Everyday Superheroes

di LtGreen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Evoluzione ***
Capitolo 2: *** Rinascita ***
Capitolo 3: *** Avanti Veloce ***



Capitolo 1
*** Evoluzione ***


Università statale di Milano, facoltà di Biologia, sala conferenze, tarda mattinata. Tutta la facoltà, anche persone esterne al mondo della biologia, sono accorse per seguire la conferenza del brillante professor Léon Montagne, il più grande studioso di genetica vivente, che dopo aver recentemente fatto una scoperta forse rivoluzionaria, si stava prestando ad illustrarla all’ampio numero di persone che erano accorse da tutta l’Italia per lui.
La sala conferenze era, come la maggior parte delle sale conferenze del mondo, un anfiteatro, che aveva al centro un palco, dotato anche di riflettore, dal quale i relatori erano soliti tenere le loro conferenze; in alcune situazioni questi scendevano dal palco per interagire con il pubblico, per mantenere l’attenzione, ma non era questo il caso. Per la conferenza di Léon Montagne l’università aveva posizionato sul palco un bellissimo quanto elegante leggio di ebano, dove il professore avrebbe tenuto i suoi appunti. Nonostante fosse un habitué, date le sue ricerche che lo avevano portato ad esporle in varie parti del mondo, sentiva sempre un po’ di pressione, che allontanava immaginandosi il pubblico in mutande, trucco vecchio, ma non per questo non efficace. Prima di entrare, fece una capatina in bagno per darsi una sistemata davanti allo specchio: vide riflesso il suo volto, che non presentando i segni dell’età non sembrava dimostrare i 50 anni che aveva; i suoi occhi grigi avevano ancora la stessa vivacità di tanti anni prima, e i capelli una volta neri, ora brizzolati, gli davano un tocco di fascino alla George Clooney, fascino che era supportato dal suo metro e ottanta e dalla sua normalissima corporatura, né troppo grassa né troppo magra. Dopo essersi sciacquato il volto, Léon fece il suo ingresso nella sala.
La conferenza iniziò, e il professore prese la parola: «Bonjour à tous, grazie per essere intervenuti a questo incontro con l’evoluzione. Perché si, oggi parleremo di evoluzione. Chi di voi sa dirmi cosa si intende per evoluzione?» Un simpaticone intervenne dalla platea: «Quando un pokémon si trasforma in un altro?» Il professore rise forzatamente alla battuta, e continuò con il suo italiano zoppicante: «Oui et non; l’evoluzione può portare a cambiamenti significativi simili a quelli del gioco da te citato, ma non è così semplice.» Non appena finì di formulare quella frase, l’aula era entrata in un silenzio tombale, dato che qualcuno si era alzato in piedi, e non poté che attirare l’attenzione del professore, come di tutti gli altri spettatori: una ragazza, alta sul metro e sessantacinque, con un corpo perfetto, bionda e con gli occhi azzurri, stereotipo di una ragazza non interessata nel campo delle scienze si sarebbe potuto dire. Una volta catalizzata l’attenzione su di se disse: «L’evoluzione è l’accumulazione di modifiche, anche minime, del codice genetico che con i secoli può portare alla divisione di una sola specie in due nuove specie diverse.» Il professore, entusiasta della risposta, proseguì: «Eccellente signorina, proprio così. Questa è la definizione che noi abbiamo convenzionalmente accettato grazie agli eccellenti studi di Charles Darwin, il padre dell’evoluzionismo, senza il quale noi oggi non saremmo qui.» La conferenza proseguì: il professore fece un passo indietro parlando persino del creazionismo, l’avversario dell’evoluzionismo; poi era passato alle teorie sull’evoluzione precedenti a Darwin, e dopo aver esposto anche la teoria di quest’ultimo, si soffermò sul contrasto con quella di Lamarck, applicata alla prevalenza di giraffe con collo lungo su quelle con collo corto. «In substance il signor Lamarck credeva che le giraffe, facendo sempre più sforzo per raggiungere le feuille, ehm, scusate, foglie, sempre più alte, avessero allungato il loro collo, trasferendo il collo più lungo alle generazioni successive. In realtà, come dimostrò Darwin successivamente, le giraffe potevano nascere sia con il collo lungo che con il collo corto, ma le seconde, essendo sfavorite dalla savana, caratterizzata da alberi con foglie situate in alto, andarono via via scomparendo fino ad estinguersi, lasciando in circolazione solo giraffe con il collo lungo.» Abbandonati gli aneddoti, Léon passò all’evoluzione dell’uomo, facendo notare come l’uomo si fosse allontanato, con il passare dei secoli, dalle scimmie, fino a rappresentare un grado “superiore” dell’evoluzione, ma in realtà l’umanità non poteva essere più lontana dalla verità. Citando alla lettera il passaggio di un professore di una serie televisiva, Léon Montagne disse alla platea una di quelle frasi che sarebbero rimaste impresse nelle loro menti: «L'uomo è per natura un animale egocentrico e prepotente. Siamo riusciti a colonizzare ogni angolo del nostro piccolo pianeta. Ciò nonostante, non siamo noi l'apice dell'evoluzione. Quello è un onore che spetta agli scarafaggi, non a noi. Uno scarafaggio può vivere per mesi senza mangiare, può restare in vita settimane con la testa mozzata o resistere alle radiazioni. Pensiamo di essere stati creati dal Signore a sua immagine e somiglianza, ma forse non è così. Forse Dio è uno scarafaggio. Quello che è certo è che l'uomo usa solo il 10% delle sue facoltà cerebrali. Ci vorrebbe ben altra percentuale per sentirsi le creature predilette dal Signore. A meno che questo salto non sia già stato fatto. Le ultime ricerche sul genoma umano hanno dimostrato come il codice genetico di alcuni individui stia assumendo delle lente quanto inesorabili mutazioni. Teletrasporto, levitazione, rigenerazione dei tessuti: sono eventi che appartengono al regno dell'impossibile? O è il genere umano che va verso una nuova frontiera dell'evoluzione? Chi ci dice che l'uomo non si trovi ad un passo dallo scoprire il suo vero potenziale?» La biondina di prima si era alzata, per porre una domanda al professore: «Mi scusi, professor Montagne, con questo lei intende affermare che possano esistere persone dotate di superpoteri?» Il professore iniziava a mostrare una certa esaltazione dal dibattito che si stava per creare: «Non chiamiamoli superpoteri, non siamo in un fumetto, definiamole abilità. E’ scientificamente provato che alcune persone manifestino simili abilità in corrispondenza di SPONTANEE mutazioni genetiche, e le mie ricerche, che come saprete sono pubbliche, lo dimostrano. Quello che mi viene insistentemente richiesto, ovvero la dimostrazione di tali capacità, non può avvenire, perché la totalità di questi soggetti un gradino nell’evoluzione sopra di noi, preferiscono rimanere nell’anonimato, per non essere trasformati in fenomeni da baraccone, o per paura di fare male alle persone che gli stanno vicino. Ma arriverà un giorno in cui loro si manifesteranno all’umanità, per portarla ad un destino migliore! Grazie per essere intervenuti, alla prossima.» E con un sorriso il professore chiuse la sua conferenza, per tornare all’appartamento che aveva affittato in occasione del suo soggiorno a Milano.
Prese un taxi, e una volta arrivato davanti al condominio dove era situato il suo appartamento, avvertì una strana sensazione. Arrivò al suo piano, e notò che la sua porta era stata forzata, ma non era stata chiusa: entrò di soppiatto, senza fare rumore, controllò tutte le stanze, e arrivato allo studio vide un uomo, abbastanza corpulento, che stava cercando freneticamente qualcosa; l’uomo si accorse della sua presenza, si voltò di botto, caricò il professore, e come se fosse leggero come una piuma lo sollevò senza il minimo sforzo e lo spinse sul muro: «Salve professore, mi dia immediatamente le sue ricerche.»
«L-le mie ricerche sono disponibili a tutti, basta andare su internet e cercar…»
«Sa benissimo a quali ricerche mi riferisco, voglio la lista.»
Un sorriso era spuntato sul volto del professore: «Ok, te la darò, ed ora stai calmo, se non vuoi che ti uccida in modo brutale.»
«Non credo che lei sia nelle condizioni di minacciarmi, professore.» Prese una pistola e la puntò alla tempia di Léon.
«Ok, l’hai voluto tu.» Il professore prese fiato e soffiò sul malvivente, che si bloccò di colpo.

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Capitolo 2
*** Rinascita ***


Piccadilly Circus, Londra, tardo pomeriggio. Migliaia di persone, per la maggior parte turisti, si aggiravano per questa piazza, andando di negozio in negozio a fare compere. Una ragazza era seduta su una panchina a guardare lo spettacolo: quel giorno il tempo non era brutto come era solito essere d’autunno, c’era qualche nuvola sparsa, che dava un qualcosa di pittoresco al cielo iniziato a dipingersi di arancione, anticipando l’imminente tramonto; lei sembrava essere l’unica attratta da questo spettacolo, a differenza di tutti gli altri, che continuavano a passare, indifferenti verso quello che si stava presentando davanti i loro occhi. Uno stormo di uccelli migratori attirò ulteriormente la sua attenzione, e iniziò a viaggiare con la sua mente insieme a loro: pensava a casa sua, che aveva dovuto lasciare qualche mese prima per iniziare la sua carriera universitaria in Inghilterra, ad Oxford, nella facoltà di lettere. La letteratura l’aveva sempre appassionata, e negli ultimi tre anni quella inglese l’aveva fatta innamorare di quella terra, e dei grandi poeti che l’avevano abitata. La ragazza, dal bellissimo quanto appropriato nome Sofia, aveva qualche giorno di pausa dall’università e aveva deciso di spendere questa breve vacanza a Londra. Armata di iPod, cuffie e un buon libro aveva lasciato Oxford ed arrivata alla stazione di King’s Cross non aveva potuto non fare tappa all’installazione turistica del binario 9 ¾, dovuta alla fortunata saga bibliografica e cinematografica di Harry Potter, che portava giornalmente migliaia di turisti appassionati alla stazione per farsi una foto mentre fingevano di apprestarsi ad attraversare il famosissimo muro. Arrivata nel Bed and Breakfast dove avrebbe alloggiato, decise di non perdere tempo a sistemarsi ed uscì, ad esplorare musei e luoghi di culto della città, dal museo di scienze naturali alla più che famosa Abbey Road. Tra una visita e l’altra le piaceva fermarsi e sedersi su una panchina, ed osservare: questa era la sua attività preferita, perché le permetteva di estraniarsi dalla sua realtà e di entrare nella realtà di ogni singola persona che le passava davanti. Le bastavano pochissimi secondi per capire tutto di una persona, anche senza scambiare una parola: l’enorme quantità di libri, di qualsiasi genere, che aveva divorato nei suoi 19 anni di vita, l’avevano resa un vero e proprio genio; riusciva ad eccellere in ogni campo, e tra tutte le carriere, magari anche più redditizie, che avrebbe potuto intraprendere con questa ecletticità, aveva scelto quella della scrittrice, anche se già dopo quel primo impatto con l’università aveva iniziato ad avere qualche dubbio su questa scelta.
Quello era il suo ultimo giorno a Londra, la mattina dopo sarebbe partita per tornare ad Oxford, e aveva deciso di passare il pomeriggio nella zona commerciale di Londra. Ed eccola seduta a Piccadilly Circus, a pensare alla vita da fuori sede che si era scelta, alle amicizie che aveva lasciato indietro, e a quelle che stava instaurando. D’un tratto si bloccò, la musica che le aveva fatto da sottofondo per tutto il viaggio si era fermata, l’iPod si era scaricato. Tolte le cuffie verdi, dello stesso colore dei suoi occhi, e messe nella tracolla Converse, decise di chiudere lì il suo pomeriggio di pausa, e di tornare al Bed and Breakfast. Per strada, ricevette la chiamata, totalmente aspettata, di sua madre, che le chiedeva come fosse andata la giornata e se fosse pronta a riprendere le lezioni. Sofia tirò fuori qualche risposta già pronta per l’uso, nascondendo ancora a sua madre l’intenzione che aveva di cambiare corso di studi, per passare a psicologia. Si congedò dalla madre dicendo che la batteria del telefono era praticamente scarica, e che l’avrebbe chiamata su Skype il giorno dopo, una volta tornata a casa.
Il Bed and Breakfast era molto accogliente. La proprietaria, una signora italiana in pensione, trasferitasi a Londra per lavoro anni prima, sembrava una brava persona, ed aveva fornito alla ragazza diversi argomenti di discussione molto interessanti, dalla letteratura alla fisica. In quei pochi giorni la signora si era affezionata a Sofia, nonostante avesse vissuto nella sua casa per così poco tempo, ed era un po’ dispiaciuta che avrebbe dovuto lasciarla, ma non voleva darlo a vedere.
«Sofia hai preparato tutto per la partenza? »
«Si signora Loto, grazie per l’interesse! Domani mattina partirò molto presto e non credo avrò modo di salutarla, volevo solo ringraziarla per l’ospitalità e soprattutto per la compagnia che mi ha fatto in questi giorni.»
«Figurati cara! Dato che domani non ci vedremo, colgo l’occasione per regalarti questo libro. È di un mio vecchio amico, spero ti piaccia e che ti interessi quanto ha interessato me. »
Sofia ringraziò molto timidamente la signora e tornò in camera. Dopo aver raccolto i suoi capelli ricci biondi, si distese sul letto per vedere di cosa trattasse il libro. L’uomo in copertina, l’autore del libro, era un signore molto attraente, dai capelli brizzolati e dai profondissimi occhi grigi, trasmetteva alla ragazza un certo alone di mistero, mistero che fu confermato dal titolo del libro: “Un gradino oltre l’Homo Sapiens?” Sofia, dalle conoscenze nel campo della biologia che aveva assunto al liceo, ricordava che l’Homo Sapiens era il termine scientifico con cui si identificava la razza umana. Per capire cosa significasse quel titolo, non le restava che aprire il libro ed iniziare a leggere. Una pagina tirava dietro l’altra, le conoscenze racchiuse in quel libro erano sconvolgenti per la ragazza, che riuscì a finirlo prima di arrivare ad Oxford. Appena arrivò all’università, dove aveva sede anche il collegio dove Sofia dormiva, non si soffermò come al solito a guardare la bellissima struttura della sua università, che incantava ogni giorno sia turisti che studenti, ma si fiondò in camera per documentarsi su quello che aveva letto. La prima ricerca che effettuò fu sull’autore del libro, un docente di genetica all’università di Parigi, detto il più grande genetista sulla faccia della terra, anche se ultimamente vittima di scherno da parte della comunità scientifica, a causa del libro che la ragazza aveva appena letto. L’argomento l’aveva presa tantissimo: persone che rappresentano un ulteriore stadio evolutivo della razza umana. Si disperò perché non avrebbe avuto modo di documentarsi ulteriormente sugli studi di questo professore, ma andando avanti con la ricerca su internet, scoprì che lui avrebbe tenuto una lezione di genetica proprio nell’università di Oxford; un’occasione più unica che rara per Sofia, che immediatamente prenotò un posto in aula per poter assistere, e per avere la possibilità di conoscere quel genio. Ma avrebbe dovuto aspettare due settimane, cosa che non le diede tanto fastidio, dato che ormai aveva la certezza di poterlo incontrare.
I giorni ripresero a passare come al solito all’università: la mattina lezione, il pomeriggio studio, e il tempo libero passato a fare passeggiate. Iniziò anche a sbrigare le pratiche per cambiare facoltà. Un giorno, durante una delle sue passeggiate, fu costretta ad entrare in un supermercato perché aveva completamente svuotato la dispensa, e aveva bisogno di scorte alimentari. Immancabilmente aveva addosso le sue cuffiette e Holiday dei Green Day al massimo volume. Pasta, pane, biscotti, latte eccetera eccetera, aveva preso tutto; avvicinandosi alla cassa vide alcuni clienti che correvano verso il lato opposto del supermercato, visibilmente traumatizzati. Non ci fece molto caso, ma appena arrivò alla cassa, raggelò, comprendendo subito perché quelle persone erano corse via: una persona, con il passamontagna, teneva una pistola puntata sul cassiere; dietro, cinque clienti bloccati dal terrore che quell’uomo potesse aprire il fuoco e uccidere qualcuno. Sofia, tolte le cuffiette, andò piano verso il rapinatore, che si girò di scatto appena notò che la ragazza si stava avvicinando, con uno sguardo apparentemente tranquillo.
«Vattene! Ho un’arma e non ho paura di usarla!»
Sofia raggelò, e dalla sua bocca uscì l’ultima cosa che avrebbe voluto dire: «Tu non vuoi fare fuoco. Sarebbe solamente peggio. Metti giù l'arma e vattene, non succederà niente.»
Il malfattore, come se fosse stato stregato dalle parole di Sofia, posò l’arma e uscì dal supermercato, lasciando tutti sconvolti. Sofia non fece in tempo di capire cosa fosse successo che cadde a terra, svenuta.

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Capitolo 3
*** Avanti Veloce ***


Central Park, New York, Alba. Due scoiattoli si inseguono nella natura quasi incontaminata del cosiddetto Polmone Verde di New York. Diverse persone fanno jogging, altri portano a spasso il proprio cane, altri ancora passeggiano. Tra questi c’è un ragazzo, con le cuffiette bianche simbolo della Apple, che aveva nel suo negozio vicino il parco una delle strutture più attraenti che si potessero vedere nella città. L’entrata del negozio, che era un livello sotto la strada, era caratterizzata da un gigantesco cubo di vetro, con la famosissima mela morsa, e diverse ascensori che portavano i turisti e clienti dentro il negozio. Il ragazzo, appena arrivato a New York per una breve vacanza, aveva già preso come abitudine svegliarsi molto presto la mattina e andare a fare una passeggiata a Central Park, per respirare aria pulita, e per ammirare il cielo all’alba, spettacolo meraviglioso. Sempre con se, oltre all’iPod, la sua Reflex, che usava non poche volte per immortalare qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione. Camminando per il parco, tra una foto e l’altra, pensava al lunghissimo viaggio che aveva affrontato per arrivare in quel continente, 10 ore di aereo, condite da film, alcuni apprezzabili, altri che andavano oltre ogni limite del buon gusto.
Il sole era ormai alto, e aveva iniziato ad illuminare i suoi capelli neri; prese immediatamente gli occhiali da sole e li indossò, coprendo i suoi occhi verdi. Nell’iPod la musica era cambiata; da una cover di Some Nights erano partiti i Green Day con Holiday, titolo adatto alla sua condizione persona in vacanza. Il suo tour fotografico lo portò verso Times Square: la piazza più famosa del mondo dall’incredibile fascino, non dovuto alla presenza di una natura dall’aspetto magico, ma per i grattacieli che la circondavano; la sera il tutto era condito da infiniti giochi di luci, provenienti dalle machine, per la maggior parte taxi, e dalle pubblicità poste sui grattacieli. Il ragazzo, di nome Marco, sapeva benissimo questa cosa, ma il suo intento era quello di fotografare la piazza in orari diversi della giornata, credendosi molto umilmente un Monet quando realizzò il ciclo sulle Ninfee.
Quel giorno il tour durò molto poco, dato che dopo Marco avrebbe dovuto prendere un treno per raggiungere Cambridge, nel Massachusetts. Il ragazzo era diretto in quella cittadina perché era stato selezionato per fare uno stage al celeberrimo M.I.T., l’istituto migliore al mondo, il sogno di qualunque persona che voglia lasciare un’impronta in ambito scientifico.
Questo sogno era iniziato qualche mese prima, quando il rettore della sua università, il Politecnico di Torino, l’aveva chiamato per comunicargli che era stato scelto per questo stage, durante il quale il ragazzo avrebbe potuto mettere alla prova le conoscenze acquisite durante gli anni passati in quell’università. Marco, che in quel momento si trovava a Milano per fare visita ad un suo vecchio amico, aveva chiamato immediatamente casa per avvisare la sua famiglia della meravigliosa notizia, ma non ebbe come risposta l’entusiasmo aspettato, semplicemente perché i suoi non avevano la minima idea di cosa fosse quell’istituto; Marco con molta pazienza spiegò loro tutto, facendo particolare leva sull’importanza di tutto ciò. Preparò i bagagli in men che non si dica e tornò a casa sua, a Torino, dove avrebbe ultimato i preparativi per la partenza, che sarebbe avvenuta un mese dopo. Al suo arrivo, i suoi genitori lo accolsero con una meravigliosa sorpresa: gli avevano regalato una vacanza a New York, che avrebbe preceduto il suo arrivo a Cambridge di due settimane. La settimana prima della partenza passò molto velocemente; tra saluti vari ad amici, ex professori e parenti, Marco non aveva avuto neanche il tempo di distendersi un attimo, ma non gli importava, la sua vita stava per prendere una svolta incredibile. Arrivato all’aeroporto di Torino, il Sandro Pertini, nome dato in onore del settimo presidente della repubblica, Marco si avviò velocemente verso il Check-In per imbarcare il bagaglio nel volo diretto per New York. Salutati i familiari e gli amici che l’avevano accompagnato, passò i controlli e si imbarcò sull’aereo. All’arrivo, dieci ore dopo, a New York, si andò a riposare in albergo, per poi iniziare i vari giri turistici.
Scattata la foto a Times Square, si diresse subito alla Penn Station, la stazione dove avrebbe preso il treno per andare a Boston, per poi raggiungere Cambridge in autobus. La stazione, situata vicino il famosissimo Madison Square Garden, dove vengono organizzati tantissimi eventi, per lo più musicali, è una delle più importanti stazioni di New York. Arrivato in Pennsylvania Plaza, Marco si perse per un attimo nell’ammirare quella meravigliosa struttura, “addobbata” delle locandine degli eventi più vicini che si sarebbero tenuti lì. Dopo aver immortalato anche il Madison Square Garden, il ragazzo si avviò, macchina fotografica in una mano e valigia nell’altra, verso la stazione, il cui ingresso non era molto lontano: una tettoia bianca con delle luci, e l’ingresso era costituito da delle scale che portavano dentro la stazione, situata sotto terra. Riposta la macchina fotografica, recuperò il biglietto e fece un giro per la stazione. Si fermò in una libreria, perché non aveva più libri da leggere: andò nella sezione saggistica, e venne attratto da un libro nella lista di quelli consigliati che nel titolo includeva la parola “Evoluzione”. I libri sull’evoluzione attraevano molto il ragazzo, perché molto interessanti e molto spesso scritti eccellentemente. Prese il libro in mano, e fu catturato dall’uomo in copertina, che gli era sembrato di vedere qualche giorno prima in televisione: non ricordava molto bene perché fosse in tv, ma l’aspetto era inequivocabile, in particolar modo quei singolari occhi grigi. Marco comprò subito quel libro, e lo lesse durante il viaggio per Cambridge, quasi non prestando attenzione al paesaggio che mutava continuamente fuori dal finestrino.
Arrivato a Cambridge, mentre cercava un modo per raggiungere l’università, fece qualche considerazione sul libro, che riteneva più un libro di fantascienza scritto per affascinare più che per divulgare qualche reale conoscenza. Fermò un taxi e appena salito disse al conducente: «77 Massachusetts Avenue, M.I.T.» Alla pronuncia di quella sigla, il conducente si girò per squadrare il ragazzo, forse per capire che tipo di persona diretta all’MIT prendesse un taxi per arrivarci. Durante il viaggio, Marco pensò a quello che sarebbe accaduto di lì a poco, ma realmente non sapeva cosa aspettarsi. Ad un certo punto il taxi si fermò, erano arrivati. Pagò il tassista e scese. Si girò e davanti a sé la vide: la sede dell’MIT, che sembrava un antico tempio greco, con l’entrata caratterizzata da una scalinata e dalla presenza di diverse colonne; in cima una bellissima cupola. Marco si sentì per un attimo riportato all’antica Grecia. Bagaglio alla mano e zaino in spalla, si avviò verso l’edificio, e una volta entrato venne come assalito da una ragazza che gli chiese in un inglese perfetto quanto veloce «Come posso aiutarla?».
Marco riformulò nella sua testa la domanda per capire cosa la ragazza, gli aveva posto. «Salve il mio nome è Marco Vanni, e sono qui per uno stage in ingegneria aerospaziale, vengo dal Politecnico di Torino.» La ragazza chiuse un attimo i suoi occhi verdi per pensare. «Ah sì certo, Marco Vanni, ti stavamo aspettando. Il mio nome è Mindy Pearce, e sarò la tua referente per tutta la durata del tuo stage qui al Massachusetts Institute of Technology. Da questa parte, ti faccio fare un giro tra le nostre strutture.»
Non se lo fece ripetere due volte, oramai era rimasto stregato dalla bellezza di quella ragazza: oltre agli occhi verdi, la caratterizzavano degli ondulati capelli rossi, una corporatura perfetta, ed un sorriso smagliante. La seguì come se lei generasse un campo elettrico che lo attraeva a sé. Provò a dissimulare l’evidente attrazione e prestò attenzione alla descrizione di quello che vedevano. I laboratori di quell’università facevano ricerche su qualsiasi campo scientifico, dalla biologia alla fisica applicata. Ma i laboratori che attraevano di più Marco erano indubbiamente quelli di ingegneria. Passando velocemente oltre gli altri campi dell’ingegneria, i due arrivarono finalmente a quelli di Aerospaziale.
«Benvenuto a casa» Disse Mindy in tono scherzoso; «Come penso saprai, per ora in questi laboratori si stanno svolgendo degli studi sulla propulsione. Ti lascio alle cure del professore che si occupa di questa ricerca, il dottor Leeman. Per qualsiasi cosa, basta cercarmi, ecco il mio biglietto da visita.» Fatto tesoro di quel biglietto, Marco avanzò verso quello che sembrava essere il professore, per presentarsi, quando un rumore bruscò attirò la sua attenzione. In un lampo si girò e vide una porzione di tetto sgretolarsi e cadere, che stava per finire sopra Mindy, che era rimasta paralizzata; senza neanche pensare, iniziò a correre, sapendo che non sarebbe mai riuscito a salvarla. Spinse le sue gambe oltre la loro possibilità, e ad un certo punto notò che il tempo intorno a se sembrava passare più lentamente; accelerò ancora di più, e si buttò verso Mindy per spingere lei e se stesso lontani dal pericolo. In volo chiuse gli occhi: udì un tonfo, poi il vuoto.

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