Ovidio, il tramutatore di elementi

di Jox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1, I ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1, II ***
Capitolo 4: *** Capitolo 1, III ***
Capitolo 5: *** Capitolo 1, IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo 1, V ***
Capitolo 7: *** Capitolo 1, VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo 1, VII ***
Capitolo 9: *** capitolo1, VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo 2, I ***
Capitolo 11: *** Capitolo 2, II ***
Capitolo 12: *** Capitolo 2, III ***
Capitolo 13: *** Capitolo 2, IV ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.
Erano le 6.30 del mattino, la luce delle stelle, che già nella notte aveva dovuto combattere con l’inquinamento luminoso di Washington , si stava arrendendo alle prime luci dell’alba. Un fornaio stava caricando il furgone del pane appena fatto, pronto per essere portato nei vari negozi di alimentari, quando alle sue spalle una serie di macchine sfrecciarono nel vialetto,  portandosi con loro il profumo del suo duro lavoro notturno. Si voltò di scatto e, anche se non si intendeva di auto, le riconobbe immediatamente tante erano le volte che le aveva viste in televisione. Non si chiese cosa stessero facendo, immaginava già che all’interno si trovavano interi corpi delle forze dell’ordine.   Sapeva bene che quella era una giornata calda, non per la temperatura visto che a quell’ora, anche se estate, era tutt’altro che caldo. No, era una giornata calda perché la capitale si apprestava ad accogliere l’incontro tra il Presidente degli Stati Uniti, Richard Benson e il senatore Irlandese, Manuel Walsh. Dovevano fare un discorso sul valore dell’incremento alla ricerca su una tecnologia che, a detta degli esperti, in buone mani poteva rendere obsoleta qualsiasi innovazione nel campo dell’energia alternativa. Che cosa fosse, cosa facesse, quale era la portata di tale scoperta era top secret da tantissimo tempo. Quello che non era top secret erano gli “incidenti” che capitarono nel corso degli anni a chiunque cercasse di remare contro al progetto. Mentre pensava a quanta pubblicità era stata fatta su questo incontro e quanta ne era passata per la sua piccola radio che lo teneva sveglio nelle ore più inoltrate della notte, un Ara Macao volò sulla sua testa, e lo lasciò stupefatto. Era bellissimo, tanto bello quanto strano che un uccello così esotico volasse libero in città, sembrava quasi seguisse quelle auto in corsa, ma era solo un’illusione, “sarà sicuramente scappato a qualche inquilino dei piani superiori” pensò. Comunque non ne diede pesò, in effetti non ne ebbe il tempo, le auto, insieme al pennuto variopinto, svoltarono bruscamente a destra sparendo dalla sua vista.  

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Capitolo 2
*** Capitolo 1, I ***


Capitolo 1:
I

ore 19.00
Le 3 auto che erano andate a prendere il senatore Manuel Walsh dal “Washington Dulles Internetional Airport” per scortarlo al National Mall. Si arrestarono proprio affianco a essa dove, già da giorni, era stato allestito il podio sul quale sarebbero dovuti salire lui e il presidente. Il podio era alto 50cm, la base era adornata con i colori statunitensi e irlandesi così come il leggio al quale era stato posizionato un microfono della Sennheiser, i cui cavi erano stati fatti passare all’interno del leggio e fatti sbucare dal fondo del podio dove si incanalavano in piccoli binari coperti fissati al terreno che finivano dove iniziava il reparto acustico. Da lì i tecnici si sarebbero preoccupati di far udire al meglio i discorsi dei due massimi esponenti. Poche ore dopo la piazza era gremita di giornalisti e cameramen, non solo di tutto il paese, ma di tutto il mondo. Mai si era vista tanta folla di giornalisti così in religioso silenzio. Non c’era la solita calca per i posti migliori non c’erano le solite giornaliste apprensive che chiedevano ripetutamente al proprio cameramen come venissero dall’obiettivo, né i soliti giornalisti che cercavano di sondare il terreno per capire quali domande poter fare prima di altri colleghi. Tutti erano concentrati su quello sciame di furgoni blindati che portavano i migliori uomini del paese pronti a posizionarsi nei punti più strategici per sventare qualsiasi attacco alla vita del Presidente Benson e del Senatore Walsh. Era un azzardo farli apparire in un luogo aperto per parlare di un argomento così delicato e avvolto dall’ombra del segreto di stato e dalle sospette sparizioni e morti dei vari oppositori di tutto il mondo. Ma era proprio per questo che si era deciso di stare all’aperto, quale luogo migliore per parlare dell’ambiente e convincere l’intero globo che ciò a cui i due stati stavano lavorando, insieme ad altri 18.  Era qualcosa di assolutamente positivo per tutti.
9 ore prima
 Il primo pensiero del presidente era far suo il discorso che gli era stato dato dalla sua equipe di “Speechwriter”  e che tra poche ore avrebbe dovuto esporre al mondo intero, il secondo era la sicurezza. Mentre era preso da questi pensieri nella stanza ovale senti bussare. << Avanti >> rispose il presidente. Entrò un giovane agente dell’ FBI, ce ne erano diversi quel giorno alla casa bianca, ma questo benché sembrasse appena uscito da Quantico,  non appariva affatto impacciato. << Signor Presidente! >> disse con tono fermo e deciso, degno dei migliori veterani  << riteniamo di avere trovato una minaccia per la sua incolumità >>  << che cosa avete scoperto? >> chiese il Presidente fissando il 28enne  << non so di preciso, ma sono stato mandato qui in attesa dell’arrivo del capo dell’FBI per metterla immediatamente al corrente, intanto le verrà da subito data un aggiunta di 4 uomini dell’FBI ai 4 che già avete per la vostra sicurezza, me compreso >>. Il Presidente annuì e si sedette alla sua poltrona, intanto altri agenti entrarono, il giovane si mise alla destra del presidente e un altro agente si mise alla sinistra, mentre altri due sorvegliavano l’entrata dando le spalle al dipinto della Famiglia Benson. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 1, II ***


II

Mancavano poche ore dall’inizio dell’evento ma l’intelligence, che da mesi era alla ricerca di potenziali minacce alla vita del Presidente e del Senatore non aveva riscontrato nessuna vera minaccia. Scartati i falsi allarmi, non era stato riscontrato niente di rilevante. Ma ecco che un informatico alzò la mano agitandola al vento per richiamare a se l’attenzione. << Signore ho qualcosa! >> gridò al suo superiore e capo dell’FBI Mark Parker. << Cosa c’è agente Petterson? >> tuonò la sua voce, con la potenza che solo un ex colonnello della marina poteva avere, << Il server ha rintracciato un’ e-mail sospetta lanciata da una postazione internet il cui indirizzo IP proviene dall’ Italia >>. Mentre dava spiegazioni aprì il file e il colonnello esclamò con inquietante freddezza: << dall’ Italia ..allora perché il testo è in spagnolo? >>  << Non so forse… >> << C’è qualcuno in questa stanza che conosca lo spagnolo? >> tuonò l’ex colonnello non curante dell’agente pronto a dire la sua. << Allora? >> incalzò, un agente alzò la mano e prima che potesse dire “io” Parker gli fece cenno di andare alla loro postazione. << Traducimi questo testo, e tu, agente Petterson, usa il computer qui affianco e vedi di rintracciare immediatamente l’indirizzo del destinatario >>. Passò qualche secondo e, mentre il fragorio della tastiera di Petterson andava in crescendo per la sua ricerca, l’agente Havier Gonzales si irrigidì fissando lo schermo. << Che succede? >> domando Parker << dobbiamo preoccuparci? >>. Gonzales non rispose subito, era ancora gobbo con gli occhi fissi sullo schermo << allora? Agente… >> Parker strizzò gli occhi per leggere il nome nel badge << …agente Gonzales, cosa dice il testo? >> Havier scuotò leggermente la testa con gli occhi socchiusi come se fosse ritornato sulla terra << si mi scusi capo è che… >> si interruppe di nuovo leggendo l’ultima frase dell’e-mail << E CHE COSA? >> tuonò di petto il suo superiore  << Si decide a parlare o le devo fare rapporto? >> Gonzales riprese a parlare << è che la lettera non ha alcun senso.. >> << si spieghi >> incalzò Parker, Gonzales riprese a parlare: << è come ascoltare una telefonata di una madre al proprio figlio, penso che sia una risposta ad una precedente e-mail dato che esordisce dicendo di stare bene, che il trasloco è stato spiacevole dato che si è dovuta trasferire da Oaxaca de Juarez  all’ Italia, che per fortuna si consola con il delizioso cibo che offre il posto >>, ‘per forza’ pensò Parker ‘come si fa a non amare il cibo italiano?’ << e da qui inizia a non avere più senso >> indicò appoggiando il dito sullo schermo e segnandone il punto esatto; Petterson lì affianco staccò le mani dalla tastiera e scacciò immediatamente via il dito del collega con uno schiaffò alla mano e, in  un secondo tempo, né ripulì stizzito l’impronta di grasso lasciata sul monitor. << Che cosa dice? >> Chiese Parker non soffermandosi troppo su quel gesto infantile. Gonzales lanciò un occhiataccia a Petterson che gli aveva appena schiaffeggiato la mano e tenendosela rinchiusa nell’altra proseguì dicendo << sono auguri ..per la riuscita dei suoi propositi. Continua dicendo che spera che i suo progetti, e qui ci sono varie date e come può vedere anche quella di oggi, il 10 giugno, di eliminare il loro male comune possa riuscire, nonostante i tanti occhi addosso e poi conclude dicendo : ‘que Ah-puch y Balac pueden estar contigo’ cioè  che Ah-puch e Balac possano essere con te. Manda saluti e baci e dice di non scordarsi mai di 2,3,5,10 che sono in lui, e poi continua parlando di altro. Sembra quasi che il testo centrale sia uno scorcio, una parentesi fuori dal contesto iniziale e finale di ciò che viene scritto.. >>. << Male… >> sussurrò Parker << la data riportata  di oggi e i ‘molti occhi’ possono facilmente essere tutti coloro che saranno presenti per l’evento, ma chi sono Ah-puch e Balac? E i numeri 2,3,5,10? >> Gonzales si schiarì la voce : << Quei nomi sono di divinità maya ma non so dirle altro, solo che se si trattasse di un augurio per un attentato, questo contesto così “casalingo” della lettera, disorienta.. >> Intanto Petterson concluse la sua ricerca e con le mani in testa disse: << Ma è impossibile! >>  << Santo Dio cosa c’è ora?>> chiese perentorio l’ex colonnello. L’agente sussurrò incredulo: << Guardi lei stesso >>, << ma che….>> Disse piano Parker poi tuonò con la sua solita potenza  << Chiamate immediatamente un agente alla casa bianca e dite di riferire al presidente che c’è un pericolo per la sua incolumità e che sarò lì a breve >> guardò l’e-mail e esclamò ancora << portatemi un maledetto esperto di divinità Maya o qualunque cosa siano, ma lo voglio ORA! >> poi si soffermò sul luogo di destinazione. Non era quello della lettera, come spesso accade in casi di criminalità organizzata, l’indirizzo IP era rimbalzato dal luogo reale ad uno fasullo, era rimbalzato da:

1600 Pennsylvania Ave NW, Washington, DC 20500, Stati Uniti

Era l’indirizzo della Casa Bianca.

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Capitolo 4
*** Capitolo 1, III ***


III
26 anni prima
Driiin, Driiin. Erano le 5.18 del mattino quando il campanello iniziò a suonare. La giovane Marta O’neill, moglie di un ricercatore ambientale e ingegnere biofisico irlandese Ivan O’neill, si svegliò dal suo sonno pregando che quel rumore non svegliasse il bambino che dormiva con il suo pigiamino che riportava le figure di tanti piccoli dinosauri o “noauri” come era solito chiamarli lui. << Mamma >> chiamò il piccolino non capendo cosa fosse quel suono. Driiin, Driiin. << Un’ attimo! >> Marta andò in camera del piccolo gli accarezzò la fronte sudata e dopo un bacio gli disse con affetto:  << non è niente, torna a dormire mio piccolo Igor! >> << Noauri >> disse il piccolo indicandosi con il suo ditino i vari mostriciattoli del suo pigiamino. << Si amore mio, Dinosauri >>. Gli diede un bacio e andò verso la porta. Driiin, Driiin. << Arrivo, eccomi!! >> Esclamò la donna. << Chi è? >> chiese << Sono io amore, veloce apri! >> << IVAN! >> esclamò eccitata. Tolse il chiavistello, prese da un gancio la chiave di casa, ma dalla frenesia del momento le cadde a terra. Si chinò per prenderla e la infilò velocemente nella serratura che, stupendosi della sua mira, inserì con singolare fluidità e precisione. Aprì. Non fece in tempo a dire nulla che subito il marito si diresse verso il semiinterrato. Lo seguì accendendo le luci della scalinata più fredda di quanto ricordasse. << Amore che fai già a casa non dovevi essere fuori per… >> si bloccò quando vide prendergli un borsone verde. Il borsone verde. Quel borsone che Ivan aveva fatto preparare per le emergenze e che Marta sperava di non usare mai.  << Marta.. >> iniziò lui con voce affannata << ..ti prego ascoltami >> disse guardandola negli occhi << devi prendere Igor e te ne devi andare dal paese e andare in Italia dai tuoi , ora. C’è un volo protetto che parte fra una settimana, vai all’ambasciata Irlandese la ti diranno cosa fare. >> << Ivan che succede? >> domandò intimorita prendendogli la testa fra le mani. << Tranquilla >> ripeté lui coprendo le mani della moglie con le sue << fai quello che ti dico tra una settimana vi raggiungerò >> << promesso? >> chiese lei. << Promesso >> rispose. Fece per passarle il borsone quando lo lasciò cadere di nuovo al suolo. Ivan le accarezzo una guancia asciugandole una lacrima e le disse con un sorriso tremolante: << Hey, tra una settimana Igor compie gli anni, non mi posso perdere il terzo compleanno di nostro figlio, no? >>. Si appoggiarono l’una nella fronte dell’altra e guardando verso il basso alla loro sinistra intravidero due piccoli dinosauri, un Velociraptor e un Apatosaurus, o dinosauro dal collo lungo. Igor amava giocare in cantina, la sua piccola mente spaziava molto con la fantasia mentre giocava tra gli attrezzi del padre e grandi scatoloni di vecchi ricordi di infanzia della madre, che si era portata dall’ Italia qualche mese prima di trasferirsi a Dublino con suo marito, dentro c’erano diversi modellini delle architetture più famose come la Torre di Pisa, il Colosseo e il Duomo di Milano che il piccolo Igor non mancava di fare abbattere dai suoi amati T-Rex . Inoltre era piena estate e la cantina rimaneva più fresca nelle ore più calde. Insieme sorrisero e dissero: <>. Ma quel tenero momento era già durato troppo. Marta corse sopra con il borsone, prese i pochi vestiti che poté, poi si precipito alle chiavi dell’auto e corse fuori. Aprì la sua Citroen c3 con il comando a distanza. Una volta arrivata aprì lo sportello del sedile posteriore, nell’attesa che Ivan portasse giù il piccolo Igor e lo adagiasse li dietro, e poi aprì il portellone posteriore dove vi infilò il borsone. Si girò e vide suo marito che portava tra le sue braccia il piccolo . Lo infilò teneramente nei sedili facendo cura di non svegliarlo e lo coprì con la coperta del suo lettino. Chiuse la portiera. Marta si prestò ad andare alla guida quando una mano la bloccò la tirò a se e una bocca la baciò teneramente. Era un bacio che mai suo marito le aveva dato prima. Tanto potente che si incurvo all’ indietro e sarebbe caduta se suo marito non l’avesse tenuta con il suo braccio attorno alla vita. Era un bacio che amalgamava puro amore e paura. Un bacio che aveva più il sapore di un’ addio che di un arrivederci. << Ti amo, non scordarlo mai. >> Senza che potesse dire una parola la stessa mano che l’ aveva portata alle labbra di suo marito la spinse all’ interno del veicolo. Tutto ciò non le sembrava vero. Ma mise in moto e partì. Guardò dietro di se  la sagoma di suo marito che dopo pochi istanti iniziò ad illuminarsi, ma non era lui ad emanare luce bensì un’auto che sgommando fece la brusca curva tra A Gurrion e Reforma. Lei sorpassò l’hotel “Casa Vertiz” quando non poté far altro che sentire un boato di un fucile semi-automatico e quella stessa sagoma prima illuminata, stramazzare al suolo. Si sentì distruggere il cuore ma la vocina del suo piccolo che la chiamò spaventato gli fece uscire l’istinto di protezione che solo una madre può provare per il suo bambino. Svoltò a sinistra per A Guarrion e passando per la chiesa di Santo Domingo si diresse verso l’autostrada fissando ancora quello specchietto che in pochi centimetri si vide portare via una parte del suo cuore. Realizzò che c’era sotto molto più di quel che temeva ma ancora c’era il suo bambino e, togliendo subito dalla mente il pensiero che avrebbero dovuto essere in tre, mise i suoi grandi occhi nocciola fissi sulla strada. Con le lacrime agli occhi e qualche singhiozzio accelerò, mise la quinta marcia, e si fece la mappa mentale del percorso che avrebbe dovuto fare per arrivare all’ambasciata. La macchina strattonò leggermente al cambio di marcia e mentre i giri del motore ripresero a salire Marta non poté far a meno di sentire il suo cuore spezzato, dilaniato in due, darle la sensazione di essere divisa tra chi si sente di aver perso tutto e chi ancora ha troppo da perdere. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 1, IV ***


IV
Parker era nella piazza intento a dare istruzioni ai suoi, mai aveva dovuto dare ordini a così tanti agenti per un singolo evento. Gli sembrava incredibile che il Presidente rischiasse così tanto per la sua incolumità e ancor di più non si capacitava della quantità di uomini che provenivano da tutti gli uffici, dipartimenti, e unità d’ America. Essi spaziavano da agenti in borghese a semplici ausiliari del traffico, da poliziotti dei dipartimenti adiacenti alla città, a pezzi grossi della C.I.A., dell’ N.C.I.S. e della N.S.A. per poi finire agli agenti della Squad, mancava solo l’esercito. D'altronde la minaccia si era rivelata consistente anche se incerta di veridicità. Finito di spiegare le tattiche di difesa, aver mostrato i punti con più alto rischio e quelli in cui i cecchini si sarebbero dovuti postare, vide arrivare Michell Holmberg. In un’ attimo fu tuffato nel ricordo del loro primo incontro poche ore prima.
 
Ci fu un crescente frastuono di chiamate al comando che diede Parker, ovvero quello di trovare un’esperta di  Divinità Maya. << Pronto? Si.. Parlo con la dottoressa Holmberg? >> l’agente al telefono si dovette tappare un’ orecchio con il dito medio per poter sentire la risposta. Alla conferma proseguì: << Ho visto nel suo profilo schedato che lei insegna storia antica e che è specializzata in cultura Maya e Azteca, dico bene? >> La sensuale voce dall’ altro capo del telefono confermò ulteriormente all’ agente quelle informazioni. << Bene, allora la convoco ufficialmente al dipartimento dell’FBI, si trova in casa? >> la dottoressa era stupita, non capiva se fosse uno scherzo o meno, ma poteva sentire il chiacchiericcio di persone che dovevano essere accanto a lui, e dal tono che aveva se fosse stato uno scherzo, bè era proprio bravo. Non fece in tempo a confermare di essere nella sua abitazione che l’agente intervenne dicendo: << 5 minuti e saranno lì. >> La chiamata si interruppe. L’agente si alzò in piedi e gridò nell’intento di farsi sentire in mezzo a tutto quel delirio. << Signore l’ho trovata, la professoressa Holmberg, sarà qui in pochi minuti. >> << molto bene >> esordì l’ex colonnello << io vado alla casa bianca, voglio che mi teniate aggiornato sugli sviluppi con la dottoressa, sono stato chiaro? >> e mentre si diresse alla porta diede un’ ultimo comando e, puntando il dito verso il suo vice disse: << Sei tu ora il responsabile, qualsiasi cosa capiti ne dovrai rispondere a me, capito? >> << Certo! >> disse l’agente tenendo il petto all’infuori cercando di ispirare la massima fiducia. Dopo un’ ultima occhiata dubbiosa Parker partì diretto dal presidente.
 
L’agente alla sinistra del Presidente era stranamente calmo nonostante la sua giovane età. Il Presidente incuriosito mise una mano appoggiata al bracciolo della sua poltrona e torcendosi leggermente facendo perno con il polso perpendicolare ad esso si voltò dal ragazzo e chiese: << Ragazzo! >> << Si signore? >> rispose lui scandendo le parole << gli agenti che danno servizio qua, hanno tutti una certa esperienza ,ma comunque in questi casi posso leggere la tensione nei loro occhi, per esempio guarda lui >> E indicò con un cenno del capo e con il pollice l’agente alla sua destra, poi esordì dicendo: << è mezz’ora che pur avendo il viso impassibile è talmente rigido e teso da sfregare nervosamente il pollice con il dito indice , e lui bè… presta servizio da quanto..>> Si interruppe  << .20 anni? >>  proseguì chiedendolo direttamente al soggetto. << esatto signor Presidente, 23 anni di onorato servizio >>. << Ecco sentito? >> si girò nuovamente verso il giovane << io non ti ho mai visto qui, e nemmeno tra gli agenti dell’FBI devi essere nuovo >> il ragazzo con molta calma replicò << si Signor Presidente sono diplomato da pochi mesi >> << Quanti? >> Chiese il Presidente << 3, Signore >> rispose il giovane. Il presidente stentava a crederci, si alzò tese la mano al ragazzo e dopo aver letto il suo nome nel badge lo lodò dicendo: << Agente Samuel Reyes, sono contento che giovani seri e con i nervi saldi servano il nostro paese, farai carriera figliolo >> << le sue parole mi onorano signor Presidente >> rispose il giovane e poco prima che il Presidente potesse sedersi il ragazzo lo fermo e disse: << mi scusi signore >> dopo avergli afferrato il braccio portò la sua mano al taschino della giacca blu del Presidente e tolse delicatamente una piuma dai bizzarri colori, e gliela porse. Il presidente la prese e un po’ sorpreso disse << Grazie figliolo, ma che strano da dove viene? >> mentre chiese questo la porta bussò e vi entrò con passo deciso un omone di 90 Kg, il Presidente lo riconobbe e dimenticandosi della piuma disse: << Oh, bene Parker ben arrivato. Mi spieghi ciò che succede >>. Dopo pochi minuti l’ex colonnello mise al corrente il Presidente dicendogli di una possibile minaccia. << Signor presidente >> iniziò Parker << Abbiamo intercettato una e-mail che, se pur bizzarra nella forma e incoerente nei vari passaggi, cita diversi dati che abbiamo ritenuto sufficienti per allertarla e potenziare con i nostri agenti la sua sicurezza. Sono venuto di persona perché ci tenevo farle leggere da me ciò che viene riportato nella lettera >> Il presidente la visionò e, dopo essersi grattato il capo disse: << Si in effetti l’andatura della lettera sembra non avere un reale filo conduttore.. questo più la data di oggi e il riferimento ad una vasta folla, e l’indirizzo IP proveniente da qui.. si avete fatto bene a lanciare la massima allerta >> Appena finito, Parker non poté controbattere che subito gli squillò il telefono, << Parker! >> tuonò rispondendo al suo I-phone. << Ho capito, trattenetela voglio parlarle di persona >> chiuse la comunicazione alzò lo sguardo e disse: << signore, la minaccia si sta facendo concreta, direi di spostare l’incontro a una data più…>> << Non ci penso nemmeno >> lo interruppe Benson, che aveva intuito che Parker non si era fatto tutta quella strada solo per fargli leggera una lettera, ma bensì per convincerlo a rimandare l’evento << il Senatore Walsh è già in volo, tranquillo agente Parker aumenterò sensibilmente la sicurezza di tutti i reparti, non solo il mio e farò in modo che ci siano abbastanza agenti da poter prevenire anche solo un piccione che osa cagare sull’auto presidenziale >>. << Come vuole, con permesso torno al dipartimento >> disse l’ex colonnello con un pizzico di disappunto. << Bene inizio subito a chiamare i vari dipartimenti di sicurezza, questi quattro agenti rimarranno al mio fianco, e intanto avvierò un’indagine su tutti i dispositivi che si trovano qui all’interno se è davvero nelle vicinanze, lo troveremo! >> detto questo il presidente congedò Parker, che si rimise in viaggio verso il suo dipartimento.  Pochi minuti dopo entrò nella stanza del palazzo dell’ FBI dove l’intelligence operava. Appena mise il piede dentro chiese a gran voce: << Dov’è la Professoressa Holmberg? >> << Sono qui, eccomi >> rispose una voce calda e sensuale. Parker rimase di stucco e subito capì il motivo per cui molti agenti fossero al quanto impietriti e imbarazzati dalla sua presenza. Era bellissima.  IL colonnello dovette ammettere, ma solo a se stesso, che non si aspettava di trovare una professoressa così, era vestita molto elegante, aveva un vestito rosso lungo, che sembrava posarsi come una brezza sul suo corpo, con uno spacco che si fermava al ginocchio che lasciava intravedere delle gambe magre e allenate. Il tacco 13 delle sue Laboutin la alzava quasi al metro e ottanta e dalla vita in su era pura poesia. Il vestito lasciava scoperte le spalle e una volta arrivato al viso non riuscì proprio a ricordare di aver mai visto lineamenti più perfetti. Neppure Leonardo Da Vinci avrebbe potuto immaginare qualcosa di meglio. Le sue labbra erano come petali di rosa, carnose ma non troppo, il suo naso era piccolo e leggermente in su, praticamente perfetto e i suoi occhi erano portali ad un mondo sconosciuto. Le sue ciglia erano talmente lunghe che avrebbero potuto fare a meno del rimmel, il taglio dell’occhio era perfetto e il suo colore, verde smeraldo, avrebbe fatto diventare un tenero barboncino anche Adolf Hitler. I suoi capelli erano mossi ma in ordine, era evidente che non si aspettava di essere convocata. << Piacere sono la professoressa Michell Holmberg, mi scusi per l’eccessiva eleganza, ma ero appena tornata da un pranzo con delle colleghe. >> si presentò ponendole la sua mano graziosa al quale era inserito un anello al suo pollice, non sembrava di gran valore, ma era comunque raffinato ed elegante. << Mark Parker, e non si preoccupi l’abbiamo chiamata all’ultimo. >> rispose lui tenendosi il più distaccato possibile, senza far intravedere alcuna espressione anche se, ai suoi più vecchi colleghi, non poté sfuggire il piccolo, quasi impercettibile e assolutamente insolito balbettio che ebbe pronunciando la “M” del suo nome. << Allora mi illustri nuovamente il significato delle divinità e dei numeri >>, << si allora..>> proseguì lei , girandosi di scatto e congiungendo le mani inarcandosi leggermente sulla schiena facendo notare tutte le sue curve ‘Nemmeno Giotto sarebbe capace di fare curve migliori’ pensò l’agente Petterson seduto lì affianco. << le due divinità sono Maya, Ah-puch è il Dio della morte, mentre Balac è il Dio della guerra. >> << Male.. >> sussurrò Parker. La professoressa riprese: << mentre quei 2,3,5,10 sono, nella cultura maya, numeri nefasti ed erano associati a divinità incardinate in questi numeri e infine, se posso dire la mia, l’augurare che due divinità così nefaste possano essere con un individuo è segno che questo, chiunque egli sia, ha in mente un progetto che prevede come minimo… uno spargimento di sangue. >> Concluse la professoressa stringendosi nelle spalle e risucchiando leggermente l’angolo della bocca incurvandola. Parker a quelle parole non ebbe bisogno di sapere altro. << Gradirei che fosse presente al discorso del Presidente e del senatore questa sera. In caso di novità voglio che lei possa subito esserci d’aiuto. >> Disse riferendosi alla bellissima  Holmberg << Come volete, posso solo tornare a casa a cambiarmi? >> chiese lei un po’ scocciata. << si, certo >> replicò Parker. << Voi due! >> tuonò in un secondo momento indicando i due agenti che l’avevano scortata fino a lì: << riportatela alla sua abitazione e fate in modo che sia al discorso puntuale! >>  << si signore >> risposero i due. Ora il pensiero di Parker era quello di rendere l’ evento che si sarebbe svolto di lì a poco il più sicuro possibile.

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Capitolo 6
*** Capitolo 1, V ***


V
26 anni prima
Era una settimana ormai che Marta era arrivata all’ ambasciata irlandese. Non sapeva se fosse più stanca di raccontare scuse al piccolo Igor, che quel giorno del 21 luglio compiva gli anni, o di tutto ciò che stava accadendo o se lo era perché una settimana all’ambasciata sarebbe stata pesante per chiunque, ma era necessario visto che era l’unico posto davvero sicuro dove potessero rifugiarsi prima di partire. Certo anche l’insonnia non l’aiutava. Era impossibile per lei chiudere gli occhi e non ritrovarsi ancora nella sua Citroen e rivivere la scena di quando le portarono via per sempre il suo amato marito. Ripensava a quanto Ivan tenesse al suo progetto e al giorno in cui capì di aver avuto un’idea troppo pericolosa, per un mondo così violento. Sapeva bene che mettersi contro i paesi che lo finanziavano sarebbe stato molto pericoloso, ma non si sarebbe mai perdonato di essere l’artefice di una cosa così avanzata e se usata male, così devastante. Si risvegliò dai suoi pensieri quando un omino, non molto alto con i capelli rossi e baffi le andò incontro porgendole due biglietti aerei. I biglietti riportavano la data del giorno corrente, ed erano i posti 12 e 13 della prima classe. Marta strizzò gli occhi in segno di ringraziamento e lui fece altrettanto. Prese Igor e si incamminò verso la macchina uscendo dalla grande porta a vetro del palazzo e facendo la lunga scalinata di 20 gradini che culminavano poco prima della recinzione alta quasi tre metri in cui, in maniera asincrona, erano appese le bandiere irlandesi nelle varie lance di ferro che costituivano il cancello. Ebbe una strana sensazione una volta fuori. Sentiva come se il suo sesto senso le dicesse che qualcosa era cambiato. C’era silenzio, troppo silenzio. Si girò sobbalzando appena il cancello si chiuse. Erano le 7 del mattino, eppure qualcosa era strano, forse l’aria, forse quel silenzio, forse quel odore acre che emana l’asfalto dopo la pioggia. Non sapeva cosa fosse ma qualcosa le diceva che doveva fare in fretta. Mano nella mano con il piccolo Igor che teneva sotto spalla un T-Rex e il suo peluche che rappresentava un ara macao, Marta giunse alla macchina e, sistemato Igor nei sedili posteriori, partì. Appena partì superò una chiesa, una famiglia stava uscendo, probabilmente aveva assistito alla messa delle 6.30. Era una bella famiglia, e il piccolo avrà avuto pochi anni in più del suo Igor. << Amore della mamma tutto…. >> Non fece in tempo a finire la frase che un grosso furgone sbucò dall’incrocio dietro la chiesa e la prese in pieno nella fiancata, l’auto si cappotto due volte. Un uomo uscì, e per Marta non era nuovo quel veicolo, si girò verso il piccolo Igor privo di sensi, ma vivo. Mentre si sentiva colare il sangue dalla fronte, sentiva l’odore della polvere dell’airbag giungerle al naso e il costato le faceva troppo male. Tutto però si fermò, senti chiamare la polizia e l’ambulanza da quella stessa famiglia che aveva appena visto, ma, quando vide l’uomo davanti a se con un fucile semi-automatico, capì che forze dell’ordine non sarebbero mai arrivate in tempo. Chiuse gli occhi, ‘Ivan sto arrivando’ pensò. Per sua fortuna il primo colpo le fini dritto in testa non facendole sentire gli altri 47 colpi sparati dall’uomo sul suo corpo ormai inerme.
 
La famiglia Reyes aveva assistito ad un brutale omicidio e, appena l’uomo rientro nel furgone blu notte lasciando la strada e sgommando in direzione ovest, si avvicinarono. La polizia arrivò poco dopo e trovarono una scena straziante, il cadavere di una donna sfigurato dai colpi di arma da fuoco e un bambino all’interno privo di sensi. Il padre della famiglia non riuscì a trattenersi e si fiondò a vedere come stesse il bambino. Era ancora vivo. Lo prese in braccio, raccolse un peluche di Macao, e andò dall’ambulanza arrivata un’istante prima. << E vivo! >> disse. L’ambulanza partì in direzione dell’ospedale e la famiglia lo seguì. Arrivati attesero che i medici finissero di visitarlo. Dopo un paio d’ore un medico uscì da una stanza, si diresse verso di loro raccogliendosi all’interno del camice. << Voi siete i testimoni dell’incidente? >> << Si >> Risposero. << Ho una buona e una cattiva notizia. >> Fece una pausa cercando di capire cosa volessero sentirsi dire per prima, poi riprese a parlare: << la buona è che il bambino sta bene, è fuori pericolo. La brutta è che non sappiamo il suo nome e chi sia. I documenti sono spariti insieme a quelli della madre, in macchina gli agenti non hanno trovato nulla ma sono convinti che sarebbero dovuti partire oggi. Quindi in sostanza, il bimbo non ha una casa e una volta che lo dimetteremo probabilmente andrà in orfanotrofio. >> La giovane donna, sulla 30ina prese la mano del marito e lo guardò negli occhi. Non dovette dirle altro << dottore >> esordì l’uomo ancora con gli occhi fissi su quelli della moglie. << Saremo felici di prenderlo con noi >> il medico sorrise, il suo lavoro gli aveva dato molte gioie e diversi motivi per poter avere ancora fiducia nell’umanità. << Ottimo >> disse il dottore << dovrete trovargli un nome così posso chiedere di avviare subito le pratiche dell’adozione, ma per questo  vi lascio soli, chiamatemi appena avrete deciso. >> La famiglia ci pensò su e, dopo essersi ricordati che il parroco poche ore prima aveva raccontato le opere del profeta Samuele decisero di chiamarlo proprio così, ma in spagnolo, Samuel. Samuel Reyes. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 1, VI ***


VI
  << Hai sentito quanti agenti e poliziotti sono stati chiamati a Washington? >>. << Si, è incredibile! Tutta quella gente per un discorso sulla natura, secondo me c’è qualcosa sotto che non ci dicono. >>. << Già lo penso anche io! >>  Le voci erano appena percettibili e le gocce del lavandino della sua cella, se pur alternate piuttosto saltuariamente, non aiutavano la concentrazione. Due secondini parlavano fuori dalla cella 39 del penitenziario dell’Adx Florence, un penitenziario maschile di massima sicurezza di livello supermax situato nella contea del Fremont in Colorado, a sud di Florence, 5880 Highway 67. La cella, come tutte le altre, era di 3,5x2m. Dentro c’era un letto una scrivania e una seggiola completamente inamovibili e sopra ad essi una piccola mensola dove vi era posto sopra un piccolo televisore. Affianco al letto c’era una doccia. Tra lo spazio del detenuto e la porta blindata che dava ai corridoi vi era una piccola suddivisione dove una guardia sorvegliava il detenuto da dietro delle sbarre di ferro verniciato, in cui affianco al muro e ben saldato c’era un water. Il Detenuto della cella 39 si alzò dal letto e andò verso le sbarre appoggiandosi con i gomiti incrociati e la testa sopra di essi. << C’è una festa al quale non sono stato invitato? >>, chiese in modo ironico al secondino, che stava appena entrando per il cambio del turno. Era una guardia piuttosto in sovrappeso, adatta a quel luogo perché difficile da sollevare in caso, estremamente  remoto, ci fosse stata una sommossa ai piani alti. Purtroppo non aveva molta agilità, ma tanto in quel luogo non c’era pericolo di dover affrontare un inseguimento. Lo chiamavano 2 piazze, ovviamente per la sua taglia, ma il suo vero nome era Paul Garnet. <> Gli sbottò contro dando una manganellata sulle sbarre proprio davanti all’uomo che doveva scontare ancora 20 anni. << signora! >> urlò lui ridendo << devo passare qui 10 anni della mia vita, per di più da innocente! Potresti almeno essere un po’ più…simpatica >> . << Dicono tutti così >> rispose il secondino imponendosi e intanto apriva una rivista di dubbia moralità: <> << Hey calmati, che ne potevo sapere fossi un uomo, guarda li che tettine che hai! >> E scoppiò a ridere. << ORA BASTA! >> urlò  Garnet aprendo la porta a sbarre. Lanciò la rivista dietro di se e si fiondò sul detenuto, dondolando a destra e a sinistra sulle sue gambe tozze facendo oscillare la sua grassa vita e la sua flaccida pancia con movimenti disallineati, e lo attaccò al muro con il manganello schiacciandolo alla gola. << Un ultimo desiderio, Joe Ricatto? >>. Questi non era affatto spaventato anzi, la sua difficoltà era non trattenersi dal ridere quindi cercò di guardare dietro le spalle di quell’uomo così grasso. << Veramente si.. >> fece una pausa puntando il dito verso il giornale che era appena stato lanciato da Garnet. << Non è che mi daresti quel giornale, tanto a te non serve, quelle cosette le vedi già sotto la docc… >> Buio. Non fece in tempo a finire la frase offensiva che Garnet gli sferrò un colpo sulla fronte con il suo manganello, lasciandolo cadere a terra con un braccio sul letto e il resto del corpo compresso tra il muro e la doccia. << così starai un po’ zitto, idiota. >> lo rimproverò Garnet tornando alla sua postazione e raccogliendo il suo giornale. Quando Joe Ricatto si riprese, sentì un forte dolore alla fronte e si accorse che aveva sanguinato, da ciò capì due cose: non aveva sanguinato a lungo, ma a lungo era stato svenuto considerando che il sangue era già nella fase finale della coagulazione. << Joe, madre de diòs, che gli hai detto sta volta a due piazze? Ancora con le sue natiche che assomigliavano ai braccioli della poltrona di tua nonna? >> chiese Matias, una voce amichevole dietro alle sbarre. Quando la sentì  si accorse di essere stato privo di sensi davvero tanto tempo visto che la guardia era di nuovo cambiata. << No, oggi mi affascinavano le sue Tettine >> rispose Joe tra una smorfia di dolore e una risata tastandosi il punto dell’urto. << Era ora che mettessero te a tenermi d’occhio, vecchio Sullivan>>. Matias Sullivan, probabilmente l’unica guardia che credeva all’innocenza di Joe Ricatto. Lo conosceva di nome da tempo, considerato che lo aveva visto in televisione più volte nei vari processi. ‘Joe Ricatto, congedato con disonore per il tentato omicidio del senatore Eric Connor.’ Citavano le varie testate giornalistiche. L’ accusa avrebbe voluto che Ricatto avesse una condanna più lunga, ma non si trovò prova che, quando Connor due settimane dopo fu ritrovato morto con un buco al petto grande come una pallina da tennis, lui fosse in qualche modo coinvolto o avesse avuto parte attiva. Sicuramente non era stato lui, sebbene fosse il miglior tiratore che la marina avesse mai avuto, quel giorno era in tribunale con il suo mediocre avvocato, non potendo permettersi di meglio, il giudice gliene diede uno di ufficio. Quindi la condanna si fermò al tentato omicidio, ma la vicenda della condanna a Joe era tanto chiara quanto torpida. Insomma i pochi sostenitori non potevano essere sicuramente presi per pazzi, considerando le innumerevoli prove a favore di Joe Ricatto che l’accusa in un modo e nell’altro riuscì a far risultare inutilizzabili davanti alla corte. Matias gli credeva veramente, ma non poteva fare nulla. 20 anni in un carcere del genere, per un tentato omicidio non aveva senso, forse c’era di più, conoscendo il tipo probabilmente Joe aveva ficcato il naso dove non doveva. Era dei Marines, ma prestava servizio anche come investigatore. Era un ottima risorsa date le sue capacità come tiratore scelto, ma non aveva la benché minima padronanza di se. Matias credeva che l’ avesse usata tutta dietro il fucile con un occhio nel mirino e il fiato sospeso. Per il resto tutto quello che gli passava per la testa, Joe Ricatto, faceva e diceva senza alcuna remora. Più volte cercò di fargli capire di puntare sulla buona condotta, ma era più forte di lui. Joe non riusciva proprio a tenere a freno la lingua. Non sa perché gli credesse, ma ciò che diceva aveva una sua logica e, probabilmente, quel ragazzo con quel strano cognome gli piaceva. Si chiese più volte cosa lo affascinasse, probabilmente gli ricordava suo fratello maggiore che prestava servizio nell’esercito, i due si passavano 11 anni. Simon Sullivan, generale plurimedagliato.  Entrambi nati a Caracas, in Venezuela, e trasferitisi in America con la famiglia quando avevano 13 e 2 anni. Matias era un uomo dalle chiare fattezze sud Americane e, pur essendo cresciuto in America, non riusciva a contenere diversi intercalari in spagnolo anche se il suo era un inglese preciso. I due fratelli si assomigliavano molto nei lineamenti del viso ma poco nella corporatura. Matias era più gracile di Simon, se essere 1.87 per 82 kg si possa definire tale. Ma Simon, che sembrava nato per essere un generale, era alto 1.95 per 92kg e metteva in soggezione chiunque, o quasi. Se Matias aveva avuto quel posto di guardia nell’ Adx Florence è probabilmente anche grazie all’ influente figura di suo fratello. La cosa bella di Matias era il suo cuore. Non fu mai invidioso del fratello, ne visse mai sotto la sua ombra, anzi si volevano davvero molto bene. Una volta a settimana si incontravano nel Bar sotto casa sua. Simon faceva chilometri per non mancare mai a quell’appuntamento. “Bar Tarucco” si chiamava. Era uno dei tanti bar di Florence, ma l’unico ad avere quei croissant croccanti alle punte e morbidi all’interno, con un velo di marmellata o cioccolato e una spolverata di zucchero a velo sopra. Joe sapeva di questo rituale tra i due fratelli infatti chiese: << sta sera niente rimpatriata con il fratellone? >> << No, c’è il discorso di Benson e Walsh. Anche se gli agenti convocati sono innumerevoli e l’esercito non è presente, per un evento del genere Simon deve essere assolutamente reperibile per qualsiasi evenienza >> rispose Matias con schiettezza e un pizzico di amarezza. << Daranno l’evento in tv? >> chiese Joe. << si, su quasi tutti i canali, verso le 19 >> sintetizzò Matias. Joe accese la televisione e dopo aver visto l’orario disse: << tra pochi minuti, bè non che abbia di meglio da fare, ma credo che ascolterò il discorso di questi due babbioni incravattati e spennellati di trucco. Magari capita un attentato e me lo gusto, almeno so che non potranno dare la colpa a me anche questa volta. >> Disse con un sorriso incerto.  << Dici che può accadere? >> << non credo, solo una persona è in grado di poter uccidere in queste condizioni, ed è rinchiusa nella cella 39 >> << che vuoi dire? >> chiese Matias alzandosi dal suo sgabello e appoggiandosi alle sbarre di ferro fissando Joe. << Per poter uccidere in quella piazza devi essere nella piazza, e almeno che tu non sia l’uomo invisibile  non riuscirai mai a non essere individuato  con tutta quella marea di occhi, a meno che tu non sia un cecchino. Ma dovresti postarti a chilometri di distanza, visto che i primi palazzi sono a centinaia di metri e sono sorvegliati, sicuramente i voli sono cancellati su quella zona e l’unico modo sarebbe postarsi in un palazzo fuori dal controllo delle unità. Quindi due, tre chilometri... >>  << mio dio, nessun fucile è in grado di avere una così lunga gettata, e non credo sia possibile che un uomo, per quanto addestrato, possa riuscire ad un colpo simile. >>  << ti sbagli vecchio mio, il Barrett M-82 è in grado di fare 2430 metri. Ed è un dato risalente al 2002. Un colpo messo a segno da un tiratore canadese. Per fare un’impresa del genere bisogna tener conto non solo del vento, ma anche dell’aria, dell’umidità e persino della rotazione terrestre e della gravità, ergo… L’unico tiratore ad aver raggiunto i 3 chilometri di distanza sono io, ma non è mai stato ufficializzato, non poterono, diciamo che avvenne senza autorizzazione... >>. << Interessante, quindi il presidente e Walsh sono al sicuro con te in gabbia >> replicò Matias. << si.. e comunque uno dei due lo è per forza, il cecchino ha un colpo alla volta, dovrebbe possedere poteri sovrannaturali per fare fuori due obbiettivi distanti tra loro con un proiettile, dovrebbero essere in due ma dovrebbero colpire all’unisono, e date le distanze non è cosa semplice, a meno che.. >>  Joe si interruppe  quando vide iniziare il collegamento in diretta e ci fu un primo piano sui due esponenti. << a meno che cosa? >> incalzò Matias. Joe si mise a ridere di gusto e disse: << a meno che non si strozzano prima con la loro cravatta, guarda che nodi! >> entrambi si misero a ridere, tranquilli e sicuri che avrebbero assistito solo ad un noioso discorso sull’eco sistema.

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Capitolo 8
*** Capitolo 1, VII ***


VII
<< Ben arrivata professoressa Holmberg, questo è il posto a lei riservato. >> Disse Parker indicando una sedia appena poco lontana dalla marea di giornalisti che si trovavano davanti al podio. << Grazie >> rispose sedendosi e mettendo sulle sue gambe la borsa di pelle scamosciata blu << temevo dovessi stare pure in piedi. >> Parker sorrise e si allontanò, accese le comunicazioni e iniziò a sincerarsi che ogni agente fosse al suo posto << Sono Parker, tra pochi minuti il Presidente Benson salirà sul podio, ogni agente è in posizione? >> ognuno di loro, in ordine, rispose in tono affermativo alla richiesta dell’ ex colonnello. Poi venne il turno dei tiratori scelti. << Tiratori, siete in posizione? Qualche anomalia? >> << No signore, da qui è tutto nella norma, le persone in piazza non hanno precedenti e nei palazzi qui intorno non si muove nulla, ma terremo gli occhi aperti. >> Rispose un agente. << Perfetto >> tuonò Parker << ci aggiorniamo a metà evento >> , << comandi. >> Parker si piazzò affianco al podio ,dove i capitani delle altre forze erano già da qualche minuto stazionati, e con le gambe divaricate e le braccia incrociate si mise ad osservare la mandria di giornalisti difronte a lui sentendo alla sua destra salire il Presidente Benson. I responsabili dell’acustica alzarono il volume del microfono del podio, e con un cenno diedero il via libera al Presidente. << Salve a tutti >> esordì Benson picchiettando la base dei foglietti sul leggio del podio allineandoli. << Si è fatto un gran parlare di questo discorso sulla f23-boc5 >> i presenti si sbalordirono e i giornalisti iniziarono a scrivere. Il nome della ricerca non era mai stata ufficializzata. << lo so, lo so, il suo nome non è mai stato reso noto, ma ora, con mio grande entusiasmo, posso affermare che la ricerca del f23-boc5 o, come lo abbreviano i suoi creatori…>> fece una pausa per far crescere la souspanse <<…Ovidio, il tramutatore di elementi..>> come fece per concludere la frase le mani dei giornalisti, come un’onda anomala, si alzarono verso il cielo facendo a gara tra loro per chi arrivasse più in alto. Parker e gli altri capi scattarono con lo sguardo puntando al presidente sbalorditi, persino Holmberg, che fino a quel momento era fin troppo annoiata, scattò sulla sedia proiettando la sua attenzione a Benson attendendo qualche altro dettaglio. Mentre i tendini delle spalle di ognuno dei giornalisti venivano stirati verso l’alto il presidente acquietò quel marasma. Con ampi gesti delle mani e con voce ferma, ma empatica disse << signori, signori vi prego calmatevi, le domande alla fine. >> E appena ognuno di loro ritornò in se lasciando da parte quell’ istinto a prevalere Benson continuò: << Non posso rivelarvi altro, ma prima di dare momentaneamente la parola al Senatore Manuel Walsh, invito tutti voi che ci state ascoltando a sostenere questa ricerca che sta giungendo al traguardo e ai paesi che sono stati dubbiosi fino ad ora di canalizzare le loro risorse e i loro ricercatori in questo progetto.. >> fece una pausa e appoggiandosi al leggio si avvicinò ancora di più al microfono e fissando le telecamere concluse: << Signori.. l’umanità è a un traguardo storico, a voi scegliere di scrivere la storia con noi! Ora lascio la parola al Senatore Manuel Walsh, venuto direttamente da Dublino >>. Benson si congedò con un ampio sorriso voltandosi e indicando Walsh. Questo fece per stringere la mano al Presidente in un fruscio di macchine fotografiche che stavano immortalando il momento quando da sotto il leggio volò velocemente uno strano uccello, un uccello di medie dimensioni ma dai colori vivaci, che catturò per poco l’attenzione di tutti, ma quell’ avvenimento ebbe poco valore. Immediatamente dopo tutte le radio, ricetrasmittenti e amplificatori gracchiarono e iniziarono a trasmettere una lirica, il Requiem di Mozart, e dopo 10 secondi  si sentì un sibilo, simile al suono di una freccia scoccata a pochi centimetri dall’orecchio di ognuno di loro. Ci fu un esplosione dal petto di Benson che macchiò il vestito di Armani di Walsh e altrettanto fece la schiena di Walsh il cui sangue andò a gettarsi sui Capi dell’ F.B.I. dell’ N.S.A. e della C.I.A. e dei vari agenti che erano li affianco. Entrambi fecero un balzo di tre metri, Benson atterrò sul bordo del podio con mezzo busto, lasciando cadere il resto del corpo perpendicolare a terra, e Walsh invece si fiondò proprio davanti a Parker. L’inferno. Pochi secondi e già attorno ai due c’era un groviglio di agenti delle forze speciali pronti a difendere i due massimi esponenti da un possibile altro attacco sperando inutilmente che entrambi potessero avere ancora una chance di cavarsela, o almeno il loro Presidente. Parker si fiondò sul presidente trascinandolo completamente giù dal podio e macchiandosi gli indumenti e le sua mani di un sangue agre e viscoso. Si appoggiò al bordo del podio riparandosi temendo un secondo attentato. << SIGNOR PRESIDENTE! SIGNOR PRESIDENTE! >> urlò con quanta forza avesse in corpo, ma ciò che osservava erano ormai gli occhi completamente spalancati, le pupille dilatate che non sussurravano più vita, e la bocca rigidamente aperta. Rimase impietrito, chiuse gli occhi di Benson prese un fazzoletto e gli chiuse pure la bocca. Il fazzoletto in pochi secondi da bianco divenne rosso. Parker alzò gli occhi e vide Walsh nelle stesse condizioni. I suoi proseliti fecero esattamente come aveva fatto lui al Presidente. Non ci fu nessun secondo attentato. << CHE DIAVOLO E SUCCESSO?? >> urlò alla sua ricetrasmittente, lasciando il cadavere di Benson ai sanitari. << Noi… >> balbettò una voce dall’altra parte << ..noi non ne abbiamo idea, nulla si è mosso, nessun nuovo volto è entrato o uscito da questi palazzi ne dalla piazza! Signore… >> fece un respiro e proseguì << … ad occhio e considerando la provenienza del colpo.. non ci sono punti da cui un potenziale cecchino si possa essere postato! >> << A no? >> protestò Parker << evidentemente vi sbagliate! >> << Signore, un punto ci sarebbe, un palazzo esposto, ma parliamo di almeno 5 chilometri è impossibile… >>  << Non mi interessa cosa ritiene impossibile! >> lo interruppe L’ ex colonnello <>, << si Signore, ma le assicuro che è fisicamente…>> << IMPOSSIBILE? >> si irritò Parker e continuò << Sono stato nei Marine quando tu ancora puzzavi di rigurgito, non mi venire a dire cosa è impossibile, perché lo so molto bene, ma è successo e ora, senza aggiungere altro, muovete le chiappe e fatevi vedere al dipartimento entro 15 minuti, ma prima mandate tutte le squadre al luogo dello sparo! >> << Si signore >>. Parker si diresse dalla dottoressa Holmberg. La trovò impietrita, ferma fissando i due cadaveri che venivano occultati da decine di agenti per impedire che foto inopportune potessero essere scattate. Era ferma, rinchiusa nelle sue esili spalle, in mezzo a un centinaio di persone che le roteavano attorno  come i satelliti di un pianeta. << Professoressa Holmberg, mi spiace averla coinvolta venga con me, la porto subito via di qua. >> Michell non replicò e, ancora evidentemente sotto shock, seguì Parker alla sua vettura GMC insieme a 3 agenti e partirono diretti al dipartimento, incrociando in un primo momento le sirene delle ambulanze per poi lasciarsele velocemente alle spalle.
 
Durante il tragitto la professoressa Holmberg iniziò a riprendersi dallo shock. Nonstante l’odore del sangue provenire dai vestiti di Parker si stava risvegliando da quell’atmosfera surreale, concretizzando quanto accaduto non riusciva a togliersi dalla mente i 10 secondi del Requiem di Mozart, quel sibilo e l’esplosione del petto del Presidente con il successivo balzo al bordo del podio. Era vera, quella minaccia era vera e non si stupiva. Ah-Puch e Balac. La signora che veniva da Oaxaca, una regione in cui una volta erano presenti i Maya ed evidentemente, alcuni ancora ne seguivano il culto. Al solo pensiero della violenza che quelle due divinità erano chiamate a rivendicare, le si raggelava il cuore. Ma il cerchio non si chiudeva. La logica di utilizzare quelle divinità in un assassinio del genere era stringente, ma perché usarle in questo ambito? Che cos’ è realmente questo f23-boc5 o Ovidio? Sapeva che questa ricerca rimasta nell’ occulto per tanto tempo, aveva portato via diverse vite. Non che le testate giornalistiche o telegiornali ne parlassero. Sapeva questo grazie a siti web di fanatici del complotto dove, tra l’omicidio Kennedy, l’11 settembre e l’area cinquantuno, iniziava a sorgere un nuovo cavallo di battaglia che se fino a quel giorno era stato chiamato “l’elemento x” ora aveva un nome. Ovidio. “nome azzeccato” sussurrò tra se e se senza che nessun agente in quell’ auto potesse sentirla. Publio Ovidio Nasone, o semplicemente appunto Ovidio, scrisse un’ opera in cui vengono inserite più di 250 miti di trasformazioni e il titolo infatti era proprio: le metamorfosi. Tra tutti quei miti il suo preferito era Apollo e Dafne.    
             “Dopo aver ucciso il serpente Pitone, Apollo si sentì particolarmente fiero di sé, perciò si vantò della sua impresa con Cupido, dio dell’Amore, sorridendo del fatto che anche lui portasse arco e frecce, ed affermando che quelle non sembravano armi adatte a lui. Cupido indignato, decise allora di vendicarsi: colpì il dio con la freccia d’oro che faceva innamorare, e la ninfa, di cui sapeva che Apollo si sarebbe invaghito, con la freccia di piombo che faceva rifuggire l’amore, per dimostrare al dio di cosa fosse capace il suo arco. Apollo, non appena vide la ninfa chiamata Dafne, figlia del dio-fiume Peneo, se ne innamorò. Tuttavia, se già prima la fanciulla aveva rifiutato l’amore, dedicandosi piuttosto alla caccia come seguace di Diana, essendo stata colpita dalla freccia di piombo di Cupido, quando vide il dio, cominciò a fuggire. Apollo iniziò allora ad inseguirla, elencandole i suoi poteri per convincerla a fermarsi, ma la ninfa continuò a correre, finché, ormai quasi sfinita, non giunse presso il fiume Peneo, e chiese al padre di aiutarla facendo dissolvere la sua forma. Dafne si trasformò così in albero d’alloro prima che il dio riuscisse ad averla. Egli, tuttavia, decise di rendere questa pianta sempreverde e di considerarla a lui sacra: con questa avrebbe ornato la sua chioma, la cetra e la faretra; ed inoltre, d’alloro sarebbero stati incoronati in seguito i vincitori e i condottieri.”                                                           
Si rivedeva spesso in Dafne, lo iniziò a fare dalla prima volta che il suo insegnante delle superiori di Storia dell’ Arte le raccontò quel mito per spiegare la fantastica opera scultorea di Gian Lorenzo Bernini. Come Dafne, Michell avrebbe voluto seguire le sue passioni, ma la sua bellezza la comprometteva. Per quanto fosse stata già dalle scuole elementari fino all’ università la più bella di tutte, dovette spesso combattere per questo. La sua bellezza aurea era una maledizione per un animo come il suo. Altre l’avrebbero sfruttata per fari i loro porci comodi, divenendo così della stessa fattezza di questi. Ma lei era sensibile e lungimirante. Era vera. Si interessava più di altre del benessere altrui. Amava le giornate passate in riva al mare ascoltando il rumore delle onde, diverse tra loro come un’ impronta digitale. Per natura la sua indole era nobile, e durante l’ultimo anno delle superiori decise di intraprendere un’ istruzione universitaria nel campo storico. Sapeva essere difficile, ma non le mancava l’ entusiasmo. Ciò che le mancava era una distrazione. La sua più grande lotta, dopo quella di farsi notare per le sue qualità interiori piuttosto che per il suo bel corpo, era infatti trovare un ragazzo vero. Ma non ci riuscì mai e, soprattutto dopo la brutta esperienza che ebbe a 17 anni, sembrava ormai che non esistesse un ragazzo o un uomo che non la volesse solo possedere la notte, ma anche amare il giorno. Che la ascoltasse senza aspettarsi nulla dopo e senza avere scritto in quegli occhi bramosi: “Sei mia”. Quindi si sposò con le culture antiche, con i suoi libri, con la sua curiosità aspettando quel giorno in cui avrebbe incontrato un paio di occhi che le avrebbero detto: “Sono tuo.” Non si sarebbe trattato di essere posseduta, ma di qualcuno che si sarebbe dato per il suo benessere e per la sua felicità a prescindere dalla posa delle sue gambe. Quel qualcuno che avrebbe realmente vissuto per Lei. E questa, probabilmente, sarebbe stata la metamorfosi di Dafne nella sua vita.
 

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Capitolo 9
*** capitolo1, VIII ***


VIII
18 anni prima.
Ancora gli mancavano. Erano passati 5 anni ormai. Ma ancora non riusciva ad accettare l’idea di essere orfano. Perdere i genitori è sempre un’ esperienza traumatica, ma perderli a 8 anni lo era ancora di più. Se chiude gli occhi non può far altro che sentire ancora il caldo delle lingue di fuoco che gli bruciavano i peli delle braccia, e il fumo che gli penetrava nelle narici, gli impastava l’esofago e appesantiva i polmoni. Sentiva le urla dei suoi genitori ma non quelle del suo fratello adottivo, Samuel. Reyes Junior fece per scovarlo tra quelle fiamme che sembravano danzare attorno alla stanza, ma lui non c’era. Iniziò a chiamare i genitori, si senti perdere le forze e capì che doveva uscire di li.Il fuoco brucia l’ossigeno e  il cervello privato dell’ ossigeno si spegne, facendo cadere il malcapitato in un sonno profondo e, date le circostanze, la conseguenza era morte certa. Junior non sapeva questo, non lo sapeva affatto ma sapeva che li non poteva rimanere. Nel panico continuò a chiamare i genitori, ma non riusciva a sentirli, le prime grida erano cessate dopo un primo tracollo della casa. Percepiva ancora  lo scoppiettio del fuoco che mangiava i mobili della casa, uno scoppiettio fine quanto assordante. Prese due coperte, quella del suo letto e quella del letto del fratello. Mentre sfilava le coperte vide cadere dal materasso di Samuel un peluche di Ara Macao. Sapeva essere il suo preferito e il fatto che fosse suo fratellastro non gli impediva di volergli bene. Lo prese e poi si avvolse le coperte attorno e con il peluche sotto il braccio cercò di uscire. Fuori dalla stanza era impossibile andare a destra, dove le scale portavano alla stanza dei suoi genitori, e comunque sarebbe stato assolutamente poco strategico. Quindi saltò avanti a se superando un cumolo di cenere. Probabilmente le ciabatte dei quattro, visto che entravano nelle rispettive stanze a piedi nudi. Fece per dirigersi nelle scale quando un forte scricchiolio seguito da una vibrazione si protese sotto di lui. Il vuoto. Senti lo stomaco arrivargli in gola e il sangue salirgli dalle narici fino al cervello. In un attimo era privo di sensi sdraiato in soggiorno ad almeno 15 metri dall’ uscita più vicina. Quando riprese conoscenza il fumo gli entrò negli occhi, e appena li chiuse si sentì pervadere il corpo da una sensazione di arresa. Stava perdendo i sensi di nuovo, ma un grande tonfo lo fece sussultare, una parete cedette e la casa si riversò sulla sua parte est, creando un varco nelle pareti nella parte ovest a pochi metri da junior. Il varco era stretto, ma non per un bimbo di 8 anni. Era fuori. Sentì i polmoni benedire ogni singola particella di ossigeno puro, fresco. Sentiva ognuna di esse solleticargli i tessuti interni  e le narici, e per quanto fosse affannoso la pratica del respiro, mai aveva apprezzato l’ aria fresca come in quel momento. Corse arrancando nella parte frontale della casa dove vide Samuel in piedi che contemplava quell’ inferno addomesticato. Junior lo vide. Era lì. Fermo. Senza un graffio, senza un cenno di contusione, senza un maledettissimo residuo di fuliggine sul suo pigiama o nel suo volto. Junior gli andò incontro senza riuscire a chiamarlo, la gola era ancora troppo intasata. La vista era offuscata dal fumo che gli occhi avevano assorbito, ma le prime luci dell’ alba lo aiutarono ad accorgersi di ciò che realmente stava osservando. Si era Samuel. I suoi capelli erano spaventosamente privi di cenere; ogni assenza di prove che collocassero quel bambino adottato all’ interno della casa divorata dal fuoco passò in secondo piano quando il suo sguardò, ancora offuscato, percepì dei colori dalla sua mano. Era qualcosa di familiare, troppo familiare. Tanto familiare da risultare agghiacciante. Era il suo peluche, il suo peluche di macao. Junior se lo ricordava bene, lo aveva preso apposta per lui, lo aveva preso dal suo letto prima che questo venisse pervaso dalle fiamme. Ricorda che era caduto, si era caduto dal corridoio che portava alle scale al salotto. Durante la caduta aveva aperto le braccia per cercare una qualche forma di equilibro e il peluche era volato lontano da lui, o anche se fosse stato vicino il fumo negli occhi, le fiamme e quell’ innato istinto di sopravvivenza, gli avevano fatto perdere ogni tipo di contatto visivo. Ma ora lo vedeva, era stretto nella mano di Samuel. Come poteva essere possibile? Pur avendo 8 anni, la casa la conosceva bene e l’unica entrata era crollata su se stessa eccetto quelle formatasi nella parete in cui lui era uscito. Ma Samuel di lì non era entrato, se ne sarebbe accorto. Come era possibile? Intanto il pensiero di quell’ unica entrata crollata sotto le macerie gli fece tornare in mente i suoi genitori. Erano nella loro stanza. La stanza crollata su se stessa insieme alla cucina e a tutta la parte est. Arrivarono i vigili del fuoco e i soccorsi. Junior cedette alle lacrime. Samuel no. Quello era l’ultimo ricordo di quella mattina. Quel bambino che non piangeva e in mano aveva il suo peluche evidentemente provato dalle fiamme. Si portò questa domanda per 5 anni. Come aveva fatto a recuperarlo? Se lo chiedeva spesso, ma a Samuel non lo interrogò mai sull’ argomento. Non lo aveva fatto fino ad ora; decise di farlo quel giorno. Dopo cinque anni, ormai Samuel ne aveva dieci e con lui aveva un discreto rapporto. Vennero affidati alla Zia. Una zitella di 64 anni, priva di alcun fascino femminile, e carente anche sotto il fattore umano. Ma in qualche modo junior e Samuel sentivano l’ affetto che questa provava per loro. Non che fosse palpabile, anzi a volte si sentivano un peso. Ma non gli mancò mai nulla, la pancia era sempre piena, e i balocchi erano più che sufficienti. In fondo era comprensibile, aveva vissuto nella solitudine per parecchi anni, troppi soprattutto per una donna. Faceva un grande sforzo per fare qualche carezza ai due, certo la cosa riusciva meglio con Junior essendo un diretto parente, ma entrambi beneficiavano di questi suoi esigui gesti di tenerezza e ne apprezzavano lo sforzo. Marìa Sanchez, così si chiamava, era la sorella della madre dei due, non aveva una sana postura eretta e aveva le mani callose, conseguenze del suo Lavoro come lavandaia. Stava via 9 ore al giorno  sebbene ne lavorasse 6, ma il tragitto era lungo dalle campagne di Oaxaca alla città. Nonostante questo i due fratellastri non si sentivano mai soli, sapevano riempire le loro giornate dopo la scuola. Quello era un bel giorno, una giornata di sole pieno, ma che non scottava grazie ad una leggera brezza di ponente. Junior era fuori, erano le 16 e il sole sembrava più luminoso che mai. Gli piaceva la campagna di Oaxaca, come i fili d’erba fluttuavano mossi in un moto ondoso dal vento. Vide Samuel andargli incontro con una palla, una fionda e il suo peluche. Quel dannato peluche di Macao. Ormai era provato dal tempo e da quell’ incendio di 5 anni prima, ma Samuel non se ne separava. Junior sentì di dover sapere cosa accadde quella notte. Come aveva fatto ad entrare, prendere tra le macerie e le fiamme il suo peluche, e uscirne senza un misero graffio. Samuel nel frattempo gli tirò la palla con un calcio, e Junior la stoppò con il petto. Ma ancora non era il tempo di giocare a palla, di li a poco sarebbe tornata la zia e c’era un gioco che i due facevano in sua assenza. Tirare con la fionda alle galline che Maria teneva con una cura pari a quella dei due nipoti. Forse era proprio quello che eccitava i due, infastidire quelle bestiacce tanto amate dalla zia, e farlo senza sporcarsi le mani. Non era la prima volta che giocavano a “Stendi la gallina”, sapevano che tirargli dei sassi poco più grandi di un unghia non avrebbe mai procurato alcun danno a quei pennuti, ma non potevano permettersi di far a loro un danno serio, visto che spesso, per quanto la zia le amasse da vive, tutti e tre le amavano ancora di più servite a tavola. Quel gioco innocente però, come tutti i giochi a quell’ età, suscitava una rivalità tra i due. Chi prendeva più galline vinceva. E Samuel vinceva sempre. Non che Junior avesse poca mira, anzi su 10 tiri ne sbagliava 2, massimo tre. Samuel nessuno. Quel bambino di 10 anni non sbagliava mai un tiro da quando, 3 anni prima, iniziarono a fare quel gioco. E non solo, Junior le colpiva nel corpo e raramente nella testa, era più difficile ed era la parte sempre in movimento. Samuel non le colpiva mai nel corpo, i suoi colpi erano sempre diretti non solo alla testa di quegli uccellacci privi dell’arte di volare, ma nel becco. Ad ogni tiro di Samuel, da qualunque angolazione, da qualsiasi distanza che la gettata della fionda permetteva, si sentiva il sasso schioccare nel becco dei pennuti, con un rumore deciso di chi non colpiva a caso, ma colpiva esattamente dove voleva. Junior era troppo orgoglioso per voler sapere quale fosse il suo segreto, e comunque ogni volta si riprendeva la sua rivincita con il pallone. Arrivò la zia ed entrambi smisero di giocare a “stendi la gallina”, il risultato era 13 a 11 per Samuel. 13 su 13 per lui. Ora era il turno della rivincita per Junior e andò a prendere il pallone. Maria intanto scese dalla bicicletta e salutò i due giovani ignara di ciò che avevano fatto, poi salutò le sue galline, ignara di ciò che avevano subìto ed entrò in casa a lavarsi, fare una piccola pennichella e preparare la cena. Non sapeva cosa avrebbe cucinato, ci avrebbe pensato a mente riposata. Junior e Samuel la videro scomparire dietro la casa, verso l’entrata principale. Loro sul retro prepararono due porte con due paletti di bamboo che Maria utilizzava per raddrizzare le piante. Cominciarono a giocare e junior questa volta iniziava a prevalere. Segnò per la 4 volta consecutiva e il pallone si fermò proprio davanti al peluche di Macao. Junior andò a prendere il pallone, e osservandolo affianco al peluche, gli tornò in mente la domanda. Quella domanda. Si girò, finse di avere il fiato corto e chiamò Samuel per una pausa. Appena questi lo raggiunse Junior, seduto sul pallone con gli occhi fissi sulle scarpette di Samuel, attaccò con la domanda: << Samuel ti ricordi l’incidente alla nostra casa? >> Sentì a malapena il piccolo mugugno a denti stretti del fratello che confermava di ricordarsi.  << Dove eri quando la casa è iniziata a bruciare? >> non rispose. Junior non demorse. <> Samuel sta volta rispose << No >> << E dove eri? >> << Non lo so, forse in cucina a bere, o forse al bagno.. >> Era fattibile, in entrambi i casi sarebbe potuto facilmente uscire appena scoppiò l’ inferno. Junior non stette tanto a soffermarsi su quella domanda, non era quello ciò che voleva sapere. Prese il peluche, glielo pose e disse: << Lo avevi con te? >> << Perché? >> << Rispondimi, così per curiosità, lo avevi con te?>> nessuna risposta. << Sei entrato in casa quando c’erano le fiamme? >> ancora nessuna risposta. << Sei rientrato a prendere Phachu? >> così si chiamava quel morbido Macao. Uno strano nome, ma in fondo era solo una bestia di pezza.<< Sei entrato o no? Perché mi ricordo di avertelo preso io, ma poi senza che io te lo diedi, tu già lo avevi in mano >> Samuel continuava a giocare con dei fili d’erba, intrecciandoli tra loro e strappandoli in un secondo momento. << Samuel possibile che…>> << è stato Phachu a venire da me >> lo interruppe Samuel. Junior sentì come uno spiraglio di luce in quella strana vicenda, ma solo per un momento. Quando realizzò ciò che aveva detto quello spiraglio era solo un tratto di carbone su un foglio nero. << E impossibile Samuel, Phachu non è reale. >> Samuel si alzò diede un calcio al pallone sotto di Junior facendogli colluttare le natiche nel terriccio secco e crepato, prese il pallone tra le mani e lo tirò con un calcio con quanta forza aveva. Il pallone con una palombella si infilò tra i rami della quercia che faceva ombra al pollaio. << Ma che fai? >> chiese irritato Junior. << Vallo a prendere e ti dimostro che ho ragione >>. Junior era troppo incuriosito dal sapere la verità anche se era chiaro, come le uova di quelle galline, che Samuel mentiva. Non solo perché Phachu era finto, ma perché mentre parlava si grattava il naso. E Samuel quando mentiva si grattava sempre il naso, per questo anche la zia Maria scopriva sempre la verità con lui. Comunque voleva assecondarlo, si alzò, si ripulì i pantaloncini dal marrone del terriccio con un paio di schiaffetti e corse verso il pallone.
 
Maria si era appena addormentata. Finalmente era giunto il momento della sua pennichella giornaliera prima di andare ai fornelli. Lei non se ne accorse ma iniziò a sudare, ad agitarsi. Erano 10 minuti che si era addormentata quando ad un tratto in sogno gli comparve una strana figura. Una figura che mai in sogno avrebbe voluto vedere. Nelle sue radici fin da bambina era stata istruita mediante la vecchia cultura maya, solo la sorella poi si convertì al cristianesimo. In realtà tutti lo fecero ma lei no. Lei si sentiva più affine ad una cultura i cui insediamenti erano lontani pochi chilometri dalle sue terre, invece che credere a un tizio nato dall’ altra parte del mondo. Avrebbe voluto incontrare nei suoi sogni le figure di Balam (dio protettore), Yum Kaax (dio del mais) Ahaw Kin (dio del sole). Ma non Xi Balba e Ah-Puch. Il primo era il mondo degli spiriti e della morte mentre il secondo era il dio stesso della morte. Xi Balba comparì nella sua mente come un esplosione proiettando tutti i brutti ricordi della sua infanzia. Non li vedeva realmente, anzi non vedeva niente in particolare, ma pur vedendo come solo un denso fumo nero-porpora, risentiva tutte le sensazioni, timori, paure e fobie che dall’ infanzia ancora si portava dentro. Tra quel fumo le balzò incontro un’immagine di Ah-Puch che la fece sobbalzare dal letto. Mai le era capitato e mai avrebbe voluto che capitasse. Stava accadendo qualcosa lo sentiva, lo sentiva forte. Cercò i due ragazzi, ma non li trovò in casa. Si ricordò che erano fuori e si diresse alla finestra. Vide Samuel calciare il pallone e Junior, dopo essersi arrabbiato, dirigersi verso l’albero per andare a riprenderlo. “Tutto normale, stanno bene” si disse fra sé e sé. E mentre si voltava qualcosa la fermò. Con la coda dell’ occhio aveva visto Samuel accovacciarsi a terra. Non sa perché. Forse il sogno. Forse quella brutta sensazione che le aveva lasciato. Forse entrambi. O magari solo la sua paranoia, ma qualcosa la fece desistere dall‘ allontanarsi dalla finestra. Si mise ad osservare Samuel raccogliere la sua fionda appoggiata a una delle canne di Bamboo. Prese un grosso sasso e, appena vide che tese gli elastici puntando verso la quercia, subito capì che il suo intento non era far cadere il pallone a terra. Aprì la finestra e cercò di richiamarlo. Troppo tardi. Scoccò la pietra. Il colpò riecheggiò, sembrava avesse preso il tronco o un ramo. Così non fu, Vide Junior volar via da sopra i rami e cadere inerme a terra. Maria strozzò un urlo, e capì. Sapeva della morte dei genitori naturali. E ancor meglio della morte di quelli adottivi. I numeri parlano chiaro. Quel ragazzino le iniziò a incutere timore. Era stato troppo freddo, troppo calmo. Come se avesse tirato ad un passerotto. Rimaneva solo una cosa da fare: niente. L’atmosfera nel suo cuore era troppo pesante, ciò che la sua mente aveva creato si era incastrato assai bene con quello che i suoi occhi avevano visto. Finzione e realtà si erano  unite e fuse quasi da confonderne le parti. Maria continuò ad osservare Samuel pensando a cosa avrebbe dovuto fare. Sola e ormai grande nell’età, si mise nelle mani del Dio Balam, e decise che quel che era accaduto non era mai esistito. Determino in cuor suo che Samuel era il suo unico nipote, e mai altri ne aveva conosciuto. Avrebbe continuato a crescere Samuel come meglio credeva e assecondarlo sempre. Si sentiva troppo sola, troppo anziana per dar contro a qualcuno che un domani sarebbe diventato un uomo. Non poteva averlo contro, semplicemente perché non sarebbe stata capace di fermarlo. Assecondarlo. Assecondarlo. Doveva assecondarlo. Uscì dalla stanza e si diresse fuori, raggiunse Samuel che osservava il cadavere del fratellastro. Un colpo incredibile, preciso nella cavità oculare destra. Era chiaro. Il colpo non lasciò alcuno scampo. Senza parlare si guardarono. Samuel percepì la paura della zia, ma non proferì parola. Prese Phachu, e se ne andò. L’ultima cosa che sentì prima di entrare in casa, era la zia che aprì la capannetta degli attrezzi, lo sfregare del ferro della pala di un badile sollevato dal luogo in cui giaceva e il vento gli portava già alle narici l’odore della terra mossa. Maria scavò poco lontano una fossa piuttosto profonda e prese tra le braccia quell’ involucro che pochi minuti prima conteneva il respiro vitale di un ragazzino poco più grande di Samuel. Un ragazzino che probabilmente sarebbe dovuto morire 5 anni prima, ma poco importa, perché per Maria quel ragazzino non è mai esistito. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 2, I ***


Capitolo 2
I

Erano ancora in auto,diretti a tutta velocità verso il dipartimento dell’ FBI, Parker stava dando ordini secchi e precisi al suo vice su come muoversi in quella tragica situazione, lui doveva tornare al dipartimento. Non perché si voleva sottrarre dalla responsabilità a cui era chiamato dopo un avvenimento così terribile, ma perché aveva necessità di portar via di lì la professoressa Holmberg e di darsi una ripulita. Inoltre aveva bisogno di dare una spiegazione logica e darsela di persona, potendo visionare una cartina, del luogo da cui un possibile terrorista poteva essersi appostato. Immerso nelle sue chiamate non si accorse delle due piccole gocce di lacrime solcare con una andatura e velocità irregolari le morbide guance della professoressa Holmberg, e forse era meglio così. Troppi anni da Marines e da Capo dell’ FBI per potersi permettere di avere quel patos che sarebbe servito per sollevare e sostenere moralmente quella donna, del resto, un uomo che ha visto uccidere e ha dovuto togliere la vita ad altri per salvare la sua e di chi gli era accanto difficilmente fa della dolcezza la sua dote dominante. Le auto si inchiodarono, quasi da far sbattere le teste dei due passeggeri nei poggiatesta avanti a loro. Scesero con neanche eccessiva rapidità, Parker partì deciso verso la struttura, poi rallentò ricordandosi che aveva ancora sotto custodia la professoressa. Attese che si avvicinasse, ma senza che lei gli arrivasse al fianco, Parker riprese a camminare lasciandosi a pochi metri la Holmberg, facendogli però con la mano un cenno di seguirlo. Holmberg era un po’ stizzita da quella situazione, era solo una professoressa di storia antica, e per una lettera che citava qualche numero e due stupide divinità date dalla fantasia di quelle antiche civiltà, si ritrovava lontana da casa. Era già molto stanca, sognava di potersi prendere quella settimana tutta per se dopo i lunghi periodi di stress dati dalle lezioni e dai vari esami e test a cui dovette presenziare. Mentre saliva le marmoree scalinate del dipartimento la sua mente le enfatizzava il piacere presunto che avrebbe potuto avere coccolandosi in riva all’oceano se sarebbe potuta andare dalla madre a Miami. Peccato. Intanto Parker la fece accomodare su una sedia insolitamente ergonomica, e le disse in un modo che a parer suo risultava il più dolce del suo repertorio, ma un po’ troppo rigido e imperativo per i gusti di lei : << Mi dispiace che lei debba stare qui, ma ho bisogno almeno per qualche ora che lei mi sia facilmente reperibile, potremmo venire a conoscenza di nuove informazioni e intercettare e-mail che richiederebbero ancora il suo aiuto, nel frattempo ogni sua necessità può riferirla a chiunque del reparto che si muoverà per esaudirla, non si faccia problemi >>. Mentre concludeva quella parte Parker le lesse in quei occhi placcati di verde la tristezza che quella donna poteva provare in quel momento, ancora sotto shock per ciò che aveva visto, e lontana da casa. Quindi di sua iniziativa chiamò a se un agente che stava rifornendo il bicchiere che aveva in mano con un po’ d’acqua dal distillatore. << Agente Bryan, porti.. >> poi si rivolse a Holmberg : << Caffè o Tè? >> << Tè,  grazie.. >>. << Bè hai sentito, veloce.. >> l’agente bevve velocemente il sorso d’acqua fece per riprenderne un altro ma il brivido sulla schiena che percepii gli fece comprendere che sarebbe stata una cattiva idea vista la premura che Parker aveva fatto trasparire, quindi accartocciò il bicchiere e al volò lo tirò nel cestino, e dopo un cenno di intesa con i due, si riversò per le scale raggiungendo le macchinette all’entrata. Parker si rinchiuse poi nella sala conferenze dando ordini a chi di dovere di proiettare nel grande monitor della sala la mappatura sia topografica che satellitare della piazza fino ad un raggio di 10 km. Intanto Bryan tornò su e diede ad Holmberg il suo tè, portandole qualche bustina di zucchero non sapendo la quantità che poteva essere di suo gradimento, << Ecco il suo tè professoressa >> lei lo ringraziò con un dolce sorriso e strizzando dolcemente il suo sguardo, probabilmente il più bel “grazie” che quell’agente avesse mai ricevuto. << se ha bisogno io sono nell’ufficio qui accanto>>, dopo un cenno di intesa l’agente si rifugiò nel suo ufficio con ancora in mente quella mezzaluna rosea che era stata formata dalle labbra della professoressa. Nel frattempo Holmberg mise una bustina di zucchero nel suo tè, ma mentre mescolava decise che quel giorno tanto amaro necessitava almeno di un paio di bustine in più. Si alzò quindi per andare a prendere da se la bustina di zucchero che le mancava, avendone ricevute solo un paio dall’ agente. Una volta in piedi si bloccò. Si strizzò gli occhi, e guardò con ancora più attenzione attraverso il vetro della porta dell’ufficio in fondo al corridoio. La luce era spenta e la tendina abbassata ma qualcosa catturò la sua attenzione. Guardò la targhetta sulla porta: “Mark Parker”, era chiaramente il suo ufficio, ma c’era qualcosa di strano incastrato in quelle tendine. Holmberg si avvicino di più, lo guardò attentamente da più vicino, fece per entrare ma non si sentì di invadere lo spazio privato del rigido Parker. Si limitò quindi ad osservarlo da fuori. Poi dopo averlo studiato un po’ fece un piccolo sorriso, e ritornò col pensiero alla sua bustina da zucchero. ‘che strano..’ pensò tra se e se ‘una piuma così bella e variopinta incastrata nella tendina della porta’, poco importava, prese la bustina dal recipiente su un piccolo tavolino situato affianco alle macchinette dell’entrata e ritornò seduta di sopra, si risedette al suo posto e si mise a miscelare lo zucchero con il tè lanciando un ultima istintiva occhiata a quella bella piuma.

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Capitolo 11
*** Capitolo 2, II ***


II
Un piccolo ghigno si era formato sul suo volto alle prime luci del tramonto.
“Buonviaggio a Xi-Balba”.
 Li vedeva. Tutti presi dal panico. I giornalisti si erano dispersi con le facce a terra come dei vermi. Gli agenti, addestrati anche per quelle situazioni, brancolare nel buio mentre i paramedici, che davanti ai corpi inermi del Presidente Benson e del Senatore Walsh potevano fare ben poco, far posto alla scientifica che si era già postata tutt’intorno ai due cadaveri. Li stava osservando dal mirino del suo fucile, un  Barrett M95 calibro 50. Non aveva fretta, perché avrebbe dovuto. Certo avrebbero capito sicuramente il luogo del suo appostamento, forse stavano già andando a controllare.  Le chiamate  fatte dagli abitanti li vicino, avvertendo di aver sentito un forte sparo, stavano probabilmente già intasato il centralino del 911. Diede un ultimo sguardo da dentro al mirino ingrandendo l’angolo visivo. Aspettò qualche secondo, e come credeva già si erano mossi, tante piccole formiche partite alla sua ricerca. Si guardò intorno, si alzò sulle ginocchia e iniziò a smontare il suo fucile. Tolse il bipode da sotto di esso, poi smontò il mirino, e via via tutto il resto facendo molta attenzione che la lunga canna rigata, per evitare la perdita di accuratezza sulle lunghe distanze, non venisse danneggiata. Chiuse il borsone, e attese un paio di minuti. Chiuse gli occhi, distese il suo braccio e lo sentì arrivare. Riaprì gli occhi, si girò dalla parte del braccio disteso: << Ottimo lavoro Phachu >> disse. Il volatile variopinto gracchiò, imitando la voce del suo padrone. Si alzò in piedi, prese il borsone e in un attimo sparì da quel tetto.

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Capitolo 12
*** Capitolo 2, III ***


III
<< Woooh!!>> Urlò dalla sua cella Joe Ricatto sobbalzando dal letto e finendo per dare una testata alla parete dietro di se. << Che succede? >> Disse Matias. Joe non rispose, aveva un occhio chiuso per il dolore della capocciata e l’atro aperto fisso sul monitor mentre si sfregava sul punto dell’urto con la mano sinistra. Matias lo guardava tra le inferriate della cella e gli richiese << Joe che…>> Sta volta Joe lo interruppe, e disse: << Ascolta..>> Alzò il volume del televisore più di quanto fosse consentito nel regolamento interno, ma nessuno disse niente. Matias prima ancora di sentire ciò che diceva il giornalista dal televisore sentì la bolgia che stavano creando tutti i detenuti. Esultavano, quasi eccitati. Era chiaro, Joe non stava scherzando. Sentì poco dal televisore, l’uscita audio era veramente scarsa, ma poté sentire ciò che bastava, sarebbe voluto entrare e vedere, ma sicuramente avrebbe avuto modo in un secondo momento. Sentiva che non parlava solo un giornalista, la linea rimbalzava tra più giornalisti. Chi si collegava per un motivo, chi per un’ altro stavano facendo diventare quel momento una corsa a chi desse le informazioni migliori. D’altronde i primi squali della società sono loro, giocandosela prepotentemente con i politici. << Non ci posso credere >> esordì Matias << è accaduto davvero, possibile che qualcuno li in mezzo sia sfuggito agli occhi della sicurezza? Il parco del National Mall.. >> << Non era lì >> esclamò Joe << Non era lì…>> ripeté più silenziosamente distaccando gli occhi dal monitor. Si sedette sul letto, e guardò Matias. << Che significa che non era lì? Il National Mall non ha molti punti dove appostarsi se non qualche albero, non ci sono edifici nelle vicinanze, come poteva non essere lì >> << Perché ho visto in diretta ciò che è accaduto, ho visto in diretta, come penso potrai vedere anche tu, il petto del Presidente e La schiena di Walsh quasi esplodere, ho visto e solo visto.. >> << Che vuoi dire? Hai visto si, era in diretta. Non capisco cosa intendi >>. Joe mise le mani sulle ginocchia e sbilanciandosi in avanti facendo perno su di esse si alzò, e si diresse verso il secondino. << Solo un fucile Anti-materiale fa un danno del genere.. >> << Anti materia? Cos’è fantascienza? >> lo interruppe Matias con un tono di sfottò. << No anti-materia, ma anti-materiale. Vengono chiamati così perché, caro il mio genio, se vieni puntato da uno di quelli, e ti auguro vivamente di no, non puoi riparare il tuo bel culetto sud americano neanche dietro a una lastra di cemento armato spessa venti centimetri quindi, come dice il buon Jack Sparrow, “Comprendi?”>> << Dici sul serio? >> chiese incredulo Matias << Molto serio, per questo se ti dico che ho visto, significa che ho visto, MA..>> si portò  l’indice della mano all’orecchio << non ho sentito.. e credimi se fosse stato nelle vicinanze lo avremmo sentito molto bene, per questo dico che non era lì, non era lì vicino. Non era tra la folla né poco lontano. >>. Si allontanò dalle sbarre e si gettò di peso sul letto, rialzandosi seduto di scatto in un secondo momento. << A cosa pensi? >> chiese Matias. Joe non rispose, in un attimo tornò con il pensiero a molto tempo prima del suo arresto.
 
 
<< Devi scendere a Bassora, insieme all’ unita Delta, hanno bisogno di un tiratore scelto>> ordinò il colonnello Mark  Parker <<  l’intelligence ha motivo di credere che l’ha si stia muovendo una cellula di trafficanti di persone >> << Non possono andarci le unità di terra? >>  chiese il giovanissimo Joe Ricatto, osando parecchio, ma sapeva bene che se il colonnello gli chiedeva di unirsi ad un’ unità che non era la sua, doveva aver bisogno di lui e in quel caso il rischio era controllato. Infatti dopo un occhiata che trasmetteva la volontà di Parker che Joe stesse al suo posto rispose: << Perché sono impegnati nella striscia di Gaza,  e in questo caso dal golfo persico facciamo più rapidamente. Si tratta di un’ azione preventiva, come ho già detto l’intelligence ha motivo di credere, ma non ha le prove che ci siano davvero. Se li fermiamo senza che salgano verso Bagdad diminuiamo il rischio di perdite tra i civili rapiti >>. Chiaro. Fermarli a Bassora significava avere l’ elemento sorpresa, non si aspettavano di essere attaccati dal mare, e in più non avrebbero rapito altre persone nel tragitto verso Bagdad, cosa che molto probabilmente sarebbe successa. << Un ultima cosa >> disse Joe a Parker << di che tipo di trafficanti parliamo? >> Parker lo guardò, sapendo che la risposta gli avrebbe dato una forte motivazione per fare bene il suo lavoro.
<< Donne >>
<< Donne? >> ribatté subito Joe
<< si Donne..>> Mark fece una pausa e poi rincalzò << se ragazzine di dodici anni possono essere definite già tali>>
<< Dodici?? Ma che..>>
<< si dodici, fino ad arrivare non più di venti, questi animali prediligono carne fresca ragazzo>>
<< Merde!!>> urlò Joe. Parker conosceva molto bene i suoi ragazzi, ne aveva studiato i profili e osservate sia le esercitazioni che i comportamenti in pubblico. Joe Ricatto lo affascinava, non sapeva trattenere la sua lingua, il che era un bene, non gli piacevano né i ruffiani né i leccapiedi, ma era chiaro che si sarebbe messo nei guai. Anche perché non si limitava a parlare troppo, ma a ficcare il naso dove non doveva. Oltre a questo era il suo miglior elemento tra gli sniper, con un particolare fiuto nelle situazioni investigative. Era davvero un prezioso elemento, sapeva che se avesse continuato così sarebbe presto stato chiamato dall’ N.C.I.S. Aveva ancora solo 22 anni. C’era una cosa che Joe odiava, l’aveva notata ma non si era mai chiesto il perché, ovvero tutto ciò che riguardava la violenza sulle donne. Non poteva neanche sentire notizie di donne che subivano violenze, sapeva bene quindi che per quell’ incarico era perfetto. Miglior tiratore, migliori motivazioni. Si era perfetto, ma doveva essere affiancato da qualcuno che lo avrebbe aiutato se si fosse fatto prendere troppo. Il primo a scendere a terra era Joe, si sarebbe dovuto appostare qualche centinaio di metri fuori dal casale che era situato nella parte nord della città, appostarsi dentro un’ appartamento di un edificio in restauro, situato qualche centinaio di metri dal covo in cui si supponeva potessero essere. Da lì avrebbero dovuto dare più informazioni possibili agli incursori. Joe Ricatto, accompagnato da Mike Miller il suo osservatore, non che miglior amico, che lo avrebbe aiutato con i suoi dispositivi di osservazione a lunga distanza, finirono di appostarsi giusto in tempo, pochi minuti dopo infatti 6 fuori strada arrivarono proprio davanti al casale. Si misero entrambi a osservare la situazione attraverso i loro rispettivi dispositivi, binocolo con reticolo telemetrico per Miller e il mirino del suo fucile per Joe. Avevano la fortuna di non aver alcun impedimento alla visuale, ma ciò che videro non piacque affatto. Dai fuori strada che apriva la fila e da quello che la chiudeva scesero cinque uomini per ognuna, tre armati e due no, i dieci andarono due per sorta nei quattro furgoni interni, dal quale uscirono altri due uomini da davanti e da dietro uscirono tre ragazzine per auto, dodici ragazzine in tutto, ma non salirono dove credevano. Due dei rapitori andarono su e scesero con diverse stoffe tra le mani, bendarono le ragazze le divisero nella disposizione iniziale e ripartirono, fecero 3 km circa e si rifermarono in una casa bianca, scesero di nuovo e tutti quanti sta volta salirono. << Cavolo, li avranno diciotto anni? >> chiese seccato Miller, Joe non rispose, ed era molto strano, quasi preoccupante << Joe..?>> << no..>> rispose in ritardo <<.. no, ne avranno a mala pena sedici, le uniche che sembrano averne poco più di diciotto sono solo due o tre, che schifo.>> tolse l’ occhio dal mirino e colpendo alla spalla a Miller gli disse << avverti a Parker, digli che le informazioni sono esatte, ma devono spostarsi 3 km circa verso sud, la casa bianca dove sono andati, penso che lì tengano le ragazze, qui invece devono tenere le loro risorse logistiche e arsenali. Digli di usare cautela, ci sono diversi civili>> rimise l’occhio nel mirino e attraverso ad una finestra guardò all’interno e continuò dicendo << Normale che siano due, in caso di irruzione o trovano le ragazze o gli arsenali, la perdita sarebbe dimezz..>> si interruppe per un secondo poi urlò << NO!! >> e distolse immediatamente lo sguardo. A Miller aveva appena risposto Parker  che sentì l’urlo di Joe, dopo aver tranquillizzato al colonnello che era tutto ok riferì esattamente quello che Joe gli aveva detto. Chiusa la comunicazione Miller guardò nuovamente a Joe che aveva il respiro affannoso e la testa rivola lontano dal fucile. Prese il suo binocolo e guardò all’ intero << che schifosi animali >>, lentamente distolse lo sguardo, e con estrema pacatezza si rivolse al suo amico: << Joe, tutto ok? >>
<< Gli ammazzo..>>  disse Joe
<< Non spetta a noi, e anche se volessimo la distanza è troppa e comprometteremmo l’ operazione >>
<< Gli ammazzo..>> non tenendo conto della ripetizione dell’ amico Miller riferì quanto detto dal Colonnello << Parker ha ordinato di non muoversi fino a diversa comunicazione, la squadra delta è a quindici minuti da qui >> Joe annuì, rimise l’ occhio nel mirino e si mise a osservare cosa stesse accadendo all’ interno. La situazione non era migliorata anzi, stava peggiorando. Si rese conto che se c’era un momento per la squadra delta di entrare era quello, ma ancora non erano arrivati. La respirazione gli aumentava. Sempre di più. Le vedeva, Le vedeva essere picchiate, legate, alcune a terra altri su scadenti letti in posizioni che spiegavano da sé cosa avessero in mente quegli animali. Erano animali. Una di loro cercò di scappare, la presero in due. Entrambi, Joe e Miller, stavano osservando la scena. Appena videro cosa stava accadendo, non vollero vedere altro, era chiaro quale era la punizione che tutte dovevano vedere. Distolsero lo sguardo entrambi verso destra. Miller non poteva vedere Joe sotto quella coltre mimetica che aveva, ma poteva sentirlo, sentire il suo respiro, troppo affannoso, troppo coinvolto, non bene per uno sniper. In sintonia si rimisero a guardare se la squadra delta fosse arrivata, ma ancora era lontana. Poi guardarono nuovamente all’interno, le ragazze piangevano. Erano piene di lividi, e la ragazza che aveva tentato di scappare era sparita. Comparve in un secondo momento insieme ai due che l’avevano afferrata. Non ci si doveva fare molte domande su ciò che le era accaduto, era il destino di tutte loro, ma a lei era capitato prima. Non  videro fisicamente l’accaduto ma, sebbene la distanza, poterono leggere negli occhi di lei la sofferenza, la morte spirituale ed emotiva di una ragazzina. Le avevano rubato la cosa più importante che potesse avere. E lo avevano fatto con la forza. Lo avrebbero fatto a tutte loro, per poi venderle a chissà chi, che le avrebbe usate per scopi personali o come mezzo di guadagno. Il respiro di Joe era meno affannoso, ma la sua rabbia si tagliava a fette. << Per che diavolo non arrivano..>> Non fece in tempo a dirlo che Parker chiamò, rispose Miller. Quando riattaccò disse a Joe << La squadra Delta ha ricevuto un’imboscata, l’anno sventata, ma non possono proseguire, i feriti devono tornare alla nave. >> << E noi..?>> chiese Joe. Miller lo guardò rimettendo il binocolo nell’ involucro e disse << Noi abbiamo finito, operazione annullata >>  << E loro..?>> disse Joe riferendosi a quelle ragazze. << Joe senti..>> << No!! Non ci sto >> Joe lo interruppe e subito si sentì un forte “cic cic”. Il fucile era carico, e ora il colpo era in canna. << Joe non fare cavolate >>. << è un mondo di merda, e non ci sto!>>
<< Non puoi salvare il mondo Joe!>> gli disse deciso Miller. Joe lo guardò fitto negli occhi e rispose << no..ma posso salvare quelle ragazze >>.
 << Joe ragiona, siamo troppo lontani, tre chilometri sono troppi, e se anche ne prendessi uno ce ne sono più di venti >>
<< togliamo di mezzo loro, così i rimanenti della squadra delta possono venire e liberare le ragazze >>
<< Joe non si può fare! >>
<< Mike, sei religioso? >>
<< si..>>
<< Proverbi 3:27 dannazione, Proverbi 3:27 >>
<< Cosa dice? >>
<< te lo dico dopo, ora o mi aiuti nelle coordinate, o me la vedo da solo >>
<< Ma joe sono tre..>>
<< O mi aiuti te, o me la vedo da solo >>. Mike ci pensò << non so cosa dica Proverbi, ma chissene, è la volta buona che torniamo a casa >> Joe si rimise in posizione, Mike tirò fuori il binocolo e si mise al fianco di Joe. Guardarono dentro la casa, uno di loro era davanti ad una ragazza, legata a polsi e caviglie per i quattro pomelli. << Le coordinate Mike, facciamolo fuori, iniziamo da lui, dammi le coordinate  >>  “non ci riusciremo mai” pensò Mike <<  va bene, iniziamo.. distanza stimata..3000 metri, vento stimato.. ore sei, velocità.. 4 km/h circa. Senti Joe da questa distanza c’è da calcolare anche.. >> << la rotazione terrestre, lo so..>> l’ uomo iniziò ad andare sempre più vicino alla ragazza, si fermò ad accarezzarle i capelli per poi scendere in un movimento costante al volto. Quello era il momento. Joe trattenne il respiro, corresse la mira, strinse più forte l’impugnatura. Sentiva il suo cuore battere, era un colpo mai nessuno aveva messo a segno prima, troppo lontano, troppe variabili, ma se lo sentiva.. quel colpo era il suo e premette il grilletto. Il vetro si infranse, l’uomo venne spazzato via, come se Mike Tyson gli avesse appena tirato un gancio destro. Per quanto un colpo di Tyson possa equivalere a una mazza di ferro di sei chilogrammi che ti colpisce a sessanta chilometri orari, quel proiettile gli fece ben più male. Le ragazze urlarono, e gli uomini all’ interno si rifugiarono dove potevano. Uno di loro si rifugiò sotto la finestra. << Ancora Joe, dammi le coordinate di quello sotto la finestra, trapassiamo il muro. >>. Mike era scioccato da ciò che aveva appena visto. Se fosse stato ufficiale sarebbe entrato nella storia. << Idem di prima, non c’è alcuna variazione calcolabile >>. Joe ricaricò il fucile, trattenne il fiato e sparò un secondo colpo. Il muro si perforò, e probabilmente aveva fatto centro. Lo lesse negli occhi di quelle ragazze. I loro aguzzini le lasciarono per scendere in strada e prendere le auto. La trasmittente di Mike iniziò a riprodurre la voce tuonante del colonnello << Che diavolo state facendo! Ricatto, Parker voi non avete..>> << Mandi qui la squadra delta signore! Vi stiamo dimezzando le forze nemiche >>  urlò Joe. Detto questo un’ auto si avvicinò sensibilmente, ne uscirono cinque uomini, le auto si erano divise per cercarlo, di certo non si aspettavano fosse così lontano. << Le coordinate dell’ auto Mike>>  << 800 metri, vento ore otto, forza 6 km/h >> Joe mirò al serbatoio << Mike prendi il tuo fucile, devi sparare sotto il serbatoio con me >> << ma che diavo..>> << VELOCE MIKE! >>  gli impose Joe. Mike Sussultò e distolse la concentrazione dalle intimidazioni di Parker. Prese il suo fucile, lo caricò e prese la mira. << Pronto? >> << Pronto >> Sparò prima Joe al serbatoio, come ne uscì il carburante sparò Mike poco più sotto. Ne uscì una fiammata che ebbe il suo ritorno all’interno del serbatoio. La macchina esplose non lasciando alcun scampo.
 
<< Joe! JOE!! >> gridò Matias << Si..ehm..scusami..>> rispose. << Ma che ti prende..>> << niente, solo che ho la netta sensazione di essere stato battuto >>
<< Battuto?>>
<< Si, ho la netta sensazione che questo colpo, sia stato fatto da più di tre chilometri >>
<< Dici? Tu come hai fatto a mettere a segno quel colpo?
 << Con la rabbia >>
<< Rabbia? Racconta..>> chiese incuriosito Matias.
 Joe sorrise, si strofinò il mento <<  Ero in servizio nel golfo persico… >> 

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Capitolo 13
*** Capitolo 2, IV ***


IV

<< Qui Agente Miller >>
<< Miller, sono Parker. Il 911 ha ricevuto molteplici chiamate relative ad uno sparo. >>
<< Dove dobbiamo andare ? >>
<< All’ hotel  Crystal Gateway Marriot >>
<< Ma è.. >>
<< Impossibile, lo so.. lo so. Ma per ora è l’unica pista che abbiamo e dobbiamo seguirla. >>
<< Signore ma è a quasi 4 chilometri da qui..>>
<< Esegua Miller!! >> tuonò Parker << Si.. Signore >>. La comunicazione si interruppe. Miller radunò i suoi uomini, e si diresse al Crystal Gateway Marriot. Arrivarono lì, in poco più di 5 minuti. L’hotel sembrava deserto. Tutte le famiglie erano corse nelle loro stanze, dove si sentivano più al sicuro. << Sul tetto avanti! >> comandò Miller ai suoi. Subito si precipitarono nelle scalinate per raggiungere la cima dell’ Hotel. Sentendo correre gli agenti diversi aprirono a feritoia le porte delle loro stanze per vedere cosa stesse accadendo. Nel frattempo Miller urlò con tutto il fiato che aveva : << Siamo dell’ FBI. Nessuno, RIPETO, nessuno esca dalle proprie stanze. Chi verrà trovato fuori sarà preso in custodia! >> Poi si rivolse a 3 agenti dietro di se : << salite piano per piano e avvertite tutti riportando ciò che aveteo appena sentito, io salgo con il resto del gruppo >> i due agenti annuirono, e Miller si precipitò sul tetto.

Michell Holmberg aveva appena finito il suo tè. Si stava annoiando e nella sua testa rifrullava la lettera che aveva letto quella mattina. Non tanto minatoria quanto inquietante. Era così strano che ancora oggi, nel 2015, ancora ci fosse stato qualcuno che citava quelle divinità così antiche e trapassate in un contesto così moderno e attuale, con una ferma convinzione che quelle divinità davvero potessero esistere. Certo lei non seguiva nessuna religione. Non che non credesse in Dio, anzi, ci credeva e tanto anche, ma perché il suo lavoro era la sua vita, e una religione avrebbe comportato un pensiero di troppo. Ne aveva di pensieri. Certo che, quando incontrava qualcuno che non credeva in Dio, si chiedeva come fosse possibile. Era chiaro per lei che qualcuno, un progettista, avesse pensato alle leggi che compongono e guidano l’universo e ancora più vicino, le leggi che permettono la vita sulla terra. Non era per il fanatismo, né per un legame a qualche religione o setta sulla terra, anche perché la sua conoscenza delle religioni era solo teorica,  ma per lei era chiaro solo vedendo tutto ciò che di meraviglioso esisteva sulla terra che un essere superiore, intelligente e potente avesse creato tutto questo. Chiaro non si spiegava il perché delle violenze, come quella accaduta quella mattina. Tutta questa violenza, le ingiustizie e i soprusi erano in netto contrasto con il bello che della creazione che rispecchiava il bello, il giusto. Mentre era assorta nei suoi comuni pensieri sentì urlare Parker qualcosa ad un certo Miller. Si alzò e si avvicinò alla stanza origliando un po'. Non era di certo nel suo stile origliare, però era incuriosita da ciò che stava accadendo. Dopo una breve pausa Parker riprese a parlare, Holmberg sentì bene quello che stava dicendo: << Puoi ripetermi cosa avete trovato? [...] Sul tetto […] nient’altro? [...] Come fate ad essere sicuri? [...] ok va bene, chiamate l’ N.C.I.S., che collaborino con noi.. si perfetto, portatemi qui le foto che avete fatto sul posto, ne invierò una copia ai ragazzi dell’ unità investigativa. Ci riaggiorniamo a breve. >> Parker chiuse la comunicazione. Michell sentì dei passi e un tonfo su una sedia, e la sospensione di essa sfiatare per il peso. Poi di nuovo Parker riprese a parlare. << Pronto? Si  ciao Kurt, sei stato assegnato te? [...] mi fa piacere, senti vieni qui a breve i miei ragazzi mi daranno le foto che hanno fatto sul posto, […] si non pare vero,ma penso che sia buono che FBI e l’ NCIS collaborino. Che ne dici? [...] Bene, ti aspetto qui […] l’unica cosa che hanno trovato sono un bossolo tra 3 piume colorate […] esatto, non ha senso, per ora, ma sembra essere un messaggio, quando vieni ne parliamo, a dopo Kurt. >>. Holmberg rimase di sasso. Come se qualcuno le avesse messo un cubetto di ghiaccio sotto la canotta e questi le scendesse lungo tutta la schiena. Guardò velocemente la porta dell’ ufficio di Parker. Fissò incredula quella piuma colorata incastrata tra le tendine beige. Appena il freddo alle tempie le passò facendole riacquisire un briciolo di lucidità bussò forte alla porta e, senza che nessuno le diede alcun ordire, entrò. << Parker le devo assolut.. >> << CHE COSA STA FACENDO?? >> Tuonò Parker << Lei non può stare qui, deve uscire! >> Michell sembrava non aver sentito e si avvicinò ulteriormente.  << Lo so ma le devo dire assolutamente una cosa! >> Parker la guardò e facendo un respiro profondò, tentando di contenersi disse : << Professoressa Holmberg lei deve uscire di qui, tutto quello che avrà da riferirmi potrà farlo dopo >> La prese per un braccio e l’accompagnò all’ uscita. Mentre camminavano e Holmberg opponeva un po' di resistenza Parker si girò verso un agente e disse : << Ambra mi ascolti, vada nel mio ufficio e prenda le carte nel 5 cassetto del mobiletto a destra, ma non ne apra il contenuto. >> A quelle parola Holmberg si dimenò, liberandosi dalla presa di Parker, vide Ambra partire velocemente diretta verso la destinazione che le era stata comandata, alzò la voce e disse velocemente : << Ho ascoltato la comunicazione e ho sentito..>> << Lei ha origliato ??? >> la interruppe Parker
<< Si ma non è  questo il punto.. >>
<< Si che lo è.. è una cosa molto grav..>>
<< Mi ascolti insomma!! Ho sentito che sono state trovate delle piume colorate sul luogo presunto dello sparo >>
<< si, ma lei non dovrebbe saperlo! Lo sa che può finire in grossi..>>
<< CE NE E UNA NELLA PORTA DEL SUO UFFICIO! >> Urlò stizzita Michell alzandosi sulle punte, e indicando la direzione in cui si sarebbe dovuta trovare. << …Guai… >> concluse Parker con gli occhi sgranati e lo sguardo perso nel verde delle pupille illuminate da un leggero velo di lacrime della professoressa Holmberg. In un secondo sussultò e corse verso l’uscita della stanza. Holmberg lo seguì con la stessa fretta. Videro Ambra con la maniglia in una mano e l’ altra che si dirigeva verso la piuma. Il movimento era naturale, ma ai due parve quasi al rallentatore. Gridarono all’ unisono : << Ambra non tocchi quella piuma! >>. Ormai la mano aveva afferrato la piuma, la tirò ed ecco che qualcosa la trascinò all’ interno dell’ufficio. Parker iniziò a correre ma qualcosa uscì da la dentro. Mark lo riconobbe subito, frenò la corsa e si gettò contro la professoressa Holmberg. I due fecero appena in tempo ad entrare nella stanza dalla quale erano usciti che si sentì un’ esplosine acuta. Pochi secondi e delle lingue di fuoco incominciarono a farsi vedere dagli stipiti della porta. Le orecchie ancora fischiavano, Parker riuscì a sollevarsi e a chiudere la porta. Poi si levò la giacca e la incastrò nella fessura bassa della porta per non far entrare il fumo. << Granata incendiaria >> disse poi. Holmberg era ancora a terra impietrita. Sentì scattare l’ allarme antiincendio, i sensori nel soffitto si attivarono e iniziarono a gettare acqua a spruzzo. Parker fece cenno a Holmberg di rifugiarsi sotto il tavolo. Non ci pensò due volte, lanciò una sedia dietro di se e si rifugiò li sotto, Parker la seguì. Mentre il fuoco iniziò a mangiarsi anche la loro porta, sentirono in lontananza le sirene dei Vigili del fuoco. Tirarono un sospiro di sollievo, ma non durò a lungo. In un secondo le fiamme si propagarono per tutta la stanza.

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