That time you forgot about me

di Rin Hikari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Who the hell are you? ***
Capitolo 2: *** Stay with me ***



Capitolo 1
*** Who the hell are you? ***


Pioveva quella notte, l'insegna al neon del locale tremolava davanti ai suoi occhi sotto l'incessante pioggia. Era stata una giornata fin troppo lunga per Dazai, aveva tutti i muscoli indolenziti mentre le mani e la camicia erano impregnate di sangue non suo, sperava che rimanendo ancora un po' sotto alla pioggia quelle macchie se ne andassero ma ormai il sangue si era seccato e sembrava che non avesse intenzione di essere lavato via. Si guardò ancora le mani sporche e nella tragicità della situazione si mise a sorridere pensando alla tenacia del proprietario di quel sangue; poi volse lo sguardo verso l'insegna luminosa che gli sparava negli occhi il nome “Lupin”, Dazai sentì un brivido percorrergli tutta la spina dorsale ma cercò di ignorarlo, era dalla morte di Odasaku che non metteva piede in quel locale ma aveva bisogno di bere e conciato così quello era l'unico posto in cui poteva andare.

Dazai entrò nel bar barcollando e lasciando dietro di sé una scia di acqua, Yozo, il proprietario del locale, quando lo vide quasi perse la presa sui bicchieri che stava asciugando, era da anni che non lo vedeva. Sempre barcollando Dazai si lasciò abbandonare sul primo sgabello che vide, appena entrato si era guardato intorno e constatò che nel locale non c'era praticamente nessuno, solo due, o forse tre, uomini ubriachi fradici sui divanetti in fondo nella penombra, dopotutto erano le tre del mattino.
Yozo, riprendendosi dallo shock iniziale si avvicinò a lui. "Cosa ti posso portare?" chiese, non gli domandò altro, gli era bastata una rapida occhiata per capire che non era il momento adatto per chiedergli dove si era cacciato durante gli ultimi anni.
Dazai indicò gli uomini sui divanetti che ormai erano crollati a causa dell'alcol. "Voglio ridurmi come loro, grazie". Yozo annuì senza fare domande.

La parte di bancone vicino a Dazai iniziava a riempirsi di bicchieri vuoti quando si udì una musichetta provenire dalle tasche della sua giacca, era il suo cellulare. Dazai, lentamente tirò fuori il cellulare, lo schermo illuminato annunciava una chiamata in arrivo da parte di Kunikida, Dazai rifiutò la chiamata e mise il cellulare sul bancone con lo schermo rivolto verso il basso poi fece dondolare verso l'alto il bicchiere vuoto che aveva in mano per chiederne ancora.
Quando Dazai riprese a bere ricominciò il fastidiosissimo suono della sua suoneria, pigramente, con la mano che non teneva il bicchiere, prese il cellulare e lo voltò per vedere lo scherma, questa volta a chiamarlo era Atsushi. Rimise il cellulare sul bancone e continuò a bere. Dazai era ben conscio che avrebbe dovuto dare una spiegazione ai suoi colleghi dell'Agenzia riguardo al perché all'improvviso quel pomeriggio scappò via senza dire niente ma in quel momento Dazai non voleva sentire nessuno.
 

Dopo qualche ora passata nel locale, prima che spuntassero le prime luci dell'alba, Dazai riuscì, barcollando vistosamente, a ritornare al suo appartamento. Dopo svariati tentativi per infilare la chiave nella toppa della serratura riuscì finalmente ad entrare, sbattè la porta dietro di sè e vi si accasciò contro, rannicchiandosi e tenendosi la testa tra le mani.
Il silenzio in quella stanza era quasi soffocante ma all'improvviso fu squarciato da uno straziante singhiozzo, fu l'unico rumore che sfuggì a Dazai quella notte mentre si mordeva a sangue le labbra per non emettere più un suono e mentre stringeva forte le palpebre per non lasciar sfuggire nemmeno una lacrima perché lui non si meritava nemmeno il lusso di piangere per quello che era successo, non era nemmeno degno di togliersi la vita in quella notte.

Erano passati tre mesi da quella notte, Dazai aveva ormai preso come abitudine l'andare ogni notte in un locale per bere fino a quando non crollava in un sonno profondo nel locale stesso o a casa di Atsushi o Kunikida, quando era abbastanza lucido da camminare e trovare i loro appartamenti. L'importante era tenere la mente occupata, durante la giornata ci pensava fortunatamente il lavoro, il problema rimaneva sempre la notte. Durante quest'ultima faceva fatica a ritornare al suo appartamento, c'erano troppi ricordi delle loro notti clandestine passate insieme.
Non era nemmeno più tornato al “Lupin”, quel locale aveva altri ricordi che non voleva gli tornassero in mente, ne aveva trovati altri di locali in quei mesi, come per esempio quello vicino al porto, dove a volte si dilettava con la compagnia di qualche prostituta oppure c'era quello vicino a casa di Kunikida, poco fuori dal centro della città, se no c'era quello in cui era ora, quello era il locale vicino all'ufficio e vicino a casa di Atsushi.
Mentre stava smangiucchiando un edamame*, il cellulare gli vibrò in tasca; Dazai pigramente prese il cellulare, era un messaggio di Akutagawa, era ancora abbastanza lucido per poterlo leggere. Il messaggio era molto sintetico recitava solo Si è svegliato.
Dazai quasi si strozzò con l'edamame che stava mangiando, si alzò in modo meccanico, cercò nella tasca dei suoi pantaloni il portafoglio e mise dei soldi sul bancone, poi si infilò la giacca e corse fuori dal locale, il tutto sotto gli occhi stupiti del proprietario che non era abituato a Dazai che andava via dal locale così presto e sulle sue gambe, di solito doveva trascinarlo fuori di peso mentre stava albeggiando fuori.
Mentre correva velocemente cercando di evitare le lastre di ghiaccio sull'asfalto, il cellulare, che era stretto nella sua mano, vibrò di nuovo, un altro messaggio di Akutagawa: Spero che tu sia abbastanza intelligente da non venire qua.
Dazai si bloccò all'improvviso, stritolando il cellulare nel suo pugno, aveva il fiatone e l'aria congelata gli penetrava nei polmoni. Il messaggio di Akutagawa fu come una secchiata di acqua congelata, lo liberò completamente dall'intontimento dell'alcol.
Cosa stava facendo? Akutagawa aveva ragione, cosa avrebbe potuto fare? La sua presenza avrebbe recato solo sofferenza a tutti. E Dazai, dopo quei tre mesi di tortura psicologica auto-inflitta, sapeva che non avrebbe retto quegli occhioni azzurri guardarlo tradito, perché sapeva che lo avrebbe guardato in quella maniera e lui non ce l'avrebbe fatta.
Dazai si accorse solo in quel momento che correndo era arrivato già davanti all'ospedale, guardò le finestre di ogni singolo piano del grande palazzo che aveva davanti chiedendosi se anche lui stesse guardando fuori aspettandolo poi si diede dello stupido e tornò indietro.

Quando Kunikida aprì la porta nel cuore della notte e gli comparve davanti agli occhi per l'ennesima volta un Dazai molto alticcio, decise mentalmente che era giunto il momento di cambiare appartamento e non rivelare per nessuna ragione al mondo il nuovo indirizzo.
Gli lasciò spazio per entrare " Sbrigati che fa freddo, idiota".
Dazai annuì d'accordo con lui e si buttò sul divano del collega. Kunikida chiudendo la porta e maledicendo l'altro mentalmente disse " A questo punto potresti anche contribuire con l'affitto".
Dazai ghignò "Lo sapevo che dovevo andare da Atsushi. Era pure più vicino al locale".
" E perché mai non ci sei andato?" Kunikida quasi urlò, poi si ricordò di abitare in un condominio e che doveva mantenere un certo contegno.
Dazai cercò di trovare una posizione più comoda sul quell'ormai troppo famigliare divano e rispose " Io ci ho provato. Sai, non sei mica la mia prima scelta... E stavo anche per bussare alla sua porta, ma poi ho sentito dei rumori strani e ho preferito evitare."
Kunikida si agitò. " Rumori strani? Dazai, ma sei idiota? E se fosse stato in pericolo?!"
Dazai rise e si mise seduto sul divano. " Adesso te lo dico in modo che perfino tu possa capire." Prese fiato e riprese "Kunikida, ho sentito dei rumori di origine umana in quella casa..."
"Un serial killer?"
"Dio mio, quanto sei ottuso? Erano più dei grandi sospiri, capisci?"
Kunikida lo guardò perplesso. A quel punto Dazai alzò gli occhi al cielo. "Sesso, Kunikida! Hai capito ora?"
Kunikida arrossì vistosamente e si tirò su gli occhiali. "Lucy?"
"Lucy." confermò Dazai. "Almeno, io ho sentito dire quel nome, poi non so."
Kunikida divenne ancora più rosso.
"E per questo che sono venuto da te, non ci sono mai questi problemi con te."
Kunikida in quel momento avrebbe voluto sbatterlo fuori di casa, e lo stava per fare ma quando guardò negli occhi il collega si bloccò, c'era qualcosa di più oltre alle sue battutine, i suoi occhi non erano allegri come la voce voleva far sembrare. Kunikida non gli chiese niente, però, tanto non avrebbe ricevuto risposta. Diede le spalle all'amico e si diresse verso la sua camera, prima di entrare, però, si fermò e si voltò verso di lui. "Guarda che se hai bisogno di parlare... io ci sono."
Dazai sgranò gli occhi per un momento, poi rilassò il volto e sorrise. "Grazie."

Dal suo risveglio erano passati nove mesi, un anno dalla notte dell'incidente.
Dazai in quei mesi continuò la solita routine che aveva iniziato i tre mesi precedenti al suo risveglio, però tornava un po' più spesso nel suo appartamento, quelle notti non dormiva mai; a casa di Atsushi non ci andava quasi più, ora che il ragazzo aveva ufficializzato la relazione con l'ex membro della Gilde, Dazai temeva sempre di interromperli, questo alle spese del povero Kunikida. Alla fine, durante una notte in cui era parecchio ubriaco, aveva deciso di aprirsi con lui; non si ricorda cosa gli rispose Kunikida perché era troppo ubriaco ma quest'ultimo il giorno dopo non disse niente e non fece mai nessun commento e Dazai gli fu grato per questo.

Quella sera, Dazai, andò al locale vicino al porto, era già un po' alticcio perché si era imbucato, per sbaglio, non ne aveva davvero intenzione, ad un addio al celibato.
Nel locale c'era davvero movimento, okay che era sabato ma di solito non c'era molto giro in quel locale e proprio per questo Dazai lo adorava.
Si stava avvicinando al bancone quando un'imprecazione risuonò cristallina in tutto il locale: Merde. Dazai si congelò sul posto. Da quanto non sentiva quella voce? Da quanto non sentiva qualcuno parlare in francese? Di solito gli venivano sussurrate all'orecchio alcune frasi in quella melodiosa lingua durante le loro notti che non ci dovrebbero essere mai state.
Dazai alzò lo sguardo e vide quei capelli inconfondibili sopra ad essi l'immancabile cappello, a Dazai mancava il pavimento sotto ai piedi, non sapeva cosa fare.
Se fosse stato più lucido, ricordando il messaggio di Akutagawa, avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andato, era giusto così, Chuuya si meritava di vivere una vita lunga e gratificante senza la sua presenza e lui non si meritava ancora la sua compagnia. Ma Dazai non era abbastanza lucido per ragionare con la testa.
Si avvicinò al ragazzo e quando fu abbastanza vicino gli mise sulle spalle un suo braccio, Dazai voleva passare per ubriaco fradicio affinché Chuuya non gli chiedesse niente, era meglio così. "Cosa ci fai qua, mon petit? Non lo sai che questo è il mio locale?" gli sussurrò all'orecchio.
Chuuya si irrigidì tutto in un primo momento poi si scrollò il braccio di dosso e guardò Dazai con aria smarrita, Dazai si bloccò sul posto, con tutti gli sguardi che poteva riservagli quello era proprio l'ultimo. "Ma chi diavolo sei?" gridò Chuuya con irritazione.
A Dazai sembrò crollargli il mondo addosso, si sentì morire.


* Fagiolini di soia 


Angolo autrice:
Vorrei dire grazie a tutte le persone che sono arrivate fin in fondo a leggere questo capitolo, che coraggio che avete!
Spero che vi sia piaciuto almeno un po'. 
Non so nemmeno io come mi sia venuta in mente questa idea, era notte ed è successo, forse perché non ne ho mai abbastanza dell'angst soukoku (che bello farsi del male da soli). 
Ah sì, non ho resistito, ho dovuto mettere qualche accenno all'Atsushi x Lucy, che adoro ma non viene praticamente mai calcolata.
Alla prossima,

Rin Hikari.

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Capitolo 2
*** Stay with me ***


Un anno prima.

Chuuya si stava ancora godendo il tepore del corpo che aveva affianco quando quest'ultimo si alzò di scatto seduto sul letto, il lenzuolo a coprirgli ancora il bacino, si stava chinando verso il pavimento cercando qualcosa, probabilmente i suoi vestiti.
Se ne stava andando, Chuuya lo sapeva bene, succedeva ogni volta. E ogni volta lui si girava dall'altra parte, dandogli le spalle, e stringeva forte le palpebre e serrava le labbra fin a farsi uscire sangue per non emettere alcun suono. Ogni volta Chuuya si sentiva come un vecchio vestito usato che veniva buttato in un angolo. Ogni volta Chuuya si riprometteva che quella era l'ultima volta ma ogni settimana succedeva ancora, molto spesso era lui a cercarlo, quanto poteva essere masochista?

Quella notte, però, era diversa, entrambi lo sapevano. Partendo dal fatto che non fosse un sabato, perché sì, avevano un tacito accordo di incontrarsi di sabato, perché era più semplice con il lavoro e di conseguenza era più facile ubriacarsi e dare sfogo ai sentimenti più nascosti buttando via l'orgoglio, perché Chuuya non sarebbe mai stato così patetico da lucido, se lo ripeteva sempre. Quella notte era un lunedì, era stato Dazai a bussare alla porta come un dannato all'appartamento di Chuuya. Aveva scoperto, probabilmente da Akutagawa, che il rosso aveva accettato un lavoro troppo pericoloso, era pronto a dirgli qualcosa ma Chuuya lo interruppe ancora prima di iniziare, era stanco di sentire le stesse cose da tutti, da quando Dazai lasciò la Port Mafia, tutti, lui in primis, erano terrorizzati dal suo massimo potere. Durante i primi mesi Chuuya si sentiva spaventato, smarrito e tradito, Dazai era l'unica persona che potesse salvarlo se avesse perso il controllo in battaglia, senza di lui sarebbe morto, ma Dazai lo aveva abbandonato, quindi la sua vita non valeva niente per lui? Poi arrivò la rabbia, non voleva che gli altri lo trattassero in modo differente, anche se era rimasto solo lui della mitica Soukoku poteva ancora fare qualcosa, era ancora utile, se lo ripeteva sempre, ma agli occhi degli altri sembrava che fosse rimasta la metà più inutile, non era intelligente come Dazai, era soltanto una bomba ad orologeria pronta ad esplodere perché nessuno sarebbe mai stato lì a salvarlo, almeno non più.
Accettando quell'incarico Chuuya si risentì utile come una volta, aveva paura ma era stufo di sentirsi in quella maniera quindi non voleva sentire niente da Dazai, se quella fosse stata la sua ultima notte l'avrebbe passata con lui.

Quella notte era diversa anche perché Chuuya, quella volta, non si girò dall'altra parte aspettando che se ne andasse. Appena Dazai si infilò la camicia lui l'afferrò forte. Dazai si voltò sorpreso.
“Ti prego, oggi non andare via.” sussurrò Chuuya mandando giù l'orgoglio, come sei patetico recitava la voce nella sua testa.
Dazai sorrise, Chuuya voleva morire.
“Sai che non posso.”
“Almeno stanotte” sussurrò il rosso. Patetico.
Dazai si alzò in piedi e si infilò la giacca, la luce della luna illuminava il suo profilo.
“Domani, incontriamoci alle 17 nel solito locale, così saprò che non avrai fatto qualcosa di stupido.” Detto questo se ne andò.
Chuuya affondò la faccia nel cuscino e pianse silenziosamente.

Il giorno dopo, alle 17 in quel locale in cui solitamente si incontravano ubriachi il sabato sera, Dazai non si presentò.
Era passata un'ora, e qualche bicchiere di vino rosso, quando Chuuya si alzò dallo sgabello mettendo dei soldi sul bancone e uscì.

Dazai, quel pomeriggio, era sommerso di incarichi. A Kunikida non era andato giù il fatto che il collega fosse arrivato così tardi quella mattina e per ripicca gli diede più incarichi del normale. Per questo Dazai non guardò mai il suo cellulare, perché se lo avesse fatto avrebbe trovato delle chiamate senza risposta e forse si sarebbe ricordato.
Alle 18.30 in punto, ci fu un grosso boato che attraversò mezza città di Yokohama, in quel momento a tutti i presenti nell'ufficio venne naturale guardare fuori dalla finestra ma non vedendo niente si rimisero al lavoro, anche Dazai fece così. Ma un momento dopo si congelò sul posto, guardò l'orologio e sbiancò. Si tirò immediatamente su dalla sedia e si diresse a grandi falcate alla porta con le urla di Kunikida che lo seguivano anche giù per le scale, fatte correndo.

Corse velocemente e ringraziò mentalmente Akutagawa per avergli detto anche il luogo.
Una volta arrivato si diresse velocemente verso un vicolo cieco molto oscuro seguendo anche la scia di rottami, che potevano essere causati solo da una cosa e lo vide.
I capelli rossi svolazzavano attorno al suo viso, erano incrostati di sangue come la sua faccia, aveva gli occhi rossi da cui scendeva del sangue, la pelle era chiarissima e molte vene erano visibili, le labbra erano screpolate e sporche di sangue, vomitato poco prima probabilmente, sulle parti visibili di pelle sulle braccia vi erano i segni inconfondibili della corruzione.
Chuuya lo stava fissando con un sorriso inquietante, ma non si avvicinò a lui e questo poteva significare solo che il suo corpo non poteva più reggere, non era in grado di muoversi.
Ai piedi di Dazai si trovò il cappello di Chuuya, lui senza pensarci due volte lo lanciò in aria per distogliere lo sguardo del ragazzo che aveva di fronte per potersi avvicinare, gli afferrò il polso e lui urlò di dolore, gli si stava sgretolando sotto agli occhi da quanto era ormai fragile, e un fascio blu illuminò il vicolo.

Chuuya gli cadde addosso. Dazai cercò, il più delicatamente possibile di sostenerlo e sistemarlo meglio ma ogni volta che lo toccava dalla bocca di Chuuya uscivano vari gemiti di dolore uniti anche a qualche rivolo di sangue che gli usciva dalle labbra. Ogni suo gemito di dolore era una pugnalata nel cuore.
Una volta che riuscì a vederlo in viso, si ritrovò gli azzurri occhi di Chuuya sbarrati a fissarlo, poi lentamente chiuse gli occhi e una lacrima uscì dagli occhi solcandogli il viso.
Dazai non si ricorda molto bene cosa successe dopo, non era tipo da farsi assalire dal panico ma quella scena gli ricordava troppo un'altra accadutagli qualche anno prima e Dazai non era pronto a perdere un'altra persona cara in quel modo. Non si ricorda come si ritrovò all'ospedale, se avesse chiamato un'ambulanza o fosse andato a piedi fin là con Chuuya tra le braccia, non sapeva nemmeno in che ospedale si trovasse. Era solamente seduto nella sala d'aspetto del pronto soccorso con i vestiti ricoperti di sangue a fissare un punto indefinito del muro, un'infermiera poco prima gli aveva comunicato che lo stavano operando d'urgenza e non sapevano se sarebbe riuscito a superare la notte.

Poi, come un uragano fece irruzione nella sala d'aspetto una donna dai lunghi capelli rossi raccolti vestita in abiti tradizionali che stava imprecando contro qualche infermiera, poi, non avendo avuto la meglio con quest'ultima si girò spazientita verso la sala d'aspetto e sgranò gli occhi quando lo vide. Un secondo dopo gli era davanti, lo aveva afferrato per il colletto e sbattuto contro il muro vicino puntandogli il suo ombrellino verso la gola. Dazai la guardava senza in realtà guardarla sul serio. Mentre gli addetti alla sicurezza cercarono di staccarli lei iniziò ad urlargli contro “Spero che tu sappia che è solo colpa tua, tua e di nessun altro. Lo hai lasciato morire!”
Dazai si girò verso quelli della sicurezza cercando di non far cacciare via Kouyou, spiegando che tanto lui stava proprio andando via, infatti si avviò verso l'uscita a testa alta rincorso dalla voce di Kouyou che gli urlava “Non azzardarti a farti più vedere qui!”

Per questo non si fece più vivo là, non per paura di Kouyou ma perché le sue parole erano vere.
Anche se non si presentò mai all'ospedale, qualcuno, più nello specifico Akutagawa, lo teneva informato con qualche messaggio sulle condizioni del rosso, Dazai ancora si domanda come abbia fatto il suo ex discepolo ad avere il suo numero, forse era stato Atsushi.

Angolo autrice:
Salve a tutti! Scusate la mia assenza ma ho avuto delle settimane piuttosto turbolente. Ringrazio tutti quelli che hanno letto il precedente capitolo e chi leggerà questo, spero che vi piaccia.
Rin Hikari

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