiata a quelle acque, cercando di penetrarne le profondità, ma non gli riuscì di vedere alcun animale nuotare sotto la superficie; non avrebbe scordato tanto presto il mostruoso coccodrillo bianco incontrato tra le rovine della città perduta di Ceylon.
   Tuttavia, non gli andava molto di doversi fare un bagno per nulla; sarebbe stato più di suo gradimento farsi un’idea precise del luogo, per sapere come fare a muoversi. Non si sarebbe immerso se, prima, non avesse saputo di non poter fare altrimenti. Gli sovvenne che i tedeschi dovevano di sicuro avere compilato una pianta del sito archeologo, se non intera almeno inerente alla parte che già avevano avuto modo di esplorare. Vi era solamente un problema, però.
   «Se c’è una mappa, sarà custodita all’interno del loro campo base» pensò. «Ed andare ad imbucarmi in quel postaccio equivarrebbe ad infilare la testa nella gabbia dei leoni. Senza contare che non ho idea di dove sia, il campo. E un altro dettaglio da non trascurare è racchiuso nel fatto che, una volta penetratovi, dovrei frugarlo da cima a fondo, senza sapere esattamente da dove cominciare a cercare per la mappa. Ma, comunque, sempre meglio che starmene qui a guardarmi intorno senza nulla di preciso da poter fare.»
   Se solo Mei Ying lo avesse accompagnato, avrebbero potuto cercare insieme una soluzione a quel problema; invece, era lì, tutto solo, a dover affrontare un dilemma piuttosto rilevante. Be’, una normale routine quotidiana, per Indiana Jones.
   Fece, quindi, dietrofront, lasciandosi alle spalle il lago sotterraneo per ritornare alla piazza; il tedesco e l’arabo erano ancora stesi a terra, anche se, quest’ultimo, cominciava a dare segni di poter riprendere conoscenza da un momento all’altro. Con un altro calcio, Jones scongiurò questo fatto.
   Poi, afferrato il soldato tedesco per l’uniforme e trattolo in piedi, lo strattonò fino a farlo rinvenire; l’uomo, riaprì gli occhi, con aria confusa e, dopo un attimo di sbalordimento, avrebbe quasi sicuramente gridato, per chiedere aiuto, se Jones non lo avesse prevenuto tappandogli la bocca con una mano.
   «Ora ascoltami, amico mio» gli sibilò, in tedesco, per essere sicuro che l’altro lo potesse comprendere, «voglio che tu mi indichi il punto in cui voialtri avete posto il vostro campo. Ti lascerò la bocca per parlare ma, se provi ad urlare, od a fregarmi in qualsiasi altro modo, be’, sappi che ho una pistola, ed il primo colpo sarà per te. È chiaro?»
   L’uomo annuì, con un profondo terrore dipinto in viso. D’altra parte, era di piccola statura e dai tratti piuttosto fini, non poteva avere più di vent’anni; e Jones, grande, grosso e vestito quasi come un cowboy, armato con una pistola ed una frusta e con la dimostrata capacità di stendere da solo due uomini in pochi minuti ed apparentemente senza sforzo, doveva certo incutergli un discreto terrore. Ciò nonostante, l’avventuriero volle sottolineare meglio il concetto togliendosi la pistola dalla fondina e puntandogliela alla testa, prima di lasciarlo andare.
   Ansimando, il soldato fece correre qua e là gli occhi iniettati di sangue per il panico, ma non ebbe alcun’altra reazione.
   Immediatamente, Jones lo incitò a rispondere velocemente alla sua domanda, premendogli il revolver sulla tempia: «Allora?» domandò. «Dov’è il vostro campo?»
   «Non è difficile da trovare» farfugliò il soldato. «È oltre il porticato, alle mie spalle, nella direzione da cui mi ha visto arrivare prima, a circa cento metri di distanza, non di più. Ma ora, la prego, non mi uccida!»
   «Forse per oggi te la caverai solo con un mal di testa» rispose Jones.
   Abbassata la pistola, colpì l’uomo con un manrovescio, mandandolo nuovamente a gambe all’aria, privo di sensi. Immediatamente, si diede da fare: tolse al soldato la giacca della divisa, ed all’arabo la lunga veste, che fece a brandelli, per ricavarne dei lacci con cui imbavagliarli entrambi. Per concludere, legò loro mani e piedi e li gettò in un anfratto sotto i portici, dove difficilmente si sarebbe potuti scorgerli, passando.
   Per la seconda volta in poche ore, Indiana Jones si sarebbe dovuto travestire. Sfilò il giubbotto di pelle e, arrotolatolo alla meglio, lo conficcò nella borsa che portava a tracolla; in qualche modo, riuscì a farvi stare anche il cappello. Poi, indossò la giacca grigioverde del soldato tedesco, ma a questo punto si rese conto di una falla nel proprio piano: per quanto provasse, tirando e sforzando, l’abito non sembrava affatto intenzionato a chiudersi, era troppo piccolo per il suo fisico. Alla fine, a causa di un suo tentativo troppo esagerato, la giacca, con un rumore di strappo, gli si aprì in due sulla schiena. Decisamente, avrebbe dovuto rinunciare a quel travestimento. Per cui, si limitò ad indossare solamente il cappellino sottratto al soldato, che pure gli era piccolo, sperando che fosse sufficiente quello a non farlo riconoscere; tanto, avrebbe cercato di mantenersi lontano da qualsiasi essere umano in cui gli fosse capitato d’imbattersi. D’altra parte, non avrebbe potuto nascondere la frusta, ma non voleva neppure abbandonarla, quindi il suo travestimento avrebbe fatto acqua fin dal principio.
   Attraversò il portico e si avviò nella direzione indicata, inoltrandosi tra quelle che dovevano essere state le botteghe della città: osterie, forni del pane, empori, esercizi di fabbri, di falegnami e di scultori ed altro ancora; se non avesse avuto premura di non essere scoperto dai tedeschi, sarebbe entrato in ciascuna di esse, per scoprire tutti i tesori che, certo, dovevano ancora contenere. Diamine, quella città era una scoperta probabilmente ancora più importante di quella di Pompei, per gli studi sull’antichità.
   Improvvisamente, la sua attenzione fu catturata, però, da un ammasso di baracche di legno posto in fondo alla via che stava percorrendo, che non aveva alcun interesse di tipo storico, anzi appariva decisamente fuori luogo; quello, era sicuramente l’accampamento degli archeologi tedeschi.
   Per sua fortuna, non vi era nessuno di guardia, all’ingresso; d’altra parte, isolati sotto terra, i nazisti non avevano assolutamente nulla da temere, per cui sarebbe stato controproducente impegnare degli uomini a controllare chi entrasse e chi uscisse, anziché dedicarli agli scavi.
   Avanzando guardingo, gettando occhiate tutt’attorno per essere sicuro che nessuno lo stesse osservando, Jones raggiunse l’entrata del campo; mantenendosi nell’ombra di una delle baracche, osservò la scena.
   Due mercenari arabi si trovavano non molto distanti, intenti a parlare tra loro; non lo degnarono neppure di uno sguardo. Per il resto, non sembrava esserci in giro anima viva: le uniche voci, infatti, provenivano dall’interno di un paio di baracche. Indiana Jones aveva sufficiente esperienza di campi base di siti archeologici per riconoscerle entrambe come baracche destinate ai dormitori; quella accanto a cui si trovava adesso, invece, doveva contenere i vari attrezzi utilizzati nel corso degli scavi. Guardando meglio, individuò, invece, proprio sul lato opposto del campo, la casupola in cui, a suo giudizio, dovevano essere conservati i reperti e tutte le scartoffie inerenti ai lavori eseguiti tra cui, sempre che esistesse, ovviamente, la mappa del sito.
   Prima l’avesse raggiunta, meglio sarebbe stato.
   Per evitare i due arabi, girò attorno alla baracca nella cui ombra s’era mantenuto nascosto, cercando in ogni maniera di fare attenzione a non provocare alcun rumore, per non attirare curiosi indesiderati. Raggiunta una finestra, osservò l’interno della casetta; come aveva giustamente intuito, l’interno era stipato di pale, cazzuole, mazze, secchi, lampade, carrucole, funi e quant’altro, appoggiati su scaffali, attaccati alle pareti ed anche ammucchiati alla rinfusa sul pavimento. Evidentemente, i lavori erano stati momentaneamente interrotti, forse per permettere a quanti più uomini possibile di uscire all’esterno a dargli la caccia. La notizia della sua fuga doveva essersi diffusa in fretta. Meglio così. Quanti più tedeschi e mercenari erano impegnati nella sua ricerca in superficie, tanti meno ne avrebbe incontrati là sotto.
   Silenzioso come un fantasma, continuò ad incedere, abbandonando la relativa protezione data dal muro della baracca; tuttavia, tra sé e le baracche c’era adesso uno dei riflettori, nel cui cono d’ombra era venuto a trovarsi, per cui, se a qualcuno, dal campo, fosse venuto in mente di guardare nella sua direzione, non avrebbe potuto vedere altro che oscurità.
   Con rapidità, Indiana Jones raggiunse la baracca principale e guardò al suo interno, sbirciando da una finestrella; per prima cosa, notò un ufficiale seduto ad un tavolo, di spalle all’unico ingresso, curvo su alcune carte che stava controllando. Lo riconobbe subito: era Von Beck. Avrebbe avuto il fatto suo. Cercando di non fare troppo rumore, Jones si avvicinò alla porta e ne abbassò la maniglia. Si udì solo un leggero suono di molle, a cui il tedesco, impegnato nella consultazione di quella che appariva essere un’importante relazione sugli scavi, non parve fare alcun caso. Fu solo quando l’avventuriero fu entrato e si fu richiuso con uno scatto la porta alle spalle, che il maggiore parlò, senza voltarsi.
   «Hans, sei tu? Mi hai portato quelle carte che ti ho richiesto?»
   «Ja» rispose Jones, facendo un passo in avanti.
   «E di Jones, che mi dici? Spero che quegli incompetenti di arabi che hai assoldato non se lo lascino sfuggire. Non riesco proprio a capire come sia riuscito a scappare!»
   Detto questo, Von Beck si volse all’indietro, per guardare il sottoposto. Ed uno sguardo di incredulo stupore gli si dipinse sul volto sfigurato, un attimo prima che un possente diretto lo colpisse in pieno viso, ribaltandolo all’indietro. Il tedesco cadde dalla sedia e picchiò sopra il tavolo, che si sfondò. L’uomo doveva possedere una discreta resistenza, e forse il pugno di Jones non lo avrebbe messo fuori combattimento subito, ma nel cadere sbatté con violenza la testa contro un angolo e scivolò sulle assi del pavimento, rimanendo immobile.
   Senza minimamente curarsi di controllare se fosse morto o solamente svenuto, Indiana Jones raccattò velocemente tutte le carte che si erano sparpagliate in terra e, piegatele alla meglio, se le conficcò in tasca. Poi si guardò attorno e, individuato uno schedario, lo aprì, traendone tutte le carte che vi trovò. Le avrebbe esaminate una volta tornato alla piazza, dove avrebbe potuto nascondersi meglio. Non voleva trascorrere troppo tempo in compagnia di quel beccamorto di tedesco. La cosa non gli sembrava troppo salutare, ecco tutto. Senza alcuna grazia, incurante di sciuparle, mise tutte le carte nella borsa, dopo averne estratto il giubbotto ed il cappello, che vi occupavano tutto lo spazio. Gettato via il cappellino da soldato e indossati nuovamente i propri indumenti, si apprestò ad andarsene.
   Prima di farlo, però, si assicurò che Von Beck non potesse nuocergli troppo: si chinò su di lui e, accertatosi che fosse vivo, gli sfilò la cintura, che utilizzò per immobilizzargli le mani. Frugandogli nelle tasche, vi trovò due fazzoletti, che gli conficcò in bocca perché non parlasse. Quindi, trascinatolo in un angolo, lo coprì con alcuni sacchi vuoti che dovevano avere contenuto i manufatti che, adesso, si trovavano allineati sopra alcuni scaffali. Fece anche in maniera di rimettere in piedi il tavolo spezzato in due, appoggiandolo ad una parete e puntellandolo sul lato opposto con una sedia. In questo modo, se qualcuno avesse dato un’occhiata superficiale alla stanza, non avrebbe notato nulla di strano.
   Adesso, Jones era pronto ad andarsene, nonostante i reperti archeologici appoggiati sulle mensole sembrassero invocarlo a grande voce affinché li controllasse uno per uno. Fu doloroso doverli abbandonare così.
   Uscì dalla baracca e ritornò nell’ombra oltre il riflettore, appena in tempo per evitare d’imbattersi in un tenente, forse lo stesso Hans nominato da Von Beck, che si stava avvicinando alla casupola. L’uomo, in effetti, trasportava una cartelletta, che doveva contenere le carte richieste dal maggiore. Poteva anche darsi che la mappa fosse tra quelle carte, e non tra quelle rubate. Jones non poteva saperlo; sapeva, però, di aver già sfidato un po’ troppo la sorte, per cui non avrebbe rischiato ancora per cercare di recuperare anche quelle.
   Con il fiato sospeso, rimase a guardare il tenente mentre bussava due volte alla porta dell’ufficio; non ricevendo nulla in risposta, l’uomo socchiuse l’uscio e spiò all’interno. Evidentemente, come lo stesso Jones aveva ipotizzato, non intravide nulla di fuori posto, perché, con un’alzata di spalle, richiuse la porta e si avviò verso i dormitori. Soddisfatto, sapendo di aver guadagnato un po’ di preziosi minuti prima che si scatenasse l’inferno, Jones se ne andò.
   Superò indenne il campo base, senza suscitare alcun allarme, e tornò verso la piazza; individuata una casupola, vi entrò, sperando che potesse offrirgli un po’ di riparo. Era una piccola casetta di mattoni, con i muri smaltati ed il tetto di tegole rossicce; l’interno conteneva alcune giare ed anfore.
   Alla luce elettrica che filtrava anche lì dentro, Jones cominciò per prima cosa ad esaminare le carte che stava leggendo Von Beck poco prima di essere aggredito. Non era affatto una relazione sugli scavi. Era qualcosa di decisamente peggio. La lettera, perché di una lettera si trattava, era scritta in tedesco, e diceva:

 
   «Maggiore Von Beck,
   posso assicurarle che la presenza dell’americano a Praga è stata una scelta pericolosa, ma necessaria.
   Dopo avere, infatti, analizzato i metodi del professor Jones, sono giunto alla conclusione che la sua tecnica avrebbe permesso di scovare il pezzo di Specchio a noi necessario molto prima di quanto avrebbero potuto gli sforzi congiunti dei suoi uomini, nonostante avessero avuto, da parte mia, tutte le più esaurienti indicazioni sulla direzione da seguire. Egli avrebbe recuperato il pezzo e lo avrebbe, poi, consegnato alla mia fedele agente, la quale avrebbe immediatamente dopo provveduto alla sua eliminazione.
   Trovo del tutto indegna la sua lettera di protesta.
   Il nostro accordo, da parte mia, rimane ancora valido e, tuttavia, una profonda ferita s’è venuta a creare tra di noi, ferita che non sarà facile risanare. Le sue allusioni ad un ipotetico tradimento sono completamente fuori strada e dettate da una mancanza di fiducia nei miei confronti, nonostante il nostro patto precedentemente siglato.
   Come lei ben potrà intuire, l’unico motivo per cui non l’ho avvertita del coinvolgimento di Jones è racchiuso nel fatto che lei, di certo, dopo lo spiacevole incidente di Ceylon, non avrebbe permesso al professore di poter agire liberamente, bensì lo avrebbe in ogni modo cercato di ostacolare, per rincorrere la propria personale vendetta. Eppure, è stato proprio quanto accaduto a Ceylon a darmi l’idea di coinvolgerlo nel piano, seppure a sua insaputa e fino a quando non fosse giunto il momento di sbarazzarsene.
   I suoi errori, Von Beck, sarebbero potuti costarci cari. Mi sono visto costretto a corrompere alti funzionari del governo cinese affinché convincessero i britannici del fatto che il manufatto di Ceylon, di nostra proprietà, fosse stato sottratto illegalmente dal loro territorio e condotto negli Stati Uniti d’America. Mi creda, ho dovuto far trapelare più informazioni di quante avrei voluto per poter riavere il pezzo di Specchio da lei sventatamente perduto. Quindi, per favore, non venga a parlarmi di tradimento, né di scarsa collaborazione. La scarsa collaborazione è stata la sua, che ha mostrato incompetenza, non solo a Ceylon, ma anche a Praga, dove Jones è comunque riuscito a trovare il secondo pezzo in molto meno tempo di quello impiegato da lei e dai suoi uomini per non giungere ad alcun risultato! E, sebbene non ci fosse alcun pericolo, in quanto Jones avrebbe immediatamente consegnato il pezzo a me, ancora una volta lei avrebbe rischiato di farselo sottrarre, e lo ha recuperato sul filo del rasoio, per pura e semplice casualità.
   Spero che, almeno ad Istanbul, non fallirà, altrimenti mi vedrò veramente costretto a mutare le condizioni del nostro patto. Non siamo abituati a fallire, noialtri. Invierò il mio migliore agente a controllarla da vicino: non s’affanni a cercarlo, perché non riuscirà in alcun modo a trovarlo.
   Faccia di Jones quello che crede, purché non possa raccontare a nessuno dell’accaduto. Confido che lei possegga almeno le capacità necessarie ad eliminarlo. Trovi in fretta il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni e, poi, con entrambi i pezzi in suo possesso, mi raggiunga dove sa, in maniera che io possa compiere il rituale e riattivarlo.
    Ho ancora fiducia in lei, maggiore Von Beck.
   La prego di non deludermi.
   Kai.
»

   Esterrefatto, Jones abbassò le carte e fissò il vuoto.
   Senza saperlo, aveva in qualche modo lavorato per i tedeschi: Kai e Mei Ying erano loro complici, in tutta quella faccenda. Pur sfuggendogli i particolari, aveva compreso che tra quel Kai, che certo non era un ufficiale dell’esercito cinese, e i nazisti, c’era sempre stato un patto, di cui lui non era altro che una pedina. E l’agente a cui avrebbe dovuto consegnare il terzo di Specchio, e da cui sarebbe stato eliminato immediatamente dopo, altri non era che Mei Ying, era pronto a scommetterci. In questa maniera, si spiegava la sua presenza a Praga. E la ragazza doveva essere lo stesso agente inviato da Kai a sorvegliare le mosse di Von Beck, ne era sicuro.
   Ma, allora, perché lo aveva aiutato a fuggire?
   Un’idea gli si fece immediatamente largo nella mente, una prospettiva niente affatto divertente.
   «Non mi ha liberato perché fuggissi, quel diavolo di donna. Mi ha liberato perché, ancora una volta, fossi io a recuperare il pezzo dello Specchio dei Sogni. Forse, quei diabolici cinesi hanno in mente di fregare i tedeschi, oppure, più semplicemente, non si fidano di loro. Sanno che non riusciranno mai a trovare il dannato manufatto, da soli, quindi, ancora una volta, si rivolgono a me. Ma quando avrò trovato anche l’ultimo pezzo di Specchio, non ci sarà più alcun motivo per tenermi in vita. Altro che farmi diventare il primo archeologo ad entrare nella tomba di Qin. Ed io ci sono anche cascato come un pollo.»
   Jones si convinse di una cosa. La prossima volta che avesse visto avvicinarsi Mei Ying non avrebbe esitato: le avrebbe piazzato un colpo preciso dritto nel cuore.
   Adesso, tuttavia, si trovava in una situazione piuttosto pericolosa: cosa avrebbe dovuto fare? Abbandonare tutto e tornarsene a casa, lasciando che i tedeschi ed i loro mefistofelici amici cinesi ricomponessero lo Specchio dei Sogni e s’impadronissero del Cuore del Drago? Be’, poteva anche lasciare che lo facessero. Non credeva certo che il Cuore possedesse veramente le virtù magiche per cui lo si decantava tanto. Eppure, non poteva darla vinta a quella banda di incalliti criminali, pronti ad uccidere chiunque pur di portare a termine i propri loschi piani.
   No, avrebbe agito diversamente. Avrebbe trovato il pezzo dello Specchio e, solo a quel punto, se ne sarebbe tornato a casa, dove lo avrebbe nascosto o, meglio, dove lo avrebbe distrutto. Così, né Von Beck né Kai avrebbero mai potuto avere il reperto a cui sembravano ambire tanto. Un piano semplice, dopotutto.
   Oppure, avrebbe potuto sì trovare il pezzo di Specchio, ma poi non tornarsene affatto in America, bensì sottrarre in qualche modo gli altri due pezzi ai tedeschi ed ai cinesi, per essere lui a trovare il Cuore del Drago. Questo secondo piano, in effetti, era pieno di incognite e punti oscuri. Gli piaceva parecchio. Ma da dove cominciare? Aveva l’idea che, per trovare Kai, sarebbe dovuto volare fino in Cina, ma in che punto, di preciso? Be’, sapeva per certo a chi avrebbe potuto chiedere aiuto: Wu Han, il suo vecchio amico, con cui aveva condiviso parecchie pericolose avventure, l’ultima delle quali un paio d’anni prima. Se c’era qualcuno di cui potersi fidare, sul suolo cinese, quello era proprio Wu Han.
   Prima di tutto, però, avrebbe dovuto trovare il pezzo di Specchio e fuggire di lì incolume ma, soprattutto, vivo, seminando i tedeschi, gli arabi e la ben più pericolosa Mei Ying. E, chissà perché aveva questo brutto presentimento, non sarebbe stato affatto facile riuscirci.
   Immediatamente, quindi, intascata nuovamente la lettera, si diede da fare a controllare tutti gli altri documenti di cui era entrato in possesso. La maggior parte gli bastò un’occhiata per capire che si trattava di ordinazioni di vettovaglie e materiali, per cui li gettò via incurante del loro contenuto. Trovò più interessanti, invece, alcune relazioni riguardanti gli scavi, soprattutto quelle correlate da disegni e mappe schematiche; riguardavano quasi tutte l’area sottostante la moschea, ossia i luoghi in cui si era mosso fino a quel momento, ognuno riportante la precisazione che il pezzo di Specchio ancora non era stato rinvenuto. Un ultimo foglio gli rivelò che lo scavo, attualmente, stava concentrandosi in una zona oltre il campo base, ossia un punto in cui egli, ancora, non era stato; una nota a margine del documento indicava che la zona sommersa non era ancora stata esplorata, ma che i lavori, anche lì, sarebbero cominciati molto presto, ossia non appena fossero giunte delle attrezzature da palombaro che erano state ordinate dalla Germania.
   «Ebbene, se i tedeschi lì non ci sono ancora stati, dev’essere un buon segno. Una nuotata non fa mai male, dopotutto.»
   Senza indugiare oltre, Jones uscì dalla casupola e, dopo essersi guardato attorno, per accertarsi che non arrivasse nessuno, si diresse a rapidi passi oltre la piazza, nel punto da cui giungeva il suono della risacca sotterranea, amplificato dall’alta volta rocciosa. Infine, sulla riva di quel piccolo mare sotterraneo, rimase fermo, a valutare la situazione.
   I tetti degli edifici, tutti più o meno simili alla casetta da cui era appena usciti, sporgevano dall’acqua, il che significava che la profondità, almeno fino nei punti illuminati dalla luce elettrica, non doveva essere troppo elevata; avrebbe potuto nuotare fino alla statua del dio Poseidone, dato che era lì che intendeva arrivare, senza troppi rischi, se non quello di impigliarsi da qualche parte. Senza ulteriori, indugi, quindi, s’immerse.
   Trovò l’acqua parecchio fredda, quasi gelida, non essendo praticamente mai esposta ai raggi del sole, ma non badò a tali sottigliezze e cominciò a nuotare, cercando di non fare rumore e sperando vivamente che a nessuno, proprio in quel momento, venisse in mente di guardare verso la superficie del lago. Sarebbe stato una preda molto facile, altrimenti.
   Con forti bracciate, raggiunse in breve tempo la statua, che spuntava fuori dall’acqua dalle ginocchia in su; aggrappandosi con un braccio alla possente gamba della divinità, Jones si guardò attorno, chiedendosi che cosa mai avesse potuto sperare di trovare una volta lì. E, proprio mentre pensava così, lo vide.
   Il tetto di una delle case, verso la quale puntava il tridente di Poseidone, era completamente ricoperto di caratteri della scrittura cinese, incisi sopra le tegole; non poteva esserci alcun dubbio, quindi. Il monaco cinese doveva avere prescelto quel luogo per nascondervi il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni. Si chiese se, anche lì, fosse stata predisposta una trappola mortale, come a Praga. Non gli andava proprio, infatti, di dover affrontare un altro mostro simile a quello con cui aveva avuto a che fare nella torre di Vega. Poi, però, riflettendo, capì che, nel suo caso, la protezione del pezzo dello Specchio sarebbe dovuta essere l’acqua, la stessa in cui stava nuotando adesso.
   «Ma certo, è chiaro» pensò. «Dev’essere stato il monaco a fare in maniera che l’acqua marina penetrasse qui dentro. Probabilmente, avrebbe dovuto sommergere ogni cosa fino alla volta rocciosa, rendendo, di fatto, impossibile le ricerche qui sotto. Prima dell’invenzioni degli autorespiratori e delle torce elettriche avrebbe di sicuro potuto funzionare e meraviglia. Ma qualcosa, chissà cosa, dev’essere andato storto, ed il livello dell’acqua s’è mantenuto abbastanza basso da permettermi di individuare il nascondiglio. Buon per me, alla fine.»
   Soddisfatto, Jones lasciò la statua e, con poche bracciate, raggiunse la casetta. Per prima cosa, controllò sotto le tegole, ma non vi trovò proprio nulla. Se il pezzo di Specchio era lì, e ne era certissimo, doveva essere custodito all’interno del piccolo edificio. Avrebbe, pertanto, dovuto immergersi. Si tolse il cappello, che aveva continuato ad indossare mentre nuotava, e lo infilò nella cintura. Poi, tratto un profondo respiro, s’inabissò.
   La visibilità, sott’acqua, non era poi tanto male, poiché la massa liquida che lo circondava ormai da ogni parte era abbastanza cristallina da permettere alla luce dei riflettori di penetrare anche là sotto; se non ci fossero stati, in effetti, sarebbe stato piuttosto impossibile riuscire a vedere alcunché. Per cui, mentalmente, Jones ringraziò i tedeschi di essere arrivati per primi portando con sé le attrezzature tecnologiche più sofisticate.
   Jones nuotò attorno all’edificio, fino a quando vi individuò un’apertura, non troppo buia, che gli avrebbe permesso di entrare; soddisfatto, riemerse, per prendere una nuova boccata d’aria. Poi, come ebbe ricaricato i propri polmoni, tornò di sotto e, risolutamente, entrò nella casetta, sforzando gli occhi a penetrare in fretta l’oscurità, fattasi più fitta tra le pareti.
   Inizialmente, gli parve di non vedere alcunché, nonostante cercasse di scrutare ogni singolo recesso; poi, però, quando stava per decidersi a tornare in superficie a respirare - non poteva certo dire di essere un grande apneista, dopotutto - i suoi occhi si posarono sopra un cofanetto di smeraldo, finemente intagliato e riproducente sul coperchio quelli che gli parvero essere i medesimi caratteri che aveva notato sul tetto.
   Senza perdere altro tempo, afferrò il cofanetto, che era poggiato sul pavimento, mezzo affondato tra i sedimenti, e tornò subito a galla. Quando l’aria gli penetrò nuovamente nei polmoni, gli parve di nascere a nuova vita.
   Con il cofanetto stretto a sé, nuotando con le gambe e con un solo braccio, Jones fu lesto a riguadagnare la riva, su cui si lasciò cadere, quasi spossato.
   Stava appunto riprendendosi quando un tocco leggero sopra una spalla lo fece irrigidire; si volse di scatto, aspettandosi di essere stato preso in trappola, e si trovò di fronte il viso sorridente di Mei Ying. La traditrice. Avrebbe voluto spararle sul momento, ma sapeva che sarebbe stato del tutto inutile, adesso: il suo revolver, completamente fradicio, avrebbe certamente fatto cilecca. Non poteva neppure sperare di saltarle addosso, perché si trovava in una posizione di completo svantaggio; inoltre, avendola già veduta in azione, sapeva che non sarebbe stato in grado di vincerla, in una lotta corpo a corpo. No, la sua unica speranza, adesso, era di riuscire a coglierla di sorpresa, al momento buono.
   Senza una parola, quindi, le porse il cofanetto, facendo in maniera, così, di occuparle entrambe le mani.
   La ragazza lo afferrò con reverenza e, mentre Jones si rimetteva in piedi, disse: «Davvero impressionante, dottor Jones. Per la seconda volta, lei è riuscito a vincere i tedeschi. L’ho osservata di nascosto, e l’ho anche aiutata, devo dire: ad un certo momento, un paio di nazisti si sono trovati sul punto di imbattersi in lei, ma sono riuscita a scongiurare questo fatto. Però, nonostante questo, lei è stato davvero straordinario, a fare così in fretta. Ora venga, dobbiamo andarcene da qui il prima possibile. Bisogna raggiungere Hong Kong.»
   «Un momento, bellezza» la trattenne Jones. «Non controlli che, dentro il cofanetto, ci sia effettivamente quello che stavamo cercando? Potrebbe trattarsi anche solo di un abbaglio.»
   «Effettivamente, ha ragione…» rispose la giovane.
   Provò a sollevare il coperchio dello scrigno, ma non vi riuscì, per cui lo appoggiò sul pavimento e, levatasi un pugnale che portava legato alla cintura, lo utilizzò per sforzare la serratura del cofano. L’archeologo, con naturalezza, si portò alle sue spalle, senza insospettirla minimamente.
   Dopo un paio di minuti di lavoro, Mei Ying riuscì a far cedere lo scrigno e, apertolo, ne rivelò il contenuto, ossia un manufatto metallico, del tutto identico a quello che Von Beck aveva rubato a Jones, a Praga.
   Non appena ebbe visto con i propri occhi il pezzo dello Specchio, Jones agì, sapendo che, altrimenti, la sua sorte sarebbe stata segnata. Probabilmente, l’astuta ed imprevedibile cinesina avrebbe tentato di ucciderlo con il medesimo coltello con cui aveva appena concluso il proprio lavoro. Non si fermò neppure un momento a chiedersi se quello che stesse facendo fosse cavalleresco, perché adesso non c’era in ballo solamente la sua vita, bensì anche un prezioso ed antico manufatto che mai e poi mai sarebbe dovuto cadere nelle mani di un gruppo di cinesi facinorosi e di nazisti invasati.
   Con tutta la propria forza, l’avventuriero colpì con entrambe le mani chiuse a pugno Mei Ying alla parte posteriore della testa; la donna, colta completamente di sorpresa in un momento in cui non si aspettava di poter essere aggredita, cadde a terra senza un gemito, rimanendo immobile sul terreno.
   A Jones, un po’, dispiacque. Gli dispiaceva sempre, in realtà, quando una ragazza carina gli dava buca; figurarsi, allora, se una di quelle ragazze tramava per ucciderlo. Ma non poteva lasciarsi prendere dagli scrupoli di coscienza, perché sapeva che, diversamente, la diabolica orientale avrebbe avuto gioco facile nel toglierlo di torno.
   Rapido, tolse il pezzo di Specchio dal cofanetto e lo nascose nella propria borsa; poi, sfilato il cappello ancora grondante di acqua dalla cintura, lo indossò.
   Meditò sul fatto che, un momento prima, la ragazza avesse accennato al fatto di dover partire al più presto per Hong Kong; non era molto su cui basarsi, ma era già qualcosa. Avrebbe contattato Wu Han, chiedendogli di raggiungerlo là, poi insieme avrebbero pensato al da farsi.
   Gettò un’ultima occhiata all’armonioso corpo di Mei Ying, distesa ai suoi piedi come una supplice; molto probabilmente, i nazisti o i mercenari arabi l’avrebbero trovata. Si domandò cosa avrebbero potuto farle; forse nulla, essendo una degli agenti del loro alleato, oppure le avrebbero riservato un orrido supplizio, per far capire a Kai che non avrebbe dovuto dubitare di loro né cercare di violare il loro patto. La cosa, ormai, non lo riguardava. Non avrebbe avuto alcun rimorso di coscienza ad abbandonare al proprio destino la donna che aveva ricevuto l’incarico di eliminarlo.
   Perciò, Indiana Jones si girò, senza più guardare la giovane, e si avviò verso la piazza, non più interessato in alcun modo al leggendario palazzo di Belisario ed ai suoi segreti, desideroso solamente di riemergere alla luce del sole.

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Capitolo 8
*** Wu Han ***


8 - WU HAN

   Hong Kong

   Il disarmonico aeroplano bimotore atterrò con qualche scossone di troppo sulla pista erbosa dell’aeroporto di Hong Kong, illuminata dai raggi del sole calante. Il viaggio era durato quattro interminabili giorni e, a dirla tutta, non era stato per nulla confortevole, ma Indiana Jones era ben abituato, oramai, alle più diverse scomodità. Anzi, rispetto a certi suoi standard ormai quasi quotidiani, poteva addirittura definirlo piacevole.
   Dopo essere riuscito ad abbandonare la moschea, s’era confuso tra la calca vociante di Istanbul, senza avere più alcuna noia da parte dei tedeschi; a dire il vero, era stato veramente fortunato a non incontrarli: a quel punto, dovevano infatti avere trovato e liberato Von Beck, il quale non poteva che essere furibondo contro di lui. Quando avesse scoperto che era persino riuscito a sottrargli il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni, probabilmente avrebbe avuto un travaso di bile per l’ira.
   Aveva acquistato il primo biglietto aereo per Hong Kong, senza badare su che tipo di velivolo sarebbe dovuto salire, soprattutto perché, non avendo con sé molto denaro, era stato costretto a tirare sul prezzo; poi, aveva telegrafato all’amico Wu Han, raccontandogli per sommi capi la storia, in maniera che potesse già farsi un’idea di partenza della situazione e cercare chi potesse aiutarli, e chiedendogli di raggiungerlo nella colonia britannica.
   Certamente, Jones non si sarebbe mai immaginato di dover condividere il viaggio con un carico di polli urlanti e puzzolenti. Sperò di non dover mai più ripetere l’esperienza, in seguito.
   Ormai, comunque, era fatta, non avrebbe più dovuto pensarci. Spazzolandosi alcune piume dalle maniche, scese la scaletta del velivolo e si guardò attorno, cercando di individuare il vecchio amico nel mezzo della calca che affollava l’aeroporto. Alla fine, lo vide arrivare nella sua direzione dal fondo della pista, sorridente come sempre. Gli fece un cenno di saluto con la mano e gli mosse incontro.
   Metà olandese e metà cinese, Wu Han era nato nel 1900, un anno dopo Jones; la madre era una locandiera di Hong Kong, che lo aveva cresciuto da sola fino al compimento del suo quinto anno di vita, mentre del padre si sapeva solamente che era un marinaio olandese che, fatto scalo nell’importante porto, s’era invaghito della donna, salvo poi abbandonarla dopo solamente due giorni, quando il suo mercantile era salpato nuovamente. Due giorni che, però, erano stati sufficienti perché il piccolo Wu fosse concepito. Nel 1905, la madre di Wu s’era infine sposata, con il signor Han, un contrabbandiere, che aveva adottato il bambino come se fosse figlio proprio. La coppia, in seguito, aveva avuto parecchi figli, molti dei quali morti prematuramente; i sopravvissuti, però, avevano seguito le orme paterne, compreso Wu Han che, a partire dal 1918, ne era divenuto il braccio destro.
   Quando il signor Han era morto, ucciso da alcuni concorrenti, nel 1921, Wu Han, erede dell’imbarcazione paterna, una giunca, insieme a tre fratelli, aveva deciso di continuare la professione di contrabbandiere. Solamente che, nel maggio del 1922, mentre si trovava nelle isole Filippine per ricevere un carico di spezie da contrabbandare in Cina, il suo cammino s’era incrociato con quello del giovane Indiana Jones, giunto in quelle isole alla ricerca dell’Occhio del Pavone, un favoloso diamante sulle cui tracce l’allora studente di archeologia si trovava da ormai parecchi anni, da quando, cioè, ancora bambino, aveva intrapreso il giro del mondo con i genitori.
   Già a quel tempo, Jones poteva vantare un bagaglio di esperienze e di conoscenze non secondo a quello di uomini ben più importanti ed anziani; basti pensare che, appena ventitreenne, si era già imbattuto in diversi tesori ritenuti ormai perduti per sempre, aveva conosciuto personaggi del calibro di Pancho Villa, Theodore Roosevelt, Sigmund Freud, Mata Hari e Pablo Picasso, aveva preso parte a due rivoluzioni, quella messicana e quella russa, aveva prestato servizio come soldato durante la Grande Guerra ed era stato una spia della potenze Alleate verso la fine della stessa guerra. Non da ultimo, aveva collezionato persino una lunga sequela di amanti, degna di un uomo ormai vissuto, tra le quali, in giovanissima età, persino la nipote dell’imperatore d’Austria. In tutto ciò, era scampato alla morte, a volte per il rotto della cuffia, già decine di volte. Insomma, si poteva ben ritenere un uomo fatto e finito: eppure, incredibilmente, le sue più grandi esperienze, Indiana Jones doveva ancora viverle.
   Ed in quel periodo, il giovane Jones era ancora profondamente ossessionato dall’Occhio del Pavone; dopo averlo cercato in lungo ed in largo per anni, spesso in compagnia dell’amico Remy Baudouin, dal quale s’era separato in Nuova Guinea, Indiana aveva deciso di rinunciare per sempre a quel diamante tanto favoleggiato, spinto in questo anche dai saggi consigli del famoso antropologo Malinowski, il quale era riuscito a convincerlo a non sprecare la propria esistenza rincorrendo un fantasma. Eppure, non completamente guarito dalle brame di quel magnifico gioiello, nel ‘22, appena avuto sentore che il diamante fosse apparso alle Filippine, Jones s’era preso una vacanza dagli studi e vi si era recato. E qui, in una maniera piuttosto burrascosa, aveva fatto la conoscenza di Wu Han.
   I due ragazzi, contemporaneamente ma autonomamente, per motivi alquanto differenti, avevano pestato i calli alla persona sbagliata, un famigerato tagliagole dell’isola su cui si trovavano; il quale, deciso a sbarazzarsene, aveva sguinzagliato loro contro i propri uomini. Uniti nella fuga, i due giovani erano riusciti, infine, a mettersi in salvo sulla giunca di Wu Han.
   A quel punto, Jones aveva messo a conoscenza Wu Han della propria ricerca, pensando di potersi fidare di quel ragazzo che gli aveva appena salvato la vita; e non si sbagliava, infatti. Dimostrandosi collaborativo ed assetato di avventure quanto l’americano, Wu Han aveva deciso di aiutarlo nella sua impresa. Purtroppo, in quella occasione, dopo essersi inoltrati in fitte foreste, avere affrontato pericoli d’ogni sorta ed avere superato numerose insidie, i due giovani non erano riusciti ad approdare a nulla. Ciò che, però, maggiormente avevano ottenuto da quell’incontro, era stata la nascita di una profonda amicizia, che li avrebbe mantenuti uniti per sempre. Quindi, lasciatosi convincere da Jones ad abbandonare la vita del contrabbandiere per dedicarsi a qualcosa di più utile, Wu Han s’era trasferito in Europa, dove, dopo aver brillantemente superato gli esami, aveva ottenuto una laurea in scienze politiche. Appassionato anche di archeologia, grazie all’incontro con Jones, con cui aveva continuato a collaborare in quegli anni, aveva deciso di dedicarsi anche a questa materia, anche se senza ottenere alcun riconoscimento ufficiale.
   Nel 1929, era divenuto un agente dei servizi segreti cinesi, contribuendo a sventare diversi tentativi di colpo di stato, fino a quando, nel 1933, aveva deciso di ritirarsi dal servizio attivo, per tornare a dedicarsi all’archeologia; e fu in quello stesso anno che ebbe un nuovo incontro con Jones, il quale lo coinvolse in un’avventura in cui entrambi rischiarono più volte di rimetterci la vita. Nei due anni successivi, pur rimanendo sempre un agente dormiente dei servizi segreti, quindi pronto a tornare in servizio in ogni momento, qualora ve ne fosse stata necessità, aveva deciso di sbarcare il lunario tornando all’antica attività di contrabbandiere. Ed era stato mentre si apprestava a partire per ritirare una grossa quantità di merci da far uscire illegalmente dalla Cina che aveva ricevuto il telegramma di Jones, che lo invitava a raggiungerlo ad Hong Kong. Contento di poter condividere una nuova impresa col vecchio amico, aveva lasciato perdere tutto e si era recato nell’enclave dell’impero britannico.
   Aveva preso alloggio presso un alberghetto da quattro soldi, in attesa di andare ad incontrare l’amico all’aeroporto; e la sera dell’arrivo di Jones, poco prima di uscire per andargli incontro, aveva udito bussare alla propria porta e, apertola, si era ritrovato di fronte un uomo dall’aria distinta, che il suo allenato occhio da agente segreto riconobbe immediatamente per un gangster.
   Wu Han non aveva aperto bocca, lasciando all’altro la prima mossa. Credeva che quell’uomo fosse lo scagnozzo di qualcuno a cui, anni prima, avesse mandato a monte un qualche affare, mandato lì per compiere una qualche vendetta. Si sbagliava.
   «Il signor Wu Han?» chiese lo sconosciuto.
   «Sì» rispose il contrabbandiere, senza sbilanciarsi.
   «Mi manda Lao Che. Posso entrare?»
   Il cuore di Wu Han, a quelle parole, aveva perso un battito; Lao Che era senza dubbio il peggior gangster di Shanghai, un tipo da cui era assai preferibile girare alla larga. Ma, di sicuro, i due non si erano mai incontrati, né avevano avuto alcun motivo di screzio. Forse, quell’uomo non era lì per ucciderlo.
   «Prego» rispose.
   Si scostò per lasciare entrare lo sconosciuto e richiuse la porta. L’uomo andò a sedersi sul letto, mentre Wu Han rimase in piedi, guardingo, con le spalle alla parete e senza mai levargli gli occhi di dosso. Sapeva bene che, con certe persone, abbassare la guardia, anche per un solo istante, poteva significare la morte. Non disse altro, aspettando che fosse il nuovo venuto a spiegargli il motivo della sua visita inattesa.
   «Il signor Lao Che vorrebbe affidarle un incarico» spiegò l’estraneo. «Abbiamo saputo che lei, entro breve tempo, dovrà incontrarsi con il professor Jones, l’eminente archeologo. Il signor Lao è molto interessato alle doti da archeologo del suo amico.»
   Ciò significava, in pratica, che i gangster avevano in qualche modo intercettato il telegramma di Jones.
   «Se il signor Lao sa questo» rispose quindi Wu Han, «saprà anche che il dottor Jones vuole incontrarmi per un altro affare, molto delicato.»
   «Abbiamo letto la sua missiva, esattamente» rispose il forestiero, per nulla turbato di rivelare di aver compiuto un atto del tutto illecito. «Ed il signor Lao non pretenderà che lei ed il dottor Jones rinunciate al vostro lavoro. Non abbiamo potuto fare a meno di notare il nome di Kai, sul telegramma, ed il signor Lao sarà anzi ben felice se scoprirà che i piani di quell’uomo, suo antico rivale, siano stati vanificati dal vostro intervento. Pertanto, non vi ostacolerà, e lascerà che vi prendiate tutto il tempo che vi sarà necessario per portare a compimento la vostra missione. Tuttavia, immediatamente dopo, egli desidera che svolgiate un incarico anche per lui.»
   «Che genere d’incarico?»
   «Un recupero, nella fattispecie il recupero archeologico dell’urna cineraria di Nurhaci, primo imperatore della dinastia Manciù. Lao Che desidera averla.»
   «Mi dispiace, ma il dottor Jones è un archeologo che lavora per la scienza, non per la ricchezza personale. Per quanto denaro il signor Lao possa offrirgli, non accetterebbe mai di svolgere un simile lavoro.»
   L’uomo si portò rapidamente una mano ad una tasca interna della giacca. Per un attimo, Wu Han si irrigidì, convinto che stesse per prendere una pistola. Invece, ne tolse una semplice ed innocua fotografia.
   «Ma il signor Lao non offrirebbe denaro, al dottor Jones. Gli offrirebbe questo.»
   Passò la fotografia a Wu Han, che la prese e la osservò. Era la riproduzione in bianco e nero di una pietra preziosa molto grossa e finemente cesellata, probabilmente un diamante. Gli sorse un dubbio nella mente, ma volle che fosse l’altro a confermargli quei pensieri.
   «Che cos’è?» domandò.
   «Sa bene di che cosa si tratta, signor Wu Han. Il dottor Jones lo sta cercando da tutta la vita, e lei stesso lo ha aiutato nella sua ricerca.»
   «L’Occhio del Pavone…» mormorò Wu Han.
   L’uomo, senza rispondere, si alzò dal letto e si avviò verso la porta.
   «Resterò in attesa di risposta al Loto d’Oro, in centro a Hong Kong. Spero che non deluderete le aspettative del signor Lao Che.»
   «Lo spero anch’io…» rispose Wu Han, mentre la porta si richiudeva.
   Quindi, infilata la fotografia nel taschino della camicia, era corso in tutta fretta all’aeroporto, arrivandovi giusto in tempo per vedere atterrare l’aereo dell’amico e muovergli incontro.
   I due vecchi compagni d’avventura si incontrarono a metà strada, lungo la pista accidentata, e si strinsero in un abbraccio fraterno.
   «Indy, quanto tempo» salutò Wu Han.
   «È un piacere rivederti» rispose Jones. «Sono contento che tu abbia risposto subito al mio invito.»
   «Credevi forse che mi sarei lasciato scappare l’occasione di una nuova impresa in tua compagnia? Ultimamente, dalla noia, mi ero rimesso a fare il contrabbandiere.»
   I due si avviarono verso l’uscita dell’aeroporto.
   «Allora, hai letto bene quello che ti ho scritto? La faccenda di Kai e della sua assistente, dei nazisti, dello Specchio dei Sogni e tutto il resto?» domandò Jones, non appena si furono trovati a camminare lungo le strade trafficate e caotiche di Hong Kong.
   «Sì, e se devo essere sincero con te, non ne avevo mai udito parlare. Però, ho qualche conoscenza, tra gli accademici, ed ho approfittato del tempo che ti sarebbe servito per arrivare da Istanbul facendo qualche domanda. È tutto vero, a quanto pare. Lo Specchio dei Sogni sarebbe l’unico oggetto in grado di guidare alla cripta di Qin. In che modo, esattamente, non lo sa nessuno, ma sembra che, penetrare nella tomba, non sia sufficiente a trovare la strada per la sepoltura vera e propria. Lo Specchio sarebbe come… come una bacchetta da rabdomante per arrivarci, ecco. Così, almeno, dicono le leggende.»
   «Be’, se i nazisti e Kai stanno impegnandosi tanto per rimetterlo insieme, qualcosa di vero dev’esserci» commentò Jones, pur mantenendo la sua solita mancanza di fede verso qualsiasi cosa che non fosse possibile spiegare razionalmente. «A proposito, hai scoperto qualche cosa di più, su questo Kai?»
   «Ho un contatto, che ci attende al Loto d’Oro, un locale notturno della città, che ti spiegherà tutto quello che c’è da sapere, riguardo Kai.»
   «Possiamo fidarci, di questo tuo contatto?» chiese Jones con un accenno di dubbio, dato che, ultimamente, aveva preso l’abitudine a non fidarsi più di nessuno.
   «Assolutamente» lo confortò Wu Han. «È una mia vecchia conoscenza, un membro dei servizi segreti, abbiamo lavorato più volte insieme. Ripongo in quella persona la medesima fiducia che ripongo in te, stanne certo. Però, questo devo dirtelo, al Loto d’Oro c’è anche un altro individuo, ad attenderci, e di costui non sono molto sicuro di potercene fidare, anzi dobbiamo guardarcene bene.»
   «E chi diavolo è?» sbottò Jones.
   Era pronto a tutto. Negli ultimi giorni aveva affrontato troppi pericoli per lasciarsi intimidire da una persona sola.
   «Chi sia, con esattezza, non lo so. Ma so che lavora per Lao Che…» cominciò Wu Han.
   «Lao Che? Lao Che, il gangster di Shanghai?» lo interruppe Jones.
   «Sì, proprio quel Lao Che. Perché, lo conosci?» si stupì Wu Han.
   «Ho avuto il dubbio piacere di fare la sua conoscenza, un paio di anni fa. Stavo venendo ad incontrarmi con te, se ben ricordi. Non è stato piacevole. Che diamine c’entra Lao, con tutta questa faccenda? Non ce lo vedo proprio, a fare il cocco dei nazisti.»
   «No, infatti. Lao non ha nulla a che vedere con questa storia. Ma è riuscito a sapere del tuo arrivo, e vorrebbe affidarti un incarico, non appena sarai libero. Ha detto, però, che prima ti lascerà fare quello che devi; a quanto pare non corre buon sangue, tra lui e Kai, e chiunque tenti di mettergli i bastoni tra le ruote gli fa un favore.»
   «Bah. Ciò mi chiarisce una volta di più che Kai è un brutto personaggio, se ha in qualsiasi modo a che fare con gente di tale risma. E che cosa diamine vorrebbe da me, il vecchio Lao?»
   «Il recupero archeologico dell’urna cineraria di Nurhaci, il…»
   «Il primo imperatore della dinastia Manciù» completò Jones, con la sua solita competenza. «Be’, Cristo santo, Lao può scordarselo. Non se ne parla proprio. Sono un archeologo, non un predatore di tombe. Lavoro in nome della scienza: tutti i reperti di cui vengo in possesso voglio che vengano studiati accuratamente, per poi finire in un museo a disposizione del pubblico e degli storici, non in una collezione privata. Per certe cose, dovrebbe rivolgersi a quel piantagrane di Belloq, lui sarebbe ben contento di accontentarlo, in cambio di pochi spiccioli.»
   «Sapevo che avresti risposto così, e lo sapeva anche l’uomo di Lao. Per questo, mi ha chiesto di mostrarti una fotografia. La tua ricompensa nel caso, cambiando parere, accettassi l’incarico.»
   «Una fotografia…?» fece Jones senza capire.
   Allungata una mano, prese il cartoncino che Wu Han gli porgeva e strabuzzò gli occhi. Il cuore gli balzò in gola e fu costretto a fermarsi perché, se avesse continuato a camminare, avrebbe rischiato di perdere l’equilibrio e sarebbe certamente caduto. Lo aveva visto riprodotto in troppe illustrazioni per pensare di potersi sbagliare. Ma, fino ad allora, erano sempre stati disegni, mai fotografie tanto nitide e chiare. Eppure, eccolo proprio lì, l’Occhio del Pavone; così magnifico da essere certi di non confondersi con un falso neppure attraverso una semplice riproduzione sulla carta stampata.
   «Non posso crederci» quasi gridò.
   «E, invece, dovresti, perché la foto mi pare autentica» rispose Wu Han che, per aspettarlo, si era a sua volta fermato. «Lao gioca sporco, si sa, ma non millanta mai ricchezze che non possiede. Non è nel suo carattere. Non l’ho mai incontrato, per mia fortuna, ma ho sentito molto parlare di lui, quando lavoravo per l’intelligence. Se dice di essere in possesso qualcosa, significa che è vero. C’era un detto, tra gli agenti segreti: “Se Lao vuole qualcosa, è già suo; e chi cerca di impedirglielo, è già morto”. Era il cruccio di tutti gli agenti che gli stavano addosso, perché significava, in parole povere, che non avrebbero mai potuto fare nulla per fermarlo. Non ti immagini neppure quanti amici ho visto morire, uccisi dai suoi sgherri, senza che lui potesse mai essere incriminato di alcunché. E, infatti, spadroneggia ancora come se fosse il vero ed unico padrone di Shanghai.»
   «Ma come diavolo avrà fatto Lao Che ad entrarne in possesso?» si chiese Jones, riprendendo il cammino.
   «Ha più uomini di quanti tu possa immaginare» spiegò Wu Han, al suo fianco. «E, quando vuole che qualcuno lavori per lui, sa come convincerlo.»
   «Lo credo bene» borbottò Jones.
   Non riusciva a staccare gli occhi dalla fotografia. Il sogno di una vita era lì, davanti a lui. Gli sembrava quasi di poterlo già stringere tra le mani. Gli vennero in mente suo padre, Oxley ed Abner: ciascuno con la propria passione ossessiva. Lui, che aveva avuto il coraggio di lamentarsene, ne aveva addirittura due: la croce di Coronado e l’Occhio del Pavone. E, per quest’ultimo, sarebbe stato anche capace di contravvenire alla propria morale. Ma solamente fino ad un certo punto.
   «Va bene» disse in maniera risoluta. «Incontreremo l’uomo di Lao e gli confermeremo che, in cambio del diamante, troveremo Nurhaci e glielo porteremo. Ma, prima, dovrà lasciarci tutto il tempo per risolvere l’altra nostra faccenda, poiché non voglio lasciare un lavoro a metà. Anche perché, dopo aver avuto l’Occhio del Pavone, la Cina diventerà per noi un luogo invivibile, e dovremo affrettarci a tornare negli Stati Uniti. E tu, vecchio mio, questa volta dovrai venire con me, per forza di cose.»
   «Perché, cosa intendi combinare?» domandò Wu Han, con una certa inquietudine.
   «Ho detto che porteremo Nurhaci a Lao, ma non che glielo lasceremo tenere. Una volta avuto e messo al sicuro il diamante, ci riprenderemo anche l’urna e la porteremo con noi, in maniera che possa venire conservata in un qualche museo. Ci penserà poi il governo degli Stati Uniti a trattare con quello cinese per la gestione del nostro amico Nurhaci. Lao, però, non sarà affatto felice della piega che prenderanno le cose, quindi anche tu, a quel punto, dovrai venire via con me.»
   «Non so, Indy, tu la fai facile, ma Lao è uno degli uomini più pericolosi della Cina, non so come potremmo cavarcela giocandogli un simile scherzo» tentennò Wu Han.
   «Come sempre abbiamo fatto» rispose Jones, con un’alzata di spalle. «Un po’ prepareremo in anticipo, un po’ improvviseremo sul momento. Ma ci penseremo al momento giusto. Per ora, dobbiamo concentrarci sulla faccenda dell’altro imperatore. Per cui, andremo dall’uomo di Lao Che e gli diremo di dire al suo capo di aspettare, perché al momento siamo occupati.»
   «Mah, se lo dici tu. Ma, chissà perché, ho un brutto presentimento» fece Wu Han, cupamente.
   «Allegro» replicò Jones. «Un normalissimo recupero archeologico ed una fuga concitata non saranno nulla, in confronto a quanto ci accingiamo a fare. Chissà perché, ho come l’impressione che i pericoli maggiori non siano ancora cominciati.»
   «Magari, invece, non incontrerai mai più né i tedeschi né, tantomeno, quel Kai» provò Wu Han.
   «Non sperarci troppo» commentò Jones, con sarcasmo. «Ricordati che ho io il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni, ed i nazisti lo sanno perfettamente. Non mi lasceranno troppo in pace, quelli.»
   Si recarono all’albergo di Wu Han, dove entrambi indossarono un abito elegante, in quanto era necessario un vestito da sera per poter entrare al Loto d’Oro; Jones aveva con sé una valigia, acquistata ad Istanbul, con qualche oggetto da toilette, un po’ di biancheria di scorta, una camicia, una giacca di tweed, un gilè ed un papillon, tutta roba poco costosa acquistata sempre in un negozio della città turca, ma non aveva nulla che si potesse adattare ad un locale come il Loto d’Oro, per cui Wu Han, mentre lo aspettava, aveva provveduto a procurargli un completo composto da giacca bianca, panciotto, pantaloni e papillon neri, e camicia bianca. Come tocco aggiuntivo, gli aveva procurato un garofano rosso da applicare all’occhiello.
   Lasciarono nella camera la loro roba, poi scesero a mangiare qualcosa nello scadente ristorantino dell’albergo. Infine, furono pronti a partire per andare al loro doppio appuntamento.
   Ormai, era quasi arrivato il momento della verità.
   Dopo aver percorso un paio di chilometri lungo le vie affollate di Hong Kong, sempre più buie mano a mano che la notte montava, Wu Han fece un gesto in direzione di un vicolo umido e sporco. Vi svoltarono e si trovarono di fronte una strada senza uscita; in una parete, si apriva una porticina di metallo sopra la quale un’insegna, scritta in caratteri cinesi ed in inglese, indicava che, quello, era il night club Loto d’Oro. Entrarono.
   L’ingresso consisteva in un corridoio fumoso, che conduceva ad un ampio salone, circondato da palchetti sopraelevati, su cui si trovavano tavolini da dove gli avventori osservavano uno spettacolo sul palcoscenico: donne cinesi in costume tradizionale che danzavano e recitavano qualcosa che, dalla sua posizione, Jones non riuscì a comprendere.
   Venne loro incontro un cameriere.
   «Onorevoli signori» li salutò. «Avete una prenotazione? Purtroppo, siamo al completo.»
   «Sì, dobbiamo incontrarci con una persona al palco numero due» rispose Wu Han. «Ma, prima, dovremmo vedere un uomo, anche se non ne conosco il nome.»
   «Oh, certo, il signore di Shanghai ha detto che, probabilmente, sarebbero giunti due signori, di cui uno americano, a chiedere di lui. Prego, seguitemi.»
   Il cameriere fece loro strada, conducendoli verso una porticina laterale e, poi, attraverso vari corridoi su cui s’aprivano diversi salottini privati. Si fermarono dinnanzi ad una porta chiusa, a cui l’ometto diede tre bussate.
   «Avanti» rispose una voce dall’interno.
   La porta fu aperta ed i tre uomini entrarono. All’interno, la stanza, priva di finestre e dalle pareti rivestite di legno scuro, era ammobiliata secondo lo stile cinese, con mobiletti laccati e lampade velate da carte velina. Seduto ad un tavolo, con una ragazza sulle ginocchia, c’era il gangster di Lao Che.
   «Ah, sì, il signor Wu Han ed il dottor Jones. Prego, accomodatevi» disse l’uomo, accennando con la testa a due sedie vuote, mentre il cameriere, con un inchino, se ne andava.
   «Vattene» disse poi il gangster alla ragazza, che fu così lesta a lasciare la stanza, da farlo prima ancora che Jones e Wu Han si fossero seduti.
   «Allora, signori, immagino che siate qui per parlare d’affari» disse il gangster, non appena si furono trovati da soli. Indicò una bottiglia di champagne ancora tappata che era poggiata sul tavolo e dei bicchieri: «Qualcosa da bere?»
   «Non per me, grazie» rispose Jones, mentre anche Wu Han scuoteva la testa.
   «Molto bene» replicò il gangster. «Allora, dottor Jones, immagino che il signor Wu Han le avrà parlato dell’incarico che il signor Lao vorrebbe affidarle.»
   «Sì» rispose Jones. «Il recupero dell’urna cineraria di Nurhaci. Immagino, quindi, che la tomba sia stata individuata.»
   «Esattamente» disse il gangster. «Ma questi dettagli glieli fornirà il signor Lao. Intende incontrarla di persona, prima di rivelarle tutti quanti i particolari. Compreso quello sulla sua ricompensa.»
   «L’Occhio del Pavone» mormorò Jones. Si piegò in avanti: «Ma, allora, è vero?» chiese.
   «Temo proprio di sì, dottor Jones. Il signor Lao è entrato in possesso del diamante all’inizio di quest’anno. Per lui, tuttavia, esso non ha alcun valor affettivo, al contrario di Nurhaci. Quindi, è ben disposto a consegnarglielo, in caso di un suo successo.»
   «Come l’ha avuto?» domandò l’archeologo.
   «Non credo di essere autorizzato a rivelare più di quanto mi sia stato ordinato di riferirle, dottor Jones. Ovviamente, se non ne sarà troppo intimorito, potrà rivolgere questa domanda direttamente al signor Lao, quando vi incontrerete a Shanghai» fu la risposta.
   «E va bene. Però - come Wu Han mi dice che già lei e Lao Che sapete - prima di accettare l’incarico dovrò portarne a compimento un altro.»
   «Il signor Lao lo sa e non vuole farle alcuna fretta, dottor Jones. Ciò nonostante, mi sento di darle un consiglio: il signor Lao non è un uomo paziente, non lo è mai stato. Pertanto, e questo è il mio consiglio, non lo faccia attendere troppo.»
   «Il signor Lao aspetterà il tempo necessario» rispose stizzito Jones, alzandosi, subito imitato da Wu Han. «Accetto l’incarico, ma lo svolgerò appena mi sarà possibile. Se lei avrà la bontà di attendere qui ad Hong Kong, a cose fatte io e Wu Han verremo a riferirle di essere pronti e di comunicare a Lao quando potremo incontrarci. Ma non voglio che mi venga messa alcuna fretta.»
   «Io le ho solo dato un consiglio spassionato, dottor Jones. Attenderò lei ed il suo amico non qui ad Hong Kong, ma direttamente a Shanghai, al Club Obi Wan, dove potrete incontrare anche il signor Lao in persona per definire i dettagli del suo incarico. Arrivederla» salutò il gangster, indicando la porta.
   I due uomini se ne andarono, seguendo i corridoi da cui erano sopraggiunti. Nessuno dei due disse una parola, fino a quando non furono giunti nuovamente all’ingresso.
   «Ed ora, dove dobbiamo andare? Dov’è il tuo uomo?» domandò Jones.
   «Palco numero due. A quest’ora ci sarà già. Da questa parte, seguimi» rispose Wu Han.
   Salirono una scalinata e raggiunsero un corridoio, rivestito anch’esso di legno come tutto il resto del locale, lungo il quale si aprivano diverse porte, quelle dei palchetti da cui si poteva godere di una buona visuale sul palcoscenico sottostante.
   Superarono la prima e si fermarono dinnanzi alla seconda, che era chiusa.
   Wu Han pose la mano sulla maniglia ma, prima di abbassarla, sussurrò: «Il mio contatto, però, non è un uomo. È un membro dei servizi segreti, ma non ti ho specificato che si tratta di una donna.»
   Prima che l’altro avesse modo di replicare, spinse la maniglia e spalancò completamente la porta.
   Seduta al tavolo, dando le spalle al palcoscenico e guardando fissa verso di loro, vestita di uno splendido abito di raso bianco e rosa che ne faceva risaltare incredibilmente la bellezza, c’era Mei Ying. Nello scorgerla, Jones strabuzzò gli occhi. Si volse immediatamente verso Wu Han.
   «Sarebbe lei, il tuo contatto?» tuonò, completamente sorpreso. «Mi devi qualche spiegazione.»
   «Be’, sì, certo, Indy» borbottò l’amico. «Stavo giusto per accennartene…»
   Mei Ying s’era alzata per accoglierli.
   «Se sarà così cortese da sedersi senza fare storie, e senza colpirmi nuovamente, avrà tutte le spiegazioni che desidera, dottor Jones.»
   E con un cenno della mano indicò due sedie al proprio tavolo.

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Capitolo 9
*** All'insegna del Loto d'Oro ***


9 - ALL’INSEGNA DEL LOTO D’ORO

   Jones scrutò con sospetto Mei Ying, ma, dato che cominciava a non capirci più nulla, decise di mettersi a sedere e sentire che cosa avesse da dirgli. Insomma, se Wu Han aveva accettato di incontrarla doveva pur significare qualcosa. Quello che gli sfuggiva, però, era come potesse trovarsi lì.
   «Che diamine ci fai qui?» domandò Jones. «Credevo di essermi sbarazzato definitivamente di te, ad Istanbul.»
   La giovane fece un sorrisetto malizioso.
   «Dottor Jones, non è sufficiente una botta in testa per potermi fermare. Sono stata addestrata a sopportare privazioni d’ogni sorta. L’ho seguita fuori dal palazzo di Belisario e l’ho veduta spedire quel telegramma. Non appena lei se n’è andato, ho convinto l’impiegato a mostrarmene il contenuto. Il caso ha voluto che lei si fosse messo in contatto con Wu Han, un nostro comune e vecchio amico. Così, immediatamente, ho telegrafato a Wu, chiedendogli d’incontrarci qui, ma di non avvisarla della mia presenza.»
   Accennò a Wu Han, che annuì.
   «È andata così» disse il contrabbandiere. «Ti avrei informato di tutto, Indy, ma il tono di Mei Ying era molto urgente, quindi non ho voluto disobbedirle.»
   «E va bene» borbottò Jones. «Ma che diavolo sta succedendo? Che Wu Han sia un ex agente dei servizi segreti lo so perfettamente, ma tu… non pensare di mettermi nel sacco facilmente, dolcezza. Ho trovato una lettera di Kai indirizzata a Von Beck, e sembravano due amiconi.»
   «All’inizio, dottor Jones, non volevo coinvolgerla troppo» spiegò la ragazza. «L’idea di contattarla è stata di Kai, non certo mia. Dato che, però, ormai era implicato anche lei, ho pensato di ricorrere al suo aiuto nel recupero dello Specchio. Le avrei rivelato tutta la verità ad Istanbul, ma lei non me ne ha lasciato il tempo. Adesso, però, le racconterò ogni cosa.»
   «Sentiamo» bofonchiò Jones. «Ma non cercare di imbrogliarci, perché abbiamo affrontato gente ben peggiore di te, noi due.»
   Guardò Wu Han diritto negli occhi, come a cercarne una conferma. Dopo un momento di imbarazzo, il contrabbandiere disse: «Certo, certo. Ma, Indy, posso assicurarti che Mei Ying è una persona di cui ci possiamo fidare pienamente, la conosco da quando sono entrato nei servizi segreti.»
   «Uh, i servizi segreti» sbottò Jones, ironicamente. «Anch’io ne ho fatto parte, durante la Grande Guerra, cosa credi? Ed in quell’occasione ho imparato una cosa: ogni agente lavora da solo. Non si sa mai nulla di preciso, sugli altri agenti. E non bisogna fidarsene, quando li si incontra. Ognuno è pronto a tutto pur di portare a termine il proprio compito, pure di sbarazzarsi dei colleghi. Quindi, guardati da questa viperina in gonnella.»
   Wu Han non replicò, mentre Mei Ying parve offesa.
   «Se non vuole concedermi la sua fiducia e non è intenzionato a collaborare con me, dottor Jones, posso anche andarmene. Ma, prima, lei dovrà consegnarmi il terzo pezzo dello Specchio» disse, stizzita.
   «No» fece Jones, con tono duro. «Dimmi tutto quello che devi dirmi, poi deciderò. In quanto al pezzo dello Specchio, be’ dovrai sudartelo, se non riuscirai a convincermi.»
   Mei Ying lo scrutò di sottecchi per qualche istante, poi riprese la parola.
   «Sono entrata nei servizi segreti una quindicina di anni or sono, quando ero poco più che una bambina; in questo modo, ho potuto ricevere un addestramento speciale, molto più specifico e mirato rispetto a quello riservato agli altri agenti. Ciò, ha fatto di me un personaggio chiave nella lotta alla Triade del Drago Nero, il più potente ed antico sindacato criminale della Cina. Sono stata inviata segretamente nella loro roccaforte, sulla cima della montagna di Penglai…»
   «La montagna di Penglai!» sbottò Jones. «Questo è troppo. Posso accettare di essermi imbattuto in un luogo leggendario come il palazzo sotterraneo di Belisario, ad Istanbul, ma addirittura la montagna di Penglai… via, non è possibile.»
   «Lei, dunque, conosce la leggenda della montagna, dottor Jones?» chiese Mei Ying.
   «A grandi linee. Come ti ho già detto una volta, non sono propriamente un esperto, per quanto riguarda la mitologia e la storia dell’Estremo Oriente. Non ne so molto.»
   «Mi dica quello che sa, prego» lo invitò la ragazza.
   «Ebbene, correggimi se sbaglio, ma, da quel che ho avuto modo di leggere, la montagna di Penglai era un luogo leggendario, una specie di Paese di Cuccagna, con palazzi d’oro, alberi sui cui rami crescevano gioielli e, ovunque si volgesse lo sguardo, cibo e vino inesauribili. Sarebbe stata la sede degli Otto Immortali, personaggi, in parte storici ed in parte inventati dalla fantasia popolare, simboleggianti ogni aspetto della società cinese. Se non ricordo male, il nostro amico Qin Shi Huang, ossessionato dall’idea di diventare immortale, inviò un proprio servitore, chiamato Xu Fu, alla ricerca dell’isola su cui sorgeva la montagna di Penglai, affinché gli portasse da quel luogo la ricetta che gli avrebbe conferito la vita eterna. Xu Fu non fece mai ritorno, verosimilmente per evitare di incorrere nelle ire dell’imperatore, non avendo trovato egli ciò che era stato mandato a cercare, e si presume che sia poi sbarcato in Giappone, dove fondò una comunità. Non so altro, riguardo a queste vecchie leggende.»
   «Non si tratta solamente di leggende, dottor Jones. La montagna di Penglai, infatti, esiste realmente, è situata sopra un’isola, in un punto del Mar Giallo lontano dalle rotte abituali. Come lei ha giustamente detto, Xu Fu non fece mai ritorno, ma non giunse nel Giappone come oggi asseriscono molti storici. Egli trovò realmente la montagna di Penglai e decise di trasferirvisi, fondando una comunità che, col tempo, prese il nome di Triade del Drago Nero. Col trascorrere dei secoli, i membri della comunità divennero spietati criminali, anche se i loro intrighi furono quasi sempre limitati. Almeno, fino ad oggi. Vent’anni fa, infatti, è divenuto nuovo comandante della Triade Kai Ti Chang , un ex ufficiale dell’esercito imperiale cinese; ed egli, fin dal principio, ha dimostrato di non essere interessato ai semplici crimini messi in atto dalla Triade del Drago Nero nel corso dei secoli. Egli, in realtà, vuole servirsene per portare a termine il proprio scopo: rovesciare il governo repubblicano e restaurare quello imperiale in cui egli, però, rappresenterebbe il fondatore di una nuova dinastia regia, in sostituzione a quella precedente.»
   «Kai dev’essere pazzo, se pensa di poter portare a termine un piano del genere» commentò con sarcasmo Jones, mentre Wu Han, al suo fianco, annuiva in accordo con lui.
   «Non ne sia così sicuro, dottor Jones» lo fermò Mei Ying. «Kai possiede i mezzi per riuscirci, approfittando anche della debolezza dell’attuale governo, causata dalle pressioni dei comunisti e dei giapponesi. Per questo, fui inviata presso di lui, per poterlo tenere d’occhio e cercare di ostacolarlo in segreto. Sono riuscita ad entrare nelle sue grazie, fino a divenire quella che egli crede la persona a lui più fedele. Avrei potuto ucciderlo innumerevoli volte, ma non ho potuto agire liberamente, in quanto ho ricevuto ordini chiari in merito; la sua morte violenta, infatti, potrebbe causare più problemi di quanto si possa immaginare, poiché i suoi numerosissimi accoliti scatenerebbero di sicuro un’aperta rivolta per vendicarlo. Tuttavia, agendo discretamente e senza mai scoprire le mie carte, sono sempre riuscita a mantenerlo nell’impossibilità di dare avvio al suo progetto. Fino a quando è successo qualche cosa che non mi sarei mai immaginata…»
   «Lasciami indovinare: Kai ha stretto un’alleanza con i nazisti» disse Jones.
   «È così, infatti» confermò la ragazza. «Kai è riuscito a convincerli dell’importanza del Cuore del Drago, che renderebbe possibile la conquista del mondo intero. Hanno stretto un patto, che prevede la nascita di due grandi blocchi: il mondo occidentale sotto il controllo dei tedeschi, quello orientale sotto il dominio assoluto di Kai.»
   «Sono folli, matti da legare, se pensano davvero che una vecchia perla nera possa rendere possibile una cosa del genere» sbottò l’archeologo.
   «Purtroppo, nessuno conosce tutta la verità, riguardo al Cuore del Drago. Le antiche leggende potrebbero essere davvero solamente leggende, ma non ne siamo del tutto sicuri. Dobbiamo, quindi, impedire il recupero del Cuore da parte di Kai e dei nazisti. Come ormai ben saprà, l’unico modo per accedere alla cripta in cui il Cuore è custodito, è l’utilizzo dello Specchio dei Sogni; come esso funzioni, non è chiaro, ma bisogna evitare ad ogni costo che Kai lo ricostruisca. Kai, non disponendo dei mezzi necessari, lasciò che fosse Von Beck ad occuparsi del recupero delle tre parti, fornendogli tutte le indicazioni su dove poterlo recuperare. Tuttavia, quando lei s’è messo casualmente di mezzo a Ceylon, Kai ha visto la propria opportunità per liberarsi definitivamente dei nazisti, ai quali s’è alleato solamente per convenienza. La sua intenzione, difatti, è sempre stata, sin dal principio, quella di tradire i tedeschi alla prima occasione buona. Quindi, quando è venuto da lei con la scusa di recuperare personalmente il pezzo di Specchio ritrovato a Ceylon, ha creduto di essersi imbattuto nella persona adatta al recupero del manufatto conservato a Praga. Effettivamente, aveva ragione, dato che lei è riuscito a farcela. Io avrei dovuto seguirla e, appena lo avesse avuto tra le mani, avrei dovuto ucciderla e sottrarle il pezzo di Specchio; poi, avrei dovuto recarmi ad Istanbul a completare l’operazione. Ma i tedeschi, alla fine, sono riusciti a catturarla, il che è stato il panico per Kai, il quale ha creduto di essere ormai stato scoperto: se lei avesse rivelato il nome del suo committente, sarebbe stata la fine per lui. E, con un terzo di Specchio nelle mani di Von Beck e lo scavo nel palazzo di Belisario già avviato, egli veniva a trovarsi in una sgradevole posizione. Quindi, dopo avermi ordinato di seguire immediatamente i nazisti per scoprire dove l’avrebbero condotta ed ucciderla prima che potesse svelare la verità, si è affrettato a scrivere quella lettera al maggiore, quella che lei ha letto, attraverso la quale non solo è riuscito astutamente a discolparsi, ma ha anche fatto finire i nazisti dalla parte del torto. Comunque, quando a Istanbul l’ho liberata, mi sono scoperta e, ormai, Kai saprà che l’ho tradito. Non posso più tornare da lui come se nulla fosse, perciò dobbiamo agire in fretta.»
   «Ossia? Che cosa dovremmo fare, adesso, Mei Ying?» domandò Wu Han.
   «Una cosa molto semplice. Raggiungere la montagna di Penglai, penetrarvi senza essere visti, trafugarne i due pezzi dello Specchio dei Sogni in mano a Kai e tornarcene a casa.»
   «Detta così, effettivamente, sembra facile» commentò Jones.
   «Tuttavia, la fortezza di Kai si trova a duemilacinquecento metri di altezza, al di sopra di un picco scosceso e quasi inaccessibile, battuto da costanti venti impetuosi. Per raggiungerla, l’unico modo è utilizzare una funivia che si diparte da una base segreta dei tedeschi che Kai ha permesso loro di costruire ai piedi della montagna» spiegò la ragazza.
   «Ah, ecco» bofonchiò Jones. «Mi sembrava che ci fosse la fregatura.»
   «Purtroppo, dottor Jones, questo è l’unico modo che abbiamo per riuscire nell’intento di impedire a Kai ed ai tedeschi di entrare nella cripta» disse Mei Ying.
   «Non è vero. C’è un’altra via, da poter seguire» la corresse Wu Han.
   «Esatto» confermò Jones. «Kai e Von Beck hanno solo due pezzi, dello Specchio. Il terzo, invece, è al sicuro in mano mia. Il che significa, mia cara, che sarebbe sufficiente che io portassi il pezzo con me negli Stati Uniti, dove potrei provvedere a celarlo per sempre o, meglio ancora, potrei distruggerlo in maniera definitiva. Quindi, addio Specchio dei Sogni ed addio Cuore del Drago.»
   Mei Ying sospirò.
   «Questa potrebbe essere una buona soluzione per lei, dottor Jones, ma non per me. Non posso più tirarmi indietro. I miei ordini, adesso, sono in parte mutati. Devo impedire a Kai ed ai tedeschi di trovare il Cuore, ma solo per poter essere io stessa ad impossessarmene. I miei superiori, infatti, vedendo la situazione tragica in cui sta volgendo la Cina in questo momento, hanno deciso di giocarsi il tutto per tutto, per salvare la repubblica, anche ricorrendo ad antichi manufatti magici. Si sono convinti che il Cuore altro non sia che una sorta di catalizzatore di energie, attraverso il quale sarebbe possibile sviluppare un’arma per sconfiggere gli eserciti nemici. Ritengono che, ormai, questa sia l’unica possibilità rimasta per fermare gli invasori giapponesi e gli insorti agli ordini del comunista Mao Tse-tung. Quindi, una volta riassemblato lo Specchio dei Sogni, dovrò comunque penetrare nella tomba dell’imperatore per portare a termine la ricerca.»
   «La follia sta dilagando» brontolò Jones. «Catalizzatore di energie, armi… il mondo sta precipitando nell’abisso, e lo credo bene, se i governanti sono pazzi del genere. Ci trascineranno verso una guerra nuova e, forse, anche peggiore dell’ultima, dannazione.»
   «Dottor Jones, io ho ricevuto ordini a cui obbedire, non sono qui per mettere in discussione gli equilibri internazionali. Voglio solo che lei mi consegni quanto mi deve» disse Mei Ying con una certa asprezza.
   «Io non ti devo proprio nulla, dolcezza» fece Jones, alzandosi in piedi.
   Accennò con la testa a Wu Han, poi aggiunse: «E se tu avessi un briciolo di cervello, anziché obbedire ad ordini del genere, faresti come il nostro amico, qui, che ha lasciato il servizio per dedicarsi a qualcosa di meglio. Distruggerò il mio pezzo dello Specchio dei Sogni e addio.»
  Anche Wu Han s’era alzato, guardando ora Indiana Jones ed ora Mei Ying, che invece era rimasta seduta al proprio posto. Sembrava che non sapesse più cosa fare: andare con il vecchio amico, con cui aveva condiviso tante avventure, o rimanere con la collega? Decisamente, avrebbe seguito Jones, anche se non gli piaceva dover abbandonare Mei Ying in quella maniera.
   Jones si avviò verso la porta ed afferrò la maniglia.
   «Non sia irragionevole, dottor Jones» lo ammonì la ragazza.
   «Irragionevole?» ripeté l’archeologo, fermandosi e voltandosi per guardarla. «Mi pare di essere l’unico, tra Kai, i tedeschi, i tuoi capi e tu stessa, ad avere conservato ancora una qualche capacità di ragionamento.»
   «Qui lei non è in America, ma in Cina. Se ne faccia una ragione. Alla Triade del Drago Nero non occorrerà molto tempo per trovarla, forse sanno già che si trova qui. La uccideranno e le sottrarranno il pezzo di Specchio. Le assicuro che sarebbe molto più logico consegnarlo a me, che so come eludere la loro sorveglianza.»
   «E poi?» domandò Jones. «Che cosa vorresti fare, dopo? Entrare da sola in quella base nazista, dare la scalata alla montagna e rubare gi altri due pezzi in mano a Kai?»
   «Esattamente, dottor Jones. Da questo momento in avanti, non le darò torto, se non vorrà più aiutarmi. Lei ha fatto anche troppo, molto più di quello che le compete. Ma, per favore, mi consegni il pezzo di Specchio. Spero bene che lo abbia condotto con sé, stasera.»
   «Non sono uno sprovveduto, dolcezza» brontolò Jones, portandosi una mano alla tasca interna della giacca, dove si trovava il pezzo dello Specchio. «Io..»
   Ma non gli riuscì di concludere la frase perché, in quello stesso momento, la porta di cui stringeva ancora la maniglia fu violentemente spalancata, mandandolo a ruzzolare contro il tavolo. Mei Ying scattò in piedi e si gettò di lato, appena in tempo per evitare un grosso pugnale che le era stato lanciato contro e che andò a perdersi oltre la balaustra. Cinque uomini fecero irruzione nella stanza, armati di grosse spade.
   Wu Han, pronto a tutto, colpì con un pugno quello che gli era più vicino, mentre Jones, riavutosi dalla sorpresa, ne afferrava un altro per le gambe, facendolo capitombolare. La ragazza, invece, era riuscita a saltare sopra il tavolo da dove, con un calcio, aveva tramortito uno degli avversari. Uno degli aggressori, mulinando la spada, tentò di colpire Wu Han all’addome ma il contrabbandiere, riuscito ad evitare per pochi centimetri l’affilata lama, prese per lo schienale la sedia su cui fino a poco prima era seduto e gliela scagliò addosso. Il quinto uomo, vedendo a terra i quattro compagni, si diede alla fuga oltre la porta.
   «Forza, dannazione» urlò Jones, dirigendosi in fretta all’uscita del palchetto. «Dobbiamo andarcene da qui!»
   Afferrò Wu Han per il braccio e lo trascinò con sé. Ma, nel corridoio, si trovarono la strada sbarrata da altri avversari, alcuni dei quali armati con dei fucili; risuonò uno scoppio quando uno dei nemici sparò una fucilata contro di loro. A quel rumore, ovunque, all’interno del Loto d’Oro, cominciarono a levarsi grida di paura e si udì lo scalpiccio assordante di un fuggifuggi generale.
   «Maledizione» sbraitò l’archeologo, tornando rapidamente con Wu Han dentro la stanza da cui erano appena usciti.
   Con l’aiuto di Mei Ying, che non si era mossa, spinsero il tavolo contro la porta chiusa, barricandosi all’interno.
   «E adesso che facciamo?» domandò Wu Han. «Siamo stati imprudenti a non portare con noi delle armi.»
   «Dobbiamo eclissarci da qui alla svelta» brontolò Jones. «Non possiamo resistere a lungo. Hai qualche idea su come fare ad uscire da questa situazione, bellezza?»
   «La pregherei, dottor Jones, di smettere di rivolgersi a me con quegli appellativi che è solito utilizzare con le sue amichette americane» disse Mei Ying, stizzita.
   «Hai evitato di rispondere alla mia domanda, però» replicò l’altro.
   Si avvicinò alla balaustra che si affacciava sul palcoscenico e sulla sala sottostante e si sporse; la distanza, dal pavimento, non era poi così esagerata e, proprio sotto di loro, si trovava un tavolo. Avrebbero potuto saltare senza problemi, dopotutto.
   Alzò per un attimo gli occhi ad un palco di fronte ed il suo cuore perse un battito; là, comodamente seduto, affiancato da due donne in abito tradizionale cinese, c’era Kai, che lo guardava con sguardo beffardo. Il capo della Triade del Drago Nero sollevò al suo indirizzo il bicchiere che stava bevendo. Contemporaneamente, si udirono dei forti colpi rimbombare sulla porta.
   «Stanno per entrare!» disse Wu Han.
   «Non ci resta che saltare» gli rispose Indiana Jones, «e sperare di non farci troppo male, perché poi dovremo darcela rapidamente a gambe. Sei dei nostri, o preferisci rimanere qui ad affrontare tutta sola quel branco di esaltati con le tue segrete doti da combattente infallibile?» soggiunse, rivolto alla ragazza.
   «Verrò con voi» rispose lei. «Ma prima, dottor Jones, la supplico di consegnarmi il pezzo dello Specchio. Le assicuro che sarà più al sicuro con me che con lei.»
   «E va bene, voglio fidarmi» fece Jones.
   Si portò la mano alla tasca della giacca e, afferrato il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni, lo consegnò alla giovane, che lo prese con aria deferente, infilandoselo immediatamente tra le pieghe dell’abito da sera. Subito dopo, uno dietro l’altro, Wu Han e Jones si arrampicarono sulla balaustra e si buttarono di sotto. Atterrarono pesantemente sopra il tavolo e si scansarono, per fare posto a Mei Ying. La ragazza, tuttavia, non saltò, né tantomeno si fece vedere alla ringhiera.
   «Che diavolo succede? Dov’è? Che sta aspettando a saltare, quella donna?» sbottò Jones.
   «Indy… credo che sia meglio filare!» suggerì Wu Han, indicando un’estremità della sala, ormai lasciata deserta dagli avventori fuggiti, dove cominciavano a vedersi le ombre, riflesse dalla luce dei corridoi, di parecchi uomini che sopraggiungevano di corsa.
   «Presto, di qua!» ordinò l’archeologo.
   Trascinò Wu Han verso una porticina di servizio e l’aprì; una scaletta di cemento scendeva in profondità, illuminata da luci fluorescenti. Doveva condurre nei magazzini del locale da dove, con qualche probabilità, potevano sperare di trovare delle uscite secondarie attraverso le quali abbandonare il Loto d’Oro.
   Senza troppa grazia, Jones spinse dentro l’amico e, seguitolo, si richiuse la porta alle spalle, appena in tempo per evitare che quel diversivo fosse scorto dagli avversari, che avevano nel frattempo raggiunto il salone. Concitatamente, i due discesero le scale fino ad arrivare in un ampio stanzone, ingombro di casse e vecchi mobili tarlati; guardandosi rapidamente attorno, notarono una porta sul fondo della stanza e la raggiunsero in pochi attimi, spalancandola. Adesso, si ritrovarono in un corridoio di cemento, sempre illuminato da luci al neon, lungo il quale si affacciavano numerosi portoncini contrassegnati da dei numeri. La zona sembrava deserta dato che, all’infuori del ronzio dei neon e di qualche goccia di umidità che cadeva dal soffitto, non si udiva alcun suono.
   «Questi devono essere i camerini degli artisti che s’esibiscono sul palcoscenico, al piano di sopra» constatò Wu Han.
   «Non siamo qui per chiedere autografi. Forza, seguimi!» ordinò Jones.
   Percorsero velocemente il corridoio, spingendosi fino all’estremità opposta, da cui si dipartiva un’altra scala, che saliva verso l’alto. Senza perdere tempo, risalirono i gradini a due a due e raggiunsero un nuovo locale, deserto ma pieno di lavandini, fornelli, forni, tavoli, mobiletti ed attrezzi da cucina appesi alle pareti o sparsi in giro.
   «Siamo nelle cucine, Indy» disse il contrabbandiere.
   «Esatto, il che significa che dev’esserci per forza una porta che dia all’esterno, per far entrare le derrate alimentari e portare via la spazzatura.»
   «Dev’essere quella» rispose Wu Han, indicando una porta di metallo tinteggiata di bianco.
   Jones la raggiunse e abbassò la maniglia, ma la trovò bloccata.
   «Maledizione! Prova a vedere se trovi le chiavi, qui attorno» disse.
   Mentre Wu Han si dava da fare frugando dappertutto, Indiana Jones corse alle porte a due ante che si affacciavano sulla sala e diede un’occhiata dai pannelli di vetro, notando che l’altro locale brulicava di persone dalle facce decisamente patibolari. Gente con cui non gli sarebbe piaciuto uscire a cena, comunque. Quindi, sperando che a nessuno saltasse in mente di venire a curiosare in cucina, fece rapidamente dietrofront.
   «Di là non si va da nessuna parte» comunicò. «Dobbiamo per forza passare di qui.»
   «Non riesco a trovare le chiavi» replicò l’altro, «ma ho notato una finestrella, potremmo forzarla e passare di lì, sperando di non fare troppo chiasso.»
   «D’accordo, sbrighiamoci. Usciamo da qui alla svelta, poi decideremo cosa fare, se lasciare perdere tutto o avvertire il governatore inglese dell’accaduto. Ma immagino che già gli altri clienti e gli stessi proprietari del locale avranno provveduto a dare l’allarme» disse Jones.
   «Dovremmo anche cercare di scoprire che cosa ne sia stato di Mei Ying» borbottò Wu Han. «Non è il tipo da farsi sopraffare facilmente ma… se gli avversari erano tanti…»
   «Spero che non l’abbiano presa, specialmente perché le avevo appena consegnato il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni. Vedremo, ma intanto pensiamo a uscire da questo posto, ché comincia a scottare.»
   Raggiunsero la finestrella rettangolare, che poteva essere aperta solo di pochi centimetri e, dandosi da fare con due grossi coltelli presi da un cassetto, la forzarono fino a farla cedere del tutto; sarebbe quasi sicuramente caduta a terra, provocando un frastuono che li avrebbe certamente traditi, ma Jones fu lesto ad afferrarla e ad appoggiarla delicatamente sul pavimento.
   Il contrabbandiere si affacciò nell’incavo, che dava su di un vicolo, e si guardò attorno, prima di bisbigliare: «Via libera, possiamo andare.»
   «Prima tu, io ti guardo le spalle» rispose Jones, voltandosi verso le porte che davano sulla sala, mentre l’altro si arrampicava ed entrava a fatica nello stretto pertugio, calandosi all’esterno.
   L’archeologo stava quasi per seguirlo, quando le porte furono violentemente spalancate e due cinesi armati di grossi spadoni si affrettarono ad entrare nella cucina, avventandoglisi subito contro.
   Lesto come non mai, Jones recuperò i coltelli con cui lui e Wu Han avevano scardinato la finestrella e, incrociatoli, li sollevò appena in tempo per parare un fendente calato dall’alto da uno dei due cinesi. In quel momento, sentiva enormemente la mancanza della sua frusta.
   Il secondo uomo, tentando di coglierlo di sorpresa, spiccò un balzo per atterrargli alle spalle ma Jones, scartato di lato, riuscì a prevenirlo e, sollevato il coltello, glielo conficcò in un braccio; con un calcio negli stinchi, si liberò per qualche istante anche del primo cinese, ma si rese ben presto conto che non avrebbe potuto attraversare indenne la finestra senza che i suoi aggressori riuscissero a colpirlo.
   «Wu Han!» gridò, mentre con un pugno diretto al volto allontanava nuovamente il cinese; l’altro, ferito, era disteso a lagnarsi sul pavimento, con la lama del coltello, che glielo aveva attraversato da parte a parte, ancora saldamente infissa nel braccio.
   «Wu Han!» ripeté.
   «Indy! Che succede?» gli rispose, dall’esterno, la voce preoccupata dell’amico.
   «Di qui non esco. Devo cercare un’altra via! Tu, intanto, prova a procurati un mezzo di trasporto per la fuga!»
   Senza aggiungere altro, Jones si slanciò in avanti ed atterrò con un secondo pungo il suo avversario; vedendo, però, che molto presto si sarebbe rialzato, raccolse la spadona caduta all’altro cinese e cominciò a correre verso l’uscita delle cucine, irrompendo nella sala. Così facendo, si trovò di fronte almeno una decina di cinesi agguerriti ed urlanti, tutti armati di spade e decisamente non inclini a voler fare quattro chiacchiere in allegria. Decisamente, adesso, oltre alla frusta, avrebbe voluto avere con sé anche il revolver.
   «Scusate se non mi unisco a voi, ragazzi, ma sono atteso altrove» borbottò, infilando velocemente un’ampia scalinata che saliva ai piani superiori del locale; non si voltò a guardarsi indietro ma, dal rumore di passi, capì che quegli invasati di cinesi gli stavano alle costole. Stava quasi per raggiungere la sommità della scalinata, quando si trovò il passo sbarrato dalle due donne che, poco prima, aveva scorto in compagnia di Kai.
   «Un peccato doverlo uccidere» disse con voce suadente la prima delle due, che indossava un abito di colore rosso. «Sembra divertente.»
   «Il dovere prima del piacere, sorella» rispose con voce altrettanto seducente la seconda, che aveva un abito perfettamente identico all’altra, salvo per il colore, che era verde. «Il maestro vuole la sua testa su un palo.»
   Jones le guardò con tanto d’occhi; alle proprie spalle, udì il chiasso che avevano provocato i suoi inseguitori cessare di colpo. Si voltò, stupefatto, e li vide allontanarsi adagio, con il capo chino e l’aria deferente. Evidentemente, le due donne dovevano essere dei pezzi grossi, all’interno della Triade del Drago Nero.
   Non era ancora ritornato a voltarsi, che una delle due, saltando, lo colpì con un calcio volante al volto, mandandolo a sbattere contro la parete e facendogli cadere di mano la spada; con il fiato mozzo, l’archeologo provò a mantenersi in piedi, ma già entrambe gli erano addosso, colpendolo con una salva di pugni di una forza davvero irresistibile, che non si sarebbe certo potuta indovinare giudicando l’aspetto di quelle due donne, il cui fisico appariva tanto asciutto e minuto.
   Tra le abitudini di Indiana Jones, non rientrava certo quella di picchiare le donne; ma, in quel caso, decise che avrebbe fatto un’eccezione, poiché non farla avrebbe molto probabilmente significato finire col farsi colpire a morte. Quindi, cercando di reagire, si buttò in avanti e, con una spallata, colpì quella con l’abito verde all’addome, facendola capitombolare; ciò, però, fece arrabbiare maggiormente la donna dall’abito rosso, che gli si gettò addosso come una furia, tentando di infilargli le dita dalle lunghe ed affilate unghie negli occhi.
   Evitato quell’attacco che gli sarebbe risultato fatale, Jones afferrò il polso della donna e lo torse fino a farla piegare in due; poi, con una ginocchiata nello stomaco la mandò a raggiungere sua sorella.
   «È un vero peccato esserci incontrati così, ragazze» commentò. «Spero davvero che il nostro prossimo appuntamento sarà migliore del primo!»
   Detto questo, si allontanò di corsa su per le scale, raggiungendo un pianerottolo su cui si aprivano varie ed ampie finestre che guardavano sulla strada sottostante; senza indugiare a chiedersi se le lastre di vetro alle finestre avrebbero opposto troppa resistenza, si slanciò verso la più lontana e, spiccato un balzo, la attraversò, mandandola in frantumi.
   Indiana Jones cadde nel vuoto, per almeno sette metri; ma la fortuna, che in quei casi estremi in cui era solito cacciarsi, sembrava essere innamorata di lui, gli venne in aiuto per l’ennesima volta, mandandolo ad atterrare sopra un cumulo di sacchi dell’immondizia, che attutirono la sua caduta. Scrollando il capo per riordinare le idee, si rialzò quasi subito e si guardò attorno. Si trovava in un vicolo, probabilmente sul lato opposto rispetto a quello in cui doveva trovarsi Wu Han. Decise di raggiungerlo.
   Cominciò a correre ma, all’improvviso, si trovò sulla via principale, quella da cui si raggiungeva la stradina che immetteva all’ingresso principale del Loto d’Oro. E lì, nella luce incerta dei lampioni, vide ciò che non avrebbe voluto vedere: una berlina nera, probabilmente una Hillman Minx, era parcheggiata al lato della strada e, dalla portiera posteriore, stavano salendo Kai e Von Beck che, tra di loro, tenevano Mei Ying. L’avevano catturata, dunque!
   «Mei Ying!» gridò Jones.
   La ragazza ed i due uomini si volsero a guardare nella sua direzione.
   «Dottor Jones!» rispose la giovane, prima di essere spinta bruscamente in macchina.
   Le portiere si richiusero ed il mezzo si mise rapidamente in moto nella direzione dell’archeologo, con stridore di pneumatici; e, quando gli passò vicino, dal finestrino anteriore partì, improvvisa, una raffica di mitra, che lo avrebbe senza dubbio investito, se Jones non si fosse gettato rapidamente a terra.
   L’automobile passò oltre, correndo in direzione del porto ed Indiana Jones, impotente, si rialzò, guardandone gli indicatori rossi che si perdevano in lontananza; un momento dopo, un risciò lo raggiunse, fermandoglisi accanto. A bordo, c’era Wu Han.
   «Ma cosa… come…?» balbettò l’archeologo, nel vederlo.
   «Presto, Indy, monta!» ordinò secco il contrabbandiere. «Dobbiamo allontanarci alla svelta da qui! Gli uomini del Drago Nero non ci metteranno molto ad uscire dal Loto d’Oro ed a individuarci!»
   Senza ulteriori indugi, Jones con un agile balzo lo raggiunse sul sedile di pelle imbottita ed ordinò immediatamente al ragazzino alla guida di seguire l’auto, ormai molto lontana e quasi invisibile.
   «Hanno preso Mei Ying ed il pezzo dello Specchio, dobbiamo raggiungerli!» disse in maniera concitata.
   «No» rispose con voce più calma Wu Han, mentre il risciò cominciava a muoversi rapidamente nel poco traffico serale. «Dobbiamo tornare al nostro albergo, invece. Sai quanto me che, così come siamo, in abito da sera e privi di armi, non potremo fare nulla per aiutare Mei Ying, anzi rischieremmo solamente di farci ammazzare. Dobbiamo, invece, organizzarci ed escogitare il modo di salvarla.»
   «Ma se non sappiamo neppure dove siano diretti» tentennò Jones. «Siamo stati sciocchi ad uscire disarmati, questa sera.»
   «E, invece, sì che sappiamo dove stanno andando. Questa strada va diretta al porto e, ora che hanno riunito i pezzi dello Specchio, si dirigeranno senza dubbio all’isola di Penglai, di cui ci ha parlato Mei Ying. Non ci ha dato indicazioni precise, è vero, ma con un po’ di fortuna riusciremo a raggiungerla. Per una buona coincidenza, ho la mia barca, ormeggiata qui al porto di Hong Kong e sono abbastanza esperto per farla viaggiare rapidamente. L’unica cosa che mi preoccupa è la sorte della nostra amica: potrebbero decidere di liquidarla prima ancora di salpare.»
   Il tono di Wu Han si fece inquieto: evidentemente, teneva davvero molto alla ragazza, doveva esserci stato tra loro qualcosa di più di un semplice rapporto di lavoro, in passato. Rinunciare ad inseguire l’automobile per provare a salvarla subito, doveva costargli molto, eppure si era rivelato, in quel caso, molto più cauto e prudente dell’amico archeologo.
   «Questo puoi escluderlo» lo incoraggiò Jones, che doveva avere indovinato i suoi sentimenti. «Il vecchio Kai non si lascerà sfuggire la ghiotta occasione di punire la traditrice dinnanzi a tutti i suoi accoliti, per farsi vedere grande. Sulla sorte di Mei Ying, per il momento, possiamo stare tranquilli, pur sapendo che dovremo agire rapidamente per riaverla qui con noi. E va bene, mi hai convinto.»
   Indiana Jones comunicò al ragazzo di lasciare perdere l’inseguimento, che comunque si sarebbe rivelato arduo, e gli fornì l’indirizzo del loro albergo, per andare a recuperare la loro roba prima di salpare verso l’ignoto.

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Capitolo 10
*** La base segreta ***


10 - LA BASE SEGRETA

   Mar Giallo

   Furono necessari quasi sei giorni di navigazione perché la giunca di Wu Han, abilmente governata dal contrabbandiere e dai suoi fratelli, che riuscirono a far spremere alle vele ogni più piccola bava di vento, percorresse la lunga distanza che separava la città di Hong Kong dal mar Giallo; ed altri tre giorni furono impiegati per individuare le rotte meno trafficate o addirittura per niente battute, dove avrebbero potuto avere qualche speranza di localizzare la leggendaria Penglai.
   Il tardo pomeriggio del nono giorno da che erano partiti dalla colonia inglese, quando ormai disperavano di poter giungere in tempo per salvare Mei Ying, Jones, trovandosi a prua, osservò all’orizzonte quella che appariva essere un’aguzza montagna che si levava all’improvviso nel mezzo delle acque.
   «Che ne dici, Wu Han?» domandò, mentre l’altro, che lo aveva raggiunto con un cannocchiale, cominciava a scrutare quell’apparizione.
   «Potrebbe essere» commentò il compagno, senza scomporsi. «È un picco davvero aguzzo, proprio come ce l’ha descritto Mei Ying, e non si vede la cima del monte, nascosta da nuvoloni neri. Secondo me, abbiamo trovato il nostro approdo.»
   «Finalmente» sbottò Jones. «Purché non sia troppo tardi. Dopo nove giorni, quei pazzi potrebbero benissimo aver già fatto secca la nostra amica ed aver ricostruito lo Specchio dei Sogni, il che potrebbe anche significare che, mentre noi li cerchiamo qui, loro siano già penetrati nella tomba dell’imperatore.»
   «Non credo, Indy» rispose Wu Han, sempre guardando attraverso il cannocchiale. «Il Mar Giallo, in questo periodo, è ricco di alghe, come puoi vedere. I nostri nemici, sia che si muovano con un sottomarino sia che utilizzino una nave, devono aver impiegato parecchi giorni, proprio come noi, per giungere a destinazione. La mia giunca, invece, a suo tempo fu adattata e modificata appositamente da mio padre, perché potesse avanzare rapidamente anche in mezzo a tutti questi banchi di alghe. Il che, a parere mio, vuol dire che, se anche il loro mezzo fosse più veloce, potremmo addirittura averli superati e che il tempo a noi necessario a trovare la montagna dovrebbe averci pareggiati. E, infatti… guarda! Avevo ragione!»
   Passò il cannocchiale a Jones, che se lo portò all’occhio cercando di capire che cosa gli stesse indicando l’amico; alla fine, comprese. Un grosso sommergibile era appena riemerso nei pressi dell’isola - montagna, verso la quale, adesso, si stava dirigendo lentamente. Il pesante mezzo raggiunse un’insenatura e scomparve alla vista.
   «Bene» borbottò. «Gli ci vorrà un po’, adesso, per organizzarsi. Ordina subito ai tuoi ragazzi di prendere il largo e portarci sotto la linea dell’orizzonte, prima che qualcuno ci noti. Il tramonto non è lontano. Ci avvicineremo a Penglai tra qualche ora, con il favore delle tenebre.»
   Wu Han si diede da fare con gli ordini e le manovre, mentre Jones scese nella cabina, a controllare di avere tutto pronto. Con indosso i suoi soliti abiti, cappello e giacca di pelle su tutti, e con la frusta legata alla cintura ed il revolver nella fondina, si sentiva pronto a tutto, ma doveva lo stesso ammettere di essere sul punto di compiere una pazzia. Diavolo! Ne aveva fatte di cose assurde, nella vita, ma penetrare in una base segreta nazista per poi scalare una montagna dimenticata da Dio ed abitata da fanatici invasati per salvare una ragazza che avrebbe anche potuto essere già morta e recuperare un antico manufatto nascosto chissà dove, le superava di gran lunga tutte.
   «Cristo santo» pensò. «Ma perché non me ne sono rimasto in Università ad andare avanti con le lezioni? Ero partito così bene, quest’anno
   Si voltò, al sopraggiungere dell’amico contrabbandiere.
   «Stiamo filando» comunicò Wu Han. «Se anche qualcuno ci stesse osservando dall’isola, nel vederci allontanare non se ne darà pensiero, credendo che fossimo solamente pescatori o sfaccendati. Appena il sole sarà calato, torneremo indietro tenendo tutte le luci spente e cercheremo un approdo. Dimmi: sai già in che modo potremo agire?»
   «Non ne ho la più pallida idea» ammise Jones. «L’unica cosa ovvia che mi venga in mente, al momento, è quella che, una volta approdati, faremo meglio a sbrigarci a trovarci un travestimento, sperando che possa bastare quello a farci passare inosservati, anche se ho i miei dubbi. Dovremo farci largo attraverso la base dei tedeschi, trovare la stazione della funivia e salire sulla cima del monte senza essere visti: sono sicuro, infatti, che abbiano portato lì sia Mei Ying sia lo Specchio; dovremo, poi, salvarla e, se possibile, recuperare o distruggere lo Specchio. Non mi importa nulla del governo cinese e delle sue speranze di salvarsi grazie al Cuore del Drago. Sono tutte stupidate.»
   «Io sono d’accordo con te, ovviamente, ma non penso che lo sarà Mei Ying» rispose Wu Han.
   «Quella donna è già stata fonte di fin troppi guai, ammettiamolo. Se riusciremo a trarla in salvo, la faremo ragionare, riguardo allo Specchio, oppure le daremo direttamente una botta in testa per farla tacere. Poi, una volta liberata lei, posso assicurarti che innescheremo un vespaio tale da farci rimpiangere la salita come una bella passeggiata. Sarà dura, fuggire.»
   «Indy» disse Wu Han. «Non posso abbandonare così Mei Ying.»
   Jones lo guardò dritto negli occhi, che si erano velati leggermente, mentre l’altro continuava: «Tra me e lei, alcuni anni fa, c’è stato qualcosa… qualcosa di breve, è vero, ma molto intenso… ci siamo dovuti separare a causa del nostro lavoro, ma non ho mai cessato di amarla, te lo assicuro. Non è passato un solo giorno, da allora, senza che lei non sia stata nei miei pensieri. Farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarla. Ma se tu preferisci ritirarti, aspettare a bordo della giunca con i miei fratelli… non posso dartene torto e questo non muterà di una sola virgola la stima che ho per te.»
   Jones sorrise e appoggiò una mano sulla spalla dell’amico.
   «Wu Han, per tutti questi anni abbiamo condiviso pericolose avventure; mi hai seguito ovunque, dimostrandomi di essere una delle persone più valide ed affidabili che io abbia mai conosciuto. Ho sempre potuto contare su di te. Adesso, sarò io ad aiutarti, ricambiandoti tutti i favori che mi hai fatto. Non ti lascerò solo in questa impresa e, te lo assicuro, la porteremo a termine nel migliore dei modi, stai tranquillo. Conta pure su di me.»
   «Grazie, Indy» borbottò l’altro, con un sorriso.
   Trascorsero il resto della giornata incrociando avanti ed indietro, facendo sempre attenzione a mantenersi fuori vista rispetto all’isola; Jones aveva sperato di poter utilizzare quelle ore per mettere a punto un piano d’azione ma, non avendo minimamente presente la conformazione dell’isola e della base tedesca, si rese molto presto conto che pianificare qualche cosa sarebbe risultato decisamente inutile e controproducente. Le incognite erano troppe. Lui e Wu Han sarebbero dovuti andare all’avventura, sperando che la fortuna non li abbandonasse proprio in quel frangente. Del resto, non sarebbe stata neppure la prima volta in cui si sarebbero trovati ad agire in una simile maniera.
   Alla fine, quando gli ultimi raggi dell’occaso ebbero tinto di rosso le acque marine e le prime tenebre cominciarono ad allungarsi, la giunca si mosse rapidamente verso l’isola; era ormai buio completo quando, al riparo di un’insenatura rocciosa, i due uomini si apprestarono a sbarcare.
   «Per quanto tempo dovremo aspettarvi?» domandò il fratello più grande di Wu Han che, in sua assenza, avrebbe assunto il comando dell’imbarcazione.
   «Io credo che ventiquattr'ore saranno sufficienti» rispose Jones. «Se, per domani sera, non saremo tornati, credo che potrete scriverci l’epitaffio.»
   «Non aspettate qui, però» li consigliò il contrabbandiere. «È troppo pericoloso, potrebbero vedervi. Riprendete il largo e tornate in questo punto al tramonto di domani. Ci troverete qui ad attendervi, con Mei Ying» aggiunse, ostentando una sicurezza in cui, forse, non credeva troppo neppure lui stesso.
   Agilmente, i due uomini saltarono sulla spiaggia e diedero una spinta alla giunca, per aiutarla a fare manovra; mentre Wu Han la guardava allontanarsi, domandandosi se l’avrebbe mai più rivista, Jones alzò gli occhi ed osservò la ripida e scoscesa montagna che, come una protuberanza, si levava improvvisa ed altissima verso il cielo, dopo pochi metri di spiaggia cosparsa di rocce, perdendosi nell’oscurità.
   «Vieni» disse poi, dopo qualche istante di contemplazione. «Troviamo un modo per entrare nella base. Di sicuro, non possiamo scalare questo affare a mani nude.»
   Senza la più pallida idea di dove si stessero dirigendo, cominciarono ad avanzare verso la propria destra, con il rumore dei loro passi completamente attutito dalla sabbia ricoperta di alghe marcescenti della spiaggia; ogni tanto, ai loro orecchi, giungeva il rumore smorzato di un tuono, segno che in alto, sulla cima della montagna, doveva essere scoppiato un temporale.
   Avanzarono per circa tre chilometri, guardandosi costantemente attorno, fino a quando giunsero in vista, a circa otto metri sotto di loro, del medesimo seno in cui, qualche ora addietro, avevano veduto sparire con lentezza il sommergibile. Arrampicatosi sopra una roccia, Jones osservò verso il basso, con gli occhi ormai abituati all’oscurità che gli restituivano parecchi dettagli. Al termine dell’insenatura, era stato aperto un canale d’acqua, che si inoltrava nella montagna; lungo il canale, correva un camminamento delimitato da una balaustra di metallo dipinta di rosso.
   «Ci siamo» bisbigliò a Wu Han, che lo aveva raggiunto. «Quello dev’essere l’accesso alla base segreta. Una volta entrati, dovremo solo sperare di mantenere la pelle intatta abbastanza a lungo da poter compiere la nostra missione. Sarà difficile nascondersi, dentro.»
   «Se non te la senti…» cominciò Wu Han, ma Jones non lo lasciò neppure terminare.
   «L’alternativa, per me, sarebbe tornare all’Università ad affrontare le ire del rettore» borbottò con cinismo. «Molto meglio i nazisti ed i fanatici cinesi. A loro, almeno, posso anche piazzare una pallottola in testa senza dovermi poi sentire in colpa. Seguimi!»
   Lasciarono la roccia e, correndo senza fare troppo rumore, discesero fino all’altezza dell’insenatura; lì, mantenendosi contro la parete rocciosa per cercare di rendersi il più possibile invisibili ad eventuali osservatori non graditi, camminarono fino al canale artificiale. Come Jones aveva previsto, era stato scavato nella roccia e, successivamente, rinforzato con colate di cemento. Una scaletta di metallo saliva fino alla passerella, la quale correva parallela al canale. Con un cenno, l’archeologo indicò la piccola scala e cominciò a risalirla; non appena fu in cima, scrutò nell’oscurità ma, non notando nessuna minaccia, fece un gesto a Wu Han, invitandolo a raggiungerlo.
   Quando furono entrambi sulla passatoia, cominciarono ad avanzare, con infinita cautela, Jones in testa e l’amico alle sua spalle; l’archeologo teneva una mano vicina alla fondina, pronto ad estrarre il revolver in caso di necessità, così come Wu Han aveva infilato una mano nella tasca del cappotto, dove era celata una Mauser semi-automatica. Il canale proseguiva per parecchie centinaia di metri all’interno della montagna, così silenzioso che lo sciacquio delle acque sembrava rimbombasse come una palla di cannone; Jones e Wu Han quasi trattenevano il respiro, nella speranza che nessuno notasse i loro passi.
   Grazie a tutte quelle precauzioni, ed anche al fatto che lungo la passerella non si trovasse nessuna sentinella, i due giunsero senza incidenti al termine del canale, che si apriva in un bacino artificiale, illuminato da potenti riflettori, entro il quale era ormeggiato il sommergibile; si nascosero all’ombra di alcune casse non appena ebbero notato dell’attività lungo la banchina del bacino.
   «Eccoci» borbottò Jones. «Qui comincia il divertimento. Sarà un po’ come andare al Luna Park, solo che al posto del calcinculo dovremo aspettarci i proiettili in fronte.»
   Nel porto artificiale, infatti, si muovevano avanti e indietro numerosi soldati tedeschi, tutti intenti a svolgere diverse operazioni; alzando lo sguardo, Jones notò una porta tagliafuoco che si apriva dentro un edificio di cemento ricavato scavando nella roccia della montagna, che li sovrastava da tutte le parti come una muta minaccia. Effettivamente, il pensiero di trovarsi al di sotto di centinaia di migliaia di tonnellate di pietra dura e compatta non era tra i più allettanti che potessero esserci.
   «Non vedo altre vie, quindi immagino che dovremo andare di là» disse, indicandola.
   «E come, non pensi che ci vedranno?» mormorò Wu Han.
   «Questo, oggettivamente, è un bel dilemma. Non possiamo neppure sperare di travestirci: io avrei qualche possibilità di passare inosservato, ma tu… non ti ci vedo, nei panni del soldato tedesco, con quei tuoi occhietti a mandorla.»
   Osservarono ancora: quattro soldati tedeschi si erano fermati a parlare proprio davanti alle porte che avrebbero voluto oltrepassare.
   «Se non riusciremo ad allontanare i nostri amici, difficilmente potremo fare molta strada» commentò Jones.
   Scrutò meglio le casse dietro a cui si stavano riparando e sorrise.
   «Forse ho trovato» disse. «Guarda questa nota.»
   Ed indicò a Wu Han una bolla scritta a macchina ed incollata ad una delle casse. Era scritta in tedesco, lingua che il contrabbandiere non conosceva, come fece prontamente notare all’archeologo.
   «C’è scritto che questa cassa contiene dell’esplosivo» spiegò Jones.
   Aprì la borsa che portava a tracolla e, dopo avervi frugato qualche istante, ne tolse un coltello svizzero, che utilizzò per rimuovere il coperchio della cassa. Dentro, tra la paglia dell’imballaggio, c’erano almeno venti candelotti di dinamite, collegati ad una lunghissima matassa di miccia.
   «Tieni questa» borbottò Jones, consegnando a Wu Han un’estremità della miccia.
   «Che intendi fare?» chiese l’altro.
   «Adesso lo vedi. Non ti ho detto che siamo al Luna Park? Che festa sarebbe mai, senza i fuochi d’artificio?»
   Afferrati tutti i candelotti di dinamite, Jones strisciò lungo la passerella, fino a quando non fu giunto il più vicino possibile al sommergibile. A questo punto, alzatosi in piedi, e sperando che nessuno lo notasse, cominciò a far roteare i candelotti, utilizzando la miccia come se fossero un lazzo, poi li lanciò. Fu un tiro perfetto. Le venti bombe atterrarono, con un leggero tonfo a cui nessuno badò, proprio sopra la plancia del sottomarino, con il cavo della miccia che correva verso l’alto, ancora tra le mani di Jones, che tornò in fretta da Wu Han.
   «Pronto al botto?» chiese ironicamente mentre, con un fiammifero, incendiava la miccia. Fatto questo, si portò le dita nelle orecchie, subito imitato dall’amico.
   Con un sibilo, il cavo cominciò a bruciare rapidamente; quando la parte in cima alla passerella fu tutta consumata, la miccia, sempre bruciando, cadde nel bacino sottostante, ma senza spegnersi. Dopo alcuni istanti che sembrarono essere una sospensione della realtà giunse, infine, la violenta ed inaspettata esplosione che, nonostante se li fossero tappati, rintronò i timpani dei due amici.
   La carena del sommergibile si spaccò praticamente in due ed una parte del soffitto crollò, mentre l’imbarcazione cominciava a riempirsi d’acqua ed a scendere lentamente verso il fondo; tutt’attorno, i soldati tedeschi, in parte storditi e feriti dall’esplosione, cominciarono a correre e ad urlare, agitandosi come formiche, senza più capire che cosa stesse accadendo.
   «Andiamo, muoviti!» ordinò Jones, vedendo che le porte erano rimase incustodite.
   Approfittando del fumo e tenendosi bassi, lui e Wu Han percorsero la distanza fino alla porta, la raggiunsero e la sorpassarono indisturbati. Adesso, si ritrovarono in un corridoio, dal pavimento placcato di metallo, che proseguiva per una decina di metri prima di trasformarsi in una scalinata che saliva verso l’alto.
   Correndo, i due raggiunsero le scale e cominciarono a salirle ma, proprio in quel momento, in cima ad esse apparve un ufficiale tedesco che, vedendoli, gridò: «Alt!», estraendo subito la pistola che teneva alla fondina.
   Ma Jones non gli diede il tempo di sparare; sfilata rapidamente la frusta, la fece schioccare e, arrotolatala attorno alla canna della pistola, la tirò a sé, strappandola dalle mani del tedesco. Nel contempo, Wu Han spiccò un balzo ed afferrò l’uomo per le gambe, mandandolo a ruzzolare pesantemente sui gradini, dove picchiò la testa e rimase immobile, con il collo spezzato.
   «L’abbiamo fatto secco?» domandò distrattamente Jones, ripiegando la frusta.
   «Credo di sì» replicò Wu Han.
   Jones osservò il viso dell’uomo morto ed annuì.
   «Conosco già, questo tale. L’ho intravisto ad Istanbul, è uno degli accoliti di Von Beck. È il tenente Hans. Non penso che qualcuno piangerà per la sua dipartita, anche se credo che fosse più che altro un mero burocrate» borbottò Jones. «È probabile che stesse andando a vedere che cosa avesse provocato tutto quel trambusto al piano di sotto.»
   «Sarà meglio che tu gli prenda giacca e cappello e che li indossi, Indy» consigliò Wu Han. «Appena lo troveranno stecchito ed avranno fatto i conti con il sommergibile affondato, non impiegheranno molto tempo ad immaginarsi che devono esserci degli intrusi, nella base. E, quegli intrusi, non possiamo che essere noi. Con quel cappello dai troppo nell’occhio. Mettiti la sua divisa. Anche io, appena possibile, spoglierò qualcuno.»
   «E va bene, facciamo anche questa pagliacciata» bofonchiò Jones, sfilandosi giubbotto di pelle e cappello.
   Li ripiegò alla meglio e li infilò nella borsa a tracolla, poi indossò la giacca con i gradi da tenente ed il cappello che, nel frattempo, Wu Han aveva tolto al morto e gli stava porgendo.
   «Da lontano dovrebbe essere sufficiente» brontolò l’archeologo, a cui, per mera coincidenza, la giacca del morto calzava piuttosto bene. «Muoviamoci. Prima la finiamo con questa storia, meglio sarà per tutti.»
   Senza più degnare d’un solo sguardo il cadavere di Hans, risalirono le scale, in cima alle quale si aprivano altre porte, identiche a quelle attraverso cui erano giunti lì. Jones le sospinse e diede un’occhiata al di là, trattenendo il fiato per lo stupore: davanti ai suoi occhi, si estendeva un’immensa base militare, ingombra di casse, veicoli e cannoni, attraversata da passerelle metalliche ed areata da un potente impianto di areazione, i cui grandi tubi erano addossati all’alto soffitto. Sulla parete di fronte a loro, all’estremità opposta della base, era dipinta una gigantesca bandiera rossa con il cerchio bianco e la svastica nera.
   «Però» commentò Jones. «Hanno fatto le cose parecchio in grande.»
   «Guarda là in fondo, Indy» disse Wu Han, alludendo al punto della sala più lontano da loro, dove si scorgeva un’alta struttura di metallo e cemento, con finestroni di vetro, che sembrava essere in comunicazione coll’esterno della montagna ed dentro la quale si poteva benissimo notare un grande sistema di cavi e di rulli.
   «L’ho vista, quella dev’essere la nostra meta, la stazione della funivia» borbottò Jones. «Dobbiamo trovare una via per arrivarci passando inosservati.»
   «E come? Anche se sei travestito, e se pure riuscissi a trovare un travestimento per me, difficilmente riusciremo ad attraversare per intero questo stanzone sperando che nessuno ci riconosca o ci fermi per un qualsiasi motivo.»
   Jones diede un’occhiata intorno, poi intravide una cosa che lo fece sorride.
   «Guarda là» disse, indicando degli alti bancali che salivano ripidamente verso l’alto.
   «Li vedo» brontolò Wu Han, non presagendo nulla di buono. «Che cosa vorresti fare?»
   «Presto detto: arrampicarci lungo i bancali fino all’impianto di areazione, trovare il modo di entrarvi, dato che quei grossi canali permettono il passaggio di un uomo e, così, passare inosservati fino all’altro capo della sala.»
   «Indy, non so se…» provò il contrabbandiere, ma già l’amico aveva raggiunto i bancali e, accertatosi che nessuno lo stesse osservando, cominciava ad arrampicarsi.
   A Wu Han non restò altro da fare che seguirlo ed imitarlo.
   I due s’arrampicarono con disinvoltura lungo le scaffalature, facilitati in questo dalla presenza di scale per permettere agli addetti di arrivare a tutti le scansie e, infine, raggiunsero il punto più alto, ad almeno quindici metri dal suolo.
   «Cerca di non perdere l’equilibrio» consigliò Jones, «o sarà un bel volo.»
   «Grazie per avermelo ricordato» bofonchiò Wu Han, evitando di guardare verso il basso.
   Lo spazio su cui erano costretti a muoversi era davvero molto stretto; per di più, l’impianto di areazione non era a portata di mano, come dal basso era sembrato.
   Senza scoraggiarsi, Jones si guardò attorno, fino a quando non notò delle tavole di legno abbastanza lunghe per poter essere tese tra il punto in cui si trovavano loro ed i tubi dell’areazione.
   «Se non possiamo entrarci, almeno ci cammineremo sopra» disse. «Vieni, usiamo queste come un ponte.»
   Rassegnato, ormai certo che la sua vita non avrebbe avuto più valore di una moneta falsa, Wu Han aiutò l’archeologo a raccogliere due assi ed a disporle orizzontalmente, appoggiandone un’estremità al tubo dell’areazione che, per loro fortuna, era quadrangolare. Non appena quel ponte improvvisato fu pronto, Jones dichiarò: «Vado prima io.»
   Quindi, dimostrando vero sangue freddo, pose un piede e poi l’altro sull’asse di legno. Aveva a disposizione uno spazio largo forse venticinque centimetri per muoversi e, ai lati, non aveva null’altro che un profondo abisso; tuttavia, un passo dopo l’altro, riuscì a giungere all’estremità ed a salire sul canale.
   Adesso, toccava a Wu Han. Jones gli fece cenno di seguirlo ma l’altro, fatto il primo passo, non riuscì a proseguire.
   «Non ce la faccio, Indy» borbottò. «Non riesco ad attraversare.»
   «Coraggio, Wu Han» cercò di incoraggiarlo l’archeologo, ma senza successo.
   «Indy, no» replicò il contrabbandiere.
   «Okay, allora facciamo così» sbottò Jones, slegando la frusta dalla cintura.
   La schioccò e, con un colpo da maestro, la legò perfettamente attorno alla vita del cinese, tenendola poi tesa.
   «Adesso puoi passare» gli disse. «Nel caso dovessi incespicare, ci sarei qua io, a tenerti.»
   Ovviamente, Jones sapeva benissimo che, se l’amico fosse caduto di sotto, avrebbe potuto fare davvero poco per provare a trarlo in salvo, ma fu contento che, invece, Wu Han gli prestasse fede e, con lentezza, un passo alla volta, facendo continue pause e visibilmente sbiancato, continuasse a venirgli incontro lungo l’asse. Non appena il contrabbandiere fu a portata delle sue braccia, Jones lo afferrò per la giacca e, con forza, lo trasse a sé, tenendolo saldamente.
   «Eccoti qui» gli disse. «Hai visto? Un gioco da bambini.»
   «Proprio» mormorò Wu Han, sudando freddo.
   «Non sapevo che soffrissi di vertigini.»
   «Devo avere dimenticato di dirtelo. Be’, ora lo sai.»
   «Meglio tardi che mai. La prossima volta ti userò più riguardi: prima di attraversare un precipizio, mi premunirò di darti una botta in testa e caricarti a spalla.»
   «Grazie, sei un amico.»
   «Andiamo» disse Jones, avviandosi.
   Camminarono per alcuni metri, mantenendosi il più possibile centrali, sia per non rischiare di barcollare e cadere, sia per evitare che qualcuno, dal basso, potesse fare caso a loro. Si fermarono in prossimità di una botola della manutenzione, che in quel momento era chiusa.
   «Ecco il nostro passaggio» disse Jones, afferrando la maniglia della botola e sollevandola; dal tombino, si levò un’aria fresca e pulita.
   Uno dopo l’altro, si calarono all’interno, dove c’era spazio sufficiente per consentire loro di camminare in piedi e dove erano accese delle lampade appese alle pareti, segno che la manutenzione veniva eseguita molto spesso.
   «Buon per noi» disse Jones. «Non rischieremo di inciampare.»
   Senza indugi, ripresero a camminare, sperando che, all’estremità, potessero trovare un’uscita da quel tunnel sospeso.
   Mentre avanzava, Jones pensava a quale sarebbe potuta essere la loro prossima mossa, ma non gli veniva in mente proprio nulla: mai, come in quel momento, aveva sfidato tanto apertamente l’ignoto. Si chiese perché mai stesse accompagnando Wu Han in quella pazzesca impresa: certo, gli aveva promesso di aiutarlo a salvare Mei Ying ma, in cuor suo, Jones sapeva che non era quello il reale motivo per cui aveva seguito l’amico. A dire il vero, disperava di poter ritrovare viva la ragazza che, probabilmente, era già morta da giorni. La storiella della pubblica vendetta di Kai l’aveva imbastita solamente per rincuorare l’amico, per non fargli morire le speranze. Non era certo per quella bella cinese che stava tentando l’impresa, proprio no. Era inutile girarci attorno: voleva riappropriarsi dello Specchio dei Sogni perché, dopo tutta la fatica fatta per recuperarne i tre pezzi, ed egli era stato il solo a riuscirci, pensava che fosse suo naturale diritto riprenderselo. Troppe volte era stato buggerato da gentaglia infida come Belloq e troppe volte s’era arreso, lasciando che gli altri godessero i frutti del suo lavoro, mentre lui era stato costretto a tornarsene a casa, di nuovo, a mani vuote, pronto a raccontare di grandiose avventure ma senza nulla di concreto per provare di averle compiute.  Questa volta, però, no: non si sarebbe arreso, avrebbe rimesso le mani su quell’aggeggio che gli era costato tanta fatica ritrovare e, poi, lo avrebbe utilizzato per entrare, lui per primo dopo oltre duemila anni, nella tomba dell’imperatore, svelandone gli arcani segreti e riportandone alla luce i grandi tesori. Sì, ci sarebbe riuscito e, questa volta, avrebbe fatto in maniera di risultare l’unico ed indiscusso vincitore: sarebbe stato lui l’archeologo che avrebbe rivelato al mondo i tesori della tomba di Qin Shi Huang e, questo fatto, gli avrebbe derivato meriti imperituri. Avrebbe scritto libri sull’argomento, concesso interviste, avrebbe guadagnato parecchio. Magari, lo avrebbero nominato anche presidente del dipartimento di Archeologia, all’Università e, chissà, in poco tempo sarebbe divenuto lui il nuovo rettore, pronto a tuonare contro i docenti che non si presentavano puntualmente alla prima lezione; ancora pochi anni di ricerche e, poi, si sarebbe finalmente ritirato, a godersi i frutti del suo duro lavoro. In breve tempo, la sua fama avrebbe surclassato quella del padre, che sarebbe finalmente stato costretto a cedere all’evidenza ed a riconoscergli di aver fatto una scelta saggia, decidendo di diventare archeologo. Non avrebbe ceduto adesso, quindi: sarebbe andato avanti ed avrebbe affrontato gli ultimi pericoli, guadagnandone così fortuna e gloria. Fortuna e gloria. Quelle due parole gli suonavano dolci nella mente e sarebbero state sue, molto presto. La pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno.
   Giunti al termine del canale, i due notarono che cominciava a scendere verso il basso, con una leggera pendenza; vi era a lato, però, un corrimano per permettere ai tecnici della manutenzione di aggrapparvisi. Perciò, presero senza timore quella strada, speranzosi che li conducesse il più in fretta possibile alla stazione della funivia.
   Quando ebbero compiuto la discesa e furono tornati in piano videro, su una delle pareti metalliche, quella che sembrava essere una porta di servizio; Jones vi si accostò e, lentamente, l’aprì, guardandosi furtivamente attorno.
   «Tombola» disse.
   Erano arrivati, infatti, a solamente pochi metri dalla loro meta. Sarebbe stato sufficiente uscire dal loro nascondiglio, percorrere la breve distanza ed entrare in un’altra porta, quella della stazione. C’era solo un problema.
   «Ci sono quattro tedeschi tra noi e la funivia» bisbigliò. «Ma, forse, sfruttando il mio travestimento, potremo passare impunemente. Tu seguimi con aria disinvolta ed allo stesso tempo con un contegno di umiltà e non dire una sola parola.»
   Assumendo un’aria il più possibile marziale, Jones spalancò la porta di servizio e si fece avanti a grandi passi, verso il gruppetto di tedeschi, con Wu Han che gli stava a testa bassa alle calcagna.
   I quattro soldati si volsero a guardarlo e, vedendo la divisa con le mostrine da tenente, lo salutarono, anche se con aria un po’ incerta. Di sicuro, si stavano chiedendo che cosa ci facessero un ufficiale ed un cinese all’interno del condotto d’areazione. Anche Jones si pose la medesima domanda. Doveva trovarvi una risposta immediatamente.
   «Finalmente il condotto è stato riparato» comunicò loro, sfoderando il suo miglior tedesco e cercando di imitare l’accento amburghese di una ragazza che, una quindicina d’anni prima, aveva pensato di sposare, prima di rinsavire e fare ritorno in America. «Ancora un po’ e saremmo morti tutti quanti asfissiati.»
   «Noi veramente non ci siamo accorti che ci fosse un guasto, signor tenente» rispose uno dei soldati, mentre gli altri scuotevano la testa.
   «Questo perché voi siete al lavoro qui. Ma posso assicurarvi che, là dietro, si scoppiava dal caldo, fino a poco fa. Un guasto mai visto. Nessuno sembrava essere in grado di ripararlo, perché il passaggio per raggiungere la rottura era troppo stretto. Nessuno riusciva ad infilarvisi e smontare tutto avrebbe richiesto troppo tempo, più di quello che potessimo permetterci. Fortunatamente, i nostri amici del piano di sopra ci hanno fornito un tecnico abbastanza capace ed allo stesso tempo così minuto da entrare in quel buco.»
   I soldati scrutarono Wu Han con aria dubbiosa ed uno di essi domandò, con voce alterata: «Quindi, quello lì sarebbe uno di quei famosi guerrieri del Drago Nero? Brutta gente, tenente, a lei credo di poterlo dire. Non avremmo dovuto stringere patti con quelle persone. Fanatici orientali, gente con il cervello pieno di strane idee.»
   «Non piacciono neppure a me, se è per questo. E vi assicuro che neppure il maggiore li gradisce: sono solo alleati di convenienza, appena potremo ce ne sbarazzeremo. Tuttavia non preoccupatevi, questo non è un loro guerriero, bensì solamente un servitore. Niente di cui avere paura. Figuratevi, non capisce nemmeno la nostra lingua. Vero che non capisci che stiamo parlando male dei tuoi superiori, occhietti a mandorla?»
   Jones si volse con una smorfia idiota verso Wu Han che, pur non comprendendo, stette al gioco e fece una smorfia inebetita, causando l’ilarità dei soldati.
   «Ma che, ugualmente, non possiamo tenere qui con noi» riprese Jones, riassumendo il suo aspetto marziale. «Ho avuto l’ordine di riportarlo indietro appena dopo la fine dei lavori, scortandolo personalmente. Quindi, per favore, potreste mettere in moto la funivia e darci un passaggio fino in cima alla montagna?»
   «È strano, tenente, è da stamattina che siamo di turno alla funivia e non abbiamo fatto scendere nessuno. Sono saliti solamente il maggiore Von Beck, quel cinese inquietante con i suoi accoliti, le due megere e la ragazza carina in abito da sera. Ma nessun altro si è mosso, con la funivia.»
   Se avesse compreso il tedesco, Wu Han, udendo quelle parole, si sarebbe senza dubbio tradito; per fortuna, non capì l’allusione del soldato tedesco, quella alla ragazza cinese in abito da sera, ossia la rivelazione del fatto che Mei Ying, poche ore prima, fosse passata di lì viva e vegeta, quindi se ne rimase con gli occhi fissi al pavimento, immobile. Jones, invece, pur stupito nello scoprire quella nuova verità, riuscì a mantenersi impassibile ed a dire: «Il tecnico è sceso ieri, infatti. C’erano altri ragazzi, di turno.»
   «Bene, certo. Mi faccia vedere il permesso per usufruire della funivia firmato dal maggiore, allora, e la faremo salire subito» disse il soldato, porgendo la mano.
   Mantenendo il sangue freddo, il falso ufficiale replicò: «E come avrebbe potuto Von Beck firmarmi qualche cosa, se è rimasto assente dalla base per quasi dieci giorni e, oggi, appena rientrato, è salito subito in vetta? Ha ben altri grattacapi per le mente, in questo momento, che non le scartoffie!»
   «Be’, lo so, signor tenente, ma la prassi vuole che…» tentò il soldato, di sicuro non felice di dover contraddire un graduato.
   «Lasci perdere la prassi» disse Jones, indurendo il proprio tono di voce. «Mi sono accordato con il tenente Hans, il segretario personale del comandante, nonché comandante a sua volta in assenza del maggiore. Mi ha affidato lui l’incarico di recuperare il cinese per riparare l’impianto di areazione e, poi, farlo ritornare a casa. Evidentemente, ha ritenuto superfluo fornire un permesso firmato ad un suo parigrado. Volete chiedere conferma a lui stesso, per caso? In questo momento, è molto impegnato nel bacino di approdo, c’è stato un grave incidente, uno dei motori del sommergibile è saltato per aria, provocando uno sconquasso totale. Mi sorprende, anzi, che voi siate rimasti in quattro, qui di guardia, quando ne sarebbe stato sufficiente uno, mentre tutti gli altri sarebbero dovuti correre là a dare una mano!»
   Capita l’antifona, i tre soldati che stavano assistendo alla discussione, fecero un rapido gesto di saluto e si avviarono a passi affrettati verso il luogo dell’incidente, decisamente sollevati di lasciare che fosse il loro commilitone a vedersela con quell’ufficiale dall’aspetto poco raccomandabile; quanto a Jones, tornò a rivolgersi all’uomo: «Allora, veda di farci salire alla svelta, o mi vedrò costretto a fare rapporto. Obbedisca agli ordini! Vuole essere per caso deferito alla corte marziale?»
   «Signor tenente, la prego… ho ricevuto ordini precisi, dal maggiore in persona, di non far salire nessuno, neppure il Fuhrer stesso, nella remota ed improbabile evenienza che capitasse qui, se sprovvisto del suo lasciapassare. Rischierei di finire di fronte ad un plotone d’esecuzione se…»
   Il soldato non terminò la frase: l’inaspettato destro di Indiana Jones, caricato come una molla, partì rapido e lo centrò in pieno viso, facendolo ruzzolare a terra, privo di sensi. Senza perdere tempo, Jones e Wu Han corsero verso la stazione della funivia e vi entrarono.
   «Dannati burocrati» borbottò Jones, avviandosi su per una scaletta di acciaio. «Faranno finire il mondo nel baratro, con la loro smania di obbedire e obbedire.»
   Di corsa, raggiunsero in poco tempo un pianerottolo di metallo, alla cui estremità si trovava quella che, più che una funivia, assomigliava ad una funicolare; Jones indicò a Wu Han di accomodarsi nella cabina, mentre lui corse al quadro comandi. Era davvero semplice ed intuitivo: vi erano solamente due levette, una per avviare il movimento dei cavi, che avrebbero condotto il mezzo verso l’alto, un’altra per fermarlo. Per prima cosa, l’archeologo manomise la seconda levetta, in maniera tale che nessun guastafeste potesse bloccarli a metà della salita. Poi, avviò i cavi.
   Subito, con un tremendo cigolio, la funicolare cominciò la sua ripida ascesa, con una tale velocità da sorprendere lo stesso Jones, che dovette correre velocissimo per riuscire a raggiungerla. Nel farlo, perse anche il berretto da ufficiale.
   Tuttavia, per quanto Wu Han lo incitasse a parole, disperava di riuscire a raggiungerla; quindi, sfilata la frusta, senza smettere di correre, la schioccò, avvitandola attorno ad uno dei parapetti della cabina. Vi si tenne saldamente aggrappato, mentre il contrabbandiere si dava da fare per attirarlo a se a forza di braccia, contraendo il viso per lo sforzo. Ormai, erano avvolti dall’oscurità, essendo penetrati in un tunnel scavato nella roccia, non illuminato: l’unica fonte luminosa, erano le flebili lampade accese all’interno della cabina.
   Jones, a questo punto, strisciava sul terreno, sgualcendo la giacca da nazista; peccato, avrebbe potuto conservarla, magari in un’altra occasione gli sarebbe tornata utile. Ora, però, gli premeva solo riuscire a raggiungere la cabina, perché non sapeva per quanto ancora sarebbero saliti: di sicuro, non poteva pensare di arrivare fino alla cima in quella posizione. Quindi, guadagnando pochi centimetri per volta, ferendosi le mani sulla roccia acuminata, riuscì ad avanzare fino a toccare la cabina. A quel punto, Wu Han ebbe gioco facile nell’afferrarlo e nell’aiutarlo a salire finalmente a bordo.
   Ansante e sanguinante, senza smettere di stringere la fedele frusta, guardò l’amico ed annuì, ringraziandolo tacitamente per l’aiuto offertogli.
   Poi si rialzò, con aria risoluta.
   La loro scalata verso l’ignoto, alla ricerca di fortuna e gloria, aveva avuto inizio.
   Stavano salendo verso la vetta di Penglai, la montagna leggendaria.

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Capitolo 11
*** La montagna leggendaria ***


11 - LA MONTAGNA LEGGENDARIA

   Dopo circa un quarto d’ora di viaggio attraverso la roccia, tempo che trascorsero in silenzio, ascoltando i cigolii sinistri della funicolare, essendo entrambi consapevoli che non ci fosse nulla da dire, poiché anche solo provare a pianificare qualcosa sarebbe stato del tutto inutile, non avendo la più pallida idea di che cosa li stesse attendendo alla sommità della montagna ed al termine della via, sbucarono all’aperto.
   Alla loro sinistra, si elevava un’altissima parete rocciosa, nera di umidità e talmente liscia che neppure un topo sarebbe stato capace di risalirla, mentre a destra, a solamente pochi centimetri di distanza dalla fine dello spazio riservato alla funicolare, si poteva notare un pauroso precipizio, avvolto dalle tenebre e dalla nebbia perenne che avvolgeva l’alto picco di Penglai; non si riusciva in alcuna maniera a scorgerne il fondo, che doveva essere davvero lontanissimo.
   Jones, sbarazzatosi dell’ormai inutilizzabile divisa da tenente, ridotta ad uno straccio informe, era tornato ad indossare i soliti abiti e, adesso, appoggiato al parapetto, cercava di scrutare qualche cosa attraverso le tenebre circostanti, ma il buio era così fitto e le nubi tanto dense da impedirgli qualsiasi visuale, neppure dopo che i suoi occhi ebbero iniziato ad assuefarsi a quell’oscurità quasi palpabile; alla fine, allora, arresosi, decise di riferire a Wu Han quanto appreso dal soldato tedesco con cui aveva discusso poco prima, tanto per fare qualche cosa. Si chiese se si fosse già ripreso dal pugno ricevuto: in quel caso, al piano di sotto, doveva essere scoppiato un vero vespaio. Forse avrebbero fatto meglio a portarlo con loro, dopotutto. Inutile pensarci adesso.
   «Wu Han, ho avuto la conferma che, questo pomeriggio, Von Beck e Kai hanno percorso questa strada in compagnia di Mei Ying, viva e vegeta» comunicò. «Me l’ha detto il nostro amico chiacchierone.»
   «Non ho mai avuto dubbi che potesse essere altrimenti» replicò il contrabbandiere, con un mezzo sorriso.
   «Certo, neppure io» mentì Jones. «Perlomeno, sappiamo che stiamo andando nella direzione esatta, ecco tutto. Adesso, però, sarà difficile liberarla. Speriamo che, una volta trattala in salvo, sia lei ad essere in grado di aiutare noi, guidandoci verso qualche passaggio segreto: dovrebbe conoscerla bene, questa dannata montagna, visto che vi agisce come spia da anni. Non potremo tornare giù da questa strada, ovviamente: troveremmo mezzo esercito tedesco schierato ad attenderci al varco, altrimenti. Speriamo di poter trovare un’altra via. Ora come ora, liberare Mei Ying non sarà solo questione di salvare un’amica, bensì il nostro unico biglietto d’uscita da questa situazione niente affatto divertente.»
   «Stiamo scalando l’ignoto, Indy» mormorò Wu Han, «non sappiamo nulla di quello che ci aspetterà, lassù. Sarà un po’ come avventurarsi nel regno del grande mistero, il luogo che ci attende tutti ma di cui nessuno sa nulla. Dovremo contare solo su noi stessi. Probabilmente, incontreremo la morte, sul nostro cammino.»
   «È troppo tardi, ormai, per tornare indietro» ribatté deciso l’archeologo, con un’alzata di spalle, come se quell’argomento non lo interessasse per nulla.
   Il suo tono si fece ironico, mentre aggiungeva: «E, poi, la morte è una signora che ho incontrato talmente tante volte, negli ultimi anni, da avere perso il conto. Ed ogni volta, posso assicurarti che l’ho messa nel sacco. Io e lei siamo quasi due vecchi amici. Certo, ci sono alcuni miei colleghi che considererebbero un evento pericolosissimo anche solo il crollo di una trincea di scavo in cui stiano lavorando o, al massimo, l’avvicinarsi al campo base di qualche scagnozzo scalcinato venuto a cercare di trafugare qualche piccolo reperto da rivendere al mercato nero. Io, invece, se non mi trovo ad affrontare un esercito agguerrito almeno una volta alla settimana, non posso considerare normale la mia esistenza. Mi chiedo dove sia, che sbaglio.»
   «Indy, lo sanno tutti: tu non sei un archeologo come tutti gli altri» disse Wu Han.
   «Eppure, non sono stato io a scegliere di essere così; io volevo solamente studiare e scavare nel terreno, alla ricerca di frammenti di antiche civiltà, per poi diventare un vecchio professore brontolone come mio padre, sempre pronto a bacchettare i miei studenti per la loro scarsa diligenza. Invece, sin da bambino, mi sono sempre ritrovato impegolato in imprese decisamente più grandi di me e mai per causa mia: sembra quasi che i guai mi cerchino e mi si aggrappino addosso, legandosi a doppio filo alla mia pelle. Ho affrontato guerre, spie, ladri, rivoluzionari; una volta sono finito nelle mani di un pazzo che credeva di essere un vampiro, un’altra ancora sono stato scambiato per un cadavere ed ho rischiato di finire dritto in un forno crematorio. Mi sono crollati in testa templi ed antichi palazzi. Hanno tentato di fucilarmi, farmi a pezzi, impiccarmi, strangolarmi, annegarmi, insomma, di uccidermi in ogni modo che fosse possibile. Ho affrontato pazzi che volevano trafugare tesori archeologici, sono finito in trabocchetti impensabili rinchiusi in antiche costruzioni. Sono persino caduto prima in una cassa piena di serpenti, poi nel nido di un anaconda - a questi sconfortanti ricordi, che lo fecero sudare freddo, Jones non poté fare nulla per reprimere un vistoso brivido di paura, che lo scosse tutto dalla testa ai piedi - e, immediatamente dopo, nella gabbia di un leone, fuggendo da uomini armati che non avrebbero esitato un attimo a lasciarmi mangiare da quelle belve se non avessi avuto con me qualche cosa di prezioso che desideravano per loro: e, tutto questo che ti ho detto, prima di compiere i vent’anni. Figurati quelle che mi sono capitate dopo. Mi hanno scambiato per contrabbandiere, mercenario e ladro di tombe e, per questo motivo, ho pure rischiato che mi tagliassero via una parte di me a cui sono molto affezionato, giù nel Madagascar; poi ho corso svariate volte il rischio di essere arrestato per omicidio, furto d’auto ed altri crimini ancora, in alcune occasioni ho dovuto anche cambiare identità per riuscire a scappare da paesi i cui governanti avrebbero volentieri fatto un tappeto con la mia pelle. Mi sono più volte visto aizzare contro di tutto: cani, leoni, tigri, coccodrilli, gorilla… ho subito condanne per blasfemia e altro ancora. Peggio di tutto, mi sono invaghito di belle ragazze che, se da una parte mi ammaliavano con le loro carezze, dall’altra erano pronte a brandire un pugnale con cui sgozzarmi. Ne sono sempre uscito, escogitando qualche cosa all’ultimo momento e grazie all’aiuto di una fortuna sfacciata, lo ammetto, ma devo anche dire che c’è sempre una prima volta in cui le cose potrebbero mettersi male sul serio. E non è detto che non sia proprio questa.»
   «Indy, tu hai delle doti nascoste di cui neppure tu sei pienamente cosciente, posso assicurartelo. Sono certo che, grazie a te, ce la caveremo egregiamente anche questa volta.»
   «Speriamolo, perché a casa ho lasciato troppe cose in sospeso per morire proprio adesso. Credo, però, che ci sia una persona che non avrebbe nulla da ridire sulla mia morte, anzi se ne rallegrerebbe più di chiunque altro.»
   «A chi alludi? A Belloq?» domandò Wu Han.
   «Belloq!» sbottò Jones, pronunciando quel nome come se stesse sputando. «Quello! Posso assicurarti che Belloq sarebbe il più afflitto, dalla mia dipartita. Certo, ogni volta che mi sottrae qualche cosa fa sempre la scena di volermi eliminare, ma la realtà è che lascia lui stesso che io mi metta in salvo, in maniera che possa, poi, rimettermi al lavoro: altrimenti, se non ci fossi più io che cerco e trovo, lui a chi potrebbe mai rubare i preziosi manufatti con cui arricchirsi? No, quell’ipocrita ha troppo da guadagnare dal fatto che io sia vivo e vegeto, ha bisogno di me, è come un parassita che si nutre della ninfa vitale di un altro organismo. La persona di cui parlo, invece, è il rettore.»
   «Il rettore?» ripeté Wu Han, stupendosi. «Perché mai il rettore dovrebbe avercela con te?»
   «Eh… se tu immaginassi…» brontolò Jones.
   «Ti sarai lasciato una schiera di nemici agguerriti e sanguinari, dietro le spalle, e ti preoccupi del rettore!» sghignazzò il contrabbandiere. «Questa dovevo ancora sentirla!»
   «Grazie tante» fece Jones. «Senti, lasciamo perdere questa storia del rettore. Stavo scherzando. Credo che, a momenti, giungeremo a destinazione, quindi avremo ben altre cose a cui pensare che non a quel vecchio rabbioso.»
   Infatti, il panorama, attorno a loro, stava mutando; pur continuando a rimanere immersi nella nebbia e nel buio, potevano cominciare ad apprezzare, qua e là, delle rocce intagliate in forma di dragoni o di altre divinità mostruose, lampante segno del fatto che, ormai, fossero in vista della fortezza della Triade del Drago Nero. La speranza che, nel punto di arrivo della funicolare, non vi fosse nessuno intenzionato a far loro la pelle, era molto labile. Dovevano togliersi di mezzo al più presto.
   «Saliamo sul tetto» disse Jones. «Una volta lì, troveremo qualche cosa a cui aggrapparci prima di giungere a destinazione. Siamo passeggeri senza biglietto e non possiamo neppure concederci il lusso di pagare a fine corsa.»
   Detto questo, si inerpicò sul parapetto e, con un’agile mossa, si aggrappò al tettuccio della vettura, innalzandosi al di sopra, ma cercando di mantenersi basso per non sbattere la testa contro i cavi della funicolare; dopo poco, Wu Han lo raggiunse imitandone le medesime mosse. Rimasero in quella posizione per alcuni istanti, senza sapere cosa fare, fino a quando l’archeologo notò che la parete rocciosa di sinistra s’era, ormai, tramutata in un declivio, da cui sporgevano alcuni rami contorti di piante centenarie. Li indicò a Wu Han con un cenno del capo, dicendo: «Lì.»
   Strisciarono lungo il tetto della cabina e, non appena ebbero i rami a portata delle proprie mani, li afferrarono, trattenendovi saldamente; la funicolare, continuando la propria corsa, li lasciò scivolare all’indietro, fino a quando rimasero appesi a quei vecchi ed umidi arbusti anneriti.
   Una volta sicuri che, nel caso fossero caduti, non avrebbero più corso il rischio di venire stritolati dalla pesante macchina, cominciarono lentamente ad arrampicarsi, allungando le braccia ed avanzando di pochi centimetri per volta, esponendosi al pericolo di cadere di sotto ogniqualvolta incappavano in un ramo troppo marcio per sostenerli. Dopo circa venti minuti di arrampicata, tuttavia, Jones toccò la cima del declivio e vi si issò con tutto il corpo, aiutando subito dopo l’amico a raggiungerlo. Quindi, si guardò attorno, contemplando il paesaggio circostante.
   Dinnanzi a loro, una sorta di pianoro sassoso, lungo il quale crescevano rade erbe e pochissimi alberi, tanto immensi da poter essere ritenuti millenari, declinava leggermente verso il basso, fino a perdersi in quello che appariva come un muro di cinta cadente e diroccato, oltre il quale si scorgevano i tipici tetti delle case cinesi, ad ampia cadenza e leggermente incurvati, adorni però, anziché delle tipiche tegole rosse o gialle, di pietre nere. Lungo le mura, poi, si notavano qua e là delle grandi statue di draghi, ormai quasi tutte ridotte in condizioni pessime. Non sembrava che vi fosse nessuno di guardia anzi, a dire la verità, la misteriosa città sembrava del tutto deserta e disabitata: non un lume né una voce provenivano da essa; l’unico leggero rumore era prodotto da alcune ante, ormai quasi cadute, che chiudevano una finestrella lungo le mura, sbattute da una leggera corrente d’aria. Il cielo nero e l’atmosfera cupa e rarefatta davano all’insieme un qualche cosa di tetro, quasi un richiamo di morte, inesplicabile.
   «Bel posticino, per passarci le vacanze» commentò ironicamente Jones.
   Wu Han, dopo aver ripreso fiato, si levò al suo fianco.
   «Questo luogo sembra abbandonato da secoli. Non credi anche tu?»
   «Non so. Comunque non mi piace.»
   «Che facciamo, allora?»
   «Facciamocelo piacere» sentenziò Jones.
   Risoluto, pur mantenendo una certa circospezione, si avviò verso le mura dell’antica città, cercando con lo sguardo un varco da cui poter entrare; dopo aver percorso il breve altipiano che li separava dalla cadente costruzione, lungo all’incirca cinquecento metri, si accostarono alla finestrella le cui imposte, di quando in quando, erano mosse dall’aria. Non appena Wu Han ne ebbe toccata una, essa si staccò e cadde a terra.
   L’archeologo diede un’occhiata oltre la finestra, grande abbastanza per farli passare entrambi; da quel punto, poteva scorgere una viuzza che un tempo doveva essere stata lastricata in pietra, la medesima che ricopriva i tetti, ma che, adesso, era invasa dalla terra e dalle erbacce, che crescevano molto alte. Ai lati della viuzza, che si perdeva nell’oscurità, svettavano edifici alti quanto le mura e dall’apparenza molto solida, le cui pareti erano umide e nere, cosparse di muschio e licheni. Non si poteva intravedere null’altro, a causa della densissima nebbia che aveva invaso la zona. Sopra ogni cosa, aleggiava l’acre odore dell’umidità.
   «Cosa vedi?» domandò Wu Han, con una certa apprensione.
   Quel luogo gli dava i brividi, come se una paura impenetrabile e misteriosa si levasse da esso. Come aveva detto in precedenza, gli pareva di essere giunto alle porte del regno del grande mistero, di cui tante volte gli avevano parlato i genitori. Non gli piaceva, avrebbe voluto essere altrove.
   Dal canto suo, Jones riusciva a mantenere il sangue freddo: «Nuvole basse e poco più» rispose. «Vieni, o non scopriremo mai che cosa si celi tra queste vecchie costruzioni.»
   Con un balzo, superò la finestrella ed entrò nella fortezza del Drago Nero; Wu Han, pur titubante, lo seguì immediatamente.
   Nel vicolo, l’odore di umido era ancora più forte, dava quasi alla testa, specialmente quando da alcun erbe ormai marcite si levavano dei miasmi davvero insopportabili; i due uomini, però, erano determinati e pronti a tutto, nonché entrambi abituati a situazioni ben peggiori di quella, per cui non badarono minimamente a quella puzza. Invece, senza una sola parola, cominciarono ad avanzare a passi lenti lungo il vicolo, con le mani pronte ad impugnare le proprie armi; infatti, si aspettavano di poter incontrare qualche losco figuro da un momento all’altro.
   Contrariamente alle loro previsioni, tuttavia, poterono avanzare lungo la lugubre stradicciola senza alcun problema e, alla fine, giunsero in vista di un grande ponte coperto, in muratura ma con i parapetti realizzati in spesse canne di bambù, il quale attraversava un profondo abisso, del quale non si vedeva il fondo, per una lunghezza di circa quindici metri. Sul lato opposto del ponte, si apriva una vasta piazza, intuibile solo attraverso la porta d’ingresso, essendo per il resto circondata da edifici che ne impedivano la vista per intero.
   «Ci reggerà?» domandò preoccupato Wu Han.
   «Puoi scommetterci. Ma ti sconsiglio di fare troppo affidamento sul parapetto» rispose l’archeologo, avviandosi.
   Come fu sul ponte, corse alla ringhiera di destra e, senza appoggiarvisi, guardò verso il basso; come prevedeva, vide la linea della funicolare, che proseguiva fino ad arrivare esattamente all’interno di una costruzione che doveva aprirsi, poi, sulla piazza che stavano per raggiungere.
   «Credo che, se mai ne sia stato creato uno, troveremo il nostro comitato d’accoglienza ad attenderci, là avanti» brontolò.
   «Quindi, cosa vorresti fare?» domandò il contrabbandiere.
   «L’alternativa sarebbe quella di tornare indietro e costeggiare le mura, cercando un’altra via. Ma guarda là in fondo.» Indicò un punto a circa cinquanta metri da loro, dove si notava un altro ponte che conduceva alla piazza; più oltre, ad altri cinquanta metri, se ne notava un altro. La stessa cosa poterono vedere guardando verso sinistra.
   «La città deve avere una forma circolare, ed ogni strada, alla fine, conduce su quel dirupo centrale dove si trova la piazza» rifletté Jones. «Immagino, allora, che anche noi dobbiamo dirigerci in quella direzione: è probabile che il palazzo, o quello che sia, in cui risiede il nostro amico Kai, sorga proprio lì. Con un po’ di fortuna, a breve troveremo Mei Ying.»
   «Non dimenticare che, facilmente, ci saranno dei guerrieri del Drago Nero ad attenderci» gli rammentò Wu Han. «Li abbiamo già conosciuti a Hong Kong e non mi sembrano proprio delle pecorelle smarrite.»
   «Non l’ho dimenticato, infatti, ma non potremo fare altro che andare avanti e sperare di non incontrarli, oppure che siano ossi piuttosto facili da rodere. Vedrai che, in qualche modo, riusciremo a fare noi la parte dei lupi.»
   «Di speranze sono lastricate i viali dei cimiteri» tentennò il cinese, ma inutilmente, dato che l’americano era già partito a passi rapidi verso la porta della misteriosa piazza.
   Quindi, per non restare indietro, si affrettò a seguirlo.
   Jones raggiunse la porta che dava sulla piazza, ossia un volto sormontato da statue raffiguranti strani esseri e divinità, e vi si accostò, spiando il grande spiazzo antistante; era un piazzale di pietra grigia, spazzato dalle correnti d’aria a causa delle numerose porte che vi si aprivano. Infatti, come aveva ipotizzato, la piazza sorgeva sopra un costone di roccia isolato dal resto della montagna, e circondato dalla misteriosa città, con la quale comunicava mediante diversi ponti, del tutto identici a quello su cui, adesso, si trovavano. Nel centro, dove la piazza si rialzava, oltre una scalinata molto larga, si ergeva un imponente palazzo, probabilmente sempre di pietra, ma rivestito di un legno laccato di rosso; era alto e massiccio, ricoperto da un tetto, simile a quello dei palazzi veduti precedentemente, anche se conservato molto meglio, nonché rifinito con oro zecchino, lo stesso che ornava gli stipiti delle finestre e dei grossi portali che si aprivano sulla facciata. La piazza sembrava essere completamente deserta, ma tremolanti luci di candele provenienti dall’interno del grande palazzo tradivano la presenza umana.
   Jones accennò con la testa al grande e ricco edificio: «Quella dev’essere la residenza di un alto papavero. Scommetto che sia Kai sia Mei Ying si trovano lì dentro da qualche parte. E, pure, il nostro vecchio Specchio dei Sogni.»
   «Credi che riusciremo a recuperarlo?» domandò Wu Han.
   «Perlomeno, ci proveremo. Al più, una volta messa al sicuro la ragazza, faremo in modo che nessuno possa più gingillarsi con quel giocattolino.»
   «Come entreremo?»
   «La via mi sembra libera. Chissà, magari non ci aspettano ancora, possiamo forse immaginare che non esistano mezzi per comunicare rapidamente tra la città di Penglai e la base dei tedeschi: è probabile che i messaggi vengano recapitati a mano, per cui i nostri amici cinesi potrebbero non essere ancora stati informati della nostra presenza e non averci teso alcun agguato. Io dico che potremmo avere questa fortuna.»
   «Non contare troppo sulla fortuna, Indy. In questi casi non bisogna farci troppo affidamento.»
   «La dea bendata è innamorata di me, vecchio mio. Comunque, per rispondere alla tua domanda, ecco che cosa faremo. Attraverseremo con disinvoltura la piazza ed entreremo nel palazzo dall’ingresso principale, come si conviene a persone civili quali siamo noi.»
   «È un po’ un’incognita… se qualcuno ci scorgesse non ci resterebbe altro da fare che darcela a gambe, ma dove potremmo andare?»
   «Ma no! Se incontrassimo qualcheduno, sarebbe sufficiente dirgli che siamo turisti e che vogliamo visitare il palazzo, facendoci indicare la biglietteria.»
   «Ma…»
   «Sto scherzando, Wu Han! Ma questo non cambia nulla nei miei piani. Ricordati che, fin qui, abbiamo sbrigato la parte facile. Il difficile sarà tornare indietro dopo aver recuperato Mei Ying.»
   «Che piacere, Indy, quando mi dici queste cose.»
   Jones ghignò.
   «Affrontare pericoli mortali più volte al giorno rientra nella mia quotidianità, rammenti? Un po’ per volta, sto contagiando pure te.»
   «Mi hai messo sulla cattiva strada, è questo che stai dicendo?» domandò Wu Han, trattenendo a stento una risata.
   «Quando mai! Ti ho sottratto ad una vita monotona e piatta! E, adesso, andiamo!»
   Rinfrancati da quello scambio di battute, che aveva risvegliato l’ilarità di entrambi, il che era quanto mai necessario per poter affrontare un luogo lugubre e tetro come quello, dove sarebbe stato decisamente facile lasciarsi prendere dallo sconforto, i due uomini lasciarono il rifugio di relativa sicurezza che regalava loro la porta d’ingresso, la quale li aveva mantenuti fino a quel momento al riparo da sguardi indesiderati, e s’inoltrarono nella piazza, risoluti a portare a compimento al meglio la loro missione.
   Camminare in quel luogo non era semplice, perché le pietre antiche erano state levigate da secoli, se non addirittura da millenni, di utilizzo continuo, ed erano per di più rese estremamente viscide e scivolose dall’umidità quasi perenne dell’alta e fredda vetta della montagna; nonostante, quindi, calzassero entrambi scarponi adatti a camminare in luoghi impervi, dovevano di frequente rallentare per non rischiare di perdere l’equilibrio e finire a gambe all’aria
   «Sembra che qualcuno abbia rovesciato in terra interi bottiglioni d’olio» si lamentò Wu Han.
   Jones, tuttavia, non poté replicargli.
   Erano appena giunti a metà strada, infatti, quando dalle costruzioni antistanti la piazza, dalle porte dei diversi ponti, financo dal palazzo, emersero una quarantina di uomini, tutti cinesi, bardati da grosse e spesse catafratte e calzanti elmi che coprivano loro completamente la testa, armati di lunghe lance di bambù dalla punta metallica, che li circondarono da ogni lato, gridando e tagliando loro qualsiasi via di ritirata.
   Jones, scrutandoli con occhi duri, si arrestò di colpo, con Wu Han al fianco, senza farsi prendere dal panico, anzi analizzando rapidamente la loro situazione: aveva con sé il revolver, che poteva sparare sei colpi; parecchie munizioni di scorta le teneva nella borsa. Anche Wu Han era armato, con una Mauser da dodici colpi, ed anch’egli doveva avere con sé delle cartucce di riserva. Tuttavia, i nemici erano parecchi e le loro armature potevano forse resistere ad un proiettile, anche se di questa cosa l’archeologo dubitava grandemente; ciò che lo preoccupava, invece, erano le lunghe lance dei cinesi. Con uno spiedo del genere, avrebbero potuto infilzarli entrambi da parte a parte nel giro di pochi istanti. Insomma, la resistenza sarebbe stata vana ed avrebbe certamente decretato la loro fine. Fingere di arrendersi, invece, avrebbe significato qualche maggiore possibilità di fuga, in seguito.
   «Indy, che facciamo? Non possiamo batterci» gli mormorò Wu Han all’orecchio, quasi gli avesse letto nel pensiero.
   «No, sono troppi anche per noi» rispose rapidamente l’avventuriero. «Vediamo di riuscire a farci condurre da Kai. Sarà un grande passo avanti.»
   «Purché non decidano di finirci qui sul selciato, lanciandoci addosso le loro dannate lance.»
   A questa cosa, Indiana Jones non aveva pensato. Ma dovevano correre il rischio. D’altra parte, era ormai abbastanza abituato ad essere catturato da nemici che, prima di ucciderlo, o almeno di provare a farlo, se lo facevano condurre dinnanzi, per sbeffeggiarlo, provare a indurlo a passare dalla propria parte od altre cose del genere.
   «I cattivi sono sempre prevedibilmente uguali ed altrettanto stupidi» rifletté con una certa ironia.
   Nel frattempo, uno dei soldati, probabilmente un ufficiale, a giudicare dalla catafratta più abilmente cesellata e dal mantello nero che indossava, si era staccato dal gruppo e si era fatto loro incontro, urlando parole che nessuno dei due riusciva a comprendere: conoscendo entrambi la lingua cinese, però, sia Wu Han sia Indiana Jones immaginarono che dovesse trattarsi di un qualche antico dialetto sviluppatosi a Penglai.
   I gesti dell’uomo, nonostante le parole oscure, erano piuttosto eloquenti: con una mano, li invitava, o meglio li obbligava, a seguirlo, segno che voleva condurli in qualche luogo. Jones, con il capo, accennò un segno affermativo, perciò i guerrieri si misero in formazione, creando un quadrato così compatto di armi ed armature attorno ai due prigionieri da non lasciare loro neppure una minima possibilità per provare a darsela a gambe. Tale era la loro sicurezza, che non si curarono neppure di perquisirli per togliere loro le armi.
   Ad un cenno dell’ufficiale, la compatta colonna si mise in marcia, avanzando verso la scalinata che conduceva alle porte del palazzo.
   «Dove ci staranno conducendo?» chiese Wu Han con inquietudine.
   «Dai nostri fanatici amici cinesi e tedeschi, suppongo» rispose Jones, prima che l’ufficiale urlasse al loro indirizzo una parola sconosciuta, ma che doveva risultare certamente come un’intimazione a mantenere il silenzio. E, per non irritarlo, i due uomini si guardarono bene dall’aggiungere altro.
   Furono condotti all’apice della scalinata e, da lì, dentro il palazzo; alle proprie spalle, Jones udì i grossi portoni venire richiusi e sigillati a tripla mandata. Si trovavano, adesso, in un lungo corridoio circondato da pareti rivestite di legno finemente intagliato e decorato, sebbene all’archeologo risultasse difficile notare i particolari, a causa della marea di ferro che lo circondava.
   «Brutta situazione, Cristo santo!» pensò. «Quasi peggio di quella volta in Madagascar.»
   Alla fine, dopo aver percorso lunghi corridoi ed aver salito e sceso diverse rampe di scale, compiendo un percorso che nessuno dei due sarebbe stato in grado di tenere a mente neppure se avessero avuto un’ampia visuale tutt’attorno, vennero fatti entrare in una grande sala, ornata da enormi statue di draghi rossi e neri e dalle pareti ricoperte di stucchi e disegni rifiniti in oro ed altri metalli preziosi.
   Qui, i soldati si schierarono tutti in riga alle spalle dei due prigionieri, che così poterono osservare la scena dinnanzi a sé: seduto sopra un trono, posto in cima ad un’alta pedana, c’era Kai, affiancato dalle due donne in abito tradizionale cinese con cui Jones aveva già avuto a che fare al Loto d’Oro di Hong Kong; poco più in là, in palese difficoltà nel trovarsi in un luogo tanto differente dalle caserme militari, dagli uffici e dagli accampamenti a cui era abituato, sedeva il maggiore Von Beck, il cui volto imbarazzato e deforme fu contratto dall’ira nel rivedere comparire la figura di Indiana Jones. E, seduta sulla gradinata, con ancora indosso l’abito da sera, ormai stracciato, c’era Mei Ying, che alzò su di loro uno sguardo indecifrabile.
   Kai, nel vederli, cominciò a ridere sguaiatamente, senza che nessuno si scomponesse nell’udire quella specie di latrati. Fu solamente quando ebbe terminato la propria risata da folle che il comandante delle guardie, inginocchiatosi, lo raggiunse, trascinandosi sui ginocchi fino all’alta pedana, e gli parlò nella lingua locale. Il capo della Triade del Drago Nero rispose rapidamente e l’uomo, sempre restando in ginocchio, fece dietrofront. Quando ebbe raggiunto i propri soldati, si rialzò in piedi e, con un ordine secco, li fece uscire dalla stanza, le cui porte furono poi richiuse.
   Adesso, Jones e Wu Han potevano fronteggiare i loro acerrimi nemici senza timore di essere assaliti alle spalle, almeno. L’archeologo si domandò se Kai fosse stato informato del fatto che nessuno avesse provveduto a disarmarli. Immaginò di no, altrimenti non avrebbe fatto allontanare con tanta leggerezza i soldati. Perlomeno, sperò che fosse così. Gettò un’occhiata a Wu Han ed intuì che i suoi medesimi pensieri, adesso, dovevano girargli nella mente.
   «I miei uomini mi dicono che vi hanno catturato mentre cercavate di raggiungere il mio palazzo» disse all’improvviso Kai, rompendo il silenzio carico di aspettative e di tensione che era calato sul gruppo di persone. «Ne sono impressionato. Mai un uomo mortale, prima d’oggi, ha osato avvicinarsi senza permesso alla sacra montagna di Penglai e restare impunito, figurarsi darne la scalata senza esserne sorpreso. Sono basito e ammirato dalla vostra audacia ed intraprendenza. Siete degni di essere ricordati per sempre nelle leggende e nelle storie che si raccontano riguardo a questa montagna.»
   «È sempre stato il nostro sogno, quello di diventare parte di un’opera letteraria, vero, Wu Han?» replicò Jones.
   «Poche storie!» tuonò in quel momento Von Beck, con voce rabbiosa ed impaziente. «Kai! Non mi importa quel che farà di quel cinese, lo faccia suo schiavo, lo butti da un dirupo, se lo mangi per colazione, se preferisce, ma voglio subito il cadavere di Jones ai miei piedi!»
   «Silenzio!» ordinò Kai, palesemente irritato, rivolgendosi verso il nazista. «Maggiore, anche se le ho permesso di seguirmi fin quassù, non tollererò che lei venga a dare ordini a me all’interno del mio palazzo, sulla mia montagna, per di più di fronte ai miei uomini!»
   «Ma quali uomini, se li ha fatti allontanare tutti!» replicò il maggiore. «Ebbene, se non intende agire lei, finirò il lavoro io stesso!»
   E si alzò in piedi, portando una mano alla fondina dove teneva rinchiusa una Luger. Jones e Wu Han, avendo entrambi le mani libere, erano pronti a reagire, ma prima ancora che potessero muovere un solo muscolo, fu Kai ad intervenire.
   «No!» gridò, alzandosi in piedi con rabbia. «Un’arma da fuoco non ha mai risuonato all’interno di questo sacro palazzo e non succederà certo adesso!»
   Fece un cenno alle due donne che lo affiancavano, le quali si alzarono immediatamente.
   «Jones e il suo amico moriranno a breve» sentenziò Kai. «Questo è il volere di Kong Tien, il divino protettore di Penglai, la montagna leggendaria. Saranno le mie spose-sorelle a celebrare l’esecuzione. Adesso.»
   Le due donne, sorridendo diabolicamente, cominciarono a discendere i gradini, dirette verso Jones e Wu Han, che si prepararono a riceverle con tutti gli onori che spettavano loro. Ma non avevano percorso che pochi passi che Mei Ying, fino a quel momento rimasta seduta ed immobile, come in una sorta di apatia, scattò come una molla e, con un calcio acrobatico, degno di una campionessa olimpionica, colpì una delle due donne in pieno viso, gettandola in avanti di parecchi metri. Subito, si buttò contro l’altra, colpendola con pugni e calci.
   Jones e Wu Han non aspettavano altro per agire a propria volta.
   L’archeologo balzò in avanti e, levatasi la frusta dalla cintura, la schioccò e l’arrotolò attorno al collo di Von Beck, che proprio in quel momento stava mettendo mano alla pistola, tirandolo poi verso di sé con violenza e colpendolo con un diretto in pieno viso.
   Kai, nel vedere tutto quello sconquasso, era rimasto immobile, quasi stupito; ma, più che la reazione di Jones e Wu Han, a lasciarlo di sasso sembrava essere stato l’assalto improvviso di Mei Ying contro le due donne. Il contrabbandiere, quindi, ne approfittò per corrergli incontro e  gettarglisi addosso, per tentare di buttarlo in terra; ma l’impresa risultò molto presto ben più ardua del previsto: a dispetto dell’aspetto non troppo possente, seppure fosse comunque molto alto, Kai doveva possedere una forza fuori dal comune, poiché parò con relativa facilità il pugno dell’avversario e, con una sola spinta, lo mandò a gambe all’aria, facendolo rotolare giù dal podio del trono. Dopodiché, iniziò a correre verso le porte, certamente per andare a invocare il soccorso dei guerrieri.
   Wu Han, scuotendo il capo per la botta ricevuta, però, si accorse della sua manovra, decidendo di doverlo fermare immediatamente, altrimenti la loro vita non avrebbe più avuto neppure il valore di una moneta falsa; rapidamente, estrasse la pistola, ma intuì che uno sparo avrebbe comportato troppo rumore, richiamando attenzioni sgradite dal resto del palazzo. Per cui, gettata un’occhiata alla parete più vicina e notato un porta spade di legno nel quale erano infilati diversi spadoni dalle lame affilatissime, vi si slanciò e, afferrata una delle armi, senza neppure prendere la mira, la scagliò nel vuoto, sperando che giungesse a destinazione. La micidiale arma roteò nello spazio, sempre più veloce, finché interruppe il proprio volo, andando a conficcarsi nella schiena di Kai, che atterrò pesantemente al suolo con un gemito di dolore, spandendo sangue ovunque. Sbarazzatosi del pericoloso avversario, Wu Han corse ad affrontare la donna atterrata da Mei Ying, che in quel momento si era riavuta e si era rialzata in piedi, intenzionata a correre a dare man forte alla sorella, ancora alla prese con la ragazza.
   Jones, nel frattempo, era impegnato in un duro corpo a corpo con Von Beck; il loro sembrava quasi un incontro di pugilato in cui, però, fosse lecito anche l’uso di calci, schiaffi e quant’altro a cui si potesse ricorrere pur di scalzare l’avversario. I due non si concedevano una pausa, colpendosi con tutte le loro forze. Pugni in faccia, calci nell’inguine e negli stinchi, qualunque cosa pur di avere la meglio. Ma nessuno dei due pareva voler cedere: Jones era guidato dalla convinzione che, fra tutti quelli presenti lì dentro, il nemico più formidabile fosse proprio il maggiore, e fosse molto meglio provare ad eliminarlo il prima possibile; d’altra parte, non avrebbe potuto concedergli un solo istante di tregua, perché l’altro avrebbe approfittato di qualsiasi istante a propria disposizione per riuscire a mettere mano alla pistola e sparargli a bruciapelo. D’altronde, Von Beck era mosso da un odio che non aveva mai provato, prima di allora, verso nessun altro essere umano; voleva schiacciare e distruggere ad ogni costo l’uomo che lo aveva sfigurato e più volte umiliato. Ormai, non gli importava più nulla, né del Cuore del Drago, né dei suoi superiori, nulla di nulla all’infuori dell’uccisione di Indiana Jones. Ed ogni volta che lo colpiva, allora, provava un vero godimento, un piacere personale nel vederlo incassare le sue botte. Ma doveva pure riconoscere che, quell’altro, non sembrava essere intenzionato a cedere, anzi pareva reagire sempre con maggiore forza a tutti i suoi colpi.
   Mei Ying, intanto, aveva atterrato la donna con cui aveva lottato fino a quel momento, una lotta dura ed acrobatica, degna dei migliori campioni di arti marziali. La gettò in terra ormai senza forze e le si avventò sopra, comprimendole violentemente lo stomaco con le ginocchia. Poi, con una presa micidiale, le serrò la gola in una stretta tremenda, soffocandola un poco per volta. Nello sguardo della donna atterrata apparve un folle terrore, la consapevolezza di essere prossima alla morte; tentò di agitare le braccia, di fermare la sua assassina, ma non le riuscì altro da fare se non di strapparle l’abito bianco e rosa, lasciandola praticamente nuda fino alla cintola. Mei Ying non si curò di nulla, ma continuò a stringere, con il viso contratto in una smorfia di sadica gioia. Alla fine, con un ultimo sussulto, la donna cinese, quella dall’abito verde, morì soffocata; solo allora, delicatamente, quasi accarezzandone la pelle color pesca, la ragazza la lasciò andare, sussurrando qualche cosa in cinese.
   Wu Han, nel frattempo, era impegnato a trattenere l’altra donna, quella dall’abito rosso; ma anch’essa, proprio come Kai, sembrava essere un osso troppo duro da rodere per il povero contrabbandiere, non certo abituato ed addestrato alle lotte libere, specialmente con persone che sembravano in grado di conoscere mosse segrete di grande abilità. Era riuscito ad afferrarla per le spalle ed a farla tornare a terra ma la donna, senza neppure sembrare sorpresa da quell’attacco, gli aveva sferrato un calcio proprio in mezzo alle gambe, lasciandolo senza fiato; ciò nonostante, era riuscito a sua volta a piantarle un forte pugno sul labbro, che si era spaccato. Al che, i due si erano avvinghiati in un corpo a corpo che, adesso, dopo un momento di iniziale parità, stava volgendo a sfavore dell’uomo, che sentiva di essere prossimo a venire sopraffatto dalla superiorità della donna. Pur reagendo con tutto se stesso, infatti, non pareva più in grado di reggere a quel durissimo combattimento. Era ormai sul punto di soccombere, quando la donna emise un grido e lasciò la presa, cadendo al suo fianco, priva di vita: una lama affilata le era penetrata nei polmoni e l’aveva trapassata, fino a spaccarle il cuore. Wu Han, lordo del sangue della donna, si rialzò di scatto in piedi, massaggiandosi le percosse, e vide Mei Ying che gli sorrideva, con la mano ancora stretta sull’impugnatura della spada che aveva preso da poco lontano. Lasciò andare la lama e gli si fece vicina, prendendogli le mani.
   «Wu Han» disse, con voce dolce. «Siete venuti fin quassù per salvarmi?»
   «Sì, anche se sei stata tu a salvare me…» borbottò l’uomo.
   Quindi, notando il vestito lacerato della ragazza, che ne lasciava nudi le spalle, il seno ed il ventre, con galanteria si sfilò il proprio giubbotto, rimanendo in camicia, perché lo indossasse, cosa che lei fece in tutta tranquillità, come se non la turbasse affatto rimanere in quelle condizioni di fronte al vecchio amico.
   «Ma tu hai ucciso Kai» gli rammentò lei. «Se non fosse stato per il tuo intervento, a quest’ora avrebbe allertato i suoi uomini e saremmo stati sopraffatti ed uccisi.»
   Il volto della ragazza si fece dolcissimo e, con deliberatamente lentezza, si avvicinò a quello di Wu Han, fino a baciarne le labbra. L’uomo rispose al bacio, dapprima timidamente, poi con vera e propria passione, abbracciandola e stringendola a sé con ardore. Fu solamente dopo qualche istante che i due, richiamati bruscamente alla realtà da un rumore sordo, si staccarono e si volsero per vedere che cosa stesse accadendo.
   Era accaduto che Jones, che aveva continuato a lottare con Von Beck, era infine riuscito, con un colpo secco, a fracassargli una spalla, facendolo cadere in ginocchio; e, mentre il tedesco si trovava dolente in questa posizione, l’archeologo, senza troppe cerimonie, gli aveva piantato un violento calcio nei denti, parecchi dei quali erano andati in frantumi, privandolo della coscienza e lasciandolo steso a terra. Prima di ricongiungersi agli altri due, voltando le spalle a Von Beck, volle mettersi al sicuro togliendogli la pistola ed infilandosela nella borsa a tracolla. Quindi, sistemando la frusta, che durante il combattimento era finita a terra, e riattaccandola al proprio posto, raggiunse i due amici al centro della sala. Indiana Jones non aveva un bell’aspetto: sudato, scompigliato, insanguinato, il cappello tutto storto. Eppure, incredibilmente, sulle sue labbra si allargava un ghigno quasi divertito.
   «Tutto bene?» domandò, asciugandosi con il dorso della mano il sangue che gli colava da una piccola ferita vicino al naso, procuratagli da Von Beck. «Quel dannato nazista sembrava essere fatto di pietra, ma gli ho dato il fatto suo, Cristo santo!»
   «Noi stiamo bene, ma solo per merito di Mei Ying» replicò Wu Han, stringendo delicatamente il braccio della ragazza. «Se non fosse stato per lei, a quest’ora sarei probabilmente morto.»
   «Dottor Jones» disse la giovane, rivolgendosi all’archeologo. «Non avrei mai creduto di poterla rivedere spuntare fuori proprio qui. Pare che tutti, dai nazisti alla Triade del Drago Nero, ed io stessa, abbiano sottovalutato le sue reali capacità.»
   «Lo dico sempre, bellezza: la gente sbaglia tutto, nei miei riguardi» confermò Jones.
   «Ed ora che ci siamo liberati di tutta questa gentaglia, che facciamo?» domandò Wu Han.
   «Lasciamo che sia la nostra amica a condurci fuori da questa trappola» rispose Jones. «Tu conosci la strada, dico bene, dolcezza?»
   «So come fare ad andarmene senza essere scoperta, sì» rispose Mei Ying. «Ma prima di andarcene, dottor Jones, dobbiamo recuperare lo Specchio dei Sogni, è fondamentale.»
   «Ascolta, bellezza… diglielo anche tu, Wu Han… siamo venuti fin qui per toglierti dai guai, e quindi chi se ne importa, di quel dannato specchietto. Dobbiamo toglierci di torno il prima possibile, se non vogliamo finire appesi a qualche macchinario di tortura.»
   «Lo Specchio, dottor Jones; prima quello. Le ribadisco che non ce ne andremo da qui, senza averlo recuperato. Se lei e Wu Han vorrete andarvene, facciate pure: vi sarò per sempre grata per essere venuti ad aiutarmi. Ma io non lascerò Penglai senza prima essermene impossessata.»
   «Così facendo, ci metteresti in un bel vicolo cieco» constatò Wu Han.
   «Già, perché l’unica via che noi conosciamo è quella della funicolare, il che ci porterebbe dritti in bocca ai nazisti del piano di sotto e la nostra fuga finirebbe prima ancora di avere avuto inizio» brontolò l’archeologo.
   «Esatto, dottor Jones» disse la ragazza, con un sorriso radioso. «Il che vuole dire, quindi, che voi due dovrete venire con me, se vorrete riuscire ad andarvene di qui sani e salvi. A proposito, spero che abbiate un’imbarcazione, per prendere il largo.»
   «I miei fratelli torneranno a prenderci all’ora prestabilita, appena dopo il tramonto, quando si sarà fatto buio» le spiegò Wu Han.
   «Non è ancora l’alba, quindi abbiamo tutto il tempo che ci occorre, a disposizione» disse lei. «State tranquilli: ce ne andremo di qui tutti insieme, vivi e vegeti, e con lo Specchio dei Sogni.»
   Jones non aveva mai veduto tanta ostinazione in una sola donna; e dire che gli era capitato di avere appuntamento con donne decisamente testarde nel rifiutare qualsiasi sua proposta. Ma, adesso, la cosa era diversa, assecondare la ragazza avrebbe significato rischiare di andare a ficcarsi in guai ben più grossi di quelli avuti fino a quel momento. D’altra parte, non poteva neppure pensare di darle una botta in testa e caricarsela in spalle perché, altrimenti, chi avrebbe insegnato loro la strada per andarsene da lì? Comprese di non avere alcun ascendente, su quella donna. Sperò che, almeno, potesse riuscire Wu Han, con cui lei sembrava avere un rapporto molto migliore che con l’archeologo, a convincerla che sarebbe stata solamente un’inutile perdita di tempo quella del recupero dello Specchio dei Sogni.
   In quel momento, però, i tre furono distratti dalla loro discussione da una flebile risata proveniente dal fondo della sala; si volsero di scatto e videro che Kai, ancora vivo, sebbene con la lama profondamente conficcata nella schiena ed il viso quasi esangue, era riuscito a trascinarsi presso quella che sembrava essere una grossa leva di legno.
   «Ah ah ah…» rise debolmente l’uomo. «Arrivederci all’inferno…»
   E, allungata la mano, prima ancora che Jones, che aveva prontamente afferrato la pistola di Von Beck, potesse prendere la mira, agguantò la leva e la trasse con un sommo sforzo verso di sé, rimanendo poi immobile sulle fredde lastre di pietra dell’impiantito.
   Invece, proprio nel centro della sala, dove si trovavano Jones, Wu Han e Mei Ying, il pavimento, come se fosse stato una grossa botola, cedette all’improvviso sotto i loro piedi, ed i tre cominciarono a precipitare nel vuoto e nell’oscurità.

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Capitolo 12
*** Nei cunicoli maledetti ***


12 - NEI CUNICOLI MALEDETTI

   Cadevano nel vuoto, senza sapere che cosa li attendesse alla fine.
   Jones, tastando sotto di sé, comprese di essere sopra un ripido scivolo di pietra levigata, che lo conduceva rapidamente verso il basso; pur muovendo freneticamente qua e là le mani alla ricerca di appigli, non gli riusciva di trovare alcunché a cui aggrapparsi per arrestare quella tremenda corsa, che avrebbe potuto finire col rivelarsi mortale. Ma non poteva finire così: non poteva essere che Indiana Jones morisse in maniera così stupida, fregato da un uomo che nessuno s’era dato la pena di controllare che fosse veramente stato ucciso. Prima o poi quello scivolo sarebbe dovuto terminare e, allora, ci sarebbe stato un modo per tornare su. A Indiana Jones piaceva questo, di sé. Mai un pensiero negativo. Alla fine della discesa c’è sempre una salita e viceversa.
   «Cristo santo» pensò. «Se ne esco vivo, non mi lamenterò più di quanto sia iroso il rettore.»
   Gli sembrava di essere alla fiera dell’assurdo. Stava precipitando nel vuoto, con pochissime probabilità di riemergere mai più alla luce di propria volontà - però, chissà, magari un giorno un archeologo del futuro avrebbe trovato le sue ossa - e, persino in un frangente così pericoloso, riusciva ad avere un pensiero per il rettore del Marshall College. Alla fine, quindi, doveva volergli bene.
   Al proprio fianco, avvertiva i due compagni di disavventura e si domandò a cosa stessero pensando, in quel momento; sempre che riuscissero a farlo, data la situazione.
   All’improvviso, però, si levò alta e sicura la voce di Mei Ying, la quale doveva trovarsi nel mezzo tra i due uomini.
   «Presto, afferratevi a me!» gridò. «Fatelo o morirete!»
   Allegra prospettiva. Ma non sarebbe stato facile riuscire a toccarla, figurarsi ad afferrarla; fu solamente al terzo tentativo che Jones riuscì a prendere la sua mano. Doveva esserci riuscito anche Wu Han, poiché proprio in quel momento la ragazza gridò: «Tenetevi stretti!»
   In quel preciso istante, Jones si sentì strappare da terra e gli parve di salire verso l’alto, pur non potendo distinguere nulla, nell’oscurità; ma comprese immediatamente che cosa fosse successo. Mei Ying, con una forza prodigiosa, che non si sarebbe mai intuita in una figura tanto minuta, aveva vinto la forza di gravità, spiccando un salto e riuscendo a trascinare con sé i due uomini. I tre volarono in avanti, fino ad atterrare sopra una superficie liscia e piana.
   Mei Ying li lasciò andare e si rannicchiò a terra, tremante dal dolore: quell’epica azione doveva aver messo a dura prove tutte le sue energie ed ora pareva essere in preda a crampi indicibili. Jones si mise a sedere e, tastando nella propria borsa, trovò quello che cercava: una scatola di fiammiferi ed una candela. Accesa la fiammella, diede fuoco allo stoppino, illuminando il volto pallido di Wu Han e quello sconvolto di Mei Ying, ancora distesa a terra, con il petto che si sollevava rapidamente sotto la giacca che le aveva dato il contrabbandiere.
   «Mei Ying…» borbottò Jones, «come ci sei riuscita?»
   «Anni e anni di duro addestramento hanno dato il loro frutto» mormorò lei, sfinita. «Ma sollevare due pesi morti come voi è stata un’impresa ardua anche per me. Se questo vano fosse stato appena un po’ più in alto, non sarei riuscita a raggiungerlo e saremmo ripiombati sullo scivolo e, a quel punto, per noi non ci sarebbe più stato nulla da fare.»
   «Ma come hai fatto a vederlo?» le domandò Wu Han. «A me sembrava di precipitare in una totale oscurità, non riuscivo a scorgere assolutamente nulla.»
   «Conosco questi luoghi, ho già avuto modo di visitarli. Come già vi dissi, sono anni che fingo di lavorare per la Triade del Drago Nero e, essendo divenuta molto intima di Kai, avevo avuto il privilegio di visitare anche luoghi ad altri inaccessibili. Ho cominciato a calcolare i metri appena abbiamo cominciato a sprofondare, sapevo che questa sarebbe stata la nostra unica possibilità di salvezza. Ho dovuto approssimare un po’ i calcoli, pur sapendo di avere a disposizione un unico tentativo. Per nostra fortuna, ci sono riuscita. Ora, però, mi sento a pezzi.»
   «Lo credo bene» brontolò l’archeologo, guardandola con ammirazione. «Hai spiccato un balzo che neppure un atleta del circo Dunn & Duffy sarebbe in grado di replicare, per di più trascinandoti dietro due uomini che non sono certo dei pesi piuma.»
   «Ma cosa ci sarebbe aspettato, se fossimo rimasti sullo scivolo?» chiese Wu Han, iniziando a praticarle un leggero massaggio alle braccia per cercare di guarirgliele dai tremendi crampi. Nonostante avesse cercato di dare alla sua domanda un tono di pura curiosità, vi si avvertiva ancora una nota di paura.
   Mei Ying sospirò, parlando con voce rauca.
   «Lo scivolo, da dove ci troviamo noi ora, continua ancora per un chilometro, terminando in un baratro che scende fino alle profondità più remote della montagna. La leggenda narrava che, al suo termine, si trovasse la dimora di Kong Tien, il demone onorato dalla Triade del Drago Nero. Un tempo, vi venivano gettati i prigionieri offerti a tale divinità. Oggi, laggiù, non c’è più nessun dio, ma solo la base dei nazisti o, per meglio intenderci, il canale sotterraneo del sommergibile dove, infatti, al momento della sua realizzazione, vennero rinvenuti i resti ossei di migliaia di uomini.»
   «Immagino la sorpresa dei nostri amici crucchi se avessero veduto due uomini ed una donna volare addosso come missili al loro sottomarino, già tutto rotto» commentò sardonicamente Jones.
   «E, adesso, come faremo a tornare nel palazzo?» chiese, invece, Wu Han.
   «Questa nicchia, un po’ più avanti, nasconde l’imbocco di una galleria, che conduce alle catacombe, dove sono sepolti tutti i guerrieri della Triade. Troveremo, più avanti, delle torce appese al muro, basterà accenderle per fare un po’ di luce. Le ho visitate parecchie volte, quindi saprò orientarmi e risalire in superficie. Torneremo al palazzo di Kai, prenderemo lo Specchio dei Sogni e, una volta fatto questo, rientreremo qui sotto.»
   «Cosa?» domandarono insieme Jones e Wu Han, stupiti da quell’affermazione che, sicuramente, non si aspettavano.
   «Intendevo scendere nelle catacombe per raggiungere la base della montagna. Ho scoperto una via segreta, infatti, che attraverso questi cunicoli conduce alla riva del mare. Una strada lunga e tortuosa, certo, ma che ci permetterà un’agile fuga, anche perché credo di essere l’unica, a conoscerla. Ma, prima, dovremo risalire, per impossessarci dello Specchio. Prima di fare qualunque cosa, però, ho assoluta necessità di riposarmi.»
   La ragazza sospirò e chiuse gli occhi, mentre Wu Han continuava a massaggiarle le braccia e le gambe.
   Il cinese alzò sull’archeologo uno sguardo interrogativo e Jones in risposta lo ricambiò con un’occhiata davvero eloquente. A qualunque costo, non avrebbe acconsentito a tornare indietro, dove avrebbero potuto incappare nei soldati di Kai. Ed era certo che non avrebbero avuto una seconda possibilità di sfuggire loro, specialmente adesso, che sarebbero stati furenti, se li avessero riveduti. Non avrebbero fatto altre deviazioni, bensì avrebbero lasciato Penglai il prima possibile.
   «Questa ragazzina è pazza, se pensa che la asseconderemo nel suo piano. Non andremo a gettarci come conigli nella tana del leone» pensò tra sé e sé.
   Poi annuì.
   «Dolcezza, voglio dirti una cosa. So che non tieni in grande conto il mio parere ma credo che, per questa volta, tu dovresti farlo. Mi ascolti?»
   «L’ascolto, dottor Jones.»
   «Bene. Tornare indietro adesso sarebbe pura follia e potrebbe anche rivelarsi un grosso errore. Prima di tutto, perché potremmo essere rivisti dai soldati della Triade, contro i quali difficilmente riusciremmo ad avere la meglio. In secondo luogo, perché potremmo arrivare solamente per scoprire che quell’energumeno di Von Beck se ne sia già andato con lo Specchio dei Sogni, diretto alla tomba dell’imperatore, anche se ammetto che difficilmente andrà lontano tanto presto, dopo le botte ricevute: gli ci vorranno un giorno o due, per riprendersi, ma non credo che rimanderà oltre il suo arrivo alla tomba. Non possiamo, tuttavia, scartare a priori l’ipotesi che sia già in viaggio a quest’ora, e che la nostra ascesa potrebbe essere del tutto inutile. Immagino che fossero tornati qui a Penglai per rimettere insieme i tre pezzi dello Specchio ma, ormai, a quest’ora, esso sarà stato ricomposto, quindi il maggiore non avrebbe alcuna ragione di rimandare la propria partenza. Perderemmo tantissime ore preziose, in questo modo, rischiando anche di non arrivare in tempo per evitare il furto del Cuore del Drago. Invece, i nostri avversari ci credono ormai spacciati, convinti che non daremo più alcun fastidio. E noi lasciamoli vivere ancora per un po’ in questa loro convinzione. Dopo essersi leccati le ferite, si recheranno alla tomba persuasi, ormai, di averla fatta franca. E, invece, si sbaglieranno di grosso, perché troveranno noi ad attenderli e, magari, anche i fratelli di Wu Han come nostro supporto. Possiamo sperare di precederli, poiché ai tedeschi ci vorrà ancora un po’ di tempo per riparare il sottomarino e rimetterlo in mare. Tempo che potremo utilizzare per tendere loro una trappola. Cogliendoli di sorpresa, sottrarremo loro lo Specchio dei Sogni e recupereremo il Cuore del Drago prima che possano essere loro a farlo. Che dite?»
   «Credo che sia l’unica soluzione possibile, Indy» rispose Wu Han, «nonché la sola che possa darci un barlume di speranza per mantenere intatta la pelle.»
   Dopo un momento di esitazione, la ragazza finalmente si espresse.
   «Anche se avrei preferito agire fin da subito, riconosco che lei ha ragione, dottor Jones. Non possiamo permetterci di agire d’impulso. E se a suggerire prudenza è proprio lei, che solitamente prima le fa e poi le pensa, credo che sia proprio il caso di ascoltarla. E sia. Ce ne andremo il più in fretta possibile da Penglai e raggiungeremo la tomba dell’imperatore, sperando che i nostri avversari non si facciano attendere troppo, né che vengano numerosi. Ora, però, concedetemi qualche istante ancora di riposo, poi vi guiderò in questo intrico di vie sotterranee dove, senza la mia presenza, finireste senza dubbio con il perdervi.»
   «Tutto il tempo di cui hai bisogno, dolcezza» rispose Jones, mettendosi a sedere con la schiena poggiata contro una fredda parete di roccia e tenendo alta la candela per fare luce a Wu Han, sempre alle prese con il suo massaggio.
   Guardandolo, e leggendone i tratti del viso, Jones comprese che l’amico era profondamente innamorato della ragazza e che, quindi, sarebbe stato disposto a seguirla ovunque. Probabilmente, se lei non avesse accettato la proposta dell’archeologo di lasciare la montagna e rimandare ad un momento più opportuno la resa dei conti, il contrabbandiere l’avrebbe seguita nella sua assurda impresa, votandosi in questo modo al suicidio. Ma dovevano tenere conto di essere tutti parecchio stanchi e doloranti, il che non li avrebbe certo giovati: Jones non voleva fuggire dalla montagna per codardia, ma solo per avere maggiori possibilità di riuscita. Erano tutti troppo spossati per affrontare a breve una nuova scalata, eventuali combattimenti e, poi, una fuga precipitosa. Non ci sarebbero riusciti. Jones sperò che gli altri comprendessero questa parte da soli, che capissero che non era un fifone che desiderava solamente allontanarsi dal pericolo. Wu Han di sicuro lo sapeva: si conoscevano da così tanto tempo che, ormai, bastava una sola occhiata per intendersi all’unisono e rapidissimamente. Ma si domandò se, terminata l’impresa, lo avrebbe seguito nel lavoro proposto loro da Lao Che - con tanto di fuga finale verso gli Stati Uniti, dopo aver avuto l’Occhio del Pavone ed essersi ripresi il Nurhaci, come l’archeologo intendeva fare - oppure se gli avrebbe detto addio, andandosene via con Mei Ying. Era una probabilità che Indiana Jones non si sentiva di escludere: forse il vincolo di amicizia fraterna che li aveva tenuti uniti in tante avventure avrebbe trovato la propria naturale conclusione, in quei giorni. Be’, se Wu Han avesse trovato l’amore, sarebbe stato contento per lui. Ovviamente, gli avrebbe fatto un po’ dispiacere non averlo più al proprio fianco, ma sapeva che, prima o dopo, ciò sarebbe dovuto accadere, perché nessuno dei due avrebbe potuto continuare a vivere simili pazzesche avventure all’infinito. In realtà, ad Indiana Jones quella sua vita piaceva ed era sicuro che, se fosse divenuto un semplice professore di archeologia, con le giornate scandite da libri e lezioni, avrebbe finito coll’annoiarsi a morte; per non parlare di una sua vita da ammogliato. Pensiero tremendo! No, per almeno trent’anni buoni, ancora, gli sarebbe piaciuto continuare a vivere quella spericolatezza che gli si gettava addosso da sola ma che lui, dopotutto, non aveva mai fatto molto per evitare. Avrebbe continuato fino a quando le forze glielo avessero consentito; sempre che potesse averli ancora dinnanzi, trent’anni. Per quel che ne sapeva, seduto all’interno di una tetra montagna, con tonnellate di roccia sopra la testa ed una base di nazisti sotto i piedi, quella avrebbe anche potuto finire per rivelarsi la sua ultima notte. Ma no! Si doveva stare allegri e pensare al futuro. Ma non troppo. La questione se Wu Han lo avrebbe seguito nello scherzo che intendeva giocare a Lao Che rimaneva ancora aperta; ma non avrebbe avuto alcun senso preoccuparsene prima del tempo. Innanzitutto, c’era da portare a termine la questione del Cuore del Drago, ben più spinosa e pericolosa dei quattro gatti di cui Lao avrebbe potuto disporre come guardie del corpo.
   In quel momento, Wu Han terminò il proprio massaggio e la giovane, con dei leggeri gemiti, cominciò a mettersi seduta, stiracchiandosi le membra, da cui i crampi erano alfine spariti. Presto, si sarebbero potuti rimettere in marcia.
   Infatti, dopo ancora qualche istante di attesa, Mei Ying comunicò di essere pronta.
   «I crampi mi sono passati. Possiamo andare. Dottor Jones, quella sua candela, quanto durerà ancora?»
   «Ce n’è ancora più che una buona metà, il che significa almeno due ore di luce. Senza contare che ho un’intera scatola di fiammiferi, con me» rispose l’archeologo.
   «Nessun problema, allora. Potremo raggiungere agevolmente il punto in cui si trovano le torce, senza dover avanzare a tentoni. Prego, seguitemi.»
   Detto questo, la giovane si mise speditamente in marcia, con i due uomini alle calcagna.
   La candela sorretta da Jones evidenziava, alla sua flebile e tremolante luce, un passaggio angusto, scavato nella roccia; fortunatamente, non vi era alcuna traccia di umidità, là sotto, il che permetteva alla fiammella di bruciare senza alcuna difficoltà. Avanzarono per parecchi metri lungo un cunicolo serpeggiante, fino a quando giunsero in vista di un bivio. Risolutamente, la ragazza prese la galleria di destra, che scendeva verso il basso; quella di sinistra, invece, aveva una leggera pendenza verso l’alto.
   «Questa è la via dei morti» spiegò lei. «Una strada scavata nella montagna che, dipartendosi dal palazzo di Kai, discende verso le cripte sotterranee.»
   «Bel nome, molto allegro: strada dei morti» commentò l’archeologo.
   «È così chiamata perché è lungo questa via che vengono trasportati i feretri, prima di essere deposti nelle loro tombe» chiarì Mei Ying.
   «Lo avevo intuito» replicò Jones. «Quindi, immagino che, se non fossi riuscito a convincerti a rimandare il recupero dello Specchio dei Sogni, adesso ci avresti condotto lungo la strada di sinistra.»
   «Esattamente» rispose la ragazza. «E, in ogni caso, vi avrei condotto lungo questa via anche se Kai non ci avesse fatto precipitare lungo lo scivolo, perché sarebbe stata la nostra unica strada verso la salvezza.»
   «Quindi il nostro amico ci ha quasi fatto un favore» commentò sarcasticamente Wu Han.
   «In parte è proprio così, perché l’imbocco della galleria della via dei morti è sempre vigilato da due guerrieri, che avremmo, quindi, dovuto togliere di mezzo.»
   Nel frattempo, continuando a camminare, avevano raggiunto una piccola sala, ornata da immagini di divinità mostruose; nel centro esatto, si trovava una specie di letto di legno, mentre alle pareti erano attaccate delle torce, spente. Wu Han e Jones, con dei fiammiferi, si affrettarono ad accenderne tre, mentre Mei Ying spiegava: «Qui è dove vengono deposti i corpi in un primo momento. Siamo circa a metà strada, prima di entrare nelle catacombe. Infatti, la tradizione di Penglai vuole che i morti siano accompagnati, per il primo tratto, nel buio completo, mentre qui, dopo essere stati adagiati sul letto della veglia, continuano il loro tragitto alla luce delle torce.»
   «E, così, faremo anche noi» disse Jones, spegnendo la propria candela ed infilandosela in tasca.
   Afferrò una torcia, mentre Wu Han, che ne aveva prese due, ne passava una alla ragazza.
   «Sarà meglio continuare» aggiunse Mei Ying, riprendendo il cammino.
   Adesso, con il passaggio illuminato dal riverbero tremolante delle fiaccole, si potevano osservare molti più dettagli; per esempio, appariva chiaro che le pareti fossero completamente ricoperte di iscrizioni in cinese e di disegni raffiguranti divinità e paesaggi ameni. Jones, pur comprendendo poco il dialetto locale di Penglai, che doveva essersi evoluto autonomamente rispetto alla lingua mandarina tradizionale, riconobbe in quelle parole delle formule magiche beneauguranti per i morti. Sperò che portassero fortuna anche a loro.
   «Da quanto tempo la Triade del Drago Nero seppellisce qui sotto i propri morti?» domandò l’archeologo, che anche in un momento in cui avrebbe dovuto pensare solamente a mettersi in salvo, non riusciva a perdere la passione per la sua materia di studio.
   «Praticamente da sempre» rispose Mei Ying. «Le gallerie furono aperte per ordine di Xu Fu, che fece tumulare qui sotto le proprie mogli ed otto figli ai quali sopravvisse; le tombe sono state individuate per puro caso una decina di anni fa, durante uno scavo per l’apertura di una nuova area. Infatti, col tempo, le gallerie sono state ampliate a tal punto da divenire un vero e proprio labirinto, rendendo ardua, se non di fatto impossibile, la localizzazione delle sepolture più antiche. Per esempio, il sepolcro di Xu Fu non è mai stato rinvenuto, sebbene fosse desiderio di moltissimi capi della Triade quello di essere sepolti il più vicino possibile al loro illustrissimo predecessore.»
   «Ad avere tempo e mezzi, e soprattutto se non si corresse il rischio di incappare in quei pazzi fanatici che abitano da queste parti, si potrebbe condurre uno studio sistematico riguardo queste cripte» disse Jones.
   «Sarebbe uno scavo archeologico molto interessante ed affascinante» ammise Wu Han.
   «Soprattutto perché metterebbe in luce una cultura fin’oggi totalmente sconosciuta» disse Jones che, tra sé e sé, dovette ammettere di averne scoperte parecchie, in quelle ultime settimane, di culture ignote al mondo accademico: a Ceylon, in Turchia e, adesso, pure in Cina. Doveva riconoscere di essere piuttosto valente, come archeologo; peccato solo che, però, non gli rimanesse mai abbastanza tempo per effettuare un solo studio approfondito. «Non dimentichiamo che, per il resto del mondo, la montagna di Penglai è pura fantasia. Va be’. Magari in futuro. Per adesso, possiamo dirci più che soddisfatti dalla decisamente più ricca ed importante tomba a cui presto accederemo, quella di Qin Shi Huang; il suo servitore Xu Fu ci perdonerà, se a lui presteremo minore attenzione.»
   Mentre così parlavano, erano giunti in un’ampia sala, tanto vasta che la luce delle loro tre torce ardenti non era comunque sufficiente ad illuminarla completamente; di fronte a sé, però, a circa cento metri, Jones poté vedere una parete interamente coperta di nicchie, come una piccionaia. Comprese che si trattava di tanti piccoli loculi, probabilmente destinati ad accogliere ossa e ceneri di guerrieri di poco conto.
   «Quelle sono le tombe dei soldati semplici e delle loro mogli» confermò Mei Ying senza che egli avesse avuto bisogno di domandarle qualcosa. «Più avanti, incontreremo i sepolcri dei notabili e, in una stanza da cui dovremo per forza passare, vedremo le tombe dei capi della Triade del Drago Nero.»
   «Esclusa quella del vecchio Xu Fu» aggiunse Jones.
   «La sua e quella di parecchi altri; conosciamo le tombe dei capi, deposti tutti nella medesima cripta, che hanno retto la Triade negli ultimi duecentocinquant’anni. Prima erano sepolti in altre sezioni, alcune note, altre ancora ignote» concluse la ragazza.
   «Sbaglio, o mi pare che i membri della Triade siano interessati alle antiche tombe? Forse che abbiano tutti intenzione di mollare il crimine per potersi dedicare all’archeologia?» chiese Jones.
   A quella battuta, Wu Han scoppiò in una risata ed anche Mei Ying non riuscì a trattenere un sorriso.
   «In realtà, dottor Jones, la ricerca storica non c’entra affatto. La spiegazione è molto più venale di quanto lei possa credere. Deve sapere che la Triade, da qualche anno ormai, non può più contare sulle ingenti ricchezze di cui disponeva in passato, il che ha anche rallentato la ricerca del Cuore, ed è una delle cause che hanno condotto alla stipula del patto con i tedeschi» raccontò la ragazza.
   «Ah, capisco. Vanno alla ricerca delle antiche tombe, quindi, sperando di rinvenirvi qualche tesoro sepolto con i loro proprietari.»
   «Proprio così. Le tombe degli ultimi capi sono già state tutte aperte e profanate, ma non vi è stato trovato nulla al di fuori di qualche bracciale, un po’ di ornamenti e poco altro, tutto, poi, di scarso valore. Il che significa che la ricchezza della Triade è venuta meno da parecchio tempo.»
   «Sono diventati tombaroli, questi ladri. Una volta ho conosciuto un sultano che per un crimine del genere farebbe tagliare a un uomo il suo… lascia perdere. Le rapine non vanno più di moda?» domandò Jones con sarcasmo.
   «La Cina versa in cattive condizioni, dottor Jones, la povertà è molto diffusa; non ci sono più ricchezze neppure da rubare. Inoltre, i signori della guerra che ora spadroneggiano nella repubblica e che la stanno minando, hanno giurato di distruggere la Triade del Drago Nero, un sindacato criminale ritenuto troppo pericoloso per i loro piani. Se costoro venissero a contatto con uomini della Triade sul suolo cinese, non esiterebbero a massacrarli. Per questo motivo, i guerrieri della Triade lasciano ormai di rado Penglai, facendolo solamente per occasioni molto importanti che non possano essere affidate a mercenari pagati perché sbrighino da sé il lavoro, come pure molte volte è stato fatto.»
   «È vero, Indy» intervenne a quel punto Wu Han, che aveva lasciato che fossero Jones e la ragazza a condurre la conversazione. «Ricordi cosa mi ha detto quel gangster? Lao Che sarebbe molto felice se Kai fosse tolto di mezzo. E Lao è un signore della guerra molto potente.»
   «Be’, con quella specie di coltello che gli hai pianto nella schiena, posso assicurarti che non farà più molti danni. Lao ci deve già un favore.»
   «Sento che Kai è sopravvissuto» disse amaramente Mei Ying. «Avrei dovuto provvedere io stessa a terminarlo. Non doveva vivere oltre questa notte.»
   «Io credo che sia proprio morto, ormai…» borbottò Wu Han.
   «Anche per me è così» aggiunse Jones. «Avrà avuto ancora sufficienti forze a farci finire qui sotto, ma poi basta. Quella dev’essere stata l’ultima sua azione in vita. Nessuno può durare tanto a lungo, con uno spiedo del genere conficcato in corpo.»
   «La mia speranza è che nessuno lo abbia trovato in tempo. Ma se è stato soccorso immediatamente, è possibile che sia sopravvissuto. Xu Fu era un valente medico, che trasmise la propria medicina agli uomini di Penglai. Essa, col tempo, è andata perfezionandosi sempre di più, ed oggi i medici della Triade sono abilissimi a guarire qualsiasi tipo di ferita. Temo che Kai possa essere ancora vivo.»
   «Vivo o no, non ce ne deve importare. Casomai ce lo trovassimo un’altra volta di fronte arrivando alla tomba dell’imperatore, gli cacceremo in corpo tanto di quel piombo da ridurlo ad un colabrodo» sbottò Jones.
   Nel frattempo, Mei Ying li aveva condotti attraverso la vasta sala, fino ad una scala intagliata nella roccia, dalla quale erano penetrati nelle catacombe vere e proprie. Adesso, avanzavano lungo un corridoio di pietra, ai cui lati, nelle pareti, erano scavate delle nicchie richiuse da lapidi, che dovevano contenere gli uomini più importanti della Triade. Dalle sepolture più recenti, si levava uno sgradevole odore di decomposizione, mentre le più vecchie apparivano, spesso, aperte e svuotate del loro contenuto: molte lapidi erano state spezzate a martellate e, dentro quelle tombe, si potevano vedere scheletri e resti di tessuto ammassati alla rinfusa, come se fosse passato un tornado a devastare quella zona.
   «Nessun rispetto per i morti» mormorò Wu Han.
   «È come vi dicevo» disse Mei Ying, senza guardare verso quegli atroci spettacoli da cui, invece, Jones non riusciva a staccare gli occhi. «Le tombe vengono sistematicamente aperte per trovarvi anche il più piccolo ninnolo d’oro e d’argento.»
   «Kai dev’essere alla frutta, se si vede costretto a compiere queste ricerche» constatò l’archeologo, osservando i miseri resti che lo circondavano.
   «Non lo sottovaluti, dottor Jones. Il Drago Nero è ancora potente, almeno lo è abbastanza da stringere patti con i tedeschi» lo ammonì la giovane.
   «Giusto… ma come ha potuto un ufficiale dell’esercito imperiale scalare i vertici della Triade? Mi sarei immaginato che in essa le cariche di comando passassero di padre in figlio, come succede, solitamente, per tutte le altre associazioni criminali.»
   «È proprio così, infatti» confermò Mei Ying. «Sin dai tempi di Xu Fu, il potere venne trasmesso dal padre al proprio figlio maggiore maschio. Novecento anni fa, tuttavia, l’ultimo discendente dello scopritore della montagna di Penglai divenne vecchio senza aver generato figli maschi, ma solamente due figlie femmine. Egli, dunque, si associò come figlio adottivo e successore il proprio più fidato luogotenente, dandogli in spose entrambe le proprie figlie: da quel momento, si è sempre fatto così. Quando un capo si rende conto di non poter contare sopra una propria discendenza maschile, si associa un figlio adottivo, scegliendolo tra i più valorosi uomini della Triade del Drago Nero e dandogli in sposa la propria figlia o le proprie figlie, se ne ha, obbligandole anche a divorziare nel caso abbiano contratto precedenti matrimoni, in maniera di darle tutte al proprio nuovo figlio. Gli antenati di Kai, per secoli, furono una famiglia molto importante, tra le schiere del Drago Nero; egli fu avviato alla carriera militare imperiale dal padre, uomo fidatissimo del precedente capo della Triade, al fine di aumentare ulteriormente le già grandi dote guerresche del figlio. E, tale scelta, pagò. Quando il capo della Triade si sentì prossimo alla morte, chiamò a sé Kai e lo nominò proprio erede, facendogli sposare le proprie tre figlie naturali che, così, divennero le spose-sorelle del nuovo capo della Triade.»
   «Ah, le due donne che ci hanno dato così tanti fastidi erano, dunque, le spose di Kai?» chiese Wu Han, stupefatto.
   «Sì» mormorò Mei Ying, con una punta di amarezza nella voce. «Donne pericolose ma che, ormai, non potranno più darci alcun tipo di problema.»
   «E la terza sposa-sorella?» chiese Jones. «Dobbiamo guardarci le spalle anche da quella viperella? Non l’abbiamo ancora conosciuta.»
   Mei Ying chinò il capo, con aria triste.
   «Non ci darà alcun fastidio» sussurrò. «Era appena una bambina, quando andò in sposa a Kai. Quel mostro non ebbe alcuna pietà della sua giovanissima età, ma la trattò come se già fosse stata una donna adulta, rovinandola per sempre nel corpo e nello spirito. Io la incontrai, quando giunsi a Penglai per la prima volta. Una ragazzina fragile e triste, dall’aria spaventata. Mi fece pietà e così, quando mi domandò di aiutarla a spezzare le sue sofferenze, non mi tirai indietro, ma l’assecondai, procurandole il veleno con cui la fece finita. Kai, ovviamente, non ha mai saputo la verità, ed a dirla tutta non gli è mai interessato di scoprirla. Quell’abominevole essere ha abusato di quella povera ragazzina facendone tutti i propri comodi e, quando lei è morta, non le ha neppure concesso una sepoltura degna, lasciando che fosse buttata come un sacco di stracci nella fossa comune delle catacombe, senza alcun onore né dignità. È stato allora che ho cominciato ad odiare personalmente Kai. Per me, fermare la Triade del Drago Nero non sarebbe più stata una semplice missione lavorativa, ma un fatto personale.»
   «Eppure, per tutti questi anni sei riuscita a rimanergli a fianco senza farti scoprire» disse Wu Han, ammirato dalla forza di volontà dimostrata dall’amica, riuscita a rimanere calata nel proprio ruolo anche di fronte ad una tale sofferenza. Jones, invece, rimaneva in silenzio, contemplando di fronte a sé e rimuginando diversi pensieri contrastanti.
   «Sono rimasta fedele al mio compito» riprese Mei Ying, con adesso un accento duro nella voce. «Sono riuscita a diventare intima di Kai, ma non solo come la sua amante favorita - ed ho dovuto piegarmi ad essere anche questo, per quanto mi ripugni ammetterlo - bensì, soprattutto, come la sua più fidata guerriera, il suo agente migliore. Non si sarebbe mai atteso un tradimento da parte mia. Ed io rimanevo calata nella mia parte, profondamente, senza dare mostra di alcun pensiero contrario ai suoi, in attesa solamente del momento favorevole per colpire.»
   Indiana Jones continuava a rimanere silenzioso; non si capacitava del fatto che qualcuno potesse provare tanto odio e rancore verso una persona e, allo stesso tempo, rimanerle accanto per anni, senza mai tradirsi, assecondandola in qualsiasi desiderio. Fosse dipeso da lui, alla prima occasione avrebbe agito in maniera da placare quell’odio. Probabilmente, gli orientali avevano un modo di pensare molto differente da quello degli occidentali come lui. Due mondi a parte, che avrebbero faticato parecchio a trovare un punto di coesione; se mai fossero giunti a collidere, sarebbe stato uno scontro duro e privo di esclusione di colpi, come del resto era già accaduto parecchie volte, negli anni passati.
   Avanzarono lungo quei tetri corridoi, affollati dai calcinacci delle tombe distrutte e dalle vecchie ossa sparpagliate in giro; non era certo un luogo piacevole, neppure per Jones, abituato com’era ad avere a che fare con mummie e scheletri. Dopo aver raggiunto una vasta sala, adornata di statue ed alle cui pareti erano scolpite immagini di un mitico aldilà, penetrarono nella cripta riservata ai capi della Triade.
   Le tombe che si potevano incontrare lì dentro erano realmente dei piccoli gioielli artistici: sarcofaghi scolpiti nel marmo, estremamente elaborati, con motivi che richiamavano enormi draghi cinesi e statue rappresentanti l’importante personaggio lì sepolto, oppure cavità aperte direttamente nella nuda roccia, ma tanto decorate da sembrare cappelle votive. Ovunque, però, regnavano devastazione e desolazione: neppure per i capi del passato si era portato rispetto. Molti coperchi dei sepolcri erano stati spezzati oppure giacevano in terra, mentre parecchi scheletri e vecchi stracci erano stati ammonticchiati nel centro della sala, con un effetto davvero macabro e grottesco.
   «Raccapricciante» borbottò Wu Han, cercando di evitare di fissare troppo lo scempio compiuto tra quelle sepolture.
   «E quanti monumenti artistici gettati via inutilmente» bofonchiò Jones, avvicinandosi ad un sepolcro che doveva essere stato finemente decorato ma di cui, ormai, rimanevano ben pochi resti a rammentarne la passata grandezza.
   «Quello era il sepolcro del predecessore di Kai» mormorò Mei Ying con voce atona e piatta. «Non ha avuto rispetto neppure nei riguardi dell’uomo che lo adottato, affidandogli il potere ed il sangue del proprio sangue.»
   Jones avvicinò la torcia al sepolcro e vi guardò dentro. Tra i calcinacci, un teschio dalla bocca spalancata e con ancora qualche capello attaccato al cranio ricambiò il suo sguardo con le orbite vuote. Sembrava quasi che lo deridesse per essersi avventurato in quei luoghi maledetti. Poche altre ossa, miste a pietra e terra, rimanevano del vecchio capo della Triade del Drago Nero. Magro destino per un uomo che, per chissà quanti anni, aveva retto le redini della potente fazione criminale, divenendo uno degli uomini più temuti dell’intero impero cinese.
   Ripresero il cammino, avanzando in quella stanza profanata; ad un certo punto, Mei Ying li fece svoltare a destra, all’interno di uno stretto pertugio celato tra due sepolcri, dal quale si dipartiva un angusto cunicolo che scendeva a spirale verso il basso, scomparendo nell’oscurità.
   «Questa è una via segreta che ho scoperto io stessa e che nessun altro conosce» spiegò. «Sarà da qui che passeremo per andarcene. Sarà una discesa piuttosto estenuante e monotona ma, alla fine, spunteremo proprio sulla spiaggia.»
   «Gli uomini del Drago Nero non sono consapevoli dell’esistenza di questa passaggio?» domandò stupefatto Wu Han.
   «Era nascosto da un muro di mattoni intonacato» rispose la ragazza. «Kai mi aveva affidato l’ingrato compito di sovrintendere ai lavori di scavo delle tombe. Quando alcuni membri della Triade hanno aperto questo sarcofago, il coperchio, cadendo all’indietro, ha urtato l’intonaco, scoprendo i mattoni. Nessuno, all’infuori di me, se n’è reso conto. Così, una volta rimasta sola, sono tornata qui ed ho aperto il varco, esplorandolo. Si tratta solamente di un passaggio che conduce alla spiaggia ma, secondo me, lì da qualche parte un’altra parete di mattoni potrebbe celare dei tesori.»
   «La tomba di Xu Fu» intervenne Jones, acquistando consapevolezza. «Tu credi che possa trovarsi lungo questa via, dunque?»
   «È un’ipotesi come un’altra, ma altrimenti dove potrebbe essere? Per il resto, le cripte sono state esplorate compiutamente dagli uomini del Drago Nero.»
   «Chissà… peccato non disporre dei mezzi e, soprattutto, del tempo necessari a compiere questa ricerca» si rammaricò l’archeologo. «Però, magari, quando un giorno la Triade del Drago Nero sarà finalmente stata debellata, si potrà tornare qui a scavare…»
   Alzò le spalle, con aria rassegnata, e fece cenno a Mei Ying di proseguire, mostrando loro la via lungo cui avrebbero proseguito. La ragazza aprì la strada, Wu Han la seguì e Jones si accodò, chiudendo la fila.
   S’incamminarono rapidamente lungo lo stretto passaggio, inoltrandosi sempre più in profondità nelle viscere della montagna. L’aria era rarefatta e stantia, si faticava a respirare, il che conferiva un senso di stordimento e di nausea. La gelida umidità, poi, penetrava nelle ossa, facendole dolere.
   Ad ogni passo, Jones si augurava che quello strazio finisse presto, perché non vedeva l’ora di tornare ad inspirare l’aria pura dell’esterno ed a farsi scaldare dai raggi solari. Per quanto fosse abituato a muoversi al di sotto della superficie terrestre, infatti, non aveva mai provato una tale sensazione, ossia quella di essere circondato da ogni lato da tonnellate e tonnellate di roccia, camminando lungo un passaggio così disagevole da costringerlo spesse volte a chinare il capo, quando non addirittura ad abbassarsi inarcando tutto il corpo, per non rimanere bloccato. Le torce accese, poi, non facilitavano di certo il compito, bruciando quasi tutto quel poco ossigeno disponibile.
   Ad un certo punto, però, i suoi sensi sempre attenti notarono qualcosa, un particolare che agli altri era sfuggito, ma non a lui, archeologo esperto nel riconoscere i più minimi segni.
   «Fermi, un momento…!» gridò, facendo bloccare gli altri due, che si volsero subito a guardarlo con aria interrogativa, chiedendosi che cosa fosse successo.
   Jones s’era accostato ad una parete e la stava osservando con attenzione; lì, nell’incerta luce tremula delle torce, sarebbe potuta apparire come un qualsiasi altro pezzo roccioso, ma non gli era sfuggito qualcosa, un dettaglio di straordinaria importanza: un sigillo impresso nella pietra, un marchio in lettere cinesi che richiamava alla sua mente un nome preciso.
   «Xu Fu» traslitterò, con un sorriso.
   Poi, con un pugno, picchiettò sopra la parete, facendo così una nuova scoperta: quella non era roccia viva, come quella che li circondava da ogni altro lato, bensì una parete di mattoni, coperta da una pittura scura che, con l’andare del tempo, aveva finito col confondersi completamente con il resto della roccia. Alzò gli occhi sui due compagni, che lo fissavano ammirati per quella scoperta che loro non sarebbero mai stati in grado di compiere, e fece un segno di vittoria.
   Adesso, però, si chiedeva cosa fare. La tentazione di abbattere la parete con una spallata per scoprire che cosa nascondesse al proprio interno era fortissima, ma c’era anche la consapevolezza che un’azione del genere sarebbe stata avventata e fuori luogo, in quel momento.
   «La tomba del fondatore di Penglai!» esclamò Mei Ying, eccitata al punto da perdere la propria solita flemmatica calma. «Una scoperta incredibile! Entriamoci!»
 «No» la frenò Jones. «Dobbiamo proseguire. Non possiamo aprire adesso questa tomba. Farlo, vorrebbe dire poterle dare solamente una rapida occhiata, prima di dovercene andare in tutta fretta. Significherebbe anche doverla lasciare aperta, esponendola ad eventuali correnti d’aria che potrebbero danneggiarne il contenuto. Senza contare che, un giorno o l’altro, gli uomini della Triade potrebbero scoprire il passaggio e, nel passare di qui, vedere la tomba aperta e saccheggiarla senza pietà. Se devo essere sincero, preferirei evitare tutto questo, nel nome della comunità scientifica.»
   «E, quindi, che cosa facciamo? Lasciamo tutto così come lo abbiamo trovato?» chiese Wu Han. «Potrebbe contenere tesori inimmaginabili.»
   «Esatto» replicò Jones. «Ecco perché, dunque, questo muro non verrà toccato da nessuno, almeno per il momento. Un giorno, forse, uno di noi, passato questo brutto momento, potrà tornare qui alla guida di un’equipe di archeologi ed esplorare dettagliatamente la tomba di Xu Fu. Ma, per adesso, l’unica cosa che possiamo fare è questa…»
   Aprì la propria borsa e cominciò a frugarvi, sperando di rinvenirvi quello che stava cercando. Alla fine, raschiandone il fondo con le dita, lo trovò: un gessetto bianco, avanzatogli da uno scavo archeologico che aveva intrapreso l’estate precedente, prima che Marcus Brody gli ordinasse di lasciare perdere tutto per spedirlo a Ceylon, sulle tracce dell’idolo della Dea del Fiume. Il gessetto gli era servito per scrivere sopra una lavagnetta la posizione di ogni reperto ancora in situ e la sua classificazione, prima che un addetto provvedesse a scattare delle fotografie. Quanto tempo gli sembrava che fosse passato, da allora! Gli erano successi tanti di quegli avvenimenti, nel frattempo, che l’arco di pochi mesi gli erano sembrati anni interi.
   Comunque, impugnato il gessetto, lo adoperò per tracciare sulla finta parete di roccia, appena sopra il sigillo che indicava il nome di Xu Fu, le seguenti parole:

 
«I. J., Sept. 1935.»

   «Ecco qua» disse. «Così, un giorno sapremo esattamente dove fermarci.»
   Rimasero per un po’ a contemplare quelle lettere e la parete di mattoni, provando ad immaginare che cosa mai potesse esserci nascosto al di là; Jones, peraltro, si domandava quando mai avrebbe potuto avere occasione per tornare, lì sotto. Lo aspettava ancora una missione difficile, da concludere, dopodiché avrebbe dovuto recuperare il Nurhaci ed intraprendere una rocambolesca fuga per sottrarsi alle ire di Lao Che, il che lo avrebbe costretto a stare lontano dalla Cina per un bel pezzo. Senza contare, poi, che sopra di loro si trovava la sede di pericolosi criminali, che avrebbero imperversato ancora a lungo, mentre sotto la montagna avevano la propria base dei nazisti che non avevano nulla di amichevole. Insomma, Indiana Jones era sicuro che, abbandonando adesso la tomba del mitico Xu Fu, avrebbe dovuto rinunciare per moltissimo tempo, o forse per sempre, alla possibilità di aprirla ed esplorarla. Ma non poteva farci nulla.
   «Andiamo» ordinò bruscamente, spezzando l’incantesimo che sembrava essere disceso su di loro.
   Mei Ying, riscossasi, riprese a camminare e subito dopo anche Wu Han, sospinto da un tocco alla spalla da parte dell’archeologo, ricominciò a marciare, tenendo dietro alla bella cinese.
   Jones fu l’ultimo a riprendere il sentiero; non era abituato a lasciare a metà qualcosa, specialmente se si trattava di una potenziale scoperta archeologica. Si promise che, un giorno o l’altro, anche se ormai vecchio e sfinito, avrebbe fatto ritorno in quel preciso luogo ed avrebbe varcato quella soglia. Per il momento, però, sarebbe stato decisamente meglio scordarsene, poiché ben altre incombenze stava per riservargli il prossimo futuro.
   Impiegarono ore ed ore lunghissime ed interminabili a discendere lungo quello stretto cunicolo; a Jones pareva di essere in un sogno, ormai, perché le sue gambe avanzavano da sole, senza che fosse più necessario comandare loro di farlo; avevano anche smesso di parlare dopo che, all’ennesima richiesta di quanta strada mancasse ancora da percorrere, Mei Ying aveva risposto, come in tutte le altre occasioni: «Ancora poco.»
   Alla fine, sfiniti e senza fiato, quando ormai i due uomini disperavano di poter riemergere da quelle tenebre ed iniziavano a convincersi che Mei Ying li avesse condotti lungo la strada sbagliata, smarrendosi nei meandri sotterranei di Penglai, ormai costretti ad avanzare tentoni al buio, dato che le torce si erano consumate completamente da almeno venti minuti, cominciarono ad udire il rumore della risacca ed a respirare l’odore di salmastro dell’aria marina.
   «Cristo santo, dimmi che ci siamo!» imprecò Jones ad alta voce.
   Non ci fu bisogno che qualcuno gli desse una risposta: all’improvviso, oltre alcuni rampicanti rinsecchiti che ne coprivano l’ingresso, il passaggio terminò, aprendosi bruscamente sulla spiaggia, da dove giunse una luce dorata che ferì loro gli occhi. Era il tardo pomeriggio, avevano camminato da molto prima dell’alba, ma finalmente erano fuori. Jones non rimpianse di essere riuscito a convincere la ragazza a rinunciare all’impresa di cercare di recuperare lo Specchio dei Sogni: se lo avessero fatto, avrebbero perso del tempo prezioso e non sarebbero mai riusciti ad arrivare in occasione del tramonto; se così fosse stato, i fratelli di Wu Han, non trovandoli sulla spiaggia, se ne sarebbero andati, abbandonandoli al loro destino. In quel caso, andarsene dall’isola sarebbe risultato assai più complesso.
   «Finalmente la dolce aria del mare» esclamò Wu Han, inspirando a pieni polmoni quella fragranza amarognola di salsedine che, dopo il chiuso della montagna, sembrava quasi un’essenza balsamica e tonificante. «Se non sapessi che tutta quest’acqua è salata, mi butterei a capofitto a berne a litri. Sto morendo di sete.»
   Più pragmaticamente, Jones si guardò attorno, cercando di orientarsi; la spiaggia, in quel punto, era larga pochi metri. Alle loro spalle incombeva la cupa massa del monte, che si prolungava sia sulla destra sia sulla sinistra. Osservando la posizione del sole, riuscì ad individuare il punto in cui la giunca sarebbe arrivata a salvarli.
   «Siamo fortunati» borbottò. «Ci troviamo a poche centinaia di metri dal luogo in cui approderanno i tuoi fratelli. Una volta a bordo, ci disseteremo e mangeremo a sazietà, recuperando tutte le energie.»
   «Sarà bene rimanere qui, durante la nostra attesa» consigliò la ragazza. «Questo è un luogo piuttosto riparato, in cui né i nazisti né tantomeno i guerrieri della Triade del Drago Nero potranno avvistarci.»
   «Sono sfinito. E mancano almeno due ore abbondanti al tramonto» si lamentò il contrabbandiere, mettendosi a sedere sopra la sabbia piena di alghe secche.
   A stendere finalmente le gambe gli parve di rinascere, anche se non poteva in alcun modo calmare la sete; non gli restava altro da fare che provare ad ignorarla, con la speranza che arrivasse al più presto il momento di risalire sulla sua giunca.
   «Allegro, vecchio mio! Pensa che, finalmente, siamo riusciti ad uscire da quella specie di sepolcro puzzolente!» lo consolò l’archeologo, accoccolandoglisi in parte.
   Neppure Jones si sentiva troppo in forze, in quel momento, ma era decisamente più abituato dell’amico a tali privazioni, quindi riusciva a dissimulare la propria stanchezza; l’aria pura del mare, poi, lo aveva ridestato dal torpore in cui era caduto durante la discesa. Ma doveva ammettere di avere voglia di salire sulla giunca di Wu Han, per non doversi preoccupare più di nulla per almeno qualche ora. Decise che, nell’attesa, avrebbe schiacciato un pisolino.
   «Svegliami quando è ora» borbottò, sdraiandosi.
   Si tirò il cappello sugli occhi, per ripararseli dalla luce accecante del sole basso, incrociò le braccia sul petto e, in breve tempo, si addormentò.
   Wu Han lo avrebbe volentieri imitato ma, in quel momento, non riusciva a staccare gli occhi dalla ragazza.
   Mei Ying, infatti, dopo essersi sfilata il giubbotto che le aveva dato il contrabbandiere, s’era avvicinata alla battigia ed aveva cominciato ad immergervi le mani, facendosi cadere l’acqua marina sul capo. Dopo qualche esitazione, lanciato uno sguardo a Jones per accettarsi che fosse davvero immerso nel sonno, si spogliò anche dell’abito stracciato, rimanendo così completamente nuda e mettendo in mostra tutta la raffinata bellezza del proprio corpo magro ma, al medesimo tempo, sinuoso e dalla pelle vellutata. A Wu Han parve quasi di star contemplando Bai Mudan, la bellissima dea tentatrice, la signora dell’amore; era così bella, incantevole e desiderabile. Avrebbe voluto non guardarla, rispettarla in quel momento di intimità, ma non vi riuscì e continuò ad ammirarla come se fosse stata un fiore raro.
   La giovane si volse all’indietro, regalando un  bellissimo sorriso al contrabbandiere, poi avanzò a piccoli passi, andando ad immergersi nelle acque del mare, che lambirono la sua pelle con estrema dolcezza, risaltandone ulteriormente la bellezza.
   Il cinese la osservò con desiderio crescente; e, quando lei si voltò nuovamente a guardarlo con quei suoi occhi dolcissimi, invitandolo a raggiungerla con un leggero cenno della mano, non riuscì più a resistere.
   Gettò un’occhiata distratta a Jones, il cui respiro lento e regolare denotava uno stato di sonno profondo. Lo conosceva bene: l’archeologo dormiva pochissimo, gli erano sufficienti solamente alcune ore alla settimana ma, in quelle ore, era impossibile che si svegliasse, a meno che non fosse scosso violentemente. Non si sarebbe accorto di nulla. Avrebbe poi pensato lui a dargli la sveglia quando fosse stato il momento di lasciarsi alle spalle quella maledetta isola.
   Ma, a Wu Han, quel luogo sarebbe rimasto per sempre in mente come un paradiso, non più come un inferno.
   Lestamente, tolse tutti gli abiti e raggiunse Mei Ying nell’acqua.

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Capitolo 13
*** La tomba del primo imperatore ***


13 - LA TOMBA DEL PRIMO IMPERATORE

   Xi’an, Cina

   Il sole nascente ad oriente donava al cielo una tinta di un violetto purpureo, tendente a trasmutarsi lentamente in un pallido celeste verso l’alto, quasi come se le tenebre notturne non volessero lasciare campo al chiarore e cercassero, vanamente, di mantenersi ancora saldamente aggrappate con i loro lunghi artigli al nuovo giorno oramai incombente.
   La campagna circostante, tinteggiata di colori smaglianti dalla luce radiosa del sole albeggiante, appariva ondulata laddove i contadini, le cui piccole casupole, in lontananza, spuntavano come indistinti punti scuri, avevano terrazzato le colline per riuscire a sfruttare ogni singolo centimetro di terra e brillava di piccole stelle quando l’acqua delle risaie veniva leggermente agitata da una debole bava di vento che ne increspava la superficie altrimenti immobile. Qua e là, rari alberi verdi, il cui fogliame andava punteggiandosi di tonalità rosse nell’imminenza dell’autunno venturo, agitavano le proprie chiome in quei momenti in cui il venticello soffiava appena un po’ più intensamente, interrompendo la monotona bellezza dei campi tutti uguali, che si perdevano all’infinito su quell’immensa vastità che è la Cina. Qualche bufalo pascolava paciosamente mentre stormi di anatre si levavano sovente in volo con alte strida da una risaia per andare a posarsi, subito dopo avere percorsi pochi metri, in un altro punto, forse più ricco di nutrimento per quegli uccelli acquatici dal piumaggio variegato di mille colori oppure candido come la neve intatta degli alti monti distanti.
   In lontananza, quasi al confine dell’orizzonte visibile, però, era possibile scorgere anche macchie di un color verde maggiormente marcato, senza dubbio foreste vergini di bambù, cipressi ed abeti, spesso riflesse dalle cristalline e fredde acque di laghetti che parevano appartenere ad incantate visioni oniriche, di quelle che popolano la fantasia e le leggende di quell’antichissima e misteriosa terra.
   Sembrava che gli orrori della guerra civile che sconvolgeva la Cina da ormai molti e durissimi anni non avessero ancora intaccato quei luoghi fino a quel momento rimasti incontaminati ed ameni; pareva quasi che essi fossero stati risparmiati dalle atrocità per la loro bellezza estrema e per la loro sacralità, essendo dimore millenarie delle salme dei sovrani che, un tempo, resero il paese uno dei più vasti e potenti imperi mai affacciatasi sulla storia dell’umanità. Ma, presto o tardi, purtroppo, anche lì sarebbero certamente giunti guerriglieri e soldati, a battersi tra loro ed a scaricare la propria ira e la propria frustrazione contro la popolazione inerme, da sempre vittima inconsapevole ed innocente della tirannia di pochi uomini sanguinari; gli alberi sarebbero avvizziti, i campi avrebbero smesso di produrre ed il bufalo non avrebbe mai più potuto ruminare in pace ed in silenzio, attorniato dalle anatre e dalla natura. La malvagità avrebbe toccato anche quelle regioni, come già accaduto anni prima, all’epoca della grande rivolta dei Boxer; il sangue sarebbe tornato a scorrere ed a macchiare le erbe profumate.
   Adesso, però, era pace, la guerra era ancora lontana e lo sarebbe rimasta ancora per qualche anno.
   Ed il tumulo, coperto di alti alberi, che si ergeva maestoso e solitario tra i campi coltivati, non sembrava davvero essere una piramide, come pure era; appariva, invece, in tutto e per tutto come una delle tante altre colline che punteggiavano la valle in lontananza, ma sicuramente non era naturale, lo si sapeva da sempre tra le genti dell’antico Celeste Impero, anche se mai nessuno aveva voluto sfidarne i segreti, per timore e per rispetto, poiché esso celava la tomba di Qin Shi Huang, il grande unificatore e primo imperatore della Cina, inviolata dal momento della sua chiusura, oltre duemilacento anni addietro.
   Era giunto, tuttavia, il momento che qualcuno entrasse a sincerarsi delle condizioni di salute del vecchio monarca, ironicamente defunto nel momento in cui credeva, finalmente, di aver coronato il proprio sogno, ossia quello di trovare la vita eterna e di reggere per sempre le sorti dell’intero mondo. L’imperatore, infatti, dopo la scomparsa del medico Xu Fu, mai ritornato dalla sua ricerca della montagna di Penglai, aveva incaricato i maghi del regno di preparargli un rimedio che potesse conferirgli una vita imperitura; se avessero fallito, li avrebbe condannati a subire un atroce supplizio. E quegli uomini, disperati, mischiarono tra loro diversi ingredienti, sperando che potessero avere un qualche tipo di effetto benefico, o perlomeno che funzionassero come un placebo, e presentarono i loro risultati al grande sovrano. Inconsapevole del rischio a cui stava andando incontro, Qin Shi Huang ingurgitò quella mistura, certo che ciò lo avrebbe finalmente reso immortale; sfortunatamente per lui, però, tra i vari elementi utilizzati per la preparazione del suo elisir era stato scelto anche il mercurio, il quale lo avvelenò irreparabilmente, uccidendolo nel momento stesso in cui si era convinto di aver segnato il proprio massimo trionfo.
   Indiana Jones guidò il piccolo drappello, composto, oltre che da lui, Wu Han e Mei Ying, anche dai tre fratelli del contrabbandiere e da altri due uomini molto fidati che, da anni, lavoravano con loro sulla giunca, lungo uno dei versanti della collina artificiale, inerpicandosi in mezzo agli abeti ed ai rampicanti che, in certi punti, erano cresciuti tanto fitti da rendere assai complesso il già difficoltoso cammino verso l’alto. Tutti quanti, tranne la ragazza, portavano a tracolla grosse carabine, provenienti dalla stiva dell’imbarcazione di Wu Han, pezzi di un vecchio carico d’armi da contrabbandare che nessuno, poi, s’era mai preso la briga di ritirare. Quando Wu Han era emerso dalla stiva trasportando quella pesante cassa ed aveva distribuito a tutti fucili e munizioni, però, Mei Ying aveva rifiutato di prenderne uno per sé, dicendo che preferiva di gran lunga ricorrere alla propria sconfinata conoscenza delle arti marziali che a volgari armi da fuoco.
   Dopo essere salpati a bordo della giunca di Wu Han, tornata a prenderli a Penglai appena dopo il tramonto, come stabilito, senza che nessuno li disturbasse, Jones e compagni avevano fatto rotta, attraverso il Mar Giallo, per Shanghai, nel cui porto erano approdati dopo tre giorni di tranquilla e rapida navigazione.
   Da lì, il gruppetto aveva proseguito sulla terraferma, percorrendo la strada per un tratto in treno, per un altro a cavallo, verso l’interno della Cina, in direzione di Xi’an, l’antica città nei cui dintorni sorgeva la tomba dell’imperatore; si trattava di un percorso lungo oltre milleduecento chilometri che, proseguendo a tappe forzate, il gruppo era riuscito a percorrere in solamente due giorni, giungendo al tramonto del secondo in vista del tumulo. Stanchissimi, sfiniti per la dura e veloce marcia che avevano compiuto, si erano accampati in un luogo sicuro, al riparo da occhi indiscreti, e si erano concessi qualche ora di sonno. Svegliatisi prima del nuovo apparire del sole, avevano consumato una rapida colazione fredda per recuperare le energie. E, adesso che l’astro diurno aveva compiuto il suo nuovo apparire, erano intenti ad arrampicarsi lungo le pareti del gigantesco tumulo, attraversandone la fitta foresta che ne ricopriva i fianchi.
   Camminavano in silenzio, prestando attenzione ad ogni minimo rumore che potesse suggerire un pericolo imminente, sebbene le loro orecchie non percepissero null’altro all’infuori del cinguettio degli uccelli nascosti tra i fitti rami degli alberi e lo scricchiolio degli aghi secchi degli abeti che ricoprivano interamente il terreno lungo cui si stavano muovendo.
   A quanto pareva, Mei Ying era già stata lì, tempo prima, a fare un sopralluogo per conto di Kai, quindi conosceva già il passaggio attraverso cui sarebbero potuti accedere all’interno della tomba; aveva indicato la strada a Jones, al cui fianco adesso stava camminando, seguiti da vicino da Wu Han. Gli altri cinque, invece, erano sparpagliati tutt’attorno, con i fucili imbracciati, pronti a colpire eventuali nemici spuntati dal nulla: erano coscienti, infatti, che i tedeschi ed i guerrieri del Drago Nero potevano essere giunti lì prima di loro e non era escluso che avessero predisposto un’imboscata.
   Jones, in cuor suo, sperava che non fosse affatto così, dato che era lui stesso a desiderare di poter prendere in trappola Von Beck o qualunque altro suo inviato si trovasse adesso in quel luogo: d’altra parte, Kai, facendoli precipitare nelle viscere della montagna, doveva essersi ormai convinto di averli tolti di mezzo per sempre, quindi non si sarebbe certo aspettato di vederseli riapparire di fronte da un momento all’altro. Ciò non di meno, però, non era nemmeno da escludere che tedeschi e cinesi, nel caso fossero già giunti alla tomba, avessero comunque posto qua e là delle sentinelle per fermare eventuali curiosi, fossero essi Jones e compagnia o qualsiasi altra persona arrivata per pura coincidenza nei paraggi. Dovevano fare attenzione.
   «È ancora lontano, l’ingresso?» domandò Jones ad un certo punto, rivolto alla ragazza.
   «Non molto, dottor Jones. Dovremo camminare ancora una decina di minuti, poi ci saremo.»
   «Sarà meglio avanzare con prudenza, allora» constatò Jones. «Wu Han, raduna gli altri e fermatevi qui. Io e Mei Ying andremo avanti da soli, per farci un’idea della situazione. Non vorrei che, proseguendo tutti insieme, potessimo arrivare in bocca a Von Beck senza rendercene conto.»
   «Il tedesco potrebbe essere ancora lontano mille miglia da qui» gli rammentò l’amico.
   «Lo so, ma la prudenza non è mai troppa, in questi casi» replicò l’archeologo. «Faremo come dico io: meglio perdere un po’ più di tempo e fare le cose per bene, conservando la pelle intatta, piuttosto che correre avanti senza riflettere e rischiare di prendersi una pallottola in corpo. Appena io e Mei Ying ci saremo accertati delle condizioni dell’ingresso, torneremo indietro a chiamarvi.»
   «D’accordo, Indy, hai ragione» rispose Wu Han, facendo dei cenni agli altri cinque perché li raggiungessero.
   Non appena si furono radunati tutti quanti, Jones indicò loro un grosso pietrone attorniato da alcuni fitti cespugli.
   «Nascondetevi lì dietro» consigliò. «Così potrete agevolmente osservare in ogni direzione senza essere visti da loschi figuri inopportuni.»
   Wu Han guardò negli occhi prima Jones e poi Mei Ying.
   «Siate prudenti» disse.
   «Non temere, andrà tutto bene» lo rassicurò la ragazza, stringendogli una mano.
   «Ci vediamo tra poco» aggiunse l’archeologo.
   Poi, egli e la compagna ripresero la strada, tenendosi bassi tra i cespugli, in maniera da sfuggire ad eventuali osservatori.
   «Forse tutta questa prudenza è eccessiva, dolcezza» puntualizzò Jones, dopo qualche istante. «Ma ho imparato da parecchio tempo a non fidarmi più di nulla e di nessuno.»
   «E fa molto bene, dottor Jones» rispose Mei Ying, ormai rassegnata ad essere sempre apostrofata in quella maniera dall’archeologo. «Soprattutto, non sottovaluti la Triade del Drago Nero. Essa è in una profonda crisi economica, certo, ma rimane comunque una tra le più potenti e pericolose organizzazioni criminali di tutta la Cina, forse, addirittura, di tutto l’Estremo Oriente. Mi stupirei se non fossero già arrivati qui. La verità, se proprio vuole conoscerla, è che siamo stati davvero fortunati a riuscire a lasciare vivi ed incolumi la montagna di Penglai. Non l’ho detto prima per non scoraggiare né lei né Wu Han, ma adesso che siamo qui penso di poterlo fare.»
   «Tranquilla, ne ero più che consapevole già da un bel po’» borbottò Jones. «Cristo santo, nessuno ti scarica in un pozzo senza fondo senza essere intenzionato ad ucciderti!»
   «Sono contenta che la prenda con filosofia, dottor Jones» disse la ragazza, con un sorrisetto.
   Intanto, sempre mantenendosi nascosti all’ombra di alcuni cespugli, erano giunti in vista di una cavità che si apriva come una grotta in un fianco del tumulo, fiancheggiata e sormontata da lastre di pietra che sembravano formare una porta. La zona appariva deserta, ma a Jones l’istinto suggeriva di mantenersi in guardia.
   «Ci siamo, quello è l’ingresso alla tomba» spiegò la giovane.
   «Lo so e non mi piace» rispose l’archeologo. «L’interno è così buio che non si vede assolutamente nulla. Potrebbe esserci qualcuno appostato.»
   «Non lo scopriremo mai, rimanendo qui.»
   «Giusto, ma ho un’idea. Tu non muoverti.»
   «Che cosa intende fare…? Dottor Jones!»
   Ma Indiana Jones non le prestò orecchio e si allontanò da lei prima che cercasse di fermarlo e prima ancora che avesse terminato di parlare. Strisciando lentamente, cercando di fare il minor rumore possibile e senza mai muoversi dal riparo dei bassi arbusti, Jones aggirò l’ingresso della tomba e, dopo essersi inerpicato per alcuni metri lungo il fianco della montagna, si portò proprio al di sopra della porta di pietra. Da qui, poteva respirare l’aria fresca ed umida che proveniva dalla cavità.
   Guardandosi attorno, individuò un grosso ramo e, presolo in mano, lo gettò in basso, facendolo cadere proprio davanti all’ingresso. Non accadde assolutamente nulla. Subito dopo, senza scoraggiarsi, afferrata una pietra piuttosto pesante, ripeté l’operazione. Anche in questo caso, però, non ottenne nessun risultato.
   Al terzo tentativo, invece, quando come amo migliore decise di buttare il proprio cappello, gli parve di udire dei passi e, dopo qualche esitazione, un uomo emerse dalla tomba, osservando con aria indagatrice quegli oggetti piovuti dall’alto.
   L’uomo, un cinese dall’aria truce e che portava un lungo coltello infilato nella cintura, raccolse il cappello di Jones, facendoselo scorrere tra le mani con incertezza; poi, come ricordando all’improvviso qualche cosa, si volse all’indietro e puntò lo sguardo verso l’alto, cercando di scoprire da dove fosse piovuto quel copricapo. L’archeologo, però, lo aveva anticipato. Balzato in piedi, si slanciò nell’aria e, così, piombò dritto contro il cinese, atterrandogli con i pesanti stivali proprio sopra le spalle, facendogliele scricchiolare lugubremente. Il poveretto, non reggendo a quell’urto improvviso, si accasciò a terra con un gemito, il volto contratto dal dolore e dallo spavento per quell’apparizione repentina. Jones, chinatosi, lo mise definitivamente fuori gioco con un pugno sulla testa, anche se, forse, non ce ne sarebbe più stato bisogno, essendo già di per sé l’ometto ormai del tutto inoffensivo.
   Agendo in questo modo, tuttavia, l’archeologo non si rese conto del secondo cinese, fino a quel momento mantenutosi celato nella grotta, che gli arrivò alle spalle silenziosamente, brandendo un affilatissimo coltello. Jones, che si stava infilando nuovamente il cappello sul cranio, sarebbe stato certamente colpito alle spalle da quella lama pericolosa se Mei Ying, sbucata rapida come il fulmine dal riparo del cespuglio, non si fosse lanciata in avanti con un balzo prodigioso, degno di una tigre, colpendo l’aggressore alla mascella con un calcio volante. L’uomo, colto di sorpresa, andò a sbattere con violenza contro uno dei lati della porta, picchiando la nuca ed accasciandosi poi sul terreno, privo di conoscenza.
   Quando Jones velocemente si volse all’indietro, per affrontare quella nuova minaccia che era appena riuscito a percepire, era già tutto finito.
   Osservò prima l’uomo disteso a terra, poi la ragazza ed annuì.
   «Ti devo la vita» brontolò. «Sei stata più veloce del fulmine.»
   «Tutta questione di allenamento» rispose lei, con un mezzo sorriso. «Adesso, torni subito indietro e vada a chiamare Wu Han. Io resterò qui di guardia, in attesa.»
   «Ma… potrebbe essere pericoloso… se ne arrivassero altri?» tentennò Jones.
   «Proprio per questo, dottor Jones, è molto meglio che ci rimanga io, qui» rispose sarcasticamente Mei Ying. «Lei corra a chiamare gli altri. Entreremo nella tomba tutti insieme. La presenza di questi due uomini significa una cosa solamente: il Drago Nero è già qui. Dovremo sorprenderli perché, non lo dimentichi, il solo modo per accedere alla cripta di Qin è ricorrere allo Specchio dei Sogni.»
   Jones non era molto d’accordo sul lasciare Mei Ying da sola in quel luogo, dove avrebbe potuto essere sorpresa improvvisamente da nuovi avversari, ma non aveva voglia di perdersi in inutili discussioni con una donna ostinata come quella, in quel frangente in cui ogni momento avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte. Inoltre, avendola già vista all’opera diverse volte, l’ultima pochi minuti addietro, era sicuro che la ragazza fosse in grado di badare a se stessa più di chiunque altro.
   Prima di tornare indietro con rassegnazione, però, aggiunse: «Questi due potrebbero tornare in sé da un momento all’altro. Strappa la camicia ad uno dei due, falla a brandelli ed usala per immobilizzare i polsi e le caviglie ad entrambi. Imbavagliali anche, così non ci daranno più alcun fastidio.»
   La giovane annuì mentre Jones, rapidamente, fece dietrofront. Allontanandosi, si volse a gettarle un’ultima fugace occhiata; era davvero bellissima, anche vestita tutta di nero, com’era adesso, e con i capelli scarmigliati e pieni di aghi di pino. Sapeva che Wu Han era perdutamente innamorato di lei e non poteva dargliene torto; sperò che non le capitasse nulla di male in quei pochi minuti in cui l’avrebbe lasciata sola, altrimenti l’amico non gliel’avrebbe mai più perdonato. D’altronde, era abbastanza in gamba per badare a se stessa; e pure agli altri.
   «Se non fosse stato per lei, a quest’ora sarei steso sulle foglie secche a concimare il terreno col mio sangue» pensò l’archeologo.
   No, di sicuro Mei Ying non sarebbe mai stata colta di sorpresa come, invece, era capitato a lui.
   Jones era abile, nessuno lo avrebbe potuto mettere in dubbio, ma anche molto fortunato; se non lo fosse stato, già da tempo uno dei suoi innumerevoli errori gli sarebbe risultato fatale e, da qualche parte, ci sarebbe stata una lapide con il suo nome inciso sopra. Quella ragazza, invece, era molto diversa: doveva aver ricevuto un addestramento davvero speciale e perfetto, che le permetteva di agire più velocemente di un fulmine e che, quasi, le faceva presagire in anticipo le mosse e le intenzioni dei nemici, per poterli cogliere di sorpresa ed abbatterli prima ancora che avessero compreso che cosa stesse succedendo. Formidabile. E, oltre tutto, molto confortante il sapere di essere suoi alleati e non nella lista dei suoi nemici. Indiana Jones, invece, non pianificava, ma agiva; e, agendo, qualche cosa accadeva sempre, a volte per il meglio, a volte decisamente per l’esatto contrario.
   Senza perdersi in ulteriori indugi, l’archeologo ripercorse al contrario la strada fatta in precedenza, sempre mantenendosi basso, seppure fosse ormai convinto che la via fino all’ingresso del tumulo fosse libera; ma le precauzioni non erano mai troppe.
   In breve tempo, raggiunse Wu Han e gli altri.
   «Dov’è Mei Ying?» domandò immediatamente il contrabbandiere, notando l’assenza della ragazza.
   «È rimasta ad aspettarci. Abbiamo tolto di mezzo le due guardie che c’erano alla porta, poi però non ha lasciato che fossi io a rimanere a sorvegliare l’ingresso. Mi ha rispedito qui a chiamarvi. Sbrighiamoci, torniamo subito da lei.»
   «L’hai lasciata sola?» chiese con apprensione Wu Han.
   «Sa badare a se stessa meglio di chiunque altro tra noi» replicò l’archeologo, pur con una certa inquietudine, che non riusciva a capire da dove gli derivasse.
   «Con i tedeschi e con la Triade del Drago Nero in giro…» bofonchiò Wu Han.
   «Non mi ha lasciato scelta. Sai benissimo che è più testarda di un mulo e non c’era certo il tempo di mettersi a litigare» fece Jones, secco. «Muoviamoci. Prima la raggiungiamo e meglio sarà per tutti. Seguitemi!»
   Mandando all’aria ogni tentativo di dissimulare la propria presenza, Jones, Wu Han e gli altri cinque compagni iniziarono a correre rapidamente verso il punto in cui la ragazza era rimasta da sola ad aspettarli; pur non sapendo da che cosa ciò potesse dipendere, l’archeologo era stato improvvisamente invaso da una cupa trepidazione e preoccupazione, anche se sapeva che quei sentimenti erano fuori luogo, in quanto Mei Ying, già catturata una volta dagli uomini della Triade, non si sarebbe fatta sorprendere tanto facilmente. Eppure c’era qualcosa che lo spaventava, qualcosa che gli dava da pensare, sebbene non riuscisse a spiegarsi che cosa potesse essere. Man mano che avanzava, una voce interiore lo avvertiva che il pericolo era imminente, perché aveva sottovalutato un dettaglio importantissimo e fondamentale, non aveva tenuto conto di una cosa di estrema importanza. Ma cosa? Questo era un quesito a cui, proprio, non riusciva a trovare una risposta valida.
   Improvvisa, la piccola radura in cui si trovava l’ingresso della tomba si aprì di fronte ai loro occhi; e, in quel momento, i loro peggiori incubi sembrarono concretizzarsi e prendere forma.
   Una pozza di sangue scuro ed ancora fresco ricopriva gli aghi dei pini, fino a poco prima immacolati. Sangue che era scorso in abbondanza dalle gole tagliate dei due uomini che, solamente alcuni istanti primi, erano stati messi al tappeto con qualche botta ma lasciati perfettamente vivi. Adesso, invece, erano morti, l’anima era fuggita dalla loro carne lacerata, tagliata da uno degli affilati coltelli che portavano alla cintura. Barbaramente uccisi senza neppure potersi difendere.
   Jones, a quella visione, si impietrì, rimanendo come di sasso; non era certo ciò che si aspettava.
   Immediatamente, però, tornò padrone di sé ed imbracciò il fucile, che fino a quel momento aveva sempre tenuto in spalla, gettando tutt’attorno occhiate sospettose. Lo stesso fecero i fratelli e gli uomini del contrabbandiere, pronti a battersi per non cadere in trappola e fare la medesima fine di quei due poveretti. Wu Han, invece, ne fu sconvolto e, gettata alle ortiche ogni cautela, cominciò a girovagare all’intorno, gridando: «Mei Ying! Mei Ying!»
   Stava per slanciarsi verso l’ingresso della cripta, quando Jones, afferratolo per le spalle, lo sollevò di peso inchiodandolo contro il tronco di un albero e gli tappò la bocca, sibilando: «Zitto! Vuoi forse farci scoprire?»
   Ansante, Wu Han sembrò calmarsi; tuttavia, quando l’archeologo gli liberò la bocca, riprese a gridare: «Mei Ying! Me l’hanno uccisa! Perché diavolo l’hai lasciata sola? L’hai condannata a morte!»
   «Taci!» urlò di rimando l’archeologo, scrollandolo come se fosse stato un sacco. «Qui c’è qualcosa che non va! Guarda!»
   Spostatosi all’indietro di alcuni passi, costrinse l’amico a voltarsi verso i due corpi distesi a terra, ormai esamini e sbiancati dalla morte e con gli abiti completamente imbrattati del loro sangue.
   «Guarda!» ripeté. «Che cosa vedi?»
   «Due cadaveri» sbottò Wu Han. «Due uomini sgozzati!»
   «Esatto, due uomini» ripeté Jones. «Per di più abbandonati nella medesima posizione in cui io stesso li ho lasciati, salvo che adesso hanno il collo tagliato e prima non lo avevano. Non vedo traccia, invece, di Mei Ying. Quindi perché dire che è morta? Non si sarebbero certo portati via un cadavere, gli assassini che hanno fatto questo macello, no?»
   «E tu che ne sai di come pensano questi animali?» gridò Wu Han, cercando di liberarsi; ma la stretta di Jones era troppo forte per lui e non poté fare altro che agitarsi inutilmente. Cercò con lo sguardo i propri fratelli, forse per chiedergli di aiutarlo, ma l’archeologo glielo impedì.
   «E chi mai credi che possa avere fatto tutto questo?» disse con risolutezza Jones. «Gli uomini di Kai, forse? O i tedeschi?»
   «Chi altri vuoi che sia stato?» piagnucolò Wu Han, ormai incapace di muoversi.
   La stretta dell’amico gli stava facendo addormentare gli arti.
   Con una spinta, Jones lo allontanò da sé, agitando il capo in segno di diniego. Sapeva bene che i guerrieri della Triade o gli scagnozzi di Von Beck non avrebbero mai assassinato i propri alleati, perché sarebbe stato un controsenso. Un pensiero non aveva mai abbandonato l’archeologo in tutti quei giorni, un pensiero tremendo che aveva sempre cercato di allontanare, anche perché non era mai riuscito a focalizzarlo correttamente; per tutto il tempo, il suo era stato un semplice presentimento difficile da afferrare. Ma, adesso, quella stessa idea sembrava gridargli la verità, che era sempre stata lì, di fronte ai suoi occhi, sebbene non avesse voluto ammetterla. Aveva sempre saputo che, quella donna, nascondeva qualcosa, non se ne era mai fidato troppo, anche se, alla fine, aveva finito col convincersi di essersi sbagliato.
   Wu Han parve leggergli nel pensiero.
   «Mei Ying?» esclamò. «Vuoi forse dire che è stata Mei Ying a compiere questo scempio? Non puoi pensarlo! Non lo farebbe mai!»
   «Cerca di ragionare!» gli disse Jones.
   Non era facile neppure per lui riuscirci. Era talmente subordinato al fascino femminile, uno dei suoi peggiori punti deboli, che gli riusciva difficile pensare in quei termini. Ma non c’era nulla da fare: le cose dovevano stare proprio così.
   «L’abbiamo vista uccidere a sangue freddo due donne, nel palazzo di Kai» aggiunse. «Due donne, una delle quali ormai inerme e l’altra che avrebbe potuto benissimo fermare con una semplice botta sulla testa. Non capisci? Quella donna è pericolosa, è pronta a tutto pur di ottenere il proprio scopo, qualunque esso sia.»
   Wu Han parve confuso. Poi, però, replicò: «Ebbene, Mei Ying è stata addestrata a non farsi fermare da niente e nessuno. E allora? Che male c’è? Lavora per i servizi segreti, no? Se la sua missione ha la massima priorità, vuol dire che non può permettersi il lusso di commettere sbagli.»
   Il contrabbandiere sembrò calmarsi un poco, prima di riprendere con concitazione: «Ecco, perché non ci ha aspettato. Sente che deve fare questo lavoro da sola, nel nome della repubblica cinese. Averci al suo fianco avrebbe potuto ostacolarla.»
   «Forse, invece, è così pazza da pensare di sbarazzarsi di chiunque cerchi di fermarla» sbottò Jones. «Sarebbe capace di ammazzarci anche uno per uno, pur di mantenere segreta la sua missione per il governo.»
   «O forse» aggiunse una voce debole, proveniente dall’oscurità dell’ingresso della tomba, «il suo scopo non è affatto quello di salvare la repubblica…»
   Tutti, sbalorditi, si volsero in quella direzione, puntando le armi. Dalla grotta, videro avanzare lentamente un uomo, visibilmente ferito e sofferente, con il volto contratto per la sofferenza, che arrancava tenendosi aggrappato alla parete di pietra per non crollare. Era Kai. Ma, prima ancora che Jones e gli altri potessero fare qualche cosa, perse l’equilibrio e, cercando invano di mantenersi attaccato alla roccia, cadde a terra con un mugugno di dolore.
   I sette uomini lo attorniarono immediatamente e Jones, presolo per le braccia, lo fece sedere contro un freddo masso, rendendosi immediatamente conto che gli restava davvero poco da vivere; la ferita procuratagli giorni prima da Wu Han sembrava essere stata perfettamente guarita, certamente per merito dei validi medici di Penglai di cui aveva parlato Mei Ying, ma adesso l’uomo presentava un profondissimo squarcio nel ventre, da dove usciva abbondante il sangue.
   Kai aprì gli occhi e li fissò su Jones che cercava in qualche modo di tenergli chiusa la ferita con un fazzoletto che uno degli altri compagni gli aveva prontamente passato.
   «Ah, dottor Jones, ci rivediamo…» mormorò l’uomo. Sorrise debolmente.
   «Non parli, Kai, non si affatichi» rispose l’archeologo.
   «Oh, per questo…» borbottò l’uomo, passando una mano sulla ferita. «Non si preoccupi per me. Vedo bene che non c’è proprio più nulla da fare. Sono già sfuggito alla morte troppe volte per non sapere che la mia ora è infine arrivata…»
   «Ma cosa diceva, a proposito di Mei Ying?» domandò a bassa voce Wu Han, che sembrava imbarazzato nel rivolgere la parola al medesimo uomo a cui, pochi giorni addietro, aveva piantato una lama affilata nella schiena.
   Kai alzò su di lui uno sguardo che non tradiva alcun risentimento; d’altra parte, si era ritrovato ferito dopo aver dato lui stesso l’ordine che i due uomini venissero uccisi, nonché poco prima di farli precipitare in un abisso pauroso. In un modo o nell’altro, erano pari.
   Il capo della Triade del Drago Nero fu preso da un attacco di tosse, sputando parecchio sangue dalla bocca; impallidì notevolmente, tanto che gli uomini che lo guardavano temettero che stesse ormai per morire, invece si riebbe e cominciò a parlare, pur con la voce sempre più sommessa e stanca.
   «È tempo che io vi narri ogni cosa. Ormai mi rimane solo questo da fare. Non pretendo che mi vendichiate, ovviamente. Ma spero, almeno, che farete il possibile per evitare che mali ben peggiori si compiano, e che possiate comprendere il perché delle mie azioni…»
   Kai dovette interrompersi, per trarre un profondo sospiro che lo scosse da capo a piedi. Si udì chiaramente il sangue gorgogliargli nei polmoni. Gli altri continuarono a fissarlo con occhi inquieti.
   «Forse crederete che io sia un mostro… il malvagio capo della Triade del Drago Nero… e forse è davvero così… Ma ho sempre cercato di mantenermi lontano dal crimine, ho provato a dare alla Triade un nuovo corso, anche se posso ormai ammettere di avere completamente fallito… I miei antenati furono sempre affiliati alla Triade, fedelissimi alla stirpe dei capi sorta negli ultimi due secoli. Ognuno di essi, era anche un membro dell’esercito imperiale, dove esercitava una specie di doppiogioco. Ufficiali fedeli all’imperatore e, allo stesso tempo, suoi mortali nemici, membri dell’antico sindacato di criminali, i discendenti di coloro che giunsero a Penglai sfuggendo alle ire del primo imperatore cinese. Anche per me sarebbe dovuto essere così… ma così non fu. Mi sentivo davvero legato all’imperatore Pu Yi ed all’imperatrice madre Cixi… non volevo certo la loro rovina, bensì il loro bene, il bene eterno della Cina. Quando Xin Ying, il mio predecessore al comando della Triade, mi chiamò a sé per associarmi al proprio potere come suo erede, accettai di buon grado, perché finalmente vidi la mia occasione di riscattare me stesso, la mia famiglia e l’intera Triade del Drago Nero, ponendo questa forza al servizio dell’imperatore, per salvarlo dalla caduta. Xin Ying mi diede in moglie tutte e tre le sue figlie: Cha Ying, Zao Ying e Mei Ying…»
   «Non può essere!» sbottò Wu Han, con irritazione, prima che Jones potesse fargli segno di tacere e di lasciar continuare Kai. «Mei Ying non è la figlia né la moglie di un criminale… è un membro dei servizi segreti al servizio della repubblica!»
   Ma l’altro scosse la testa, riprendendo il proprio discorso, come se non avesse subito interruzioni.
   «Accettai volentieri come mie spose Cha e Zao, ma non toccai Mei Ying, che era solamente una bambina, a quell’epoca. Quando Xin Ying spirò ed io gli succedetti come nuovo capo della Triade del Drago Nero, mi diedi subito da fare per attuare i miei piani. Avevo il consenso di Cha e Zao e la loro approvazione, ma Mei Ying era ancora troppo legata alla figura paterna per riuscire a comprendere le nostre idee. Inoltre, pur bambina, voleva essere trattata come una sposa legittima, e non passava notte senza che cercasse di intrufolarsi nella stanza che condividevo con le sue sorelle. Alla fine, scelsi di spedirla a studiare a Pechino... Fu un gravissimo errore, di cui mi pento specialmente in questo momento. In quanto a me, mi resi conto che era ormai troppo tardi per poter agire: l’impero cinese era crollato, l’imperatore deposto; le milizie di cui disponevo, ormai, avrebbero potuto fare molto poco per aiutare il monarca. Da quel momento, allora, scelsi di organizzare le cose per poter restaurare il potere imperiale, restituendolo al legittimo sovrano della Cina, Pu Yi. Interruppi le attività criminali della Triade, ovviamente, poiché questa era sempre stata la mia intenzione; ma, per sopravvivere, ci vedemmo di conseguenza costretti a saccheggiare le catacombe dei nostri stessi antenati… un duro colpo, ma che fu necessario… anche se so che, per questo motivo, i miei predecessori non mi accoglieranno mai tra loro, dopo la mia morte… non mi perdoneranno mai… Cercai, nel frattempo, un sistema per riuscire nel mio scopo… e, alla fine, lo trovai: il Cuore del Drago… il simbolo del primo imperatore cinese, sepolto con lui all’interno della sua cripta inviolata, sarebbe divenuto il segno legittimo della rinata identità imperiale… anche se questo avrebbe significato dover saccheggiare l’ennesima tomba. Ma, per riuscire a trovare il Cuore, dovevo prima ricostruire lo Specchio dei Sogni, i cui pezzi si trovavano nascosti chissà dove. Compii nuove… ricerche e pensai di averli individuati, finalmente, a Ceylon, in Turchia e nell’Europa centrale. Ma, adesso, un nuovo problema si poneva dinnanzi al mio cammino: la Triade del Drago Nero non possedeva le capacità per effettuare questi importanti recuperi…»
   Kai s’interruppe nuovamente, tirando il fiato e respirando a fatica; il suo volto era sempre più pallido, ma l’uomo sembrava essere mosso da una grande forza di volontà, quasi come se si stesse aggrappando ad ogni più piccola speranza di sopravvivere sufficientemente a lungo da poter concludere il proprio discorso.
   Jones, osservandolo ed ascoltandolo, s’impietosì, poiché comprese di aver giudicato troppo frettolosamente quell’uomo, che non era un vero e proprio criminale, bensì un nostalgico idealista. Decise di venirgli in aiuto, suggerendo: «Fu allora, quindi, che si alleò con i tedeschi?»
   «Sì… Avevo conosciuto il maggiore Von Beck anni prima, quando ancora era un semplice tenente, congedato dall’esercito imperiale tedesco dopo la fine della Grande Guerra… Lo ricordavo come un avventuriero capace di portare a termine qualsiasi impresa… appassionato di archeologia… adesso, per di più, sarebbe stato appoggiato da una Germania che, ormai, si avvia a divenire una potenza mondiale… un’occasione troppo ghiotta per rinunciarvi, anche se ciò che mi chiese in cambio fu un’enormità. Pretese di poter violare il segreto di Penglai per costruirvi una base sottomarina segreta… un avamposto militare che sarebbe potuto servire anche in futuro… sapevo di non aver altre possibilità di ricevere un aiuto per il mio scopo, quindi mi vidi costretto ad accettare, pur soffrendone. Molti, all’interno della Triade, cominciarono a tacciarmi di tradimento… a vedermi come l’uomo che aveva condannato il Drago Nero prima al fallimento economico e, poi, alla fine della propria indipendenza… Fu solamente grazie alle mie amate Cha e Zao, che mi restarono sempre fedeli, che potei rimanere al potere, perché esse erano il legame con la Triade del passato, nessuno avrebbe messo in discussione il loro volere… Nel frattempo, anche Mei Ying fece ritorno all’isola: era ormai una donna fatta, che aveva compiuto buoni studi e, così mi disse, si era messa al servizio della repubblica solo per ricevere un addestramento speciale ed essere pronta a guidare le bande criminali della Triade nei grandi saccheggi, come in passato. Decisi di accettarla come sposa, su consiglio delle sue sorelle. Fu solamente dopo che il matrimonio fu consumato, però, che la misi al corrente del nuovo corso che avevo voluto dare al Drago Nero, del mio intento di restaurare l’impero... Non sapevo di avere al mio fianco una vipera pronta ad uccidermi. Solo in seguito scoprii che, dal momento in cui l’avevo inviata a Pechino, e durante tutti i suoi anni di lontananza da Penglai, Mei Ying aveva cominciato a covare un forte rancore nei miei confronti… ed in quelli di Cha e Zao. Credeva che io avessi tradito il volere di suo padre, sperava di sbarazzarsi di me e divenire lei stessa il nuovo capo della Triade, riportandola agli antichi fasti, riconducendola sulla via del crimine… Rivelarle le mie intenzioni, però, fu l’errore più grave che potessi compiere: quando lo seppe, infatti, decise segretamente che avrebbe sfruttato il Cuore del Drago per poter divenire lei stessa la nuova imperatrice della Cina, piegando al proprio volere l’intero Paese… Io non mi resi conto di nulla, purtroppo... fui cieco, di fronte all’amore che quella giovane fingeva di mostrarmi… E quando lei, dottor Jones, si mise di mezzo, recuperando per puro caso il primo pezzo dello Specchio al posto di Von Beck a Ceylon, fu Mei Ying stessa a suggerirmi di ingaggiarla per trovare anche gli altri due, al posto dei tedeschi. Decisi di accettare, anche se ormai non potevo rompere l’alleanza con i nazisti… avendoli praticamente in casa, a Penglai… Quindi, pensai che avreste potuto condurre le ricerche in parallelo, senza sapere nulla l’uno degli altri… Il primo di voi che avesse trovato gli altri due pezzi dello Specchio, me li avrebbe comunque consegnati. Questo, almeno, era quello che credevo io… ma le idee di Mei Ying erano molte diverse. La sua intenzione, infatti, era quella di farsi consegnare da lei tutti i pezzi dello Specchio, dottor Jones… per poi convincerla ad aiutarla a trafugare quello già in mio possesso. La mia sposa fedelissima voleva tradirmi, prendendo per sé il Cuore del Drago. Von Beck, però, non andava sottovalutato… e, infatti, la catturò, scoprendo il suo coinvolgimento. Devo ammettere, dottore, che avrei lasciato che il maggiore la uccidesse, per accomodare le cose… la perdita della sua vita, professor Jones, sarebbe stata l’ennesimo sacrificio necessario nella scalata verso il restauro del mio imperatore… Mei Ying, invece, a mia insaputa, la liberò, aiutandola a recuperare il pezzo di Specchio celato nella città sotterranea di Istanbul. Lei si convinse, però, che una volta avuto il terzo pezzo, la ragazza avrebbe tentato di ucciderla… il che non era affatto vero… lei voleva, infatti, recarsi in sua compagnia a Penglai, per sottrarre i due pezzi dello Specchio mancanti all’appello. Per questo motivo vi incontraste nuovamente, ad Hong Kong. Ma anch’io sapevo dove trovarla ed arrivai in tempo. Mei Ying imbastì una storiella e, non so come, riuscì a persuadermi che fosse vera… Mi disse che aveva sempre lavorato nel mio interesse ma che, non avendo alcuna fiducia nei tedeschi, aveva agito nell’ombra, usando lei come proprio burattino, dottor Jones, per poter arrivare prima dei tedeschi al ritrovamento dello Specchio… Adesso, aggiunse, non ci sarebbe più stato alcun bisogno di lei e fu Mei Ying stessa, davanti ai miei occhi, a dare ordine agli uomini della Triade di imprigionarvi entrambi all’interno del Loto d’Oro, lei ed il suo amico Wu Han… ed uccidervi. Per buona misura, mandai anche le altre mie due mogli a dar loro manforte… anche se servì a poco. Lei è più furbo e scatenato di quanto potessi credere, professore… Giorni più tardi, quando miracolosamente riappariste entrambi a Penglai, pensai di potervi uccidere rapidamente. Fu allora che compresi il vero e profondo tradimento di Mei Ying. Quando la vidi uccidere le mie amate mogli Cha e Zao, le sue sorelle, capii quanto fosse pericolosa quella donna... Peccato che giunsi a questa comprensione con troppo… troppo ritardo… Dopo avervi fatti precipitare nell’abisso di Kong Tien, mi feci medicare rapidamente…»
   Kai cominciò a farfugliare, la sua voce si ridusse ad un bassissimo sussurro, costringendo Jones e Wu Han a farsi più vicini per poter continuare ad ascoltarlo, ma dentro di sé quell’uomo doveva avere un fuoco ed una forza prodigiosi, poiché imperterrito continuò a raccontare.
   «…la mia ferita, infatti… non era profonda… come avreste potuto… potuto credere… poiché sotto la… veste… indossavo una corazza… che mi riparò in parte dal colpo... Poi… fatto curare anche il maggiore… Von Beck… partii alla volta… della tomba… del primo imperatore, sapendo di… essere ormai pronto… a recuperare il Cuore del Drago… per renderlo all’ultimo imperatore… non potevo, tra l’altro, perdere più tempo, perché seppi che i comunisti stavano avanzando… e che l’unità territoriale della Cina era ormai a rischio…»
   Kai smise di parlare; Jones alzò lo sguardo e lo fissò in quello sconvolto di Wu Han che, a quelle rivelazioni, era rimasto basito. Sembrava una storia assurda, eppure i tasselli coincidevano tutti; non si poteva davvero credere, inoltre, che un uomo moribondo avesse la forza di inventare così tante panzane. C’era ancora un dettaglio da capire, anche se già Jones pensava di conoscerlo.
   «E questa ferita, Kai? Chi è stato?» domandò l’archeologo.
   «Mei Ying…» mormorò l’uomo. «Mi ha colto… di sorpresa. Ero stato avvertito che due dei miei uomini avevano lasciato le posizioni… Sono tornato indietro a vedere… e mi sono trovato di fronte quella donna… come sbucata fuori dall’inferno… mi ha colpito a tradimento e stavolta non avevo armature… stringeva ancora tra le mani il pugnale con… con cui aveva sgozzato questi due miei fedeli soldati… l’ha usato anche contro di me…»
   «Ed ora dov’è?» domandò Wu Han con accento duro, un tono che Jones non gli aveva mai sentito prima.
   «Voleva lo… Specchio dei Sogni da me… ma non lo avevo… ce l’ha Von Beck… è scesa nella cripta a cercarlo… ma quell’uomo non si farà… prendere alle spalle e… non aspetterà che lei gli pianti un coltello nello stomaco…»
   Il tono di Kai, adesso, era sempre più debole ed incerto. Gli occhi gli si stavano appannando, ogni parola sembrava costargli una fatica immane e, tra una frase e l’altra, era scosso dalla tosse. Il suo petto si abbassava e si alzava rapidamente, quasi che cercasse di inspirare sempre più aria. Ma, ormai, tutto era inutile e la sua voce si mutò in un rantolo di agonia.
   «È pazza… va… fermata… se s’impadronirà del Cuore… del Drago, la Cina cadrà nelle tenebre… ella userà quel suo nuovo potere per massacri e distruzioni… come era… nello spirito… dell’antica… Triade del Drago Nero…»
   Quelle furono le ultime parole pronunciate dal comandante Kai Ti Chang.
   Il potente uomo, in verità rivelatosi una sorta di rivoluzionario controcorrente, un nostalgico di un passato che nessun artefatto magico sarebbe mai stato in grado di far tornare più indietro, reclinò il capo e morì, lì alla soglia della tomba del primo imperatore cinese. Così, all’ingresso del sepolcro dell’uomo che, con le sue azioni, aveva reso necessaria la nascita della Triade del Drago Nero, venne meno l’ultimo rappresentate della potente organizzazione. Il cerchio, adesso, era completo.
   O quasi, almeno.
   Jones, che per tutto il tempo era rimasto inginocchiato dinnanzi a Kai, si alzò risolutamente in piedi e, controllato il fucile che reggeva tra le mani, disse: «Io vado a cercare Mei Ying. E, questa volta, non sarà per salvarla.»
   Wu Han gettò un’ultima occhiata al corpo esanime di Kai.
   «Lavoro per i servizi segreti della repubblica cinese» disse. «Anche se ormai da tempo non sono in servizio attivo, non sono mai stato esonerato dal mio incarico. Il mio compito è quello di salvare la repubblica. Lo farò.»
   Indicò con un cenno del capo il cadavere ai loro piedi, poi aggiunse: «Quest’uomo era mosso da un saldo ideale, anche se del tutto contrario ai miei principi. Non posso biasimarlo per questo. Era un nemico ma, adesso, so che non era un volgare criminale come invece credevamo. Mei Ying, invece, ci ha traditi tutti quanti, imbrogliandoci in ogni maniera. La sua ambizione di divenire imperatrice è folle e le sue azioni non possono restare impunite. Io non so che cosa possa fare sul serio quel Cuore del Drago, ma sono sicuro di una cosa: non permetterò che cada nella mani sbagliate. Indy, io sono con te, come sempre!»
   Jones gli pose una mano sulla spalla, sorridendo: «Sapevo di poter contare su di te anche questa volta, amico.»
   «Tu mi hai aiutato quando c’è stato bisogno di salvare Mei Ying. Io, adesso, aiuterò te nel momento di fermarla. Ma solo una cosa, ti prego…» Wu Han abbassò lo sguardo, prima di mormorare: «Non fare che debba essere io a premere il grilletto…»
   Pur avendo pochi dubbi su come le cose, alla fine, si sarebbero risolte, Jones cercò di rassicurarlo, dicendogli: «Non temere, Wu Han. Non ci sarà alcun bisogno di uccidere nessuno. Dovremo solo impedire che Mei Ying trovi il Cuore del Drago, catturarla e consegnarla alle autorità. Spetterà a loro, poi, decidere della sua sorte.»
   «E Von Beck ed i suoi uomini? E gli altri guerrieri della Triade discesi nel mausoleo?» chiese uno dei fratelli di Wu Han.
   I cinque uomini, infatti, erano più che mai risoluti a seguire l’archeologo ed il contrabbandiere fino in fondo.
   «Se li incontreremo sul nostro cammino, daremo loro ciò che meritano» replicò Jones.
   Indiana Jones staccò gli occhi dai propri compagni, senza più badare al cadavere di Kai, relitto di un’epoca ormai conclusa. Puntò gli occhi verso il sepolcro, assaporando il gusto di un’impresa nuova; respirò a pieni polmoni l’aria proveniente dalle profondità più recondite di quell’antico tumulo. Stava per farlo, stava per mettere piede all’interno della leggendaria sepoltura. Non sarebbe più stato il primo, come aveva sperato, dato che altri uomini, vivi e pericolosi, lo attendevano celati da qualche parte là sotto, ma ciò non gli dava pensiero. Lo facevano pensare, invece, i tesori che avrebbe incontrato là sotto e che non avrebbe avuto il tempo di soffermarsi a studiare, poiché ben altre preoccupazioni si affacciavano adesso alla sua mente. Mei Ying lo aveva tradito, aveva cercato di ucciderlo; ed aveva spezzato il cuore di Wu Han, l’archeologo lo sapeva benissimo, glielo aveva letto nello sguardo. E le turpe azioni della ragazza non si limitavano certo a quello: non solo aveva ucciso le proprie stesse sorelle, senza alcun rimorso, prima di assassinare l’uomo con cui era sposata, ma ora stava persino preparandosi a tradire quella repubblica che diceva di amare e di servire, per deprimerla sotto il dominio di una sola e feroce persona, lei stessa. Aveva raggirato tutti quanti con quella sua vocina soave e quell’aspetto da fanciulla dolcissima; ma aveva fatto male i propri conti. Non aveva messo in conto Indiana Jones. Adesso, quella donna avrebbe pagato per tutto il male causato.
   «Ti manderò all’inferno, a tenere compagnia a tutti i tuoi consimili assetati di sangue e di potere» pensò con vera rabbia l’archeologo.
   Raramente Indiana Jones perdeva le staffe; ma, quando ciò succedeva, era decisamente salutare non essere l’oggetto della sua ira.
   Poi, con un cenno del capo, Jones fece segno al drappello di mettersi in marcia, inoltrandosi per primo all’interno della tomba di Qin Shi Huang, il primo imperatore della Cina. Gli altri lo seguirono dappresso, pronti a tutto pur di portare a termine entro breve tempo quella storia dai risvolti drammatici.

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Capitolo 14
*** L'imperatrice della Cina ***


14 - L’IMPERATRICE DELLA CINA

   I sette uomini avanzarono in totale silenzio lungo un passaggio completamente rivestito di pietra, di cui si faceva parecchia fatica a riconoscere i dettagli a causa della profonda oscurità; dopo avere percorso una decina di metri, tuttavia, iniziarono a notare un chiarore, fino a quando raggiunsero un punto del corridoio in cui fu finalmente possibile vedere con nitidezza, in quanto gli uomini della Triade avevano acceso una serie di bracieri, posti lungo le pareti.
   Adesso, pur in mezzo al fumo ed alle scintille che si levavano da quelle rudimentali lampade ad olio, Indiana Jones poté far vagare lo sguardo lungo le pareti, adornate con bassorilievi e dipinti, tutti perfettamente conservati, raffiguranti immagini ed episodi della mitologia cinese. Tra le altre cose, riconobbe anche quella che doveva essere la rappresentazione della vita dell’imperatore, dalla sua nascita fino alla morte, passando attraverso le numerose guerre con cui era riuscito ad unificare la Cina sotto un’unica corona. Ad intervalli di dieci metri l’una dall’altra, su entrambi i lati del lungo corridoio, si ergevano statue di terracotta ad altezza naturale, raffiguranti guerrieri armati e dall’aria di volta in volta compassata oppure minacciosa; ciò che stuzzicava  maggiormente la fantasia dell’archeologo, nel guardarle, era il fatto che ciascuno di quegli antichi soldati fosse differente rispetto agli altri, come se gli antichi scultori cinesi avessero modellato quei monumenti a perfetta somiglianza dei veri soldati di Qin Shi Huang. Jones non riuscì a fare a meno di domandarsi se il suo sguardo si stesse incrociando con quello di persone realmente esistite in un’epoca ormai decisamente remota, quello di uomini scomparsi dalla faccia della Terra migliaia di anni addietro. Se avesse potuto concedersi il lusso di non proseguire, si sarebbe fermato ad analizzarle una ad una. Ma perché non aveva mai tempo a sua disposizione, specialmente in occasioni come quella?
   Il corridoio, la cui volta era di forma bombata e decorata, mentre il fondo era del tutto ricoperto di piastrelle in terracotta dipinta, procedeva delicatamente verso il basso; ad un certo punto, il gruppetto ne raggiunse il termine, dove esso si tramutava in una larga scalinata che scendeva ulteriormente in profondità, fino ad una sorta di anticamera, ornata da affreschi irriconoscibili sotto uno strato di muffa che li aveva ricoperti completamente, forse a causa di infiltrazioni d’acqua penetrate dall’alto del tumulo. L’anticamera, sul lato opposto, era chiusa da pesanti portoni di un metallo annerito dall’ossidazione, uno dei quali, certamente con grandi sforzi, era stato aperto. Jones osservò per alcuni istanti quel luogo, mantenendo ancora il silenzio che avevano osservato tutti quanti dal momento in cui erano penetrati nella tomba.
   Poi, rompendolo solamente per un istante, disse, a mezza voce: «Andiamo», facendo nel contempo segno agli altri di seguirlo.
   Discesero gli scalini di mattoni, viscidi di umidità ed a tratti decisamente sconnessi, facendo attenzione a non perdere l’equilibrio; una volta sul fondo della scala, Jones abbassò lo sguardo, per osservare il pavimento, ricoperto di melma: era completamente cosparso di impronte, segno che parecchie persone dovevano averlo calpestato di recente.
   Una serie di orme più minute rispetto alle altre, rammentò a Wu Han i piccoli piedi di Mei Ying. Il contrabbandiere, nonostante pochi istanti prima si fosse mostrato più che mai risoluto a fermare la ragazza ed a mettere fine ai suoi loschi piani, si sentiva adesso decisamente combattuto, stava rischiando di essere sopraffatto da una battaglia interiore e la sua risolutezza sembrava venire meno ad ogni passo: agire nel bene della Cina contro una donna sanguinaria e pronta a tutto, specialmente al tradimento, oppure cedere all’amore che ancora provava per lei? Non era una scelta facile e ciò lo stava devastando metro dopo metro.
   Dal canto suo, Jones non aveva alcun dubbio: Mei Ying andava bloccata ad ogni costo, sebbene gli dispiacesse doverla riconoscere come una traditrice. Ma, d’altro canto, era ormai abituato da una lunga esperienza a non fidarsi completamente che di poche persone; ed anche da parte di quelle sapeva che, da un momento all’altro, avrebbe potuto aspettarsi un repentino voltafaccia. Per esempio, Belloq, suo vecchio amico ed ora nemico giurato, era stato solamente la ciliegina sulla torta al culmine di una serie di inganni di cui Jones era stato vittima da parte di persone che credeva degne di fiducia; da quando, però, l’archeologo francese gli aveva mostrato il proprio vero volto, Indiana Jones aveva imparato una lezione che, dopo di allora, era divenuta fondamentale, salvandogli la vita parecchie volte, ossia quella di non fidarsi di nessuno, o quasi di nessuno.
   Aveva amici, sparsi nel mondo, su cui sapeva di poter contare ciecamente, ai quali avrebbe affidato la propria stessa esistenza; ma si contavano sulla punta della dita, anzi le dita di una mano sola erano persino troppe per poterli enumerare. Uno di essi era Marcus Brody: uomo fidato, vecchissimo amico di suo padre e suo padrino al battesimo, uno dei pochi veri amici che Jones avesse negli Stati Uniti, insieme a Charles Stanforth, il caro e mite Charlie, sempre pronto a tirarlo fuori dai guai quando incorreva nelle ire del rettore del Marshall College.
   Degli altri, invece, cosa poteva saperne? C’era Harold Oxley, certamente, ma come faceva Jones a sapere se la sua mania per i teschi di cristallo e per Akator non potesse, un giorno, tramutarsi in una smania che lo avrebbe reso pronto a tutto? Sinceramente, non pensava che Oxley potesse un giorno tentare di imbrogliarlo in qualche modo ma, dati gli scarsi rapporti che, oramai, intercorrevano tra i due vecchi compagni d’università, non poteva davvero annoverarlo nella schiera dei propri migliori amici. In America, ovviamente, aveva numerosi altri conoscenti, ma su nessuno di quelli avrebbe piazzato qualche scommessa di assoluta fedeltà.
   E poi, naturalmente, c’era Sallah, l’egiziano, il più fedele e coraggioso amico che avesse; abilissimo spalatore, esperto di egittologia, dotato di abilità che non si sarebbero mai dette possibili in un uomo di tale stazza, Sallah possedeva, soprattutto, un cuore d’oro, il che lo aveva fatto diventare, in pratica, il più grande amico che Jones possedesse. Ecco, una delle poche cose di cui Indiana Jones poteva dirsi sicuro, era che Sallah lo avrebbe seguito ovunque, anche in capo al mondo, se solo glielo avesse domandato, senza mai farsi venire neppure lontanamente in mente l’idea di abbandonarlo o, peggio ancora, di giocargli un brutto tiro.
   Brody, Stanforth e Sallah: le uniche persone sulle quali Jones sapeva di poter contare realmente.
   Gettò uno sguardo di sfuggita a Wu Han e gli lesse in volto il conflitto interiore che lo stava lentamente lacerando: Wu Han era un amico fidato, lo era sempre stato sin dal loro primo incontro ma, adesso, Jones non era più tanto sicuro di potersene fidare completamente. Sapeva che il contrabbandiere era stato ammaliato più di chiunque altro dal fascino magnetico di Mei Ying; e sapeva anche della loro storia d’amore, perché li aveva sentiti parlare, a bordo della giunca, venendo via da Penglai. Non avrebbe saputo dire se Mei Ying avesse sedotto Wu Han solo per convenienza, oppure per divertirsi un po’ o, invece, perché ne fosse veramente innamorata; ma, di sicuro, il suo amico contrabbandiere aveva davvero perduto la testa per quella cinesina dal cuore di pietra. Nessuno, quindi, neppure lo stesso Wu Han, sarebbe adesso stato in grado di presagire in quale maniera avrebbe reagito, quando l’avessero nuovamente incontrata.
   A Jones sarebbe piaciuto poter inserire anche il cinese nella schiera delle persone a lui fedelissime, posto che, comunque, aveva continuato a mantenere fino a quella mattina. Ora come ora, però, egli era in bilico, era giunto ad un punto morto ed avrebbe dovuto scegliere quale strada intraprendere, se seguire l’amicizia oppure l’amore; e, fino a quando non avesse deciso apertamente, l’archeologo non avrebbe più potuto considerarlo pienamente un valido alleato ed un compagno fidato.
   Proseguirono lungo l’anticamera, a volte quasi affondando in quella fanghiglia umida e vischiosa, fino a raggiungere il grande portone; alzando una mano per fermare gli altri, Jones si affacciò rapidamente oltre la porta, per scrutare l’interno dell’altra stanza ed essere, quindi, sicuro che non vi si trovassero degli avversari. Ma la prima cosa che vide, fu che dai presenti lì dentro non avrebbero avuto nulla da temere: montagne di scheletri erano ammassate ovunque, a mucchi, come se lì dentro fosse accaduta un’ecatombe, nell’antichità. Quattro cadaveri decisamente più recenti, senza dubbio uomini del Drago Nero rimasti di guardia ed ora abbandonati sul pavimento con i petti e le gole squarciati, denotavano il passaggio di Mei Ying.
   Jones entrò nella stanza, segnalando agli altri di seguirlo, attento a dove gli capitasse di mettere i piedi per non correre il rischio di calpestare troppo le ossa contenute in quella stanza. Alzò gli occhi al soffitto e notò che, seppure ormai quasi completamente cancellato dall’umidità del luogo, penetrata nel corso di due millenni, raffigurava un cielo blu trapunto di costellazioni dorate. Al di sotto di quella volta celeste, nel centro della vasta sala in cui erano entrati, ornata da colonnati e statue, molte delle quali divelte, si notavano, invece, i resti di quella che doveva essere stata una raffigurazione in scala dell’impero di Qin Shi Huang, una lastra d’argento con città di madreperla, foreste di smeraldi e rilievi di rubini, solcata da strade d’oro ed attraversata da canali pieni di mercurio che dovevano avere rappresentato i fiumi ed i laghi del vasto regno. Doveva essere stata una riproduzione fedelissima, perfetta in ogni particolare e curatissima anche nei più minuti dettagli; tutto, però era devastato e distrutto, come se una furia si fosse abbattuta su quel capolavoro d’arte cinese antica.
   Wu Han raggiunse Jones, che stava osservando quello scempio e, girando attorno lo sguardo sopra i mucchi d’ossa, balbettò: «Ma che posto è mai questo?»
   Jones si prese qualche istante di raccoglimento, prima di rispondere.
   «La sala del plastico» spiegò. «Le antiche cronache cinesi dicono che, all’interno della tomba dell’imperatore, fu creata una riproduzione in scala dell’impero cinese. Evidentemente, è tutto vero.»
   «Ma perché tutto questo sconquasso? E queste ossa? Apparterranno a centinaia di persone.»
   L’archeologo aveva raccolto da terra la riproduzione di un palazzo d’oro, che pareva fosse stato scagliato con estrema violenza contro una parete, apparendo ammaccato in più punti ed avendo perduto il tetto, che doveva giacere da qualche parte al di sotto dello strato d’ossa. Noncurante, buttò nuovamente a terra la figurina e rispose alla domanda.
   «La leggenda narra che Qin Shi Huang era talmente geloso del proprio sepolcro, da dare l’ordine che gli operai che lo avevano eretto fossero racchiusi vivi al suo interno, in maniera che non potessero mai raccontare a nessuno dei segreti del suo enorme palazzo funerario. Anche le sue numerose concubine furono sepolte vive nella tomba, affinché potessero continuare a servire il loro signore per tutta l’eternità. Gli stessi soldati che sigillarono dall’esterno il sepolcro, coprendolo con la terra del tumulo, ricevettero l’ordine di suicidarsi subito dopo in massa e pare che tale fosse la loro devozione all’imperatore da non mancare di obbedire a tale disumano comando. Fino ad oggi, tuttavia, s’era sempre creduto che queste storie fossero solamente delle esagerazioni, nate nei secoli successivi alla morte dell’imperatore, e gli storici hanno sempre tentato di rendere un quadro un po’ meno crudele del vecchio sovrano, sebbene fosse difficile stabilire chi potesse avere sul serio ragione, non essendo mai stato visitato da nessuno il suo sepolcro. Adesso, però, abbiamo davanti ai nostri occhi la prova che le storie sono tutte dannatamente vere e che gli storici hanno sempre preso un grosso abbaglio, nel cercare di rendere in buona luce la figura di Qin Shi Huang.»
   «Quindi, questi poveracci morirono tutti di stenti, chiusi qui sotto, al buio? Che fine terribile» mormorò Wu Han, senza riuscire a trattenere un brivido.
   Per un momento, al contrabbandiere si profilò l’immagine del sepolcro, buio e intatto, risuonante di grida e di pianti disperati; gli parve di vedere uomini e donne angosciati, che correvano qua e là, picchiando contro le pareti alla ricerca di quella via d’uscita che sapevano che non avrebbero mai potuto trovare, oppure che in un ultimo disperato momento di lucidità si toglievano la vita per sottrarsi a quella lenta ed abominevole condanna, o ancora che con gli ultimi sussulti di vitalità si abbracciavano e si tenevano stretti l’un l’altro, sperando, così, di potersi in qualche maniera confortare vicendevolmente e di scordare quella tortura che li avrebbe condotti inesorabilmente verso la più orribile delle morti.
   Come se i suoi pensieri fossero stati i medesimi di Jones, l’archeologo riprese il discorso.
   «Esattamente, fu quella la loro triste sorte; ma, a quanto pare, prima di andarsene all’altro mondo, gli operai e le concubine fecero in maniera di vendicarsi del loro ingrato carnefice, accanendosi in ogni modo contro la sua sepoltura e devastandola il più possibile. Sono stati loro a distruggere questo plastico: peccato, perché non solo sarebbe stata una magnifica opera d’arte da poter ammirare in un museo, ma avrebbe persino fornito maggiori dettagli riguardo alla geografia dell’antica Cina. Se Qin Shi Huang non fosse stato così avido ed egocentrico, avrebbe consegnato alla posterità un dono magnifico; invece, è riuscito a tramandare solamente l’immagine di un empio tiranno ed i resti di una tomba distrutta.»
   «Credi che troveremo altre devastazioni?» chiese il contrabbandiere.
   «Penso proprio che, dei grandi tesori che questa tomba dovette contenere, sia rimasto ben poco, d’intatto, a meno che gli operai non avessero accesso solamente a questa stanza e le altre fossero per loro irraggiungibili. Lo scopriremo continuando ad avanzare.»
   Si rimisero in marcia, cercando di evitare di calpestare i poveri resti che li circondavano da ogni lato; la sala, oltre al plastico, doveva aver contenuto anche altri capolavori di notevole fattura, ma tutti quanti erano ormai andati inesorabilmente perduti. Quei pochi che sembravano essere sfuggiti alla furia di coloro che erano stati sepolti vivi all’interno della vasta tomba, come ad esempio i dipinti sulle pareti, infatti, si erano deteriorati a tal punto a causa delle infiltrazioni umide da essere ormai praticamente irriconoscibili. All’improvviso, a Jones passò la smania di poter essere lui l’archeologo che si sarebbe occupato della tomba, scavandola, descrivendola e divenendo, in tal modo, celebre e rispettato: comprese subito, infatti, dallo stato delle cose lì dentro, che vent’anni non sarebbero stati sufficienti a portare a termine i lavori. Troppo lavoro da fare, all’interno di quella tomba. Non faceva certo per lui. Un’anima inquieta come la sua, sempre bisognosa di movimento, di scoprire e di vedere luoghi nuovi e diversi l’uno dall’altro, non avrebbe sopportato di restare concentrata tanto a lungo su un unico lavoro. No, avrebbe lasciato perdere, si disse. Risolta la faccenda di Mei Ying, Indiana Jones avrebbe detto addio alla tomba dell’imperatore, lasciando che altri archeologi, forse non più abili, ma certamente più pazienti di lui, si accollassero l’onere e l’onore di occuparsene, in futuro. In quanto a lui, avrebbe cercato altrove la sua fortuna e gloria.
   La stanza del plastico, come all’estremità da cui erano entrati, era chiusa al lato opposto da pesantissimi portali di bronzo; ma questi, al contrario di quelli che menavano verso l’esterno, dovevano essere stati lasciati aperti sin dai tempi della loro costruzione, in quanto apparivano entrambi accostati alle pareti, a cui l’ossidazione li aveva praticamente saldati. Le ossa e lo sconquasso, pertanto, continuavano anche nella sala successiva.
   Qui, il gruppetto poté notare un’enorme quadriga di marmo bianco, che un tempo doveva essere stata trainata da bellissimi e colossali cavalli in pose plastiche di cui, adesso, si poteva solamente intuire la forma, essendo stati spietatamente scalpellati e martellati, tanto che uno si era addirittura schiantato al suolo, dove giaceva in diversi frammenti. La quadriga, decisamente più grande del normale, essendo in proporzione almeno doppia rispetto alla realtà, non presentava alla guida nessuna figura. Ma le briglie di pietra trattenute da forti mani che ancora si scorgevano diedero a Jones l’idea che, una volta, alla sua guida dovesse esserci stata la statua imponente dell’imperatore, parecchio alta e solenne. Solo che, ormai, non c’era più alcuna statua.
   Osservando meglio, Jones comprese che l’accanimento, contro quel monumento in particolare, doveva essere stato ben peggiore che contro il plastico: la statua, infatti, era ancora presente, sebbene sparsa in migliaia di minuscoli cocci sul pavimento, estremamente difficili da riconoscere nel mezzo di ossa e sedimenti. Con ogni evidenza, quel particolare simulacro doveva essere stato molto caro, all’imperatore, per questo aveva subito le peggiori vendette. Si guardò velocemente attorno, notando resti di gambe e di braccia di marmo, un mezzo busto, quello che doveva essere stato un copricapo ed altri pezzi decisamente inidentificabili. Della testa non c’era più nemmeno la minima traccia: l’archeologo intuì che, quella particolare parte della statua, fosse stata ridotta in briciole indistinguibili dai prigionieri rabbiosi.
   Anche quella stanza doveva essere stata colma di opere d’arte, nonché di oggetti personali dell’imperatore: osservando qualche resto di legno e di metallo, Jones pensò che, tra le altre cose, in un angolo fosse conservata la vera quadriga, quella usata da Qin Shi Huang in persona, ormai irriconoscibile. Ancora una volta, gli montò dentro la rabbia nei confronti dell’antico imperatore che, con la sua sconsideratezza, aveva fatto sì che tesori inestimabili e di squisita fattura, che un intero popolo s’era impegnato a realizzare, forse per decenni, per consacrarne la figura, fossero andati irrimediabilmente perduti nel giro di pochi giorni solamente dal momento della sua morte. Ecco a cosa conducono la smania di potere ed il sogno di immortalità: a null’altro che devastazione e polvere. Pensò che, quello di scendere ed aggirarsi per qualche ora in quella tomba a meditare, sarebbe stato un buon consiglio da dare a tutti quegli uomini che, credendosi onnipotenti, avrebbero voluto piegare ogni cosa al proprio volere ed ai propri desideri.
   Il gruppetto stava per rimettersi in marcia, quando dall’estremità del salone si levò una voce rauca che intimò: «Non faccia un passo oltre, dottor Jones, o diverrà anche lei un reperto di questo mausoleo!»
   A parlare era stato Von Beck che, fino a quel momento, aveva osservato, non visto, Jones ed i suoi amici, celato con altri uomini, certo suoi scagnozzi e guerrieri del Drago Nero, dietro alcune casse di legno. Wu Han ed i cinque membri del suo equipaggio non persero tempo a correre a nascondersi al riparo dell’imponente quadriga, mentre l’archeologo s’inginocchiò a terra, facendosi scudo di un blocco di marmo.
   «Buongiorno, Albrecht!» gridò in risposta, non appena si fu accertato che gli altri fossero al sicuro. «Bel posticino, per incontrarsi di nuovo.»
   «Faccia poco lo spiritoso, Jones» rispose di rimando il tedesco. «Non quando sono sul punto di ucciderla! E non si immagina neppure quanto gusto proverò nel farlo!»
   «Non possiamo parlarne da persone civili?» chiese l’archeologo. «Sa, noialtri avremmo un lavoro importante da fare, giù nella cripta!»
   «Lo immagino! Vorreste raggiungere la vostra amica. Quel diavolo di donna che ci avete scatenato contro è riuscita a sottrarci lo Specchio dei Sogni dopo aver ucciso metà dei miei uomini, nonostante tutti i nostri sforzi! Non crederete di poterla aiutare, vero? Non vi lasceremo mai passare! Lei avrà anche potuto assalirci di sorpresa, ma a voi non andrà altrettanto bene!»
   «Senta, maggiore, quella non è nostra amica e, se non la fermiamo, creerà guai ben peggiori di quelli che lei possa immaginare!»
   «Non cerchi di ingannarmi, Jones! Lei ed i suoi amici siete arrivati in compagnia di quell’assassina e questo non lo può negare! E, comunque sia, ho giurato di ucciderla! Lei non rivedrà mai più la luce del sole e questa tomba diverrà la sua!»
   «Lei è pazzo, maggiore! Pazzo come tutti i nazisti!»
   «Lei, invece, dottor Jones, è un uomo morto che parla troppo!» urlò come un ossesso Von Beck, aprendo il fuoco contro di loro.
   I suoi uomini lo imitarono immediatamente, cominciando a sparare a raffica. Ma i proiettili rimbalzarono contro il marmo, senza alcun pericolo per coloro che vi si riparavano dietro, oppure si perdevano troppo lontano per poter essere considerati pericolosi. Per fortuna di Jones e dei suoi compagni, infatti, Von Beck aveva dovuto condurre con sé solamente pochi uomini, non potendo certo un reparto dell’esercito tedesco muoversi liberamente per la Cina; e, parecchi, doveva averglieli veramente uccisi la letale Mei Ying. I guerrieri del Drago Nero che erano con lui, inoltre, non dovevano avere una grande dimestichezza in fatto di armi da fuoco, quindi i loro colpi non avrebbero costituito un reale pericolo. Ciò nonostante, quello era uno stallo da superare il più in fretta possibile, se si voleva impedire che la giovane donna si appropriasse del Cuore del Drago.
   Anziché rispondere al fuoco, l’archeologo osservò il soffitto sopra le casse dietro cui si proteggevano Von Beck ed i suoi accoliti. Come immaginava, era decisamente sconnesso e sarebbe bastato un niente a farlo precipitare completamente.
   Si volse e fece un cenno a Wu Han che, da dietro la quadriga, lo stava osservando in attesa di un qualsiasi segnale; Jones gli indicò velocemente il punto esattamente sopra i nazisti ed i guerrieri della Triade e mimò l’atto di colpirlo a fucilate. L’astuto contrabbandiere cinese comprese immediatamente cosa intendesse dirgli l’amico e segnalò subito l’ordine agli altri cinque. Tutti puntarono la canne delle carabine in obliquo verso quel punto della volta, in attesa di un cenno di Jones. E l’archeologo, per darlo, anziché parlare, prese la mira e premette il grilletto. Gli altri fecero lo stesso, più e più volte, sparando quasi a ripetizione. Colpito da una gragnola di proiettili, l’antico soffitto, già estremamente minato da secoli di infiltrazioni d’acqua e di terremoti, cedette all’improvviso, crollando addosso agli uomini che vi si trovavano sotto. Si levarono un fragore tremendo misto ad urla di spavento e di dolore ed un gran polverone, che rese impossibile vedere più alcunché; quando il rimbombo fu smorzato e la polvere si fu nuovamente depositata, uno strano silenzio discese sulla vasta stanza.
   Per qualche istante, Jones non si mosse, osservando la scena; ma, dove prima c’erano le casse da cui provenivano gli spari, adesso si scorgeva solamente un grande mucchio di calcinacci polverosi.
   «Indy…?» domandò Wu Han dopo qualche istante di incertezza.
   Jones balzò in piedi.
   «Rimanete lì!» comandò.
   Si avviò cautamente verso il cumulo della recente frana, con il fucile imbracciato e puntato di fronte a sé, pronto a gettarsi di lato ed a fare fuoco in caso di un nuovo pericolo.
   Piano piano, un passo dopo l’altro, Indiana Jones raggiunse il blocco di macerie e lo osservò attentamente; non si vedeva nessuna traccia di uomini: i loro assalitori dovevano essere tutti quanti rimasti schiacciati sotto quel notevole peso. Stava quasi per voltarsi e segnalare via libera ai compagni, quando notò un sottile filo di polvere franare verso il basso, subito seguito da alcuni sassi che rotolarono in giù. Rimase a guardare con una certa curiosità quel fenomeno inaspettato. All’improvviso, una nuvola di polvere si levò e, con un salto, Von Beck si rialzò in piedi, il cranio mezzo sfondato, il volto sfigurato coperto di sangue, il braccio destro contorto all’indietro, ma incredibilmente ancora vivo.
   Con un grido colmo all’inverosimile di cieco furore, il maggiore si gettò contro Jones tentando, con l’unica mano ancora in grado di compiere qualche movimento, di afferrargli la gola in una stretta mortale; l’archeologo, però, lo prevenne, colpendolo duramente in faccia con la canna del fucile e fratturandogli uno zigomo. Incespicando malamente all’indietro per quella nuova botta, Von Beck perse l’equilibrio inciampando nella montagnola di detriti e cadde pesantemente di schiena; picchiò la testa già rotta sopra un pesante mattone e rimase immobile, l’unico occhio spalancato e colmo d’odio a fissare il vuoto, ormai privo di vita.
   Wu Han e gli altri cinque, osservando quella scena, si erano affrettati a raggiungere l’archeologo; ma, quando gli furono a fianco, era già tutto finito.
   «Era duro a morire, questo dannato tedesco» sbottò Wu Han.
   «Non importa, ha finalmente smesso di perseguitarmi» replicò Jones, osservando il volto sfigurato ed il corpo deturpato del maggiore.
   La divisione Ahnenerbe delle SS, quella volta, avrebbe dovuto classificare come fallita la propria missione e come disperso il proprio ufficiale. Il tutto sarebbe finito dimenticato in un qualche archivio riservato e nessuno ne avrebbe parlato mai più. Non sarebbe stata poi una gran perdita, dopotutto.
   «Siamo vicinissimi, ormai» affermò l’archeologo, distogliendo lo sguardo dall’orribile cadavere. «La tomba di Qin, il suo sepolcro, non dev’essere troppo lontano. Raggiungiamolo e concludiamo una volta per tutte questa brutta storia.»
   Fece per partire, poi si bloccò bruscamente e volse lo sguardo verso Wu Han, che lo ricambiò.
   Dopo qualche istante di riflessione, Jones decise che fosse venuto il momento di conoscere le reali intenzioni dell’amico.
   «Wu Han» gli disse. «Oltre quel varco che abbiamo di fronte, incontreremo finalmente Mei Ying. Per quanto mi piacerebbe riuscire a farla ragionare ed a catturarla viva, è assai probabile che non mi permetterà neppure di aprire bocca. Sai quanto possa essere pericolosa; e, se avrà già messo le mani su quel Cuore del demonio, è possibile che la sua forza sia anche moltiplicata o che so io. Se mi costringerà a farlo, le pianterò un colpo di fucile dritto al cuore, senza rimpianti. Pertanto, voglio sapere da te se sei davvero con me, oppure no. Ma se non lo sai neppure tu, allora ti scongiuro di tornare indietro, di andare ad aspettarmi fuori, ma senza intralciarmi. Cosa mi rispondi?»
   Per qualche momento, il contrabbandiere ricambiò lo sguardo di Jones, e sul volto si manifestò tutta una lunga sequenza di espressioni contrastanti. Passione e amicizia non avevano ancora smesso di combattere, nel suo buon cuore. Alla fine, però, prese la sua risoluzione e decise che sarebbe stata l’ultima, quella definitiva, da cui non sarebbe più tornato indietro, nonché quella che avrebbe messo a tacere una volta per sempre tutte le sue indecisioni.
   «Te l’ho già detto prima, Indy» rispose. «Sarò con te fino alla fine.»
   Jones gli posò una mano sulla spalla con amicizia e borbottò un: «Bene!»
   Quindi, si rimise rapidamente in marcia, così velocemente che gli altri furono costretti a correre per tenergli dietro; all’estremità della stanza, discesero alcuni gradini ed iniziarono a percorrere un lungo corridoio scavato nella viva roccia il quale, in certi punti, si abbassava al punto da costringere l’archeologo ad avanzare quasi carponi per non sbattere la testa.
   Sembrava che non dovesse mai avere fine ma, finalmente, giunsero in vista dell’imbocco di un’altra stanza. Qui, quindi, rallentarono e, cautamente, si immisero nella nuova sala che, lo compresero subito, era l’ultima.
   Si trattava di una stanza circolare, con il pavimento coperto da piastrelle di porcellana lucida di colore nero, ospitante al proprio centro la statua immane di un drago verdognolo, tra le cui fauci spalancate era seduta la mummia, ormai deformata, di un uomo basso e grasso. Erano giunti, alfine, al cospetto di Qin Shi Huang, il primo imperatore cinese.
   Dinnanzi alla statua, in una completa immobilità, c’era Mei Ying.
   Non si volse quando giunsero, ma dovette averli sentiti, poiché prevenendoli, parlò, con un tono di voce che non sembrava più essere il suo, da quanto adesso si era fatto duro e spietato.
   «Dottor Jones. Wu Han. Vi aspettavo. Ero certa che non mi avreste lasciata sola in questo luogo troppo a lungo.»
   La ragazza si volse finalmente a guardarli e, nel vederla, i sette uomini non poterono fare a meno di arretrare tutti di un passo con orrore, per via dell’incredibile mutamento che le era accaduto e da come appariva sformato il suo viso. Sembrava quello di una vecchia, da quanto era divenuto rugoso. Intere ciocche di capelli le si erano staccate dal capo, lasciandola quasi calva. Ma lei non sembrava rendersene conto. Contrasse la bocca ormai sdentata in un orrendo ghigno e sollevò le mani, più che altro simili a scarni artigli, mostrando loro una perfetta sfera di pietra nera, dalla quale sembrava levarsi una sorta di luminosità misteriosa.
   «L’ho trovato, finalmente. Il Cuore del Drago. Lo Specchio dei Sogni non è servito a nulla… era solo una stupida leggenda, tre pezzi celati nel mondo per indurre chiunque avesse voluto entrare qui dentro ad andare alla loro ricerca e distogliere la sua attenzione dalla vera tomba. Una perdita di tempo per allontanare ladri e profanatori… Un inganno. Ma non ha più alcuna importanza, ormai. L’ho preso, me ne sono impossessata, il Cuore del Drago è mio!»
   La voce della donna era alterata ed orribile, proprio come il suo aspetto, che andava deteriorandosi sempre di più, di momento in momento. Pareva, ormai, che avesse più di cento anni. Eppure, sembrava che lei neppure si accorgesse di ciò che le stesse accadendo.
   Né Jones né Wu Han riuscirono ad emettere una sola sillaba, di fronte a quello spettacolo inatteso e terrificante, mentre Mei Ying riprese a parlare.
  «Io, adesso, sono l’imperatrice della Cina! Io la riporterò ai fasti antichi, agli splendori del passato! Non avrete comandanti inetti e nemici tra loro, ma un’unica, bellissima, terribile e potentissima sovrana, immortale nel corpo e nello spirito! Adoratemi!»
   In pochi secondi, le sue orbite s’erano incavate e gli occhi le si erano appannati come se avesse la cataratta; i pochi capelli che ancora le erano rimasti si staccarono dalla nuca e caddero a terra; le spalle le si incurvarono e si fece magrissima, quasi pelle ed ossa. Il respiro della donna, adesso, era rauco e profondo, faticava a trarre aria, eppure pareva che non le importasse oppure che non avvertisse nemmeno l’ombra di un mutamento. Mei Ying, infatti, continuava a parlare come se nulla fosse ed a proclamarsi imperatrice della Cina.
   «Dottor Jones, Wu Han! Voi sarete i miei consorti. Mi sposerete! Avrete una moglie di una bellezza unica e di una potenza smisurata ed infinita, nulla di eguale troverete mai a questo mondo! La Cina si prostrerà ai nostri piedi, conquisteremo l’intero globo e…»
   «Falla finita, Mei Ying!» urlò Wu Han, riuscendo infine a ritrovare la voce. «Getta via quella dannata palla! Non vedi che ti sta uccidendo?»
   Il volto già deforme della donna si contrasse per la rabbia nell’udire quelle parole.
   Compì due passi barcollanti verso il contrabbandiere, gridando: «Come osi, tu, inutile villano, ordinare a me, l’imperatrice della Cina, la signore del Celeste Impero, di tacere? Empio! Morirai, per questo tuo ardire!»
   La donna fece un terzo passo; ma Jones non voleva che riuscisse in alcun modo a toccare Wu Han, perché non sapeva che cosa sarebbe successo. Di certo, non voleva che quella specie di malattia che, adesso, stava consumando in brevissimi istanti quella che era stata una bellissima ragazza, venisse trasmessa anche all’amico. Sollevò il fucile per spararle, ma Wu Han lo prevenne, facendo fuoco a propria volta verso Mei Ying.
   Il proiettile andò a conficcarsi proprio contro il Cuore del Drago, che sembrò esplodere come una bomba, sprigionando un'energia tale che Jones e gli altri furono scagliati all’indietro e si ritrovarono distesi a terra, mentre l’intero complesso cominciava a tremare, come se fosse in corso un terremoto, e calcinacci e massi iniziavano a cadere dalla volta del soffitto.
   L’esplosione, aveva avuto un effetto disastroso per Mei Ying; gli arti le si erano inceneriti all’istante ed il resto del suo corpo sembrava che avesse cominciato a liquefarsi. La donna, con gli occhi ormai fuori dalle orbite ed il viso ridotto ad una maschera ributtante, balbettando parole incomprensibili, cadde in ginocchio, rimanendo immobile in quella posizione fino a quando, una scossa più violenta delle altre, fece crollare la grande statua del drago verdognolo, che le franò addosso, trascinandosi dietro la mummia dell’imperatore e inumando completamente quel poco che ancora rimaneva intatto di lei.
   Ma Jones, Wu Han e gli altri non videro nulla di tutto questo. Prontamente rialzatisi in piedi, si erano immediatamente gettati in una corsa sfrenata per uscire dalla tomba prima che franasse tutto, sotterrandoli sotto tonnellate e tonnellate di macerie.
   Corsero a perdifiato, incitandosi a vicenda, gettando via i fucili che li ingombravano e senza badare ai calcinacci che piovevano dall’alto, colpendoli duramente alle spalle. Per loro fortuna, nessuno ricevette pietre sulla testa.
   Tra la polvere che celava ogni dettaglio ed i mattoni che cadevano ovunque, i sette uomini riuscirono a percorrere al contrario tutte le stanze del mausoleo, fino a ritrovarsi nel corridoio da cui erano penetrati nel vasto edificio sotterraneo.
   La loro fu una spietata gara contro il tempo e contro la fisica, ma riuscirono egualmente a vincerla. Non appena Jones, che veniva per ultimo, si fu gettato finalmente fuori dal tunnel, atterrando in malo modo sugli aghi degli abeti che coprivano completamente il tumulo, l’ingresso stesso della tomba franò, seppellendo, oltre al cadavere di Kai, anche i propri segreti.
   Ansanti e con i cuori che battevano all’impazzata, gli uomini rimasero stesi sotto la vegetazione, cercando in qualche modo di riprendere fiato; non credendo possibile di essere riuscito a scamparla anche quella volta, l’archeologo tenne per un bel pezzo gli occhi chiusi, temendo che, nel riaprirli, si sarebbe trovato ancora al cospetto della mummia di Qin Shi Huang, inspirando il delicato e soave profumo del sottobosco, segno evidente del suo essere riuscito a raggiungere nuovamente l’esterno.
   Infine, riuscirono a rialzarsi tutti quanti, guardandosi negli occhi. Erano imbiancati di polvere, sudati e stanchissimi, con gli abiti lacerati e gli sguardi stravolti ma, nel contempo, vivi ed incolumi.
   Indiana Jones si mise a sedere sopra un masso e Wu Han gli si inginocchiò accanto, guardando con aria truce l’ingresso ormai impraticabile della tomba.
   Jones gli mise una mano sulla spalla.
   «Mi dispiace molto, Wu Han. Speravo che questa storia avrebbe avuto un epilogo differente, ma Mei Ying ci ha imbrogliati. Ci ha indotti con l’inganno a seguirla e ad assecondarla nei suoi loschi piani. Se l’avessimo saputo prima… forse saremmo riusciti a farla ragionare.»
   «Era assetata di sangue e potere» replicò duramente Wu Han. «Persone del genere non ragionano. Non sono dispiaciuto per la sua fine, perché se l’è cercata da sola. Solamente, non mi spiego due cose. A cosa serviva lo Specchio dei Sogni? E che cos’era quel dannato Cuore del Drago?»
   «Per rispondere alla tua prima domanda, credo che, come ci ha detto Mei Ying nel suo delirio, lo Specchio non servisse proprio a nulla.»
   «Ma… come? Lo Specchio dei Sogni non aveva alcuna reale utilità?» domandò Wu Han, al colmo dello stupore.
   «Esatto» confermò Jones.
   «E quindi tutti quegli sforzi per riuscire prima a trovarlo, e poi a recuperarlo, sarebbero stati completamente vani?»
   «Proprio così. Un trabocchetto davvero ben congegnato, ne convengo. Probabilmente il migliore e più sottile in cui mi sia mai capitato di imbattermi, e ti assicuro che ne ho visti tanti e di ingegnosi, in questi anni. Pensa: un artefatto diviso in tre pezzi, nascosti in luoghi lontani tra loro e quasi inaccessibili. Un oggetto smembrato, senza il quale non sarebbe stato possibile penetrare nella cripta dell’imperatore. Roba da far diventare matti per andare alla sua ricerca e, nel frattempo, tenere eventuali malintenzionati lontani dalla tomba, molto più facilmente accessibile di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. Un maledetto scherzo ideato oltre duemila anni fa. E ci sono cascati tutti: i tedeschi, gli uomini del Drago Nero…Persino io, che mi vanto sempre di non credere a ciò che non può essere razionalmente spiegato, mi sono fatto raggirare dai poteri mistici di quello Specchio dei Sogni… o, magari, sarebbe più corretto chiamarlo specchietto per le allodole.»
   Mentre Wu Han rifletteva su quella rivelazione, Jones si concesse qualche istante per pensare alla seconda domanda postagli dall’amico. Che cos’era davvero il Cuore del Drago? A che cosa serviva e, soprattutto, come aveva fatto a ridurre un essere umano in quelle condizioni? Pur non essendone sicuro come con lo Specchio, provò a dare una spiegazione anche a quello.
   «Per quanto riguarda il Cuore, invece, non te lo saprei dire con esattezza; ma, dagli effetti che ha prodotto, posso solamente intuire che si trattasse di un qualcosa di radioattivo, molto pericoloso. Una specie di arma estremamente rischiosa da maneggiare, forse, che è molto meglio per tutti che sia andata perduta per sempre. Probabilmente, qualcuno la portò all’imperatore che, vedendola, credette che fosse la prova del suo diritto a regnare. Oppure - e qui mi spingo nel campo delle ipotesi indimostrabili - i medici incaricati di renderlo immortale non gli presentarono delle pillole al mercurio, come comunemente si crede, ma quella dannata palla, che ottenne solamente l’effetto di corroderlo fino ad ucciderlo. Avremmo potuto saperne di più se avessimo avuto il modo di esaminare meglio la mummia, ma credo che, a questo punto, non lo sapremo mai.»
   «Non credi che possano essercene altri, nella tomba? Che qualcuno un giorno possa scoprirli?»
   «Penso che fosse un artefatto unico, stai tranquillo. Se, poi, ne esistono anche altri, là sotto, possiamo comunque andarcene a dormire sereni. La tomba è rimasta inviolata per migliaia di anni e, dopo la nostra breve incursione, lo resterà ancora molto a lungo. La Cina, ben presto, avrà ben altri problemi a cui pensare, posso assicurartelo. I comunisti, il Giappone… non vedo la possibilità ed il tempo per scavi archeologici, nel suo futuro.»
   «A noi, però, ne spetta uno» gli rammentò Wu Han, desideroso di cambiare argomento e di avere un valido motivo per non dover più pensare a Mei Ying; d’altronde, pur essendo successo di tutto, pur avendone ricevuto in cambio un tradimento, egli l’aveva amata davvero, non poteva nasconderlo e, pur sapendo che il tempo avrebbe appianato le cose, adesso il dolore che provava dentro era ancora forte. Gli ci voleva un valido motivo di distrazione.
   Jones lo sapeva benissimo, per cui rispose: «Hai perfettamente ragione. Ci riposeremo qui per qualche ora, poi andremo a prendere i cavalli e ci rimetteremo in strada. Abbiamo un appuntamento a Shanghai.»
   La luce penetrava tra gli abeti, che frusciavano leggermente, scossi da una brezza; il tumolo era placido e tranquillo, adesso. Qin Shi Huang, il primo imperatore della Cina, avrebbe continuato a riposare all’interno del proprio sepolcro per l’eternità, in compagnia della donna che, anche se solamente per pochi istanti, era stata il suo ultimo successore sul trono imperiale.


 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


15 - EPILOGO

   Shanghai, Cina

   Le luci si allungavano sulla grande città, mentre un nuovo giorno nasceva.
   Il traffico del mattino riprendeva, sebbene durante l’intera nottata automobili, biciclette e risciò avessero continuato a viaggiare avanti ed indietro ed i mercanti non avessero mai abbandonato le proprie bancarelle, dove vendevano spezie, sete, frutta e verdure, incensi ed altri oggetti di vario genere. L’importante metropoli fluviale sembrava non conoscere mai alcun tipo di pausa, in essa l’affaccendarsi continuo prendeva il posto del riposo.
   I due uomini, ancora con indosso l’abito da sera, uscirono dal Club Obi Wan dopo una lunga ed accesa discussione, durata per tutta la notte, tra bicchieri di champagne ed interruzioni per ascoltare le belle cantanti americane che allietavano la serata con la loro voce suadente; sebbene non avessero ancora avuto occasione di incontrare il gangster Lao Che, ma avessero potuto parlare solamente con uno dei suoi luogotenenti, i dettagli del loro incarico erano stati definiti con precisione. Il giorno successivo sarebbero partiti per Shenyang, nella Cina nordorientale, ed avrebbero dato inizio alla ricerca dell’urna funeraria di Nurhaci, il primo imperatore della dinastia Manciù. Non sarebbe stata una passeggiata ed avrebbero dovuto ricorrere ad ogni cautela, essendo la città in mano ai giapponesi, ma dopo le avventure vissute durante le ultime settimane non si sarebbero di certo arresi di fronte a così poco. A cose fatte, avrebbero finalmente incontrato il grande capo in persona per ottenere la loro ricompensa.
   Wu Han, tuttavia, aveva ancora qualche dubbio, riguardo alla perfetta riuscita della loro azione.
   «Allora, Indy, sei veramente sicuro di volerci andare fino in fondo, con tutta questa faccenda?» chiese, incrociando le mani dietro la schiena mentre camminava.
   «Più che mai certo… sono anni ed anni, ormai, che inseguo l’Occhio del Pavone attraverso tutti i continenti e non intendo farmelo sfuggire di mano anche questa volta» rispose Indiana Jones, procedendo al suo fianco lungo il marciapiede.
   «Intendo il resto… aspettare di avere tra le mani il diamante per poi riprenderci il Nurhaci e darcela a gambe verso gli Stati Uniti» gli rammentò l’amico.
   «Puoi starne sicuro» rispose Jones. «Sto già pianificando tutto. Fuggiremo in auto dal Club Obi Wan e ci dirigeremo rapidissimi all’aeroporto, dove troveremo un aeroplano ad attenderci. Devo solamente limare gli ultimi dettagli. Vedrai, andrà tutto bene. Il vecchio Lao non sospetterà assolutamente di nulla e, alla fine, resterà con in mano un pugno di mosche senza neppure accorgersene.»
   «Mah, chissà perché, ma ho un gran brutto presentimento» borbottò il contrabbandiere, tirando un calcio ad un sassolino che si trovava sul marciapiede e guardandolo rotolare in avanti.
   «È per via di quello che ci è successo in questi ultimi giorni» lo rassicurò l’archeologo. «Questi eventi scombussolano sempre la mente e ci vuole un po’ per riuscire a riprendersi completamente. Diavolo, non è da tutti poter dire di aver attraversato indenne una base segreta nazista, prima di essere gettato nelle abissali profondità di una montagna, essere disceso nella tomba di un antico imperatore, aver assistito alle conseguenze micidiali dell’utilizzo improprio di un’arma sconosciuta ed essere sfuggito per un pelo al crollo della tomba stessa. Non sono certo delle cose che capitino tutti i giorni. Ma ti passerà, vedrai. Quando saremo in America, ti porterò a divertirti. Scorderai molto presto la Cina e tutti i suoi problemi.»
   «Non vedo l’ora» ammise Wu Han. «Sono stufo di questo posto. Io sono per metà europeo, no? Ebbene, adesso penso che la mia parte orientale abbia già dato abbastanza. È ora che io cominci ad essere occidentale. Certo, bisogna riuscire a sopravvivere abbastanza a lungo per riuscirci ad arrivare, in America.»
   «Sono tutte paure inutili e senza senso, vedrai. Filerà tutto perfettamente liscio. Abbiamo la strada spianata dinnanzi a noi, ormai, e… Ehi!»
   Qualcosa di piccolo ed estremamente rapido aveva urtato Jones alle spalle, spingendolo bruscamente di lato. Una manina microscopica gli si era infilata nella tasca dei pantaloni e gli aveva sfilato il portafoglio con la lestezza di un prestigiatore. Fu un lampo, un istante solamente. Un ragazzino minuscolo, di forse dieci anni, correva adesso lungo il marciapiede, ridendo della grossa per il furto che gli era riuscito così bene.
   «Ma guarda te quel monello…» brontolò l’archeologo, scrutando con un ghigno per metà indispettito e per metà divertito il bambino cinese che si allontanava rapidissimo lungo la via.
   Il piccolo indossava un giubbetto verde piuttosto scolorito, una lurida camicia a scacchi dal colletto coreano, di un colore indefinibile e pantaloni scuri tutti stracciati; per un attimo, a Jones era anche parso che, in testa, portasse un cappellino con il simbolo della squadra di baseball New York Yankees.
   L’archeologo partì subito all’inseguimento, perché il cinesino era talmente rapido e veloce che, se Indiana Jones gli avesse concesso ancora qualche metro di vantaggio, si sarebbe dileguato  in mezzo alla folla e tra i vicoletti con tutti i suoi soldi ed i suoi documenti. Ma, certamente, lo avrebbe acciuffato.
   Quell’espediente fece scoppiare a ridere persino Wu Han, che poté così smettere di pensare a tutte le sue preoccupazioni; ed iniziò anche lui a correre alle spalle di Jones, verso nuove avventure e nuovi misteri.

[Scritto: dicembre 2014 - agosto 2016.
Revisionato: agosto 2017]
 

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