War's prisoners

di Hippiespirit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** XI ***
Capitolo 13: *** XII ***
Capitolo 14: *** XIII ***
Capitolo 15: *** XIV ***
Capitolo 16: *** XV ***
Capitolo 17: *** XVI ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Novembre, 3004

Sono ormai quattro anni che è iniziato tutto. Che è iniziato l’inferno. I soldati di Ottawa sono partiti in tutto il mondo per cercare i tanto odiati ribelli e ucciderli. Io sono una di loro, una di quei maledetti che quegli stronzi sognano così tanto di uccidere lentamente.
Che dire, da ormai due anni mi ritrovo nel covo segreto, a studiare piani e strategie per fare in modo che non accada niente di male ai miei cari. E tutto questo perché?

Semplice, io sono il capitano della Resistenza Spagnola, ovvero colei che studia la situazione del resto del mondo, colei che mette in atto piani di attacco che una diciannovenne normale non dovrebbe fare, colei che studia e pianifica strategie militari che poi serviranno per salvaguardare la nostra nazione.
Sono qua già da due anni, dopo che il vecchio capitano è stato ucciso in una sparatoria, un suo vecchio collega, conoscente della mia famiglia, pensò a me come sostituta, perché certamente non si poteva andare avanti senza un capitano.

Ma perché proprio io? Una semplice ragazza? Già, anch’io mi feci queste domande, e la risposta fu questa: chi mai avrebbe sospettato di una diciassettenne qualunque? Inoltre era a loro nota la mia intelligenza e la mia perspicacia, la mia abilità di pensare e agire anche sotto pressione, inoltre in tempi di guerra non bisogna andare troppo per le lunghe. Venne assicurato ai miei genitori che sarei stata trattata nel migliore dei modi dopodichè venni trasportata a Madrid, dove si trovava il covo segreto della Resistenza.
Il mio compito non era però solamente studiare piani di attacco, ma dovetti combattere, uccisi persone. Mai nella mia vita mi sentì tanto peggio, che ci dovevamo fare?

Chris McLean, il peggior dittatore che la storia abbia mai conosciuto, con la sua sete di fama e potenza, era riuscito a dichiarare guerra al mondo intero, promettendo che lui e il Canada avrebbero conquistato il mondo, e aveva alleati non di poco conto, come l’America del Nord, la Cina, la Corea e la Turchia, a cui l’essere aveva promesso il controllo su varie zone del mondo, a me non note. Ma il pericolo principale era lui e il Canada, la sua flotta, i suoi aerei e il suo esercito immenso, uomini canadesi di tutte le età, con sete di sangue e morte.

Loro stessi mi spaventavano più dello stesso McLean, io stessa ne ho uccisi alcuni, con bazooka e fucili laser, fino allo svenimento.

Ma tutto ciò evidentemente non è bastato. Durante l’ultima battaglia, qualcuno riuscì tramortirmi, e adesso mi trovo incatenata in un camion. Dio, mi sento così stupida. Ora sicuramente mi crederanno tutti morta e la Spagna ora è senza un capitano della Resistenza.
Sono stata presa dai Canadesi, evidentemente qualcuno deve aver fatto la spia a questi bastardi. Mi ripromisi di uscire e salvare il mondo, soprattutto di ammazzare quella fottuta talpa.

Avevo ripreso i sensi da poco, e sentì quegli stronzi parlare. Io sapevo bene l’inglese, perché per far parte della Resistenza bisogna sapere perfettamente almeno tre lingue, oltre alla mia.
Vidi uno che stava per girarsi, e allora istintivamente girai la testa e chiusi gli occhi. Riuscì a sentire solo queste brevi frasi:
“Quella bastarda sta ancora dormendo, Duncan”
“Lasciala pure dormire Geoff... si godrà pochi momenti come questi..”
L’altro stronzo rise, dopodichè esclamò “E con lei abbiamo quasi finito... Certo che questi idioti sono proprio bravi a fare le spie” rise ancora, e l’altro lo zittì
“Coglione, vuoi forse svegliarla? “ Dopodichè lo sentì trafficare, per poi parlare “Signore, abbiamo preso la Spagnola. La stiamo portando nelle celle insieme agli altri. Manca poco”
Dopo quelle parole iniziai a sentire l’ansia. Chi sono gli altri? Non feci in tempo a pensare, perché iniziai a sentirmi terribilmente stanca e gli occhi mi si chiusero da soli.

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***



Mi svegliai dopo un tempo indeterminato, ma penso piuttosto lungo, e mi trovavo in una specie di sgabuzzino. Mi sentivo terribilmente indolenzita, ma non potevo muovermi, perché ero ancora legata, seduta su una sedia.
All’improvviso la porta si spalancò, ed entrarono due ragazzi, il primo era alto, biondo, occhi azzurri e un fisico muscoloso e prestante, l’altro sempre alto ma meno del primo ragazzo, il fisico più asciutto e aveva capelli rasati neri con sopra un’improbabile cresta, in mezzo a quella massa di capelli c’era del verde, che poco si addiceva a un soldato, e occhi azzurri.

“ E’ sveglia, finalmente! Cazzo pensavo ci sarebbe morta su quella sedia” esclamò il biondo, mentre l’altro mi fissava in silenzio. Notai poi che aveva in mano dei vestiti.
“Slegala. E tu guai se ti azzardi a fare qualsiasi cosa, capito?” ordinò poi il moro “Si.” Risposi, ma solo per fargli capire che riuscivo a comprendere la sua lingua, non per altro.
Dopo che il sangue mi riprese a circolare normalmente mi alzai con fatica, e il moro mi lanciò addosso i vestiti “Mettili, subito” ordinò, sempre con quell’odioso tono piatto e arrogante.
“Davanti a voi?” chiesi con una punta di superbia, mentre il biondo iniziò a ridere “E perché no?” chiese.
Non risposi, mi limitai solo ad eseguire gli ordini mentre mi sentivo gli occhi di quei due stronzi puntati ovunque. Dopo aver messo quella cosa, che pareva una tuta, larga e grigia, e notai sul petto una toppa con sopra raffigurata la bandiera spagnola. Misi anche degli scarponi neri.
Il moro mi si avvicinò, io indietreggiai istintivamente, ma quel bastardo mi prese per i polsi e, fin troppo velocemente, mi sbattè al muro.
“Hai un fisico davvero fantastico, per essere una stronza puttanella spagnola.” Avrei voluto sputargli in faccia, ma avrei solo aggravato la situazione, perciò rimasi zitta.
“E’ un vero peccato che il governo vi voglia vivi, e soprattutto, senza che vi sia torto un fottuto capello.” Mi sussurrò nell’orecchio, mentre con le mani mi toccava su tutto il corpo, avevo i brividi.
“Duncan basta, hai fatto anche troppo. Dobbiamo portarla dentro” Svogliatamente mi levò le mani di dosso e mi mise delle manette ai polsi, dopodichè il biondo aprì la porta , mentre lo stronzo dietro a tradimento mi bendò gli occhi “Che cazzo..?!” esclamai, ma dopo avermi dato un forte strattone, disse “Vedi di calmarti, seniorita” disse ridendo, evidentemente prendendomi per il culo “Non puoi vedere la strada , quindi zitta e cammina” .

Non mi diede il tempo di rispondere che dopo avermi strattonata ancora, iniziai a camminare, mentre uno dei due mi teneva il polso , anche troppo strettamente, e mi guidava. Non so quanto tempo sia passato ma sentivo vari rumori metallici , porte aprirsi, freddo e silenzio totale. Alla fine ci fermammo, e, dopo aver sentito un’altra porta metallica aprirsi, mi levarono la benda dagli occhi. Tutto ciò che vidi era un lungo, freddo e grigio corridoio, e ai lati di questo, c’erano varie celle. Camminammo fino in fondo al corridoio, e ciò mi permise di guardami intorno. In queste celle c’erano delle persone, una in ognuna di queste.

Mi sembravano tutte diverse l’una dall’altra, e forse capì. Erano tutti capitani delle Resistenze, di vari paesi del mondo, come riuscì a notare meglio vedendo che erano tutti vestiti con la tuta, ma ognuno aveva una toppa diversa. E perché ci tenevano chiusi dentro? Non lo so, magari volevano estorcerci tutte le informazioni e i piani che solo i capitani di Resistenza conoscono.

Arrivammo fino in fondo, quando il biondo tirò fuori una chiave e la aprì. Notai che la cella vicino alla mia era l’unica vuota. Dopo avermi spinto dentro, esclamò “Perfetto, ne manca solo uno” dopo aver pronunciato queste parole , sussurrò qualcosa nell’orecchio del moro e si dileguò. Chiuse bene la mia cella , e rimase qualche attimo a fissarmi, mentre io gli rispondevo a tono, fissandolo a mia volta. Un soldato così era sprecato, giovane e bello, soprattutto, ma odiosamente stronzo. Questa guerra, questa società, trasforma le persone in mostri.
“Sei fortunata, tra un’ora avrete la vostra ora d’aria” mi riportò alla realtà. “Ci vediamo” mi disse ironicamente , mentre io mi girai e gli diedi le spalle. Lo sentì allontanarsi.

Penso sia stata l’ora più lunga della mia vita. Ero seduta per terra, perché a parte una turca non c’era altro in questa cella. Finalmente sentì il rumore di chiavi girare nella serratura, ma questa volta non era né il biondo né il moro.
Era sempre un ragazzo, alto, capelli rossi e occhi grigi, fisico asciutto nella solita divisa militare “Alzati.” Mi ordinò, e così feci. Lo guardai meglio, aveva cicatrici sulla faccia, ma anche lui era odiosamente bello. E notai con la coda nell’occhio che anche lui mi fissò per un po’. Non disse niente, era anche più silenzioso del moro, mi ammanettò semplicemente e mi portò fuori. Le celle ora erano vuote.

Uscimmo dal corridoio e notai a sinistra dell’entrata un’altra porta. Lui l’aprì e mi sbattè fuori, per poi richiuderla velocemente.
Mi trovavo in un grande campo, recintato da muri e filo spinato elettrico alto circa cinque metri, notai anche un guardiano provvisto di telefono e pistola laser. Questo a differenza degli altri non era così bello, era veramente molto in sovrappeso, capelli biondi e occhi neri, ma a differenza degli altri non aveva un’aria proprio sveglia.
Solo dopo notai che , sedute dietro di me, c’erano tutte le persone racchiuse nelle celle. Erano ragazzi e ragazze, più o meno della mia età, e tutti mi fissavano.
“Vieni qui” sussurrò una ragazza facendomi gesto con la mano. Mi girai per vedere il guardiano, ma mi accorsi che aveva un’aria poco sveglia… proprio perché stava dormendo.

Silenziosamente mi avvicinai al gruppo “Che fortuna avere uno dei soldati più stupidi come guardiano dell’ora d’aria” rise la ragazza in questione “L’organizzazione di questo carcere è fantastica, davvero. Penso che potrei scappare scavando con un cucchiaio” disse in tono sarcastico un altro ragazzo.
“Oh, non credo, amigo. Noi siamo come gioielli preziosi per questo lurido carcere. Ma penso che questo trattamento quasi dignitoso finirà presto, ora che hanno trovato la penultima capitana”
“Un attimo” dissi io, confusa e bisognosa di sapere cosa stava succedendo “Chi siete voi? E che sta succedendo?”

“Ha ragione ragazzi” esclamò un altro ragazzo, molto alto, scuro di pelle e muscoloso. Sulla tuta notai la toppa raffigurante la Giamaica. “Che modi sono questi! Presentiamoci come si deve” Dopodichè si girò verso di me, abbassandosi alla mia altezza. Era davvero alto, metteva timore “Sono Devon Joseph , ma DJ suona meglio. Sono il capitano della Resistenza Giamaicana” Ora tutto mi era più chiaro “E loro sono Heather, dal Giappone, Sierra, dalla Germania, Eva, dalla Russia, Anne Maria, dall’Italia, Alejandro, dall’ Argentina, Noah, dall’India, Cameron, dal Sudafrica, e Justin, dal Nord America”

Su quest’ultima frase rimasi scioccata “Nord America? Ma non è il primo alleato del Canada?” Il ragazzo in questione si alzò. Anche lui era davvero bello, capelli corti castani, occhi azzurri, e un fisico prestante.
“Si” disse “Ma il nostro governo ha voluto azzardare, fingendosi alleato col Canada per poi rubargli tutto, coglierli di sorpresa e impreparati contro di noi, e in seguito avere il controllo sul mondo. Ma dopo che qualcuno ha rivelato l’esistenza della Resistenza Nord Americana, è andato tutto in fumo. Io sono stato preso, e milioni di americani massacrati. Ma il Canada vuole continuare a fingere che noi siamo ancora suoi alleati, per spaventare ancora il resto del mondo e non far vedere segni di debolezza, o una possibile alleanza per l’America con un altro paese.”
Questo racconto mi scioccò. Far sapere che l’America era contro il Canada lo avrebbe sicuramente indebolito.
“Esatto” affermò la ragazza giapponese. Alta, fisico molto magro, lunghi capelli neri e occhi a mandorla grigi “ E noi siamo le nazioni più potenti al mondo, per questo i Canadesi ci hanno cercato e catturato. Le Resistenze sono il pericolo più grande per loro, per questo ci tengono rinchiusi. Siamo i cervelli delle nostre nazioni, non vogliono farlo vedere, ma un po’ ci temono. Voglio sapere i nostri piani, le nostre strategie, i nostri segreti…”
“E noi dovremo rivelarglieli?” chiesi, con un po’ di timore. La giapponese mi squadrò dall’alto in basso, ma fu la ragazza tedesca a parlare “Beh… è ancora molto incerto” La guardai, e quella ragazza mi sembrava tutt’altro che tedesca: aveva una lunga treccia di capelli viola, occhi grandi neri e la pelle abbronzata. L’unica caratteristica era forse l’altezza, sfiorava un metro e ottanta “Finora non ci è stato fatto nulla di male, ma quando troveranno l’ultimo capitano saranno problemi per tutti. Vogliono averci tutti insieme, in molti siamo alleati, e vorranno sapere tutto, in modo da annientarci in anticipo. La Germania è forte, infatti sono stata la prima a finire qui.” Disse “Guardami , ti sembro forse tedesca? Lo sono si, ma il mio governo ha pensato di camuffarmi per evitare la cattura, ma a causa di una soffiata mi hanno preso.. in realtà ho i capelli biondi, la mia pelle non è così scura, e Sierra non è il mio vero nome” disse sorridendo.
Era stata una strategia molto astuta quella dei tedeschi, peccato che sia stata scoperta. “Ma.. allora siamo tutti qui a causa di qualcuno che ha parlato?”

“Esatto” affermò la ragazza italiana, aveva capelli vaporosi neri, occhi grandi neri, pelle abbronzata e un fisico formoso.
“Non possiamo sapere chi sia stato” disse Cameron. Lo guardai bene, e somigliava davvero tanto a un ragazzino. Basso, pelle scura, capelli rasati castani, occhi neri e grandi occhiali. Mi stupisco di come possa combattere “Ma data la mia intelligenza e la mie scarse doti fisiche, io non ho mai combattuto. Non può quindi essere una persona qualunque, ma qualcuno che ci sta molto vicini.”
Riflettevo, ma non riusciva a venirmi in mente neanche un’idea.
“E lasciano questo ciccione alla nostra guardia? Mentre dorme tra l’altro?” chiesi “Beh, che t’importa?” esclamò Eva. Era davvero una di quelle russe che ti fanno venire i brividi di paura, non era tanto alta ma aveva un fisico molto allenato e forse un po’ troppo palestrato per una donna, aveva i capelli neri legati e due occhi gialli che ti mettevano paura solo a guardarli, inoltre aveva due sopracciglia abbastanza folte, e nell’insieme non era di certo una bella donna “Tanto è impossibile scappare da qui, non abbiamo contatti col mondo esterno. Devono solo ringraziare che sono legata, evidentemente scontrandosi con me a Mosca ne hanno avuto abbastanza… c’è voluto uno squadrone intero per tramortirmi, io di certo non sono un delicato fiorellino come voi.”
“E si nota” aggiunse Noah, che finora era stato in silenzio. Aveva i capelli castani lunghi, occhi castani, e sempre uno sguardo sarcastico e annoiato. “Cos’hai detto?!” si girò la russa infuriata, ma Alejandro li separò. Cavolo, lui era il migliore di tutti. Capelli lunghi castani, occhi verdi, e il più bel fisico che avessi mai visto, inoltre aveva uno sguardo ammaliante e una voce profonda e stupenda. Tra l’altro io e lui potevamo capirci meglio, dato che la nostra lingua era lo spagnolo. “E tu come ti chiami ?” mi chiese. “Io sono Courtney, capitano della Resistenza Spagnola.”

Ad un certo punto una campanella suonò stridula, facendo svegliare di soprassalto la guardia, che scattò in piedi “Sissignore!” urlò, per poi notare che non c’era nessun signore. Che ridicolo.
“Forza voi là! Venite subito qui, ora d’aria finita, dovete tornare nelle celle” ci avviammo verso la porta, mentre notai Alejandro al mio fianco “Sono sicuro che sarà un piacere averti con noi” mi disse, in spagnolo.
Sentì un calore in tutto il corpo, dio se ci sapeva fare. Ebbi appena il tempo di ringraziarlo, prima che la guardia spintonandoci ci rinchiuse ognuno nelle nostre celle.

ANGOLO AUTORE
Lo so che due aggiornamenti in un giorno non ci stanno, ma fremevo dalla voglia di metterlo.
Questa è la mia prima storia sulla guerra, non sono esperta, anche perchè, come si può capire dal mio nickname, odio la guerra.
Ma l'ispirazione era troppa, e allora ho deciso di scrivere. Spero vi piaccia :)

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Capitolo 3
*** II ***


Erano passati alcuni giorni. Non so dire quanti, dato che la mia cognizione del tempo è totalmente nulla, visto che passiamo tutto il giorno chiusi in queste celle. Abbiamo un’ora d’aria al giorno, per il resto siamo chiusi dentro, senza poter far nulla. Cerco di passare il tempo dormendo, ma non è facile. Penso che anche questo modo di fare sia una tortura, psicologica, visto che siamo chiusi in una stanza vuota tutto il giorno, facendoci quasi impazzire.
Ma cerco di mantenere la lucidità, pensando ai miei compagni e al mio paese.
Ero chiusa in quel carcere insieme a tutti gli altri capitani delle Resistenze delle nazioni più potenti in questo momento, tutti tranne uno, la cui cella è ancora vuota, e tutti speriamo che riesca a cavarsela, perché da quel che ho capito, quando lo prenderanno, saranno guai per tutti.
Insieme a me ci sono DJ, ventiduenne, Giamaicano. Tutto il contrario di come me lo aspettassi. Infatti è una brava persona, gentile e forse un po’ troppo sensibile. Mi chiedo come riesca ad uccidere persone quando una volta stava per piangere quando vide una farfalla morta sul pavimento.
Molte di queste persone per me sono un mistero: Justin, ventenne americano, è un vanitoso ossessionato dalla sua bellezza, che in tempi di guerra è l’ultima cosa che dovresti pensare come ti stanno i capelli.
A proposito di capelli, anche Anne Maria, diciottenne italiana, è ossessionata dai suoi capelli e dal suo aspetto estetico. Seriamente, mi chiedo come possano combattere certi soggetti.
Anche Noah, diciannovenne indiano, sembra totalmente apatico alla situazione. Parla poco, e se parla, è sempre per dire qualcosa di sarcastico o inopportuno.
Cameron, diciottenne sudafricano, sembra l’unico con un po’ di vera intelligenza, l’unico problema è che sembra un bambino e in guerra lo potrebbero usare come stuzzicadenti.
Sierra invece, ventenne tedesca, ancora non riesco a comprenderla. Inizialmente sembra una ragazza normale, ma ha tante risorse, inoltre ha attimi di follia che penso possano essere efficaci in battaglia.
Chi realmente mi sembra veramente in grado di essere un capitano sono Alejandro, ventiduenne argentino, ottima perspicacia e astuzia, capacità di sedurre e trarre in inganno, ottime abilità fisiche, e grande stratega, abilità alla pari di Heather, ventunenne giapponese, che nonostante tutte queste doti il carattere lasci a desiderare, ma in battaglia sicuramente è una grande corazza.
Per non parlare di Eva, ventunenne russa. Una furia inarrestabile, una macchina da guerra, forza incredibile, ma non penso si possa dire altrettanto dell’intelligenza.
Ho avuto solo poche occasioni per parlare con loro, data l’unica ora giornaliera in cui possiamo vederci. Tutti sono preoccupati per la cattura dell’ultimo capitano, che, da quel che so, dovrebbe provenire dall’Australia.
“Speriamo riesca a cavarsela” pensai, ma le mie riflessioni vennero interrotte da un rumore proveniente dalla mia porta. Era la guardia con i capelli rossi, ovvero quello che solitamente ci dà il cibo. Una ciotola di sbobba di cui preferisco non parlare, mentre lui non riesco a comprenderlo. Solitamente le altre guardie, anche se sono costrette, devono trattarci non dico bene, ma almeno con dignità, perché per il Canada rappresentiamo una risorsa importante. Lui invece nemmeno ci rivolge la parola, nemmeno ci prova a fare il lecchino, evidentemente non vede l’ora di sterminarci. Lancia la ciotola in malo modo e poi se ne va, mentre invece quando a volte ci sono Geoff o Duncan ci stuzzicano sempre, soprattutto Duncan. Odioso, vanitoso, egocentrico… insomma peggio di così non può essere. Solitamente lo ignoro, ma ci prende gusto a insultare e dar fastidio.
Mi alzai e mi diressi verso la ciotola lanciata sul pavimento attraverso le sbarre, da quel avevo capito, con gli altri ragazzi lasciava il cibo e se ne andava subito. Invece con me aspetta fermo e mi fissa finchè non lo raccolgo. Come in quel momento. Non so perché lo facesse.
Raccolsi la ciotola e alzai lo sguardo, incontrando i miei occhi neri con i suoi grigi. Occhi davvero belli e particolari.
Lui sostenne lo sguardo, non si decideva ad aprire la bocca, e oggi rimase a fissarmi più del solito.
“Avrai tanto da guardare.” Dissi, a voce bassa, ma in modo che potesse sentirmi, e infatti mi sentì, inarcò un sopracciglio, e, incredibilmente, rispose.
“Guardo perché non posso fare altro, cara” rimasi sconcertata da questa risposta.
“Levati” risposi, ma evidentemente il ragazzo si irritava parecchio facilmente. Afferrò una sbarra, e quasi mi spaventai perché sembrava volesse romperla, stavo per indietreggiare ma lui fu più veloce e mi afferrò il polso, tirandomi verso di lui e facendomi sbattere contro le sbarre. Ero praticamente quasi con la faccia attaccata alla sua, e parlò sottovoce: “Quando troveranno quello stronzo australiano, penso che sarai la prima tesoro.” Rabbrividì
“Di cosa stai parlando?”
“Lo scoprirai. Non so se ti piacerà, ma a me sicuramente si” dopo aver detto questo, con uno strattone mi lasciò il polso e se ne andò.
Rimasi spaventata da quelle parole. Non so cosa avesse volto da me quel gran bastardo, ma niente di bello. Duncan non avrebbe reagito così, sicuramente mi avrebbe continuato a insultare e prendere per il culo, lui ha avuto totalmente uno scatto di personalità. E’ proprio vero che i più silenziosi sono i più spaventosi.
Dopo un po’ giunse il momento dell’ora d’aria. Stavolta venne Geoff a prendermi, ma io ero ancora scossa dopo il fatto che era successo con la guardia dai capelli rossi, così ero immersa nei miei pensieri, lui blaterava qualcosa ma non lo ascoltavo. Con la solita delicatezza mi sbattè fuori nel campo poi richiuse velocemente la porta. Vidi tutti gli altri e, stranamente, erano tutti zitti e mi fissavano.
“Che succede?” chiesi
“Courtney! “ esclamò DJ “Cos’è successo prima?” chiese, con preoccupazione. “Abbiamo sentito tutti quanti una botta metallica, e Alejandro ha intravisto Scott dalle sbarre.”
Evidentemente Scott era il rosso, e la botta era dovuta al fatto che mi avesse sbattuto contro le sbarre. Spiegai l’accaduto, con un po’ di vergogna , e alla fine, Sierra esclamò:
“Scott è il peggiore di tutti. Lui è veramente uno stronzo, ci gode a veder star male la gente. Lo fa proprio bene questo lavoro”
“Francamente, a meno che non ti diverti a provocare i soldati, non dovresti rispondergli” disse Heather con acidità “Vuoi che ci rimettiamo tutti?”
“Heather non l’ho provocato, gli ho solo risposto, penso che l’avresti fatto anche tu conoscendoti. “
“Vero.” Confermò Alejandro con un sorrisetto, mentre lei lo incenerì con lo sguardo.
“Secondo me è meglio che ognuno cerchi di parlarci il meno possibile con quelli” Intervenì Anne Maria “Peccato siano pericolosi, sono così dei bei ragazzi” disse con sguardo sognante
“Ma smettila tu! Vuoi dar corda al nemico?!” ruggì Eva, rabbiosa come sempre.
Ma la campanella stridula bastò come risposta alla russa, e senza dir niente ci dirigemmo tutti verso la porta.

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Capitolo 4
*** III ***


Passarono svariati giorni. Non saprei dire quanti, ma ero sicura che ne passavano tanti. La mia vita in questo carcere è estenuante, perché ventitré ore chiusi in una cella stretta e vuota scoprì essere un efficace metodo per farmi impazzire. Non aspettavo altro che l’ora d’aria.
Almeno con gli altri ragazzi, anche se non con tutti andavo d’accordo, potevo parlare e sfogarmi durante quell’unica ora che passava fin troppo velocemente. Eravamo sorvegliati da Owen, e questo era un bene, perché quell’uomo se non dormiva era occupato a ingozzarsi, quindi a noi nemmeno faceva troppo caso.
Ero ancora scioccata dall’accaduto con Scott, il quale, dopo quell’episodio, non si era più fatto vivo, se non una volta, ma si limitò a lanciarmi in malo modo la ciotola come al solito, fissarmi e andarsene.
Ero immersa nei miei pensieri, e quel giorno sembrava trascorrere lentamente come gli altri, quando un rumore del tutto nuovo mi stordì le orecchie, dopodiché una voce registrata cominciò a parlare:
“Cari detenuti” e dopo queste parole seguirono varie risate “quest’oggi verrete prelevati dalle vostre celle. Niente scherzi o finisce male”. La voce era chiaramente quella di Duncan, quell’essere odioso ed egocentrico, che invece di fare il suo sporco lavoro si divertiva a infastidirmi.
Non sapevo se quel messaggio fosse vero o meno, ma quando Duncan aprì la mia cella e mi ammanettò velocemente, quasi non ci credevo. Ero sicura che non era una cosa buona, ma non potevo saperlo per certo.
Percorremmo il corridoio mentre come al solito si divertiva un mondo, ripetendomi per la millesima volta di quanto fossi una povera sfigata spagnola e di quanto sicuramente mi divertissi nella cella. Col tempo avevo imparato ad ignorarlo, sperando che ci perdesse gusto, cosa che a quanto pare non accadde.
Quando aprì la porta mi ritrovai davanti tutti i miei compagni, con tante altre guardie che non avevo mai visto.
Geoff aveva ammanettato e tratteneva Alejandro, mentre Scott teneva Anne Maria ben ferma. Mi ritrovai a incrociare lo sguardo con il suo per un attimo, distogliendolo subito. Owen teneva Cameron, evidentemente non volevano rischiare, Heather era trattenuta da un ragazzo con i capelli castani lunghi, gli occhi nocciola e una fascia rossa sulla testa, Sierra era trattenuta da un ragazzo alto, muscoloso, capelli e occhi neri, che evidentemente prendeva questa cosa molto sul serio, visto che la tedesca nemmeno riusciva a muovere le mani, Noah invece era tenuto da fermo da una ragazza, e la cosa mi colpì. Aveva boccoli color carota, occhi verdi vispi, fisico snello, e a quanto pare era molto eccitata da tutto questo, infatti non stava ferma un attimo.
Justin da un ragazzo grasso, capelli castani ricci, occhiali e occhi neri, DJ invece penso che avesse potuto abbattere il soldato in un attimo se avesse voluto e potuto, un ragazzo mingherlino, capelli lunghi rossi e occhiali verdi, come gli occhi, non sicuramente bello, mentre Eva aveva direttamente manette in metallo che le impedivano di muovere tutte le braccia essendo veramente grandi, inoltre erano elettrificate, e sulla bocca aveva una specie di museruola, la russa non smetteva di agitarsi, mandando scariche elettriche, e la cosa la faceva infuriare ancora di più. La cosa mi faceva sorridere, perché evidentemente la russa spaventava più di quanto credessi.
“Bene” parlò Duncan, non mollando la presa dalle mie manette “Ora che siamo tutti qui riuniti, ho il compito di comunicare a voi stronzi” la parola diede fastidio a tutti, Eva probabilmente l’avrebbe ucciso se fosse stata libera “Che il nostro capo e governatore, il grande McLean, è stufo di aspettare che quel bastardo australiano venga ritrovato… perciò ha riempito di mine la spiaggia australiana, lanciato qualche bomba e qualche laser, ma questi sono dettagli, siamo quasi sicuri che quel bastardo sia morto. Quindi voi ora dovrete presentarvi al suo cospetto” Era terribile.
“E perché mai dovremmo? “ Anne Maria azzardò la domanda, tutti si girarono verso di lei. Duncan fece un cenno a Scott, e lui, rapidissimo, la prese per il collo e la sbattè al muro, con l’altra invece le palpava un seno con troppa foga. “Perché, tesorino, ora voi dovrete far uscire dalle vostre boccacce del cazzo, tutto ciò che sapete sui vostri bei paesini, e con questo intendiamo, non so, ogni tipo di piano e strategia che avete pianificato, roba da niente… intesi, zuccherino?”
Anne Maria era scioccata, gli occhi neri spalancati, e respirava a stento, e quando lo stronzo finì di parlare lei annuì lentamente e lui la lasciò andare, la conoscevo, era troppo orgogliosa e piena di sé per mettersi a piangere, ma vedendola capivo che avrebbe tanto voluto farlo.
 “Ci siamo capiti?” richiese il rosso, e tutti annuimmo. Dopo varie risatine da parte di quei bastardi, tirarono fuori delle bende e ci coprirono gli occhi. Ricordo che, quando arrivai qui, mi dissero che era perché non potessi vedere la strada. Camminammo per alcuni minuti dopodichè ci fermammo. Sentì la benda scivolarmi via dalla faccia, e mi ritrovai di fronte ad un’enorme porta blindata.
I soldati passarono attraverso un sensore di riconoscimento facciale, ed entrarono uno alla volta insieme ai prigionieri. Io e Duncan eravamo gli ultimi, e, quando entrammo, mi ritrovai davanti a quello che sembrava un enorme bagno pubblico, l’unica differenza era che era splendente, pulito e caldo. C’erano una decina di docce, un enorme specchio con davanti un comò gigante, un’altra stanza con sopra la scritta WC e vicino ad essa un attaccapanni con vari accappatoi sopra. “Siccome è da un pezzo che non vi lavate, vi lascaremo gentilmente utilizzare il nostro bagno, basta che vi muoviate”
 “Ah, McLean è forse troppo delicato per abbassarsi a non sentire odoracci?” Heather sussurrò , ma si ricoprì subito la bocca, le frecciatine velenose uscivano dalla sua bocca quasi senza che lei lo volesse. I soldati si girarono tutti verso di lei e il ragazzo castano che la teneva la prese bruscamente per il braccio, e Alejandro urlò “Non osare toccarla!” tutti ci voltammo stupiti verso di lui, mentre i soldati iniziarono a ridere
 “E chi me lo impedisce? Chiese spavaldo “Io, brutto stronzo” Geoff gli mollò uno schiaffone, mentre la guardia di Heather si limitò a spingerla sul pavimento “Avete venti minuti, vedete di muovervi” sibilò velenoso Duncan, e tutto il gruppo uscì.
Ci guardammo tutti, Anne Maria era ancora sconvolta, e guardava Heather con odio, perché lei aveva insultato McLean e non le era stato fatto nulla, mentre lei per una semplice domanda era quasi stata soffocata. “Bene” disse poi, levandosi quella tuta grigia davanti a tutti, rimanendo completamente nuda, cosa che mi scioccò abbastanza “Una doccia mi ci voleva, di certo questi fantastici capelli non si curano da soli” in un attimo aveva ripreso il suo tono altezzoso, e si rinchiuse nella doccia. Nessuno parlò, semplicemente la seguimmo, entrando ognuno in un una doccia.
Sentì l’acqua calda dopo non so quanto tempo scivolarmi giù per il corpo, una sensazione fantastica, ma decisi di velocizzare e dopo poco tempo uscì. Eva era già fuori, ancora ammanettata, le avevano legato anche le caviglie e camminava a stento. Non osai rivolgerle la parola. Notai anche DJ che si stava chiudendo l’accappatoio, e mi rivolse un sorriso , quasi come a dire “Tieni duro”. Gli sorrisi anch’io, e intanto uscirono già in accappatoio Noah, Alejandro, Cameron, e Sierra. Anne Maria, Heather e Justin erano ancora dentro, cosa che ci spettammo tutti.
Nel frattempo allora decisi di ispezionare quel bagno, ma non ci trovai nulla di che. Spiai dal buco della serratura della porta e notai tre figure, e, mettendo l’orecchio alla porta, riuscivo vagamente a sentire cosa dicevano:
“Ragazzi, pensate che funzionerà? Voglio dire, se McLean ci scopre ci ammazza… letteralmente.”
“Oh su Geoff, non rompere i coglioni” lo interruppe subito un’altra voce, Scott. “Cazzo noi siamo qui tutto il giorno a controllare questi stronzi, ma farli ammattire in quelle celle non basta. Dobbiamo passare alle maniere forti”
“McLean non vuole che li tocchiamo nemmeno, se venissero compromessi potrebbero fornirci indicazioni sbagliate o peggio non parlare proprio..” ribattè il biondo
“Tutte cazzate!” esclamò il rosso “Mi sono rotto i coglioni di queste cazzate. Se non le verrà a sapere siamo a posto, gli altri staranno zitti, se ci tengono alla pelle.”
“Non sei la iena per niente, tu.” Gli disse Geoff.
Ridacchiarono, poi Duncan, che era stato zitto fino adesso, esclamò
“Voglio occuparmi della spagnola. Gli ho messi gli occhi addosso fin da quando è arrivata, se quello stronzo non ci avesse impedito anche di guardarle, non sapete che le avrei fatto” Per un attimo mi bloccai a sentire quelle parole.
“Tu non hai capito un cazzo” esclamò Scott “Lei è mia” mi sentì male. “Non hai già Gwen tu? Cazzo vuoi fare, tradirla forse?”
Duncan rise amaramente “E’ tanto che non vedo Gwen, con questi capitani del cazzo. Vai a capire se lei non ha già tradito me” esclamò.
“In ogni caso sei già fidanzato, cornuto o meno. Ho la precedenza mi dispiace”
“Ma che avete con questa spagnola?” chiese Geoff “Ci sono tante altre belle ragazza… la russa esclusa, ovviamente” Risero in coro
“Quella ti strappa i coglioni con una mano” rise Duncan “E comunque, non so, ha qualcosa quella stronzetta”
“Esatto… ascolta, si è fatta l’ora, chi entra e se la prende per primo se la tiene, ci stai?” “Certo.”
Stavano venendo a prenderci, e volevano me. Non ebbi tempo di avvertire gli altri che la porta si spalancò colpendomi, e facendomi cadere a terra.
 Mi ritrovai Scott, la iena dagli occhi grigi, a un centimetro dalla faccia “Hai forse sentito qualcosa?” mi sussurrò malefico nelle orecchie. Non mi diede il tempo di rispondere che mi ammanettò, sempre veloce come un fulmine, mi caricò sulle spalle e mi portò via. Urlai ma nessuno riuscì a soccorrermi, anche perché poco dopo entrarono nel bagno tutti gli altri soldati, sentì le ragazze urlare, ma ormai eravamo troppo lontani. 

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Capitolo 5
*** IV ***


Urlavo a vuoto, finchè non si fermò, estrasse una chiave dalla tasca, aprì velocemente una porta e ci rinchiudemmo dentro. Avevo addosso solo un accappatoio bianco, che mi arrivava alle ginocchia.
Nella stanza c’erano un letto, un armadio, una scrivania con un computer e una sedia sganghera, nient’altro. “Benvenuta nella mia stanza” ghignò lo stronzo, io ero paralizzata, ma dopo riuscì a parlare
“Non penserai forse che io accetti, spero” chiesi, anche con troppa superbia, visto che un secondo fa non riuscivo a parlare dalla paura. “Che tu voglia o meno è l’ultimo dei miei problemi” rispose a tono.
Rimasi spiazzata “Non vorrai mica stuprarmi ?” chiesi con voce rotta
“Se sarò costretto…” rispose levandosi la giacca militare e rimanendo con una canotta bianca. Si avvicinò a me e io indietreggiai, ma inciampai e finì sul letto. Mi si mise sopra, ma sta volta delicatamente, io ero bloccata, non sapevo che fare. Uno stronzo maledetto canadese voleva stuprarmi, e io invece che difendermi stavo lì come un’idiota. Non so che mi prendeva, non reagivo, non riuscivo a reagire, ma penso che anche se avessi reagito avrei peggiorato le cose. E non cosa mi passasse per la testa, ma quegli occhi grigi, così magnetici, in un certo senso mi tranquillizzavano. Certo Courtney, un canadese sta per stuprarti ma ehi, facciamoci bloccare da quei fottuti occhi.
Mi baciò, e io per un attimo mi sentì di pietra. Mi sentivo come incapace di reagire in un qualsiasi modo.
Mi baciava sempre più spinto, mi mordeva il labbro, e per un attimo mi sentì mancare quando prese a baciarmi il collo e a morderlo, lasciando una scia umida. Quando staccò le labbra dal mio collo mi slacciò la cintura dell’accappatoio, lo aprì, io tesi una mano per bloccarlo ma lui me la prese e mi bloccò a mia volta. Mi guardava come famelico, io invece sentivo le guance bollirmi… perché ero imbarazzata, ovviamente.
Si levò la canotta e i pantaloni, rimase in mutande mentre io ormai ero già nuda. Iniziò a palparmi i seni e i fianchi, li stringeva e li leccava, mentre io con tutte le mie forze cercavo di trattenermi e non gemere. Ma non ce la feci quando scese più in basso e iniziò a leccare, era maledettamente bravo, cercavo di chiudere le gambe ma lui le teneva ferme con le mani. Gemevo, e non mi accorsi poi che entrò dentro di me, feci un urlo soffocato, e mi tappò la bocca mentre entrava e usciva velocemente. Io all’inizio mi sentì male ma mi abituai, non ero vergine, ma all’inizio era sempre fastidioso… dopo qualche minuto uscì e venne, e venni anch’io. Respiravamo affannosamente, dopodichè ci guardammo. Mi resi conto che ero appena stata a letto con uno sporco canadese, e mi sentì una merda. L’altro invece era tutto rilassato, tanto che si sdraiò vicino a me e mi sussurrò :” Penso che in fondo, non eri poi così contraria.” Era vero. C’ero stata senza neanche provare a ribellarmi. Mi sentivo uno schifo, una vergogna per la mia nazione. All’inizio stetti zitta, ma poi gli urlai in faccia “Vaffanculo! Sei solo uno stronzo, infame, viscido, lurido figlio di puttana!” Lui nemmeno mi considerò, tirò fuori da un cassetto un pacco di sigarette, e se ne accese una ignorandomi.
“Ascoltami almeno, testa di cazzo!” urlai di nuovo. Lui si girò, si avvicinò al mio viso e mi soffiò il fumo in faccia, e mi disse sottovoce “Fossi in te urlerei di meno, e modererei anche i termini”
“Perché? Ah beh giusto, il tuo capo non sa niente di questa cosa. Ora io sono rimasta scioccata dal tuo stupro, e non dirò proprio niente.” Lo sbeffeggiai, e lui mi spinse, facendomi sdraiare.
“Se non vuoi morire... parlerai”
“Beh, perché, anche se parlassi, mi lascereste viva? Se dovrò morire lo farò non deludendo il mio popolo”
Lui rise “Abbiamo appena scopato, mi sa che hai già deluso abbastanza” Per un attimo mi incupì , ma non l’avrebbe avuta vinta.
“Come se l’avessi voluto!” ribattei.
“Senti” divenne serio “E’ inutile che ti lamenti, è andata e stop. Tanto anche tutte le tue altre amichette hanno subito il tuo stesso destino”
Mi sentì mancare “C-Cosa stai dicendo?”
“La verità. Abbiamo organizzato tutto, ci eravamo rotti i coglioni di star qui tutto il giorno senza far niente, McLean anche se ci ha dato regole precise non viene mai a controllare in questo carcere del cazzo. E quindi, visto che nessuno aprirà bocca” ripassò bene l’ultima frase “Siamo a posto”
Ero incredula a ciò che avevo sentito. “Quindi voi avete mentito” dissi.
“Oh mio Dio! Sei furba!” esclamò, prendendomi per il culo. “Siete solo dei prigionieri in fondo, che ti aspettavi, il trattamento cinque stelle?”
Non gli risposi, quel lurido non era degno di una mia risposta. “Perché hai scelto me?” gli chiesi.
Stette zitto inizialmente, poi rispose “Lo sai? Non lo so. Hai qualcosa, un qualcosa che attira, non ti pieghi, sei acida, stronzetta, rispondi, insomma, sei interessante. Quasi mi dispiace che sei una prigioniera”
Sospirai “E perché anche Duncan?”
“Cazzo ne so!” mi rispose aggressivo “Sta di fatto che lui è già fidanzato, l’ho fatto per il loro bene, per il bene della coppietta”
“Che ne sai che non si è fatto qualcun’altra?”
“Mi basta che non si sia fatto te”
Non lo capivo quel ragazzo. Prima era una iena malvagia, poi diventava quasi umano. Era interessato a me. Magari avrei potuto anche approfittarmene, forse sarei potuta uscire di qui grazie a lui.
“Non pensare di poterti approfittare del mio interesse. Oggi sei tu ma domani potrebbe essere tranquillamente un’altra, non farti troppe illusioni” Come non detto.
“Non c’è nessun pericolo” gli risposi non proprio sincera “Non pensi che ora dovrei andarmene?”
“Non c’è nessuna fretta” mi rispose tranquillissimo, mentre buttò la sigaretta a terra e la schiacciò.
“E che dovrei fare qui? La bella statuina?” non si degnò nemmeno di rispondermi, aprì un cassetto e tirò fuori un tablet ultra tecnologico, dove iniziò a digitare senza nemmeno prestarmi attenzione.
“Si, te ne devi andare. McLean proprio oggi ha avuto la grandiosa idea di venire a rompere il cazzo qui, arriverà fra un’ora, vestiti mentre io chiamo gli altri”
“I miei vestiti sono ancora nel bagno!” lui roteò gli occhi, come se fossi io a rompere le palle in quel momento, allora mi ammanettò e mi portò fuori dalla stanza, velocemente mi condusse in bagno. Non c’era nulla dentro, a parte la mia tuta.
“Dove sono gli altri?”
“Probabilmente già nelle celle. Datti una mossa. E ripeto, se vi azzardate a parlare non sarò certamente gentile come oggi.”
“Ah, la tua oggi era gentilezza?” chiesi, ma lui mi guardò male. “Scherza meno.” Disse con voce glaciale, allora decisi di non dire più nulla, mi vestì velocemente, dopodichè strattonandomi e bendandomi mi condusse nella mia cella. Mi tolse la benda solo quando fui proprio davanti alle mie sbarre, impendendomi di vedere gli altri.
“Ora stattene buona qui. Ma se McLean ordinerà qualsiasi cosa, forse non starete ancora per molto qui dentro.”
“Cosa intendi dire?”
Il rosso non mi rispose, semplicemente girò i tacchi e se ne andò. 

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Capitolo 6
*** V ***


Passò altro tempo nella cella. E quel tempo lo passai a riflettere. In quel pomeriggio era successo di tutto, da un finto colloquio con McLean, inventato dai soldati per poterci far abbassare la guardia, e, dopodichè, far di noi quello che vollero. Scott mi aveva presa, portata nella sua stanza e stuprata, anche se, oddio, io non lo vedevo come uno stupro. Eppure lo era. Come se la cosa non mi avesse disturbato. Impossibile.
Lui era odioso, senza cuore e sentimenti, senza pietà, farebbe di tutto per prevalere e farci tutti fuori, e scommetto che non darebbe troppo peso nemmeno ad uccidere i suoi compagni.
Però, non so, vidi nei suoi occhi tanto vuoto, sicuramente sofferenza repressa. Non lo conoscevo, ma ero sicura che c’era un qualcosa che l’abbia fatto diventare così, una persona non può nascere con tutto questo odio nel cuore e apatia negli occhi.
Le mie riflessioni furono interrotte da un rumore di sbarre che scorrevano. Riconobbi il ragazzo dai capelli lunghi castani, gli occhi nocciola e una fascia rossa attorno alla testa, che mi fece cenno di alzarmi e venire verso di lui. Tesi già le mani, e puntualmente mi ammanettò, non pensavo ci lasciassero anche l’ora d’aria.
Potei notare che quel ragazzo era piuttosto imbranato e logorroico, mi blaterava di come era entusiasta che la sua ragazza, Lindsay, Lizzy, una roba del genere, si fosse ricordata il suo nome dopo un anno e mezzo di fidanzamento. Rimasi irritata e sconcertata da come parlava tranquillamente, come se fossi sua madre.
Arrivati al portone, lo aprì e mi sbattè fuori, e come al solito mi ritrovai Owen addormentato al muro e gli altri, avevano tutti uno sguardo perso e scioccato. Come girarono la testa e mi videro, Sierra corse alla velocità della luce verso di me e mi soffocò in un abbraccio stritolante.
“Oh mio Dio Courtney! Sembri star bene..”
“Si Sierra, se tu mi lasciassi starei anche meglio..” risposi con voce soffocata.
Mi trascinò poi verso gli altri, che mi guardavano con pietà, perfino Heather (Eva si limitava a stare zitta).
“Courtney…” iniziò il discorso Alejandro “Sappiamo cos’è successo prima. Quei maledetti stronzi ci hanno ingannato” prese una pausa, e nel frattempo, io annuì. “Penso che un vero uomo non farebbe mai una cosa del genere” commentò, indignato. “Ascolta, Cascamuerto, non abbiamo tempo per i tuoi finti moralismi.” Lo interruppe Heather, acida “Cosa ti aspettavi? Siamo solo dei prigionieri, ringrazia che non ci abbiano fatto di peggio.” Le parole di Heather mi ricordarono molto quelle di Scott in quel momento. “Che vuoi sia successo, Courtney? A noi ragazze alcuni soldati ci hanno portato via e stuprate, a loro li hanno picchiati, peggio delle bestie.” Solo ora notai una moltitudine di graffi e lividi sulle mani e la faccia di Alejandro, di Justin, che per l’affronto alla sua faccia sembrava terribilmente scosso, infatti non proferì parola, di Noah e DJ, anche se lui grazie alla stazza se l’era cavata meglio degli altri. Invece Cameron, disgraziatamente, per colpa del suo corpicino, era quello ridotto peggio, tra graffi, lividi, e ferite molto più profonde degli altri. Quando poggiai il suo sguardo su di lui, vidi vergogna nel suo volto, e la cosa mi fece rattristare veramente tanto. “Ci hanno insultati pesantemente anche mentre lo facevano” disse semplicemente, e in quel momento il ragazzino mi fece veramente pena.
“Abbiamo visto Scott che ti portava via…” disse Sierra dopo un attimo di silenzio. Non feci in tempo a rispondere, che d’un colpo la tedesca sbraitò “Quei luridi viscidi bastardi! Figli di puttana!” Urlò la viola, mentre gli altri gli fecero segno di abbassare la voce, per paura di svegliare Owen.  “Volevo solo aspettare di uscire di qui e tornare dal mio Cody… mi manca così tanto…” disse, mentre alcune lacrime le rigarono il viso “Aspettavo solo lui… invece quel figlio di puttana di Samuel…”
“Sierra basta.” La interruppe Noah, per la prima volta con l’aria di voler dire qualcosa di serio “Anche Heather, Courtney e Anne Maria hanno subito lo stesso destino, Eva beh… si è unita alla scazzottata” la russa rimase ancora in silenzio, e con sguardo basso e accigliato “Ma questo ti deve motivare. Motivare a distruggere quei canadesi, e a tornare in libertà” .
Tutti guardarono l’indiano come se a parlare non fosse lui, un’altra persona. Raramente lo sentivo parlare, e di solito faceva solo commenti sarcastici. Ma quelle parole ferme, dette con calma assoluta, fecero riflettere anche me.
 Come avevo potuto pensare anche solo per un attimo che quello che Scott ha fatto mi sarebbe potuto piacere! Come avevo potuto pensare che ci tenesse! Mi sentivo tradita da me stessa, io, Courtney, che mi lasciava trasportare così tanto, io che perdo il mio autocontrollo e la mia ragionevolezza! Non ero il Capitano per niente! Ma adesso dubitavo del mio titolo, davvero lo meritavo per aver pensato ciò?
“Ragazzi, dobbiamo evadere.” Quella frase, detta con una schiettezza impressionante, ci fece voltare subito verso chi aveva parlato, DJ.
“Cosa?” esclamò Cameron “Ma è impossibile!” penso che a lui sembrò un urlo di stupore, ma la sua voce era davvero fioca in quel momento.
“Prima di tutto non sappiamo il percorso, siamo sempre stati bendati… e questo carcere è immenso. Inoltre all’interno è pieno di telecamere, trappole, guardie umane e robot, dotati tra l’altro di sistemi sofisticati… DJ come puoi pensare di riuscirci?” Cameron pronunciò quella frase tutta d’un fiato, ma DJ lo zittì.
“Hai detto bene, ragazzo. All’interno.” Rispose il giamaicano calmissimo.
“Ma che stai dicendo? Spiegati che non ci sto capendo niente!” disse brusca Anne Maria, evidentemente confusa ed irritata.
“Come ha detto Cameron, il vero pericolo sta all’interno. E’ vero, sarebbe impossibile uscire da dentro, ma guardatevi attorno.” Il campo era recintato da un altissimo muro, ricoperto di filo spinato elettrico.
“Spiegami ora come si può uscire.” Disse Heather con freddezza, che mascherava in quel momento irritazione e ansia.
“Sicuramente è più possibile uscire da qui che da dentro.” Disse solo DJ “Ma sono sicuro che riuscirò a pensare a qualcosa… sempre se posso contare su di voi.”
Ci fu un attimo di silenzio, ma poi, Cameron esclamò: “Certo amico mio… metterò a tua disposizione la mia conoscenza!” il giamaicano sorrise verso il sudafricano, poi si guardò attorno. “Al diavolo” anche Noah si avvicinò ai due, sempre mantenendo quello sguardo apatico.
Anche Sierra, senza dire nulla, avanzò verso di loro, seguita a Justin.
“Oh, voi ragazzi mi volete morta!” esclamò Anne Maria “Ma… dopotutto tentare non nuoce, dico bene? E poi il mondo ha ancora bisogno di me là fuori” disse vanitosa, e procedette verso di loro passandosi una mano tra i capelli. Dopo l’italiana, anche Eva, con passo spedito e senza parlare, si unì al gruppo.
Rimanevamo io, Heather e Alejandro. La squadra ci fissò, dopodichè, Alejandro sospirò e si avvicinò ai ragazzi. Io ed Heather ci guardammo, non nutrivo certo simpatia per la giapponese, e lei ancora meno, ma qui si trattava di vita o di morte. Insieme, procedendo allo stesso passo, ci unimmo alla squadra.
“Bene” affermò DJ “ Tra poco Tyler verrà a prenderci. Voi fate sonni tranquilli, ci penso io.” Neanche a dirlo, il ragazzo castano fece il suo ingresso, svegliando bruscamente Owen e ordinandoci di raggiungerlo. Poi, tutte in un attimo, mi vennero in mente le parole di Scott. McLean era nel carcere quel giorno. Infatti, subito dopo Tyler, comparve il dittatore, in carne ed ossa.
 
 
Sentì un brivido generale nel gruppo e un gelo impressionante. L’uomo era come sempre l’avevo visto nelle trasmissioni, nelle campagne, negli spot, ovunque, capelli e occhi neri, pelle chiara, un accenno di barba, sguardo sarcastico e malvagio, vestiti super costosi. Forse era un po’ più basso rispetto a com’era in televisione.
“Ha visto signore? Glieli ho portati tutti qui” esclamò Tyler soddisfatto, ma McLean lo fulminò con lo sguardo. “Taci, idiota,” disse, secco. “Io voglio le mie due guardie più fedeli e spietate! Dove sono i miei Duncan e Scott?” esclamò, come se fossero i suoi figli. In men che non si dica, i due sbucarono dalla porta, scansando Tyler malamente e mettendosi di fianco al dittatore.
I due erano visibilmente nervosi ed agitati, ma cercavano di darsi un tono.
“Oh, i miei migliori soldati!” ripetè l’uomo “Così bravi e fedeli che scommetto che a questi bravi ragazzi non è stato torto nemmeno un capello, come vi avevo precisamente ordinato, vero?” domandò l’uomo con tono piatto, ma era questa la cosa che lo rendeva spaventoso. “Assolutamente no, signore” rispose Duncan mentre Scott lanciava stilettate ad ognuno di noi, me compresa.
“Mh, dici Duncan?” disse l’uomo, avvicinandosi a noi. Ero terrorizzata. McLean si fermò davanti a Cameron, e sono sicura che il ragazzino si reggesse in piedi per miracolo, tanto era spaventato.
“E allora come mai questo ragazzo è ricoperto di lividi e ferite?” chiese il dittatore, con tono quasi di scherno.
“Oh, sono sicuro che il ragazzo è sicuramente caduto, vero?” chiese Duncan fissando con i suoi occhi glaciali Cameron, che si limitò ad annuire. Sono sicura che sarebbe svenuto da un momento all’altro.
“Ah si? E anche tutti questi altri ragazzi sono caduti?” chiese l’uomo, mentre vidi Duncan perdere un “iniziò a parlare.
“Quindi, cari ragazzi, avete tranquillamente ignorato i miei ordini.” Concluse.
Dopo un attimo di silenzio, Duncan cercò in maniera veramente poco professionale di salvare la faccia.
“Signore non dica così! Io non c’entro niente, non sapevo che li avrebbero picchiati” si rese conto poco dopo di quello che aveva detto, mentre Scott si sbattè una mano sulla faccia.
“Non sapevi? Penso che voi due, insieme a Geoff, siate i principali responsabili. Tu dov’eri Duncan? Dormivi forse?” la calma e il sarcasmo che il dittatore usava in quelle frasi facevano gelare il sangue nelle vene.
“N-no. Ero in camera con lei” Dopodichè indicò Anne Maria, e vidi la ragazza diventare bianca dalla paura.
“Ah davvero? Quindi mentre gli altri picchiavano tranquillamente questi ragazzi tu te la godevi con questa ragazza… Eh Duncan… sempre il solito” Si avvicinò ad Anne Maria e guardò la bandiera sul suo petto “Italia eh? “ La mora non si mosse di un centimetro e McLean rise.
“Caro Duncan, da quel che so tu sei anche fidanzato, o sbaglio?”
“No signore”
“E come pensi che la prenderà quella povera ragazza che ti aspetta a casa? Sei proprio senza cuore.” In quelle parole non c’era un briciolo di serietà, infatti ridacchiava mentre parlava.
Duncan non rispose e McLean, super rapido, estrasse una pistola, e colpì Duncan. Lo prese nella spalla, e il ragazzo, dopo un urlo strozzato, si gettò a terra, in una pozza di sangue, tenendosi la spalla.
“Oh Duncan, quante storie per una pallottola! Non ne hai mai prese in battaglia?” Il moro non rispose, impegnato com’era a distorcersi e urlare dal dolore. Mi resi conto di essere paralizzata dalla paura.
“Su Scott, portalo via, non voglio perdere altro tempo.”
Il rosso obbedì e con fatica si trascinò via Duncan. McLean li seguì con lo sguardo finchè non sparirono fuori dalla porta.
“Bene miei cari” parlò poi il dittatore “Ci tenevamo ad avvisarvi che abbiamo ucciso una vostra collega, il Capitano della Resistenza Australiana, una certa Jasmine, un vero asso, mi è quasi dispiaciuto annientarla… però sapete, l’idea di tenervi chiusi in queste celle non si è rivelata molto intelligente, infatti è bastato uccidere il capitano per gettare panico in Australia, e stiamo quasi riuscendo a farla nostra, ma non penso vi interessi.” Concluse il discorso “Ora infatti, le vostre nazioni senza di voi hanno subito un grave declino, di conseguenza il nostro piano principale, ovvero quello di farvi vuotare il sacco a proposito dei vostri piani militari, salta, e ci decidiamo a passare subito alle maniere forti.”
Queste parole ci fecero raggelare il sangue nelle vene. Perfino Eva pareva scioccata.
“Quindi beh, voi ora servite a poco… l’importante è comunque che non scappiate… però non so, per ora ho deciso di tenervi vivi, per ora… potrete sempre ritornare utili. Bene, il mio discorso è concluso, potete tornare nelle vostre celle finchè non mi verrà in mente qualcosa.”
Detto ciò, noi che eravamo troppo scioccati per parlare, venimmo trasportati ognuno nelle nostre celle.

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Capitolo 7
*** VI ***


Il mattino seguente (o almeno credo, comunque poco tempo dopo il mio risveglio) sentì le sbarre della mia cella aprirsi: era Scott.
“Muoviti, McLean vuole vedervi tutti.” Parlò meccanicamente senza degnarmi di uno sguardo.
“Non gli è bastato vederci ieri?” domandai con tono arrogante.
Il rosso mi guardò male, e ripetè “Muoviti.” Lo vidi ancor più scontroso e spento del solito.
Senza aggiungere altro mi avvicinai alla iena e mi ammanettò, arrivati poi al portone mi bendò, e mi portò dove solo lui sa. Poco tempo dopo, quando i miei occhi furono liberi di vedere ancora, mi ritrovai in una stanza buia, un enorme televisore appeso al muro con una consolle che lampeggiava. Davanti a questa consolle notai gli altri, che fissavano il televisore. Prima che potessi formulare un qualsiasi pensiero, il televisore si accese, e la stupida faccia di McLean si presentò.
“Ragazzi, siete tutti qui riuniti per una comunicazione speciale” esclamò l’imbecille “ Siccome in questa guerra stiamo andando alla grande, beh, credo che voi non serviate più.. come dire, i vostri segreti potrebbero essere interessanti si, ma chiedono troppa fatica… perché faticare, se ormai è evidente che la vittoria è nostra?” chiese, più a sé stesso che a noi. Io non capivo, diedi una rapida occhiata alla faccia degli altri ragazzi e vidi anche nei loro volti perplessità e ansia.
“Quindi si, insomma, ci siamo capiti no? Non servite più quindi penso proprio che verrete eliminati… beh mi spiace per voi… ma neanche tanto.” Ridacchiò e il televisore si spense.
Non ebbi il tempo di elaborare quelle parole che sentì il rumore di uno sparo. Vicino. Troppo vicino. Troppo tardi. Troppo tardi per Cameron, il ragazzo cadde con un tonfo sul pavimento, centrato nel cranio, in un lago di sangue. Mi voltai e feci appena in tempo a vedere Duncan, con una spessa fasciatura sulla spalla impugnare l’arma, mentre tutti il resto dei soldati caricò i fucili laser.
“Beh che dire? Un po’ mi piacevi anche ma ora vai eliminata, e non intendo disobbedire, mia cara principessa.” Dopo queste parole, tra lo sgomento di tutti, Duncan mi puntò la pistola e partì il colpo, ma istintivamente mi abbassai e lo schivai.
Dopo quell’azione, iniziarono spari per tutta la stanza. Vedevo il caos più totale, mentre Duncan non smetteva di cercare di colpirmi. In quel momento non notai cosa stessero facendo gli altri, pensavo solo a non morire. Quella stanza era il caos, rumore, spari, urla, gente che correva ovunque. Ebbi qualche secondo di tregua nascondendomi dietro la consolle, quando notai un fatale errore delle guardie: la porta della stanza era rimasta aperta.
Non pensai nemmeno alle conseguenze, balzai fuori e, zigzagando tra il delirio, uscì fuori di getto. Notai poi che non ero sola: Alejandro, Heather, Anne Maria, Eva e DJ erano dietro di me. Correvo a più non posso, stupendomi di me stessa. Nemmeno noi sapevamo dove stessimo andando, tra quei corridoi grigi, freddi e tutti uguali. Sentimmo dalla stanza altre urla e bestemmie, dopodichè udimmo spari per il corridoio.
Presa da una forza interiore che nemmeno io sapevo di avere, continuai a correre imbestialita, non notai più chi c’era e chi non c’era dietro di me, non sentivo più rumori o fatica, sentivo solo il bisogno di salvarmi, un istinto animale che mi pervase.
Ad un certo punto mi trovai di fronte una scelta a mio rischio e pericolo: quel corridoio si divideva in altri due, destra e sinistra. Senza nemmeno pensarci presi quello di sinistra, ma notai anche altri ragazzi seguirmi, altri presero quello di destra. Corsi ancora finchè non mi resi conto che le gambe andavano a fuoco, non riuscivo più reggerle, dovevo fermarmi o sarei collassata. Dopo qualche metro vidi una porta in legno malandata, e, con tutta la forza presente nel mio corpo, le tirai una spallata e finì a terra. Strisciai dietro la porta e iniziai a riprendere fiato. Avevo ancora il cuore a mille.
Mi guardai attorno e mi resi conto di essere in una specie di sgabuzzino: c’erano scope e secchi, stracci, abiti e vari rottami. Mentre mi guardavo attorno una testa sbucò nel mio campo visivo. Feci per urlare ma quello mi tappò la bocca, subito dopo pochi attimi di panico mi accorsi che non era altro che DJ.
“Courtney stai calma.” Sussurrò lui fermo, mentre mi calmavo e riprendevo fiato.
“DJ cos’è successo?” sussurrai, avevo gli occhi che mi pizzicavano, probabilmente avevo trattenuto troppo le lacrime, ma non volevo piangere. Oh no, per carità, non avrei mai pianto.
Il ragazzo giamaicano sospirò e parlò di nuovo, sottovoce: “Che dire… ci vogliono sterminare. Cameron, Noah, Justin e Sierra sono stati uccisi nella stanza.” Vidi scendergli una lacrima, e quello fu troppo, perché non riuscì a trattenermi e iniziai anch’io a piangere in silenzio.
“Poi mentre fuggivamo sono sicuro di aver visto cadere Anne Maria ed Eva… non ce la faranno…” disse il ragazzo tra le lacrime. “Heather e Alejandro hanno preso l’altra strada e molti soldati li inseguivano ridendo, dicendo che in un corridoio cieco non andranno lontano..” Non disse più niente e pianse lacrime amare, e io feci la stessa cosa. Mi sentivo così inutile… ed ero così spaventata…
“E adesso che facciamo?” chiesi, ma non mi diede risposta, nemmeno lui sapeva che fare.
Mi asciugai le lacrime con il braccio e mi alzai silenziosamente, ispezionando la stanza. Alla fine di essa, trovai calpestandola, una botola. Provai ad alzarla ma era troppo pesante.
“DJ vieni, ho trovato una botola… se è sicura possiamo nasconderci qui per un po’” azzardai, anche se sapevamo bene entrambi che eravamo come due topi in trappola. Il giamaicano si alzò e, con un po’ di fatica, aprì la botola. Con un salto scesi giù, ed essa automaticamente si illuminò. Rimasi titubante per un attimo, ma notai poi che c’erano solo scaffali, numerosi scaffali, con vari documenti buttati lì, senza fasi troppi problemi che fossero ordinati. Alcuni di essi catturarono la mia attenzione. Erano carte d’identità. Le carte d’identità di tutti i soldati che finora abbiamo conosciuto, molti gli artefici della morte dei nostri compagni.
Lessi velocemente e con poca attenzione le carte di Owen McCord, Tyler Oldring, Brick McArtur, Samuel Froud, Isabelle Crown, Harold McGrady, Geoffrey Petronijevic, Duncan Nelson e Scott Wallis. Nulla che ci potesse dare indizi utili, quando poi DJ mi toccò una spalla e mi indicò una specie di finestrella sul muro.
“Potrebbe essere un tunnel che ci farà uscire da qui” esclamò il ragazzo. Ero stupefatta dalla sua ingenuità e poco sospetto verso gli ambienti estranei.
“Courtney, o tentiamo o ci facciamo ammazzare” disse, evidentemente notò la mia perplessità.
Fortunatamente DJ riuscì a passare e, dopo non so quanto tempo passato a strisciare in un tunnel stretto e sporco, vidi una luce: “DJ penso di esserci!” sussurrai, ma quando riuscì ad uscire, presi un colpo al cuore: ero fuori si, sul retro del carcere.
Ma davanti ai miei occhi avevo davanti l’ultima persona che volevo avere: Scott.
“Andavi da qualche parte?” mi sussurrò all’orecchio, mentre con un calcio chiuse l’uscita del tunnel.
“DJ!” urlai, mentre Scott mi prese una mano e iniziò a correre via.
“Lasciami subito stronzo!” urlai, ma lui non mi ascoltò, come al solito, e si lanciò in un gruppo di cespugli, portandosi me dietro.
“Ora ascoltami bene” disse bloccandomi le mani e mettendo la faccia a due centimetri dalla mia, e ancora una volta quegli occhi grigi ebbero un effetto su di me che io non volevo. “Sei l’unica rimasta sopravvissuta. Il tuo amico giamaicano rimarrà bloccato nel tunnel e altre guardie verranno a prelevarlo.” Non ce la feci a mostrarmi forte ancora una volta, e le lacrime iniziarono a scendere dai miei occhi.
“Siete solo degli schifosi infami.” Sussurrai con odio.
“Mi hanno detto di peggio.” Rispose il rosso, dopodichè tirò fuori un coltello dalla tasca. “Fidati sono davvero dispiaciuto” disse portandomi alla gola l’arma “Ma purtroppo mi tocca eliminarti, con McLean non si scherza.” Stava avvicinando sempre di più la lama alla mia carne, quando con la coda nell’occhio notai un cancelletto aperto: al di fuori di esso la libertà.
Sentì la punta del coltello toccarmi la gola, e, presa di nuovo dall’istinto, tirai un calcio nelle parti diciamo, basse della iena, che con uno sguardo misto tra lo stupore e il dolorante, istintivamente mollò la presa per piegarsi su se stesso, e ne approfittai per fuggire. “Non pensare che riuscirai a scappare, stronza!” urlò mentre con fatica si alzò e iniziò a seguirmi. 

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Capitolo 8
*** VII ***


Sorpassi il cancelletto con una velocità che non sapevi di avere, mentre Scott, ancora dolorante, mi correva dietro, e devo dire di essere stata molto fortunata ad averlo colpito perché è veloce proprio come una iena.
A mia grande sorpresa mi ritrovai davanti un porto, dove varie navi giungevano e salpavano. Non avevo idea di dove si trovasse il carcere precisamente, e fui molto contenta di sapere di essere sulla costa. Avevo perso di vista Scott e la cosa mi rassicurava e spaventava allo stesso tempo, così mi nascosi dietro un mucchio di scatole di legno.
In quel momento mi venne in mente un’idea folle e impulsiva, non da me, evidentemente era l’istinto di sopravvivenza che parlava. Dovevo fuggire, a bordo di una di quelle navi. Ovviamente però dovevo camuffarmi bene e assicurarmi che cosa trasportasse quella nave. Se avesse trasportato cibo o vestiti tanto meglio. Il problema numero uno ora era liberarmi di quella tuta grigia, altrimenti tutti mi avrebbero riconosciuta come prigioniera.
Me la levai, ma poi ero praticamente mezza nuda, dovevo trovare con cosa coprirmi. Inoltre davanti a me era pieno di buzzurri marinai, e non potevo di certo girare con un reggiseno e mutande poco coprenti.  Il caso volle però che le scatole dove mi stavo nascondendo contenessero materiale difettoso o usato, e che evidentemente erano state messe lontane dai moli per non intralciare il lavoro. Frugai velocemente e vi trovai una vecchia divisa da marinaio e un cappello. Era larga, mezza mangiata dalle tarme e sudicia, insomma perfetta per mischiarsi nella folla. Heather e Anne Maria avrebbero preferito sicuramente gettarsi in mare. Sorrisi amaramente, al pensiero delle mie compagne cadute. Le avrei vendicate, ma non solo loro, tutti gli altri.
Indossai quella robaccia e presi una delle scatole a caso, la alzai e camminai verso il molo. Mi girai per un attimo e il cuore perse un battito: vidi Scott, che correva lì attorno, e si fermò davanti alle scatole, trovando la mia tuta. “Che cogliona” pensai, dovevo sbarazzarmene in qualche modo, ma non ci pensai più poi, perché mi mischiai in mezzo a una folla di marinai mentre salivano sul pontile. Tenni lo sguardo basso ma nessuno sembrò accorgersi di me. Arrivai alla fine del pontile e salì sulla barca, cazzo, non ci potevo credere, me ne stavo davvero andando da quel fottuto carcere. Non sapevo dove fosse diretta, ma comunque sempre meglio che lì. Corsi poi velocemente via, e mi imboscai nella stiva.
Eravamo partiti da un pezzo, e come potevo vedere dagli oblò eravamo già in mare aperto. Bene, ora dovevo solo cercare di restare nascosta finchè la nave non arriverà a destinazione. Ero imboscata in mezzo a dei cestini, quando una voce dall’altoparlante mi trapassò i timpani: “Il signor Scott Wallis, soldato del nostro onorevole governatore Chris McLean, perlustrerà la nave per un controllo” Alla parola “Onorevole” stavo per vomitare, quando poi mi resi conto che quel rosso bastardo era salito sulla nave per trovarmi, mi feci prendere dal panico. Guardai gli oblò: sapevo nuotare e dovevo ritornare al molo, fuggendo prima che fosse troppo tardi. Con una lunga asta di legno ruppi il vetro e la feci passare per la finestrella, doodichè la feci cadere in mare. Ero pronta per gettarmi, quando la porta si aprì e mi ritrovai Scott davanti con quello che doveva essere il capitano. Senza pensarci mi buttai, mentre mi sentì dietro un “E’ lei!”, ma ormai non lo sentì più. Caddi a picco nell’acqua, e velocemente ritornai su aggrappandomi all’asta. Ci salì sopra e inizia a remare con le mani mentre la nave si allontanava, ma sentì un altro tonfo.
Mi girai e vidi Scott, che si immerse. Mi salì un’ansia pazzesca e mentre remavo cercavo di trovarlo sott’acqua, ma senza che potessi accorgermene uscì di getto fuori dall’acqua proprio dietro di me e si aggrappò all’asta facendola capovolgere, ma mi tenni ben stretta. Lui però mi afferrò per il colletto: “Credevi di scappare, vero? Mi dispiace, ma con me non avrai via libera cara.” Io lo guardavo, cercando di non piangere. Poi mi ripresi: “Vedo che i tuoi amici marinai non ti sono stati tanto fedeli.” Li si voltò e vide che la nave era ormai lontanissima da noi.
“Razza di figli di puttana! Tornate subito qui o vi faccio ammazzare tutti!” urlò al vento.
“Non credo ti sentano.”
“Tu intanto stai zitta.” Urlò isterico e cercando qualcosa nelle tasche, ma niente. Cellulare, navigatore e vari oggetti elettronici erano distrutti dall’acqua. “Razza di schifosi luridi maledetti...” imprecò per un bel po’ di tempo al nulla, mentre io continuavo a remare.
Dopo qualche ora il sole calava tingendo il cielo di rosa e arancio. Era da veramente tanto tempo che non vedevo un cielo, per di più così bello. Scott, dopo aver smesso di imprecare verso non so cosa, rimase attaccato all’asta, senza più dire una parola, io anche. Ed è strano, perché avrebbe potuto ammazzarmi tranquillamente qui in mezzo all’oceano. Eppure non l’aveva fatto. Ma non era forse quello che voleva fare?
Il cielo iniziò ad oscurarsi, e la mia ansia iniziava sempre di più a farsi sentire. Quando iniziò ad essere abbastanza buio però, mi sembrò di vedere della terra. Forse ero stanca, o affamata, o in preda alle visioni, ma quando mi avvicinai, ero certa che quella fosse terra.
Iniziai a nuotare furiosamente abbandonando l’asta, senza nemmeno fare caso a Scott, e dopo un po’ di bracciate arrivai a destinazione. Esausta crollai sulla sabbia, respirando affannosamente in quell’enorme divisa zuppa. Ero tentata di levarmela, ma poi per mia sfortuna Scott raggiunse la spiaggia. Rimase in silenzio e si guardò attorno, poi sospirò e si levò giacca e pantaloni “Non ci provare.” Biascicai io.
Lui mi guardò con sufficienza e rispose: “Non sei il centro del mondo”. Non l’avrei mai ammesso ma un po’ rimasi male a quell’affermazione. Si sdraiò poi accanto a me sulla sabbia, mezzo nudo e la cosa mi mise a disagio. L’avevo già visto nudo, ma avevo comunque paura di averlo troppo vicino.
“Se ti levassi quell’orrido costume staresti meglio. Ti da danno, si vede.” Disse senza guardarmi.
“Si, certo” affermai sarcasticamente “Così fai prima a saltarmi addosso”
Il rosso sospirò rumorosamente, poi disse: “Cazzo, voi donne siete un po’ montate eh” si girò verso di me e continuò: “Lo dico per te ma fa come voi, non che mi importi”
Lo guardai scioccata: “Per me?! Che cazzo stai dicendo! Mi volevi uccidere fino un attimo fa!”
Lui si alzò in piedi di botto e cominciò a urlare: “Ma porca di quella troia, non vedi che siamo finiti in mezzo al nulla? Cazzo mi serve ora ucciderti? A niente! E’ solo un ordine di quel coglione di McLean ma ora che siamo finiti nel buco del culo del mondo per colpa tua, cazzo me ne frega di ucciderti?!” urlò più a sé stesso che a me, e rimasi senza parole. Ma ovviamente non mi fidavo di lui. E’ vero, ora nessuno poteva più darci ordini, e a quando pare il ragazzo non era poi così devoto a McLean, altrimenti mi avrebbe ammazzata da un pezzo, almeno penso.
“Accendo un fuoco” grugnì, ma cacciò un bestemmione quando vide che l’accendino non funzionava più. Così dopo qualche minuto passato a sfregare tra di loro due bastoncini, un leggero fuoco aveva preso vita. Mi ci misi vicino perché con quei vestiti enormi e bagnati stavo congelando. Lui invece era tutto tranquillo, incurante del freddo.
“Penso che dovremmo dormire” esclamò ad un certo punto. Io non gli risposi e lui, non curandosi di me, si sdraiò a terra. Non mi fidavo, di certo non mi sarei messa a dormire tranquillamente. Rimasi sveglia per altre ore ma sembrava che fosse seriamente stanco. Sospirai e provai a dormire anch’io. 

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Capitolo 9
*** VIII ***


Venni svegliata dalla luce solare la mattina seguente, che nonostante non fosse forte poiché mattino presto, mi infastidì. In fondo, ero abituata al buio della cella…
Avevo ancora addosso quell’orrida divisa da marinaio, che nonostante avessi passato la notte davanti al fuoco, ridotto ora a un mucchio di legnetti carbonizzati, era ancora fastidiosamente umida. Mi alzai a sedere e mi sentì odiosamente irritata dalla sabbia. Mi voltai e vidi che Scott era ancora ronfante in mutande. Decisi così di alzarmi velocemente e mi spogliai del tutto, entrando nell’acqua gelata.
Mi bloccai dal freddo, così mi toccò sedermi nell’acqua e passarmela velocemente sul corpo. Quando poi mi alzai in piedi per strizzarmi i capelli, sentì una voce: “E io che pensavo che non avrei avuto un bel risveglio, stamattina.” Mi voltai e vidi che il rosso si era svegliato, e fissava il mio corpo. Mi abbassai subito e urlai: “Vaffanculo” mentre se la rideva di gusto.
Poi si decise ad alzarsi e a raccattare altri pezzi di legno per accendere un altro fuoco, e io non mi sarei mossa dall’acqua finchè non se ne andava, anche perché ora essendomi abituata alla temperatura dell’acqua, fuori mi pareva molto più freddo. Dopo che lo osservai concludere il fuoco, con un gesto mi disse di avvicinarmi, ma gli risposi:” Passami la divisa”
“Quale, questa?” La alzò da terra, ed io irritata annuì, fece per lanciarmela ma a sorpresa me la lanciò nel fuoco.
“Razza di stronzo!” urlai, mentre lui sembrava molto divertito. “Fanculo, non posso stare nuda per sempre.”
“Tu credi?” mi chiese con sorriso idiota, ma lo incenerì con lo sguardo. Lui allora roteò gli occhi e sbuffò, dopodichè mi lanciò la sua canotta bianca, dopo che si rimise la giacca e i pantaloni militari. Velocemente me la infilai, e devo dire che mi stava larga e mi faceva quasi da vestito. Mi arrivava a metà coscia, ed essendo da uomo non era eppure troppo scollata. Dopo che uscì dall’acqua mi avvicinai al fuoco, cercando di non guardarlo.
“Un grazie sarebbe sufficiente” disse mentre aggiungeva altri legnetti.
“Per questa specie di lercia canottiera?” gli risposi con il mio solito tono.
“Eri tu che non volevi stare nuda o no? Magari potresti anche ringraziarmi per non averti ucciso…” A quelle parole iniziò a ribollire l’ira dentro di me, così mi alzai in piedi di scatto facendolo sussultare.
“Beh si certo grazie! Grazie mille per esserti comportato come una persona e non come una bestia non uccidendomi! Grazie mille a te e al tuo McLean del cazzo, per aver scatenato questa guerra del cazzo! A quest’ora io potrei essere a casa mia con la mia famiglia, e invece no, sono su una fottuta isola deserta di merda con uno stronzo, ovviamente dopo essere scappata da un carcere scadente del cazzo, imprigionata senza nessuna colpa, solo quella di voler difendere il mio paese da un branco di stronzi come voi!” parlai così velocemente e senza riflettere che alla fine della frase non avevo più fiato.
Scott era rimasto totalmente indifferente al mio sclero, e la cosa mi fece infuriare, tanto che stavo per scaricargli un’altra dose di insulti addosso, quando prima che potessi dire qualcosa, mi fece tacere dicendo: “Adesso stai calma, Courtney.” Rimasi spiazzata. Era la prima volta che mi chiamava per nome, e lo fece con una calma tale che rimasi zitta.
“Cosa cazzo credi? Che io mi diverta a stare sotto quel lurido? Siamo costretti contro la nostra volontà, sia io che tutti gli altri. Ma c’è gente come me, o Duncan anche, che prende questa cosa come una valvola di sfogo. Mio padre mi ha obbligato a entrare nell’esercito, ovviamente dopo avermi fatto passare un’infanzia di merda, pestandomi a sangue o infamandomi senza motivo… almeno per noi, ma da ubriaco di motivi ne trovava tanti. Da bambino, quando tu probabilmente giocavi con le tue bambolette del cazzo, io lavoravo in quella putrida fattoria per non farci finire in mezzo a una strada, già eravamo poveri, bastava niente per farci finire male… avevo una madre senza carattere e un mucchio di fratelli, la maggior parte delle cose le facevo io! Per cosa poi? Per trovarmi la sera quel vecchio lardoso ubriaco che mi lanciava bottiglie addosso” Si voltò di scatto e si levò la giacca, e rimasi scioccata dalla quantità di cicatrici che aveva sulla schiena. “Sai quanti anni avevo quando me le fece? Penso non più di otto. Le altre sono andate via, perché evidentemente non erano così profonde” fece una breve pausa. Ero rapita e scioccata dalle parole del suo racconto. La mia vita prima della guerra era decisamente perfetta, invece il vero incubo lui l’ha vissuto nelle mura domestiche… lo guardai ancora ma non parlai, come per incitarlo a continuare.
“Beh, che dire? Iniziò la guerra, caos, vari bombardamenti, persi la madre e due fratelli… mentre quello stronzo sembrava immortale… mi diede la colpa della loro morte, e mi fece entrare nell’esercito. Non so che fine abbiano fatto quei poveri disgraziati, ma uccidere la gente mi libera, mi fa sentire vivo, è uno sfogo per tutte le angherie che ho subito, mi ha trasformato in un mostro praticamente, anche se mi fa sentire straordinariamente bene… eppure con te mi è così difficile… non so perché non riesca a spararti come ho fatto con tutti gli altri… Non lo so, hai qualcosa di diverso…poi, ora che siamo qui, in mezzo al niente, a che mi serve? A niente.”
Lo guardai, e continuai a guardarlo per minuti interi. Lo sapevo, ne ero certa, che una persona non può nascere con tutto quell’odio nel cuore, la sua vita è stata molta più dura della mia, ma non riuscivo a farmelo piacere, insomma, lui aveva ucciso tanta gente innocente, tanta gente della mia nazione e altre, dopo tutti quegli spiacevoli avvenimenti era diventato un freddo cuore di pietra… ma vedevo una luce nei suoi occhi grigi, freddi come lui, una luce che mi diceva che lui non era davvero così.. insomma, che c’era da lavorare e faticare, ma magari alla fine sarebbe servito… in fondo anch’io avevo ucciso della gente, ma solo per difesa… anche se ero certa che, sotto quell’aria da freddo criminale, qualcosa del vero Scott era rimasta…
Notai che anche lui mi stava fissando negli occhi, e, quasi involontariamente, ci avvicinammo. Eravamo a pochi millimetri ognuno dalle labbra dell’altro, io lo guardai, lui mi guardò, poi abbassai lo sguardo sulle sue labbra e mi avvicinai, lui anche, finchè non ci baciammo. Non ci potevo credere, lo stavo baciando, e di mia volontà… perfino lui sembrava preso, chiusi gli occhi e mi lascia trasportare da quel bacio travolgente e delicato allo stesso tempo..
Dopo poco ci staccammo e ci fissammo. Non potemmo resistere, e ci buttammo ognuno nelle braccia dell’altro, mi lasciai trasportare, non pensai più a nulla in quel momento…

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Capitolo 10
*** IX ***


Era calata la sera, e con lei anche il freddo. Avevo mangiato una gran quantità di frutta trovata tra gli alberi, siccome erano circa due giorni che non mangiavo. Io e Scott eravamo sempre sulla solita riva, e senza parlarci aspettavamo la notte guardando il cielo e di tanto in tanto aggiungere legna al fuoco.
Era successo, di nuovo, ma questa volta era tutta un’altra storia. Non so cosa fosse successo, ma una scarica di adrenalina era passata su tutto il mio corpo quando l’avevo baciato, un’attrazione fatale intravedevo nei suoi occhi, non so, qualcosa di strano c’era in quel ragazzo, che in un attimo di debolezza mi aveva fatto perdere il controllo. Era tutto così senza senso, almeno per me, un attimo prima avrebbe dovuto ammazzarmi. E ora siamo distesi, vicino a un fuoco, su una spiaggia deserta.
“Ehi.” Sussurrai, e lui si girò verso di me, non rispondendo ma guardandomi.
“Perché… è successo? Insomma, non mi dovevi uccidere un giorno fa? “
Lui sospirò, annoiato. “Courtney, te l’ho detto, non ha più senso ucciderti per me.”
“Ma se qualcuno ci trovasse? Insomma, non abbiamo nuotato poi così lontano… Non ci siamo nemmeno mai mossi da qui. Se ci scoprissero? E se ci trovassero insieme? Finiresti in un mucchio di problemi, in fondo il tuo compito era quello di…”
Non riuscì a terminare la frase, perché mi sentì tirare velocemente per la mano e Scott mi tappò le labbra con le sue. Mi lasciò poi andare e rimasi un po’ sconcertata.
“E questo?”
“Almeno chiudevi il becco.” Rispose gettando bucce di frutta nel fuoco.
Lo guardai con sufficienza ma mi limitai a tacere.
Eppure io non mi sentivo al sicuro, ero sicura che dopo la nostra sparizione ci avrebbero cercato. Se ci avessero trovati sarebbero stati guai, ma Scott non voleva sentire ragioni.
Passò qualche minuto, e iniziai a vedere una luce all’orizzonte. Era una luce accecante, anche se lontana, e li iniziai ad avere dei dubbi.
“Scott” lo chiamai, ma lui stava già fissando con sospetto la luce. Ci mise veramente poco tempo a farsi più grande, e potemmo notare che si trattava di una nave.
“Viene verso di noi” sussurrai con ansia. Avevo il cuore a mille, e Scott balzò in piedi.
“Sono i ragazzi del carcere. Avevi ragione, stanno venendo qua, hanno visto il fumo e il fuoco. Corri a nasconderti.”
“Cosa ti avevo detto io! Lo sapevo!”
“Non c’è tempo cazzo! Fila a nasconderti!”
“Ma…”
“Courtney lo vuoi capire! Vai!” urlò, e presa dal panico iniziai a correre ma vidi la nave molto più vicina. Mi arrampicai su un albero dal folto fogliame. Ero ad un bel po’ di metri dalla spiaggia, ma abbastanza lontana.
Dopo pochi minuti la nave arrivò alla riva e dopo averla ancorata, scesero figure a me familiari. Duncan e Geoff, che saltarono addosso a Scott, mentre il ragazzo parlava, ma da lontano non capivo niente. Parlarono per un bel po’, dopodichè vidi il rosso avventurarsi nella boscaglia e gli altri due buttavano a terra vari borsoni.
“Courtney” sentì sussurrare.
“Scott” risposi, scendendo dall’albero. “Cosa fanno quelli?”
Il ragazzo sospirò dopodichè iniziò a parlare: “Ho detto loro che ti ho inseguita a nuoto fin qui, ma che non sono riuscito a trovarti. Pensavo che avrebbero lasciato perdere, magari avremmo potuto dire una cazzata a McLean, che eri affogata o robe simili, ma loro hanno insistito per accamparsi qua e cercati domani mattina qui nella foresta.”
Non riuscivo a spiccicare parola. “Ho provato a fargli cambiare idea ma hanno insistito, se avessi rifiutato avrei destato troppi sospetti. Scusa, davvero.”
Non so per cosa essere più scioccata, per il fatto che rischiavo di nuovo la vita o perché lui aveva detto una cazzata per coprirmi, e mi aveva chiesto scusa.
“Perché non mi hai ucciso?” chiesi, guardando in basso.
“Courtney, basta.” Disse fermo.
“Basta niente! Perché non lo hai fatto? I tuoi problemi sarebbero spariti ora no? Perché mi difendi? Davvero, io non ti capisco! Uccidimi ora, ora si che ha senso. Scusa se imbratterò la tua canotta.”
Rimasi ferma davanti a lui, aspettando una coltellata, un colpo di pistola, o che ne so, ma aspettavo la mia morte. Invece mi sentì sbattuta ad un albero, le sue mani strette violentemente ai miei fianchi e le sue labbra prepotenti sulle mie. Mi stava baciando, di nuovo. E anche stavolta ero sinceramente colpita, una scarica elettrica su per la schiena, respiro affannoso.
Feci entrare la sua lingua, ma ero totalmente presa dai miei pensieri. Perché lo faceva? Cosa lo spingeva a coprirmi? Gli piacevo? O era una subdola mossa strategica? Non sono una che sogna ad occhi aperti, ma Scott non era come Alejandro o Justin, non usava certo la bellezza per i suoi scopi. Lui prendeva, agguantava, quello che voleva lo otteneva, subito. Senza secondi fini o mezzi.
Mi staccai da lui con prepotenza. “Si può sapere cos’hai in mente?”
“Dipende a che ti riferisci.”
“Non fare il coglione Scott. Lo sai. Potresti ammazzarmi e risolvere i tuoi problemi, eppure non lo fai, mi baci. Vorrei capire perché lo fai.”
“Ancora Courtney? Basta. “
“Basta un cazzo!” urlai, involontariamente.
“Non urlare! Se proprio ci tieni a saperlo, non voglio ucciderti, ok? Non lo voglio fare. Tu mi piaci, Courtney. E non intendo ucciderti.”
Rimasi momentaneamente spiazzata da quella rivelazione. Ma mi ripresi velocemente:
“E io come faccio a sapere che dici la verità?”
Alzò gli occhi al cielo, poi rispose: “Lo sai bene, Courtney. Io non ho paura di ammazzare, ammazzo tutto ciò che per me è insignificante. Ma tu non lo sei. Se avessi voluto ammazzarti l’avrei fatto e basta. Cazzo, capisci!”
E infatti si, capì. Non mi fidavo al 100% ma sapevo che quello che diceva era vero.
Ripresi a baciarlo, ormai non avevo più controllo. Ci baciammo per tanto, non so quanto, minuti, ore, ma sta di fatto che poco dopo lo sentì fermarsi, e il cuore gli prese a battere a mille.
Mi girai, e per poco non svenni. Duncan era in piedi dietro di noi, con un ghigno malefico sul volto.
“Interrompo qualcosa?” 

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Capitolo 11
*** X ***


“Interrompo qualcosa?”
Duncan ci fissava con uno sguardo a metà tra il sarcastico e il divertito, ma con una luce sadica negli occhi. Io non ero in grado di proferire parola, dato che sentivo lo stomaco chiuso e il cuore che a momenti mi saltava fuori dal petto. Sentivo anche il cuore di Scott a mille, ma cercava di rimanere apparentemente calmo e trovare una scusa credibile.
“Duncan… non è quello che pensi.” Seriamente? Solo con quella frase il moro darà conferma a tutti i suoi pensieri, complimenti iena.
“Strano… a me sembra proprio quello che penso.” Ghignò lui. Si avvicinò, e anche se il mio cervello mi urlava “Vattene” le mie gambe non riuscivano a muoversi. Incollate al terreno.
“Non ci posso credere Scott! Un amore scoppiato tra un soldato e una ribelle, una scena da film.” Rise lui, e per un attimo forse pensai che sarebbe stato dalla nostra parte, quando mezzo secondo dopo aver realizzato quel pensiero mi staccò dal rosso prendendo con forza brutale il mio braccio e tenendomi ferma.
“Non parli più adesso, principessa?” mi disse in tono odiosamente presuntuoso, alzandomi il mento per obbligarmi a guardarlo in quei freddi occhi color ghiaccio.
“Non ti azzardare a toccarla.” Quell’ordine, detto con una calma omicida, ci fece voltare entrambi, Scott non si era mosso, ma guardava Duncan come se dovesse ammazzarlo.
“Oh, Scott!” disse in tono falsamente smielato “Amico mio, posso capire che l’attrazione fisica fotte tutti gli uomini, cosa ti devo dire? Questa puttana ti avrà colto in un attimo di debolezza, ma hai l’occasione di ucciderla tranquillamente, McLean non ci romperà più i coglioni con questi stronzi e ritorneremo a fare ciò che sappiamo fare meglio, uccidere la gente.” Concluse fiero il suo discorso, ma il rosso sembrava ancora più indemoniato.
“Proprio tu Duncan non capisci! Cosa faresti se ti ammazzassero Gwen davanti agli occhi, dimmelo!” urlò, facendo per un attimo sussultare il moro, ma si ricompose subito.
“Non mi dire che questa… puttana ha per te lo stesso valore che ha Gwen per me!”
“Smetti di chiamarla così!” urlò ancora più forte, e questa volta non si trattenne. Saltò addosso a Duncan, che preso di sorpresa mi lasciò andare per gettarsi a sua volta contro il rosso. Ma io ero troppo concentrata sulle parole di Scott. Teneva così tanto a me? Ero così presa da ciò che aveva detto che non mi resi conto che quei due si prendevano a pugni di santa ragione. Avevano la faccia grondante di sangue, ma io riuscì a terminare quella lotta, prendendo silenziosamente un bastone da terra e colpendo Duncan in testa. Il moro cadde subito a terra, e lasciò Scott stupefatto.
“Non è morto” disse semplicemente, fissandolo.
“Pensi davvero tutte quelle cose?” mi guardò nuovamente con la sua solita indifferenza, ma poi sospirò. “Se non le avessi pensate, non le avrei dette.”
Non so cosa mi prese, ma mi buttai tra le braccia del rosso, affondando la testa nel suo petto. All’inizio era titubante, ma poco dopo anche lui mi abbracciò.
“Andiamocene di qui.” Gli sussurrai nell’orecchio.
“C’è Geoff al controllo della nave ma… penso che riuscirò a tramortirlo. Aspettami qui, non voglio che ti veda.”
“Ma Duncan…”
“Rimarrà a terra per un bel po’. Raggiungimi fra dieci minuti.”
“Si.”
Gli risposi solo, mi avvicinai per baciarlo, ma lui era troppo preso dalla nave e si addentrò nella boscaglia.
Sospirai, non potevo credere a tutto quello a cui avevo appena assistito.
Ma i miei pensieri furono interrotti, da una voce profonda e da due mani, una mi chiuse la bocca e un’altra si aggrappò alla mia vita.
“Ci vuole di peggio, per tramortire me.” Mi sussurrò nell’orecchio, e presa dal panico mi resi conto che Duncan aveva solo finto di svenire. In quel momento avrei solo voluto ammazzare Scott.
Duncan mi spinse a terra e si mise sopra di me, puntandomi un coltello alla gola. “Prova solo ad urlare e ti ammazzo.” Sussurrò inviperito, mentre mi bloccava le mani.
“Sei un figlio di puttana.” Gli risposi, ma questa provocazione non lo toccò minimamente. “Cazzo vuoi fare?” dissi isterica, ma sta volta partì un ceffone che mi arrivò dritto in faccia. Rimasi scioccata.
“Hai qualcos’altro da dire, razza di stronza?” Non sarebbe di certo stato uno schiaffo a farmi stare zitta.
“Si, ti ho chiesto cosa cazzo vuoi da me.” Il soldato sembrò molto colpito dalla mia sfacciataggine, ma dopo una breve risatina, mi rispose: “Sai, ancora sono indeciso. Non se ammazzarti oppure scoparti prima di farlo. E’ una decisione difficile, del resto non so che cazzo sia preso a Scott, ma non credere che a lui piaci davvero. A tutti piacerebbe una spagnola, bella mi tocca dirlo, da scopare. Già, sono proprio indeciso, ma d’altro canto, perché non dovrei provare ciò che prova un compagno?” E detto questo, si tolse la maglietta e fece per slacciarsi i pantaloni, quando lo bloccai: “Hai una ragazza.”
Ero troppo presa dal panico, non sapevo che altro dire, come se quello fosse bastato a fermarlo, e infatti manco mi calcolò, e sollevò la canotta di Scott, sotto non avevo praticamente nulla.
“Non ti azzardare” disse con voce strozzata. Se avessi urlato mi avrebbe ucciso, ma non so se la cosa mi importava più ora. Come immaginavo, Duncan non si preoccupò minimamente di ciò che dicevo, e in quel momento speravo davvero che fossero passati più di dieci minuti.
Sentì come un colpo provenire dal basso, e li capì che ero letteralmente fottuta. Con una mano mi stringeva un seno e con l’altra una coscia, mentre cercavo di non fiatare. Spingeva aggressivo, e per un attimo mi sentì mancare, ma fortunatamente poco dopo uscì e venne.
Respirava affannosamente, io invece lo guardavo con un’espressione di puro schifo.
“Spero sarai contento, adesso.” Gli dissi con acidità.
“Molto.” Rispose lo stronzo, mentre si rivestiva. Non feci in tempo ad alzarmi che mi ritrovai quel maledetto coltello alla gola.
“Beh, come ti dicevo, ora devo ammazzarti. Ma sappi che è stato molto bello.” Fece per alzare il braccio e affondare la lama nel mio collo, ma qualcosa lo prese da dietro e lo atterrò. Era Scott.
“Razza di lurido bastardo! Come hai potuto, verme infame?” urlava il rosso mentre lo tempestava di cazzotti belli potenti in faccia. Duncan era stato preso completamente alla sprovvista e non aveva idea di come difendersi, dato che la sua faccia stava assumendo un colore viola livido. Scott afferrò il coltello di Duncan e fece per affondarglielo nel cuore, ma rimase fermo.
“Beh, cosa aspetti iena? Ammazzami.” Gli disse in tono di sfida.
Dopo quella provocazione, affondò la lama e sentì un urlo glaciale.
Guardai meglio, e vidi che non lo aveva ucciso, ma semplicemente gliel’aveva piantato in un braccio. La terra erbosa si macchiò velocemente di rosso.
“Muoviti, andiamo via” mi disse e mi afferrò per un braccio, iniziammo a correre mentre Duncan urlava e cercava di alzarsi. Guardai Scott e aveva uno sguardo davvero affranto. Giungemmo alla spiaggia, dove Geoff giaceva tramortito per terra, con un bastone vicino alla testa.
“Saliamo su questa merda e andiamocene, veloce.” Mi ordinò, mentre salivo e lui levava l’ancora.
Qualche minuto dopo eravamo già in mare, diretti verso il nulla. Due fuggitivi ignari del futuro. Ma finchè lui era con me, non mi preoccupavo più di tanto.
 
ANGOLO AUTRICE
Madonna, che allegria in questa storia haha.. Non preoccupatevi per Duncan, tornerà.  E siccome non l’ho mai fatto, ringrazio tutti i recensori e chi segue/legge questa specie di storia.
Grazie a tutti ancora! 

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Capitolo 12
*** XI ***


Il buio ci circondava, ignari della strada che stavamo prendendo, il vento soffiava, freddo, ma almeno non forte. Scott stava guidando quella nave a caso, girando il timone qualche volta in base a non so cosa.
Dopo essere rimasta per non so quanto tempo a fissare il cielo, decisi di scendere giù nella stiva, accendendo una candela poiché quel rottame era già tanto se si muoveva.
Illuminai una grossa quantità di sacchi e due letti sfatti. Sperai che ci fosse da mangiare in quei sacchi ma non avevo né la forza né la voglia di controllare. Andai verso i due letti e recuperai un paio di jeans lunghi e un po’ consumati, li indossai, mi stavano larghi, sicuramente erano o di Geoff o di Duncan.
Mi fermai a pensare a tutto quello che era successo, sedendomi sul letto, circondata dal buio, e il mio volto illuminato da quella candela. Proprio a tutto, da quando mi risvegliai in quel camion, venni chiusa in quella cella, conobbi gli altri ragazzi, le settimane, o i mesi, chiusa in quel maledetto buco, poi la fuga inseguita dalle pistole, la perdita dei miei compagni, l’imbarco, il naufragio, e ora di nuovo la fuga dall’isola, dopo aver tramortito due soldati, rubato la loro nave e… fuggita con un soldato. Non avrei mai pensato che mi potesse piacere un soldato, soprattutto un bastardo senza cuore come lui, eppure c’era una grande attrazione.
I miei pensieri furono però interrotti da una mano che si posò sulla mia spalla, facendomi saltare e facendo cadere a terra la candela. Mi resi stupidamente conto che era Scott, che spense la fiamma e mi portò sul ponte. Notò gli informi jeans, ma non se ne preoccupò.
“Non ho idea di dove sto andando” mi disse semplicemente.
“Me ne sono accorta… ma ovunque andremo sarà sempre meglio della prigione…” Abbozzò un mezzo ghigno, dopodichè si sdraiò a terra mentre la nave vagava da sola a caso, e mi sedetti vicino a lui.
“Spiegami…” sussurrai, e lui si girò verso di me.
“Perché non hai ucciso Duncan?” finì la domanda, e lui parlò solo qualche minuto dopo.
“Che dire? Non puoi capire quanto l’ho odiato in quel momento, avrei voluto farlo a pezzi, sparargli in gola, non so, ma quando mi sono ritrovato davanti al punto di farlo non ci sono riuscito. Perché cazzo, Duncan è stata l’unica persona nella mia vita che si sia mai avvicinata a qualcosa come un amico. Ci siamo conosciuti proprio in quel carcere, aveva una grossa cresta verde fluo punk, piercing al naso e al sopracciglio, e aveva un atteggiamento di strafottenza decisamente poco consono per un soldato, ma fidati che l’hanno rimesso in riga… anche se ce n’è voluto…” sospirò, poi riprese “Io non parlavo con nessuno a parte con i superiori, ma Duncan è stato il primo con cui ho parlato, e allora ci ho stretto un rapporto… non sono riuscito ad ucciderlo.”
Non dissi più nulla, avrei dovuto immaginarmelo, mi voltai verso di lui ma era già addormentato, sicuramente era stanco morto. Io invece non riuscivo più a prendere sonno, sopra quella barca diretta in mezzo al nulla. Pensavo, pensavo e pensavo ancora, a Geoff e Duncan lasciati sopra quell’isola, a noi due diretti verso l’ignoto, al mondo, a tutto.  Inconsapevolmente però poi mi addormentai anch’io.
Mi svegliai il mattino seguente perchè sentivo brividi e freddo tutti intorno a me , la nave era ferma. Mi alzai e vidi che era ancorata. Avevamo raggiunto della terra. Vidi poi Scott venire verso di me e vedendomi sveglia disse: “Courtney, durante la notte la nave ha viaggiato da sola e abbiamo raggiunto della terra. Non so dove siamo, ma è la volta buona per andarcene definitivamente da questo paese.”
Mi alzai con fatica, ma non riuscivo a vedere bene il paesaggio, un po’ per la nebbia, un po’ per i nuvoloni che coprivano, un po’ perché ero ancora stanca. Ma quando vidi poi Scott scendere dalla barca decisi di seguirlo.
 
ANGOLO AUTRICE
Scusate il capitolo corto, ma adesso con la scuola ho poco tempo per pensare ai capitoli e scriverli. Consideratelo diciamo una premessa del prossimo. Ringrazio ancora tutti coloro che recensiscono e seguono la storia, a presto:)

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Capitolo 13
*** XII ***


Il freddo era pungente quella mattina, ed io, che indossavo una lunga canotta bianca, jeans strappati e scarpe nere lo sentivo bene. Eravamo giunti in una terra sconosciuta da noi, Scott procedeva imperterrito e io lo seguivo, calma ma interiormente ero forse un po’ spaventata.
Dopo una vasta landa desolata e secca appariva un bosco di sempreverdi.
“Fermiamoci” mi disse semplicemente.
“Hai una minima idea di dove siamo?” gli chiesi con una punta d’acidità.
“No, ovviamente. Non ho guidato io.” Mi rispose con altrettanto sarcasmo.
“Beh, io intanto proporrei di accendere un fuoco, visto che non so se hai notato, ma qui si gela.” Gli voltai le spalle e cercai qualche ramo caduto per terra. Ne raccolsi qualcuno dopodichè ne sfregai due insieme e poco a poco il fuoco prese vita, mentre Scott mi guardava con sufficienza.
“Hai voglia di stare lì in piedi tutto il tempo? Muoviti iena.” Gli dissi, apposta per stuzzicarlo, non che fosse una cosa proprio astuta da fare, ma ormai era evidente che c’era una specie di sentimento tra noi, qualcosa di strano e impossibile da spiegare.
Dopo quelle parole la iena si avvicinò a me velocemente, mi tirò per un braccio, attraendomi a lui e costringendomi ad una distanza estremamente limitata. I miei occhi nero pece si mescolavano con il suo grigio perla, il battito cardiaco accelerò fin troppo velocemente per i miei gusti…
“Non ti conviene scherzare con me, lo sai bene.” Parlò con tono piatto ma deciso.
“Altrimenti?” gli risposi, al quanto divertita dalla situazione, nonostante il cuore a mille.
“Courtney, non costringermi a fare cose che non vorrei.”
“Sicuro che non le vorresti?” ero così divertita ed eccitata da quella situazione, ormai era così evidente, non l’avevo scelto io, i miei sentimenti si erano risvegliati e stavano sciogliendo quel pezzo di ghiaccio che era il mio cuore, un tempo freddo e arido, eppure erano bastati solo un paio di occhi grigi per rianimare qualcosa che credevo perso.
La vicinanza a lui mi faceva battere il cuore così forte che pensavo scoppiasse da un momento all’altro! Un soldato che fa perdere la testa ad una ribelle del mio calibro, e ce ne vuole.
“Giuro, mi fai impazzire.” Mi bastarono queste quattro parole per far perdere la testa anche a me, come se fossi ubriaca, non ragioni più e fai tutto quello che ti passa per la mente, subito, non pensi alle conseguenze.
Ci baciammo a lungo, con una passione che non pensavo di avere, che non pensavo che lui potesse avere, che non credevo fosse possibile. Non avrei più voluto staccarmi da lui, lo tenevo stretto a me, le mie braccia al suo collo, strette, come se avessi voluto impedirgli di scappare, ma pensavo che anche lui facesse lo stesso, mi teneva stretta alla vita, affondava le sue unghie nella carne.
“Cazzo…” si lasciò uscire tra attimo di respiro e l’altro.
“Il fuoco si sta spegnendo” dissi con uno stupido sorrisetto, rivolta al fuoco che si stava abbassando lentamente.
“Riaccendiamolo.” Disse semplicemente, e mi ritrovai stesa a terra, sotto sentivo l’erba secca. Non aspettai nemmeno che mi spogliasse, lo feci io da sola, ovviamente sempre tra un bacio appassionato e lungo. Il freddo nemmeno lo sentivamo più, ormai.
Quando due corpi si uniscono non sentono più niente al di fuori di loro stessi, il mondo esterno non esiste più, sono una perfetta unione, unicamente loro.
 
**
 
Era scesa la sera. Il fuoco era ora alto e caldo, e riscaldava quei due nostri corpi ancora non del tutto coperti. Osservavo le sue cicatrici, anche se era brutto da dire lo rendevano estremamente attraente.
Lo guardavo dormire, e vederlo così tranquillo mi metteva l’anima in pace. Perché alla fine, c’era veramente poco per cui stare in pace: eravamo due fuggitivi. Sicuramente ci stavano cercando.
Mi alzai, indossai jeans, canotta e la giacca di Scott e mi incamminai in quel bosco fitto.All’inizio non mi diedi una ragione precisa per quel gesto, forse perché avevo fame, oppure perché speravo che la natura mi trasmettesse un po’ della sua tranquillità.
Camminai per alcuni minuti, e anche se gli alberi erano tutti uguali ero sicura di saper riconoscere la strada, tanto avevo sempre camminato dritto.
Camminavo, osservando gli alberi verdi e il cielo nebbioso. Mi guardavo attorno, distrattamente, la nebbia mi rilassava e agitava allo stesso tempo.
Dovetti guardarmi intorno ancora per un po’ quando la notai. Ero incerta su ciò che avevo visto, “Avrò le visioni” mi sono detta, ma avvicinandomi mi resi conto di non essermi sbagliata.
Era una capanna fatta in legno, dalla perfetta forma di una casa, piccola ma in condizioni perfette.
Non sapevo cosa ci facesse una casa in mezzo al nulla, inizialmente mi inquietò, anche se poi, spinta dalla mia solita curiosità, vi entrai.
All’interno era ancora più piccola di quel che sembrava da fuori, e tutto era fatto in legno. L’unica apparecchiatura ultra tecnologica era un gigantesco televisore che ricopriva il muro, sotto una consolle piena di tasti, spenta. Ad entrambi i muri laterali c’erano delle librerie, stracolme di fogli e scartoffie.
“Dove diavolo mi trovo?!” mi chiesi, ad alta voce, una capanna apparentemente innocua nel bel mezzo di una boscaglia sconosciuta, si rivelava una specie di nascondiglio segreto. Evidentemente quelle zone erano abitate, e non era di certo una fortuna per noi.
Feci scorrere gli occhi su tutti quei fogli, velocemente ma attentamente, finchè dopo qualche minuto notai uno schedario, più grande di tutti gli altri, nero, con sopra scritto in rosso e in grande:
“CARCERE DI MASSIMA SICUREZZA DI TORONTO, DOCUMENTI” Era il carcere da cui ero evasa. Sentì un brivido percorrermi lungo la schiena. Quella fottuta capanna doveva essere uno dei centri segreti di controllo, caratterizzati dall’essere piccoli e nascosti nel bel mezzo del nulla, era così ovvio! McLean aveva attuato questa strategia in modo dall’avere tutti sotto controllo, senza che nessuno controllasse lui. Ma la domanda principale che mi sentivo dentro, “è tutto un caso che siamo finiti qui, o c’è sotto qualcosa?” evidentemente me ne sarei dovuta restare buona dov’ero, forse, o forse la mia curiosità ci aveva salvato la vita…
Aprì lo schedario e  iniziai a leggere, non c’era nulla di che, i nomi di tutti i responsabili, guardie, superiori, misure del carcere, numero delle celle, quanti ne ospitava, soprattutto chi.. La cosa non mi sembrò importante quando arrivai ad un foglio plastificato, al suo interno ne conteneva altri. Lo tirai fuori e feci uscire tutti i fogli. Erano lettere, scritte a mano.
Erano in lingue straniere, potei notare una scritta in russo, per me indecifrabile, come un’altra in giapponese, e altre lingue che non conoscevo, o almeno non bene. Scorrendo ancora ne trovai una scritta in spagnolo. Rimasi titubante, ma decisi di leggerla:
“ 20 marzo 3002,
Egregissimo e Rispettabilissimo Signor McLean,
ho il piacere di informarla che sono riuscito ad eliminare il capitano Garcia, anche se questa fortuna durerà ben poco. Hanno deciso di trovarne uno nuovo, come Lei sa, una nazione non può stare senza un capitano della resistenza.
Ovviamente, la terrò ben informato.
Martinez”
 
“4 giugno 3002,
Illustre signor McLean,
i miei colleghi hanno ben pensato di sostituire Garcia con un nuovo capitano, ancora è tutto segreto, ma non si preoccupi, ben presto riuscirò a darle informazioni più dettagliate.
Martinez”


“10 agosto 3002,
Egregio ed Illustre Signor McLean,
la prego di perdonarmi per le mie scarse informazioni, ma questo nuovo capitano viene tenuto segreto addirittura anche dentro la resistenza. Circolano voci che sia una donna. Mi perdoni ancora per le mie scarse informazioni ma le assicuro che le arriverà un’altra lettera non appena saprò di più.
Martinez”
 
“30 novembre 3002,
Illustre, Nobile ed Egregio Signor McLean,
la prego di perdonarmi ancora per il mio notevole ritardo, ma volevo essere certo delle informazioni che sono riuscito a raccogliere.
Il nostro nuovo capitano non è altro che una ragazzina, la diciassettenne Courtney Barlow, figlia di avvocati, nota per intelligenza, astuzia e freddezza. La ragazza sta svolgendo un grande lavoro per la sua età. Forse meglio di Garcia, dicono addirittura alcuni soldati. Questo è tutto ciò che so, non l’ho mai vista di persona. Ovviamente le farò sapere ancora.
Martinez”


Quelle lettere risalivano a due anni fa. Avevo la pelle d’oca mentre leggevo. Non avevo dubbi. Erano le lettere della talpa, di quel figlio di puttana che mi aveva fatto scoprire. Usare le lettere come mezzo di comunicazione era stata un’idea saggia, poiché la posta cartacea era quasi del tutto eliminata, quindi nessuno avrebbe controllato più di tanto. Ma ancora non riuscivo ad indentificare questo Martinez.
Girai pagina e trovai un’ultima lettera firmata da questa persona:
“3 novembre 3004,
Illustre Signor McLean,
dovrebbe aver ricevuto tutti i dati e le coordinate. Ora per lei trovare la Barlow sarà un attimo. Dopo questa lettera non so se sentirà ancora parlare di me, dato che scapperò altrove per non essere scoperto ed ucciso.
Comunque vada, aver lavorato per Lei è stato il più grande degli onori.
Arrivederla,
Martinez”
 
Non ricordavo certo la data precisa della mia cattura, ma ero sicura che fosse avvenuta pochi giorni dopo quella lettera. E ce n’erano tante altre in lingue diverse. Erano delle talpe dei miei compagni.
Avrei voluto urlare, strappare quei fogli, dar fuoco a quella schifosa capanna, quando sentì sbattere la porta e saltai dallo spavento.
“Cosa cazzo stai facendo qui dentro?” era Scott, che mi aveva colta in flagrante, con in mano tutti i fogli.
“Tu piuttosto, sai niente di tutto questo?!” urlai isterica, sbattendo lo schedario a terra.
La iena non rispose, ma ad un tratto me lo vidi arrivare addosso, poi fu tutto nero.

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Capitolo 14
*** XIII ***


Il nero totale. Questo sarebbe stato ciò che avrei visto se fossi stata cosciente.
Mi resi conto di non esserlo stata fino a quel momento in cui lampi accecanti bianchi squarciavano quel nero. Stavo aprendo lentamente gli occhi, e venni abbagliata, perciò mi toccò richiuderli. Cosa stava succedendo? Dove mi trovavo? E cosa era accaduto prima di tutto ciò?
Cercai di abituare lentamente i miei occhi alla luce, dopo svariati secondi ce la feci. Ricordavo bene, ero giunta con Scott in una landa desolata, dove regnava la steppa, e vari metri dopo boschi alberati. Ricordavo di essermi addentrata tra quegli alberi, dove avevo raggiunto un misterioso capanno, che si scoprì essere un rifugio segreto dell’esercito Canadese, dove vi erano contenuti documenti e file di ogni tipo. Avevo trovato documenti che mi riguardavano, lettere, assai rare, perciò scritte in condizioni di estrema riservatezza. Vi erano scritti fatti che mi riguardavano, e l’autore era lui, la talpa, il traditore. Un certo Martinez, che però non riesco a focalizzare. Purtroppo dato il mio alto livello, tutti conoscevano me ma io non conoscevo tutti. E sicuramente è stata una cosa a suo vantaggio. Comunque sia, dopo averle lette mi ritrovai Scott dietro di me, e poi il nero.
I miei pensieri vennero interrotti quando sentì un forte affaticamento alle braccia e gambe. Solo in quell’istante mi resi conto di essere appesa, legata con scariche di elettricità, che rimanevano attaccate al soffitto come se fossero corde. Alta tecnologia, senza alcun dubbio. Girai lentamente il collo e vidi che mi ritrovavo in un’enorme stanza dall’aspetto glaciale, fredda, davanti a me sorgeva una moltitudine di strani macchinari, e ovviamente un gigantesco computer.
Ma come mi trovavo lì? Di certo non c’ero andata da sola, e l’ultima persona che avevo visto era Scott. Non provai nemmeno a liberarmi da quei fili fatti di elettricità, semplicemente rimasi ferma, consapevole del fatto che un luogo così ultra-tecnologico non poteva di certo essere abbandonato o poco frequentato.
Quasi come ad una risposta ai miei pensieri, la porta scorrevole bianca si aprì. Rivelò proprio la prima persona che avevo sempre in testa: Scott. Non gli diedi nemmeno il tempo di aprire bocca.
“Mi spieghi che cazzo sta succedendo?” gli chiesi con una calma inaspettata persino da me stessa.
Lui non rispose, si limitò a schiacciare un tasto che fece riaprire la porta. Da lì entrarono due persone. Le ultime due persone che mi sarei aspettata di vedere, la loro visione mi fece perdere un battito: Chris McLean e Duncan Nelson.
“Scott..?” mi limitai inizialmente a sussurrare, a causa del cuore in gola. I due stronzi avanzarono imperterriti verso Scott, tutti e tre avevano un ghigno vittorioso sul volto.
“Mi spiegate che cazzo succede?” Stavolta urlai, o almeno quella era la mia intenzione, fuoriuscì dalla mia gola solo un verso strozzato.
“Beh, d’altro canto ha ragione! Ritrovarsi qui, all’improvviso, deve aver suscitato un’ansia incontrollabile.”
esclamò McLean. Stavo per rispondergli, ma riprese a parlare.
“Scott, vuoi spiegare alla tua fidanzata la situazione?” gli domandò con molta ironia nella voce, puntai gli occhi verso Scott. Non poteva essere stato lui a condurmi da loro. Di sicuro ci hanno trovato e catturato. Di sicuro.
“Beh, che dire cara Courtney? Penso che inizierò fin dall’inizio.”
“Scott che cazzo…”
“Sarei grato se non interrompessi la storia” Interruppe a sua volta McLean, soddisfatto.
“Sarei grata, se te ne andassi a fanculo!” risposi fuori di me, ma evidentemente McLean non gradì. Tirò fuori dalla giacca blu un telecomando pieno di tasti. Ne schiacciò uno, e le scariche iniziarono a passare violentemente su tutto il mio corpo, dandomi l’impressione di andare a fuoco. Gridavo incontrollabilmente, anche se per fortuna finì velocemente.
“Dicevo… partirò dall’inizio. Ricordi quando tu riusciti a sfuggirmi, quel giorno che avremmo dovuto fare una pulizia generale di voi stronzi prigionieri? Quando tu riuscisti a scappare dal cancelletto accidentalmente lasciato aperto… si esatto, mi ricordo bene che quando uscì c’erano navi pronte a salpare e una miriade di gente. Tra l’altro trovai la tua divisa per terra. Una mossa azzardata per una ragazza intelligente come te. Ma nonostante ciò riuscì ad individuarti. Salì sulla nave, ma tu invece che farti consegnare ti buttasti giù dalla nave, e a me toccò seguirti. Quando poi vidi che la nave se ne andava, il mio cervello elaborò il miglior piano della mia vita: ora che eravamo solo noi due, perché non farmela in qualche modo, diciamo, amica? Sicuramente avrei estorto un bel po’ di informazioni, e ucciderti sarebbe stato molto più facile. Si, direi il miglior piano della mia vita. Duncan e Geoff sapevano tutto, uno dei miei cellulari funzionava ancora. Si, è stata tutta una messa in scena. Mi è toccato piantare un coltello nel braccio di Duncan, per rendere tutto più realistico… ma ciò che non uccide ti rende più forte no? A quel punto ero certo di averti in pieno possesso. Credevi che io ti amassi. Come se io ne fossi in grado. Arrivammo qui, il tutto era ovviamente programmato, ma non il fatto che tu ficcanasassi tra i nostri documenti. E li allora mi è toccato tramortirti. Ed ora eccoci qui.”
 
Nemmeno io ero certa di essere del tutto cosciente, dopo aver sentito quello che aveva detto. Nella mia testa c’era un urgano, nella mia gola un groppo, il cuore era totalmente piatto. Non riuscivo a realizzare. Insomma aveva solamente finto. Per lui era stata una recita, un finzione. Non potevo crederci. Non riuscivo nemmeno a pensarlo. Aveva giocato coi miei sentimenti per tutto il fottuto tempo.
Dopo l’iniziale disorientamento, ad un certo punto sentì un’energia percorrermi tutto il corpo: una rabbia incontrollata.
“Figlio di puttana! Schifoso lurido infame! Fammi scendere, poi vedremo chi avrà di nuovo il coraggio di dire cazzate!” ero del tutto fuori di me, se fossi davvero stata libera sicuramente li avrei ammazzati tutti e tre a mani nude.
McLean continuava a mandarmi scariche elettriche lungo il corpo, ma mi faceva agitare ancora di più. La mia rabbia non era mai stata così potente. La mia voce stava sparendo da quanto urlavo, ma poco me ne fregava.
Quando la scossa finì, non avevo più fiato. Ne ripresi poco alla volta, dopodichè domandai, senza lasciar tempo a quegli stronzi di parlare:
“Cosa volete ora?”
“Sono forse domande intelligenti queste mia cara principessa? Ovviamente eliminarti definitivamente dalla faccia della Terra.” Fissai Duncan con un odio che non sapevo di provare, che non sapevo sarebbe stato possibile essere contenuto in un unico essere umano.
“Tu stai zitto maledetto bastardo!”
“La ragazza sembra un po’ irascibile oggi! Penso che ora porremmo fine a tutta quest’agitazione!” esclamò McLean, spingendo un tasto che eliminò le scariche e mi fece cadere a terra, stanca morta.
Tutti e tra tirarono fuori poi dei fucili laser, rapidi e letali. Ma non mi sarei arresa così facilmente. Oh no. L’avrebbero pagata cara, Scott soprattutto. Sarebbe stato il primo.
Li puntarono verso di me e fecero fuoco. Rotolai velocemente a terra e balzai in piedi. I laser anche se rapidi erano ben visibili, e anche se stanca li schivai tutti, avvicinandomi sempre di più a loro. Sferrai un calcio che fece cadere il fucile dalle mani di Duncan, e più veloce della luce lo raccolsi.
“Vediamo chi ride, adesso.” Dissi, in un tono così calmo che fece venire i brividi persino a me stessa.
 
ANGOLO AUTRICE
Scusate il ritardo! Ma a causa di impegni vari e poca ispirazione non sono riuscita ad aggiornare! Spero vi piaccia questo colpo di scena, inoltre siccome mi ci vorrà un altro po’ per pubblicare il prossimo, ringrazio di cuore tutte le persone che seguono e recensiscono la storia! Grazie davvero!
A presto J

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Capitolo 15
*** XIV ***


Ci fu un attimo di silenzio tombale. Duncan era disarmato, mentre Scott e McLean mi fissavano increduli. Io continuavo a puntare il fucile contro di loro, anche se il mio corpo stava lentamente cedendo. Ero sfinita, distrutta.
 Ma avevo una gran fame. Una fame di vendetta, sangue. La testa mi girava per le troppe emozioni. Ma ora basta con le emozioni. Sono solo una trappola, una grande trappola mortale, che ti benda gli occhi e il cervello. Pensare con il cuore non ti porta da nessuna parte. L’ho imparato sulla mia pelle. Se vuoi vivere in questo mondo, un cuore non lo devi avere.
Ero così infuriata, che cominciai a colpire con rabbia e decisamente poca attenzione e mira i miei tre nemici. Non puntavo più nemmeno ad uno di loro in particolare, volevo solamente che crepassero il più velocemente possibile. Ma loro non stavano di certo fermi a farsi colpire da me, quindi dovevo anche stare attenta a non essere presa. Duncan era totalmente privo di difese, allora puntai verso di lui e lo presi vicino allo stomaco, e dopo un urlo strozzato cadde a terra, immobile. Non mi curai se fosse vivo o morto, avevo altri due stronzi a cui badare.
McLean colpiva con una ferocia inaudita, e io che pensavo che senza la sua scorta non sarebbe stato nemmeno in grado di lanciare una pietra, e non capivo perché Scott, il traditore, si fosse messo da parte, sparando qualche colpo a caso ogni tanto, lasciando totalmente spazio al dittatore.
Mi riparai dietro una macchina elettronica e continuavo a sparare, senza mai beccare uno di loro. Ero riuscita a ferirli si, ma non demordevano. Anch’io avevo solamente graffi, alcuni più profondi e fastidiosi di altri, ma non ero di certo messa poi così male. Puntavo a quel bastardo di McLean, Scott non era più una mia priorità. Se fossi riuscita ad uccidere il dittatore, l’intero Canada sarebbe caduto in rovina, del resto i suoi seguaci non erano di certo fedeli come sembravano…
Ma di certo non potevo ucciderlo in una stanza. Ovviamente no. Dovevo farlo in luogo affollato. Ma non sapevo nemmeno dove mi trovavo. E le porte erano blindate. D’improvviso m’illuminai: c’era una finestrella, posta in alto alla parete davanti a me. Era parecchio in alto, ma se fossi riuscita a saltare sopra tutti quei macchinari l’avrei raggiunta sicuramente. Ma non potevo di certo farmi inseguire, o non sarei mai riuscita ad uscire in tempo. E fu così che, presa dall’ansia di morire e dalla furia di essere stata usata, il mio cervello elaborò il piano più macabro che mai avrei pensato fossi in grado di pensare.
Mi alzai, e, con una rabbia incontrollata, corsi veloce come non mai, sparando all’impazzata in direzione di McLean. L’uomo era sbalordito nel vedere la mia mossa, ma non si scompose minimamente e continuava a sparare. Scott invece assunse uno sguardo allibito e smise di sparare. Nell’attimo in cui McLean si girò verso di lui, urlando rabbioso: “Razza di idiota, perché hai smesso di sparar…”
Quella frase non venne mai completata. Uno dei miei colpi raggiunse la fronte di McLean, trafiggendogliela. Il corpo cadde a terra con un tonfo pesante. Per un attimo mi fermai. Le mie braccia tremavano, il respiro accelerava, il cuore era impazzito. L’avevo ucciso. Era morto. Christopher McLean, il peggior dittatore conosciuto dall’uomo, era morto, e l’avevo ucciso io, Courtney Barlow. Dopo aver realizzato, spostai lo sguardo su Scott. Fissava il cadavere con sguardo perso, incredulo, ma allo stesso tempo apatico. Mi aspettavo un attacco, ma restava immobile senza di una parola. Allora, incurante di ciò che avrebbe potuto fare in seguito, scattai come un felino sul corpo del dittatore e gli sfilai il coltello laser multiuso che teneva attaccato alla cintura. Appena la lama virtuale, ma incredibilmente letale, uscì fuori dallo strumento, la abbattei sul collo dell’uomo, staccandogli la testa.
Fiumi e fiumi di sangue uscirono dal collo e dalla testa, una visione talmente orribile che per un attimo mi sentì mancare. Spostai nuovamente lo sguardo verso Scott, ma il traditore si era solo spostato più in là di qualche centimetro, guardando disgustato la scena, senza parlare. Aveva lasciato cadere il fucile.
Mi sentivo terribilmente in difficoltà ora. Lo stesso soldato che prima aveva finto di essere mio alleato, mio amico, mio amante, ora assisteva impassibile alla morte del suo capo. Senza proferire parola. E se mi avesse sferrato un attacco a sorpresa? Se mi fosse saltato addosso all’improvviso, e ora cercava solo di confondermi?
La testa di McLean rotolò più lontano, e io scattai in avanti per prenderla. L’afferrai per i capelli e incominciai a correre, senza voltarmi indietro. Balzai su un macchinario e con una mano sola mi arrampicai fino in cima. Dovevo saltare su un altro più alto davanti a me per raggiungere la finestrella. Stavo per farlo, quando all’improvviso sentì una fitta allo stomaco. Pensai che Scott mi avesse sparato e mi girai verso di lui. Ma era ancora immobile, col fucile per terra. Guardai verso Duncan, ma era ancora immobile per terra. Pochi secondi dopo avevo la nausea. La testa mi girava. Caddi in avanti, ma mi alzai subito dopo. Dentro di me c’era qualcosa che mai avevo provato. Un mix di follia, rabbia, adrenalina, stanchezza, delusione, voglia di riscatto, consapevolezza di avercela fatta, ma che non era ancora finita, mi stravolgevano il corpo, il cervello e il cuore. Ero vicinissima alla finestrella, e correndo sempre più forte, ignorando quei dolori, con il gomito la distrussi e uscì fuori.
Sempre con una mano mi aggrappai al cornicione e vidi una cosa che mai avrei creduto di vedere: ero sulla cima di un’immensa struttura, ed ero circondata da un tetro paesaggio: non mi trovavo più nel mio vecchio carcere, ed intorno a me c’era un paese, quasi totalmente distrutto, case che cadevano a pezzi, edifici crollati, persone morte sulle strade, che urlavano, o, ancor più inquietante, vagavano come zombie, senza minimamente preoccuparsi del pericolo, con occhi vitrei e puntati verso il basso. Alcuni venivano fucilati, e cadevano con un sordo tonfo. Le urla erano causate da soldati che sparavano a destra e a manca, distruggevano, razziavano, uccidevano. I colori erano spenti, grigi, sembrava davvero di essere in un macabro quadro.
La vista di tutta quella violenza, di quella disumanità, del fatto che quel maledetto figlio di puttana di McLean avesse devastato mezzo paese per costruirci sopra un carcere, solo per il gusto di vedere altra sofferenza, privare nuovamente le persone della loro libertà, di credersi il padrone supremo. Fu questa la goccia che fece traboccare il vaso.
Guardai solo per un istante la testa del tiranno che tenevo tra le mani, ma distolsi subito lo sguardo, la visione era troppo orribile. Mi arrampicai con difficoltà sul tetto, e, non appena appoggiai entrambi i piedi sopra, ed ero sicura che chiunque sarebbe stato in grado di vedermi da quassù, respirai profondamente, una, due, tre, dieci volte circa, poi, con tutto il fiato che avevo in gola, urlai: “McLean è morto!”

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Capitolo 16
*** XV ***


Madrid, 14 aprile 3007
Sono passati già ben due anni dalla fine della guerra. Ben settecentotrenta giorni. Mi sembra che siano passati solo due giorni. L’intensità di emozioni che c’è stata esattamente questo giorno, due anni fa, è stata una cosa indimenticabile ed impossibile da descrivere. Che dire? Partiamo dall’inizio.
Ero stanca, sfinita, distrutta fisicamente, ma psicologicamente ero più forte di un esercito intero. Anche se avevo il cuore spezzato e fitte lancinanti che provenivano dallo stomaco, mi stavo arrampicando su quell’edificio dove mi ero risvegliata poco prima ed avevo ucciso il temutissimo McLean, l’uomo più malvagio dell’universo. Avevo tra le mani la sa testa, che tenevo per i capelli corvini, e non osavo guardarla. Dopo essermi arrampicata, e con tutta la voce che possedevo in corpo urlai che il dittatore era morto. Dopo ciò lanciai la sua testa contro un gruppo di soldati, che si schiantò contro uno di loro e si spiaccicò contro di esso, riducendosi ad una poltiglia rossa e facendo cadere a terra privo di sensi il mal capitato. Tre secondi dopo circa successe il finimondo. La povera gente, i più deboli e indifesi, che fino ad un secondo fa sembravano anime in pena senza nemmeno più un’emozione, improvvisamente si trasformarono in rivoluzionari, correndo addosso ai soldati per pestarli di santa ragione, anche a mani nude, o con oggetti presi per strada, alcuni dopo aver massacrato i seguaci di McLean rubavano loro le armi, decisi a far riportare la pace, anche se non con mezzi proprio pacifici, ma si sa…. Del resto, ormai, di questi tempi, la pace può essere ottenuta solo con la violenza, incredibile paradosso.
Convinta che nessuno mi calcolasse più, ero decisa ad andarmene per sempre da lì, scesi agilmente dal tetto e scivolai giù per le grondaie. Incredibile ma vero, mi nascondevo perfettamente nel caos totale, anche se non avevo idea di dove andare, correvo per le strade a caso cercando di non farmi ammazzare. Fortunatamente avvistai poi in lontananza un negozietto, con la vetrina rotta e completamente saccheggiato, ma almeno vuoto. Mi nascosi lì dentro, mentre fuori c’era forse più sangue di prima. Ma non ero in ansia, perché sapevo, ne ero certa, che dopo la morte di McLean il Canada sarebbe caduto, e quindi sarebbe tornata la pace. Presto, molto presto.
Mi voltai velocemente e con mia grande gioia mi accorsi che quel negozio era un alimentari. Mi fiondai su quello che era rimasto e divorai pane, frutta, verdure, acqua e latte. Anche se sapevo che non dovevo abbuffarmi per non essere meno attiva ad un possibile attacco, non riuscì a trattenermi. Era troppo, troppo tempo che non mangiavo cibo vero. Ma ritornai presto sulla terra. Dovevo andarmene. Chissà, probabilmente qualcuno mi aveva riconosciuto, e magari mi stavano cercando, nulla era certo o da escludere. Notai poi, sul pavimento rotto del negozio, alcuni vestiti, evidentemente dopo mesi di agonia la fortuna si era accorta di me. Levai quegli abiti ormai logori che avevo addosso e misi una felpa lunga e larga nera col cappuccio, con sopra un cappotto verde. Mi alzai il cappuccio e sguisciai fuori, correndo verso una metà ancora non precisa, ma correndo, poiché la situazione stava peggiorando. Stavano arrivando altri carri armati, soldati che incutevano timore con armi d’ultima tecnologia, ma il popolo aveva dalla sua parte la rabbia, l’odio, la vendetta. E spesso sono più potenti delle armi.
Nel frattempo era calata la notte, ma il caos non diminuiva, anzi. La notizia della morte di McLean era già arrivata in tutto il Canada, e anche se ero certa che le potenze avrebbero fatto di tutto per non farla uscire da esso, non ce l’avrebbero fatta. Per un volta sarebbe stato il popolo a parlare, ad urlare la verità per le strade. Parlando di strade, girovagavo per esse, ormai senza più fiato, dove uomini e donne urlavano brandendo torce accese, coltelli e armi decisamente poco adatte alla nostra tecnologia. Ma si sa, dopo la fine di ogni guerra, anche se c’è la pace, c’è sempre un periodo di retrogressione. Anche se ero più o meno contenta della situazione, non mi sentivo al sicuro, chiunque avrebbe potuto sparami credendomi chissà chi, o mi sarebbe potuta tranquillamente arrivare una pallottola destinata ad un altro. Ero stanca, ma non ci pensavo minimamente a fermarmi per riposare o dormire. Dovevo sperare di essere vicino al mare, e fuggire. Per sempre. Dovevo tornare in Spagna. Così, presa da quel forte desiderio, iniziai di nuovo a correre, corsi per non so quanto tempo, forse tutta la notte, non avevo più fiato, ma il pensiero che presto sarebbe finita mi diede tutta la forza.
Tutto nero. Quando poi, bagliori di luce si insinuarono nella mia vista, finchè non aprì del tutto gli occhi. Ero distesa su una stradina, in mezzo a delle siepi piuttosto instabili. Cazzo, devo essermi addormentata, evidentemente il mio fisico non ha retto a tutta quella fatica. Mi alzai, ma sentì altri dolori. Li sentivo nella zona dello stomaco, circa. Non pensai fosse fame, ormai ero abituata a mangiare poco. Ma non ci feci più troppo caso, e ripresi a camminare. Dovevo trovarmi in un luogo decisamente dimenticato da tutti, dato che non c’era quasi nessuno per strada. Giravo ancora incappucciata, ma già potevo notare graffiti e scritte sui muri sulla morte del dittatore e su quanto la gente abbia bisogno di pace. Tutto ciò mi mise un senso di tranquillità addosso.
Decisamente quello era il mio periodo fortunato: si, mi trovavo vicino al mare, e si, riuscì ad imbattermi in un porto. Beh no okay, chiamarlo porto era un’esagerazione, diciamo quello che ne era rimasto: deserto, le barche e le navi sparite, erano rimaste legate solo delle zattere e bagnarole decisamente poco stabili. Decisamente meglio di niente. E così, ormai dimenticato il mio senso dell’organizzazione, della prudenza, e della strategia, in maniera del tutto impulsiva, non da me normalmente, saltai su una scarsa barchetta a motore, dopo varie imprecazioni si accese e con una sgommata d’acqua, partì.
Mi resi conto di cosa stava accadendo: stavo lasciando per sempre il Canada, non potevo crederci, alla fine tutte le mie fatiche e le mie pene erano state ripagate. Mi sarei allontanata per sempre da quel luogo dove c’erano stati solo problemi, ansie, paura di morire… e Scott. Scossi subito la testa a quel pensiero, quel bastardo non mi riguardava più. Appena dopo aver realizzato quel pensiero, sentì un’altra fitta e mi dovetti chinare a vomitare. Mi ripresi poco dopo, ma Dio santo, cosa cazzo mi stava succedendo? Mal di mare, senza dubbio, pensai. Cercai di distrarre i miei pensieri frugando un po’ in quella sottospecie di barca e con mia grande gioia trovai un navigatore. Perfetto, così avrei evitato di girovagare per gli oceani e magari morirci, e non ne avevo nessuna intenzione. Vi trovai sempre con mia grane gioia anche delle bottiglie d’acqua, ma non del cibo. Deglutì, sperando che sarei riuscita a resistere.

Non so di preciso quanto tempo passò. Giorni di sicuro, una settimana forse. Ero sfinita, distrutta dalla fame, lo stomaco pieno d’acqua, ormai non ero più lucida, avevo nausee continue e sempre mal di stomaco, se non avessi mantenuto un minimo di lucidità mi sarei già gettata in mare. Ero convinta che fossero allucinazioni e quasi le ignorai, ma poi le riconobbi: le spiagge spagnole, che sognavo da mesi. Non ci credevo, iniziai ad urlare, a piangere, a strillare, mi lanciai da quella bagnarola che si dirigeva verso non so dove, e cominciai a nuotare, con una forza incredibile, anche se vista normalmente probabilmente ero più lenta di una lumaca ma decisamente notevole per la forza praticamente assente nel mio corpo. Raggiunsi la riva e mi accasciai sulla sabbia, e mi addormentai di colpo, dopo stenti incredibili.

Non so cosa successe dopo, so solo che mi svegliai in un letto d’ospedale, un panno freddo sulla fronte e qualche filo attaccato. Ma l’unica cosa che notai davvero fu il piatto appoggiato sul comodino lì vicino che conteneva pane, minestra e una bottiglia d’acqua. Avevo talmente tanta fame che mi lanciai su di esso, bevendo la minestra direttamente dal piatto. Quando finì di mangiare famelicamente, mi resi conto di non essere sola. C’era un dottore lì con me, anziano, alto e magro, che mi osservava con un mezzo sorriso:
“Finalmente si è svegliata, signorina Barlow.”
“Chi sei? E dove sono?” chiesi, avevo di nuovo il cuore che batteva dall’ansia.
“Non deve avere nessun timore.. Si trova in un ospedale, a La Coruna… è stata ritrovata sulla spiaggia, svenuta per gli stenti, dopo la sua fuga dal Canada, che a quanto pare è durata diversi giorni… Non si preoccupi, lei riceverà tutte le cure gratuitamente e potrà andarsene quando vuole lei e…”
“Scusi” dissi interrompendolo, mi stava già facendo venire il mal di testa “Lei come sa chi sono?”
A quella domanda si dimostrò quasi stupito. “Come potrei non saperlo? Lei ha salvato il mondo. Lei ha ucciso Chris McLean.”
Ebbene si, dopo la morte di McLean la guerra era finita, gli alleati si arresero e la pace e la giustizia tornarono finalmente nel mondo. Ovviamente non tutto era perfetto. La guerra distrusse gran parte dell’avanzata tecnologia, delle case, degli edifici, delle popolazioni, e anche ora a distanza di tre anni tutti lavorano sodo per cercare di riparare ai danni.
E di me, che dire? Quelle fitte allo stomaco non erano per la fame. Proprio no. Pochi mesi dopo, mentre stavo sempre alloggiando nell’ospedale, mentre stavo facendo degli esami e quindi una radiografia, il dottore notò subito qualcosa di strano. Il panico mi invase, pensando fosse una malattia, e non potevo certo accettare di morire ora dopo tutto quello che avevo passato. Ma non era nulla di tutto questo. Ero incinta.
Partorì nell’ospedale, il 15 dicembre 3005. E non serviva nessun esame del DNA per capire di chi fosse. Pelle caramellata come la mia, lentiggini, ciuffi castani, ma non nocciola come i miei, ero più un castano sul ramato, e, tocco finale, due grandi occhi grigi. Era così bella che non me ne sarei più separata. Ora mia figlia Victoria ha un anno e mezzo, è bella come il sole, ma purtroppo non passo molto tempo con lei.
Sempre mentre ero in ospedale svolgevo delle ricerche, per capire chi mi fosse rimasto a Madrid. Il risultato finale delle ricerche mi sconvolse. I miei genitori erano morti, uccisi dai Canadesi, non avevo fratelli, ma seppi che molti altri miei familiari erano morti per mano loro. Altri parenti invece erano fuggiti, e non ancora tornati in patria. L’unica persona che trovai era mia cugina Jacinta, che aveva dieci anni in più di me. La contattai e le chiesi se avessi potuto stare da lei per un po’ dato il mio forte desiderio di tornare a Madrid. Lei era felicissima, non mi lasciò nemmeno finire il discorso dicendo che anche lei mi stava cercando e sarebbe stata onorata di ospitare me e la mia bambina. Non dovetti nemmeno muovermi, venne lei a prendermi.
E ancora oggi vivo con lei, siamo in tre in un monolocale, certo potrei permettermi molto d più, ma per ora preferisco aspettare. Inoltre io non ci sono quasi mai, perché ora sono impegnata in politica e sono un personaggio pubblico famoso in tutto il mondo, riconosciuta come la salvatrice dell’umanità intera. A volte mi chiedo se esagerano, ma si, diciamo che al mio ego piace. Dicevo, essendo impegnata principalmente in politica, non ho mai tempo libero, perciò Jacinta si occupa di Victoria, e mi dispiace, perché tutto il lavoro da madre lo fa lei oramai, ma diciamo che nemmeno io sono un tipo che sta chiuso in casa a far faccende. Questo è il mio riscatto. Verso tutte le sofferenze che ho passato. Me la merito ora, questa felicità, e ne sono consapevole.
 
*ANGOLO AUTRICE*
Ciao a tutti!
Come al solito mi scuso per il notevole ritardo, ma diciamo che è stato un periodo impegnativo. Se ve lo state chiedendo no, non siamo ancora alla fine. Manca ancora un po’ ;)
Vi ringrazio tutti per le recensioni, e scusate se non sempre rispondo, ma i vostri commenti mi fanno sempre tantissimo piacere, davvero. Grazie mille a tutti ancora, a presto!
Hippiespirit 

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Capitolo 17
*** XVI ***


Madrid, 2 ottobre 3007, ore 23:50
Sento il rumore dei miei tacchi amplificato mentre salgo le scale per arrivare a casa mia. Casa, è un parolone, ma diciamo che per ora mi accontento. In questo momento penso solo al mio letto, è stata una giornata così stressante, ripetere sempre le stesse cose ma parlando in così tante lingue diverse, apparire e dimostrare di essere costantemente la persona più importante al mondo.
Tiro fuori la chiave dalla mia borsa, apro la porta, e come ogni volta guardare questo minuscolo monolocale dove tra l’altro viviamo in tre, mi causa attacchi claustrofobici. Aprendo la porta ti si presentano subito gas, frigo e forno, il tavolo con due sedie, il divano-letto alla mia destra e alla mia sinistra la porta per la mia camera, dove al suo interno a sua volta c’è la porta che ti conduce al bagno. Lo so, lo so che per ora mi devo accontentare di vivere qui per non essere assalita ulteriormente da paparazzi, fanatici, politici e disturbatori vari, ma la mia pazienza è visibilmente ridotta. Ma non dovrei fare così, mia cugina Jacinta mi ha dato la sua camera, mi ha ospitata e mantiene la mia bambina, mi dovrei solo vergognare lo so. Ma non ce la faccio più.
Butto la borsa a terra, levo i tacchi rossi e noto che il divano letto è vuoto. MI giro per controllare in camera, è tutto buio ma riesco a notare ugualmente sul tavolo una busta bianca. Chi diavolo manda delle lettere? Il disboscamento è divenuto illegale da anni ormai, per evitare la fine, oltre che degli alberi, di noi tutti, chi è quel folle che manda lettere quando può tranquillamente usare ogni sorta di tecnologia?
Già irritata di mio, prendo la lettera e con abbastanza forza la strappo per aprirla, con il risultato di romperla a metà, aumentando la mia irritazione. “Spero che chiunque sia abbia un motivo valido.” Pensai tra me e me mentre strizzai gli occhi per leggere, notando una calligrafia decisamente rozza, ma …
 
“Courtney,
non so nemmeno io perché ti sto scrivendo, non so, forse sono troppo ubriaco. Mi manchi da morire, giuro. Scusa per quella storia di McLean, ero costretto a farlo, altrimenti avrebbero ammazzato anche me. Per questo non ti ho sparato e ti ho lasciato uccidere McLean. So tutto, ora sei considerata la salvatrice dell’umanità, direi che te la spassi… probabilmente avrai milioni di impegni, un sacco di uomini… non avrai voglia di perdere tempo con me. Volevo solo chiarire. Il piano c’era si, ma qualcosa è andato storto…dentro di me. Ti amo tantissimo Courtney. Forse un giorno ci rivedremo chissà. Ma non ora.
Scott”
 
Dopo averla letta, rimasi sconvolta per circa due minuti, fissando il foglio strappato. Subito dopo mi accorsi che piangevo, lacrime salate e silenziose che sgorgavano lungo le mie guance ambrate. “Che cazzo è questa roba? Chi si permette di farmi questi cazzo di scherzi?!” sbraitai, subito dopo sentì un pianto e la luce della camera da letto accendersi.
“Courtney!” mia cugina Jacinta uscì dalla stanza, con indosso un accappatoio di finta pelliccia rosa e i bigodini in testa, e con mia figlia in braccio mentre piangeva.
“Ma ti sembra il modo? Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Cos’è questa roba?” strillai non curante delle sue parole mentre le sbattei davanti il foglio di carta rotto. Lei sbiancò alla vista di esso, facendo dondolare Victoria per calmarla. Lasciai cadere il foglio e presi la bambina, che subito dopo si calmò e si addormentò.
“Cos’è questa roba?” richiesi, questa volta con un tono di voce più basso.
“Emh.. Courtney.. forse è meglio che ti siedi.”
 

 
“E così esattamente un anno fa trovai questa busta fuori dalla porta di casa, la presi velocissima, sai com’è, la legge sul disboscamento… la aprì molto attentamente, la lessi, e poi la richiusi dentro, cercando di aggiustarla al meglio e la nascosi… oggi per sbaglio l’ho ritrovata, avevo intenzione di eliminarla, ma evidentemente mi sono addormentata prima di poterlo fare…non volevo farti star male ancora, perdonami.”
Rimasi in silenzio. Non sapevo più cosa dire, ero così scioccata che anche se avessi voluto non sarebbe uscito nessun suono dalla mia bocca. Avevo mille pensieri in testa.
“Quindi è più di un anno che ha scritto questa lettera.”
“Suppongo di si.”
Non sapevo davvero cos’altro dire. Perciò mi limitai ai gesti. Presi un accendino dal tavolo e diedi fuoco al foglio e lo lanciai a terra calpestandolo, ignorando il dolore fisico.
Dopodichè mi voltai, dirigendomi verso la stanza da letto e mi lanciai sul letto, affondando la faccia nel cuscino e iniziando a piangere, silenziosamente.
9 ottobre, ore 18:24
Incredibilmente ero sola a casa, in nessun luogo di lavoro o altri posti che stavano lentamente compromettendo la mia sanità mentale e mettevano a dura prova la mia scarsa pazienza. Ero seduta su di una scadente sedia a sdraio sul terrazzo del monolocale di mia cugina, ma almeno affianco a me avevo una bottiglia di ottimo vino. Se non altro almeno quello aiuta piacevolmente i miei nervi, poiché se non sono fisso in luoghi dove la Casa Bianca può solo accompagnare, o con il pensiero fisso di vivere nella squallida casa di mia cugina per motivi di privacy, mi sto rendendo conto che ho una figlia piccola che cresce senza di me, e la cosa mi stressa.
Attacco nuovamente le labbra alla bottiglia e mando giù un altro sorso rosso intenso che mi tinge di violetto le labbra, quando una voce dietro di me mi fece trasalire: “E’ buono?”
Feci un salto talmente improvviso sulla sedia che mi cadde la bottiglia di mano, frantumandosi a terra e macchiando tutto il pavimento, mi voltai velocemente, e mi sembrò di perdere un battito quando vidi chi aveva parlato: alto, capelli rossicci spettinati, occhi grigi ed intensi, pelle lattea, lentigginoso, ma vestito decentemente. Non potevo crederci, era proprio lui, era…
“Scott.” Dissi con voce ferma ma incredibilmente strozzata.
“In persona” rispose impassibile, appoggiandosi al muretto.
“Come sei arrivato?” chiesi, con un’improbabile apatia nella voce.
“Con un aereo?” rispose sarcastico.
“Idiota, intendo dire…come cazzo hai fatto a trovarmi?”
“Sei o non sei la più famosa persona al mondo? In qualche modo ho fatto.”
“Perché sei qui?”
“Lo sai Courtney…io ti amo.”
Dopo quella frase mi sentì come se una scossa mi attraversò il corpo in meno di un secondo, la testa mi girava, pensavo di svenire… invece rimasi in piedi. Fece per avvicinarsi a me, ma mi scostai.
“Che stronzate. Tu mi hai consegnata a McLean. Smetti di dire cazzate, cosa vuoi, soldi? Te ne do quanti ne vuoi, basta che ti levi dal cazzo e non ti fai mai più vedere.”
“In quel momento non sapevo cos’altro fare, ero costretto, altrimenti mi avrebbero ucciso e non volevo morire… ma nella lotta finale ho voluto aiutarti, ti ho lasciato uccidere McLean e fuggire, perché l’ho fatto secondo te? Perché sono completamente coglione?”
“Probabile.” Risposi, tagliente.
“Smettila. L’ho fatto perché non ti volevo morta, ho voluto cederti la fama, sapevo ci saresti riuscita. Devi credermi.”
Sapevo che diceva la verità. Potevo leggerglielo in quegli occhi che tanto amavo. Anche il mio rancore stava svanendo.
“E sappi che ho intenzione di rimanere qui. Non me ne andrò mai, nemmeno se tu mi prendessi a calci in culo fino all’aeroporto. Rimarrò qui.”
“Anche se ti dicessi che ho una figlia?”
Per un attimo rimase perplesso. All’improvviso notai un alone di tristezza nei suoi occhi e la cosa mi stupì.
“Non pensavo…non credevo che tu avessi un altro. Del resto dovevo immaginarlo, ma hai tutti i motivi. Sono proprio un idiota. Dopo quello che ti ho fatto, sono venuto qui convinto di risolvere tutto così…invece no. Ma sappi Courtney, che anche se…”
“Si sei un idiota!” sbottai, totalmente spazientita dalla situazione. “Non è di nessun altro. E’ tua.”
Rimase a bocca aperta mentre cercava di finire il discorso, con lo guardo perso nel vuoto per un minuto circa, quando presi a sventolargli la mano davanti agli occhi. “Sei vivo?”
“C-cosa stai dicendo Courtney?” chiese, visibilmente scosso.
“Che è tua. Devo forse spiegarti come si fanno i bambini?”
“Quanti anni ha?”
“Due fra due mesi.”
“E dov’è?”
“Via con mia cugina, a causa dei miei impegni sociali il tempo che passo con lei è davvero minimo…e inoltre..”
“Ma come si chiama?”
“Ma ti sei ammattito? Appena arriverà la vedrai…” rivolsi lo sguardo verso per terra, dopodichè ritornai a concentrarmi sui suoi occhi. “Sei sicuro? Di voler restare qui, con noi? Non te ne andrai vero?”
Si avvicinò a me, e questa volta non lo allontanai. Con una delicatezza che non pensavo avesse, mi prese il volto tra le mani e mi baciò con un amore e una passione che non si possono minimamente descrivere.
“Rimarrò con voi.” Quelle parole, brevi e sincere, dette con una decisione assurda, mi fecero piangere di gioia.

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