Il soldato e l'usignolo

di myricae_
(/viewuser.php?uid=183969)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


 CAPITOLO 1

 
Le pesanti tende del sipario del Théâtre de l’Oeuvre si chiusero, inghiottendo scena e attori, mentre gli applausi non accennavano a scemare.
Madeleine e Fleur battevano le mani così forte da sentirle pulsare. Le due ragazze erano l’unica gioventù in quel teatro. Era stato rappresentato Notre-Dame de Paris. Madeleine aveva letto quel libro più e più volte, e questa era la seconda rappresentazione teatrale che vedeva di una delle sue opere preferite. Fleur aveva accettato con piacere di accompagnarla, per la seconda volta.
Le due si strinsero a braccetto mentre uscivano dal teatro, passando attraverso un lungo corridoio decorato con tende cremisi e dorate. “Che meraviglia! Che meraviglia!” esclamavano le due fanciulle, incontrando la dolce notte primaverile appena uscirono.
Madeleine si sistemò frettolosamente la lunga sciarpa color arancia attorno all’esile collo, le guance arrossate e gli occhi splendenti di meraviglia. Fleur sembrava volteggiare sulle sue gambe lunghe. Si diressero velocemente a sud, verso il fiume. Appena superarono la Senna, Madeleine si calmò un poco e osò alzare lo sguardo. I lampioni che costeggiavano il Lungosenna si riflettevano sulla superficie dell’acqua, dello stesso colore del cielo notturno.
I negozi sulla loro destra – le botteghe, le drogherie, il barbiere Jean-Jacques, il bar dove secondo Madeleine vendevano le crêpes più buone di tutta Parigi – erano chiusi.
 «Che ore sono?» domandò Madeleine, a bassa voce.
 «Non ne ho idea».
 «I soldati tedeschi… non pattugliano…?».
Fleur si guardò intorno. «Io non vedo nessun crucco».
 «Sì, ma…».
 «Oh, insomma, se ci trovassero cosa credi che farebbero? Ci scorterebbero a casa, per poi tornarsene in caserma. Non ci farebbero nulla di male».
 «Ne sei sicura?».
 «Assolutamente». Ma intanto Fleur aveva accelerato il passo ugualmente. «Rilassati. È stata una bellissima serata».
 «Oh, sì! Com’era graziosa l’attrice! E la musica!» chiuse gli occhi, muovendo appena le labbra provando a ricordare la melodia.
 «Se non ci fosse l’arte, vivremmo come bestie» proseguì Fleur citando uno scrittore francese. O forse era italiano. Non ricordava.
Madeleine fece un giro su se stessa, mentre continuava a camminare, l’orlo della gonna color grano si arricciò appena.
 «Tra un mese ci sarà la rappresentazione di Madame Bovary!» esclamò Fleur.
Camminavano seguendo la falce di luna davanti a loro, ubriache di bellezza. La strada si curvò a destra e la mezza luna sparì per un attimo dietro ai tetti, per ripresentarsi non appena le due ebbero seguito la curva. Ancora una decina di minuti e sarebbero arrivate. Ma non erano pronte per coricarsi e far cadere nell’oblio del sonno quella magica serata.
Madeleine piroettò ancora un paio di volte, ridacchiando amabilmente. A un tratto, Fleur si fermò tirando l’amica per un braccio. Fleur indicò con lo sguardo due figure a un paio di lampioni innanzi a loro, appoggiati al muretto.
Madeleine si agitò e Fleur le strattonò con più forza il braccio.
 «Ci hanno viste?».
Le avevano viste. 
 «Sta’ calma».
Le due figure si erano già voltate verso di loro e ora si stavano avvicinando.
 «Fleur, imbocchiamo quel vicolo, quello lì, alla nostra destra».
 «No, non possiamo scappare». Ci troverebbero, sono soldati. «Calmati. Va tutto bene».
Fleur costrinse Madeleine ad avanzare di un paio di passi. I due soldati furono presto a poca distanza da loro. Sotto la luce del lampione, Fleur squadrò i loro volti, Madeleine abbassò lo sguardo sulla loro uniforme color cachi, sulla svastica cucita sulla manica della divisa, sui loro fucili, sui loro scarponi logori e poi sull’asfalto.
 «Paul!» esclamò Fleur, e Madeleine trasalì. Alzò lo sguardo per vedere Fleur lanciarsi tra le braccia del soldato. L’uomo le schioccò un bacio sulla bocca, poi sul collo.
 «Paul, lei è la mia amica Madeleine».
La ragazza abbozzò un sorriso, mentre il soldato le stringeva la mano. Era corpulento, i capelli biondi rasati, gli occhi di un azzurro vivace. Quello non sembrava lo sguardo di un soldato.
 «Piacere di conoscerla, mademoiselle». La sua voce non sembrava ostile, o forse era solo perché non aveva l’accento tedesco. No, non era l’accento. Era qualcosa di appena udibile, era un’inflessione straniera.
Madeleine lanciò un’occhiata a Fleur, per poi abbassare di nuovo lo sguardo studiando le sottili crepe sull’asfalto.
Paul indicò il soldato di fianco a lui. «Lui è Vincent». Vincent era più alto e più magro dell’amico, con capelli neri tagliati corti e piccoli occhi vigili. Accennò a un sorriso di cortesia, mentre stringeva la mano ora di Fleur e ora di Madeleine.
 «Non avete nomi francesi» mormorò Madeleine. «E nemmeno tedeschi» aggiunse con una punta di sollievo nella voce.
Fleur le diede una gomitata.
 «Ti è piaciuto lo spettacolo?», Paul si rivolse a Fleur.
 «Oh, sì, tesoro! Grazie per i biglietti, è stata una delle serate più belle della mia vita» e gli diede un altro bacio, sorridendo di cuore.
 «Bene, vi scortiamo a casa» disse Vincent.
Presero a camminare. Prima in fila da quattro, poi Fleur e Paul rimasero indietro di qualche passo. Dopo un po’ si allontanarono dal Lungosenna.
 «Cos’avete visto a teatro?» domandò Vincent. Seppure avesse usato il plurale, i suoi occhi scuri erano puntati su Madeleine.
E Madeleine, per il breve momento in cui rispose, riuscì a guardarlo in viso. «Notre-Dame de Paris».
 «Ti è piaciuto?», ora si stava riferendo solo a lei.
 «S-sì» mormorò, giocherellando con la borsetta che le pendeva da un lato. Non trovò nulla di meglio con cui rispondere.
Vincent rimase in silenzio per qualche istante, osservandola. Era alta ed esile. Alcune ciocche dei corti capelli biondi fuoriuscivano dal cappello, le labbra piene erano messe in risalto dal rossetto rosso.
 «Cosa ti è piaciuto dello spettacolo?».
Madeleine sembrava in difficoltà. Schiuse le labbra per parlare, ma poi parve ripensarci. Ogni cosa che le veniva in mente era, secondo lei, troppo stupida o banale. Cosa poteva dire ad un soldato? È solo una domanda di cortesia, pensò lei.
 «La musica» risolse alla fine.
Prima che Vincent potesse parlare, Fleur si avvicinò a loro esclamando: «Oh, alla mia Madeleine piace la musica! Non è vero? Cantaci qualcosa!».
 «Tu canti?» le domandò Vincent. Passarono sotto a un lampione e la luce illuminò in pieno il viso dell’uomo. La ragazza notò il colore dei suoi occhi. Si era sbagliata. Non erano scuri. Erano di due colori diversi: uno marrone, l’altro verde.  
Madeleine avvampò.
 «Ma certo!» confermò Fleur. «Dai, non farti pregare».
 «Io… veramente… non saprei cosa cantare».
 «Qualunque cosa!» questo era Paul.
 «Parlez-Moi d’Amour» le suggerì Fleur, vedendola in difficoltà.
 «Oh, no. Non è necessario» borbottò Madeleine.
Fleur iniziò a canticchiare a voce bassa e Madeleine, incoraggiata, la seguì. La sua voce dolce e acuta vibrava d’emozione. Vincent smise di sorridere, guardandola con … interesse. Paul prese a fare volteggiare Fleur, con dolcezza.
 «Sei brava», si limitò a dire Vincent una volta che lei ebbe finito.
 «Brava? Brava?», si intromise Fleur. «Affina le orecchie! Madeleine è eccezionale! Non è vero, Paul? diglielo anche tu!».
Paul annuì, senza staccare gli occhi da Fleur.
 «Non è il mio genere di musica» si difese Vincent.
Madeleine alzò lo sguardo su di lui. «Non ti piacciono le canzoni d’amore?».
 «No».
 «Oh. Conosco solo quelle» mormorò lei, continuando a canticchiare tra sé.
Ben presto si trovarono all’inizio di una delle tre vie che passavano perpendicolarmente per Rue de Écoles. Fleur e Paul si baciarono con passione, stringendosi sotto la luce della mezzaluna. Poco lontano, dietro di loro – tra i tetti spioventi -, si intravedevano le colonne illuminate della cattedrale di Notre-Dame.
Madeleine alzò gli occhi su Vincent.
 «Buona notte, soldato».
 «Buona notte, Madeleine».
Fleur e Madeleine si avviarono verso casa. A un tratto, Fleur si girò correndo verso Paul per un ultimo bacio della buona notte.
Vincent e Madeleine si guardarono, lei arrossendo e lui sorridendo appena.
 
 «Non è la creatura più bella che esista?».
 «Chi?».
 «Fleur!».
Stavano tornando a passo di marcia verso la caserma, in place de la République. Vincent diede una pacca sulla spalla a Paul. «Sì, è carina» convenne, ridacchiando.
 «Vince, penso di essermi innamorato».
 «Questo potrebbe essere una seccatura».
 «Per la missione, intendi? Nah, non preoccuparti! Conosco il mio dovere».
Davanti al cancello della caserma trovarono il maggiore Rickard Fridtzman, con il suo solito sguardo vigile.
 «Soldato, Lefevre! Soldato, Dupont!».
I due fecero il saluto militare. «Eravamo in perlustrazione» disse Paul, in un tedesco zoppicante..
Il maggiore si spostò, facendoli entrare.
Mentre tutti dormivano, Vincent si sporse dalla branda.
 «Spediremo il telegramma domani appena avremo il turno di perlustrazione» disse a Paul, in inglese.
Paul annuì.
 «Sai, Paul, mi mancano i concerti di jazz».
 L’uomo aprì un occhio. «A te mancano le donne che andavano ai concerti di jazz».
Risero di una risata amara e nostalgica.
«Good night, brother» sussurrò Paul, muovendo appena le labbra.

---- ANGOLO AUTRICE ----
​Buongiorno/buonpomeriggio/buonasera a tutti. Che gioia essere tornata su questo sito!
Se a qualcuno di voi il titolo Il soldato e l'usignolo​ non suona nuovo è perché ci sto lavorando da molto tempo ormai e ho tutta l'intenzione di portarla a compimento questa volta!
​Ho iniziato a scrivere qualcosa di genere completamente diverso, ma devo dare un degno finale a Vincent, Madeleine, Paul, Fleur e a tutti gli altri, se avrete voglia di conoscerli :)
​So che come capitolo non è lungo, ma spero di avervi cattturato ugualmente.

Adesso lascio la parola a voi, sperando di trovarvi tra i commenti.
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


CAPITOLO 2
 
Madeleine salì a passi rapidi i gradini fino al suo appartamento. Quando si chiuse la porta alle spalle, la stanza sprofondò nel buio. A poco a poco, gli occhi della ragazza si abituarono alle tenebre e iniziò a percorrere il piccolo corridoio. Passò davanti alla camera della madre, sbirciando rapidamente dentro: la donna dormiva un sonno inquieto, sul quel letto troppo grande per una persona soltanto. Di quando in quando, Madeleine la sentiva sospirare penosamente.
La ragazza entrò nella camera dove dormiva insieme alle due sorelline e al fratello. I tre dormivano stretti l’uno contro l’altro sul materasso sgualcito. Madeleine accarezzò con dolcezza le testoline, osservando il lento abbassarsi e sollevarsi dei piccoli petti a ritmo con il loro respiro.
Madeleine si avvicinò all’armadio, le ante cigolarono quando lo aprì. Da un cassettone sul fondo, tirò fuori la camicia da notte che aveva fabbricato lei stessa. Sentì un leggero rumore di passi fuori dalla stanza e capì che la madre doveva essere sveglia. Difatti, la donna fece capolino nella camera.
Madeleine le si avvicinò, depositandole affettuosi baci sulle guance stanche, pochi anni prima morbide e piene come quelle della ragazza.
 «Sei tornata tardi. Ti sei divertita?».
 «Sì, è stato uno spettacolo molto bello».
La madre annuì.
 «Vado a dormire da Fleur», disse indicando la camicia da notte che reggeva in mano.
 «Va bene. Siate puntuali domattina, tu e Fleur».
La donna fece per uscire, ma Madeleine la richiamò con uno strascicato «Maman…».
La madre posò i suoi occhi infossati e intensi sulla figlia, sapendo già cosa volesse chiederle. Sembrò costarle fatica pronunciare la risposta. «È vivo, mon chéri».
 «Ha inviato una lettera?».
 «No».
 «Maman…».
 «È vivo. Lo sento. È vivo!» esclamò e il bicchiere tremò nella sua mano. Mentre tornava a letto, Madeleine la sentì borbottare: È vivo. Lo sento. È vivo, lo sento, lo sento.
 
Madeleine si guardò intorno, mentre chiudeva il portone alle sue spalle. Attraversò la striscia di giardino sul retro per arrivare alla casa dell’amica. Fleur, prima della guerra, abitava su una casa a due piani. Ora occupava solo il piano inferiore, troppi ricordi aleggiavano nella polverosa soffitta.
Madeleine bussò cautamente e Janette, la madre di Fleur, venne ad aprire. Janette la fissò con i suoi occhi chiari, quasi bianchi, resi acquosi dall’alcol. Ma quella sera non sembrava ubriaca. Baciò Madeleine sulle guance, stringendola affettuosamente tra le sue braccia forti. Fleur le fu subito al fianco, vestita ancora elegantemente. Aveva sciolto i capelli sulle spalle e tolto il rossetto: era solo un pallido riflesso della felicità di poche ore prima.
Le tre donne si sedettero al tavolo della piccola cucina.
  «Notizie dal fronte?» domandò cautamente Madeleine.
 «Solo una lettera di Jean e Louis, quella di tre settimane fa. Te ne avevo parlato» rispose Fleur, per la madre. Jamie e Louis erano i fratelli di Fleur. Un tempo, ricordò Madeleine, aveva nutrito un particolare affetto nei confronti di Jamie. Ma quei giorni sembravano appartenere a un altro tempo.
Madeleine annuì. Fleur si aggrappava con tutte le sue forze a quell’unica lettera-
Janette le prese una mano, chiedendo: «E tu, mon chéri? Notizie di tuo padre?».
 «No. Ancora niente». Madeleine ingoiò il nodo alla gola a fatica, tossendo. Era da un anno che non riceveva lettere di suo padre. Nell’ultima missiva non aveva scritto se si stava spostando o se fosse stato ferito. Magari le lettere si erano perse. Magari la sua unità aveva terminato la carta. O le penne. Madeleine andava inventando supposizioni sempre più assurde.
 «È meglio che andiate a dormire» propose la madre.
Le due ragazze si avviarono in salotto, Madeleine si stese su un materasso e Fleur si sedette sul divano. Janette si rifugiò nello sgabuzzino – nemmeno troppo piccolo – dove aveva sistemato alla bell’e meglio una branda.
Fleur si spogliò dei suoi abiti eleganti, piegandoli con cura su una sedia e infilando una camicia color prugna lunga fino alle caviglie.
 «Fleur?».
 La ragazza posò il suo dolce sguardo su di lei. «Sì?».
 «Non hai nulla da dirmi?» la stuzzicò Madeleine, sorridendo.
Fleur sorrise a sua volta. «No, proprio nulla» arrossì.
 «Non costringermi a cavarti fuori le cose con le pinze!».
Fleur si sedette sul materasso, di fianco all’amica. «Sentiamo, cosa vuoi sapere?».
 «Tanto per iniziare, come, dove e quando hai conosciuto Paul?».
Lo sguardo di Fleur diventò sognante. «Poche settimane prima ai Jardin des Plantes. Era una giornata particolarmente calda, per essere maggio. Non mi ero accorta che dietro ad un albero ci fosse un soldato, finché non mi tese un fiore di pesco».
Madeleine era affascinata da quel racconto. «E poi?» la incoraggiò. Ovviamente le stava omettendo dei dettagli che voleva custodire solo per sé.
La voce di Fleur vibrava d’emozione.  «Ci vedemmo quasi ogni giorno, da quella domenica al parco. Veniva all’orario di chiusura del negozio…».
 «Era fuori dalla nostra bottega? Non me ne sono mai accorta!». Madeleine, sua madre, Fleur e Janette gestivano una bottega di cucitura da anni.
 «Siamo stati molto prudenti. Non volevo ancora che lo sapessi, perché non sapevo nemmeno io ciò che provavo. Perdonami Madeleine per avertelo tenuto nascosto. E poi tu, e anch’io, sei così preoccupata per tuo padre…».
 «Non importa, Fleur. Sono ugualmente felice per te. Ti prego, continua». Relegò in fondo al cuore il pensiero di suo padre.
 «Paul è intelligente e colto! Quando gli ho parlato del mio romanzo preferito ha pensato subito di procurarmi i biglietti per lo spettacolo di questa sera. Non è adorabile? Ero così emozionata che gli stampai un bacio, scappando subito dopo» ridacchiò, arrossendo fino alla punta delle orecchie. «Quella sera continuavo a pensare al gesto stupido che avevo fatto. Pensavo fosse la fine per me e lui. Pensavo … pensavo di essermi comportata da sciocca. E invece lo trovai fuori da casa mia. Aprii la finestra e prima che potessi scusarmi, mi baciò lui augurandomi la buona notte», finì citando una frase di uno dei libri che aveva letto tempo addietro.
Madeleine aveva il cuore pieno di commozione e l’abbracciò in un gesto di puro affetto. Continuarono a parlare di Paul e Fleur aggiunse dettagli che aveva tralasciato.
«Com’è bello l’amore!» ripeteva. E Madeleine ridacchiava.
 «Paul e quel suo amico, Vincent, non hanno nomi francesi. E nemmeno tedeschi» osservò Madeleine dopo che l’amica si fu calmata.
 «Fu una delle prime cose che chiesi a Paul. Mi spiegò che sua madre – e anche quella di Vincent – erano inglesi. Si trasferirono a Parigi fin da ragazze, sposando due uomini francesi conosciuti all’Università. Oh, Madeleine, che cosa romantica!».
 
Il maggiore Eric Schmidt si alzò dalla branda, nel cuore della notte. Indossò la sua giacca color cachi, allacciando i bottoni fino alla gola e imbracciò il fucile. Uscì nella notte calma, diretto agli uffici militari in Place de la République. Salì – rapido e silenzioso – i pochi gradini di marmo bianco. Uno dei due commilitoni al portone gli chiese dove stesse andando. Eric buttò l’occhio sui loro distintivi: erano due sergenti, non gli conveniva fare lo spiritoso.
 «Il capitano Gölenik ha chiesto di me». Porse loro il foglio con la richiesta del capitano di vederlo quella notte stessa.
 «Dovrebbe essere al terzo piano. O forse al quarto».
Eric entrò, il pianoterra era pressoché buio. Salì rapidamente i gradini fino al terzo piano, dove chiese ad un militare, questa volta un caporale, dove fosse l’ufficio del capitano. Il soldato lo scortò al piano successivo. Eric memorizzò il percorso. Le pareti dei corridoi erano immacolate e, di quando in quando, vi erano appesi degli arazzi con il simbolo della svastica o con un primo piano di Hitler. Ad Eric mancava la Germania, in particolare la sua Monaco da cui dalla caserma riusciva a vedere le montagne sempre incappucciate di neve. Eric non era diventato un soldato per assediare una città straniera, che – con tutta onestà – avrebbe voluto veder rasa al suolo con i suoi abitanti in ginocchio. Ma ancora di più, voleva tornare a Monaco. Gli mancavano i suoi compagni d’arme, suo fratello Kevin che era stato mandato a combattere sul fronte sovietico-Perlomeno lui combatte!-; la birra tedesca – sperava di riuscire a rientrare in Germania per l’Oktoberfest di quell’autunno -  e forse più di ogni altra cosa gli mancava Anna. Anna… Sperò che il capitano lo rimandasse a casa, o –quantomeno- gli concedesse una licenza.
L’ufficio del capitano Gölenik era ordinato. Su una parete era appesa una mappa che comprendeva le nazioni dalla Spagna alla Russia. Sul grande tavolo erano impilate, in modo ordinato, delle carte. Il capitano stava consultando una di queste, quando Eric entrò. I due uomini fecero il saluto militare. Il capitano lo squadrò con i suoi occhietti neri, portandosi le mani dietro la schiena. Eric sentiva le labbra screpolate, ma non si permise nemmeno di inumidirle velocemente.
 «Maggiore Eric Schmidt?».
Eric tirò fuori la sua medaglietta di riconoscimento. «Sì, capitano», parlò più forte di quanto avesse voluto.
 «Da dove vieni?».
 «Da Monaco, signore».
 «Molto bene. Ho una missione da affidarti».
 «Sono pronto a tut…».
 «Calma, maggiore. Prima di accettare, lascia che ti esponga le condizioni. Dovrai lavorare da solo. Nessun altro tuo compagno dovrà esserne messo al corrente. Accetti?».
E la ricompensa? «Accetto, capitano».
 «Quando abbiamo preso Parigi, i pochi soldati francesi rimasti in città si sono uniti all’esercito tedesco. Tra questi, nella mia unità ci sono i soldati semplici Paul Dupoint e Vincent Lefevre. ». Eric li conosceva di vista, con Paul aveva scambiato qualche battuta. «Voglio che tu li tenga d’occhio. Può darsi che non siano pericolosi. Altri tuoi commilitoni stanno controllando alcuni soldati francesi della caserma».
Eric annuì. «Sì, signore».
 «Voglio che tu mi riferisca qualunque cosa sospetta trovi in quei due, intesi?».
 «Sì, signore», ripeté.
Fantastico, pensò mentre usciva. Non solo sono bloccato in questo schifo di città, ma mi tocca pure controllare due francesini!
Eric alzò lo sguardo al cielo che iniziava ad albeggiare e il suo cuore tornò ad Anna.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3691912