You've got mail

di AnnabethJackson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Disclaimer:
'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.


Premessa:

Questa è la traduzione della soria You've got mail” su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”. Il permesso mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo). Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.






 
.:You've got e-mail:.
 


Capitolo 1






Annabeth



"Hai un nuovo messaggio."

Lo schermo del mio portatile si accese lampeggiando, come avevo impostato tempo prima, tanto che attirò la mia attenzione anche dalla cucina.
-Mi aspetti nell'atrio,- dissi all'uomo della pizza cercando di tenere il telefono in equilibrio tra l'orecchio e la spalla. Camminai verso il salotto, dove avevo costruito il mio ufficio istantaneo. L'uomo della pizza disse qualcosa, ma non gli prestai attenzione.
Invece, lo ringraziai e riattaccai il telefono mentre digitavo la password sul computer portatile.
Premetti il pulsante per aprire la Chat.

 
AtlanticBoy16: Che ore sono lì da te?
 
Sorrisi digitando la mia risposta.
 
WiseGirl210: Le nove. Il che significa che da te sono le quattro. Non dovresti essere in spiaggia?
AtlanticBoy16: Piove. Com'è il tempo nella soleggiata California?
WiseGirl210: Nuvoloso.
AtlanticBoy16: :-D

 
Avevo incontrato AtlanticBoy tre mesi prima.
Beh, non proprio incontrato.
Ci eravamo conosciuti online quando ero alla ricerca di un fioraio per il matrimonio. Anche se ero entrata in un sito completamente sbagliato, avevo cominciato a chattare con AtlanticBoy16. Da allora ci sentivamo ogni giorno (o quasi).

 
AtlanticBoy16: Perché sei online? Pensavo che Henry ti avesse proibito di usare il portatile dopo le otto e mezza.
 
Le mie dita indugiarono sulla lettera “N”. Esitai.
Henry.
Il mio fidanzato.
Beh, il mio ex-fidanzato.
Non che ci pensassi ancora, ovviamente.
Qualche giorno prima, mentre guardavo i possibili inviti per il nostro matrimonio, avevo appreso all'improvviso che non potevo farlo. Non potevo fare nulla. Non potevo scegliere il carattere e il colore perfetto, e sicuramente non potevo chiamare la mia eccessivamente costosa organizzatrice di matrimonio. Ma, cosa più importante, non potevo sposarmi.
Quando Henry si era inginocchiato porgendomi l'anello di sua nonna, ero rimasta a bocca aperta non essendo in grado di dargli una risposta istantanea. Quando avevo scelto l'abito da sposa mi aveva guardato, incredulo. E, quando avevamo scelto il 17 Dicembre come data definitiva del matrimonio, ero rimasta così scioccata che non l'avevo detto a nessuno per settimane.
Avevo pensato che fosse la gioia momentanea per il matrimonio, ma poi, improvvisamente, avevo capito quello che veramente era.
Esitazione.
Henry era tornato a casa dal lavoro con la borsa della spesa piena di ingredienti per preparare un'altra delle sue stupefacenti creazioni culinarie nella nostra cucina professionale, e per lui era stato difficile non notare la bionda che fissava come pietrificata gli inviti sparsi sul pavimento di legno. Era venuto verso di me, e credo abbia capito all'istante.
Era così... tranquillo.
Come se anche lui sapesse che era finita.
Non ricordo nemmeno quando avevamo rotto. Sapevamo solo che dovevamo finirla lì, facendo solo le cose che bisognava fare.
Poi smisi di pensare, e confezionai le mie cose.
Non sapevo dove stessi andando, ma improvvisamente non volevo più stare lì. Tutto quello che non stava in macchina lo feci spedire a casa di mio padre, a San Francisco. Ero indecisa su dove andare: da mio padre? O andare da amici? Oppure conveniva persino cambiare città?
Fortunatamente il condominio che avevo appena finito di costruire con la ditta era libero, così avevo deciso di andare lì.
Tutto era andato bene, finché una notte, mentre ero sdraiata in una camera d'hotel in attesa di trasferirmi,
con la metà del letto vuota, avevo smmesso di tenere la mente vuota.
All'improvviso avevo pensato alla vita che avevo pianificato con Henry.
A come non saremmo più partiti per le vacanze a Boston Terrier, come avevamo pianificato. Come lui non mi avrebbe mai ammirato con il vestito da sposa indosso. Come non avremmo costruito una famiglia assieme. Come non ci saremmo mai alzati la mattina del Sabato, cercando di insegnare ai nostri figli a cucinare le frittelle. 
Mi ci erano voluti anni per convincerlo ad avere figli. 
Non ero sicura che Henry mi mancasse. O che mi mancasse il nostro continuo parlare del 17 Dicembre anche se mancavano mesi. Ed ero assolutamente certa che non mi mancava il modo in cui mi guardava ogni volta che mettevo del cibo da riscaldare nel microonde invece di cucinare un pasto sano e delizioso che il mio fidanzato/cuoco personale da cinque stelle aveva provato ad insegnarmi.
Ma mi mancava la sua presenza dietro di me nel letto.
Era da tanto che non dormivo da sola, non ero più abituata.
Avevo conosciuto Henry quattro anni prima ed eravamo andati a vivere insieme solo sei mesi dopo esserci fidanzati. Avevamo comprato un appartamento, precisamente a metà strada tra il suo ristorante e il mio ufficio, e mi ero particolarmente presa cura di lui arredando la cucina come uno chef del suo status meritava. E, proprio quando i lavori di ristrutturazione erano finiti, Henry mi aveva proposto di sposarlo, durante il nostro primo pasto nell'appartamento.
Così, per quattro anni, non avevo quasi mai dormito da sola.
E, prima di lui, c'era qualcuno che amavo, e che mi amava...
Un'altro suono proveniente dal computer, mi riportò nel mondo reale.

 
AtlanticBoy16: Che è successo?
 
Mi bloccai, cercando il modo migliore per dirlo.
 
WiseGirl210: Abbiamo rotto.
 
AB esitò.
 
AtlanticBoy16: Stai bene?
WiseGirl210: Si... la rottura è andata bene. Credo. E ho ancora quell'appartamento che Malcom mi pregava di rendere un'ufficio.

AtlanticBoy16: Cosa farai ora?

 
Questa era un'ottima domanda.
Avevo 30 anni, quindi ero vecchia rispetto all'età media degli abitanti di Los Angeles, ero di nuovo single, e non sapevo dove andare.
Los Angeles veramente non mi piaceva. Quando ero arrivata a Los Angeles avevo previsto di rimanerci per soli due mesi. Ma poi avevo incontrato Henry e me ne ero innamorata. Così ero rimasta solo per vedere dove potevo andare...
Nella mia testa, ripensavo al mio vecchio lavoro, all'Agenzia Architettonica del Monte Olimpo. Essendo una dei tre fondatori dell'agenzia, insieme ad altri miei fratelli figli di Atena/Minerva, potevo decidere di andare in una qualsiasi delle aziende che avevamo aperto in tutto il mondo.
Tokyo.
Washington DC (avevo sentito che c'era una grandissima statua che Atena in persona aveva commissionato a qualcuno).
Miami.
Londra.
New York.
New York.
Era molto tempo che non ci tornavo.
La mia famiglia ora viveva sulla West Coast, e non tornavo al campo da molto. Non vedevo nemmeno la mia grande creazione sull'Olimpo da così tanto tempo che in realtà non ricordavo come fosse fatta. Ed era tutta colpa di un uomo.
Quando ci eravamo lasciati, sei anni prima, non sapevo cosa fare.
Stavo con lui da quando avevo 16 anni. Eravamo fidanzati da quasi dieci anni, quando all'improvviso lui aveva rotto con me. Non ne conoscevo il motivo e probabilmente non l'avrei mai saputo.
Tutto quello di cui ero a conoscenza era che lui se n'era andato dal nostro piccolo appartamento, e non l'avevo mai più sentito.
Beh, in verità non gli ho avevo dato una chance.
Avevo solo impacchettato le mie cose e, con gli occhi pieni di lacrime, ero salita su un taxi con un biglietto aereo appena comprato, in mano.

 
WiseGirl210: Non lo so. Credo che traslocherò. Non so dove, ma devo assolutamente andarmene da Los Angeles.
AtlanticBoy16: Buona fortuna allora, WiseGirl. Il trasloco può essere difficile... non che io mi sia mosso dopo il College.

 
Stavo pensando a cosa rispondere quando il citofono suonò.
-Signorina Chase, la pizza che ha ordinato è arrivata.-


 
***

 
Percy

 
WiseGirl210: Devo andare. La pizza è arrivata, e ho un sacco di lavoro da finire. Ci sentiamo domani?
 
Sorrisi tra me e me mentre rispondevo, per poi chiudere, scollegarmi dalla chat.
WiseGirl210.
Non sapevo chi fosse. Poteva non essere neanche una 'lei' ma un qualche pervertito raccapricciante. In qualsiasi caso, chiunque fosse costei, mi piaceva. Sopratutto mi piacevano le risposte che mi dava di qualsiasi cosa parlassimo.
-Papà?-
Venni portato rovinosamente alla realtà di una New York piovosa, mentre ero seduto impazientemente in una gelateria.
Guardai in direzione di mio figlio, Noah, che mi sorrideva.
Chiusi il mio portatile e trinsi mio figlio di cinque anni in un grande abbraccio.
-Mi sei mancato così tanto, amico.-
Gli diedi un bacio sulla guancia malgrado lui mi avesse detto varie volte di essere troppo grande per quelle smancerie. Ma era ancora il mio piccolino, non importava quanti anni avesse. Quando Noah era nato c'era stata un vera e propria battaglia legale con sua madre per permettergli di avere il mio cognome, e a quei tempi non potevo nemmeno immaginare un'altra battaglia per la custodia. Quindi mi era permesso solo qualche week-end occasionale. Ma, quando Noah aveva tre anni, aveva cominciato a raccontarmi del nuovo fidanzato della mamma e di come urlava tutto il tempo, sopratutto durante la notte, così ero andato in tribunale. E avevo ottenuto la custodia esclusiva.
A sua madre era rimasto solo un mese durante l'estate, e i week-end occasionali. A volte mi capita di pensare che non dovevo permetterle nemmeno quelli.
-Grazie per avermi permesso di accompagnarlo all'allenamento di calcio, Percy.- JoJo spinse i suoi capelli biondi dietro l'orecchio e nervosamente tirò nostro figlio per la maglietta.
Quando era JoJo ad avere la custodia del bambino, era stata terribile nei miei confronti. Per passare del tempo con lui dovevo accontentarmi di offrigli un gelato, un Sabato al secolo. Era stata perfida con me.
Come era sempre stata, dopotutto...
-Sono sicuro che vi siate divertiti, non è vero, Kiddo?- gli scompigliai i capelli.
Noah annuì rapidamente.
-Mi sono divertito molto, papà! L'allenatore mi ha detto che alla prossima partita giocherò come attaccante!- sorrise Noah con orgoglio.
-Ha fatto bene. Sei in assoluto il migliore giocatore, Noah.- sorrise JoJo.
Era cattiva, irresponsabile e incapace su tutti i fronti, ma dovevo ammettere che quando stava insieme a Noah non era male.
All'improvviso, il telefono di JoJo prese a suonare una canzone inappropriata per un bambino, che mi fece ricordare il motivo per cui ero andato in tribunale.
-Accidenti. Devo scappare. Ti voglio bene, Noah.- JoJo si chinò per baciare la testa di nostro figlio, affrettandosi ad uscire dalla gelateria che si trovava proprio a metà strada tra il mio e il suo appartamento.
-Vuoi un gelato, amico?- sorrisi nella sua direzione sapendo quando fosse triste ogni volta che sua madre lo lasciava. Come sembrava sempre anche lei, dopotutto...
-Gelato Superman!- Noah sorrise felice, mentre io mi alzavo dal divanetto anni 50 per andare ad ordinare due gelati blu e rossi. Feci aggiungere della panna e del cioccolato fuso su quello di Noah. La sua faccia quando glielo misi davanti, non aveva prezzo.
-Grazie, papà.- Noah cominciò a scavare nel gelato affondando la sua piccola faccia in esso.
Era in questi momenti che capivo veramente quello che avrei potuto perdere.
Come si può facilmente intuire, io e JoJo non eravamo mai stati davvero assieme. No, era solo una vecchia conoscente del collage con cui mi sarei fermato a parlare se l'avessi incontrata al negozio di alimentari o qualcosa del genere.
Quando nacque Noah, io ero innamorato di Annabeth Chase, in qualsiasi modo si possa amare una persona. Ma poi, una notte di sei anni prima, Annabeth era andata completamente fuori di testa. Mi aveva lasciato per quasi un mese e io ero sprofondato in uno stato di depressione assurdo. Alla fine, Grover mi aveva preso e mi aveva portato in un bar per tirarmi un po' su di morale. Mi ero ubriacato quasi subito, e con la tessa velocità avevo commesso un errore irreparabile.
Due mesi dopo, tutto era tornato di nuovo apposto. Ogni cosa era come doveva essere tra una coppia che viveva assieme. Io e Annabeth litigavamo per ogni cosa, come ad esempio un piatto rotto ma due minuti dopo eravamo lì che baciavamo appassionatamente. Poi qualcosa si infrappose nel mio piano.
Un giorno JoJo chiamò. Avevo quasi dimenticato chi fosse Johanna Harriet, perché fin da quando l'avevo conosciuta tutti la chiamavano JoJo. Ma, quando risposi al telefono, avevo capito subito che era lei dalla sua voce squillante.
Ed era incinta.
Di mio figlio.
Non sapevo cosa fare. Non potevo immaginare di affrontare Annabeth, così la lasciai. Ma, quando avevo capito che avrei fatto meglio a tornare indietro e parlarle perché senza di lei non potevo vivere, lei se ne era già andata.
… e non l'avevo più sentita.
-Papà?-
-Sì, Noah?- continuai a mangiare il mio gelato.
-Mamma ha un fidanzato.-
-Davvero?- mentalmente incrociai le dita sperando che quella testa calda non avesse portato in giro nostro figlio con qualche ubriaco come aveva fatto in passato.
-Perché non hai una fidanzata, papà?-
Mi bloccai.
-Non ho ancora incontrato la persona giusta, Noah.-
-Che cosa è successo con Sarah?-
-Non ha funzionato.- Mi strinsi nelle spalle, desiderando che quella conversazione finisse presto.
-Ho sentito la mamma mentre parlava con i suoi amici. Ha detto che sei ancora innamorato di Anna-Bef. Chi è Anna-Bef? E perché la mamma dice di aver rovinato tutto?-
Perché tua madre è una pettegola...
-Mamma non ha rovinato niente, Noah. Io ho rovinato tutto.- mi voltai a guardarlo. -E Annabeth era la mia migliore amica quando ero ragazzo. Mi sono innamorato di lei crescendo. Non ha funzionato, così Annabeth si è trasferita in California.-
O era ai Caraibi?
Grover si era rifiutato di dirmelo. Cambiava sempre argomento.
-È piuttosto lontano.-
-Lo so, Kiddo. Lo so.-












 
.:Note traduttrice:.
 
Ho un sacco di cosa da dire. Innanzitutto grazie di essere arrivati fin qui a leggere, significa molto per me. Come avrete capito questa è la traduzione della storia “You've got mail” in inglese. Ho AMATO questa storia in tutti i suoi particolari.
Ammettetelo, siete rimasti scioccati leggendo di Percy padre, vero? Beh anche io. Ma poi mi sono INNAMORATA FOLLEMENTE di Noah... nei prossimi capitoli capirete meglio.
La storia è composta da 44 capitoli scritti dal punto di vista di Annabeth e Percy.
E' una Percabeth quindi aspettatevi un lieto fine ;) (o forse no?)
I personaggi sono alle prese con i loro problemi ma la parte divina è ancora presente (nel senso che i nostri protagonisti sono figli degli dei).
Spero di non aver fatto un casino con la traduzione... sinceramente mi è piaciuto un sacco tradurla.
Alla prossima,
Annie

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Disclaimer:
'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.


Premessa:

Questa è la traduzione della soria You've got mail” su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”. Il permesso mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo). Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.






 
.:You've got e-mail:.
 


Capitolo 2






Percy


Dopo aver messo il borsone da calcio, che probabilmente era più grande di mio figlio, nel bagagliaio della mia Prius, guardai con attenzione Noah allacciarsi la cintura di sicurezza e aprire l'applicazione di Guppy Bubble sul mio iPad.
Sei anni prima, probabilmente, avrei riso della mia vita attuale.
Insegnante nella miglior scuola privata di New York.
Una Prius.
Padre che segue il calcio per suo figlio.
Una bella casa nella parte sobborgata di New York, non tanto lontana dal lavoro.
Noah aveva cambiato tutto.
Ad esclusione della perdita di Annabeth, tutto quello che avevo fatto ruotava attorno al mio bambino. Avevo lasciato il mio moderno, piccolo appartamento per trasferirmi in uno vicino a mia madre. La mia macchinina era stata cambiata in una Prius sicura, e avevo anche cambiato lavoro. Avevo lasciato la Marina per un lavoro da insegnante.
Quando avevo ottenuto la custodia esclusiva mi ero reso conto di aver bisogno di un conto bancario sicuro per crescere un bambino. Così avevo iniziato a lavorare con Evain, una figlia di Atena che scriveva molto bene, ma che non aveva buone idee. Scrisse una serie di libri per bambini su Will, scolaro di media bravura, figlio di Poseidone, soggetto ad un sacco di avventure durante l'estate. Ottenni la metà dell'incasso, mentre lei vinse un premio per la scrittura, prendendosi tutto il merito.
Le mie labbra si piegarono in un sorriso orgoglioso mentre spingevo con forza la sacca da calcio dentro la macchina. Non potei fare a meno di controllare che la cintura di Noah fosse ben assicurata prima di chiudere la porta posteriore.
Per mia fortuna Noah non mi rimproverò di essere troppo iperprotettivo. Misi in moto la macchina e partii in direzione della scuola elementare dove JoJo non voleva che mandassi nostro figlio. Pensava che le scuole private educassero dei piccoli snob che giocavano a lacrosse e ottenevano il loro primo Amex quando avevano cinque anni. Se non fosse stato per mia madre, che le aveva detto che anch'io avevo frequentato una scuola privata e non ero diventato così, Noah non avrebbe mai frequentato quella scuola.
Noah aveva esaurito del tutto la carica del mio cellulare, ormai quasi morto, giocando a Angry Birds, quando finalmente arrivammo.
Aiutai il bambino con la cartella pesante. Se non fosse stato per la valigetta di Superman con il pranzo a bilanciarlo, Noah sarebbe caduto all'indietro. Gli augurai buona fortuna poi risalii sul sedile del conducente pensando a dove avevo messo il mio abbonamento per la palestra. Spensi il motore nel parcheggio della scuola Alexander Middle.
Ero sempre uno degli ultimi insegnanti ad arrivare la mattina perché dovevo accompagnare Noah. Indubbiamente, oltre alla giovane segretaria figlia di un qualche benefattore della scuola, io ero il più giovane del personale. Ed ero anche l'unico ad avere un bambino piccolo. Tutti i figli degli altri erano o adulti oppure frequentavano quella scuola. Mi sentivo strano a essere l'unico insegnante non permanente, ma che veniva sostituito quando Noah era ammalato e sua madre era troppo occupata per curarlo.
Presi la mia valigetta e mi affrettai ad entrare nella scuola.
-Professor Jackson!-
Mi fermai di colpo facendo una smorfia.
-Buongiorno, Alice.-
-Professor Jackson.- Alice tirò fuori un raccoglitore rosa dal suo zaino. -Ho appena finito di leggere l'Odissea e ho un sacco di domande da farle.-
Alice Oceana.
Rappresentante del secondo corso. Qui modello leader per tutti gli studenti. Capitano prodigio della squadra di danza e balletto. L'incaricata dell'accoglienza per i nuovi arrivati nella scuola. E l'unica che non si distraeva durante le lezioni.
Ma, davvero, a volte non potevo far altro che desiderare di strangolarla.
Ad ogni lezione aveva una domanda. Non importava che materia fosse.
Oppure, se era un giorno miracoloso in cui stava zitta, mi cercava in tutta la scuola per parlare del Consiglio degli studenti, cui ero stato incaricato di presenziare quell'anno.
-Ne possiamo parlare dopo in classe.- le dissi mentre mi avvicinavo alla porta con la scritta “Inglese corso 7°” in grassetto e “Perceus Jackson” in piccolo sotto.
-Ma, signor Jackson...-
-Alice, è il compito per la lezione. E ne abbiamo già parlato la scorsa settimana, ricordi?-
-Ma...-
-Alice, ci vediamo tra un'ora.- aprii l'aula della mia classe.
-Professor Jackson! Le devo parlare anche del Consiglio degli studenti!-
-E' per questo che oggi c'è una riunione. Va tutto bene, Alice.-
Alice provò ancora a parlare ma uno studente che stava andando al suo armadietto la interruppe prima che potesse dire qualsiasi cosa.
-Buongiorno, professor Jackson.-
-Buongiorno, Ashley.-
Era stato facile imparare i loro nomi. Quasi tutti si chiamavano Ashley.
-Ci vediamo dopo in classe, Alice.- sorrisi mentre chiudevo la porta alle mie spalle, lasciando la ragazza in corridoio.
Sospirai di sollievo andando a preparami per la prima ora di lezione. Quasi mi spaventai quando il mio computer fece ping.
-Se questa è un'altra email di Alice...- mormorai cercando di trovare un motivo per cui non potevo punirla perché usava il suo blackberry per mandare continue e-mail agli insegnanti quando c'era un ragazzino attualmente sospeso per aver detto “dannazione” in palestra.

"Hai una nuova Email."

Gemetti e mi bloccai.

"Hai un nuovo messaggio nella Chat!"
-Windows Live team

Guardai l'orologio prima di accedere al mio account. Mancava ancora qualche minuto all'inizio delle lezioni.

 
WiseGirl210: Stai già lavorando?
AtlanticBoy16: Non ancora. Ho un po' di tempo prima che arrivino i miei studenti.
WiseGirl210: La ragazzina, quella Alice, ti ha creato problemi anche oggi?
AtlanticBoy16: L'ho lasciata appena ho potuto. Ma appena entrerà in classe continuerà. Augurami buona fortuna.
WiseGirl210: Buona fortuna :D
AtlanticBoy16: Tu non devi lavorare?
WiseGirl210: No. Ieri è stato il mio ultimo giorno. Oggi impacchetto le mie cose e poi dirò addio agli amici.
AtlanticBoy16: Quindi hai deciso dove andare?
WiseGirl210: Si. New York.

 
Le mie dita rimasero sulla tastiera, fissando il computer in stato di shock.
-Prof?-
Alzai gli occhi per vedere Timothy e tutti gli altri miei studenti entrare.
-Sta bene?- continuò.
-Certo.- annuii, chiudendo la finestra della chat.
Bugia numero uno della giornata.


 
***





Annabeth


Dovetti ricordare più volte a me stessa di non guardare fuori dal finestrino. Ma tutto sembrava così folle.
Il cielo era una linea di confine, tra la scienza e il divino. La nebbia era così assente lì, che potevo immaginare come Rachel vide tutto la prima volta. Vedevo i draghi volare in giro, e i figli di Zeus che si esercitavano nelle loro abilità di volo.
E, per tutto il tempo, sapevo che il pilota non poteva vedere niente. Volavo sull'aereo privato della Olympian Architectural Company.
Presi un altro Gatorade dal mini frigo che Malcom aveva aggiunto all'aereo. Dopo aver premuto play su un film, Stardust, ripescai il mio portatile dalla borsa. Mi collegai al segnale basso della rete WiFi, che avrei dovuto usare solo per problemi di lavoro.
Ma la società non era l'unica cosa per cui dovevo lavorare.
Scrissi una mail alla madre di Henry, che mi aveva chiamato, messaggiato e bombardato la posta elettronica subito dopo aver saputo che io e suo figlio ci eravamo lasciati. Le diedi una scusa generica. Io ed Henry ci piacevamo molto e stavamo bene assieme, ma non eravamo veramente innamorati. Era meglio accorgersene ora che dopo esserci sposati e aver avuto figli.
Presi del tempo per pensare alle persone che veramente mi interessavano.
Stavo per mandare una mail a PercyJ16. Ma, improvvisamente, cambiai idea e non potei fare a meno di aprire una chat con Grover, con il nome utente speciale che usavo quando non parlavo con AtlanticBoy16.

 
AnnabethChase: Lui come sta?

Abbracciai le ginocchia, aspettando una risposta.
Perceus Jackson.
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che avevo sentito il nome "Percy"? Sei anni.
E quanto tempo era passato dall'ultima volta che avevo parlato con lui? Cinque anni e 364 giorni.
Ma chi stava contando il tempo? Io no di certo.
Era stata una regola non scritta non nominare Percy con me.
Nessuno lo aveva fatto. Né Rachel. Né Grover. Né Jupiter. Né Piper. Nessuno.
Avevo permesso solo a Chirone di nominarlo qualche volta quando nemmeno se ne rendeva conto. Ma Chirone mi piaceva troppo per rimproverarlo.
Questa era la prima volta dopo la nostra improvvisa rottura che chiedevo qualcosa di lui.
Ci vollero meno di due minuti prima che Grover rispondesse. Ovviamente aveva capito che stavo parlando di lui.

 
GroverU: Fa l'insegnante... lui ed Evain hanno scritto un libro, anche se lei si è presa tutti i meriti.

Un libro? Testa d'Alghe aveva contribuito a scrivere un libro?
 
AnnabethChase: È felice?

Improvvisamente mi sentii male mentre aspettavo che Grover rispondesse.
Volevo che fosse felice? Oppure volevo che fosse infelice?
Non ero sicura di quello che volevo.
Percy meritava di essere felice dopo tutto quello che aveva passato nella sua vita, ma dentro di me c'era ancora quella dolorosa ferita, quella cosa che aveva deciso che lui non doveva essere felice.

 
GroverU: In un certo senso sì.
AnnabethChase: Che cosa vuoi dire?
GroverU: In qualche modo è la persona più felice del mondo. Ma è depresso per altre cose...
AnnabethChase: Altre? Oltre a ME, altre cose?

Grover esitò e io trattenni il respiro finché non rispose.
Percy mi mancava? Quello poteva essere il nostro grande momento, dove io tornavo a New York e tornavamo a vivere felici e contenti dopo un paio di colpi di scena?

 
GroverU: In qualche modo si. Gli manchi. Un sacco... è solo che...
AnnabethChase: Solo cosa?
GroverU: Non posso dirtelo io, Annabeth. Mi dispiace. Deve farlo lui.
...GroverU si è disconnesso...

Dirmi che cosa?
-Stiamo per atterrare all'aeroporto di John F. Kennedy. La preghiamo di allacciare la cintura di sicurezza.-

 
***

-Penso che sia l'indirizzo sbagliato, Roby.-
Roby scosse la testa mentre si voltava a guardarmi.
-E' il posto giusto. Tuo fratello ha detto che eri pronta a stabilirti qui. Ha detto anche che non puoi vivere in un loft spazioso perché non è adatto. Quindi questo è per te.- disse indicando il finestrino.
Spostai lo sguardo da Roby al finestrino.
-Forza, prendiamo le tue borse.- Roby, l'autista che lavorava per la Olympian Architectual Company fin dalla sua nascita, era un mio buon amico. Ma, quando cominciò a togliere i miei bagagli per portarli nella mia nuova casa, lo odiai.
Questo non era ciò che avevo pianificato.
Avrei dovuto trasferirmi nell'attico di un grattacielo. Avevo già programmato con Rachel e Mattie un'uscita per andare a comprare vestiti e tutto il necessario per arredare il mio loft. Dopotutto avevo lasciato praticamente ogni cosa a Los Angeles. Il mio piano prevedeva di abitare in una casa che distava tre passi da un caffè, per poter finire il mio muffin mentre camminavo verso l'ufficio.
Quell'appartamento, invece, distava trenta minuti in auto dal mio lavoro, e la caffetteria più vicina era in un parco giochi dove mamma aveva combattuto una guerra famosa.
Mentre scendevo dalla macchina, improvvisamente ricordai la costruzione di questo palazzo.
Allora stavo con Percy. L'avevo progettato e fatto costruire appositamente per andarci a vivere un giorno assieme. Ai tempi eravamo appena tornati a New York da un'altra impresa e volevamo un posto che mischiasse le nostre preferenze, dove avremmo potuto costruire una famiglia. Percy era stato l'unico a volere avere dei bambini, come li volevo io.
Dovevo ammettere con una punta di orgoglio che i miei progetti erano stati costruiti bene. Attorno alla piazza centrale erano costruite delle piccole case. Davanti a tutte le porte d'entrata c'erano dei simpatici tappetini di benvenuto. Le passerelle che portavano alle case erano decorate di fiori, e il pavimento della piazza centrale era bellissimo.
La struttura era nuova ma perfettamente abitabile da chiunque volesse trasferircisi.
In qualsiasi altro momento mi sarebbe piaciuto molto venire ad abitare qui.
Per vivere in un posto che mi permettesse di avere un cane, invece di un pesce rosso.
Per vivere in un posto dove avrei avuto un motivo per cucinare invece di ordinare il solito servizio a domicilio.
Per vivere in un posto che sembrava una vera casa.
Ma non mi sembrava giusto quel giorno.
Dovevo essere alla ricerca di un ragazzo con cui condividere il letto, non di un cane.
Dovevo ordinare il servizio a domicilio mentre lavoravo diligentemente.
Dovevo essere in un posto dove potevo tornare a casa dopo una giornata con gli amici e dare una festa.
Questa doveva essere la casa da ventenne che non avevo mai avuto.
Invece, mio fratello mi aveva mandato a vivere in una casa per trentenne sposata.
Roby aprì la porta con la mia chiave, ed io entrai mentre lui trasportava le miei borse.
Dovevo ammettere che l'interno era stupendo.
La cucina era perfetta per me, con il piano da lavoro in legno facile da pulire, e moderni sgabelli da bar. Il piccolo tavolo da pranzo era semplice, rotondo e nero, completo di sedie vintage. Era parzialmente arredato, nel senso che potevo farcela, anche se c'erano ancora molte cose da fare. Delle porte scorrevoli davano su un piccolo cortile recintato e il corridoio portava a tre camere da letto.
Mentalmente cominciai a pianificare di creare un ufficio nella seconda stanza, lasciando l'altra per gli ospiti. Roby stava scaricando tutta la mia roba mentre io entravo nella camera matrimoniale, non potendo fare a meno di lasciare tutte le luci accese.
E poi lo trovai.
Le tende blu potevano essere quasi scambiate per una parete. Le tirai ed esse rivelarono una bella finestra estesa su tutta la parete e un piccolo cortile. Stavo mentalmente dicendo a me stessa di amare questo posto, quando guardai fuori dalla finestra.
E vidi un bambino.
Non vedevo bene i contorni, ma sapevo che era lì. Piccolo, con i capelli neri e gli occhi azzurri, era veramente carino. Stava giocando con un pallone da calcio che lanciava contro il recinto come se questo fosse stato un giocatore.
Aveva, quanti, cinque anni?
Forse di meno.
-Noah? Tesoro?-
Il bambino abbandonò la palla e sorrise alla bionda che gli stava andando incontro. Lei lo abbracciò.
… Lo voglio anch'io un bambino, mi dissi.
Improvvisamente sentii qualcosa che non sentivo da quando io e Percy ci eravamo lasciati.
Una voglia di stabilirmi, di trovare qualcuno con cui aprirmi e che tenesse a me.
Henry era stata la mia seconda possibilità.
Quando avevo incontrato Henry avevo ancora la speranza di poter dimenticare Percy, e mi ero indotta a pensarlo per anni. Ma non potevo più vivere in quell'illusione quindi avevo fatto le valigie e me ne ero andata, ancora una volta.
Così, quando il mio aereo era atterrato all'aeroporto di John F. Kennedy, sapevo che non ero tornata a New York con l'intenzione di trovare un nuovo fidanzato.
Una terza possibilità non sarebbe stata diversa dalle prime due.
Ma, mentre guardavo quella madre con il figlio, pensai a quella terza chance.
-Dov'è papà?-
-Dovrebbe arrivare da un momento all'altro. Poi andremo a cena, Noah.-
Improvvisamente mi sentii poco bene, quindi tirai giù la persiana per non vedere.










 
.:Spazio traduttrice:.
 
Uuuuuhhhhmmm... *ride diabolicamente sotto i baffi*.
Noah è il nuovo vicino di casa di Annabeth?
*parte una musica stile Titanic* DRAMMA IN ARRIVO!
Aaaaallora, che ne pensate di questo nuovo capitolo? Annabeth è tornata a New York e, guarda caso, si è trasferita proprio accanto a Percy e a Noah (qui c'è lo zampino di qualcuno *colpo di -Malcom- tosse*, non trovate anche voi?) I nostri protagonisti sono cresciuti, Annabeth vuole una famiglia e pensa a Percy. Quest'ultimo invece è diventato insegnante per mantenere da solo il figlio.
Al prossimo capitolo (che arriverà giovedì in serata)!
Bacioni,
Annie

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Disclaimer:
'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.


Premessa:

Questa è la traduzione della soria You've got mail” su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”. Il permesso mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo). Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.






 
.:You've got e-mail:.
 


Capitolo 3






Annabeth


-Buongiorno Annabeth.- Aubry, il mio più vecchio assistente di New York, mi sorrise mentre camminavo verso il mio ufficio.
-Buongiorno Aubry.- sorrisi debolmente.
Dopo aver preso posto alla mia scrivania, alzai lo sguardo dallo schermo del computer costoso.
Ogni impiegato mi fissava.
E i ricordi tornarono. Potevo sentire l'odore del caffé tra le miei mani mentre Henry accendeva il televisore per vedere la nostra storia su tutti notiziari di gossip. Ancora mezza stordita, contavo sulla caffeina per impedirmi di addormentarmi sul divano. Henry mi avvolgeva con le sue braccia e mi tirava a sé, mentre io appoggiavo la testa sul suo petto.
Ricordavo ancora come avevo riso quando mi ero resa conto che la coppia perfetta che stavamo guardando allo schermo, non aveva niente a che fare con la bionda e il bruno con l'influenza seduti sul divano sotto la coperta.
La storia di Annabeth Chase, co-fondatore dell'azienda di architettura più famosa degli Stati Uniti, e Henry, lo chef super-star da cinque stelle noto per essere un genio in cucina, era sotto i riflettori e a me dava fastidio.
La rivista People e tutti i settimanali di Gossip litigavano per avere la migliore intervista con Annabeth Chase, e le aziende di tutti il mondo ci offrivano i loro servizi gratuitamente, per poter dire “Ero al loro matrimonio” ai clienti futuri.
Anche se quei tempi erano andati e passati, io rimanevo ancora la Annabeth Chase di un tempo.
Tutti si erano affannati per essere i primi a dare la notizia della rottura del nostro fidanzamento. La notizia non era ufficiale, ma i paparazzi avevano messo insieme i pezzi del puzzle raccogliendo tutte le informazioni possibili. Vivevo in una casa da sola. Ero tornata a New York senza un compagno. E, sopratutto, senza l'anello di fidanzamento al dito. Bastava fare due più due.
Tutto l'ufficio mi fissava, o meglio, cercava di guardarmi la mano che tenevo nascosta. Volevano avere di prima persona la conferma.
Alla fine sollevai il braccio e spostai i capelli dietro all'orecchio, mettendo bene in mostra l'assenza dell'anello.
Vidi i loro occhi spalancarsi, mentre io accendevo il computer.

 
WiseGirl210: Hai presente quella strana sensazione quando le persone ti fissano? Quel momento in cui vuoi solo gridare loro di lasciarti in pace e di farti tornare a lavorare?

Aspettai con impazienza che lo schermo dicesse “AtlanticBoy16 sta scrivendo”.
AB mi mancava e io avevo bisogno di parlare con lui.
E poi il computer cinguettò. Il pallino verde dimostrava che lui ora era online.

 
AtlanticBoy16: sei andata a lavorare, non è vero?
WiseGirl210: Sei uno di quegli stalker che craccano la webcam degli altri? E che la usano per spiare?
AtlanticBoy16: Mio figlio mi ha insegnato come utilizzare il Blu-ray. E lui ha sei anni. A malapena so usare la mia webcam, vuoi che sappia come usare la tua?
WiseGirl210: Hai un figlio?
AtlanticBoy16: Non te l'ho mai detto?
WiseGirl210: No...

AtlanticBoy16: Ha sei anni, si chiama Noah. E gli voglio un bene dell'anima.

Improvvisamente mi sentii male quando pensai alla madre di Noah che avevo visto dalla mia finestra.
 
WiseGirl210: Quindi sei sposato? O cosa?
AtlanticBoy16: Mi stai chiedendo se sono single?
WiseGirl210: Forse... ;)
AtlanticBoy16: Non sono sposato. In realtà Noah... come faccio a dirlo in modo gentile?
WiseGirl210: Non era stato programmato... sembra più facile così.
AtlanticBoy16: Esatto. Stavo insieme ad un altra ragazza, allora, e l'amavo. Volevo sposarla. Ma poi lei mi ha lasciato per un po'. Così una sera mi sono ubriacato e, circa un meso dopo, una telefonata mi ha avvertito che stavo per diventare padre. Ho lasciato la ragazza, che intanto era tornata da me, perché non sapevo come spiegarglielo. Con il tempo ho capito che non potevo vivere senza di lei, ma ormai se n'era andata.
WiseGirl210: E non è più tornata?

AtlantiBoy16: Non dispiacerti per me. Me lo meritavo.

Il mio cuore si sciolse, rimanendo a fissare lo schermo.
Ripensai alla mia storia. Al mio cuore spezzato. Cosa avrei dato per sentirglielo dire? Per vederlo piangere perché gli ero mancata per tutti quegli anni?
Tutto.
Tutto ciò per cui avevo lavorato. Avrei sacrificato tutto solo per sapere che mi amava ancora dovunque fosse.
Ma io lo amavo? Non lo sapevo...

 
WiseGirl210: Tu non hai idea di quanto io voglia sentire quello che hai appena detto da qualcuno che conosco.
AtlanticBoy16: Henry?
WiseGirl210: No. La persona che mi ha rovinato prima di Henry.
AtlanticBoy16: Hai voglia di raccontarmi la tua storia?

Esitai.
La sua storia era un milione di volte peggio della mia, ma dovevo ammettere che avevo bisogno di qualcuno a cui raccontare di Percy. Era il mio sporco piccolo segreto. Non volevo che la gente sapesse che ero stata così debole. Che non era stata solo una semplice rottura, ma che io ero scappata come una codarda.
Ma, in realtà, non conoscevo la mia storia.
Lui se ne era andato.
Io ero salita su un'aereo.
Così era finito tutto.
Avevo cambiato il mio numero di telefono. Buttato il mio vecchio portatile. Cancellato il mio profilo Facebook. Cambiato e-mail.
Avevo fatto il possibile perché lui non mi trovasse. E, quando era arrivato il momento in cui volero che mi trovasse, lui non poteva più.
… Non sapevo nemmeno se ci avesse provato.
Perché avrebbe dovuto? Mi aveva lasciato. Aveva deciso che la sua vita era migliore senza di me. Perché avrebbe dovuto cercarmi per portarmi indietro?
Finalmente sapevo cosa rispondere.

 
WiseGirl210: Sono scappata.

Premetti invio e mi sentii bene.
Era la prima volta che ammettevo che era successo. Che la colpa per cui non stavo più con la mia Testa d'Alghe era anche un po' mia.
AB sembrò capire che quel messaggio era come una grande ammissione di colpa per me.
Stavo aspettando che lui rispondesse quando qualcuno bussò alla porta.

 
WiseGirl210: Mio fratello è arrivato, quindi suppongo che debba tornare a lavorare. Ciao.

Inviai rapidamente il messaggio e premetti il pulsante di uscita dalla chat prima che AB potesse rispondere.
-Buongiorno, Benedict Arnold.- allargai le braccia mentre mio fratello apriva la porta di vetro.
-L'hai costruito tu quel posto!- mi disse Malcom mentre si sedeva su una delle sedie della mia scrivania. Cominciò a girare la sua fede nuziale d'oro con due dita.
Malcom aveva fatto un accordo con Dana, la ragazza di cui era innamorato e con cui stava fin dal suo primo anno da matricola al college. Si sarebbero dovuti sposare non appena sarebbero stati capaci di cavarsela da soli. Lei aveva aperto una panetteria proprio fuori dal college e lo aveva tenuto sulle spine per un po'. Il primo giorno in cui la nostra agenzia era partita, lui le aveva dato l'anello e si erano sposati a bordo di un peschereccio nel lago dove lei era cresciuta con suo padre.
Non molto tempo dopo, mi regalarono un nipotino, Samuel, che ora aveva sei anni. E, due anni dopo, arrivò anche una piccola nipotina di nome Kate, così adorabile che a volte mi chiedevo se non si fossero sbagliati all'ospedale, e non gli avessero dato una figlia di Afrodite. Erano i bambini più teneri del mondo e io li amavo.
Mi piaceva viziarli, e potevo mandarli a casa quando diventavano troppo iperattivi.
-Non importa, Malcolm.-
-Beh, hai già incontrato i tuoi vicini?-
Un luccichio malizioso accese i suoi bellissimi occhi grigi.
-Questa è la terza volta che me lo chiedi. Che cosa hai combiato, Malcolm?-
-Niente.- sorrise lui anche se sapevo che stava mentendo. -Mi chiedevo solo se avessi già incontrato Christine.-
-Christine?-
-Quando tutti gli inquilini sono assieme dicono che è la persona più dolce e bendisposta del mondo. Ma prendili da soli e non vorrai più sentire parlare di denuncie per il resto della tua vita.- sorrise Malcolm.
-Non l'ho ancora incontrata.-
-Sei fortunata. Ha scoperto che ho due figli e ora non posso più andare là senza che lei mi sommerga di così tanti dolci che potrei sfamare Samuel e Kate finché non andranno al college.-
-Devi ammetterlo però. Quel tempo non è così lontano. A Kate mancano solo 12 anni.-
Malcolm mi guardò.
Da quando Kate era nata e Malcolm andava in giro a parlare della sua piccola bambina, avevo amato prenderlo in giro su come lei sarebbe cresciuta troppo in fretta. Su come avrebbe preso il diploma e poi sarebbe andata al college. Su come avrebbe fatto carriera e si sarebbe sposata con l'uomo giusto. Su come avrebbe avuto figli, che io avrei adottato come miei nipoti visto che probabilmente non sarei mai diventata madre.
A volte però, questo pensiero faceva male.
Sarei stata presa in giro per essere troppo attaccata a mia figlia. Avrei pianto alla sua laurea. Avrei sorriso incontrando il suo futuro marito. Avrei dato i miei consigli di mamma quando mia figlia avrebbe costruito una famiglia.
Ma questo non sarebbe mai accaduto a persone come me.
Era successo a Malcolm.
Io sarei morta zittella.
-Zitta. Stai solo zitta.-
Si alzò per andarsene, ma io lo fermai prima che potesse lasciare l'ufficio.
-Malcolm? Parlando di bambini piccoli, accanto a me ne abita uno?-
-Si, è l'amico di Sam. Fanno parte della stessa squadra di calcio. Perché?- chiese Malcolm voltandosi a guardarmi in modo strano.
-Niente, l'ho visto l'altro giorno e volevo solo sapere se viveva lì.- portai i capelli dietro all'orecchio.
-Non è l'unico bambino che abità lì.-
-Si... solo che lui mi sembrava... famigliare.-




 
***


Percy


-Allora, hai parlato con la nostra nuova vicina di casa?- chiese Noah mentre lo facevo sedere sul piano della cucina per mettergli un cerotto Spiderman sul ginocchio sbucciato.
Potevo giurare che quel bambino veniva a conoscenda di più pettegolezzi in un giorno che io in un intero anno.
-Come fai a conoscerla?-
-Ho sentito la signora Christine parlarne quando è venuta a prendermi a scuola.-
La signora Christine.
Mi piaceva molto quella donna, più di tutti gli altri inquilini che vivevano nei paraggi. Tutti la odiavano segretamente, ma io non ero come loro. Ovviamente questa mia opinione era molto influenzata dal fatto che era sempre in giro per aiutarmi con Noah.
Essere un genitore single era già abbastanza difficile senza che JoJo mi stesse attorno. Lei continuava a dire che amava nostro figlio, ed ero sicuro che non mentisse. Ma non lo amava davvero, non abbastanza per saltare le feste perché Noah aveva il raffreddore o qualcosa del genere. Così me l'ero sempre cavata da solo.
Se non fosse stato per Christine, avrei probabilmente perso il mio lavoro perché dovevo sempre fare anche le cose di JoJo mentre lei era con lui.
Quel giorno avevo avuto una riunione straordinaria del Consiglio degli Studenti che non potevo saltare, e c'era stata una grande epidemia di pidocchi, il che voleva dire che mandavano a casa Noah prima del previsto. Christine, che onestamente stava sempre pronta per questo genere di cose, aveva preso Noah e lo aveva portato al parco giochi.
-Ho sentito anche che è molto carina. Ha i capelli biondi e gli occhi grigi, quasi come mamma.-
-Noah Jakcson, stai cercando di sistemarmi con lei?-
Il suo viso si aprì nel piccolo sorrisetto furbo che, secondo mia madre, aveva ereditato direttamente da me.
-Forse...-
-Pensavo che alla maggior parte dei bambini non piace quando i loro genitori frequentano qualcuno.- gli dissi mentre lui tornava con i piedi per terra. -A te, per esempio, non piace quando mamma ha un appuntamento.-
Noah si strinse nelle spalle.
-Ma tu non sei mamma.-
Logica interessante...
-Voglio che tu sia felice, papà.- mi disse Noah mentre gli slegavo le stringhe delle scarpe da calcio sporche.
-Sono felice, Noah.- gli risposi quando portai le sue scarpe nella lavanderia. Le avrei lavate più tardi.
-Ma potresti essere più felice!-
Alzai gli occhi, buttai le scarpe nel lavandino e camminai fino al tavolo della cucina, dove spostai la sua attrazzura da calcio in modo che mi potessi sedere accanto a lui.
Il nuoto era sempre stato il mio sport.
Ero entrato nella squadra di nuoto quando avevo diciasette anni, e grazie ad Annabeth avevo ottenuto una borsa di studio. Il nuoto mi aveva aiutato anche quando mi ero unito alla Marina.
Così, quando JoJo aveva iscritto Noah a calcio, a mia insaputa, ero contento perché lo era anche lui.
Come nipote di Poseidone avevo sempre immaginato che avrebbe gradito molto qualcosa legato all'acqua. Ma stranamente amava il calcio come io amavo il mare.
-Saresti più felice con Annabeth?-
Mi bloccai e guardai mio figlio prendere una sedia e sedersi di fronte a me.
Annabeth.
Ora che sapeva non smetteva di fare domande su di lei.
Com'era?
Era simpatica?
Era intelligente?
Aveva forse una risata strana come la mamma?
-L'hai lasciata a causa mia, non è vero?-
Era una domanda a cui non ero preparato.
Un giorno sapevo che si sarebbe messo assieme ad una ragazza. Avrebbe realizzato che era stato concepito proprio mentre io lasciavo Annabeth.
Ma ho sempre pensato che saperebbe successo quando lui sarebbe andato al Campo.
Quando avrebbe visto le foto di suo padre così felice con una ragazza. Quando la gente gli avrebbe chiesto se suo padre era il famoso Percy Jackson. Quando avrebbe scoperto chi ero stato prima di diventare suo padre. Quando avrebbe visto la mia vita se non fossi stato suo padre.
Dal giorno in cui era nato, avevo preparato il discorso da fare al momento giusto. Gli avrei detto che lo amavo e che se il fato non voleva che io e Annabeth stessimo insieme non faceva niente, anche se a volte faceva male. Gli avrei detto che non importava se non avevo più Annabeth ma avevo avuto lui. E lui era tutto per me.
Ma in quel momento le parole mi sfuggirono.
Tutto quello che potevo fare era guardarlo.
E lui lo lo prese per un sì.
-Allora, se non fossi nato, tu staresti ancora con Annabeth?-
Continuai a guardarlo, incapace di respirare.
-E tu saresti più felice?- gli occhi di Noah comiciarono a riempirsi di lacrime.
-Non dirlo neanche per scherzo, Noah.- mi alzai immediatamente dalla sedia, inginocchiandomi davanti al bambino.
-Perché no? E' vero! Se non fossi nato, tu non avresti lasciato Annabeth. E staresti ancora con lei. E voi due sareste sposati. E avreste avuto un'altro figlio!-
-No, no.- dissi subito, stringendolo tra le mie braccia, e lui nascose il viso nella mia spalla. -Ti amo, Noah. E amo Annabeth, lo ammetto. Ma tengo un miglione di volte più a te che a lei.-
Noah mi guardò, i suoi grandi occhi azzurri ancora bagnati.
-Non vorrei cambiare nulla di quello che è successo. Se questo significa non averti, non cambierei nulla. Anche se ciò comporta perdere Annabeth. Okay, Noah?-
-Ti voglio bene, papà.- disse stringendomi forte le braccia al collo.
-Ti amo, troppo, Noah.-
Lui sorrise nella mia spalla, e io lo abbracciai più forte prima che lui dicesse “Sono grande, papà!”, cosa che odiavo tanto, perché lui era il mio bambino.
Avevo imparato a gestire la mia dislessia, ma aiutare Noah con i compiti mi prendeva sempre così tanto tempo che non ne vale la pena per entrambi.
Come accesi il computer, ignorai l'e-mail di Grover.
Ogni volta che lasciava New York mi bombardava di e-mail e chiamate, sentendosi in colpa per essere partito. Era dolce quando mandava dei regali a Juniper e tutto, ma era fastidioso perché esagerava, come aveva sempre fatto. Tuttavia trovavo divertente il fatto che mi parlava di più quando era lontano che quando era qui.
La sua e-mail era sicuramente su Juniper.
Voleva dei figli, ma Grover non era sicuro. Tutto quello che sapeva era che non voleva svegliarsi con un pannolino da cambiare.
Come suo migliore amico, era mia dovere ascoltarlo e confortarlo.
Mentre aprivo Window Live pensai al mio ultimo messaggio con WG.
Le avevo raccontato di Noah.
Mio figlio era sempre stato diverso. Mi fidavo di WG, ma in generale non mi piaceva parlare di lui. Se lei fosse stata uno stalker pazzo, non dovevo -e non volevo- parlarle di lui. Ma, quando il discorso era caduto accidentalmente su Noah, non avevo avuto alcun rimorso nel raccontare. Mi era sembrato normale, come se avessi dovuto farlo molto tempo fa.
Dopo aver visto che non era in linea, le scrissi una e-mail.

 
A: WiseGirl210
Da: AtlanticBoy16
Ho capito perché la gente non fa conoscere i propri ex ai figli.
La mamma di Noah ha parlato della mia ex difronte a lui, e ora mi chiede continuamente di lei. Gli ho detto di come l'ho lasciata, sottintendendo che era per causa sua, e che se ne era andata prima che potessi capire che avevo bisogno di lei. Ha fatto domande fino ad oggi, quando ha cercato di mettermi insieme alla nuova vicina di casa. E, dopo aver fatto altre domande, ha capito che ci siamo lasciati per causa sua e mi ha chiesto se sarei stato più felice senza di lui.
Sono quasi morto.
Ho praticamente ancora voglia di piangere.
-AB

In attesa di una sua risposta, mi collegai al sito della mia scuola per mettere i voti e i commenti sugli studenti on-line per i loro genitori.
"Alice Oceana: A – Ha bisogno di stare più calma"
"Theo: C – Ha bisogno di prendere meno note e di ascoltare di più la lezione"
Stavo per scrivere il commento su Walker Peterson quando la musichetta della chat suonò dalla parte inferiore dello schermo.

 
WiseGirl210: Che schifo. Che cosa gli hai detto?
AtlanticBoy16: Che non cambierei nulla. Anche se questo significasse perdere lei. Gli ho detto che gli voglio bene e che era tutto ciò che contava davvero per me.
WiseGirl210: Sei un buon padre.
AtlanticBoy16: Grazie, però a volte mi preoccupo. Io non ho avuto un vero padre fino a dodici anni, quando il mio insegnante preferito del Campo estivo mi ha preso sotto la sua ala.
WiseGirl210: Noah è fortunato. Quando avevo la sua età mio padre non ha mai fatto niente del genere. Era obbligato. Quando io arrivai lui era troppo giovane, e mia madre se ne era andata subito dopo la mia nascita. Potrei dire che lui mi scambiava sempre per la mamma. Poi, a quattordici anni circa, siamo riusciti a creare un vero legame e lui ha cominciato ad amarmi.
AtlanticBoy16: Questo fa veramente schifo.
WiseGirl210: Ma avevo delle persone che mi volevano bene. Non è mai stato completamente orribile.

-Toc, toc, Jackson.-
Scrissi qualcosa a WG, dicendole che dovevo andare perché la babysitter di mio figlio era arrivata e che avevo bisogno di parlare con lei. Dopo aver cliccato sul tasto di uscita dalla chat, mi girai verso la porta.
-Sai, il mio nome è Perseus.- sorrisi mentre aprivo la porta a Christine.
Christine era una donna abbastanza vecchia.
Il suo taglio di capelli ricci era grigio, con una ciocca nera qua e là. La pelle era pallida e profumava di fresco. Non c'erano oggetti preziosi sulle mani tranne il suo anello nuziale di diamante, l'anello di fidanzamento di zaffiro di grandi dimensione risalente a decenni fa, e un medaglione con un'incisione sul retro “Per te, da indossare per altri venti anni, Robert”. Indossava un vecchio grembiule che sua nipote, Alexis, aveva fatto per lei quando viveva lì.
Christine stava giocherellando con il suo medaglione e nel mentre sorrideva.
Non le piaceva il mio nome. Avevo sempre pensato che fosse troppo pagana per chiamarmi con il nome, ma mi piaceva prenderla in giro per questo.
Christine mi chiamava Jackson, sempre dicendo che, avendomi adottato come suo figlio metaforico, avevo bisogno di un bel nome da ragazzo come, per l'appunto, Jackson.
-E sai che il tuo nome è anche Jackson.-
-Che c'è, Christine?- mi appoggiai alla porta.
-Stavo portando i brownies alla nuova vicina. Mi chiedevo se volessi venire con me.-
-Sei stai cercando di sistemarmi con lei, sappi che prenderò la chiave di casa mia dal tuo mazzo per non dartela mai più.-
Christine scherzosamente agitò davanti alla mia faccia il portachiavi a forma di fiore con la chiave del mio appartamento per darmi fastidio.
-Vieni o no?-
-No, ho del lavoro da fare.-
-Sarà ancora qui quando torni.-
-E lei sarà ancora lì quando tornerai tu.-
-Vuoi venire sì o no?-
Scossi la testa.
-Sei sicuro?-
-Però prenderò qualche brownies.-
-Non ne ho fatto nessuno blu.-
-Non mi interessa.-
Christine alzò le sopracciglia perfettamente disegnate.
-Cosa è successo?-
-È una lunga storia.-
-Ti ho lasciato un paio di brownies in cucina. Veramente sono per Noah. Ho finito il colorante alimentare.- Christine annuì verso la cucina. -Sono fatti con il burro di arachidi.-
-Grazie, Christine.-
Lei sorrise e mi baciò la guancia, come se fossi stato suo figlio e lei mi avesse lasciato fare il babysitter al mio fratellino.
-Vuoi che prenda Noah Venerdì? Alexis verrà a casa e a le fa sempre piacere.-
Alexis era una ragazza carina.
Capelli biondi ricci. Occhi marroni, luminosi. Vestiva sempre con abitini stile vintage e Mary Sue. A Noah non importava di lei. Non l'amava né l'odiava. Ma lei amava Noah.
-Naah, passerà il fine settimana con il suo amico Sam. Mi ucciderebbe se non lo lasciassi andare.-
-Ti saluterò Alexis allora.-
-Sono sicuro che lo farai.-
-Addio, Jackson.-
-Ciao, Christine.-
Christine si fermò sullo stipite della porta assottigliando gli occhi marroni nella mia direzione. Produsse un suono simile a “tsk” mentre agitava il dito.
-Se continui così probabilmente un giorno o l'atro ti lascerò da solo, giovanotto.-
Sorrisi e la salutai mentre lei passava a salutare Noah per poi andarsene.








 
.:Spazio Traduttrice:.
Okay mi sentivo particolarmente buona, così ho deciso di pubblicare con un giorno di anticipo. Contenti?
Ora ditemi: avete capito perché amo da impazzire Noah? E' il bambino più cuccioloso che esista sulla faccia della terra. Si preoccupa che il suo papà sia felice *^*
Sto scoppiando dai feels per il bambino quindi meglio parlare di altro.
I messaggi tra WiseGirl e AtlanticBoy si fanno sempre più intimi e personali...
C'è mancato veramente poco che Percy e Annabeth si incontrassero ma... beh capiterà prossimamente... forse... intanto vi lascio a scoppiare per i troppi feels (?)
Al prossimo capitolo eroi! (che dovrebbe errivare Lunedi in serata)
Annie
P.S. Ho cominciato a scrivere anche una long di mia invenzione, sempre sui Percabeth. Se volete passare a dare un'occhiata:
 Love the way you live

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Disclaimer:
'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.


Premessa:

Questa è la traduzione della soria You've got mail” su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”. Il permesso mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo). Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.






 
.:You've got e-mail:.
 


Capitolo 4






Annabeth


Ding-Dong.
Appoggiai i miei orecchini di perle sul bancone della cucina, scompigliandomi i capelli mentre camminavo verso la porta, sapendo che solo tre persone sarebbero venute a trovarmi.
Ma quella che trovai alla porta non era affatto chi mi aspettavo.
Una piccola donna mi sorrise, i suoi occhi marroni avevano lo stesso colore dei brownies sul vassoio che portava in mano. Mentre mi sorrideva, le sue rughe profonde mostravano quanti anni avesse ed ero sicura al cento per cento che mi avrebbe lasciato uno dei suoi dolcetti.
-Sono Christine. Tu devi essere la nuova vicina.- mi disse e io annuii.
Ecco la famosa Christine.
-Sono Annabeth, Annabeth Chase.- annuii.
-La ragazza alla tv?-
Prima che potessi rispondere i suoi occhi si spostarono in basso, verso la mia mano.
-Oh no, non puoi essere tu.- sorrise con sollievo, visto che non avevo nessun anello.
-In realtà sono io.- spostai i cappelli dietro l'orecchio. -Ci siamo lasciati.-
-Mi dispiace tanto.- portò una mano al cuore e notai che era veramente sincera.
-Oh, non si preoccupi. E' meglio che sia successo ora piuttosto che dopo il matrimonio, giusto?-
-Certo.- annuì, mi accarezzai la mano, e i miei occhi scorsero in giù fino ai brownies.
Lei aggrottò le sue sopracciglia, confusa, ma poi seguì il mio sguardò e vide il vassoio. Gli occhi le spalancarono poi rialzò il capo, scusandosi con me.
-Mi ero dimenticata perché fossi qui! Volevo portarti alcuni brownies!-
-Grazie mille.- stavo per prenderglieli dalle mani quando lei si infilò in casa.
Mi spostai cercando di semplificarle l'entrata, ma lei semplicemente andò in cucina e appoggiò il vassoio sul ripiano, cominciando a blaterale qualcosa mentre scartava i brownies.
Penso di aver appena capito perché tutti la odiano di nascosto...
-Ho chiesto al nostro vicino di casa, Jackson, di venire qui con me perché avete più o meno la stessa età, ma aveva molto lavoro da sbrigare.-
-Lavoro?-
-E' un insegnante, penso che insegni inglese alle scuole medie. Ho sentito dire anche che è veramente in gamba. E' così bravo con il figlio che sono sicura lo sia anche con i suoi studenti.- mi disse Christine, sorridendo mentre si voltava a guardarmi.
-Aspetti, lui è il padre di Noah?-
-Conosci Noah?-
-Mio nipote è un suo amico e me ne ha parlato mio fratello.-
-E' una storia triste. Quando Noah è nato sua padre ha chiesto l'affidamento e gli ci sono voluti anni per ottenere la costudia esclusiva. Ora, però, sua madre sembra non capire che non ha più nessuna custodia. Non è mai lì per lui e, a volte, anche io devo prendermi cura di Noah perché il padre lavora e lei dice di essere troppo occupata.- Christine si stinse nelle spalle.
-Aspetti, lui è single?-
Lei mi fisso.
Avevo capito benissimo che mi aveva raccontato tutta la storia perché stava cercando di sistemarmi con il padre di Noah.
-Intendo dire che ho visto la madre di Noah qui. E ho pensato...- Arrosii, sperando che non pensasse che volessi provarci con lui.
-Oh no, Jackson fa venire JoJo qualche volta solo per rendere felice Noah.-
-Bene.- annuii non sapendo che altro rispondere.
Come se avesse capito che non sapevo cosa dire, il mio cellulare cominciò a squillare.
-Ora è meglio che ti lascio alle tue cose.- dise Christine indicando il cellulare. Sorrisi grata mentre raggiungevo il dispositivo argenteo sul divano.
Malcolm.
Altro lavoro?
-Pronto?- mi sedetti sul piano della cucina e presi un boccone di brownies.
-Ehi, Annabeth. Hai programmi per questo Venerdi?-
-No... perché?-
-Io e Dana ci siamo appena ricordati che avevamo prenotato una piccola vacanza a Boston che non si può rimborsare e avevamo promesso a Sam che il suo amico, Noah, sarebbe venuto qui per il fine settimana. E Sam non vede l'ora di vedere Noah.-
Gemetti, capendo dove voleva andare a parare.
-Tu vuoi che io faccia da babysitter a tre bambini di cui uno che non ho mai incontrato e una di quattro anni per un intero week-end?-
-Sono Kate e Sam! Loro ti amano e tu ami loro. Andate così d'accordo. Inoltre, Noah è un meraviglioso bambino. Lo capirai appena lo vedi. Trascorre tutto il tempo con Sam quando sono insieme. Devi solo portarli al parco un paio di volte. Ti prometto che sarà facile.-
Gemetti mentre finivo il brownies.
-Chi ti dice che non avevo intenzione di fare qualcosa con Rachel durante il fine settimana?-
-Hai appena detto che non avevi piani.-
-L'ho detto prima.-
-Esci con Rachel? L'Oracolo Rachel?-
Chiusi forte i miei occhi, mordendomi il labbro.
-Va bene.-
-Li terrai?-
-Certo.-
-Evviva! Okay, allora puoi portare qui la tua roba e dormire nella nostra stanza oppure in quella degli ospiti. Abbiamo già tutto quello che serve a Noah, e Kate è sempre così felice quando ci sei tu a farle da babysitter.-
Annuii di nuovo, sapendo che Kate era il mio piccolo angioletto.
Amavo Sam, ma Kate era sempre stata segretamente la mia preferita.
-Pensi che suo padre sarà d'accordo che io faccia da babysitter a Noah anche se non mi conosce?-
-Ascolta, Noah e Sam hanno dei piani per questo fine settimana. Finche il bambino sarà felice a suo padre andrà bene tutto.-





 
***

Percy


-Noah, sei già pronto?- lo chiamai mentre giravo il French Toast.
-Quasi!- rispose Noah. Alzai gli occhi al cielo mentre continuavo a preparare la colazione.
Noah stava diventando un po' come me, ma credevo fosse naturale visto che ero davvero l'unico genitore che si prendeva cura di lui. Aveva le stesse scuse al mattino di quelle che io usavo con mia madre.
A volte era difficile ricordave che JoJo era davvero sua madre perché erano completamente diversi. L'unica cosa che sembrava aver ereditato dalla madre erano gli occhi azzurri. Tutto il resto era mio oppure tutto originale.
Quel che era certo, non aveva ereditato il cuore gentile dalla sua mamma.
Mentre mettevo il French Toast su un piatto, ripensai a quello che avrei fatto questo fine settimana senza Noah. Era triste sapere che il proprio figlio di sei anni aveva più vita sociale di te, ma ormai ci ero abituato. La piccola vita sociale che avevo era composta da pochissime persone poiché la maggior parte di esse erano scomparse.
Grover era in cerca di nuovi semidei da portare al campo.
Jason era tornato in California da un po'.
Leo stava insegnando a qualche classe di ingegneria ed era sempre occupato.
Frank e Hazel erano in Canada da un mese.
E io ero rimasto bloccato qui.
Avevo avuto amici genitori, ma erano altrettanto impegnati come lo ero io negli altri fine settimana.
-Buongiorno papà.- sorrise Noah sedendosi sullo sgabello mentre aspettava la colazione.
Oh, era davvero quasi pronto.
-Ehi, Noah.- gli scompigliai i capelli mentre gli mettevo il piatto davanti.
Sorrise al French Toast, il suo piatto preferito di sempre, e io mi sentii male quando mi resi conto che il sorriso felice di Noah era qualcosa che avevo già visto da qualche altra parte.
Era stato anche il cibo preferito di Annabeth e ogni volta che lo preparavo lei si illuminava come un albero di Natale.
Non importava se Noah mi avesse chiesto perché avevo abbandonato Annabeth; io stavo pensavo ancora a lei. Una volta cominciato a pensare a lei, era come se mi fossi tolto una pellicina da una felita non del tutto rimarginata; improvvisamente i ricordi cominciarono a riaffiorare. Ogni ricordo faceva più male di quello prima.
Il modo in cui mi aveva guardato quando l'avevo lasciata.
Il modo in cui non riusciva a decidere se correre via oppure lanciarmi un pugnale.
Il modo in cui non riusciva a decidere se evaporare oppure piangere.
Ma non aveva avuto problemi a mostrare l'aspetto del tradimento, anche se non poteva decidere nient'altro.
-Toc, toc.-
I miei pensieri si bloccarono alla voce famigliare, il volto di Noah era scioccato mentre guardava la porta. Lui mi guardò per avere una conferma e io annuii.
Incredibilmente il sorriso di Noah si allargò ancor di più mentre correva alla porta per far entrare JoJo. Dovevo ammettere che era carina, anche se la odiavo.
Aveva gli occhi blu, uguali a quelli di nostro figlio, e un bel viso. Ma non sabrava accorgersi di essere carina. Era evidente che stava cercando di non sfuggire alla giovinezza anche se aveva solo trent'anni.
I suoi vestiti erano quelli di una ventenne. I jeans skinny era almeno due taglie in meno di quella giusta. La maglietta attillata mostrava il logo di una band di cui non avevo mai sentito parlare. Era addobbata con bracciali e braccialetti di beneficenza in plastica messi a caso. E, per ricordare gli anni al college, aveva una piuma arancio tra i capelli.
-Buongiorno, Perce.- sorrise debolmente, giocando nervosamente con uno dei suoi braccialetti.
-Buongiorno, JoJo.- Aprii di più la porta per farla vedere meglio al piccolo Noah.
-Mamma!-
Come JoJo lo vide il suo volto si illuminò.
Non era brava a prenderlo in braccio quando doveva o altro, ma dovevo ammattere che era brava con lui quando era qui.
-Noah!- sorrise come lui la abbracciò, e si abbassò per riuscire ad abbracciarlo meglio.
-Cosa ci fai qui?- chiese Noah fissando sua madre come se fosse una dea.
Sapeva benissimo che sua madre non era molto affidabile, cosa che volevo potesse dimenticare, ed era spesso turbato dal fatto che non la vedeva molto anche se per fortuna non me ne dava mai la colpa. Ma, quando lei veniva, lui la amava fino alla morte. Se lui fosse stato insieme a JoJo per tutto il tempo, sapevo che l'avrebbe odiata, ma visto che la vedeva poco l'amava molto.
Non volevo che diventasse uno di quei ragazzi che rinnegavano la madre perché non era stata lì per loro quando erano bambini.
-Ti porto a scuola Noah.- sorrise -Visto che settimana prossima sarò fuori città.-
Cercai di non notare il fatto che il volto di Noah si era spendo mentre sentiva che JoJo non sarebbe stata con lui la settimana dopo.
-Sei pronto ad andare, Kiddo?-
-Devo ancora finire di fare colazione.- le disse Noah. Di solito, però, avrebbe saltato anche il pranzo per riuscire a passare più tempo con lei.
Ma quello era il French Toast.
-Nenanche io.- mise una mano sulla pancia dopo aver messo giù il bambino. -Ne hai fatto qualcuno extra, Percy?-
Annuii e lei sorrise.
-Ho preparato i French Toast.-
-Mi piacciono.- mentì JoJo.
La sua colazione abituale era composta da farina d'avena e qualche altro blando cereale che non aveva sapore, qualcosa che ero stato costretto a comprare quando era incinta di Noah.
-Bene.-




 
***

Annabeth


-Zia Annabef!-
Kate sorrise e lasciò la mano di suo fratello per corrermi incontro.
Era senza dubbio una bambina bellissima. I capelli castano chiaro era acconciati in perfetti boccoli e aveva ereditato i bellissimi occhi grigi di suo padre. La pelle abbronzata era di sua madre ed era pià alta rispetto agli altri bambini della sua età.
Mentre Kate assomigliava alla madre, Sam era il clone di suo padre. Dai suoi biondi capelli ricci, al suo senso di 'stile' era tutto Malcolm. Quando era nato, io e Dana avevamo preso in giro Malcolm chiedendoci se il babino non fosse un clone in miniatura.
Stavo pensando se rimproverare Kate per aver lasciato suo fratello quando i suoi genitori le avevano fatto imparare a stare sempre con lui quando finiva scuola, ma decisi di lasciar perdere quando vidi che era felicissima.
-Ehi, Katy-cat.- dissi prendendola in braccio. Lei rise.
-Perché sei venuta tu invece di mamma e papà?-
Sorrisi.
-Baderò a te e a tuo fratello per tutto il fine settimana.- spostai i miei capelli ricci dagli occhi.
-Evviva, zia Annabetf verrà da noi!-
Un'altra cosa che amavo di Kate: non riusciva a dire il mio nome. Invece della 't' diceva la 'f'. Un giorno probabilmente avrei dovuto farle imparare bene. Ma in quel momento era troppo adorabile.
-È lui o non è lui?-
Lei mi sorrise.
-Ti piace Noah?- chiesi, preoccupata all'improvviso che Malcolm mi avesse immischiato in una guerra per Noah.
-È okay, credo.- si strinse nelle spalle.
-Solo okay?-
-Beh, in verità non lo conosco bene. Passa tutto il tempo con Sam e loro mi escludono.-
Stavo per dire qualcosa quando mi accorsi che un ragazzino biondo mi stava fissando.
-Ehi, zia Annabeth.-
Misi giù Kate e sorrisi a Sam.
-Ehi, cucciolo.- gli baciai la testa, ignorando il suo gemito di protesta perché lo stavo mettendo in imbarazzo davanti ai suoi amici.
Kate ridacchiò.
-Ehi dov'è Noah?-
-Doveva andare a prendere il telefono nello spogliatoio.-
Annuii e guardai in direzione della scuola.
-Oookay! È arrivato Noah!- Kate puntò il dito indice vero un bambino . Dovevo ammettere che era l'ultima persona che avrei immaginato di vedere. Come era possibile che un bambino di sei anni fosse così bello? Noah era la prova che fosse possibile.
I capelli nero corvino compensavano dei luminosi occhi azzurri. Invece dell'uniforme scolastica indossava una divisa da calcio. Stava mettendo le scarpe con i tacchetti (N.d.t. quelle da calcio) dentro la sua cartella.
C'era qualcosa in lui. Qualcosa che non avevo notato la prima volta dalla mia finestra.
Doveva essere un semidio o qualcosa del genere...
Vedendoci, Noah ci corse incontro.
-Ehi, Sam.- Noah battè il cinque a mio nipote.
-Questa è mia zia, Annabeth.- Sam fece un cenno nella mia direzione e gli occhi di Noah si allargarono.
-È una tipa veramente tosta!- gli disse Kate felicemente.
-Ciao, Noah.-
Il bambino sembrava voler dire qualcosa di importante, ma alla fine lasciò perdere.
-Salve signora.-
-Puoi chiamarmi Annabeth.-
-Va bene, allora. Ciao, Annabeth.-








 
.:Spazio traduttrice:.
 
TA-TA-TA-DAAAA!!!! Noah incoooontra Annabeth e... BOOOM scoppia un putiferio.
Mi devo scusare con voi, veramente. Sono più di due settimane che non aggiorno, me ne rendo conto, e mi dispiace. Ma la scuola è ricominciata e ho dovuto ingranara la quarta per riuscire a stare al passo. Inoltre ho comicniato a scrivere un'altra fic, di mano mia, e devo confessarvi che do la precedenza a quella, perché quando l'ispirazione chiama bisogna approfittarne. Questo non vuol dire che abbandonerò questa traduzione, anzi! Però gli aggiornamenti saranno più radi...
Detto ciò vi invito a dirmi cosa ne pensate di questo capitolo.
A presto,
Annie

P.S. Se volete leggere l'altra mia fic (quella sopra citata), sempre con tema centrale Percabeth, vi invito a passare quiLove the way you live”.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Disclaimer:
'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.


Premessa:

Questa è la traduzione della soria You've got mail” su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”. Il permesso mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo). Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.






 
.:You've got e-mail:.
 


Capitolo 5






Annabeth



High Score.
Annabeth.


La TV ripeté lo stesso messaggio ancora e ancora mentre Sam si lamentava per aver perso a Just Dance contro sua zia, ma io ero troppo occupata a battere il cinque a Kate per curarmi di quello che diceva Sam.
-E tu saresti il migliore?- rise Noah, e Sam socchiuse gli occhi mentre addentava la sua fetta di pizza.
Mi piaceva essere una zia che si divertiva.
Malcolm e Dana mi avrebbero ammazzato se fossero venuti a sapere che avevo sfamato i loro figli con la pizza invece del cibo sapano che c'era in cucina. Me ne ero fregata e avevo ordinato tutto il cibo spazzatura delizioso che volevano. Malcolm poteva dire quello che voleva sul fatto che Kate doveva andare a letto prima di suo fratello ma io le permisi di restare in soggiorno finché voleva.
Dana e Malcolm avevano detto a Sam di non vantarsi di essere il migliore, per questo mi ero divertita molto a batterlo al suo gioco.
E dovevo ammettere che mi piaceva Noah, anche troppo.
Era un ragazzino simpatico, così adorabile che avevo voglia di prenderlo e abbracciarlo ogni cinque secondi, anche se non avevo osato mettere tanto in imbarazzo Sam. Avevo giurato a me stessa di metterlo in imbarazzo, ma non fino a quel livello.
-Brava zia Annabef!- ridacchiò Kate.
Sorrisi a Kate e mi voltai verso Sam che era ancora imbronciato.
-Sei stanco? Vuoi vedere un film?-
Sam mi guardò in silenzio e io mi chiesi se questo significasse che potevo far partire il videoregistratore.
-Puoi sceglierlo tu, se vuoi.-
Sam finalmente sorrise e guardò Noah che si strinse nelle spalle.
-Certo.- annuì e io li lasciai discutere su quale film volessero vedere.
Andai nella camera degli ospiti del condominio che Malcolm aveva comprato quando aveva scoperto che Dana era incinta di Sam.
A volte, anche se era passato molto tempo, mi sentivo troppo gelosa della vita che Malcolm aveva costruito e che io invece non avevo. Lui non aveva commesso errori, come invece avevo fatto io. Aveva trovato la ragazza perfetta. L'aveva sposata. Aveva avuto due figli e costruito una carriera perfetta.
Io avevo avuto la sua stessa vita, se non più intensa. Avrei dovuto avere io una famiglia prima di lui. Ma, in qualche modo, non era successo. Ero finita per stare da sola, a fare la babysitter perché non avevo programmi per il week-end.
Cercai di non pensarci, così accesi il mio portatile e aprii il mio account Windows Live.
 
A: AtlanticBoy16
Da: WiseGirl210

Babysitter.
Mi piace molto farlo, sopratutto quando tengo mia nipote Kate. Ma hai presente quella sensazione, quando stai lì seduto e ti rendi conto che la vita doveva andarti meglio? Che probabilmente dovevi essere proprio come tuo fratello? Che dovevi essere già sposato con la persona perfetta che avevi incontrato da giovane? Che non dovresti essere a fare la babysitter a dei bambini non tuoi ma essere a casa con i tuoi figli?
Sto delirando oppure quello che ho detto ha senso?
-WG

 

Inviai la mail e aspettai la risposta, anche se con un orecchio controllavo se i bambini avessero smesso di litigare per decidere di vedere la “Famiglia Adams” oppure “Piccolo Genio”.
Stavo per scendere e usare la carta di “sono-la-zia-quindi-ho-l'ultima-parola” quando il mio portatile fece ping avvisandomi di una nuova mail.
 
A: WiseGirl210
Da: AtlanticBoy16

Non stai delirando affatto.
Sono un padre single, e ogni volta che vado a prendere mio figlio a scuola penso a quello che hai detto tu. Questa è New York quindi essendo un padre single non è come essere il terzo incomodo. Ma le madri, in realtà, sono lì per i loro figli. Quei genitori sono lì perché vogliono tutta la custodia. Nel mio caso, invece, devo combattere perché la madre non vuole nessuna custodia.
Mio figlio non domanda nulla, ma so che in verità si chiede perché sua madre non vuole passare del tempo con lui. E io continuo a guardarlo quando è in giro con il suo migliore amico. So che si domanda: “Perché non viene mia mamma a prendermi agli allenamenti di calcio?” oppure “Perché i miei genitori non sono sposati e felici insieme?”
E io non so cosa rispondere.
-AB


Stavo per scrivere la mia risposta quando la discussione al piano terra tra i bambini all'improvviso di spense, e Kate gridò di aver finalmente scelto il film.
Chiusi la pagina web, sapendo che Sam sarebbe venuto probabilmente a curioare nel mio cumputer. Mi rifeci la coda di cavallo mentre scendevo le scale.
Quando vidi il film che Sam aveva scelto mi fermai sul terzo gradino dal basso.
Nella mia vita avevo affrontato un sacco di cose. Da un rottura dolorosa ad una guerra contro i Titani. Ma, mentre ero ferma sulle scale, sentii la paura impossessarsi del mio corpo.
Quello era il peggior incubo dei genitori.
Si... era Spongebob.


 
***


 
Percy


Misi il dentifricio sul mio spazzolino da denti mentre guardavo il cellulare.
Non c'erano nuovi messaggi.
Questo voleva dire che Noah si stava divertendo, ma avrei voluto avesse il tempo di scrivermi.
Come genitore, non volevo che Noah pensasse che ero iperprotettivo. Mia mamma lo era stata e ciò mia aveva fatto venir voglia di ribellarmi. Così avevo deciso di seguire i consigli di un libro per genitori e lasciarlo libero di decidere le cose più futili.
Ma questo non significava che non mi preoccupassi.
Noah era tutto quello che avevo, ed era l'unica cosa di cui potessi preoccuparmi.
Avevo portato tutto il necessario in camera, così che non mi dovessi spostare per la casa, ma avevo finito tutto il lavoro e non avevo nient'altro da fare che guardarmi intorno.
Solitamente sarei stato felice di non aver nulla da fare perché durante il giorno non mi fermavo un momento. Ma ero nervoso pensando a chi si stava prendendo cura di mio figlio.
Malcolm e io non eravamo mai stati grandi amici da giovani, e sicuramente non lo eravamo stati quando io e Annabeth avevamo rotto. Ma, quando Noah era stato accoppiato ad un bambino per farlo ambientare nella squadra di calcio, lui e Sam erano diventati migliori amici in un batter d'occhio.
Così, Malcolm e io eravamo stati obbligati a dialogare civilmente. Era riuscito a mettere a parte i miei errori per il bene di Noah. Dopotutto era colpa mia, non si mio figlio.
Ma una delle tante sorelle di Malcolm non vedeva Noah allo stesso modo del fratello.
Annabeth era la sorella maggiore, quella che c'era sempre stata. E non vedevano la storia esattamente come se io fossi un idiota, che si era ubriacato quando Annabeth mi aveva lasciato, e che aveva commesso un errore. Loro vedevano un bambino e immediatamente pensavano che l'avevo tradita, e allora si arrabbiavano e scavavano nei loro ricordi di noi due insieme, alla ricerca di qualche segno che io la tradissi anche allora. Ma non trovavano nulla perché io non l'avevo mai tradita.
Scacciai quei pensieri e cominciai a camminare per la stanza in direzione del comodino, alla ricerca della scatola di Tylenol, per poi finalmente andare a dormire.
Ma poi la mia mano tocco qualcosa di freddo, un cerchio di metallo. Lo tirai fuori ma lo lasciai subito cadere, in stato di shock.
L'anello.


-Penso che mi piace di più il tuo- Annabeth sorrise mentre lasciava scivolare di nuovo al dito l'anello con la scritta “Percy”, e mi baciò la sommità della testa.
Aveva appena cominciato a piovere, mentre eravamo sulla Haunted Mansion, a Disney World, cercando di evitare di bagnarci. Per festeggiare la nostra libertà dalla scuola superiore e anche quella dai nostri genitori avevamo deciso di fare un viaggio da New York a Orlando, Florida. L'ultimo giorno a Disney World eravamo finiti a comprare due piccoli anelli, sulla Adventure Land. Il mio portava il mio nome, e il suo il suo nome.
Ma, in qualche modo, Annabeth aveva deciso che il mio fosse più bello, così aveva preteso che ce lo scambiassimo.
-Tienilo pure.- dissi, stringendomi nelle spalle, e Annabeth sorrideva mentre si toglieva il suo anello dal pollice.
-Allora tu tieni il mio.-
-Questo è un vero affare.- dissi sorridendo, mentre compivo la stessa azione di infilare il suo anello nel mio dito. Lei si strinse più a me, mentre la corsa terminava.



Passai la mano sopra le otto lettere del piccolo anello d'argento. L'avevo tenuto con me, malgrado tutto. Lo indossavo sempre, in qualche modo, o sulla mia mano o infilato nella mia collana con le perle del Campo, ma non ricordavo di averlo addosso anche quando avevo lasciato Annabeth.
Ad un certo punto, era anche diventato un giocattolo per Noah, quando lo portavo nella mia collana e lui era un bambino. Quando ci eravamo trasferiti lì l'ho messo nel comodino, vicino al mio letto, sforzandomi di non pensarci più.
Con il vecchio anello polveroso, pensai a tutte le volte in cui lei l'aveva portato. Mi ricordai che Annabeth lo indossava sempre quando doveva andare fuori città per affari, e che lo teneva in tasca durante le riunioni come porta fortuna.
Qual era il suo portafortuna ora?
Capii che non potevo farne a meno. Dovevo vedere se riuscivo a trovarla, o almeno sapere come stava.
... Se era felice.
Aprii il mio laptop e premetti il pulsante di Bing. Annabeth Chase, digitai e subito mi comparvero un'infinità di risultati.
Annabeth Chase Mt. Olympus Società Architectural
Annabeth Chase e Malcolm Moore
Il mio cursore esitò sopra l'opzione finale.
Annabeth Chase E! Intervista
Annabeth era finita su E!?
Premetti su quel link e mi si aprì un video di YouTube.
"-Dopo quattro anni, Annabeth Chase, co-fondatrice del la Società di architettura del Monte Olimpo, e il fidanzato di lunga data, Henry Alexander, hanno finalmente deciso di rendere ufficiale il loro rapporto!-"
Il video proseguì con delle foto di loro due, felici e insieme come una coppia, che ballavano sullo schermo, e una foto dell'anello di fidanzamento. Poi seguirono le interviste della coppia su come si fossero messi insieme e come avevano deciso di fare il passo successivo. E poi era arrivata la parte finale, quella che faceva più male di tutti.
"-La coppia si è conosciuta quattro anni fa, quando Annabeth, appena trasferitasi a Los Angeles, è stato assunta dal ristorante di Henry per riprogettare il locale a cinque stelle. Quello che dovevano essere tre mesi di stretto contatto per i lavori sono diventati quattro anni di relazione e la decisione di passare il resto della loro vita insieme.-"
Poi il video era finito.
Lei era... fidanzata.
Si sarebbe sposata a Dicembre.
Con Henry Alexander...
Dopo essere uscito da Youtube per tornare alla pagina di ricerca, non riuscivo ancora a comprendere il fatto nella mia testa.
Annabeth non si era solo trasferita, ma stava anche per sposarsi!
Guardando attraverso i vari link che parlavano di Annabeth, cominciai a pensare ad Henry.
Era come me? O completamente diverso?
Lei era più felice con lui? Lo amava davvero?
Stavo cominciando a sentirsi male quando cliccai sulla notizia più recente della mia ricerca, invece di guardare quelli più rilevanti.
Annabeth e Henry hanno rotto!
Annabeth Chase si è trasferita, lasciando Henry a Los Angeles!
Annabeth Chase va in giro senza anello di fidanzamento!
E poi finalmente trovai quello che cercavo.
Henry Alexander modifica la sua Situazione Sentimentale di Facebook in Single!
I miei occhi si spalancarono mentre premevo sul link del blog, che mostrava l'immagine di come tutti gli amici di Henry aveva dato le loro condoglianze su Facebook dopo aver visto che era di nuovo single.
Annabeth Chase.
Single.
Era questo che stavo aspettando? Dopo sei anni che non vedevo Anabeth per quello che credevo sarebbe stato un per sempre, potevo seriamente farla tornare, di nuovo?
E poi ho pensai a quello che aveva detto nella sua intervista per E! dopo aver annunciato il suo fidanzamento.
"Sono stato male per un'altra storia prima, quindi ero davvero titubante a fidarmi di Henry,".
Era stata male prima.
Era stata male prima, per colpa mia.

 
 
***


Annabeth


Tirai il cuscino sopra la testa, cercando di nascondere i lampi provenienti dalla mia finestra.
Percy aveva sempre avuto paura dei fulmini perché gli ricordavano che era sotto il controllo degli dei, e aveva l'abitudine di girarsi e rigirarsi sempre nel letto quando sentiva i tuoni di notte. Ero così abituata a scivolare nelle sue braccia per calmarlo che, quando c'era il temporale, facevo fatica a dormire.
E quella sera si preannunciava una furiosa tempesta.
Stavo per alzarmi e vedere se Malcolm avesse un sonnifero da qualche parte o se Ab fosse online, ma poi la porta della camera si aprì, inondando la stanza di luce.
Sam.
Kate amava la pioggia, ma Sam aveva sempre avuto paura dei tuoni.
-Annabeth?-
Togliendomi il cuscino dalla faccia, mi misi seduta sul letto, guardando il bambino sulla porta.
Noah.
-Noah?-
BUM!
Noah trasalì, mentre il tuono rimbombava di nuovo.
-Uhm... posso dormire qui con te?-
Lo guardai fisso.
-Ho paura dei fulmini e di solito, quando c'è il temporale, dormo con mio papà, se ho troppa paura.- disse norvosamente Noah, scompigliandosi i capelli in modo incridibilmente famigliare. -Voglio dire, posso tornare a letto...-
-Anche io ho un po' paura dei fulmini. Mi farebbe piacere un po' di compagnia.- lo interruppi, sorridendo.
Le labbra di Noah formarono un sorriso riconoscente, mentre io tiravo su le coperte dal lato opposto del letto, e lui ci si infilava dentro.
-Hai dei figli, Annabeth?- chiese Noah, mentre trovava la posizione. Dovetti ammettere che era bello avere qualcuno dall'altra parte del letto, anche se era solo un bambino.
-No.- dissi, scuotendo la testa. -Perché me lo chiedi?-
-Perché sei molto brava con i bambini.- disse Noah, con la testa affondata nel cuscino. -Sai, mi ricordi molto il mio papà.-
-Davvero?-
Noah annuì.
-Non so perché, ma gli assomigli molto.- spiegò lui.
-Ti piace il tuo papà?-
-Sì. A volte non mi piace la mia mamma, ma io amo il mio papà.-
-Perché non ti piace la tua mamma?-
Noah esitò.
-Perché si dimentica di me.-
Spalancai gli occhi, non sapendo come gestire questa nuova informazione.
-Mi padre dice che non è vero, che il lavoro la tiene molto occupata, ma io so che lei si dimentica. Posso dire che il mio papà è felice di avermi, ma la mamma, a volte, mi fa sentire come un incidente.- disse Noah, mentre mi guardava con quei suoi occhi luminosi.
-Mia madre mi ha abbandonato.-
Noah mi fissò, in stato di shock.
-Quando sono nata, lei mi lasciò con mio padre, e non l'ho più vista fino a molti anni dopo. E anche mio padre mi faceva sentire come un incidente.-
Il bambino sorrise debolmente, come se fosse felice di sapere che non era il solo ad avere un brutto rapporto con i genitori.
-Ma quando sono diventata grande, io e mio padre abbiamo chiarito, e ho personato mia madre per non essere stata lì in tutti quegli anni.- gli dissi, togliendomi i capelli dagli occhi.
Noah annuì.
-Mi piaci, Annabeth.-
-Mi piaci anche tu, Noah.-
-La signora Chiristine vuole farti mettere con il mio papà.-
-Sì, lo so.- risi, ricordando le intensioni ovvie di Christine.
-Puoi metterti con mio padre, così io avrò una nuova mamma?.-
Risi.
-Ci penserò, okay? Sorrisi, e Noah annuì, un po' ridendo. -Ricorda che io sono sempre qui se hai bisogno di parlare, va bene, Noah?-
-Grazie.-
Noah chiuse i suoi occhi azzurri, e io gli rimboccai le coperte, baciandogli delicatamente la fronte.
Pensavo si fosse addormentato, così stavo per mettermi a dormire quando Noah spalancò i suoi, improvvisamente.
-Sei della California?-
-Perché me lo chiedi?-
-Ho sentito parlare di un'Annabeth dalla California, e mi chiedevo se fossi tu.-
-Sono cresciuta sia qui che in California, ma mi sono appena trasferita a New York da Los Angeles.-
Noah mi guardò, come se stesse decidendo se potevo essere io l'Annabeth di cui aveva sentito parlare.
Stavo per chiedergli dove avesse sentito di questa Annabeth quando Noah scosse finalmente la testa.
-No, non sei lei.-
 
***




-Chi ha inventato questa cosa?- mormorai, a corto di fiato, mentre cercavo di liberare Kate dal suo passeggino.
Avevo promesso a Sam e Noah che li avrei portati al campo di calcio, dove il padre di Noah sarebbe venuto a prenderlo, ma stavo cominciando a rimpiangere quella mia decisione visto che ero lì bloccata a cercare di liberare Kate dal dispositivo di sicurezza.
Malcolm aveva comprato un aggeggio di soffocamento. Dana sapeva che i suoi figli erano dei veri newyorkesi, ma Malcolm sembrava dimenticare che non erano dei completi idioti, e aveva imposto regole severe su come dovevo prendermi cura di loro.
In cima alla lista c'era non perdere di vista i bambini nemmeno un secondo.
Alla fine, le mie mani riuscirono a trovare un pulsante, mentre Kate ridacchiava e faceva dondolare la borsa di Dana sopra la mia spalla.
Quella era una borsa magica. Fino a quel momento, avevo sottovalutato il potere delle borse giganti.
La mia a casa poteva al massimo contenere il portafoglio, le chiavi, il cellulare e un paio di mentine per l'alito.
Inevece quella borsa poteva portare tutti gli aggeggi elettronici di Sam, compresi gli infiniti caricabatterie, un pallone da calcio e una paio di scarpe con i tacchetti, vestiti extra per i bambini in casi di incidente, e quasi tutto quello che di cui si poteva aver bisogno quando si era in giro con dei bambini.
Inoltre, era così pesante che si poteva perdere peso semplicemente portandola in giro.
Kate sbagliò mentre si rannicchiava più vicino alla sua maglietta logora, usando il suo pupazzo a forma di gufo come cuscino.
-Possiamo tornare a casa dopo che Noah se ne va?- chiese Kate speranzosa, sbirciando verso di me.
Annuii, banciando i suoi riccioli castani.
-Sembra un bel piano, Katy-Cat.-
Facendo attenzione a non muovere Kate che era sul punto di addormentarsi, spinsi il passeggino in attraverso il campo, diretta al campo di calcio, dov'erano Sam e Noah.
Quello era il parco più vicino in grado di soddisfare tutti i requisiti per ciò che ciuscuono dei bambino voleva in un parco, ma era abbastanza lontano dalla casa di Malcolm. Da lì potevo quasi vedere il mio appartamento , e stavo cominciando a chiedermi se non fosse il caso di andare a casa mia dopo, visto che Kate sembrava così stanca.
-Allora, hai mai visto il papà di Noah?- chiesi.
Non ci avevo mai parlato o visto, ed ero preoccupata di incontrare un genitore come Malcolm.
-Sì.- Kate annuì, sbadigliando di nuovo. -È veramente bello.-
Il che doveva restringere il campo, immagino.
Ma non di molto.
Quando vidi Noah e Sam, affrettai il passo verso il campo di calcio.
E poi vidi qualcun'altro camminare in quella direzione.
-C'è 'Ercy!- ridacchiò allegramente Kate, divincolandosi dalla mia presa per corregli incontro.
Chi era 'Ercy?
Sempre alle prese con la borsa da super mamma, cercai di seguire la mia nipotina di quattro anni.
-Kate!- la chiamai.
Ma lei non mi prestò alcuna attenzione mentre correva per il campo da calcio, dove l'uomo stava dando il cinque a Noah, che aveva appena fatto un goal.
Infinite, quando raggiunsi Kate, non aveva ancora guardato con attenzione la persona che ora stava giocando con i due ragazzi.
-Non farlo mai più, Katherine.- dissi, baciandola sulla testa.
Kate annuì con aria solenne, sapendo che aveva fatto una cosa brutta visto che l'avevo chiamata con il suo nome intero, ma poi riacquistò il suo solito modo frizzante, porgendo l'attenzione all'uomo che stava tribulando con la sacca blu del calcio di Noah, che i due bambini avevano portato facilmente dino al campo.
-'Ercy!- chiamò Kate.
-Ehi, Katy, come sta la mia ragazza?-
Mi bloccai.
-Quefta è Annabef!- disse Kate puntano il dito verso di me, e con la coda dell'occhio notai che anche lui si bloccò.
Mordendomi la lingua, finalmente mi decisi ad alzare lo sguardo.
Quello era stato il mio incubo negli ultimi quattro anni.
Ma lui sembrava un sogno.
I suoi capelli neri erano perfettamente pettinati, e mettevano in risalto gli occhi verdi. La pelle era abbronzata dall'estate appena conclusasi, ed era vestito in modo casual, ma allo stesso tempo professionale.
-Percy.- la mia voce era appena udibile, ma potei dire dal modo in cui rimase shockato che mi aveva sentito.
Percy Jackson.
Quello da cui ero scappata.
O colui che mi aveva rovinata?
In entrambi i casi, ora era in piedi di fronte a me.
Non era invecchiato nemmeno di un giorno da quando l'avevo visto l'ultima volta. Instintivamente, non potevo fare a meno di preoccuparmi del mio aspetto.
Una vecchia maglietta. Dei pantaloncini di jeans consumati. Scarpe da tennis ultra usate. Coda di cavallo disordinata. Senza trucco.
Mi maledissi mentalmente per aver scelto di dormire di più quella mattina, piuttosto che curare il mio aspetto.
Lo shock e le emozioni mi stavano destabilizzando quando, improvvisamente, il mio cervello prese il controllo.
Noah.
Quanti anni aveva Noah?
L'età di Sam, giusto?
Ciò significava...
Come prima non riuscivo a decidere se volevo piagere o abbracciarlo, in quel momento non sapevo se volevo ucciderlo o semplicemente dargli un pungo.
Non fare una scenata.
Non fare una scenata.
Non fare una scenata, mi dissi ripetutamente.
Ma fare una scenata era tutto quello che riuscivo a fare in quel momento.
I bambini mi stavano fissando, e potevo quasi vedere le rotelline nella testa di Sam girare mentre altrernava lo sguardo da me a Percy, e viceversa.
Dovevo andarmene.
Cercando di sembrare forte, usai la borsa di super mamma per nascondere la mano su cui poco tempo prima c'era l'anello di fidanzamento, per non attirare l'attenzione.
Se fare la babysitter ai miei nipoti per tutto il weekend quando avrei dovuto avere una vita non era male, non sarei riuscita a gestire la situazione se quel coglione avesse scoperto che ero di nuovo single.
Stavo per salutare Noah e andarmene quando ancora avevo la mia dignità, ma riuscivo a muovermi.
Ero immobile a fissare il mio ex come un idiota, lasciando i tre bambini a guardarci come se fossimo stati i protagonisti di un reality show.
-Uhm, Sam, perché non andiamo a fare una partita veloce?- disse Noah acennando con la testa al campo di calcio.
-Uh, certo. Kate, ti va di fare la cheerleader?-
-Cheerleader?- chiese Kate e Sam alzò gli occhi, prendendo la mano della sorellina mentre camminava verso l'altro lato del campo, spiegandole cosa fosse una cheerleader.
Anche dopo che i bambini se ne furono andati, Percy e io continuammo a fissarci.
C'era così tanto da dire che improvvisamente non riuscivo a pensare a nulla.
Le domande erano così tante, e io non sapevo quale fare per prima.
Quando mi aveva tradito? Chi era la mamma di Noah? La conoscevo? Quando tempo era passato da quando aveva scoperto di Noah prima di andarsene? Come aveva potuto farmi quello, dopo tutto quello che avevamo passato insieme? Aveva capito la gravità della situazione?
-Noah è tuo figlio?-
Percy annuì.
Improvvisamente, dopo che lui aveva ammesso, non potevo più smettere di domandare.
-Allora, è per questo che mi hai lasciato? Perché il tuo tradimento è andato male?-
-Che cosa?-
-Quando tempo è passato da quando hai saputo di Noah fino a decidere di voler far parte della sua vita?-
-Annabeth...-
-Era già nato quando mi hai lasciato! E lui pensa che tu sia un grande!- semi urlai, cercando di non farmi sentire dai bambini.
Percy aggrottò le sopracciglia confuso, come se stesse cercando di capire quello che avevo appena detto.
-Aspetta.- cominciò Percy scuotendo la testa, ma non gli diedi il tempo. Dovevo vomitare quelle parole, non riuscivo a smettere.
-Come hai potuto farmi questo?-
Gli occhi di Percy si spalancarono mentre i miei comiciarono a riempirsi di lacrime.
Annabeth Chase non piageva.
Mai.
Non potevo più parlare perché avevo finalmente capito quanto fossi rimasta ferita.
Negli ultimi sei anni avevo rimandato in dietro il ricordo di volta in volta, e avevo agito come se Percy Jackson non fosse mai esistito, ma non era vero. Sotto quella superficie, ero ancora una ragazza che, una volta, era stata follemente innamorata. Una ragazza il cui cuore era stato rotto crudelmente senza la minima spiegazione.
Non avevo permesso a me stessa di pensarci e alle persone di parlarne, e non avevo capito quanto mi aveva fatto male vedere Percy andarsene.
-Vado a prendere i bambini.- misi in spalla la borsa e mi allontanai, ma lui mi afferrò per un braccio, cercando di fermarmi.
-Annabeth, tu...-
Tirai il braccio, liberandomi dalla sua presa, e continuai a camminare, ignorando qualsiasi cosa volesse dire.
-Kate? Sam? Andiamo a pranzare, forza.-
Noah mi guardò, con il timore che non mi avrebbe più rivisto.
-Non dimenticare quello che ti ho detto, okay, Noah?-
Lui annuì, sorridendo debolmente mentre prendevo Kate per mano.
-Ciao, Noah.-
-Ciao, Sam.-
-Ciao, 'Oah.-
Noah sorrise.
-Ciao, Kate.-
Sorrisi di nuovo a Noah, affrettando il passo quando vidi Percy trovare finalmente le parole per venirmi a spiegare.
Non gliene diedi l'occasione.










 

.:Nota traduttrice:.


Sì, beh, mi rendo conto che è quasi un anno che non aggiorno. Ma come forse avrete capito mi sono voluta concentrare sull'altra mia storia, che rimane il mio obiettivo.
È successo che l'altro giorno stavo navigando sul mio account, e mi sono ricordata di avere in corso questa traduzione, la cui storia mi aveva preso moltissimo. Così, dopo aver sistemato i primi capitoli, oggi mi sono messa a tradurre il quinto e quindi eccomi qua.
Non so quanto ci vorrà per il prossimo, probabilmente qualche settimana. In qualsiasi caso la continurò sicuramente. Mi chiedevo solo, visto che i capitoli non sono lunghissimi, se a voi sta bene se dal prossimo io unisca due capitoli in uno (per farvi un esempio, il prossimo sarà composto dal 6 e dal 7 capitolo della storia). Così credo che accorcerò i tempi di attesa e voi leggere una cosa più lunga. Che ne pensate?
Spero di non aver fatto troppi errori. In qualsiasi caso, un grazie di cuore a tutti, come sempre. È un onore far parte di questo fandom.
Annie

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Questa è la traduzione della soria You've got mail” pubblicata su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”.
Il per tradurre questa storia permesso mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo).
Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.







 
You've got em@il
 

Capitolo 6
 

PERCY


 

Noah mi guardava e io provavo a non incrociare i suoi occhi azzurri mentre finivo di asciugare l’acqua dal suo viso e gli abbottonavo la camicia del pigiama.
Non gli avevo volontariamente detto nulla riguardo ad Annabeth e lui non aveva nemmeno cercato di fare domande. Ma potevo dire cosa stava pensando mentre mi guardava.
Noah voleva che fossi io a parlarne. Voleva che gli dicessi cosa fosse successo, cosa sarebbe potuto accadere e se io avessi incasinato tutto ancora una volta.
Purtroppo per lui, non avrebbe avuto risposte.
Non solo non volevo parlargli di Annabeth, ma mi rifiutavo proprio. Perché nulla di quella storia lo riguardava.
Beh, in realtà lo riguardava eccome, ma il suo coinvolgimento risaliva a prima ancora che io e sua madre scoprissimo se era in arrivo un Noah o una Noel. E non volevo coinvolgere mio figlio più di quanto non lo fosse già.
Noah sapeva già che lui era stata la ragione per cui avevo perso Annabeth la prima volta, ma non volevo pensasse che fosse colpa sua anche la seconda volta.
Di nuovo, ero stato io a non dire quello che avrei dovuto dire…
«Hai finito i compiti per domani?» gli chiesi mentre facevo passare l’asciugamano tra i suoi capelli una volta ancora.
«Sì, Sam mi ha aiutato.»
Annuii.
L’amicizia di Sam era una bene per Noah.
Malgrado a volte mi sentissi a disagio quando dovevo vedere Malcolm, amavo il fatto che Noah e Sam andassero così d’accordo. E adoravo la piccola Kate.
Rispecchiava perfettamente il mio ideale di nuora, così ogni tanto prendevo in giro Sam.
«Ok, ho finito.» Sorrisi mentre gettavo l’asciugamano nel cesto della biancheria sporca, sapendo che quella notte avrei probabilmente fatto il bucato per smettere di pensare ad Annabeth con mio figlio.
Stavo per dare a Noah una scusa per dirgli che doveva guardarsi il film della Domenica da solo quando lui parlò.
«Voglio che tu ed Annabeth torniate insieme.»
Fissai mio figlio con gli occhi spalancati.
Fin da quando Noah aveva imparato a parlare, era sempre stato contro gli appuntamenti di JoJo. Ma aveva sempre mostrato un felice interesse nella mia vita amorosa – o per meglio dire, la mia non-vita amorosa.
Aveva cercato di sistemarmi con le amiche di sua madre. Lui e Christine avevano collaborato per mettermi con le donne single che conosceva lei e l’unica persona di mia conoscenza che non avesse cercato di trovarmi un rimpiazzo era JoJo. Probabilmente solo perché non ci vedevamo quasi mai.
Nessuno sembrava capire che ero un papà single.
Non un papà sulla piazza.
E nemmeno un papà sposato.
Ero solo un papà.
Quando era nato Noah, avevo già capito che da lì in poi saremmo stati solo noi due.
Le mie sole e uniche possibilità erano sempre state Noah o Annabeth, e io avevo scelto mio figlio già molto tempo prima.
Ammetto che mi sarebbe piaciuto poter percorrere entrambe le strade, ma me ne ero già fatto una ragione. E anche Annabeth sembrava aversene fatta una.
«Non succederà mai, Noah.»
«Lei è ancora innamorata di te, papà, te lo posso assicurare» tentò Noah.
Probabilmente aveva ragione. Ma l’amore non sempre corrispondeva a una relazione.
Annabeth aveva frainteso tutto.
Sicuramente pensava che l’avessi tradita invece di ubriacarmi e fare uno sbaglio. Pensava che avessi saputo di Noah molto prima di lasciarla, e invece me ne ero andato il giorno stesso in cui lo scoprii. Pensava che fossi solo un cretino che aveva avuto un bambino mentre stavamo insieme…
… e probabilmente su quest’ultimo punto aveva ragione.
«Questo non vuol dire che non possa dimenticarmi, Noah.»
«Ma non ci hai nemmeno provato, papà!»
Spalancai gli occhi sorpreso mentre guardavo Noah.
Noah viveva con me da anni e prima di allora avevo la custodia parziale. Ma non mi aveva mai urlato contro e io nemmeno.
Non sapevo cosa dire. Come potevo spiegargli che non potevo fare quello che mi chiedeva di fare? Dovevo usare la carta del “sono io il genitore qui”?
Noah mi osservava come un falco mentre si sdraiava nel suo letto, quando io alla fine trovai un modo per chiudere la conversazione.
«Era fidanzata prima di tornare.»
Lo sguardo di Noah si ammorbidì all’istante e i suoi occhi si inumidirono.
«Non hai mai pensato che ha rotto il fidanzamento perché è ancora innamorata di te?»
Era vicino alle lacrime ora così mi sedetti sul pavimento in modo da essere alla sua stessa altezza.
«Papà, io voglio che tu sia felice.»
«Io sono felice con te. Sono felice della vita che abbiamo e voglio che tu sappia che non c’è sempre un lieto fine, e che Annabeth ed io non lo avremo. Ma il mio lieto fine sei tu. Noah, ho bisogno che tu capisca che le seconde occasioni non sempre accadono.» Odiavo dover dire queste cose a mio figlio.
Sapevo che un giorno avrebbe imparato che la vita vera non era un film, ma mi sentivo crudele nel portargli via quella sensazione quando era ancora così piccolo. Noah credeva ancora nel ragazzo buono che alla fine vince sempre. Quel super eroe che salva sempre la situazione e alla fine si mette con la ragazza. L’eroe che ha sempre il fato dalla sua parte.
Ma il fato mi odiava. Il ragazzo buono non sempre vince. E la ragazza non sempre soccombe al super eroe.
Era una lezione che avevo imparato a mie spese e con mille cicatrici. Ma rimanevo dell’idea che fosse sempre meglio impararlo sulla propria pelle invece che sentirselo dire.
Volevo che Noah credesse in quell’illusione finché la vita glielo avesse permesso.
Noah annuì esitante e io capii che non mi credeva. Non sapevo se esserne felice o meno.
«Ti voglio bene, Noah. Buonanotte.» Lo bacia sulla fronte.
«Ti voglio bene anche io, papà.»
Gli arruffai affettuosamente i capelli neri prima di spegnere la luce e uscire dalla sua stanza. Fermo immobile con la porta della sua stanza chiusa dietro di me, non riuscivo a respirare.
«Ma non ci hai nemmeno provato, papà!»
Mi ripetevo quelle parole nella testa ancora e ancora.
C’era verità in esse? Se ci avessi provato, potevo tornare a essere di nuovo il suo Testa d’Alghe?
O sarei stato il ragazzo che odiava perché l’aveva tradita, il quale poi era tornato per avere un’altra chance quando aveva buttato via la prima?
Mi avrebbe accettato o mi avrebbe odiato ancora di più?
Non potevo pensarci.
L’unica cosa che potevo fare era chiudere la mente, accendere il mio computer e mandare una email a WiseGirl210.

 

To: WiseGirl210
From: AtlanticBoy16

E' orribile quando tuo figlio di sei anni dice cose più sensate di te.
Sta cercando di convincermi a intraprendere il ruolo del “Ragazzo che vuole una seconda chance” ora che lei è tornata in città. Non so come gestire questa situazione. Voglio dire, continuo ad amarla. L’ho sempre fatto, ma non posso spezzarle di nuovo il cuore. E ora lei mi odia ancora di più.
Cosa dovrei fare?

-AB


Ero vicino alle lacrime pensando che agli occhi di Annabeth apparivo come un traditore quando dal mio computer giunse un suono, segno che era arrivata la sua email di risposta.
 

To: AtlanticBoy16
From: WiseGirl210

Sono nel tuo stesso problema.
Lui è la ragione per cui sono infelice. Lo so che dovrei stargli lontana, ma c’è qualcosa in lui che mi fa solo venire voglia di tornare tra le sue braccia ancora e dimenticare tutto.
Lo amo. Ma odio quello che mi ha fatto.
E non sono sicura di poter ignorare tutto e perdonarlo.
Per la tua situazione, tutto dipende da lei. Pensi che lei tu ami ancora? E, se tu fossi nei suoi panni, potresti perdonarla?

-WG


Avrei potuto perdonare Annabeth per aver avuto un bambino con un altro uomo mentre stavamo insieme?
Non ne ero così sicuro.

 

To: WiseGirl210
From: AtlanticBoy16

… Non lo so.
Penso di sì. Forse…
Ma lei non sa nemmeno come è andata realmente! Lei ha frainteso tutto, immaginandolo mille volte peggio! Voglio dire, quello che ho fatto è stato orribile, ma lei pensa che io sia il tipo di ragazzo che meriterebbe solo la morte come punizione. E non le posso neanche spiegare.
Non voglio essere quel cretino…
Quindi questo ragazzo è il tuo Giuda, huh?
Se pensi con il tuo cuore, passa sopra tutto. Se invece vuoi pensare con la testa…
Non lo so.

-AB
 

WiseGirl210 non perse tempo prima di rispondere.
 

To: AtlanticBoy16
From: WiseGirl210

Lui mi fa sentire come se avessi ancora sedici anni.
Sto mangiando cioccolato e piangendo mentre guardo la fine di una commedia romantica perché i protagonisti si sono tornati insieme, al contrario di noi. Vorrei urlargli contro. Vorrei colpirlo. Vorrei tanto ucciderlo.
E, ancora, vorrei abbracciarlo e nascondere la mia faccia nelle sue spalle. Vorrei stare sulle punte dei piedi e baciarlo. E vorrei anche far parte della vita che sta facendo.
È solo perché siamo stati insieme a lungo?
Avevamo programmato una vita insieme. Ci saremmo sposati e ci saremmo trasferiti in una bella casa in periferia per crescere i nostri figli. Eravamo pronti a fare tutte queste cose…
E, con una parole, tutto questo è andato in fumo.
Quella vita. È come se fosse stato tutto solo un vecchio sogno.
È lui che voglio oppure la vita che avremmo potuto avere?
Continuo a chiederlo a tutti, ma lo so che sono l’unica ad avere le risposte.
Ma dove posso trovarle? Posso trovarle in tempo?

-WG
 

In tempo.
Avrei ripetuto gli stessi errori? Oppure sarei stato in grado di far capire tutto ad Annabeth e farle volere bene me e il piccolo Noah?

 

To: WiseGirl210
From: AtlanticBoy16

Quando le troverai, potresti svelarmi il tuo segreto?

-AB
 

Inviai.

 

♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣



ANNABETH
 

Quando le troverai, potresti svelarmi il tuo segreto?

Non volevo iniziare a piangere. Ma, in qualche modo, lo feci.
In qualche modo mi aveva spinto oltre il margine. Era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Improvvisamente, tutto faceva male.
Aprii il mio browser per scrivere un altro messaggio ad AtlanticBoy, ma non riuscivo a vedere attraverso le lacrime.
Come poteva Malcolm essere così stupido?
Aveva detto di sapere che io ero ancora innamorata di lui e che la mia rottura con Henry era stata la prova di cui aveva bisogno e, visto che io ero stata attenta nel tenermi lontana, lui era stato costretto a passare all’azione per fare in modo che sua sorella tornasse di nuovo a essere felice. Quello che non aveva capito era che non stavo scherzando quando avevo detto di non volerlo vedere.
Stavo solo proteggendo me stessa.
La mia intenzione non era quella di impedirmi di tornarci assieme, né di tenermi occupata per non pensare alla mia recente rottura.
«Grazie mille, Malcolm» borbottai mentre raccoglievo i miei capelli con un elastico e afferravo le chiavi. Buttai le mie cose alla rinfusa nella mia borsa senza un vero ordine, infilai le flip flops e chiusi il laptop.
Se dovevo diventare una triste e disperata donna isterica, dovevo almeno attrezzarmi del necessario.
Cominciai a fare una lista della spesa nella mia testa.

- Cioccolato
- Marshmallows
- Oreo
- Tre pacchetti di patatine
- Altro cioccolato
- Gelato
- Ancora altro cioccolato

Stavo cercando di ricordare dove fosse il supermercato più vicino che avesse i miei gusti di gelato preferito quando aprii la porta e mi incamminai verso il piccolo parcheggio privato della struttura di case in cui vivevo.
Ma poi vidi qualcuno buttare il sacco dell’immondizia nel cesto che il mattino dopo sarebbe stato svuotato.
Merda.
Lascia cadere la borsa e il contenuto si sparse dappertutto.
«Seriamente?» mormorai.
Avevo due opzioni: abbandonare tutto e mettermi in salvo dal parlare con lui, oppure rischiare e recuperare le mie cose. Ero molto tentata di intraprendere la prima alternativa quando ricordai quanto mi era costata quella borsa.
Dannazione.
Mi inginocchiai e cominciai a raccogliere tutto più veloce che potevo, maledicendomi per tutte le cose importati che avevo messo in borsa perché, se non le avessi portate, avrei potuto abbandonare tutto e correre via.
«Annabeth?»
Mi raggelai.
Alzai lo sguardo e vidi Percy.
In qualche modo, anche con i capelli in disordine e il suo pigiama da anziano, continuava ad essere perfetto come lo era sempre stato, se non di più.
«Oh, ciao.» Portai una ciocca di capelli sfuggita alla coda dietro all’orecchio
Percy sembrava realmente stupito di vedermi, anche se eravamo vicini di casa.
«Io… ehm, volevo parlarti, in realtà.»
Dovetti mordermi la lingua per trattenere il groppo che avevo in gola.
«Io non ti voglio parlare, Percy.» Mi infilai la borsa sulla spalla e mi imposi di stare ferma, usando tutta la mia forza di volontà per non esplodere e correre alla mia auto.
«Annabeth, devi sapere-»
«Non voglio parlare, Percy.»
Non volevo ascoltarlo mentre cercava di spiegarsi.
Sapevo cosa aveva fatto e non ero sicura di poter mantenere un atteggiamento distaccato a lungo con lui e il suo portamento divino che mi guardavano.
«No, tu non hai capito» tentò nuovamente Percy.
«Percy.»
La mia voce cominciava a sembrare più disperata che autoritaria.
«Non voglio ascoltarti, okay?»
E ora la disperazione stava diventando rabbia.
Percy alzò le mani, mettendole davanti a sé.
«Sto solo cercando di spiegarmi.»
«Io non voglio che ti spieghi!»
«No, tu vuoi solo essere arrabbiata con me!»
«Tu mi hai tradito! Io ho il diritto di essere arrabbiata con te!»
«Sì, ma ti rifiuti di conoscere la verità! Tu vuoi solo odiarmi!»
«Quale verità? Smettila di giustificare l’aver avuto un bambino con qualcun altro mentre stavi con me!»
«Sai cosa? Bene!» Percy alzò nuovamente le mani, fulminandomi con i suoi occhi verdi. «Io ci rinuncio.»
«Di cosa diavolo stai parlando?»
«Tu non vuoi ascoltare, quindi io smetto di provarci.» Lui mi sorpassò arrabbiato e l’acqua nella fontana cominciò a bollire mentre lui ci passava accanto.
Lo guardai andarsene e sentii un vuoto dentro di me mentre lui sbatteva la porta di casa sua.
Stavo per entrare in macchina e andare a comprare la mia scorta di cioccolato quando notai un mostro correre lungo una strada poco illuminata lì vicino, l’unico posto nel vicinato che non era puntato da telecamere di sorveglianza.
Al diavolo il cioccolato.
Sfiorai il mio pugnale dalla tasca posteriore dei pantaloni e cominciai a correre dietro al mostro che avevo visto, fingendo di essere una moglie trofeo che cercava di tenersi in forma.
Arricciando il naso, il mostro si girò verso di me.
«Figlia di Atena arrabbiata» disse puntandomi stupidamente.
«Figlia di Atena arrabbiata, già.» Annuii, estraendo il mio pugnale.



 








 

NOTE

Cercherò di essere breve e concisa.
Non aggiorno questa storia da più di un anno, me ne rendo conto, e non sto nemmeno qui a spiegarvi il motivo.
Visto che non mi piace lascare le cose a metà, ho deciso di riprendere in mano la traduzione, per cercare di portarla a termine senza che passino ere di mezzo. 
Tempo e impegni permettendo, la mia intenzione era quella di pubblicare un capitolo due volte la settimana, il mercoledì e il sabato.
Ho deciso di pubblicare la traduzione di questa storia anche sul mio profilo di Wattpad, dove la potrete trovare sotto omonimo nome.
(Vi lascio il link: You've got email)
Null'altro.
Come sempre grazie di essere arrivati fin qui a leggere ♥

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Questa è la traduzione della soria You've got mail” pubblicata su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”.
Il permesso di tradurre mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo).
Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.







 
You've got em@il
 

Capitolo 7
 

ANNABETH
 

Mentre mi spruzzavo un po’ di profumo alla vaniglia sul polso destro, scorrevo con il dito il piccolo taglio che il mostro mi aveva procurato prima che io lo trasformassi in una pioggia di stelle cadenti.
Nessuno aveva notato nulla, ovviamente.
Era solo un piccolo taglietto, ma in qualche modo mi stava mandando fuori di testa.
Cominciavo a rimpiangere di essere corsa dietro a quel mostro, la sera prima.
Sì, avevo sbollito la rabbia. Sì, avevo provato che ero ancora in forma malgrado Aubri continuasse a dire che avevo bisogno di andare in palestra con lei. E sì, questo avrebbe protetto Noah per un po’ dagli attacchi. Ma mi aveva anche lasciato esausta, ricoperta di sangue d’oro e la rabbia era ritornata poco dopo.
Come aveva potuto Percy farmi questo?
Al di là del tradimento e del bambino, aveva avuto l’audacia di provare a far sembrare le cose come se fosse stato innocente.
Avrebbe potuto almeno ammettere di essere un cretino.
E invece aveva cercato di spostare la colpa su qualcun altro!
Il continuo sfregare la ferita sul polso aveva portato a galla la rabbia quando arrivai in ufficio dove improvvisamente notai che tutti avevano alzato lo sguardo dal loro computer per puntarlo su di me.
Cosa diav-?
Realizzai all’improvviso.
Entrai nel mio account e aprii velocemente una pagina di ricerca, cliccando sul sito di gossip che prima di tutti aveva postato la notizia dell’annullamento del mio fidanzamento.
Sapevo perfettamente che l’articolo aveva fatto una grande notizia, ma non me ne era importato poi molto. Le persone erano libere di pensare che fosse stato il lavoro a portarci alla rottura del fidanzamento e alla sparizione dell’anello dal mio dito.
Eccolo qua.
Il video che mi si aprì davanti inquadrava la loro reporter, una bella brunetta e, dietro di lei, avevano messo la foto ufficiale del fidanzamento mio e di Henry con un grande taglio nel mezzo e la scritta “Rottura!” a grandi lettere.
«È ufficiale, Annabeth Chase ed Henry Alexander hanno rotto!» La brunetta parlava animatamente. «La notizia circolava da un po’ di tempo, ma ieri Henry Alexander ha finalmente fatto l’annuncio ufficiale a una conferenza stampa.»
Sembrava quasi che Henry… fosse famoso.
E credo che lo fosse, in realtà.
Ma lui aveva bisogno della fama. Era il suo lavoro, dopotutto.
Henry Alexander era un dio quando se si parlava di benessere e delizie culinarie. Con il suo bell’aspetto e la passione che metteva, Henry era sulla via per diventare il prossimo Carlo Cracco* e il nostro fidanzamento era stato un grande trampolino di lancio per mettersi in mostra. Quindi credo che avesse bisogno di mantenere quella fama,
Ma questo non voleva dire che non volessi ucciderlo.
«Due settimane fa Annabeth Chase, la sua fidanzata da oltre sei mesi, era stata vista caricare degli scatoloni su un’auto e dirigersi verso l’aeroporto. Foto di Annabeth in trasferimento in un appartamento di New York, aveva fatto pensare che si sarebbe trasferito anche lui» continuava la reporter. «Ma, quando altre foto della ragazza mentre faceva da babysitter ai nipoti senza indossare l’anello per la prima volta dall’annuncio, le persone hanno cominciato a ipotizzare una rottura.»
La reporter continuava con il resto della storia, esponendo in modo corretto i fatti, ma ovviamente con una nota drammatica nella voce. Guardando quelle foto, realizzai una cosa.
Quella sembrava essere la notizia prioritaria dell’intero mondo del gossip: i loro fotografi avevano fatto un lavoro egregio nel paparazzare Henry e me negli ultimi giorni.
C’era foto di Henry trafficare con il suo telefono mentre prendeva il caffè nel luogo dove era nostra abitudine andare ogni mattina. In un’altra stava facendo jogging su una spiaggia di Malibù, dove solitamente andavamo a rilassarci quando avevamo bisogno di una pausa. Poi altre foto di lui mentre faceva shopping con sua sorella e la nipotina, Candice.
E ovviamente c’erano numerose foto che mi ritraevano mentre entravo in un taxi giallo con tutta la mia roba, nascondevo la mano senza anello con un mano una tazza di caffè, entravo nel mio nuovo appartamento a New York, facevo shopping con la mia amica Rachel, porgevo a Kate un succo di frutta al posto della Coca che voleva con la pizza. I reporter avevano fotografato anche il mio scontro con Percy al parco.
Alla vista di quella foto, uscii immediatamente dal sito web.
Poi premetti il bottone per abbassare le persiane del mio ufficio in modo che nessuno potesse spiarmi un minuto di più.

 

WiseGirl210: Giuro che uccido mio fratello.
AtlanticBoy16: Perché?

 

Stavo per spiegare la lunga storia del tradimento di mio fratello quando le mie dita si bloccarono sulla tastiera.
No.
Cancellai tutto ciò che avevo scritto e decisi che non gli avrei raccontato dell’odioso amore della mia vita.

 

WiseGirl210: Lunga storia. Ti avverto solo che sulla prima pagina di domani potresti leggere la notizia di una ragazza psicopatica che ha ucciso suo fratello.
AtlanticBoy16: Perfetto, allora domani comprerò il giornale :D
WiseGirl210: Comunque, come sta andando la tua giornata? Alice ti ha già infastidito?
AtlanticBoy16: Ovviamente. Ma sono così stanco che nemmeno l’ho notato. Salterò il pranzo per andare a comprare qualche bevanda energizzante così non mi addormenterò nel bel mezzo della lezione.
WiseGirl210: Ho una scorta di Monster Energy nel mio ufficio e non faccio che berne a litri. Ho dormito solo un ora ieri notte.
 

Dormire non sembrava rientrare nei piani la scorsa notte.
Dopo essermi lavata di dosso la polvere dorata del sangue del mostro ed essermi infilata nel letto, avevo appena preso sonno che la mia sveglia aveva iniziato a squillare, segno che fosse già ore di alzarmi per la mia lunga routine mattiniera.

 

AtlanticBoy16: Una volta ho provato a nascondere i biscotti nella mia scrivania. Quando i ragazzi l’hanno scoperto hanno iniziato a implorarmi per averne uno perché il pranzo a scuola è “consapevolmente-salutare” ed è anche il peggior cibo che io abbia mai mangiato. Non mi permetto di portare al lavoro le bevande energizzanti perché ho già paura di quei ragazzi quando bevono un sorso di CocaCola. Immagina un gruppo di dodicenni che hanno ingerito RedBull.*
 

Sorrisi tra me e me mentre digitavo la risposta.
 

WiseGirl210: Henry era talmente salutista che non mi avrebbe mai permesso di bere una bevanda energizzante. Non hai idea di quanto io ami mangiare ora che non stiamo più insieme. Biscotti. Popcorn. Patatine. Cioccolato. Bevande energizzanti. Sono passate solo alcune settimane, ma posso giurare di aver preso già un chilo.
AtlanticBoy16: Dovevi vedere mio figlio quando l’ho preso in custodia. Anche sua madre è una salutista convinta, ma lei lo fa solo perché vuole essere di moda, non perché vuole condurre una vita salutare. Negli ultimi tre anni che ha vissuto con me, non gli ho mai visto fare un sorriso così largo come quello che fece quando gli diedi il suo primo Oreo.
WiseGirl210: Come è?
AtlanticBoy16: Un Oreo?
WiseGirl210: No, essere padre.
AtlanticBoy16: Non so esattamente come descrivertelo…
 

Stavo per aggiungere dell’altro quando il mio computer suonò, segno che AB aveva invito un’altro messaggio.
 

AtlanticBoy16: Lo adoro. Non cambierei mai la mia vita per nient altro. Ammetto che prima di lui mi immaginavo un altro tipo di vita, ma penso di essere nato per essere padre. È incredibile quando guardi tuo figlio e vedi te stesso in alcuni suoi tratti mentre in altri riconosci sua madre e in altri ancora sono solo suoi.
 

Sentii il mio stomaco stringersi in una morsa e desiderai provare anch’io le stesse cose che stavo leggendo.
Per anni ero stata terrorizzata quando mi era capitato di dover utilizzare un test di gravidanza e aspettarne il risultato, ma all’improvviso desiderai solo che una di quelle volte sullo stick fosse comparsa una linea rosa.
Quando tornai a guardare il monitor, mi accorsi che non avevo mai voluto avere figli con nessun altro.
Solo con Percy…

 

WiseGirl210: Sai, mi piace tanto parlare con te.
AtlanticBoy16: Anche a me.

 

Sorrisi. Forse non potevo più avere Percy, però avevo AB…

 

♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣



PERCY

 

Mentre Noah scarabocchiava sul suo quaderno, prendendomi seriamente quando gli avevo suggerito di disegnare per far passare il tempo lì a scuola, io fissavo i miei studenti.
Beh, in realtà fissavo Alice.
Mi stava mandando fuori di testa.
Era senza dubbio la mia miglior studentessa (superava di gran lunga anche gli studenti dell’ultimo anno), quindi non riuscivo a capire perché continuasse a richiedere lo sportello aiuto.
All’inizio avevo pensato fosse un’ottima cosa che mostrasse un così vivo interesse nelle mie materie e avevo sperato che anche gli altri ragazzi prima o poi l’avrebbero imitata. Ma tutti avevano rifiutato sapendo che Alice sarebbe stata presente e ora anch’io avrei voluto poter assentarmi.
Insegnavo da cinque anni, ormai, ma non mi era mai capitato prima di incontrare uno studentessa come Alice.
Sembrava che fosse una figlia di Atena sotto effetto di crack. E non aveva intenzione di smettere.
Parlava e ragionava al cento per cento tutto il tempo e io avevo seriamente bisogno di una pausa.
Quando sapevo che non stava guardando, ingoiavo di nascosto un sorso di Gatorade e sorridevo debolmente a mio figlio, il quale stava guardando torvo Alice.
Noah in realtà doveva essere con la madre, ma JoJo aveva dato buca di nuovo, sostenendo di aver avuto un terribile incidente a lavoro con le tinture e che ora stava male per i fumi delle sostanze tossiche che aveva inalato. Avevo tradotto tutto come un bruttissimo dopo-sbornia causato da una notte di troppo festeggiamento.
Avevo cercato di uscirmene in tutti i modi dall’impegno a scuola, e tutti i miei studenti non avevano avuto problemi ad annullare la lezione. Beh, tutti tranne Alice, la quale aveva avuto un improvviso attacco di panico pensando al test in programma per la settimana dopo. Ero sicuro al cento per cento che l’avrebbe passato senza errori.
L’unico modo per farla stare zitta era stato rimanere, e ora ero bloccato con lei.
Il mio computer emise un suono e io sorrisi tra me e me.

 

WiseGirl210: Ehi
AtlanticBoy16: Come va?
WiseGirl210: Sto cercando di capire come utilizzare un ferro da stiro senza bruciare i miei vestiti. È sempre stato Henry a occuparsi di questo. Qualche suggerimento?
AtlanticBoy16: Ah, i panni da stirare. Il compito che mi ha affidato mio figlio giusto ieri sera… Facile. Portali in un lavasecco.
WiseGirl210: :D

 

Come se Alice avesse potuto fiutare la mia felicità momentanea, la sua mano si fermò.
«Mr. Jackson?»
Gemetti mentalmente.
«Sì, Alice?»
«Quando sono i test di metà semestre?»
«Il 12 dicembre.»
Tre mesi da oggi.
Alice lo annotò sul suo quaderno e io aspettai finché non fui sicuro che non mi stesse guardando prima di roteare gli occhi, guadagnandomi dei sorrisi da parte di qualche studente.

 

WiseGirl210: Cosa stai facendo?
AtlanticBoy16: Sto tenendo un corso di approfondimento. Sono bloccato qui per un ora mentre loro finiscono vecchi compiti e studiano. Posso dire che Noah mi ucciderà per questo.
WiseGirl210: Sai, non mi hai mai detto perché hai chiamato tuo figlio Noah.
AtlanticBoy16: Volevo chiamarlo come il mio migliore amico che è morto quando avevo sedici anni, ma sua mamma era determinata a dargli un nome di moda che lui probabilmente avrebbe odiato per il resto della sua vita. Ci sono voluti sei mesi per concordare sul nome Noah.

 

WG sembrava in pausa, come se stesse ragionando.
 

WiseGirl210: Conosco un sacco di Noah. Prima ne conoscevo solamente uno, ma negli ultimi mesi continuo a incontrarne.
AtlanticBoy16: La scelta era tra un nome comune o qualcosa come Issia.
WiseGirl210: Issia? Stai scherzando, vero?
AtlanticBoy16: Vorrei che fosse uno scherzo. Ho dovuto trovare un compromesso anche su questo. Il suo secondo nome è Isaiah.

 

Guardai Noah e cercai di immaginare come sarebbe stata la sua vita se JoJo non mi avesse mai detto di essere incinta. Sapevo che non l’avrei mai incontrato quindi non avrei mai potuto vedere quanto mi assomigliasse e mettere i pezzi insieme. Non avrei mai saputo di lui se lei non me l’avesse detto e, se conoscevo JoJo almeno un po’, neanche lui avrebbe saputo chi fosse suo padre. Il suo nome non sarebbe stato Noah Isaiah Jackson ma Issia Louis George. Non avrebbe giocato a calcio e non se la sarebbe cavata bene a scuola come invece faceva. Senza di me, non sarebbe stato il Noah che conoscevo…
Noah aprì lo schermo del suo vecchio Nokia e cominciò a scrivere un messaggio, probabilmente a Sam, e io sorrisi.
Il suo cellulare era stato una delle poche cose di cui sua madre si era interessata. Quando lui gli aveva detto che era difficile senza un cellulare chiamare quando l’allenamento di calcio finiva, lei aveva guidato direttamente da scuola fino a un negozio di elettronica.
Malgrado fossi un po’ arrabbiato che lei gli avesse comprato un telefono senza prima chiedere il mio parere, ero felice che Noah conservasse per sempre l’immagine di sua madre che si preoccupava tanto da comprargli un telefono per poterlo contattare. E in effetti era comodo che potessi contattarlo facilmente per le cose importanti invece di dover chiamare prima Christine.
Il mio sorriso si affievolì quando lanciai un’occhiata all’orologio.
«Bene, ragazzi. Mettete via i vostri compiti. Potete continuare domani con Mrs. Waylon» dissi loro felicemente, Non se lo fecero ripetere due volte: in fretta e furia prepararono la cartella e uscirono dall’aula per andare dai propri genitori – o anche solo per scappare da Alice.
«È suo figlio?» mi chiese Alice dopo aver infilato il suo quaderno rosa in cartella ed essersela messa in spalla.
«Sì.» Sorrisi. «Noah, dì ciao.»
Le labbra di Noah si aprirono in un finto sorriso, sebbene i suoi occhi rimanevano fissi su di lei.
«Ciao.»
«Sei così adorabile!» Alice sorrise mentre pizzicava le sue guance e lui riduceva gli occhi a una piccola fessura. Alice sostò nervosamente la frangia.
«A domani, Mr. Jackson.»
«A domani, Alice.»
Noah aspettò che la porta di chiudesse dietro di lei prima di aprire bocca.
«È strana forte.»
Io risi e annuii.
«Dovresti vederla in classe» gli dissi mentre spegnevo il computer e raccoglievo la sua cartella troppo-pesante-per-portarla.
«Riesce a essere peggiore?» mi chiese Noah, incapace di credere che fosse possibile.
«Lo so che suona pazzesco, ma , ci riesce eccome.» Gli arruffai i capelli, poi uscimmo dalla classe e ci dirigemmo verso la nostra Prius che ci attendeva sola nel parcheggio degli insegnanti.
«Come è andata oggi a scuola?» domandai mentre accendevo l’auto e mi immettevo sulla strada diretti verso casa.
«Bene» disse Noah mentre accendeva la radio e inseriva il suo CD con canzoni per bambini.
«E l’allenamento di calcio?»
«Sam si è fatto male al piede oggi, così non potrà giocare nella prossima partita. E il Coach Hawthorne ha intenzione di farmi giocare al suo posto finché Sam non si riprenderà!» Noah sorrise felice e io raggelai pensando a Sam.
Mi ricordavo ancora quando Malcolm e Dana erano venuti da me e Annabeth per annunciare non solo che Dana era incinta del loro primo figlio, ma che avevano anche deciso che noi due saremmo stati i padrini del piccolo. Lo avevo dimenticato fino al giorno in cui avevo rivisto Annabeth e improvvisamente mi ero ricordato che avremmo dovuto aiutare a crescere Sam insieme.
Questo prima che rompessimo…
Ora il mio protetto era il miglior amico di mio figlio.
Noah mi stava riferendo parola per parola cosa il coach gli avesse detto prima di prendere il posto di Sam, quando all’improvviso smise di parlare e cominciò a pensare a qualcosa.
«Tutto ok, Noah?»
«Sì, stavo solo pensando.»
«A cosa?» gli chiesi dandogli un’amichevole gomitata.
«Hai visto Annabeth di recente?»
Mi raggelai, ma la luce verde del semaforo mi riportò al presente.
«No.» Strinsi involontariamente la presa sul volante.
«La vedrai?»
«Non penso, piccolo.»
Noah guardò fuori dal finestrino, ma riuscivo a percepire che aveva altro da dire.
«Pensi che se ne andrà?»
«Non lo so,» Mi strinsi nelle spalle.
«Papà?»
«Sì, Noah?»
«Potresti perdonarla?»
«Per cosa?»
«Se tu fossi nei suoi panni.»
Mi raggelai.
Sì.
Questa fu la prima risposta nella mia testa.
Ci sarebbe voluto un po’ di tempo, però sì.
Ma io non ero Annabeth.
«Probabilmente» risposi, sentendo che il mio pranzo si stava rivoltando ancora nel mio stomaco.
«Pensi che ti perdonerà mai?»
«No, Noah.» Quella fu più facile come risposta rispetto alla precedente.
Ma Noah non sembrava credermi. Mi guardava dal sedile del passeggero ancora in cerca delle risposte che voleva. E io le risposte le avevo. Ma si trattava di una verità orribile.
Quello che Noah voleva erano bugie da commedia romantica e favole della buona notte.
«Noah» dissi guardandolo. «È finita.»
«Mai dire mai, papà.» Noah sorrise debolmente.
Mai dire mai.
Da quando Noah era nato, glielo ripetevo sempre.
«Papà, non entrerò mai in squadra!»
«Non andrò mai bene in matematica!»
Tutte le volte, gli davo la stessa risposta.
«Mai dire mai.»
A volte mettevo anche la canzone di Justin Beaber dal titolo omonimo mentre guidavo verso una verifica o una partita importante.
E aveva sempre funzionato.
Era la mia raccomandazione paterna preferita. Quindi mi sembrava giusto che Noah ora la usasse contro di me.
«Mai dire mai» ripetei senza fiato.







* Le marche dei prodotti segnati con l'asterisco non corrispondono a quelle usate nel testo originale, in quanto venivano indicate delle marche famose principalmente in America. Per una maggior comprensione, ho pensato di cambiarle con i corrispettivi italiani.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Questa è la traduzione della soria You've got mail” pubblicata su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”.
Il permesso di tradurre mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo).
Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.







 
You've got em@il
 

Capitolo 8
 

ANNABETH
 

«Quindi… Come è andata?» domandò Rachel mentre versava un’incredibile quantità di zucchero dentro alla sua tazza di caffè.
Sapevo perfettamente a cosa si stesse riferendo.
Il mio appuntamento al buio.
Rachel mi aveva combinato un incontro con un suo collega, quello che avrebbe frequentato lei se non fosse stata l’oracolo di Delfi e, dato che entrambe eravamo state innamorate di Percy, penso si potesse dire che eravamo attratte dallo stesso tipo di uomo. Purtroppo era venuto fuori che Percy era l’unico su cui avessimo mai concordato.
L’uomo con cui ero uscita, Robbie, era carino. Credo. Era divertente. Intelligente. E sembrava anche affidabile. Ma c’era qualcosa di sbagliato. E ben presto era diventato uno degli appuntamenti più brutti della mia vita.
Quando ero tornata a casa, un bel po’ prima che suonassero le sette, avevo deciso di non chiamare Rachel e mi ero semplicemente avvolta in una coperta a guardare “C’è post@ per te”. Ma, in qualche modo, la parte peggiore della notte era stata quando AB non mi aveva risposto, quando avevo realizzato che era troppo impegnato per rispondere alla mia email.
Con gli occhi puntati sullo schermo dove il film andava avanti, avevo iniziato a fantasticare su come fosse AB. Se anche lui avesse avuto un appuntamento al buio e se fosse stato orribile come il mio.
Mentre Tom Hanks cadeva dal tapis roulant, immaginavo se l’appuntamento di AB fosse stato piacevole. Se a lui piacesse lei. Se avessero creato una sorta di connessione. E se lui avesse deciso che era tempo di intrattenersi con una vera persona piuttosto che con una fittizia.
Qualcuno che poteva dare stabilità a suo figlio e a lui.
Quando Tom Hanks rimase bloccato nell’ascensore, inviai un’email. Quando Meg Ryan vide Tom Hanks nel bar e i due stavano parlando di NY152, inviai un’altra email. E, quando i protagonisti capirono che Meg Ryan era ShopGirl e Tom Hanks era NY152, pensai che volevo conoscerlo.
Alla fine della notte, dopo aver chiuso il mio laptop e messo la ciotola di popcorn nella lavastoviglie, nel letto Robbie era stata l’ultima cosa a cui potessi pensare.
Ora sapevo che non avevo scelta: dovevo parlare di lui.
«Non bene.»
«Come?» Rachel alzò di scatto la testa mentre abbandonava la crema che voleva mette nel suo caffè.
«Voglio dire, saremmo stati bene insieme. Ma non c’è stato nessun...» provai a spiegare, non riuscendo a trovare le parole. «click
Mescolai il mio caffè e presi un lungo sorso di caffeina, poi infilai la borsa sulla spalla e ripresi a camminare uscendo dal bar con Rachel che mi seguiva.
«Il primo appuntamento è sempre il più difficile.»
Abbassai la testa e mi diressi verso gli edifici in cui stavano i nostri uffici.
«Penso che questo fosse il mio ultimo appuntamento al buio, Rachel.»
«Cosa? Annabeth, non puoi gettare la spugna!»
«Non mi sto arrendendo» le dissi. «Se incontrerò qualcuno, sarò ben lieta di cogliere l’occasione. Ma, per ora, sto bene come sono. E se dovessi stare da sola per sempre...» Scrollai le spalle.
«Annabeth, sei una bella donna, sei intelligente e divertente. E ogni uomo sarebbe fortunato ad averti. Devi solo trovare l’uomo giusto, okay?» Cercò ancora di convincermi Rachel.
Con il passare degli anni, un po’ tutti avevano cercato di sistemarmi.
Juniper aveva cercato di rifilarmi un satiro, con cui non avrebbe funzionato. Grover mi aveva presentato un attivista, e non avevamo nemmeno finito il primo appuntamento che entrambi eravamo scappati a gambe levate. Malcolm mi aveva combinato un appuntamento con un uomo di successo, suo vecchio amico di college. E alla fine Dana aveva chiamato una sua vecchia amica di quando aveva l’età di Sam, Kelly.
Nessuno di loro aveva capito che io non volevo nulla di tutto ciò.
E Rachel era l’ultima a non volersi arrendere e capire.
«Rachel, penso che sto per arrendermi.»
«Arrenderti?»
«Ho finito.»
«Ma non puoi aver finito.» Rachel mi afferrò un braccio facendomi fermare nel bel mezzo del marciapiede, facendoci guadagnare una serie di occhiatacce da parte degli altri pedoni. «Senti, so che la gente dice che il tempo vola dopo i vent’anni, ma-»
«Rachel, non intendo questo. Stavo solo pensando che fosse ora di smettere di prendere in giro me stessa.»
«Annabeth, te lo ripeto: sei bella, intelligente, divertente. Ogni uomo sarebbe fortunato ad averti. È che non hai ancora trovato l’uomo giusto, okay?»
«No, Rachel, io l’ho trovato.»
Rachel spalancò gli occhi.
«Ho conosciuto un sacco di “ragazzi giusti” nella mia vita. Percy. William. Henry. E Robbie. Ma sono io a non essere giusta.»
«Annabeth, non dirlo questo.»
«Mi sta bene invecchiare come zia e non mamma. Mio figlio è la mia carriera. Parlerò del mio lavoro quando andrò alla casa di riposo. Sto bene da sola. E ho bisogno che anche tu lo capisca, okay?» le dissi, mettendole una mano sulla spalla.
«D’accordo» annuì infine Rachel. «È la tua vita dopotutto.»
Le sorrisi riconoscente e l’abbracciai.
«Ti chiamo dopo, va bene?»
«Se dovessi cambiare idea, conosco un sacco di ragazzi che ti piacerebbero sicuramente» mi disse Rachel. Annuii anche se sapevo che non sarei mai più tornata in argomento.
C’era qualcosa di liberatorio nell’ammettere che stavo veramente bene anche senza sposarmi o avere dei bambini. Mentre continuavo a sperare di trovare qualcuno da amare, avevo invece scoperto che andava bene anche se le mie speranze non si fossero avverate.
Io e Rachel proseguimmo per la nostra strada finché non lei non raggiunse il suo ufficio e io il mio.
Ogni giorno, mi sembrava di vivere in un sogno quando vedevo la targhetta che riportava la scritta “Agenzia di architettura Monte Olimpo”. Fin da quando avevo scoperto cosa fosse l’architettura, quello era stato il mio sogno. Avevo sempre saputo di voler costruire qualcosa di permanente, qualcosa di affidabile.
Ed ecco qui.
Ero la fondatrice di uno degli studi di architettura più importanti del mondo.
«Annabeth!»
Mi bloccai prima di schiacciare il pulsante dell’ascensore, mentre tutti stavano puntando gli occhi sulla mia mano dove avrebbe dovuto essere un grande anello di fidanzamento.
Dovetti ricordare a me stessa che tutti sapevano.
Henry aveva annunciato a tutto il mondo che io stavo per diventare una vecchia zittella (beh, magari non aveva detto proprio così). Ma mi sentivo come se dovessi nascondere la mia mano come un bambino quando combina una disastro.
«Cosa ci fai ancora qui, Malcolm? Pensavo avessi un treno per Washington.» Lanciai un’occhiata al mio orologio.
«È vero. Ma Mia si è dimenticata di avere un appuntamento improrogabile e ho bisogno che tu venga al suo posto, Annabeth.»
Lo guarda incredula.
«Vuoi dire che mi affidi il lavoro del monumento?»
Non avevo potuto ricoprire l’incarico fin dall’inizio perché ero fidanzata e dovevo pianificare le nozze, e la scadenza era stata prefissata per il 19 dicembre, quando si suppone io fossi dovuta essere in viaggio di nozze da qualche parte sulla West Coast a bordo di uno yacht, dove i paparazzi non avrebbero potuto trovarci.
Ma non ero più fidanzata.
Non avevo nessun matrimonio da organizzare.
E non sarei stata in viaggio di nozze su uno yacht a prendere il sole il giorno della scadenza.
«Sì, se riesci a prendere un treno per Washington entro...» Malcolm guardò il suo costosissimo orologio, regalo di Dana per il loro ultimo anniversario. «trenta minuti.»


 

Mi rilassai seduta comodamente sulla poltrona del treno e mi connessi alla rete del cellulare di Malcolm.
Era stato un miracolo che mio fratello mi avesse dato abbastanza tempo per recuperare almeno il mio laptop, ma il resto della mia roba era rimasta a casa, incluso il mio PC che conteneva tutto.
Ma non avevo intenzione di protestare.
Quell’incarico era ciò che volevo più di qualsiasi altra cosa e per cui avevo lavorato duramente. E, in qualsiasi caso, si trattava solo di due giorni.
Stavo iniziando a stendere un piano, cercando di ricordare in quale negozio ero solita andare quando avevo vissuto brevemente nella capitale durante il mio tour degli Stati Uniti mentre scappavo da Percy, sei anni fa. E silenziosamente stavo ringraziando gli dei per aver messo accidentalmente il mio pigiama preferito di Homer Simpson nella mia borsa quella mattina, quando sulla homepage mi si aprì la pagina di Hotmail.
AB.
Premetti il tasto per aggiornare la pagina e mi morsi un labbro mentre aspettavo che caricasse.
Nessun nuovo messaggio.
Niente?
Cercai di ricordare a me stessa che AB era un papà single con un bambino di sei anni, un lavoro stressante e una ex pazza.
Ma continuava a fare male non avere sue notizie.
Alla fine non resistetti e aprii una pagina per scrivere un nuovo messaggio.

 

To: AtlanticBoy16

From: WiseGirl210

Appuntamenti al buio.
Ho pensato di essere stata fortunata quando avevo conosciuto Henry perché significava niente più appuntamenti al buio. Ma gli appuntamenti al buio sembrano essere diventati peggiori ora che la mia carta di identità segna trent’anni invece che venti. Sembra che tutti siano spaventati che io rimanga da sola.
Perché sono spaventati se io sto bene così?
Comunque, cosa hai fatto la scorsa notte?
-WS

 

Non dovetti aspettare a lungo prima di ricevere una risposta.
 

To: WiseGirl210

From: AtlanticBoy16

Un appuntamento al buio è molto meglio di quello che ho fatto io ieri notte. Mio figlio sta cercando si farmi rimette con la mia ex, e non sembra capire che lei non può perdonarmi per quello che le ho fatto. E non posso solo sedermi e dirgli che morirò da solo perché sono stato un idiota che ha messo incinta sua madre.
Quando hai un appuntamento al buio, almeno puoi andartene e ignorare la persona.
Ma io non posso lasciare mio figlio e pretendere di non conoscerlo.
Per quanto mi riguarda non posso sopportare un altro appuntamento al buio. Ed è mille volte peggio quando sei un genitore single comunque, specialmente quando sei un papà single. Dovresti vedere gli allenamenti di calcio. Tutte quelle madri single che mi si avvicinano come se fossi l’ultimo uomo sul pianeta.
Se mai ti trovassi tanto disperata da volere un marito, vestiti bene e vai a una partita di calcio dove troverai un gruppo assortito di padri single. Un altrettanto gruppo di donne ti odierà, ma almeno troverai un uomo.
;D
-AB

 

Sorrisi tra me e me e chiusi la pagina, alzando lo sguardo su mio fratello.
Malcolm stava parlando al cellulare, facendo il sorriso da papà che faceva sempre quando parlava con Kate, la quale stava piangendo malgrado lui l’avesse rassicurata che sarebbe tornato in pochi giorni.
A volte non riuscivo a capire perché si riempisse di così tanti impegni lavorativi quando era ovvio che fosse un padre di famiglia.
Kate si mise a urlare mentre lui la salutava e io dovevo ammettere di essere gelosa quando lo guardavo parlare al telefono con i suoi figli.
Certo, sapevo che loro erano tristi, e anche lui lo era.
Ma si amavano così tanto…
Malcolm aveva una famiglia.
E io cosa avevo?
Un cucciolo, che non avrei potuto avere a causa del mio lavoro.
Un lavoro che amavo e che mi prendeva così tanto.
E un appartamento che adoravo malgrado il vicino che odiavo.
… O, forse, che amavo.

 

To: AtlanticBoy16

From: WiseGirl210

Me ne ricorderò ;D
Povero piccolo bambino.
La mia nipotina preferita sta cercando di mettermi con qualcuno che odio perché “Voi due siete così ca’ini che i vosti bambini sabebbero così ca’ini!” È difficile spiegarle che la ragione per cui a lei piace è la stessa per cui io lo odio, e vorrei essere arrabbiata per questo. Ma lei è così adorabile che non ce la faccio.
Sai quando ti trovi davanti un bambino così adorabile che ti fa immediatamente venire voglia di avere dei figli?
Mia nipote è una di quelli. Non posso guardarla senza pensare “Se avessi dei figli?” e realizzare che c’è solo una persona che conosca con cui vorrei avere un bambino. Ed è la stessa di cui non riesco a sopportarne la vista.
E tu?
Ti sei mai visto come un papà prima di Noah?

-WG


Fissai lo schermo mentre aspettavo la risposta.
 

To: WiseGirl210

From: AtlanticBoy16

Penso di sì.
Beh, non proprio così.
Mi sono sempre visto padre solo con la ragazza con cui stavo da sempre. Mi sono sempre visto camminare la domenica mattina, permettendole di dormire mentre io mi svegliavo i bambini e iniziavo a preparare la colazione.
Guardare loro ridere davanti ai cartoni animati e lei entrare in cucina in punta di piedi prima di andare a controllare i bambini.
Ma questo non succederà mai, lo so.
Conosco anch’io qualche bambino che hai descritto tu.
Quel genere sono le uniche cose che mi hanno salvato da un infarto mentre la madre di Noah era incinta di lui.

-AB

 

Puntellai le mie labbra con un dito, pensando a cosa volevo fare.
Infine riportai le miei dita sulla tastiera per digitare, poi presi un lungo respiro profondo prima di inviare.

 

♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣



PERCY
 

Ping.
Gettai un’occhiata al mio cellulare, vedendo la notifica che mi informava della nuova email, e sorrisi mentre giravo l’ennesima curva.
JoJo non abitava molto lontano da me, ma alcune volte mi sembrava che fosse un pianeta diverso.
Io abitavo in un piccolo complesso che “combinava gli aspetti migliori dell’abitare a New York con la vita di periferia” come riportavano gli opuscoli.
Ma JoJo aveva cercato di mantenere lo stile di vita giovanile che amava tanto. Così era costantemente in movimento da un appartamento di moda all’altro.
Quell’anno era un loft urbano vicino a dove vivevo, ed ero ancora preoccupato quando le lasciavo Noah a causa dei continui cambiamenti e dei pericoli all’ultima moda dell’appartamento di JoJo. Ma per lui una piccola visita era sempre meglio che non vedere mai sua madre.
Così, lasciavo correre.
Dato che Noah non aveva nessuna verifica per cui studiare (JoJo era completamente incapace quando si trattava di scuola) e sua madre aveva saltato l’ultimo fine settimana con lui, avevo pensato di far combaciare le due cose e permettere a Noah di stare da lei per tutto il weekend.
A JoJo l’idea era piaciuta: aveva detto che non doveva lavorare e che il tempismo era perfetto.
La faccia di Noah quando gli avevo detto che avrebbe passato tutto il fine settimana con sua madre era impagabile. Aveva persino smesso di parlare di Annabeth per un po’.
«Pensavo che mamma vivesse in quella vecchia casa.»
Stava parlando dell’ultimo appartamento di JoJo.
Per un breve periodo la moda aveva stabilito che la vita perfetta doveva essere vissuta in un piccolo pezzo di storia, quindi, ovviamente, JoJo aveva pagato molto più di quello che si poteva permettere per adattarsi.
Non era passato molto dall’ultimo trasferimento, ma mi faceva male pensare che mio figlio non sapeva della nuova casa.
«Ricordi, Noah? La mamma si è trasferita qui» gli dissi mentre parcheggiavo la mia piccola auto sotto al palazzo e uscivo.
Cercai di non prestare attenzione ai ragazzi che mi fissavano come se fossi un alieno. Io ero tutto ciò che loro non erano.
Ero più vecchio (trent’anni erano un modo completamente diverso rispetto ai ventidue, come avevo imparato a mie spese). Avevo un bambino mentre loro protestavano per non farsi controllare. Ero un papà che seguiva le partite di calcio del figlio e che passava i venerdì sera a guardare i film di animazione con mio figlio o a portar fuori per un gelato la squadra di calcio dopo una partita.
Ma i loro sguardi scomparvero quando videro JoJo uscire dal palazzo e aprire le braccia per abbracciare Noah.
JoJo aveva cambiato l’aspetto ancora una volta per essere alla moda.
I suoi capelli biondi ora erano diventati rossi e aveva una di quelle piume colorate fra le ciocche. Dal jeans due-taglie-troppo-stretti ai braccialetti, tutto in lei faceva riflette, e aveva messo abbastanza trucco per sembrare una studentessa del college che cercava di sembrare più vecchia.
«Mamma!»
«Ehi, Babino.» JoJo baciò Noah sulla sommità del capo mentre lo teneva ancorato sul fianco.
Sorridendo, consegnai a JoJo lo zaino.
«Ricordati di non dargli alcun fungo, okay?»
Noah era terribilmente allergico ai funghi, cosa che avevamo scoperto di recente. Quindi, la settimana dopo il referto degli esami, cosa decide di cucinare JoJo?
Esatto, funghi.
«Lo so, Percy.» JoJo roteò gli occhi, comunicandomi silenziosamente che si era trattato solo di un errore.
«E tieni il cellulare a portata di mano nel caso lui ne mangiasse accidentalmente qualcuno.»
«Lo so, Percy.» JoJo puntò i suoi occhi blu su di me.
Era ancora difficile pensare che Christine avesse descritto Annabeth a Noah uguale a JoJo solo con “lunghi capelli biondi e bellissimi occhi blu”.
L’errore sul colore degli occhi era un errore che facevano tutti ogni volta (per anni, quando qualcuno vedeva una foto di me con Annabeth, scherzavano sempre su come avessi fatto a trovare una perfetta Californiana con lunghi capelli biondi e occhi azzurri). A un certo punto avevano avuto entrambe la stessa sfumatura di biondo dorato, anche se nel caso di JoJo si era trattato di un errore di tinta. Un altro tratto in comune erano i zigomi alti e le labbra carnose, anche se quelle di JoJo derivavano da un intervento del chirurgo.
Ma io non le avevo mai trovate così simili.
Annabeth era gentile. Qualche volta troppo intelligente per il suo bene, ma aveva un cuore buono.
E potevo giurare che alcune volte JoJo sembrava il diavolo.
«Okay, d’accordo.» Baciai Noah sulla fronte. «Fai il bravo.»
«Ti voglio bene, papà.»
Il mio cuore si riscaldò.
«Divertitevi.»
Noah annuì mentre JoJo lo rimetteva a terra, e io cercai di non notare come lei si stesse guardando intorno per vedere se i suoi amici l’avessero vista agire come un’adulta invece di essere la ventenne che tutti loro conoscevano.
«Ciao, JoJo.»
«Ciao, Percy.» JoJo agitò la mano per cacciarmi e io notai il nuovo tatuaggio sul suo polso destro raffigurante un passero.
Gemetti mentalmente, ma mi stampai un sorriso in faccia e accesi l’auto.
Stavo pensando a che tipo di insegnamento Noah potesse trasse dall’avere entrambi e genitori tatuati e stavo immaginando che tipo di tatuaggio si sarebbe fatto da grande se avesse voluto quando mi immisi sulla strada e inizia a guidare.
Sarebbe stato un tatuaggio sul braccio come il mio? O si sarebbe coperto con strani simboli di moda come sua madre?
Dopo un tempo che sembrava infinito, mi ritrovai al negozio di prodotti naturali di Grover.
Sorrisi mentre parcheggiavo.
Quando Grover si era sposato, il regalo di Juniper era stata la possibilità di lasciare il Campo e, con Grover che era sempre in giro per il mondo, Juniper aveva deciso che voleva qualcosa qui perché le faceva male il pensiero di poter lasciare il Campo ma non essere in grado di girare insieme a lui.
Così, Grover aveva aperto un negozio di prodotti naturali.
ECOlogical, un negozio di cibo salutare e prodotti naturali nella parte urbana della città che faceva ottimi affari.
Non appena sentii il suono famigliare della campanella d’entrata, arricciai il naso per l’orribile odore delle numerose erbe mischiate insieme che mi causarono uno stordimento non descrivibile a parole.
Le persone che entravano nel negozio sembravano non accorgersene mai.
Solo io.
«Ehi, Perce!» disse Juniper da dietro al bancone, guardandomi attraverso il retro di una bottiglia.
«Fertilizzante?» lessi dall’etichetta.
«Sto prendendo le pillole. Quando Grover vedrà quanto Noah ti ama quando sarà di ritorno, sono sicura che ci ripenserà, ne sono sicura.» Juniper si strinse nelle spalle mentre metteva in bocca un pastiglia e la ingoiava con l’aiuto di un sorso d’acqua.
«Come sta andando, June?»
«Bene! Sono appena andata a pranzo con...» La faccia di Juniper si paralizzò, pensando di non poter parlare dell’argomento.
«Puoi dire il suo nome, Juniper. Noah lo fa ogni volta.»
«Noah lo sa?» I suoi occhi si spalancarono.
Per lei, Noah era ancora quel piccolo bambino che aveva visto quando era uscito dall’ospedale. Adorabile, con grandi occhi azzurri e capelli neri. Un grande sorriso costante e quell’innocenza che solo i bambini hanno.
Quando le raccontavo che Noah faceva i capricci, lei non mi credeva mai.
«JoJo si è lasciata scappare che io ho spezzato il cuore di una povera ragazza a causa suo. E poi l’abbiamo vista e Noah è fissato sul volerci far rimettere insieme. Sta cercando di trasformare la nostra vita in un qualche film per bambini» dissi a Juniper mentre guardavo una risma di carta riciclata da altrettanti quaderni di carta.
«JoJo.» Juniper scosse la testa.
Nessuno odiava JoJo più di Juniper.
Aveva sempre pensato che JoJo fosse una falsa perché faceva finta di essere ecologica per seguire la moda, invece di avere un vero e proprio interesse nel proteggere l’ambiente.
«Non sono felice di sentire parlare di quella donna, Percy.»
Juniper mi guardò, stringendo gli occhi.
«C’è qualcosa di cui hai bisogno, Perseus?»
«Potrei prendere in prestito il tuo computer?» chiesi, lanciando un’occhiata al mio cellulare.
«Certo, è nel retro. Conosci già la password.» Annuì verso il retro mentre nascondeva la sua bottiglia di pillole fertilizzanti nel caso Grover fosse tornato improvvisamente.
Conoscevo il percorso per arrivare al magazzino come se il negozio fosse stato mio.
Prima che Grover acquistasse la proprietà, nell’edificio era ubicato un negozio di skateboard dove avevo lavorato con Annabeth per tutte le superiori.
Mi morsi il labbro forzando me stesso per non ricordare i bei tempi passati insieme al negozio di skateboard. Accesi velocemente il computer ed entrai nel mio account di posta Hotmail.

 

To: AltanticBoy16

From: WiseGirl210

Mi stai quasi facendo piangere, lo sai?
Come può l’immaginare una vita con bambini che non avrai mai portarti a perdere la testa?
Non ho mai voluto dei figli. Il ragazzo con cui stavo insieme da una vita invece li voleva. Per oltre dieci anni ha provato a convincermi ad avere dei figli, un giorno. E, una volta che ci era riuscito, abbiamo rotto. Henry voleva dei bambini… Beh, lui pensava di volerli. Non sono sicura che sarebbe stato un buon padre, ma lui continuava a volerne.
E ora sono io che ne voglio disperatamente uno. Improvvisamente non voglio essere una madre in carriera e la carriera è tutto ciò che ho ora come ora.
Comunque, sto un po’ impazzendo.
Cosa sta facendo quel piccolo dolce Noah?
E tu? Qualcosa di interessante?
… Vorrei porti vedere e poter finalmente dire che non sei solo una bugia attraverso lo schermo.
Penso di volerti incontrare. Lo so che ho detto un migliaio di volte che le cose sono meglio se rimangono così. Non posso costringerti. Potrei combinare un casino come faccio sempre con le mie cose. Ma non penso di poter resistere ancora a lungo da questa parte dello schermo.

-WG

 

Fissai lo schermo con incredulità prima di digitare la risposta.
 

To: WiseGirl210

From: AtlanticBoy16

Noah sta bene, come sempre. È con sua madre per il weekend.
Io?
Sto per avere un attacco di panico pensando alla possibilità che lei si dimentichi che nostro figlio è allergico ai funghi e che glieli dia per cena un’altra volta.
Sai, se sua madre non mi avesse detto di Noah, probabilmente non l’avrei mai conosciuto. Continuo a pensare a come sarebbe potuta essere la mia vita se non avessi saputo della sua esistenza.
Per prima cosa, il suo nome sarebbe Issia. Continuerebbe a trasferirsi da un appartamento all’altro perché sua madre è sempre in movimento sulla cresta della moda. I suoi fidanzati sono orribili e sono preoccupato per come lo potrebbero trattare.
Odio davvero sua madre.
Non per la persona che è, ma per la madre che è. E ora mio figlio continua a giustificare quello che lei fa, anche se penso che lui sappia la verità.
Comunque sia, non importa…

Pensai di chiudere lì l’email e di inviarla, ignorando la sua proposta di incontrarci e di dare un volto alla persona vivace che conoscevo dietro allo schermo.
Ma non riuscii a premere il pulsante di invio.

Sai, sto cercando di immaginare come tu sia. Non so molto altro oltre al fatto che hai i capelli biondi.
Vorrei anch’io che ci incontrassimo.

-AB


 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Questa è la traduzione della soria You've got mail” pubblicata su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”.
Il permesso di tradurre mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo).
Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.







 
You've got em@il
 

Capitolo 9
 

ANNABETH
  

Gli occhi di Rachel scorrevano avidamente lungo le parole illuminate sul mio laptop, cercando di capire perché fossi così nervosa quando ero arrivata per il nostro pranzo.
Onestamente, non ero affatto nervosa.
Ero terrorizzata.
Nelle ultime settimane non avevo smesso un secondo di pensare a lui e non vedevo l’ora di conoscerlo dal primo momento in cui avevo iniziato a parlare con AB. Ma, ora che stavamo per conoscerci, il mio cervello aveva cominciato a dare i numeri.
E se AB era uno killer psicopatico?
E se tutto quello era solo una scommessa con i suoi amici, in cui doveva far innamorare una ragazza attraverso internet?
E se… E se AB fosse stato Percy?
La notte scorsa avevo avuto un incubo terribile, uno dei peggiori di sempre.
Se chiudevo i miei occhi troppo a lungo, potevo vederlo ancora lì, con addosso la vecchia maglietta del college che mi svelava chi fosse realmente AB. Era così realistico… E continuava a sembrare perfetto, come sempre.
La parte peggiore era che combaciava!
Un figlio di nome Noah. Una donna pazza come madre del bambino. Aveva tutto senso… Ma sentivo che stavo prendendo una grossa cantonata.
Perché Percy era… cattivo.
Assolutamente senza cuore.
Mi aveva ingannato. Me! Non solo aveva avuto una storia clandestina, ma anche un figlio. E ora se ne andava in giro come se fosse un padre modello che aveva sacrificato tutto per suo figlio quando invece era entrato nella vita di Noah solo quando il piccolo aveva un anno o poco più.
Mentre AB…
Lui amava suo figlio. Era lì a ogni appuntamento dal ginecologo, a ogni ecografia e aveva lottato per la custodia di suo figlio. Quel ragazzo non mi avrebbe mai ingannato.
Inoltre… pensavo che AB avrebbe potuto amarmi.
E Percy…
Non lo sapevo.
«Vi incontrerete!» Rachel sorrise, mettendola più come un’affermazione che come una domanda. «Oggi!»
La mia rossa amica mi strinse in un abbraccio stretto malgrado l’angusto spazio in cui eravamo sedute, e i miei occhi tornarono nuovamente al laptop, lanciando un’occhiata allo schermo.
Avevo solo un ora prima di incontrarlo.
«Sei nervosa?» Mi chiese Rachel sorridendomi.
Nervosa.
Nervosa non era la parola giusta.
Sei nervoso il primo giorno di scuola.
Sei nervoso prima di dare il primo bacio.
Sei nervoso quando attendi che il professore consegni una verifica particolarmente difficile.
Stavo per esporre tutto questo, ma mi trattenni.
«Sì» annuii infine, mettendo una ciocca dei miei capelli biondi dietro l’orecchio. «Uhm, non pensi che questo ragazzo sia famigliare?»
«Famigliare? Credi di averlo già conosciuto?» Rachel aggrottò le sopracciglia confusa.
Mi sentii male quando aprii la bocca per dare voce alle idee che mi frullavano in testa.
«Sai, come qualcuno che conosciamo entrambe…»
«Entrambe?»
«Qualcuno che a entrambe è… piaciuto
Gli occhi verde San Patrizio di Rachel si spalancarono in stato di shock quando finalmente capì di chi stessi parlando.
«Pensi che sia Percy?»
«Beh, ho solo… fatto un sogno…» Mi bloccai quando mi accorsi di quanto sembrasse assurdo.
«Come un sogno di un mezzosangue?» chiese Rachel sapendo che alcune volte anche i semidei potevano sognare il futuro. Ma non avevo più quell’abilità da tanto tempo ormai, da quando i miei sogni avevano cominciato a fallire.
Come il sogno dove sposavo Percy, il che non era mai successo…
«Non lo so» Scrollai le spalle mentre chiudevo il mio portatile e lo mettevo nella borsa. «Sono solo paranoica.»
«Certamente e così!» disse Rachel d’accordo.
Potrebbe non essere Percy.
Potrebbe non essere, continuai a dire a me stessa mentre raccoglievo le mie cose e mi alzavo dal tavolo del locale dove ero solita pranzare spesso da quando avevo sedici anni.
Malgrado il rischio di inciampare in Percy ogni volta che uscivo di casa, ero felice di essere tornata a New York. Amavo andare nei posti che frequentavo da giovane. Amavo uscire dal lavoro ed esplorare la città come ero facevo sempre quando ero una teenager.
Ogni volta, scoprivo qualcosa di nuovo.
Un nuovo edificio. Un nuovo negozio. Qualcosa che era stato demolito. O qualcosa che era stato aggiunto attraverso la folla di pedoni.
Le cose potevano cambiare qui. Niente era sempre lo stesso.
E mi piaceva.
Potevo iniziare da quel punto.
«D’accordo, mandami una foto, okay?» Mi sorrise Rachel. «Voglio vedere se è più sexy di persona di quello che sembra online.»
Sorrisi e le diedi una gomitata.
«Lo farò, promesso.»

 

♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣



PERCY
 

Il mio cellulare si illuminò per l’arrivo di un nuovo messaggio.
 

Vorrei che fossi qui con noi!

-N

 

Cliccai per visualizzare l’immagine che Noah aveva scattato con la fotocamera del suo telefono. Dovetti mettere il telefono in orizzontale per poter vedere la foto che ritraeva mio figlio con JoJo a qualche fiera. Noah teneva in mano orso di peluche che era più grande di lui.
Almeno si stanno divertendo…
Salvai l’immagine nella galleria, sorridendo mentre lanciavo un’occhiata al mio orologio.
Era quasi ora d’incontrarla…
Feci scivolare il telefono nella tasca della mia giacca, pensando silenziosamente a come fosse strano che avessi già freddo in questo periodo dell’anno, e inizia a camminare verso la gelateria dove portavo mio figlio da oltre tre anni.
Non sapevo perché avessi scelto proprio la gelateria quando WG mi aveva chiesto un posto dove incontrarci, ma era stata la prima cosa che mi era venuta in mente.
E, ora che stavo pensando a quale altro posto avrei potuto scegliere, realizzai che la gelateria era veramente l’unico posto che potevo selezionare. Qualsiasi altro posto avrebbe potuto ricordarmi Annabeth. E volevo dei nuovi ricordi per WG, o qualunque fosse stato il nome.
Come poteva chiamarsi?
Alex?
Beatrice?
Cassie?
Stavo pensando ai diversi nomi quando vidi lei.
«Oh, merda.» Mi bloccai e mi nascosi dietro a una quercia del parco che stavo attraversando e mi sporsi esitante per assicurarmi che fosse realmente lei.
Decisamente.
Era Annabeth.
Era esattamente uguale a quando aveva sedici anni, assolutamente bella, anche con un paio di vecchi jeans e un maglione di Harvard. Teneva in spalla la custodia di un computer, quella che suo padre le aveva comprato anni prima. Sembrava aver fretta di arrivare dovunque dovesse andare.
Volevo continuare a nascondermi dietro alla pianta finché non se ne fosse andata. Ma anch’io avevo un posto dove dover andare.
Trattenni il respiro, ma alla fine costrinsi i miei piedi a muoversi.
Vivevo a New York da una vita e la conoscevo come le mie tasche. Non doveva essere così difficile scappare da Annabeth senza farmi vedere e prendere una scorciatoia per la gelateria. Conoscevo tutte le strade.
Il mio problema era che Annabeth aveva un’ottima memoria. Conosceva anche lei la scorciatoia e guarda caso stava per percorrere proprio quella. Ma io non potevo saperlo così continuai a camminare dritto senza alzare lo sguardo, finché non andai a sbattere accidentalmente contro un certo qualcuno.
«Oh, mi dispiace.»
«È stata colp-»
I suoi occhi grigi si spalancarono e io mi raggelai.
«Tu.» La sua mascella si strinse, ma non se ne andò subito come mi aspettavo facesse.
E io non potevo muovermi.
«Cosa ci fai qui?» Annabeth incrociò le braccia, squadrandomi lo sguardo.
«Non ho il permesso di camminare in un parco, ora?»
«No, non ce l’hai!» Annabeth agitò le braccia all’aria e io avevo il brutto presentimento che stesse per arrivare un temporale.
«Quindi cosa mi è permesso fare, se posso chiedere?»
«Non venirmi vicino!» urlò.
«Vuoi che ti metta un chip di rintracciamento così che io sappia dove non andare? O ci sono solo alcune parti della città che non posso frequentare?»
«Non fare l’idiota con me, Percy!» Annabeth alzò gli occhi al cielo.
Aveva solo detto idiota, ma una madre lì vicino coprì le orecchie del proprio figlio e lo guidò lontano da noi, lanciandoci un’occhiataccia.
«Io? Io
«Sì, tu!» gridò Annabeth, incurante di quante persone nel parco ci stessero fissando.
«Il tuo piccolo Testa d’Alghe?» sputai mentre i suoi occhi grigi si facevano duri.
«Perché no? Sei già un ipocrita! Forse faresti meglio ad aggiungere anche questo alla lista di nomi!» disse Annabeth puntandomi un dito addosso.
«Come posso essere un ipocrita
«Noah!» urlò Annabeth. «Eri così geloso quando quel ragazzo del mio ufficio aveva una cotta per me, ma nel mentre tu mi tradivi tutto il tempo! E ora te ne vai in giro come se fossi il padre migliore del mondo, anche se non sei sempre stato presente nella vita di Noah!»
«Di cosa diavolo stai parlando? Ci sono sempre stato per mio figlio e non ti permetto di affermare il contrario!»
«So ancora contare e lui ha sei anni, Percy!»
«Ne ha cinque, Genio!»
La bocca di Annabeth si spalancò e lei si ritrasse.
«Cosa?» La sua voce si fece piccola, quasi inudibile.
«Il suo compleanno è il quattordici giugno» dissi abbassando la voce, non più in grado di urlarle ancora contro.
Gli occhi di Annabeth si fecero più grandi mano e mano che faceva i conti.
No, anzi. I suoi occhi si spalancavano mentre finalmente capiva.
Non l’avevo lasciata perché mi sentivo in colpa per aver avuto in segreto un bambino. Non ero così geloso perché la stavo tradendo e quindi sapevo cogliere i segnali. Non ero distante perché sapevo che lì fuori c’era un bambino che condivideva il mio DNA e non anche quello di Annabeth.
Ero geloso perché l’amavo più di ogni altra cosa. Ero distante perché il senso di colpa per la storia con JoJo mi stava uccidendo e non sapevo come dirglielo. E l’avevo lasciata a causa di Noah...
«Ha cinque anni» ripeté Annabeth, portandosi una mano alla bocca mentre metteva insieme tutti i pezzi.
Non sapevo cosa fare.
Dovevo mantenere l’orgoglio oppure confortarla?
Dovevo continuare a spiegarle o lasciare che capisse tutto da sola?
Dovevo dirle che mi mancava o era ancora una cosa troppo sbagliata da fare?
Lei alzò lo sguardo e incrociò i miei occhi, guardandomi veramente per la prima volta da quando le avevo detto che me ne andavo, sei anni prima. Lei stringeva le labbra per trattenere le lacrime e non cadere davanti a me.
Annabeth aprì la bocca per dire qualcosa, ma si bloccò.
E poi se ne andò, nella direzione opposta da quella in cui stava andando prima che ci scontrassimo.
Estrassi il mio telefono dalla tasca.
Avevo ancora tempo se volevo incontrare WG, ma all’improvviso non potevo.
Chiusi la zip della mia giacca fino al mento dato che non avevo più bisogno di mostrare la t-shirt del college che indossavo sotto per sembrare meno vecchio, e cominciai a camminare.
Perché non mi sentivo bene?
Avevo sempre voluto dirle la verità, di dirle che quello che pensava era sbagliato. Che, malgrado non mi trovassi in una buona situazione, non ero cattivo.
Ma, prima di ora, lei poteva odiarmi con tutta se stessa. Sapeva che non solo ero stato crudele, ma che ero anche un mostro. Poteva biasimarmi per essere stato un cretino (che sotto sotto ero), e non solo qualcuno che aveva commesso un errore. Tutto avrebbe potuto finire in un altro modo.
Avrei potuto non andarmene. Avrei potuto sposarla. E Noah avrebbe potuto essere nostro figlio.
Accelerai il passo mentre cercavo di spingere via dalla mia mente quell’immagine.
Prima odiavo il modo in cui i suoi occhi grigi mi guardavano come se fossi stato Ade in persona, come se fossi stato peggiore di Ade. Come la peggior belva che poteva esistere nel sottosuolo.
Ma preferivo mille volte di più quello sguardo al modo in cui mi aveva guardato oggi.
Negli ultimi sei anni, non avevo fatto che pensare al giorno in cui avevo lasciato Annabeth, in particolare al modo in cui mi aveva guardato. Al modo in cui non sapeva se mettersi a piangere o urlare. Se odiarmi o gettarsi sulle ginocchia e pregarmi di restare. Se uccidermi o baciarmi. Ma l’unica cosa che i suoi occhi avevano mostrato era stato dolore.
Il dolore pure nei suoi occhi era stato più di quanto avessi mai visto e al pensieri mi volevo uccidere.
La sveglia del mio cellulare prese a squillare e io lo estrassi per vedere la scritta in lettere cubitali che lampeggiava sullo schermo: INCONTRO CON WG!
Premetti il tasto ignora e mentalmente iniziai a stendere una email di scuse per averle dato buca.


 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Questa è la traduzione della soria You've got mail” pubblicata su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”.
Il permesso di tradurre mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo).
Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.







 
You've got em@il
 

Capitolo 10
 

ANNABETH
  

Sbirciai fuori dalla mia finestra appena lui uscì di casa.
Da quando mi ero trasferita, lui partiva per andare a lavorare molto presto rispetto. Come insegnante, pensavo avesse senso e tutto, ma potevo dire che Noah odiava dover partire così presto.
Percy stava portando la borsa sportiva di Noah. Si fermarono appena fuori dalla porta e Percy si abbassò per allacciargli le stringhe slacciate delle scarpette di calcio. Sorrise a suo figlio, dicendo qualcosa che io non riuscii a sentire prima che entrambi sparissero dietro la fila di auto.
Come avevo potuto pensare male di lui?
Era veramente un buon padre. Percy non mi aveva lasciato perché il senso di colpa per aver avuto una famiglia in segreto lo infastidiva. Mi aveva lasciato perché aveva scoperto di Noah. E io aveva frainteso tutto…
Una volta che sentii il suono del motore prendere vita e la macchina sgommare via, chiusi di nuovo le tende e cominciai a camminare attorno alla stessa posizione che avevo avuto per tutto il tempo da quando ero tornata a casa dopo aver saputo che Noah aveva cinque anni e non sei, come invece avevo pensato io.
Mi sedetti sulla poltrona, reclinando appena lo schienale verde e mi allungai per prendere la tazza di caffè appoggiata sul tavolino.
Per le ultime ore, ero rimasta immobile.
Tutto quello che potevo fare era stare seduta sulla mia poltrona e continuare a pensare, ad analizzare tutto quello che era veramente successo negli ultimi sei anni, non quello che pensavo fosse successo.
Ed ero andata avanti più di un ora prima che mi potessi muovere di nuovo. Tutto quello che volevo poi era muovermi il più possibile per impedirmi di pensare troppo.
Quindi mi ero preparata un caffè, fatta una doccia e mandato un messaggio a Malcolm per avvisarlo che ero malata e che non sarei andata in ufficio.
E poi avevo sentito la voce di Percy…
Avevo lanciato velocemente un’occhiata all’orologio.
Sei del mattino.
Era meglio se iniziavo a scrivere il mio messaggio allora…
Recuperai il mio portatile dal divano e vidi che avevo già ricevuto una email da lui. Mi aveva anticipata.


 

From: AtlanticBoy16

To: WiseGirl210

Scusa se non ce l’ho fatta.
È successa una cosa… pazzesca.

-AB

 

Era successa una cosa pazzesca.
Quella era l’eufemismo del secolo.
Presi un lungo respiro e iniziai a scrivere quello che dovevo dire.
No, quello che avevo bisogno di dire.

 

From: WiseGirl210

To: AtlanticBoy16

E’ successa una cosa pazzesca… Non potrei dirlo meglio.
Non mi sono presentata neanche io. È una lunga storia che non penso neanche di riuscire a spiegare. Comincio a sentire la mancanza di quando le cose erano noiose…
Comunque sia, sto pensando molto…
Niente di sorprendente, eh?
Beh, quello che sono sicura è che le cose sono troppo incasinate. Voglio dire, non volevo nemmeno far parte di questo dramma, quindi non mi sembra giusto trascinarci dentro qualcun altro.
Voglio ancora conoscerti. Davvero. Ma… non ora.
A te sta bene?

-WG

 

Trattenni il respiro mentre ascoltavo il suono proveniente dal portatile che mi indicava che il messaggio era stato spedito.
Sapevo di non avere nessun obbligo a conoscerlo, però volevo farlo. Ma, più di ogni altra cosa, volevo conoscere la verità. Non la versione semplificata che avevo raccontato a me stessa, ma la vera verità.
E sapevo dove trovarla.
Raccolsi i miei capelli in una coda poi mi infilai un paio di jeans e una vecchia maglietta. Girai per tutta la casa in cerca delle scarpe e aspettai finché non fui sicura che lei era sveglia prima di uscire finalmente dal mio appartamento e avviarmi verso quello di fronte, attraversando il cortile.
Giocherellai nervosamente con i miei capelli prima di decidermi a schiacciare il campanello.
«Arrivo subito!» La sua voce era fievole mentre mi diceva di aspettare. Sistemai nuovamente la maglietta prima che la porta di aprisse, pregando che non mi dicesse nuovamente che avevo bisogno di un nuovo look e che mi portasse fuori a fare shopping come l’ultima volta in cui mi aveva visto indossare i jeans.
Quando la porta si aprì, mi disegnai un sorriso in faccia.
«Ehi, Christine.» Sorrisi alla donna anziana, la quale indossava un grazioso grembiule che sua nipote le aveva cucito.
«Annabeth!» Sorrise anche lei, stringendomi in un abbraccio che mi rese difficile respirare. «Cara, come stai?»
«Uhm, bene. Ho preso un giorno di riposo dal lavoro.» Alzai le spalle. «E volevo parlare con te.»
Christine continuò a sorridermi mentre mi faceva accomodare in cucina dove una teglia di biscotti al cioccolato appena sfornati sembravano aspettare il mio arrivo. Christine sollevò una caraffa di acqua per chiedermi se ne volessi un bicchiere, ma io scossi la mano e rubai un biscotto.
«Di cosa volevi parlarmi, Annabeth?» chiese Christine mentre si sedeva difronte a me.
«Da quanto tempo conosci Percy?» domandai mordendomi la lingua per costringermi a non piangere di nuovo.
«Circa due anni, credo. Jackson è un bravo ragazzo e suo figlio è fantastico. Mi sento male per quel ragazzo. Una scelta sbagliata e il suo mondo è andato a rotoli per sempre» mi disse Christine mentre si riempiva un bicchiere di acqua. «Perché me lo chiedi, Annabeth?»
«Aspetta, quale scelta sbagliata?»
«JoJo! Giuro, quella donna è malvagia.» Christine agitò animatamente le mani mentre raccontava. «Aveva una cotta per Jackson al college e una notte lo vide completamente ubriaco. Erano amici durante gli studi, penso. O forse si erano conosciuti alle superiori, qualcosa del genere. Comunque, il suo amico cercò di farlo smettere e di portarlo via, e lo aveva appena convinto ad andarsene a casa quando JoJo convinse l’amico a lascialo lì, dicendogli che si sarebbe assicurata che non facesse nulla di stupido.»
Christine roteò gli occhi mentre prendeva un altro bicchiere d’acqua.
JoJo?
Conoscevamo una JoJo quando eravamo al college?
«Jackson amava un’altra ragazza e non glielo disse mai. E non gli disse mai nemmeno di Noah così lei lo odiò.» Christine alzò le spalle. «Perché lo chiedi, Annabeth?»
La gola mi si chiuse e sentii che il biscotto appena mangiato voleva ornarmi su per l’esofago.
«Ehm, è una lunga storia.»
Christine puntellò i gomiti sul tavolo e si incorniciò il viso con le mani. Il suo sorriso largo mi suggeriva che avevo tutto il tempo per raccontare.
«Diciamo che conosco Percy...»
«Ti senti bene, cara? Sei rossa come una fiamma.» Christine appoggiò il palmo sulla mia guancia.
«Sì. Ti dispiace se prendo un bicchiere d’acqua?» Tirai la mia maglietta, sentendo improvvisamente caldo.
«Certo che no! Te ne verso subito uno, cara.» Christine corse verso la dispensa e prese un nuovo bicchiere, riempiendolo con dell’acqua purificata prima di portarmelo. «Ora, come fai a conoscere Jackson?»
«Siamo stati amici per molto tempo, da quando avevamo dodici anni circa. Abbiamo iniziato a uscire quando ne avevamo sedici e...» Presi un respiro profondo, sapendo che non potevo nasconderglielo ancora a lungo. «Siamo stati insieme per quasi dieci anni.»
Christine mi guardò in silenzio, mentre metteva insieme tutti i pezzi.
«Sono io la ragazza. È me che ha lasciato.»
Christine lasciò cadere il bicchiere, i suoi occhi marroni spalancati, e si portò la mano alla bocca.
«Non avrei dovuto dirti niente! Era sua compito farlo.» Velocemente mi si avvicinò mentre i cocci di vetro facevano uno strano rumore sotto le sue pantofole.
«No, no, avevo bisogno di sapere cos’è successo e Percy non mi poteva dire...» mi bloccai.
Christine avvolse le sue mani intorno alle mie, dandomi una stretta confortevole.
«Se vuoi veramente conoscere tutta la storia, sai dove devi andare.»
Mi raggelai.
«Non penso di essere pronta per questo.»
«Lo sei invece, Annabeth.» Strinse un’ultima volta la mia mano prima di andare verso un’agenda posizionata vicino ai fornelli e copiò velocemente qualcosa sopra un post-it blu, tornando poi da me. «E io so dove puoi trovarla.»

 

♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣___♣



PERCY

 

«Ho vinto!» Kate esultò mentre buttava la sua ultima carta sul tavolo.
Come riusciva a battermi sempre?
All’inizio il mio obbiettivo era perdere per vederla sorridere, ma quella volta avevo veramente provato a vincere.
E poi guardai gli occhi verdi di Kate e ricordai chi fosse sua nonna.
Come facevo prima che Annabeth tornasse in città, stavo facendo da babysitter a Kate e a suo fratello maggiore, Sam. Erano dei bravi bambini, magnifici in realtà. Avevano la pazienza tipica di Atena e mi faceva sentire bene che fossero più maturi degli altri bambini per la loro età, come Noah.
Non riuscivo a capire come Noah potesse essere così maturo quando aveva me e JoJo come genitori, ma avevo il presentimento che fosse merito di tutto il tempo che aveva passato con Christine.
«Mi hai battuto ancora, KatyCat!» Scossi la testa e buttai le mie ultime due carte sulla pila.
«Cosa stanno fafendo ‘Oah e Sam?» domando Kate agitandosi sulla sedia per riuscire a guardare il cortile, dove Noah e Sam stavano correndo in giro giocando ai Pirati, con Sam come generale e Noah capitano. Avevo il brutto presentimento che avessero guardato troppo Johnny Depp.
«Stanno giocando ai pirati.» Sorrisi a Kate.
Dovevo ammettere che, anche se potevo giurare di essere stato il padre più fortunato di questo mondo ad avere avuto Noah, continuavo a desiderare di avere una piccola femminuccia come Kate.
«Pirati?» Kate alzò le sopracciglia e io provai a non ridere.
«Sempre meglio che vederli sempre dietro a rincorrere un pallone.»
Kate sorrise e annuì mentre i suoi capelli ricci ballonzolavano come impazziti.
«’Oah ha sempe gioato a calcio?» chiese Kate mentre appoggiava i gomiti sul tavolo.
«Sempre. E Sam?»
Kate annuì, spostandosi i capelli da davanti agli occhi.
«Lo pende toppo seiamente» Kate giocò con il nuovo ciondolo della collanina a forma di gufo, un nuovo regalo dalla sua zia preferita Annabeth.
«Sono d’accordo.»
Kate sorrise, ma poi il suo volto si fece serio mentre pensava a qualcosa.
«Tutto bene, Kate?»
«Stao solo pensando a te e a zia Annabef.»
Mi raggelai.
«Cosa intendi?»
«Coa è succeffo ta te e zia Annabef?» mi chiese ancora la bambina e io cominciavo a essere stordito.
«Ci conoscevamo.»
Kate corrugò la fronte, confusa.
«In che senso vi conofevate?»
«Beh, eravamo migliori amici da bambini-» Mi strinsi nelle spalle, non sicuro di come continuare senza finire in un mare di guai. «E poi abbiamo smesso di vederci qualche anno fa.»
Ti prego non chiedere nient’altro, pregai.
«Penfo di avel sentito fia Annabef piangee dopo quello...» Kate giocherellò con il suo ciondolo ancora un po’. «Ei tu la ‘agione pe cui lei piangeva?»
Piangeva
Lo aggiunsi alla lunga lista delle volte in cui Annabeth aveva pianto per me.
«Non lo so, Kate» mentii.
Sapevo esattamente perché Annabeth stava piangendo, ma mi sarebbe piaciuto sapere che c’era almeno una persona al mondo che non mi credeva cattivo, anche se c’era una dolce bambina di quattro anni che ero sicuro avrebbe trovato buono anche Crono se questo l’avesse lasciata vincere a Uno.
Kate sorrise debolmente e annuì.
«Vuoi uscire a giocare con i ragazzi?»
Lei annuì, scese dalla sedia del tavolo da pranzo e iniziò a correre verso il cortile, dove i ragazzi i ragazzi stavano discutendo per decidere se avesse vinto Noah oppure Sam, e io non riuscivo a smettere di sorridere quando Kate mise fine alla faida con una sola parola.
Esattamente come faceva Annabeth…
Ero felice che Noah avesse trovato in Sam e Kate degli amici, ma alcune volte faceva male.
Vederli giocare mi ricordava i vecchi tempi con Grover e Annabeth, il nostro piccolo gruppo.
Sam era Grover, solo che Sam era più caposquadra di Grover, ma anche lui andava fuori di testa quando beveva un goccio di caffè.
Noah era me.
E Kate assomigliava così tanto ad Annabeth che a momenti faceva paura.
Avrei voluto tanto tornare noi tre insieme. Poter dimenticare tutto ed essere solo amici, di nuovo.
Grover spendeva la maggior parte del tempo raggirando me e Annabeth, cercando di agire come se non lo facesse, ma io lo conoscevo troppo bene. E, onestamente, sapevo che Annabeth meritava almeno la sua amicizia dopo la nostra rottura.
Ero stato io a mettere fine a tutto. Ero stato io ad andarmene e ad avere un bambino, ed ero stato io a rovinare tutto.
Poiché sapevo che avrei finito per ascoltare Grover parlare di quanto voleva un bambino ma non era sicuro di essere pronto, invece di prendere il mio telefono per chiamarlo come di solito facevo, cercai il portatile.
Qualche volta mi sentivo ancora in colpa per non essermi presentato alla gelateria quel giorno. Sapevo che anche lei non era venuta e sapevo anche la mia vita era già incasinata senza bisogno che lei ne facesse parte.
Ma ero stupito che avessi ancora voglia di incontrarla.

 

AtlanticBoy16: Ci sei?

WiseGirl210: Sì, come va AB?

AtlanticBoy16: Sto facendo il babysitter. Ho qui il miglior amico di mio figlio e la sua sorellina. Stavo pensando e per abitudine ho pensato di scriverti.

WiseGirl210: Grazie a dio non è solo mia abitudine! Stavo cominciando a sentirmi in colpa nel raccontarti sempre tutti i miei problemi! Quindi, a cosa stavi pensando? Dovo prepararmi a ridere maniacalmente o prendere un pacchetto di fazzoletti per piangere?AtlanticBoy16: Molto divertente. Preparati ad annoiarti.

WiseGirl210: :-D
AtlanticBoy16: Stavo solo pensando che mi mancano i miei amici. Avevamo questo gruppo e quando ho avuto mio figlio abbiamo come rotto. E vedere mio figlio con il suo gruppo, mi ha portato alla mente dei ricordi. È strano?

 

Beh, non le stavo dicendo tutto. Ma non era nemmeno mentendo.
 

WiseGirl210: Ehi, i miei amici mi mancano sempre. Quando finalmente mi stavo facendo degli amici a Los Angeles, sono scappata via. Se non fosse stato per i miei vecchi amici, avrei perso me stessa a New York. Non è strano, comunque. Sono cresciuta a New York e metà della città mi ricorda la mia vecchia vita.

AtlanticBoy16: Come era la tua vecchia vita? Prima che scappassi, intendi?
 

WiseGirl210 sta scrivendo apparve sullo schermo ripetutamente e io cercai di non trattenere il respiro mentre aspettavo.

 

WiseGirl210: Bella. Dopo tutto quello che ho passato, pensavo di aver trovato finalmente la felicità, hai presente no? E poi è saltato fuori che era solo apparenza come se stessi interpretando un gioco di ruolo. Sai, una volta ho portato i miei nipoti a vedere un revival di Cenerentola. Alla fine il principe era un misogino e, dopo un brutto litigio, lei fingeva di morire per ottenere il divorzio. Mia nipote pianse per ore.

AtlanticBoy16: Cenerentola divorzia?

WiseGirl210: Esatto!
 

Ridacchiai mentre scrivevo un altro messaggio.

 

AtlanticBoy16: Quindi come è andato il tuo giorno di riposo? Troppo malata per godertelo, immagino.

WiseGirl210: Quasi. È una lunga storia, ma ti posso assicurare che non mi sono affatto divertita.

AtlanticBoy16: Io adoro i giorni di malattia. È una delle poche volte in cui posso effettivamente dormire senza che qualcuno mi svegli e mi chieda di preparargli la colazione o che mi dica che la TV non funziona.

WiseGirl210: Sei pazzo, lo sai vero?

AtlanticBoy16: Aspetta di avere figli. Nel profondo del cuore sarai d’accordo con me.

WiseGirl210: :-D
 

Stavo sorridendo mentre digitavo la risposta, ma poi il mio computer suonò, avvisandomi dell’arrivo di un nuovo messaggio da parte di WiseGirl.
 

WiseGirl210: Devo presentarmi in un posto tra poco. Ci sentiamo più tardi, okay?

AtlanticBoy16: Sicuro.

WiseGirl210 è offline.
 

Chiusi il mio portatile e tornai in cucina, cominciando a preparare dei panini con miele e burro d’arachidi che Sam e Noah amavano tanto, quando notai qualcuno che camminava fuori dalle finestre che non avevano le tende chiuse.
Incuriosito, mi sporsi, affacciandomi per vedere.
E lì c’era lei.
Annabeth Chase.
Considerando che Malcolm mi aveva detto che era troppo malata per andare a lavorare, il che già sembrava un’assurdità per Annabeth, sembrava stare particolarmente bene.
I suoi capelli biondi erano raccolti in una coda alta e stringeva a sé un cappotto pesante per coprirsi dall’aria fredda e pungente. I suoi tacchi battevano ripetutamente sullo selciato e lei stava trafficando nella sua borsa straripante probabilmente per cercare qualcosa. In mano aveva un post-it blu che teneva con le punte delle dita, come se fosse stato toccato dal diavolo in persona.
Non appena il pacchetto di mentine che stava cercando, prese un respiro profondo e si mise in bocca una caramellina, ma l’involucro cadde nella piccola fontanella che la mia vicina, Alyssa, curava con molta premura. Annabeth allora si inginocchiò, lanciando una preghiera agli dei che riuscii a sentire anche io. Sistemò il pugnale che portava sempre allacciato a una cintura, nascondendolo con la propria giacca, e poi scomparve.
«’Ercy?»
Lasciai cadere il barattolo di miele che fortunatamente era ancora chiuso.
«Sì?» domandai mentre mi abbassavo per raccogliere il barattolo e sollevavo lo sguardo sui tre bambini che mi stavano fissando.
«Cosa stavi facendo?» chiese Sam, guardandomi come se fossi pazzo.
Era proprio il figlio di Malcolm
«Ehm, stavo solo guardando fuori dalla finestra. Pensavo di aver visto qualcosa.»
«Che cosa?» continuò Sam.
«Qualcosa.» Mi stavo trattenendo per non strozzare quel bambino.
Sam aprì la bocca intenzionato a continuare con l’interrogatorio, ma conoscevo il modo per zittirlo.
Corromperlo.
«Chi vuole andare al McDonalds?»


 

 

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