T r o u b l e N e x t D o o r

di whitecoffee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rude Girl ***
Capitolo 2: *** Sleepy Boy ***
Capitolo 3: *** - The Wall - ***
Capitolo 4: *** Little Ray of Sunshine ***
Capitolo 5: *** - The Wall - ***
Capitolo 6: *** Pale Bleach and Small Firefly ***
Capitolo 7: *** - The Wall - ***
Capitolo 8: *** Young Friends vs. The Banshee ***
Capitolo 9: *** - The Wall - ***
Capitolo 10: *** Who's your Daddy? ***
Capitolo 11: *** - The Wall - ***
Capitolo 12: *** Merida ***
Capitolo 13: *** Shakespearian Aliens ***
Capitolo 14: *** - The Wall - ***
Capitolo 15: *** UFO Kookies ***
Capitolo 16: *** Agust Starbucks (and his caramel macchiato) ***
Capitolo 17: *** - The Wall - ***
Capitolo 18: *** Summer meets Winter ***
Capitolo 19: *** Of Lemons and Showers ***
Capitolo 20: *** Apollo and Magic Mike ***
Capitolo 21: *** - The Wall - ***
Capitolo 22: *** Sneezing August ***
Capitolo 23: *** "I'm fine" ***
Capitolo 24: *** - The Wall - ***
Capitolo 25: *** Hints ***
Capitolo 26: *** Jack Frost ***
Capitolo 27: *** - The Wall - ***
Capitolo 28: *** Boy meets Shame ***
Capitolo 29: *** Whisper Challenge ***
Capitolo 30: *** Game Over ***
Capitolo 31: *** - The Wall - ***
Capitolo 32: *** Somebody to Love ***
Capitolo 33: *** Kiss ***



Capitolo 1
*** Rude Girl ***






I.
Rude Girl

 

«And as the world spins on its axis,
Seems like it's brought me back here,
To say “oh God, not this again”»

(Neck DeepLime St)


 
 
 W I N T E R 

 
 

Odiavo i trasferimenti. Ogni volta, era come dover strappare le proprie radici dal terreno, per ripiantarle in un nuovo luogo, adattandovisi per forza. E, lasciatemelo dire, il nuovo appartamento faceva schifo. Ottanta metri quadri per i quali pagavo decisamente troppo, al terzo piano di un condominio in una zona periferica di New York. Pericolosamente vicina al quartiere orientale, il che avrebbe costituito per me la più grossa delle distrazioni. Ma andiamo con ordine.
Perché una ventunenne di Orlando, cresciuta col sole e nell’acqua di mare, dovrebbe rinchiudersi nella grigia cappa insalubre di una metropoli affollata come la grande mela americana? Risposta: mi ero cacciata di casa in modo del tutto autonomo e non richiesto. Convinta di essere grande abbastanza per vivere da sola e non dipendere più né dall’ospitalità, né dal portafoglio dei miei genitori. Non che avessi problemi con loro. Il nostro era un rapporto tranquillo, con tanto di regali nelle feste comandate e gite fuori porta la domenica. Avevo semplicemente voglia di mettermi alla prova, avendo fino a quel momento condotto una vita mediamente tollerabile, priva di colpi di scena, improvvisi grandi amori o opportunità di successo. Tutte le sfigate protagoniste dei drama coreani di cui continuavo insaziabilmente a riempirmi il cervello, andavano incontro all’occasione della loro vita, quando cambiavano casa. Uno scontro per strada con un multimiliardario che s’innamorava casualmente di loro. Un talent scout che le udiva per sbaglio cantare nel modo più inconcepibile. Cose così. Sapevo di stare indugiando pure troppo nel mondo del trash, ma mi piaceva. Erano un modo divertente di riempire i momenti di intervallo fra un esame universitario e l’altro. Soprattutto quando si era in mancanza di meglio. Ma sto divagando. Torniamo all’appartamento.
Il disperato miagolio del mio gatto, nel momento esatto in cui mi ero ritrovata dinanzi alla porta chiusa della nuova dimora, avrebbe dovuto essere un chiaro segno di avvertimento, per me. Che io avevo, bellamente, ignorato. L’appartamento era già arredato (in modo discutibile), provvisto di una terrazza (discutibile anch’essa), la quale affacciava s’uno scorcio di strada metropolitana, al di sopra della quale era possibile osservare la pulsante vita newyorkese ad ogni ora (c’è bisogno che lo dica? Del tutto discutibile). Ragion per cui, ero giunta lì con un paio di valigie, un trasportino per il mio gatto sovrappeso e gli occhi pieni di sogni. Ignara del fatto che sarebbero presto diventati incubi.


 

 
 
I muri avevano lo stesso spessore della cartapesta. Me n’ero accorta quando il mio adorabile vicino di casa mi aveva assordato l’udito per la prima volta. Ora, vi consiglio di aprire bene gli occhi, perché starete per conoscere uno dei personaggi più molesti, non necessari e fastidiosi del mondo. Tre sillabe. Min YoonGi.
Avevo appreso il suo nome dalla targhetta appiccicata con il nastro adesivo direttamente sul muro, sopra il campanello. L’inquilino della porta accanto, che io non avevo mai incontrato. Dopo almeno tre mesi di permanenza in quel condominio, avevo ormai fatto la conoscenza di quasi tutti i residenti. La famiglia Maise, del quarto piano. Coppia trentenne con tre gemelli maschi, i quali erano straordinariamente silenziosi per la loro età. La signora Williams al piano terra, una cantante lirica di cinquant’anni ormai ritiratasi dalle scene, che cantava ogni mattina sotto la doccia, ed era possibile ascoltare tutto il suo repertorio da soprano dalla tromba delle scale. La Traviata le riusciva particolarmente bene, ammettevo di aver avuto occasione di apprezzarla qualche volta, mentre attendevo l’ascensore. E come loro, almeno un’altra decina d’individui. Che mi salutavano con un cenno del capo o in maniera più o meno cordiale, qualora c’incontrassimo occasionalmente nel condominio, o in giro nel quartiere. Avevo memorizzato i volti, imparato ad associarli ai nomi. Ma di Min YoonGi neanche l’ombra.
Sapevo che vivesse nell’appartamento, perché aveva la sgraziata abitudine di sparare la rassegna hip hop del suo paese natale a tutto volume, dalle tre di pomeriggio alle sette di sera, per cinque giorni su sette. Immaginai che i restanti due li impiegasse per i turni pomeridiani al lavoro, o per fare vita sociale. Ignoravo completamente il suo aspetto, nonostante avessi provato ad immaginarmelo un paio di volte. Okay, più di un paio. E sì, avevo fermamente creduto che avrebbe potuto essere bello come uno degli attori di drama che a me piacevano tanto, per colpa della sua origine coreana. E il timbro di voce.
A quanto pareva, produceva musica per conto proprio. Lo sentivo rappare su una moltitudine diversa di basi, mischiando parole inglesi al suo idioma di nascita, rendendomi impossibile comprendere più di un tot di termini come “scusa”, “sparisci” e un paio di improperi. Nonostante l’evidente difficoltà a rendermi la permanenza facile nella mia stessa casa, avevo un debole per la sua voce. Graffiante, fresca e dal tono lievemente strascicato. Come se fosse perennemente appena sveglio, e le sue corde vocali non avessero ancora smaltito la tipica raucedine del sonno.
 Questo, era Min YoonGi. Ed io l’odiavo con tutta me stessa. Avevo più volte tentato di suonare alla sua porta, premendo il tasto del campanello. E battendo cortesemente le nocche sul legno. Ma non aveva funzionato. Così, mi ero presa delle libertà, in barba alla buona educazione che la mia cara mammina aveva tanto faticato per impartirmi. Passando direttamente alle manate e, in una giornata particolarmente infelice, usando anche i calci, contro la sua porta. Ma niente. La musica era apparentemente troppo alta affinché potesse sentire qualsiasi altro rumore all’infuori di quella. Per non parlare dei momenti di quiete. A volte, l’appartamento rimaneva in silenzio per così tanto tempo, da farmi sospettare che il suo proprietario avesse finalmente deciso di tagliare la corda, o che la mafia cinese fosse riuscita a catturarlo. E così, potevo studiare in pace. Tuttavia, quasi come se lui avesse un talento naturale per il suonare il pianoforte con miei nervi, la musica ripartiva nel momento esatto in cui raggiungevo il massimo picco di concentrazione, facendomi sobbalzare sulla sedia. Costringendomi a rinunciare allo studio.
Min YoonGi era la mia nemesi e tutti gli amici di cui disponevo, avevano imparato ben presto a conoscerlo, ascoltando le mie lamentele con la stessa frequenza con cui le foglie d’autunno cadevano dagli alberi. Alcuni mi avevano semplicemente suggerito di abituarmi, dicendo che gli esseri umani si adattavano ad ogni situazione, col tempo. Beh, io non ci riuscivo. “Eddai, Winter, ti passerà”. Le quattro parole più ripetute nella mia vita, insieme a “quando la smetterai di far cadere le cose?” e “se non ti sbrighi a trovare un uomo, vivrai da sola con altri trenta gatti”.
Ah, già. Scommetto che i vostri occhi sono fissi su quella parola dopo “eddai”. Sì, mi chiamo Winter. Come la stagione. A quanto sembra, si tratta del momento dell’anno preferito dei miei genitori. Che avevano deciso di celebrarlo costringendomi ad una vita di pessime battute a sfondo infern invernale sul mio nome, facendomi desiderare più volte di rimpiazzare le zucche di Halloween nel mio vialetto di casa con vere teste umane.
Come? Vi sembro troppo acida? Provateci voi a sopravvivere all’ennesimo simpaticone che prova a rimorchiarvi dicendovi “hey Winter, vuoi vedere il mio pupazzo di neve?”. Da voltastomaco. Quasi come la nuova canzone che Min YoonGi stava ascoltando in quel momento. E ci terrei a farvi presente che l’orologio segnava l’una di notte, ed io la sentivo chiaramente quasi come se fossi stata in prima fila al concerto di quell’artista improponibile. Era necessario ricordarvi che io stavo provando a tradurre un passo di Guerra e Pace dal russo all’inglese, a notte fonda, altrimenti l’indomani la docente di letteratura mi avrebbe guardata con quel suo misto di disappunto e delusione che io non sopportavo? No, non era necessario.
In un moto di stizza, lanciai il vocabolario di russo contro la parete, producendo un tonfo considerevole. Tanto che ebbi paura potesse rompere il muro spesso meno del mio braccio, per quanto chiaramente si potevano sentire i rumori da un appartamento all’altro. E rovinai anche la costa del povero testo. Comunque non servì a nulla. La musica continuava imperterrita, in barba alla mia carriera accademica. Mi coprii il volto con le mani, esasperata. C’era bisogno di dirlo di nuovo, per la seicentesima volta in un giorno solo? Oh sì.
 Io odiavo Min YoonGi.



 





 


#Yah!: e questa, ladies and gentlemen, è LA storia per eccellenza. Su Wattpad era stata interrotta ad un certo numero di capitoli, ma ho tutta l'intenzione di riprenderla qui (con la speranza che chi la stesse leggendo lì, capiti per sbaglio anche qui e se ne accorga). Per chiunque la veda per la prima volta, i capitoli si suddividono alternativamente per parte di Winter e YoonGi, con l'aggiunta di un capitolo extra in formato post-it di quando in quando. E' il trionfo del nonsense, lo scopo principale è quello di far fare a tutti una risata ed esclamare, almeno una volta nel corso della storia, "povera Winter". Amerete il suo gatto, sappiatelo. E niente. Spero di non essere così tanto in ritardo.

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Capitolo 2
*** Sleepy Boy ***






II.
Sleepy Boy
 


I am aware that I am an asshole,
I really don't care… about all of that though!

(Falling in ReverseJust Like You)
 


Y O O N G I 

 
Ci sono individui in grado di indicare con sicurezza gli eventi giudicabili come “più difficili”, all’interno della vita. Molti, sostengono che il parto rientri di diritto nella top 3 di opzioni universalmente papabili. Soprattutto le donne. Per carità, non potevo sapere quanto dolore fossero costrette a sopportare, per continuare la specie umana, come la natura si aspettava da loro. Tuttavia, la vera azione più difficoltosa da portare a termine, per me non era quella. Svegliarsi svettava al posto numero uno nazionale, nella mia lista di fatiche erculee.
Personalmente, dover abbandonare il mondo onirico e riconnettermi con la realtà quotidiana costituiva un trauma talmente grande, da essere paragonabile al parto. La sofferenza provata era la stessa. Il sollievo che mi provocava abbandonare la presa sulla coscienza, la possibilità di uscire dalla mia stessa prigione di pensieri, era impagabile. Se solo avessi potuto, avrei tranquillamente vissuto nei sogni. Almeno, andava tutto come dicevo io, e se non mi piaceva, potevo tranquillamente decidere di cambiare scenario, da bravo soggetto affetto da lucid dreams. Dormire era per me un’azione sacra, il letto una divinità che andava onorata quante più volte mi fosse possibile, e per lunghi tratti di tempo. A volte, mi assopivo per giornate intere, senza svegliarmi. Motivo per il quale, non avessi una routine quotidiana o un ritmo biologico propriamente definito. Il mio corpo si adattava ai momenti di veglia come meglio poteva, che fossero le tre di notte o le cinque di pomeriggio. Per me era uguale, e non m’importava.
I miei amici avevano imparato una semplice, ma basilare regola: quando non rispondevo ai loro messaggi per più di tre ore, ero sicuramente addormentato. Ragion per la quale, avessi fornito una copia della chiave del mio appartamento a ciascuno di essi, in caso di emergenza. Avvenimento che aveva provocato una serie di visite inaspettate e non richieste a qualunque ora del giorno e della notte. Non che m’interessasse più di tanto, per la maggior parte del tempo dormivo. Ero così restio ad uscire e a dover fare i conti con la vita, che non sapevo nemmeno che faccia avesse la mia nuova vicina di casa. Sapevo che fosse una ragazza, perché l’avevo sentita parlare al telefono, in uno di quei rari momenti in cui sostavo nel dormiveglia. Gli attimi nei quali si è sia incapaci di tornare nel mondo onirico, che di stringere la presa sulla realtà.
Ad ogni modo, aveva un nome strano. Qualcosa che c’entrasse con le stagioni. Ed avevo il vago sospetto che non dovessi starle troppo simpatico. Mi era parso di sentire un paio di urla che chiedevano di abbassare la musica, di tanto in tanto. Il problema, era che non mi andava. E quindi non l’avevo fatto. L’unico modo che ho per rendere la vita più sopportabile, è affogarla nelle voci dei miei rappers preferiti, o di produrre brani a mia volta. A causa dei miei problemi di sonno, ogni momento per me è buono per fare ciò che voglio. Mi era completamente indifferente ascoltare A$AP ROCKY alle quattro di pomeriggio o alle due del mattino, il tempo era un’unità di misura inesistente, valida soltanto ad indicare le ore in cui dovessi costringermi ad indossare la divisa da barista e rinchiudermi nel pub sulla quarantaquattresima, durante il weekend. Era un lavoraccio della malora, che continuava a dimostrarmi quanto in basso potesse arrivare l’essere umano corrotto dall’alcol, non facendo altro che aumentare il rifiuto che la vita stessa produceva nel mio corpo. Vedevo una quantità sconsiderata di minorenni ubriacarsi fino a piangere cercando la loro madre, o di donne dal rossetto vivace e gli occhi tristi. La cui dignità tentava disperatamente di arrampicarsi sul bicchiere di uno degli altrettanto falliti uomini d’ufficio che ordinavano solo whisky on the rocks. Odiavo il genere umano. Di riflesso, detestavo anche me stesso. Ma quella, era un’altra storia.


 


 
«È mai possibile che tu viva in quel buco da anni, e l’unica volta in cui ti si presenti la possibilità di scoparti qualcuno, nemmeno esci per vedere che faccia abbia?»
Roteai gli occhi, passandomi il telefono sull’altro orecchio, mentre armeggiavo con i fili del mixer. Il bastardo aveva deciso di non voler più collaborare con me da un momento all’altro, morendo proprio nel bel mezzo di una registrazione. Minuti dopo, TaeHyung aveva deciso di essere in vena di fare due chiacchiere. Il telefono aveva squillato per almeno cinque minuti di fila, costringendomi a rispondere contro la mia voglia. Ecco perché spendevo metà del mio tempo a dormire. Avevo meno rogne dietro cui dover stare, quando ero incosciente.
«Non è colpa mia se abbiamo orari diversi» ribattei, provando a scollegare un cavo e a cambiare entrata. Sentii uno sbuffo, dall’altro lato della cornetta. TaeHyung era ventunenne e frequentava l’ultimo anno di drammaturgia all’università. L’avevo conosciuto nel più strano dei modi e ancora mi domandavo come avevamo fatto a diventare così amici. A quanto sembrava, Park JiMin era una nostra conoscenza comune, e l’altro aveva bisogno di un book di foto da presentare ad un’agenzia televisiva. Era quindi venuto a sapere che uno dei miei impieghi fosse il fotografo, e mi aveva contattato. Mi è tutt’ora difficile comprendere come sia possibile che una persona dall’aspetto così adatto agli obiettivi, abbia una mente tanto fottuta come la sua.
TaeHyung era uno dei ragazzi più belli che conoscessi. Obiettivamente, senza sfondi omosessuali. Visto con gli occhi del fotografo. Eppure, era talmente pazzo, da essere uno di quegli individui capaci di saltare sui tavoli dei fast food e cominciare a ballare, al ritmo di una musica che suonava solo nella sua testa. Oppure, poteva guardare un punto indefinito per minuti di fila, dicendo di stare comunicando con gli alieni. Era completamente andato. E non faceva alcun uso di droga, sorprendentemente. Tuttavia, mi piaceva, la sua personalità. Non era capace di mentire, si comportava nel medesimo modo con tutti. Uno degli aspetti più divertenti della faccenda, era che quella sua mancanza di rotelle lo facesse andare forte con le ragazze. A quanto sembrava, alle donne piaceva molto ridere. E lui era bravissimo, in quello.
«Sai almeno come si chiama? È importante conoscere il nome di una persona. Descrive il cinquanta percento della sua personalità» blaterò, mentre cambiavo un altro paio di fili, pregando che l’oggetto ritornasse in vita in tempi brevi. Nome. Il suo nome. Come si chiamava la nuova inquilina? Cercai di richiamare alla memoria la scritta sulla targhetta accanto al campanello.
«C’entra con le stagioni» dissi, sforzandomi. Poi, mi ricordai la lettera iniziale. Era una W. «Winter» decretai, con trionfo. E il mixer parve risuscitare, sentendo il suo nome. Esultai in silenzio levando un pugno al cielo, congratulandomi mentalmente con me stesso.
«Che cazzo di nome è?» Domandò TaeHyung, scoppiando a ridere. Mi strinsi nelle spalle, anche se lui non poteva vederlo. Che ne potevo sapere io, del suo nome? Non ero mica sua madre. «Magari è una tipa fredda», azzardò.
«Non che me ne freghi più di tanto» commentai, spostandomi alla scrivania e accendendo il computer.
«Sarai mica frocio, YoonGi?» Chiese lui. Sbuffai. Soltanto perché non avevo una ragazza da un anno intero, ero diventato “quello strano” all’interno della comitiva. Sia lui che JiMin non riuscivano a comprendere il fatto che non sentissi alcuno stimolo nei confronti delle tipe che mi ronzavano attorno. Mi sembravano tutte così mortalmente uguali, sorridenti, accondiscendenti. Ridevano in modo troppo sguaiato e si affannavano ad impiastricciarsi la faccia con quintali di trucco. Tanto da farmi domandare quale sarebbe stato il loro aspetto, una volta rimosso quel mascherone di contouring. Per non parlare del loro cervello. Era più piccolo della circonferenza delle mie cosce, il che era tutto dire. Non ero ancora riuscito a trovare qualcuna che stuzzicasse la mia mente nel modo giusto, affinché volessi conoscerla meglio. Per il momento, mi annoiavano e basta. Me ne stavo meglio da solo, a dormire.
«Vuoi che venga da te, così andiamo a suonare alla sua porta?» Mi propose. «Magari è una cessa, e allora potrai continuare a vivere di seghe e riviste porno senza problemi».
«Chiudi quella fogna, TaeHyung» commentai, e riagganciai. Senza prendermi nemmeno la briga di ascoltare la sua risposta. Sarebbe stata sicuramente una stronzata.
Cominciai a trafficare con il pc, e al mio terzo tentativo fallito di aprire Google, compresi che qualcosa non andava. Le lucine del modem lampeggiavano, ma era come se non arrivasse alcun segnale al mio computer. Poi, mi ricordai del fascio di bollette che avevo accumulato sul tavolo in cucina, qualche settimana prima. Probabilmente mi avevano staccato Internet. Ops. Sarei dovuto uscire per pagare. Che rottura di coglioni.
Aprii la casella del wifi per puro sfizio, pregando che la fortuna fosse dalla mia parte. Lessi una serie di usernames composti da numeri e dal nome della compagnia telefonica, completamente inservibili. Provare ad entrare nel loro sistema sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio, ed io non avevo né il tempo né la pazienza di pigiare cifre e parole a caso. Non quella sera. Poi, i miei occhi caddero sul titolo di un collegamento nuovo. “Say the name”. Lo aprii e immisi la parola “seventeen” nella stringa per la password. Un paio di secondi dopo, mi ero connesso. Non potevo crederci. A giudicare dalla potenza del segnale, la fonte doveva essere anche vicina.
Quale persona fuori di testa utilizzava la frase di una k-boyband come nome e password per il proprio modem? Doveva trattarsi per forza di una ragazza, piuttosto giovane. Passai in rassegna i volti dei condomini che avevo incrociato nel corso degli anni, ma nessuno corrispondeva ai requisiti. Poi, mi venne in mente la nuova vicina di casa. Che non avevo mai visto, ma qualcosa mi diceva che dovesse trattarsi proprio di lei. Non potevo avere cinque tacche di segnale e aspettarmi che il modem sorgente fosse al settimo piano. Così, le piaceva il pop coreano. Sorrisi, fra me e me. Forse TaeHyung non aveva tutti i torti ad insistere per farmela conoscere.


 

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Capitolo 3
*** - The Wall - ***





The Wall -
 
 



“Visto che trovarti sveglio è pressoché impossibile e quando non dormi, la musica è così alta che non senti nemmeno il campanello suonare, ho deciso di trovare metodi alternativi di comunicazione. Potresti cortesemente smetterla di scroccarmi il wifi, solo perché hai indovinato la password? Non ho voglia di dovermene ricordare un’altra, e comunque quella mi piaceva. Oltretutto, non mi va di regalarti il mio traffico Internet. Quindi piantala. E abbassa il volume. Grazie.”
-W
 
“No”
-myg
 
 
“Come no? Forse non ci siamo capiti. La mia non era una gentile richiesta, alla quale si poteva decidere di rispondere sì o no.
DEVI
LEVARTI
DAL
WIFI!”
-W
 
“Che diamine stai facendo?! Adesso va lentissimo, non riesco nemmeno a guardare i video su youtube!”
-W
 
“sono pasSATE DUE ORe e ancORA NON FUNZIONa”
-W
 
“Se stasera mi fai saltare lo streaming di Moon Lovers ti vengo a cercare.”
-W
 
“Senti, Bello Addormentato, adesso stiamo esagerando. Non riesco nemmeno ad aprire Google, e quel maledetto strumento mi serve per le mie ricerche universitarie, okay? Perché qualcuno, qui, un’occupazione produttiva ce l’ha! Te lo dirò per l’ultima volta.  L E V A T I”
-W
 
“Scusami, appartamento 23, stavo scaricando tutta la filmografia di Sasha Grey. E il Signore degli Anelli. E il live world tour di Jay Park. Mianhae.
-myg
 
“Maledetto bastardo, vorrei poterti scaricare io giù per lo sciacquone del cesso, mi hai consumato i mega per i tuoi stupidi porno. Ma vaffanculo tu e la Corea”
-W
(Cestinato)




 
#Yah!: oookay people! Fast notice: ogni volta che pubblicherò il capitolo post-it, farò un doppio aggiornamento. Su Wattpad poteva anche funzionare, visto che comunque ci sono standard di pubblicazione molto più larghi e, diciamo, liberi. Qui, non può funzionare. Indi per cui, per ogni "the wall", subito dopo, ci sarà il nuovo capitolo corrispondente! Alla prossima e buona permanenza a TND!

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Capitolo 4
*** Little Ray of Sunshine ***






IV.
Little Ray of Sunshine




“Give yourself a break 
Let your imagination run away”

(SiaSunday)



 
  W I N T E R  
 
 

L’unica nota positiva del mio triste quartiere, era il negozio di alimentari alla fine della strada. Bello grande come un supermercato e con gli scaffali pieni di quelle schifezze preconfezionate pronte da infilare al microonde, per un corretto ed istantaneo assassinio della salute fisica.
Da quando mi ero trasferita nella nuova casa, mangiavo male. Molto, molto male. E saltare i pasti non era un avvenimento raro. Diciamo che i miei standards si erano notevolmente abbassati, e con essi, anche le mie pretese. Evenienza che mi aveva condotta in quel negozio alle tre di pomeriggio, ad indugiare su quale confezione di ramen istantaneo dovessi scegliere. Era sempre così. Carne o verdure? Bianco o nero? Perché il mondo andava avanti sulle dicotomie, forzando gli esseri umani a scegliere una delle due strade, escludendo l’altra?
Ci fosse stata mia madre a vedermi, si sarebbe portata una mano alla bocca, inorridita. E mi avrebbe trascinata a casa, mettendomi davanti ad uno dei suoi abbondanti piatti preferiti, strabordanti di proteine, calorie e grassi saturi. Più o meno come il ramen che avrei dovuto prendere. Ma senza l’aggiunta del sapore di chimico offerto dall’industria. Sospirai.
Avrei dovuto mettermi davanti ai tutorials di Joe Bastianich ed imparare a cucinarmi qualcosa di decente. Non potevo andare avanti in quel modo per sempre. Il mio corpo si sarebbe ribellato, punendomi con una qualsiasi carenza di vitamine, che mi avrebbe fatto invecchiare la pelle prima del previsto, o cose del genere. Pensai che sarebbe stato bello trovare qualcuno con cui pranzare. E con “qualcuno” intendevo uomo, avevate capito bene. Di modo che si sarebbe occupato lui della cucina, mentre io mi sarei fatta viziare, o avrei sperimentato nuove forme di seduzione, come in quel film con Penelope Cruz. Avete presente la scena famosissima, dove lei era bendata e lui le passava un peperoncino sulle labbra? Esattamente.
Mi ritrovai a domandarmi se il mio adorato vicino di casa sapesse cucinare. Ma poi, mi venne da ridere. Quel bastardo scroccone non era capace nemmeno di scollarsi dalla mia connessione dati, figuriamoci se potesse essere in grado di prepararsi un pranzo o una cena.
Avevamo trovato un modo piuttosto bizzarro di comunicare, attraverso i post-it appiccicati sulle porte. Le sue risposte arrivavano ad intervalli di ore, ed erano così impertinenti da mettermi voglia di fare irruzione in casa sua e tirargli dietro uno per uno tutti i suoi strumenti di tortura musicale.
Quattro mesi di permanenza e di Min YoonGi avevo imparato a riconoscere solo la calligrafia. Stretta, disordinata e per niente bella da vedere. Tipicamente da uomo. Mi chiedevo spesso come fosse possibile, per la popolazione maschile, non essere capace d’impugnare una penna nel modo corretto. Tutti i più grandi artisti della storia non erano donne, e ciò avrebbe dovuto indicare la loro estrema bravura nel servirsi degli strumenti di scrittura. Com’era dunque possibile, che il settanta percento dei ragazzi che io conoscessi, sembravano avere delle zappe al posto delle dita? E il mio vicino troneggiava su di loro, brandendo lo stendardo della bruttezza calligrafica, sorridendo con un volto di cui io ancora non conoscevo i tratti. Per la verità, non sapevo nemmeno quanti anni avesse. Ma perché ci stavo pensando?
Mi risvegliai, scuotendo la testa. E protesi istintivamente una mano verso la confezione di ramen con carne, ma accadde qualcosa d’inaspettato. Perché le mie dita si scontrarono con quelle di qualcun altro. Sussultai, ritirando immediatamente la mano.
«Scusami» dissi, alzando gli occhi verso lo sconosciuto. Era un ragazzo, chiaramente asiatico. Non molto più alto di me, probabilmente di un paio d’anni più grande. I lisci capelli biondo platino gli ricadevano sugli occhi, nascondendone parzialmente la loro piccola forma felina. Le palpebre inferiori erano pesantemente cerchiate da affossamenti violacei. Wow. Raggio di sole doveva aver bypassato il sonno per qualche secolo o giù di lì. Nonostante quella preoccupante parentesi vampirica, dovevo ammettere che fosse molto bello. Lineamenti delicati, labbra carnose e rosate, volto ovale privo di imperfezione alcuna. Rimasi colpita dal suo incarnato, candido come la neve. Pareva addirittura più bianco di me, che nella comitiva venivo chiamata “fantasmina” anche d’estate, nonostante avessi vissuto in Florida fino a poco tempo prima. Indossava degli abiti piuttosto dimessi, una felpa verde militare con il cappuccio sollevato, una sbrindellata maglietta bianca con delle stampe e degli skinny neri. Era così esile, che sembrava sparire all’interno dei suoi stessi vestiti. Tanto che mi meravigliai come quel contatto inavvertito non gli avesse polverizzato la mano. Come se fosse stato fatto di zucchero.
«Fa nulla. Prendilo tu» mi rispose, in un inglese strascicato dall’accento vagamente orientale. Per qualche strano motivo, la sua voce mi parve familiare in modo preoccupante. Rimasi perplessa per un attimo, fissandolo. Accennò un mezzo sorriso a bocca chiusa, e prese l’altra confezione. Quella con le verdure. Lo guardai allontanarsi in silenzio. Camminava con tutta la tranquillità del mondo, come se il tempo fosse per lui una dimensione mancante. Spalle strette, schiena dritta. Pareva che nulla potesse turbare la sua indolenza, come un bradipo deciso a trasferirsi da un albero all’altro. Che tipo. Probabilmente, abitava nel quartiere cinese. Ecco perché quel posto sarebbe stato la mia Distrazione Numero Uno. Se gli autoctoni fossero stati tutti come Raggio di Sole, mi sarei laureata a quarant’anni. Perdendo tutto il mio tempo a rimanere abbagliata dalla loro bellezza esotica, guardandomeli sfilare davanti come tante bamboline ad una mostra.
Mi resi conto di essere rimasta lì a seguirlo con lo sguardo per almeno cinque minuti e mi coprii il volto con le mani, arrossendo. Ma perché non potevano piacermi i palestrati con il fondotinta e il cervello extra small? Agguantai la tanto agognata confezione di ramen e mi diressi verso le casse con una vaga disperazione dipinta sul volto. Maledetti asiatici.



 

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Capitolo 5
*** - The Wall - ***





The Wall -
 
 



“Ti svelo un segreto: non si può registrare una canzone alle tre di notte.”
-W

 
“Ora te ne rivelo uno anche io: non me ne frega un cazzo”
-myg
 
“Potresti almeno evitare le parolacce? Ti ricordo che stai comunque parlando con una ragazza! In caso te ne fossi dimenticato”
-W
 
“Le ragazze non rompono così tanto i coglioni. Stanno zitte e sorridono. Prendi esempio”
-myg
 
“Sai dove me li metto i tuoi esempi del cavolo? I dannati muri sono meno spessi del mio braccio, sento ogni sospiro che esce dalle tue maledette labbra maleducate, SMETTILA DI POMPARE LA MUSICA ALLE TRE DI NOTTE! NON SIAMO IN UNA SALA DI REGISTRAZIONE, OKAY? VOGLIO DORMIRE IN PACE, DACCI UN TAGLIO!”
-W
 
“Hai il ciclo, appartamento 23?”
-myg
 
“…Fatti gli affari tuoi.”
-W
 
“Ci avrei scommesso”
-myg

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Capitolo 6
*** Pale Bleach and Small Firefly ***






VI.
Pale Bleach and Small Firefly


«Game face, getting why so serious, child
You're like a boy delirious,
When you say is this town worth living in…
Is this town worth living in?»

(The 1975 Lost Boys)


 
 Y O O N G I 
 
 
«Perché stiamo comprando un pacco di assorbenti? Devo preoccuparmi?»
JiMin mi rivolse un’occhiata a metà fra l’imbarazzato e l’atterrito, seguendo ogni mio movimento. Sorrisi.
«Appartamento 23 ha il ciclo. Voglio lasciarglieli davanti alla porta per mostrarle quanto mi preoccupi per lei» risposi, lanciando casualmente l’oggetto nel carrello e superando la corsia, come se niente fosse.
«Chi?» Chiese lui, affiancandomi. A quanto pareva, TaeHyung era stato in grado di tenere la sua larga bocca quadrata chiusa. Rivolsi un’occhiata neutra a JiMin, assaporando ancora per un attimo la disarmante confusione dipinta sul suo volto.
Lui era uno dei miei più cari amici. Ci conoscevamo dalle elementari, spendendo più tempo l’uno a casa dell’altro che nelle nostre rispettive dimore. Era piccolino e minuto, dal sorriso contagioso guarnito da un paio di fossette. I suoi occhi diventavano due mezze lune, quando rideva. Gli volevo bene più della mia stessa vita. JiMin c’era sempre stato, quando i miei problemi avevano cominciato a rendermi difficile uscire di casa. Era stata sua l’idea di prendermi sotto braccio e offrirsi di accompagnarmi ovunque, trasmettendomi sicurezza con il suo incrollabile buon umore. Proprio lui, che nonostante la sua apparente spavalderia, fosse estremamente timido.
Aveva un talento particolare per il ballo, e stava studiando per diventare un professionista. A causa della sua conformazione fisica tutt’altro che scheletrica, spesso era stato oggetto di scherno per i suoi compagni di corso. Tuttavia, la sua performance nella rivisitazione del Cigno Nero al saggio dello scorso anno, era stata in grado di ridurre tutti al silenzio, costringendoli a guardarlo con timorata ammirazione. Quei pupazzi potevano possedere il corpo giusto, ma erano gusci senz’anima. Avevo visto JiMin piangere, dopo quell’esibizione. L’avevo visto fasciarsi più stretto i piedi, continuando a ballare nonostante le sue dita stessero sanguinando, rinchiuse nelle mezze punte.
Senza farmi scoprire, avevo immortalato entrambe le facce della medaglia della danza. Scattandogli foto che lo ritraessero nella gloria del palcoscenico, e nella miseria del camerino. Avevo fermato le sue lacrime sulla pellicola, i suoi sorrisi senza tempo e i suoi movimenti energici che bucavano l’obiettivo. E, una notte, mi ero introdotto nell’edificio scolastico, tappezzando le pareti con quelle immagini, esponendole ovunque. Per fare in modo che tutti si rendessero conto che il ragazzo che prendevano in giro, dava via il sangue per inseguire il suo sogno. Lavorando il triplo di loro e ricevendo solo odio in cambio. Ed aveva funzionato. Adesso, per lui non nutrivano altro all’infuori del rispetto. Era riuscito perfino a trovarsi una fidanzata.
«La mia nuova vicina di casa» spiegai, acchiappando il flacone di shampoo schiarente al volo. Non mi piacevano i capelli neri. Li preferivo biondi. Ragion per cui, li lavassi con un prodotto ad alto contenuto di ossigeno. Questione di gusti. Non era poi così strano vedere persone con le mie stesse esigenze, in America. In Corea, sarebbe stato diverso. Strano. Soltanto gli attori e le celebrità si tingevano i capelli. Un individuo con una capigliatura differente sarebbe stato visto di cattivo occhio. Giudicato. Non era semplice, vivere nel mio paese natale. Me n’ero reso conto fin troppo presto, nel corso dei miei numerosi viaggi.
Il volto di JiMin si schiarì come il cielo d’estate, e i suoi tratti si aprirono in quel famoso sorriso con occhi a mezzaluna e fossette.
«Ah, Winter» rispose, annuendo. Ecco. TaeHyung aveva parlato.
«Com’è che i fatti miei sono sempre sulla bocca di tutti?» Domandai, in maniera piuttosto retorica. Il mio amico si strinse nelle spalle, imbastendo un’espressione del tutto casuale.
«Chiedilo al tuo amico psicopatico, io sono innocente».
«Ti ricordo che sei stato tu a presentarmelo», precisai, continuando ad avanzare placidamente, appoggiato al carrello. Vidi JiMin annuire, con la coda dell’occhio. Aveva sprofondato le mani nelle tasche del jeans.
«Gli serviva un book fotografico» si giustificò. Sospirai.
«E a me mancava giusto uno svitato in più da aggiungere alla comitiva».
 
 
Quando tornai a casa, lasciai il pacco fuori dalla porta dell’appartamento 23, aggiungendovi un post-it sopra. Sorrisi fra me e me, mentre rientravo, soddisfatto di quanto avessi appena fatto. Dal giorno in cui avevo scoperto la sua password, avevo potuto beneficiare di Internet in maniera gratuita. Ero comunque uscito a pagare la bolletta, ma mi divertiva farla innervosire. Adoravo i suoi bigliettini pieni di frustrazione femminile, mi mostravano un lato delle donne che non avevo mai visto.
Dal punto di vista giuridico, aveva perfettamente ragione a muovermi quelle critiche. Il problema, era che nessuno prima d’allora si era mai lamentato delle mie abitudini fuori dal tempo, ed io non ero ancora disposto a cambiare i miei ritmi per una sconosciuta dall’isteria facile. Mi sarei prima divertito a sue spese per un altro po’, e poi, magari, avrei fatto come chiedeva. Non ero completamente insensibile, nonostante l’elevata dose di cinismo che avevo accumulato in tutti quegli anni. Tanto più, che non potevo comportarmi in modo troppo eccessivo con quella ragazza.
Dalla famosa telefonata di TaeHyung, mi ero chiesto spesso che aspetto potesse avere. La immaginavo minuta, una di quelle ragazze carine con la risposta pronta e il sarcasmo assassino, che vestivano spesso di nero e guardavano cartoni animati a sfondo satirico e scurrile. Va bene, magari mi ero lasciato un po’ trasportare dalle mie fantasie personali. Ma una cosa era certa. Quella Winter sembrava essere un tipo piuttosto interessante.

 
 

 
“In caso la tua acidità t’impedisse di mettere piede fuori casa”
-myg
 
 
“La tua simpatia mi uccide.”
-W
 
“La prossima volta, ti lascio fuori un pacco di zucchero”
-myg
 
“No, grazie. Mi si cariano i denti.”
-W



 


 
#Yah!: ho visto le vostre recensioni. Non mi sono scordata di rispondere, è solo molto molto tardi (e gli esami per l'uni molto molto stancanti)... domattina avrete un nuovo messaggio inbox e tanti cuori!
P.S.: grazie millissimo a tutti i lettori silenziosi e a chi ha inserito TND nelle seguite/preferite/ricordate e a chiunque sia riuscito/a a ritrovarla dai tempi di Wattpad! 
P.P.S: le nuove foto teaser dei BTS sono il crimine. L'Ophelia di Millais ringrazia. E la mia reazione è stata la seguente:

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Capitolo 7
*** - The Wall - ***





The Wall -
 
 



 
“Il tuo maledetto gatto obeso mi ha pisciato sulla porta. Tieni quella palla di grasso chiusa in casa, altrimenti la prossima volta che lo vedo, gli do’ fuoco”
-myg
 
“Snickers non è obeso. Okay, forse un pochino, ma non capisco perché tu debba essere così rude nei suoi confronti. Oltretutto, non ho letto di alcune restrizioni, sul contratto di affitto. D’altronde, lasciano camminare te in giro per l’appartamento, deduco che gli animali non siano un problema, per questo condominio.”
-W
 
“Vuoi morire giovane, appartamento 23?”
-myg
 
“Oh, adesso passiamo alle minacce?”
-W
 
“Sei tu che hai cominciato”
-myg
 
“Non stata io ad offendere il tuo gatto!”
-W
 
“Io non possiedo un gatto. Ma ho un altro amichetto piuttosto interessante… con cui scommetto faresti qualunque cosa, tranne che offendere”
-myg
 
“Sei disgustoso.”
-W


 
#Yah!: ora, come allora... #YoonWinisreal

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Capitolo 8
*** Young Friends vs. The Banshee ***






VIII.
Young Friends vs. The Banshee




«My neighbour told me that I got bad brains
But I’m alright though (We’re alright though)»

(5 Seconds of Summer She’s Kinda Hot)


 
 Y O O N G I  
 

«Perché ci sono tutti questi post-it sulla tua porta, YoonGi?»
«La fredda vicina di casa del nostro adorato fotografo l’ha presa per una bacheca di Facebook».
Lanciai una matita addosso a TaeHyung, che si riparò celermente dalla mia ira alzando le braccia, ridendo. Stavo correggendo uno dei miei testi, e lui ascoltava musica stravaccato sul divano. Ecco, i lati negativi dell’aver consegnato le chiavi del mio appartamento a mezzo mondo. Praticamente, vivevo con dei coinquilini abusivi. Mi alzai, raggiungendo JungKook in corridoio. Era fermo sulla soglia, i grandi occhi scuri spalancati, intenti a leggere il nostro breve scambio di messaggi.
Lui era il più giovane della comitiva, frequentava la stessa scuola di drammaturgia di quell’altra testa vuota, ed era stato introdotto nel giro di amici più o meno nello stesso periodo in cui anche TaeHyung aveva cominciato a frequentarci. Allungai una mano, sbrigandomi a staccarli prima che lui potesse leggere quelli più sessualmente espliciti. C’era una tacita regola, all’interno del nostro gruppo, nei suoi confronti. Non si parlava di rapporti, e le parolacce dovevano essere contenute. Era stato il più grande della comitiva a deciderlo, quando aveva scoperto la giovane età di JungKook. “Non possiamo lasciare che un sedicenne ascolti tutte le nostre stupidaggini, potrebbe essere diseducativo”. E JiMin aveva ricevuto uno scappellotto sulla testa, quando aveva cercato di fare presente che gli adolescenti avevano una mente molto più contorta dei ventenni. Lo sentii sbuffare, nel momento esatto in cui rimuovevo il biglietto sull’ “amichetto”. Pericolo scampato.
«Hey, stavo leggendo» protestò, dandomi un’amichevole gomitata.
«Non è roba per diciannovenni, questa».
«Che palle, YoonGi, non ho quattordici anni. Non sono nemmeno più vergine, quindi piantatela con il vostro proibizionismo».
«Ma insomma! Linguaggio!» Intervenne TaeHyung, materializzandosi al mio fianco e spruzzando dell’acqua in faccia al più piccolo. Come i domatori del circo facevano con le tigri, durante il processo di ammaestramento.
«Che cazzo?» Esclamò il moro, e ciò gli costò una nuova nebulizzazione. Guardai perplesso la scena, chiedendomi dove avesse potuto trovare quell’oggetto in casa mia, e come gli fosse venuto in mente di utilizzarlo. JungKook lo fissava, sconvolto, mentre l’altro reggeva il suo sguardo, impassibile.
«Abbiamo finito?» Domandai, rivolgendomi ad entrambi. TaeHyung non batté ciglio.
«Con i giovani d’oggi ci vuole disciplina. Disciplina!» Precisò, spruzzando ancora. L’altro incassò in silenzio, ritraendo brevemente il capo e chiudendo gli occhi.
«Se ti azzardi a farlo un’altra vo…» lo minacciò il moro, ma le sue parole vennero stroncate dall’acqua. Egli si pulì il volto con la manica della felpa, scoccando un’occhiata assassina al più grande.
«Corri» disse soltanto, e ciò ebbe il potere di far filare via il suo amico urlando. Sospirai, sentendoli rumoreggiare in giro per l’appartamento.
«Rompetemi qualcosa, e mi assicurerò che nessuno dei due sarà più in grado di procreare, in futuro» li minacciai, alzando la voce per farmi udire al sopra del loro infantile frastuono. Mi sbrigai a rimuovere il resto dei bigliettini e richiusi la porta. Mi diressi in sala da pranzo per cestinarli, e trovai TaeHyung sotto il tavolo, armato del suo fedele nebulizzatore, pronto ad utilizzarlo contro un furente JungKook.
«Esci fuori, maledetto!» Esclamò il moro, tirandolo per un piede. L’altro protestò, aggrappandosi alla gamba più corta del tavolo, ottenendo di farlo quasi cadere su di sé. Le loro urla cominciarono a darmi fastidio.
«Non…» esordii, ma qualcosa fu più forte e rumoroso di me. Qualcuno, per meglio dire.
«È mai possibile che non si riesca a studiare niente, in questo maledetto appartamento? Giuro che se vi sento un’altra volta, vengo a prendervi a calci finché non andate a segnarvi per il coro natalizio di voci bianche del quartiere! E lo farò, non m’interessa quanti siete e quanti anni avete!»
I due ragazzi sotto il tavolo si paralizzarono sul posto, spalancando gli occhi. Io trattenni a stento una risata. Li guardai calmarsi immediatamente, quasi come se a sgridarli fosse stata la loro stessa madre.
«Cos’era?» Domandò JungKook, sussurrando spaventato e rivolgendomi un’occhiata traumatizzata. TaeHyung si affrettò ad uscire dal suo nascondiglio, spazzando via la polvere dai suoi jeans battendovi sopra dei colpetti con le mani.
«Ecco a te l’autrice dei post-it sulla porta di YoonGi» ribatté, in un mormorio. Il moro mi guardò, preoccupato.
«Sul serio?»
Annuii. Ecco cosa mi perdevo, ogni volta che ascoltavo la musica ad alto volume nelle ore notturne. Ed ecco anche perché mi paresse di sentire qualche rumore strano, ogni tanto. Era la sua voce che cercava di comunicarmi disagio. Chissà quante perle mi ero perso.
«Winter» precisai, parlando a voce bassa e scandendo bene il suo nome. JungKook si alzò, passandosi una mano nei capelli corvini, elaborando.
«A me pare tutt’altro che fredda» rifletté, ricordandosi del commento che il suo amico aveva fatto appena era entrato. TaeHyung si strinse nelle spalle.
«Mi chiedo se lei urli così anche quando…» e lasciò cadere la frase, perché mi sfilai una Vans e gliela tirai dietro, facendolo schizzare in salotto con una mano premuta sulla bocca per non ridere.
«Pervertito» commentò JungKook, mentre andavo a recuperare la mia scarpa perduta saltellando s’un piede. Vidi il nostro amico comune riemergere dal salone con passi affrettati.
«Tu sta’ zitto» ribatté, protendendo un minaccioso dito indice nella sua direzione, al quale egli rispose facendo finta di avanzare verso di lui. Lo guardai scappare nuovamente. Perché dovevo avere due amici così idioti?



 

 

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Capitolo 9
*** - The Wall - ***





- The Wall -




 
“Potresti abbassare il volume della tua maledetta musica? Sono almeno quarantacinque minuti che non faccio altro che sentire “A to the G, to the U to the STD”. Per quanto tu sia bravo a rappare, il mio esame è più importante. Grazie”
-W
 
“N to the O to the GIRL to the KISS MY ASS”
-myg
 
“Senti, Agust Dick, comincia a calmarti che non ci metto niente a romperti l’amplificatore e pure la faccia.”
-W
 
“Hai un ragazzo, appartamento 23?”
-myg
 
“Ho un gatto. E mi da’ molti meno problemi”
-W
 
“Se scopassi, saresti meno acida. Basta bussare”
-myg
 
“Piuttosto il Tibet”
-W
 
“Non giudicare ciò che non conosci”
-myg
 
“Vivo benissimo nel Matrix, non ci tengo a staccare la spina”
-W
 
“Ah, vedo che non ti spiace lo sci-fi. Vuoi provare un po’ della mia tongue technology? Nessuna si è mai lamentata fin ora, ti farò arrivare da qui ad Hong Kong in due secondi netti”
-myg
 
“Ma la vuoi smettere? L’unica cosa che vorrei fare con la tua lingua, è TAGLIARLA. COSÌ FORSE SARÒ IN GRADO DI STUDIARE IN PACE! TI CI FACCIO ANDARE IO AD HONG KONG, COL CALCIO IN CULO EXPRESS”
-W
 
“Maledetta stronzetta, domani rimpiangerai amaramente quest’ultimo biglietto”
-myg
(Cestinato)
 
“Maniaco pervertito”
-W
(Cestinato)


 

#Yah!: nuovi banners, yay! Quello lì è Snickers, l'unico e solo ! Per il volto di Winter, potete cercare "emblu" su Instagram, ho finalmente trovato un'identità al viso, dopo quasi due anni hahahah! Scusate il ritardo, gli esami sono una croce vera. Ci vediamo più tardi per il doppio aggiornamento, stay tuned!

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Capitolo 10
*** Who's your Daddy? ***






X.
Who's your Daddy?



"This time I gotta know
Where did my daddy go?"

(The NeighbourhoodDaddy Issues)



 
  W I N T E R  
 
 

«Madre, accettate Soo come…»
“La connessione è momentaneamente assente”.
«Che cosa?» Urlai, scattando in piedi. Com’era possibile che Internet non funzionasse? Avevo pagato le bollette con perfetto tempismo, e controllato quale dei server per la riproduzione di video fosse il più affidabile nel sito di drama che stavo utilizzando. Era tutto perfetto. Cosa significava quell’ignobile messaggio, allora? Provai a ricaricare la pagina, ma Google si rifiutò di collaborare, mostrandomi la sua simpaticissima schermata con il dinosauro. Maledizione. Ero nel bel mezzo della puntata di Moon Lovers, dove la cugina di IU stava praticamente morendo di tubercolosi, arrendendosi all’evidenza che suo marito avrebbe volentieri trascorso una notte con la sua parente sciroccata proveniente dal ventunesimo secolo. E dunque, implorava la regina di accogliere HaeSoo come nuova moglie dell’ottavo principe ereditario. Gran figo, per la cronaca. Dovevo sapere cosa sarebbe accaduto. Ne andava della mia stessa sanità mentale. Ero mortalmente seria quando si trattava dei drama, rinunciavo perfino alle uscite, per potermi guardare gli episodi in santa pace.
Cliccai sull’icona del collegamento internet e per poco non mi caddero gli occhi. Il nome del mio wifi era stato cambiato. “Who’s your daddy?”. Sollevai entrambe le sopracciglia, aprendo il pop up e trovandomi davanti la stringa per la password. “Seventeen” non funzionava più. Provai a digitare “Anakin Skywalker”, in un impeto di simpatia. Password errata. “Dart Vader”. Errore. “Frank Harper”, il nome di mio padre. Ancora errore. “$uho”, magari mi andava bene. Niente. “Mick Jagger”? No. “Tua sorella”, battei sulla tastiera avvertendo una rabbia crescente risalirmi su per la gola. C’era solo una persona capace di poter fare una balordaggine del genere. Ma, quella volta, aveva decisamente superato i limiti. Nessuno interrompeva il mio streaming senza rischiare almeno una frattura cranica.
Mi alzai come una furia, percorsi tutto l’appartamento pestando i piedi e spalancai la porta d’ingresso con un solo gesto. Mi piazzai dinanzi al campanello di quel miserabile rifiuto umano chiamato Min YoonGi, e premetti il dito sull’interruttore. Per molto, molto tempo.
C’era silenzio nell’appartamento, ragion per cui, prima o poi il molesto trillo l’avrebbe sicuramente svegliato. Spostai l’indice quando sentii una mano armeggiare con la serratura, ed incrociai le braccia al petto. Finalmente, la resa dei conti. L’avrei prima incenerito con lo sguardo, poi ucciso con le mie parole. Dopodiché, mi sarei introdotta nel suo appartamento, e avrei ripristinato il mio collegamento wifi, cambiando nome e password una volta per tutte. Avrei impiegato qualche frase senza senso di SeHun degli EXO, impossibile da indovinare seguendo la logica comune della costruzione fraseologica inglese. Cominciai a battere ritmicamente il piede sul pavimento, attendendo che l’uscio si schiudesse. Appena vidi uno spiraglio di luce, partii alla carica.
«Senti un po’, rapper dei mei stivali, rendimi la mia connessione o ti assicuro ch…» e la frase mi morì in gola. Perché, dall’altro lato della porta, una pertica di un metro e ottanta si appoggiava allo stipite. Lanciandomi un’occhiata interrogativa, mentre si rigirava un lollipop in bocca. Incarnato bronzeo, capelli biondo grano acconciati in una piega perfetta e di classe, abiti casual e dimessi, profumo di muschio. Ovviamente, asiatico. Era davvero quello, il mio vicino di casa?
«S-scusami…» balbettai, perdendo di colpo tutta la mia animosa belligeranza, battendo le palpebre, mentre mi sentivo sovrastata da tutta quella pregiatissima mercanzia orientale. «Sei tu Min YoonGi?» Chiesi, sentendomi una vera idiota. Mi aveva aperto la porta. Certo che era lui. Cretina. Il biondo si sfilò il dolce di bocca, con un movimento sciolto. Sembrava talmente sicuro di sé, che non potei fare a meno di ammirarlo.
«No, bambolina» mi rispose, con una voce roca da telefonata erotica. Quasi mi strozzai con la saliva. «YoonGi è in doccia, al momento. Cosa posso fare, per te?» S’informò, sorridendomi maliziosamente a bocca chiusa. Avvampai, perdendo momentaneamente il controllo sui miei stessi pensieri. Nulla di ciò che avrei voluto realmente fare con lui sarebbe stato decoroso, ma non mi sembrava assolutamente il caso di palesarglielo.
«Po-potresti chiedergli di…» pausa. Dovetti abbassare lo sguardo, poiché il giovane si stava mordendo il labbro inferiore. «Di rimettere il wifi com’era prima? Lui… lui capirà» aggiunsi. Balbettando. Mi arrischiai a sollevare gli occhi, pregando che non stesse facendo nient’altro che aumentasse la tensione all’interno del mio corpo. Lo vidi annuire lentamente, con un’espressione piuttosto seria. Che a me comunque ispirava sesso.
«E tu saresti?»
Una povera giovane donna in preda agli ormoni.
«Winter» risposi, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, a disagio. Sollevò un sopracciglio. «La vicina di casa» precisai. «Appartamento 23. Lui… mi-mi chiama così» aggiunsi, imbastendo un sorriso che uscì più come una smorfia, e allora rinunciai. Mi regalò altri tre secondi di penetrante sguardo indagatore, che chissà per quale opera divina fui in grado di sostenere. Ma avevo smesso di respirare. Si strinse nelle spalle.
«Riferirò» disse, soltanto. «C’è altro?» Domandò, ed io scossi energicamente la testa. In silenzio.
«Allora ci vediamo, bambolina» e ammiccò con nonchalance, infilandosi nuovamente il lollipop in bocca e richiudendo la porta. Rimasi lì immobile per qualche secondo, avvertendo ciascun millimetro cubo di sangue all’interno del mio corpo fluirmi alle guance. Poi, mi voltai e ritornai in silenzio al mio appartamento, premendomi le mani sulle gote. Con chi avevo appena parlato? Ma soprattutto… per quale infausto allineamento astrale tutti i candidati di Mister Asia 2016 dovevano capitare davanti alla mia faccia, negli ultimi giorni?
 

 
 

 
“Grazie per aver riportato il mio wifi al vecchio stato. Sebbene avessi prima dovuto indovinare la nuova password. Sai, non era per nulla divertente”
-W
 

“Who’s your daddy, appartamento 23?”
-myg

 
Fottiti, YoonGi
-W
(Cestinato)


 

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Capitolo 11
*** - The Wall - ***





The Wall -



 
“Ehm… hai per caso visto Snickers, in giro? Sono due ore che lo cerco nell’appartamento e non riesco a trovarlo, sto leggermente andando in paranoia”
-W
 
“Hai provato al supermercato? In genere li vendono lì”
-myg
 
“Non mi servono le barrette, razza di scemo, ho perso il mio gatto. Il gatto”
-W
 
“Fatti una risata, appartamento 23, allunga la vita. E no, la tua obesa palla di pelo felina non ha avuto la sfortuna di finirmi fra i piedi. Per oggi”
-myg
 
“oh”
-W


 
#Yah!: sul tardi posto anche il capitolo successivo. Piccolo spoiler: #meetingALERT! ;)

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Capitolo 12
*** Merida ***






XII.
Merida




«You fell asleep in my car, I drove the whole time
But that’s okay I’ll just avoid the holes so you sleep fine...
I’m driving here I sit,
Cursing my government
For not using my taxes to fill holes with more cement»

(Twentyone pilotsTear in my Heart)


 
 Y O O N G I  
 

Avevo attaccato al lavoro da meno di un’ora e già almeno quattro opzioni diverse di suicidio avevano preso forma nella mia mente. Tre ragazze piuttosto sbronze avevano cinguettato dei complimenti da due soldi su come fossi bravo a versare la vodka, ottenendo di buttarsi perfino addosso il liquido del drink, in un pessimo tentativo di essere sensuali per attirare la mia attenzione. I whisky on the rocks erano arrivati a quota sette e i depressi uomini sulla cinquantina alla mia destra non avevano fatto altro che chiacchierare del loro lavoro d’ufficio per tutto il tempo. Non ne potevo più.
Non sapevo cosa fosse peggio, se il fatto che una certa Frances Bean avesse scopato con il caporeparto sulla stampante, e che io dovessi sorbirmi tutti i dettagli del caso, o che alla radio stessero davvero trasmettendo quello scempio di remix della canzone Fast Car. La versione originale era molto meglio, solo chitarra e la rude ma piacevole voce di Tracy Chapman. Faceva così tanto “soffitta della nonna al tramonto, con i vecchi quarantacinque giri”, da farmi sentire bene ogni volta che l’ascoltassi. Cosa non andava nelle generazioni moderne, che spingeva qualunque individuo sotto i trent’anni a considerare “musica” una cacofonica accozzaglia di suoni che percuotevano le tempie senza un filo logico, o una struttura? Ancora una volta, odiavo il ventunesimo secolo.
«Una tequila».
Non sollevai nemmeno lo sguardo, prendendo nota dell’ordinazione e mettendomi direttamente al lavoro. Era stata una voce femminile a parlare, in qualche modo a me familiare. Mi affrettai a versare la bevanda nel bicchiere, e non feci nemmeno in tempo a metterlo sul bancone, che un paio di piccole manine eburnee dalle dita affusolate me lo sfilarono di mano. La loro giovane proprietaria si scolò il drink d’un fiato, in un colpo solo. Poi, batté il bicchiere sulla lisa superficie di legno, resa ormai liscia dall’utilizzo e decretò “un altro”.
La guardai, con un sopracciglio alzato. Avrà avuto un paio d’anni meno di me, grandi occhi verde smeraldo e una cascata di riccioli voluminosi, di un rosso così vivo da sembrare ramato. Una miriade di lentiggini erano disseminate attorno ai suoi zigomi, passando per il piccolo nasino alla francese. Le labbra, dalla forma a cuore e in una dolce sfumatura di rosa pesca, erano fisse in una linea senza espressione. Sembrava triste. Bella, ma infelice. Intercettò il mio sguardo, reggendolo per qualche istante. Poi, sospirò.
«Ah, un altro asiatico. Ormai non mi sorprendo più di nulla, incontro solo gente come te, in giro» commentò. Trattenni un sorriso. Potevo già sentire l’alcol farsi rapidamente strada verso la sua inibizione. Dopo il terzo shot, aveva perso ogni filtro. Mi parlava di qualunque cosa le passasse per la mente, senza preoccuparsi che le rispondessi o meno. Sapeva però che io la stessi ascoltando.
«Il nuovo appartamento è una merda, il coinquilino sembra aver programmato la sua vita con il solo scopo di farmi odiare la mia» esordì, strascicando lievemente le parole. «Ascolta la musica ad alto volume alle tre di notte. Alle tre, capisci? E non riesco mai a beccarlo per cantargliene quattro!» Esclamò, battendo una mano sul bancone, facendo tintinnare gli anellini argentati sulle falangi. Il mio sguardo si fece più attento, improvvisamente.
«“Appartamento 23, fatti una scopata”» recitò, e da lì mi fu palesemente chiara l’identità di chi avessi davanti: Winter, la mia vicina di casa. Era proprio lei, quella ragazza dal fisico minuto e burroso, con i capelli rossi. Chissà per quale ragione, la mia fantasia l’avesse dipinta in modo completamente diverso. Più vicino ad un’algida bellezza bionda, di ghiaccio. Non quel vulcano dagli occhi verdi. «Min YoonGi» disse il mio nome, aggiungendo forse un paio di vocali di troppo. «Non so nemmeno che faccia abbia. Ma i suoi amici sono dei veri manzi» commentò, con un sorrisetto. Feci del mio meglio per non scoppiare a ridere, mascherando il mio accesso con un colpo di tosse. «Se lui fosse bello almeno la metà del tipo con il lecca lecca, ci andrei subito a letto… anche per terra. Senza bisogno di chiederlo». Non ce la feci. La mia risata esplose, in modo così naturale ed incontrollato da sorprenderla. Mi guardò, alzando un sopracciglio. Le sue guance erano diventate rosse quasi quanto i suoi capelli e uno strano scintillio le brillava negli occhi. Dedussi che fosse quasi totalmente andata.
«Perché stai ridendo? Pensi che io non abbia i miei bisogni da soddisfare, solo perché sono una ragazza?» Chiese, inspiegabilmente lucida. Scossi la testa, e continuai a ridere. «YoooonGi dice che le tipe che conosce lui sorridono e dicono sempre di sì. Vorrei sapere con che razza di femmine se la faccia» aggiunse, pensierosa. Poi, il suo sguardo si posò nuovamente su di me. Che stavo lentamente tornando alla mia silenziosa normalità.
«Sai, anche tu sei veramente carino. E mi sembra di averti già visto» disse, posandosi l’indice sul mento, provando a richiamare alla memoria un ricordo che però non voleva collaborare con lei. «Se tu fossi Min YoonGi, ci verrei a letto con te. Magari ti lascio il mio numero» e, dopo quella, la vidi crollare sul bancone, il capo abbandonato sulle braccia. Uscii dalla mia postazione e mi avvicinai a lei, per scoprire che stava semplicemente dormendo. Le labbra dischiuse, le palpebre placidamente serrate, il respiro regolare. Sospirai.
Non potevo lasciarla lì. Inoltre, sembrava che fosse anche completamente sola e il nostro condominio non era propriamente dietro l’angolo. Le passai un braccio attorno alle spalle, uno dietro le ginocchia e la sollevai. Proprio come si faceva con le spose alla prima notte di nozze. Non era poi così pesante, in fin dei conti, mi sarei aspettato di peggio. Mi addentrai nel privé adibito al solo uso del personale, e trovai un paio di cameriere intente a fumarsi una sigaretta nei pressi della finestra. Mi salutarono con un cenno, e poi i loro sguardi corsero al corpo apparentemente senza vita che stringevo a me. E ridacchiarono.
«Spero non sia coma etilico» disse una, sporgendosi per guardare il volto di Winter, alla ricerca dei segni tipici dello stato comatoso. Scossi la testa. Era ancora perfettamente colorita, e i segni vitali sembravano a posto.
«Sta solo dormendo» decretai, depositandola con gentilezza sul divanetto. «Tornerò a prenderla alla fine del turno» aggiunsi, e uscii. Sperai che fosse abbastanza ubriaca da non riprendere coscienza per le prossime tre ore.
 


 

 
Per portarla in macchina, dovetti caricarmela in spalla. Continuava a dormire placidamente, senza accorgersi minimamente di ciò che le accadesse. Avrebbe potuto essere ancora nel locale, per quanto ne sapeva. E se non avesse incontrato me? E se fosse capitata in un luogo frequentato da malintenzionati, se avessero provato ad approfittarsi di lei? Era almeno cosciente di quelle possibilità?, mi chiesi, mentre camminavo verso la mia vecchia e malandata Ka rossa. Poi, mi fermai improvvisamente. Per quale ragione mi stavo ponendo tutti quei problemi? Aveva forse importanza, lei, nella mia vita? Sì, era la mia vicina di casa, con la quale intrattenevo dei piacevoli scambi epistolari quasi ogni giorno, ma la nostra confidenza si esauriva lì. Sospirai, scuotendo la testa. Alla fine dei conti, ero ancora il vecchio bravo ragazzo che Nancy aveva mollato perché non la trattava sufficientemente male. Immaginai che fosse proprio quello, il mio problema. Mettere i bisogni altrui prima dei miei, e annullare me stesso in favore della felicità di chi mi stesse attorno.
Raggiunsi la macchina e rimossi l’antifurto, aprendo prima la portiera del passeggero. Feci del mio meglio per trasferire la dormiente vicina dalle mie spalle al sedile, evitandole traumi cranici nel processo. Scivolò al suo posto senza intoppi, sistemandosi come meglio potesse nella nuova posizione, raggomitolandosi lievemente. Richiusi la portiera ed entrai dal lato del guidatore. La guardai per qualche istante. Non aveva nulla dell’isterica giovane studentessa che urlava dall’altro lato del muro, supplicandomi di lasciarla studiare in pace e di abbassare la musica. Aveva un aspetto dolce e pacifico, tanto che mi era davvero difficile credere che lei e “appartamento 23” fossero la stessa persona. Sembrava così indifesa, lì, a pochi centimetri da me, con un ricciolo ribelle scivolatole sul viso. Protesi una mano, sistemandole quella ciocca morbida dietro l’orecchio, con un tocco gentile. Si mosse lievemente, affondando il volto nel sedile.
Le parole di qualche ora prima mi tornarono in mente, attraversandomi la testa come un dardo. “Se tu fossi Min YoonGi, ci verrei a letto con te”. Trattenni una risata. Mi sporsi per allacciarle la cintura di sicurezza, facendo attenzione a non farle male. In effetti, neanche a me sarebbe dispiaciuto condividere una nottata insieme a lei. Misi in moto l’auto, ricalcolando il percorso più breve per tornare a casa, senza dover incontrare delle buche nell’asfalto. Non volevo che si svegliasse.


 



 


#Yah!: ora voglio proprio sapere i vostri pareri in merito.
 

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Capitolo 13
*** Shakespearian Aliens ***






XIII.
Shakespearian Aliens


“Living up the night with the walking dead,
Who's this creeping in my bed?”

(The Summer SetMust Be The Music)

 
 
 
  W I N T E R  

 

Ripresi conoscenza in un letto che non era il mio. Me ne accorsi dalla moltitudine di posters appesi alle pareti, ciascuno dei quali raffigurante una celebrità della scena hip hop o un famoso cantautore straniero. Inoltre, io non avevo quella enorme pila di cd sulla scrivania. E di certo non lasciavo i miei vestiti sparsi in giro sul pavimento. Scattai a sedere, e quell’azione mi provocò una lancinante fitta alla testa, strappandomi un lamento di bocca. Mi accorsi di essere ancora vestita dalla sera prima, fortunatamente. Dove accidenti ero?
«Buongiorno!»
Urlai per lo spavento, e feci sobbalzare anche la figura seduta in terra a pochi metri da me. Si trattava di un ragazzo, forse mio coetaneo. I lisci capelli color noce moscata gli finivano quasi negli occhi, e l’incarnato color ambra risaltava grazie al felice abbinamento di colori pastello dei suoi abiti. Era, anch’egli, inevitabilmente bello ed assolutamente asiatico. Che novità. Dalla tranquillità con cui sostava lì in terra, dedussi che, forse, la stanza in cui mi trovavo potesse essere la sua. Ti prego, dimmi che non abbiamo fatto sesso. Non che sarei stata poi così dispiaciuta, ma sarebbe stato squallido. Non ricordare nulla, intendo.
«Tu chi sei» domandai, stringendomi le ginocchia al petto, cercando di ricostruire i pezzi della scorsa serata. Mi ero infilata in un pub dopo ore di infruttuose ricerche del mio gatto per tutto il vicinato ed isolati limitrofi, arrivando perfino a perdermi. Mi sarei preoccupata di fermare un taxi e farmi scaricare a casa, avevo pensato, mentre entravo nel locale. Ricordavo il barista biondo che mi serviva una tequila. Non avevo fatto caso al suo volto. E poi, più nulla. Buio. Vuoto. Il ragazzo sul pavimento mi scoccò un inspiegabile sorriso quadrato, levandosi in piedi.
«Kim TaeHyung, miss» e fece un teatrale inchino probabilmente derivante dai tempi di Shakespeare. Un altro coreano. Che parlava con la voce degli abissi, tanto da chiedermi come potesse essere possibile, per delle corde vocali umane, raggiungere toni così profondi. Ma perché la mia vita si stava lentamente trasformando in un drama, senza che io me ne accorgessi? Che almeno la fortuna girasse dalla mia parte quando ero cosciente. E non in posizione orizzontale su un letto sconosciuto che sapeva inspiegabilmente di menta.
«Questa è casa tua…?» Chiesi, guardandomi attorno. Lo sentii ridere. Un bel suono, vellutato e carezzevole.
«Non lo riconosci? È l’appartamento 24. Sei dal tuo vicino, Min YoonGi» spiegò, passeggiando lentamente per la stanza e stiracchiandosi. Nella mia mente si produsse lo stesso identico suono delle puntine del giradischi quando venivano sollevate, nel bel mezzo della riproduzione di un vinile. Come?
«Che cosa?»
«Ti ha riportato qui, ieri. Non chiedermi i particolari, perché non li conosco. Ero solo venuto a scroccare la colazione, ma lui è dovuto uscire prima… lasciandomi qui con te» disse, appoggiandosi ad un muro con le spalle e scoccandomi un’occhiata interessata. Possibile che in quell’appartamento ci fosse un continuo via vai di uomini asiatici, e del diretto interessato non si vedesse nemmeno l’ombra?
«Non sarà mica gay?» Chiesi fra me e me, rendendomi conto soltanto dopo la nuova risata dello strambo giovane, che avessi espresso quel pensiero ad alta voce.
«Ti assicuro di no», garantì TaeHyung. «Ma ha la brutta abitudine di dormire molto e a qualsiasi ora. Ecco perché noi abbiamo le chiavi del suo appartamento. Non si sa mai».
Dedussi che per “noi”, intendesse se stesso e qualche altro amico. L’immagine del tipo alto con la voce roca si ricostruì nella mia mente, ed ebbi improvvisamente caldo.
«Hai la febbre?» Mi domandò il ragazzo, piegando la testa verso sinistra. Lo guardai, sollevando un sopracciglio.
«No».
«Però sei tutta rossa».
Mi portai immediatamente le mani alle guance. Dovevo essere arrossita pensando a quel ragazzo. Maledizione, io odiavo la Corea del Sud. Avvertii l’impellente bisogno di tornare nel mio appartamento, per rimanere con la mia solitudine. E il mal di testa da sbronza. Feci del mio meglio per rimettermi in piedi senza barcollare troppo, e mi diressi verso la porta della stanza alla massima velocità che il mio passo malfermo potesse garantire.
«Dove vai, ora?»
«A casa. Grazie per essere rimasto a… farmi compagnia. Ti devo una colazione» dissi, fingendo il sorriso più sincero di cui disponessi sul mio personale catalogo da actor studio e misi una mano sul pomello. Vidi la sua espressione crucciarsi lievemente. Non volevo restare lì dentro un secondo di più. Sarebbe potuto spuntare un nuovo amico di Min YoonGi da un momento all’altro, e non avrei retto ad una doppia combo. Tuttavia, presentii che TaeHyung non mi avrebbe lasciata andar via per così poco. Allora, tentai la via più ovvia. Quella della corruzione.
«Lavoro alla filiale di Starbucks sulla sedicesima strada, passa a trovarmi quando vuoi, offro io» contrattai, e i bei tratti del suo volto si distesero. Bingo. Annuì contento, proprio come avrebbero fatto i bambini. Uscii dalla camera, indovinando il percorso verso la porta d’ingresso grazie alla somiglianza di quell’ambiente con il mio.
«Va bene domani?» Lo sentii chiedere dalla stanza, speranzoso. Farfugliai qualcosa e praticamente rotolai fuori, tirandomi la porta alle spalle. Mi ci appoggiai con la schiena contro, prendendo profondi respiri. Che problemi avevo, io, con la mia stessa vita? In particolare, da attirare sempre più casi umani sul mio cammino?



 



 


#Yah!: non si vedranno mai faccia a faccia. Scherzo! Non manca poi molto, non sono così bad inside. Beh, non so voi, ma il nuovo teaser di DNA mi ha tolto tutte le poche forze che mi erano rimaste dopo aver dato uno dei tanti esami della sessione autunnale. Il primo piano di Tae. Kookie. N A M J O O N. Boh, fate voi, io mi voglio dissociare. Ho passato troppi guai per Blood, Sweat and Tears, e sento che non saranno nulla in confronto a DNA. Come sempre, grazie a tutti voi lettori, a quelli che recensiscono, preferiscono/seguono/ricordano. Siete cuori <3
Vi lascio una gif che descrive la mia reazione per Tae (queste gif non vi abbandoneranno mai, sappiatelo):


E una per Kookie:


 

Bonus track per NamJoon:



 

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Capitolo 14
*** - The Wall - ***





The Wall -


 
“La prossima volta, assicurati di tornare a casa con le tue gambe, appartamento 23”
-myg
 
“Hey, ehm… grazie. Per avermi riportata qui. Ma come hai fatto a sapere che ero io? Non ci siamo mai visti”
-W
 
“Hai parlato, appartamento 23. Non è difficile dimenticare una voce come la tua, che urla 24/7”
-myg
 
“Ma la musica era così alta, in quel pub. E poi, ricordo di non aver avuto nessuno accanto a me”
-W
 
“Hai chiare difficoltà a reggere l’alcol, mi sembra piuttosto ovvio. Altrimenti non mi avresti dimenticato tanto facilmente”
-myg
 
“Sarà”
-W
 
“Però, sei piuttosto divertente quando ti ubriachi”
-myg
 
“Che intendi dire?”
-W
 
“Non pensi, prima di parlare. Butti fuori qualunque cosa ti stia passando per la mente in quel particolare momento”
-myg
 
“Che… CHE COSA HO DETTO?”
-w
 
“ERA IMBARAZZANTE? ERA SESSUALMENTE ESPLICITO?”
-W
 
“YoonGi, perché NON RISPONDI Più”
-W
 
“Lo sapevo, la mia reputazione è rovinata. Ho parlato dell’incidente con la panna”
-W
 
“Quale incidente, appartamento 23?”
-myg
 
“…NIentE”
-W

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Capitolo 15
*** UFO Kookies ***






XV.
UFO Kookies



“I said, "No!"
"Oh, give it a rest, I could persuade you."
"I'm not your typical, stoned 18-year-old
Give me a night I'll make you."

(The 1975Girls)

 
  W I N T E R  
 
 

«Wow. Sei proprio carina!»
Alzai lo sguardo dal blocchetto per le ordinazioni e lanciai un’occhiata verso la fonte di quella fresca voce maschile. E individuai Kim TaeHyung, con un braccio abbandonato sulle spalle di un ragazzo alto poco più di lui. Mi regalò uno dei suoi sorrisi quadrati, mentre il suo amico sfilava alla presa e si avvicinava ulteriormente a me, studiandomi interessato. Indovinate un po’? Sì, esatto, coreano. E, ovviamente affascinante. Insieme, quei due sembravano due modelli in pausa da un photoshoot per una rivista di moda. Uno, stretto nel suo cappotto grigio scuro elegante, che rifiniva la sua figura perfettamente. Skinny neri e scarpe del medesimo colore, occhiali da sole casualmente abbandonati sul suo capo. L’altro, più casual, indossava una giacchetta di jeans, t-shirt slargata bianca e dei jeans non aderenti. Impeccabili. Bellissimi. Che guardavano proprio me. Costretta ad indossare la divisa di Starbucks, con poco trucco, ancora alle prese con il mal di testa da sbronza del giorno precedente. Notate, erano le otto di mattina. Mi sarei gettata volentieri in terra, a piangere sulla mia miserevole vita. Come spesso facevano le protagoniste degli shojo manga, quando i ragazzi più carini della scuola s’infatuavano di loro. Le cui autrici finivano poi per far scegliere, alle loro povere protagoniste, sempre il ragazzo più burbero. Che le aveva maltrattate dall’inizio della vicenda.
Il nuovo arrivato aveva degli occhi molto grandi e lo sguardo quasi innocente, di un vellutato ebano. Incarnato latteo, lineamenti proporzionati, fini, e lisci capelli scuri che gli ricadevano disordinatamente sulla fronte. Profumava di lavanda ed era parecchio più alto di me. Protese una mano e mi sistemò un ricciolo ramato sfuggito al cappellino della divisa, portandomelo dietro l’orecchio. Vidi il suo sguardo vagare sulla moltitudine di piercing, ammirato.
«YoonGi mi aveva fatto credere che tu fossi come Elsa di Frozen» disse il giovane, sorridendomi e sprofondando le mani nelle tasche del giubbetto di jeans che indossava. «Quando invece sei una Merida in carne ed ossa». Arrossii, battendo le palpebre. YoonGi? Possibile che anche lui fosse amico del mio vicino di casa? Ma quanti ne conosceva? La sua cerchia di amicizie sarebbe probabilmente bastata a riempire metà del nostro condominio. E l’intero perimetro delle mie fantasie erotiche. Ma cosa andavo a pensare?
«Io sono JungKook» mi tese la mano, affabile. Gliela strinsi, imbarazzata. Quanti anni aveva? Era legale fare pensieri su di lui? Sarei finita in prigione o all’inferno, per quello?
«Winter».
«Sì, lo so» rispose, senza sciogliere la stretta. Ottimo. Il loro amichetto doveva aver parlato di me in lungo e in largo, a quanto pareva. Rimanemmo a guardarci per alcuni istanti. Tempo in cui io avrei presto cominciato a sudare freddo, se TaeHyung non si fosse intromesso nella situazione, rompendo il ghiaccio.
«Siamo qui per quella famosa colazione a tue spese, miss» commentò, con un malizioso sorrisetto sulle labbra, afferrando il suo amico per la parte posteriore del colletto della giacca. Riportandolo a distanza di sicurezza per la mia sanità mentale. Annuii. Si era ricordato davvero. Puntuale come un orologio svizzero. Anzi, coreano. Accidenti, com’ero simpatica. I miei amici erano persone davvero fortunate, ad avermi con loro.
«Due frappuccini, formato large» ordinò il castano, allacciando le dita dietro la testa, esibendomi un sorriso soddisfatto. «TaeHyung e JungKook» scandì poi, affinché io prendessi nota dei loro nomi. Sollevai un sopracciglio.
«Troppo complicato», commentai. «Vada per “alieno” e “biscottino”» decretai, scribacchiando sulle targhette e spostandomi per passare l’ordinazione.
«Yah, miss! È imbarazzante, torna qui!» Sentii il suo vocione urlarmi dietro, ma l’amico dovette avergli assestato una gomitata per farlo stare buono. Dopo aver precisato alla cassa che quell’ordinazione sarebbe stata a mie spese, tornai al mio posto. Sorridendo loro beata.
«Finiscila, Tae. Ci ha appena offerto almeno dieci dollari di colazione, il minimo che tu possa fare è ringraziarla» lo sgridò il moro, scaldandomi il cuore. Allora, gli amici del mio vicino di casa non erano tutti teppisti o pornostar. C’era qualcuno di normale, fra loro. TaeHyung si massaggiò la porzione dolente di braccio, scoccandogli un’occhiata seccata, e poi si rivolse a me. Inchinandosi profondamente. Alla maniera coreana. Con una dose extra di teatralità.
«Grazie mille per la colazione, miss» decretò, in tono ufficiale. Cominciai ad arrossire, guardandomi attorno per vedere se qualcun altro stesse notando quello show, nei pressi dell’entrata.
«Hey» dissi, avvicinandomi a lui e cercando di riportarlo in posizione eretta. «Okay, ho capito, non siamo più al periodo edo, puoi alzarti adesso» gl’intimai, desiderando sempre più ardentemente di scavarmi una voragine nel pavimento e rinchiudermi sette metri sotto terra, per la vergogna. JungKook aveva cominciato a ridere, mentre TaeHyung si sollevava di scatto. Lanciandomi un’occhiata confusa.
«Ma quello è il medioevo nipponico» commentò. «Ti sembro forse giapponese?» Chiese, indicandosi il volto con un dito. Scossi la testa. Fortuna che quella mattina, il locale fosse stato semi vuoto. Altrimenti non avrei avuto il tempo di star dietro alle sue chiacchiere.
«Scusami, se non sono preparata sulla storia del vostro paese natale» borbottai, grattandomi la nuca a disagio, mentre subivo la sua occhiata di biasimo. «Era per dire che un semplice “grazie” sarebbe stato sufficiente», aggiunsi.
«A Tae piace esagerare i suoi modi. È convinto che la sua vita sia un palcoscenico» mi svelò JungKook, coprendosi le labbra con una mano e avvicinandosi al mio orecchio. Ridacchiai, mentre il suo amico incrociava le braccia, guardandolo male.
«Moccioso impudente, non lo sai che non si parla degli altri davanti ai diretti interessati?» Commentò, con acredine. Lo sentii ridere, accanto a me. Un bel suono spontaneo, gentile. Un altro denominatore comune della comitiva del mio vicino di casa, era la bellezza delle loro voci. Non potevano mettere voglia di strapparsi solo gli occhi, dovevano reclamare come proprie anche le orecchie. Sospirai, impercettibilmente. Se avessi potuto commentare la mia stessa situazione con un post su un qualsiasi social network, avrei probabilmente scritto “100% done” ovunque.
«Alieno e biscottino!» Decretarono ad alta voce dall’altra parte del bancone, ottenendo di farmi scoppiare a ridere, e di far voltare l’intera esimia clientela del locale. Colpita da quei nomi così trani ed improbabili. Le guance di TaeHyung s’imporporarono, e si abbassò gli occhiali da sole sul volto, incamminandosi verso la sua ordinazione con il capo sprofondato nel colletto del suo costoso cappotto elegante. Mentre JungKook avanzava divertito. Sembravano così diametralmente opposti, mentre ritiravano le grosse confezioni e tornavano da me. Uno sorridente, l’altro con la morte nel volto.
«Veramente un colpo basso, miss. Mi auguro che la mia prossima ordinazione avrà un nome più dignitoso» commentò il castano, arrischiandosi a guardarsi attorno, per poi ripararsi nuovamente dietro il tessuto del bavero. Con un movimento inconsulto, come se i suoi occhi schermati dalle lenti nere avessero incontrato lo sguardo di qualche altro cliente divertito. Potevo ancora vedere il rosso delle sue guance tingergli anche gli zigomi. Sorrisi.
«Adesso andiamo, o faremo tardi per il corso delle nove» m’informò JungKook. Lo vidi protendersi verso di me, e schioccarmi un bacio sulla guancia. Inaspettatamente. Il cuore mi mancò un battito.
«Ci vediamo, Merida. Passerò spesso a trovarti!» Esclamò, ammiccando. Per poi avviarsi con il suo amico fuori dal locale. Li guardai incamminarsi verso destra, dalle pareti vetrate del negozio. TaeHyung borbottava qualcosa, e lui rideva, allegro. Mi portai una mano dove pochi secondi prima si erano posate le sue labbra. C’era bisogno di ripeterlo? 100% done.



 



 


#Yah!: I'm 100% done with Jeon JungKook too.
 

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Capitolo 16
*** Agust Starbucks (and his caramel macchiato) ***






XVI.
Agust Starbucks (and his caramel macchiato)



“I don't know where you're going
But do you got room for one more troubled soul?”

(Fall Out Boy feat. Foxes Alone Together)

 
 

 Y O O N G I  

 

Avevo appena finito un servizio fotografico, particolarmente impegnativo. Era per l’ep di uno dei miei amici del giro di rap underground, quindi ci tenevo in particolar modo: avevo avuto cura che tutto fosse andato esattamente come avevamo deciso insieme. Una fatica immane, sfiancante, ma soddisfacente. Dunque, avevo le migliori intenzioni di tornare a casa a dormire. Finalmente. Tuttavia, il fato sembrava avere altri piani, per me. Stavo per muovermi verso l’appartamento, quando il cellulare vibrò nella mia tasca, segnalandomi un messaggio non letto. Appesi la Canon alla spalla e controllai la notifica. Era un messaggio di TaeHyung.
“Stamattina sono stato con Kookie a prendere la colazione da Winter, lavora alla sede Starbucks sulla sedicesima strada. Sono stato pubblicamente umiliato dalla sua abilità con i soprannomi, ti suggerisco di andare a trovarla e ripagarla con la stessa moneta”.
Sollevai un sopracciglio. Quelle due pesti erano davvero andate a scroccare un frappuccino dalla mia vicina di casa. Ero senza parole. E, cosa leggevo?, a quanto pareva, lei aveva addirittura “umiliato” TaeHyung, affibbiandogli un soprannome che non doveva essergli piaciuto. Sorrisi fra me e me. Quella scimmia molesta non aveva avuto indietro neanche la metà, di ciò che il suo karma negativo doveva aver accumulato nel corso dei suoi ventun anni. Ciò che mi divertiva di più, però, era notare il suo palese insuccesso nell’entrare nelle sue grazie. A quanto pareva, lui e JungKook erano i playboys indiscussi del corso di teatro, nessuna poteva resistere loro. Eccezion fatta per la mia nuova vicina di casa, in fin dei conti.
Lanciai un’occhiata al mio orologio da polso. Le tre. Per arrivare sulla sedicesima strada, avrei impiegato almeno un quarto d’ora. Perché no.

 

 
Entrai nel negozio e la vidi. Ferma nei pressi del bancone, che prendeva l’ordinazione della coppietta che si teneva mano nella mano, sorridendo mentre scribacchiava sul blocchetto. Mi parve ancora diversa da quella famosa nottata al pub. Alla fine, l’avevo portata a casa mia, e distesa sul letto. Esatto, proprio lì. Il mio sacro altare alla divinità del sonno, la mia dolce metà, il naturale prolungamento del mio essere. Non permettevo a nessuno di occupare quella superficie, nemmeno di sedervisi sopra. Era di mio dominio, e tale sarebbe dovuto rimanere. Allora, chissà perché non mi ero fatto alcun problema a posarvela sopra, di modo che potesse continuare a dormire tranquilla. Me n’ero andato sul divano, senza pensarci due volte. Per quale ragione? Che razza di strani poteri esercitava, quella sconosciuta, sul mio subconscio?
La guardai, mettendomi in fila. Era davvero piccolina. Difficile credere che un corpo tanto minuto, potesse contenere una simile verve caratteriale. Portava i ribelli capelli rossi legati in una crocchia bassa sulla nuca, di modo da non intralciare il cappellino della divisa. Aveva il lobo pieno di piercing e un anellino su ciascun dito della mano. Intuii che dovesse essere più tosta di quanto non sembrasse. Mi domandai che musica ascoltasse, ma poi mi diedi dell’idiota per essermi posto una simile questione. Che me ne importava?
Mi misi a trafficare con il cellulare per ingannare l’attesa, e smettere di fissarla. Aprii Instagram e la prima foto che vidi, fu quella di Nancy. Che sorrideva all’obiettivo insieme al suo nuovo ragazzo, un certo Jackson Wang. Quella troia. Cinque mesi di relazione, di cui tre condivisi con quel bellimbusto che sorrideva dall’altro lato dell’obiettivo, mentre le stringeva la vita con fare possessivo. Povero idiota. Quel corpo, che sembrava così ben fatto e prezioso, aveva conosciuto così tante lenzuola differenti, da farmi rivoltare lo stomaco al solo guardarlo. Mi pareva di sentire le sue parole risuonarmi ancora nelle orecchie, dalla sera in cui mi aveva lasciato.
Era la vigilia di natale, fuori nevicava. Lei si era appena spenta la sigaretta nel portacenere le che avevo comprato appositamente. Nonostante odiassi il fumo e chi ne facesse uso, le permettevo di consumare le sue Virginia Slim nella mia cucina, come se niente fosse. Per renderla felice.
Sei uno smidollato, YoonGi. È questo, il tuo problema. La mancanza di reattività. Non lo so nemmeno io perché ti sono rimasta accanto per tutto questo tempo, deduco fosse la forza dell’abitudine. Mi annoi. Mortalmente. Hai sempre ‘sì, Nancy’ stampato sulle labbra. Avresti dovuto dirmi no, qualche volta”.
E se n’era andata, scomparendo dalla mia vita. Non rendendosi conto della mole elefantiaca di problemi che la mia psiche si trascinasse dietro ogni giorno, come pesanti catene. D’altronde, avevo sempre avuto il sospetto che non le fosse mai importato veramente, di ciò che potessi sentire. O soffrire. Ero un semplice ornamento, per lei. Un pesante bracciale che tintinnava al suo polso, di cui non aveva esitato a sbarazzarsi, una volta resasi conto di quanto potesse infastidirla.
«Sì?»
Battei le palpebre e sollevai lo sguardo dal cellulare, incontrando i due smeraldi della mia vicina di casa, che mi sorrideva gentilmente. Era arrivato il mio turno e non me n’ero accorto. Era veramente carina. Limpida. Un universo parallelo, rispetto a Nancy.
«Un caramel macchiato, formato medio» ordinai, senza interrompere il contatto visivo. La vidi scrivere, annuendo. Dita piccole e sinuose, dalle unghie laccate di un punto così scuro di rosso, da sembrare nero.
«Nome?»
«Agust D» sorrisi. Si fermò per qualche istante, sollevando un sopracciglio. Mi rivolse un’occhiata più attenta, alla ricerca di qualche segno particolare sul mio volto. Mi morsi il labbro inferiore, per non ridere. Parve mettercela davvero tutta. Impossibile che si ricordasse del mio viso, dalla sera al pub. Era troppo ubriaca per richiamare alla memoria perfino il posto in cui avesse lasciato le chiavi di casa. Nella tasca, per inciso.
«Ci siamo già incontrati, per caso?» Chiese, arrendendosi. Feci spallucce, non dandogliela vinta.
«Può darsi» commentai. «Il mondo è un posto piccolo» aggiunsi, e quella risposta parve disorientarla. Era così divertente vederla andare nel pallone, come quando scrivevo qualcosa di troppo esplicito nei post-it sulla sua porta. La faceva sembrare adorabile.
«O-okay» balbettò, cercando di riprendere il controllo della situazione. Chissà cosa stava accadendo nella sua mente, in quel momento. «Puoi aspettare qui, a breve la tua ordinazione sarà pronta» spiegò, accennando un sorriso confuso. Annuii e sollevai un angolo delle labbra, rubandole un ultimo sguardo da quegli occhi grandi color smeraldo. Prima o poi le avrei detto il mio vero nome.


 


 


#Yah!: ormai penso che mi odierete, perché mi diverto a giocherellare con la vostra ship preferita. I'm such a bad girl, I should be with bad boys like JungKook. GIURO CHE PRIMA O POI SI CONOSCERANNO, TRUST ME.

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Capitolo 17
*** - The Wall - ***





The Wall -


 
“Vedo che stringi più amicizia con la mia comitiva che con me. Ottimo lavoro, appartamento 23, forse un giorno ce la farai a conoscermi!”
-myg
 
“Senti, non è colpa mia se casa tua è un viavai continuo di individui di sesso maschile, il cui aspetto mi rende altamente infiammabile. Che minano la mia castità morale, spirituale e fisica. Capito? È la vita che ha deciso di punirmi, mettendomi sul loro stesso cammino. La vera vittima, qui, sono io!”
-W
 
“Ed io t’infiammo, appartamento 23?”
-myg
 
“Non so nemmeno che faccia tu abbia, va’ via”
-W
 
“È bella”
-myg
 
“Come l’aceto in un occhio? O la tua musica alle tre di notte? Quel tipo di bello?”
-W
 
“Bello come una notte bollente insieme al sottoscritto”
-myg
 
“Intendi dire che sono io a darti fuoco?”
-W
 
“Non c’è proprio verso, appartamento 23, non vuoi collaborare”
-myg
 
“Ti sembro forse così disperata?”
-W
 
“L’acredine continua a non andar via, io ti sto solo suggerendo una valida alternativa al miglioramento del tuo umore”
-myg
 
“Ti ringrazio, ma hanno inventato le barrette di cioccolata agli Oreo proprio per le persone come me”
-W
 
“Sai qual è il mio soprannome, all’interno della comitiva?”
-myg
 
“Molesto Min? Distruttore di ovaie? Distributore d’imbarazzo sociale? Succo di limone nella retina? Guarda che posso andare avanti all’infinito”
-W
 
“Suga, appartamento 23. Perché sono dolce come lo zucchero. Vuoi un morso?”

-myg
 
“Giuro che prima o poi mi trasferisco di nuovo.”
-W


#Yah!: mi vorrete molto bene, per il prossimo capitolo.

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Capitolo 18
*** Summer meets Winter ***






XVIII.
Summer meets Winter



"Are you worth your weight in gold?
Cause you're behind my eyelids when I'm all alone
Hey, stranger, I want you to catch me like a cold."

(Panic! at the DiscoHurricane)


 
  W I N T E R  

 
 
Di Snickers nessuna traccia. Tre settimane erano passate, dall’ultima volta che il suo sfiancato miagolio di gatto obeso mi avesse accolta, dopo essere tornata dall’università -probabilmente perché aveva bisogno di qualcuno che rimpinguasse i croccantini all’interno della ciotola, ormai vuota-. Ventotto giorni di solitudine, inframmezzata da disperazione, lacrime, frustrazione e svariati episodi di drama per tirarmi su.
Mi mancava il mio gatto. Tremendamente. Era l’unico legame che io possedessi, nei confronti della mia casa in Florida. Un bel ricordo dei giorni trascorsi insieme alla mia famiglia, un pezzo della vita stessa. Venirne privata in quel modo, faceva molto, molto male. Non riuscivo a rimandare alla memoria nemmeno la circostanza in cui quella palla di ciccia felina sarebbe potuta schizzare fuori dal mio appartamento. Probabilmente, quando avevo lasciato la porta aperta per andarmi a lamentare del wifi con il vicino senza volto. E avevo finito per incontrare il suo amico con la voce da post-coito. Un attimo di distrazione era bastato affinché l’ultimo briciolo di “casa” mi scivolasse via dalle mani, lasciandomi definitivamente sola.
Mi ero spesso domandata dove diamine sarebbe potuto andare, lui, da solo, in sovrappeso e senza cibo. Snickers era come me: non adatto alla corsa, alla vita campestre e alla campagna. Beh, il mondo fuori dall’appartamento era una giungla. E temevo potesse averlo fatto soccombere. Le ipotesi più tristi ed impensate si erano affollate nella mia mente, inducendomi molte volte alle lacrime e spingendomi ad uscire ad orari improponibili al solo scopo di cercarlo. Avevo esplorato i dintorni come una pattuglia delle forze dell’ordine alla ricerca di fuori legge, esaminando ogni angolo, ogni anfratto, ogni vicolo. I miei occhi verdi avevano visto lati di New York di cui nessuno avrebbe potuto sospettare, e ringraziavo il cielo ogni giorno per essere tornata a casa con le mie gambe. Era addirittura peggio dell’andare alla ricerca dei Pokémon, con quell’applicazione fuori di testa per i cellulari. Avrei potuto brevettare un’edizione particolare solo per il mio gatto, “Snickers Go”. Se solo avessi saputo dove cercarlo.
Finché, una sera, accadde l’inaspettato.
Mi stavo nuovamente commiserando nella mia solitudine, affogando il dispiacere nel dozzinale gelato industriale e la videografia degli EXO: niente era meglio di Park ChanYeol e le sue movenze da orso affetto da stipsi, per curare un cuore infranto. Ero in pigiama, e la pioggia incessante che continuava a battere sui vetri delle finestre aveva contribuito a far lievitare il tasso d’umidità nell’aria. Di conseguenza, i miei ricci erano più gonfi e ingestibili che mai, facendomi assomigliare sempre di più alla principessa scozzese della Disney, proprio come JungKook aveva esclamato vedendomi per la prima volta. Allo stato brado, i capelli mi arrivavano alla schiena. Non osavo immaginare quali lunghezze avrebbero potuto raggiungere, se solo mi fossi azzardata a stirarli. Probabilmente, sarei passata da Merida a Rapunzel, confondendo tutti con le mie spettacolari facoltà camaleontiche. Insomma, per non divagare troppo, credo di avervi fornito un’immagine abbastanza chiara di quanto potessi essere impresentabile.
Ebbene, alle dieci e mezza sentii suonare il campanello di casa. Sobbalzai malamente, rischiando di spiaccicare tutto il gelato sul mio computer, aggiungendo altri danni non richiesti alla già piuttosto cospicua sequela di sfortunati eventi che avesse deciso di colpirmi, negli ultimi tempi. Contemplai tutte le possibilità che quel trillo potesse preannunciare:
- La CIA aveva scoperto il mio tentativo di hackerare il Pentagono, avvenuto nel lontano duemila tredici, ed era giunta a consegnarmi al governo americano. Una volta per tutte;
- Qualcuno dei condomini poteva avere bisogno di un ingrediente particolare per la sua cena etnica, oppure aveva semplicemente voglia di fare due chiacchiere;
- Poteva essere il pagliaccio di It, che mi chiedeva se avessi voglia di aiutarlo a servire ai tavoli del McDonald’s insieme a Stephen King;
- Altrimenti, un classico: poteva trattarsi dell’intramontabile serial killer.
Indecisa fino all’ultimo se ignorarlo o meno, un secondo trillo mi strappò un’esclamazione impaurita, rivelando ormai a chiunque fosse dietro la porta la mia presenza all’interno dell’appartamento. Ero fregata. Camminai a piedi nudi verso l’ingresso, sentendo il cuore martellarmi incessantemente contro il petto. Avrei voluto avere almeno un marito asiatico bello come il principe Wook, prima di morire.
«Appartamento 23, la pianti di ricoglionirti insieme agli EXO e vieni ad aprire questa stracazzo di porta?» Tuonò una voce inconfondibile, dall’altro lato della superficie lignea. Era il mio vicino di casa. Ancora una volta, lo stesso suono delle puntine del giradischi sollevato di scatto si riprodusse nella mia mente.
Che ci faceva Limone in un Occhio fuori dal mio appartamento? Sollevai un sopracciglio e aprii la serratura. Rivelai un ragazzo asiatico biondo ossigenato, alto non molto più di me, zuppo da capo a piedi. Riconobbi immediatamente Raggio di Sole, il giovane che avevo incrociato al supermercato tempo prima, e l’Agust D del caramel macchiato che era passato da Starbucks qualche giorno fa. Stessi occhi dal taglio felino, incarnato latteo, affossamenti violacei sulle palpebre inferiori e complessione fisica minuta. In tutto quel tempo, era sempre stato lui. Min YoonGi. Il ragazzo della porta accanto.
Troppo impegnata a processare il sorrisetto malizioso che gli stava passando sulle labbra, non feci nemmeno caso a ciò che stesse stringendo a sé, finché non si mosse, miagolando. Fu allora che riconobbi Snickers. Il gatto. La mia grassa palla di pelo. Che tremava aggrappato alla felpa del biondo, guardandosi attorno con aria spaurita.
«Snickers!» Esclamai, prendendolo fra le mie braccia e sentendo il pianto pizzicarmi la radice del naso, mentre il micio miagolava con riconoscenza. Lo accarezzai, felice di quella ricongiunzione inaspettata. Io l’avevo già dato per spacciato.
«E a me niente?» Chiese YoonGi, appoggiandosi con un braccio allo stipite della porta. Provò a metter su un’aria da playboy consumato, ma l’intento fallì nel momento esatto in cui gli sopraggiunse uno starnuto, rompendo la magia idilliaca del momento. E mi ricordai che fosse bagnato fradicio.
«Non rimanere lì fuori, potresti ammalarti» esclamai, tirandolo per la felpa e facendolo entrare, chiudendogli la porta alle spalle. Si guardò attorno, con interesse. Mi nascosi il volto dietro il corpo del gatto, tenendolo d’occhio. Sembrava nutrire un certo interesse per i quadri che mi ero presa la libertà di appendere alle pareti. Quell’appartamento avrebbe pur dovuto avere un segno della mia presenza, all’interno di esso. Ebbene, un mio caro amico era un artista piuttosto affermato, in Florida. Che io avevo tenacemente supportato fin da quando era un sedicenne svampitello coi capelli verdi, che dipingeva fino alle cinque del mattino nel garage dei suoi genitori, portandogli la colazione quando l’andavo a trovare, sfidando le esalazioni di acqua ragia con coraggio. E adesso, avevo stampe sui muri che all’asta venivano quotate per migliaia di dollari. Il karma ripaga sempre.
«Questa sei tu, appartamento 23?» Chiese, indicando una grande illustrazione di una donna con i capelli ricci e rossi, che guardava l’osservatore da sopra la spalla nuda. Annuii. Vidi un malizioso sorrisetto passargli sulle labbra.
«È stato il tuo ragazzo, a farlo?»
Risi di cuore. Jeremy St. Peters, il mio amico pittore, non avrebbe potuto essermi più familiare di un parente. Immaginare noi due insieme mi parve un’idea così ilare, che non riuscii a fermarmi. L’espressione confusa che si dipinse sul volto di YoonGi, poi, fu impagabile.
«Ti prego», commentai, posando Snickers sul pavimento, il quale atterrò placidamente, esplorando un ambiente che gli era felicemente familiare. Il suo pelo era lercio, incrostato qui e lì di sporcizia. Avrei dovuto lavarlo quanto prima. E portarlo dal veterinario. Non potevo sapere quali strani incontri del terzo tipo avesse avuto, durante il suo viaggetto nelle downtowns. E se avesse mangiato un topo? Rabbrividii, scuotendomi. Mi focalizzai sul volto perplesso del mio vicino di casa, recuperando stabilità emotiva. «Voglio bene all’autore di questo quadro come ad un fratello. Non lasciarti sviare dalla posa e dallo sguardo. Ero perfettamente vestita, fatta eccezione per quella spalla» l’informai, incrociando le braccia. Lo vidi annuire. E poi starnutire nuovamente. Mi scansai di scatto, evitando la dose extra di germi che altrimenti avrei ricevuto in omaggio in pieno viso.
«Potresti farti una doccia» gli proposi, presentendo che, se l’avessi lasciato in quello stato per altri dieci minuti, si sarebbe beccato una febbre coi fiocchi. L’osservai rovistare nella tasca del suo jeans, per poi estrarre una chiave. Ovviamente bagnata. E del tutto simile a quella che avevo anch’io, che serviva per aprire la porta di casa. Me la tese.
«Potresti prendermi un cambio di vestiti?» Chiese. «Sono nell’armadio bianco sulla destra, nella stessa camera in cui ti sei svegliata qualche settimana fa», m’istruì. Annuii, stringendo l’oggetto fra le dita, per poi dirigermi in bagno e preparargli l’occorrente per la doccia. Lo sentii incamminarsi verso la cucina, in silenzio.
«Appartamento 23?» Mi chiamò, ed uscii dal bagno, affacciandomi in corridoio. «Avresti lo shampoo schiarente? Non uso quello normale, altrimenti i miei capelli tornano del loro colore naturale», disse, sorridendo. Gli lanciai un’occhiata assassina, ritornando silenziosamente nella stanza. Pure viziato. Ed io dove lo sarei andato a prendere, il suo shampoo ossigenato? Non mi schiarivo di certo i capelli. Poi, mi venne un colpo di genio. Mi diressi in cucina, sotto il suo sguardo attento. Aprii l’anta del frigo e prelevai un limone, tagliandolo in due.
«Che stai facendo?» Chiese, divertito. Lo fissai, serissima.
«Non ho shampoo schiarenti. Quindi, mi farai il piacere di spremerti questo limone sui capelli e di aspettare tre minuti, prima di sciacquare. Funziona» spiegai, e proseguii nuovamente verso il bagno. Colsi una fugace immagine della sua impagabile espressione persa e confusa. Ah, uomini di strette vedute. 


 


 
#Yah!: si sono incontrati! Contente??? Era come ve l'aspettavate? Meglio? Peggio? Let me knowwww! E non parlatemi del comeback, non ho ancora visto il mv. Ho, però, sentito l'album e devo ancora abituarmi agli abiti sonori che hanno deciso di indossare per questo nuovo cd... ma mi piace moltissimo il suono del flauto che hanno inserito qui e lì come leitmotiv, mi fa molto pensare ad Omelas. Un po' si sente la mano dei Chainsmokers in Best of Me, ma non hanno stravolto nulla, come invece temevo. Aspetto di poter mettere le mani anche sulle hidden tracks, ho la netta sensazione che Sea sia magnifica. In ogni caso, Pied Piper >>>>>> tutte. La sto sentendo in loop. E, per chiunque stesse leggendo Youth, quando pubblicherò il seguito alla storia, sappiate che è stato scritto ad inizio luglio. E che quindi nessun riferimento al nuovo album era voluto. Io vi ho avvisati. NamJoon e la Big Hit leggono le mie bozze nel pc, non c'è altra spiegazione.

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Capitolo 19
*** Of Lemons and Showers ***






XIX.
Of Lemons and Showers



"I was doing fine on my own
And there wasn't much I lacked…
But you've stolen my air catcher
And I don't know if I want it back"

(Twenty one PilotsAir Catcher)

 
 
 Y O O N G I  

 

Fissavo quel limone con mente assente, da ben due minuti. Non sentivo movimenti né soliloqui, dalla cucina, e dunque intuii che Winter fosse uscita a prendermi il cambio di abiti che le avevo chiesto.
Mi passai il frutto giallastro da una mano all’altra, avvicinandolo al naso ed inspirando il suo aroma aspro. Lo allontanai, storcendo la bocca. Davvero credeva che avrei impiegato quell’oggetto, per schiarirmi i capelli? Un maledetto limone? Ma dove le trovava, quelle notizie? Nell’inserto bellezza di Cosmopolitan US? Riposi l’agrume con circospezione, svestendomi con calma. Gli abiti bagnati mi si erano appiccicati addosso, perfino i boxer erano ormai fradici. Proprio come se avessi deciso di saltare in una piscina, completamente vestito. Ma non si trattava certo del party dell’anno, di cui tutti avrebbero parlato per mesi e mesi. Era l’ennesima puntata di “la vita di YoonGi”, edizione serale, post-temporale. Tuttavia, occorreva prima fare un preambolo. Ed eccolo arrivare, insieme alla sigla d’inizio.
Quel pomeriggio, avevo staccato prima dal servizio fotografico che stavo facendo. Poiché le nuvole, in cielo, non mi permettevano di ottenere la luce giusta per gli scatti. Mi ero profondamente scusato con la mia cliente, una signora nel fiore dei suoi quarant’anni, che aveva bisogno di un book per promuovere la sua nuova linea di abbigliamento artigianale. Avendo un gusto particolarmente estroso, avevo già elaborato delle idee per alcune foto alla luce dorata del tramonto, nel fitto di un parco, con i raggi aranciati del sole che si riflettevano sull’erba smeraldina; creando un’atmosfera evocativa, perfettamente suggestiva. Sarebbe stato bellissimo. Tuttavia, il meteo aveva improvvisamente deciso di non collaborare con il mio estro artistico, guastandosi e coprendosi di nubi, proprio quando ne avrei avuto meno bisogno. Il che mi costrinse a rimandare il servizio a quando ne avrei avuto le possibilità.
Così, non avendo di meglio da fare, mi ero ritirato nello Starbucks dove lavorava la mia vicina di casa, sperando di trovarla in servizio. Senza successo. Al suo posto, un adolescente con l’acne e una chiara predisposizione per la musica metal mi aveva accolto con voce gracchiante, chiedendomi cosa volessi ordinare, probabilmente aspettandosi che gli dicessi di bere solo il sangue degli innocenti. Ad ogni modo, ero rimasto qualche ora seduto ad uno dei tavolini del locale, ascoltando una delle mie basi nuove fiammanti, sorbendo il mio caramel macchiato e scrivendo qualche testo. Senza rendermi conto che il tempo, fuori, si stesse scurendo ancor di più.
Ero uscito dalla caffetteria accompagnato dal rombo dei tuoni, e avevo tutta l’intenzione di affrettarmi, per la prima volta nella mia vita, perché non mi sarebbe proprio andato, di dovermi fare una doccia fredda gratuita a febbraio. Ciò nonostante, proprio prima di svoltare l’angolo che mi avrebbe condotto nel mio quartiere, avevo intravisto la figura di un gatto. Grasso, dall’inconfondibile pelo color miele. Mi era capitato di occhieggiare il panciuto e placido gatto di Winter, le poche volte in cui si avventurava sul mio balcone, strisciando nello spazio al di sotto della parete che divideva i nostri due spazi esterni. E il suo manto era proprio dello stesso colore di quel randagio. Mi ricordai allora di uno dei suoi ultimi post-it, in cui mi diceva di non essere riuscita a trovare il suo micio da nessuna parte. Quindi, da bravo cavaliere quale mia madre mi aveva insegnato ad essere, m’ero incamminato verso di lui. Già sapendo che me ne sarei pentito.
Quel maledetto felino obeso aveva passeggiato senza sosta per almeno due isolati, infilandosi negli anfratti più improponibili. Costringendomi a scavalcare reticolati, attraversare quasi con il rosso e saltare su scatoloni ammassati gli uni sugli altri, per riuscire a tenergli dietro. Fino a che, il potente rombo di un tuono non fosse riuscito a farlo spaventare a morte, arrestando la sua corsa in un vicoletto. L’avevo trovato tutto tremante e appiattito contro il muro. Nonostante la bruciante e totale voglia di dargli fuoco, mi ero ugualmente chinato e l’avevo sollevato da terra. Si era lasciato prendere senza problemi, abituato com’era alle attenzioni umane.
A quel punto, quasi come se le nuvole sopra di me avessero atteso proprio quel momento, l’inconfondibile rumore della pioggia che picchiettava le strade aveva cominciato a riempirmi le orecchie. Ovviamente, non avevo un ombrello. Figuriamoci. Quindi, avevo fatto l’unica cosa che la mia testa avesse giudicato di buon senso, in un simile frangente. Mi ero aperto la giacca, e avevo messo Snickers al riparo; per poi cominciare a correre verso casa, noncurante dell’acqua che mi scorresse lungo la schiena in rivoli, scendendomi dai capelli fino al collo, inzuppandomi completamente.
Avevo pregato, affinché il cellulare non fosse andato a farsi fottere, ma poi mi ero ricordato che quei sei svalvolati dei miei amici, al culmine della gioia, mi avessero regalato l’ultimo modello di una marca ai vertici del sistema capitalistico, resistente all’acqua, e con un’ottima acustica. Me l’avevano recapitato per lo scorso compleanno. “Tanto lo sappiamo che prima o poi ti finirà anche questo nel cesso, così ci siamo prevenuti”, aveva detto TaeHyung, porgendomelo con il suo consueto sorriso quadrato. Li avevo dunque ringraziati mentalmente, mentre avevo continuato a correre, sfidando la pioggia. Ero arrivato a casa ormai ridotto ad uno straccio, più zuppo di un mocio per lavare i pavimenti. In compenso, però, il gatto era sano e salvo. Più o meno asciutto. E l’avevo riportato alla sua legittima padrona, rivelando la mia identità alla vicina della porta accanto, starnutendole anche in faccia. Ottima prima impressione.
Detto ciò, gli eventi sopracitati mi avevano condotto proprio nel suo bagno, contro ogni logica comune. Avrei potuto benissimo declinare l’offerta di Winter, per tornare nel mio appartamento e gettarmi nella vasca, per i seguenti quaranta minuti abbondanti. Per annegare in silenzio la mia pubblica umiliazione nell’acqua bollente, ma invano. Avevo accettato di rimanere lì, come se fosse stata l’opzione più ovvia del mondo. Certo. Quanto ero stupido. Perché non me n’ero andato, accettando di farmi la doccia come se quella lì fosse stata casa mia? Rinunciai a trovare una risposta per quesiti che non l’avevano, scuotendo la testa.
Entrai nella cabina della mia vicina di casa, aprendo il getto d’acqua calda, lasciando andare un sospiro di sollievo. Sentire quel calore sulla pelle era estremamente rigenerante. Sperai di non ammalarmi seriamente, dopo quella corsa folle.
Lanciai un’ultima occhiata al limone, facendo del mio meglio per non ridere. Che strana ragazza.


 

 


 


#Yah!: limoni per tutti. Risponderò alle recensioni, I swear!

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Capitolo 20
*** Apollo and Magic Mike ***






XX.
Apollo and Magic Mike



“Look like a girl but I think like a guy
Not ladylike to behave like a slime
Easy to be sleazy when you've got a filthy mind
You stick to your yogurts
I'll stick to my apple pie”

(Marina and The DiamondsGirls)


 
  W I N T E R  
 
 

Entrai in casa di YoonGi e venni accolta da una sconosciuta voce vellutata.
«Toh, appena in tempo», udii, e mi pietrificai sull’uscio. Dal corridoio, vidi emergere l’ennesimo sconosciuto. Iniziai seriamente a domandarmi se in uno di quegli armadi ci fosse un portale temporale, che collegasse l’appartamento con il mio inconscio, proiettando nella realtà tutte le mie fantasie sessuali più o meno esplicite.
Il nuovo arrivato era bello come un principe, dal portamento regale e lo sguardo benevolo. Non avrebbe per nulla sfigurato accanto a Wook e BaekAh, in una puntata di Moon Lovers. Capelli color miele dall’aspetto morbido e fluente, che gli ricadevano sulla fronte in una piega perfetta, grandi occhi scuri, naso proporzionato e carnose labbra rosate, perfettamente disegnate. Indossava un’impeccabile camicia verde acqua molto chiaro, dallo scollo alla coreana, infilata in un paio di pantaloni di un punto piuttosto scuro di smeraldo. Classe assoluta. Pronto per una sfilata. Molto alto, spalle larghe, fisico longilineo e slanciato. Inevitabile incarnato roseo, assenza d’imperfezioni: un dio greco trasposto in un corpo coreano. Quasi sfolgorava. Quando mi vide, sollevò un sopracciglio. E mi ricordai di essere in pigiama, quello rosa, con i gattini disegnati in ogni dove, con ciabatte coordinate. Per non parlare dei capelli. Mi vergognai mortalmente. Apparire in quel modo così miserabile, dinanzi ad una divinità del genere. Oh, povera me.
«Ciao…?» Mi salutò, confuso. Battei le palpebre, riavendomi dalla mia estasi mistica. Ed avendo sufficiente presenza di spirito per fargli un cenno con il capo, in risposta.
«Io sono Kim SeokJin» si presentò l’Apollo, tendendomi una mano e un sorriso che quasi mi accecò. Gliela strinsi, debolmente. Le sue dita erano così lisce e perfette, da farmi sentire ancora più indegna di respirare il suo stesso ossigeno. «Sei la ragazza di YoonGi?»
Credo che ormai sappiate benissimo quale suono fece immediatamente capolino nella mia testa. Esatto. Puntina sollevata. E la magia si ruppe, riportandomi brutalmente con i piedi per terra.
«Ragazza? Quale ragazza?» Esclamò una seconda voce a me sconosciuta, accompagnata dal rumore di passi in corsa. E, al fianco di SeokJin, comparve un altro giovane. La seconda freccia nel mio cuore. Era di poco più alto di me, dalla corporatura robusta e i muscoli tonici. Incarnato ambrato quasi quanto quello di TaeHyung, sottili occhi scuri e un volto che sarebbe potuto tranquillamente passare per “il timido ma bellissimo ragazzo della porta accanto” o “il provocante nuovo membro asiatico del cast di Magic Mike”. A seconda delle interpretazioni.
Si tirò indietro i capelli color pesca, con un gesto che profumava di abitudine. Li vidi frusciare, ritornando al loro posto, mentre l’ossigeno cominciava ad abbandonare i miei polmoni. Ricordate: ero ancora in pigiama. Il ragazzo conturbante affiancò la divinità. Mi sentii così attaccata, che avrei voluto scoppiare a piangere lì, davanti a loro. Magic Mike Asia Deluxe mi osservò, sollevando un sopracciglio.
«Sei davvero la ragazza di YoonGi?» Chiese, facendo eco al suo amico dall’Olimpo. Ma che diamine, basta! Per chi mi prendevano?
«No, no» risposi, scuotendo la testa.
«Però hai le chiavi del suo appartamento…» mi fece notare, occhieggiando lo scintillante oggetto di metallo che stringevo fra le dita. Seguii il suo sguardo, arrossendo.
«È… complicato» balbettai, ma il ragazzo sorrise, annuendo. I suoi occhi divennero due mezze lune, specchiando le sue morbide labbra carnose, sollevate verso l’alto. Due fossette si aprirono nelle sue guance, e combattei contro l’incontrollabile impulso di affondarvi un dito dentro.
«Okay, okay, abbiamo capito» commentò infilando le mani nelle tasche. «Siete scopamici».
«JiMin!» Esclamò la divinità, dandogli di gomito. Ottenendo di farlo ridere. Poi, s’inchinò verso di me. Investendomi con la sua accecante perfezione. Credetti di aver dimenticato come si facesse a vivere.
«Perdona il mio amico, ogni tanto smette di ricordarsi come si parli con una signorina» lo giustificò, lanciandogli un’occhiata assassina. E l’altro si strinse nelle spalle, mordendosi il labbro inferiore per non ridere di nuovo.
«Ad ogni modo, eravamo passati a salutare YoonGi, e a lasciargli un po’ della torta che avevo preparato. È ancora calda» continuò, voltandosi appena verso la cucina. «Puoi servirti anche tu, senza problemi. Le amicizie di YoonGi, sono anche nostre».
«Scopamicizie» precisò JiMin, con un colpo di tosse. Ricevendo un paterno schiaffo sulla nuca. Poi, Apollo gli afferrò il lobo destro con due dita e lo trascinò via, strappandogli dei lamenti.
«Faremo meglio ad andare, adesso» commentò. «È stato un piacere…» e attese che pronunciassi il mio nome. Mi riebbi dalla mia seconda paresi cerebrale appena in tempo. Altri tre minuti, e sarei svenuta per la sindrome di Stendhal.
«Winter»
«Winter», ripeté. E, da quel momento in poi, seppi che nessuno avrebbe mai potuto pronunciare il mio nome in maniera migliore della sua. Uscirono dalla porta in fretta, e sentii JiMin urlarmi dietro qualche cortese saluto, prima che il suo amico potesse tirarlo con sé, giù per le scale. Rimasi sull’uscio per qualche minuto, ancora sconvolta. Poi, mi ricordai di cosa fossi venuta a fare, in primis. Ripromettendomi che non avessi più messo piede in quell’appartamento. Senza dei vestiti adeguati, un filo di make up e i capelli decenti.
 


 
Rientrai in casa, in lotta con la vita. Richiusi la porta, sconfitta. La Sud Corea aveva vinto contro l’America. Game, set e match. Tuttavia, nel corso della mia commiserazione, avevo scovato una slargata maglietta dell’Hard Rock Café di Seoul, nell’armadio di YoonGi. E un altro dei suoi adorati pantaloni neri, skinny. Erano così stretti e striminziti, che mi ero vergognata di essermeli appoggiati sui fianchi. Sentendomi di un’impareggiabile larghezza, comparando quella ossuta xs con la mia abbondante m. Mi ero dunque ricordata che lui mi stesse aspettando, nella mia doccia. E che non potessi lasciarlo lì in eterno, mentre prendevo mentalmente nota di quanto preoccupante fosse la sua magrezza. Perciò, ero uscita in fretta dal suo appartamento. Sperando di non doverci rimettere piede tanto in fretta.
Quindi, con la morte nel volto, mi diressi verso il bagno. E bussai. Per tutta risposta, la porta si aprì e il calore unito al profumo del mio bagnoschiuma alle mandorle m’investì. Unito ad un vago sentore di limone. Allora, l’aveva usato davvero. Poi, il vicino di casa comparve nel mio campo visivo. A torso nudo, con i capelli ancora gocciolanti e un asciugamano stretto attorno ai suoi fianchi. Le guance lievemente arrossate dal tepore e gli occhi lucidi, postura rilassata. Nonostante l’aspetto piuttosto smilzo, i muscoli del suo torace erano ben delineati e tonici. Lo sentii ridere, e mi accorsi di averlo fissato troppo direttamente. Che. Idiota. Desiderai di poter espatriare all’istante.
«Vuoi una foto, appartamento 23? Te la faccio recapitare in formato santino» commentò, divertito. Rossa dalla vergogna, gli sbattei gli abiti sul petto e feci dietrofront, allontanandomi da lui prima che potessi. Maledetto Min YoonGi. Ed io che gli avessi anche permesso di farsi la doccia in casa mia. Frustrata oltre l’inverosimile, mi misi alla ricerca di Snickers. Lo ritrovai al suo posto preferito, sul ciglio del divano. Se ne stava lì, acciambellato su se stesso, dormendo beato. Gli accarezzai piano la testa, e lui non aprì gli occhi. Il mio povero gatto obeso, scappato di casa. Infondo, dovevo essere grata al biondo della porta accanto. Era stato lui a riportare il gatto a casa, beccandosi tutta la pioggia in pieno. Dandosi così da fare per me, che non avevo fatto nulla, per lui. Lo sentii uscire dal bagno, camminando a piedi nudi sul pavimento. Continuò a strofinarsi i capelli ossigenati con un asciugamano stretto nella mano, sventolandomi il limone spremuto sotto il naso con l’altra.
«Dove posso buttarlo?» Chiese, ma lo presi e cestinai direttamente. «Stranamente, pare abbia funzionato. Nonostante ancora non comprenda come tu possa giungere a conclusioni del genere», commentò, sedendosi sul divano, accanto a Snickers. Incrociai le braccia, appoggiandomi al muro.
«La mia migliore amica non era capace di tenersi lo stesso colore di capelli per più di due settimane. Li ha provati tutti, anche il verde foresta» spiegai, ricordando i pomeriggi a casa di Kelly, attente a non farci finire il decolorante negli occhi, mentre ascoltavamo Taylor Swift a tutto volume, cantando e ridendo. Avevamo sedici anni. Sembrava passato un secolo, da allora.
«Verde foresta?» Ripeté lui, divertito. Annuii, sorridendo.
«È un colore» ribattei, «esiste».
«Senza dubbio» convenne. «Però, per la mia esperienza personale, il verde è solo verde. Di qualsiasi sfumatura sia, rimane quello» precisò, sorridendo. Sospirai, scuotendo la testa. Che causa persa. Poi, mi ricordai della camicia acquamarina della divinità olimpica.
«Sono passati a trovarti Kim SeokJin e un certo Jim… In» riferii, sperando di aver ricordato bene i nomi. I suoi piccoli occhi felini si spalancarono.
«A casa?»
«No, in veranda» commentai, lanciandogli un’occhiata eloquente. «Certo, sciocco». Parve ponderare le mie parole per qualche attimo, continuandosi a sfregare i capelli ormai quasi asciutti.
«E ti hanno vista?» Domandò, di nuovo.
«Beh…» balbettai, arrossendo mio malgrado. “Vista” era un eufemismo. Avevano potuto contare ogni gattino sul mio pigiama. Che umiliazione.
«Hanno fatto commenti?» S’informò, guardingo. Battei le palpebre, non sapendo come dirglielo.
«JiMin…»
«Oh no» sospirò. Lo vidi alzarsi, deponendo l’asciugamano sul divano, e poi mi afferrò le spalle. Saldamente, ma senza farmi male. Lo guardai, stranita, mentre le ciocche umide gli ricadevano sugli occhi in maniera disordinata. La sua pelle era sempre stata così diafana? E i lineamenti piacevoli, da percorrere con lo sguardo? «Non farci caso, okay? Ai miei amici piace scherzare. Qualunque cosa tu abbia sentito, dimenticalo» m’intimò. «Va bene?» e annuii, ottenendo di far scivolare le sue mani via dalle mie spalle. Gentilmente, come fossero stati drappi di seta. Tornò sul divano, posandosi due dita sul mento, riflettendo. Ed io ricominciai a respirare regolarmente, avvertendo l’odore di mandorle del mio stesso bagnoschiuma. Però, profumava davvero molto. Era quello, che gli altri percepivano, quando passassi loro accanto? Buono a sapersi.
«SeokJin ha detto di averti lasciato della torta» riferii, sentendomi indegna di pronunciare perfino il suo nome. Lo vidi annuire, e poi il rumore di una notifica sul mio cellulare interruppe il momento. Mi catapultai in stanza, controllando. Ed esclamai di gioia.
«Che succede, appartamento 23? Hai vinto alla lotteria?» Mi chiese YoonGi, raggiungendo la mia camera. Si appoggiò allo stipite della porta con le spalle, guardandomi divertito. Ignorai il riferimento ovvio che avrei potuto usare per l’ultima canzone degli EXO e gli sorrisi.
«Sono iscritta alla newsletter di un sito di drama, che li trasmette in streaming con i sottotitoli in inglese» spiegai. «E indovina? Hanno appena caricato il nuovo episodio di Moon Lovers!» Esclamai, felice. «Vuoi vederlo insieme a me?» Gli proposi, in un eccesso di generosità. Lo vidi trattenere a stento una risata.
«Sicuro, appartamento 23. Andiamo» accettò, divertito. Presi il portatile dalla scrivania e mi trasferii in salotto, collegandolo alla televisione. Dopodiché, aprii il sito e cliccai sulla nuova puntata subbata. Feci cenno a YoonGi di accomodarsi sul divano, e lui ubbidì. Sprofondandovi dentro con la sua assente grazia. Feci partire lo streaming e mi sedetti accanto a lui, entusiasta.
Finalmente avrei saputo cosa sarebbe successo ad HaeSoo nel Damiwon. Una parte di me, tifava per il principe So. Ma l’altra era perdutamente innamorata di Wook, facendomi venire da piangere ogni volta che il suo bellissimo volto comparisse sullo schermo.
«Ci capirò qualcosa?» Si chiese YoonGi, osservando il riassunto delle puntate precedenti. Sospirai.
«È nella tua lingua madre, sei anche avvantaggiato».
«Sì, ma hai idea di quanto sia complicata la storia della dinastia di regnanti di Goryeo? Non mi è mai stata chiara, nemmeno alle medie» commentò, seguendo l’avvicendarsi dei punti salienti degli scorsi episodi.
«A che età sei venuto in America?» M’informai, guardandolo. Lo vidi stringersi nelle spalle.
«Prima del terzo anno di liceo» rispose, laconico. Poi, la mia attenzione venne catturata dall’inizio del drama vero e proprio e mi concentrai sullo schermo. Ottimo. La puntata si apriva proprio col principe Wook.
«Non è bellissimo?» Sospirai, ammirata. Sentii lo sguardo del mio vicino di casa appuntarsi su di me.
«Ti piace quel tipo di uomini?» Domandò, con una nota nell’intonazione che non riuscii ad indentificare. «Allora, vedere Jin sarà stato uno shock, per te», aggiunse. O, per meglio dire, bofonchiò. Che strano.
«Esattamente» convenni, senza staccare gli occhi dalla bellezza reale. Quando l’inquadratura cadde su So, e pronunciò le sue battute, YoonGi si rianimò.
«Ecco, questo è uno come si deve» disse. Sospirai.
«Ma è rude».
«Passionale», mi corresse, mentre sullo schermo passava una sequenza in cui lui afferrava HaeSoo per un polso, come suo solito fare. Mi domandai perché il biondo avesse reagito in quel modo, dopo il mio commento su Wook. D’altronde, cosa gl’importava se a me piacesse o non piacesse quel determinato modello maschile? Forse, si trattava di una di quelle situazioni da testosterone strambe, sul genere “maschio alfa dall’orgoglio ferito”. Non avrei mai capito gli uomini, ed era una certezza che possedevo fin dai quattordici anni. E Min YoonGi non faceva eccezione. Anzi, semmai tendeva anche ad alzare il livello di difficoltà.
Dopo un po’, nessuno dei due aveva più fatto commenti. Immaginai che anche lui fosse preso come me dalla bellezza della fotografia e dalla complessità della trama. Tuttavia, proprio quando l’ottavo principe face la sua nuova gloriosa comparsa sullo schermo, improvvisamente sentii qualcosa poggiarsi sulla mia spalla. Mi volsi, e scoprii che si trattava della testa bionda di YoonGi. Che doveva essere scivolata verso di me, visto che dormiva profondamente. Sospirai. Tipico di lui.
Osservai il suo volto, dai tratti distesi e rilassati nel sonno. Sembrava innocuo ed indifeso come un bambino, quasi diametralmente opposto rispetto al rapper che accendeva la musica alle tre di notte e mi scriveva post-it espliciti sulla porta. Quel Min YoonGi pareva solamente un giovane di ventitré anni, così stanco da essersi appisolato sul divano di qualcun altro, come fosse stato a casa propria.
Mi sistemai meglio sul divano, di modo che non stesse scomodo. Non mi dava fastidio. Anzi. Sotto quell’ottica, era quasi piacevole, da avere accanto. Gli sfiorai la fronte con un dito, sistemandogli i capelli biondi. Non si mosse, troppo lontano nel suo mondo onirico per potermi sentire. Riportai gli occhi sul drama, tirando le somme di una delle giornate più strane della mia vita.



 



 


#Yah!: Diamo ufficialmente il via agli YoonWin moments, ladies and gentlemen! Ah, quanto li shippo.
Intanto, i BTS stanno giocando a "facciamo a chi si becca più insulti da whitecoffee", a causa di tutte le foto, i comeback stage, il maledetto mv. Ragion per la quale, ho deciso che mi sfogherò pubblicamente su Twitter, sperando che uno qualsiasi dei loro manager traduca i miei tweets dall'italiano al coreano, per beccarsi almeno dieci minuti di vergogna.
 
 

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Capitolo 21
*** - The Wall - ***





The Wall -



 
“Stamattina mi sono svegliato sul tuo divano, con un plaid addosso e un post-it sul naso, appartamento 23. Deduco che sia stata opera tua”
-myg
 
“Accidenti, potresti chiedere a Benedict Cumberbatch di lasciarti prendere il suo ruolo di Sherlock, per la BBC! Fenomenale!”
-W
 
“Cos’è tutto questo sarcasmo, signorinella?”
-myg
 
“Mi avevi detto di ‘farmi una risata’, giorni fa. Ci sto provando”
-W
 
“A mie spese”
-myg
 
“Infatti. Ecco perché mi riesce così bene!”
-W
 
“Forse dovrei di nuovo cambiare la password al tuo wifi. Per farti capire chi è che comanda, qui dentro”
-myg
 
“Come at me, bro”
-W
 
“*cum”
-myg
 
“La VOGLiamo SMeTtERe con questI DOPPI SENsi”
-W
 
“Appartamento 23, che cazzo significa ‘never don’t mind about a thing’? Non è nemmeno inglese”
-myg
 
“PROVACI ADESSO A FREGARMI IL WIFI, MIN YOONGI”
-W
 
“shit.”
-myg


 
#Yah!: ma vogliamo parlare del comeback stage? Della choreo di Mic Drop? Veramente? No, dai, lasciamo alle gif questo compito amaro:

@ JungKook, che di sculaccioni ne ha presi troppo pochi, da piccolo:


@ HoSeok, che non si salva anche se abbiamo lo stesso colore di capelli:


@ JiMin, che dovrebbe un secondino calmarsi:


@ SeokJin, che non ce la stiamo facendo:


@ YoonGi feat. Bandana Rossa:


@ NamJoon, del quale non posso parlare, perché poi magari lui dice la stessa cosa in coreano, dall'altra parte del mondo: 


E per finire, la luce dei miei occhi, il fuoco delle mie parolacce, il dito medio della mia mano destra e sinistra, TaeHyung:
 no, scusate, ho sbagliato.

QUESTA è quella giusta:

 

E basta. Non li sopporto più.

 

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Capitolo 22
*** Sneezing August ***






XXII.
Sneezing August



«My mind forgets to remind me
You're a bad idea»

(Taylor SwiftSparks Fly)


 
  W I N T E R  

 

Fui svegliata dal fracasso di un potente starnuto, che proveniva dall’appartamento accanto. Mugolai, e aprii un solo occhio, in cerca della sveglia sul comodino. Le otto e mezza. Inaudito. Era praticamente l’alba, il mondo stava ancora ricostruendo se stesso, lì fuori. Che ci faceva, Min YoonGi, in piedi ad un orario simile? Di sabato, per di più? No, Winter. Smettila. Non è un tuo problema.
Provai a mettere a tacere il mio senso del dovere morale, e mi rigirai dall’altro lato, tirandomi le coperte fin sopra i capelli. Affari suoi. Aveva sempre avuto un ritmo biologico complesso, chi ero io per mettermi a sindacare le sue scelte di vita?
Un altro starnuto. Peggiore del precedente. Sospirai. Il giorno prima, era stato proprio lui a riportarmi Snickers a casa, subendo in pieno l’acquazzone formidabile che aveva imperversato fino all’alba. Si era “sacrificato” per me, in fin dei conti. Che altri non ero, se non la sua vicina della porta accanto. Che non aveva fatto altro che insultarlo, mentalmente e verbalmente, per mesi. A ragione, però. Il mio esame di linguistica inglese era andato male, per colpa sua e del suo maledetto mixtape. Ma quello, era stato mesi fa, prima che cominciassi ad incuriosirmi per il suo aspetto. Soprattutto, prima che ricevere i suoi post-it sulla porta non avesse cominciato a piacermi.
Dopo il terzo starnuto, iniziai a sentirmi piuttosto responsabile, per il suo stato di salute. Temporeggiai, finché i sensi di colpa non mi diedero uno spintone immaginario, dopo il lamento di frustrazione che udii dall’altro lato del muro. Non potevo lasciarlo in quelle condizioni. Incapace come doveva essere, di prendersi cura di se stesso, probabilmente nemmeno si era accorto di stare male. Calciai via le coperte e mi stiracchiai, sbadigliando sonoramente. Che guaio, Min YoonGi. Un grosso disastro dai capelli biondo platino e la pelle di zucchero.

 

 
Premetti brevemente il dito sul campanello dell’appartamento accanto, il cui suono riecheggiò all’interno dell’abitazione, rimbalzando sulle pareti sottili. Dopo poco, vidi l’uscio schiudersi. Ancor più inaudito. Riconobbi la figura del mio ossigenato vicino, che si aggrappava allo stipite per non scivolare in terra. I suoi occhi, già sottili di loro, erano ormai semichiusi e dalle pupille fin troppo lucide. Le guance, altrimenti candide come la luna, erano dipinte di una chiara sfumatura rosea. Stava indossando almeno due felpe e un pesante pantalone della tuta. Ciò nonostante, un brivido di freddo lo scuoteva di tanto in tanto.
«Winter» mugugnò, con una stupenda voce nasale, grazie alla quale avrei riso per settimane, in altri contesti. Ma non in quello. Mi resi conto che la situazione dovesse essere critica, da alcuni piccoli, fondamentali fattori: la sua aria più sfatta del solito, priva della consueta malizia che impiegava vedendomi; l’accumulo di vestiti sul suo corpo, i continui tremori e il fatto che mi avesse chiamata con il mio nome di battesimo. Niente “appartamento 23”. Impensabile. Inaccettabile. Min YoonGi doveva stare proprio male. Protesi una mano verso la sua fronte, sfiorandogli la pelle al di sotto della scomposta frangia bionda, ma la ritirai all’istante. Bruciava.
«YoonGi, hai la febbre» decretai e lui starnutì nuovamente, quasi ad evidenziare le mie parole. Sospirai. Era il decimo, forse, dalle otto di quella mattina. Spinsi la porta ed entrai, facendo scivolare le mie dita nelle sue, stringendogliele. Erano così sottili e gelide, nonostante la sua mano fosse parecchio più grossa e nodosa della mia. Cercai di non badare allo strano effetto che quel contatto ebbe prodotto sul mio cuore, e mi sforzai in tutti i modi di calmare l’impercettibile accelerazione del battito cardiaco. Era solo Limone in un Occhio, per quale ragione mi stavo agitando in quel modo? Oltretutto, aveva anche l’influenza. In situazioni normali, probabilmente non si sarebbe mai lasciato tirare per casa, con così tanta solerzia. Dovevo smetterla di viaggiare con la fantasia. A cosa diamine stavo pensando?
«Sdraiati e non pensarci nemmeno ad uscire o ad andartene in giro» gli ordinai, cercando di fare mente locale e dirigendomi da sola verso la sua stanza, ormai pratica dell’ambiente. Si lasciò trascinare docilmente, avanzando qualche debole rimostranza di tanto in tanto, come “il lavoro”, “il mixtape” o “i miei testi”.
«Aspetteranno. Tutti» ribattei, mentre lo facevo sedere sul letto e gli rimboccavo le coperte, sentendomi come la sottopagata babysitter di turno, in una di quelle scadenti teen comedy americane. «Se non ti curi adesso, impiegherai il triplo a guarire, dopo» aggiunsi. Lo vidi sospirare e raggomitolarsi nel letto, nascondendosi il volto nelle lenzuola e chiudendo gli occhi. Si addormentò immediatamente, e lo invidiai come non mai. Era proprio vero, riusciva a prender sonno in qualsiasi occasione. Sospirai, guardandolo. Immaginai che, per tutta la giornata, sarei dovuta rimanere accanto a lui. Non me la sentivo proprio di lasciarlo lì ed andarmene: e se avesse avuto bisogno di qualcosa? Viveva da solo, nessuno avrebbe potuto aiutarlo. Sì, i suoi amici erano quasi sempre in casa, ma non potevo contare sull’aiuto del fato. La legge di Murphy era una dura realtà, c’era poco da scherzare. Inoltre, non avevo certo dimenticato che lui mi avesse riportata nell’appartamento, quando ero ubriaca e completamente inservibile, tempo addietro. Era giunto il momento di ricambiare il favore. Così saremmo stati pari.

 

 
Trascorsi la mattinata a prendere nuovi fazzoletti e a gettare quelli ormai inutilizzabili dal capezzale di YoonGi. Il quale, quando non era sveglio per starnutire o lamentarsi, chiedendomi di rimanere accanto a lui per accarezzargli i capelli, dormiva profondamente senza nemmeno cambiare posizione. Sarebbero potute passare ore, e lui sarebbe comunque rimasto nello stesso punto del letto, con gli occhi chiusi e il volto seminascosto dalle coperte, circondato dai fazzoletti. Era piuttosto buffo, da guardare. Mi riusciva difficile credere che il forte e sfacciato vicino di casa che mi lasciava messaggi espliciti sulla porta, fosse lo stesso che sorrideva quando le mie dita fresche gli sfioravano la fronte, nel delirio della febbre. Ogni tanto, lo sentivo perfino parlare nel sonno. Il più delle volte, insultava TaeHyung o chiamava JiMin. Di quando in quando, potevo chiaramente udire il nome “Nancy”, accompagnato da un’inflessione rancorosa o malinconica. Evento che mi spinse a chiedermi, forse con un po’ troppo interesse, di chi potesse trattarsi. Ma non era un problema mio, e dovetti ripetermelo più e più volte, come un mantra. La vita sentimentale del mio vicino di casa era off limits. E, di conseguenza, tutti i nomi di donna che scivolassero fuori dalle sue labbra. Il mio compito, era ignorarli. Ed evitargli la morte per soffocamento, a causa della moltitudine di fazzoletti che andavano accumulandosi attorno a lui. Presto o tardi, avrei proposto il mio nome per la santificazione. Se non era una condotta altruistica esemplare quella, davvero non avrei saputo cos’altro avrebbe potuto esserlo.
Per ammazzare il tempo, mi ero presa la libertà di sistemare un po’ la cucina di YoonGi. Avevo trovato lo sportello del frigorifero pieno di polaroid, tenute ferme da diversi magneti. Ognuna di quelle, ritraeva i suoi amici, o lui insieme a loro, unite a qualche paesaggio, qui e là. Ma erano molto rari. Di tanto in tanto, qualche scritta in coreano a pennarello blu decorava lo spazio bianco al di sotto dell’immagine, rendendomi impossibile capire cosa dicesse. In fin dei conti, riflettei che il mio vicino dovesse avere dei buoni amici. Che tenessero a lui, come se fosse stato loro fratello di sangue. Comprendere quell’aspetto della sua vita, mi scaldò il cuore. Anch’io, in Florida, avevo un paio di legami simili. E mi sarebbe piaciuto davvero molto trascorrere dell’altro tempo con loro, al posto dell’autoimposta solitudine che il trasferimento mi avesse regalato in omaggio. Quasi mi venne il magone, nell’osservare uno scatto di YoonGi e TaeHyung, che facevano buffe smorfie in riva al mare, al tramonto. Un’immagine del tutto simile a quella che anch’io avessi appeso nella mia camera, in Florida.
Per non crollare nella malinconia, avevo aperto il frigo, e gettato tutti gli alimenti che non sarebbero sopravvissuti per molto. Poi, avevo dato una pulita ai ripiani della cucina, ai fornelletti, tutto. In capo ad un paio d’ore, la stanza brillava, facendomi sentire pienamente soddisfatta del mio lavoro. Poi, rendendomi conto di che ore fossero, avevo deciso di cucinare degli spaghetti all’italiana, ringraziando la mia buona stella per avermi fatto trovare, nel frigo di YoonGi, dei pomodori ancora in buono stato. Appena mi ritenni soddisfatta del risultato, portai il piatto dall’aspetto invitante in camera del mio vicino, facendo attenzione a non inciampare con le posate in mano. Lui aveva socchiuso gli occhi, guardandomi arrivare dalla cucina.
«Cos’è?» chiese, debolmente, sporgendo appena il capo dal groviglio di lenzuola e fazzoletti che lo attorniavano. Posai il suo pranzo sul comodino, sedendomi a gambe incrociate sul pavimento.
«Cibo. Devi prendere un’aspirina, e non puoi farlo a stomaco vuoto. Inoltre, mi sentivo particolarmente ispirata» ammisi, guardandolo riemergere dal proprio letto, cercando di sedersi come meglio potesse, nonostante le vertigini e la debolezza. Gli passai il piatto, mentre lui lo fissava, sorpreso.
«Non vedevo una roba del genere, dall’ultima volta che Jin è passato a cucinare» commentò, infilando la forchetta negli spaghetti, e arrotolando i fili di pasta attorno ai dentini d’acciaio. «Grazie, appartamento 23» biascicò, con la bocca piena.
Risi, scuotendo la testa. Eccolo, il Min YoonGi al quale ero abituata. Lo guardai mangiare felice, pensando che fosse proprio un bambino… nonostante l’aspetto aggressivo, il rap feroce e l’aria noncurante.


 

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Capitolo 23
*** "I'm fine" ***


Trigger warning!: in questo capitolo, si affronteranno argomenti che riguardano depressione e salute mentale.
 







XXIII.
"I'm fine"


“Like a habit, I say “uh, I don’t give a shit, I don’t give a fuck”
All those saying are, uh, trying to hide my weakness
That time I want to erase.  Yeah, that day of performance that I can’t even remember,
Myself that looked back at me as I hid in the washroom, afraid of people.

[…]
There’s only one life, so I’m going to live with more fire than anyone else..
Anyone can just live along haphazardly.
My fan, my homie, my fam, don’t worry, I’m really alright now, damn

[…]
The days of trying to fall asleep on the floor of the bathroom is now a bittersweet memory.”

(Agust DThe Last)

 
 
 Y O O N G I  

 

Cominciavo a capire cosa volesse dire avere una ragazza accanto, dopo un anno intero di solitudine sentimentale: era molto piacevole, ricevere cure e attenzioni di qualcuno che non fosse i soliti amici del mio stesso sesso. I quali, con la loro rudezza e mancanza di sensibilità, mi avevano più volte spinto a ponderare il suicidio, piuttosto che dover dipendere da loro. TaeHyung era terribile, come infermiere. Una volta avevo rischiato di rimanerci secco, perché stavo per prendere la medicina sbagliata, a causa sua. Per non parlare di NamJoon: aveva il mistico dono di rompere qualsiasi cosa gli capitasse fra le mani, figuriamoci se avessi potuto chiamarlo perché mi sentivo male.
Tuttavia, a quanto pareva, un angelo dai capelli rossi doveva essermi piovuto dal cielo, quella mattina. La mia vicina di casa aveva deciso di venirmi a tenere compagnia, mentre ero troppo debole perfino per aprire gli occhi, seppur si trattasse di un banalissimo raffreddore, per me equivaleva al primo scalino della rampa dell’agonia. Un trentasette punto uno di temperatura, era per me un quaranta secco. Sapevo essere una vera spina nel fianco, quando mi ammalavo, JiMin lo sapeva molto bene. In genere, era sempre lui ad assistermi, quando non ero nemmeno in grado di alzarmi dal letto. Ma non quella volta.
Winter doveva avermi sentito starnutire dal suo appartamento, perché me l’ero ritrovata sulla porta, poco dopo il mio ennesimo tentativo fallimentare di espellere un polmone dal naso. Mi aveva posato le dita sulla fronte e trascinato a letto, senza neanche farmi parlare -il che, in altri contesti, sarebbe potuto essere stato senza dubbio interessante e divertente-. Invece, avevo dovuto guardarla mentre mi rimboccava le coperte sotto il mento, come nemmeno mia nonna era in grado di fare, per poi sentirla andare in cucina a fare chissà cosa. Avevo avuto soltanto la forza di raggomitolarmi nelle lenzuola, e spegnere il cervello per porzioni indeterminate di tempo, sperando di risvegliarmi nuovamente in salute. Il che, era stato parzialmente vero: poiché, quando l’avevo rivista, mentre mi portava un piatto di pasta in stanza, mi sentivo già meno debole di prima. Tuttavia, c’era un lasso di ore del quale non avevo memoria. Probabilmente, l’avevo trascorso a dormire, ma non ne sarei stato poi così sicuro. Diventavo pericoloso, quando avevo la febbre.
Spesso, JiMin mi aveva raccontato che gli avessi chiesto di accarezzarmi la testa e di starmi vicino. Cose che mi avevano fatto vergognare per mesi, sentendomi ferito nella mia virilità maschile, mentre lui rideva, dicendomi che non avrebbe dato peso ai deliri di pover’uomo senza donna. Mi ero arrischiato a guardare Winter, mentre mangiavo, alla ricerca dei segni d’imbarazzo che solo delle strambe richieste prodotte dalla febbre avrebbero potuto creare, ma non ne avevo visti. Era sempre la solita ragazza con i riccioli e le lentiggini, che sbadigliava di tanto in tanto, e portava via i miei schifosissimi fazzoletti usati, rimpiazzandoli con altri nuovi. Che pazienza. Chissà cosa la spingesse, a comportarsi in quel modo.
«Dove posso trovare le aspirine?» Mi chiese, poco dopo che ebbi finito di mangiare.
«Dietro lo specchio, in bagno» risposi, senza nemmeno pensarci. Lanciai un’occhiata alla sveglia sul comodino, e mi sorpresi di vedere che fossero le due di pomeriggio. E ancora nessuna visita importuna da qualcuno dei miei amici, nonostante fosse sabato. Che stranezza.
In genere, TaeHyung passava sempre a scroccare un pranzo, o per il semplice gusto di starmi tra i piedi. Spesso e volentieri, trascinandosi dietro quell’altro fulminato di JungKook. Non che mi dispiacesse, non vedermeli intorno. Sebbene non volessi ammetterlo, starmene da solo con Winter era piacevole. Segnale che mi turbò parecchio, poiché poteva indicare che la sua presenza non mi fosse sgradita, anzi.
Vidi la mia vicina riemergere dal bagno, dopo quelli che parvero molti minuti, chiedendomi cosa avesse trovato di tanto strano, lì dentro, che avesse potuto trattenerla tanto. Sperai che non avesse scovato i miei preservativi, in giro. O altri oggetti strani che, al di fuori della camera da letto, sarebbero sembrati inopportuni. Da qualche parte, doveva ancora esserci tutta la roba notturna di Nancy. E, onestamente, quella ragazza aveva gusti piuttosto strani, a letto. Ancora mi domandavo come avessi fatto a starci insieme.
Tuttavia, l’espressione sul volto di Winter mi turbò. Sembrava pensierosa, incerta e triste. Infinitamente triste. Stringeva fra le mani un bicchiere d’acqua, in cui l’aspirina avesse tinto il liquido di bianco. Mi tirai a sedere sul letto, compiendo uno sforzo titanico, mentre la sua faccia non cambiava atteggiamento.
«Tutto bene, appartamento 23? In genere, le XL piacciono a tutte» sdrammatizzai, con il mio solito humor maschile, che le strappava sempre un commento isterico ed imbarazzato. Ma non servì, quella volta. La osservai, mentre si accomodava sul letto, vicino a me, per poi passarmi il bicchiere. Vederla in quel modo, cominciò a mettermi ansia. Soprattutto quando ne ignoravo la causa.
«Hey» la richiamai, e i suoi occhi vagarono per la stanza, smarriti. Non accennando a volersi posare sul mio viso.
«Stai bene, YoonGi?» Mi domandò, di punto in bianco. Sollevai un sopracciglio, e sporsi l’aspirina verso di lei.
«Nel senso fisico del termine?» Scherzai, per poi mandar giù la medicina, strizzando gli occhi. Detestavo quelle porcherie chimiche, poco importava se lo sciroppo per la tosse sapesse di fragola. Mi facevano schifo e basta. Un brivido mi percorse la spina dorsale, facendo il paro con il mio ribrezzo. L’industria farmaceutica avrà pure salvato migliaia di vite, ma i suoi prodotti mi avrebbero comunque dato la nausea. Per sempre.
«Psicologico» disse lei, sollevando guardinga gli occhi, ed appuntandoli finalmente sul mio volto. Allora, capii.
Nel prendere l’aspirina, doveva aver scovato anche alcuni farmaci risalenti ai miei periodi più neri e bui, di cui solo JiMin conosceva l’esistenza. Avrei preferito che avesse trovato i preservativi. Sospirai, posando il bicchiere sul comodino, il cui vetro produsse un breve rumore secco, a contatto con il legno. Ero pronto a ripercorrere quella strada, dopo tanto tempo? A camminare sui taglienti frammenti di tutti gli specchi che avevo distrutto? Con lei? In genere, non mi fidavo mai degli sconosciuti. Avevo problemi perfino ad aprirmi con i miei amici più stretti, figuriamoci con qualcuno che conoscessi da pochi mesi. Cos’era, lei, per me? La vicina di casa con cui scambiavo post-it sulla porta. La quale, tuttavia, avesse deciso di farmi compagnia mentre stavo male, senza che io gliel’avessi chiesto. Inoltre, non era forse vero che la sua presenza mi fosse, in qualche modo, gradita? Sentii che mentirle avrebbe incrinato qualsiasi tipo di rapporto sarebbe potuto nascere fra me e lei. Ed io non lo volevo. Non avevo alcuna intenzione di precludermi nulla, nei suoi confronti. Non avevo forse deciso d’investire più tempo di quanto avessi dovuto, su di lei, nell’esatto momento in cui l’avevo lasciata dormire nel mio letto? Non volevo ammetterlo neanche a me stesso, ma la verità cominciava ad essere lampante. E poi, la preoccupazione che lessi nel fondo di quei due smeraldi che aveva per iridi, mi persuase. Non si meritava il solito muro di diffidenza che riservavo agli altri. Perché lei non era “gli altri”.
«Hai trovato gli antidepressivi, vero?»
«Già»
«E l’ossicodone».
Si limitò ad annuire, senza parlare. Presi un gran respiro, grattandomi la testa, a disagio. Non c’era un modo corretto d’iniziare quel discorso. Non ci sarebbe mai stato. Tanto valeva cominciare dal punto più importante. Sperando che avrebbe capito.
«Aprire gli occhi è difficile. Riconnettermi con il mondo, ancor di più» esordii. Mi presi qualche istante per riflettere, organizzando le fila dei miei pensieri. «Ecco, alzarmi è difficile. Le mie ossa pesano come fossero quelle di un gigante, quando a malapena raggiungo i sessanta chili di peso. Tempo fa, mi sentivo come un foulard legato ad un palo di legno, nei pressi dell’oceano. La cui stoffa avesse perso tutto il suo colore, insieme al vento e alla salsedine. Ma non c’era sole, nella mia vita. Brancolavo in un’eterna eclissi, arrancando disperatamente nell’ombra, pregando ogni giorno che passasse. Io esistevo, ma non vivevo. Sopravvivevo» dissi, rendendomi conto di quanto difficoltoso potesse essere, riportare tutto a galla. Non volevo edulcorare la verità. La mia situazione era stata quella: un immenso, nero e soffocante baratro di niente. In cui non mi era permesso di sentire nulla, al di fuori del peso del mio stesso corpo. Far finta che non fosse mai successo, sarebbe oscurare una parte della mia vita tanto dolorosa quanto importante. L’avrebbe comunque scoperto, prima o poi, soprattutto se avessi continuato a trovarmi bene accanto a lei, e viceversa. Quindi, perché non dirglielo subito? Se non sarebbe riuscita a reggere il mio passato, non ce l’avrebbe mai fatta nemmeno col presente. «Un’altra cosa che mi era difficile: guardarmi allo specchio. Sopportare il peso di due piccoli occhi felini, incastonati in un volto emaciato e dall’aria infelice. Il mio volto» sorrisi, amaramente. «Uscire di casa, era addirittura impensabile. Non mi piaceva avvertire gli occhi degli sconosciuti addosso. E non mi piaceva camminare fra la folla. Mi faceva sentire oppresso, circondato. Braccato, come una preda nella stagione di caccia. Gli spazi aperti e sconfinati, m’intimorivano. Tutto ciò che non potevo quantificare, era per me fonte di terrore. Sfuggiva al mio controllo, non permettendomi di riuscire a stringervi sopra la presa. Come l’acqua. Per quanto possa sforzarmi di chiudere il pugno sotto il getto del lavandino, il liquido trasparente riesce sempre a sgusciare via dalle mie dita. L’ignoto era il mio più grande nemico».
Winter ascoltava, senza parlare. Ma, nel suo sguardo, potevo leggere quanto quelle parole potessero farle male. Soffriva. Per me.
«Se ci pensi, gli occhi delle persone sono proprio come il mare. Profondi, immensi e non quantificabili. Non riuscivo mai a capire cosa passasse, sul fondo delle iridi delle persone. E non sono poi così bravo a decifrarlo neanche adesso. Sono come ideogrammi cinesi, per me. Bellissimi da vedere, ed altrettanto incomprensibili. Perciò, mi terrorizzavano. Facevo sempre in modo di non guardare nessuno, sperando di passare inosservato» ricordai. «Ma con Park JiMin, il mio migliore amico, non ci riuscivo. Lui era come il sole che sorgeva tutti i giorni, ricordandomi che la vita non si fermava per nessuno. E la sua voce era limpida come l’acqua. Lo è tutt’ora. Però, prima, la sua persona costituiva un insieme delle idee che, prese singolarmente, contribuivano a rendermi la vita più difficile di quanto già non fosse. Senza nemmeno saperlo» rammentai, sorridendo. «Ho cominciato a soffrire di fobia sociale a diciotto anni. I miei genitori non riuscivano a capire cosa mi stesse accadendo. Perché, nelle occasioni di confronto anche amichevole, me ne scappassi sempre in bagno a piangere. Perché non volessi guardare nessuno negli occhi, quando mi parlavano. E nemmeno perché mi stringessi nelle spalle e scuotessi la testa, quando qualcuno mi faceva una domanda» spiegai, grattandomi la testa distrattamente. «Non so nemmeno io, come sia cominciata. Qualcosa doveva aver rotto un meccanismo dentro di me, costringendomi ad agire in un determinato modo, anche se non lo volessi», commentai. «In tutto questo, JiMin mi è stato accanto, insieme alla mia famiglia. Mi accompagnava tre volte a settimana dallo psicologo, nonostante non avesse quasi nemmeno il tempo per respirare, preso com’era da tutti i suoi impegni. Mi portava anche a suonare tutti i giorni il pianoforte a casa sua, aiutandomi a riprendere confidenza con la musica. Facendomi capire che c’erano cose e persone per le quali valesse la pena voler vivere, e non chiudersi nell’abisso».
«E… adesso?» Mi chiese lei, parlando per la prima volta dopo il mio triste monologo strappalacrime. Le sorrisi, a bocca chiusa.
«Ora va molto meglio. Non ho più bisogno degli antidepressivi. JiMin vive a quattro isolati da casa mia, studiando per diplomarsi all’accademia di danza. Sto lavorando ad un mixtape, creandolo da zero con le mie mani, nella scena underground mi conoscono tutti. Ho molti amici, ho la musica. Sto bene, Winter. Del piccolo piagnucolone che tutti chiamavano “lumachina”, a scuola, è rimasto solo il sonno atavico. E l’indolenza» ammisi, non senza una certa fierezza. «Ogni tanto, mi è difficile sorridere. E ci sono giorni in cui il mio umore è più nero della notte. Ma poi passano. Non è un circolo continuo di sofferenza e paura di fare o dire qualunque cosa. Ho un’identità anch’io, e non posso piacere a tutti. Anzi. Sono contento che ci siano persone, al mondo, che non mi sopportino: vuol dire che sono vero e genuino. Non si va da nessuna parte, senza un bel paio di nemici» scherzai, protendendo una mano e scompigliandole i morbidi riccioli ramati, strappandole un debole sorriso. Era vero. Il Min YoonGi di tutto quel tempo fa, era solo un ricordo, una crepa nello specchio. Ci sarebbe sempre stata, ma alla fine ci si avrebbe fatto l’abitudine, non vedendola nemmeno più.
«Mi dispiace, YoonGi» commentò Winter, guardando il pavimento, con aria triste. Le premetti un dito contro la fronte, infastidendola.
«Hey» dissi, ottenendo di farle alzare gli occhi. «Sono sempre il tuo vicino rompicoglioni che mette la musica a palla alle tre di notte, okay? Non cominciare a guardarmi come se fossi appena tornato dalla guerra del Vietnam e avessi perso un braccio» la redarguii. «Questa chiacchierata lacrimevole non cambierà in alcun modo il nostro rapporto. Intesi?»
Lei mi sorrise e annuì, nel modo più incoraggiante che riuscisse a mostrare. Sebbene, notassi ancora una punta di tristezza, nel suo sguardo smeraldino.
«Prova ancora a fare rap mentre dormo, e giuro che il braccio te lo porto via a morsi» mi minacciò, riprendendosi il bicchiere e dandosi un tono. Sorrisi.
«Ecco, proprio quello che volevo sentire!» Esclamai, ridendo. La vidi voltarsi, allontanandosi verso la cucina.
«Appartamento 23?» La chiamai, e il suo passo si arrestò. Improvvisamente, mi sentii felice di aver condiviso quella parte così importante della mia esistenza, con lei. Non seppi perché. Ma lo fui.
«Adesso me lo dai, un bacino?»
«Fatti un pianto, YoonGi».



 



 


#Yah!: okay, due parole da spendere su questo capitolo. Quando lo scrissi, avevo riflettuto lungamente su tutto il mixtape di YoonGi, iniziando ad interessarmi a lui come individuo, oltre che come "personaggio pubblico". Di conseguenza, ho provato ad immaginare tutte le battaglie che lui deve aver affrontato, iniziando a guardare video, leggendo interviste, facendo di me stessa un'osservatrice non ingenua. E questo è quel che ne è uscito fuori. Il Min YoonGi di un'altra storia che pubblicherò, chiamata "PLUTO", è l'antesignano di questo. Lo YoonGi di TND è lo stesso che, urlando in The Last, dice "sto bene, 'fanculo, adesso riempio gli stadi, il ragazzino piagnone non c'è più". Ed è la versione di lui che io preferisco, quella del guerriero, del combattente che non si arrende, che è andato sul ciglio del burrone e ha poi esclamato "fuck this shit", discendendo a valle per illuminare i suoi stessi sogni. Questo è quel che io penso di Min YoonGi, ed è anche un'idea che mi sono costruita in un lasso abbastanza lungo di tempo (li seguo da quando erano sette poracci con la matita agli occhi in No More Dream e se li filavamo giusto in due persone e qualche laccio di scarpa), sebbene io sappia che nessuno a parte lui stesso e i suoi familiari/compagni di gruppo sappia davvero chi è YoonGi. A me piace pensare che lui sia realmente così e, finché tali idee non verranno smentite da parole o comportamenti, tali resteranno. Per il resto, alleggerendo un bel po' il tono del discorso, vorrei focalizzarmi su un insignificante e sciocchino particolaruccio: la nuova tinta di YoonGi.

Lo vedete?? E' lo stesso colore che uso per i capitoli di Winter! E niente, fatemi fare le theories e lasciatemi dire che YoonGi shippa
#YoonWin. Please, facciamolo diventare un twitter trend.

(As always, grazie mille a tutti coloro che leggono silenziosamente/preferiscono/ricordano/seguono/recensiscono. Love u from the bottom of my hearteu<3)

 

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Capitolo 24
*** - The Wall - ***





The Wall -


 


“A quando la prossima serata drama? Non vedo l’ora che il tuo principe splendente faccia una stronzata e perda l’amore della tipa svampitella del ventunesimo secolo”
-myg
 
“Lascia in pace il mio Wook! E perché ho l’impressione che tu mi stia prendendo in giro?”
-W
 
“Io, appartamento 23? Non potrei mai”
-myg
 
“Sì, certo, denigrami. La prossima volta che starai male, chiama TaeHyung, per farti accarezzare i capelli”
-W
 
“Cosa?”
-myg
 
“ ‘Winter, rimani, coccolami’. Ti dice niente?”
-W
 
“Veramente no”
-myg
 
“Beh, eri tu, qualche giorno fa, mentre deliravi per la febbre. Metti qualche telecamera in stanza, potrebbe essere divertente rivedere i video”
-W
 
“Non sono responsabile di ciò che dico quando non sono cosciente”
-myg
 
“E poi, mi divertirei a filmare qualcos’altro”
-myg
 
“Ti preferivo quando piagnucolavi nel sonno”.
-W
 
“Sappiamo entrambi quanto tu mi voglia bene”
-myg
 
“Eclissati, YoonGi, trovati un lavoro che non sia saltarmi sui nervi 24/7”
-W
 

-myg


 
#Yah!: un cuoricino, eheheh... io non vi spoilero nulla, ma sappiate che Min YoonGi non regala cuori a nessuno... di norma. Heh. Per questa sera, aggiornerò solo con The Wall, per forze di causa maggiore (aka esami-> no time left to be on the computer), domani mi rifarò, promesso!
Un'altra cosa: sto lavorando per voi! Eh già! Sto diventando super social come la Big Hit, perché a breve sarà il compleanno di Youth, una delle storie che sto pubblicando in parallelo a questa e alla quale sono veramente molto legata. Dunque, sto preparando una serie di teaser/trailers per i seguiti che ho scritto alla vicenda e, to be honest, stanno uscendo fuori più allucinati dei mv dei ragazzi. E poi, sto rimettendo altri trailers risalenti ai periodi wattpad sul mio canale yotube, aggiungendo crediti e riferimenti social! Quindi, gente, in caso non lo steste già facendo, vi invito tutti a fare un salto da Youth! Perché ci punto tantissimo, è un pezzo di cuore e fareste una povera laureanda sottopagata molto, molto felice! Okay, la smetto col self promo, altrimenti rubo il lavoro a Jin, lol.
Come sempre grazie a tutti i lettori, silenziosi/che ricordano/seguono/preferiscono/recensiscono, love u all <3

 

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Capitolo 25
*** Hints ***






XXV.
Hints


"So I love when you call unexpected,
'Cause I hate when the moment's expected"

(The WeekndEarned It)

 

 Y O O N G I   

 

«Perché non la inviti a cena con tutti noi?»
Sbadigliai, guardando il volto entusiasta di Kim TaeHyung, seduto di fronte a me al tavolo della cucina. Aveva deciso di trascinarsi dietro JungKook, per la loro sessione di studio sulla drammaturgia, ben pensando che le biblioteche universitarie fossero troppo mainstream, per due vips di quel calibro. Perché non invadere casa di YoonG, dunque? Tanto, non se ne accorgerà nemmeno. E, anche per quel giorno, il mio appartamento era diventato un ostello della gioventù, costringendomi a dare asilo politico e a cedere scorte di cibo al mio giornaliero campione locale e bipartito di casi umani. Li guardai, impassibile, mentre quelle due teste vuote leggevano due righe per uno, distraendosi per qualsiasi stupidaggine. E non concludendo nulla, come loro solito. Spesso, mi domandavo come facessero a tirare avanti, nel corso degli anni. Cosa raccontassero ai docenti, per i loro esami. Nessuno dei due sembrava avere una memoria eidetica, e sapevo per certo che non frequentassero la maggior parte delle lezioni. Quindi, vederli arrivare di gran carriera al secondo anno, perfettamente in corso, mi pareva un miracolo piuttosto difficile da credere. Ma non me n’ero mai preoccupato veramente. Probabilmente, la loro intera commissione di docenti era composta da donne facilmente ammaliabili, o da svitate amanti dei gatti che decantavano versi shakespeariani a tutte le ore. Tipe con le quali TaeHyung si sarebbe trovato pressoché come a casa propria. O a casa mia.
«Merida?» S’informò anche JungKook. Lanciai un’occhiata perplessa ad entrambi. Quando si trattava della mia vicina di casa, sembravano diventare ancora più idioti. Il moro subiva una sorta di fascinazione, nei confronti dei riccioli di fiamma di quella ragazza, trovandola adorabile. E il suo amico voleva ancora a tutti i costi farle pagare la “figuraccia” che aveva dovuto subire da Starbucks. Ed io dovevo sorbirmi le loro chiacchiere senza senso, ogniqualvolta uno dei due mettesse piede nell’appartamento.
Ovviamente, entrambi ignoravano i miei pareri riguardo Winter, e non gliene avrei parlato prima di qualche tempo. La verità, era che cominciavo a pensare a lei più spesso di quanto mi farebbe comodo ammettere. Mi svegliavo, al mattino, chiedendomi cosa avrei potuto scriverle sulla porta. Ogni volta che uscivo, mi domandavo se lei non fosse stata di turno alla caffetteria, indugiando fra l’andarla a trovare e il rimanere dov’ero. Ero inspiegabilmente incline a voler essere dove fosse anche lei, a sentire la sua voce, ad osservarla gesticolare e vederla sorridere. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, e una parte di me era anche abbastanza turbata da quei comportamenti.
La mia vicina di casa era l’opposto della femminilità. Gentile manco a pagarla, con un’insana passione per i drama coreani e la cultura del mio paese natale, ed era dotata di un talento tutto suo per l’apparire nei posti sbagliati, ai momenti sbagliati. Era sbadata e goffa, spesso disattenta. E il suo gatto era così obeso, che non riusciva nemmeno ad arrivare dalla parte opposta della stanza senza fermarsi a riposare a metà strada. Eppure, tutto ciò sembrava non essere spiacevole ai miei occhi. Anzi, non faceva altro che indurmi a volerle essere accanto di più. Come se lei fosse stata una fonte di luce in una camera buia, ed io ne avessi a tutti i costi voluta un po’. Forse, anch’io stavo impazzendo. Prima o poi sarebbe successo. Qualche volta, nel corso degli ultimi due anni, ero stato più che sicuro che avrei perso la testa definitivamente. Evidentemente, quel momento doveva essere finalmente arrivato.
«Perché parlate sempre di lei?» Domandai, guardando prima uno e poi l’altro, i quali ricambiarono la mia occhiata senza battere ciglio. Poi, si strinsero nelle spalle. In sincrono. A volte, mi spaventavano. Sembravano due robot difettati, sulla stessa lunghezza di follia.
«A me piace, è carina» disse JungKook, tranquillamente, provando a comprendere quanto ci fosse scritto sul suo librone. Lasciai andare un verso sarcastico.
«Guarda che è più grande di te», gli ricordai. E lui mi scoccò un sorriso sghembo, inarrestabile.
«Appunto» precisò, con tono di superiorità. Roteai gli occhi, mentre TaeHyung si allungava verso di lui, baciandolo sulla guancia. E il moro si ribellò, spingendolo via disgustato.
«Il mio piccolino sta crescendo! Vero che papà ti ha tirato su proprio bene? Eh?» Squittì con il suo vocione degli abissi, rendendo la scena ancora più ridicola, mentre gli stringeva una guancia fra due dita.
«Voi siete più fuori del mio balcone» commentai, arrendendomi e alzandomi, dirigendomi verso il rubinetto per bere un bicchier d’acqua.
«Ed io parlavo sul serio, prima» ripeté TaeHyung, voltandosi di tre quarti sulla sedia. «Invita la miss. Se non lo farai tu, ci penserò io!» Ingiunse, sporgendo un accusatorio dito indice verso di me.
«Che fai, mi minacci?»
«Tanto lo sappiamo che non spiace neanche a te, averla intorno» aggiunse, e le sue labbra si sollevarono in un sorrisetto divertito. Spalancai le palpebre per una frazione di secondo e gli diedi le spalle, fingendomi occupato a fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
«Si vede proprio che studi teatro. Tutte quelle commedie romantiche ti avranno dato alla testa» commentai, cercando di darmi un tono. Ma quasi rovesciai in terra il bicchiere, che mi scivolò dalle dita, scatenando le risate di entrambi, dal tavolo poco lontano.
«Avevo ragione» affermò TaeHyung, e lo sentii battere un cinque in maniera fraterna con JungKook. Sospirai, riempiendo il bicchiere d’acqua. Ragazzini. 


 




 


#Yah!: non lo so come ho fatto a creare TaeHyung in quel modo, veramente. JungKook arriva da suggestioni comportamentali di alcuni miei amici, ma lui non saprei proprio. Forse è il mio lato alieno che prende il sopravvento, idk. Insomma, DNA è alla terza vittoria e l'unica cosa che io vorrei, è che i Bangtan Sonyeondan diventassero i Nanna Sonyeondan e si facessero 72 ore di sonno filate per uno, perché poverini vanno avanti a Redbull coreana.
E niente, giuro che è l'ultima volta che mi faccio self-promo: ho appena (ri)pubblicato una nuova storia, chiamata "Pluto". E' centrata su NamJoon e ci sono un sacco di angst + bromance (ma più angst) e insomma, proprio come ieri per Youth, se vi andasse di fare un saltino, io sarei very happy.
E qui lancio i miei pronostici per i costumi di Halloween dei BTS 2k17: pennywise, spiderman, un minion, valerian, male!d.va di Overwatch, un pifferaio random e, uhm... che qualcuno si vesta da billboard award e non se ne parli più. 

 

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Capitolo 26
*** Jack Frost ***






XXVI.
Jack Frost


"Nelle nostre camere separate
a inchiodare le stelle a dichiarare guerre
a scrivere sui muri che mi pensi raramente"

(Le Luci della Centrale ElettricaCara Catastrofe)


 
  W I N T E R  
 
 

Lo sapete cosa è più disastroso di Min YoonGi e la sua musica alle tre di notte? I bambini. Di sei anni. Il figlio di una delle mie migliori amiche, per essere precisi.
Alexander Stanley era un piccolo ometto dagli occhi vispi e i boccoli biondi, piuttosto alto e slanciato per la sua età, che sembrava avere un’inesauribile riserva di energia in corpo. Aveva corso da una parte all’altra del mio appartamento per ore, ridendo e cercando di acchiappare il povero Snickers - il quale, a voler essere onesti, sembrava schizzare via fin troppo velocemente per il suo grasso corporeo in eccesso -. Me ne sarei ricordata, quando l’avrei visto nuovamente poltrire in giro.
Per tutto il tempo in cui quello gnomo biondo fosse rimasto nel mio appartamento, nelle mie orecchie era passato soltanto un susseguirsi di: “Merida, voglio i colori!”. “Merida, ho fame!”. “Merida, posso nascondermi nei tuoi capelli?”. E la più devastante di sempre: “Merida, prendimi in braccio!”. A quanto pareva, doveva avermi preso per la principessa Disney anche lui, proprio come aveva fatto anche JungKook, chiamandomi in quel modo per tutto il tempo, spingendomi spesso sull’orlo della crisi d’identità. Non fraintendetemi, non mi dispiaceva giocare con lui, avendogli fatto più volte da babysitter quando ero in Florida e l’intera famigliola veniva a farmi visita. Ma, nell’ultimo anno, Alex sembrava aver sviluppato una stancante iperattività, che mi faceva rimpiangere i miei sedici anni come se ne avessi avuti ottanta. E non ventidue.
Ma voi volete sapere la storia per intero, ovviamente. Scommetto che vi starò confondendo per benino. Rayleigh, sua madre, aveva la mia età e ci conoscevamo da quando eravamo bambine. Eravamo sempre state inseparabili, finché lei non avesse deciso di trasferirsi a New York con il suo fidanzato, a diciassette anni. Non starò qui a spiegarvi com’è che funzioni la riproduzione umana, perché sono più che sicura che ne sappiate anche più di me. Insomma, appena diciottenne, la mia amica scoprì che sarebbe presto diventata madre. E questa è la storia di come Alexander Stanley sia arrivato al mondo. Molto ridotta e censurata, non avendovi mostrato nemmeno uno dei momenti di gravidanza di sua madre, o i commenti che il suo ragazzo aveva prodotto, la prima volta che fosse stato obbligato a cambiare il pannolino a suo figlio. No, no. Certe perle è meglio tenersele per sé. Quindi, tornando in flash forward al giorno presente, Ray aveva deciso di prendersi la serata libera, per una cenetta romantica insieme a quello che ormai fosse diventato suo marito, Ben. Ed io, mi ero offerta di badare ad Alex, vivendo ormai anche nella loro stessa città. Il bambino mi adorava e conosceva da sempre, non ci sarebbe stato alcun problema. Così, me l’avevano lasciato, increduli e felici di poter avere un’intera serata tutta per loro, dovendo passare a prenderlo il mattino seguente per portarlo a scuola. Ed io, povera anima ingenua, ero così convinta che sarei stata bene, da non preoccuparmi minimamente. Oh, come mi sbagliavo.
«Merida, va bene se lo tengo così?» Trillò il bambino, sollevando il povero Snickers per la coda, che protestò con un miagolio sofferente.
«No, Alex!» Esclamai, prendendo in braccio il micio e facendogli mollare la presa. Lo lasciai andare via, guardandolo schizzare il più lontano possibile dalle manine paffute del bimbo, che fece per corrergli dietro. Ma lo fermai.
«Il gattino è un po’ stanco» gli dissi, sorridendo, cercando di farlo ragionare. «Vogliamo vedere Masha e Orso insieme? Ti va?» Domandai, provando a corromperlo con il suo cartone preferito. Vidi il suo piccolo faccino illuminarsi, e uno sdentato sorriso apparirgli in volto. Quando s’impegnava, quel bambino sapeva essere adorabile. Annuì, prendendomi per mano ed incamminandosi verso il salotto autonomamente. Quasi volli piangere dalla gioia, mi sarei riposata per cinque minuti. Non avevo fatto altro che corrergli dietro per tutto il pomeriggio, dal momento esatto in cui sua madre aveva depositato un bacio sui suoi boccoli dorati, per poi sparire oltre la porta.
Lo feci sedere sul divano, e cercai il cartone animato in 3D grafica facendo zapping, trovandolo ed alzando il volume, mentre Alex batteva le mani deliziato. In quel momento, sentii il campanello suonare. Chi altro poteva essere?
«Torno subito!» Lo rassicurai, e lui annuì, facendo ondeggiare i riccioli. Mi trascinai all’ingresso, aprendo con la morte nel volto. E vidi Min YoonGi.
«Accidenti, appartamento 23, la vita dev’essere più dura del solito» mi salutò, con un sorrisetto irriverente. «Vuoi sapere cos’altro è dur…» e lo tirai dentro per un braccio, senza nemmeno lasciargli finire la frase. Non ci tenevo a saperlo in ogni caso. Tuttavia, vedere un volto “amico” o quantomeno familiare, in una situazione del genere, fu per me una salvezza.
«Mi faresti compagnia?» Gli chiesi, di punto in bianco, senza lasciargli il braccio ed imbastendo l’espressione più carina e convincente di cui disponessi. Il biondo mi guardò, lievemente confuso. Ma non parve spiacersi.
«Che c’è, ti senti sola? Hai finalmente deciso di salire sull’Agust D express?»
«Dio, YoonGi» commentai, mentre lui ridacchiava. «Sto facendo da babysitter al figlio della mia migliore amica» e lo vidi sollevare un dito. «Non chiedere» lo liquidai, e lui lasciò cadere la mano, annuendo. «Ti prego. Sto impazzendo, qui da sola, e sarà giusto per questa serata!» Aggiunsi. «Per favore» ripetei, e gli tirai gentilmente la manica. Lui mi guardò per qualche istante, e poi scoppiò a ridere. Ecco. Non si sapeva mai come l’avrebbe presa. Cosa significava, quella reazione? Era un sì? Un no? Una nuova trovata con cui provarci con me? Un modo coreano di dirmi “sayonara baby”?
«Va bene, appartamento 23. Ma sappi che sono una frana, con i ragazzini» mi avvertì. «E poi» aggiunse, liberando il braccio e prendendomi per le spalle, facendomi finire con la schiena contro il muro. Scena tipicamente da drama. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare, era il suo inebriante profumo di menta, e quello sguardo malizioso nei felini occhi scuri. Era sempre stato così affascinante, il mio vicino di casa? E perché mi ritrovavo a fare simili pensieri? Mentre il bambino era nell’altra stanza, oh mio Dio.
«Voglio qualcosa in cambio», contrattò.
«Te la scordi, la mia verginità» ribattei, pronta. E lui batté le palpebre.
«Sei vergine, Winter?» Chiese, sorpreso. Oh merda. L’avevo detto davvero. Avvampai. Perché ero così stupida?
«Fa-falla breve, YoonGi, il bambino è di là da solo» balbettai, cercando di sviare. E lo vidi sorridere.
«Una cena. A casa mia, con tutta la comitiva» propose.
«Venduto» accettai, sfuggendo alla sua presa, impaziente di frapporre quanto più spazio potessi fra me e l’enorme figuraccia che avessi appena fatto col mio vicino di casa.
 


Nonostante la sua “incapacità a badare ai bambini”, Alex e YoonGi andavano perfettamente d’accordo. Forse perché avevano la stessa mentalità. Si erano intesi fin da subito, e il bambino era stato felice di trovare un nuovo compagno di giochi. Il mio biondo vicino di casa era veramente bello, quando sorrideva. Sembrava sfilarsi la maschera di virile superiorità che indossava ogni giorno, sentendosi libero di dimostrarsi per quello che era. Sollevava Alex sulle sue spalle come se nulla fosse, portandolo in giro per l’appartamento, modulando voci diverse e facendolo divertire, lasciandomi il tempo di preparare una cena decente per tutti e tre, mentre Snickers riusciva perfino a dormire in santa pace.
«Merida, Jack Frost è proprio forte» aveva detto, mentre mangiava. Il bambino aveva preteso di sedersi fra me e YoonGi, gongolando. E noi l’avevamo accontentato.
«Jack Frost?» Chiese il biondo, divertito. Il piccolo annuì.
«Hai mai visto “Le Cinque Leggende”?» Gli domandò. Egli scosse la testa. Io l’avevo visto, eccome. E dovevo ammettere che il mio vicino di casa somigliasse parecchio al protagonista dai capelli di neve. Non c’era bisogno di dire che avevo avuto una cotta per lui, lungo tutta la durata del film, perché potrebbe essere male interpretato. No, negativo. Non l’avrei detto.
«È uno spiritello invisibile che rappresenta l’inverno. Ha dei poteri da sballo e fa divertire tutti i bambini. Proprio come te!», aveva esclamato Alex. «E poi, avete anche lo stesso colore di capelli, sembri davvero lui».
«Merida, questo Jack Frost è bello?» S’informò YoonGi, chiamandomi come anche il bambino usava fare. Lo vidi versarsi dell’acqua nel bicchiere, con un sorrisetto sulle labbra. Bello? Era uno strafigo. Ma non potevo dirlo in quel modo, mi avrebbe presa per matta.
«Sì, abbastanza» minimizzai, con tono casuale. Lo sentii trattenere una risata.
«Allora va bene», convenne. Alex continuò a parlargli, con la sua tipica verve infantile, e lui l’ascoltava, commentando entusiasta. Li guardai, sentendo uno strano calore al petto. Era bello vederli in quel modo. Pensai che il biondo sarebbe stato un ottimo fratello maggiore. O anche un buon padre. Poi, arrossi e mi scossi da quel pensiero, focalizzandomi sul cibo che avevo nel piatto. Cosa mi prendeva con Min YoonGi, ultimamente?


 




 


#Yah!: stasera Spotify mi ha fatto partire i Tokio Hotel con "Monsoon" in una playlist e sono tornata ai tempi delle medie. Sono così emo. Ho dovuto mettere i successi anni '80 per riprendermi (Jon Bon Jovi salvami tu, dall'alto del tuo parruccone biondo ai tempi dello splendore vero). Per piacere, facciamo dormire i Bangtan, mi fa male fisico vederli esibirsi con un'ora di sonno a testa, sulle spalle. E voi continuate a shippare #YoonWin, che siete bellissimi <3
 

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Capitolo 27
*** - The Wall - ***





The Wall -


 

“Ormai mi sto abituando a vederti dormire sul mio divano”
-W
 
“È una proposta di convivenza? Perché potrei farci un pensierino”

-myg
 
“Ma perché travisi sempre tutto?”
-W
 
“Non lo so, evidentemente tu parli in AM ed io capisco FM”
-myg
 
“Quanto sei originale! Aspetta che me la segno!”
-W
 
“Eddai, Merida, scherzavo”
-myg
 
“SMETTETELA DI CHIAMARMI COSI’, NON BASTAVA JUNGKOOK, ORA VI CI METTETE ANCHE TU ED ALEX”
-W
 
“Jack Frost può”
-myg
 
“Che ne diresti di Jack Lost?”
-W
 
“Perso nei tuoi occhi?”
-myg
 
“Ritenta”
-W
 
“Perso nella vastità del tuo candore?”

-myg
 
“Non siamo nel settecento”
-W
 
“Basta, mi arrendo, appartamento 23. Non sei divertente”.
-myg
 
“Veramente, io alle mie battute rido un sacco”
-W
 
“…non commento”
-myg
 
“Jack Snob”
-W
 
“Ricordati della cena. Martedì alle otto e mezza, puntuale!”
-myg
 
“Che vita di stenti.”
-W



 
#Yah!: chiedo umilmente scusa per il ritardo grosso come il Jibooty, ma il tirocinio a scuola è come la promozione del nuovo comeback per un idol: totalizzante. Quindi, non ho purtroppo sempre tempo di aggiornare regolarmente, I'm very very sorry folks. La cosa positiva, è che ho scoperto che una delle insegnanti, avete letto bene, insegnanti, è fan del kpop ed è andata a vedere GD. Penso abbiate tutti indovinato a chi andrà il titolo di teacher of the year, hahah! Inoltre, ho notato che su Twitter c'è l'Army Selca Day. Voglio quindi partecipare anche io a questa cosa. Si dovrebbe mettere una foto dell'ultimate e una selca, possibilmente con una posa/outfit simile a quello di lui. Quindi, eccole: 

 

E niente, fin da piccola mi sentivo Miss Piggy. Nulla è cambiato, se non il fatto che i miei capelli siano tinti di rosso.

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Capitolo 28
*** Boy meets Shame ***






XXVIII.
Boy meets Shame

“No, let's not put a label on it
Let's keep it fun”

(Tove LoCool Girl)

 

  W I N T E R  

 

Ero. In. Ritardo. Mortale ritardo.
Ovviamente, l’ultima lezione universitaria era finita alle sette e mezza, con mio sommo orrore. E l’autobus aveva procrastinato il suo arrivo di dieci minuti. Costringendomi quindi a ripassarmi il trucco s’uno di quegli scomodi sedili addossati al finestrino, facendo attenzione a non ficcarmi il pennellino per l’ombretto in un occhio. Perché avrei dovuto truccarmi nel bus? Perché l’unica volta in cui sapevo con anticipo che avrei visto tutti gli amici di YoonGi, andava sfruttata. Normale amministrazione, se solo il conducente non avesse deciso di prendere, di proposito, l’unica strada con il maggior numero di buche sull’asfalto che ci fosse, per condurmi a casa. In parole povere, un disastro. Dall’inizio alla fine.
Ero arrivata nei pressi del mio condominio alle otto e ventisette. Miracolosamente. E avevo visto un giovane infilarsi nel cancelletto d’ingresso, così ne avevo approfittato per scivolare silenziosamente alle sue spalle, senza prendermi la briga di cercare le chiavi di casa nella borsa, perdendo ulteriore tempo. Il ragazzo si accorse della mia presenza solo nei pressi dell’ascensore, dove mi salutò con un educato sorriso. Lo guardai, percorrendone i tratti con gli occhi, domandandomi se si trattasse di un inquilino che non avevo mai visto. Certamente coreano, zigomi alti, colorito roseo e ridenti occhi scuri. Il singolare colore aranciato dei suoi capelli mi colpì molto, costringendomi ad osservarli più a lungo di quanto avrei dovuto, ottenendo di farlo ridere. Erano dello stesso colore dei mandarini maturi, e delle zucche di Halloween. Chissà come, mi fecero pensare al calore dell’autunno, con le foglie che crepitavano sotto i piedi e l’odore di castagne al forno.
«Vuoi toccarli?» Chiese, strappandomi dalla mia dimensione onirica. Battei le palpebre, arrossendo.
«Come?»
«I miei capelli. Li stai osservando come fanno i bambini con le caramelle» commentò, e si coprì le labbra con le dita, cercando di non ridere nuovamente. Arrossii. Anche lui era piacevole, da guardare. Si beava di quella leggiadria che mi ricordava le statue. La perfezione squadrata dell’epoca greca antica. Non era avvenente come JiMin, o affascinante come NamJoon. E nemmeno impeccabile come Jin. Lui era semplicemente bello, nell’armonia dei suoi tratti del volto, nell’espressione amichevole e nelle proporzioni corporee. Sarebbe stato benissimo al centro della tela di un quadro neoclassico, abbigliato con abiti del diciannovesimo secolo e armato di quello sguardo fiero, ineccepibile.
«Scusami» balbettai, distogliendo lo sguardo e sprofondando le mani nelle tasche dell’ampio cappotto. Fissai la spia rossa dell’interruttore dell’ascensore, che indicava la lenta discesa del mezzo. Il cui viaggio avesse appena attraversato il secondo piano.
«Non intendevo dire che mi dispiacesse» rispose, e seppi che stava sorridendo.
«Vivi qui?» Gli domandai, arrischiandomi a guardarlo di nuovo, prendendo coraggio. Scosse la testa, e i lisci capelli d’arancia ondeggiarono, seguendo il movimento della testa.
«Un mio amico sta dando una cena a casa sua. Ha invitato l’intera comitiva» m’informò. E annuii. Ma guarda. Che caso. «Detto fra noi, ho tutta l’idea che lo stia facendo per presentarci la sua nuova ragazza» mi sussurrò complice, chinandosi verso il mio orecchio. Ridacchiai.
«Ah sì?» Chiesi, mentre l’ascensore giungeva finalmente davanti a noi e la spia mutava da rossa a verde. Lo vidi spalancarne le porte e attendere che io entrassi per prima. Lo ringraziai e ottenni un sorriso educato. Un gentleman. Chissà da chi fosse, quella famigerata cena. Magari lo conoscevo.
«A che piano vai?»
«Terzo».
«Ma va’? Anch’io» convenne, premendo il dito sul pulsante. E qualcosa scattò nella mia testa. Una vaga sensazione, che non mi comunicava niente di buono.
«Il mio amico è sempre stato un tipo introverso, e raramente permette alle sue amicizie femminili di conoscerci» riprese, appoggiandosi con la schiena contro la parete dell’ascensore, incrociando le braccia e guardando fisso davanti a sé. «Ovviamente, non ci ha detto che la tipa misteriosa è… beh, la sua, di tipa. Ma, sotto sotto, lo pensiamo tutti. È questione di giorni. Intuito maschile» e sorrise. Lo imitai di riflesso, e l’ascensore arrestò la sua breve corsa silenziosa. Lo guardai nuovamente aprire le porte, facendomi cavallerescamente uscire per prima. E solo quando mi arrestai di fronte alla porta di YoonGi, premendo il dito sul campanello, lui mi lanciò un’occhiata stranita.
«Tu…» fece per dire, ma l’uscio si spalancò. E mi ritrovai un felicissimo JungKook spalmato addosso, che mi stringeva le braccia alla vita, distogliendomi da qualsiasi conversazione avessi mai potuto avere in quell’istante. Il profumo del suo deodorante alla lavanda m’investì, mescolandosi al delizioso odore di cibo che proveniva sicuramente dalla cucina, saturandomi almeno tre sensi su sei.
«Merida!» Esclamò, dondolandosi piano a destra e a sinistra, proprio come faceva anche Alex, quando mi vedeva. Sorrisi mio malgrado, pensando a quanti anni di galera mi sarei dovuta fare, per un contatto fisico del genere. Battei gentilmente le mani sull’ampia schiena del giovane, nel modo più casto ed inequivocabile possibile, implorando mentalmente il karma di non punirmi. Il moro sciolse la stretta solo per salutare il ragazzo dell’ascensore.
«Hobi» lo accolse, sventolando una mano nella sua direzione. Capelli d’arancia gli rivolse un cenno del capo, con fraternità. E poi, il suo sguardo cadde su di me. E lessi il terrore nei suoi occhi.
«Winter…?» Chiese, ed io annuii, mio malgrado. Sforzandomi di non ridere.
«Cazzo, che figura» mormorò, coprendosi il volto con le mani. Non feci in tempo a rincuorarlo, che JungKook fece scivolare le sue dita nelle mie, trascinandomi con sé.
«Tae! C’è Merida! E anche HoSeok» Esclamò. E potei udire l’inconfondibile “miss” dell’altro ragazzo, giungere da un’altra stanza. Lanciai un’ultima occhiata confusa al giovane dell’ascensore. Sperando che non se la prendesse troppo con se stesso, per ciò che avesse detto pochi minuti prima. Infondo, non poteva saperlo. E non volli ammettere a me stessa che le sue parole mi avessero piacevolmente divertita. Nemmeno per sbaglio.


 



 


#Yah!: e niente, per la prima volta è stato Hobi a fare una figuraccia, evviva il karma. Ho fatto il sondaggio che la Big Hit ha gentilmente proposto sul sito, e sono sempre più convinta che sia opera del Big Brother. Già ce li vedo a fare un comeback metal a causa dei miei suggerimenti.
 

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Capitolo 29
*** Whisper Challenge ***






XXIX.
Whisper Challenge


"When I was younger I was certain
That I'd be fine without a queen:
Just a king inside his castle,
With an ocean in between…
Now all I do is sit
And count the miles from you to me"

(All Time LowOh Calamity!)

 

 Y O O N G I   



A giudicare dal casino che JungKook stava facendo in salotto, doveva essere arrivata Winter.
«Non vai a salutarla?» Chiese Jin, lanciandomi un’occhiata divertita, distogliendo l’attenzione dai fornelli per un solo attimo.
«Vero. Che ci fai, ancora qui?» Gli fece eco NamJoon, ridacchiando. Sospirai voltandomi appena in tempo, affinché non notassero il sorrisetto che si stava formando sulle mie labbra. Uscii dalla cucina, sprofondando le mani nelle tasche. Ero stato incerto fino all’ultimo, domandandomi se fare quella cena sarebbe stata una buona idea. Generalmente, non avevo mai presentato nessun’amica al mio gruppo. Avevano conosciuto Nancy due settimane dopo esserci messi insieme, e poi più nulla. Di tanto in tanto, si facevano uscite di gruppo, ma a lei non piaceva stare con gli altri. Li giudicava troppo volgari e rumorosi, per i suoi gusti. Solo perché nessuno faceva attenzione alle sue avances indirette. Avrei dovuto capirlo da quei piccoli particolari, che con quella stronza non sarebbe durata. Mi sarei risparmiato parecchie grane, se l’avessi lasciata prima. Ma ormai, il danno era fatto. Ed io continuavo a domandarmi perché mi fossi lasciato convincere ad invitare anche la mia vicina a quella cena. Avrebbe conosciuto tutta la comitiva, ma a che scopo? Ero sinceramente convinto che gli altri la credessero già la mia ragazza. Me ne accorgevo da come mi guardavano, quando parlavo di lei.
Dopo l’episodio del raffreddore, e il discorso che avevamo fatto sul mio passato, senza volerlo il nostro rapporto si era modificato. Sembrava subentrata, all’interno della relazione, una confidenza particolare. Intima. Che sapevo benissimo non sarebbe durata a lungo, fra due amici. Solitamente, tendeva ad evolversi verso due opposte direzioni. Ed io, stupidamente, proprio come un ragazzino alle prese con le sue prime cotte, mi ritrovavo a sperare che anche lei si accorgesse di quella sorta di chimica che stavamo sviluppando insieme e che la situazione si risolvesse nel migliore dei modi.
Mi appoggiai allo stipite della porta che dava sul salotto, gustandomi la scena che avevo sotto gli occhi. Winter era seduta sul divanetto, mentre JungKook giocherellava con i suoi capelli e TaeHyung blaterava una qualsiasi delle sue sciocchezze senza senso. JiMin era in un angolo, ascoltando quello che un piuttosto preoccupato HoSeok gli stesse dicendo. Più tardi, mi sarei informato sul suo problema.
«Ah, YoonGi!» Mi richiamò il castano, facendo caso alla mia presenza. I due sul divanetto si voltarono, e vidi un timido sorriso farsi strada sulle labbra della mia vicina di casa. Cos’era quel lieve tonfo che mi sembrava di aver appena sentito, al cuore? E perché avevo lo stomaco serrato come prima di andare in scena, ad una delle mie serate rap in qualche locale sperduto per New York? Stavo benissimo, prima che lei si girasse a guardarmi, prima che i suoi due occhi smeraldini mi trapassassero, contenti. Si era truccata? Sembrava ancora più bella. Dio, quanto ero banale. Mi accorsi che il problema principale della serata, non sarebbe stata lei. Sarei stato io. Insieme a lei.
 

   
 


«Sono così pieno» mormorò JungKook, crollando con la testa sulla spalla di TaeHyung, che si appoggiò a lui a sua volta, sbadigliando. Jin li guardò, soddisfatto.
«Allora, aspetteremo per il dolce» decretò, con tutta la calma di questo mondo, com’era suo solito fare. Winter, seduta accanto a me, appariva piuttosto tranquilla. Sembrava essersi adattata alla comitiva dal momento esatto in cui i suoi piedi avessero varcato la soglia. Pareva conoscerli da una vita. Rideva perfino alle battute idiote di TaeHyung. La vedevo ancora piuttosto scossa, quando i suoi occhi incrociavano quelli di NamJoon, ma non diedi troppo peso a quel particolare. Sapevo del debole che lei avesse nei suoi confronti, si sarebbe abituata. E poi, il biondo aveva già una ragazza: Darlene, un’afroamericana tosta come una roccia, che faceva kick boxing e ascoltava solo underground rap. Ricordava molto Cookie Lyon, della serie tv Empire. La adoravamo tutti, nel nostro gruppo.
Senza nemmeno pensarci, abbandonai casualmente un braccio sulla spalliera della sedia di Winter, con nonchalance. Ottenendo di farla voltare verso di me. Sorrise.
«Come va?» Le chiesi a voce bassa, mentre gli altri discutevano sul dessert. Potevo sentire JungKook decretare di avere ancora spazio per il dolce, a costo di andare a vomitare in bagno. Che ci provasse soltanto. L’avrei fatto pulire con la lingua, dopo.
«Mi sento come HaeSoo nella prima puntata di Moon Lovers. Hai presente, quando lei esce dall’acqua e si ritrova davanti tutti quei principi bellissimi?» Rispose, sognante. Risi. «Ecco. Stasera, io sono HaeSoo».
«Ma in quel momento, So non è lì» commentai, divertendomi a guardare la sua reazione. Sospirò, esasperata. Adoravo mandarla in crisi, era più forte di me.
«Il meglio per ultimo» rispose, senza incrociare il mio sguardo. Rimasi a fissarla, confuso. Era forse un complimento? Un’allusione? Cosa aveva cercato di dire? Si stava forse convertendo al partito del quarto principe? E perché avevo preso quel suo commento direttamente sul personale?
«Facciamo qualcosa o potrei addormentarmi addosso a TaeHyung» si lagnò JungKook, attirando l’attenzione di tutti. Vidi l’altro spingerlo via, con una smorfia.
«Questo corpo è solo per le donne! Trovati un altro bisessuale che ti accolga fra le sue braccia volgari» ribatté, indignato.
«Ma quanto sei idiota?» Chiese il più piccolo, stropicciandosi gli occhi con le mani chiuse a pugno. «Lo sai che sono etero».
«Non è un mio problema!» Esclamò, turandosi i timpani con gl’indici, e cominciando ad intonare note a caso, per non ascoltarlo. Volli coprirmi la faccia con le mani. Perché non potevano mai evitare quei teatrini? Nemmeno la presenza di Winter era bastata a placarli. Eppure, lei sembrava divertirsi, accanto a me. Forse ero io che mi lasciavo condizionare eccessivamente, dalla precedente esperienza con Nancy.
«Trovato!» Saltò su JiMin. Lo fissammo tutti. «Whisper Challenge»
«Oh, sì! Io sono bravissima!» Si entusiasmò la mia vicina, puntandogli contro un dito, mentre il ragazzo alzava un pollice nella sua direzione. Mi divertii ad una simile reazione. Era bastata una parola, per farla animare di colpo, proprio come occorreva con due dei miei sei amici.
«Cos’è, Merida?» Domandò JungKook, soffocando uno sbadiglio.
«Allora, indossi delle cuffie e metti la musica altissima. La persona davanti a te, dice una parola e tu devi indovinarla, basandoti solo sul labiale, le espressioni e tutto quello che riesci a carpire».
«Ah, Darlene lo fa spesso, con le sue amiche. È esilarante» convenne NamJoon. Allora, TaeHyung batté entrambe le mani sulla tavola, con solennità.
«La miss va per prima. E la parola, la sceglierò io» decretò, con un sorrisetto malizioso e una luce perfida negli occhi. Intuii che la sua vendetta per Starbucks sarebbe finalmente stata compiuta, quella sera. Winter annuì, del tutto ignara di quanto malvagio potesse essere quel ragazzino.
«Va bene, Whisper Challenge sia» concesse Jin. «Ma prima… via tutto. E non provate nemmeno a filarvela in bagno, perché vi verrò a recuperare con la scopa. Uno per uno» disse poi, con un amabilissimo sorriso che mi fece accapponare la pelle. Ancora ricordavo quando aveva inseguito HoSeok, perché si era rifiutato di aiutarlo a sparecchiare. Brutte scene. La mia vicina fu la prima a scattare in piedi e a radunare i piatti in una pila, piuttosto celermente.
«Winter, lascia stare. Ci penseremo noi, sei nostra ospite» protestò Jin, ma ella scosse la testa. I riccioli ramati seguirono il suo movimento, ondeggiando. Sorrise.
«Ho lavorato come cameriera per tre anni, in Florida. E so quanto noioso possa essere, sparecchiare. Non potrei mai disertare» ribatté, sollevando la piccola torre di bianca ceramica con fare esperto, dirigendosi in cucina prima che il mio amico potesse porgerle ulteriori rimostranze. La seguimmo tutti con lo sguardo, in silenzio. Quando sparì oltre la porta, Jin si chinò verso di me, portandosi la mano a coppa vicino alle labbra.
«Sposala, YoonGi. E sbrigati, prima che qualcun altro decida di soffiartela».
Scoppiai a ridere, mio malgrado. Iniziavo ad accorgermi che averla accanto mi faceva stare bene. Forse più di quanto avessi voluto ammettere a me stesso.



 

   

 


#Yah!: ah, l'amour. Cosa? Che? Non ho detto nulla, no, vi sbagliate. Vi rendo partecipi di un episodio divertente, affinché voi impariate dai miei errori, e non li ripetiate a vostra volta. Alla fiera del fumetto nella mia città, le mie amiche mi hanno impietosamente sventolato poster enormi di JungKook e JiMin in faccia (J e P, se state leggendo, sappiate che non ci saranno sushi che tengano, a salvarvi dalla mia ira funesta, quando sarà l'occasione). Sebbene nessuno dei due sia il mio bias, il maknae mi fa male e JiMin ha certe pose che mi provocano il dolore esistenziale baudelairiano. Comunque, ho provato a resistere. Allora, hanno preso quello di NamJoon. Vorrei poter dire che, stoicamente, ho pagato i miei gadget e sono andata via, ma così non è stato. E niente, dopo gli acquisti mi hanno dovuta trascinare via dallo stand, mentre volavano parolacce contro i posters in almeno due lingue diverse -compreso il mio dialetto d'origine- e le ragazzine che compravano cd mi lanciavano occhiate a metà fra il divertito e l'oltraggiato. Magari avrei potuto evitare di urlare "Jeon JungKook è duemila dentro", però okay. Ma che ne sanno, loro. 

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Capitolo 30
*** Game Over ***






XXX.
Game Over


"I'm with the skater boy
I said see you later boy,
I'll be back stage after the show
I'll be at the studio,
Singing the song we wrote
About a girl you used to know"

(Avril LavigneSk8ter Boi)

 
  W I N T E R  

 

Ero in paradiso. Ero HaeSoo nel Damiwon, circondata da sette bellissimi principi per i quali mi sentivo troppo mediocre da poter condividere il loro ossigeno. Nel corso di quei mesi, avevo approfondito la conoscenza solo di TaeHyung e JungKook, poiché spesso passavano a trovarmi al lavoro. Gli altri erano per me un mistero, se non motivo di depressione per quanto belli potessero essere. Invece, avevo scoperto che fosse piuttosto piacevole stare in loro compagnia. Erano divertenti e cercavano in tutti i modi di mettermi a mio agio. Perfino il povero HoSeok, dopo l’increscioso episodio dell’ascensore, pareva aver riacquistato la confidenza necessaria per guardarmi negli occhi senza arrossire. E Jin era un magnifico cuoco. Non mangiavo così bene, dall’ultima volta che ero stata a cena a casa dei miei genitori e si trattava di parecchio tempo addietro. Non mi ero mai sentita tanto fiera di avere la pancia piena come in quel momento. Almeno, erano cibi veri, quelli che avevo ingerito. Non pallide imitazioni chimiche da supermarket aperto ventiquattrore al giorno.
YoonGi sembrava un altro, insieme ai suoi amici. Perdeva la sua ostentata spocchia d’invincibilità dominante, diventando un comunissimo ragazzo di ventitré anni. Che sorrideva in maniera genuina, rideva alle battute e perdeva qualsiasi traccia dell’arrogante rapper dalla battuta sempre pronta. Mi piaceva, vederlo in quel modo. Cominciavo a trovare fin troppo gradevole guardarlo in viso, seguire il profilo delle mani, o cercare d’indovinare i suoi pensieri a seconda dell’espressione che si dipingeva sul suo volto. Mi sentivo bene, se lui era accanto a me. Come quando aveva lasciato casualmente il braccio sulla spalliera della mia sedia, avvicinandosi ulteriormente per poter parlare a bassa voce, senza che gli altri lo sentissero. Mi piacevano le sue attenzioni. E, mio malgrado, mi piaceva anche lui. Avevo cominciato ad accorgermi di questo sensibile cambiamento, ai miei occhi, dal discorso che mi fece quando era stato male. Quando aveva deciso di parlarmi di tutti i problemi che lui avesse affrontato nel corso della sua tarda adolescenza, dei limiti, del peso che la vita aveva avuto sulle sue spalle. Non provavo pena per lui, ma un’immensa ammirazione. Aveva deciso di non arrendersi alla depressione, di artigliarsi all’orlo del burrone con le unghie, tirandosi su a forza. Accettando la mano del suo amico JiMin, e l’aiuto di qualcuno più esperto, che avrebbe saputo gestire il suo problema, riducendolo alla sua misura. Min YoonGi era un guerriero, e le sue cicatrici le nascondeva ben benino, rendendo impossibile indovinare la loro presenza. Era una bellissima persona, ed io non me n’ero mai accorta, in tutto quel tempo.

 


 
 
«Allora miss. Adesso, alzerò il volume al massimo, va bene? Non mi sentirai più» spiegò TaeHyung, armeggiando con il suo cellulare. Annuii, incerta. Il sorrisetto sicuro dipinto sulle belle labbra m’ispirava solo guai. E, a giudicare dall’espressione vagamente preoccupata di YoonGi, potevo indovinare che la mia intuizione fosse giusta. Era seduto alle mie spalle, stravaccato sul divano insieme a JungKook e JiMin, potevo sentire il calore della sua gamba contro la mia schiena. Ero rassicurata da quel contatto forse neanche troppo casuale. Sospirai, e TaeHyung premette play. Le chiarissime note di “Lotto” degli EXO m’invasero la scatola cranica, rimbombandomi nelle orecchie con tutta la loro possente presenza. Non sentivo nulla. Mi augurai di non diventare sorda, dopo un’esperienza simile.
Vidi il ragazzo di fronte a me dire qualcosa, ma non lo capii. E così, scossi la testa, stringendomi nelle spalle. Allora, un ghigno comparve sulle sue labbra. Avvicinò il volto al mio, forse anche troppo, e scandì una parola. Poi, si allontanò, compiaciuto, sedendosi in terra a pochi metri da me. Che accidenti aveva detto? Avevo compreso solo un “la” finale. Maledetto Park ChanYeol che mi distraeva con la sua voce da sesso. Avrei potuto prestare più attenzione a TaeHyung. Ormai, il danno era fatto. Potevo solo tentare d’indovinare la parola giusta.
«Bella?» Azzardai, e scoppiarono tutti a ridere. Il malefico ragazzo scosse la testa, e ripeté quanto detto prima. Captai anche una “t”.
«Tintarella!»
Altre risate. Che odio. Allora, indicò uno dei ragazzi seduto sul divano, parlando di nuovo.
«Park JiMin in gonnella?»
Vidi JungKook alzarsi ed andare ad accovacciarsi in un angoletto del salone, coprendosi la testa con le mani. Jin era piegato in due sul divano, mentre NamJoon non riusciva a sollevare il torace, chino su se stesso, scosso dal riso. Si stavano letteralmente sentendo male, per quanto ridevano. Arrossii. Stavo facendo una figuraccia dopo l’altra. Intuii che TaeHyung avesse voluto vendicarsi dell’episodio di Starbucks e ci stava riuscendo veramente bene. Guardai nuovamente JiMin, che si afferrò il maglione, sollevandolo di poco. Muovendo le labbra per cercare di suggerirmi la parola giusta.
«Ti spogli in barella?» Tentai, fallendo nuovamente. Allora, YoonGi mi afferrò il volto con una mano, costringendomi a guardare il suo amico. Un punto particolare del suo indumento, per meglio dire. Mi resi conto, che sul suo maglione ci fosse un’enorme stella, un po’ sbiadita. Il mio vicino di casa mi lasciò andare e feci un ultimo tentativo. Sperando che sarebbe andato bene.
«Stella?» Urlai, mentre la canzone ricominciava per la seconda volta. Li vidi annuire, mentre mi toglievo le cuffie e le passavo a TaeHyung, odiandolo.
«È stato bellissimo, miss» commentò, spazzandosi via una lacrima dall’angolo dell’occhio. «Credo di non aver mai riso tanto in vita mia», aggiunse. Lo fulminai con un’occhiataccia.
«Perdonami, JiMin» mi scusai poi, mentre il ragazzo ricominciava a ridere, scuotendo la testa. Era proprio vero, che la sua voce fosse chiara e cristallina come l’acqua. YoonGi aveva avuto ragione, a descriverla in quel modo.
«Tranquilla, Winter. Non è stata colpa tua».
Ma mi sentii comunque responsabile per le mie parole senza senso. Vidi JungKook riemergere dal suo angolino della vergogna, scattando verso il suo compagno di università.
«Adesso tocca a te, Tae. Merida, posso farlo al tuo posto?» Chiese, ed io annuii, prendendo posto fra JiMin e YoonGi, pronta a godermi lo spettacolo. Lo sentii muoversi al mio fianco, sistemandosi meglio.
«Sei un po’ lenta, appartamento 23» soffiò nel mio orecchio, ed io non seppi se urlare, alzarmi, scappare, o sciogliermi lì. Mi limitai a deglutire e a farmi piccola piccola.
«Non è vero» protestai debolmente, e lui rise. Avrebbe senza dubbio continuato il discorso, se solo il campanello d’ingresso non avesse suonato, dipingendo una serie di espressioni confuse sui volti dei presenti.
«Chi potrebbe mai essere, alle dieci e mezza di sera del martedì?» Chiese JiMin, guardando YoonGi con un sopracciglio alzato. Il quale si alzò dal sofà, stringendosi nelle spalle. Lo sentimmo dirigersi all’ingresso ed aprire la porta. Poi, una sola parola. “Nancy”.
«Okay gente, io comincio. Va bene?» Riprese subito JungKook, rendendosi conto che rimanere in salotto ad ascoltarli non sarebbe stato delicato. Gli altri annuirono, e la whisper challenge riprese. Ma io non riuscivo a concentrarmi, né a ridere ai fallimentari tentativi di TaeHyung. Avevo sentito quel nome scivolare un paio di volte dalle labbra del mio vicino di casa, quando delirava per la febbre. Ma non mi ero mai presa la briga d’indagare, anche perché non mi sentivo assolutamente nella posizione di poterlo fare. Cos’ero, io, per YoonGi? Un’amica? L’inquilina della porta accanto? Che diritto potevo mai avere, d’impicciarmi della sua vita privata in quel modo? Nessuno. Così, continuai a seguire il gioco con lo sguardo, senza capirlo davvero. Finché, le dita di JiMin non tamburellarono educatamente sul mio ginocchio, richiamando l’attenzione.
«Andresti a dare un’occhiata nell’ingresso? Ci stanno mettendo parecchio» mi chiese, ed io annuii incerta, non sentendomi proprio la persona più adatta per il compito. Tuttavia, non volli protestare ulteriormente, così mi alzai ed uscii dalla stanza.
Mi fermai proprio in corridoio, vedendo YoonGi di spalle. Stava di fronte alla porta d’ingresso, con una mano sulla maniglia. La sua postura era rigida, sostava lì dinanzi tutto d’un pezzo. Mi avvicinai silenziosamente, scoprendo la figura di una giovane forse di qualche anno più grande di me. I suoi tratti sembravano ricucire insieme due culture diverse, asiatica ed europea. Aveva dei lisci capelli biondo cenere, che le ricadevano morbidi sulle spalle, non molto alta e dal fisico asciutto e longilineo. L’opposto di me, pensai, ricordandomi della mia complessione morbida e per nulla slanciata. L’espressione sul suo viso sembrava piuttosto sconsolata, facendomi sentire immediatamente inadeguata alla situazione. Non avrei dovuto dare retta a JiMin. Avrei dovuto lasciarli soli. Feci per andarmene, ma ella si accorse della mia presenza, spostando lo sguardo dal volto di YoonGi al mio. Il quale la seguì, voltandosi appena. Mi sentii mortalmente in imbarazzo. Provai a schiarirmi la voce, in un fallimentare tentativo di nonchalance.
«Di là si chiedevano… che fine avessi fatto…» balbettai, interrompendomi nel momento esatto in cui il biondo protendeva un braccio nella mia direzione, facendo scivolare le sue dita nelle mie, intrecciandole indissolubilmente. Mi guardò con aria eloquente. Un’espressione confusa si dipinse sul mio volto, mentre lui si rivolgeva alla ragazza sulla porta.
«Nancy, lei è Winter. Stiamo insieme da due mesi» disse. Avrei voluto protestare, ma il modo in cui mi stringeva la mano, mi suggeriva che parlare sarebbe stato inutile. E che avrebbe potuto danneggiarlo ulteriormente. Così, rimasi in silenzio. Pentendomi di ogni istante in cui avessi sostenuto quella sua bugia, senza sapere nemmeno per quale ragione lo stessi facendo. Vidi un sorriso amaro dipingersi sul volto innegabilmente bello di Nancy. Così, era lei che YoonGi aveva chiamato nel sonno. La sua ex ragazza.
«Non avevo idea che ti piacessero le bambine» commentò lei, con una dose di cattiveria del tutto gratuita. Improvvisamente, non mi sentii poi così in colpa per lei. «Potevi riavere me».
«Sai, Nancy» esordì lui, tirandomi più a sé. «Le persone non sono come i videogames, dove puoi salvare i tuoi progressi e mettere in pausa il gioco, per poi riprendere quando ti faccia più comodo, o quando ti annoi. Non esistono controllers, per i sentimenti umani. Mi hai calpestato peggio delle cicche delle tue sigarette del cazzo, anni fa. E sei sparita. Per quel che ti riguarda, avrei anche potuto non essere più qui» le disse, amaro come il fiele. «Adesso, solo perché Jackson Wang si scopa la tua migliore amica, hai magicamente ricordato che esisto anch’io. Che abbiamo avuto dei ricordi insieme, che le nostre vite sono state intrecciate per qualche tempo. Indovina? Non me ne frega un cazzo, ormai. Non più. Ho deciso di tagliare via le persone nocive, dalla mia vita. E tu sei una di quelle» aggiunse, sorridendole. «Butta il mio cd, perché questo è game over. Non puoi più salvare, né ricominciare. Hai perso la partita, per l’ultima volta».
Lei lo guardò, lasciandosi scappare un verso sarcastico. Poi, si rivolse a me.
«Divertiti a sopportare i suoi sbalzi d’umore, e l’indolenza cronica. Con uno zombie ti divertiresti di più».
«Vedi di non inciampare per le scale, Nancy. Potresti scivolare su quel briciolo di dignità che ti era rimasta, prima di dire tutte quelle stronzate» le risposi, sventolando una mano con un sorriso. Le mie parole la gettarono nell’indignazione più totale. Scosse la testa e si voltò, andando via oltraggiata. Sentimmo i suoi costosi stiletto da dodici centimetri ticchettare giù per la tromba delle scale, mentre l’eco del discorso appena avvenuto risuonava nelle orecchie di entrambi. YoonGi si voltò verso di me, sconvolto.
«Quella non me l’aspettavo nemmeno io» ammise, per poi sorridere. Mi strinsi nelle spalle.
«Al liceo, ero piena di tipe come lei. Ma sono sempre stata troppo timida, per rispondere. Mi sono semplicemente presa una rivalsa che covavo da anni» minimizzai. «E poi, ho appena deciso che solo io potrò insultarti, d’ora in avanti. Eccezion fatta per i tuoi amici, ovviamente» aggiunsi, senza sciogliere l’intreccio delle mani, ancora saldamente unite. Lo sentii ridere, mentre richiudeva la porta.
«Affare fatto» acconsentì. Feci per avviarmi verso il salotto, ma lui mi trattenne. «Winter».
«Sì?»
«Grazie» disse. Gli sorrisi, senza rispondere. Mi limitai a tirarmelo appresso, lungo il corridoio. Era davvero piacevole, tenergli la mano.


 



 


#Yah!: weeks are crazy. Ho deciso che aggiornerò solo nel weekend perché, per il momento, farlo in settimana non è umanamente possibile. Avete sentito del rilascio giapponese di alcune canzoni di "Love Yourself"? Fra quelle, ce n'è una nuova, che si chiama "Winter Story". Lasciatemi fangirlare, #YoonWin forever.
 

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Capitolo 31
*** - The Wall - ***





The Wall -





 
“Ricordami di non provare mai a litigare con te. Potresti tirare fuori una di quelle battute killer che hai detto a Nancy, quando meno me lo aspetto”
-myg
 
“Che dire? Sono cresciuta a pane e Beyoncé”
-W
 
“La mia piccola tigre”
-myg
 
“Tua?”
-W
 
“Certo”
-myg
 
“E da quando, sentiamo?”
-W
 
“Dalla prima volta che ti ho vista”
-myg 
(Cestinato)
 
“Dai, appartamento 23, scherzavo”
-myg
 
“Peccato, non mi sarebbe dispiaciuto”
-W
(Cestinato)
 
“Ecco, Jack Frost, meglio per te”
-W

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Capitolo 32
*** Somebody to Love ***






XXXII.
Somebody to Love



“If this is what it's like falling in love
Then I don't ever wanna grow up
Maybe I'm just a kid in love”

(Shawn MendesKid in Love)
 


 Y O O N G I   
 
 

Mi presentai alla porta di Winter con le braccia carche di popcorn e patatine. Ebbene sì. Avevo creato un account nel suo stesso sito di drama, iscrivendomi alla famosa newsletter da cui anche lei riceveva periodicamente le emails, con la notifica dei sottotitoli disponibili. Non che io seguissi quelle sciocchezze da ragazzine. Ovviamente. L’avevo palesemente fatto per lei.
A soli quattro giorni dalla famosa cena con la mia comitiva, mi ero ufficialmente arreso: la vicina di casa mi aveva vinto il cuore, senza nemmeno sforzarsi di conquistarlo. Me n’ero reso conto nel momento esatto in cui l’avevo vista nel corridoio, mentre parlavo con Nancy, e avevo afferrato la sua mano come se fossi stato sul punto di affogare. Ma occorre fare prima un preambolo. Dunque, la mia ex si era ripresentata alla porta, con una lacrimevole espressione di dignità ferita. Aveva sorriso pietosamente, dicendo di non aver mai capito quanto importante potessi essere, e che lei avesse fatto un madornale errore, a lasciarmi per Jackson. Il tutto, però solo perché l’aveva scoperto in camera da letto, con la sua migliore amica. Quale spalla su cui poter andare a piangere, allora, se non la mia? La cosa divertente, era che io, con ogni probabilità, l’avrei anche accolta e consolata. Se fossi stato solo. E se non avessi conosciuto Winter, nel frattempo. Perché ero fatto in quel modo. Non disponevo di tutta quella dignità, specie nei confronti di chi mi avesse dimostrato anche un minimo di affetto, nel corso della mia vita. Forse perché ne avevo avuto bisogno in modo così disperato, da sentirmi poi in costante debito, nei confronti di chi mi fosse stato accanto. Ma in quel caso, era stato diverso. Appena i miei occhi avevano scorto il profilo della mia vicina di casa, avevo capito, intrecciando le mie dita a quelle di lei, tirandola a me. Mentendo a Nancy. Dicendole che stavamo insieme da due mesi, e che non avessi alcuna intenzione di ricominciare da capo.
Ovviamente, la bionda l’aveva presa male, producendosi in una delle sue formidabili osservazioni di cattiveria gratuita, per le quali avrei volentieri voluto cucirle la bocca con ago e filo. Ma Winter le aveva risposto senza fare una piega, difendendo me e se stessa in un colpo solo. Brillando ai miei occhi in maniera definitiva. Avevo finalmente capito che era lei, che volevo accanto. Mi meritavo qualcuno che combattesse per me, non contro di me. E, da quel momento, non avevo fatto altro che orbitarle attorno. Come se lei fosse stata la Terra, ed io la luna. Mi ero inventato una scusa diversa ogni sera, per poter entrare nel suo appartamento e condividere i suoi stessi spazi. L’avevo vista cucinare la cena per entrambi, ridere a qualche stupido programma televisivo e storpiare canzoni coreane sotto la doccia. Dio solo sapeva se non avessi voluto inseguirla fino in capo al mondo. Nella mia testa c’era solo lei. Se chiudevo gli occhi, vedevo il suo volto. Quando li riaprivo, e mi rendevo conto di essere solo in casa mia, il mio umore precipitava. Sentivo che non era quello, il mio posto. Non ero mai stato così, in vita mia. Cominciavo a comprendere i punti di vista degli strampalati protagonisti dei libri che NamJoon leggeva e ogni tanto mi prestava. Nelle mie playlist, i brani aggressivi avevano lentamente ceduto il posto a K.Will, Eddy Kim e Park HyoShin, per non parlare delle sdolcinatezze acustiche europee o americane. Perfino gli artisti mainstream mi andavano bene. Non capivo cosa mi stesse succedendo. Mi stavo rammollendo. Ascoltavo perfino l’oroscopo alla radio, in macchina, quando andavo a lavorare al pub. I miei amici ridevano spesso, sorprendendomi a sorridere davanti al cellulare, solo perché Winter mi aveva risposto con la sua solita dolcezza femminile. Mi davano dello sciocco, a non volermi dichiarare. Eppure, non ne avevo il coraggio. Mi sentivo così bene ad averla intorno, che non volevo rovinare quell’atmosfera così bella. Prima o poi, gliel’avrei detto. Per il momento, stavo bene. Stavamo bene. Perché mi accorgevo dei suoi sorrisetti, quando casualmente il mio braccio le circondava le spalle, o nel momento in cui giocherellavo con i suoi capelli, mentre leggeva sul divano. Non ero stupido, mi rendevo perfettamente conto che anche lei stesse lentamente cedendo all’avermi intorno. E tale era stata la ragione maggiore a spingermi a presentarmi alla sua porta, anche quella sera.
Schiacciai il campanello, facendo attenzione a non rovesciare nessuno dei sacchetti che avessi ammassato fra le braccia. Sapevo che Winter era in casa: l’avevo sentita inveire contro Snickers, perché non voleva spostarsi dai suoi libri di testo, impedendole di studiare. Infatti, pochi istanti dopo, l’uscio si schiuse, rivelando la sua figura minuta e burrosa. Aveva lasciato i capelli sciolti, ed indossava il suo solito pigiama con i gattini. Che a me faceva sempre ridere. La mia vicina aveva l’abitudine di girare per casa in quel modo, quando non usciva. Non usava vestirsi, per rimanere nel suo appartamento, tranne quando tornava dall’università e mi trovava ad aspettarla sulla porta. Trattenni una risata, e lei sollevò un sopracciglio.
«Diamo una festa ed io non lo so?» Mi chiese, occhieggiando popcorn e patatine. Scossi la testa, sorridendo.
«Sbaglio, o stasera c’è la nuova puntata di Moon Lovers?» Domandai, molto casualmente. La vidi illuminarsi.
«Sì!» Esclamò. «In verità, sono indietro di un episodio» commentò, portandosi un indice al mento. Mi strinsi nelle spalle.
«Li guarderemo entrambi» dissi, entrando come se fosse stata casa mia.
«Ma come facevi a saperlo?» S’informò, seguendomi in cucina, dove scoprii Snickers dormire acciambellato sui romanzi di Winter, sopra al tavolo da pranzo. Riposava come se nulla potesse turbarlo, in tutta la sua elefantiaca placidità. Certo che era proprio grasso.
«Magia» risposi, laconico, posando i sacchetti nello spazio libero da testi e membra feline. Mi voltai a guardarla, e scoprii che mi stava fissando, con un sopracciglio sollevato, un mezzo sorrisetto sulle labbra e le braccia incrociate. Sospirai, sollevando le mani in segno di pace.
«E va bene» concessi. «Mi sono iscritto alla newsletter anch’io. Contenta?» Ammisi, mentre lei tratteneva una risata ed annuiva, contenta.
«Vado a prendere il pc, tanto studiare è inutile» commentò, lanciando un’occhiata risentita al suo gatto. «Non ho più bisogno di dirti “fa’ come se fossi a casa tua”, perché ormai lo è diventata» aggiunse, e la sentii dirigersi nell’altra parte dell’appartamento. Sorrisi fra me, mentre mi spostavo verso le credenze, per prendere le ciotole in cui mettere il contenuto dei sacchetti. Aveva ragione. Trascorrevo più tempo lì dentro che da me. E non me ne dispiacevo affatto.
 
 


 

Stavamo guardando l’ultimo episodio disponibile di Moon Lovers, e dovevo ammettere che avesse cominciato a catturare anche me. Ero come ipnotizzato dalla storia della protagonista, che s’intrecciava con quella dei principi, a palazzo. E la prima dama di corte, lady Oh, mi stava particolarmente simpatica. Mi piaceva, come donna. Severa ma giusta, che teneva ad HaeSoo come se fosse stata sua figlia. Continuavo a mangiare patatine meccanicamente, mentre sentivo Winter accanto a me guardare lo schermo presissima. Nel momento esatto in cui il re ricevette la donna, seppi che sarebbe finita male.
Ovviamente, la protagonista della vicenda era stata messa in mezzo dalla sorella dell’ottavo principe e alla regina Yoo, coinvolgendola in un tentativo di avvelenamento a sua insaputa, ottenendo di farla condannare a morte. Il principe Wook, preferito da Winter, aveva rinunciato a perorare la causa della sua “amata”, per non permettere che la sua famiglia venisse scoperta ed esiliata. Gli unici a preoccuparsi per lei, erano il principe So e la dama Oh. Udimmo la donna spiegare al re che fosse già prossima alla fine dei suoi giorni, affetta da una malattia incurabile. Sentii la mia vicina sussurrare un “no”, e portarsi le mani alla bocca. E la situazione non cambiò per i successivi venti minuti. Finché, ella non crollò definitivamente, vendendo la dama Oh pregare HaeSoo di non insistere, e di lasciarla morire al suo posto.
Veder piangere Winter, seppur per una banalità come un drama, fu una scena inedita, per me. Non avrei voluto che reagisse in quel modo. Le avrei volentieri spiegato che era tutta finzione, che l’attrice sarebbe tranquillamente sopravvissuta, ma sentii che sarebbe stato inutile. Doveva essersi affezionata al suo personaggio, e vederlo fare quella fine le riusciva doloroso. Non sapevo cosa fare, come comportarmi. Mi risolsi a passarle un braccio attorno alle spalle, e ad attirarla a me. La ragazza si aggrappò al tessuto della mia maglietta, continuando a seguire le scene sullo schermo con lo sguardo. E, quando la donna salì al patibolo, nascose il volto contro il mio petto. Rifiutandosi di guardare. La circondai con entrambe le braccia, stringendola, sentendo le sue lacrime bagnarmi la t-shirt, e il suo piccolo corpo singhiozzare. Effettivamente, rimasi anch’io piuttosto male, per quella donna. Avrei volentieri voluto vedere la regina, al suo posto. Ma non era così che la storia sarebbe dovuta andare. Purtroppo. Accarezzai la schiena di Winter, cercando di calmarla. Sentii il suo respiro regolarizzarsi, mentre la puntata finiva. Ma non accennava a volersi allontanare da me. Ed io, ero ben felice di poterla tenere fra le braccia, in quel modo. Passarono svariati minuti, in cui non me la sentii di dirle nulla. Lasciandole il tempo per metabolizzare la scena. Poi, mi resi conto che la mia vicina si era tranquillamente addormentata, con il volto appoggiato al mio torace. I tratti del volto erano distesi, le labbra dischiuse. Sospirai, aggiustando la mia posizione alla sua, lasciando un braccio sulle sue spalle, accarezzandole i capelli di tanto in tanto, appoggiando la mia testa alla sua. M’impossessai del telecomando e cominciai a fare zapping sulla tv, preparandomi all’idea che sarei rimasto tutta la notte lì con lei. I nostri respiri si erano sincronizzati, nel quieto silenzio nella stanza, interrotto solo dal sommesso cicaleccio della televisione.
Non ero mai stato così, con una ragazza. Nemmeno per Nancy. Cosa mi stava prendendo? Perché non reagivo, desiderando soltanto di esserle accanto come in quel momento? La guardai, mentre continuava a riposare tranquilla. Si mosse, stringendomi la vita con il braccio, affondando il volto ancor di più nel tessuto della maglia. Il cuore mi scivolò contro lo sterno. Deglutii, sentendomi perso più che mai. Ero felice, senza capire. Si trattava forse di quello, l’amore? Sentirsi maledettamente bene, senza bisogno di pillole, alcolici, musica o qualsiasi altro tipo di passatempo o distrazione? Facendosi bastare solamente il battito cardiaco di un’altra persona, affinché che si combinasse con il proprio, a notte fonda?
Cosa mi stai facendo, Winter?



 


 


#Yah!: io spero infinitamente che questo capitolo abbia ripagato le vostre attese, perché mi sento SO MUCH in colpa di non aver abbastanza tempo per aggiornare, argh. Anyway, domani esce il nuovo cd degli Epik High ed è un giorno felice, perché quei tre sono il mio cuore. Sto contando i secondi. Avete sentito la nuova canzone di Taylor Swift? A me fa pensare a Kookie. Non escludo che potrei scriverci qualcosa sopra. AND forse e dico forse, potrei avere una sorpresa di Halloween in serbo per voi, ma non vi prometto nulla. We'll see. Intanto, shippate #YoonWin e twittatelo, trendatelo, fate striscioni e quel che volete, any shipping is a good shipping. Love u all <3

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Capitolo 33
*** Kiss ***






XXXIII.
Kiss



“I will give you my body
But am I sure that you want me
Am I sure that you want me?”

(Pale Waves There’s a Honey)

 


 
  W I N T E R  

 

Mi risvegliai sentendo il tepore di un altro corpo accanto al mio. Aprendo lentamente gli occhi, mi resi conto di essermi appisolata con la testa sulle gambe di YoonGi. E lui, dal canto suo, doveva aver preso sonno appoggiandosi al mio fianco come se fosse stato un cuscino. Battei le palpebre, cercando di fare mente locale. Cosa era accaduto, la scorsa notte? Ricordai di aver guardato la nuova puntata di Moon Lovers, di aver pianto disperatamente a causa della morte di lady Oh, e poi più nulla. Forse, era stato quello il momento in cui dovevo aver perso conoscenza. Ma l’aspetto più buffo dell’intera situazione, era che il mio vicino di casa fosse rimasto lì con me, senza andar via. Aveva davvero trascorso tutta la notte in quella posizione scomoda, solo per non svegliarmi? Con ogni probabilità, avrebbe guadagnato un dolore sordo ad almeno cinque articolazioni, alzandosi. Eppure, sembrava non importare, poiché lui dormiva beato, con le braccia appoggiate sul mio fianco e la testa abbandonata su di esse, usando il mio corpo come superficie per riposare. Sentivo il suo torace alzarsi ed abbassarsi lentamente, con placido ritmo rilassato, come se nulla potesse turbarlo. Rimasi ad osservarlo per qualche tempo. Aveva l’espressione serena, sprofondato in un mondo che nessuno, a parte lui, avrebbe potuto raggiungere.
Da qualche tempo, avevo iniziato a farmi parecchie domande, sul suo conto. Ero giunta ormai alla conclusione che mi piacesse averlo intorno, non potevo più negarlo. La sua compagnia era divenuta una parte integrante, se non necessaria, delle mie giornate. Ogni volta che rientravo in casa, contavo i minuti che mi separavano dall’udire le sue nocche battere contro il legno della porta. Avevo imparato a decifrare i suoi sguardi, identificando quando un pensiero spiacevole si affacciasse alla finestra della sua coscienza, dandomi da fare affinché riuscissi a distrarlo sufficientemente da rinchiuderlo fuori. Lentamente, avevo memorizzato la piega che le sue labbra carnose assumevano, nel momento in cui una risata stesse per nascere nella sua gola. Il profilo del suo volto, la mascella affilata, la piega che prendeva la frangia ossigenata, scivolando sui suoi felini occhi scuri, qualsiasi particolare di lui si era inciso nella mia memoria, ritagliandosi un contorno come lama di coltello nella corteccia di un albero. Comprendevo il linguaggio delle sue mani, quando le dita si distendevano o si portava un’unghia alla bocca per mangiucchiarla, sottopressione. Min YoonGi era una sorta di paradigma linguistico, con le proprie regole ed eccezioni, al cui processo di decifrazione occorreva il triplo della sensibilità ed attenzione usuali, ed io stavo lentamente ottenendo il livello di competenza più alto possibile. Ogni giorno insieme a lui, era un bel ricordo da aggiungere alla memoria.
Inizialmente, non avevo voluto ammetterlo neanche a me stessa. Il vicino di casa che rappa in maniera così volgare e che scrive post-it espliciti? Ma per favore. E invece, dopo tutti quei mesi, mi ero ritrovata a capovolgere le mie idee su di lui. Quel che mi sembrava un ragazzaccio burbero, con scarsissima considerazione di sé e degli altri, si era trasformato in una sorta di cavaliere negletto e silenzioso, il cui occhio vigile fosse sempre attento a ciò che capitava a chi gli stesse a cuore. Avevo imparato a conoscerlo, ad ascoltare i discorsi che lui faceva quando eravamo da soli, a notte fonda, mentre solo le stelle avrebbero potuto sentirci. E, inevitabilmente, avevo finito per innamorarmi delle sue parole. Dei suoi gesti. Dei suoi sottintesi. Dei sorrisi e degli sguardi. Di lui, per intero.
Tuttavia, non sapevo realmente quel che egli provasse, nei miei confronti. Mi accorgevo di quelle piccole attenzioni che, solitamente, si riservano solamente alle persone verso le quali si provi un affetto particolare, ma YoonGi non si era mai sbilanciato oltre la soglia di quell’amicizia intima che avevamo sviluppato. I suoi amici facevano continue battutine ed allusioni, ma non comprendevo mai se reggessero un grande scherzo, o cercassero di tirar fuori qualcosa che lui non aveva il coraggio o la voglia di affrontare. Ad ogni modo, mi accontentavo della sua vicinanza, sperando ogni volta che lui avrebbe compiuto il passo in più che mi avrebbe permesso di capire.
Sospirai, piano, cercando di non svegliarlo. Poi, lanciai un’occhiata all’orologio appeso sopra la televisione e a momenti non urlai. Erano quasi le otto ed io in meno di quaranta minuti avrei avuto lezione. Non potevo assolutamente saltare quel corso, il professore avrebbe anche preso le presenze. Muoviti, Winter. Avrai tempo per le sdolcinatezze da film romantico, mi dissi. Presi un bel respiro e provai a sollevarmi, sperando che il cambiamento di posizione potesse svegliarlo nella maniera meno traumatica possibile. Nel sentire la superficie sulla quale lui fosse appoggiato muoversi, prima corrugò la fronte, poi sollevò il capo, molto lentamente. Rimasi ferma a guardarlo osservarsi attorno, stranito. Si passò una mano fra i capelli ossigenati, spostandoli via dagli occhi, provando a recuperare i pensieri.
«Che cazzo?» Domandò, rendendosi conto del suo braccio tranquillamente abbandonato sul profilo del mio fianco, come se fosse stato la spalliera del divano a casa sua. Si meravigliava della stessa familiarità che il suo corpo avesse acquistato con il mio, senza il controllo della coscienza. Effettivamente, anch’io ero rimasta lievemente sorpresa dal modo in cui si fosse assopito, ma sotto sotto, mi aveva anche fatto piacere. «Oh merda, mi sono addormentato anch’io» ricordò poi, scuotendo la testa. Trattenni una risata. Non l’avevo mai visto svegliarsi, al mattino. Era uno spettacolo singolare, la strana riconnessione di una creatura con il suo pianeta d’origine, con relativo shock culturale. TaeHyung aveva ragione, quando sosteneva che guardare YoonGi uscire dal mondo dei sogni fosse uno spettacolo comico.
«Buongiorno», lo salutai, sorridendogli, soffiandomi su un ricciolo che mi era scivolato dinanzi alla faccia, nel sonno. Sollevò un angolo delle labbra, accennando quel che di più vicino potesse esserci ad un sorriso, a quell’ora.
«Sei straordinariamente comoda, appartamento 23» commentò, lanciando un’occhiata ai miei morbidi fianchi, proibendosi di appoggiarvi nuovamente le mani. Le sue dita avevano avuto un guizzo, ma lui si era tirato sufficientemente indietro, abbastanza celermente da non cadere in tentazione. Le sue difese erano notevolmente più basse, quasi come quando si finiva per ubriacarsi e si compivano azioni fuori dall’ordinaria personalità. Chissà come sarebbe stato, Min YoonGi ubriaco? Probabilmente, avrebbe iniziato a lanciare cose in giro, o ad insultare chiunque gli capitasse davanti. Potevo vederlo come se l’avessi avuto sotto gli occhi. Mi morsi la lingua per non ridere. «Potrei chiederti di farmi da cuscino, a casa. Ovviamente, senza vestiti» aggiunse, facendomi roteare gli occhi. Non si scomponeva mai, nemmeno appena sveglio. Mi sollevai dalle sue gambe, passandomi una mano fra i riccioli, per ravviarli un pochino.
«Per vedere questo corpo devi pagare, Agust Freak» gli dissi, ammiccando ed alzandomi in piedi. Mi stiracchiai sonoramente, dirigendomi in cucina.
«Accetti pagamenti in natura?» Lo sentii chiedere, dal soggiorno. Lasciai andare un verso sarcastico.
«In teoria sì. Per te, no» risposi, iniziando a tirare fuori dalla credenza il necessario per prepararmi uno dei caffè più forti che avrei mai creato nella mia estenuante carriera universitaria. Avrei dovuto vestirmi in fretta e catapultarmi di fuori, implorando una qualsiasi divinità di avere pietà e farmi trovare un autobus pronto in fermata… avvenimento che non sarebbe mai accaduto, bisognava essere comunque realisti. Jem, la mia compagna di corso, mi avrebbe tenuto un posto in aula in ogni caso, ma io avrei voluto chiacchierare con lei in giardino, prima della lezione. Era il nostro rito, interromperlo avrebbe avuto un risvolto nefasto sull’intera giornata, come quella volta in cui la docente di lettere inglesi ci aveva dato un quiz a sorpresa per “testare il nostro livello di memoria”. Una buffonata. Alla quale avevo comunque preso ventotto su trenta. Però il trauma era rimasto, senz’altro. E invece, a cosa pensavo, in quel momento? A Min YoonGi che dormiva placidamente su di me. Avrei dovuto concentrarmi sull’università, al posto di notare quanto dolce fosse la sua espressione indifesa, mentre riposava.
Che mi stava succedendo? Credevo di essermi rassegnata ad una vita di contemplazione di bellissimi asiatici, sola con il mio gatto e un’occasionale bicchiere di whisky, quando la solitudine si faceva troppa. Forse, avevo disposto male i miei piani. Non avevo considerato la variabile “scontroso e pallido vicino di casa che dorme come un bambino”. Sospirai, mentre mettevo la caffettiera sul fuoco, grattandomi la nuca, a disagio. Quel che fosse più divertente, era che con ogni probabilità, lui non mi considerava nulla più di un’amica. Magari ero solo io, che vedevo segnali dove non ce n’erano.
Improvvisamente, sentii il fresco tocco di due mani leggere sui fianchi, mentre il calore di un altro corpo si trasmetteva alla mia schiena.
«Sei proprio sicura di non poter fare un’eccezione, per me?» Domandò YoonGi, soffiandomi nell’orecchio. Mi paralizzai, avvertendo la pelle arricciarsi per la sensazione dello spostamento d’aria accanto alla mandibola. Arrossii, perdendo le parole. Non eravamo mai stati tanto vicini, in tutti quei mesi. I drama sul divano, con la testa poggiata sulla spalla e le braccia che si sfioravano, erano nulla, a confronto. Lui era lì, che mi stringeva a sé, proprio come in una di quelle scene alla Boys Over Flowers, per la quale mi sarei quasi strozzata con le patatine. Mi pareva di essere tornata a sedici anni.
«I-io…» balbettai e fui quasi sicura che lui stesse sorridendo, dietro ai miei capelli. Senza che potessi far nulla, sentii un paio di calde labbra poggiarsi delicatamente sulla mia guancia, per un breve attimo.
«Ti darò del tempo per pensarci» concluse lui, allontanandosi da me e voltandosi, uscendo dalla cucina con il suo passo noncurante.
«Non vuoi il caffè?» Ebbi solo il coraggio di pensare, alzando la voce per fami sentire fin nel corridoio.
«Nah, prendo solo caramel macchiato da Starbucks. Ci vediamo in giro, appartamento 23» e si tirò dietro la porta di casa, ridacchiando.
Fermi.
Tutti.
Mi aveva baciata. Sulla guancia. Era successo davvero?
Portai le dita sul punto dove, pochi istanti prima, avessi sentito la lieve pressione. Min YoonGi mi aveva dato un bacio sulla guancia, ripetei nella mente. E non me l’ero immaginato. Rimasi ferma ad osservare il caffè salire nella caffettiera, con una tabula rasa nel cervello. Neanche l’idea di arrivare in ritardo poteva distogliermi dal vuoto cerebrale che mi fosse esploso nella testa. Ormai, era ufficiale: non ci avrei mai capito nulla, di Min YoonGi.


 



 


#Yah!: soooooo long. SO many things. NamJoon è stato a Roma e Positano. Pensate che io l'abbia visto? Nah, manco for joking. Vabbè. Tanto si sa che in Italia ci tornano tutti, sooner or later. Devo vedere l'episodio di Run alla casa stregata e GoGo versione Biancaneve, ho gli arretrati ARGH. Mi fa strano non aggiornare più Youth, uff. Però, di positivo c'è che questo capitolo di TND è inedito per tutti, neanche su Wattpad ero riuscita a metterlo. E spero che vi piaccia, perché è pieeeeno di feels, eheh.
Cosa dire? Ascoltate il nuovo cd degli Epik High e fatevi un favore, veramente. Ah, sì, sto in fissa con Havana di Camila Cabello, sento anche quella ogni giorno. HAVANA OH NA NA (aggiungete zia latinoamericana che mi tira una ciabatta perché guardo asiatici hot fino a tardi con la tisanina e il plaid, thanks). E niente. Vi lascio con un meme che ho creato su NamJoon e messo su Twitter, perché di quando un idol viene nel tuo paese, bisogna sempre ridere. #CHIVVESEteam, stay hungry, stay irrelevant. Love u all <3

 


 

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