Il Collegio

di Lovy91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando la sfiga ci vede benissimo... ***
Capitolo 2: *** Il momento del dolore ***
Capitolo 3: *** Una nuova vita ***
Capitolo 4: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 5: *** Quando la sfiga ci vede ancora più bene... allora capisci di essere segnata alla sfortuna... ***
Capitolo 6: *** Ancora problemi e un pò di tranquillità ***
Capitolo 7: *** Tante domande e nessuna risposta ***
Capitolo 8: *** Panico ***
Capitolo 9: *** Tanta paura ***
Capitolo 10: *** Non è vero ***
Capitolo 11: *** Chiarimenti ***
Capitolo 12: *** Un piccolo aiuto ***
Capitolo 13: *** Chiedo scusa! ***
Capitolo 14: *** Legami affettivi ***
Capitolo 15: *** Scontro ***
Capitolo 16: *** Momenti difficili ***
Capitolo 17: *** Ricognizione ***
Capitolo 18: *** Una cosa sola prima della fine ***
Capitolo 19: *** Avviso! ***
Capitolo 20: *** Esiste il felici e contenti? ***
Capitolo 21: *** Si avvicina... tic tac... tic tac... molto presto... ***
Capitolo 22: *** Voglio vivere - I parte ***
Capitolo 23: *** Voglio vivere - II parte ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Quando la sfiga ci vede benissimo... ***


Prefazione

Questa storia è ambientata nel 2009, siamo ad Aprile. Una primavera come tante, in un mondo come tanti. Solo che c'è qualcosa di diverso. Tutto ha inizio nel 1840, in una primavera come questa. La storia racconta che un uomo che tutti conoscevano come uno stimato lavoratore, ottimo padre di famiglia rimasto vedovo tre anni prima impazzì. Raccontava che la figlia quattordicenne, Julia, aveva fatto cose che solo le streghe potevano fare. Ovviamente, l'ignoranza del tempo non pote constatare che non si trattava affatto di una strega, ma di qualcosa altro. Ben presto, la ragazzina morì. Quando il DNA venne scoperto, gli eventi si moltiplicarono e ben presto si scoprì qualcosa di assolutamente incredibile: l'esistenza di un nuovo stadio dell'evoluzione umana. Gli umani si stavano evolvendo... Ma non tutti. Solo alcuni. Ai tempi d’oggi, sono circa tremila le persone che sono state chiamate Different e quando si vuole esagerare, esseri mutanti o peggio ancora, mostri. Nessuno riesce a capire come mai queste persone sono così: il mondo intero non se ne capacita e li teme come non mai. Alla nascita, i controlli non rilevano nulla di anomalo: poi, una volta compiuti i tredici anni, scatta l'allarme. Da quel momento ogni adolescente è un potenziale Different. In media su cento adolescenti di un liceo uno lo diventa, ma superati i diciotto anni il pericolo passa. Fino a venti anni fa, i ragazzi spesso venivano cacciati dai genitori incapaci di accettare questa anomalia e i ragazzi rimanevano da soli con le loro abilità, senza saperle controllare a cadendo nel terribile giro della criminalità. Nacque così il Collegio: tre scuole situate in diversi punti del mondo precisamente America, Europa e Oceania dove i ragazzi vengono mandati per poter imparare, oltre le cose fondamentali della vita, a gestire i loro poteri. Molte famiglie li spediscono subito, spaventati da quei "mostri". Altri piangono calde lacrime dal separarsi dai loro figli, almeno per loro non è cambiato nulla. Una legge mondiale dieci anni prima decretò che il Collegio doveva essere obbligatorio per chi cambiava, pena il carcere per i genitori o i tutori in questione. Così, si riempirono presto. Gli insegnanti sono anche loro Different salvati dalla strada, diventati grandi da soli per diventare adulti nel vero senso della parola. Dimenticavo: non è detto che tutti siano così fortunati. Capita che, su cento frequentanti in uno dei tre Collegi, all'ultimo anno tre muoiano. Nessuno sa perché. Ma succede sempre, da quando esistono. Raggiunti i diciotto anni, tre muoiono sempre senza motivo.
Fino a due giorni fa ero una ragazza umana, con amiche fantastiche, un ragazzo adorabile che amavo da due anni. Ma purtroppo, il destino ha deciso che io doveva essere l'eccezione su cento adolescenti.
Mi chiamo Alisha Withney Moore, quindici anni. Sono nata a Los Angeles, California. Lì il sole fa parte della vita di tutte le persone, come le spiagge, il mare. Sono sempre stata felice della mia vita: mia madre Alice è una casalinga da sempre mentre mio padre Robert un semplice impiegato. Sono stata figlia unica per ben dieci anni, finché mia madre non è venuta in camera mia dove giocavo con le Barbie e mi comunicò che sarei diventata sorella maggiore. Sette mesi dopo è arrivata Serenity, ora di cinque anni. Andavo da sempre bene a scuola. Frequentavo il secondo anno della scuola del mio quartiere, uno di quelli abbastanza benestanti anche se non da snob. A tredici anni mi sono fidanzata con Dylan, con cui sto da due anni e che ho sempre amato. La mia migliore amica Janet mi considerava una sorella e io anche. Insomma, la mia vita era nella media. Purtroppo, una mattina è cambiata. Di colpo, così.
Come?
Sono diventata una Different o come qualcuno mi ha chiamata un "mostro"...


1. Quando si dice la sfiga ci vede benissimo...

La mattina per alzarmi e andare a scuola era sempre stato un tormento per me. Sono una tipa a cui piace dormire, anche fino a mezzogiorno cosa che mia madre non ha mai sopportato. E nemmeno Janet, visto che adora il mare mattutino che io odio. La sveglia aveva sfoggiato il suo trillante suono, segno che erano le sette e un quarto. Pigramente, allungai una mano per spegnerla e tirai fuori la testa da sotto lo coperte con occhi assonnati. Con un pò di difficoltà mi alzai e andai davanti allo specchio, osservando lo stato dei miei capelli castano chiaro e leggermente mossi, arruffati in quel momento.
Speravo che Dylan non mi vedesse mai così, anche se lui affermava che io ero sempre bellissima pure con un sacco in testa. Quante cavolate dice, il mio ragazzo. Sentii la chiamata di mia madre: le sette e venticinque. Fra trentacinque minuti, Dylan sarebbe passato a prendermi con la moto e io non ero ancora pronta, come sempre.
Scesi al piano di sotto della nostra piccola villetta, situata al centro davanti al lungomare che adoravo. Mia madre Alice era intenta a passare una scatola di cereali a Serenity, sorridendole.
<< Potevi anche metterti già qualcosa >> osservò lei, con uno sguardo di disapprovazione.
<< Si, così lo sporcavo. Magari >> obbiettai a mia volta, sedendomi a tavola. Mia sorella mi sorrise con il suo sorriso che mi incantava sempre. Sostenere che l'adoravo era troppo poco. Mangiai in fretta, lasciandomi dietro di me le parole di mia madre che voleva che mangiassi ancora. Mi feci una doccia veloce e corsi in camera non appena vidi che erano le otto meno dieci. Frugai nell'armadio, cercando qualcosa di carino da mettermi e che non mi avrebbe fatto sembrare un di quelle che si vestono come se avessero una bomba nell'armadio. Trovai un paio di jeans chiari e una maglia a collo alto rossa e me li infilai in meno di un minuto. Passai davanti allo specchio, sistemandomi i capelli con un fermaglio nero e mi passai velocemente matita, ombretto e lucidalabbra. Niente fard, cipria e stupidaggini varie: preferivo così la mia pelle, come piaceva a Dylan. Appena ebbi finito di passare il lucidalabbra, sentì suonare il campanello.
<< Dylan! >> urlò Serenity, aprendo la porta. << Dice che ti aspetta! >>.
Presi la mia stupenda borsa che adoravo, azzurra e accarezzai la testolina bionda di mia sorella e scappai fuori dopo un rapido saluto anche a mio padre. Ero così di fretta che persi l'ultimo gradino ma Dylan mi riacchiappò ridacchiando.
“Fantastico, un'altra delle mie mitiche figure!”, pensai.
<< Sei proprio una sbadata! >> esclamò lui, guardandomi. <>.
Sorrisi, perdendomi nei suoi occhi azzurri e lui mi baciò. Ricambiai, ma eravamo già in ritardo. Salimmo sulla moto velocemente. Corse verso la scuola così veloce che ero sicura che lo avrebbero fermato per una multa. Per fortuna, non accadde e noi fummo a scuola appena cinque minuti prima che la campanella suonasse. Janet mi corse incontro, sorridendo.
<< Alisha! >> chiamò, mano nella mano con Christian, il suo ragazzo da un anno. Ancora non riuscivo a capire cosa ci trovasse Janet in uno così: basso e tozzo ma sopratutto con un pessimo carattere, di quelli da sessantenne scorbutico.
<< Ancora un pò eravamo in ritardo anche noi. Janny vi voleva aspettare >> disse Christian e io sbuffai. Pessimo modo per dire che era colpa nostra se non fossero entrati prima. Dimenticavo di dire che lui è anche un secchione incredibile che adora passare i pomeriggi nella sua serra piena di piante esotiche e Janet con lui, ovviamente. Peccato che lei odiasse stare in mezzo alla natura in generale.
Dylan mi diede un altro bacio e corse via per andare in classe. Lui era più grande di due anni e frequentava l'ultimo anno. Tra qualche mese ne se sarebbe andato al college a studiare medicina: preferivo non pensarci troppo o voleva dire che ero veramente masochista. Janet baciò Christian che frequentava il terzo anno e né se andò per la mia gioia incomparabile. Chissà perché, lui non mi trovava simpatica. Come succedeva con tutte le amiche di Janet.
<< Su, andiamo! Quella stronza della Sunders oggi m’interroga! >> sussurrò la mia migliore amica, a voce così bassa quasi la Sunders fosse dietro di noi. Percorremmo i corridoi gialli fino ai nostri armadietti blu. Con la mia combinazione di una banalità assurda (la mia data di compleanno: primo Maggio 1993), ma proprio per questo a parere mio era difficile da indovinare presi i libri di storia e biologia delle prime due ore. Janet prese quello di storia e matematica. Io e lei avevamo qualche materia non in comune o in ogni caso ad orari differenti.
<< Andiamo. Anche se oggi non ho voglia di prendere una bellissima F!> > si lamentò lei.
<< Cosa hai fatto ieri, scusa? Anzi, no. Non voglio saperlo >> mi corressi, temendo qualcosa che non voleva assolutamente sapere.
Janet ridacchiò. << Stupida! La nuova pianta di Chris ha fatto i semi e voleva assolutamente che la osservassi con lui >>.
La guardai sperando che stesse scherzando, ma in quel momento entrammo in classe andandoci a sedere in fondo. Era il nostro posto preferito: si può chiacchierare molto di più! La Sunders entrò con il suo fare importante, credendosi una dea. Si, era un insegnante ma mica aveva il potere del mondo! Si sedette in silenzio alla cattedra, aprendo il registro con fare sinistro facendo rabbrividire molti studenti. In fondo era Aprile e nessuno voleva rovinarsi la media. Io tra quelli, anche se avevo studiato volete mettere una bella prima ora a vedere interrogato un altro al posto tuo?
Prese la penna, cattivo segno. Voleva interrogare. Scorse i nomi sul registro, una alla volta. Ogni volta che passava un nome, si sentiva un sospiro di sollievo.
<< Janet Smith >> chiamò, posando la penna e prendendo quella rossa, pronta a segnarsi su uno dei fogli che portava sempre con sé le risposte.
La mia migliore amica quasi quasi si sentì male. La vidi torcere le dita sotto il banco, quasi a volersele staccare. Io la guardai, desiderando fare qualcosa anche sapendo che sarebbe stato inutile. Le domande andavano e spesso erano senza risposta. Risultato: D-. La campanella suonò e la prof uscì soddisfatta.
Janet quasi piangeva per quella D che le rovinava la media della B+.
<< Dai, non te la prendere. Lo recuperi. Vedrai >>.
<< Si, certo. Però è veramente stronza! Nonostante non sapessi nulla, ha insistito! >>.
Uscì dall'aula inviperita parecchio. La seguì, pensando ad un modo per consolarla, quando mi sentì strana. Un improvviso giramento di testa, come quando si ha la nausea Sparì subito, come era venuto. Janet si girò, guardandomi preoccupata. << Ali, stai bene? >>.
<< Si, si. Solo un leggero giramento di testa. Stamattina ho mangiato poco >> risposi, tranquilla e convinta. Continuai a camminare per il corridoio. Janet svoltò a destra per andare a matematica, mentre io andai a sinistra per l'aula di biologia: avevo un esperimento. Dylan mi notò quando ero quasi all'aula ed era con dei suoi amici, quel genere di ragazzi che se la credono troppo per i miei gusti. Per fortuna, lui era diverso. Mi si avvicinò e mi parlò ad un orecchio:
<< Uno del liceo ai confini della città è diventato un Different! >>.
Dalla sorpresa lasciai cadere i libri per terra e lui me li raccolse, tra le risatine dei suoi amici deficienti.
<< Ma lo conoscevi? >>.
<< Si, dall'asilo. Poverino. I suoi lo stanno per mandare al Collegio >> rispose lui, triste.
Capii che doveva esserci rimasto male per il suo amico. Personalmente nessuna mia amica era mai diventata Differenti di conseguenza non poteva capire cosa si provava a pelle. Ricordo che una figlia di una lontana amica di mia madre lo era diventata a quattordici anni, spedita nemmeno in quello a New York ma in quello in Europa per non vederla proprio, tanto era rimasta shoccata.
<< Mi dispiace, amore. Veramente >> dissi, abbracciandolo.
<< Grazie, tesoro >>.
Sciolsi l'abbraccio e andai in classe, dopo un bacio sperando che fosse consolatore. Ormai nessuno si stupiva più. Fin da bambini si sente parlare dei Different. I medici raccomandano tutti i genitori di osservare i figli se per caso avevano i sintomi, comunicandolo in seguito all'ospedale. Contattavano il Collegio e loro finivano quattro anni minimi chiusi la dentro come fenomeni da baraccone per imparare a "gestire" le proprie capacità. Balle, secondo me. Tutto perché li temono e allora se ne sbarazzano, scaricando le responsabilità su altre persone, sempre Different.
La lezione di biologia fu interessante al minimo come sempre. La lezione successiva avremmo dovuto usare i microscopi e cercare delle piccole vite dentro una goccia d'acqua. Entusiasmante, devo dire.
Mentre camminavo per andare a prendere il libro di geografia per la lezione successiva, risentii il giramento di testa ma più forte. Almeno non barcollai, perciò nessuno se ne accorse. Arrivai al mio armadietto, promettendo a me stessa di fare colazione la mattina a costo di stare male, fino a scoppiare. Quando chiusi lo sportello, notai che Janet mi scrutava a occhi socchiusi:
<< Tu hai il ciclo >>.
La guardai, pensando che fosse pazza. << Come faccio ad avere il ciclo se ieri siamo andate al mare, amica mia? Ma che hai stamattina? >>.
<< Sei pallida >> mi fece notare lei, indicandomi.
<< Che dici? Mi sono guardata allo specchio stamattina ed ero come sempre >>. Aprì lo sportello per guardami allo specchio, così avrei preso un pò di giro Janet accusandola di essere paranoica però mi fissai a bocca aperta. Ero pallida davvero, come quando si sta davvero male. Ma io stavo benissimo.
<< Mah... sarà perché sono debole. La fame, sai >> dissi, chiudendo lo sportello. Arrivai in classe, sentendo che c'era qualcosa che non andava per niente. Quella non era una mattina come tante, assolutamente. Il prof restituì i compiti in classe: A. Per fortuna.
La campanella del pranzo suonò. Andai in mensa velocemente, decisa a mangiare per riprendere colore e far fermare quei giramenti di testa. Durante il pranzo, anche Dylan e Chris (nel suo solito modo garbato) mi fecero notare che ero molto pallida chiedendomi se stavo bene. Affermai che ero in perfetta forma. Dopo il pranzo, andai in bagno prima di altre due ore di lezioni soporifere. Uscii dal cubicolo e passai davanti allo specchio per sistemarmi il lucidalabbra, ma quello mi cadde di mano. Ero ancora pallida, nonostante avessi pranzato. Mi appoggiai alla parete, cercando di capire cosa avessi. Forse mi stava venendo un'influenza, una di quelle rare... o diverse dal solito... Fu parola "diverso" a suonare un campanello d'allarme nel mio cervello. Ricordai le parole di Dylan quella mattina:
<< Uno del liceo ai confini della città è diventato un Different! >>.
Ricordai anche il corso di biologia fatto in terza media, quando si presumeva che a tredici anni scatti l'età per diventare Different. Ti spiegavano tutto, per bene così da riconoscere se c'era qualcosa che non andava. Ma sopratutto... i sintomi. Di solito, il cambiamento avveniva nel giro di tre giorni. Il primo c'erano lievi malori, seguiti da un colorito pallido diverso dal solito. Il secondo giorno, il colorito tornava normale ma proseguivano forti mal di testa seguiti da nausea e infine il cambiamento. Si diceva che era la parte peggiore di tutte, quella che faceva più male.
<< No... no... non può succedere a me... >> mormorai, con il respiro accelerato dall'agitazione. Uscii dal bagno, certa di essermi sbagliata al 100%.
Arrivai in classe con dieci minuti di ritardo, tanto che l'insegnante di matematica minacciò una nota ma io non dissi nulla. Me n’andai silenziosa al mio posto, cercando di seguire la lezione inutilmente. Più volte l'insegnante tentò di catturare la mia attenzione, senza successo. Mancava ancora un’ora, quella d’educazione fisica. Nemmeno lì feci le cose per bene: la partita andò malissimo e Janet mi chiedeva cosa avessi ma io rispondevo vaga. Ero troppo impaurita da me stessa. Dylan mi riaccompagnò a casa.
<< Stasera usciamo? >>.
Non ero in vena così mentì. << Devo studiare >>.
<< Okay, allora. Ci sentiamo >> disse, partendo sgommando con la moto. Quando salì a casa, mia madre era appena tornata dopo essere andata a prendere Serenity all'asilo. Lei mi mostrò un disegno secondo lei fantastico e io le sorrisi per farle piacere. Mia madre si avvicinò alzandomi il viso.
<> osservò. <>.
L'orrore occupò il posto della perplessità nel volto di mia madre. Sgranò gli occhi color nocciola, piena di paura. << Ali, non ti starai... >>.
Non osò nemmeno finire la frase e io neanche. La guardai senza dire nulla. Serenity ci guardava entrambe, con la confusione nel suo visino.
<< È impossibile. Deve essere qualcos’altro. Si, si... deve essere così >> mormorava di continuò lei, cercando qualcosa che potesse essere tutto tranne quello. L'incubo di ogni genitore: vedere il proprio figlio diventare un Different. Prese il cellulare e fece per chiamare il medico.
<< No! >> esclamai, togliendole il telefono di mano. << Aspettiamo. Magari non è niente! >>.
<< Alisha, ascoltami! Maledizione! Stai diventando uno di quei mutanti! Quegli esseri lì! >> urlò lei, in preda ad una crisi nervosa facendo piangere anche la bambina.
<< E anche se fosse, cosa pensi che il medico possa fare? Non esiste una cura, mamma! >> strillai a mia volta, totalmente fuori di me. Almeno non pensavo a ciò che mi stava succedendo.
Mia madre non rispose. Si prese la testa fra le mani. Io presi Serenity tra le braccia e la portai in camera sua, tutta rosa perché per mia mamma il classico era la cosa migliore. Piangeva e io odiavo vederla così.
<< Calmati adesso >> suggerì, tenendomi la testa. Un altro giramento di testa.
<< È vero? Diventerai una di quelle persone? >> chiese la piccola, tra le lacrime.
<< Non lo sappiamo, Sery. Forse no >> mentì. Ormai ero certo. Ero uno di quei casi su cento adolescenti della mia scuola. Che sfiga incredibile!
<< Anche se fosse, io ti vorrò sempre bene >> disse lei, abbracciandomi. Trattenni le lacrime. Ero sicura che a parlare fosse la sua incoscienza infantile: se fosse stata più grande anche solo di cinque anni non avrebbe certo parlato così. Almeno credo.
<< Mamma sta bene? >>.
<< Si, adesso le passa >> mentì ancora. Mia madre non avrebbe mai accettato una cosa simile, la conoscevo troppo bene.
<< E papà? >>.
<< Vedremo >> risposi ancora, questa volta sincera. Sperai che lui la prendesse meglio. La lasciai in camera, pregandola di fare un sonnellino. Mia madre era ancora sul divano, con le mani congiunte come se pregasse. Chissà, forse sperava che sua figlia non diventasse un mostro. << Mamma >>.
Lei alzò il viso. << Cosa facciamo adesso? >>.
Non mi diede il tempo di continuare e disse: << Aspettiamo almeno domani. Se avrai la nausea o altri sintomi... allora troveremo una soluzione... Non diventerai una di quelle persone >>.
Scossi la testa, incredula. Mia madre era davvero convinta che ci fosse una soluzione? No, non c'era e nessun medico del mondo l'aveva mai trovata. Mica si può cambiare il DNA di una persona così.
<< Mamma, forse non hai capito. Non c'è modo. Se sto davvero cambiando, allora è inutile disperarsi. Contatta quel Collegio, adesso. Ti prego >>.
Mamma si alzò, con un’inaspettata energia. << Alisha, non diventerai una di loro. Punto e basta >>.
La porta di casa sbatté e sentimmo dei passi per il corridoio: mio padre.
<< Oggi è stata una giornata davvero leggera! Non capita mai! >> commentò, entrando nel salotto con la valigetta ventiquattro ore. Si fermò sulla soglia, notando la tensione nell'aria e aggrottò le sopracciglia chiare, come le mie. << Che succede? State litigando? >>.
La mamma si avvicinò a lui. << Alisha... guardala >>.
Mio padre mi fissò e sgranò gli occhi anche lui. Divenne pallido, quasi sembrava che anche lui dovesse cambiare da un momento all'altro. << Alisha... no... >>.
Scossi la testa. << Io non posso farci niente >>.
Mio padre si coprì il viso con le mani, lasciando cadere la valigetta sulla moquette blu. I suoi occhi verdi, così simili ai miei, avevano un’aria disperata come non mai. Mi si strinse il cuore a vederlo così. Ma cosa potevo fare?
<< Chiamiamo il medico >> disse lui.
Alzai gli occhi al cielo. << Sai benissimo che non servirebbe a niente, papà. È tardi. Fra tre giorni sarò cambiata. Devo andare al Collegio >>.
Mia madre cominciò a piangere, aggrappandosi a mio padre che non disse niente rimanendo immobile. Io, sentii la disperazione. Stavo per rinunciare a tutto quello che mi ero costruita in quasi sedici anni: la mia adorata famiglia, la mia migliore amica, Dylan, la scuola. Non avrei più fatto la mia mitica festa di sedici anni che avevo pensato. Avrei passato tutta la sera e la notte a festeggiare con i miei amici. Non avrei visto crescere Serenity in questi anni. Non avrei più visto Janet, magari che lasciava Chris... Dylan... Dylan... era finito anche quello. Dovevo andarmene a New York e non potevo stare più con lui. Me ne andai in camera, decisa a piangere per le prossime due ore senza vedere nessuno. Poi il giorno dopo avrei dato la notizia a tutti. Un altro Different, un altro mostro.
Fu in quel momento che mi resi conto, nel complesso, di una cosa: la mia vita era cambiata ed irreparabilmente.



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Capitolo 2
*** Il momento del dolore ***


2. Il momento del dolore

Il resto della giornata passò in un silenzio di tomba incredibile. Mia madre si faceva venire una crisi isterica ogni due per tre mentre mio padre ogni tanto scuoteva la testa e sussurrava cose incompressibili. Io me ne rimasi in camera mia, guardandomi ogni dieci minuti allo specchio per controllare la carnagione se era ancora pallida. Verso sera notai che cominciava a tornare normale e il mal di testa a sparire lentamente. Era il segno che la mattina dopo avrebbe cominciato ad affrontare la seconda fase del cambiamento. L'unica che mi fece compagnia era la mia sorellina Serenity, rimanendomi accanto. Voleva passare più tempo possibile con me, prima che me ne andassi via.
Mia madre entrava ogni tanto per chiedermi come stavo e perlopiù mentivo. Non mangiai e nemmeno Serenity, nonostante le mie preghiere. Quando ormai la notte era inoltrata, infilai il pigiama alla piccola e io mi feci una doccia e mi cambiai.
<< Alisha, te ne andrai domani? >> chiese dopo un pò, nel silenzio e nel buio della camera interrotto solo dalla luce della luna argentata e piena.
<< Si, temo di si >> risposi, sincera. Ero sicura che alla fase peggiore del cambiamento era meglio affrontarla lì, piuttosto che con i miei genitori e le lacrime di mia sorella.
Lei si addormentò subito, io no. Rimasi nel mio letto a fissare fuori dalla finestra, sentendo qualche macchina rombante e il suono rilassante delle onde.
La mia vita era stata cambiata irreparabilmente ed ero certa che i miei non fossero del tutto entrati nell'ottica della cosa. Tanto per cominciare mamma mi aveva vietato di andare a scuola, però io non avevo nessuna intenzione di obbedirle. Rimanere a casa a sopportare le crisi della mamma e i pianti e i sussurri di mio padre, preferivo vagare come uno zombie in preda a nausea e mal di testa per il mio liceo. Come prima cosa, sentivo di dover dare la notizia a Dylan. Ero sicura che l'avrebbe presa malissimo, ma certa che mi avrebbe capita.
Così alle sei e mezza, mi alzai cercando di non svegliare Serenity. Non avevo dormito granché, i sogni movimentati e confusi non me lo avevano permesso. Scivolai piano in bagno per lavarmi i denti e mi cambiai con i jeans della mattina prima e una maglia turchese. Acchiappai la mia borsa azzurra, diedi un bacio a Serenity che si mosse appena e sgattaiolai fuori per la porta della cucina, chiudendola a chiave. Non pensai alla situazione ridicola: io che scappavo per andare a scuola! Ero certa che non sarebbe mai accaduto. Com’ero certa che non sarei mai diventata una Different. Corsi per un tratto, assicurandomi di non essere vista dai vicini per bloccarmi di colpo.
Una forte ondata di mal di testa mi colpì, come un cannone. Mi presi la testa fra le mani e quando arrivò anche la nausea fui costretta a sedermi. Ecco, ero entrata nella seconda fase. Non avevo più tempo, dovevo avvertire Dylan e Janet.
Presi il cellulare, combattendo contro uno stramaledetto mal di testa, e chiamai Dylan controllando l'ora: le sette. Una voce intrisa di sonno mi rispose dopo diversi squilli.
<< Ali, che succede? Sono le sette >>.
<< Devo parlarti. Vediamoci al mare di fronte a casa mia. Sarò lì >>.
<< Ma che succede? >> chiese allarmato.
<< Te l'ho spiegherò lì. A dopo >>. Chiusi la chiamata, volevo evitare altre domande inutili. Sentivo le lacrime che mi arrivavano negli occhi e che volevano scendere come non mai. Le trattenni con un sospiro enorme e cominciai a camminare in direzione della spiaggia che avevo indicato al mio ragazzo. Mi sedetti sulla sabbia, combattendo con i malori che mi stavano uccidendo. Fissavo il mare piatto e blu, con il sole pallido dell'alba appena arrivata che lo illuminava.
Il mio sguardo triste si perdeva oltre quei confini. Ero una ragazza a cui piaceva programmare la propria vita: avevo deciso di andare all'università e diventare maestra delle elementari, magari di scienze, la mia materia preferita. O anche biologia marina. Però adesso chi mi garantiva che avrei potuto fare tutto ciò? Nessuno. Tutto era andato distrutto.
Sentii la moto rombante di Dylan dopo neanche venti minuti dopo e mi alzai. Ero quasi arrivata quando il mal di testa arrivò al suo apice e mi dovetti aggrappare a qualcosa che non c'era ma lui mi riacchiappò in fretta, ridacchiando.
<< Sei sempre la solita pasticciona>> mi prese in giro Dylan, facendomi sedere su un muretto sbrecciato, aggrottando le sopracciglia. << Alisha, stai bene? Hai delle occhiaie...>>.
Alzai lo sguardo, cercando di trattenere le lacrime. << È una cosa difficile >> cominciai.
Lui strinse gli occhi, come per cercare di studiare la mia espressione e le parole appena dette. << Vale a dire? >>.
<< Dylan, stasera mi farò portare dai miei al Collegio >> confessai, tutto d'un fiato sentendomi libera da una parte del peso che mi opprimeva. Lo guardai, ma qualcosa di doloroso entrò dentro di me. I suoi occhi azzurri erano pieni di terrore. Come se si trovasse di fronte... a un mostro. Scossi la testa, come per cancellare ciò che vedevo. Mi alzai e lui si allontanò automaticamente.
<< Non posso crederci >> sussurrai incredula. << Dylan >> chiamai, ma lui non disse nulla.
<< Alisha, mi dispiace >> ammise alla fine, girandosi e dandomi le spalle. Gli misi una mano sulla spalla, ma lui si scostò, irritato. Io, invece, sentivo un accecante dolore che quasi quasi preferivo i malori. Dov'era tutto l'amore che tanto aveva detto di provare per me? Proprio ora che avevo bisogno di lui, in questo momento, mi voltava le spalle. Vidi ciò che era veramente e che solo ora avevo capito. Non pretendevo che rimanesse con me, però quello sguardo di terrore e la paura sul suo volto come davanti ad un ignobile mostro, quello no.
<< E questi due anni allora cosa hanno significato per te? >> esclamai, senza neanche sapere cosa dicessi.
Dylan finalmente si voltò a guardarmi nei miei occhi verdi o azzurri a seconda del tempo. << Io amavo un'altra. Non un mostro >>.
Quelle parole mi colpirono come un pugnale nel cuore. Con le lacrime agli occhi scappai via da lui. L'amore per lui era come infranto in mille pezzi. La fiducia in lui, distrutta. Tutto rovinato. Da una maledetta cosa che io non avevo deciso. Cosa avrei fatto adesso? Non mi restava che Janet, ormai.
Visto che ero così addolorata ero convinta che se anche lei mi avesse voltato le spalle, non avrei sentito niente. Non si poteva soffrire più di così. Senza nemmeno rendermene conto ero già davanti alla villetta dove viveva con i suoi genitori ed ero sicura che il padre non ci fosse. Attraversai il vialetto pieno di piante (sicuramente opera di Chris) e suonai il campanello. Sentii dei passi per il corridoio e la madre di Janet mi aprì con un caloroso sorriso: mi adorava.
<< Oh, Alisha. Che piacere. Era da due settimane che non ti si vedeva. Entra, entra >>. Mi guidò dentro l'ingresso di legno e poi nel salotto chiaro a tinta unita con le tendine a pallini che avevo sempre odiato. Ormai conoscevo quella casa e memoria, visto che era la stessa da sedici anni, da quando Janet era nata.
<< Janet, scendi! C'è Alisha! >> urlò lei e udii la risposta della figlia. Janet era ancora in pigiama giallo e scese velocemente le scale, abbracciandomi.
<< Ciao, che sorpresa. Come mai qui? >> chiese, incuriosita.
<< Rimani con noi a fare colazione? >> chiese Cindra, sua madre.
La colazione? Con la nausea che avevo? Ma neanche per sogno. << Grazie, ho già mangiato >> mentii, ma non troppo abilmente visto che Janet se ne accorse. Mi portò nella sua camera dove regnava il caos più assoluto, tanto che ormai sua madre ci aveva rinunciato. Mi sedetti sul letto ancora disfatto e lei accanto a me.
<< Dimmi >> disse solo, capendo che dovevo rivelarle qualcosa.
<< Janet io... io... >>. Non riuscivo a finire. Temevo che mi trattasse come Dylan.
<< Sei incinta? >>.
<< Ma cosa! Non è quello >>. Magari fosse stato quello.
<< Allora dimmi >> m’invitò lei però io non aprii bocca e fu lei a parlare con un lieve sorriso sulle labbra sottili: << Stai per diventare una Different, vero? >>.
La fissai nei suoi occhi neri, a bocca aperta. << Come lo hai...? >>.
<< Quando ieri sono tornata a casa, mamma si è messa a parlami del ragazzo di cui ha parlato anche Dylan. Mi ha detto che i genitori lo hanno mandato al Collegio ieri mattina e mi ha elencato anche i sintomi. Quindi ho pensato a te >> raccontò con voce triste.
Al nome di Dylan m’irrigidì e lei ne accorse. << L'hai detto a lui? >>.
Le lacrime cominciarono ad uscirmi e tra i singhiozzi, raccontai tutta l'orribile scena. Janet non credette alle sue orecchie e mi abbracciò. << Che stronzo! Meriti molto di più, Ali. Ascoltami, per me non cambia nulla, okay? Che tu sia umana, una Different oppure un fantasma per me non cambia nulla. Resterai sempre la mia migliore amica. Solo un pò più... capace >>.
L'abbracciai di nuovo. Almeno una cosa non era cambiata per nulla. Era sempre la mia adorata migliore amica.
<< Come l'hanno presa i tuoi? >> domandò, toccando un altro tasto dolente e ricordandomi che probabilmente, mi stavano cercando come pazzi.
<< Male. Mia madre si è fatta venire una crisi mentre mio padre sembra uscito dall'uovo di pasqua >>.
Janet non disse nulla e io continuai. << Che cosa devo fare adesso? Entro stasera completerò la seconda fase e passerò alla terza, la più dolorosa. Non posso viverla in casa mia con mia madre e mio padre. L'unica che mi capisce è una bambina di cinque anni! La situazione è più che disperata! Devo andare al Collegio, subito! >>.
Una forte ondata di mal di testa mi scosse il cervello e gemetti di dolore. Janet mi guardò preoccupata e si morse un labbro, concentrandosi. << Possiamo portarti noi. Prendiamo il primo volo per New York >>.
<< Non puoi perdere la scuola così >> disse severamente.
<< Oh, ma chi se ne frega! Tu sei più importante! Ma dobbiamo parlare con mamma >>.
L'idea di dirlo ad un'altra persona mi spaventava non poco, ma lei mi tranquillizzò. Quando scendemmo nella piccola cucina, Janet disse tutto a sua madre. Dapprima la sua reazione fu piuttosto dura: fece cadere il mestolo dentro la pentola sporcandosi tutta. Dopo il primo impatto, accetto di accompagnarmi con Janet al Collegio. Abbracciai la mia migliore amica... e lo sarebbe sempre stata. Ora non restava che dirlo ai miei genitori.
Il telefono squillò e Janet andò a rispondere.
<< Si, è qui: sta bene >> rispose e io sentii la voce di mia madre intrisa di lacrime. Mi sentii in colpa per essermene andata così di colpo, senza avvisare nessuno.
<< Adesso torna. Arrivederci, signora Moore >>.
Janet chiuse la chiamata. << Andiamo. I tuoi sono preoccupati >>.
Risposi con un cenno della testa, perché mi faceva tanto male che sembrava ci fosse un martello dentro unito ad acido. La nausea era la peggiore che avessi mai avuto in vita mia perfino più di quella volta che mi ero fatta convincere a mangiare a otto anni un'intera scatola di Mars da cento.
Quando arrivai a casa, mia madre mi abbracciò bagnandomi di lacrime. Mio padre era quasi sul punto di esplodere dalla rabbia e se non fosse che sua figlia stava cambiando specie, mi avrebbe ammazzata di urla assordanti. Serenity mi saltò in braccio, in lacrime anche lei.
<< Signora Moore, se per voi va bene io e mia madre accompagneremo Alisha al Collegio stasera >> cominciò lei. La parola "Collegio" ebbe un effetto bomba sui miei. Non dissero nulla, però la loro faccia esprimeva quanto fossero poco d'accordo con quella decisione.
<< Alisha, ti abbiamo detto che troveremo una soluzione! >> esclamò mia madre Alice, alzandosi dal divano dove era seduta e puntando nella mia direzione.
<< Alice ha ragione: non andrai lì >> concordò mio padre, senza ammettere repliche.
A quel punto m’infuriai. << Ma non capite? Se non mi portate lì, lo faranno le autorità! La legge è legge! Io devo andarci. Sono già nella seconda fase del cambiamento e non voglio affrontare la terza, così dolorosa con voi! >> urlai, in preda ad una rabbia incontrollata. La situazione era già difficile di suo, ma loro non contribuivano certo a migliorarla. Non volevano lasciarmi andare e lo capivo. Le cose, però, erano cambiate e dovevano fare ciò che era giusto. Mio padre si avvicinò a me, abbracciandomi.
<< Ali, io non voglio lasciarti andare >> disse, facendomi commuovere. Mia madre e mia sorella ricominciarono a piangere e sentii anche Janet singhiozzare. Tutto quel dolore mi faceva soffrire, ma io non potevo fare nulla per lenirlo. Le cose andavano così e basta. Dovevo accettarlo.
Dovevo accettare che tra meno di ventiquattro ore non sarei più stata umana. Dovevo accettare che Dylan mi avesse guardato come un mostro e lasciata solo perché ero diversa. Dovevo accettare di non vivere più con la mia famiglia per chi sa quanti anni, senza veder crescere Serenity. Non avrei condiviso le cose più belle che mi ero aspettata con Janet. Era tutto finito.
<< Robert, guarda su Internet e cerca il numero del Collegio di New York, per favore >> disse mia madre, fra le lacrime. Mio padre mi lasciò e andò a prendere il suo portatile rosso e bianco, posandolo sul tavolino basso.
<< Amore, vai a preparare i bagagli >> disse mia madre ancora. Io annuii e andai in camera con Janet e Serenity. Presi la valigia che mi avevano regalato a Natale, solo che doveva essere per un viaggio non per lasciare la mia famiglia e andare in una scuola di Different. Janet mi aiutò a sistemare tutti i vestiti, trucchi e oggetti vari. Serenity ci guardava seduta sul letto, senza dire nulla.
<< Allora, te ne vai davvero? >> chiese.
Mi girai. << Si, sorellina. Prendiamo il primo aereo per New York >>.
Serenity mi abbracciò e la strinsi. Non volevo lasciarla ma cosa potevo fare? Speravo che il fatto che fosse una bambina non la facesse soffrire troppo. Quando tutto fu pronto i miei genitori entrarono nella mia stanza.
<< Abbiamo parlato con loro... Sono pronti ad accoglierti Ali >> spiegò mia madre, con occhi rossi e gonfi di pianto. Annuii.
<< Abbiamo anche trovato un volo per New York... parte alle undici... Tua madre ha già prenotato per te, Janet, e anche per lei. E io per te. Insomma, sono le nove... forse dovresti andare >> balbettò mio padre, come se gli venisse difficile dire quelle parole.
Abbracciai tutti e due, sperando che presto smettessero di piangere. << Tra qualche anno tornerò, davvero >>.
Non sapevo se fosse vero, però una piccola bugia poteva risollevargli il morale. Loro annuirono e mi lasciarono andare. << Vai, tesoro. Ci rivedremo presto. Magari veniamo noi a trovarti >> propose la mamma, con un sorrisino stentato.
Serenity mi abbracciò stretta. << Non andare via! >>.
<< Devo, Sery. Però torno presto. Ti voglio tanto bene >>.
Cercai di trattenere le lacrime, non volevo rendere ancora più difficile la situazione di quanto già era. Janet salutò i miei che ci accompagnarono alla porta. Dopo un ultimo abbraccio, la porta si chiuse alle nostre spalle. Quando scendemmo, la madre era già lì che ci aspettava. Appena salii in macchina, mi sciolsi in lacrime che resero il mio mal di testa ancora peggiore e sentivo la voglia di vomitare. La madre partì con l'auto e Janet mi abbracciò.
<< Andrà tutto bene, amica mia >> sussurrò, cercando di consolarmi. Arrivammo all'aeroporto dopo un’ora e io smisi di piangere. Quando mi guardai nello specchietto retrovisore vidi che la mia faccia non era delle migliori: occhiaie, occhi rossi e gonfi e una faccia stravolta. Scesi meccanicamente dalla macchina, prendendo la mia valigia mentre Cindra e Janet avevano solo due piccoli bagagli. Non feci in tempo ad entrare nell'aeroporto che mi sentii chiamare.
<< Alisha! >>. Riconobbi quella voce: Dylan. Janet si girò e lo guardò male, voltandogli poi la faccia. Lui si avvicinò a me, prendendomi una mano. << Sono stato uno stupido! Perdonami! >>.
Lo guardai e la mia forza di volontà per un pò vacillò ma poi quegli occhi pieni di terrore e la parola "mostro" risuonavano nel mio cervello. Non potevo dimenticare. Lasciai bruscamente la sua mano. << Sono un mostro, ricordi? >>.
Dylan non disse nulla. << Peccato, ti amavo sul serio. Ma evidentemente il cambiamento offusca il cervello >>.
Me ne andai, girandogli la faccia. Entrai con Janet e Cindra dentro l'aeroporto, senza neanche guardami indietro. Si, senza guardami indietro. Perché quello che c'era indietro era solo un infinito dolore...


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Capitolo 3
*** Una nuova vita ***



3. Nuova vita

Erano passate diverse ore, da quando ormai eravamo sull'aereo. Spesso guardavo fuori dal finestrino, pensando a cosa mi stavo lasciando dietro e a cosa stavo andando incontro. Janet cercava di distrarmi, ma io non ero proprio dell'umore. Non avevo nemmeno seguito il film che avevano proiettato e nemmeno mangiato nulla. I miei malori andavano aumentando sempre più, tanto che più di una volta sperai di riuscire a dar di stomaco senza successo. Verso le quattro, visto che l'aereo era partito in ritardo, una voce monotona ci avvertì dell'atterraggio imminente, mi allacciai le cinture sentendomi piuttosto agitata. L'idea di andare in una scuola nuova, dove non conoscevo nessuno e senza contare che non sapevo cosa aspettarmi dai ragazzi. Insomma, era pur sempre piena di persone che potevano fare cose incredibili. Io le avevo sempre considerati incredibili diversamente dalla maggior parte della popolazione che li prende per pericolosi. Non ci avevo ancora pensato ma prima o poi avrei cominciato a manifestare anche io qualche capacità: ma cosa? Di solito, chi diventava Different, sviluppava poteri che potevano essere dentro di se nebulosi. Come ad esempio, un ragazzo molto forte avrebbe avuto la superforza. Solo che io non avevo nessun talento particolare, a parte essere una ragazza studiosa senza essere eccessiva (alla Chris, per intenderci). Chissà, magari sarei stata super intelligente. Già, un altro ottimo modo per sembrare diversa pure tra i Different: la classica secchiona.
L'aereo atterrò e noi scendemmo insieme con un sacco di altre persone su la ripida scaletta. Fuori c'era un’aria fredda che mi fece rabbrividire: non ero certo abituata a tali temperature. Rimpiansi velocemente sole caldo e spiagge assolate coordinate di una mare azzurro e cristallino. Janet mi scosse, vedendomi pensierosa.
<< Come stai? >> chiese, mentre ritiravamo i bagagli.
<< Ho ancora nausea e mal di testa >> risposi. Guardai l'orologio con ansia. Non ero certo impaziente di soffrire. Secondo la tabella di marcia che mi ero fissata nella mia testa, avrei cominciato la terza fase stanotte. Bene, un'altra fantastica notte in bianco solo che questa volta dovevo anche soffrire. Sperai che in quel posto avessero qualcosa per non farmi sentire nulla.
Cindra ci disse di muoverci. Noleggiò una macchina e noi salimmo. Il Collegio si trovava fuori città, in un luogo immerso nel verde e presumibilmente nascosto agli occhi degli umani. Già la loro condizione era difficile, se avessero visto cosa combinavano sarebbe stato ancora peggio. Per tutto il viaggio di circa tre ore, non parlai quasi mai e nessuna delle due tentò di istigarmi alla parola. Capivano come mi dovevo sentire. Non sapevo cosa aspettarmi: come sarebbe stata la mia compagna di stanza? O le mie compagne di stanza? Le lezioni? Il resto della scuola? Le regole? Troppe, troppe domande dentro la mia testa. E nessuna trovava risposta, neanche una: avrei scoperto tutto quando sarei arrivata in quel posto, al Collegio. Cindra e Janet si fermarono a mangiare, ma io non toccai nulla, il mio stomaco protestava troppo.
Quando ormai eravamo fuori città e mancavano pochi chilometri sentii lo stomaco rivoltarsi dall'agitazione. Ho sempre avuto questo problema: quando sono agitata, lo stomaco mi da fastidio facendomi fare a volte terribili figuracce di me, accartocciata a tenermi lo stomaco dolorante. Janet mi abbracciò.
<< Andrà tutto bene, vedrai >>. Sembrava quasi una promessa, ma sapevo che certo lei non poteva mantenerla. Cindra svoltò verso una curata strada di campagna: erano campi incolti ma in ogni modo belli a vedere. In lontananza, lo scorsi: il Collegio. Deglutii.
Arrivammo lì mezz'ora dopo. Quando scesi dalla macchina (e dovetti trovare tutto il coraggio di farlo), alzai il viso per osservare quanto fosse grande. Era circondato da mura e giurai che lo avessero fatto per non far vedere cosa succedeva all'interno. C'erano aiuole dappertutto, piene di fiori colorati perfino fuori stagione, dentro della terra di un color marrone mai visto in vita mia. Un vialetto introduceva all'interno, fatto con piastrelle bianche perfettamente allineante. L'edificio era di almeno quattro piani con un tetto piatto, il tutto di un color panna e nocciola. Dalle finestre usciva una luce dorata, nonostante fossero le sei del pomeriggio ed era già buio con tanto di luna nel cielo. In lontananza, scorsi un laghetto circolare, con acque blu notte e qualche ninfea solitaria. Un enorme portone in noce era al centro della struttura, con qualche largo gradino bianco, con ai lati sempre fiori e terra.
<< Bello >> commentò Janet, scendendo anche lei dalla macchina. Io presi la mia valigia e mi mossi verso l'edificio. Era così bello che mi dimenticai perfino dei miei malori, anche se c'erano ancora. Un’anta del portone si aprì e uscì una donna vestita di lungo abito nero e svolazzante. Doveva avere tra i venticinque e i trent'anni ed era carina con occhi azzurri e lunghi capelli biondi lisci come non li avevo mai visti ed era molto chiara di pelle. Non sembrava per nulla americana. Si avvicinò a noi, sorridendo e poi mi guardò.
<< Sei Alisha Withney Moore? >> domandò con fare inquisitorio ed ebbi solo la forza di annuire.
Sorrise. << Sono felice di conoscerti. Ho parlato personalmente io con i tuoi genitori, specialmente con tua madre Alice. Sono Hanja Wegner >>.
Aggrottai le sopracciglia. Addosso che lo notavo non avevo un accento propriamente americano. Lei doveva aver notato la mia lieve confusione perché disse: << Sono nata a Berlino, in Germania. Sono tedesca, ma ho studiato qui. Sono stata una delle prime alunne >>.
Sicuramente era uno di quei casi in cui i genitori non voleva vederla più neanche in fotografia, per averla spedita addirittura qui.
<< Sono certa che ti troverai bene. I tuoi mi hanno spiegato che devi ancora affrontare la terza fase, giusto? >> chiese preoccupata.
<< Sì >> riuscì finalmente a dire, parlando per la prima volta.
Si morse un labbro. << Be', temo che dovremo tenerti sotto controllo in infermeria allora... Sai che sarà doloroso, vero? >>.
<< Sì >> dissi ancora. Sembrava che il mio vocabolario si fosse fermato ai "si".
<< Forse è meglio che entri. Farò portare le tue cose in camera, dalle tue compagne di stanza. Sono simpatiche vedrai >> promise lei, mettendosi una mano in tasca. Estrasse un piccolo cellulare argentato e chiamò un numero, però la conversazione fu così veloce che non capii nulla. << Stanno venendo a prendere i tuoi bagagli >>.
Dopo pochi secondi, con uno schiocco, apparve un uomo sui quarantacinque anni alto e scuro di carnagione. Sia io che Cindra e Janet facemmo un salto alla sua vista e Hanja rise.
<< Lui è Safiy, un teletrasportatore. Di solito si occupa lui di queste cose. È molto più veloce >>.
<< Scusate >> borbottò lui, prendendo i miei bagagli. << Che stanza? >>.
<< Trentaquattro >> rispose Hanja e lui annuì e con un altro spaventoso schiocco sparì. Hanja tornò a sorridere ancora e mi chiesi se sapesse fare altro ma sopratutto cosa sapeva fare lei di “diverso”?
Trovai il coraggio e glielo chiesi. << Scusi, lei che capacità ha? >>.
<< Sono una suturante. Sono in grado di guarire le persone. Non ha caso mi occupo dell'infermeria ma sono anche una delle insegnanti. Insegno le materie scientifiche >> spiegò lei e io rimasi a bocca aperta insieme alle mie compagne di viaggio. Hanja si rivolse finalmente a loro.
<< Grazie per aver accompagnato Alisha. Però, ora deve entrare. Non voglio essere scortese, ma vietiamo di solito agli umani di entrare. Credo che dovreste salutarvi qui >>.
Mi girai verso Janet con gli occhi lucidi. Non volevo che se ne andasse e mi lasciasse lì, tutta sola perché in effetti ero sola. Sentivo che una volta andata via, avrei perso l'ultimo appiglio che mi era rimasto alla mia vecchia vita. Janet fece un sorriso. << Ci rivedremo >>.
<< Certo >> concordai io, sapendo che sarebbe passato molto tempo. Ci abbracciammo e la sentii piangere. Anche sua madre mi abbracciò con le lacrime agli occhi e salì frettolosamente in macchina insieme alla figlia. Dopo un ultimo saluto, la macchina partì.
La guardai fino a che non sparì dalla mia vista. Una mano toccò la mia spalla destra, di Hanja. << Andiamo? Non essere triste: passerà te lo assicuro. Ci sono passata anche io, come tutti qui dentro >>.
Annuii e la seguii. Entrai nell'ingresso dove c'erano due divani scuri con in mezzo un tavolino di legno e una lampada accesa. Un mobile era sul fondo, un cassettone con le serrature nei cassetti, dall'aria vecchia. Passammo per una porta in vetro ed entrai in un atrio vasto: una moquette blu cobalto era a terra, con le pareti dipinte d’azzurro chiaro rilassante. Il soffitto non era molto alto ed era in legno. Alla mia destra c'era un bancone con una vecchia signora dietro che sbirciava delle carte, e sgranai gli occhi, quando quella vera arrivò al bancone e quella sparì. C'erano delle porte chiare sia davanti a me sia a destra, solo che c'è ne era solo una. Sentivo delle voci provenire da lontano e dei passi ai piani superiori. Dalle finestre vidi un campo da basket e un altro edificio in lontananza, forse una palestra. Hanja mi guidò per l'unica porta a destra, aprendola e mostrandomi delle scale bianche con corrimano nero e molto lavorato, elegante. Due rampe di scale e in cima c'era una porta bianca con la scritta: "Infermeria".
<< Questo è un passaggio alternativo a quello solito per arrivarci: ho pensato non ti sarebbe piaciuto passare davanti a tutti i ragazzi della scuola >>.
Annuii. Le avrei fatto una statua. L'aprì ed entrammo in una piccola stanza che sembrava essere in un gran globo bianco se non fosse stato per la scrivania nera. Notai una donna seduta lì, bionda anche lei ma riccia.
<< Kae, questa è Alisha Moore. La ragazza nuova. Lei è una mia collega, un'altra suturante >> spiegò lei e la donna mi sorrise.
<< Piacere, ma come mai è qui? >>.
<< Deve affrontare la terza fase del cambiamento >> spiegò lei, con una punta di tristezza nella voce. Sapevo che fosse doloroso, ma cavoli mi mettevano una paura incredibile.
<< Oh, capisco >> disse alzandosi. << La camera tre è libera. Vai lì >>.
Hanja mi guidò dentro una stanza con dieci porte di cui una era nel fondo, forse portava ad altre stanzette. La ragazza aprì la terza e mi fece entrare. C'era un letto attaccato al muro al centro, con accanto un comodino bianco e azzurro. Un mobile era sulla destra e chissà cosa conteneva. In quel posto potevo immaginarmi di tutto. Mi sedetti sul letto, guardando la ragazza.
<< Come va la nausea e il mal di testa? >>.
<< Male, molto male >>.
<< Allora vuol dire che stanno per finire e cominciare la terza fase >> assicurò, sedendosi su una sedia di metallo.
<< Mi spieghereste qualcosa di qui? Le lezioni o cose così? >> chiesi, volevo cercare di conoscere quel posto come meglio potevo.
<< Allora... >> cominciò. << Le lezioni normali iniziano alle nove e si concludono all'una >>.
Sussultai alla parola "normali". << Vale a dire? >>.
<< Sono come le lezioni che seguivi alla tua vecchia scuola. Quelle non normali riguardano la capacità di saper controllare i tuoi poteri. Lezioni in cui imparerai a gestirli >> spiegò lei.
Ora capivo. << E quando finiscono? >>.
<< Sono le sei e mezza: dire che sono finite da poco. Iniziano alle tre, dopo due ore di pausa pranzo. Poi dalle sei alle sette e mezzo si studia, ma non preoccuparti: non diamo mai troppo. Capiamo che per voi è già molto difficile. Forse non lo sai, ma noi Different impariamo molto più velocemente degli umani >>.
Sgranai gli occhi dalla sorpresa. << Davvero? >>.
<< Si, certo. Ecco perché il 99% dei Different sono laureati molto più degli umani >> disse lei, con una punta di orgoglio.
<< Fantastico >> commentai, cominciando a sentirmi un pò meglio a livello emotivo. Sarei stata più intelligente, magnifico.
<< La domenica e il sabato non ci sono lezioni e anche nelle giornate di festa come Natale, ad esempio >> aggiunse.
<< Non torniamo mai a casa? >>.
Lei scosse la testa. << Per i prossimi quattro anni no. Siete troppo instabili per permettervi di uscire di qui. Però le famiglie possono venire. È un segreto che non sa nessuno. Lo sanno solo le famiglie dei Different. Infatti, l'ultimo piano che è il più immenso è per le famiglie. Qui ci sono circa trecento studenti. Ma non tutte le famiglie vengono >>.
Capii perché. I propri figli sono mostri e loro non volevano saperne. Tipico. << Ma con le classi come funziona? Se devo stare qui quattro anni, si intuisce che comincerò dalla prima. Ma io l'ho già fatta >> tenni a precisare. Non avevo nessuna intenzione di tornare in prima, quando stavo già finendo la seconda.
Lei rise. << Non preoccuparti di questo. Vedi, quando un ragazzo nuovo arriva qua inizia per le lezioni normali nello stesso anno che frequentava nella sua vecchia scuola. Per le lezioni non normali, qui le chiamano Different lessons, inizierai dal primo anno. Quindi tu potrai andartene quando avrai vent'anni >>.
Bene, ma cosa avrei fatto una volta finita la scuola? << Ma fra due anni avrò finito. Cosa farò poi, qui, oltre quelle lezioni? >>.
<< Inizierai il college: studierai qui seguita dai Different che si occupano degli studenti diplomati. Così farai anche già due anni di università. Vedi, raramente arrivano Different sui diciassette anni o sedici inoltrati: tu sei nella norma. Come è ancora più rari che arrivino Different di tredici anni, in quel caso rimangono qui cinque anni >>.
<< In poche parole, non possiamo andarcene se non abbiamo diciotto anni e il diploma >> conclusi brevemente e lei annuì. Sospirai, ma un pò ero felice. Avrei rivisto la mia famiglia tra due mesi e la scuola era normale anche se quelle lezioni "diverse" mi preoccupavano un pò. Di colpo sentii in cerchio alla testa incredibile, da spararsi, ma sparì così come l'incensante nausea. Hanja mi guardò. << Hai finito la seconda fase: ora ti aspettano direi... >>. S'interruppe per guardare l'orologio. << Sono le sette, quindi cinque ore. Scattata la mezzanotte, comincerai la terza. Durerà circa sei ore. Ti dico subito che fa molto male >>.
Questo lo sapevo, ma siccome solo terribilmente curiosa e anche un pò stupida nel sapere come soffrire in sei ore glielo chiesi. Lei aggrottò le sopracciglia bionde, indecisa se dirmelo o no.
<< Ti senti come... se... dentro di te tutto facesse male, sopratutto il cuore e il cervello. Questo perché il tuo DNA sta mutando forma, Alisha >>.
Rabbrividì parecchio. Ecco cosa mi aspettava. Lei si alzò. << Ora devo andare. Riposati e farò portare la cena anticipata per te. Qui di solito si cena alle otto >>.
Io annuii, sentivo una gran fame. Lei se n’andò. Mi distesi sul letto pensando in cosa diavolo mi fossi cacciata. Mi coprii gli occhi per non piangere ancora, ero stufa di versare lacrime che tanto non servivano proprio a nulla. Non pensai a niente in particolare: per quel giorno avevo anche pensato troppo. Perciò mi rilassai. Dopo un pò, Kae mi portò la cena che aveva un aspetto delizioso e mangiai con gusto. Dopodiché mi distesi di nuovo sul letto, cercando di dormire un pò. Non dormivo e si può dire da ventiquattro ore circa. Infatti, caddi nel sonno più profondo della mia vita. I miei sogni erano confusi e agitati, non riuscivo a capire cosa fossero le forme indistinte che vedevo.
Di colpo, sentii come una martellata alla testa. Un grido mi scappò dalle labbra, alzandomi e svegliandomi di botto. Con la coda nell'occhio notai un orologio e guardai l'ora: mezzanotte precisa. Voleva affermare che la terza fase era iniziata. La porta si spalancò ed entrarono Kae e Hanja.
<< La terza fase >> mormorò Kae, guardandomi.
Non avevo mai provato un dolore simile. Era così... dire doloroso era poco. Era come se dentro di me tutto si stesse quasi squagliando o distruggendo. Sentivo come l'acido nelle vene al posto del sangue. Il cervello sembrava andare a fuoco, mentre il cuore batteva troppo lentamente. Sapevo che ero bianca come un cadavere e svenire. Sarebbe stato meglio, preferivo svenire all'agonia. Mi sentivo così debole, tanto da non far uscire un filo di voce. Sei ore in quelle condizioni? Non potevo sopportarlo. Il dolore o più dolori ormai non lo sapevo più, aumentavano sempre di più. Non sentivo più gambe e braccia e nemmeno me stessa dopo un pò. Il cervello aveva smesso di andare a fuoco, ma ora non lo sentivo proprio. Vedevo sfocato, come macchie bianche davanti ai miei occhi, rendendo la scena attorno a me confusa e agitata.
Il dolore si concentrò prima negli organi principali come fegato o polmoni, mozzandomi il respiro per poi passare agli altri. Non riuscivo neanche a vedere che ore erano, per sapere quanto ancora dovevo soffrire. Non sapevo se mi muovevo o ero ferma. Sembrava che non avessi cervello. Il mio cuore batteva lentamente, ma ora era diventato ancora più veloce facendomi sentire come se dovessi esplodere da un momento all'altro. Volevo poter dire basta, ma non ci riuscivo. Quanto mancava? In un momento in cui riuscii a vedere, vidi la mano di qualcuno che stringeva la mia ma non capivo di chi fosse, non l'avvertivo nemmeno. Certa che non si potesse soffrire di più, dovetti ricredermi, quando sentì il freddo dentro di me, facendomi sentire un ghiacciolo.
Dolore, dolore, dolore. Quanto tempo era passato?
Poi, risentii piano piano il cervello. Le macchie bianche cominciavano a sparire lentamente... sentivo nuovamente gambe e braccia così come la mano che stringeva la mia. Il cuore cominciò a battere regolare, gli organi quasi come prima. La temperatura tornò normale.
Poi più nulla, di nuovo me stessa.
<< Alisha? Mi senti? >> chiese Hanja, lasciando la mia mano. Mi alzai, confusa. Mi guardai allo specchio ed ero sempre io. O meglio, fisicamente non c'era nulla di diverso che potessi vedere.
<< Come sempre >> risposi, portandomi una mano alla testa.
Kae e Hanja sorrisero. << Benvenuta tra noi Different >>.
Io chiusi gli occhi: ormai era ufficiale.
Ero una Different.

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Capitolo 4
*** Nuove conoscenze ***


4. Nuove conoscenze

Mi sentii piuttosto confusa, quando Hanja m’informò che era il caso che andassi in camera. Non volevo conoscere le mie nuove due compagne di stanza. E se fossero state antipatiche? O quelle che se la credono troppo?
<< Non preoccuparti, starai bene. Le lezioni cominciano fra due ore però oggi non le frequenterai. Starai in camera a dormire. Forse ora non ne avrai, ma presto ti verrà un gran sonno. È normale >> spiegò lei, aprendo la porta per uscire dall'infermeria.
<< Non le sveglieremo? >>.
<< No. Sono le sette. Esattamente quando la sveglia comune suona >> rispose lei con un sorriso. Però io non avevo sentito nulla. Dovetti ricredermi quando un suono lungo e prolungato si diffuse per l'edificio. Era simile al trillo di una sveglia, ma molto più dolce e alto, sopratutto. Forse doveva essere il primo impatto, però lo trovai assordante come non mai.
<< Ma che strumento usate? >>.
<< Nessuno. È Carl: può modificare la voce a suo piacimento. Anche creare suoni >> rispose lei e io capii il motivo di quel sorriso di prima. Sentii di colpo veloci passi ai piani superiori. Deglutì dalla paura: fantastico, avrei fatto l'ingresso davanti all'intero corpo studentesco. Entrammo nell'atrio della sera prima e vidi la copia originale dell'anziana signora che si sedeva. Questa volta andammo davanti ad una delle porte che avevo notato in precedenza e aprì quella di mezzo. Invece di scale, c'era un breve corridoio che svoltava a sinistra, tutto in pannelli di legno. Lo percorremmo e ci trovammo di fronte ad una scala sempre in legno però più scura e con una moquette rossa bordeaux. Salimmo velocemente e io ammirai i quadri alle pareti: sembravano autentici. Una porta era in cima e Hanja l'aprì. Vidi mucchi di studenti, tra ragazze e ragazzi, percorrere il corridoio di fronte a me e notai che uscivano da due porte: una rossa con il simbolo femminile e una blu con il simbolo maschile. Qualcuno mi guardò e io risposi con uno sguardo intimidito. Hanja mi sorrise per incoraggiarmi e mi spinse dentro la porta rossa, che sbucava su uno stretto corridoio con tante porte ai lati tutte aperte e color giallo.
C'era qualche mobile, ma senza ante o cassetti. Al soffitto c'erano diversi lampadari di cristallo e ai muri piccole lampade anch'esse in cristallo. Camminammo per un pò, fino alla porta numero trentaquattro sempre sotto lo sguardo di diverse ragazze ancora in pigiama che mi fissavano. Dimenticai di dire che a volte vedevo cose incredibili: giurai di aver visto una ragazza sdoppiarsi per fare due cose contemporaneamente. Hanja bussò alla porta e udii una voce con uno strano accento risponderle: << Prego! >>.
La ragazza aprì la porta, facendomi entrare. Mi sentii pesante come il piombo e mi ci volle tutto il mio coraggio per varcarla. Dentro era una stanza quadrata ed enorme con pareti intonacate d’azzurro pallido e due finestre lucide con tendine blu. Una ragazza era seduta sul letto, già vestita con una maglia rossa e una gonna nera fino al ginocchio. Era sicuramente più bassa del mio metro e sessantacinque, con corti capelli neri e occhi blu mare. I lineamenti erano molto delicati e aveva labbra rosse naturali e sottili. Il tipo di ragazza che fa girare di testa ai ragazzi anche solo guardandola. Si alzò e ci venne incontro.
<< Buongiorno, professoressa. Lei è Alisha, vero? >> chiese lei sorridendomi e sentendomi rincuorata come mai prima d'ora.
<< Si. Alisha, lei è Liliane Bernard. Viene da Lione, Francia >> mi presentò lei alla ragazza sorridente.
<< Piacere di conoscerti, Alisha >> disse lei con un tono che mi confortò. La porta alla mia destra si aprì e un'altra ragazza entrò nella stanza, frizionandosi i capelli con un asciugamano bianco ma si fermò non appena ci vide.
<< Oh, lei è quella nuova. Piacere, sono Cassandra Owen, ma tu chiamarmi Cassie. Io provengo da New York, quindi non ho fatto molta strada >> si presentò lei, sorridendomi e facendomi sentire molto meglio.
<< Be', io devo andare. Ho il laboratorio da preparare. Oggi Alisha non seguirà le lezioni. Penso che vi ricordiate tutte come ci si sente dopo la terza fase, vero? >> chiese lei e loro annuirono rabbrividendo. Dalle loro facce si capiva che non era una cosa che volevano rivivere e anche io senza dubbio.
Hanja uscì. Ci guardammo per un pò poi Liliane mi guidò accanto a uno dei letti, il suo. << Dormirai nel letto sopra di me. Mentre Cassie dorme in quel letto accanto a noi >> disse lei, indicandomi un altro letto dove notai accanto la mia valigia.
<< È venuto Safiy ieri a portarla >> spiegò Cassie, sedendosi sul suo letto. << Come stai? >>.
Mi sedetti sul letto di Liliane. << Bene, adesso >>.
<< La terza fase è la più terribile. Ti capiamo >> disse comprensiva Liliane.
Osservai la stanza. Oltre i nostri letti, c'erano due scrivanie con un paio di portatili e compresi che mi ero dimenticata il mio, ripromettendomi di farmelo portare quest'estate dai miei. Due enormi armadi erano accanto alla porta, sicura che ci potessero stare tonnellate di vestiti. Per il resto, era una camera normale.
<< So che all'inizio può sembrare strano tutto ciò, ma poi passa. Vedrai. Ti aiuteremo noi >> promise Liliane.
<< Grazie... Ma voi da quanto siete qui? >> chiesi curiosa.
Notai che Liliane si fece scura in volto. << Da due anni. Sono diventata Different a quattordici anni. I miei genitori sono usciti di testa e mi hanno mandata qui. Non li sento e vedo da quel giorno. Non credo di essere ben accetta >>.
<< Scusa... io non volevo... >> cominciai, dispiaciuta per non essermi stata zitta.
<< Non fa nulla, ormai ci passo sopra >> mi assicurò lei, ma giurai che non fosse proprio così.
Cassie ridacchiò. <>.
La guardai, confusa. Che intendeva?
<< Sono diventata Different il giorno del mio tredicesimo compleanno. Si, sono un caso su un milione di Different tredicenne. Però sotto un punto di vista sono stata fortunata, i miei genitori non si sono disperati >>.
<< Perché? >>. Pensai che almeno lei avesse genitori sani di mente.
<< Sono morti quando avevo otto anni in un incidente stradale. Io per fortuna non c'ero. Sono figlia unica così sono finita in orfanotrofio. Solo che nessuno vuole bambini così grandi, perciò sono rimasta lì fino a, quando non sono diventata Different. Mi hanno mandato quelli dell'istituto qui >>.
Sbiancai. Cavoli, quella si che era una storia difficile. Dalla sua faccia si direbbe che non soffriva ma sicuramente faceva molto più male. A confronto con loro due, io ero tra le più fortunate.
Cassie si alzò per sdrammatizzare insieme a una risata. << Perché non fai una cosa? Prima che arrivi il sonno, perché non vieni a fare colazione con noi? Fatti una doccia e cambiati, dai >> propose lei. Sentii lo stomaco brontolare e non avevo questo sonno di cui tutti parlavano, così accettai.
Stavo prendendo il cambio quando mi ricordai una cosa. << Che cosa sapete fare? >>.
Loro due si girarono dallo specchio dove si stavano truccando e si guardarono. << Sono un'intangibile. Passo attraverso persone e oggetti >> spiegò Liliane, dandomi una pratica dimostrazione che mi lasciò a bocca aperta. Cassie rise. <>.
<< Tipo illusioni? >> chiesi, totalmente stupita. Si, dovevo aspettarmi qualcosa del genere ma sentirselo dire o vederlo con i propri occhi e un'altra cosa.
<< Oh, no. Io materializzo cose vere. Così vere che posso creare anche le tue peggiori paure. Ma posso farle sparire con uno schiocco di dita >> disse lei con un sorrisino minaccioso che mi mise paura. Non era certamente una Different da lasciare incontrollata.
Liliane le diede una botta. << Smettila. L'ha fatto anche con me quando sono arrivata qua, lasciala dire. In verità è un pezzo di pane >>.
Cassie sbuffò e tornò ai suoi trucchi. Io mi alzai e andai a fare la doccia. Non potevo credere ai miei occhi e alle mie orecchie. Dove diamine mi trovano, maledizione? Chissà se anche io avevo sviluppato qualcosa del genere. Magari era un potere da niente, tipo l'empatia. Roba inutile. Uscì dalla doccia dieci minuti dopo, sentendomi rinata. Dopo essermi asciugata i capelli ed essermi messa qualcosa che mi avrebbe fatto sentire a mio agio e allo stesso tempo non mi avrebbe fatto sembrare una svampita in pratica indossai un vestito azzurro con maniche lunghe e uscii dal bagno. Mi diedi una leggera truccata e vidi che le due ragazze prendevano delle borse senza libri.
<< Dove sono i testi scolastici? >> chiesi, ricordandomi che io non li avevo.
<< Nei nostri armadietti personali. Si aprono con una scheda. La tua è nel cassetto del comò. Ci siamo dimenticate di dirtelo! >> spiegò Liliane, prendendomela e porgendomela. << Lì va la foto >> aggiunse, indicando il quadratino vuoto. C'era proprio tutto: la mia data di nascita, il mio nome completo, il mio luogo di nascita e degli spazi bianchi.
<< Cosa ci va scritto lì? >> chiesi, indicandoli.
<< I tuoi poteri, quando li troverai. Non dovrebbe mancare molto >> rispose sempre Liliane. << Andiamo? >>.
Prima che potessimo risponderle sparì attraverso la porta e io sgranai gli occhi e Cassie alzò gli occhi al cielo. << Ormai le porte non le usa più. Andiamo >>.
Uscimmo dalla stanza e io mi sentii come un pesce fuor d'acqua nel corridoio. Le ragazze erano già di meno, ma il resto mi guardava come la nuova arrivata. Un'altra si avvicinò: bassa, bionda con lunghe ciocche scalate e occhi nocciola. Doveva essere inglese, dai tratti.
<< Ciao. Allora, andiamo a fare colazione? >> chiese lei ma poi mi guardò. <>.
Aggrottai le sopracciglia. << Come lo sai? >>.
<< Sono una veggente. Sono Kristen Wilson, Canada. Però ho anche origini inglesi, mia madre lo è >>.
Alla parola "veggente" sussultai. Cavoli, vedeva davvero il futuro. A pensarci bene, mica era molto bello farsi gli affari degli altri e non avere mai una sorpresa. Sperai che anche io non lo diventassi.
<< Piacere, Alisha Moore. Sono felice di conoscerti >>.
<< Non avevo dubbi >> disse lei, mettendosi al nostro fianco. << Andiamo? Sono già le otto >>.
Liliane attraversò di nuovo la porta che qualcuno aveva chiuso e quando varcai la soglia del dormitorio delle ragazze mi sentii come in mare aperto. Doveva proprio vedersi che ero nuova per come mi comportavo e camminavo, guardandomi dappertutto. Mi feci guidare dalle tre ragazze per la mensa, ed era una delle tre porte che mi aveva mostrato Hanja. Questa volta la prima ed era aperta: tanti ragazzi entravano e nessuna usciva segno che la colazione era già iniziata. La mensa era rettangolare e con pesanti tende rosse che coprivano lunghe finestre bombate e un pavimento di marmo bianco. I tavoli erano diversi, anch'essi rettangolari e in legno. Alla fine della stanza c'era un tavolo tondo dove sedevano gli insegnanti o almeno così sembrava. A lato destro, c'era il bancone per il cibo. Prendemmo dei vassoi rossi e ci avviammo per il bancone. C'era proprio di tutto dalle scatole di cereali o alle ciambelle. Io presi i miei cereali preferiti con cioccolato e fiocchi di frutta zuccherati morbidissimi uniti a molto latte al cioccolato (non mangiavo da dodici ore e la fame era stranissima! Nemmeno quando ho il ciclo sono così affamata). Coordinai il tutto con due pasticcini alla panna e altro latte freddo. Vidi le ragazze guidarmi verso un tavolo al centro della sala dove c'erano già un'altra ragazza e due ragazzi, dove ci sedemmo.
<< Ciao, ragazzi. Lei è Alisha Moore, quella nuova >> mi presentò Kristen e tutti annuirono.
<< Piacere >> mi disse la ragazzina. Doveva avere almeno un paio d’anni in meno di me, quindi quattordici e perciò non era qui da molto. Era alta quanto me, con capelli color miele e occhi verdi e profondi. Non so perché, ma mi dava l'aria di essere una secchiona però sembrava simpatica.
<< Mi chiamo Selene Bennett, sono di Los Angeles >>.
<< Anche io! >> esclamai sorpresa. Ero certa di non averla mai vista.
<< Sono qui da due mesi e capisco quanto ti manchi casa >> aggiunse lei, triste.
Uno dei ragazzi si presentò. << Sono Justin White, anche io di New York. Felice di conoscerti >>.
<< Piacere mio >> replicai, sentendomi abbastanza a mio agio. Era un bel ragazzo di quelli che possono far perdere la testa con quegli occhioni grandi e scuri, dall'aria dolce.
L'altro ragazzo si allungò verso di me. << Alan Parker. Ci avevano assicurato che saresti arrivata. Sei una Different da solo un paio d'ore, giusto? >>.
<< Si, ho affrontato la terza fase stanotte. Non voglio viverla mai più >> dissi, rabbrividendo. Mai provato un dolore come quello in vita mia. E sperai di non doverlo provare più.
A differenza di Justin, anche Alan era bello, ma si capiva che era uno che adorava spezzare cuori solo con lo sguardo. Il tipico duro diciamo. Era alto almeno 1.90, con capelli ribelli e chiari, occhi azzurri.
<< Hai già scoperto cosa sai fare? >> chiese Selene, dopo un sorso d’aranciata.
<< Uhm... no. È grave? >> chiesi, preoccupata.
<< Noooo! Io li ho scoperti dopo dodici ore essere diventato Different. Sono empatico. Sento le emozioni degli altri e le posso anche manovrare >>.
Alla notizia datami da Alan non mi sentii proprio a mio agio. Era un tipo che poteva manipolarti come voleva quasi come Cassie. A pensarci bene, mica era una cattiva idea tenerci sotto controllo qua dentro. Chissà quanti c'è n’erano così.
<< Io so manipolare l'atmosfera: posso far cambiare il tempo o comandare il vento >> spiegò Justin.
<< Io posso diventare invisibile, ma sto sviluppando il mio potere >> aggiunse Selene.
Mi guardai attorno e vidi che nessuno usava i propri poteri. Strano. Eppure nei corridoi l'avevo notato così lo domandai.
<< Non si possano usare i poteri fuori dal dormitorio o dalle aule attrezzate >> mi rispose Liliane. << È per la nostra sicurezza. Non hai idea di che casini ne uscirebbero. Come avrai sentito, alcuni di noi hanno poteri pericolosi >>.
Cassie annuì. << Chi non rispetta le regole è punito pesantemente >>.
<< Si. Non sono belle esperienze >> aggiunse Selene.
Io non chiesi altro. Era meglio per me rimanere ignorante. Pensai al fatto che io non avessi ancora scoperto i miei poteri... ma perché? Va bene, Alan ci ha messo dodici ore, però... ormai ero una Different tanto valeva esserlo fino in fondo. Mentre mangiavo ero assorta nei miei pensieri, perciò non ascoltai granché della conversazione.
<< Davvero? È morto? >> chiese Alan.
<< Si, povero. Uno degli sfortunati >> confermò Liliane.
Alzai la testa dalla tazza. << Chi è morto? >>.
<< Uno dell'ultimo anno. Tra Aprile e Giugno tre dell'ultimo anno se ne vanno e lui era il primo. Ne mancano ancora due >> rispose Cassie, a sguardo basso.
<< Perché? >>.
<< Non lo sa nessuno. Da quando la scuola è stata aperta, negli ultimi dieci anni è successo. Credono che sia perché non sono in grado di mantenere i propri poteri e muoiono. Però rimane un mistero comunque >> mi spiegò Justin, smettendo di mangiare.
Abbassai di nuovo lo sguardo sulla tazza. Bene, quindi quando avrei completato i miei quattro anni, non era detto che sarei sopravvissuta. Bene, molto bene. Ero così imbronciata che fissai irritata il latte rimasto nella tazza. Sentii qualcosa simile al crack nella mia tazza e lasciai cadere il cucchiaio quando vidi che il latte si congelava.
<< Alisha cos'hai? >> chiese Liliane, seduta al mio fianco. Sbirciò dentro la tazza e trattene un urlo. << Sei criocinetica!>>.
Tutti i ragazzi seduti al mio tavolo, osservarono la tazza come se fosse la cosa più interessante al mondo. Io non potevo crederci. Era bastato un pò d’umore alterato per fare quello che avevo appena fatto. Vidi alzarsi due persone dal tavolo tondo e riconobbi Hanja e un uomo che però non avevo mai visto. Corsero verso di me.
<< Ragazzi, la riportiamo in camera. La vedrete dopo >> disse sbrigativo l'uomo, sui trent'anni. Era proprio bello.
Mi scortarono fuori della mensa e mi bloccarono nel corridoio del dormitorio femminile, dopo una camminata in silenzio. Non c'era nessuno a parte noi.
<< Criocinetica. Hai un bel potere sai? È uno dei miei preferiti >> disse Hanja. << Lui è Milen, russo. Anche lui è criocinetico. Sarà il tuo insegnante alle Different lessons di controllo di poteri elementari pratica e teoria >> spiegò lei indicandolo.
<< Piacere >> borbottai timidamente.
<< Una nuova alunna fa sempre piacere >> disse Milen.
<< Alisha, perché non vai nella tua stanza? Mi daresti la tua scheda degli armadietti? Ci metto la foto e il tuo potere. So che ce l'hai: me l'ha detto la signorina Kate, l'insegnante di preveggenza >>.
Annuii, ignorando l'ultima frase per non stupirmi troppo, e diedi la mia scheda. << Ora vai a riposarti >>.
Seguii il suo consiglio e aprii la porta della mia stanza, chiudendomela alle mie spalle. Sospirai. Criocinesi non era male. Anche se mi aspettavo di più. Barcollai fino al letto, salendo e buttandomi sopra tutta vestita senza neanche cambiarmi. Sentivo arrivare quel sonno che mi avevano preannunciato: prima però, riuscii a pensare. Prima di tutto dovevo capire meglio del mio potere: secondo dovevo chiamare la mia famiglia preoccupata a morte e Janet. Insomma, avevo pianificato tutto. Non sapevo ancora che al mio risveglio, qualcosa sarebbe cambiato.


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Capitolo 5
*** Quando la sfiga ci vede ancora più bene... allora capisci di essere segnata alla sfortuna... ***


5. Quando la sfiga ci vede ancora più bene... allora capisci di essere segnata alla sfortuna...

Quel sonno che tanto mi avevano preannunciato fu il più pesante della mia vita. Dormii così profondamente da non accorgermi dei minimi rumori. Quando finalmente aprii gli occhi, vidi fuori dalla finestra il buio totale e le mie due compagne di stanza, Cassie e Liliane, stese a letto a studiare con una matita in mano. Mi sorrisero entrambe quando mi videro sveglia. Sbadigliai e mi misi seduta sul bordo del letto. Non avevo neanche il coraggio di guardarmi allo specchio e vedere com'ero conciata.
<< Buongiorno >> disse Cassie, posando libro e matita.
<< Che ore sono? >> chiesi confusa.
<< Le sei e mezzo. Noi abbiamo terminato le lezioni anormali. Ora dobbiamo studiare per un'altra ora >> spiegò Liliane, posando anche lei il libro.
Mi sentivo stordita da tutte quelle ore di sonno così profonde. Non avevo ancora fame e non ero più stanca. Mi alzai e mi diressi in bagno, per farmi una doccia e darmi una svegliata come si deve. Quando uscii tutte e due stavano ancora studiando e decisi che non era il caso di disturbarle.
<< Vado a fare un giro >>.
<< Non è un problema >> mi tranquillizzò Liliane.
<< Si, però è meglio. Per ambientarmi >>.
Le salutai e uscii dalla stanza e dal dormitorio femminile. Secondo Cassie, la sala di ritrovo era una delle porte dell'atrio. Mi diressi lì e c'era la solita vecchietta anche se non sapevo se era quella vera o no. Trovai la porta e l'aprì. Mi ritrovai dentro una stanza quadrata e grande. Aveva le pareti dipinte di verde chiaro con tendine alle finestre dello stesso colore. C'era una televisione a schermo piatto e diversi divani rosa intenso e tanti tavolini sparsi qua e là. Un mobile di legno era nella parete a sinistra.
La sala era vuota, così mi buttai su un divano a caso e accesi la televisione mettendo un canale a caso.
Ma non guardai nulla. Rimasi con i miei pensieri. Da poche ore avevo anche i miei poteri, il segno perfetto della mia appartenenza alla razza dei Different. Chissà cosa avrebbero detto i miei. Adesso che ci pensavo non li sentivo da quando ero lì e forse era il caso che li chiamassi però chissà perché non ne avevo il coraggio. Di cosa avevo paura?
La mia giornata era cominciata proprio bene. Tanto per cominciare avevo sofferto sei ore infinite, poi avevo dormito pesantemente dopo aver scoperto di saper congelare gli oggetti e adesso me ne stavo da sola dentro una sala. Il tutto senza sapere se chiamare i miei o no. Stava decisamente finendo peggio di com'era cominciata.
Di colpo, la porta si aprì ed entro qualcuno. Io mi girai e osservai il nuovo arrivato dentro la sala. Era un ragazzo alto almeno 1.90 con capelli corti e tenuti con il gel in punte ordinate, castani, e con dei bellissimi occhi verdi chiaro che mi lasciarono incantata. Era proprio bello. Lui mi notò e mi fissò.
<< Oh, non sapevo che la sala non fosse vuota >> disse, facendo per uscire.
<< No, non preoccuparti. Tanto tra mezz'ora devo andare via: le mie compagne di stanza avranno finito di studiare >> lo rassicurai.
Lui annuì. << Okay. Ma tu non sei quella nuova? >>.
<< Si, mi chiamo Alisha Moore. E tu? >>.
<< Cameron Jenks, piacere di conoscerti >> si presentò lui sorridendomi.
<< Da quanto sei qui? >> chiesi, quando si fu seduto.
<< Da tre anni. Avevo sedici anni quando sono diventato Different. O anche finito la scuola. Sono al primo anno di scienze della comunicazione >>.
<< Cosa sai fare? >> chiesi curiosa.
<< Sono un telecineta >> rispose lui, sorridendomi.
Tentai di ignorare quel sorriso. << Tu non studi? >>.
<< Per noi ragazzi del college, gli orari sono molto più flessibili. La mattina seguiamo le lezioni e studiamo nelle ore che vogliamo solo che noi abbiamo lezione anche il sabato >>.
<< Addirittura? Be', non voglio arrivare al college tanto presto! >>.
<< Tu lo frequenterai qui? >>.
<< I primi due anni sono obbligata. Devo stare qui quattro anni, no? >> chiesi. Il ragazzo annuì e prese una penna da dentro un portapenne che però gli cadde di mano e io la raccolsi. Quando gliela porsi, le nostre mani si sfiorarono e lui rabbrividì.
<< Che c'è? >>.
<< Hai le mani un pò fredde >>.
<< Oh, scusa. Forse perché sono criocinetica >> spiegai, arrossendo.
<< Allora si spiega. Un consiglio: non toccare mai le mani di un pirocinetico. Potresti pentirtene >> disse lui e scoppiai a ridere. << Ora devo andare a studiare. Ho un esame la prossima settimana >>.
<< Okay. Piacere di averti conosciuto >> dissi sincera.
<< Piacere mio >> replicò lui, alzandosi e andandosene.
Io mi rannicchiai sulla sedia, scuotendo la testa come per cancellare gli ultimi minuti. Quel ragazzo era veramente gentile, però io ero ancora troppo scottata da ciò che Dylan mi aveva detto solo e meno di due giorni prima. Accidenti, erano passate solo quarantotto ore da quando ero andata via di casa. Forse dovevo chiamarli per sapere come stavano però nemmeno loro mi avevano chiamata.
Decisi di smettere di ossessionarmi con questo pensiero assurdo e accesi la televisione per distrarmi. Fortunatamente davano il mio telefilm preferito e lo seguii senza pensare ad altro. Quando finì, mi accorsi che erano le sette e mezzo e quindi le mie compagne di stanza dovevano aver finito di studiare in quel momento. Perciò mi alzai per tornarmene in camera per andare poi a cena. Involontariamente congelai la maniglia che per fortuna riuscii a far tornare normale. Sperai di non congelare qualche persona al mio passaggio, peggio un insegnante.
Non mi andava certo di essere puntata proprio lì, dove dovevo passare quattro anni. Quindi tenni le mani nelle tasche dei jeans, per evitare incidenti. Raggiunsi il dormitorio femminile e poi la stanza. Sentii della musica provenire dall'interno e aprì la porta. Le due compagne di stanza non stavano certamente studiando ma mi guardarono quando entrai.
<< Ti è piaciuta la sala? >> chiese Liliane, abbassando la musica.
<< Si, molto carino. Ho anche parlato con uno di quelli che frequenta il college >>.
Le due mie nuove compagne di stanza si guardarono. << E chi era? >> chiese Cassie, curiosa.
<< Ha detto di chiamarsi Cameron... Cameron... >>.
<< Jenks >> completò subito Liliane.
<< Si, esatto! >> esclamai, sedendomi accanto a Cassie.
<< È proprio un bel ragazzo, sai? Ha degli occhi stupendi >> commentò Cassie, sognante. << Tipo così >> continuò e due occhi verdi chiaro si materializzarono.
Io rimasi stupita ma mi ripresi subito. << Io direi più chiari >>.
Cassie strizzò gli occhi e si schiarirono subito. << Proprio così >> confermai ridendo con le altre e gli occhi sparirono subito.
<< Ragazze, sono le otto meno venti. Su, andiamo. Dobbiamo cenare >> ci avvertì Liliane e ci alzammo.
Io però volevo cambiarmi la maglia e mettermene una a maniche lunghe, visto che sentivo un pò di freddo. Mentre le mie due compagne di stanza erano in bagno, frugai nella valigia ma non trovai nulla. Dal nervosismo, gettai tutti i vestiti dietro di me quando sentii degli strilli provenire dalle ragazze.
<< Che c'è? Non mi dite che per il nervosismo li ho congelati >> dissi, girandomi per accorgermi il motivo di quelle urla. Solo pochi vestiti erano a terra mentre gli altri erano sospesi in aria. Rimasi a bocca aperta senza sapere cosa dire. Le mie due compagne non credevano ai loro occhi ed erano pietrificate. Solo quando qualcuno bussò insistentemente e noi eravamo troppo scioccate per aprire, la persona entrò. Kristen rimase a bocca aperta anche lei e fece per urlare ma le tappai la bocca.
<< Zitta! >>.
Liliane e Cassie presero i vestiti e li ammucchiarono sul letto e poi mi guardarono.
<< Alisha, qualcosa non va >> mormorò Cassie. << Non puoi avere una doppia capacità. È impossibile >>.
<< Cassie ha ragione >> concordò Kristen, quando finalmente la lasciai andare.
<< Com'è possibile? Tu dovresti essere solo criocinetica >> continuò Liliane, incredula.
Io non dissi nulla. Cosa era successo? Che fosse andato male qualcosa nel mio cambiamento da umana a Different? Ed ora? Ero sia telecinetica che criocinetica? Però le mie compagne sembravano veramente stupite, troppo stupite.
<< Devi dirlo agli insegnanti >> disse Kristen.
<< Cosa? No! >> protestai terrorizzata.
<< Ma non puoi neanche tenerlo nascosto. Prima o poi lo scopriranno. I cercatori lo sapranno. Sono quelli che sanno individuare i poteri negli altri Different >> spiegò Cassie.
<< Però io non posso nemmeno passare per quella diversa! >>.
Non ci potevo credere. Non solo ero stata costretta a cambiare vita, specie e tutto ma adesso ero diversa perfino tra i Different. Cosa avevo fatto di male per meritarmelo? Qualcuno c'è l'aveva decisamente con me. Assolutamente. Qualcuno di molto bravo mi stava portando sfiga.
<< Ma insomma, quando venite a cena? >> chiese Selene dapprima bussando e poi entrando non ricevendo risposta. Ci vide tutte in silenzio e si accigliò. << Be'? Cosa c'è? La Santa Messa? >>.
<< Selene, quello che sto per dirti non deve uscire da questa stanza >> cominciai e lei annuì, leggermente spaventata e guardandoci tutte.
<< Alisha è anche telecinetica >> disse Liliane e Selene mi guardò.
<< Impossibile. Non può essere >>.
<< A quanto sembra >> replicai io, indicandomi. Tentai di nuovo e questa volta riuscii a sollevare il cuscino sul letto di Cassie e lo presi tra le mani.
<< Accidenti >> commentò Cassie, toccandolo.
Non sapevo proprio cosa fare. Potevo anche dirlo ad Hanja però come facevo a sapere se mi avrebbe capito? Si, era un insegnante però... era sempre un adulto. Cassie mi scosse, rompendo i miei pensieri.
<< Senti, facciamo così. Io e Cassie veniamo con te da Hanja. Okay? >> chiese Liliane e io annuii. Sperai che almeno in compagnia sarei riuscita a dire ciò che dovevo. Kristen e Selene andarono a cena anche per i ragazzi che se no avrebbero fatto troppe domande. Io venni scortata fuori dal corridoio dalle mie compagne di stanza, fino al solito atrio. Questa volta mi portarono davanti alla signora che emetteva la sua immagine tridimensionale.
<< Ditemi? >>.
<< Dobbiamo vedere Hanja. È urgente >> disse sbrigativa Cassie.
<< Certo. Andate >> disse l'anziana signora, indicando la porta dietro di lei che non avevo notato perché dello stesso colore del muro. Liliane l'aprì ed entrammo. Un corridoio bianco in tutto e per tutto era davanti a noi con diverse porte verdi ai lati. Camminammo fino all'ultima con scritto: "Sala professori".
Liliane bussò e sentimmo diverse voci e poi dei passi. Una donna ci aprì e con un accento spagnolo ci disse:
<< Salve, ragazze >>.
<< Buonasera, professoressa Cortès. La prof Wegner è qui? >> chiese Cassie.
<< Si, sono qui >> rispose Hanja, venendoci incontro. Io la fissai con ansia e lei ci guardò insospettita. L'altra donna, invece, se ne andò. << Che succede? Alisha ha qualche problema? >>.
Io non dissi nulla. Non ci riuscivo. Fu Liliane a parlare per me: << Si, prof. Qualcosa di... Deve venire con noi in una stanza vuota >>.
Hanja inclinò la testa da un lato, poi fece qualche passo avanti e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e cominciando a camminare. Ci scortò per qualche altra porta, risalendo il corridoio. Alla terza si fermò e l'aprì.
<< Ditemi >> disse, una volta che fummo dentro e incrociò le braccia sorridendoci.
Mi feci avanti, prendendo coraggio. << Credo di avere qualcosa che non va >>.
Hanja mi guardò stranamente. << Cioè? >>.
<< Sono anche telecinetica >> confessai alla fine, sentendomi libera da ogni peso. Finalmente lo avevo detto. Hanja lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, rimanendo a bocca aperta e guardando le mie compagne di stanza che annuirono come per confermare.
<< Impossibile >> mormorò lei, prendendo il telefono cellulare. Parlò così velocemente che non si capì nulla, solo un nome: Dustin.
Hanja chiuse con uno scatto il cellulare e si girò verso di noi: << Attendiamo qui l'arrivo di Dustin. È un cercatore. Saprà darci lui le risposte >>.
Attendemmo qualche minuto e io mi sentii sotto esame. Perciò non era normale che io avessi due capacità, per nulla. Fantastico, veramente fantastico. Un ragazzo aprì la porta, sui vent'anni e mi guardo, da capo a piedi.
<< Dustin, qual è il verdetto? >>.
<< Incredibile >> sussurrò, chiudendo la porta dietro di sé. Le mie due compagne non dissero nulla, ma continuarono a fissare il ragazzo.
<< Cioè? >>.
<< La ragazza è criocinetica, giusto? >> chiese Dustin.
<< Si >> confermai, rincuorata che almeno lui ci capisse qualcosa.
<< È anche telecinetica >> precisò Liliane.
<< Veramente non è telecinetica >> disse lui, lasciandoci a bocca aperta. Come sarebbe dire? Ma cosa cavolo stava succedendo?
<< Dustin, spiegati meglio. Per favore >> disse Hanja.
<< La ragazza ha due capacità, si. Ma l'altra... è un'assorbitrice... >>>>.
Tutti restarono a bocca aperta e io non sapevo nemmeno cosa volesse dire. Mi guardavo attorno confusa, guardando prima gli altri e poi il ragazzo chiamato Dustin. Alla fine mi decisi a chiedere cosa volesse dire, spezzando quell'opprimente silenzio.
<< Ma che significa? >>.
<< Significa che puoi assorbire i poteri dei mutanti... È un potere raro, si... Però tu ne hai due... È incredibile >> spiegò Hanja, ancora troppo stupita. Le altre due non parlavano proprio.
<< Cosa vuol dire... cioè... Ora sono anche telecinetica? >> chiesi, spaventata.
<< Si... Dipende. Alcuni assorbitori riescono a prendere i poteri ma non ha mantenerli a lungo, altri invece riescono a tenerli con sé tutta la vita... Credo che tu faccia parte della seconda categoria. Ma adesso dobbiamo vedere cosa fare >>.
Come? Che voleva dire? Mica mi doveva mandare in un'altra scuola? Che so, tipo per extra-Different?
<< Ora vado a parlare con il preside e vedremo. Andate a cena e cercate di non spargere troppo la notizia e... Alisha... Non toccare nessuno >> pregò Hanja correndo fuori con Dustin.
Non ci potevo ancora credere. Cioè, adesso non potevo nemmeno toccare gli altri mutanti... Un momento... Ma io un altro mutante lo avevo toccato... Avevo toccato Kristen!
<< Ma io ho toccato Kristen! >> esclamai di colpo e Liliane e Cassie strabuzzarono gli occhi.
<< Cavoli, è vero! >> ricordò Cassie.
<< Vuol che adesso sei anche una veggente >> disse Liliane, come se fosse una terribile verità.
<< Devo sedermi >> mormorai, accasciandomi sulla prima sedia di legno che trovai. Mi presi la testa fra le mani. Non poteva essere vero. Non poteva accadere a me, proprio a me. Perché? Cosa c'è di sbagliato in me?
Liliane mi si avvicinò, badandomi a non toccarmi. << Tutti si risolverà, vedrai. Dopotutto, devi considerarti fortunata. Hai una capacità attiva per proteggerti già di tuo, la criocinesi e in più l'assorbimento. Non è poi così male >> tentò di consolarmi lei. Ma io non volevo proprio essere consolata, per nulla.
Cassie decise di intervenire. << Andiamo a cena, Alisha. Ti sentirai meglio >>.
Io mi alzai automaticamente e le seguii, stando ben attenta a non toccarle. Non mi andava proprio di diventare intangibile o avere la telepatia tridimensionale. Senza neanche accorgermene eravamo già nell'atrio e lo attraversammo velocemente per arrivare alla mensa. Era piena di persone e le due ragazze cercarono di farmi svegliare ma io ero tutto fuorché in me. Presi le prime cose che trovai e ci sedemmo al tavolo. Kristen e Selene mi guardarono a occhi sbarrati, vedendo la mia faccia mentre Justin e Alan si guardarono senza capire il perché delle nostre facce.
<< Be'? Che vi prende? Sembra che sia morto qualcuno! >> disse Alan ma nessuno disse nulla, in dubbio se dirglielo o no. Però se volevo evitare di diventare pure come loro, forse era il caso di rivelarglielo.
Cassie si sporse e sussurrò all'orecchio di Alan qualcosa che poi, con uno sguardo confuso, lo disse a Justin. I due annuirono e mi guardarono.
<< Non diremo nulla di quello che stai per dirci. Parola di Different >> disse Justin e Alan annuì ancora.
<< Va bene. Ho una doppia capacità >>.
I due rimasero a bocca aperta, senza dire nulla guardandoci tutte. Fu solo dopo qualche secondo di silenzio di tomba che Justin sembrò ritrovare la parola.
<< Vale a dire? >>.
<< Sono anche un'assorbitrice. Ho toccato un ragazzo telecinetico e adesso ho anche il suo potere. E poi... ho toccato anche Kristen, prima. Quindi vuol dire che presto avrò anche il suo potere >>.
Kristen mi guardò perplessa, ma poi si ricordò di quando le avevo tappato la bocca quindi toccata. Lei mi guardò << È vero... Cavoli, mi dispiace. Se lo avessi saputo, non mi sarei fatta toccare >>.
<< Quindi nessuno di voi mi deve sfiorare anche solo con un dito! >> pregai e minacciai allo stesso tempo. Non mi andava di avere i poteri di tutti quando ero una Different da così poco tempo. Mangiucchiai qualcosa, ma poi allontanai il vassoio... Non potevo credere davvero a quello che mi stava succedendo.
Decisamente tutte a me. Per fortuna avevo toccato solo due mutanti e non tutta la scuola, sarebbe stato il massimo...
<< Ho toccato anche Hanja! >> esclamai di colpo. Mi ricordai che durante la terza fase, Hanja mi teneva stretta la mano e io dovevo già aver sviluppato i miei poteri.
<< Allora vuol dire che sei anche una suturante >> precisò Selene.
<< Sai che potresti diventare la Different più pericolosa che esista? >> mi chiese Liliane.
<< Non credo di essere l'unica assorbitrice in tutto il mondo... >>.
<< È vero. Sei la terza >> disse Alan e io lo guardò incredula.
<< Solo la terza? >>.
<< Si. Gli altri due, una era una ragazza, sono entrambi criminali. Sono rinchiusi nel carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti. Un luogo segretissimo e controllato solo da altri Different. Solo la ragazza ha studiato qui. Lui era già grande quando la scuola è stata aperta. Forse tu non lo ricordi perché eri troppo piccola, ma otto anni fa hanno fatto di tutto e di più con tutte le capacità che hanno assorbito >> spiegò Justin e io non dissi nulla.
Voleva dire che io ero più pericolosa perfino di Cassie, che poteva fare il lavaggio del cervello a chi voleva lei. Però gli altri due erano cattivi, mentre io no. E se il potere mi avesse dato alla testa come a loro? Se fossi diventata la peggiore criminale che esista?
Sentii Cassie scuotermi e indicarmi alla mia destra. Hanja correva verso di me e si avvicinò in un baleno.
<< Alisha vieni con me >> disse, facendomi alzare. Salutai i miei nuovi amici che mi guardavano preoccupati e ansiosi e seguii la giovane donna. Hanja non disse nulla e io non mi sentii di chiedere proprio niente. Preferivo rimanere ignorante al destino che mi aspettava.
<< Non preoccuparti. Troveremo il mondo di farti vivere qui il meglio possibile >> mi assicurò Hanja, quando fummo davanti a una porta laccata di rosso.
<< Davvero? >>.
<< Si. Te lo prometto >>.
Con orrore mi accorsi di una cosa: mi ero appena attaccata alla più piccola e vana speranza fatta di tre parole. Te lo prometto.

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Capitolo 6
*** Ancora problemi e un pò di tranquillità ***


6. Ancora problemi e un po' di tranquillità

Hanja mi spinse avanti, visto che io non avevo il coraggio di fare altro. Mi guidò per uno stretto corridoio con pannelli di legno e niente finestre, illuminato solo da luce dorata. Alla fine del corridoio c'era una porta marroncina, con un pomello d'oro. Con un gran sospiro, Hanja bussò tre volte.
<< Avanti >> disse una voce profonda e la ragazza aprì e la seguii meccanicamente. Entrammo dentro un ufficio lungo e largo, con vetri al posto delle mura nella parete in fondo. Alla mia destra c'erano librerie scure, in mogano, con libri di tutti i tipi mentre alla mia sinistra una serie di divani azzurri che si coordinavano perfettamente con la moquette blu e le pareti bianche come il latte. Dietro la scrivania bianca stava un uomo sulla cinquantina, con folti capelli neri e ribelli e occhi color nocciola leggermente allungati. Sorrise ad Hanja che rispose nello stesso mondo.
<< Alisha, lui è il preside Jonathan Sullivan. È stato lui ha fondare la scuola dieci anni fa con sua moglie Charline, una delle insegnanti di lettere >> mi spiegò Hanja e io sorrisi timidamente.
<< Piacere di conoscerti, Alisha. Mi hanno parlato della tua situazione. Sedetevi tutte e due >> ci invitò il preside. Io mi sedetti come aveva ordinato e anche la ragazza. Non sapevo cosa dire così rimasi in silenzio come una perfetta idiota.
<< Alisha, il fatto che tu abbia due capacità per noi è un problema. Vuol dire che sei... un pò più speciale di tutti noi >> cominciò lui e io aggrottai le sopracciglia con fare perplesso. << So che per una ragazzina di neanche sedici anni può essere difficile, però... con il tempo accetterai tutto >>.
Si, certo... E intanto tutti mi guarderanno come il tipico fenomeno da baraccone...
<< Io non sarei così sicuro. Qui tutti siamo diversi, Alisha >>.
Sgranai gli occhi e guardai Hanja che ridacchiò. << Però così non vale. Potevate anche avvertirmi che il preside leggeva nel pensiero >>.
I due risero e io sbuffai.
<< Senti, Alisha. Per il potere come il tuo non abbiamo insegnanti. Il tuo non rientra in nessuna categoria. A quanto abbiamo capito come potere tuo hai la criocinesi e hai assorbito quello di un telecinetico... giusto? >> chiese Hanja.
Io mi morsi il labbro. << Be', non proprio... Ho toccato anche una mia compagna... Kristen Wilson >>.
<< È una veggente. Questo vuol dire... che tra un pò avrai anche quel potere... >> disse il preside, visibilmente preoccupato.
<< Si, ma io ho anche toccato la professoressa Wegner... Durante la terza fase... >>.
Lei ridacchiò. << Non preoccuparti. Impossibile che anche lì tu abbia assorbito i miei poteri. Almeno quello non ce l'hai ancora >>.
Sospirai. Un problema in meno. << Ma non posso vivere tutta la vita evitando i tremila Different che ci sono al mondo! >>.
<< Per quello avremo una soluzione però non so se ti piacerà >> cominciò il preside, guardandomi e io guardai Hanja.
<< Che vuol dire? >>.
<< Potresti portare dei guanti. Devi toccare la persona con la pelle per prendere il suo potere >> rispose Hanja e io rimasi a bocca aperta.
<< Ma... come faccio ad andare in giro tutta la vita con dei guanti? >>.
<< Userai quello che ti diamo noi. Non preoccuparti. Alisha, andrà tutto bene. Davvero >> mi assicurò Hanja. Io volevo solo piangere ma mi trattenni, almeno non davanti a loro.
<< Per le Different lessons, credo che tu per ora, frequenterai quelle di Milen. Poi si vedrà. Ma stai attenta: a quelli lezioni non ci sono solo criocinetici ma anche pirocinetici e modificatori di materia. Quindi devi stare attenta a non toccarli >>.
Annuii, rassegnata. Per ora le cose stavano così e io non potevo fare nulla per cambiarle. Non potevo credere davvero a quello che stava succedendo. Finché non avessero trovato una soluzione, io avrei dovuto convivere con due poteri che nemmeno sapevo usare quindi potevo anche essere un pericolo. Cominciavo a pensare che ciò che Dylan mi aveva detto, che ero un mostro, non era del tutto insensato.
<< A proposito... I tuoi genitori ci hanno chiamato mentre eri addormentata stamattina... Dovresti richiamarli >> disse Hanja.
Mi irritai. Perché cavolo non me lo avevano detto prima, maledizione?
<< Posso andare a chiamarli? >>.
<< Si, usa pure il telefono della scuola >> rispose il preside. << Dai, puoi andare >>.
Io e Hanja ci alzammo e uscimmo dalla stanza. La prof mi guidò fino alla fine del corridoio e poi per l'atrio, accanto al bancone della segreteria. << Chiama pure da qui >>.
Accettai e Hanja si allontanò per lasciarmi un pò di privacy. Dovevo chiamare mamma e papà e anche Janet. Composi il numero di casa e sentii la voce di mia madre dopo il terzo squillo.
<< Pronto? >>.
<< Mamma? Sono io, Alisha >>.
<< Alisha! Tesoro! Come va? Tutto bene? Robert, vieni! E Alisha! >>.
Mia madre doveva aver messo in vivavoce perché sentii chiaramente i passi di mio padre e la voce di mia sorella Serenity. << Alisha, dicci come stai. Dì qualcosa >>.
<< Sto bene, mamma. Domani comincio le lezioni, sia quelle normali che quelle anormali. Sto molto meglio, davvero >>.
<< Dimmi, Alisha. Sai già cosa sai fare? >> chiese mio padre e mi morsi la lingua. Cosa dovevo dire? La verità? Erano i miei genitori. Non volevo e non dovevo mentire.
<< Si. Sono criocinetica >>.
<< Oh! >> esclamò Serenity. << Io lo so cos'è! Sa congelare le cose mamma! >>.
<< È fantastico tesoro! >>.
<< Ma... >> la interruppi e piombò il silenzio.
<< Ma? >>.
<< Posso anche assorbire i poteri degli altri Different >>.
Nessuno dall'altra parte disse nulla. E io mi pentii di aver parlato. Poi sentii la voce di mia sorella:
<< Sei speciale, Ali! >>.
Volevo quasi piangere di commozione. La mia sorellina era unica. Mamma pianse qualche lacrima. << A noi non importa, Alisha. Ti vogliamo sempre bene. Appena possiamo ti veniamo a trovare >>.
<< Si, bambina mia. Promesso >> concordò mio padre.
<< Vengo anche io! >> urlò Serenity, perforandomi un timpano.
<< Si, mi fido. Ora però devo andare. Sto chiamando dal telefono della scuola. Vi voglio bene, tanto >>.
<< Anche noi, Alisha. Ti prego, chiama appena puoi >>.
<< Promesso. Ciao >>.
Chiusi la chiamata dopo un ultimo saluto da parte della mia famiglia. Cavoli, quanto mi mancava. Però doveva passare del tempo, prima che io potessi rivederli. La mia famiglia aveva accettata anche la mia diversità tra i Different... Chissà se anche Janet lo avrebbe fatto. Alzai la cornetta e feci il numero di casa sua. Sapevo che avrebbe risposto in camera e quindi potevamo parlare tranquillamente.
Al prima squillo rispose. << Chi è? >>.
<< Janet, sono io >>.
<< Alisha! Sono così contenta di sentirti! >>.
<< Anche io, amica mia. Come stai? È andato bene il viaggio? >>.
<< Si, certo. Ma tu come stai? >>.
<< Meravigliosamente >>. In effetti non era proprio una bugia. Fisicamente stavo bene.
<< Sono felice. Dimmi, cosa sai fare? Su, sono curiosissima! >>.
<< Sono criocinetica >>.
<< Ma è fantastico! Chissà quante cose magnifiche succedono lì dentro! >> disse entusiasta. Dovevo ammettere che come posto non era male. Dopo il primo impatto, tutte quelle cose era fantastiche. Tutti quei poteri lo erano, quando li vedevi per la prima volta.
<< Però... sono anche assorbire i poteri degli altri mutanti >>.
La conoscevo troppo bene. Ero sicura che in quel momento, stava aggrottando le sopracciglia dritte. << Scusa, ma non potete avere solo un potere? >>.
<< A quanto sembra no >>.
<< Cavoli, amica mia. Fantastico. Che ti frega? Sei speciale! >>.
Speciale, già. Bisognava aspettare che la notizia diventasse di dominio pubblico poi avrei visto quanto sarei stata "speciale".
<< Immagino. Senti... ma si sa che io sono andata al Collegio? >>.
<< Si. Lo sanno tutti, ormai. Dylan ha sparso la voce appena sei partita a quando sono tornata a casa ho trovato tre o quattro compagne di casa alla mia porta che volevano una conferma. Ovviamente non ho mentito. Purtroppo le reazioni sono quelle che tu immagini >>.
<< Si, lo so. Dylan starà parlando male di me >>.
<< Be', più che parlare male di te... non ti nomina propria. Come se tu fossi sparita dalla sua vita. Fregatene. È solo uno stronzo che non ti merita! >>.
Magari era anche vero, ma faceva lo stesso male. Quello sguardo di paura, sarebbe rimasto per sempre dentro di me. Essere guardata come un mostro.
<< Comunque, Alisha, spero di rivederti. Ora però devo andare via. Mi chiamerai presto? >>.
<< Si >> promisi. Dopo qualche secondo chiusi la chiamata, sentendomi un pò peggio di prima. Neanche io sapevo il motivo. Le parole di Janet mi avevano fatto male, dovevo ammetterlo. Sapere che una persona che hai amato per due anni e di colpo smette lui stesso di amarti e come se mi lacerasse dentro. Tutto per colpa di qualcosa che io non avevo chiesto.
Decisi che rimanere lì a soffrire non era il caso, così decisi di tornare in camera mia dalle altre sperando di non toccarle e acquisire i loro poteri. Quando tornai in camera e per fortuna nel corridoio non c'era nessuno, trovai anche Hanja con Liliane e Cassie.
<< Alisha, ti ho portato i guanti >> mi informò mostrandomi due o tre paia di guanti di seta morbidi e leggeri tutti color panna e io sospirai. << Devi portarli per un pò. Mi dispiace >> aggiunse vedendo la mia faccia. << Almeno così facendo potrai toccare qualcuno senza problemi. Però gli altri non devono toccare nessuna superficie della tua pelle o assorbirai anche i loro poteri. Ecco anche la tua scheda >>.
Presi la mia scheda di identità e la vidi completata con una mia foto e i miei poteri: criocinesi e mimica empatica.
<< Mimica empatica? >> chiesi perplessa.
<< Il nome esatto sarebbe quello, non c'è ne sono altri >> rispose Hanja sulla porta. << Ora vado. A domani ragazze >>.
<< A domani >> ripetemmo tutti e tre. Liliane e Cassie mi guardarono preoccupate.
<< Stai bene? >> chiese Cassie.
<< Si >> risposi, quasi una bugia. Mi infilai uno dei guanti e poi l'altro e sospirai. Condannata a portare i guanti per tutta la mia vita. Fantastico.
<< Dai, ti stanno bene >> tentò di consolarmi Liliane. << Il panna va praticamente con tutto! >>.
Ridacchiai. << Grazie, Liliane >>.
Cassie mi sorrise. << Dai, in fondo così potrai anche sceglierti i poteri. No? >>.
<< Fantastico >> borbottai. Si, potevo sceglierli. Però non potevo nemmeno toccare chi volevo. E se in futuro mi fossi innamorata di un Different? Come avrei potuto toccarlo senza prendere il suo potere? Sopratutto se era un potere incontrollabile.
Liliane mi abbracciò. << Vai a farti una doccia. Ti sentirai meglio >>.
Annuii e presi il necessario, chiudendomi dentro. Appena entrai nella doccia, cominciai a piangere. Non potevo trattenermi. Quello che era successo nell'intera giornata stava uscendo con tutte le lacrime che si perdevano nell'acqua della doccia. Rimasi lì finché l'acqua non divenne fredda e ghiacciai per errore metà dell'acqua rimasta sul fondo ma la ignorai. Proprio quando stavo per prendere l'asciugacapelli, mi bloccai. Mi sentii la testa pesante come un macigno. Il cervello risucchiato. Caddi sul pavimento, facendo cadere tutto quello che c'era nel lavabo.
Mi sentii chiamare, ma non risposi. Non ci riuscivo. Liliane attraversò la porta, aprendola e poi correndomi incontro. Mi scosse, chiamandomi.
<< Alisha! Alisha! >>.
Di colpo, non mi trovai più nel bagno. Liliane e Cassie erano sparite. Però sentivo che erano lì. Era come se il mio corpo fosse ancora nel piccolo bagno e la mia mente da un'altra parte.
Vedevo buio, ma piano piano si schiariva sempre di più. Una donna bionda era seduta su un letto, malconcio e disfatto. Mi accorsi che era una piccola stanza. La donna canticchiava un motivetto sconosciuto e ridacchiava come se avesse avuto una bella notizia. Poi alzò lo sguardo e quasi come se mi vedesse, il suo volto divenne aggressivo e ciò che vedevo venne risucchiato da un vortice. Io presi fiato come se fossi stata immersa sott'acqua ore e ore. Cassie mi scuoteva ancora e Liliane mi guardava sconvolta.
<< Alisha! >> chiamò ancora Cassie.
<< Si >> rispose sussurrando e alzandomi traballante.
<< Ma cosa ti è successo? >>.
<< Credo... di aver avuto una visione >> risposi, rendendomene conto solo in quel momento.
Le mie due compagne di stanza si guardarono allibite. Però non capivo. Se davvero avevo avuto una visione, perché stupirsi così tanto? Anche Kristen era una veggente e non era certo l'unica dentro la scuola.
<< Ma perché reagite così? >>.
<< Non è normale la reazione che hai avuto, ecco perché >> rispose Cassie. << Al massimo alle veggenti viene un terribile mal di testa o cadono in profonda concentrazione >>.
Quindi come mi ero comportata io non era normale, assolutamente. Non ci potevo credere. Ma cosa c'era di sbagliato in me? Che cosa? Avevo forse un problema fisico?
<< Alisha io comincio a pensare che tu abbia seriamente qualcosa di diverso da noi >> disse Liliane. << Non voglio spaventarti o altro però... Il doppio potere e ora questo... Com'è possibile? >>.
Quello che diceva Liliane non lo pensava solo lei. Io non dissi nulla. Ormai ero convinta anche io di questo. Ma perché? Quale poteva essere il motivo?
<< Cosa hai visto? >> chiese Cassie all'improvviso, spezzando la tensione.
<< Io... c'era buio, un letto e una donna. Bionda. Canticchiava e sorrideva e quando ha alzato il viso sembrava quasi che mi vedesse ed è diventata aggressiva. Mi sono sentiva risucchiare e a quel punto è finita >> spiegai, rendendomi conto che nemmeno io sapevo cosa volesse dire. Ero certa di non aver mai visto quella donna in vita mia.
Le due si guardarono. << Non l'hai mai vista? >>.
<< No >>.
<< Strano. Di solito le veggenti vedono solo chi conoscono o al massimo cose che potrebbero accadergli da vicino >> spiegò Liliane.
<< Appunto. Di solito. Ma a quanto sembra io non sono il solito Different >> feci notare con una punta di tristezza nella voce.
<< Devi dirlo ad Hanja o al preside >> suggerì Cassie.
Strabuzzai gli occhi. << Dico, ma siete matte? Così finisce che davvero non mi fanno più uscire dalla mia stanza! >>.
<< E allora cosa pensi di fare? >>.
<< Per ora non diciamo nulla a nessuno, okay? >>.
<< Va bene >> acconsentirono le due ragazze, per nulla convinte. Alla fine riuscii a convincerle ad andare a letto. In un certo senso, era la prima notte che passavo fuori casa e in una giornata erano successe un sacco di cose. Tutte strane ovviamente. Ripensai ancora alle parole di Liliane: cosa potevo avere di strano? Che avessi un DNA diverso perfino dai Different? Che fossi un nuovo stadio dell'evoluzione? Ma com'era possibile se nemmeno tutti gli umani sono Different? E perché accadesse questo ci sarebbero voluti migliaia e migliaia di secoli.
Pensai che non avrei dormito ma dopo un'ora ci riuscì. Dormì pesantemente, senza sogni, fino al suono trillante di una sveglia. Le 7.30.
Sentii Cassie imprecare e Liliane farle cenno di stare zitta. Poi una botta.
<< Scusa, ma Cassie riesce sempre a cadere dal letto >> disse Liliane, scostando le coperte dal suo letto e Cassie si alzò dolorante. Io risi e scesi dal mio di letto, senza farmi male. Ci mettemmo circa tre quarti d'ora per essere pronta e io più di tutti. Cosa mai potevo mettermi? E i capelli e il trucco? Decisi per un paio di jeans e una maglia a maniche lunghe azzurra con disegni argentati. Aggiunsi al tutto capelli lisci e un trucco leggero. E ovviamente i guanti che guardai con tristezza.
Ci inoltrammo nel corridoio finché non vedemmo Kristen e Selene venirci incontro.
<< Buongiorno >> salutarono le due ragazze, guardando i miei guanti ma non chiesero nulla. Gli avrei fatto una statua per la loro delicatezza. Percorremmo insieme il corridoio e io mi feci spiegare come funzionavano esattamente le lezioni.
<< Allora, prima di tutto si svolgono tutte nello stesso corridoio. Le quattro aule sono una accanto all'altra. Durano tutte un'ora per un totale di quattro lezioni al giorno, quindi fino all'una >> spiegò Cassie.
<< Il tuo orario è dentro il libro di testo. Infatti noterai che dentro ogni tuo libro c'è l'orario all'interno. Se ne occupano i professori per fare prima >> aggiunse Liliane.
<< Poi alle tre ti rechi nell'aula per la lezione di Different >> disse Selene.
Le lezioni mattiniere non sembravano affatto pesanti. A confronto con quelle della mia che duravano anche tre ore di seguito. La noia mortale. Salutammo Selene e Kristen e andammo nella nostra aula, contrassegnata con un due nero su sfondo bianco affissò alla porta. I banchi erano ordinati e sembravano completamente nuovi. Liliane mi indicò il mio dove c'era il mio nome completo: "Alisha W. Moore".
Cassie mi accompagnò in fondo all'aula dove c'erano diversi armadietti neri e blu.
<< Sono qui perché così solo quelli della seconda possono entrare, visto che abbiamo la chiave di quest'aula. Presto la daranno anche a te >> mi spiegò davanti alla mia faccia perplessa visto che fin'ora io li avevo sempre visti in corridoio. Presi dei quaderni e dei fogli per gli appunti, insieme al libro di spagnolo della prima ora. Mi sedetti appena in tempo per veder entrare l'insegnante che riconobbi come quella che ci aveva aperto la porta la sera prima. Era bassa e rotonda con capelli castani lisci e corti uniti a un paio di occhi azzurri e labbra rosse, anche senza rossetto. Si sedette alla cattedra ed io ero curiosa di sapere quale fosse il suo potere.
Però lei non fece nulla. Io aggrottai le sopracciglia e Liliane, che era al mio fianco, ridacchiò.
<< Ricordi? Non possiamo usare i nostri poteri al di fuori del dormitori. Vale anche per i professori. Comunque lei è elettrocinetica >>.
Annuii, sorpresa. Doveva essere pericolosa quando si arrabbiava.
La donna alzò la testa. << Bene, per la nuova arrivata io sono Carmen Cortès, insegnante di spagnolo qui da dieci anni. Piacere di conoscerti >>.
Feci una cenno con la testa con un sorriso e sperai non troppo da lecchina. Lei mi sorrise e fece l'appello dopo di che prese il libro di spagnolo e chiese a tutti di aprirlo. Spiegava completamente in lingua ma io non ebbi problemi. Ero sempre stava brava nelle lingue.
L'ora passò subito e io feci per alzarmi ma Liliane mi tenne giù.
<< Ma non dobbiamo andare alla lezione successiva? >> chiesi, sorpresa.
<< No. Qui sono i professori che vengono da noi. Noi dobbiamo solo prendere il libro per la lezione successiva >>.
Io rimasi piuttosto sorpresa per una novità del genere, però non protestai minimamente. Mi alzai e vidi che avevo matematica alla seconda ora. Lì mi venne il panico, non era mai stata la mia materia preferita senza contare che non avevo basi ottime. Presi il grosso volume e lo portai al banco. Un uomo entrò dopo meno di un secondo alla velocità della luce.
<< Professore, non vale! >> si lamentò una delle compagne, scherzosamente.
Lui rise. << Si, Eileen, però ero in ritardo! >>.
Tutti risero e io compresi che doveva essere uno di quello a cui piace scherzare. E intuii anche che doveva essere iperveloce. Quel posto mi stava piacendo sempre di più e sarebbe stato perfetto se non fosse stato per quella mia piccola diversità, ovvero la doppia capacità. Avevo decisamente voglia di capire cosa avessi di così diverso dagli altri. Ma come scoprirlo?


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Capitolo 7
*** Tante domande e nessuna risposta ***


7. Tante domande e nessuna risposta

La lezione di matematica non fu terribile come temevo. Gli argomenti erano gli stessi della mia scuola e il professore era molto bravo. Senza contare il fatto che quando scriveva un'equazione alla lavagna per poi farcela copiare ci impiegava meno di un secondo usando la sua supervelocità. Alla fine della lezione di matematica, seguì quella di biologia fatta dalla Hanja ed era veramente brava. Spiegò tutto con massima accuratezza ed era impossibile che nessuno di noi non avesse capito nulla.
Alla quarta ed ultima lezione, ci fu storia. L'insegnante, il professor Edwards, entrò in classe e posò la sua borsa di pelle nera sulla cattedra fissandoci tutti. Io mi chiedevo che potere potesse avere ed ero quasi tentata di chiederlo a Liliane o a Cassie. Con mia enorme sorpresa, l'uomo estrasse un computer e un proiettore da sotto la cattedra e lo sistemò sopra il mobile. Senza che lo toccasse, quello si accese e si collegò al computer senza che la tastiera fosse sfiorata.
Liliane ridacchiò e mi si avvicinò. << È tecnopatico! >>.
<< Oh, capisco! >>.
Cavoli, doveva essere un potere incredibile. Scossi la testa. Ma che stavo pensando? Incredibile? No, no. Io dovevo tenermi i miei poteri e mi bastavano anche. Il proiettore mostrò delle immagini sul muro alle spalle dell'insegnante che raffigurava delle fotocopie.
<< Bene. Chi sa dirmi chi è la persona in questa foto? >>.
<< Cristoforo Colombo! >> rispose una ragazza in fondo all'aula.
<< Bravissima, Clare. Come tutti sapere lui scoprì l'America nel... >>.
La lezione fu piuttosto interessante. Avevo già studiato quest’argomento, però spiegato da lui era tutta un'altra cosa. Senza quasi che me ne accorsi la campanella suonò e le apparecchiature si spensero di colpo e tutti si alzarono subito. Io li imitai e andai a riporre tutte le mie cose dentro l'armadietto.
<< Allora, com'è stato il tuo primo giorno di scuola? >> chiese ridendo Cassie.
<< Bene. Mi aspettavo di peggio. Inoltre i compiti non sono nemmeno troppi >>. I compiti che ci avevano dato erano la metà di quelli che davano alla mia vecchia scuola. Ma secondo Hanja noi imparavano molto più velocemente quindi non me ne preoccupavo. Segui Cassie e Liliane per andare a pranzo nella solita aula e si unirono anche Selene e Kristen. C'erano molti studenti il che mi fece capire quanti c'è ne fossero lì dentro. Alla coda per il pranzo ci mettemmo molto per poi sederci. Justin e Alan erano già seduti e commentavano la loro lezione di lettere.
<< Ciao >> salutarono entrambi quando ci sedemmo.
<< Come va, Alisha? >> chiese Alan.
<< Bene. Insomma, la scuola mica è un problema >> risposi, stringendo i pugni avvolti nei guanti.
<< Ti hanno dato i guanti? L'avevo sentito dire >> disse Justin e io annuii triste.
Mangiai piuttosto nervosamente e intristita da quegli stupidi guanti. I miei amici chiacchieravano ma di colpo smisero. Io alzai lo sguardo, stupita di quel silenzio di tomba ma quando capii il motivo a stento tenni la bocca chiusa. Cameron era davanti al nostro tavolo con aria imbarazzata e mi guardava. Io arrossii terribilmente, congelando la forchetta e alzando i piatti di tutti. Per fortuna caddero tutti rumorosamente quando ripresi il controllo di me stessa.
<< Ciao... Senti dovrei parlarti... >> disse, passandosi una mano tra i capelli castani e fissandomi con gli occhi verde chiaro.
Risposi dopo qualche secondo. << Sì >> acconsentì. << Scusatemi >>.
<< Di nulla. Vai vai >> mi invitò Cassie, spingendomi via dalla sedia per rendere più chiaro il concetto. Cameron andò avanti, diretto in un angolo della mensa. Mi girai verso di loro e vidi che mi guardavano e Cassie aveva proiettato un cuore rosso di stoffa che congelai al mio sguardo e lei mi fece la linguaccia per poi scoppiare a ridere.
Cameron si fermò all'angolo tra gli ultimi posti vuoti e mi misi davanti a lui, piuttosto agitata. << Dimmi >>.
<< Ecco... Ho saputo... che tu sei un'assorbitrice e che sei anche telecinetica per causa mia >>.
<< Oh, no. Non devi pensare questo. Io non lo sapevo e nemmeno tu >> dissi, cercando di confortarlo, ma evidentemente non funzionò.
<< Vedo che porti i guanti >>.
<< Purtroppo. Accessorio per tutta la vita. Ora dovrò anche controllare se si abbinano ai vestiti >> dissi, cercando di spezzare il ghiaccio e il pensiero era ridicolo come non mai.
<< Bene. Volevo solo che lo sapessi. Sai com'è... non volevo che pensassi che non me ne importasse niente. In altre parole... volevo dire... intendevo... >>.
Scoppiai a ridere. << Okay, ti sei fatto capire. Grazie >>.
Lui sorrise. << Bene... Ehm... forse dovresti tornare dai tuoi amici e io dai miei >>.
<< Okay. Ci si vede >> dissi ma lui mi fermò.
<< Se per caso avresti bisogno di aiuto per padroneggiare la telecinesi... Io sono disponibile >>.
Sbaglio, o ci stava provando?
<< Certo. Io devo frequentare solo quella per i modificatori di materia visto che non c'è un corso per quelli come me... quindi... Accetto. Appena riuscirò ad ambientarmi e a padroneggiare il mio potere si. Non vorrei congelarti assolutamente >>.
<< Certo! Ovvio! Quindi quando vuoi >> disse, con gli occhi illuminati e ne rimasi incantata.
<< Okay. Ciao >> salutai, allontanandomi. A dire la verità, non avevo ancora capito cosa fosse successo. Ci aveva provato? Voleva davvero conoscermi meglio? Ed io, che ero appena uscita da una storia di due anni come una cretina avevo accettato praticamente di vederlo ancora? Ma ero deficiente? Come potevo pensare di creare qualcosa dopo la batosta di Dylan?
Quando mi sedetti al tavolo mi presi la testa fra le mani. << Sei nervosa? Lo sento >> chiese Alan, scrutandomi.
Accidenti, mi ero dimenticata che lui poteva sentirmi. << Sono un'idiota. Mi sono appena lasciata e praticamente ho accettato di vederlo ancora. La mia stupidità non ha limite >>.
<< Non dire così. Magari quello con cui stavi prima era un emerito deficiente. Quindi non quello giusto per te. Ecco perché hai già accettato l'invito di un altro: devi voltare pagina >> disse Kristen, cercando di confortarmi.
<< E se non sono ancora pronta? >>.
<< Se non fossi pronta non avresti accettato il suo invito senza pensarci due volte >> rispose Selene, annuendo sicura.
In effetti, da quando Dylan mi aveva detto che ero un mostro, l'amore per lui sembrava svanito nel nulla. Il dolore che provavo era dovuto a quelle parole dette da una persona che credevo mi amasse e poi non era stato così. Possibile che se davvero Dylan non mi amasse io non amavo lui? Ma quanto ero brava a incasinarmi la vita?
La campanella suonò senza che io riuscissi a venirne a capo. Mi feci indicare l'aula da Cassie per le lezioni anormali e m’incamminai. Quel genere di lezioni erano tenute in diversi luoghi della scuola e io presi il coraggio a due mani per entrare. Girai il pomello ed entrai. Dentro c'erano già una decina di ragazzi: tutti maschi! Ero nel più totale panico. Non volevo credere che sarei stata l'unica e sottolineo unica ragazza del corso. I ragazzi presenti si girarono e mi guardarono e lo sguardo si posò sui miei guanti color panna.
Uno biondo mi si avvicinò ed aveva l'aria di quello che può avere tutte le ragazze che vuole. << Sei quella nuova? >>.
<< Si, Alisha Moore >> risposi, cercando di essere il più gentile possibile.
<< Ah. Io sono Josh Durling. Inglese. Tu...? >>.
<< California >>.
In quel momento tre o quattro ragazze entrarono nell'aula ridacchiando e io sospirai sollevata. Approfittai del momento di distrazione del tipo per andarmene a sedere in un banco vuoto ed era fatto di uno strano materiale e non era decisamente legno. Alla fine eravamo almeno venti a seguire quel corso, ma erano molti più ragazzi. La maggior parte erano criocinetici e pirocinetici e qualche modificatore di materia. Milen entrò nell'aula portando una cassa di legno che mise sul tavolo.
<< Buon pomeriggio ragazzi. Oggi eserciteremo i vari poteri. Alisha Moore, visto che oggi è il tuo primo giorno farai esercizi più semplici. Okay? >>.
<< Va bene >> acconsentii e desiderai sparire quando tutti mi fissarono e, sopratutto, i miei guanti. Il professore posò sul banco di alcuni degli oggettini di metallo e su altri bicchieri di plastica e infine su alcuni dei contenitori con dell'acqua che sembrava bollente. Sul mio mise dell'acqua totalmente fredda, tanto che sentii il gelo attraverso i guanti.
<< Prova a congelare quest'acqua. È già fredda per cui dovrebbe essere più facile. Per i modificatori di materia voglio che trasformiate la plastica in vetro puro mentre i pirocinetici sciolgano i cubi di metallo. Avete un'ora. Poi passeremo ad una mezz'ora di esercizi e infine alla teoria. Cominciate >>.
Vidi subito facce concentrate e li imitai. Incredibilmente non ci riuscii. E non capivo perché. Insomma, anche se accidentalmente, c’ero riuscita. Adesso invece no. Ci misi tutta la concentrazione possibile ma nulla. Guardai l'orologio alla parete ed era già passata mezz'ora mentre il professore girava tra i banchi. Notai diversi bicchieri quasi divenire vetro e metalli sciolti senza contare acqua bollente già metà ghiacciata.
Di colpo, il bicchiere contenente l'acqua si ghiacciò e io sorrisi trionfante. Presi in mano il bicchiere e mi alzai. Il professore si era seduto così avevo deciso di portarglielo. Ma appena lo misi sulla cattedra tornò acqua.
<< Ma cosa...? >>.
Lui sorrise. << A volte capita. Quando il ghiaccio è troppo debole. Riprovaci. Mantieni di più la concentrazione e... >>.
Milen fu interrotto dall'ingresso di una ragazza alta e scura di carnagione. Entrò di corsa nell'aula, così di corsa che inciampò in una fenditura delle mattonelle e cadde addosso a me. La ragazza si mise seduta e si massaggiò la testa.
<< Tutto bene? >> chiese. Successe l'inevitabile. Nel tentativo di alzarsi, mise una mano sulla mia caviglia che si erano scoperta per via della caduta e io sussultai.
<< Maledizione >> mormorai, alzandomi.
Il professore si passò una mano sugli occhi e scosse la testa. << Dimmi il tuo nome >>.
La ragazza si accigliò. << Alice Potter >>.
<< Che potere hai? >>.
<< Stasi molecolare. Perché? >>.
<< Oh no >> sussurrai ancora, chiudendo gli occhi e frenando la voglia di piangere la mia sfortuna. Mi aveva toccato con la sua mano scoperta la pelle della caviglia quindi c'era stato un contatto. Adesso avevo anche il suo potere. Non potevi crederci.
<< Alice, torna in classe. Ti spiegheremo dopo >>.
Io ero rimasta in piedi in mezzo alla classe e tutti mi fissavano. Avevano capito. << Alisha. Non ti preoccupare. Non è un potere pericoloso. Stasi molecolare significare che puoi semplicemente bloccare le persone, animali. Gli essere viventi. Non è niente di terribile >>.
Immagino che avrebbe dovuto farmi sentire meglio, ma non lo fece. In poche parole adesso avevo tre poteri senza contare i due che avevo già. Era bastata una semplice caduta ed ecco il risultato. Voleva dire che non dovevo avere contatti con altri Different in tutti sensi? Certo, a parte quelli che avevo già toccato come Kristen e Cameron e adesso anche quella Alice. Bene, proprio di bene in meglio.
<< Alisha, torna al tuo posto e cerca di ghiacciare l'acqua qui dentro. Alla fine della lezione e dello studio andremo dal preside e parleremo della tua situazione >> disse Milen e annuii, prendendo il mio bicchiere e cercando di ignorare gli sguardi che avevo addosso. Alla fine, prima degli ultimi cinque minuti, ci riuscii. Una piccola soddisfazione in quel pomeriggio cominciato molto male. La successiva mezz'ora Milen spiegò ai pirocinetici che non erano riusciti del tutto nell'esercizio dove avevano sbagliato e poi chiese e due ragazze criocinetiche come me, indicate come le più brave, di mostrare come ci si difendesse con i proprio poteri. Guardai tutto a bocca aperta, troppo meravigliata per dire altro. Era un spettacolo assurdo e troppo incredibile. I colpi erano precisi tanto che presto la classe venne coperta di ghiaccio sul soffitto e alle finestre. Alla fine fu dichiarata la parità e le due ragazze si strinsero la mano, sorridendosi e, ridacchiando, tornarono al loro posto.
La lezione teorica non fu noiosa, anzi. Era molto interessante. Era quasi un misto tra biologia e chimica. In poche parole spiegava come i poteri agivano sugli oggetti e perché tutto succedeva anche come noi criocinetici riuscivamo a ghiacciare le cose. Scoprii che tutto dipendeva dall'aria attorno a noi, segno che il fuoco attorno era un gran problema visto che annullava l'aria contenente l'acqua che ci circondava. La campanella suonò e io sobbalzai troppo presa dalla lezione. Tutti gli altri non vedevano l'ora di andarsene così mi alzai cercando di dare meno nell'occhio. Si può dire che quasi corsi per arrivare nella mia stanza a parlare con Cassie e Liliane. Non appena entrai in stanza, sospirai sollevata e mi accasciai contro la porta per accorgermi troppo tardi che Cassie e Liliane mi fissavano.
<< Alisha, tutto bene? >> chiese Liliane, posando libri e altro sul letto e venendomi incontro.
<< No >> risposi secca, alzandomi e sedendomi sul letto. << Ho assorbito per sbaglio un altro potere >>.
Loro sgranarono gli occhi e mi guardarono preoccupate. << Di chi? >>.
<< Una certa Alice Potter >>.
<< La stasi molecolare. Lei è qui da due anni. Anche lei è diventata Different a tredici anni ma per lei è diverso >>.
Alzai lo sguardo tenuto abbassato fino adesso. << In che senso? >>.
<< Sua madre è una Different >> rispose Liliane. << Diversi adolescenti che vedi qui sono figli di uno o entrambi i genitori Different. Però il processo è lo stesso. Lo diventano appena scattata l'età. Ma non tutti. Ci sono casi di ragazzi che hanno entrambi i genitori Different eppure sono umani. Casi della vita >>.
<< Hai presente Cameron? Entrambi i suoi genitori sono Different >> aggiunse Cassie. << Eppure si sa che sua sorella minore è perfettamente umana visto che ha superato l'età >>.
<< È bastato che mi toccasse un secondo per prendere anche il suo. Odio questo potere. Odio la mimica empatica >> sbottai furiosa con me stessa.
<< Alisha, è stato un incidente >>.
<< Appunto. È bastata una semplice caduta per prendermi anche il suo. Basta. Sono già stanca e ci devo convivere una vita >>. Ormai era fuori di me. Ero veramente stanca di non poter toccare nessuno e loro toccare me.
Le mie due compagne di stanza si guardarono senza sapere cosa dirmi. Mi alzai e presi il libro di spagnolo per la lezione di due giorni dopo, visto che oltre questo avevo solo matematica e lo aprii, decisa a chiudere la discussione e concentrarmi su altro. Ben presto mi accorsi che quello che Hanja aveva detto aveva ragione: imparavo molto più velocemente di prima. Le dieci pagine da studiare di letteratura spagnola le studiai in meno di un'ora mentre normalmente ci avrei messo il doppio. Incredibile. Una punta di buon umore entrò dentro di me, facendomi sentire meglio. Svolsi gli esercizi di matematica con l'aiuto di Cassie, stando ben attenta a non toccarla.
Alle sette e un quarto avevo già finito mentre le altre due finirono alle sette e mezza spaccate. Subito si sentirono mormorii provenire da tutte le parti, dai corridoi e da fuori.
Io sospirai, fissando i guanti. Di colpo, la porta si aprì ed entrò Kristen.
<< È morto un altro ragazzo dell'ultimo anno! >>.
Rimanemmo sbigottite e io di più.
<< Quando? >>.
<< Stava studiando in biblioteca, era vuota. Quando gli amici sono andata ha trovarlo era senza vita >>.
Tutti ci rabbuiammo. Voleva dire che ne mancava ancora uno. Il secondo dei tre destinati a morire all'ultimo anno.
<< Ma di cosa è morto? >> chiesi.
<< Gli adulti dicono che muore perché i suoi poteri prendono il sopravvento su di lui >> rispose Liliane. << Succede da quando la scuola è stata aperta. Gli umani dicono che è colpa nostra. Che non sappiamo fare il nostro dovere e altre palle del genere >>.
<< La verità è che alcuni non sono in grado tutto qui >> disse sbrigativa Cassie.
<< Ci hanno detto di andare a cena alle otto e quarto piuttosto che alle otto. Devono rimuovere il corpo e così via >> ci avvertì Kristen, sedendosi accanto a me. Non avevo certo paura di toccarla, dopotutto avevo già il suo potere. Mi ricordai della visione avuta tempo prima e decisi di chiederle una curiosità.
<< Kristen, ma tu hai avuto qualche visione oggi? >>.
<< Uhm... Non cose importanti. Ordinarie. Perché? Tu si? >>.
Abbassai lo sguardo ma poi lo rialzai e guardai Cassie e Liliane: avevano capito dove volessi andare a parare. << Come funzionano le tue visioni? >>.
<< Vedo il futuro e le scelte delle persone che conosco >>.
<< Quindi è impossibile che io veda qualcosa di qualcuno che non conosco? >>.
<< Direi che è impossibile. Puoi vedere persone che hai conosciuto ma che non ricordi. Magari che hai conosciuto quando eri neonata per esempio >> mi spiegò Kristen e io mi accigliai e lei notò. << Hai avuto una visione che non ti spieghi? >>.
<< Si, lo ammetto >> risposi sincera. Chi meglio di una veggente come lei poteva aiutarmi?
<< Ma la cosa strana è stata la reazione che ha avuto. È crollata a terra come in preda a un forte giramento di testa >> spiegò Liliane e Kristen aggrottò le sopracciglia.
<< Però... che strano... E cosa hai visto? >>.
<< C'era una donna, bionda. Canticchiava e sembrava dentro una piccola stanza >> spiegai e Kristen si alzò e guardò Cassie.
<< Cassie credi di essere un grado di ricreare quello che ha visto Alisha? >>.
<< Certo. Non ci avevo pensato. Che sciocca >> rispose la ragazza, strizzando gli occhi e immediatamente una donna bionda senza volto apparve davanti a noi seduta sul bordo di un letto.
<< Il letto era disfatto e sporco >> specificai e lei obbedì.
<< E poi? >>.
Cercai di ricordare. << Canticchiava e il volto era dolce all'inizio, sembrava felice. Come se avesse avuto un bella notizia >>.
Cassie ricreò perfettamente ciò che avevo visto tanto che mi sembrava di rivivere nuovamente la mia visione. Aggiunsi che era dentro una stanza piccola così Cassie rimpicciolì tutto e li mise fra quattro mura. Sembrava quasi la casa di Barbie, dalle dimensioni.
<< Aveva... Mi sembra avesse occhi azzurri.. >>.
Alla fine Cassie modellò il viso come me lo ricordavo e tutte e tre trattennero il fiato alla sua vista come davanti a un mostro terribile. Io non capivo perché di quella reazione fu Kristen a parlare.
<< Alisha come la conosci? >>.
<< Ma io non l'ho mai vista in vita mia >> risposi, sicurissima.
<< Hai almeno la minima idea di chi sia? >> chiese Liliane, sconcertata che io non lo sapessi e scossi la testa.
<< È Melinda Button >> mi informò Cassie. << È la seconda assorbitrice al mondo, quella che era entrata in combutta con Charlie Dawers. Sono entrambi rinchiusi nel carcere di massima di sicurezza >>.
Guardai ancora la riproduzione perfetta di Cassie. Ero sicura di non averla mai vista in vita mia. Al cento per cento. Ma allora com'era possibile che avessi avuto una visione su di lei?
<< Io non la conosco. Non l'ho mai vista in vita mia e nemmeno l'altro >>.
<< Invece si, Alisha. Per aver avuto una visione su di lei, devi conoscerla per forza >> ribatte Kristen. << Devi dirlo al preside >>.
<< No! Assolutamente no! >> protestai. << Non voglio cacciarmi in altri guai! >>.
<< Non capisci? Se lei era felice voleva dire che insieme a quel tizio stanno organizzando qualcosa. Magari cercano di fuggire >> esclamò Kristen, alzandosi di botto, scossa.
Scuotevo la testa come per cancellare tutto. Ma cosa avevo di sbagliato? Perché io? Cosa c'ero di diverso in me? Ero stanca di tutto ciò e adesso vedevo pure i criminali senza conoscerli.
<< Forse l'hai conosciuta da bambina e neanche ti ricordi >>.
<< Come posso averla conosciuta averla conosciuta da bambina? Avete detto che era una delle prima studentesse ed deve essere rimasta qui almeno due anni e infatti fino a otto anni fa ha fatto quel che ha fatto. Impossibile direi >>.
Le tre si guardarono per nulla convinte. Io ero certa di non averla mai vista, nemmeno su un giornale o in televisione. Cosa mi stava succedendo? Volevo solo essere una "normale" Different come le altre. Come sempre nella mia vita c'è qualcosa che non andava. Tutto cominciato da quel giorno in cui avevo cominciato la prima fase. Almeno mi disperavo del fatto che non fossi normale, umana. Ma adesso mi disperavo perché non ero nemmeno normale tra i Different. Perché, maledizione?
<< Sono le otto. Forse è meglio se andiamo a cena >> propose Liliane, alzandosi. Anche Cassie e Kristen la imitarono e io le seguii in silenzio certa che non sarei riuscita a mangiare niente. Selene ci venne incontro nel corridoio e ci raccontò per filo e per segno tutta la vicenda del ragazzo. A quanto sembra, la causa erano stati proprio i suoi poteri.
<<... E quindi ne manca un altro. I ragazzi dell'ultimo anno sono molti spaventati >> concluse Selene.
<< Ci credo >> mormorò Cassie, spaventata.
<< Quando saremo all'ultimo anno dovremo temere anche noi >> aggiunse Liliane, per niente ottimista.
Giungemmo alla mensa e ogni parola era rivolta a quel povero ragazzo ora in infermeria. Il corpo sarebbe stato riportato a casa il giorno dopo dalla famiglia disperata. Ci sedemmo al tavolo e io sempre in silenzio. Justin e Alan mi videro abbattuta ma non dissero nulla, decisero di starsi zitti e mentalmente li ringraziai. Quando la cena era quasi al termine vidi Hanja correre verso di me e sospirai, posando la forchetta.
<< Alisha, vieni con me >>.
Salutai i miei amici e la seguì fino ad uscire dalla mensa ed andare nell'atrio. << Ho saputo che hai assorbito il potere di Alice Potter >>.
<< Si, purtroppo si >>.
<< Non devi preoccuparti. Ma non ti ho chiamata per questo. Bensì per una cosa: hai avuto una visione ultimamente? >>.
Sbiancai. Come faceva a saperlo?
<< Rispondi, Alisha. E sinceramente. Altrimenti ti porto da un telepate >>.
<< Si >> confessai alla fine. E tanti saluti al segreto.
<< Cosa hai visto? >>.
Raccontai tutto nel migliore dei modi e chissà perché, Hanja sbiancò e io non sapevo perché.
<< Bene, allora puoi andare. Parlerò con il preside e poi vedremo sul da farsi >> disse lei, con un sorriso stentato e forzato. Lei sapeva cosa mi stava succedendo e io dovevo scoprirlo.
<< Va bene >> acconsentii, allontanandomi.
Adesso sapevo che Hanja conosceva qualcosa e forse anche il preside. Ma come fare a scoprirlo? Quella visione era inspiegabile ed io ero senza risposte. Quando tornai in mensa vidi tutti i miei amici correre verso di me e notai grande agitazione nella mensa, come se qualcosa fosse accaduto di colpo.
<< Alisha! È successa una cosa orribile! >>.

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Capitolo 8
*** Panico ***


Chiedo scusa se non ho più postato ma il portatile si era rotto e ho dovuto aspettare che comprassero il PC nuovo. Quindi spero mi perdonerete ^^. Ecco un capitolo nuovo nuovo per voi. Buona lettura!

8. Panico

<< Cosa è successo? >> chiesi nel panico, vedendo tutti agitati.
<< Sono scappati! >> rispose Liliane, anch'essa in panico.
Li guardai con aria interrogativa. << Guardate che io non so ancora leggere nel pensiero >>.
<< Gli assorbitori! Sono scappati dal carcere di massima sicurezza uccidendo tutte le guardie. Non ne hanno risparmiata neanche una! >> mi raccontò alla fine Cassie gesticolando e io sbiancai tremendamente. Anche se ero una Different da poco, dai racconti sentiti da chi era già abbastanza grande per ricordare e capire erano state due persone terribili.
<< Come hanno fatto? >>.
<< Nessuno lo sa! Almeno noi studenti no. Scommetto quello che vuoi che gli adulti sanno tutto, sopratutto le veggenti >> rispose Selene.
Mi sedetti sulla prima sedia vuota che trovai. Ripensai alla mia visione. E se fosse stato un segno? Un presagio? Quel sorriso felice, troppo felice. Ecco cos'era la buona notizia che tanto l'aveva rallegrata: avevano scoperto come fare a scappare e io stupida non ci ero arrivata. Di colpo mi sentì in colpa con me stessa.
<< Andiamo a vedere le ultime notizie in TV! >> disse Alan correndo fuori dalla mensa a gran velocità insieme a Justin e Cassie. Io, Selene e Liliane ci muovemmo e incontrammo Kristen a metà strada. La sala di ritrovo era piena fino a scoppiare e molte persone erano agitate.
Mi bastò uno sguardo per notare che non c'è nessun adulto, segno che avevano dato nessuna notizia o raccomandazione vista l'agitazione. L'unica TV venne accesa e il primo telegiornale che venne trovato, il volume fu alzato senza neanche prendere il telecomando da un telecinetico.
La giornalista bionda con un microfono in mano se ne stava davanti al portone di un carcere. Un sacco di persone vestite da guardie carcerarie e poliziotti in divisa scura cercavano di tenere lontani i curiosi e gli altri giornalisti.
<< Siamo qui dove è successa un cosa che metterà tutto il mondo in allarme rosso. Poche ore fa sono riusciti a fuggire in poco tempo i due più feroci Different della storia.
Melinda Button una delle prime studentesse alla scuola di Different esattamente in quelle di New York. Secondo le testimonianze del preside e fondatore Jonathan Sullivan e sua moglie Charline è stata la Different più brillante sotto tutti gli aspetti che sia passata nella scuola anche negli anni successivi. Ottima studentessa, potente Different e una ragazza di buon carattere talmente brillante da aver lasciato la scuola dopo solo due anni. Dopo essere uscita. Dopo meno di un mese, entro in combutta con Charlie Dawers. Lui fu uno dei peggiori Different che la storia abbia mai avuto, il primo assorbitore che sia mai esistito. Fu proprio il suo potere ha renderlo “differente” anche tra la sua specie per la sua pericolosità sia innata che dovuta la suo potere. Dieci anni più di Melinda e in sei mesi devastarono il mondo, uccidendo moltissime persone. La fortuna volle che i Different si coalizzare e con altre vittime riuscirono a catturarli e rinchiuderlo nel carcere di massima sicurezza dove sono rimasti negli ultimi otto anni. Oggi ventiseienne mentre Charlie Dawers trentaseienne sono riusciti a scappare miracolosamente uccidendo tutte e 48 le guardie che erano a vigilare su di loro. Le autorità ancora non rilasciano alcuna intervista, lasciando nel buio più totale il resto del mondo che teme il ritorno nella coppia più terribile che si abbia mai avuto... >>.
<< Non ha detto nulla di nuovo! >> si lamentò un ragazzo, pestando il piede sul pavimento che rimbombò come se lui fosse fatto di metallo. A differenza degli altri, io pensavo che avesse detto cose utili. Io non sapevo nulla di loro. È vero, avevo otto anni quando successe tutto ciò. Era una cosa veramente strana. Io non li avevo mai sentiti nominare ne visti in faccia attraverso la televisione. Non avevo mai creduto alle coincidenze ed ora ancora di più. Io divento una Different assorbitrice a doppia capacità, ho una visione e loro scappano.
Qualcosa non andava decisamente.
<< E se venissero qui? >> domandò una ragazza a voce alta catturando l'attenzione di tutti e riconobbi una mia compagna di classe.
<< Per quale motivo? >> chiese Cameron e io quasi saltai alla sua vista. Non l'avevo proprio notato e distolsi lo sguardo da lui immediatamente.
Molte teste si voltarono nella mia direzione e io guardai fuori dalla finestra, facendo finta di non aver visto niente ma nessun distoglieva lo sguardo.
<< Ma smettetela! Figurati se due come loro hanno bisogno di una ragazza assorbitrice come loro oltretutto Different da pochi giorni! >> mi difese Selene e più della metà di loro smise di fissarmi e io mi alzai, decisa a lasciare la stanza per quella dei computer. Dovevo saperne di più su di loro. Non sapevo ancora perché, ma mio sentivo in obbligo. La sala dei PC era poco distante ed ero felice di sapere che nessuno l'avrebbe occupata poiché troppo interessati alla notizia del giorno. Come avevo pensato, era deserta. Nemmeno il responsabile della sala. Benissimo. Mi sedetti al PC ultimo modello numero 12 ed entrai in Internet, digitando il nome di Melinda Button. All'inizio non trovai nulla di utile se non articoli su articoli di giornale. Dopo una mezz'ora mi dissi che tanto non c'era niente ma ebbi fortuna. Era un sito criptato che in grazie a una conoscenza informatica di livello scolastico, giusto per dire come fosse protetto male, entrai.
<< Accipicchia >> commentai quando lessi:
“Melinda Karen Button è nata il 12 Gennaio1983 a Mesa (California) dalla coppia formata dal famoso ingegnere Carl Button e da sua moglie medico Josephine Adams. Figlia unica almeno secondo le nostre fonti dimostrò fin da bambina uno spiccato genio in tanti ambiti: sportivi, artistici, scolastici. A quattro anni aveva già letto tutti i libri per bambini e cominciato quelli per adulti e sapeva scrivere meglio di un adulto. Così i genitori decisero di farle il test del quoziente intellettivo e risultò una delle bambine più intelligenti degli ultimi cento anni. Purtroppo tutto ciò rovinò la piccola Melinda: i genitori, presi dall'entusiasmo e con grandi finanze economiche, iscrissero la piccola alla prima elementare già a cinque anni in una delle scuole più difficile che ci siano mai state nella grande città di Los Angeles, dove si trasferirono. Costretta allo studio tutti i giorni e a tutte le ore, la piccola divenne già all'età di otto anni intelligente quanto ribelle alle regole scolastiche e a quelle imposte dai genitori. I disastri combinato all'interno dell'istituto erano così tanto che smisero di contarli e la bambina non venne mai espulsa poiché troppo intelligente e con ottimi risultati. A dieci anni uscì dalla scuola elementare con tutti i premi messi in palio in quei cinque anni e con una cartella di punizione che riempiva un intero schedario. Ben presto anche alle scuole medie eccellette per la felicità dei genitori che si spense poco dopo. Nessuno sapeva il motivo, ma i genitori era diventanti sempre più spaventanti da quella bambina così intelligente da poter escogitare qualsiasi cosa. Chiunque li vedesse, notava la paura nei loro occhi spenti e quelli illuminati di Melinda quando li vedeva in quello stato. Gli amici non permisero più ai loro figli  di giocare con Melinda che ben presto divenne una ragazzina solitaria e taciturna immersa negli enormi volumi di fisica e chimica molecolare.
Una tragedia colpì la piccola. Una sera, una voce disperata e con le lacrime in sottofondo chiamò il 911. Quando i soccorsi arrivarono, la scena che si presentò era raccapricciante. I coniugi Button erano riversi sul pavimento, in una pozza di sangue con due identici coltelli appartenenti a un set posizionato originariamente nella cucina, era conficcati dentro i loro cuori con dieci coltellate a testa. Melinda Button era accanto ai genitori in lacrime e raccontò che qualcuno era entrato nella villa per derubarli, convinto che loro non ci fossero, invece li aveva trovati e uccisi mentre lei aveva cominciato a gridare attirando le attenzioni di un giardiniere che lavorava poco lontano, facendolo scappare. La bambina finì in mano ai servizi sociali che la mandarono lontano da Los Angeles, a New York, per aiutarla a dimenticare. In carcere finì un mese dopo, un uomo che aveva debiti su debiti e conosceva molto bene la famiglia Button. Gli fu data la sedia elettrica e morì un anno dopo il processo accelerato per concludere in fretta.
Melinda visse con i nonni paterni fino a sedici quando, con lo stupore di chiunque, divenne una Different. Fu mandata New York al Collegio che aveva aperto da pochi mesi. Lì divenne ancora più straordinaria. Il suo rarissimo potere l'aiutò ad assorbirne diversi riuscendo a controllarli tutti con maestria. Tanto che, dopo nemmeno due anni, il preside Sullivan la dichiarò idonea a lasciare l'istituto. Non poteva immaginare l'enorme errore in cui era incappato.
Melinda aveva ereditato tutto dai suoi genitori e dato che non aveva ormai più nessuno, torno a 18 anni a Los Angeles ad abitare nella villa di famiglia nonostante i cattivi ricordi. Secondo fonti anonime per la loro sicurezza, la faccia che Melinda presentava tutti i giorno in aula e agli insegnanti era falsa. Alcuni ricordano i terribili esperimenti fatti anche su altri Different quando acquisiva nuovi poteri e casualmente nessuno parlava. Troppa paura?
Possibile che il genio sconfinato di Melinda Button fosse tutt'altro che buono?
La risposta fu ovvia dopo poco tempo. Si innamorò perdutamente di Charlie Dawers dieci anni più di lei, uno dei peggiori Different mai esistiti. Primo assorbitore al mondo, cacciato di casa quando il padre alcolista (la madre era morta quando aveva dieci anni in un incidente d'auto a causa del padre) scoprì cos'era diventato a 15 anni. È stata la prima vittima di Charlie, dopo terribili torture durate ore. Melinda ne fu affascinata. Così tanto da mettere in meno di sei mesi in ginocchio il mondo intero con le loro atrocità. Morti e distruzioni anche di intere città. Il presidente degli Stati Uniti di allora decise di mettere un freno a tutto. Convocò un Summit mondiale segretissimo dove tutti i capi del mondo decisero sul da farsi insieme ad altri Different. Una trappola riuscì a incastrarli dopo una seguente lotta terribile con la morte di moltissimi civili e Different. Vennero imprigionati con una prigione costruita nell'unico modo per bloccare un Different: in piombo e con elettricità statica tra le sbarre. La sentenza: ergastolo. Nessuna pena di morte. La sentenza scaricò sulla giustizia americana tantissime proteste di persone che volevano la pena di morte per entrambi.
Le guardie dicono che passano le giornate come se niente fosse successo. Leggono, guardando la TV e quando si vedono (finora successo solo tre volte in otto anni) sembrano coppie come altre. Melinda continua i suoi studi, rimanendo sempre una delle menti più brillanti esistenti al mondo.
Peccato che quel genio è stato usato per cose terribili. Possibile che quella bambina che aveva fatto il test del quoziente intellettivo più di vent'anni fa fosse già allora un genio invece che incompreso già maligno?”.
Lessi tutto con occhi sgranati, incredula. Tutte quelle cose non le sapevo e avrei giurato che non molti ne fossero a conoscenza. Quella ragazza era una vera e propria arma. Una bomba a orologeria con una miccia chiamata Charlie Dawers. Le tragedie che aveva vissuto dovevano averla segnata così tanto da farla entrare in mondo decisamente malato insieme a quell'altro squilibrato. Se due così erano in giro, allora nessuno era la sicuro. I primi due assorbitori al mondo...
E se anche io, presa dalla sete di potere come loro, diventassi così? Avevano forse ragione quegli sguardi che gli altri Different mi avevano lanciato nell'aula di ritrovo?
<< Non è vero, Alisha. Tu non sei così >> mi dissi, prendendo la testa tra le man e abbassando lo sguardo.
<< È vero >> confermò una voce e io mi girai.
<< Cameron >> sussurrai, chiudendo subito la pagina Internet quasi senza pensarci, ma doveva aver già visto. << Hai visto? >>.
<< Già >> rispose. Sedendosi al computer accanto al mio, guardandomi e con un sorriso sulle labbra che mi incantò ma mi ripresi subito.
“Ricorda: sei appena uscita da una storia finita da schifo ed è impossibile che ti piaccia un altro subito. Ricorda: al massimo solo amici”.
Mi ripetevi quella cantilena come un incantesimi che potesse risolvere le cose. Cameron mi vide concentrata e ridacchiò. << Tutto bene? >>.
<< Certo.  Come mai sei qui? >>.
<< Ti ho visto un po'... come dire scossa. La notizia non ti ha fatto bene, vedendo cosa cerchi >>.
Mi morsi la lingua. Sapeva inquadrare bene le persone. << Curiosità >>.
<< So cosa stai pensando. Solo perché sei un assorbitrice come loro, non significa che devi diventare così. E poi tu non sei nemmeno simile a quei due malfattori: hai una doppia capacità >>.
Sorrisi, sorpresa di esserci riuscita. << Grazie Cameron. Non sorridevo da un po'. Mi fa bene. Grazie veramente >>.
Lui si alzò, on un altro sorriso bello da mozzare il fiato che cercai di ignorare. << Felice di esserti stato utile >> disse, sorpassandomi e andandosene per tornare indietro come se si fosse dimenticato qualcosa. Mi guardò e io arrossì.
<< Ultima cosa: tu sei anche più bella di Melinda Button >> aggiunse e io come una stupida non replicai. Lui sorrise ancora e se ne andò.
Quando sentì la porta sbattere mi detti uno schiaffo. << Perché non parlo quando serve? Perché?! >>.
Spensi il PC eliminando prima la cronologia (certo nessuna poteva sapere che potevo essere stata io ha cercare ma in quel posto mi aspettavo veramente di tutto). Corsi fuori, decisa a tornare in camera per riferire tutto a Liliane e Cassie. Quando entrai trovai anche Selene e Kristen sedute accanto a Cassie. Sentivo molte voci provenire dalle altre stanze ed ero sicura che anche nell'ala dei maschi non erano da meno. Mi sedetti accanto a Liliane, cercando di non sfiorarla nemmeno con un la caviglia del piede e raccontai di filato tutto quello che avevo letto. A ogni parola loro restavano ancora più a bocca aperta che ancora un po' la mascella cascava a terra.
<< Perché allora nessuna sapeva nulla? >> chiese Liliane.
<< I due furbi hanno cancellato tutto quello che potevano su di loro, ci scommetto quello che volete. Forse erano anche tecnopatici >> rispose Cassie, convinta.
<< D'accordo però bisogna dire che Melinda non ha avuto una bella infanzia e adolescenza. Essere un Different non aiuta e lo sappiamo tutti, qui dentro >> disse Kristen.
<< La giustifichi? >> chiesi indignata.
<< No. Certo che no. Ma se avesse avuto due genitori molto migliori e non fosse diventata una Different forse sarebbe una persona normale, con una vita da genio >> spiegò Kristen e mi rilassai.
<< Anche Charlie Dawers ha fatto la sua parte, però >> disse Selene.
<< Senza dubbio >> confermai.
<< Gli insegnati ci hanno detto qualcosa mentre tu eri in sala PC >> disse Cassie, catturando la mia attenzione.
<< Cioè? >>.
<< Di stare calmi sia per noi che per le nostre famiglie. Siamo tutti al sicuro, qui a scuola non verranno e bla bla... Tutto per non creare scompiglio e inoltre domani niente lezioni perché gli adulti devono andare in gran parte via >> mi spiegò Liliane.
 << Via? >> chiesi sorpresa.
<< Proprio così. Almeno questa è una bella notizia, non trovi? Un giorni di libertà assoluta! Forse devono consultarsi con il presidente degli stati uniti o cose così >> rispose Selene, felice per una giornata senza scuola. Ma io no. Tutto mi spaventava assolutamente. Allora era davvero un pericolo serio. Però sembrava che tra tutti gli studenti me ne preoccupassi solo io. Perché?
Forse mi sentivo in dovere per via della visione che avevo avuto e quindi dovevi farmi perdonare. Anche se non era colpa mia. Dentro di me lo sapevo ma la mia parte cattiva mi diceva che era colpa mia. Io non potevo fare nulla di utile alla fine. Anzi, forse dovevo starmene proprio fuori. Era quasi come loro a livello di poteri e nella testa di quella gente non si sa mai cosa gira, sopratutto se una di loro ha un quoziente intellettivo di chissà quanto. Magari avrebbero potuto usarmi per i loro scopi, approfittando nella mia ingenuità di Different giovane. Possibile che c'è le avessi tutte io le sfighe qui dentro?
<< Se hai fame, possiamo ancora andare a vedere se c'è qualcosa per cena >> propose Kristen ma io scossi la testa.
<< Sto bene >>.
<< A me non sembra, Alisha. Sei molto pallida e tanto spaventata. Non devi preoccuparti, andrà tutto bene >> mi rassicurò Liliane e io le sorrisi.
<< Grazie >>.
<< Comunque quelle notizie che hai letto non sono proprio esatte >> disse di colpo Cassie e io la guardai mentre le altre tre annuivano.
<< Scusa? In che senso? >>.
<< Quando Melinda Button è entrata in questa scuola che succede una cosa strana >> aggiunse Kristen.
<< È piantatela di fare le misteriose! >> esclamai, spazientita come non mai.
<< Sono cominciate le morti degli studenti dell'ultimo anno >>.




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Capitolo 9
*** Tanta paura ***


Per OscuroSignore: Grazie per avermi fatto notare tutto! Ho qualche problema con dei verbi, anche alcuni sono davvero errori di battitura! Grazie mille!
Un grazie anche a tutto quelli che la seguono e l'hanno messa tra i preferiti e le seguite!



9. Tanta paura

La note passò piuttosto insonne. La notizia datami dalle mie compagne di stanza non aveva certamente aiutato il mio umore già tetro. Niente mi toglieva dalla testa che fosse colpa mia. La mattina un pallido raggio di sole entrò nelle finestre coordinate con delle tendine bianche e ricamate. Aprì gli occhi, strizzandoli per la luce improvvisa. Cassie dormiva beata e così anche Liliane. Senza fare rumore mi alzai, presi un cambio e andai in bagno. Mi feci una doccia abbastanza lunga, forse per cancellare tutte le informazioni lette la sera prima. Uscì dalla doccia, attenta a non far rumore, mi lavai i denti e mi vestì.
<< Dove sarà la spazzola? >> mi chiesi, guardandomi attorno. Alzai lo sguardo e vidi la stretta mensola in legno a cui io però non arrivavo e sopra c'era la mia spazzola. Sbuffai e cercai di afferrarla saltellando ma quando una pila di boccette di plastica caddero a terra ci rinunciai. Mi morsi un labbro, indecisa se farlo davvero. Alla fine, lo feci per davvero. Fissai la spazzola, fissandola sempre più e concentrandomi. Quelle tremò debolmente ma io continuai lo stesso. Alla fine si alzò in volo di colpo e la presi stupida di esserci riuscita davvero. Mi pettinai e rimisi la spazzola nello stesso posto e nello stesso modo. Sospirando, mi infilai i guanti.
Quasi come una ladra, scappai fuori dalla stanza prima che ne se potessero accorgere le altre. Quando uscì dal dormitorio mi resi conto che non avevo la minima idea di dove volevo andare. La sala di ritrovo apriva dopo colazione ed era troppo presto per la colazione. Guardai fuori e notai la bella giornata e decisi di passeggiare in giardino. Quando attraversai l'atrio non sentì e non vidi nulla e nessuno. Chissà se gli adulti erano già partiti. Aprì il pesante portone e uscì all'aria aperta della mattina di primavera. Il giardino era bellissimo, molto curato.
Alberi alti e secolari erano ai lati di ogni angolo del parco che circondava la scuola. Nella aiuole c'erano tantissimi fiori colorati e particolari che io non avevo mai visto: certamente non erano specie molto comuni o comunque di quelle parti. Intorno c'era una nebbiolina bianca che rendeva tutto un po' pauroso unito al silenzio che aleggiava sul posto. Percorsi il perimetro intorno all'ala destra della scuola, senza pensare o forse cercavo proprio di non farlo. Mi sedetti su uno spuntone di pietra bianca a guardare un pezzo di terra con tanti fiori rossi e scarlatti. Dopo un po', nemmeno quelli mi distrassero più e non potei rimandare quei pensieri che sapevo mi avrebbero torturato. Melinda Button sembrava una nera ombra sulla mia nuova vita. Prima non c'era, quando ero umana. Ora si. E non capivo perché. Se davvero le veggenti vedevano solo per persone che conoscevano, come potevo io vedere lei? Ero sicura di non averla mai vista in vita mia, ero certa. O forse non ero abbastanza grande per ricordarlo. Però lei era in prigione da quando io avevo otto anni e prima era nella scuola dove ero io ora. Era impossibile. Qualcosa non quadrava.
E la visione? Se avessi parlato prima, forse lei e Charlie non sarebbero scappati e sarebbero ancora lì a giocare ai carcerati. Invece ero stata egoista e avevo solo pensato a non passare come il mostro di turno. Anche se già lo ero. Come dimenticare lo sguardo dei miei compagni nella sala di ritrovo?
Potevo solo fidarmi delle mie compagne di stanza e dei miei nuovi amici. Intanto quei due erano fuori e chissà se avevano già ucciso. Sentì diverso voci provenire da dentro l'edificio e ruppero i miei pensieri come frammenti di cristallo. Doveva già essere ora di colazione ed era meglio che tornassi dentro o le mie compagne di stanza si sarebbero spaventate nel vedere la mia assenza di prima mattina. Mi alzai titubante, tornando indietro per la stessa strada. Nell'atrio trovai diverse valige e avrei giurato che prima non ci fossero. Vidi Hanja correre verso di me con indosso il suo vestito bianco e i capelli chiari raccolti.
<< Alisha, vieni con noi >> disse soltanto, prima che io potessi dire qualsiasi cosa. La seguì in silenzio, fino alla porta del preside che riconobbi subito. Hanja bussò.
<< Avanti >> disse una voce femminile ed ero sicura che non fosse il preside. Entrammo nel grande ufficio e una donna che non avevo mai visto era in piedi accanto alla scrivania del preside. Era alta poco più di me e con corti capelli neri, lisci e fini. Era pallida di viso con occhi azzurri e dall'aria di una persona calma e ragionevole. Strinse le labbra alla mia vista.
<< Alisha, piacere di conoscerti. Io sono Charline, la moglie del preside Sullivan >>.
<< Piacere mio >> replicai senza sapere cosa altro dire.
Lei mi sorrise e mi invitò a sedermi su una delle due sedie insieme ad Hanja. Appena mi sedetti, Charline prese il posto del preside.
<< Dov'è il preside Sullivan? >> chiesi, vedendo che non c'era da nessuna parte.
<< È partito ieri sera con il primo volo. Il presidenti degli Stati Uniti lo ha voluto subito lì. Lui conosce molto bene Melinda, come me. Ma io sono dovuta rimanere in quanto vicepreside. Infatti io non partirò. Rimarrò qui con Hanja e qualche altro insegnante. Ti ho chiamata per un motivo, Alisha >>.
<< Cioè? >> chiesi, impaurita da tanta serietà in quel volto pallido e anche in quello di Hanja.
Per una frazione di secondo, Charline guardò Hanja ma tornò su di me quasi subito. Forse era convinta che io non avessi  visto nulla. Invece si. Uno sguardo prudente.
<< Mi è stato riferito che ieri nell'aula di ritrovo, durante il telegiornale, qualcuno ha insinuato che Melinda e Charlie potrebbero venire qui per te però sei stata difesa. Ho detto bene? >>.
<< Si. Però non capisco. Cosa vuol dire? >>.
<< Alisha, loro potrebbero venire qui... per te >> rispose Hanja, guardando Charline e io impallidì di colpo, come se avessi un calo di pressione terribile. Allora avevano ragione.
<< Perché? >> sussurrai. << Il motivo è derivato dai miei poteri? >>.
<< Più o meno >> rispose Charline, senza guardarmi.
<< Cosa significa “più o meno”? >> chiesi, mischiando una briciola di rabbia e frustrazione alla paura.
<< Non possiamo dirtelo. Jonathan ci ha vietato di dirtelo. Lo ha promesso >> disse Hanja, tentando di calmarmi.
<< Promessi? A chi? >>.
<< Non lo so. Non me l'ha voluto dire. Alisha, adesso cerca di calmarti. Volevamo che lo sapessi per evitare guai futuri. Credimi, è per il tuo bene >> mi assicurò Charline, ma io ero fuori di me.
Ero stata costretto a cambiare vita e specie, trasferirmi lontana da casa, lasciare la mia famiglia per qualcosa che non avevo chiesto. Ero diversa perfino dagli Different e adesso due pazzi mi davano la caccia.
Adesso basta.
<< Io non c'è la faccio più! Voglio tornare alla mia vita! Voglio tornare a casa mia! >> urlai, in preda a un attacco di rabbia alzandomi dalla sedia.
<< Se torni a casa adesso rischi di mettere in pericolo anche i tuoi familiari. Abbiamo mandato occultatori ed emulatori per evitare tragedie e proteggerli. Calmati, ora >> ordinò Charline con una voce strana, quasi affascinante e io mi sentì di colpo in pace con il mondo.
<< Cosa mi sta facendo? >>.
<< Sono una manipolatrice. Manipolo la mente delle persone a mio piacimento. Quindi vedi di non costringermi a fare di peggio >> mi raccomandò la donna, tranquilla e per nulla minacciosa.
Mi sedetti e le chiesi di uscire dalla mia testa. Obbedì e mi sentì libera, come se un peso opprimente fosse sparito dal mio cervello.
<< Ora vai dalle tue amiche e fai finta che non sia successo nulla. Credimi, non ti succederà nulla. Ora va >>.
Mi alzai e senza guardarle uscì sbattendo la porta. Non era da me comportarmi così, ma non riuscivo a farne veramente a meno. Dovevo sfogare la mia rabbia in qualche modo. Ero quasi alla sala mensa quando incastrai il guanto nel cardine della porta che si strappò, ma non ci badai tanto ero furiosa. Vidi Cassie e Liliane all'entrata della mensa e mi corsero incontro con la preoccupazione stampata sul viso.
<< Ma dove eri finita? Ci hai fatto morire di paura! >> esclamò Cassie.
<< Volevo fare una passeggiata mattutina >> dissi, dicendo una mezza verità. Non volevo dire  a nessuno ciò che mi era stato detto poco prima. Non volevo allarmare nessuno, anche se c'era il motivo.
<< Potevi lasciare un biglietto! >> mi rimproverò Liliane. Per fortuna Kristen e Selene si avvicinarono a noi e le avrei ringraziate con tutto il cuore. Ci sedemmo con Justin e Alan al solito tavolo per la colazione che io feci in silenzio, senza nemmeno sentire una parola di quello che veniva detto. Sapevo di avere tutti i loro sguardi addosso ma li ignorai completamente. Le parole di Charline e Hanja mi risuonavano nella testa in continuazione.
Che cosa voleva dire quel “più o meno”? Cosa sapeva il preside Sullivan che io non sapevo?
<< Alisha, stai bene? Non hai quasi toccato cibo >> chiese e notò Alan.
<< Si, sto bene >> mentì, facendo cadere sonoramente il cucchiaio dentro la tazza con i cereali e congelandoli all'istante e per la rabbia la spinsi via.
<< Sono cose che capitano >> mi rincuorò Justin senza successo.
Mi alzai dalla tavola. << Vado a riposare. Ho dormito poco >>.
Senza dare il tempo a nessuno di loro di dire qualcosa, corsi fuori dalla mensa per andarmene in camera sperando che le altre recepissero il messaggio e mi lasciassero sola per molto tempo. Non avevo davvero sonno o perlomeno non tanto da farmi addormentare e ritrovare la pace per qualche ora. Chiusi la porta alle mie spalle con un gesto pigro e mi gettai sul letto, a faccia in giù sul cuscino bianco.
Cosa dovevo fare? E se il giorno dopo me li ritrovavo in camera mia, pronti ad aspettarmi? E magari avrei messo pure in pericolo Cassie e Liliane e le altre. Dopo una mezz'ora caddi in un sonno agitato di strane immagini. Non erano molto chiare ma perfino nel sonno mi rendevo conto che non erano sogni ma bensì visioni distorte, come se qualcuno le disturbasse. Vedevo i contorni indefiniti di due persone, di cui una era di una giovane donna bionda. L'altro era un uomo alto e massiccio, con l'aria di uno che fa palestra. Di colpo aprì gli occhi e mi misi seduta, il respiro affannoso. Mi ero resa conto di chi erano: Melinda e Charlie. Quindi li avevo visti ancora. Solo che questa volta non erano né in prigione e né separati. E nemmeno molti chiari. Erano sfumati come disegni fatti male. Un'altra visione inspiegabile. Questa volta non potevo tenermela per me. Dovevo dirlo ad Hanja. Solo che, alla fine, cosa avevo da dirle? Di concreto, nulla.
Mi ributtai contro il cuscino, nascondendo il viso nelle mani. Sentì la porta aprirsi ma non ci badai. 
<< Alisha? >> chiamò Selene.
<< Si? >>.
<< Tutto bene? Sei sudata >>.
Mi toccai. Era vero. << Ho dormito troppo coperta >> mentì, rendendomi conto di quante bugie dicevo da quando ero lì dentro.
Selene mi sorrise, incoraggiante. << Alzati. Non ti fa bene stare qui da sola. Le altre ti stanno aspettando. Andiamo a fare una passeggiata >>.
Prima che me potessi accorgere, Selene prese la mia mano per tirarmi su. Peccato che fosse la mano con il guanto rotto ed io, nella rabbia e nel nervoso in cui affogavo, non lo avevo cambiato.
<< No Selene!>>.
Troppo tardi. Selene ritrasse la mano come se scottassi ma mi aveva già toccata. Si allontanò, quasi come se potesse riparare al danno. Inutile. Mi alzai e mi guardai le mani, diventate trasparenti.
<< Alisha, mi dispiace tantissimo! >> si scusò lei, quasi sull'orlo delle lacrime.
<< Colpa mia. Non mi sono cambiata il guanto. Mi dispiace >>.
Nonostante fossi confusa e irritata, cambiai immediatamente il guanto per evitare altri spiacevoli episodi. Selene non disse più nulla e uscì dalla stanza e la sentì correre. Io rimasi a fissarmi le mano finché non tornarono normali. Fantastico. Adesso avevo anche il potere dell'invisibilità. Perfetto. Aprì la porta della stanza con un gesto secco della mano e la richiusi nello stesso modo, sbattendola. Quel giorno stava prendendo una piega decisamente sbagliata. Camminai come un autonoma furioso fino a fuori la scuola. Le altre parlavano con Selene e alzarono lo sguardo su di me quando uscì dal portone in legno. Selene invece abbassò lo sguardo.
<< Selene ci ha detto tutto >> disse Kristen, quando mi unì a loro.
<< Non è colpa tua, Selene. Dovevo cambiarmi il guanto >>.
Niente di quello che dicevo sembrava riuscire a farle cambiare idea. Passeggiammo per un po', quasi sempre in silenzio. L'episodio successo poco prima aveva creato un velo spesso. Possibile che avessero paura di me, adesso? Che si rendessero conto che potevo essere un pericolo per tutti se avessi deciso di assorbire tutti i poteri che mi passavano per la testa?
Le nubi si addensarono nel cielo, pronte a scaricare un bel po' di pioggia. Tornammo dentro, nella sala di ritrovo. Era piena quasi quanto il giorno prima. Mi sedetti su una poltrona colorata, senza ascoltare nulla di quello che si diceva. Sentivo solo i borbottii delle parole, quasi fossero lontani da me. Solo quando una voce strillò delle parole che mi erano familiari, ricominciai ad ascoltare:
<< Nuove notizie su Melinda e Charlie! >>. Un ragazzo chiuse gli occhi e il volume della televisione si alzò di colpo.
Una giornalista era in piedi davanti a un negozio che mi sembrava di aver già visto e sapevo perché: era lo stesso dove ci eravamo fermate io e Janet una volta scese dell'aereo, arrivate a New York.
<< Poche ore fa, Melinda e Charlie, sono stati avvistati qui dove hanno ucciso il commesso e il proprietario per ragioni sconosciute. La scena che si è presentata alle autorità era a dir poco raccapricciante. Le due persone era totalmente carbonizzate forse per effetto di elettrocinesi o pirocinesi. I due hanno rubati vestiti e scarpe e nessuno sa dove si stanno dirigendo. Molte persone di larga autorità pensano che puntino al Collegio, vecchia scuola di Melinda che l'ha consacrata a genio. Attualmente, il preside e molti insegnanti sono alla Casa Bianca per discutere con il presidente degli Stati Uniti. Raccomandiamo la massima calma e di non uscire dalle proprio case. I negozi sono pregati tutti di chiudere per la loro sicurezza. Ci collegheremo nuovamente appena avremo nuove notizie >>.
Impallidì. Poche ore fa erano lontani solo un centinaio di chilometri dalla scuola. Voleva dire che potevano essere già qui. Non potevo restare lì e mettere in pericolo tutta quella gente. Mi alzai e scappai fuori dalla sala. Mi sentì chiamare a gran voce ma non ci badai. Ero quasi al dormitorio femminile quando mi sentì acchiappare per la manica della maglia. Mi girai.
<< Cameron >>.
<< Dove scappi? >>.
<< Ecco... Volevo riposare... >>.
Non ci credette. << Ero anche io in sala di ritrovo, cosa credi? Ho sentito la notizia e visto la tua faccia. Non andrai da nessuna parte. È meglio se rimani qui. Ti potranno proteggere >>.
<< Contro quei due? Stai scherzando, vero? Non ci riusciranno mai. Sono troppi forti. Dobbiamo arrenderci all'evidenza >>.
Non cedette. Era molto testardo. << Ascolta! Scappando non risolvi proprio nulla! È peggio! Vai da Hanja e Charline. Loro ti aiuteranno >>.
Annuì. Ma solo perché volevo che mi lasciasse andare. Mi dispiace mentirgli, però non volevo metterlo in pericolo in alcun modo. E, nonostante non dovevo, mi dispiace coinvolgere soprattutto lui.
Mi lasciò andare. << Attenta. Ti accompagno io da Hanja >>.
<< Okay. Vado un attimo in camera. Se non ti dispiace... >>.
<< Certo. Ci vediamo nell'atrio >>.
Fu in quell'attimo che fece una cosa che non mi aspettai. Allungò una mano e la passò sul mio viso, come una carezza. Io rimasi pietrificata e sentì il cuore scoppiarmi. Lui sorrise e uscì nel corridoio che portava all'atrio.
Io entrai dentro il dormitorio, con la mano sulla guancia, ancora troppo stupita di quel gesto. Mi ripetevo che non dovevo, ero appena uscita da una storia importante finita male. Ma lui mi piaceva. Inutile mentirsi. Non dovevo superare quel confine che stava diventando più di amicizia, troppo sottile. Entrai nella camera e non chiusi nemmeno la porta e rimasi al centro della stanza a ripensare a quei pochi secondi. Solo quando la porta si chiuse di botto, mi ridestai e girai. Ero certa di non aver usato la telecinesi per chiuderla. Quando vidi chi era stato impallidì.
<< Buongiorno, Alisha Moore >>.

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Capitolo 10
*** Non è vero ***


10. Non è vero

Ero rimasta pietrificata. Non osavo dire niente e fissavo quel volto. Rispetto alle foto viste su Internet o i telegiornali, era molto dimagrita e sciupata. Pallida. Però si vedeva sempre un bel viso, solcato in quel momento da un sorriso spaventoso quanto bello. Al suo fianco, c'era lui. Alto, con le spalle larghe: un vero e proprio armadio. I capelli corti e ricci, scuri, erano ben curati. Strano per uno che ha passato tutti gli ultimi otto anni in un carcere. Melinda avanzò di un passo e io arretrai.
<< Non ti farò del male. Promesso >> disse, come se cercasse di calmarmi.
Pensai di urlare. Qualcuno mi avrebbe sentito. Cameron non era poi così lontano. Stavo per aprire bocca quando lei disse: << Io non lo farei >>.
Deglutì. Sapeva leggere nel pensiero. In fondo, era una cosa molto ovvia. Charlie sorrise anche lui, chiudendo gli occhi castano chiaro. Poi li riaprì dopo un secondo.
<< Adesso nessuno potrà disturbarci >> disse, ancora sorridendo e Melinda annuì con gli occhi chiari pieni di dolcezza.
<< Sento che sei spaventata, ma in fondo non dovresti >>.
<< Che cosa volete da me? Io non ho niente che voi già non avete >> riuscii a dire, con il respiro a metà.
<< Sei sicura? Eppure mi risulta che oltre a essere anche tu un assorbitrice, hai un potere tuo. Criocinesi, giusto? >> domandò Melinda. Era calmissima, come se si trovasse davanti a una persona che conosceva.
<< Si >> confermai. Inutile mentire. Lo avrebbero capito subito. << Ma cosa vuol dire? Avete già sicuramente questo potere! >>.
<< È vero. Mi stupisce che proprio tu hai una doppia capacità >> continuò Melinda, scambiando uno sguardo di intesa con Charlie.
Aggrottai le sopracciglia, improvvisamente confusa. Che significava?
Lei rise insieme a Charlie. Due risate senza gioia che facevano venire i brividi lungo la schiena. << Poverina. Lei non lo sa >> disse l'uomo.
Melinda mosse un dito e la sedia della scrivania si fece avanti, sedendosi. << Tu sai la mia storia, vero? Non mentire >>.
<< Si. So che sei una delle persone più intelligenti del 21° secolo e che i tuoi sono stati uccisi da un uomo quando avevi dieci e mezzo >>.
Melinda strinse le labbra come per trattenere una risata. << Hai azzeccato solo la prima. E in parte la seconda. Non è stato quell'uomo a uccidere i miei genitori >>.
Sbiancai. No, non poteva essere vero. Era solo una bambina.
<< Oh si. Ho ucciso io i miei genitori >>.
Charlie scosse la testa, ridendo della mia espressione sconvolta. Una bambina di dieci anni e mezzo aveva ucciso in quel modo così brutale i suoi genitori. Perché?
<< Non ti avevano comprato la Barbie? >> chiesi in un atto di coraggio.
La sua faccia divertita divenne furiosa, come se nel ricordare i suoi genitori la rabbia che teneva dentro di sé venisse liberata appieno. << Cosa volevano capire i miei genitori? Volevano solo che la loro figlia li rendesse i genitori migliori del mondo. Quelli che credono che sia merito loro se la bambina era così intelligente e dotata. Quegli stupidi dei miei genitori non avevano capito niente! Non avevano compreso davvero il mio genio. No. Volevano che io diventassi una famosa ricercatrice o un medico stimato. Io volevo ben altro. E quella sera, avevano superato ogni confine. Così me li sono tolti di torno. Libera. Chi avrebbe mai creduto che una bambina come me, potesse fare una cosa simile? È stato facile recitare la parte della povera orfanella disperata! Fare pena >> concluse la ragazza, congiungendo le mani e facendo la finta disperata.
<< Sei solo un mostro. Loro volevano solo il tuo bene! >> esclamai, avanzando di un passo.
Charlie mi guardò pieno di rabbia. << Le persone che non comprendono i geni, sono solo persone limitate.  È mi stupisco che proprio tu dica una cosa simile >>.
<< Io? >>.
Melinda si calmò di colpo, guardandomi così intensamente che avevo la sensazione di bruciare. Finalmente si decise a parlare: << Ti sei mai chiesta perché mi vedi nelle tue visioni? >>.
Dissi la verità. << Si >>.
<< E cosa ti sei risposta? >> chiese Charlie, in un sogghigno.
<< Niente. Le veggenti vedono solo le persone che conoscono. Ma io non ti ho mai visto in vita mia. Ne sono sicura >>.
<< O forse eri così piccola che era impossibile che ti ricordassi di me >>.
<< Dove volete arrivare? >>  chiesi, tagliando corto. Era il momento della verità. Quel momento in cui tutto quello che si vuole sapere diventa chiaro davanti a noi. Solo che quando siamo lì, proprio in quel preciso secondo che ci separa dalla verità, quasi ci pentiamo di essere arrivati fino lì. E desideriamo tornare indietro.
Io però non potevo tornare indietro. Era troppo tardi. Anche se avessi voluto, la verità era davanti ai miei occhi, pronta per aprirsi davanti a me e farmi capire ciò che ignoravo.
Melinda guadò Charlie che annuì. Si girò di nuovo verso di me. << Tu mi hai incontrato, Alisha. Però, voglio fartelo vedere >>.
Prima che potessi dire qualcosa, la stanza davanti a me sparì. Intorno a me vedevo solo buio vorticante che lentamente prendeva forma. Sentii dei rumori, passi, voci. Di colpo, i miei piedi toccarono le piastrelle bianche di un ospedale. Mi guardi attorno, confusa. Era un illusione? Probabile. O forse ero tornata indietro nel passato? Da Melinda Button c'era da aspettarsi di tutto. Camminai, chiedendomi in che ospedale fossi. Poi lo riconobbi come quello di Los Angeles, dov'ero nata.
Vidi un medico venire verso di me e io aprì la bocca per chiedergli almeno un informazione, ma mi passò attraverso, Un orribile sensazione. Io rimasi a bocca spalancata. Ora era chiaro: nessuno mi vedeva. Ero come un fantasma. Quindi non era un illusione. Ma allora dov'ero?
Guardai fuori dalla finestra e notai un cielo terso e perfetto, così come il mare in lontananza. Sbuffai e ed entrai in una stanza che aveva l'aria di un luogo di ritrovo per i pazienti. Ero alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarmi, quando la mia attenzione fu catturata dalla TV. Un anziano signore con una benda su un occhio la guardava. Era un telegiornale. Non fu quello ad attirarmi, ma la notizia.
<< Oggi è una giornata importante per la famiglia Crew. Il sindaco di Los Angeles è diventato padre di una bellissima bambina di nome Jennifer. La famiglia è felicissima di questa nascita e... >>.
Non ascoltai il resto. Ero davvero andata indietro nel tempo? Mia madre mi raccontava spesso che io ero nata lo stesso giorno della figlia del sindaco che dirigeva la città nel 1993. Quindi eravamo al primo Maggio 1993. Il giorno che ero nata: perché?
Uscii da lì, volevo cercare mia madre. Io ero nata intorno all'una ed era mezzogiorno e mezza. Mamma doveva già essere qui con papà e nonna Sarah. Salii al terzo piano, quello della maternità. Non riconobbi nessun familiare. Impossibile.
<< Melinda! Melinda! Mi ascolti? >> esclamò una voce maschile che mi fece girare al suono di quel nome. Un uomo sulla quarantina era seduto sulle sedie di plastica verdine. Chiamava a gran voce una bambina seduta a fianco a lui. Doveva avere dieci anni e dondolava le gambe mentre leggeva un libro di astrologia fisica. Abbassò irritata l'enorme volume. Era Melinda Button. Cosa ci faceva lì?
Doveva essere per forza lei. Riconobbi gli occhi azzurri e i capelli biondi, stretti in due codette con nastrini rosa. Sembrava arrabbiata.
<< Melinda, non sei contenta? >>.
<< Di cosa? >>.
<< Come di cosa? Della bimba! >>.
<< Io non ho chiesto proprio nulla! >> urlò lei, facendo cadere il libro con un enorme tonfo sul pavimento che fece girare le altre persone in attesa. La bambina calciò il libro e uscì dalla sala. Il padre le corse dietro e io anche. Ero così vicina all'uomo da riuscire a guardarlo negli occhi. E mi turbai parecchio. I suoi occhi erano uguali ai miei. Verdi o azzurri a seconda del tempo. È pensare che per tutta la vita avevo pensato che mio padre avesse gli occhi come i miei.
<< Melinda, non devi più rispondermi così! >> la rimproverò il padre e la bambina non disse nulla. Lo guardo negli occhi, minacciosamente. Non avevo mai visto in una bambina un tale sguardo. Spaventò anche me.
Il padre arretrò e torno nella sala di attesa. Io rimasi a guardare la bambina. Guardava fuori da un ampia vetrata. Non avevo nemmeno mai visto un bambino fermo in quel modo, senza fare nulla.
La bambina voltò le spalle alla vetrata e tornò indietro anche lei. La seguì, senza neanche sapere perché. Un infermiera si avvicinò al signor Button, sorridente.
<< Sua moglie sta bene. È una bambina bellissima. Congratulazioni. Ha i suoi occhi >> si congratulò lei. L'uomo divenne di mille colori dall'emozione mentre io divenni bianca. Melinda fissava il padre e l'infermiera con uno sguardo quasi omicida. Come se camminassi dentro un sogno, seguii entrambi dentro una camera da letto dove c'era la madre di Melinda, stanchissima ma felice. Il marito la baciò e Melinda l'abbracciò freddamente. L'infermiera di prima entrò nella stanza con una coperta rosa tra le braccia, che si muoveva.
<< Ecco sua figlia >> disse, porgendo il fagotto al signor Button. Lui lo prese, con gli occhi luminosi di felicità. Io mi sporsi per vedere la neonata e caddi sulla prima sedia che trovai.
<< È stupenda. Guarda Melinda, la tua sorellina >>.
Melinda guardò la piccola per qualche secondo e poi si sedette su una sedia, composta. La madre prese la piccola in braccio, stringendola.
<< Come la chiamiamo? >>.
<< A me piace Alisha. Te l'avevo detto, ricordi? >> chiese la moglie, continuando a dondolare la bambina che emetteva versi buffi.
<< Vada per Alisha. Alisha Withney Button >> concordò il marito. << Ti piacciono questi nomi? >> chiese, rivolto alla figlia maggiore.
<< Per niente. A me, lei, non mi piace. Non la voglio in casa >>.
Io scuotevo la testa, incapace anche solo di respirare. Era solo un sogno, un incubo. Un illusione creata da lei.
La stanza, le due persone, la neonata e la piccola Melinda sparirono. Di nuovo il buio e il turbinio. E poi le pareti della stanza che dividevo con Cassie e Liliane. Ero di nuovo in piedi.
<< Cronocinesi. Utile, vero? Per viaggiare nel tempo, intendo >> disse Melinda.
Io non dissi nulla. << Non è vero. Stai cercando di confondermi >>.
<< No, no. Quello che hai visto è tutto vero. Sei mia sorella minore, Alisha >>.
<< Impossibile >> dissi con tutta la forza che avevo. << Non mi possono aver adottata. I miei genitori me lo avrebbero detto >>.
<< Quelli non sono i tuoi veri genitori. Sono i tuoi genitori adottivi. Ti chiederai perché >>.
<< Stai mentendo >>.
<< Oh no. Vedi, quando tu sei nata, i miei avevano capito che io ero una bambina un po' ambigua. Sapevano che se avessi potuto, ti avrei fatto del male. Avevano fiutato il pericolo che c'era in me. Così ti dettero in adozione solo un mese dopo. Per salvarti. Infatti loro sono morti un altro mese dopo ancora. Se tu fossi stata in quella casa, saresti morta. Credimi >>.
Charlie emise un verso di soddisfazione.
<< Non è vero! >>.
<< Invece si. E se proprio vuoi saperlo, il preside l'ha sempre saputo che io avevo una sorella minore. Mettiamola così: sospettava che io non ero la brava e piccola orfanella che presentavo tutti i giorni per due anni consecutivi in questo posto. Ha distrutto tutti i documenti che testimoniavano la tua esistenza come mia sorella. I nostri genitori avevano fatto in modo che nessuno sapesse della tua esistenza. Così sei cresciuta serenamente con la famiglia Moore. Ovviamente quei due stolti non potevano immaginare che io potessi diventare una Different. Invece è successo. Vedi, spesso sono anche i fratelli minori degli altri Different a diventarlo e guarda caso tu sei una di noi >>.
<< E non sai che piacere è stato scoprire che anche tu eri un assorbitrice. Anzi, con due capacità. Una piacevole sorpresa. Ecco perché siamo scappati. Volevamo conoscerti e Melinda ci teneva tantissimo a rivederti >> concluse Charlie, con un falso tono smielato.
Ormai le lacrime avevano cominciato a solcare il mio volto, ancor prima che finissero di parlare. I miei genitori mi avevano sempre mentito. Non ero figlia loro e Serenity non era mia sorella. Non lo era mai stata. Il preside sapeva cosa io sarei diventata eppure non aveva mai detto nulla. Mi sentivo tradita da tutti. Cresciuta in una massa di bugie e nient'altro. Melinda rise.
<< Mi dispiace. Credimi. In fondo siamo sorelle, no? >>.
<< Tu non se mia sorella! Non lo sei mai stata. Mi hai sempre odiata. Che c'è, ti dava fastidio che l'attenzione dei tuoi genitori non fosse più su di te? >>.
Il suo volto si contrasse, diventando orribile. << Attenzione?! Io non ho mai voluto la loro attenzione! Odiavo che tu potessi essere come me. Qualcuno intelligente come me. Per fortuna, questo non è successo. Ma poi sei diventata una Different. Mi hai superata. Hai una doppia capacità. È questo non mi sta affatto bene >>.
<< Che cosa  vuoi da me? Io non capisco. Cosa ho io che tu non hai? >>.
<< Vedi Alisha, forse tu non lo sai, ma se un altro assorbitore mi tocca potrebbe prendersi i miei poteri. Di norma ci limitiamo a “copiare” i poteri degli altri Different ma se è un altro assorbitore ha toccarci li annulla tutti. Quindi tu puoi essere un arma pericolosa per noi. Troppo. Dopo che ti avremo ucciso, non solo elimineremo l'ultimo ostacolo, riusciremo anche a consolidare i nostri poteri dentro di noi. Così, se in futuro esistesse un altro assorbitore, non potrebbe rubarceli >>.
<< Ci dispiace che debba finire così >> disse Charlie.
Io ero pietrificata. Cosa potevo fare? Passai in rassegna tutti i poteri che avevo. La stasi molecolare poteva aiutarmi, ma non l'avevo mai usata. La preveggenza non mi ero utile per nulla. La telecinesi e la criocinesi si. Ma ero sicura che loro possedessero poteri inimmaginabili. Senza contare che leggevano nel pensiero.
Melinda alzò una mano e apparve un pugnale dal nulla. Io non mi mossi di un millimetro. Sentivo il cuore scoppiarmi dalla paura.
Erano secondi terribili. Chissà se ci si sente così poco prima di morire. Chiusi gli occhi, rassegnata all'evidenza. Sentì il pugnale sferzare l'aria però io non sentii dolore. Aprì li occhi e vidi il pugnale a terra. Alzai lo sguardo alla porta e vidi Cameron con il preside Sullivan e altri adulti.
<< Melinda >> sussurrò il preside.
<< Jonathan. Sei invecchiato >>.
<< Alisha >> chiamò Cameron ma io non mi mossi.
<< Lasciala andare. Te lo ordino >> disse Charline senza nessun effetto.
<< Melinda, andiamocene >> disse Charlie, prendendole una mano. Si girò verso di me.
<< Ci rivedremo, sorellina >>.
Sparirono. Io caddi a terra e cominciai a piangere. Sentì le braccia di Cameron tirarmi su e abbracciarmi.
<< Jonathan, voglio una spiegazione >> disse Hanja con fermezza.
Il preside contrasse la mascella. << Andiamo nel mio studio. Alisha vieni con noi >>.
<< Voglio venire con lei >> disse Cameron, con un tono che non ammetteva obbiezioni.
Il preside lo guardò. << Va bene >>.
<< Veniamo anche noi! >> strillò Liliane, nel suo accento francese ottenendo l'appoggio di tutti gli altri nostri amici.
<< Adesso basta! >> esclamò il preside.
<< Non fare il difficile >> disse la moglie, annuendo agli altri che esultarono.
Io stetti zitta e camminai per il corridoio e quasi senza accorgermene mi ritrovai davanti alla porta dell'ufficio del  preside.
Mi fecero sedere su un divanetto, portandomi dell'acqua nel tentativo di calmarmi. Il bicchiere tremava tra le mie mani, senza che io potessi fermarlo. A un certo punto l'acqua si congelò addirittura. Posai il bicchiere e ricominciai a piangere. Sentii le mani di Liliane stringere le mie, cercando di consolarmi.
<< Alisha, forse dobbiamo parlare >> cominciò il preside Sullivan.
<< Parlare? Jonathan, cosa sta succedendo? Cosa vogliono quei due da Alisha? >> chiese ad alta voce Hanja.
Il preside guardò tutti i presenti uno per uno prima di rispondere. << Alisha è la sorella minore di Melinda Button >>.
La notizia mozzò il respiro a tutti.
<< Sorella? È figlia unica >> disse scettica Charline.
<< No. È nata quando lei aveva dieci anni. I coniugi Button furono costretti ad allontanarla meno di un mese dopo per via della figlia maggiore. Melinda vedeva in Alisha un pericolo. Il perché, lo sa solo lei >>.
<< Come hai potuto non dircelo in tutto questi anni? >> domandò Hanja, turbata.
<< Ho sbagliato e me ne rendo conto solo adesso. Ho sempre pensato che Melinda non fosse la brava ragazza che tanto diceva di essere. Mi sento in colpa >>.
Cassie lo interruppe. << D'accordo. È sua sorella. Cosa vuole da lei? Dubito che il motivo per cui è scappata era per fare una bella visitina di riconciliazione >>.
<< Pensi bene >> dissi finalmente, con gli sguardi puntati su di me di colpo. << Voleva uccidermi >>.
<< Ucciderti? Per quale motivo? >> chiese Cameron, sconvolto.
<< A quanto ho capito essendo l'unica assorbitrice buona io posso annullare tutti i loro poteri e una volta che mi avranno uccisa, grazie alla mia doppia capacità, in qualche modo riusciranno a bloccare per sempre i poteri dentro di loro. Così facendo se mai in futuro si presentasse un altro assorbitore non potrebbe fare nulla >>.
<< È davvero possibile una cosa simile? >> chiese Alan.
<< Temo di si. Melinda sarà anche una criminale ma è anche una delle persone più intelligenti di questo mondo. Dubito che possa sbagliare >> confermò il preside, affranto.
Kristen si sedette al mio fianco. << Alisha, sei l'unica che può fermare quei due. Devi eliminare i loro poteri. Ma ora come ora non ci riusciresti >>.
<< Che vuoi dire? >>.
<< Devi assorbire altri poteri. È necessario >> concluse Hanja.
Non capivo dove volessero arrivare. << Aspettate, cosa volete dire? >>.
<< Melinda non si arrenderà. E nemmeno Charlie. Devi essere pronta per quando loro torneranno a cercarti >>.
<< Ma anche se io eliminassi tutti i poteri, potrebbero assorbirli di nuovo! >>.
Il preside guardò la moglie e poi Hanja. Io capii.
<< A meno che non muoiano >>.
<< Esatto. Ovviamente non lo farai tu. Potremo organizzare un attacco a sorpresa ma solo quando tu sarai pronta >> mi assicurò Hanja.
<< Devo tornare alla Casa Bianca >> disse il preside.
<< Non adesso. Solo quando Alisha sarà pronta >> protestò la moglie e il marito non osò obbiettare a quel tono di voce.
Nessuna mi chiedeva se mi andasse bene o no. Nessuno chiedeva a me, se volevo o no. Tutto deciso senza di me. Logico.
<< Hai ragione Alisha. Non hai scelta >> disse il preside, leggendo i miei pensieri e io sbuffai. Violava la mia privacy.
<< Credo che abbia bisogno di un buon sonno >> disse Selene, vedendo che non vedevo l'ora di andarmene da lì.
<< Si. Puoi andare. Ne riparleremo più tardi >>.
Tutti i giovani si diressero alla porta uscendo dall'ufficio. Io era al fianco di Cassie e Liliane mentre Cameron era davanti a me. Nell'atrio ci fermammo e ci guardammo.
<< Ti aiuteremo. Davvero. Andrà tutto bene >> mi assicurò Justin.
<< Grazie >>.
Cassie guardò Cameron, che mi fissava. << Ti aspettiamo in camera. Andiamo >>.
In pochi secondi, rimanemmo da soli a guardarci. Cameron rimase un po' spiazzato.
<< Mi dispiace molto. Quando ho visto che non venivi ho capito che c'era qualcosa che non andava. Sono salito fino alla porta del dormitorio femminile e ho visto che era chiusa. Impossibile. Qui non le chiudono mai. Ho allertato tutti e per fortuna il preside era appena tornato >>.
<< Se non fosse stato per te, sarei morta. Grazie >>.
<< Di nulla. Ho fatto il mio dovere di cavaliere >>.
Sorrisi. Meravigliandomi. << Comunque è stato un bel gesto >>.
<< Un gesto che rifarei mille volte >> disse lui, lasciandomi di stucco. << Ehm... credo che tu sia stanca e le tue amiche muoiono dalla voglia di consolarti. Quindi vai. Ci vediamo >>.
<< Va bene. Ciao >>. Lo salutai ed entrai dentro il corridoio che portava al dormitorio. Quando fui davanti alla porta della stanza, non avevo il coraggio di entrare. Il pensiero di Melinda mi spaventava.
<< Stupida >> mi dissi e abbassai la maniglia dorata, entrando nella camera.

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Capitolo 11
*** Chiarimenti ***


11. Chiarimenti

Il resto della giornata fu una di quei giorni che quando li ricordi sembra di vederli dietro un vetro appannato. Gesti meccanici e parole identiche. Solo questo. Non so come, ma riuscì a dormire con la speranza di rimanerci per sempre. Ovviamente non fui accontentata. Quando aprì gli occhi il sole era alto e mi alzai di botto, ricordandomi delle lezioni ma stranamente vidi le mie due compagne di stanza addormentate. Corrugai la  fronte e guardai la sveglia: le undici del mattino. Mi alzai e scossi lievemente Liliane.
<< Perché non siamo a lezione?>> chiesi, quando lei uscì un po' dal sonno.
<< Non ci sono. Sono quasi tutti fuori >> rispose lei, stropicciandosi gli occhi. << Sai per... >>.
Non finì la frase con quel nome, sicuramente per non urtare i miei sentimenti. Ne fui felice: non volevo saperne mai più anche se sapevo che mi era impossibile.
Sentì bussare alla porta e Cassie si svegliò di soprassalto, cadendo dal letto con un gran botto. La porta si aprì ed entrò una donna che ero sicura di non aver mai visto. Aveva lunghi e lisci capelli rossicci e un viso bianco come il latte. Gli occhi erano verdi e luminosi, molto bella. Doveva avere tra i venticinque e i trent'anni. Mi sorrise e inclinò leggermente la testa.
<< Non abbiamo ancora avuto occasione di conoscerci. Io sono Caroline Cox, insegnante dell'ultimo anno di  storia e letteratura >>.
<< Piacere mio >> balbettai come una stupida incapace di dire altro.
<< Sono rimasta qui con altri pochi insegnanti tra cui la vicepreside. Ci prenderemo cura della scuola e staremo attenti che non ti succeda nulla. Sei al sicuro >>.
Si, per quanto?
Ovviamente non dissi la domanda a voce e sperai che lei non leggesse nel pensiero come il preside. La donna entrò nella stanza e chiuse la porta. Liliane e Cassie erano ormai ben sveglie.
<< Ragazze la colazione è servita anche se l'orario non è proprio consono. Alisha, per te c'è una sorpresa >>.
<< Una sorpresa? >> chiese, confusa.
<< Si. Vestiti e vieni in sala professori. Se vuoi, porta anche le tue amiche >>.
Annuii e lei uscì dalla stanza, con grazia. Chissà qual era il suo potere. Essere bellissima?
<< È bravissima. Dicono che sia la migliore di tutti. Tra due anni sarà la nostra insegnante >> mi informò Cassie mentre prendevamo le nostre cose per il cambio.
<< Che cosa sa fare? >>.
<< È pirocinetica. Anche lei ha studiato qui. Sua madre è una famosa Different che si è battuta per i nostri diritti quando ancora eravamo molti temuti >> mi spiegò Liliane.
Ci cambiammo in fretta e incontrammo Selene e Kristen all'ingresso del dormitorio femminile e poco dopo Justin e Alan si unirono a noi. Decidemmo di andare in sala professori senza passare prima in mensa: io ero troppo curiosa e gli altri non erano da meno. Non aveva avuto nessuna visione e la cosa mi sembrava alquanto strana. Incontrai Cameron nell'atrio che mi salutò e io ricambiai con un sorriso. Mi era troppo facile sorridere quando c'era lui. Troppo.
Giunti davanti alla porta, non so perché ma volevo retrocedere.  Alan aggrottò le sopracciglia.
<< Cosa senti? >> gli chiesi.
<< Sento animi inquieti e felici allo stesso tempo. Non è una bella sensazione >> rispose, un po' contrariato a quelle sensazioni che non gli piacevano.
Abbassai la maniglia dorata della porta e lentamente l'aprì. Vidi il viso di Hanja e Caroline. Quello della vicepreside Charline e qualche altro insegnante. Ma in un angolo dei volti che credevo di non rivedere per chissà quanto tempo. Mia madre, mio padre, Serenity e Janet.
Rimasi senza fiato e tutti  guardavano prima me e poi la mia famiglia. Janet mi corse incontro e mi abbracciò stretta, versando qualche lacrima. Io la strinsi forte, piangendo. Sentii dietro di me anche le mie amiche tirare sul con il naso, commosse. Perfino Cassie.
Mia madre mi abbracciò così come mio padre. Serenity mi saltò in braccio con un urlo di felicità. Dopo diverso tempo di abbracci e baci, chiesi una spiegazione.
<< Ma cosa ci fate qui? >>.
<< Ci hanno chiamato dicendoci che avevi bisogno di aiuto. Così abbiamo preparato i bagagli e un certo Safiy o come si pronuncia ci ha portato qui. Janet ha insistito moltissimo e non hanno potuto dirle di no >> spiegò mia madre e l'abbracciai ancora. Poi mi ricordai. Non erano i miei veri genitori e Serenity non era mia sorella. Non biologicamente. Non importava nulla del DNA. Robert e Alice erano i miei genitori e Serenity la mia sorellina.
Ci sedemmo tutti, chi sui molti divani o sedie. Io non avevo occhi che per loro e notavo come i miei amici sorridevano nel vedermi felice e serena, almeno per adesso. Si, perché per adesso non volevo assolutamente pensare a lei e a lui.
<< Sono così felice. Quante rimarrete? >>.
<< Janet ha la scuola anche se non gliene importa niente. Tre giorni >> rispose mia madre.
<< Questo posto è così strano! Però mi piace! >> esclamò Serenity, in braccio a me e guardando i miei amici che le sorridevano.
Io strinsi le labbra. Era arrivato il momento di parlare con loro. Con delicatezza feci scendere Serenity dalle mie ginocchia. << Potreste uscire tutti? Vorrei parlare da sola con i miei genitori >>.
<< Certo >> acconsentì Charline. Guardai Serenity.
<< Adesso devo parlare un po' con mamma e papà. Vai con i miei amici. Ti faranno vedere un sacco di cose belle >>.
Cassie allungò una mano a Serenity. << Hai mai visto un vero cucciolo di orso bianco? >>.
<< No >> rispose Serenity, dandole la mano.
<< Vedrai: sono dolcissimi >> le assicurò Cassie, chiudendo la porta e facendomi l'occhiolino. Guardai i miei genitori, un po' spaventati dalla prospettiva di un cucciolo di orso bianco.
<< Non le succederà nulla. Cassie sa quello che fa >>.
<< Senza dubbio è un posto insolito >> disse mamma, guardandosi attorno.
Mi torturavo le dita, e mi facevamo un male cane. Così decisi di smettere. Li guardai dritti negli occhi e cominciai a parlare:
<< Mamma, papà... Ho incontrato una persona... >>.
<< Chi, tesoro? >> chiese papà con un sorriso.
<< Melinda Button >> risposi e il nome fu come una bomba. Il sorriso svanì da entrambi e i loro occhi si spensero. Quanto a me, non avevo mai provato tanto dolore nei confronti dei miei. Vederli così mi faceva male, molto male.
Mia madre strinse la mano di mio padre e qualche lacrima uscì dai suoi occhi. << Te l'avremo detto a diciotto anni. Alisha, credici non abbiamo mai voluto mentirti >> disse mia madre, sembrava dovesse scusarsi.
<< Allora avete sempre saputo che Melinda era mia sorella >>.
<< Si. Vedi Alisha... Quando ci siamo sposati abbiamo cercato in tutti i modi di avere un bambino. Dopo molti tentativi il medico di assicurò che non saremo mai riusciti ad avere figli. Fu un colpo durissimo per tutti e due. Non ci volevamo però rassegnare. Perciò facemmo domanda per l'adozione. Dopo due mesi ci dissero che c'era una bambina che aveva bisogno di una famiglia perché i genitori non potevano tenerla. Ci dissero anche che la piccola non doveva sapere di avere una sorella molto più grande di lei, per nessuna ragione al mondo >>.
Mia madre si interruppe, non c'è la faceva più. Mio padre prese la parola: << Non vollero dirci i motivi e non ci importava. Ci sembrava una cosa così piccola in confronto a una gioia grande quanto quello di avere una figlia. Sei entrata nella nostra vita e ti abbiamo accolto. Gli anni passavano e venimmo a sapere dell'orribile fine dei tuoi genitori naturali e di tua sorella, finita in mano ai servizi sociali e poi ai vostri nonni biologici. Non potevamo immaginare cosa sarebbe diventata... >>.
<< Fermi un attimo >> disse, interrompendo il racconto con una mano alzata. << Quindi avete sempre pensato che io potessi diventare una Different. Sapevate che c'era una possibilità >>.
Si guardarono. << Quando Melinda è diventata una Different parlammo con tuo zio Jesse per sapere se c'erano eventualità future di un tuo possibile cambiamento. Tuo zio è un medico e sapeva la tua storia. Lui fu sincero: ci spiegò come spesso i fratelli minori di altri Different poteva divenire a loro volta Different >>.
Di colpo, molte cose ebbero senso. Capii perché ogni anno, da quando avevo tredici anni, mia madre mi faceva fare analisi del sangue ogni sei mesi. Volevamo controllare se il cambiamento era in atto. Il perché a ogni mia influenza, zio Jesse mi controllava fin troppo accuratamente. E la disperazione di mia madre quando aveva scoperto cosa stavo per diventare.
Lo sapevano. Avevano sempre saputo che io avevo una possibilità molto alta di essere una Different. E non mi avevamo mai detto nulla.
<< Ci siamo rassegnati. Anche se le reazioni che abbiamo avuto non sembravano affatto di rassegnazione >> aggiunse mio padre, scuotendo la testa.
Mia madre proseguì: << Poi Melinda è diventata quel è. Ci siamo spaventati moltissimo. Avevamo paura che potesse venire a cercarti anche se eri solo una bambina umana. Per fortuna, non lo ha mai fatto. Abbiamo evitato che tu sentissi qualsiasi notizia su di lei: telegiornali, giornali, computer o da persone estranee >>.
Ecco perché non ricordavo di aver mai sentito il suo nome! In effetti non l'avevo davvero mai sentito fino a quando non sono venuta in questa scuola. I miei genitori avevano cercato di proteggermi, ma i loro sforzi erano stati resi vani dal momento che ero diventata una Different.
<< Sei diventata una Different con una doppia capacità. Abbiamo parlato telefonicamente con il preside e ci ha spiegato che non correvi pericoli. Eri solo speciale. Fino a quando Melinda non è scappata con quell'altro >>.
<< Abbiamo cercato solo di proteggerti >> sussurrò mia madre, prendendomi una mano. << Non volevamo mentirti in tutto questo tempo. Ti abbiamo cresciuta in questi sedici anni come se fossi davvero nostra figlia anche se non abbiamo nulla in comune geneticamente. Spero che tu ci consideri ancora i tuoi genitori >>.
Scossi la testa, incredula da una tale ipotesi. << Tu sei mia madre. Non mi avrai mai messa al mondo, ma mi  hai cresciuta. Siete voi quelli che mi hanno vista camminare per la prima volta, quando ho detto la mia prima parola, il mio primo giorno eravate voi lì ad asciugare le mie lacrime... Siete voi i miei veri genitori. Melinda Button non è mia sorella. Non lo è mai stata. Serenity Moore è mia sorella >>.
Ci abbracciammo tutti e tre. Almeno una cosa della mia vita si era aggiustata. Ora dovevo dire la verità a Janet, sempre che non sapesse già qualcosa. Sciogliemmo l'abbraccio dopo diversi minuti.
<< Ora è meglio che vada un po' da Janet o rischia di accusarmi che la trascuro >> dissi , alzandomi e asciugandomi gli occhi lucidi. I miei genitori mi imitarono e si diressero verso la porta. Quando l'aprirono, era tutti in attesa di noi tre.
<< Potreste occuparvi dei miei mentre passo un po' di tempo con Janet? Vorrei farle vedere la scuola >>.
<< Come vuoi. Venite, signori Moore >> disse Hanja, facendogli un cenno. Loro si girarono e mi sorrisero. Guardai i miei amici e Liliane si alzò ad abbracciarmi. << Stai bene? >>.
<< Si >> confermai. Era vero. Rispetto alla sera prima mi sentivo molto meglio, con il morale più alto. Ma non potevo negare quella ombra che era su di me dal nome Melinda Button.
<< Dov'è Serenity? >>.
<< Con Cassie. È impazzita per gli orsacchiotti polari >> rispose Justin.
<< E Cassie è impazzita per tua sorella! >> esclamò Selene, trattenendosi dal ridere.
<< Per chi sarei impazzita io? >> chiese con tono da finta minaccia Cassie, mano nella mano con Serenity. Lei la lasciò e mi venne incontro, saltandomi in braccio.
<< Ti sei divertita? >>.
<< Si! Sono davvero bellissimi! >> rispose, riferendosi ai cuccioli.
Janet mi si avvicinò. << Mi porti a vedere questo posto? Sembra interessante. I tuoi nuovi amici mi piacciono tanto >> disse, indicandoli.
<< Certo. Vieni >> dissi, cominciando a camminare seguita dagli altri. Percorremmo il lungo corridoio fino a sbucare all'atrio dove c'era la solita segretaria che si sdoppiava. Feci scendere Serenity per camminare e farla camminare da sola e anche perché per avere cinque anni non era certo una piuma. Eravamo quasi arrivati alla sala di ritrovo quando mi scontrai con Cameron.
<< Scusa. Ero distratta >>.
<< Non fa nulla. Chi è questa bellissima bambina? >> chiese, abbassandosi davanti a mia sorella e sorrisi per quel complimento.
<< Ciao >> lo salutò Serenity, un po' timida.
<< È mia sorella. Si chiama Serenity >>.
<< Piacere di conoscerti. Io sono Cameron >>.
<< Sei il ragazzo di Alisha? >>.
Cameron sorrise imbarazzato e gli altri ridacchiarono dietro di me. Io mi girai e li fulminai con lo sguardo. Janet mi guardava con le braccia incrociate e con il tipico sguardo “Devi dirmi qualcosa?”.
<< Un amico >> riparò Cameron, vedendomi molto imbarazzata.
<< Che peccato! Mi piacerebbe che diventassi il suo ragazzo! Sei tanto carino! >>.
<< Serenity >> sussurrai, scuotendola per un braccio. << Scusala. Sai, i bambini >>.
<< I bambini sono la voce della verità >> disse lui, rimettendosi in piedi. << Devo andare a studiare. Ci vediamo Alisha. Ricordi? Devo ancora darti quelle lezioni >>.
Si allontanò e io strattonai mia sorella. << Ma di chi hai preso? >>. Gli altri erano morti di risate dietro di me e Janet non si era mossa di un millimetro.
<< Aspetto ancora >>.
<< Ti spiegherò tutto nella sala di ritrovo. Andiamo >>. Finalmente riuscimmo a entrare nella sala e a trovare un angolo vuoto con dei divani. Era piena solo a metà e diversi studenti usavano i loro poteri, ma con cautela. Tutti guardarono nella nostra direzione e alcuni mi indicavano. Ciò voleva dire che lo sapevano tutti che Melinda e il suo fidanzato era entrati in camera mia per uccidermi. Cercai di ignorarli.
Janet era così impaziente che batteva il piedi per terra. << Guarda che se non parli tu, lo chiedo a loro >> minacciò, indicando tutti i miei amici che ancora ridacchiavano per la figuraccia, regalo della mia “adorabile” sorella minore.
<< Si, lo voglio sapere pure io! >> esclamò Serenity, saltando sul divano fino a quando non la bloccai.
<< Guarda che ti congelo quella lingua! >> la minaccia ma lei rise.
<< Uffa! >> sbuffò Janet.
<< Okay, okay! >> dissi, cercando di calmarla. Sapevo che anche gli morivano dalla voglia di sapere altri dettagli, anche se non erano un gran che. << Si chiama Cameron, studia al college >>.
<< E poi? >> chiese Janet, incitandomi a continuare.
<< Si, e poi? >> le diede man forte Kristen.
<< È un bel ragazzo e credo che sia interessato a me. Ma non ne sono sicura >>.
<< Di che lezioni parlava? >> chiese maliziosamente Janet e io le tirai il cuscino in faccia da un divano dall'altra parte della stanza e la sentì ridere.
<< Ho assorbito il suo potere. La telecinesi. Parlava di quel genere di lezioni. Non come pensi tu >> spiegai e gli altri risero. Serenity sembrava piuttosto confusa.
<< Perché? Che genere di lezioni intendeva Janet? >> chiese la bambina, con la testa leggermente inclinata a destra.
Cassie le indicò un angolo della stanza. << Guarda: un fiore che parla >>. Gli occhi di Serenity si illuminarono e corse nell'angolo dove c'era davvero un fiore rosso e blu che parlava. Ne rimase incantata e non si staccò più.
<< Ti ha baciata? >> chiese morta di curiosità Janet.
<< Già. Ti ha baciata? >> chiese anche Alan.
<< Mio Dio! Siete peggio di un branco di vecchiette pettegole! Comunque no. Ci conosciamo da quanto... tre giorni? >>.
<< Perché non provi a frequentarlo? >> chiese Liliane.
Scossi la testa. Sentivo come un blocco dentro di me quando si trattava di quest'argomento. La storia finita male con Dylan mi dava la sensazione di dover lasciar trascorrere un po' di tempo come un lutto. Quasi in colpa.
<< È per Dylan? >> chiese Janet. << Perché se è per lui, sappi che non te ne deve fregare proprio nulla. Lui, per te, non esiste più >>.
<< Se è per quello stronzo del tuo ex, volta pagina! >> concordò con Janet, Cassie.
Risi. << Grazie. Siete devi veri amici. Una delle poche cose buone della mia vita. Ultimamente >>.
Il tono con cui lo dissi era triste. Janet ne se accorse mi sorrise. << Ehi. Andrà tutto bene. Sei speciale, Alisha. E le persone speciali finiscono sempre bene >>.
<< Anche Melinda era speciale eppure... guarda cosa è diventata adesso. Un mostro >>.
<< Tu non sarai così >> disse Justin. << Tu non hai niente a che fare con lei. Non è il DNA che determina rapporti come fra sorelle >>.
Janet guardò prima Justin e poi me. << Scusa? >>.
Tutti abbassarono lo sguardo e Justin arrossì. << Pensavo che lei lo sapesse. Scusami >>.
Scossi la testa. << Fa nulla. Tanto volevo lo stesso dirglielo >>. Mi girai verso la mia migliore amica. << Melinda è mia sorella >>.
Janet rimase a bocca semi aperta. << Tua sorella? Ma questo vuol dire che Robert e Alice non sono i tuoi veri genitori e Serenity non è tua sorella. Biologicamente >>.
<< Già. Hanno sempre saputo tutto. Dal principio. Sapevano già quando avevano intenzione di adottarmi che Melinda Button era mia sorella >>.
<< I vostri genitori sono morti, vero? >> chiese Janet.
<< Li ha uccisi Melinda >> risposi e il respiro si mozzò a tutti.
<< Aveva solo dieci anni >> mormorò Selene, sconvolta.
<< Era una bambina decisamente malata >> commentò Cassie, con l'orrore dipinto sul suo volto.
Janet era rimasta a occhi sgranati. << Mi avevano detto che Melinda era venuta a cercati ma non pensavo fosse per questo... >>.
<< Ora lo sai. Sei la mia migliore amica e non voglio mentirti >>.
Janet mi sorrise, un po' più calma. << Grazie per essere sincera con me e per non considerarmi una “fragile” umana da tenere all'oscuro >>.
Ridacchiammo tutti a quella parola. Un tempo lo eravamo anche noi. Con delle vite normali. Poi qualcosa ci aveva cambiati. Senza poter tornare indietro. Ed era questa la cosa più brutta: sapere che non potevi tornare indietro. La rassegnazione a qualcosa che non hai deciso.
Serenity continuava a parlare con il fiore creato da Cassie, così potemmo parlare in pace. Raccontai tutto a Janet: della storia di Melinda e dei miei poteri. Poi, quella dei miei genitori a tutti i mie amici. Volevo essere sincera e fino in fondo. Non avrei detto nulla a Serenity. Almeno lei poteva continuare come se nulla fosse.
Janet accettò di starmi vicina, non le importava proprio nulla. Voleva sempre essere la mia migliore amica. Si trovò molto bene con i miei nuovi amici e avrei giurati che Alan e Justin ci stessero provando.
Hanja entrò dentro la sala di ritrovo e ci venne incontro sorridente. << Alisha, la tua famiglia ha il permesso di mangiare con noi insegnanti al nostro tavolo. Vuoi venire e portare anche tua sorella? E la tua migliore amica, ovviamente >>.
Mi girai verso i ragazzi. << Non vi da fastidio se mangio con loro? >>.
<< Ma che dici? È la tua famiglia! >> esclamò Liliane, ridendo e tutti annuirono. Cassie mosse leggermente la mano e il fiore sparì. Serenity ne rimase piuttosto contrariata. La presi per mano ma mi bloccai davanti al televisore. Un nome mi aveva attirato: Melinda.
<< La polizia ha trovato altri cadaveri, questa volta in un liceo a Los Angeles. Nessuno sa cosa volessero Melinda e Charlie. Alcuni studenti dell'ultimo anno sono morti in circostanza orribili. Alcuni carbonizzati, altri sciolti in gran parte. Il preside Jonathan Sullivan si sta recando proprio qui con altri Different per analizzare le tracce. Forse sono ancora qui o potrebbero essere già lontani... >>.
Riconobbi immediatamente il liceo: era la mia scuola. Anche Janet la riconobbe e trattenne il respiro. Credetti di essere diventata io di ghiaccio quando le foto delle vittime passarono sullo schermo.
Una di queste era Dylan. Scuotevo la testa, forse per cancellare tutto. Sentì le lacrime imperlare i miei occhi e Janet singhiozzare. Per quanto Dylan fosse stato orribile con me, ci conoscevamo da una vita e Janet ci era cresciuta insieme. Non era giusto.
Melinda probabilmente aveva scoperto che io ero stata la sua ragazza o forse credeva che io lo ero ancora, così lo aveva ucciso. Cominciai a piangere accasciandomi sulla poltrona. Sentì le braccia delle mie amiche sorreggermi e Janet era bianca come un lenzuolo.
Piansi fino a quando non vidi anche le altre foto. Una era di una mia cara amica e l'altra di un ragazzo che conoscevo molto bene.
Non so cosa mi successe, però sentì anche altro oltre il dolore. La rabbia, la furia. Senza neanche accorgermene, tutti i soprammobili si alzarono dai tavolini e la stanza cominciò a ghiacciarsi.
<< Alisha! >> urlò Hanja, scuotendomi e io ritornai in me. Gli oggetti caddero a terra e si ruppero. Rimasi quasi esterrefatta di me stessa.
Sentii una grande carica. Era ora di mettere la parola “fine”. Dovevo riprendermi e cominciare a combattere. Non potevo permettere che arrivassero a persone a cui tenevo ancora di più. Era ora di prendere la faccenda sul serio. Melinda Button non avrebbe più fatto del male a nessuno.
È una promessa.



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Capitolo 12
*** Un piccolo aiuto ***


12. Un piccolo aiuto

Era passato un mese da quei secondi terribili. Quei secondi in cui avevo appreso che Melinda e Charlie erano pronti a colpire anche le persone che amavo. Oramai il pericolo nei miei confronti era molto alto, tanto che gli insegnanti avevano deciso di lasciare la mia famiglia alla scuola almeno fino a quando la situazione non si sarebbe risolta. Per Janet non era stato possibile per via della scuola così la sua famiglia fu fatta trasferire in un luogo a conoscenza solo dagli insegnanti. Nemmeno le autorità più potenti ne erano a conoscenza visto che sia Melinda e Charlie leggevano nel pensiero.
Io mi sentivo diversa. Dopo i primi tre giorni passati a piangere la morte di Dylan che nonostante tutto avevo amato e anche di quei ragazzi che conoscevo mi ero data da fare. Avevo accettato ormai cosa mi aspettava. Le lezioni erano ricominciate e quando finivano io mi recavo con alcuni insegnanti per allenare i miei poteri. Ne avevo assorbito altri: Liliane mi aveva convinta a assorbire il suo così anche Alan e Justin. Avevo tre poteri più, oltre a quelli che già avevo. Il preside mi aveva convinto ad assorbire anche il potere di Dustin, così avrei capito subito che poteri avevano Melinda e Charlie e anche altri Different. Dovevo ammettere che non era poi così male possedere altri poteri. Rendevano tutto molto più facile. Ero diventata molto più determinata e combattiva, senza contare che non avevo intenzione di farmi uccidere da Melinda. Non riuscivo a capacitarmi di questo cambiamento. Però le persone che mi volevano bene mi stavano sempre accanto. Per il mio sedicesimo compleanno, le mia amiche avevano organizzato una grande festa in palestra durata tutta la notte. Non mi ero mai divertita così tanto. Perfino Serenity partecipò fino a quando la piccola non crollò.
Guardavo constatemene telegiornali e Internet alla ricerca degli spostamenti dei due. Erano spariti nel nulla. Nessuna riusciva a trovarli. Se erano anche mutaforma, allora che la cosa era complicata abbastanza. Mi rendeva nervosa non sapere dove fossero le persone che per me erano ormai i miei nemici. Cercavo di apparire una ragazza come tante, però non riuscivo a togliermi dalla testa Melinda. Era diventata un ossessione, un chiodo fisso. Spesso mi dicevano di non pensarci, di aspettare la fine della scuola però non ci riuscivo. Il dolore che aveva provocato a me e agli altri era troppo grande. Non c'è la facevo. Una mattina, Serenity entrò ancora in pigiama in camera mia e saltò sul letto, svegliandoci tutte. Saltellò finché non mi svegliai.
<< Sveglia! Sveglia! Oggi è sabato! Mi avevo promesso che andavano a fare una passeggiata nel parco della scuola! >>.
Guardai l'orologio. << Serenity, sono solo le otto del mattino! >>.
<< Dormigliona! Dormigliona! >> cantilenò, scendendo dal mio letto e andando in quello di Cassie.
<< Cassie, Cassie! Mi fai vedere di nuovo quell'animaletto? >> chiese, entusiasta e un piccolo esserino peloso, morbido e bianco si materializzò dentro la stanza. Non sapevamo di preciso cosa fosse, però Cassie aveva detto di averlo letto su un libro di storia antica e mitologica. Serenity saltò giù dal letto e abbracciò l'animaletto che stridette disperato. Io mi alzai, passandomi le dita fra i capelli disordinati.  Sorrisi alla mia sorellina. Con lo sguardo fissai la spazzola sulla mobile e la presi al volo, cominciando a pettinarmi i capelli. Qualcuno bussò alla porta.
<< Posso entrare? >> chiese mia madre. Con un gesto pigro della mano, aprì la porta e la mamma entrò.
<< Buongiorno, ragazze. Sono venuta a recuperare la piccola. Serenity, vieni a cambiarti >> disse mamma, tendendo la mano a Serenity che torturava l'animaletto peloso. Fece una faccia imbronciata ma la seguì ugualmente, portandosi dietro la palla di pelo.
<< Alisha, vieni a prendere Serenity all'ingresso per la passeggiata >>.
<< Certo. Lo so. L'ho visto ieri >>.
Mamma scosse la testa e uscì dalla stanza. Io andai in bagno per farmi una doccia e dare il tempo alle altre di fare lo stesso. Ci misi più del solito e sentivo che Liliane e Cassie erano impazienti. Non so perché, ridacchiai. Non era poi così male, l'empatia. Uscii dal bagno e loro fecero una faccia di felicità.
<< Era ora. Volevi restarci ancora un po'? >> mi chiese Cassie, dirigendosi verso il bagno ma Liliane la fermò.
<< Prima io! >>.
Si guardarono per un secondo. Poi adocchiarono la porta con lo sguardo e tornarono a guardarsi. Io mi sedetti sul letto per assistere alla scena. Liliane corse verso la porta con Cassie e l'attraversò prima che Cassie abbassasse la maniglia della porta. Cassie pestò un piede, irritata. La faccia di Liliane apparve al centro della porta e le fece una linguaccia. Cassie le tirò il cuscino dal letto ma beccò solo la porta. Io risi a crepapelle. Era la stessa scena ogni mattina e vinceva sempre Liliane. Mi vestii e mi truccai leggermente. Sentii che qualcuno camminava per il corridoio. Un animo sereno.
<< Sta arrivando Kristen >> informai a Cassie e lei guardò la porta. Dopo dieci secondi, Kristen bussò.
<< Avanti >> disse in risposta Cassie e la ragazza entrò, già vestita e truccata.
<< Buongiorno. Il sole splende e sarà una... >>.
<<... fantastica giornata nuvolosa >> completai io e lei rise. Ormai ero una veggente brava quanto lei.
Liliane uscì dal bagno e Cassie ci entrò a passo pesante guardando storto l'amica che la ignorò.
<< Ha vinto ancora Liliane? >> chiese Kristen, additandola.
<< Come se tu non lo sapessi >> risposi, scuotendo la testa e finendomi di passare il lucidalabbra. Dopo circa un quarto d'ora, finalmente riuscimmo a uscire dalla stanza tutte sistemate e a ha incontrare Selene insieme Alan e Justin all'ingresso dei dormitori. Avevano accettato di accompagnarmi a passeggiare con Serenity e perfino per me rimaneva un mistero del perché. Nell'atrio vidi i miei con la mia sorellina seduti su un divano in stoffa azzurra.
Serenity mi corse incontro e mi saltò in braccio. << Andiamo? >>.
<< Si. Adesso andiamo. La riporto per mezzogiorno, okay? >>.
I miei genitori annuirono e si alzarono. Mamma diede un bacio a entrambe e se ne andarono. Serenity mi trascinò fino al portone e gli altri mi seguirono. Camminammo per le aiuole e i pergolati pieni di fiori colorati e  ben curati. Non sembravano soffrire il caldo come le altre piante che avevo visto in passato a Los Angeles. Chissà cosa usavano. Ormai avevo capito che in quella scuola c'era da aspettarsi di tutto. Mi ero ambientata bene, dopo il primo difficile impatto. Anche se Melinda e Charlie avevano complicato le cose. Mi sentivo più forte e sapevo perché: Melinda aveva oltrepassato il confine della mia pazienza uccidendo Dylan e altre persone che conoscevo. Aveva liberato l'ira che c'era dentro di me. Non mi importava che fosse mia sorella: non la consideravo tale. Anche se a volte dovevo ammettere che mi chiedevo come sarebbe stata la mia vita se Melinda si fosse limitata a essere un genio e basta. Se non fosse mai stata la bambina malata e maligna che era stata. A quest'ora sarei una Different lo stesso, probabilmente, però diversamente. Magari lei sarebbe diventata un insegnante come tante altre sue compagne prima di lei e avrei avuto un appoggio. I mie veri genitori sarebbero ancora vivi e io sarei cresciuta con loro. E avrei voluto bene a Melinda. Invece la odiavo. Spesso mi chiedevo come si poteva odiare qualcuno che aveva il mio stesso sangue, anche se io mi sforzavo di non riconoscevo quel legame. Lo trovavo assurdo che gli eventi della vita portassero anche a questo.
Una gomitata spezzò i miei pensieri. Vidi Alan che con un cenno della testa mi indicava da una parte e lo obbedì. Sapevo chi era: Cameron.
Lui si girò e mi sorrise. Gli occhi verde chiaro, che adoravo guardare, si erano illuminati di una luce che vedevo solo quando mi guardava. Stava seduto su una panchina di pietra bianca con un libro tra le mani, un tomo molto grosso. Io risposi al suo sorriso.
Di colpo, mi sentii tirare la mano. Quella di Serenity lasciò la mia e la vidi correre verso Cameron. Ritrassi l'istinto di riprenderla con la telecinesi e corsi dietro a mia sorella, lasciandomi dietro le risate dei miei amici. La bambina corse fino ad arrivare davanti a Cameron, Si portò le mani dietro le schiena e lo guardò.
<< Cosa leggi? >>.
<< Una cosa noiosa >> rispose lui, sorridendole. Io corsi fino ad acchiappare mia sorella per un braccio e riprendere fiato.
<< Serenity! Non devi più scappare così! Mi fai spaventare! >> la rimproverai e Cameron si alzò.
<< Non preoccuparti. Hai solo una sorellina curiosa >>.
<< Non volevo che ti disturbasse. Immagino tu stia studiando >>.
<< Si. Ma non fa niente. È sempre bello scambiare quattro chiacchiere con una bella bambina. E non solo >>  concluse, guardandomi dritta negli occhi e sapevo di essere arrossita.
<< Alisha! Mi stai congelando il braccio! >> si lamentò Serenity e la lascia come se scottasse. Stupida, stupida, stupida. Perché mi succedevano cose del genere quando era imbarazzata?
Per fortuna, Cameron rimase serio. Prese un fazzoletto e asciugò il braccio di mia sorella nello stesso momento in cui io feci lo stesso. Sfiorai la sua mano e lo guardò istintivamente e lui fece lo stesse. Dopo pochi secondi, mi ripresi. Scossi la testa, come se fossi entrata dentro un sogno e mi stessi svegliando.
<< Ora vado. È stato un piacere, Serenity. Anche con te, Alisha >>. Ci salutò entrambe e si allontanò.
Guardai mia sorella e lei fece un sorriso, quasi per intenerirmi.
<< Serenity... Si può sapere perché tenti sempre di parlare con Cameron quando ci sono anche io? >>.
<< Ti piace >> rispose semplicemente lei. << E io voglio che stai con lui, anche perché a me piace! >>.
<< Devo smettere di lasciarti con le mia amiche >> mi ripromisi a me stessa. La trascinai di nuovo verso gli altri che avevano assistito senza fiato alla scena. Cassie mi diede una pacca sulla spalla e io mi girai con una tarantola chiusa in un vaso da tra giorni.
<< Perché lo hai fatto? >>.
<< Come “perché”? Dovevi baciarlo! >>
<< Davanti a mia sorella? >>.
<< Non mi scandalizzo mica. Ho cinque anni, mica sono scema >> mi disse Serenity, pestando entrambi i piedi con le scarpette nuove.
Scossi la testa. << Ma è una congiura? Un piano? >>.
Si guardarono tutti, compresa mia sorella. << Si >>.
Ringraziando il cielo, sono una ragazza razionale quindi non dissi niente di cui poi mi sarei pentita. Perciò mi limitai a una occhiataccia. Visto che era quasi mezzogiorno, riconsegnai mia sorella ai miei. Dovevo studiare e volevo farlo prima di pranzo. Mi recai in camera e presi i volumi di storia e chimica. Non so quanto rimasi lì, da quanto ero concentrata. A pranzo, chiacchierai con i miei amici come sempre e ridevamo. Però notai che avevano qualcosa di diverso. Ogni tanto si scambiavano a turno uno sguardo di intesa che io notai benissimo. Cercai di vedere qualcosa nel mio futuro, ma stranamente non ci riuscivo. Ero un po' in ansia quindi decisi di non pensarci.
Il resto del pomeriggio lo passai divisa tra le lezioni per i miei poteri, la mia famiglia e i miei amici. Mi sentivo come sempre e anche quando la televisione informò gli spettatori che le tracce su i due erano state trovate a Pechino. Annotai su un blocco come facevo ogni volta che sentivo qualche notizia su di loro. Non potevo farne a meno. Erano la mia ossessione.
La sera (una bellissima serata di luna piena) tornai in camera e quando oltrepassai la porta, vidi che la camera era vuota. Sul mio letto c'era un vestito: blu cobalto, che si allacciava da dietro e lasciava le spalle nude. A terra c'erano dei tacchetti dello stesso colore, poco più chiari e riconobbi la mia collana che con il diamante a forma di cuore al centro di un ciondolo.  Lo guardai confusa. Non era mio, però era sul mio letto. Un bigliettino era sopra e lo aprì, leggendoci il mio nome.
・Mettilo, truccati e fatti trovare all'ingresso della scuola. Non ti azzardare a far finta di niente. Lo sapremo. Riceverai altre istruzioni lì”.
Ancora più confusa, feci come diceva il biglietto rendendomi poi conto che stavo facendo quello che un pezzo di carta mi ordinava. Lo feci lo stesso. Dovevo ammettere che il vestito mi stava bene. Risaltava la mia figura e gli occhi. Mi lascia i capelli sciolti e mi truccai. Poi uscì dalla stanza, sempre chiedendomi cosa diamine stessi facendo. Scavai nel futuro senza successo. Eppure non mi avevano mai ingannata fino ad ora. Ma c'è sempre una prima volta, evidentemente. Ignorando gli sguardi delle ragazze, alcuni gelosi devo dire, e quelli dei ragazzi presenti dentro all'ingresso che dava al dormitorio (non volevo neanche sapere cosa stessero pensando). Quando uscì all'atrio e aprii la porta dell'ingresso, pensai di trovare Cassie o Liliane oppure qualcuno di loro ma trovai... Cameron. Rimasi a bocca aperta dallo stupore. Lui indossava una camicia bianca e un paio di jeans chiari e aveva i capelli in perfetto ordine. Mi sorrise.
E io capii.
Collegai gli sguardo d'intesa, il biglietto, le scarpe, il vestito. I miei amici avevano organizzato tutto. Gli sorrisi.
Non ero mia stata così felice di una cosa simile fatta dai miei amici. Avevano capito che avevo bisogno di un... aiuto e si erano attivati. Raggiunsi Cameron e scoppiammo a ridere.
<< Fammi indovinare: hai trovato un biglietto con scritto che dovevi indossare quello che c'era sul tuo letto e di venire qua >> dissi, più un affermazione che una domanda.
Lui annuì. << Già. Opera dei tuoi amici, immagino >>.
<< Anche mia sorella avrà partecipato >> aggiunsi e scoppiammo a ridere di nuovo.
<< Ma ora? >> si chiese Cameron.
<< Ora venite con noi >> gli rispose una voce che conoscevo benissimo. Justin era entrato dal portone.
Ci guardammo e lo seguimmo. Fuori c'erano anche Selene e Alan. Camminammo per un po' fino al centro del giardino della scuola. Quando arrivammo lì, sia i che Cameron rimanemmo a bocca aperta. Al cento c'era un patio di legno con un tavolo coperto da una tovaglia candida. Due sedie e due coperti. Intorno c'era un'aria quasi speciale e una leggera nebbiolina che rendeva tutto suggestivo. Senza contare le rose e gli altri fiori così vicini al nostro tavolo che le potevo toccare se avessi voluto. Justin ci fece cenno di sederci.
Gli obbedimmo, anche perché entrambi non sapevamo certamente cosa fare. Era quasi una trappola. Ma mai trappola è stata così piacevole.
<< Adesso aspettate che arrivino i piatti >> disse Justin, allontanandosi con gli altri. Cameron mi guardò con intensità. Sentivo che era agitato e emozionato allo stesso tempo. Io non ero da meno.
<< Cavoli. Ci tengono proprio alla tua felicità >> disse lui, passandosi una mano tra i capelli.
<< Alla nostra >> specificai, guardandolo negli occhi.
Chissà come, i piatti apparvero di colpo lasciandoci basiti per pochi secondi. Un po' diffidenti, assaggiammo.
<<< Cavoli! È buonissimo! >> esclamai, dopo aver assaggiato un antipasto composto da varie portate.
<< Veramente buono. Chissà chi ha cucinato... O se hanno cucinato >> specificò Cameron e io ridacchiai.
Quel primo antipasto ci mise di buon umore cominciammo a chiacchierare e scherzare. Quando finimmo, i piatti sparirono e apparve una bottiglia di acqua naturale. Cameron me ne versò un bicchiere.
<< Grazie >> dissi, dopo  aver bevuto un sorso. Posai il bicchiere e mi morsi un labbro. << Posso farti una domanda? >>.
<< Personale? >>.
<< Si >>.
<< Okay >>.
<< È vero che entrambi i tuoi sono Different? >>.
Lui sembrava quasi sorpreso che io lo sapessi. <>.
<< Tu sei il più piccolo?>>.
<< Già >>.
<< E l'unico Different della tua famiglia, a parte i tuoi >>.
Sul suo viso apparve dolore che io non capii. << Mia sorella Laura era una Different. Non ti ho detto quanti anni avevano i miei genitori quando si sono incontrati. Mia madre aveva diciassette anni quando è nata Laura. Quindi io e Katherine siamo arrivati molto più tardi >>.
<< Un momento... hai detto... “era”... >>.
Abbassò lo sguardo. << È morta l'ultimo anno. Uno dei tre studenti. Era anche lei telecinetica >>.
Rimasi quasi sottoshock. Ero una vera idiota. Perché non mi era stata zitta?
Cameron doveva essersene accorto. << Non devi pensare di avermi fatto del male. È successo. Non lo sapevi >>.
<< Mi dispiace. Credimi >> mormorai, prendendogli una mano che lui strinse.
<< Non preoccuparti. Il tempo guarisce tutte le ferite >>.
Lo guardai negli occhi e lui fece lo stesso. Sembrava che non ci fosse altro che lui e io. L'edificio, i fiori e anche il cielo sembravano essere spariti per lasciare il posto a noi due. Era un momento assolutamente perfetto.
Rotto dallo schiocco di altri piatti apparsi davanti a noi. Ricominciammo a mangiare e piano piano l'atmosfera tornò a essere quella di prima. Ero così felice. Ero certa di non riuscire più a ritrovarla dopo che Melinda era entrata in camera mia. Invece ci ero riuscita ancora. Tutto grazie a Cameron e ai miei amici.
La luna illuminava il nostro tavolo di una luce argentata che io guardai più volte. Non volevo che finisse, però finì. Ci alzammo e questa volta non venne nessuno ad portaci al portone. Camminammo in silenzio e ci fermammo proprio dove la luna illuminava con la sua luce le scale e il portone. Cameron mi guardò.
<< Devo dire che è stata proprio una serata fantastica. Ma sopratutto perché c'eri tu >>.
Io gli sorrisi. << Non avevo dubbi >>.
Lui ridacchiò. Sentii che l'agitazione dentro di lui non c'era più. Era sparita. Era sereno e sembrava stesse aspettando qualcosa. Io, invece, avevo il cuore che voleva uscirmi dal petto. Ero sicura che lui lo sentisse. Si avvicinò lentamente e mi mise una mano sotto il mento e mi alzò il viso. Furono secondi interminabili. Vedevo il suo viso e quegli occhi avvicinarsi sempre di più ed era un agonia perché non attendevo altro. Finalmente le sue labbra arrivarono alle mie. Mi lasciai andare e gli passai una mano tra i capelli e dovetti alzarmi in punta di piedi. Sentii la sua mano scivolare dai mie capelli a cingermi la vita mentre con l'altra teneva il mio viso come se temesse potessi scappare. Ma non l'avrei mai fatto. Non avrei mai rinunciato a un momento come quello... Dimenticai chi ero, mi scordai di Melinda, Charlie e tutto il resto. Nella mia mente c'eravamo solo io, Cameron e la luce della luna che ci illuminava quasi una perfetta metafora dei nostri sentimenti usciti allo scoperto. Sentii il bacio farsi sempre meno lieve fino a quando non si staccò. Aprii gli occhi tenuti chiusi sino a ora. I suoi erano illuminati. Io ero annebbiata dalla felicità.
<< Alisha... Io credo di provare qualcosa per te >> mi confessò alla fine.
<< Anche io >> sussurrai, abbracciandolo e lui mi circondò con le braccia. Chiusi gli occhi: volevo godermi quel momento. Alzai il viso e lo baciai. Passò qualche altro minuto e ci staccammo ancora.
<< Io voglio stare con te >> disse Cameron, passandomi le braccia sulla vita.
Stare con lui... ma Melinda? Se avesse saputo che stavo con lui, lo avrebbe ucciso. Volevo quasi piangere. Nessuna doveva impedirmi di essere felice. Nessuno. Nemmeno Melinda Button e il suo fidanzato fuori di testa.
<< La penso allo stesso modo >> concordai. Mi strinse in un abbraccio e io sorrisi.
Rimanemmo lì per chissà quanto tempo. Il tempo ormai non esisteva più per noi due. Sentii delle voci provenire da dentro e il portone aprirsi.
<< Vieni qui! >> sibilò la voce di Cassie ma mia sorella uscì lo stesso dal portone. Saltellava e sembrava essersi bevuta un intera tazza di zucchero iperdolce.
<< Ti sei messa con lui? Si, vero? Vero? >> esclamò, in preda a un qualche attacco da zuccheri.
Ci guardammo e ridemmo. Anche i miei amici uscirono fuori e Cassie afferrò Serenity, prendendola in braccio.
<< Scusala. Ma qualcuno le ha fatto assaggiare le zollette di zucchero puro >> disse, dando un occhiataccia a Alan che si strinse nelle spalle e aveva un espressione di scuse sul volto.
<< Ma visto che ci siamo... >> provò Liliane.
<< Liliane! >> esclamarono tutti.
<< Siete curiosi anche voi! >>.
Cameron rideva a crepapelle e la mia espressione era di assoluto divertimento e scoppiai a ridere con lui come due bambini.
<< Si. Stiamo insieme >> li informai, dopo aver smesso di ridere.  
<< Evvai! >> urlarono tutti.
<< Grazie a voi. Devo dire >> disse Cameron, abbracciandomi.
<< Avevate bisogno di un aiuto... E abbiamo pensato di aiutarvi noi! >> disse Selene.
<< Ora c'è ne andiamo >> disse Cassie, ignorando le proteste di mia sorella.
<< Uffa! >> sbuffò lei, entrando dentro.
Quando fummo da soli, lo guardo un po' dispiaciuta.
<< Scusali. In fondo, un po' merito se lo dovevano prendere. No? >>.
<< Certo >> rispose Cameron, avvicinandosi e baciandomi ancora.
Credo proprio che diventerà la serata più bella della mia vita. Nemmeno quelle con Dylan era la stessa cosa. Questa era speciale. Cameron era speciale.
Fu così, che quella sera mi guadagnai un po' di felicità.

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Capitolo 13
*** Chiedo scusa! ***


Chiedo scusa se non sto postando, ma siccome mi hanno rimandata in matematica e ho l'esame tra poco più di dieci giorni devo studiare e andare a ripetezione se voglio diplomarmi l'anno prossimo XD! Quindi spero che pazientate un pò! Grazie per la comprensione!

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Capitolo 14
*** Legami affettivi ***


Chiedo veramente scusa per il ritardo ma i motivi sono spiegati precendetemente! Buona lettura!

13. Legami affettivi

La scuola era ormai giunta alla fine. Il diciotto Giugno, il Collegio mise fine alle lezioni per noi dei primi tre anni mentre per quelli dell'ultimo erano finite dieci giorni prima per prepararsi alla maturità. Le mie compagne di stanza mi avevano spiegato che per i Different, l'esame di maturità comprendeva oltre le prove classiche anche una scritta e pratica dei propri poteri e capacità. Io ero un po' confusa: che esame facevano a una come me? Se avessero analizzato i miei poteri uno per uno, ci avrebbero messo tutta l'estate.
Questo sarebbe accaduto solo fra due anni e quindi non era il caso di preoccuparmi. Meglio pensare al presente. Avevo imparato a considerare la mia vita come un quadro, però con una macchia nera per evitare di renderlo perfetto. Quella macchia si chiamava Melinda.
Passavo le giornate con i miei amici, i miei genitori e Serenity. E momenti bellissimi con Cameron. Stavo con lui da un mese e si prospettava un estate insieme. Io non potevo muovermi dalla scuola e tornare in California. Stessa cosa la mia famiglia. Cassie e Liliane non aveva nessuno da cui tornare perciò rimasero anche loro. Selene e Kristen partirono tre giorni dopo la fine delle lezioni: essendo miei care amiche, gli adulti le avrebbero fatto controllare. Anche Justin partì mentre Alan rimase: avevo scoperto che i suoi genitori non avevano accettato che diventasse un Different.
Dato che Cameron era il mio ragazzo e con una tipa come Melinda non c'era da scherzare, lo avevo pregato perché non tornasse a casa dalla famiglia. Sarei morta giorno dopo giorno, struggendomi all'idea se stesse bene o no. Con un bel po' di arte di persuasione e una piccola litigata durata mezz'ora, lo convinsi. I miei genitori avevano accettato Cameron, anche se mio padre aveva fatto giusto qualche storia per esercitare il suo potere di padre e la gelosia tipica. Serenity sembrava avere tutta l'aria di essersi presa una cotta per Cameron: arrossiva sempre quando c'era lui nei paraggi e il visetto si contraeva in una piccola smorfia quando mi baciava. Io ridacchiavo sotto i baffi, anche se era da sorella cattiva.
Nel complesso, andava tutto bene. Se non fosse stato per lei, solo per lei, sarebbe andata anche meglio. Seguivo telegiornali, Internet, radio e tutto quello che poteva essermi utile. Avevo assorbito anche altri poteri: ora ero tecnopatica e pirocinetica. Tutti i giorni mi recavo in una aula con diversi insegnanti per imparare a gestire le mie abilità. Quando parlavo con il preside Sullivan, lui glissava su quando avrei dovuto vederla con la mia cara sorella maggiore (anche se non la consideravo tale). L'amarezza di saperla là fuori con quell'altro pazzo, mi rendeva nervosa e talvolta intrattabile. Nonostante cercassi con i miei amici e Cameron di togliermela dalla mente, non ci riuscivo. Non potevo dimenticare che aveva ucciso i nostri genitori per niente. Si, per niente. Volevano solo il suo bene, nel modo sbagliato. Avevo fatto ricerche sui miei veri genitori senza  dire a quelli adottivi per paura di offenderli. Mio padre naturale era figlio unico e di mia madre... a quanto sembra aveva una sorella, però era morta poco dopo di lei. Ero sicura che fosse stata Melinda.
Avevo qualche problema a frenare l'istinto omicida.
Ero rassegnata a ciò che mi spettava. Ma non potevo immaginare che si trattava di qualcosa di ancora più grande.
Una mattina, a circa una settimana dalla fine delle lezioni, ero nel giardino con Cameron. Seduti su una panchina, accanto alle rose. Lo stavo interrogando per via di un esame da lì a poco e volevo che fosse ben preparato. Mi prendeva sempre in giro, dicendo che mi comportavo da maestrina.
<< Non va bene >> disse, dopo avermi ripetuto due pagine.
<< Come sarebbe a dire? >> domandò, facendo il finto offeso.
<< Che non va bene >> ripetei. << Non mi piace come lo hai detto >>. Il libro volò dalle mie mani alle sue e io lo riacchiappai nello stesso modo. << Non si fa! >>.
<< Solo un occhiata... >> supplicò con i suoi occhi verdi e mi sciolse completamente, ma scossi la testa,
<< Non ci provare, Cameron. Perché non ti concentri? >>.
<< Perché ci sei tu...>> mormorò.
<< Cameron... Non provarci. So già che stai cercando di distrarmi...>> dissi, mordendomi un labbro e cercando di resistere alla tentazione.
Cameron mi sorrise e avvicinò le sue labbra alle mie, ma mi misi due dita sulla bocca. Si allontanò, rassegnato. Risi e lo baciai io. Lo sentì ridacchiare per poi smettere e concentrarsi sul bacio. Sentimmo dei passi ma non c'è ne importò niente. Il libro cadde dalle mie ginocchia per terra e non mi importò neanche di questo.
<< Oooh... ma pomiciate sempre? >> chiese Serenity, spuntata dal nulla neanche si fosse materializzata. Ci staccammo e la guardai shoccata.
<< Chi ti ha insegnato quella parola?! >>.
<< Cassie. Ieri ha detto: “ho beccato quei due a pomiciare ancora”. Io le ho chiesto cosa significasse e me lo ha spiegato >>.
Mi alzai, calpestando il libro. << Devo scambiare due parole con quelle due! Da quanto le frequenti ti insegnano parole che non mi piacciono! >>.
Cameron rise a crepapelle e gli diede uno schiaffetto sulla nuca. << Ragazzi! >>.
Il mio ragazzo si alzò e prese il libro, sporco di terra e me lo mostrò. Feci un espressione di scuse da cucciolo bastonato e mi perdono all'istante.
<< Tu >> dissi, calcando ben bene sulla parola, indicando Serenity. << Vieni con me >>.
Mi girai verso Cameron. << Tu studia e dopo voglio interrogarti >>.
<< Certo, mamma >> acconsentì e io scossi la testa sorridendo. Gli diedi un bacio veloce e trascinai mia sorella dentro la scuola. Attraversai l'atrio e mi diressi sparata dentro la sala di ritrovo congiunta dove trovai i tre amici a ridere.
Misi mia sorella davanti a loro e la indicai.
<< Cassie, le hai insegnato la parola “pomiciare”? >>.
<< Tanto prima o poi lo sarebbe venuto a sapere. Almeno sa cosa fa la sorella con il ragazzo e non si confonde! >>.
Il cuscinetto sul divano le finì in faccia. << Non voglio che impari queste parole! Dopo le parolacce, pensavo che aveste finito! >>.
<< Non si finisce mai di imparare >> disse Liliane e si beccò il cuscino tirato in faccia a Cassie, ma la trapassò.
<< Vi avverto: se insegnate a mia sorella altre parole... poco adatte alla sua età, io vi congelo e poi vi do fuoco! >> le minacciai con tanto di dito accusatore.
<< Va bene. Promesso >> dissero in coro le due mentre Alan era rotto dalle risate. Stavo per ridere anche io, quando il preside e sua moglie entrarono in sala di corsa. Avevano il panico dipinto sul volto e io mi spaventai. Non avevo la facoltà di leggere nel pensiero e non avevo nessuna intenzione di possederla.
<< Alisha, vieni con noi >> disse Charline. La seguii, lasciando Serenity con gli altri, confusi e spaventati. Mi portarono nello studio del preside e mi fecero sedere.
Io ero davvero morta di paura. Quel silenzio era solo la calma prima della tempesta.
<< Che succede? >>.
<< Abbiamo scoperto una cosa che non ti farà piacere>> cominciò il preside e io aggrottai la fronte.
<< Vale a dire? >>.
Charline prese un enorme libro da uno mobile chiuso a chiave e me lo misi davanti, facendomi il gesto di aprirlo. Lo aprì e c'erano foto di Different, infinite. Diverse avevano una croce rossa e a giudicare dall'inchiostro era fatta da poco.
<< Che significa? >>.
<< Quelli con la croce sono tutti mutanti reclutati da Melinda >> disse il preside e io rimasi a bocca aperta. Croci e croci. Erano un enorme annuario con tutti gli studenti passati per la scuola. Riconobbi il volto più giovane di Hanja e andando avanti, vidi un nome che attirò la mia attenzione: Laura Jenks. La sorella morta di Cameron. Avevano gli stessi occhi. E aveva la croce. Un particolare attirò ancora la mia attenzione: la foto di Melinda era poco lontana da quella di Laura. Dovevano aver frequentato insieme. Dopo tutto, Melinda era andata via di li solo otto anni prima e da quello che Cameron mi aveva detto sua sorella era molto più grande di lui.
Melinda sorrideva all'obbiettivo, tranquilla. Una ragazza tranquilla, un genio e orfana. Il mix perfetto. Già, per un assassina senza controllo.
<< La sorella di Cameron è morta >> disse, indicando la sua foto.
<< No, è viva >> disse il preside. << Quelli che vedi qui, le croci, sono gli studenti morti all'ultimo anno. Facendo un rapido calcolo ne ha reclutati circa trenta >>.
<< È impossibile. Insomma, i cadaveri c'erano, no? >> chiese, senza parole.
<< Si, ed è questo che ci lascia sgomenti. I cadaveri c'erano ma i funerali non vengono tenuti qui, ma al loro paese. Siamo certi che i funerali ci sono stati, ma le bare erano vuote >> spiegò Charline.
<< E le famiglie, allora? Se ne saranno accorti se il cadavere del figlio o della figlia non c'era nella bara >>.
Il preside ridacchiò. << Stai parlando di Melinda, Alisha: chissà cosa può aver fatto >>.
<< Allora, tutti gli studenti presunti morti sono vivi? >>.
<< Si. Dal primo all'ultimo. Tre giorni fa, c'è stata un alluvione che ha allagato un paese intero. Le bare nei cimiteri sono tornate su. E si accorti che mancava il cadavere, dentro la bara, di uno di Different che vedi là >> spiegò il preside e io rimasi senza fiato. Voleva dire che Melinda aveva convinto trenta persone ad andare dalla sua parte. Simulando la morte di ognuno di loro. Non doveva essere stato difficile creare falsi ricordi nelle menti delle persone per una come lei e Charlie.
Mi dettero un bicchiere d'acqua per calmarmi. E Cameron? Lo sapeva? Da com'era tranquillo, direi proprio di no.
<< Le famiglie lo sanno? >> chiesi.
<< Stiamo facendo controllare le bare una per una, e sono tutte vuote. Presto arriveremo anche alla famiglia di Cameron >> rispose Charline, capendo dove volevo arrivare.
<< Non è possibile. A che scopo? >>.
<< Credo che quei due si siano messi in testa di creare un armata per controllare il mondo >> disse il preside e io fece un sorriso stiracchiato.
<< È assurdo. È una situazione da film >> dissi, incapace di dire altro. << Un momento... ma se Melinda era in carcere in questi anni, come ha fatto reclutare quelli venuti dopo lei alla scuola? >>.
I due si guardarono e Charline sfogliò l'annuario fino ad arrivare una foto e indicarmela.
<< James Brown. Un mutaforma. L'unico tra tutti quelli che ha reclutato >>.
<< Mi state dicendo che c'è qualcuno, negli ultimi otto anni, nascosto tra di voi e non ve ne siete accorti?! >> domandai con un vago tono isterico.
<< Già >> confermò il preside con una smorfia.
Non era difficile, accidenti! Doveva essere qualcuno qui da almeno otto anni. Aveva ucciso l'originale e poi preso il suo posto. Poteva essere la maggior parte degli insegnanti.
<< Hai ragione >> disse il preside e io incrociai le braccia, infastidita dalla violazione della mia privacy. << Ma non possiamo accusare nessuno >>.
<< Ma a cosa diavolo vi servono questi poteri se non li usate? >> domandai, incredula.
<< Hai ragione. Deve bravissimo sia a ingannare con la mente che con l'aspetto. Dobbiamo capire chi è, ma non spetta a te. Era giusto dirtelo, sia per te che per Cameron. Sai, almeno cosa gli aspetta >>.
<< E posso dirglielo io? Addolcirei la pillola >>.
<< Lo sappiamo, Alisha, Ma non possiamo rischiare. Domani arriverà la chiamata dei genitori. L'esito non sarà molto bello >> concluse Charline, facendomi alzare. Uscii furente dall'ufficio. Mi dicevo come si faceva a essere così tonti! Com'era possibile non accorgersi di qualcuno che ti prende in giro di da otto anni?
Tornai nella mia stanza, dove trovai Cassie e Liliane che leggeva un libro. Videro la mia espressione arrabbiata e si guardarono.
<< Che è successo? >> chiese, intimorita Liliane.
<< Cattive notizie>> risposi, spiegando tutto parola parola. Rimasero a bocca aperta parola dopo parola.
<< Oh, cavolo>> dissero in coro, troppo shoccate per dire altro.
<< E come si fa a trovarlo? >> chiese Cassie. << Potrebbe essere chiunque >>.
<< Non ne ho idea. Se non ci sono riusciti in otto anni a capirlo, dubito che ci metteremo noi di meno a farlo >> dissi, scoraggiata.
<< Io una persona in mente c'è l'avrei >> disse Liliana a sguardo basso e la fissammo intensamente. << Hanja >>.
<< Hanja? Vuoi che James Brown è una donna da otto anni? >> chiesi disgustata. Pensai a me per otto nel corpo di un uomo. E l'espressione di Cassie non era da meno.
<< Pensateci: Hanja non ha mai lasciata la scuola. Nemmeno d'estate>> disse Liliane, insistendo.
<< In effetti... ma allora questo discorso si potrebbe fare anche per Charline, per la prof di spagnolo, di scienze, di italiano... troppe persone >> ribatté Cassie.
Io non sapevo cosa pensare o dire. Ma dovevo scoprire chi era. Non avevo però, i poteri adatti per farlo. Non volevo assolutamente leggere nel pensiero: primo perché non adoravo farmi gli affari degli altri e secondo non mi andava di sentire le voci nella mia testa come i pazzi.
Decisi di tenere per me ciò che avevo in mente. Avevo paura che avrebbero qualsiasi cosa per dissuadermi. E Cameron? Con coraggio lo avrei guardato negli occhi fino a domani, sapendo cosa lo attendeva? Ma non potevo nemmeno evitarlo. Decisi di sembrare il più naturale possibile. Rividi Cameron per tutto il giorno, ma mi vedeva inquieta. Mi si leggeva nei miei occhi azzurri che c'era qualcosa che non andava. E io leggevo nei suoi verde chiaro qualcosa di diverso da solito. Quando mi guardava era sempre felice, ma oggi no. Mi vedeva strana e aveva ragione. Lo lasciai davanti al corridoio che separava le camerate, con un bacio e un augurio di buonanotte. Sentendomi profondamente in colpa per non aver detto nulla.
Non dormii quella notte. Le mie compagne di stanza mi fecero compagnia, consolandomi. Ma non ero quella che avevo bisogno di essere consolata.
La mattina il sole si alzò, con la certezza che sarebbe stata una giornata difficile sia per me che per Cameron. Alle otto lo aspettai nel corridoio come tutti i giorni e lui uscì dalla porta, sorridendomi. Non sapeva ancora niente.
Mi baciò e andammo nell'atrio, ma il suo cellulare squillò. E il mio cuore sobbalzò. Cameron rispose, dicendomi che era sua madre. Non capii niente della conservazione, ma sentivo la signora Jenks piangere. L'espressione sorridente di Cameron mutò così velocemente che il passaggio era sembrato inesistente. Chiuse la chiamata e lo sportellino del telefono, lentamente. Mi guardò.
<< Lo sapevo, Alisha? >>.
<< Mi dispiace tanto... Mi avevano vietato di dirtelo... Perdonami... >> mormorai, sciogliendomi in lacrime trattenute finora e abbracciandolo.
<< Mia sorella è ancora viva... >>.
<< Cameron, sta con lei... Melinda... Non è più quella che conoscevi... >> dissi, volendo tanto che non fosse vero.
<< Lo so... ma almeno so che è viva... >> sussurrò e io lo strinsi forte, cercando di consolarlo per quanto potevo. Non sapevo cos'altro dire. In questi momento non si mai. Allora basta far parlare i gesti. Cameron rimase in silenzio doloroso per almeno un'ora, stretti su un divano nella sala comune, con le mie braccia a cingergli la vita e con nessuna intenzione di lasciarlo.
Sentivo anche rabbia, contro di lei. Quella che aveva fatto soffrire moltissime persone e adesso anche il mio ragazzo.
Adesso basta.
Sciolsi l'abbraccio e lo guardai seriamente, e vidi i suoi occhi iniettati di lacrime e dolore divenire stupiti del fuoco dentro i miei: << Deve finire... Cameron, ti giuro che troverò il modo di far cambiare idea a tua sorella Laura... Quando Melinda morirà tutto tornerà come prima >>.
Scosse la testa. << Non devi diventare un'assassina come lei. Io non voglio! >>.
<< Io non le permetterò di uccidere ancora e far soffrire le persone come se i sentimenti non fossero importanti. Sono stanca di avercela nella testa. Sono stanca di vederla colpire chi amo anche quando è lontana, a miglia di distanza >>.
<< Pensaci meglio. Non è una cosa da fare... senza pensare alle conseguenze... >> tentò di convincermi. << La vendetta, Alisha, è un veleno. Corrode cuore >>, mi posò una mano sul cuore, << e anima>> concluse, passandomi una mano sul viso e guardandomi negli occhi, lo specchio dell'anima.
Posai la mia mano sulla sua. << Io mio cuore non è corroso. È triste perché vede te triste >>.
<< E allora, se non vuoi farmi divenire ancora più triste, smetti di pensare alla vendetta. Pensa solo a ciò che dovrebbe una ragazza della tua età >>.
<< Troppo tardi >> sussurrai, togliendo la mia mano dalla sua e la tolse dal mio cuore. Strinse le labbra e si alzò dal divano, porgendomi una mano.
<< Andiamo fuori >>.
Passeggiammo e io non facevo che guardare i suoi occhi spenti e pensieri rivolto solo alla sorella. Dov'era? Che faceva? Erano sicuramente queste le domande nella sua testa. A cui io non potevo dare risposta per vederlo sorridere almeno per pochi secondi. Strinsi i pugni, per trattenere la rabbia di non potere fare nulla per lui.
La mattina e il pomeriggio passarono lenti, così lenti che ero sicura di vedere ogni singolo cambiamento nell'aria secondo dopo secondo.
La sera, Cameron affermò di voler stare un po' solo e io assecondai la sua richiesta. Io ne approfittai per dare uno sguardo a un volume sulla chimica che dovevo leggere per il mio potere della pirocinesi. Ero nel mezzo della lettura, noiosa devo dire, quando ebbi una visione.
Melinda e Charlie erano seduti in una squallida cucina di periferia. Dove, non riuscivo a capirlo. Sorridevano e Melinda stava fumando una sigaretta.
Mi accorsi di ombre nell'oscurità nella cucina, altri Different. Ma non capivo chi. Parlavano a bassa voce.
<< Quando? >>.
<< Domani >> rispose Melinda, tirando un altro tiro di sigaretta.
<< Bene. Allora come la mettiamo con lei? >> chiese una voce femminile.
Melinda ridacchiò. << La mia adorata sorellina? Con lei, me la vedrò io. Voi occupatevi della scuola >>.
<< Sei sicura? >> domandò Charlie, avvicinandosi a lei.
<< Certo. Voglio che tu li aiuti. Devo uccidere io Alisha. Occupati del preside o di qualche insegnante >> suggerì lei, calmissima.
<< Come vuoi, amore >> acconsentì Charlie.
La visione finì li. Presi fiato ma rimaneva accelerato. Buttai il libro a terra e Cassie e Liliane mi sostennero.
<< Alisha! Che cosa hai visto? >> chiese Liliane.
<< Melinda vuole attaccare la scuola! Vuole farlo domani, ma magari già stanotte. Sarebbe più facile! >>.
I volti delle mie amiche divennero maschere di puro terrore. Occhi ripieni di orribile paura che mi fece rabbrividire. CI alzammo e corremmo fuori, ignorando gli sguardi delle poche Different rimaste. Fuori incontrammo Alan e gli spiegammo la situazione. Inutile dire che divenne bianco come un lenzuolo.
Cameron stava uscendo proprio in quel momento dalla porta e io gli andai incontro, agitatissima. Mi scosse, chiedendomi cosa avessi da tremare tanto. Ero praticamente senza fiato e furono gli altri a spiegare. Ci precipitammo nell'atrio e chiedemmo alla segretaria di parlare con il preside o un insegnante. Percepì la nostra agitazione e ci fece passare. Spalancammo la porta dell'ufficio del preside Sullivan, senza fiato. Stava scrivendo qualcosa su un foglio anche se non avevo capito cosa. Ma non mi interessava. Ero ansiosa, agitata e chissà quanto altro che vasi, portapenne si alzarono. Le piante si congelarono e qualcuno finì bruciacchiata. Ma non me importava decisamente niente. In cinque spiegammo contemporaneamente cosa stava per accadere e quando ci calmò, presi a spiegare con foga e inciampando nella parole una dietro l'altra.
<< Dobbiamo fare evacuare la scuola! >>.
<< Non possiamo. Non c'è tempo! >> esclamò il preside. << Sono rimasti circa una cinquantina di alunni e gli insegnanti... Siamo nei guai >>.
Realizzammo che non c'era via da scampo.
Ma una piccola parte di me non era infelice.
Poteva essere la fine della mia ossessione.

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Capitolo 15
*** Scontro ***


Salve! So che vi ho fatto aspettare ma gli esami mi impegnavano e mi è venuta un idea per una nuova FF e dovevo sfruttare la creatività del momento! Buona lettura!

14. Scontro

In meno di dieci minuti, i cento Different rimasti nella scuola vennero allertati. Ci riunimmo dentro una sala delle conferenze, usata dagli insegnanti. Riusciva fortunatamente a contenerci tutti.
Sullivan salì un palchetto insieme a Charline. Gli insegnanti si affiancarono ai due. Io e gli altri studenti ci sedemmo su delle poltroncine rosse e la tensione era solida, quasi a poterla toccare.
<< Una nostra veggente ha avuto una visione: Melinda Button sta vendendo qui con Charlie Dawers. Mi è dolente informarvi che gli studenti morti negli ultimi dieci anni, sono con lei >>.
Un mormorio si diffuse per la sala. E io mi feci piccola piccola e nemmeno sapevo il perché.
Il preside riuscì a ripristinare il silenzio dopo un po'. << Dobbiamo organizzarci per andarcene da qui. Gli studenti più giovani fino al primo anno anno, sono pregati di seguire gli insegnanti. Gli studenti diplomati e  quelli che hanno completato il secondo anno in poi sono invece pregati di venire qui. In tutto, saremo una cinquantina a contrastare i Different nemici. Per i più giovani siete pregati di non fare niente di cui vi pentirete >>.
I più piccoli protestarono ma vidi tre insegnanti calmarli e trascinarli fuori dalla sala. Altri rimasero, io compresa con i miei amici e Cameron che mi strinse una mano.
<< I signori Moore e la bambina andranno con Cortès, via di qui >> dichiarò e vidi i miei genitori bianchi per il panico e il visetto di Serenity colmò di paura. Mi si avvicinarono e io li abbracciai stretti e poi Serenity. Mia madre non voleva lasciarmi e fu mio padre a trascinarla via per seguire la professoressa.
Mi sedetti, pregando che almeno loro si salvassero.
<< Ora, il piano è questo: vi disporrete alle entrate principali e ai passaggi sotto la scuola, nelle cantine. Voglio che i mutanti con poteri protettivi alzino uno scudo sulla scuola tutti insieme. In questo modo i teletrasportatori non possono entrare. Sappiamo che poteri hanno i trenta mutanti che seguono Melinda. Ma purtroppo non sappiamo quali poteri abbiano i due. Quindi vi prego di stargli il più lontano possibile >>.
Lo ammirai. La voce era controllata e non si leggeva una nota di panico o paura. Invece, doveva essere terrorizzato. Un gran via vai ci fu per uscire dalla sala e andare nell'atrio. Dieci mutanti con i poteri difensivi si si disposero di fronte alla porta principale. Il più grande era un passo avanti.
<< Tre... due... uno... Ora! >> esclamò. Sotto i nostri occhi stupiti, riuscirono ad alzare uno scudo bluastro, avvolgendo la scuola come una pellicola. Non doveva essere facile e mi appuntai di assorbirlo.
<< Perfetto! >> commentò Sullivan, prima di girarsi verso di noi. << I Different che possono curare vadano in infermeria >> ordinò e tre ragazzi, tra cui una giovane donna, corsero per la porta dell'infermeria.
<< Criocinetici e pirocinetici stiano alle porte principali della scuola >>.
Altri ragazzi si staccarono e corsero via. Eravamo rimasti circa una trentina.
<< Telepatici: dividetevi per la scuola in modo da informarmi se succede qualcosa >>.
Dieci ragazzi gli obbedirono e si divisero le aree della scuola.
<< Il resto si disponga per le uscite, porte, porte finestre e cantine. Preferisco che nelle cantine vada chi abbia poteri di intangibilità >>.
Liliane mi guardò, annuì e andò via con altre due ragazze.
Il preside mi fece segno di avvicinarmi.
<< Melinda è qua per te. Voglio che tu te ne vada via >>.
Sorrisi. << Ci ha provato >>.
<< Sapevo che mi avresti detto così >> sospirò e mi guardò. << Stai attenta >>.
<< Promesso >> dissi, allontanandomi con Cassie e Alan e Cameron. Il mio obbiettivo primario era Melinda e se ci riuscivo anche Charlie. Dovevo farcela a qualunque costo. Guardai Cameron e vidi i suoi occhi spenti. Gli strinsi una mano.
<< Non devi, se non vuoi >>.
Mi guardò. << Devo >>.
Non me la sentivo di obbligarlo a qualcosa che non voleva, perciò mi arresi subito. Forse voleva capire cosa avesse spinto la sorella a un fare una cosa simile. Mi bloccai a metà corridoio, ma non lo vedevo più. Solo lei, Melinda insieme a Charlie. Quattro o cinque Different era a occhi chiusi in un cerchio con loro al centro. C'erano anche i due. Quasi caddi a terra quando vidi una forte luce e poi più nulla. Fu Alan a prendermi in tempo.
<< Che hai visto? >>.
Aprii gli occhi. << È qui >>.
Il respiro si fece più accelerato, i cuori battero ancora di più. Sperai che un telepatico avesse sentito. Guardai fuori da una finestra con gli altri. Il cielo era azzurro e perfetto, senza una nuvola. E il sole era dorato e luminoso ed emanava una morbida luce sul giardino e l'edificio. E li vidi. Anzi, li vedemmo. Marciarono fino all'alto portone della scuola. Uno di loro alzò una mano e lo scardinò come se niente fosse. Sentimmo qualche botta e dei teletrasportatori insieme a Melinda e Charlie caddero a terra. Sicuramente avevano provato a entrare usando il teletrasporto.
Non riuscii a trattenere un sorriso.
Ero sicura che si stavano chiedendo come lo sapessimo. E doveva aver pensato a me. E la sua voglia di uccidermi doveva essere cresciuta. Come la mia.
<< Arrivano! >> sentii urlare dal piano inferiore. Ci guardammo e scendemmo le scale alla velocità della luce. I Different con il potere difensivo faticavano a tenere lo scudo. Delle esplosioni arrivavano dall'altra parte. Microcinesi, quasi certamente.
Botte che faceva tremare i muri, i cuori e il terrore dentro di noi. Ci preparammo ad accoglierli. Un ultimo botto e lo scudo si ritrasse. Caddero all'indietro, malamente.
Avanzarono, entrando nella scuola. Con la coda nell'occhio, riconobbi due ragazzi che avevo intravisto quando ero entrata nella scuola la prima volta. I Different “morti” quest'anno, insieme a un terzo.
Melinda e Charlie si misero un coda al gruppo.
Il suo sguardo andò a me e io non lo distolsi.
<< Quanti ricordi >> mormorò, guardando le pareti e la stanza. << Una casa... Come è stato per tutti >>.
Storsi la bocca, pensando che Melinda non aveva sentimento per poter sentire un posto casa. Guardai Cameron per un secondo e vidi che fissava qualcosa. O meglio una persona. Seguii il suo sguardo e capii.
Guarda sua sorella, Laura. Rispetto alla foto, aveva almeno sei anni in più. Gli occhi di Cameron erano perfettamente incastonati sul suo viso. I capelli erano più e le arrivavano alla vita. Era chiara di pelle e molto magra, quasi esile. Indossava un abitino rosso e scarpette nere. Notai che le donne avevano lo stesso vestito ma di colore diversi, così come le scarpe. Gli uomini erano invece, vestiti in modo diverso.
<< Mi dispiace fare del male al preside Sullivan >> continuò Melinda. << Lui è sempre stato così buono con me! Mi è rimasto nel cuore! >> disse, con un tono zuccheroso e poggiando la mano sul petto.
Scossi la testa. << Tu non hai un cuore >>.
Il suo sguardo si fece duro come il ghiaccio. << La mia sorellina... non sei contenta di rivedermi? >>.
<< Tu non sei mia sorella. Mia sorella si chiama Serenity e ha cinque anni >>.
<< Preferisci fare il muro di gomma, Alisha? Bene, tanto tra poco niente potrà ostacolarmi >>. Detto questo ci furono Different che avanzarono. Diverse fiamme invasero l'atrio. Sentii dei ruggiti e mi girai per vedere dei leoni possenti gironzolare per l'atrio, opera di Cassie. Alcuni Different nemici erano accasciati al suolo, in preda alla paura e fissati da Alan. Melinda alzò una mano e lanciò delle fiamme dirette verse di me, ma alzai un braccio a mia volta e le neutralizzai con del ghiaccio. Sparì dalla mia vista e nel tumulto cercai di vederla. C'erano urla, fiamme, ghiaccio, polvere, terra. Troppe cose.
Sentii delle mani acchiapparmi e gettarmi contro un muro. Gemetti di dolore e alzai lo sguardo. Charlie era davanti a me e mi bloccò le mani. Chiusi gli occhi e affondai nel muro, finendo nel corridoio. Mi rialzai e lo attraversai di nuovo. Charlie cercò di bloccarmi con dei rampicanti, ma gli diedi fuoco e poi un calcio a lui, per togliermelo di torno.
Cercai di trovare Melinda ma non la vidi da nessuna parte. Di colpo, la sua figura svanì nel corridoio che dava sull'infermeria. Le corsi dietro, saltando le creature uscite dalla mente di Cassie, e mi inoltrai nel corridoio. Lì, ci fu il silenzio. Interrotto solo dal mio respiro affannato.
Ricordai che era insonorizzato sia dai rumori esterni e interni per far riposare gli ammalati. Che furba.
Sentii un rumore e mi voltai, ma non vidi niente. Del liquidi verde mi arrivò in faccia, mezza accecandomi. Mi ritrovai contro la parete alla fine del corridoio e qualcosa mi bloccò. Melinda mi fissava, con un sorriso calmo sulle labbra. Stava usando la telecinesi e non riuscivo a muovermi.
Avanzò di un passo. << Eri davvero convinta di riuscire a uccidermi? Io, che ho dieci anni più di te? Sciocca, sorellina. Hai voluto giocare a l'eroina e ti è andata male >> disse dura, facendo sparire ogni traccia di dolcezza dagli occhi e dalle labbra. Io ero in panico, perché sapevo che aveva ragione. Dovevo imparare, studiare e non avevo abbastanza esperienza.
Diverse fiamme uscirono dalle mani di Melinda e io chiusi gli occhi, pensando alla mai famiglia, a Cameron, i miei amici...
Un botto, un grido.
Aprii gli occhi e Melinda era terra, dopo aver sbattuto contro un muro. Ero libero e corsi tra le braccia di Cameron. Piansi, sfogando la paura. Una voce di rabbia ci arrivò alle spalle.
<< Cameron! >> strillò Laura.
Cameron si voltò così lentamente, da cogliere ogni singolo movimento delle ossa. << Laura... Cos'hai fatto? >>.
<< Quello che è giusto! Melinda riuscirà a farci smettere di essere dei mostri! Saremo normali! >>.
<< E come? Dopo aver ucciso gli umani? Sei impazzita >> ribatté Cameron, abbracciandomi.
Laura puntò il dito contro di me. << Lei è l'unica che le impedisce che il suo piano si attui. Deve morire, com'è giusto! >>.
<< Io non credo proprio >> mormorò Cameron, sciogliendo l'abbraccio da me e fissandomi. << Adesso... >>. Ma non finì. Cadde a terra, con degli aghi nel collo. Io sgranai gli occhi e vidi Melinda con una mano alzata.
<< Stupido >> sussurrò rialzandosi dal pavimento.
<< Che cosa gli hai fatto?! >>.
<< Dorme, anche se non per molto. Voglio lasciare il privilegio a sua sorella >> rispose, passandosi una mano tra i capelli biondi.
Una furia ceca invase i miei occhi. Praticamente vidi rosso. Fulminai Melinda con gesto rapido ma lei riuscì a congelarmi la mano. Sciolsi il ghiaccio e corsi verso di lei, con l'intenzione di buttarla a terra. Ma non ci riuscii. MI ritrovai acchiappata da dietro da Charlie.
<< Lasciami andare! >> strillai, muovendo le gambe nel tentativo di fargli del male.
<< Perché? Dopotutto, sei quasi mia cognata >>.
<< Melinda non è mia sorella! >> ribattei con fermezza non da me. Non riuscivo a scappare, qualcosa me lo impediva.
Charlie avvicinò la bocca al mio orecchio. << Ho bloccato per pochi minuti i tuoi poteri... Abbastanza per ucciderti >>.
<< No! >> urlai, lasciandomi andare al panico. Melinda si avvicinò, minacciosa. Un pugnale spuntò nella mano destra. Non poteva finire così. Non doveva. Per me, gli altri, il mondo. Desiderai potermi salvare, poter fare qualcosa. Ma ero in balia del panico. E nessuno mi avrebbe salvata, non stavolta.
Era forse destino? Ero sfuggita alla morte per mano sua quand'ero nata, tempo prima. Non potevo essere fortunata una terza volta. E lei lo sapeva.
Pensai a Cameron. A quanto erano state belle quelle settimane con lui. Sperai che non mi dimenticasse... che anche quando fosse andato avanti, ogni tanto mi pensasse... e mia madre e mio padre, che mi aveva cresciuta come una figlia con un infanzia e un adolescenza normale. E mi avevano fatto un dono bellissimo: Serenity. Che sarebbe diventata grande senza di me. Non avrei mai sentito della sua prima cotta, del suo primo bacio, non mi sarei litigata i vestiti con lei. E quando anche lei sarebbe diventata grande, parlare come complici amiche.
E anche Janet, che mi aveva accetta. E i miei nuovi amici, soffrendo insieme per qualcosa che non abbiamo voluto e capendomi.
Melinda ci era riuscita: mi aveva tolto tutto.
<< Addio, Alisha Moore >> sussurrò e i miei occhi erano colmi di lacrime. Quando alzai lo sguardo, la vidi irrigidirsi.
Charline la teneva sotto il suo potere e fece lo stesso anche con Charlie. Mi lasciò andare e io sentii di nuovo i miei poteri.
<< Lasciami andare! >> urlò Melinda, con la testa fra le mani. Charline mi prese per un braccio.
<< Corri, Alisha! Corri! >>. Non me lo feci ripetere due volte: passai attraverso un muro per ritornare nell'atrio. Vidi cadaveri e sperai che non fossero alleati. Vidi sangue, e sperai che non fosse dei miei amici. Sentii urla... sperando che non fossero di chi volevo bene.
Una mano bianca mi prese per il polso.
<< Hanja >> mormorai, sollevata. << Sta bene >>.
<< Si, per mia fortuna >> disse con un sorriso strano, a metà. Mi spaventai e mi allontanai istintivamente. Sotto i miei occhi, Hanja cominciò a cambiare. I lunghi capelli biondi si ritrassero nel cranio e si scurirono. Gli occhi diventarono più grandi e castani. La pelle più rosea e molto più alta e possente. In dieci minuti, James Brown apparve davanti a me. Si schioccò le ossa del collo e mi guardò.
Scuotevo la testa e indietreggiai.
<< Hanja >> dissi, incredula.
James rise. << Hanja? É morta poco dopo il diploma! Io ho preso il suo posto per tutto questo tempo! Sono in grado anche di imitare i poteri i poteri degli altri Different e quindi nessuno mi ha scoperto! >>.
Non poteva essere vero. La prima persona che tanto si era dimostrata gentile con me era un nemico. E pensare che a lei avevo detto tutto. Ed ecco come faceva Melinda a saperlo.
Alzai le mani e lo congelai, senza neanche starlo a sentire. Si divincolò, fino a essere rinchiuso nel ghiaccio. Reprimetti l'istinto di mandarlo in pezzi. Dovevo uccidere solo una persona, e non era lui.
La battaglia proseguiva. La scuola era in parte distrutta e non stavamo vincendo.
Vidi Cameron correre verso di me e abbracciarmi.
<< Andiamocene via! >>.
<< Non possiamo lasciarli qui! >>.
<< Il preside ha ordinato una ritirata! Dobbiamo scappare! >>. L'ultima parola fu urlata in modo che sentissero tutti. In breve, gli alleati rimasti in vita ascoltarono ciò che aveva detto Cameron. Io e lui corremmo e gli dissi di prendere un bel respiro.
Attraversammo la parete e cademmo a terra. Lui si mostrò terrorizzato. Due Different nemici cercarono di attaccarci con fulmini e rampicanti ma Cameron li scagliò lontani diversi metri. Si alzammo e riprendemmo a correre, come gli altri. Sperando di raggiungere il cancello e uscire da quell'inferno. Diedi fuoco a due donne e io e Cameron li sorpassammo.
Ci trovammo fuori dai confini della scuola e ci voltammo di scatto per guardare l'edificio. Mi guardai attorno per sperare di vedere più gente possibile, ma quando anche l'ultima uscì notai che ne mancavano almeno dieci. Mi si strinse il cuore.
Melinda apparve davanti a noi insieme a Charlie, un passo dietro di lei. E con mia enorme sorpresa, tutti i suoi scagnozzi si erano salvati.
Puntò un dito contro di me: << Ho già il futuro. E prima o poi lo vedrai anche tu. Morirai, Alisha >>.
Non mi lasciai intimidire. << Allora sai che non oggi >>.
Sorrise. << Brava. Adesso c'è ne andiamo... ma prima... >>. Non riuscimmo a fermarla. Lei, Charlie e altri pirocinetici, provocarono un esplosione e la scuola fu avvolta dalle fiamme. Sparirono.
Noi restammo a fissare la scuola in fiamme. Senza poter fare nulla. Liliane, Cassie e Alan mi si affiancarono, sporchi di sangue e polvere.
La scuola dove tanti avevano trovato una famiglia, una casa. Un luogo dove venir accettati. Non visti come mostri, come faceva il resto del mondo.
Il preside guardava la scuola e notai che Charline non era con lui. Sullivan si accasciò al suolo, con le mani sul viso. E io capii.
Le fiamme lambivano la scuola, il giardino, distruggendo tutto. E con loro, le nostre speranze.






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Capitolo 16
*** Momenti difficili ***


15. Momenti difficili

Non sapevo come mi sentivo, sapevo solo di avere un cervello incapace di pensare. Qualcuno mi circondava con le braccia, forse Cameron, forse mia madre o tutte e due. Mi fecero sedere su una sedia, dove però? Ero sicura di trovarmi su un prato, davanti alla Collegio. E adesso sentivo la morbida stoffa di una sedia. Lentamente ripresi a pensare e concentrami su i miei pensieri e sensi. Sentii voci, lacrime e qualche urlo di dolore. Una mano si posò sul mio viso.
<< Alisha? >> chiamò Cameron. << Mi senti? >>.
Annuii. Almeno credo.
<< Siamo al sicuro. Una sorta di base segreta impossibile da trovare per Melinda.. per ora >> concluse Liliane, e credo fosse lei per l'accento francese.
<< La vice preside è... >> chiese, strozzando la voce a metà.
La mano di mia madre strinse la mia. << Si >>.
<< E gli altri? >> chiesi, certa di sapere che Charline non era l'unica.
Si guardarono per un istante infinito. << Eravamo circa una sessantina... e siamo tornati in quarantacinque... >> rispose alla fine Cassie.
Mi sciolsi in lacrime, afflosciandomi sulla sedia. Erano morte quindici persone per colpa mia. Con gli occhi annebbiati di lacrime, vidi tutti gli insegnanti. Tranne Hanja. Ciò voleva dire che tredici studenti, quelli tra i più grandi, erano morti. Per colpa mia. Solo mia.
Non so quanto tempo passò, quante persone mi abbracciarono. Ricordai solo che a un certo punto vidi il buio e nient'altro. Quante ore erano passate?
Una luce fortissima mi accecò quando aprii gli occhi di scatto. Era stesa su un letto, dentro una minuscola stanza intonacata di bianco e un paio di vecchie mensole scure, vuote. Una finestrella gettava della luce dentro la stanza, quasi a forza. Intravidi alberi rigogliosi, troppo. Qualche geocinetico doveva aver provveduto. Ero sola e mi sforzai di mettere i piedi a terra, sopra un logoro tappeto marroncino e un pavimento di legno scuro. Una porta era davanti a me e quando appoggia la mano sulla maniglia e se non mi avesse trapassata, mi sarei ritrovata un bel livido in faccia.
<< Scusa >> balbettò Cameron, chiudendola.
<< Dove siamo? >>.
<< Non lo so. Un posto sconosciuto, almeno a noi studenti. So solo che appartiene alla famiglia del preside >>.
Il pensiero di Sullivan mi fece solleticare gli occhi di lacrime.
<< E adesso? Ha distrutto la scuola. Cosa facciamo? >> chiese a Cameron. Si sedette sul letto accanto a me e mi cinse con le braccia. Appoggia la testa sulla sua spalla, desiderando che il resto scomparisse e restassimo lì, in quella pace apparente.
<< Non so dirti neanche questo >>. Il tono con cui lo disse mi fece trasalire come una scossa elettrica lungo la schiena. Lo guardai dritto negli occhi verdi, obbligandolo a guardarmi.
<< Il tono con cui lo hai detto non mi piace affatto >>.
Sospirò. << Non ho fatto niente per impedire la tua sofferenza >>.
<< Ma che dici, Cameron? Non è colpa tua. Ma di Melinda e Charlie. E forse mia >>, mi corressi subito, << anche mia >>.
Cameron scosse la testa, incredulo e questa volta fu lui a obbligarmi a guardarlo. << Non dirlo neanche per scherzo! Lei è pazza, tu non sei come lei. Tu sei... >>. Si interruppe, forse non riusciva a trovare le parole. <<  Sei il suo contrario. Quindi sei un perfetto angioletto >>.
Malgrado la situazione sorrisi. Ma si spense subito. << Per ora >>.
<< Non ucciderai Melinda. Non voglio >> disse con fermezza che mi stupii parecchio.
<< Invece si. Se no, chi lo farà? >> domandai e non rispose. Magari voleva rispondere se stesso ma sapeva che davanti a me non gli conveniva. Ed era meglio per lui che non azzardasse nemmeno a pensarlo.
<< Forse è meglio che andiamo >> disse, alzandosi e porgendomi una mano. Poi mi ricordai di un particolare.
<< E tua sorella? >>.
Si irrigidì di colpo. Si voltò lentamente, quasi avessi detto una bestemmia. << Io non ho più una sorella. Perlomeno, non si chiama Laura >>.
Lo abbracciai, forte. Come pochi giorni prima.
Erano passate meno di quarantotto ore eppure sembrava tutto così lontano. E il resto troppo vicino. Anche lui adesso capiva cosa di provava ad essere imparentati con qualcuno desiderando che non sia così. Ma con il tempo lo avrebbe superato, come avevo fatto io.
O no?
Per molto tempo, fino a... neanche io sapevo quando... avevo speso le mie energie mentali e fisiche desiderando che Melinda Button non fosse mia sorella. Io non riconoscevo quel legame, ma il DNA non mente. Ed io non potevo prendermi in giro fino in fondo. Una volta, una sola, aveva immaginato, pensato, come sarebbe stata la mia vita se Melinda Button fosse stata un semplice genio e umana. I nostri veri genitori sarebbero ancora vivi e io sarei cresciuta con loro e lei. E poi? Non sarei stata una Different quindi non avrei conosciuto Cameron o Cassie o Liliane. E i miei genitori adottivi? Che fine avrebbero fatto?
<< Va tutto bene? >> domandò Cameron, scuotendomi dai miei pensieri, sbagliati per me.
<< Sto bene >> risposi. << Dove dobbiamo andare ora? >>.
<< In quella definita la grande sala >>.
Mi guidò, mano nella mano, per un lungo corridoio pieno di porte uguali a quella della stanza precedente. Il posto doveva essere antico, perché i legni che ricoprivano il soffitto e certe pareti era vecchio. Scendemmo ben due rampe di scale, notando che c'è ne erano altre sopra le nostre teste. Un ingresso bianco e lucido era davanti a noi e Cameron aprì una porta, nuova stavolta. La sala era grande, grandissima. Ed io mi chiesi come diamine potesse un posto del genere avere una stanza tanto grande. Un tetto alto e a punta. Finestre alte e strette, coperte di pesanti tende blu. Tavolini quadrati ovunque, tipo sala mensa. Alcuni erano stati uniti per formarne uno più lungo dove far sedere gli insegnanti. Erano tutti lì. Sullivan sembrava come sempre ma doveva soffrire moltissimo. Mi guardai intorno. Facce lunghe, troppo lunghe.
Notai un unica televisione nell'angolo, accesa. Un telegiornale. Cameron mi guidò verso un tavolo dove Cassie, Liliane e Alan erano seduti. I miei genitori corsero verso di me, stringendomi in un abbraccio. Ero sollevata nel vederli in salute e strinsi Serenity a me, sentendo piccole lacrime bagnarmi la stoffa della maglia. La misi giù e parlai brevemente con i miei genitori. Mi dissero che non sapevano niente neanche loro. Quindi ero nella più totale confusione. E Sullivan lo sapeva.
Liliane e Cassie mi abbracciarono e Alan era contento che io stetti bene. Come io ero contenta che almeno i miei amici fossero vivi. Mi sedetti, con Cameron a stringermi la mano. Forse nel tentativo di consolarmi e io strinsi la sua automaticamente.
<< E adesso? >> chiese ai miei amici, sperando che almeno ne sapessero più degli altri.
<< Non sappiamo nulla. Gli insegnanti stanno zitti >> rispose Liliane, indignata di quel silenzio. Batté una mano sul tavolo, sonoramente. << Devono dirci come stanno le cose! >>.
<< Ha ragione >> concordò Cassie. << Mi dispiace molto per la vice preside e capisco il dolore del preside... ma tenerci all'oscuro, sopratutto te, non ci fa bene. Le cose vanno già male senza che ci si metta altro >>.
<< E gli altri genitori? Insomma, per quanto rinneghino i figli, si chiederanno dove siano. La notizia avrà già fatto il giro del mondo! >> dissi, confusa.
Liliane ridacchiò. << Ai miei non dispiacerà. In questo modo possono tenere la loro famiglia di facciata insieme a mio fratello Jean >>.
<< Scusa, Liliane >> dissi, mortificata.
Lei scosse la testa. << Ci passo sopra >>.
<< Ma non i miei >> intervenne Alan. << Per quanto mi odino, scommetto che mia madre starà andando fuori di testa >>.
<< Anche i miei. Contando ciò che hanno scoperto... non sopporterebbero la perdita di un altro figlio >> disse Cameron e io poggiai la testa sulla sua spalla e lui mi passò una mano tra i capelli. Tentavo di consolarlo, ma non ci riuscivo. Ero troppo depressa per farcela.
La porta della sala si aprì e delle persone entrarono. Ero certa che non fossero insegnanti e non erano in età da studenti. Una coppia, un uomo e una donna, corsero verso di noi. Sentii l'agitazione della donna fin dentro di me, mischiato a un sollievo incredibile. E Alan sentiva sicuramente le stesse cose. L'uomo era invece ansioso. Cameron balzò in piedi, stupito. E capii. Quelli erano i genitori del mio ragazzo.
Bene, pensai, conoscerò proprio in un occasione del genere i miei suoceri!
Anche io mi alzai.
La signora Jenks gettò le braccia al collo del figlio, piangendo. Un'altra ragazza, appena più dietro i due, ci guardava. Doveva essere Katherine, la sorella minore di Cameron. Non somigliava per niente al fratello e nemmeno a Laura. I capelli era folti e biondissimi. Occhi blu mare e pelle bianchissima. Mi chiesi se per caso non l'avessero adottata.
Il padre abbracciò il figlio, commosso.
<< Cameron, siamo venuti appena abbiamo saputo! >> esclamò la signora Jenks, senza smettere di guardare il figlio. Cameron mi prese per mano e mi fece avanzare. Doveva leggere il mio imbarazzo perché mi sorrise per incoraggiarmi.
<< Voglio presentarvi Alisha Moore... la mia ragazza >>.
La donna si fece avanti. << Emily Jenks>> si presentò, stringendomi la mano calorosamente. Io ricambiai la stretta. Al figlio aveva trasmesso solo gli occhi verde chiaro, così come a Laura. I capelli erano di un morbido color caramello e lisci, fino alla spalle. Il viso era ovale ed era minuta ovunque.
Anche il signor Jenks si fece avanti. << Vincent Jenks >>. Strinsi la mano anche a lui. Gli occhi era color castano chiaro con capelli ordinati castano scuro. Era alto almeno due metri e il fisico era slanciato e aveva una tonalità scura di pelle.
<< Piacere di conoscervi >> dissi timidamente, anche se non era da meno. Con i genitori di Dylan non mi ero mai comportata così.
Katherine si fece avanti. << Sono la sorella minore di Cameron. Katherine >>.
<< Mi ha parlato di te >>.
<< Non avevo dubbi >> continuò lei, lasciando la mia mano e fissando i guanti bianchi Mi affrettai a mettere le mani dietro la schiena.
<< Come avete fatto ad arrivare qui? >> chiese Cameron, curioso. In effetti, anche io lo ero.
<< I Different che conoscono molto bene il preside Sullivan sanno di questo posto. Non potevano non venire a constare che stessi bene con i nostri occhi >> rispose Emily, trattenendo le lacrime.
<< Capisco. Ma va tutto bene >> assicurò Cameron. << Per ora siamo al sicuro >>.
<< Come siete arrivati qui? >> domandai. Voleva dire che era un posto facile da raggiungere. I componenti della famiglia Jenks ridacchiarono.
<< Mia madre è in grado di teletrasportarsi >> spiegò Cameron. << Mio padre è un cronocinetico >>.
<< Questo spiega molte cose >> balbettai, imbarazzata. A volte dimenticavo quante cose strane succedessero in quel mondo. Katherine si guardava attorno, ammirata da le strane cose che vedeva intorno a sé. Dato che non eravamo a scuola, non era strano vedere galleggiare per aria piatti e bicchieri, qualche scintilla e ghiaccio. Più la guardavo, più ero convinta che l'avessero adottata. Questo spiegava perché non era una Different.
I miei genitori si avvicinarono e fecero conoscenza con la famiglia Jenks. Li lasciai a loro. Salutai i miei amici e uscii dalla sala con lui. Camminammo fino a un angolo tranquillo. Cameron non protestò, forse aveva capito il mio bisogno di dover stare sola con lui. Fuori da quel chiasso, in pace e in silenzio. Il quel posto, c' ne era di silenzio nei posti giusti. Sembrava quasi un castello.
<< Cameron, posso farti una domanda sulla tua famiglia? >>.
<< Dimmi >>.
Ci misi un po' a formulare la domanda. << Katherine non è tua sorella biologica, vero? >>.
Lui rimase spiazzato. Non se lo aspettava. E mi chiesi come si faceva a non notare la differenza tra lei e il resto della famiglia. Va bene che non sempre i figli somigliavano ai genitori però non fino a quel punto. << Si vede tanto? >>.
<< Eh si >>.
<< I veri genitori di Katherine sono morti in un incidente stradale quando lei aveva sei mesi. Erano i migliori amici dei miei. In caso di morte prematura, volevano che la figlia venisse accudita da i miei genitori. I miei l'hanno cresciuta come una figlia. Abbiamo appena un anno di differenza >>.
<< Ma lei non lo sa >> notai pacata.
Cameron scosse la testa. << No. Non le abbiamo mai detto la verità. Anche se penso che lei lo sospetti. Quando sono diventato Different anche io, avrà cominciato a domandarselo. Vedi, la scienza afferma che i figli dei Different non debbano necessariamente diventarlo, però se su tre figli biologici, due lo diventano è certo che anche il terzo lo sia. Ma, a meno che non fosse un caso come tanti, Katherine non lo è mai diventata >>.
Pensai ai miei. Non mi avevano mai detto la verità. Perché? Che senso ha non dire ai propri figli di non averli messi al mondo? Ma capii lo stesso la scelta dei signori Jenks. A volte, le famiglie biologiche non sono quelle della televisione e io ne ero la prova vivente. I miei mi avevano mentito per proteggermi, sospettando qualcosa. Avevano fatto bene? Era una domanda che mi ponevo spesso. E non sapevo trovarvi risposta.
Cameron mi mise un dito sotto il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi. Sapeva che cedevo. << A che pensi? >>.
<< Ai miei. Non mi hanno mai detto la verità e ancora oggi mi chiedo se sia stata giusta la loro scelta >>. I suoi occhi si riempirono di dolcezza.
<< Si >>.
Rimasi basita e lui se ne accorse. << Le bugie non fanno sempre male, Alisha. Servono a mantenere la vita come la conosciamo. Certe verità possono restare dove sono >>.
Compresi che adesso non parlava solo di me. Ma anche di lui. Di Laura.
<< Laura non sa quello che fa >> tentai.
Scosse la testa, per negare. << Oh, si invece. Poteva dire di no, ma non lo ha fatto. Ha tentato di uccidermi, me. Suo fratello >>.
Cercai di alleggerire l'atmosfera. << Wow... Abbiamo due sorelle fantastiche sia io che te >>.
Sorrise. Finalmente. << Già... Abbiamo un'altra cosa in comune >>.
Sorrisi anche io, nel vedere quel suo sorriso che mi lasciava senza fiato. << Dovremo tornare in sala... Sai... non possiamo restare qui a lungo. Spero che il preside decida di dire qualcosa... E dovremo essere in lutto... >>. Inceppai in tutte le parole, poiché vedeva Cameron tirarmi verso di sé per baciarmi. Ci riuscì e io scollegai il cervello per due secondi. Volevo per qualche minuto almeno, essere un'adolescente normale, come tante. Poter baciare il mio ragazzo, senza temere niente.
Il bacio si fece più profondo e Cameron mi strinse. Il contatto con lui mi rilassò completamente. Ero così estraniata dalla realtà che non sentii i passi per il corridoio e venire verso di noi.
<< Scusate >> borbottò Katherine facendo il gesto di andarsene.
Arrossii terribilmente. Maledizione. Ma almeno una cosa giusta era possibile? <>.
Lei annuii e andò via alla velocità della luce. Cameron strinse le labbra, a disagio. << Katherine non mi ha mai beccato a pomiciare. C'è proprio una prima volta per tutto >>.
Ridacchiai. << Dai, torniamo in sala >>.
Quando mettemmo piede dentro il salone, vidi il preside alzarsi dalla sedia dov'era seduto in fondo alla tavolata. Doveva parlare. Era ora. Mi misi subito in ascolto.
<< Vi informo che per ora... rimarremmo qui. Non so per quanto. I vostri genitori, se non sono Different, non possono essere avvertiti. Per la loro e nostra sicurezza. Sono certo che Melinda non troverà questo posto e potremo... riprenderci >>, si interruppe sull'ultima parola,  << sono morte... quindici persone... >>. Detto questo tirò fuori un foglio e cominciò a leggerlo. A ogni nome e cognome, il mio cuore perdeva qualche colpo. E i miei occhi perdevano lacrime di dolore. Sentivo attorno a me tristezza e dolore intenso.
L'ultimo nome fu proprio quello della vice preside e il preside lo lesse con una voce rotta. A stento tratteneva le lacrime. Lo ammirai. Io non ci sarei mai riuscita.
<< Le famiglie verranno avvertite il prima possibile >> continuò. << E cercheremo di recuperare i corpi il prima possibile >>.
Concluse così il suo discorso. Uscì dalla sala, passandomi accanto e io venni investita da qualcosa di così doloroso che a confronto una pugnalata era una passeggiata. Un dolore incredibile.
Sullivan uscì definitivamente dalla sala e la sensazione sparì. E così, era questo ciò che provava il preside per la perdita della moglie. La rabbia mi salii subito. Strinsi i pugni, penando a Melinda. Liliane mi guardò.
<< Stai bene? >>.
<< No, non sto bene! >> esclamai, facendo sussultare tutti. << Sono morti tutti per colpa mia! E il preside soffre in modo indescrivibile! >>.
<< Non è stata colpa tua >> mi contradisse Alan. << Nessuno lo pensa >>.
Mi guardai attorno. Leggere le emozioni degli altri era quasi come leggere le menti. Sentivo frustrazione diretta verso me e rabbia, sempre verso me.
<< Non è vero, Alan. E tu lo sai >> dissi, a denti stretti. << Molte persone qui pensano che la colpa sia mia, solo mia! >>.
Uscii dalla sala ancora prima di sentire le risposte dei miei amici e non permisi nemmeno a Cameron di seguirmi. Salii spedita in camera e sbattei la porta. Sentivo tanta rabbia. Troppa. Feci esplodere l'oggetto più vicino, sperando di sfogarmi ma non servì affatto. Che mi succedeva? Non mi ero mai sentita così.
Melinda. Era colpa sua. Era sempre colpa sua. Mi aveva rovinato la vita e doveva pagare. Guardai fuori dalla finestra e nel vetro, vidi il mio riflesso. Il viso contratto e duro, uno sguardo strano a occhi socchiusi. Non ero io.
Stavo diventando quello che Melinda voleva. E non dovevo cedere. Non volevo. Qualcuno bussò alla porta, ma non volli aprirla.
<< Apri >> disse Cameron. << Ti prego >>.
Mossi la mano di scatto e fece scattare la serratura. Un altro gesto secco e la porta si aprì. Cameron entrò cauto. Si chiuse la porta alle spalle. Si sedette accanto a me, sempre attento come se avesse paura di vedermi esplodere da un momento all'altro.
<< Stai bene?>> mi domandò, passandomi una mano sul viso.
<< Sto diventando quello che Melinda vuole! >> esclamai, incapace di trattenere le lacrime. << Non voglio, Cameron! >>.
<< Tu non sei come lei >> disse, in un tono che mi stupii. Era determinato e frenò le mie lacrime. << Io so come sei. Tu non sei come lei. Sei solo nervosa e ti senti in colpa. Ma non devi >>.
<< Cosa devo fare? >> chiesi, poggiando la testa sul suo petto e bagnandolo di altre lacrime che avevano cominciando a scorrere ancora. Lui mi abbracciò e io chiusi gli occhi.
<< Tutto tornerà a posto. Vedrai >>.
<< Quando Melinda  sarà morta >>.
Il suo corpo divenne rigido come una tavola. << Non devi dire così. Non voglio >>.
<< Ma è la verità. Io la ucciderò! >>. Lo dissi con un tono che sfiorava l'auto convinzione.
<< Non troverò mai il modo di convincerti, vero? >>.
<< No, mai >> risposi, alzando lo sguardo per fissarlo negli occhi. Mi persi per pochi secondi lì, come un oceano. E lui lo notò, perché mi passò una mano sul viso, lentamente.
<< Anche se... è passato solo un mese... io... >>. Non finì la frase.
<< Continua >>.
<< Sento di non poter stare senza di te >> confessò e gli sorrisi.
<< Non succederà. Promesso >>.
<< Mi fido di te >> aggiunse, uno sguardo dolce. Rimanemmo a fissarci per diverso tempo, prima di renderci conto che forse dovevamo tornare in sala. Ci prendemmo per mano e io volevo solo che le parole di Cameron fossero vere.
Non erano vere infatti: niente sarebbe tornato come prima.

Ringrazio tutte le persone che la leggono ed è tra le preferite e le seguite! Grazie mille!

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Capitolo 17
*** Ricognizione ***


16. Ricognizione

Guardavo fuori dalla finestra, chiedendomi cosa ci fosse oltre quel manto di stelle argentate. Ero certa che ci fosse qualcosa. Magari una realtà diversa. Un'altra me stessa in un altro mondo. Una Alisha che non era ossessionata da pensieri assassini come lo ero io.  Poggiavo i gomiti sul davanzale, visto che la finestra era proprio sopra il mio letto.
Sospirai pesantemente.
E proprio in quel preciso momento, sentii due braccia circondarmi le spalle da dietro e io socchiusi gli occhi con un sorriso. Toccai quelle mani che mi erano così familiari e le labbra di Cameron sfiorarono il mio collo.
<< E se entrano i miei? >>.
<< Potrebbe anche avere un po' di comprensione >> mi rispose lui, baciandomi i capelli. << Insomma, non posso starti lontano a lungo >>.
Mi voltai e gli diede un bacio leggero. Ma proprio in quel momento, Liliane entrò nella stanza, passando per la porta. Indietreggiò di un passo, quando ci vide abbracciati.
Arrossì leggermente. << Scusate >>.
<< Di niente >> dissi, districando l'abbraccio ma senza lasciare la mano di Cameron. << Cosa c'è? >>.
<< Sono arrivati Justin e Kristen >>.
Sorrisi.
Erano passati due mesi da quando Melinda e Charlie avevano incendiato la scuola. Era già metà Agosto e la scuola doveva iniziare il primo Settembre. Ma non quest'anno. I Different che avevano lasciato la scuola prima dello scontro furono spediti negli altri due Collegi. Ma quelli che non avevano nessuno da cui tornare ed erano rimasti con noi ancora non avevano nessuna intenzione di farsi mandare in un altro Collegio.
Kristen, Selene e Justin avevano saputo cos'era accaduto e si erano rifiutati di andare anche loro in un altro Collegio. Il preside protestò a lungo, ma lo convinsi che era la cosa migliore. Erano miei cari amici e Melinda lo sapeva: non erano al sicuro lontano da noi. Così erano partiti, mentendo alle famiglie. Avevano raccontato che la scuola sarebbe iniziata regolarmente. Nei Collegi, si arriva almeno due settimane prima.
Selene era arrivata una settimana prima ed ero felice di saperla al sicuro. Ed ora che anche gli altri due erano qui, ero certa di avere le persone a cui tenevo al sicuro. Janet e la sua famiglia erano ancora sotto la nostra protezione ed ero sicura che stessero bene.
Me lo dicevano le mie visioni.
Sapevo che l'unica cosa che rimaneva era uccidere Melinda. Ma per quanto odiassi ammetterlo, non ero pronta. E non me la sentivo. Ecco cosa mi aveva bloccata la prima volta che me la ero trovata di fronte, faccia a faccia per bene. Pari alla pari.
Ero un pericolo e lei lo sapeva.
Arrivai nella sala più grande di quella sorta di castello e Kristen mi corse incontro, un turbine biondo velocissimo.
<< Ero certa che stessi bene! >> esclamò.
<< Anche io ero sicura di voi >> dissi, abbracciando Justin.  Salutarono anche Cameron. << Ora siete al sicuro e ne sono felice >>.
<< Ci hanno detto delle morti e di Charline e anche di... Hanja >> disse con voce tremante Kristen, come se stesse per sciogliersi in lacrime.
<< Vi hanno detto bene >> confermò Cameron.
<< Oh, quanto mi dispiace >> disse Justin. << Charline era una brava insegnante. E Hanja... be', chiunque fosse era stata brava lo stesso >>.
<< Il preside come sta? >> chiese lei.
<< Non lo da a vedere ma soffre >> disse Alan. << Credo che si dimentichi che qui ci sono empatici >>.
Dentro di me sentivo la commozione dei miei amici, la felicità per essere tornati. Ma percepivo una vaga preoccupazione e mi girai per andare da quella fonte. Scoprii che veniva da una persona nell'ombra che ci guardava. Anche Alan se ne era accorto.
<< Preside >> dissi. << L'ho sentita >>.
Uscì dall'ombra. << Alan ha ragione: dimentico spesso degli empatici. E che mi ricordi tanto Melinda: a lei non sfuggiva niente >>.
Fremetti. Non volevo essere paragonata a lei. Io non avevo niente in comune con lei. Niente.
Sullivan se ne accorse. << Scusa, so quanto ti da fastidio essere paragonata a tua... >>.
<< Non lo dica >> sibilai, irritandomi all'istante. << Non dica sorella, la prego >>.
Il preside sospirò. Si voltò verso Kristen e Justin. << Sono contento che siate tornati. Anche se non nascondo che avrei preferito farvi continuare gli studi >>.
<< Ma noi preferiamo aiutare che studiare >> lo contradisse Kristen.
Annuì e poi mi guardò ancora. << Alisha, puoi venire un attimo? >>.
Per una frazione di secondo guardai i miei amici e Cameron. Lo baciai velocemente e poi seguii il preside lungo un corridoio. Mi chiedevo cosa volesse.
<< Presto lo scoprirai >> disse, rispondendo alla mia domanda mentale.
Sbuffai. Ecco perché non volevo leggere nel pensiero.
Lo sentii sghignazzare appena. Da quando la moglie era morta, non sorrideva mai.
Ci fermammo in un punto in cui il corridoio si divideva e ci guardammo.
<< Ho una cosa per te >> disse, mettendo le mani nelle tasche. Ne estrasse una foto e la presi con la punta delle dita. Ritraeva una casa, per la precisione era una villa. Molto bella. Ma aveva l'aria poco curata e vecchia.
<< Cosa vuol dire? >>.
<< Quella villa era quella dei tuoi genitori naturali. Legalmente appartiene a Melinda >>.
La guardai e pensai. Quindi era quella la casa dove avevo vissuto un mese e dove forse sarei cresciuta. Scossi la testa, per eliminare i pensieri fastidiosi. << Continuo a non capire >>.
<< Melinda non va in quella villa quasi mai. Tranne da quando è scappata. Vorrei fare una ricognizione >>.
<< Cosa?! >> esclamai. << Ma non si può! E se Melinda e il suo fidanzato sono lì? >>.
<< Sappiamo per certo che da quando ha distrutto la scuola non ci mette più piede >> rispose calmissimo. Io non lo ero per niente. E la sua calma mischiata alla mia agitazione mi dava un tremendo fastidio. << Ma... io non me la sento di andare. Vorrei che ci andassi proprio tu. Le veggenti hanno visioni molto chiare quando toccano oggetti che hanno già visto o vissuto addirittura. Quella villa è come la tua distributrice di visioni personale >> mi spiegò e io non riuscivo a credere a una pazzia simile.
<< È una pazzia! >> ribattei. << Non possiamo rischiare così! Anche Melinda è una veggente >>.
<< Senti, Alisha >> disse paziente. << Se te lo sto proponendo c'è un motivo. So che non vi succederà niente >>.
<< Vi? >> domandai perplessa.
<< Ho dato il permesso a Justin, Selene e Kristen di tornare per un motivo. Per aiutarti. Con Alan, Liliane e Cassie insieme a Cameron andrete a villa Button >> disse, ma il tono era da preside, ordini.
<< Mettiamo che io accetti >> cominciai, ma non mi sembrava di avere granché come scelta. << Come ci arriviamo? >>.
<< Non sai teletrasportarti? >>.
<< Non ancora >>.
<< Allora da oggi si >>.
Due ore dopo, avevo assorbito il potere di un ragazzo. Provai qualche volta e dovevo ammettere che era veramente fantastico. Era come correre a velocità velocissima. Pensavo a un posto e mi ci trovavo. Anche se dovevo dire che all'inizio avevo sbagliato parecchio.
Il preside aveva deciso di fissare la spedizione per la mattina dopo. Ai miei non venne detto niente, per non impaurirli anche se ne avevano tutti i motivi del mondo. Io dormivo da sola nella piccola cameretta dove mi ero svegliata la prima volta. Era minuscola ma la sentivo abbastanza mia. E devo anche aggiungere che c'era un motivo se adoravo quella stanza. La notte, quando tutti andavano a dormire, Cameron sgattaiolava in camera mia, chiudendo la porta a chiave. Liliane sapeva di dover bussare la mattina, quindi era tutto a posto.
Ma dormivano solo. Nient'altro. Anche se nessuno crederebbe che un'adolescente di sedici anni dorma davvero con il proprio ragazzo di diciannove. I miei amici per esempio.
Mi rigirai nelle coperte, aspettando Cameron. La finestra, l'unica. E a volte, quando Cameron dormiva profondamente, mi inginocchiavo lì davanti, poggiavo il mento sulle mani e rimanevo a pensare. Mi piaceva stare lì, mi sembrava un momento solo mio.  E guardare Cameron che dormiva, mi faceva spuntare il sorriso. Sembrava un angioletto e più volte gli avevo accarezzato i capelli piano, per non svegliarlo. Un paio di volte lo sentii anche sussurrare il mio nome, nei sogni. Chissà se io lo facevo, a sussurrare il suo nome.
La porta si aprì, cigolando appena. Sorrisi ma non mi alzai. La porta si richiuse senza far rumore. I passi di Cameron erano appena accennati sul pavimento. Mi voltai.
<< Sei in ritardo >> lo accusai e lui scosse la testa, abbracciandomi e baciandomi. << Sei perdonato >> dissi, a bacio finito. Rise.
Sotto le coperte, le sue braccia mi circondavano ed erano quasi un amuleto contro i sogni cattivi e le visioni altrettanto cattive. Quella notte era nervosa per ciò che ci aspettava il giorno dopo. Dovevano alzarci mattina presto. Inutilmente avevo tentato di tenere fuori almeno Cameron, ma avevo ottenuto solo una splendida litigata durata almeno tre quarti d'ora.
Cameron non dormiva ancora, lo avvertivo dal respiro sulla mia pelle. Io ero quasi addormentata.
<< Hai paura? >>.
La domanda mi lasciò spiazzata. Mi allontanai da lui, mettendomi seduta. << Che vuoi dire? >>.
<< Che tutto finisca >> rispose, fissandomi negli occhi.
<< Che domanda è? >>.
<< Che risposta è? >>.
Gli concessi l'ultima parola e risposi. << Si >>.
Il suo viso si tinse di calma. E io la sentii dentro di me. Passai una mano sul suo viso lentamente. << Stai bene? >>.
<< Sto sempre bene con te >> mi disse e io sorrisi appena. Si sporse verso di me, baciandomi il collo. Io non lo respinsi, non era la prima volta. Ma mi accorsi che i baci erano molto più profondi. E percepii chiaramente quello che stava provando. Nervosismo, agitazione... e altro.
L'empatia è un potere fantastico, se non fosse che ti immerge completamente nelle emozioni degli altri. E quando sono troppo forti, ne vieni investito. Io ne venni investita a pieno, come un camion a mille chilometri orari in autostrada. Era fortissime e le sentivo benissimo, un libro aperto. Baciai Cameron, intensamente. Mi strinse a sé. Forse si era dimenticato che io sentivo cosa provasse. Toccandolo, avvertivo le sue emozioni ancora meglio, come una scarica elettrica per niente dolorosa. Ma allora, perché non mi fermavo? Cosa mi impediva di dire a Cameron che non me la sentivo per un passo del genere? In altre circostanze, sarei stata ben felice, ma non in queste. Però, ero sicura di avere il controllo della situazione.
Stupida, mi dissi. Sai che non è vero. I baci di Cameron scesero lungo il collo. Chiusi gli occhi, cercando un briciolo di razionalità in quel mare di emozioni in parte non mio. Sentii Cameron appoggiarsi sopra di me, cercando di non pesarmi. Lo baciai ancora poi si staccò da me.
Guardai Cameron e vidi una leggera esitazione nei suoi occhi. E capii che in verità quella esitazione era dovuta alla mia rigidità assoluta, nonostante i baci profondi.
<< Alisha? Stai bene? >>.
Tornai in me. << Cameron... io non... non l'ho mai fatto >>.
<< Si, lo sapevo, Insomma, ci ero arrivato da solo... >> disse.  << Ma non sei pronta >> continuò, dopo avermi guardata negli occhi per diverso tempo. Non era una domanda, ma un affermazione. Ma rimasi sorpresa. Al posto di una delusione imminente vidi un caldo sorriso sereno.
Sbattei gli occhi. << Non... ti da fastidio? >>.
<< Perché dovrei? >>.
<< Ti ho respinto! >>.
<< No >> mi contraddisse lui. << Non sei pronta, è diverso >>.
<< Non sei arrabbiato? >> chiese perplessa.
Scoppiò a ridere e si stese al mio fianco. << Ma ti pare? Alisha, non vedo perché dovrei >>.
Mi contorsi le dita tra le altre dita della mano. << Mi togli una curiosità >>.
<< Certo >>.
Mi morsi un labbro. << Lo hai... già fatto? >>. Insomma, era stato in Collegio per metà della sua adolescenza ed era una scuola... perciò...
<< Si >>. La risposta mi lasciò basita e lui doveva aver compreso cosa pensavo. << Solo perché eravamo in una scuola, non vuol dire che i ragazzi e le ragazze passassero tutto il tempo a guardarsi negli occhi >>.
Deglutii e mi innervosii parecchio. Quindi lo aveva già fatto.
<< Ma gli insegnanti? I veggenti e i telepati? >>.
<< Alisha prova a pensare se tu potessi leggere nelle menti... Ti piacerebbe leggere... >>.
Lo bloccai. << Ho capito. Stop >>.
<< È la stessa cosa è per i veggenti. Non credo ameresti vedere certe cose >>.
Rabbrividii leggermente e feci una smorfia. << No, decisamente no >>.
Mi abbracciò. << Tu non mi deludi >>.
Quelle parole mi rincuorarono. Lo strinsi in quell'abbraccio, sentendomi protetta. Poco dopo, Cameron si addormentò ma io rimasi a pensare. E se io fossi morta senza fare una cosa così importante con Cameron? Si, per me lo era. Significava riuscire ad amarci del tutto e non volevo perdere quell'esperienza. Di solite le persone sono libere di scegliere quando fare le cose. Avevano tutto il tempo che volevano. Ma non io. Il tempo e io correvano una corsa non ancora conclusa. E ad aspettarci c'era Melinda con Charlie e la sua armata. Se fosse arrivato prima il tempo, Melinda sarebbe venuta a cercarmi e dubitavo di cavarmela. Ma se arrivavo prima io, avrei vinto.
Il mio tempo era limitato. Guardai Cameron e feci una promessa a me stessa...

Una leggera nebbiolina circondava il castello. Erano circa le cinque quando tutti ci ritrovammo nell'atrio del castello. La maggior parte sbadigliava. Sullivan ci venne incontro, in pigiama con sopra una vestaglia.
<< Ecco la foto, l'indirizzo e quello che devi sapere per non andare da un'altra parte >> mi disse, consegnandomi foto e fogli. Annuii.
Chiesi di formare una catena umana, dandoci le mani l'un l'altro. Sentivo tanta paura e nervosismo. E qualcos'altro. Mi voltai dalla provenienza, Kristen. L'empatia funziona quasi come la telepatia: può dirti lo stesso molte cose. E lei era felice, ma era annebbiata dal nervosismo.
Inarcai le sopracciglia ma decisi di non perdere tempo. Ci avrei pensato dopo. Chiusi gli occhi, cercando di visualizzare la villa nella mia mente. Ci riuscì e si disegnò perfettamente.
Il corpo divenne leggero come le piume ed ero sicura di aver sentito urla quando il buio ci inghiottì. Cademmo sulla della morbida erba alta, incolta. Uscimmo subito da lì, per paura che ci fossero orribili insetti. Inoltre Cassie ne era anche allergica.
La villa si stagliava all'orizzonte e la guardammo. Sembrava quella dei film dell'orrore.
<< Mamma mia... a confronto quella di Stay Alive era bellissima >> commentò Alan.
<< Cacchio... è grande davvero però >> disse Cassie.
Percorremmo un tratto fino ad arrivare al portone.
Non c'era nessuno. Perfetto. Io e Liliane prendemmo per mano gli altri e con due catene umane passammo attraverso il portone massiccio di legno scuro. Un atrio si stagliava davanti a noi, enorme e una lunga e larga scalinata si allungava di fronte a noi. Non c'era luce. Mi guardai ovunque. Trovai una presa e vi premetti la mano. Scariche elettriche entrarono nel circuito, riaccendendo la luce.
La polvere invadeva ogni cosa. Almeno cinque dita ovunque. Mia madre sarebbe svenuta di fronte a quello spettacolo.
<< Andiamo di là >> disse Cameron. Camminammo verso una luce bianca ed entrammo dentro una cucina. Aggrottammo tutti le sopracciglia. C'era qualcosa di innaturale. La polvere non c'era ed era... neanche in perfetto ordine. Una pentola era sul fuoco, spento. Una tavola era apparecchiata, con tre piatti e tre bicchieri. Due erano quasi vuoti l'altro era pieno. Riconobbi patate e pollo. La bottiglia d'acqua al centro era piena a metà e i bicchieri quasi vuoti.
<< Che strano ordine >> commentò Kristen. << Sembra... >>.
<<... conservato? >> completò Justin. << Si, proprio così >>.
<< A che scopo? >> domandò Cameron, camminando verso una porta che dava su un corridoio. << Cavolo >> lo sentimmo mormorare. Lo raggiungemmo e non credemmo ai nostri occhi. La stanza non era altro che un altro accesso al salone, usato forse per far studiare anche Melinda. La pareti erano bianche. Puntinate di sangue. Proprio sangue. Incrostato.
Liliane si portò le mani alla bocca. << Oh mon Die! >> esclamò in francese. << Ha... >>.
<< Si, esatto >> confermai. << Sono le gocce di sangue dei coniugi Button >>.
Probabilmente, dopo l'omicidio, la scientifica aveva ripulito il sangue a terra ma per quello sul muro c'era bisogno di una passata di vernice. Melinda era andata ad abitare dai nonni e poi era andata al Collegio.
<< Ha conservato il luogo esattamente com'era quando uccise i suoi genitori >> disse Cassie, con la voce incrinata.
Alan scosse la testa. << Quella è malata >>.
<< Mai pensato il contrario >> disse Kristen. << Deve aver usato qualche potere per mantenere tutto così >>.
Mi avvicinai al muro e lo toccai con la punta delle dita. Una visone mi travolse con un'onda. Vedevo tutto così chiaramente, come se ci fossi...

<< Melinda, mangia! >> esordì la madre, esasperata.
<< No >> obbiettò la bambina, guardando un punto davanti a sé. La pentola piena di acqua. Chissà cosa ci vedeva lei.
<< Adesso basta! >> urlò il signor Button, sbattendo il tovagliolo sul tavolo. Il suo volto era segnato da profonde occhiaie. Chissà se pensavano a quella figlia costretti a lasciare...
Melinda alzò uno sguardo minaccioso verso di lui. Perfino io mi spaventai. Era... orribile. Freddo. Di ghiaccio.
Il padre impallidì. << Melinda, smettila! >>.
<< Basta! >> strillò la signora Button alzandosi a sua volta.
La figlia fece lo stesso. Li guardava con la stessa espressione neutra, inclinando appena la testa.
<< Lo sapete che se si colpisce una persona più volte intorno al cuore non muore? >> gli domandò.
I genitori divennero bianchi come due cenci.
<< Non sappiamo con cosa tu sia nata, Melinda, ma certamente non sei una bambina normale. Non c'è la facciamo più! >> disse il padre. << Basta! D'ora in poi smetterai di comportarti così >>.
Melinda non disse niente e andò verso il mobilio della cucina. Aprì un cassetto e senza dire niente, ne estrasse un coltello. Io trattenni il respiro.
<< Si dice sempre che bisogna fare pratica >> mormorò, con un sorriso agghiacciante.
<> ordinò la madre. << Ti farai male! >>.
<< Cosa sei?!>> urlò il padre, disperato.
Non riuscì a dire altro. Il coltello affondò nel suo petto. Mi girai, coprendomi il viso con le mani. Urlai. Sentivo il coltello affondare dentro i miei genitori naturali ma non osavo guardare...

<< Alisha! >> mi scosse Cameron. Mi accorsi che tremavo come una foglia e avevo grosse lacrime agli occhi.
<< Ho visto tutto... Ho visto come li ha uccisi. A sangue freddo >> dissi, appallottolandomi contro Cameron.
<< Va tutto bene... è finita... >> mi sussurrò per calmarmi.
La sua calma contagiò anche me. Riuscii a riprendere un po' di colore e a fermare le lacrime. I miei amici mi guardavano, preoccupati e lo sentivo.
<< Sto bene >> farfugliai, tornando me stessa. << Andiamo avanti, vi prego. Andiamocene da questa stanza >>.
Mi accontentarono e ci inoltrammo su per le scale, coperte da un tappetto bianco sporco. Un corridoio con lo stesso tappeto si aprì davanti a noi. C'erano quattro porte. Ne aprimmo una ed era un bagno. La seconda un ripostiglio. E la terza una camera da letto in bianco e rosa. Un letto era al centro, un armadio addossato nel muro a destra in fondo e un tappeto bianco. Una libreria piena di volumi era in fondo alla stanza sulla sinistra.
<< Dev'essere di Melinda >> dissi, guardando i libri: fisica, chimica, astrologia, libri in cinese.
<< A prima vista direi che una stanza normale ma conoscendo il soggetto c'è sicuramente qualche cosa  di terrificante >>.
<< Noi andiamo a vedere le altre due stanze>> dissero i ragazzi e si allontanarono, lasciando la porta aperta.
<< Cassie avevi ragione >> disse dopo un po' di frugare per la stanza Liliane. Un diario con la copertina azzurra, senza lucchetto. << È di Melinda. Mi è bastata la prima pagina per smettere >>.
Lo presi e lo aprì, pronta a sorbirmi tutte le orrende cose racchiuse lì dentro. Liliane aveva ragione: solo la prima pagina sembrava uscire da un film dell'orrore. Ed era stato scritto a nove anni.
<< Guardate >> disse Kristen, prendendo uno scatolone. Conteneva videocassette impolverate. Soffiai sopra una e lessi l'etichetta: “compleanno di Melinda: tre anni”.
<< Guardiamolo >> proposi. Per fortuna c'era un televisore funzionante e un videoregistratore. Misi la cassetta e feci partire il video.
C'era l'audio. L'inquadratura era su un prato, ma non era quello della villa. Splendeva il sole e c'erano tanti bambini a rincorrersi. Vedevo palloncini colorati e festoni con tanti auguri. Una torta era su una tavola, mangiata a metà.
Poi una voce e, per quanto mi trattenni, mi commosse. La voce della mia vera madre.
<< Carl, Carl! Inquadra qui! >>.
Il signor Button non si oppose e le obbedì. Dovevo dire che era bellissima. Sentii anche la voce del mio vero padre.
<< Melinda! >> urlò Josephine. << Vieni! >>.
Una bambina bionda corse verso la madre. Le saltò in braccio, ridendo. Si abbracciarono teneramente. Tutte noi rimanemmo shoccate da tutto quell'affetto.
<< Mamma, mamma! Lo sai che ho mangiato anche un'altra fetta di torta? >>.
<< Brutta furbetta! >> esclamò lei, facendole il solletico e la bambina rise. Poi fece una pernacchia al padre.
<< Aspetta che posi la telecamera! >>.
Il video si interruppe lì. Lo spensi in silenzio.
<< Melinda era una bambina... normale >> dissi, non riuscendo a trattenermi.
<< Non è sempre stata pazza psicopatica >> aggiunse Cassie. << Sembrava felice, normale... e amava i suoi genitori >>.
<< Aveva tre anni >> dissi. << L'anno dopo le fecero il test del quoziente intellettivo. Era davvero normale >>.
<< E forse sappiamo anche perché Melinda ha smesso di essere normale >> intervenne Cameron. Da quanto erano lì?
Alan aveva uno scatolone tra le braccia e lo posò sul letto, sollevando una nube di polvere.
<< Melinda era una bambina indaco >> disse Cameron.
Lo fissammo.
<< Sei sicuro? >> chiesi mentre Alan apriva lo scatolone.
<< Si. Queste carte non mentono >> rispose Justin, prendendone una dallo scatolone e passandomelo. Lessi il referto degli esami ed era proprio vero: Melinda era una bambina indaco.
<< Com'è possibile? >> domandò Cassie. << D'accordo era intelligente, brillante. Ma non fino a questo punto >>.
<< Facciamo il punto della situazione >> dissi, alzandomi dal letto polveroso e camminando in tondo per la stanza. << Fino a quel test Melinda era una bambina normale. Poi è diventata pazza psicopatica. Perché? >>.
<< Forse... le pressioni subite. Una bambina indaco... ne subisce >> provò Cameron.
Mi morsi un labbro. Alla fine presi gli scatoloni, li chiusi e con un secco gesto della mano li misi sotto il letto.
<< Andiamo a controllare le altre camere >> dissi, uscendo dalla stanza. Gli altri mi seguirono silenziosi.
Dei bambini indaco sapevo che erano solo tra i più intelligenti esistenti. Il loro quoziente intellettivo è tra i 130 e i 160 e oserei dire che quello di Melinda sfiorava il picco più alto. Ma cosa aveva reso Melinda così... fredda, maniaca omicida e tutto il resto?
Ma sopratutto, perché mi odiava?
C'era un ultima porta alla fine del corridoio. Girai il pomello della porta e aprì la porta, che cigolò appena. Accesi la luce e rimasi a bocca aperta. Era la mia camera. Quella dove mi avevano messa appena nata.
Una culla era di fronte a me, contro il muro davanti. Bianca e rosa. Una tendina di un dolce colore rosa, ora polveroso, ricopriva fino a terra la culla. Le pareti erano di un bianco sporco e rotto in certi punti. Un tappetto fucsia era a terra e si estendeva per quasi tutta la stanza, tipo moquette. Un fasciatoio e una cassapanca erano alla mia destra, contro la parete. E nel muro un cassettone bianco con stelline azzurre, un tempo forse con i brillantini. Fece tre passi avanti leggeri, guardandomi attorno. Notai sopra la culla delle lettere attaccate con della colla super adesiva. Mi avvicinai e le sfiorai e come la prima volta, un'altra visione mi travolse...

Josephine frugava dentro uno scatolo contenenti delle lettere di plastica, cercando quelle giuste. Carl era in piedi, chino sulla culla. Melinda era seduto su uno sgabello rosa e dondolava le gambe. Mi fissava e mi spaventai. Mi odiava in modo incredibile. Io ero nella culla e dovevo avere si e no due settimane, però vidi un sorrisetto solcare le mie labbra alle smorfie di mio padre.
La signora Button estrasse delle lettere e le dispose sul pavimento. Ci passò la colla e poi le diede al marito. Lui attaccò la prima lettera al muro e andò tutto bene fino alla quarta. Ma quando arrivarono alla H, notai che  Melinda mi si era avvicinata. Mi guardava ancora. Poi aveva alzato lo sguardo alle lettere di plastica. Con un gesto secco le aveva tolte dalla parete. Caddero a terra, sonoramente. I genitori della bambina si allarmarono subito.
<< Melinda! >> la rimproverò Josephine. << Perché lo hai fatto? >>.
La bambina alzò lo sguardo verso la madre. << Io la odio >>.
Mia madre si sciolse in lacrime e il marito l'abbracciò.
Puntò il dito verso la figlia. << Non devi mai più dire queste cose su tua sorella. Siamo intesi? >>.
A quella parola, sorella, mi sentii offesa.
Melinda gli restituì uno sguardo gelido. << Non rimarrà qui tanto. Io vi ho sentiti! >> concluse, con una rabbia mai vista in una bambina di dieci anni.
<< Non è vero! E adesso vai a studiare! >> disse con severità Carl Button. Melinda non replicò e uscì dalla stanza, sbattendo la porta.
La signora Button seguitava a piangere ma mi guardò. Si avvicinò alla culla e mi fece una carezza.
<< Non può restare Carl >> disse, in un mormorio.
<< No, non può >> concordò il marito, abbracciando la moglie e guardandomi. La me stessa neonata guardava i genitori senza sapere che non sarebbe cresciuta con loro.
<< Dobbiamo impedire il peggio >> continuò la donna.
<< Faremo quello che è meglio per lei >> disse il signor Button.
La visione finì.

Tornai al presente. Anche se non li vedevo, avevo tutti gli sguardi puntati addosso. Mi voltai.
<< Mi odiava >>.
Cameron scosse la testa. << Perché? Insomma, lei era intelligente, aveva quello che tu non hai. Cos'hai tu? >>.
Compresi. A quelle parole capii. Io avevo qualcosa che Melinda non aveva.
Io ero stata amata dai miei genitori adottivi e da Serenity. Avevo sempre avuto le mie amiche e Janet, che consideravo una sorella. Poi ero stata amata da Dylan. Ed ora, c'erano i miei nuovi amici Different a volermi bene. E Cameron, che mi amava più di ogni altra cosa.
Melinda era intelligente, migliore in qualunque campo. Anche come Different. Aveva il potere.
Charlie e lei non si amavano davvero. Amavano la sete di potere, amavano i poteri.
Li guardai con un sorriso appena accennato, felice per aver finalmente capito.
<< Io sono amata >>.





Un grazie a tutti quelli che leggono, commentano e l'hanno messa tra le preferite e le seguite!

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Capitolo 18
*** Una cosa sola prima della fine ***


Chiedo scusa tantissimo per avervi fatto aspettare ma l'ultimo anno di liceo chiama al dovere e in più il mio PC ha un virus che me lo impalla un giorno si e uno no e perciò sono costretta ad adeguarmi! Ringrazio chi legge, commenta e l'ha messa nelle preferite e nelle seguite!



17. Una cosa sola prima della fine


Lasciammo la camera che in teoria era mia. Ero andata lì alla ricerca di qualcosa di cui solo Sullivan era a conoscenza e non si erano premurato di dirmelo. Aveva avuto solo due visioni neanche molto d'aiuto, devo dire.
Si, ma in fondo io cosa volevo? Cosa cercavo?
<< Alisha >> mi chiamò Kristen.
Mi voltai. << Si? >>.
<< Dovremo cercare altro. Non possiamo andarcene così >>. Sospirai e vidi che anche gli altri erano d'accordo e ricominciammo a camminare per il corridoio. Le altre porte erano chiuse e io e Liliane ci accertammo che fossero “pulite”. Scoraggiati, arrivammo all fine del corridoio. Ero veramente giù per non essere riuscita a concludere niente. Con la coda nell'occhio, vidi Cameron tastare la parete alla mia destra.
<< Che fai? >> gli domandai, avvicinandomi con gli altri anche loro con un punto interrogativo nella testa. Lui non rispose e continuò a tastare la parete. Si allontanò di tre passi dal muro e mosse di scatto la mano verso destra. Sentimmo chiaramente un cigolio.
<< Una porta segreta! >> esclamò Justin.
<< È chiusa a chiave quindi dovremo esercitare più forza >>. Cameron mi fece segno di avvicinarmi. La prima volta non avemmo successo. La seconda idem. Alla terza riuscimmo a esercitare la telecinesi contemporaneamente e la porta si spalancò. Ne uscì un odore di muffa orribile unito a una nube di polvere che svanì subito. Delle scale apparvero davanti a noi, color bianche e ripide.
Alan fece un passo indietro. << Scordatevelo! Io lì non ci metto piede! >>.
Alzai gli occhi al cielo. << Andiamo! >>. Lo trascinai agitando la mano destra appena e ignorai le sue proteste. Quando anche Kristen ebbe varcato la soglia, una folata di vento chiuse la porta. Peccato che non ci fossero finestre.
<< Visto?! >> esclamò Alan. Lo liberai dalla mia presa mentale e lui si irritò parecchio. Justin tentò di aprire la porta ma quella non cedette.
<< Cazzo! >> bisbigliai e gli altri sorrisero: sapevano che non era da me dire parolacce. Cameron mi strinse una mano e cominciammo a camminare per il corridoio buio.
<< Non si vede nulla! >> si lamentò con un gemito di dolore Cassi dopo essere inciampata per la seconda volta. Ero già in testa a tutti e mi venne un idea. Alzai i palmi delle mani in all'insù e li infiammai. Una brillante luce illuminò il corridoio nel raggio di un metro.
<> disse Liliane con una risatina.
Sbuffai. <>.
<< Okay capo! >> dissero in coro, sull'attenti, Cameron compreso.
Resistetti all'impulso di dare fuoco a tutti (si, anche al mio ragazzo. Sono aggressiva quando mi ci metto) e tornammo sui nostri passi e dopo un centinaio di metri eravamo alla fine. Dovevo ammettere di avere una certa ansia. Io cuore cominciò ad accelerare la sua corsa.
Attorno a me sentivo la stessa ansia e agitazione. In Liliane panico. Cameron si offrì di aprire la porta. Lentamente cigolò. Noi tenevamo il respiro fermo, quasi ci fosse un odore terribile nell'aria. L'ansia cominciò a crescere sempre di più e io ne fui immersa, sopportando anche il loro e Alan non era messo meglio. Il panico degli altri mi attanagliò e le fiamme si spensero nel buio. Le urla di Liliane e Kristen terrorizzate mi fecero venire un infarto assurdo.
La porta si era aperta ed era una stanza. C'era una finestra, la debole luce del giorno illuminava i nostri volti. Le mie amiche erano morte di paura. Liliane si stringeva ad Alan e lo lasciò subito. Con la coda dell'occhio vidi Kristen tra le braccia di Justin. A differenza di Liliane lei non si scostò. Justin non sembrava neanche sorpreso. Le sensazioni erano positive in mezzo alla paura che cominciava a diminuire.
Da quando era un Different e li avevo conosciuti ero certa di non averli mai visti in atteggiamenti del genere. Li vedevo sempre come amici. Cos'era successo quell'estate? Il che mi portò a chiedermi anche...
Ma non c'era tempo. Dovevano fare una cosa importante e non era il tempo di perdesi in gossip (ma Kristen poteva stare certa che non appena l'avrei pescata da sola l'avrei tormentata di domande!).
Eravamo andati lì per me quindi io dovevo entrare in quella stanza. Non era niente di che. Solo una stanza.
In tre passi ero dentro.
Era quadrata con le pareti spoglie. Due sedie sbilenche e una vecchia scrivania rotta in più punti.
<< Ma non c'è niente qui! >>.
Non appena finii la rase la porta si chiuse di botto e senza darmi il tempo di rendermene conto. Fece appena in tempo ad accorgermi dei miei amici e del mio ragazzo lanciarsi verso la porta in chiusura, urlando il mio nome.
Io impallidii.
La sua voce.
<< Ciao Alisha. Bentornata a casa nostra >>.
Mi voltai così lentamente da vedere ogni dettaglio della stanza.
Melinda era seduta sulle sedia e da chissà quanto tempo era lì. Ci avrei messo la mano sul fuoco (anche se non mi sarei fatta nulla) che poteva rendersi invisibile. E io stupida non ci aveva pensato.
Charlie non c'era. Non sentivo le sue emozioni e la sua presenza. Dentro la stanza avvertivo solo quella di Melinda. Fuori quella dei miei amici ma non c'era bisogno: le loro voci erano inconfondibili. Charlie era lì con qualche “amico”.
Il mio sguardo si puntò nel suo.
<< Come facevi a saperlo che sarei venuta qui? >>.
Scoppiò a ridere. Una risata fredda che mi fece accapponare la pelle. Affilò lo sguardo. << Alisha... La scuola è la mia piccola distributrice di visioni su di te. Proprio come questa casa lo è per te >>.
Ero in panico totale. Era un gesto da codarda e ne ero consapevole: corsi verso la porta e cercai di aprirla ma quella era chiusa come a chiave. Ci battei le mani e mi ricordai di essere intangibile. Però non passavo. Mi appiattii contro il muro.
<< Charlie blocca la porta >> disse, leggendomi nel pensiero. << I tuoi amici sono al sicuro... Per ora >>
<< Lasciali andare! >> protestai. << Tu vuoi me! >> aggiunsi, posando una mano sul petto per rendere il concetto più chiaro.
<< Si, è vero >> ammise. << Però i testimoni sono scomodi >>.
<< Da quando ti preoccupi di questi problemi? Io l'ho visto! >>. Non c'era bisogno che le dicessi cosa. Lo capiva benissimo da sola e senza leggermi nel pensiero.
Non batté ciglio come se non le riguardasse. << Bella scena? >>.
Era fredda, insensibile. Un mostro. Non le importava di niente. Il valore della vita per lei non c'era. Ricordai il sorriso di quella bambina nel video: dov'era finita? Era questo che comportava essere geni? Si diventava come lei?
Se ci fossi stata in casa quella sera, avrebbe ucciso anche me. Scossi la testa. Come potevo condividere dei geni con lei? Come?
<< Son che anche tu eri una bambina indaco! >> dissi, ricordandomene.
<< Alisha, temporeggiare non ti servirà >> disse, inarcando un sopracciglio biondo.
<< Non ho mai detto di volerlo fare >>. Ero paralizzata, come se un veleno m fosse stato iniettato e bloccata.
<< Vuoi uccidermi? >> mi domandò. Sorrise.
<< Si>> dissi con voce tremante.
Rise ancora. << Uccidere non è lontanamente facile come credono gli innocenti >> storse le labbra sull'ultima parola, acido nella sua bocca.
<< Stronzate! >> urlai contro di lei. << Avevi dieci anni! Eppure hai ucciso! >>.
<< Ho detto innocenti: io non lo sono mai stata >>.
<< Senza dubbio >> dissi. Sentii lo stomaco contorcersi. Era d'accordo con lei. Maledizione.
<< Ti è piaciuta casa nostra? >>.
<>.
<< Oh, Alisha! >> disse con un tono tragico. << Smettila con questo muro. Sei mia sorella >>. Sillabò l'ultima parola.
<< No! >> la contraddissi con forza.
Ormai era una sfida di sguardi reciproci che io non ero intenzionata a perdere. Melinda incrociò le braccia e mi fissò.
<< Allora... perché non mi rendi le cose semplici e ti fai uccidere? Potrei anche farti meno male così >>.
Le feci un gestaccio esplicito che non facevo mai. L'avevo fatto solo una volta a un tipo a quattordici anni che aveva osato sfiorarmi il sedere in un bar con gli amici. << Indovina dove te lo devi mettere il tuo buonismo? >>.
Quella parole non dovevano esserle piaciute e il gestaccio aveva aiutato perché sparì dalla mia vista, pronta ad attaccarmi. Io mi misi sull'attenti, certa che il cuore mi sarebbe scoppiato al battito successivo. Un secondo trascorso lento e torturatore, con la sensazione di poter vedere di colpo tutto buio e spegnermi, come quando qualcuno spegne la luce in una stanza. Solo che io non avrei potuto riaccenderla se fosse successo.
Se era la resa dei conti, volevo portare almeno lei con me.
Una bruciatura dolorosa all'altezza del gomito mi fece lacrimare e gemere di dolore. Faceva malissimo e io mi intontì per pochi attimi sufficienti a mandarmi contro un muro. Reagì fortunatamente, coprendo la bruciatura che mi diede un sollievo incredibile e mi staccai dal muro. Evitai abbassandomi qualcosa di affilato che andò a conficcarsi nel muro per poi sparire. Doveva possedere lo stesso potere di Cassie.
In un momento di lucidità mi preoccupai anche dei miei amici. Le presenze erano attive, vive. Voleva dire che stavano bene anche se erano pieni di paura e contro qualche amico di Melinda e Charlie.
Lei seguitava a restare invisibile e mi stufai alquanto. Con del ghiaccio, lanciai delle piccole sfere per colpirla e cercare di vederla. Al quinto tentativo ci riuscì e la sbalzai contro i resti della scrivania. Un tonfo sordo e un gran rumore e lei riapparì con una guancia graffiata e un livido al braccio destro. Mi avvicinai però lei si rialzò e prima che potessi accorgermene mi ritrovai con le sue mani alla gola e sbattuta contro un muro.
Come diavolo aveva fatto?
<< Dovresti studiarti un po' di poteri>> disse tra le risate. << Mai sentiva la super velocità? >>.
Agitai le gambe nel tentativo di darle un calcio ma le forze fisiche stavano venendo meno. Era come se l'energia dei muscoli stesse svanendo mentre il cervello rimaneva perfettamente attivo. Quant'era sadica.
<< Ultime parole? >>.
<< Tre: vai al diavolo! >>. Ottenni un unico risultato ovvero un doloroso livido sulla testa per il colpo ricevuto scontrandomi con il muro.
Scosse la testa. << Non dovresti dire cose tipo... Cameron mi mancherai... Cameron mi manchi... >>.
<< Non osare pronunciare il suo nome! >> sbottai piena di rabbia. Evitai di pensare a quello che Melinda aveva in mente per lui. Anche se non leggevo nel pensiero non ci voleva un genio.
<< A questo punto... addio >>. In perfetta coincidenza, le sue dita serrarono la mia gola ancora di più, togliendomi il respiro. Bel modo di morire.
Fino a pochi mesi prima, non avrei mai immaginato di finire così. La mia vita era qualcosa di lontano a quello che vivevo (e stava per finire oltretutto) attuale. Anzi, ragionandoci meglio, era solo una farsa. In quel momento tragico venni attraversata dalla consapevolezza che la mia vita era finta.
I miei genitori: non erano quelli biologici. I veri erano morti.
Mia sorella Serenity: non era lei. La mia vera sorella, per quanto detestassi ammetterlo, era Melinda. Una pazza assassina, ex bimba prodigio. E aveva ucciso i nostri genitori.
La mia condizione umana: era finta anche quella. Dentro di me c'era quell'alta possibilità di diventare quello che ero realmente.
Dylan: sotto era un vero idiota.
E il resto andava a unirsi a quella vita che adesso consideravo falsa. Una sorta di copertura per celare la realtà.
Era stata forse più felice da Different che in quasi sedici anni da umana.
Altro ossigeno che andava via.
Avevo ancora poco tempo per pensare, quindi era meglio sfruttarlo al meglio.
Chissà cosa avrebbero fatto i miei dopo la mia morte... Che domanda stupida mi ero fatta. Ero stata la loro speranza di crescere un figlio anche se poi era arrivata Serenity. E i miei amici? Janet?
E... Cameron?
Abbassai lo sguardo, ormai il cervello annebbiato. Notai un particolare. Nell'enfasi di volermi uccidere, Melinda mi aveva lasciato le mani libere. Potevo annullare i poteri e renderla normale. Quella regola che mi aveva spiegato.
Le alzai con la poca forza rimasta e stavo per toccarla. Lei sgranò gli occhi e tentò di fermarmi ma non lo feci per lei. Un botto e la porta era aperta. In qualche modo, erano riusciti a deconcentrare Charlie. Cameron fissava la scena, gli occhi terrorizzati.
<< No Cameron! >> riuscì a farfugliare. Volevo salvare lui e fermare lei. Ma Cameron non mi diede retta: Melinda venne scaraventata contro la parete opposta della stanza e io caddi a terra, una gran botta. Tossicchiai, riprendendo ossigeno a circolare nei polmoni e l'annebbiamento stava sparendo. Cameron mi abbracciò, stringendomi.
<< Stai bene? >>.
<< Si >> sussurrai, alzandomi. Melinda era livida di rabbia. Charlie entrò nella stanza, due graffi sul viso. Sbirciai oltre la soglia e i loro “amici” erano a terra o scappavano. I miei, erano salvi. Sospirai di sollievo.
Cameron strinse la mia mano e mi trascinò dietro di lui in una corsa folle oltre la porta. Charlie tentò di fermarci però si scontrò con delle lingue di fuoco che lo fecero retrocedere. Le mia amiche sembravano intenzionate a darmi abbracci e compagnia ma non c'era tempo.
<< Prendetevi per mano! >> strillai, prendendo quella di Cameron e Justin.
<< Non andrai da nessuna parte! >> urlò Melinda e Charlie le fece eco.
Urlai di sbrigarsi. Kristen e Cassie stavano per prendersi per mano quando gli occhi di tutti andarono a me. Due risate invasero l'aria.
Quelli delle mie amiche si impegnarono di lacrime e dei miei amici di incredulità. Cameron strinse la mia mano quasi a volermela staccare. Mi fissava con gli occhi sbarrati e colmi di lacrime.
Li guardai uno ad uno prima di abbassare lo sguardo e guardare la lama che mi aveva trapassato lo stomaco da parte a parte. Subito il cuore rallentò la sua corsa, il sangue a scorrere più lento e addensarsi il quello squarcio, colando a terra.
Non potevo morire in quel momento. Dovevo morire, ormai era chiaro. Ma prima dovevo salvare i miei amici.
La lama sparì: era una proiezione mentale. Ma non la ferita.
<< Le mani... >> riuscì a dire. << Prendetele, non lasciatevi >>. Dovevo trovare la forza in quell'oceano di dolore fisico e mentale per portarli via.
Le mani di Cameron e Justin tremavano e io anche. Ormai le immagini cominciavano a diventare sfocate minuto dopo minuto e dovevo muovermi. Il buio ci inghiottì tutti, un urlo arrivò alle mie orecchie ma anche un'altra risata: era felice.
Il pavimento di pietra del castello toccò le suole delle mie scarpe e la luce dorata che filtrava dalla finestre i miei occhi quasi spenti. Le mani del mio ragazzo e di Justin lasciarono le mie. Le voci del preside e le urla disperate di mia madre straziarono le mie orecchie e sembravano provenire da lontano.
Le persone a cui volevo bene erano la sicuro.
Caddi a terra.
Ora potevo morire.

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Capitolo 19
*** Avviso! ***


Il mio PC è arrivato alla fine. Il virus non mi permette di accenderlo e devo aspettare che lo formattino. Il capitolo successivo deve essere solo battuto e non appena lo riavrò lo posterò appena posso. Ringrazio come sempre chi legge, commenta e l'ha messa tra le preferite e le seguite! Ciao a tutti!

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Capitolo 20
*** Esiste il felici e contenti? ***


Chiedo scusa se ho fatto attendere tanto ma tra scuola, impegni vari, PC partito e teatro ero un bel po' incasinata. Quindi chiedo perdono ^^! Buona lettura!

18. Esiste il “felice e contenti”?

Avevo sempre pensato di aver conosciuto il buio. Mi resi conto di essermi sbagliata per sedici anni della mia vita appena finita. Il buio reale mi opprimeva da ogni angolo, impedendomi di respirare. In effetti, ero morta quindi mi sembrava anche logico che non respirare per niente. Mi chiesi se vedevo ancora o se era proprio il buio ad essere così. Mi rendetti conto di non avere più neanche un corpo.
Lo avevo ancora o no?
Una domanda senza risposta. Fine fine avevo fatto?
Riuscivo ancora a pensare ciò voleva dire che possedevo ancora un cervello attivo.
Per quanto?
Negli ultimi mesi un sacco di domande rimaste senza risposta fino alla mia morte e perfino ora me le facevo ma se prima nessuno mi aveva risposto come potevo sperare di averle ora?
Annegavo in quel buio senza fondo, fine o dimensioni. Mi faceva abbastanza paura l'incertezza di non essere a conoscenza di quello che mi aspettava. L'incertezza non è mai una bella sensazione. E più che mai in questo momento.
Una fitta dolorosa mi trapassò, rievocando il dolore della pugnalata. Non ho mai studiato religione o materie simili però come potevo percepire il dolore?
Mica mi attendeva l'inferno per l'eternità della mia morte?
Non sono stata così cattiva nella mia vita. Qualche bugia, parolaccia non potevano avermi condannato a bruciare tra le fiamme dell'inferno e compagnia o qualsiasi altra cosa terribile succedesse a chi conducesse una vita poco consona.
Un'altra fitta, più acuta della prima. Pochi secondo dopo mi sentii tirare, come se cercassero di strapparmi a quel buio che voleva tenermi con sé, quel mare infinito e avvolto dall'oscurità.
Io ero morta... o no?
Come se qualcuno mi prendesse per le spalle, scivolai via dal buio opprimente. Mi ritrovai seduta con le mani sullo stomaco, il pavimento freddo sotto di me. Respiravo ma l'ossigeno era poco e il respiravo per prenderne il più possibile. La luce era fastidiosa dopo aver passato tutto quel tempo da morta apparente. Quando gli occhi si furono abituati alla luce dorata e naturale del sole, i miei amici, la mia famiglia meno Serenity e il mio ragazzo erano chini su di me. Il preside Sullivan teneva la mano sulla spalla di un ragazzo basso e ordinati capelli neri e un colore olivastro di pelle. Scossi la testa per mettere in ordine la confusione che mi stava uccidendo. Mia madre mi strinse, in lacrime. Mormorava il mio nome e le mani erano sporche di sangue, il mio. Papà mi abbracciò con la mamma e anche lui aveva le mani macchiate del mio sangue. I miei amici mi abbracciarono e Cameron si tenne per ultimo, forse per avermi tutto il tempo che voleva. Mi strinse a sé e ritrovai un po' di consapevolezza.
<< Cos'è successo? >> chiesi finalmente, senza lasciare le braccia di Cameron: non volevo sentirmi sola, di nuovo.
<< Lui è Julio >> disse Sullivan. << È un suturante, uno dei migliori prossimo al diploma. Ti ha guarita lui >>.
Mi voltai verso il ragazzo. << Grazie >>.
<< Di nulla >> disse lui con un gesto della mano e un sorriso amichevole: doveva essere simpatico.
Le mie mani toccarono lo stomaco sotto la maglia e la pelle era integra, macchiata di sangue secco. Cameron mi tese la mano, aiutandomi ad alzarmi e un mal di testa mi travolse. La mano di Kristen con un bicchiere e una pastiglia era tesa davanti a me. Sorrisi e bevvi di colpo, restituendo il tutto con un sospiro.
<< Ti ricordi cos'è successo? >> mi domandò Alan.
Aggrottai le sopracciglia. << Si... >> mormorai. << Come faceva a saperlo? >>. Mi girai verso il preside e lui capì che la domanda era rivolta a lui.
<< Non ne ho idea >> fu la sua semplice risposta.
Non volevo essere scortese nei confronti dei miei, ma più ci stavano fuori, meglio era. Perciò gli chiesi di andare via con calma e accettarono. Dopo un ultimo e breve abbraccio, sparirono su per le scale.
<< Lei deve saperlo! >> dissi, per niente calma. << Alla fine non ho concluso niente! >>.
Cameron mi strinse una mano e mormorò di calmarmi in un orecchio. Ma io non volevo calmarmi per niente. Altro che buona e razionale. Ero andata lì rischiando la vita, anzi ero proprio morta per colpa sua. Che leggesse i miei pensieri non poteva interessarmi di meno.
<< Mi dispiace, Alisha >> disse. << Forse aveva avuto una visione... >>.
<< Lei ci ha mandato lì pur sapendo che poteva attaccarci! >>.
<< Ho sbagliato e me ne rendo conto. Non ti proporrò più gite del genere >>. Dal tono sembrava dispiaciuto sul serio e le sue emozioni non mentivano.
Mi rilassai. << Okay... Ora, se permettete, sono stanca e vorrei fare una doccia. Cameron... >>. Lui capì.
Salutai i miei amici e salii le scale con Cameron fino alla mia piccola camera da letto. Sotto la doccia mi sentii un po' meglio. Rilassai totalmente la mente, oltre il corpo.
Cameron mi attese nel tempo in cui mi facevo la doccia e con i capelli ancora umidi, mi sedetti accanto a lui, poggiando la testa sulla sua spalla e chiudendo gli occhi. Mi passò le dita tra i capelli lentamente quasi percepisse il mio nervosismo.
<< Non ho mai avuto tanta... paura in vita mia >> mi confessò.
<< Scusa >>. Non sapevo cos'altro dire.
<< E di cosa? Non ti sei ammazzata da sola. Ma è stata lei. Promettimi solo che non rischierai più così o mi farai venire un altro infarto >>.
<< Promesso >> sussurrai in un basso sospiro che si perse nel silenzio che si venne a creare tra noi.
Sbadigliai.
<< Sei stanca dormi >> mi disse Cameron.
<< No... >>, tentai una debole protesta ma sbadiglia ancora così tanto da stiracchiare i muscoli della faccia. Chissà se ci si sente in questo modo dopo una morte apparente.
Lui rise sonoramente della mia piccola bugia. << Non fare la testarda, signorina >> mi disse, scostandomi la testa dalla spalla e buttandomi giù di colpo, spaventandomi per il primo mezzo secondo.
Ridemmo entrambi e ci abbracciammo, addormentandoci poco dopo. Dormire con lui mi risparmiò qualche incubo. Forse Camerone era un talismano contro i cattivi sogni...

Il sole era già alto quando sbattei le palpebre. La luce mi accecò temporaneamente prima di mettere a fuoco Cameron teso al mio fianco che dormiva come un angelo. Sperai che i miei non fossero venuti a controllare durante la notte o si sarebbero incavolati e scandalizzati. Erano ancora di vecchio stampo.
Non potevo indugiare troppo perciò lo scossi dolcemente. Cameron era un po' restio a svegliarsi. << Sveglia prima che vengano i miei a controllare >>. Parole più che efficaci.
Lo ridestarono dal sonno pesante in cui era caduto la notte prima.
<< Immagino lo scandalo >> disse divertito.
<< Verrei arrestato per qualche reato... tipo sequestro di minore? >>.
Risi. << Non credo: dirò che ero consenziente >>.
Anche lui scoppiò a ridere sommessamente. << Non facciamo nulla di male >>.
<> precisai con un mezzo sorriso.
Sul suo volto passò un espressione strana come se dovesse chiedermi qualcosa e ne aveva paura. << Come ti senti? >>.
Per qualche motivo non giustificato (o almeno, io non li trovai) non risposi. Era stato tutto talmente veloce che non avevo avuto il tempo di riflettere: la mia guarigione, gli abbracci, il sonno tutto in poche ore.
<< Non ne ho idea >>. Almeno ero sincera.
<< Logico. Dopo quello che è accaduto mi sarei stupito >> disse, accarezzandomi il viso. Percepiva la mia tensione.
<< Perché hai urlato di non aiutarti in quella stanza? >> mi domandò facendo risorgere ricordi poco piacevoli. Le mani di Melinda che stringevano la mia gola per uccidermi, l'annebbiamento del cervello...
<< Avevo le mani libere e quindi potevo annullare finalmente i suoi poteri >> spiegai.
Il suo viso si riempì di senso di colpa. << Mi dispiace >> mormorò. << È solo che vedendoti in quella situazione di pericolo, di morta certa. Non ho ragionato. Salvarti è stato istintivo >>.
<< Sei un vero... non so neanche come definirti. So solo che ti amo. Tanto. E ho paura >>. Si accorse del fremito della mia voce e il tentativo di eliminare le lacrime.
Da quando stavo con lui, ero preoccupata e terrorizzata di come poteva finire. Io potevo morire, c'era un alta probabilità e Cameron avrebbe sofferto molto. Senza contare che Melinda amava prendersela con le persone a cui tenevano i suoi nemici. Bastava pensare a Dylan e i miei amici, neanche tra i migliori.
<< Non devi, Alisha. Io non voglio che Melinda si metta tra noi. Ha già rovinato troppo la tua vita e adesso non devo impedirti anche questo. Non riesco a pensare a stare senza di te. Come non posso pensare alla tua morte >>.
Mi strinsi contro di lui, stringendolo tra le mie braccia. Com'era difficile tutto ciò...
<< Ti amo >> dissi, posando fronte contro la sua e cercando di non piangere. Quei pensieri facevano troppo male per non pizzicare i miei occhi di lacrime e inondarmi le guance.
<< Ehi... >> sussurrò, sorridendo per sdrammatizzare un po'. << Qualsiasi cosa succeda io non ti lascerò. Andrà tutto bene >>.
Annuii e smisi di di bagnarmi gli occhi di quelle stupide lacrime.
<< E ti amo  >> aggiunse come se si fosse dimenticato di dirmelo e dovesse rimediare subito.
Sorrisi a quelle due parole. Presi l'iniziativa e lo baciai per prima, sorprendendolo poiché non se lo aspettava. Lo ricambiò, rendendolo più profondo nel giro di un minuto.
<< Fai il bravo... >> dissi quando le sue mani furono sui miei fianchi e le labbra sul collo. Rise. Una risata limpida.
Certo che dovevo essere proprio poco convincente.
Devo dire che la coerenza non è la mia miglior qualità. Lui si allontanò ma io lo presi per il colletto del pigiama per non farlo andare via.
Ero così concentrata che non mi accorsi del bussare alla porta. Avrei dovuto accorgermi almeno delle presenze ma quella di Cameron era troppo forte e sovrastava le altre. Perciò (forse immaginando di trovarmi addormentata) i miei amici entrarono nella stanza. Dato che i miei occhi erano serrato e Cameron, come dire?, impegnato e dava le spalle alla porta entrambi non ci accorgemmo di nulla.
<< Forse dovremo tornare tra qualche ora... >> disse a bassa voce Justin agli altri.
Lo sentii chiaramente e aprii di scatto gli occhi e Cameron si voltò. Dalla sorpresa, il mio ragazzo cadde sul pavimento con un tonfo. Il mio viso si tinse di un color papavero deliziosamente imbarazzante.
<< Scusa >> disse Kristen, a disagio.
<< L'avevo detto io >> continuò Alan a mezza voce.
Mi sporsi verso Cameron. << Amore, stai bene? >>,
Si rialzò, acciaccato dalla caduta. << Si, si... Niente di rotto >>.
Sorrisi sollevata e scesi dal letto. Cameron sembrava molto più imbarazzato di me ed evitava di guardare i miei amici. Mi prese una mano.
<< Forse è meglio che vada a cambiarmi >>.
<< Okay >> concordai. << A dopo >>. Lo baciai e lui andò via dopo aver salutato frettolosamente gli altri. Li guardai, sentivo le guance ardere.
<< Ci dispiace avervi interrotto >> disse Selene, sguardo basso.
<< Pazienza... ci rifaremo >> dissi e risero. << Come mai qui? >>.
Si guardarono e smisero di ridere di colpo.
<< Volevamo vedere come stavi >> rispose Cassie. << Ma credo che tu stia più che bene >>.
Fece un breve sorriso imbarazzato. << Già >>. Ne ero sicura al cento per cento?
Non mi sembravano convinti. Mentivo veramente da schifo.
<< Certo >> disse Liliane. << Se vuoi mangiare c'è del cibo in cucina >>.
<< Dopo >>. Stomaco nauseato.
<< Allora ti aspettiamo giù >> disse Kristen.
Inarcai le sopracciglia. Mi ricordai quei particolare che mi avevano colpita il giorno prima che la riguardavano. << Kristen devo chiederti una cosa sulle visioni >>.
La sorpresi perché sbarrò gli occhi ma annuì. I nostri amici uscirono dalla stanza e giurai che Justin aveva guardato Kristen intensamente.
Misi le mani dietro la schiena e puntò i suoi occhi dentro i miei. << Dimmi >>.
<< Cosa c'è tra te e Justin? >>. Domanda diretta e semplice.
Strinse le labbra e non smise di guardarmi. << Te ne sei accorta? Si vede proprio tanto? >>.
<< Abbastanza. Ma non credo che gli altri ci siamo arrivati. Sono una brava osservatrice >>.
<< Okay: ti dirò la verità >>. Prese un bel respiro. << Quest'estate sono andata a passare le vacanze al mare, vicino a San Diego. Sai, per via di Melinda il preside ci ha mandato a casa, chi poteva. Con somma sorpresa ho incontrato Justin con la sua famiglia. Ero l'unico con cui potessi essere me stessa, una Different. Nel giro di un mese la nostra amicizia, se vogliamo chiamarla così, è cresciuta velocemente >>. Si interruppe. E io avevo ascoltato tutto attentamente. Ero contenta per lui e per Justin. Ma coglievo nelle sue emozioni un accenno di nervosismo e imbarazzo. C'era qualcos'altro.
<< Vi siete baciati, giusto? >>.
Non risposte e guardavo oltre me. La mia bocca si spalancò a metà e gli occhi esprimevano incredulità. << Lo hai fatto con lui? >>.
<< Era stato solo un bacio, Alisha. Non so cosa sia successo. La situazione ci è sfuggita di mano e poi è successo. All'inizio dopo la prima volta, non volevo vederlo più >>.
<< Ti eri pentita? >>.
Annuì. << Era la prima volta. Anche per lui. E.. non volevo farlo con qualcuno che non amavo. Io non lo amavo >>.
<< Ma stai parlando al passato Kristen. Cosa vuoi dire? Ora lo ami? >>.
<< È successo altre volte. Era sbagliato e lo sapevamo. Ci facevamo del male. Ma non ci importava. Io mi accorta di amarlo man mano che il tempo passava >>.
Mi ero decisamente persa. Dove diamine voleva arrivare? Lei lo amava, fin lì ci arrivano. Perché leggevo tristezza e malinconia nei suoi occhi e nelle sue emozioni?
E poi da quando erano tornati non li avevo mai visti per mano, baciarsi. Un dettaglio che mi facesse capire che fossero una coppia.
<< Però non state insieme >>.
<< No >> confermò con voce incrinata.
<< Kristen non ti seguo. Avete fatto quello che avete fatto, dici di amarlo... e non stata insieme? >>.
Scosse la testa. << Non per tutti c'è il “felici e contenti” >>.
<< Justin non vuole? >>.
<< È complicato >> disse. << Dice di amarmi ma non si sente pronto per prendere in mano una relazione seria. Non ci sfioriamo più >>.
<< È assurdo! >> esclamai. << Volete seppellire quello che avete fatto? >>.
<< Proprio così >>.
Non sapevo cos'altro dire o fare. Dissi solo: << Mi dispiace >>. L'abbraccia. Doveva essere la prima volta che ne parlava con qualcuno e cominciò a piangere e la feci sedere sul letto e sfogare. Mezz'ora dopo smise di piangere e si asciugò le lacrime con un fazzoletto. La confortai come potevo e mi fece riflettere.
Gli errori che facciamo somigliano a tante cicatrici che servono a ricordarci cosa abbiamo fatto. Facendoci del male.
Si dice sempre che quello che non uccide, fortifica. È vero? O la solita frase fatta che si dice nei momenti di crisi? Kristen aveva fatto una serie di errori troppo grandi per potervi porre rimedio. L'avrebbero perseguitata per molto tempo. Mi dispiaceva veramente per lei e non riuscivo a decidere se dovevo esserlo anche con Justin. Kristen andò via e mi lasciò sola con i miei pensieri.
Amare può fare anche del male? Anzi, può fare solo male?
Amavo Cameron e l'unico motivo di sofferenza era la mia possibile morte e un dolore incredibile. Non soffrivo dell'amore che provavo per lui. Non ci avrei mai rinunciato per niente al mondo.
Come ci si sente quando amare diventa sofferenza? Una tortura quotidiana, un sentimento di cui volersi sbarazzare. Poteva diventare così? Kristen doveva sopportare tanto, ogni volta che lo vedeva.
Cameron apparve sulla soglia della camera, cambiato con i jeans e la camicia nera che adoravo. Mi sorrise e ricambiai. Mi alzai e gli presi una mano posando la testa contro il suo petto, ascoltando il ritmo regolare del suo cuore. Si domandava il motivo del mio comportamento ma non mi interessava. Avevo bisogno di sentire che amare non era doloroso.
<< Ti amo >> sussurrai.
<< Anche io ti amo >> disse con un tono un po' strano, magari perché mi sentiva triste.
Kristen aveva detto che il suo “felici e contenti” non esisteva. Mi resi conto che non c'era neanche il mio. Fra me e quelle tre parole c'era Melinda, sempre lei. Ed era arrivato il momento di mettere la parola fine, impugnare una penna immaginaria e scrivere il resto della storia.


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Capitolo 21
*** Si avvicina... tic tac... tic tac... molto presto... ***


19.    Si avvicina... tic tac... tic tac... molto presto...

Erano passate circa tre settimane dalla mia... morte? Insomma, qualunque cosa fosse successa io la definivo così. Certo, ciò voleva dire che ero sfuggita alla morte e questo doveva rendermi felice.
Eppure non lo ero. Forse perché ora che sapevo cosa si provava a morire, a non percepire il proprio corpo non era un’esperienza che volevo riprovare. E con Melinda a piede libera era una possibilità molto alta. Rimanere nel castello, ferma senza fare niente come una sedicenne qualunque mi faceva sentire inutile, una nullafacente. Un'assassina era in giro per il mondo ed io me ne stavo tra quelle quattro mura a far cosa, poi?
Avrei voluto prendere poche cose e fuggire per affrontarla. Il risultato non era importante alla fine. Le possibilità erano due: o morivo o vivevo. Più semplice e chiaro di così. La prima alternativa mi spaventava tantissimo ma cercavo di non mostrarlo. Agli occhi di tutti, che fossero i miei genitori, mia sorella, i miei amici o il mio ragazzo cercavo di sembrare almeno normale. Invece avevo una paura tanto immensa che mi schiacciava giorno dopo giorno.
Le sere erano dedicate a fissare la luna o gli articoli di giornale che ritraeva il bellissimo viso di Melinda in compagnia del suo fidanzato Charlie. Cameron era preoccupato di vedermi in quello stato. Lo amavo e lui mi amava però una sorta di velo freddo si era creato tra noi e ci mancava solo questo.
I miei amici erano preoccupati quanto il mio ragazzo e neanche loro sapevano come scuotermi.
Nessuno di loro poteva capire cosa si provava a vedere davvero la morte in faccia ed ero contenta che non lo sapessero. Quell'esperienza mi aveva fatto comprendere quanto la vita fosse solo un soffio che chiunque può spegnere in mezzo secondo, con un gesto. E come la vita è un soffio, la morte è eterna e quell'eternità passata nel buio opprimente mi aveva resa tanto caparbia da non volerci ritornare che mi dedicavo a lei, più di quanto meritasse. Uccidere Melinda era un gesto orribile e ne ero consapevole, ma d'altronde cosa potevo fare?
Dopotutto, se le persone uccidono non è poi tanto difficile. In particolare se è per una buona causa... Ma si può uccidere qualcuno per fare del bene? O il gesto in sé è brutale sempre?
Seduta sulla sedia della mia scrivania, di notte, leggevo per la terza volte l'articolo del giorno. Un altro omicidio. Si divertiva, lei. Io mi torturavo per quelle vittime di cui io ero la causa. Lei le uccideva ma io ero quella che la spingeva inconsapevolmente a farlo.
Battei un pugno sulla superficie di legno, facendo sobbalzare come spaventati le matite e le penne. L'articolo si ridusse a un mucchietto di cenere che sparsi sul pavimento con un gesto secco della mano.
Qualcuno bussò.
<< Avanti >>, sussurrai.
Cameron aprì la porta cauto, forse aveva sentito il rumore del pugno sulla scrivania. << Stai bene? >>.
<< Si >> risposi senza guardarlo e fissando il muro.
<< A me non sembra >> disse avanzando a grandi passi verso di me e abbracciandomi. << Scotti >>.
<< Scusa >>, mormorai, abbassando la mia temperatura quanto bastava a farla tornare normale. << Sono nervosa >>.
<< Alisha perché mi dici le bugie? >> mi chiese triste. << Io voglio solo il tuo bene >>.
<< Vorrei dirti scusa ma so già che sarebbe una ripetizione e risponderesti male >>.
Rise appena. << Mi conosci >>.
<< Già >>.
Con la mano destra sfiorò i giornali accatasti uno sopra l'altro, le penne e gli articoli ritagliati e mi guardò. << Basta, Alisha. Vai a dormire >>.
<< No! >>, esclamai, << Devo trovare altre informazioni... Non posso >> dissi, rimettendomi a lavoro ma Cameron mi fermò i polsi in un gesto irritato.
<< No, adesso mi ascolti >>. La serietà del tono mi costrinse a dargli rette e guardarlo. << E da quando sei... morta... che ti comporti in questo modo. I tuoi sono preoccupati, gli altri anche. Perfino Serenity lo è. Ed io sto morendo di dolore >>.
<<< Non capite >> dissi. << Non capite che non posso far passare altro tempo?! >>. Balzai in piedi e mi liberai dalla sua presa. Indicai i giornali. << Guarda cosa sta facendo! Fa tutto questo per arrivare a me, solo a me! E io non posso aspettare ancora! >>.
<< E ridurti in questo stato ti sembra una conseguenza? >>.
<< Pur di toglierla di mezzo? Si! >>.
Mi accorsi di aver detto le parole sbagliate perché gli occhi di Cameron divennero duri e malinconici allo stesso tempo. Indietreggiò di tre passi da me e non mi guardò.
<< Non ti riconosco più >>, ammise ed io avrei tanto voluto farmi del male per quel tono pieno di dolore. << Sta vincendo lei. Stai diventando come lei. Quando torni, fammi un fischio >>. E detta l'ultima parola, sparì dalla mia vista velocissimo sbattendo la porta.
Avrei voluto picchiarmi, farmi del male per come lo avevo trattato.
“Stai diventando come lei”.
Quelle parole risuonavano tanto vere nella mia testa... No, non voglio diventare come Melinda! Io voglio amare Cameron, la mia famiglia e i miei amici!
Mi appoggiai alla parete cui era attaccata la scrivania e strizzai gli occhi per non piangere senza successo. Mi raggomitolai su me stessa e strisciai fino a terra.
Desiderando tornare indietro e cancellare tutto...

Mi ero addormentata contro la parete dopo aver pianto almeno due ore. Un lieve bussare alla porta e un raggio di luce disturbarono il mio sonno.
Mi rialzai e avevo ancora sonno. << Chiunque sia, torni dopo >> dissi, stendendomi sul letto.
<< Anche se è la tua migliore amica? >>.
La voce, quella voce, femminile mi fece scattare in piede e corsi alla porta, spalancandola.
<< Janet... >> sussurrai, incredula. Invece lei era proprio davanti a me con un sorriso enorme e una valigia rosa e una sacca da viaggio.
Ci abbracciammo per un sacco di tempo e io piansi ancora, non potevo davvero crederci.
Mi passai il dorso della mano e le chiesi: << Ma cosa ci fai qui? >>.
<< Mi mancavi e io ho chiesto di poterti venire a trovare e hanno accettato! >>.
Ero talmente felice che il mio umore cattivo venne spazzato via come un tornado distrugge una città. L'abbracciai di nuovo e la portai in camera con me, facendola sedere su un letto e ammucchiando le sue cose in angolo.
<< Hai visto i miei? >>.
<< Oh si. E sono molto contenti. Mi hanno raccontato... tutto >>.
Mi irrigidì. << Tutto tutto? >>.
<< Tutto tutto >> confermò. Un velo di tristezza negli occhi.
<< Non dovevano >> disse arrabbiata.
<< Non mi sono sconvolta. So quanto Melinda possa essere un mostro. Non temere >> mi rassicurò come ai vecchi tempi. Mi sfiorò le occhiaie. << Da quanto non dormi ore decenti? >>.
<< Ieri ho dormito >> mentii.
<< Dopo aver pianto ore, però >>.
Sospirai. Non potevo ingannarla, non lei che mi conosceva troppo bene. << Si, è vero >>.
<< Che cosa succede, Alisha? Dov'è Cameron? Mi aspettavo di beccarvi a fare cose... >>.
Le diedi una botta sulla spalla e risi. Rise anche lei.
Tornai seria. << Tra me e lui le cose non vanno bene anzi siamo al punto di rottura... Ieri abbiamo litigato. Poche frasi ma pesanti >>.
Mi scosse come per svegliarmi. << Non devi permettere a lei di toglierti anche Cameron. Fate pace >>.
<< Non so se lui vuole. Mi ha detto che non mi riconosce più, che sto diventando come lei >>. Buttai fuori tutto, sollevata di potermi sfogare.
<< Le ha detto in un momento di rabbia, sono certa che non le pensa davvero quelle cose >>.
<< Cosa te lo fa pensare? >> le chiesi.
<< Perché se no non sarebbe stato qui fuori quando sono venuta >>.
Sgranai gli occhi. << Era qui? >>.
<< Eh già. Ma quando mi ha visto e corso via come se fossi il diavolo >>. Ridacchiò.
Quindi era venuto... per chiedermi scusa o chiarire? C'era una possibilità di non distruggere tutto? Valeva la pena provare.
Trascinai Janet dai miei amici, uniti per fare colazione l'assenza di Cameron mi balzò agli occhi. Decisi di non darci peso e la feci sedere accanto a me. I miei amici l'accolsero calorosamente.
Da quando Kristen mi aveva raccontato la sua storia e di Justin, non lo guardavo più come prima e lui se ne era accorto di certo. Erano scelte loro, però non capivo come potesse fare tanto male a chi amava.
Nel mezzo delle chiacchiere, cercavo Cameron, i suoi occhi, ma non c'erano. Aveva scelto di non fare colazione e di restarsene in camera ad aspettarmi?
Ero immersa in una chiacchiera con Janet quando mi bloccai a metà frase. Aggrottai le sopracciglia e guardai Alan. Se ne era accorto anche lui.
<< Cosa c'è? >> domandò Selene, ansiosa.
Dalla sala altre tre persone si erano alzate, empatici anche loro. Il preside spinse indietro la sedia e altri telepati non furono da meno.
<< Hai scelto il momento sbagliato per farmi una visita Janet >> le dissi.
<< Si può sapere che succede? >> disse a voce alta Cassie.
<< Sta arrivando >> disse Alan.
<< Chi?! >> chiesero in coro i miei amici.
<< Melinda >> risposi.
Guardai il preside.
<< Come fa a saperlo? >> gli urlai e le persone in sala cominciarono a spaventarsi. I miei genitori stringevano Serenity terrorizzata.
<< Qualcuno ci ha traditi >> disse sondando la sala con la mente alla ricerca del traditore.
Nessuno si alzò, nessuno si mosse. Il tempo era poco. La sua presenza e quella di chissà quante altre persone si avvicinavano rapidi.
Nella sala sentivo paura, ansia e... soddisfazione.
Ed era accanto a me.
Guardai Janet scuotendo la testa.
Lei sorrideva e si alzò lentamente.
I miei amici la guardavano in silenzio.
<< Come hai potuto farmi questo? >> le chiesi con voce incrinata e le parole uscirono a malapena.
<< Alisha! Non è Janet! >> strillò il preside.
Prima che potesse rispondermi mi ritrovai contro un muro e una fitta al braccio tremenda. Una ferita da cui sgorgava troppo sangue mi nauseò.
La coprì con la mano e cercai di alzarmi ma ricaddi.
La mia migliore amica sparì per essere sostituita da... James Brown.
Sotto shock non seppi cosa ribattere.
<< Dov'è Janet? >> domandai a bruciapelo, la prima cosa che volevo dire.
Rise, una risata che congelò chiunque. Nessuno osava muoversi. Alcuni scappavano dalla sala e altri erano addossati all'uscita, l'unica della sala.
<< La ragazzina?  È morta ieri sera, all'aeroporto. Stava per prendere l'aereo e noi lo abbiamo catturata e poi ho preso il suo posto. In questo modo ho potuto dire a Melinda dove ti trovavi. Sono stato bravo? >>.
Respiravano a fatica, cercando di rendere quelle parole reali nella mia testa. Non era vero. Era un incubo da cui mi stavo per svegliare. Ero ancora contro la parete e qualcuno doveva bussare alla porta.
Il sangue aveva smesso di scorrermi e la testa di funzionare. La ferita non bruciava più. Dentro di me, bruciava qualcosa di peggio. Un insieme di sentimenti che avrei voluto congelare per portare un po' di sollievo. Non riuscivo ad alzarmi e le gambe non rispondevano ai miei comandi.
Avevo la sensazione di essere diventata di ghiaccio.
La sua risata proseguiva e poi smise.
Sentii solo un tonfo e un urlo di dolore fisico. Justin e Cassie lo avevano atterrato e non avevo capito come, ma non importava niente.
Le belle parole che mi erano state dette in camera da letto erano false, falsissime. Come aveva fatto a non accorgermi che non era la mia migliore amica?
Cameron non era mai venuto la mattina in camera per scusarsi. Se lo era inventato... Oppure...
<< Cameron! >> strillai, ritrovando un po' di voce. Ma fu una fitta di dolore al petto. << Cercatelo! >>.
Le mani di Selene e Liliane mi sollevano per riuscire a mettermi in piedi. Un'altra mano mi curò la ferita e il sangue sparì pulito da un fazzoletto bianco.
Era tutto una nebbia indistinta. Il volto di mia madre mi si parò davanti e mi strinse in lacrime per lei, per Janet.
Janet era morta... Con questo pensiero scoppiai anche io lacrime. Non c'era tempo ma non poteva importarmene di meno. Poteva anche venire, torturarmi ma io avrei proseguito a piangere.
Non scorgevo neanche un briciolo di rabbia per scatenarmi contro Melinda. Avevi subito altre perdite ma questa era troppo.
<< Alisha... >> mi sussurrò una voce alle mie spalle.
<< Cameron... Sei vivo... >>. Le sue braccia presero il posto di quelle di mia madre e lì mi sentii sicura.
<< Non mi ha toccato. Sono davvero venuto davanti alla tua stanza ma lei... lui... mi ha detto di andare via perché dormivi e non volevi essere disturbata >>.
Strinsi tra le dita i lembi della sua camicia, inzuppata di lacrime. Ben presto, le sensazioni spiacevoli degli altri arrivarono anche a me e la sala si era svuotata per fuggire e salvarsi la vita. Il preside e gli insegnanti erano rimasti e i miei amici anche.
<< Amore... dobbiamo fuggire... Sta arrivando... >> disse Cameron.
Scossi la testa. << Può anche venire non mi interessa >>.
<< Cerca di ragionare Alisha >> disse Liliane. << Se viene e ti trova in questo stato gliela darai vinta >>.
Mi scostai dal mio ragazzo. << Basta! >> strillai. << Sono stanca! Che venga, che mi uccida, che faccia quello che le pare! Sono stanca di vedere chi amo morire. Scappate e lasciatemi sola con lei >>.
<< Per farti ammazzare?! >> urlò Justin.
<< Si! >>.
Cameron mi prese per un polso. << Sei addolorata e lo capisco. Ma ragione così non serve. Non adesso >>.
<< Non c'è tempo! >> ripeté il preside. << Portante i coniugi Moore e la bambina fuori di qui >> disse agli insegnanti.
<< Voglio rimanere con Alisha! >> esordì pestando un piede, Serenity.
<< Vai con loro >> le ordinai, indicando la porta. << Non voglio sentire discussioni >>.
<< Ma... >> tentò la piccola.
<< Ho detto vai! >> conclusi urlando e lei mi guardò con gli occhi lucidi e seguì i miei genitori in lacrime e vidi mia madre quasi svenire.
Mi girai verso gli altri. << Andate anche voi >>.
<< Non ti lasciamo qui >> disse Kristen.
<< Non da sola >> aggiunse Alan.
<< Vi ucciderà >> dissi pacata.
<< No, se tu reagisci >> discordò Cameron. << Siamo alla fine. Questa potrebbe essere sul serio la fine. Non dargliela vinta. Non ora >>.
Piangevo ancora, come se fosse necessario come la respirazione. Mi mordicchiai un labbro pensierosa.
Volevo mettere davvero la parola fine? Era ora?
Io volevo solo finirla. Che morivo, che vivevo... Ormai non mi interessava più.
Volevo solo farla finita. Se vincevo bene, se perdevo pazienza...
Ero stufa, sfinita.
La sua presenza era vicina, vicinissima.
E dopo dieci secondi, era arrivata davanti al portone.
Un boato assordante ci investì insieme a delle urla di paura. Corremmo nell'atrio. La nube si diradò e Melinda e Charlie fecero il loro ingresso.
Non avevo espressione negli occhi: né di odio, né di paura, né di tristezza. Vuota e spenta.
I suoi occhi azzurri mi guardarono e sorrise soddisfatta, come mai prima d'ora.
<< Alisha che piacere >>.
Non risposi.
Charlie era dietro di lei di quattro passi e dietro altri due, i loro “amici”.
Tutti con un calmo sorriso e Charlie un ghigno.
<< Oooh... mi dispiace così tanto per la tua amichetta... saprai mai perdonarmi? >> mi chiese con un tono zuccheroso che non mi scalfì.
Mi misi davanti ai miei amici e gli altri.
<< Sei qui per me, non per loro. Se proprio dobbiamo farla finita, facciamola >>.
<< Ti ho distrutto. Ammettilo >>. Una smorfia che imbruttì il suo viso.
<< Si >> ammisi. << E sai una cosa? Per me può anche uccidermi... può lasciarmi vivere. Non m’importa. Sono stanca di te, della situazione che mi fai vivere. Basta, Melinda. Vuoi giocare? Giochiamo >>.
La mia indifferenza non le piacque. Melinda era quel genere di persone che gode delle disgrazie altri e sopratutto delle mie. Stinse i denti e mi guardò con aria infuriata. Si aspettava di trovarmi in lacrime, disperata. Be', la soddisfazione non gliela avevo data.
<< Tic tac... tic tac... >> mormorò camminando, diminuendo lo spazio tra me e lei. << L'orologio sta terminando i suoi minuti, Alisha. Pian piano finiranno. Oggi >>.
<< Che finiscano >>. Accolsi la sua sfida.
Fece un sospiro e divenne pensierosa. Poi alzò una mano, indicandomi. << Tu ed io. Gli altri no >>.
<< Scordatelo! >> strillarono gli altri, dietro di me.
Alzai anch’io una mano. << Okay >>.
Sorrise dolcemente e guardò il suo fidanzato. Gli fece l'occhiolino. Sembravano aver programmato tutto da qualche tempo ma d'altronde erano entrambi veggenti. Io guardai Cameron e lui mi guardava con uno sguardo che mi sciolse letteralmente.
Gli sfiorai la mano e la guancia e gli sorrisi appena, uno spiraglio di luce sul mio viso scuro di dolore.
La guardai ancora.
<< Sono pronta >>.

Sono un pò ma giusto un pò, in ritardo XD Però un aggiornamento prima della fine dell'anno dovevo farlo! Credo proprio che ci rivedremo all'anno prossimo! Buone feste! Ciao ciao!

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Capitolo 22
*** Voglio vivere - I parte ***


20. Voglio vivere

                                                                        I parte

Ci fissavamo ancora, a lungo. Come se dovessimo sfidarci con gli sguardi e chi di noi due lo avesse distolto per prima, avrebbe perso.
Be', io non lo avrei fatto.
Mi guardava e allo stesso tempo pareva concentrata. Mi stava leggendo nel pensiero? Forse.
Poteva anche leggere nel mio pensiero, non mi interessava. Dell'esito, della mia vita, non mi interessava. Non più. Il suo ultimo tiro aveva annullato ogni traccia di emozione dentro di me, il dolore era il mio unico compagno e il viso sorridente della mia migliore amica balenava nel mio cervello.
Le lacrime automatiche volevano sgorgare, il mio corpo accasciarsi al suolo e non vedere più nulla, magari tornare il quel buio opprimente che già una volta aveva tentato di catturarmi.
Poi, Melinda mosse una mano.
E a quel punto, le persone dietro di lei, tranne il suo fidanzato, si mossero, correndo verso di noi. I miei amici si misero all'erta, gli alleati sull'attenti.
Udii Sullivan trascinare via i miei genitori e Serenity in un luogo sicuro per non assistere alla lotta e forse alla mia morte probabile.
Io, lei e Charlie non ci muovemmo.
Attorno noi infuriava una lotta furiosa a cui non badavamo. Come se non fossimo sul serio là, ma in una dimensione tutta nostra.
Melinda voltò appena la testa, scuotendo leggermente i lunghi e folti capelli biondi. Mormorò qualche parola al suo fidanzato e quello svanì, per riapparire in mezzo al tumulto.
Voleva che fossimo solo io e lei. E le avrei dato ciò che voleva.
Alzò di scatto una mano e io sparii, evitando il colpo che andò a danneggiare una parete, riducendola in un ammasso di pietre grigie. Mi voltai a guardarla e risposi con uno colpo preciso di ghiaccio per congelarle le mani.
Le alzò e creò uno scudo infuocato con cui distrusse le lame ghiacciate che non divennero altro che una pozza di acqua fumante.
Strinsi i denti, contrariata.
Un boato sotto di me mi mise all'erta e con un salto riuscii a evitare i rampicanti che Melinda aveva creato per intrappolarmi. Non contenti, quelli si mossero rapidi nella mia direzione. Poggiai le mani a terra e delle scosse vi partirono per avvolgere i rampicanti che caddero inerti al suolo.
Un urlo di rabbia arrivò da lei.
Non la vedevo più, era sparita. Guardavo ovunque, a destra e a sinistra. Ma la battaglia aveva alzato un polverone gigantesco dove visi e voci si perdevano. Ogni tanto i miei piedi sfioravano qualcosa, qualcosa di umano. E sperai con tutta me stessa che non fossero miei amici o peggio ancora Cameron.
La situazione in cui mi trovavo non rendeva possibile pensarci. Un grande istinto di sopravvivenza mi diceva di pensare solo alla mia vita e a scovare la mia nemica in mezzo a quel casino.
Mi scontrai di colpo contro una parete accanto alle scale e battei la testa. Rimasi stordita per pochi secondi. Qualcosa mi bloccò le mani.
Alzai lo sguardo e Melinda era di fronte a me a braccia conserte e un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Era molto forte.
<< Allora, Alisha. Ti eri immaginati così la tua morte? >> mi domandò provocatoria.
<< E chi ti dice che io morirò e che non sarai tu invece a morire? >>.
Rise di gusto e poi mi guardò. << Tu uccidere me? Per favore! Non prendiamoci in giro. Non faresti del male a nessuno, tu >>.
Ciò che mi bloccava i polsi erano degli anelli dorati. Mi concentrai e le mie mani divennero incandescenti, rosse per le fiamme che le avvolgevano. Melinda sciolse il suo intreccio di braccia e mi guardo stupefatta. Era convinta di avermi in pugno.
Era convinta che io non ero altro che una stupida ragazzina mossa dalla rabbia e il terrore. Si sbagliava.
Mi ero esercitata molto più di quanto lei credesse. Voleva che lei divenisse il mio chiodo fisso, la mia ossessione. Un modo utile per avermi in pugno, fare in modo che io andassi da lei.
In un certo senso, ci era riuscita. Ma io non ero tanto sprovveduta. La vecchia Alisha era morta e quella nuova non aveva nessuna intenzione di seguirla.
I laccetti dorati esplosero in scintille che si persero sulla pietra e sparirono in un tintinnio. Delicatamente, caddi a terra e mi rialzai.
Melinda infiammò anche lei le mani e le alzò, provocando una fiammata diretta verso di me.
Io alzai le mie e creai un vortice di ghiaccio.
Lei era forte ed era una vera sfida contrastarla. Il suo fuoco esercitava tantissima pressione e io faticavano a resistere.
Cominciai a sudare e i muscoli a dolere. Le forze cominciavano ad abbandonarmi. Lei se ne accorse in qualche modo, grazie alla sua moltitudine di poteri.
Rise sonoramente.
Strinsi i denti e mossi due passi nella sua direzione e il ghiaccio aumentò. Lei non riusciva a crederci e ci mise più impegno.
<< Arrenditi, Alisha! >> urlò per sovrastare il chiasso e i forti rumori.
<< Scordatelo! >>.
Al culmine, il fuoco inghiottì il ghiaccio e il ghiaccio inghiottì il fuoco. Un vortice che esplose di colpo.
Mi portai le mani alla faccia per proteggermi, ricordandomi che poteva creare uno scudo protettivo e lo feci. Lo scudo bluastro mi protesse fino a quando tutto non sparì. Anche Melinda ne aveva creato uno uguale.
Abbassammo entrambe le braccia sfinite, i respiri corti e affannosi.
Sorrise. << Devo ammetterlo: sei forte, mocciosa >>.
Sorrisi anche io. << Devo ammetterlo: sei forte nonostante i tuoi anni in carcere >>.
Si rimise dritta, una dignità che non le si staccava mai di dosso. Una dignità che non si meritava.
<< Mi costringi a giocare sporco Alisha >> sussurrò e aggrottai la sopracciglia. << Non esistono solo i poteri elementari >>.
Detto questo, sparì dalla mia vista. Mi rimisi dritta anche io e me la trovai di fronte: prima che potessi fare qualsiasi cosa, mi appoggiò una mano sulla fronte. Strillai per il dolore acuto nella mia testa, un martello che mi stava distruggendo la mente.
Svenni sul pavimento per meno di venti secondi e quando riaprii gli occhi, tutto era silenzioso.
Avvertii una superficie morbida sotto di me e notai che si trattava di un letto. E sgranai gli occhi e mi alzai immediatamente.
Non era un letto qualsiasi, era il mio letto. Quella della mia camera a Los Angeles.
Com'era possibile?
E la camera era la stessa, identica. Ogni particolare al suo posto. Nell'armadio, i vestiti sistemati come se io non me ne fossi mai andata via.
Il mio portatile, la mia borsa di scuola, le mie foto, tutto lì.
La porta si aprì e la figuretta stupenda di Serenity entrò nella mia stanza. Indossava un vestito azzurro e le calze bianche con tanto di scarpette lucide e nere.
Mi fissò con il suo sguardo curioso e infantile.
<< Mamma vuole che scendi per la colazione, sorellina >>.
Non dissi niente e lei continuò a guardarmi con un sorriso e le mani dietro la schiena.
<< Serenity, perché sono qui? >>, azzardai.
Rimasi sorpresa. << Perché me lo chiedi? >>.
Decisi che non era la persona giusta a cui fare quella domanda e scossi la testa. << Scusa. Sono ancora addormentata >>.
Ridacchiò come una vera bambina. << Allora muoviti! Dylan viene a prenderti tra poco! >>.
Scappò via.
Quel nome fu una scossa dentro di me. Dylan? Ma che diamine stava accadendo?
Uscii dalla mia stanza. Il corridoio era uguale a prima che me ne andassi. Diedi una rapida controllata alle altre stanze ed erano sistemate in ogni dettaglio.
Sbirciai dal pianerottolo del primo piano e udii le voci di mia madre e mio padre, impegnanti in qualche chiacchiera mattutina.
Scesi piano le scale, la mano sul corrimano liscio, lucidato da poco da mia madre.
Riuniti attorno alla tavola a cui io avevo fatto colazione per tutta la mia vita, c'era la mia famiglia.
Mamma mi rivolse un gran sorriso. << Frittelle, Alisha. Le tue preferite >>.
<< Si >> mormorai, sedendomi a tavola.
Papà mi sorrise. << Oggi esci? >>.
<< Non lo so >> gli risposi e in effetti era vero. Durante la colazione cercai di capire cosa stesse succedendo. Ricordavo perfettamente di essere impegnata in una lotta con Melinda ed ora ero a casa mia, a Los Angeles con la mia famiglia riunita perfettamente a colazione e Dylan vivo.
<< Che giorno è oggi? >>.
<< Quindici Aprile, tesoro >> rispose mamma.
<< Ho perso la cognizione del tempo >> mentii e tornai alle mie frittelle.
Quindi era il giorno prima che io diventassi una Different. Com'era possibile?
Li osservavo e parevano tranquilli come tutti i giorni prima del mio cambiamento.
Senza dare nell'occhio, fissai la zuccheriera. Quella rimase al suo posto.
Non avevo i miei poteri.
Lasciai cadere la forchetta nel piatto, rumorosamente e mi alzai scappando fuori dalla stanza, ignorando le occhiate dei miei familiari sul mio strano comportamento.
In camera, chiusi la porta a chiave e mi ci appoggiai. Dov'ero finita?
In una sorta di dimensione felice dove io non avevo mai cambiato specie ed ero ancora la vecchia Alisha? Ancora quindicenne, tra le altre cose.
Dov'erano Cameron, Liliane, Cassie, Alan, Selene e Justin? E il preside? Melinda e Charlie?
Qualunque cosa fosse, non mi avrebbe ingannata. Per nessun motivo.
Alle mie orecchie giunse il suono rombante e tanto familiare della moto di Dylan. Mi affacciai alla finestra e lui era là, seduto sulla sua moto ad aspettarmi con un altro casco.
Vederlo vivo e vegeto fu un tuffo al cuore.
Amavo Cameron ora, ma vederlo in salute mi faceva sentire meglio. Misi le prime cose che trovai, la borsa e scesi di corsa le scale, dando un frettoloso saluto.
Se Dylan era vivo, lo era anche Janet.
Caddi dalle scale e quasi mi feci male ma corsi comunque da lui.
Mi fermai a pochi passi dalla sua moto, non credendo ai miei occhi. Eppure lui era lì. Con il suo sorriso che tanto mi aveva incantato e fatto innamorare.
<< Ehi piccola! >>.
Quella parola che non mi era sconosciuta mi scaldò il cuore.
<< Dylan >> sussurrai con le lacrime agli occhi.
Fece un sorriso a metà e un punto interrogativo negli occhi. << Va tutto bene, piccola? >>.
<< S-si >> balbettai. << È che sono felice di vederti... in salute >>.
<< In salute?! >>.
<< Non importa >> dissi, scuotendo la testa. Presi il casco che mi porgeva. << Andiamo a scuola >>.
Volevo vedere Janet, volevo assicurarmi che lei stesse bene.
Il tragitto da casa a scuola tra me e lui era sempre stato silenzioso. Ne approfittai per godermi Los Angeles dopo mesi di assenza. La mia città bellissima.
Con il suo mare, il suo cielo azzurro, i suoi negozi, le passeggiate... era tutto come prima, come se non me ne fossi mai andata.
Al cancello della scuola, avvertii un lieve nervosismo. Scesi velocemente dalla moto, mi liberai del casco e vagai con gli occhi alla ricerca di Janet nella calca di studenti.
Ed eccola lì.
Corse verso di me, il suo sorriso. Trattenni le lacrime per essere sicura di non piangere davanti a lei, di non dare impressioni sbagliate.
E con lei c'era Chris. Ma perfino la sua presenza mi rendeva felice.
L'abbracciai stretta. Sentii il suo scetticismo.
<< Ehm... che hai? >> mi domandò.
<< Solo felice di vederti >> dissi, la voce che tremava.
Era viva... era viva!
Le toccai i capelli, le spalle, il viso.
<< Sei sicura di stare bene? >> mi chiese ancora una volta Dylan, scambiandosi un'occhiata con Janet e Chris.
<< Si, ora si >> confessai, prendendo bei respiri.
La campanella suonò.
Per quanto dovessi ricordarmi che non era normale tutto ciò, rivedere Janet e Dylan vivi mi aveva fatto bene, benissimo.
Prima di entrare in aula, vidi Christine, una mia cara amica uccisa da Melinda insieme a Dylan quel maledetto pomeriggio. Ci erano volute le impronte dentarie per identificarla tanto era carbonizzata.
Abbracciai anche lei, sapendo che tutti mi prendevano per pazza ma non mi interessava.
<< Scusala. Ma oggi sente il bisogno di mostrarsi affettuosa >> le disse Janet, stringendosi nelle spalle.
Christine torse uno dei suoi riccioli rossi tra le dita. << Be', sono felice, Alisha. Non lo fai mai >>. Ridacchiò.
Smisi di comportarmi come se avessi ingerito qualche dose extra di miele e zucchero e me ne andai in classe, felice come non mai, come mai negli ultimi mesi.
Le persone a cui tenevo stavano bene.
Ora non mi restava che cercare le altre, quelle che facevano parte della mia nuova vita. Se fossi riuscita a conciliare tutto?
A rendere tutto un unico, compatto mondo? Potevo essere felice al cento per cento?
Magari mi ero sbagliata. Non ero mai andata a New York. Non ero mai diventata una Different. Non ero la sorella di Melinda.
Seguire le lezioni prima del pranzo fu piacevole e al suono della campanella che preannunciavano le due ore libere mi alzai, sentendomi leggera.
Parlai con Janet e Christine per tutto il corridoio e vidi anche Carl, un altro ragazzo ucciso da Melinda. E pure lui era perfettamente a posto.
Non lo abbracciai per non dare altre impressioni sbagliate ma dovetti trattenermi. Però mi sorrise dolcemente.
Al pranzo, seduta al nostro tavolo da quando eravamo in prima, tutti insieme, ritrovai una serenità perduta, che provavo solo con i miei amici e il mio ragazzo umano.
Risi tanto e chiacchierai piacevolmente. Poco a poco mi dimenticai delle mie preoccupazioni, di ciò che mi aspettava. Dopotutto, poteva essere stato tutto un sogno. Se era così, una parte di me ne era felice. E un'altra si chiedeva che fine avessero fatto gli altri. Ma la parte felice era più forte dell'altra e io mi dimenticai pian piano di tutto, pezzo dopo pezzo...
E anche le altre ore di lezione volarono presto. Uscimmo tutti con la promessa di incontrarci due ore dopo al lungomare per passeggiare insieme.
Tornai a casa come la persone più felice del mondo. Mi cambiai e scesi in anticipo, troppo entusiasta per rimanere in casa.
Indossavo il mio vestito lilla a maniche corte e gli stivali poco più chiari e mi ero fatta una coda alta, i miei abbinamenti preferiti.
I negozi, i ristoranti, era tutto come sempre. Li guardavo sorridendo e ogni tanto salutavo qualche negoziante che mi conosceva da quando ero bambina. Arrivai al punto di incontro ed erano tutti lì. Mi avvicinai
E mi bloccai.
Le loro urla erano tante, mi spaccavano i timpani.
Come se qualcuno avesse premuto un tasto per accelerare la scena il mio ragazzo, la mia migliore amica e il resto della compagnia caddero a terra. Corsi da loro e mi portai le mani alla bocca: erano tutti morti. Pozze di sangue si allargavano sotto di loro, colpi precisi al petto e alla fronte.
“Cosa... cosa... è successo?” mormoravo nella mia testa.
Il silenzio avvolse la scena: le auto, le persone, i negozi, il rumore delle onde, sparirono per dare spazio al silenzio.
Gli occhi pizzicarono e le lacrime scivolarono sulle mie guance per mischiarsi al sangue per terra.
Tremavo dalla testa ai piedi. Non riuscivo a stare alzata e non avevo un punto di appoggio.
“È colpa tua...” sussurrò una voce nell'aria.
<< Non è vero >> mormorai.
“Oh si, invece. Se tu non fossi stata quello che sei, loro sarebbero ancora vivi...”.
Continuavo a guardare i cadaveri di Dylan, Janet, Christine, Carl... Tutti morti.
Erano morti di nuovo. Era questo che spettava a chi mi stava accanto? La morte?
“È così, Alisha”.
Los Angeles sparì e al suo posto, il Collegio. I cadaveri dei miei amici e del mio ex ragazzo erano venuti insieme a quest'altra nuova realtà.
Insieme a loro, i cadaveri di Cameron, delle mie amiche, dei miei amici, della mia famiglia, del preside...
Scossi la testa più volte e mi raggomitolai su me stessa, piangendo.
<< Basta! >> urlai in preda a una crisi nervosa.
Il viso di Melinda apparve di fronte alla mia figura raggomitolata. Era solo la sua testa, sfumata come se qualche bambino avesse giocato con i pastelli.
“Oooh... Povera piccola Alisha. I tuoi amici, il tuo ex, il tuo ragazzo, la tua famiglia... Tutti morti... Forse non è il caso che li raggiungi?”.
Non risposi e continuai a piangere come se non la udissi. Erano morti per colpa mia, solo mia. Ero un mostro, molto più di Melinda. Perché lo mi amavano e io li avevo fatti morire tutti...
Non meritavo io stessa di vivere. Melinda aveva sempre avuto ragione ed io ero la sciocca che credeva di salvare il mondo quando non ero altro che la morte travestita da ragazzina per chi amavo.
<< Hai ragione >> dissi finalmente. << L'hai sempre avuta >>. Non alzavo gli occhi, non riuscivo a guardare la scena di fronte a me.
Una mano fumosa toccò il mio mento, quasi una carezza.
“Non preoccuparti: presto smetterai di soffrite...”.
Serrai le palpebre, pronta per unirmi a coloro che erano morti, sperando che qualunque cosa mi attendesse, dopo la morte, fosse migliore della mia esistenza.
<< Perdonatemi >> mormorai.
“No!”.
Quella voce...
“Alisha!”.
Quella voce femminile... la conoscevo...
“Non farlo!”.
L'avrei riconosciuta tra mille...
<< Cameron >> dissi a voce bassa. << Cameron! >> continuai, a voce più alta.
“No!” ruggì una voce femminile.
Tornai dritta e strinsi i pugni.
<< Liliane! >>.
“Alisha!”.
<< Cassie! >> urlai felice di sentire la voce della dispettosa Cassie.
“Riprenditi!”. Due voci stavolta.
<< Justin, Alan! >>.
“Alisha, Alisha, Alisha!” trillò la voce infantile di una bambina e quelle di due adulti, con amore.
<< Mamma, papà, Serenity! >>.
“Loro sono morti, sono morti!”.
“Guarda la verità, Alisha”.
E la voce del preside mi fece riprendere del tutto.
<< Mi stai ingannando, Melinda! Forse i miei vecchi amici sono morti ma il mio ragazzo, la mia famiglia, i miei amici sono vivi. Vivi! >>, strillai, << E rimarranno tali! Non ti permetterò di fargli del male come hai fatto agli altri. Non ci cadrò ancora nei tuoi giochetti mentali! >>.
Chiusi gli occhi e mi concentrai per tornare alla realtà. Quella dove i miei vecchi amici erano morti, dove ero una Different, dove Melinda era mia sorella e io dovevo ucciderla.
Ma era la mia realtà ed era questo che importava.
Uno strillo acuto, di dolore, provenne dal nulla. Continuai a concentrarmi e qualcosa si ruppe.
Cacciai uno strillo terribile e quando riaprii gli occhi mi accorsi di essere sudata e il respiro a metà. Melinda era messa peggio di me.
Era caduta a terra, totalmente priva di forze.
E loro erano lì. A parte la mia famiglia, gli altri erano ricoperti di ferite ovunque ma vivi. I nemici combattevano ancora ma stavano perdendo.
Charlie sbucò dal nulla e si mise le mani nei capelli per com'era conciata la sua fidanzata.
<< Amore mio! >> strillò.
Alzai un braccio e lo mandai contro la parete opposta. Poi aprii e chiusi la mano una volta e lui si bloccò.
<< Allontanati! >> mi urlò come se avesse il diavolo davanti invece di una sedicenne.
Faceva bene ad avere paura.
I guanti che portavo erano del tutto distrutti e li tolsi definitivamente.
Lame di ghiaccio quasi mi trafissero ma mi passarono attraverso. Charlie non riusciva a muoversi.  
Fuoco, elettricità, altro ghiaccio e un sacco di altri poteri non avevano effetto su di me.
Non più.
<< Hai paura Charlie? Fai bene ad averne >> lo avvertii.
<< Fallo e Melinda ti ucciderà >> mi minacciò.
<< Che lo faccia. Ma intanto tu resterai senza poteri >>.
E prima che potesse aggiungere altro, io avevo già posato le mani sulle sue, stringendole. Trattenni un urlo di dolore. Mi pizzicava qualcosa sotto pelle come se mi stessero pungendo con tanti aghi contemporaneamente.
Charlie strillava a più non posso e io riuscivo a percepire tutte le sue emozioni terrorizzate. Sembrò durare secoli invece che mezzo minuto. Alla fine Charlie, si accasciò a terra, svenuto.
Come se avessi ricevuto un contraccolpo, venni sbalzata all'indietro e acchiappata da Cameron appena in tempo.
Melinda non si era mossa in tutto questo tempo, ancora ferma sul pavimento.
<< Che è successo? >> domandò il preside.
I nemici e gli alleati si erano fermati a guardare. Nessuno si muoveva più.
<< Gli ho tolto i poteri, com'era giusto >> dissi tutto d'un fiato. << È normale, ora >>.
Un urlo di tripudio per il primo nemico sconfitto salì dai miei amici e uno di sconfitta dagli altri.
Cameron mi strinse forte e mi baciò i capelli.
Poi urli terrorizzati dai miei amici.
Spinsi via Cameron con la telecinesi e mi voltai a guardare Melinda.
Le sue emozioni erano un miscuglio di qualsiasi cosa.
Il suo viso piegato in una smorfia.
<< Wow... Sei proprio incazzata nera >> dissi spavalda.
<< Dovevo ucciderti quand'eri soltanto una neonata, Alisha. Una maledetta bambina >>.
<< Senti chi parla. La figlia del diavolo >>.
<< Ora basta. Hai vinto contro Charlie e per pura fortuna. Lo hai beccato in un momento di debolezza, ma sappi che non ti andrà bene di nuovo. Non con me >>.
<< Credevi davvero che imprigionarmi nella tua sporca illusione avrebbe avuto qualche effetto? Non ci sono cascata e non succederà di nuovo >>.
In verità, in parte ci ero cascata eccome. Ma non era il caso di farglielo notare ora.
Le fiamme avvolsero le sua mani e le mie si avvolsero di ghiaccio.
<< Facciamola finita >> disse lei.
<< Con piacere >> replicai io. Guardai i miei amici e gli altri. << Andate via >>.
Melinda guardò la sua guardia. << Prendete Charlie e andate via. Non vi voglio fra i piedi! >>.
Tremarono per quelle parole urlate e si affrettarono a obbedire.
Cameron mi guardò un'ultima volta non voleva lasciarmi.
<< Fidati di me >> mimai con le labbra e lui annuì, dandomi fiducia.
Restammo solo io e lei.
Finalmente.
Dovevo essere breve. Un solo errore e sarei morta. Una sola distrazione.
Chiusi gli occhi, concentrandomi e desiderando un'unica cosa: vivere.


Angolino!


So di avervi fatto aspettare non poco e vi chiedo scusa ma la scuola e altri impegni mi occupano tutto il tempo!
Purtroppo, siamo quasi alla fine! E mi dispiace tantissimo concluderla, veramente un sacco! Ringrazio come sempre chi l'ha messa tra le preferite e le seguite, chi mi seguie e mette le sue recensioni. Insomma, un grazie enorme a tutti!


 




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Capitolo 23
*** Voglio vivere - II parte ***


                                                                                                        21.    Voglio vivere

                        
                                                                                                                II Parte

Cercavo di tenere il respiro sotto controllo altrimenti i polmoni sarebbero scoppiati per la troppa agitazione che mi attanagliava. Non la guardavo, gli occhi chiusi per concentrarmi.
Sarebbe stata una battaglia difficile e già lo sapevo. Lei voleva uccidermi, togliere l'unico ostacolo che da sedici anni le sbarrava la strada verso il suo successo fatto di morte e dolore.
Le persone a me care si erano allontanate senza risparmiarsi qualche protesta per poi arrendesi alla realtà: loro non potevano fare niente.
Gli alleati di Melinda, gente che mai aveva considerato suoi amici, l'avevano lasciata sola per obbedire al suo ordine.
In tutto quel casino non avevo avuto tempo di pensare che tra tutti c'era anche Laura, la sorella di Cameron. Chissà se avevano combattuto...
No, non era il momento di pensarci.
Io ero sola, ma anche lei lo era. Combattevamo ad armi pari.
Come se qualcuno avesse suonato una tromba invisibile, dando inizio allo scontro, Melinda sparì. La cercai, rimanendo immobile.
Sapevo che tutti fissavamo il combattimento dalla sala adiacente.
Appariva a e spariva di continuo e mi resi conto che non stava usando il teletrasporto ma la supervelocità.
Ghiacciai una mano e le lanciai un colpo dritto che riuscì a evitare. Battei un piede sul pavimento di pietra sporco e appiccicoso di sangue in certi punti.
Una dolorosa sensazione mi colpì al braccio: una bruciatura non troppo piccola si stava allargando sul braccio destro. Strinsi i denti e le palpebre. Poggiai una mano e la ghiacciai per evitare che dolesse troppo. Non era il caso di pensare al dolore.
Stufa, mi abbassai poggiando le mani sul pavimento, ignorando la nausea che mi colse per una pozza di sangue troppo vicina. Il pavimento cominciò a cristallizzarsi pian piano. Piccole venature azzurrine si allargarono sul pavimento, leggere e eteree. Divennero sempre più spesse, sempre più azzurrine, con lampi bianchi che scintillavano alla luce del sole proveniente dalle finestre in parte in frantumi. Tre quarti del pavimento divenne scivoloso come una pista di ghiaccio invernale dopo una pioggia.
Melinda smise di correre e levitò a dieci centimetri dal pavimento. Mi guardò, i capelli biondi le svolazzavano intorno.
Digrignò i denti e punto una mano sul pavimento. Captai il pericolo e corsi velocissima sulle scale poco lontane e saltai sul secondo gradino appena in tempo per evitare una fiammata che investì il ghiaccio, sciogliendolo. Se mi avesse investita, sarei morta bruciata.
Scesi dal gradino e lei saltò a terra posandovi una mano e fu leggera come una farfalla. Peccato che della sua innocenza non avesse un bel niente.
Si rialzò lentamente, fissandomi con i suoi occhi azzurri, simili al ghiaccio appena sciolto, freddissimi. Con chiunque.
Mi leggeva nel pensiero? Si, probabile.
Anticipava tutte le mie mosse e io ero in netto svantaggio da questo punto di vista.
L'invisibilità la celò e mi spiazzò. Mi appiattii contro una parete per evitare attacchi alle spalle e commisi un errore. Melinda era in grado di attraversare le pareti proprio come me.
Le sue mani furono sul mio collo e mi alzarono a dieci centimetri del pavimento.
Scalciai per liberarmi e lei mi lanciò sul pavimento. Mi feci male a un ginocchio ma mi rialzai. Dall'altra stanza, giunsero echi disperati.
Non mi sarei arresa tanto facilmente, non volevo e non dovevo.
Mi bloccò le braccia da dietro, dolorosamente.
<< Da quando sei tanto brava? >> le domandai sarcastica.
Accostò la bocca al mio orecchio sinistro: << Un emulatore. Poverino >>.
Stavo per rispondere a tono ma piegò ancora di più il braccio, stava per rompermelo definitivamente.
Ma non mi scoraggiai. Con il piede destro le diedi un calcio che la sbilanciò. Mi voltai veloce e mi liberai le braccia, allontanandomi subito da lei.
Mi guardò con odio quando riuscì a rimettersi in piedi.
Era chiaro che si stava stufando di me.
Le mani le si infiammarono e io ghiacciai le mie.
Contemporaneamente partirono ghiaccio e fuoco che si scontrarono come la prima volta. Stavolta non mi sarei fatta sopraffare neanche per un secondo. Le braccia tese in avanti, la concentrazione al massimo. I miei muscoli facevano male, le ferite bruciavano e l'aria diventava irrespirabile.
La stanchezza stava per sopraffarmi ancora. Come diamine faceva lei?
Non era la situazione migliore per ragionarci. L'importante era che uscissi viva da quello scontro.
La sua fine significava l'inizio di un periodo tranquillo, la mia vita mi sarebbe appartenuta nel tutto. Avrei vissuto felicemente con i miei amici, la storia con Cameron sarebbe proseguita e i miei genitori e Serenity sarebbero diventati sereni nel vedermi felice. Mi sarei diplomata e poi... diventata un'insegnante al Collegio. Era questo che volevo fare sul serio. Aiutare tanti altri ragazzi come me, magari nuovi assorbitori.
Il mondo che la mia mente aveva disegnato non esisteva ancora e sarebbe esistito.
<< Lo credi davvero? >> urlò Melinda.
<< Fatti gli affari tuoi! >> strillai in risposta.
Rise sonoramente, da pazza. << Non avrai mai quel mondo, Alisha. Io ho visto il futuro, so  come finirà >>.
<< Il futuro cambia! >>.
Rise ancora. << Non è detto. E io voglio quello che ho visto. E sai come comincia quella perfetta visione? Con la tua morte! >>.
Appena finì di parlare, il fuoco aumentò di colpo e il contraccolpo sovrastò il mio ghiaccio, facendomi indietreggiare. Puntai i piedi sul pavimento e strinsi i denti.
Il mio nome veniva ripetuto di continuo da chi mi voleva bene e qualche lacrima uscì dai miei occhi nel sentirli tanto disperati.
Successe tutto troppo in fretta perché io potessi capirci qualcosa. Il rosso divenne il colore dominante, il bianco-azzurrino del ghiaccio che mi era tanto alleato sparì. Le mie mani avvolte dal ghiaccio divennero sempre meno fredde e sempre più calde. L'ossigeno diminuì e respirai affannosamente. Caddi a terra e abbassai le mani, senza nemmeno rendermi conto di quello che facevo, il cervello totalmente scollegato.
Poi, la luce mattutina tornò e il rosso sparì come il bianco-azzurrino e ricominciai a rendermi conto di tutto. Ero accasciata sul pavimento, il respiro corto. Le mani coperte di bruciatore. Ricordai la frase di Cameron di diversi mesi prima, quando ancora non sapevo cosa il destino ci avesse riservato: “<< Non toccare mai le mani di un pirocinetico >>”.
Non riuscivo ad alzarmi e vidi dei tagli alla gambe che sanguinavano copiosamente. Gemetti di dolore.
Melinda se ne stava soddisfatta in piedi davanti a me. Non udii nessun vociare dall'altra parte ma le emozioni erano peggio: paura, angoscia, terrore, preoccupazione, ansia.
Quelle emozioni mi travolsero e scoppiai a piangere a causa loro come se mi appartenessero.
 << È inutile piangere, sorellina >>.
Nonostante le lacrime che mi rigavano il volto dissi con aggressività: << Non sono tua sorella! >>.
Sbuffò scocciata. << Non importa. Se preferisci morire negando la verità, problemi tuoi. Ricordati di salutare i nostri genitori, lì dove andrai. Oh, e anche Janet >>.
<< Va all'inferno >> le dissi con forza.
<< Che cattiva! Mi fai quasi paura. Rivedrai gli sporchi umani che tanto hanno significato per te nella tua vita. Quelli che ti hanno voluto bene>>. Storse la bocca.
<< Almeno io nella vita ho avuto qualcuno che mi ha amato ma tu? >> le chiesi.
Quella domanda le fece cadere le braccia lungo i fianchi e rimanere senza parole. << Charlie mi ama >>.
<< Per favore >> la sbeffeggiai. << Lui ama il potere, non te. I nostri genitori volevano amarti però tu non glielo hai mai permesso. Non hai mai avuto amici. Hai ucciso le persone che amavo perché eri gelosa >>.
<< Gelosa io? >> strillò con un acuto che avrebbe spaccato le finestre se non fosse che erano già rotte. Avanzò di due passi veloci verso di me. << Ragazzina, io non ho motivi di essere gelosa di te. Tu stai per morire, perdere tutto. Io sto per prendere ciò che mi spetta. Io, te e Charlie siamo meglio di questa feccia. Siamo Different migliori di loro, possiamo governare il mondo... >>.
<< Che cazzate stai dicendo >> ribattei. << Siamo umani che il destino ha costretto a questa vita. Tu avevi una vita luminosa davanti. Non sei un dono per il mondo: tu sei la piaga che lo distruggerà >>.
Quelle parole non le piacquero. Un sorriso maligno le nacque spontaneo sulle labbra. Si abbassò fino a essermi vicinissima. Alzò un dito e lo poggiò sulla mia fronte...

“Janet!”.
Fu la parola che pensai per prima. Perché nella mia mente vidi lei. Ma... era lei? Non era James Brown?
Mi resi poi conto di dove la mia mente si trovasse: un aeroporto.
E purtroppo capii.
No Melinda ti prego!”.
Divertiti...” fu la sua risposta.
Si voleva vendicare per ciò che le avevo detto. La morte di Janet.
La mia migliore amica era seduta in sala d'attesa. Era minorenne e perciò doveva viaggiare controllata. Leggevo una rivista e pareva felice perché stava per incontrarmi. Un uomo le si avvicinò.
<< Signorina, venga con me. C'è qualche problema con la sua carta d'identità >>.
Janet aggrottò le sopracciglia. Rimise la rivista nella borsa. << Certo anche se non capisco come mai >>.
L'uomo non disse niente e Janet prese le sue cose e lo seguì senza problemi. Era sempre stata troppo ingenua quella stupida. Non volevo seguirli ma qualcosa mi costrinse a farlo. Volevo piangere ma non ci riuscivo.
L'uomo la guidò dentro un ufficio e si sedette dietro la scrivania. Janet attendeva davanti a lui.
Poi sorrise di colpo e prese a cambiare. Janet aveva capito. La borsa le cadde a terra. Melinda apparve davanti a suoi occhi. Janet prese a sudare freddo e a tremare.
<< Tu sei... tu sei... >>.
<< L'ultima cosa che vedrai... >>.
E successe. Janet non ebbe neanche il tempo di strillare. I suoi occhi si fecero vitrei e cadde a terra, il pugnale nel cuore da dove sgorgava un sacco di sangue. Melinda le girò attorno, scavalcandola. Aprì la porta dell'ufficio.
<< Pulite tutto >> disse a qualcuno che non vidi e uscì...

Ritornai alla realtà. Piangevo calde lacrime per quella scena che mai avrei voluto vedere nella mia vita. Le lacrime cadevano sul pavimento bruciacchiato. Melinda si rialzò felice.
<< Sei stata tu >> dissi tutto d'un fiato.
<< Ovvio. Volevo avere il piacere >> disse fiera di sé. << Be', direi che è ora di finirla. Mi sono proprio stancata. Ho voglia di rilassarmi e prendere un gelato >>.
Non mi mossi. Era finita sul serio. Stavo per morire. La stanza dove mi trovavo non la vidi più. Un dolore lancinante mi colse nel mezzo del petto e caddi del tutto al suolo...

<< Dove cavolo sono? >> mi chiesi. Non vedevo il buio che mi ero aspettava come la prima volta. Era tutto ovattato, bianco. Come se mi trovassi all'interno di un batuffolo di cotone.
Mi guardai attorno ed era tutto uguale. Okay, dove diamine ero finita? Che era, il paradiso?
E poi la consapevolezza mi colse: ero morta...
Guardai il mio corpo e non vidi ferite né niente. Forse quando si muore si ritorna integri, chissà. Ma dentro di me ero lacerata come se mille spille mi avessero punto. Tutti quelli che amavo erano ora disperati, il mondo in condizioni pietose per colpa mia.
Cominciai a piangere per quelle ipotesi. Il mio cuore era in mille pezzi, tanti piccoli frammenti luccicanti che Melinda aveva distrutto.
<< Che piangi, sciocca? >>.
Rialzai il viso che avevo abbassato a quel suono. No, non era possibile.
Invece si.
<< Janet >> sussurrai, sbarrando gli occhi.
Il suo sorriso mi accolse. << Amica mia, non piangere >>.
<< Se ti vedo, allora, sono morta davvero >>.
Sul suo viso apparve un'espressione pensante, tipica di lei. Era vestita normalmente. Guardò alla sua sinistra.
<< Non sei morta >>.
Ma che cavolo stava succedendo?
La voce di Dylan mi costrinse a restare senza fiato del tutto.
Il ragazzo che per due anni avevo amato si mise alla sinistra di Janet e dopo di lui Christine e Carl. Erano lì, tutti lì. Le persone morte per colpa mia.
<< Non è finita qui. Il giorno delle sorprese non è finito! >> disse allegra Christine come suo solito.
Aggrottai la fronte ma smisi quando due persone si fecero avanti, apparendo dal nulla. Mi portai le mani al petto per essere sicura che il mio cuore battesse per poi ricordami che in teoria ero morta.
Un uomo mi fissava, sembrava voler piangere da un momento all'altro. Gli occhi identici ai miei.
E la donna piangeva già. Era bellissima, stupenda. I suoi occhi erano stelle luminose.
<< Bambina mia... >> sussurrò lei. << Sei bellissima >>.
Avanzai qualche passo per essere certa di riuscire a camminare e poi sempre più velocemente per essere a pochi centimetri dalla coppia.
<< Siete i miei veri genitori >> dissi con voce tremante.
<< Si, amore mio. Assomigli tanto a tua madre >> disse mio padre, commosso.
<< Ma ha i tuoi occhi >> ci tenne a puntualizzare la mia vera madre. Si rivolse a me. << Ti abbiamo amata dal primo giorno. E per quanto Melinda ci odiasse, abbiamo amato anche lei. Ma tu sei stata il nostro piccolo gioiello, Alisha >>. Allargò le braccia. << Posso abbracciarti? >>.
Non risposi neanche e mi buttai tra le sue braccia come una bambina piccola. L'uomo si unì al nostro abbraccio. Durò a lungo e mi persi nel loro odore e mi era familiare. La mamma profumava di lavanda appena colta.
Non avevo degnato praticamente i miei amici di uno sguardo e senza staccarmi da loro dissi:  << Scusate >>.
Janet sembrava sul punto di piangere. << No, no. Era giusto che vi parlaste un po' >>.
<< Non volevo che moriste, tutti quanti. Mi dispiace tanto >> confessai, togliendomi un peso dal cuore.
<< Non fa niente >> disse Carl. << Era destino >>.
<< Ora potrò farvi compagnia >>.
<< Di nuovo? Certo che sei testarda. Lo sei sempre stata. Non sei morta >> ripeté dolcemente Dylan.
Mi staccai dall'abbraccio dei miei e li guardai uno ad uno. << Sono qui. Sono morta >>.
<< E tre. No >> disse Christine.
<< Che significa? >> domandai confusa.
<< Non è ancora giunta la tua ora >> mi rispose Janet. << Ci hanno detto che non è destino che tu muoia oggi >>.
<< Come ci sono finita qui? >>.
<< Un piccolo errore. Torna a casa, Alisha >> disse mia madre. << Non appartieni a questo mondo. Non ancora >>.
<< Ma... ma... Melinda mi ucciderà >>.
<< Non lo farà se tu combatterai. Sei forte, tesoro >> disse determinato mio padre, con un gesto della mano.
Allora... potevo tornare a casa! Potevo vincere e riabbracciare i miei cari!
Strinsi i pugni e il fuoco mi si accese dentro ma non faceva male. Era una sensazione piacevole.
<< Tornerò >>.
Annuirono tutti.
Dovevamo lasciarci.
Dylan si passò una mano fra i capelli. << Alisha... vorrei scusarmi con te. Non sei un mostro, sei speciale >>.
Gli sorrisi. << Grazie Dylan >>.
<< Mi mancherai >> disse Janet.
Evitai di piangere. << Anche tu >>.
<< Va, bambina mia. Va. Ringrazia i tuoi da parte nostra >> disse papà, amorevole.
<< Hanno fatto un ottimo lavoro >> continuò Josephine.
<< Vi voglio bene, tutti >> dissi e gli occhi si annebbiarono di lacrime e poi... una sensazione sgradevole mi colse e loro sparirono...

La schiena era poggiata contro una parete. Mi resi conto di essere lucida ma tenni gli occhi chiusi comunque. Ero viva!
Non c'era nessuna lama nel mio cuore ma la ferita si. Ma stranamente non faceva male. Era come se stesse guarendo. Com'era possibile?
A meno che... Ma certo! Avevo assorbito i poteri di Charlie e senza dubbio lui sapeva curarsi! Com'era possibile che Melinda non ci avesse pensato e io altrettanto?
Il rumore di lacrime e urla di dolore mi arrivarono alle orecchie. Riconobbi quelle dei miei genitori, di Cameron, di Serenity, dei miei amici.
<< La mia piccola Alisha! >> strillò mia madre ed ero sicura che fosse tra le braccia di mio padre, anche lui in lacrime.
Delle braccia mi strinsero. Cameron...
<< Perché sei andata via? Mi avevi promesso che saresti tornata da me... >> pianse lui e per un'istante stavo per tradirmi.
Melinda leggeva nel pensiero e non potevo far capire a Cameron che ero viva.
<< D'ora in poi non voglio altri rompiscatole. Altrimenti faranno la fine di mia sorella! >> disse fierissima Melinda.
Aprii gli occhi di scatto e Cameron non credette ai suoi.
<< Non mi piace questo modo di definirmi, Melinda >>.
Lei si irrigidì. Poi si voltò lentamente scuotendo i capelli biondi. Poi sbarrò gli occhi e le labbra si piegarono in un'orribile smorfia.
Mi rimisi in piedi, sicura di me. In perfetta salute.
Strilla di sorpresa giunsero da chi mi voleva bene.
<< Non è possibile! Sei ancora viva! >> urlò.
<< Oh si >> dissi. << Non ti libererai di me! >>. Guardai tutti. << Andate via! >>. Guardai Cameron. << Fai come ti dico. Ti prego >>.
Non sembrava felice di darmi ascolto ma non lo feci replicare.
<< Ti odio! >> urlò Melinda. << Ti odio Alisha! >>.
Una scarica elettrica partì dalle sue mani, un fascio spessissimo. Creai uno scudo e riuscii a resistergli. Lo eliminai e passai al contrattacco. Dei fasci di energia dorati che la colpirono di striscio, provocandole leggere ferite sanguinanti.
Si tenne un braccio. Uso l'altro per contrattaccare con delle bolle d'acqua che dovevano avvolgermi. Alzai una mano e le congelai. Divennero sfere di ghiaccio che si spaccarono al suolo, rendendo scivoloso il pavimento e più danneggiato di quanto già non fosse.
Battei le mani e delle onde d'uro la colpirono e altre ferite la danneggiarono. Sembrava diventata piccola e indifesa come se la mia resurrezione la spaventasse.
Senza più ossigeno e ferita, mi guardò. << Pensi sul serio che io mi lasci sconfiggere tanto facilmente? >>.
<< Io credo di si >> replicai. << Sei finita Melinda >>.
<< Non mi ucciderai. Non ne hai il coraggio >>.
Cavoli quanto aveva ragione. Ma il coraggio dovevo trovarlo. Non potevo semplicemente toglierle i poteri: doveva morire per forza.
Ma quel gesto era troppo difficile per me, ero troppo... umana.
Tremavo alla sola idea.
Poi mi sentii pizzicare come se avessi qualcosa che mi seguisse e me ne fossi accorta. Le  emozioni di Melinda era strane... Non era disperata ma ardeva di una strana soddisfazione.
Sgranai gli occhi e capii il perché. Mi voltai e vidi dei pugnali sollevati a mezz'aria. Quelli partirono alla velocità della luce verso di me. Lei rise con una pazza, ormai fuori controllo. Divenni inconsistente e quelli mi attraversarono. Sospirai sollevata e poi un rumore e anche gli altri, sistemati nel salone vicino, trattennero il fiato.
Tre pugnali avevano colpito Melinda al cuore e due allo stomaco.
Era ancora in piedi ma tremava e gli occhi era per metà spenti. Le labbra tremolavano e rivoli di sangue le scendevano dalla bocca per andare a sporcare il vestito. Il pavimento era zuppo di sangue.
E alla fine si era uccisa da sola.
<< No! >> urlarono i suoi alleati, che volevano correre ad aiutarla.
I miei amici si misero davanti alla porta del salone, impedendogli il passaggio.
Mi avvicinai a lei.
Melinda era piegata a metà, ormai stava per morire.
Riuscì a farmi un sorriso sanguinante. << Hai vinto, Alisha >>.
Non dissi niente.
<< Complimenti >> disse in un sussurro per cadere definitivamente al suolo. Aveva ancora pochi secondi.
Le feci un sorriso a metà. << Va all'inferno e non tornare mai più >>.
<< Volentieri >> mormorò e poi sussultò. Inarcò la schiena e poi si abbandonò al suolo, le mani strette a pugno si rilassarono e lei morì.
Il silenzio colse tutti. La fissai, forse non rendendomi conto che era davvero morta. Era finita, finita, finita...
Una mano si posò sulla mia spalla. << È morta Alisha >> disse il preside. << È morta davvero >>.
Annuii e mi girai a guardarlo. << Si, è finita >>.
Urla di tripudio giunsero da tutte le parti. Una calca di gente venne da me ad abbracciarmi. Le braccia di Liliane, Cassie, Alan, Selene, Justin, Kristen mi strinsero uno alla volta in abbracci soffocanti. Poi mia madre mi strinse al petto e mio padre quasi mi strozzò. Serenity quasi mi strappò tutti i capelli tanto era agitata tra le mie braccia.
Gli alleati di Melinda, sconfitti, tentarono la fuga ma vennero tramortiti e Charlie sedato per sicurezza, ormai inerme. Il corpo di Melinda fu spostato in un'altra ala della scuola dove poi sarebbe stata sepolta.
E per ultime, le braccia sue.
Cameron mi strinse a sé con amore. E io mi persi nel suo profumo, nel suo calore, nei suoi occhi che ricordavano i prati primaverili...
E fregandocene di tutto e tutti ci baciammo con passione, con la consapevolezza che d'ora in poi potevano farlo quando volevamo.
Ci staccammo, dopotutto non era proprio educato. Mi guardavamo come se fossi l'eroina di un cartone animato giapponese.
Ma io non mi sentivo così. Mi sentivo semplicemente una ragazzina che aveva conquistato ciò che le spettava.
<< Non abbiamo più niente da temere. Torneremo alle nostre vite. Com'è giusto che sia. Rimane solo una cosa da fare, per tutti: vivere >>.

Angolino!
 

(Voglio le emoction!)

Ebbene, questo è l'ultimo capitolo. Manca solo l'epilogo e poi... è finitaaa! E' cominciata mesi fa e non pensavo che sarebbe piaciuta tanto, non ci credevo. E invece grazie a voi, ho cominciato a crederci. Comunque, basta con questi sentimentalismi, me le risparmio per l'epilogo XD
Ci vediamo la prossima volta, l'ultima volta! Baci!







 



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Capitolo 24
*** Epilogo ***


(Chiedo veramente scusa per avervi fatto aspettare così tanto!!! Ma purtroppo ci sono stati dei problemini da risolvere con Internet... Grazie mille per essermi rimasti accanto anche dopo tutto questo tempo!).                   


                                                                                                                                                            EPILOGO


<< Wow, questa è Los Angeles! >>.
Cassie fece un paio di saltelli sulla sabbia della mia spiaggia preferita da quando ero bambina. Per una che non è mai uscita da New York, deve essere una bella novità. Si girò, facendo svolazzare i corti capelli chiari.
<< È stupenda Alisha! >> continuò entusiasta.
Annuii, cercando di partecipare al suo entusiasmo. Le braccia di Cameron mi cinsero le spalle e mi baciò i capelli che ondeggiavano al vento autunnale.
I miei amici si avvicinarono al bagno asciuga per osservarne la sabbia e le onde che si infrangevano.
Mi accarezzò la guancia piano. << Quanto vorrei curare la tua tristezza >>.
Accennai a un sorriso. << Un giorno diventerà una parte piccola di me >>. Girai il viso per guardarlo ben bene negli occhi. << E spero che tu ci sarai >>.
<< Io ci sarò sempre >> mormorò, dandomi un dolce bacio.
Venimmo interrotti subito da Serenity che venne di gran carriera verso di noi, brandendo un secchiello rosa e una paletta.
<< Facciamo i castelli? >> chiese ed era troppo entusiasta per dirle di no.
Io e Cameron ci mettemmo come bravi genitori a fare i castelli con la mia sorellina e questo mi diede modo di pensare, tra una torre e un po' d'acqua.
Erano passate due settimane dalla morte di Melinda. Erano state due settimane strane, lunghe e in un certo modo corte. Ripensandoci, non saprei dargli una votazione.
Lo stesso giorno, il presidente degli Stati Uniti si era presentato a casa Sullivan per constatare che tutto fosse vero. Charlie venne riportato in carcere e senza dubbio gli spettava la pena di morte. Per gli alleati, cinquanta anni di carcere minimo. La sorella di Cameron, Laura, fu quella che reagì peggio all'arresto e se la prese con suo fratello ma lui l'aveva trattata duramente, dicendole chiaramente che non era più una sorella.
Dei nostri, erano morti in cinque tra cui un'insegnante. Io non avevo pianto, mi ero tenuta tutto dentro e poi, alla sera, nella mia piccola camera per riposare e riprendermi da quella giornata, crollai e Cameron mi fece compagnia, ascoltando le mie lacrime una ad una. Ognuna di loro era versata per un motivo diverso: la morte di Janet, di quelle cinque persone, rivedere chi amavo e perderli nuovamente, il combattimento brutale con Melinda e ciò che avevo vissuto.
Dopo quella notte dedicata alle lacrime, le avevo asciugate ed ero diventata pronta a prendere in mano il destino che finalmente potevo scegliere e vivere senza avere una spada di Damocle sulla testa.
Ma niente sarebbe stato più come prima. Nemmeno la mia stessa persona: ero diversa ed era inutile negarlo. L'esperienza vissuta mi aveva maturata e fatta crescere, anche se con le esperienze peggiori.
Ripercorrere la mia vita da quel giorno in cui qualcuno mi aveva fatto notare il pallore insolito, mi sembrava di vedere uno strano album di foto che mi sconvolgeva alquanto. Era tutto tanto diverso...
Il giorno dopo, il corpo di Janet fu ritrovato all'interno dell'aeroporto da uno spazzino. Era stato nascosto dentro un armadietto. La famiglia venne informata e sua madre finì in ospedale una settimana per un attacco di cuore improvviso: Janet era figlia unica. Volevo partecipare al funerale a tutti i costi e nonostante fossi sulla bocca di tutti, non volevo assolutamente rinunciarvi.
I giornali, la televisione, radio, Internet: tutti parlavano di me e della morte di Melinda. Ovviamente circolavano anche cattive voci in cui ero stata io a ucciderla ma io le ignorai. L'importante era che io sapessi la verità e chi mi amava.
Ed eccomi qui, a fare i castelli di sabbia con la mia sorellina e Cameron mentre i miei amici fanno gli scemi sul bagno asciuga.
Con i miei poteri, sistemo il castello negli angoli storti per renderlo perfetto e poi rendere felice mia sorella.
Il funerale di Janet è stato straziante. Sua madre non si reggeva in piedi e suo padre fu costretto a uscire più volte e ogni volta tornava sempre più rosso per via delle lacrime. Io non le trattenni e piansi disperata sulla sua bara, chiedendole ancora perdono anche se sapevo che lei ne era a conoscenza. Sua madre mi aveva abbracciata e mormorato che non mi riteneva assolutamente responsabile della sua morte. La strinsi forte anche io. I miei genitori mi furono da sostegno e Serenity si dimostrò molto più matura dei suoi cinque anni e mezzo. I miei amici e Cameron si rivelarono ancora migliori di quanto non fossero già.
Ancora due giorni e poi sarei tornata con gli altri a New York. I Different americani si erano messi d'impegno a sistemare il Collegio per tornarci e i posti vaganti furono assegnati.
Ed ora?
Serenity raggiunse i miei amici per giocare con le onde dell'acqua che Justin si stava divertendo a comandare con il vento e dal mare spuntava ogni tanto qualche sirena frutto dell'immaginazione di Cassie che fecero impazzire Serenity.
Mi sedetti sulla sabbia calda nonostante l'autunno appena iniziato.
Cameron mi strinse la mano.
<< Non vedo l'ora di tornare a scuola. Un po' di normalità >>.
<< Niente sarà come prima >> dissi con malinconia. << Il suo passaggio sarà indelebile >>.
<< Non devi torturarti anche adesso che è morta. Il suo cadavere marcisce nel cimitero di New York >>.
Melinda aveva ricevuto una sepoltura, degna che non si meritava affatto, ma la ottenne. Sepolta in un oculo per l'eternità. Non sarei mai andata a trovarla. Dopotutto, non avevamo nessun grado di parentela.
Lo guardai intensamente. << Io sono diversa >>.
<< E a me non interessa >> disse serio. << Sei sempre la bella Alisha che ho incontrato il primo giorno nella sala ritrovo, sappilo >>.
Scoppiai a ridere e anche lui si unì, legati da quel ricordo, uno dei primi. Guardai il mare, le onde, i miei amici, Serenity.
Com'era strana la vita... Ripensandoci, non potevo mai immaginare che sarebbe finita come si era conclusa. Avevo quindici anni quando tutto è accaduto e, se ci ripensavo, ero proprio diversa, quasi sciocca. Una quindicenne come tante con una vita normale. E un po' la invidiavo, invidiavo la me stessa di sei mesi prima per com'era e io avevo dovuto rinunciarvi. Era scritto nel destino che io scoprissi tutto, che la mia finta vita dov'ero cresciuta si sgretolasse per lasciare il posto alla verità terribile che era davvero.
Era come il nero: un alto e largo muro nero che io avevo avuto davanti. Pian pian quel nero si era colorato di punti luminosi come cristalli che mi avevano dato la forza di andare avanti, di vincere, di crescere e diventare la ragazza che ero. Quei punti luminosi erano i miei amici umani e Different, il mio ragazzo, i miei genitori adottivi, mia sorella, i miei genitori biologici e anche Dylan. Tutte quelle persone che mi amavano e mi avevano amata.
Quel muro era crollato e una luce accecante mi aveva invasa, pronta a illuminare la vita che mi spettava.
<< Alisha, Cameron! Venite con noi! >> urlò Liliane, con il suo accento francese che non perdeva mai.
In quel momento, Alan le arrivò da dietro e la gettò in acqua completamente vestita. Lei riemerse e scosse la testa e i capelli. Rimase in acqua, che le arrivava alla vita, sconvolta e irritata.
Alan rideva di gusto e anche gli altri asciutti sulla sabbia. Inarcai un sopracciglio e puntai la mano contro di loro: mossi di scatto la mano in avanti e finirono tutti in acqua a fare compagnia a Liliane. La mia amica rimase il primo secondo irrigidita dalla sorpresa e poi si rotolò nell'acqua. Riemersero tutti e mi guardarono con occhi assassini. Cameron, io e Serenity finimmo sulla sabbia dal gran ridere ma smettemmo quando li vedemmo uscire dall'acqua a passo lento e minaccioso. Ci alzammo e corremmo lontani da loro per tutta la spiaggia, ridendo come matti. Non mi divertivo così tanto da una vita, praticamente.
Purtroppo per me, Cameron mi spinse in acqua con un gesto della mano e lo tirai dentro con me cinque secondi dopo e Serenity ci seguì di sua spontanea volontà.
Alla fine, scoppiammo tutti a ridere sonoramente.
Il silenzio calò quando la luce del tramonto cominciò a infuocare il cielo e il mare di tinte rossastre. Era bellissimo, uno spettacolo che tante volte avevo osservato dalla mia finestra, domandandomi su che binari il treno del mio destino si trovava.
Lo osservammo in silenzio, con un sorriso e bagnati dalla testa ai piedi. Serenity era in braccio a me e mi stringeva le braccia al collo e Cameron abbracciava tutte e due, posando il mento sulla mia testa e baciandomi i capelli. Con la coda nell'occhio, vidi a qualche metro da noi, una scene che mie riempii di dolcezza: Kristen appoggiava la testa sulla spalla di Justin e si dondolavano sul posto, teneramente e poi si baciarono a lungo, ignorandoci. Tornai a guardare il tramonto, soddisfatta: un'altra cosa era a posto.
E sorridendo, Selene stringeva la mano di Alan con amore e si guardavano. Alan aveva capito di provare qualcosa per Selene, nonostante lei fosse più giovane di lui di qualche anno. Che volete, l'amore non ha limiti.
E il disco rosso divenne sempre più piccolo e meno visibile fino a essere inghiottito dal nulla e lasciò il posto alla luna tonda e argentata che era stata la mia amica nelle notti insonni. Le stelle, sue compagne dell'eternità.
Cominciò a fare freddo e per non beccarci un malessere tornammo a casa mia per asciugarci e cambiarci. In camera indossai un paio di jeans lilla e una maglia leggera con le maniche a sbuffo, appena più chiara dei jeans. Avevamo in programma di mangiare una pizza in un famoso locale di Los Angeles e trascorrere la sera e parte della notte in giro, godendo del nostro status di adolescente. Perfino Serenity ci avrebbe fatto compagnia però oltre le dieci e mezza non avrebbe retto e sarebbe tornata a casa nel giro di dieci secondi.
<< Sei bellissima >> disse Cameron, sulla soglia della porta, fissandomi.
<< Il tuo parere non vale. Sei il mio ragazzo >>.
<< Invece dovrebbe valere più degli altri. Appunto perché io ti trovo bellissima: è una componente di te, arrenditi >>.
Arrossii per quel complimento e lui se la rise. Ero proprio una sciocca sedicenne.
I miei genitori se ne stavano in salotto a bere qualcosa e a guardare la televisione.
<< Andate ragazzi? >> chiese mia madre, distogliendo l'attenzione per un attimo dalla TV.
<< Vedremo di non fare danni in giro >> promisi ridendo.
Anche loro risero e Serenity saltò l'ultimo gradino con forza e corse verso me e Cameron.
Saltellò. << Andiamo, andiamo! >>.
Era proprio carina con i capelli riuniti in due ciuffetti ai lati, annodati con nastrini bianchi. Il vestitino nero con la gonna larga le stava d'incanto.
Prese per mano me e poi Cameron, mettendosi in mezzo come se fossimo davvero i suoi genitori. Camminammo così per strada e giurai che qualcuno ci guardava con affetto come se davvero lei potesse essere mia figlia.
La pizza era buona e la serata non era per niente male. Venivo riconosciuta e questo era inevitabile. Sarei stata per tutta la vita l'assassina di Melinda.
Ma dovevo imparare a fare meno di quelle occhiate o non avrei vissuto bene.
Cassie voleva vedere un bel panorama e io sapevo dove portarla. Un posto perfetto che mi piaceva un sacco che per me era speciale.
Uno scioglio alto e poco pericoloso che si trovava a qualche metro sul mare, uno spettacolo mozzafiato. Il mare nero come l'inchiostro si estendeva infinito davanti a noi, puntinato dalle stelle luccicanti. C'era un silenzio piacevole, nemmeno i rumori della grande città lo interrompevano come se fosse un posto unico nel suo genere. Serenity stava per crollare.
<< Sapete una cosa? >> sbottò di colpo Selene, voltandosi a guardarci.
Le prestammo attenzione, pronti ad ascoltarla. Perfino Serenity.
<< Ho deciso cosa voglio fare da grande: sarò una giornalista >>.
<< Una giornalista? E perché? >> chiese Liliane, curiosa.
<< Voglio far sapere al mondo come stanno davvero le cose. Non voglio soffocare niente. Diventerò la giornalista Different migliore del mondo! >>.
<< Senza contare tutto quello che potresti venire a sapere con la tua invisibilità! >> la prese in giro Justin e ridemmo tutti, lei compresa.
<< Io diventerò un'assistente sociale >> intervenne Cassie. << Voglio aiutare i bambini che come me non hanno avuto la possibilità di crescere con i propri genitori e assicurarmi che cadano in buone mani >>.
Per quanto facesse la dura, Cassie era davvero dolce.
<< Tocca a me! >> esordì Liliane. << Io voglio diventare un'infermiera >>.
<< Tu? Perché? >> le chiedemmo tutti in coro.
Guardò la luna e rispose: << Durante la grande battaglia ho visto tutti quei feriti e ho provato il gran desiderio di aiutarli, volevo che stessero bene. Ecco perché diventerò un'infermiera: aiuterò la gente >>.
<< Io sarò uno psicologo >> disse Alan. << Le emozioni degli altri mi fanno capire quanti problemi ci sono a questo mondo e voglio far capire alla gente che bisogna affrontarli e non abbattersi >>.
Selene gli strinse la mano e gli sorrise.
<< Bene, allora io diverrò... >>, Kristen si interruppe un attimo per guardarci e poi scambiare un sorriso con Justin per poi fissarci nuovamente, << … una poliziotta >>.
<< Una poliziotta?! >> esclamai sorpresa.
Annuì. << Con le mie capacità riuscirò a sventare tanti piani cattivi e salvare tante persone innocenti >>.
Il grande cuore di Kristen era veramente immenso.
Era il turno di Justin. Lui rimase pensieroso per qualche tempo, passandosi una mano sul bel viso e poi strinse una mano a Kristen e rispose: << Io non so ancora esattamente cosa farò nella vita. Però voglio anche io aiutare le persone in qualche modo. Lo scoprirò >>.
<< Studio scienze della comunicazione ma ad essere sincero, dopo tutto quello che è successo, vorrei trovare il modo anche io di essere d'aiuto agli altri >> disse Cameron.
Serenity, quasi addormentata, sbadigliò con una mano davanti alla bocca e farfugliò: << Io diventerò un... medico... >> e cadde addormentata di botto sulla mia spalla.
Ridemmo tutti, piano per non svegliarla. Le accarezzai i capelli e notai poi che tutti mi guardavano. Giusto, era il mio momento. Dovevo dire anche io cosa volevo fare della mia vita.
<< Non voglio lasciare il Collegio >> confessai e rimasero allibiti. << Sono una Different diversa dalle altre ma chi mi assicura che un giorno non ne arrivino altri? Altri ragazzi come me che hanno bisogno di qualcuno che li guidi? >>.
<< Questo vuol dire che diventerai un'insegnante? >> mi chiese Justin.
<< Proprio così. Studierò scienze della formazione ed entrerò nella scuola. Chissà, magari potrei diventarne anche la preside >>. I miei sogni erano ambiziosi ma ora potevo permettermelo. << Los Angeles è la mia casa e lo sarà sempre. Però non vuol dire che una persona non possa avere più di un posto che può chiamare tale. Io ce l'ho e voglio che lo diventi in modo definitivo >> spiegai con un sorriso che mi prendeva metà volto a parlare del mio futuro che si preannunciava luminoso e felice.
Cassie mi abbracciò, cingendomi le spalle. << Semmai i miei figli saranno dei Different, avranno una brava insegnante >>.
Liliana imitò Cassie e mi strinse. << Anche i miei. Con un magnifico accento francese >>.
Ridemmo tutte e tre. Selene si unì all'abbraccio e rimasi a godermi il contatto con le mie amiche. Sentivo che niente ci avrebbe separate. Mai più.
Serenity si mosse infastidita tra le mie braccia e voltò la faccia per tornare a ronfare beata. Dissi che la portavo a casa e sarei ritornata subito. Un secondo di buio e poi la sua cameretta rosa. Le tolsi il vestito piano e le infilai in pigiama giallo con i coniglietti. Anche lei avrebbe ripreso a breve una vita normale, non più nascosta da lei. Sarebbe tornata a scuola e avrebbe giocato con gli altri bambini.
La sistemai sotto le coperte e lei non si svegliò, era distrutta. La guardai dormire con un sorriso e le passai la mano tra i capelli biondi, teneramente.
Mi ricordai che, nonostante tutto, non avrei vissuto con lei. Entro poco tempo sarei tornata a scuola. Avrebbe continuato il suo naturale percorso senza di me e magari sarebbe diventata una Different pure lei. Ora non mi sembrava una prospettiva tanto brutta come quando era accaduto a me: Melinda era morta, non eravamo più considerati un pericolo e ci sarei stata io a prendermi cura di lei, in tal caso. Ma forse era meglio che rimanesse umana.
E io, volevo essere un'umana? La risposta era ovvia e semplice: non più.
Ero felice, felice di vivere, di amare, di provare sentimenti bellissimi. Doni che la vita fa alle persone per renderla più sopportabile e vivibile. Perché la vita è un dono bellissimo che a  volte bisogna guadagnarsi. Perché nessuno ci deve impedire di essere felici, nessuno deve ostacolarci e impedirci di vivere come vogliamo.
Mai arrenderci, mai dire basta. Andare avanti e sopportare fino a quando i nostri sogni non diventano realtà, i nostri obbiettivi si realizzano. I sogni cambiano, il destino, cambia, la vita muta e tante cose possono diventare diverse da come le immaginavamo... Ma a volte sono anche le più straordinarie.
Per me era stato così e tutto il pessimismo di quei mesi sembrava tanto stupido...
Immersa nei pensieri, ero entrata in camera a cambiarmi la giacca con una più pesante, a Los Angeles cominciava a far freddo, la notte. Soffermai i miei occhi chiari e leggermente truccati sulle foto della stanza, tutte appese alle pareti e due sul comodino.
La prima era la mia famiglia, sorridente. Io una ragazzina umana e Serenity nel suo costume azzurro e le codette strette ai lati, leggermente umide di acqua salata. La cornice di legno accanto racchiudeva una foto più recente: i miei, io, Serenity e come sfondo il Collegio prima che venisse distrutto. Una me Different.
Alle pareti, foto di Dylan che mi stringeva e mi dava un bacio sulla guancia. Io e Janet da bambine che giocavamo nel giardino di casa sua fino a tarda notte, quando il cielo stellato decretava la fine dei nostri giochi. I miei amici in una delle prime serate fuori casa e poi altre di me più grande. Un Alisha che non esisteva più.
Spostai lo sguardo verso la parte destra della parete, dove erano appese altre foto, recenti. Cameron che sorrideva all'obbiettivo e un'altra io che lo abbracciavo da dietro e sorridevo, un gran sorriso. Una grande foto insieme ai miei amici Different una mattina, una domenica. E un'altra con il preside Sullivan poco prima che la scuola andasse distrutta.
E infine, nella parte più alta della parete, una foto aggiunta da poco ma vecchia, datata fine Aprile 1993. Il preside mi aveva detto di averla trovata tra le cose di Melinda e gli sembrava giusta che l'avessi io. I miei veri genitori, Carl e Josephine, in una foto scattata sotto il sole. Mamma aveva le mani sul ventre e sembrava cullasse quel pancione che si portava dietro. Papà l'abbracciava, avvolgendo con le sue grandi mani la pancia, sembrava quasi che mi abbracciasse. In quella foto, Melinda non c'era. Forse la scattava lei stessa.
Sorrisi e tirai su con il naso, cercando di non piangere. Scossi la testa e presi la giacca di jeans blu. Andai alla porta e misi una mano sulla maniglia ma prima mi voltai in parte per guardare ancora una volta quelle foto che mi fissavano, scorsi del passato, scorci del presente.
Ed ora, non restava che guardare il mio futuro... pronta a vivere e con il futuro, costruire nuovi ricordi che sarebbero andati ad appartene al passato e creare un presente bello come quello attuale. Suonarono alla porta. E le emozioni che avvertii non erano amichevoli.
Mi morsi un labbro e mi materializzai alla porta. L'aprii lentamente e con un sorrisone che mi prendeva tutta la faccia. I miei amici e il mio ragazzo mi fissavano a braccia conserte e con uno sguardo irritato.
<< Ehm... mica sono tanto in ritardo >>.
<< Un'ora >> risposero in coro.
<< Ops >> esclamai.
<< Già. Ops >> ripeterono loro, ancora seri. E poi scoppiarono a ridere.
Gridai a mia madre che uscivo e scattai fuori, dietro agli altri che cominciavano a camminare.
<< La porta! >> mi sentii gridare.
Mossi la testa e la porta si chiuse ed io corsi dai miei amici per una notte all'insegna della normalità... per tornare poi al mio mondo, al mondo della anormalità, nel mondo dei Different.
Il mio mondo.

                                                                                                                         
                                                                                                                                              FINE



 Be', cosa c'è da dire? È finita. Purtroppo è finita. Non so davvero da dove iniziare...
Voglio ringraziare chi con i suoi consigli, le sue recensioni mi ha fatto capire che potevo continuare, che mi ha dato la creatività necessaria a non fermarmi.
Un grazie a tutti quelli che hanno letto: la vostra assiduità a seguirmi mi ha aiutato davvero tanto.
Grazie anche a una lettrice in particolare che ringrazio... e lo sa lei perché XD!!!
Una storia nata per caso che non pensavo sarebbe finita così, anzi pensavo che mai sarebbe arrivata alla fine.
Grazie, grazie, grazie. Perché è tutto merito vostro!
Per concludere, vi lascio con un video realizzato da me, sulla storia. Ogni tanto ci provo XD Non sono un granché come regista ma spero vi piaccia!
Buona visione!


Prima parte:

http://www.youtube.com/watch?v=5WcAAo-ihD0

Seconda parte:

http://www.youtube.com/watch?v=dmigaYhEjdQ

(Qualche sottotitolo leggetelo in fretta, chiedo scusa!)













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