Son âme m'appelle

di Alaide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I. Arrivo ***
Capitolo 2: *** Capitolo II. Inquietudine ***
Capitolo 3: *** Capitolo III. La Fata Bema ***
Capitolo 4: *** Capitolo III. Delirio ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I. Arrivo ***


Alcune note preliminari:
Il contest prevedeva la creazione di una storia che fosse ambientata nel proprio paese.
Rating: 14 anni
Tipologia: Long Fiction
Lunghezza: 11.546 parole, 23 pagine (Times new roman, 12), 4 capitoli e un epilogo
Avvertimenti: nessuno
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale, Storico.
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: la leggenda della fata Bena è stata letta in: Tiziano Marcheselli, Fantasmi e leggende dei castelli del parmense, Parma, Umberto Nicoli, editore, 1982 (oltre che a racconti sentiti dai miei nonni e durante una visita guidata al castello di Montechiarugolo)
Le notizie su Basilicanova, oltre che dalle memorie dei miei nonni che si riferiscono a memorie a loro riferite durante la loro infanzia, sono tratte dal sito del comune di Montechiarugolo
L'idea di una malattia legata al canto è stata ispirata dalla lettura di Il consigliere Crespel di E.T.A. Hoffmann
Il titolo, che significa la sua anima mi chiama, è tratto da J. Barbier, Les Contes d'Hoffmann, opéra fantastique en 5 actes (atto III)
La datazione dell'anno 1887 è dedotta dal calendario perpetuo.
Note dell'Autore: Nessuno dei personaggi citati è realmente vissuto a Basilicanova nel 1887, per quanto l'immagine offerta del paese a fine XIX secolo sia il più fedele possibile alla realtà. I diversi toponimi che indicano diverse zone del paese sono in uso ancora oggi. La macelleria, citata nel racconto, ha chiuso negli anni ottanta del XX secolo, dopo aver festeggiato il centenario. L'osteria esisteva ancora quando mia madre era piccola.
Non è mai esistito nessun Podere delle due Noci (e se così fosse il riferimento sarebbe assolutamente casuale)
Il testo è scritto in forma "epistolare" presentando le lettere di uno dei personaggi e i diari di altri due che ricostruiscono la vicenda narrata. È sempre indicato di chi sia il diario, salvo che siano riportati più giorni in maniera continuativa.
Non sono usate frasi in dialetto perché, purtroppo, non ho la minima idea di come si scriva. L'unica forma dialettale utilizzata in maniera persistente è l'uso dell'articolo determinativo davanti ai nomi propri femminili, incluso il nome del torrente Parma che è declinato al femminile (non ho idea se per uso dialettale a cui sono avvezza da tempo o se per qualche ragione mitologica che ignoro). È in dialetto un nome proprio, Pepén che equivale a Giuseppe. Sono usate alcune forme dialettali, quando parlando personaggi di Montechiarugolo e Basilicanova (in questo caso con l'esclusione di Adalgisa), tradotte in italiano e di facile comprensione.




Capitolo I

L’Arrivo



[Dal diario di Adalgisa]

18 marzo 1887


La notizia che i nipoti dell’Egilda si sarebbero stabiliti al Podere delle due Noci è sulla bocca di tutti da una settimana e da una settimana si attende il loro arrivo. Le donne ne parlano al ritorno dai campi o davanti alla chiesa, gli uomini ne discutono davanti ad un bicchiere di vino, proprio qui sotto.
Ed oggi, finalmente, i nipoti dell’Egilda sono arrivati in paese. Per essere metà marzo è stato un giorno freddo e ventoso, al contrario delle giornate scorse così piene di sole... si pensava, noi tutti, di essere giunti alla fine di questo lungo inverno, mentre non ne siamo affatto fuori. Tutti credevano di poter aspettare l’arrivo della carrozza fuori, vicino al Crocile, invece si sono rintanati nell’osteria.
Sono certa che sarebbe stato ben più facile contare gli assenti. Oggi erano presenti proprio tutti, anche molte donne (cosa quanto mai insolita e lo so bene io che dell’oste sono la figlia) e ragazzini. Persino Don Piero era presente all’appello. Per tutte le ore, mentre sedevo alla finestra che guarda la strada che dal Crocile porta alla Forca, anch’io in attesa dell’arrivo di questi due giovani cittadini, ho sentito canti e cori provenire da sotto.
Poi un improvviso silenzio e un gran spostarsi di sedie. Qualcuno è uscito anche in strada. E finalmente ho visto la carrozza nera. Ho tentato anche di scorgere le sagome all’interno, ma, ovviamente, non vi sono riuscita.
Pochi istanti e la carrozza è scomparsa.
Giuro che mi sono immaginata tutto il percorso... il breve tratto di strada... le due noci al lato del cancello, lì sulla sinistra... il viale alberato... la casa padronale con le suo pareti dipinte di bianco e la terra tutt’intorno.
Mi chiedo che impressione possa aver fatto la casa dell’Egilda ai due giovani della città.
Forse l’hanno trovata piccola e misera, mentre a noi sembra così grande e importante. Di certo grande e importante per un paese come Basilicanova. Soltanto la villa dei marchesi è più grande della casa padronale dove vive l’Egilda.
Però devono aver amato fin da subito l’Egilda. È una così brava donna. E sa fare delle splendide torte, oltre ad aver studiato, in città, in qualche convento... e studiato bene... non fosse per lei non starei qui a tenere un giornale personale. Ha dei libri in casa, tanti libri, molti più libri di quanti non se ne conti in qualsiasi altra casa di Basilicanova (ammesso che oltre a Don Piero e ai marchesi vi sia qualcuno che possiede dei libri) e sa suonare il piano e leggere la musica. Alle volte ci si chiede per quale motivo abbia sposato il povero Pepén.
Starei per ore a casa dell’Egilda a leggere uno dei suoi libri o a sentirla suonare al piano qualche romanza di Verdi.
Ma adesso quello che vorrei più di ogni altra cosa è conoscere i suoi nipoti. Magari l’Egilda non avrà nulla in contrario se proprio uno di questi giorni le riporterò il libro che mi ha prestato la settimana scorsa.




Basilicanova, addì 18 marzo 1887


Mia amatissima Corinna,
vi scrivo per annunciarvi che siamo arrivati a Basilicanova. Erminia è stata silenziosa lungo tutto il viaggio che l’ha condotta fino alla casa della zia Egilda, ma non mi attendevo un comportamento diverso. Sapete bene, cara sorella, quanto Erminia soffra nel lasciare Parma e la nostra solita vita, ma, d’altronde, la sua salute è troppo preziosa per essere trascurata.
Mi chiedo se questo nostro soggiornare in campagna le possa giovare veramente. Spero con tutto il cuore che così accada. Siete perfettamente cosciente, Corinna, quanto mi angusti per la sua sorte. Queste ultime settimane sono state un vero inferno. Ogni giorno che passava, Erminia diveniva sempre più pallida e smorta. Una volta ha perso i sensi. Ho temuto di perderla per sempre in quel momento e credo immaginiate quanto questo mi avrebbe fatto sprofondare nel baratro della disperazione. Non saprei come agire se mai dovesse accadere l’evento infausto che tutti noi temiamo, soprattutto, se considerate, amata sorella, che la responsabilità ricadrebbe unicamente su di me.
Ma credo che voi non vogliate una mia lettera che vi parli di qualcosa che conoscete perfettamente.
Forse troverete la descrizione del tragitto ben più interessante, anche se, a voler esser sinceri, non v’è molto da raccontare. Il cocchiere ha scelto di percorrere la strada che costeggia gli argini della Parma, forse perché la credeva più pittoresca di quella che dalla città porta a Traversetolo.
Forse se la giornata fosse stata più brumosa, il tragitto sarebbe stato veramente interessante, ma v’era unicamente un vento forte e gelido, che penetrava all’interno della carrozza, facendo rabbrividire Erminia. Gli alberi sparsi nei campi si muovevano impetuosi, mentre il sole illuminava indistintamente ogni filo d’erba. Ogni tanto qualche casa padronale e qualche gruppuscolo di abitazioni apparivano alla vista.
Poco prima di entrare a Basilicanova si incontra un’immagine votiva che raffigura il Padre Eterno. Zia Egilda, nella sua ultima lettera, me ne aveva parlato, dicendomi che le casupole che sorgono lì intorno prendono lo stesso nome dell’immagine. Non ho potuto osservarla bene, come siete perfettamente in grado di immaginare da sola, ma non credo che possa essere diversa dalle altre che costellano la campagna parmense.
Non c’è voluto molto tempo prima che comparissero le prime abitazioni di Basilicanova. Si staccano sulla destra della strada, formando il gruppo di case che viene chiamato il Casale dalla gente del paese. Da quel che ho letto su un polveroso libro di storia, dimenticato da tutti, credo, custodito nella Reale Biblioteca Parmense, è questa la parte più antica dell’intero paese. Si dice che un tempo doveva esservi una piccola chiesetta, di cui non rimane alcun resto. La strada prosegue tra i campi e raggiunge un incrocio, chiamato Crocile dalla zia Egilda. Arrivati a questo punto sapevamo entrambi che il percorso era ormai terminato. La carrozza ha svoltato a sinistra e ha costeggiato l’unico edificio che si affaccia sull’incrocio. Una casa grande e bassa divisa in due. Con i mattoni a vista, più vicina all’incrocio e con un lato che costeggia la strada proveniente da Parma, è la macelleria, la cui insegna immacolata mi ha fatto pensare che fosse stata aperta da poco. A lato, attaccata, ma tinteggiata di un giallo tendente all’ocra è l’osteria, a cui si accede da una porta a tutto sesto, bassa e già sgangherata, nonostante tutto l’edificio non dimostri molti anni.
So che potrete trovarlo strano, sorella mia, ma alcuni abitanti del paese erano appostati al di fuori dell’uscio dell’osteria e, se non mi sono ingannato, ho intravisto più di una testa fissare oltre il vetro annerito dal fumo dell’unica finestra aggettante sulla strda. Forse, per un piccolo paese come Basilicanova Erminia ed io siamo le novità del momento.
Ci è voluto veramente poco tempo a quel punto prima di giungere alla casa della zia. Poche centinaia di metri lungo la strada, poi abbiamo svoltato a sinistra e abbiamo raggiunto la casa padronale.
La nostra parente ci stava aspettando sulla soglia. Per quanto non l’abbia mai vista prima, ho subito provato un moto di simpatia per lei. Assomiglia molto a nostra madre, ma ha un sorriso più bonario e dolce. Ha accolto con un abbraccio affettuoso mia sorella, ma Erminia è sembrata quasi non accorgersene o non provare nulla.
Anche stasera, mentre cenavamo, Erminia è apparsa quanto mai lontana. I suoi occhi erano assolutamente distanti. Mi chiedo se fosse persa in una di quelle sue improvvise fantasie. Il pallore era ancora intenso e così in contrasto con i suoi capelli neri. Sapete, Corinna, alle volte mi chiedo da chi abbia preso il colore dei suoi capelli. Un tempo pensavo di trovare una somiglianza proprio nella zia, ma per quanto siano ormai striati di grigio, appare evidente che i suoi capelli erano dello stesso castano chiaro di nostra madre. Sembra quasi che Erminia non sia parte della nostra famiglia, anche se sappiamo entrambi che è così. Con ogni probabilità, sorella mia, è soltanto una mia sciocca fantasia.
Spero di poter aver presto vostre notizie.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.
Post Scriptum: Salutatemi calorosamente vostro marito e ditegli che lo terrò informato il più possibile circa la salute di Erminia.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 18 marzo 1887


Infine siamo giunti a Basilicanova e Parma, dopo poche ore, già mi manca. Non è la città in sé, la sua vita a mancarmi. No, è la tranquillità che a volte la mia anima riusciva a trovare mentre passeggiavo nei borghi intorno alla Cattedrale o mentre osservavo un piccolo cardellino tra le fronde degli alberi di Parco Ducale. Ma di certo quello che più mi mancherà saranno le serate a teatro. La musica. La musica soprattutto. E la possibilità di cantare.
I dottori dicono che la mia debolezza è dovuta ad un problema di respirazione, o qualcosa del genere. Non ho di certo mai capito molto di medicina, per quanto mio cognato professi questa professione. Ed è proprio lui, insieme ad altri suoi esimi colleghi, a pensare che il canto sia dannoso per una mia possibile guarigione. Mi impediscono di cantare ed io non riesco ad obbedire, perché quando canto mi sento viva, reale.
Ma loro non riescono a capire.
Credo che abbiano convinto Normanno a portarmi in questo paesuncolo perché sperano che io possa non avvicinarmi ad un pianoforte. In fondo chi potrebbe possederne uno a Basilicanova? E, d’altronde, mio fratello non mi perderà mai di vista e questo mi impedirà di lasciarmi andare al canto.
Mi sembra già di morire al solo pensiero.
Invece i medici dicono che morirò se canterò anche solo una volta. Ma anche se così fosse? Cosa cambierebbe? La morte attende tutti, presto o tardi. Uccidere la mia anima per farmi vivere una vita morta è forse qualcosa di giusto?
Non so cosa pensare di questo.
Non so nemmeno realmente chi io sia.
Alle volte mi sembra di sentire qualcuno che mi chiama, ma forse è soltanto il mio amore per il canto che esplode in maniera fisica, quando per molto tempo rimango senza nemmeno emettere un solo suono. Anche stasera durante la cena mi è sembrato di udirla.
Forse è una mia fantasia, forse è qualcuno che mi cerca dall’oltretomba, come avviene in certi racconti di fantasia, forse è soltanto il mio desiderio inappagato o la mia anima che piange.

Basilicanova, 19 marzo 1887


È presente un pianoforte! Un bel pianoforte a muro, ottimamente tenuto.
È lì, invitante.
Quando l’ho visto mi è sembrato che mi chiamasse con voce soave, come un usignolo, o pericolosa come quella di una sirena. Ma ritengo che questo secondo paragone sia più consono alla mente di mio fratello. Forse riuscirò ad avvicinarmi ai tasti bianchi e neri, a suonare e a cantare. Sono certa che l’entusiasmo che mi ha colta, alla vista di quello strumento, sia stato notato da mio fratello. Quando l’ho guardato negli occhi, qualcosa mi ha fatta raggelare. Mi è sembrato che potesse leggermi nell’anima, che potesse capire cosa stavo pensando in quel momento.
Eppure il pianoforte è là, in salotto... così bello... così invitante... e sento il canto che mi chiama... il canto e la mia anima piangente.

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Capitolo 2
*** Capitolo II. Inquietudine ***


Capitolo II

Inquietudine

[Dal diario di Adalgisa]

20 marzo 1887

Credo che oggi nessuno abbia seguito con attenzione la Messa. Quando sono entrata, c’era unicamente un gran brusio. La Piera mi ha bloccata sull’ingresso per dirmi che tutti si chiedevano se i nipoti dell’Egilda sarebbero venuti in chiesa oggi.
Il fatto è che nessuno li ha visti ieri, nemmeno la Filoma quando è andata a fare le faccende in casa dell’Egilda. E la Maria non ne ha spettegolato con lei quando si sono viste. Ovviamente la curiosità di tutti noi è aumentata a dismisura.
Ogni volta che la porta della chiesa si apriva, ecco tutti ci giravamo verso quel punto. Ma siamo rimasti delusi diverse volte. Poi finalmente sono entrati.
L’Egilda era davanti e camminava con quel suo passo sicuro. Dietro di lei venivano i suoi nipoti, un giovane uomo, di qualche anno più vecchio di me e una giovane, che ha colpito subito la mia attenzione. Forse perché era pallida come un cencio, forse perché aveva i capelli nerissimi, ben visibili sotto il cappello elegante. Non sono riuscita a vederle bene gli occhi, ombreggiati dalla veletta, ma li ho immaginati enormi e neri come i capelli. La cosa più straordinaria è che suo fratello ha i capelli castano chiaro, quasi biondi, proprio come li aveva l’Egilda prima che le si ingrigissero. Visti così non sembrano nemmeno parenti.
Ho sentito chiaramente due donne, nel banco dietro al mio, dire che doveva esserci qualcosa sotto. Una delle due ha sostenuto che la ragazza è la figlia naturale del cognato dell’Egilda (sue parole testuali). Io non so cosa pensare, ma di certo i due fratelli sono molto uniti. Ho avvertito chiaramente la giovane sospirare quando il fratello si è recato verso uno dei banchi nella parte destra della navata, dove siedono gli uomini. E durante tutta la messa ha tenuto il capo chino e di tanto in tanto guardava verso il fratello. In fondo l’avevo davanti ed ho potuto vederla bene.
Questo però mi ha impedito di sentire la predica di Don Piero, ma credo di essere in buona compagnia. Mi sa che in molti diremo degli Ave e dei Pater in questi giorni.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 20 marzo 1887

Siamo andati alla Messa oggi. Non volevo andare. Ero troppo arrabbiata e disperata per poter pregare Dio, ma Normanno e zia Egilda mi hanno convinta.
È stato un tormento.
Tutti quegli occhi fissi su di me, curiosi. Tutti i mormorii.
Durante la predica del curato avrei voluto urlare e mettermi a piangere. Sentivo chiaramente che nessuno la stava seguendo, che tutti, come nel resto della celebrazione, erano intenti a scrutarmi. O a scrutare Normanno. Ma so che a lui tutto questo non dà fastidio. Quel senso di soffocamento, che ho sentito durante la Santa Messa, mi ha impedito di pensare alla rabbia che mi ha colta stamattina.
Ogni mia speranza di poter suonare il pianoforte e cantare è andata in fumo.
Quando, poco prima di andare a Messa, mio fratello e la zia sono andati a fare una passeggiata nel podere, mi sono avvicinata al pianoforte, ma non sono riuscita a sollevare il coperchio che ne copre i tasti. L’ho osservato quindi con attenzione.
Ha la serratura ed è stato chiuso a chiave.
È stato Normanno.
E, che Dio possa perdonarmi, l’ho odiato terribilmente in quel momento, l’ho odiato, anche se so che agisce per il mio bene. Come sfida ho iniziato a intonare una nenia, ma una serva che lavora per la zia mi ha raggiunta subito e mi ha chiesto, guardandomi con i suoi occhi stolti, di non cantare... «che la signora si era raccomandata tanto e che non voleva disobbedire alla signora.»... la signora... mio fratello era meglio che dicesse. Se soltanto non mi avesse fatto pietà, forse avrei continuato a cantare, invece mi sono zittita. E tutta la vita che sentivo dentro di me, se n’è andata, lasciandomi, a parte per quella rabbia atroce, che sta però già sbollendo da ore, morta.

Basilicanova, 22 marzo 1887

Niente canto. Niente musica.
Solo solitudine.
Nemmeno quella strana voce che alle volte mi pare di sentire, mi ha chiamata oggi.




[Dal diario di Adalgisa]

23 marzo 1887

Non so nemmeno perché abbia fatto passare così tanti giorni dalla Messa, ma oggi mi sono finalmente decisa ad andare a casa dell’Egilda. Ho preso in mano il libro che mi aveva prestato e mi sono incamminata verso il Podere delle due Noci.
Ho avuto un attimo di incertezza quando mi sono trovata davanti al cancello, aperto come il suo solito, quasi non avessi il coraggio di entrare. Mi chiedo adesso che cosa temessi in quel momento. Alla fine sono entrata e ho percorso tutto il vialetto. Quando ho bussato alla porta è venuta l’Egilda stessa ad aprirmi.
Mi ha invitata ad entrare con il suo solito calore e mi ha presentata ai suoi nipoti, dicendo che avrebbero gradito la compagnia di un’altra giovane. La nipote dell’Egilda si chiama Erminia ed ha parlato pochissimo per il tempo che mi sono fermata. Suo fratello si chiama Normanno ed ha una bella conversazione. Parla come un signore. Nessuna frase in dialetto, tutto in perfetto italiano, come nei libri che mi presta l’Egilda. Anche la giovane parla in questo modo, per quel poco che ha detto.
Sembrano veramente molto differenti, ma, sono convinta che siano molto legati. Il signor Normanno è molto gentile e premuroso con la signorina Erminia. Mi chiedo se non sia affetta da un qualche male incurabile, tanto è pallida. La cosa più importante però è che hanno accettato la mia proposta di una gita a Montechiarugolo per la prossima domenica. E questo non può che rendermi assolutamente contenta.




Basilicanova, addì 23 marzo 1887

Mia amatissima Corinna,
sono stato molto felice di ricevere una vostra lettera. Vi pregherei, mia cara sorella, di informare vostro marito che le condizioni di Erminia sembrano essere invariate. Eppure inizio a nutrire salda fiducia che questo soggiorno le possa giovare, per quanto in questi giorni non sia riuscito a convincerla a seguirmi nelle mie passeggiate.
Questo però non vi deve angustiare, mia cara sorella. Infatti la prossima domenica è in programma una visita a Montechiarugolo, il capoluogo comunale, ed Erminia ha accettato di unirsi a me, alla zia e ad una giovane del luogo di nome Adalgisa che è venuta a farci visita oggi. Ma credo che voi, Corinna, vogliate che io vi racconti tutto quello che è accaduto in questi giorni. Certamente non posso proporvi la narrazione di mirabolanti avventure, né di particolari accadimenti. Semplicemente vi racconterò del mio girovagare nei dintorni del paese e dell’argomento che credo vi stia più a cuore.
Il sabato successivo al nostro arrivo sono rimasto con mia sorella nell’abitazione della zia. Ho scoperto con mio grande disappunto che la nostra parente possiede un pianoforte. Anche Erminia l’ha visto e vi giuro, che il suo volto è cambiato di colore. Improvvisamente le gote si sono colorate, divenendo rosate e gli occhi si sono come accesi, ma, quando ha incontrato il mio viso, si è come spenta. Credo che sia perché sa che quello strumento le è proibito. Dopo che la nostra cara sorella si è ritirata per dormire ho parlato a zia Egilda della sua malattia e di come il cantare le possa essere dannoso, se non mortale, come sostiene vostro marito. Abbiamo chiuso a chiave il pianoforte.
Il giorno dopo, domenica, Erminia deve essersi accorta di questo fatto, mentre io e la zia eravamo intenti a camminare nei dintorni della casa. Quando siamo rientrati era agitatissima e la ragazza che lavora nella casa ha detto che l’ha dovuta fermare perché stava cantando. Sono certo che mi abbia odiato quel giorno, ma che altro potevo fare? Che fratello sarei se lasciassi mia sorella in pericolo? Se la abbandonassi?
Eppure, sorella mia, non riesco in alcun modo a togliermi dalla mente il fatto che Erminia stia soffrendo, solo e unicamente a causa mia.
Durante l’intera durata della Santa Messa, a cui ho partecipato con mia sorella e mia zia, il senso di colpa è stato devastante, ancor più quando sentivo lo sguardo di Erminia su di me. Quasi non mi sono accorto, perso com’ero nei miei pensieri, che la gente del luogo pareva osservarci entrambi con una curiosità ben comprensibile in un piccolo paese come Basilicanova.
All’uscita della chiesa, un piccolo edificio con mattoni a vista, non molto dissimile da altre chiese che costellano il parmense, mi sono accorto di quanto Erminia fosse sofferente. Credo che per lei le occhiate dei paesani siano state insopportabili.
Il lunedì ho iniziato il mio girovagare. Seguendo le indicazioni di Maria, la serva che lavora nella casa, mi sono recato in quella parte di Basilicanova, chiamata le Ghiare. Il percorso non è molto interessante, ma è stato piacevole, forse perché, al contrario del giorno del nostro arrivo, v’era un certo tepore nell’aria.
Ho ripercorso un tratto della strada fatta in carrozza. Sono passato davanti all’osteria e l’ho osservata meglio. Forse un giorno potrei essere abbastanza incuriosito da volervi entrare. Ho sempre trovato estremamente caratteristici locali come questo. Poi il mio sguardo è caduto sulla macelleria, proprio nell’istante in cui una delle donne del posto entrava per acquistare un tocco di carne. Ovviamente mi ha guardato curiosamente, ma, per qualche strana ragione che ignoro, non ha fatto domande. Pochi passi e sono arrivato al Crocile. Ti posso assicurare che quest’incrocio ha un’aria strana, pittoresca quasi. Forse perché non vi sono case che prospettano su di esso, se non l’edificio della macelleria e dell’osteria, forse perché il sole proiettava in maniera curiosa l’ombra di un albero, dritto nel suo centro, forse perché è asimmetrico, tanto che non ho dovuto attraversarlo leggermente storto per raggiungere la strada che porta alle Ghiare, lasciando alla mia destra la strada per Parma e alla mia sinistra la sua continuazione che porta a Mamiano.
Ho percorso tutta la viuzza, che si stringe notevolmente man mano che avanza, attraversando la campagna. Poi ho incontrato un gruppo di casupole e, chiedendo ad una donna che procedeva in direzione opposta alla mia con un secchio di panni bagnati in mano, ho saputo che sono quelle le Ghiare.
Proseguendo ho potuto capire perché portano quel nome. Non mi ci è voluto molto per vedere il letto della Parma e l’acqua scorrere lenta. Alcuni bambini stavano scorrazzando lungo le sue rive. E forse, se io fossi un pittore di paesaggi, ne avrei fatto un bel quadro.
Il giorno successivo mi sono spinto fino al Casale. Te ne ho già parlato. Si stacca sulla destra dalla strada per Parma. E qui ho iniziato a fare vera conoscenza con la gente del paese. Un certo Anteo mi ha detto che suo nonno ricorda che non ricordo più chi gli ha detto... e via di seguito, perdendosi nella notte dei tempi, che un tempo da quelle parti c’era una fornace romana e di certo il fatto che alcuni chiamino un gruppuscolo di case poco più sotto Fornace Vecchia è assolutamente significativo.
Ma non credo che vi interessi più di tanto sapere di queste vecchie storie, anche se so che avreste più che volentieri passeggiato con me.
E voi potete ben immaginare, Corinna, che avrei desiderato con tutto me stesso poter aver con me Erminia, ma non è mai voluta uscire. Forse non si sente ancora pronta per farlo. Come vi ho già detto, sorella mia, domenica prossima andremo a Montechiarugolo e spero con tutto me stesso che questo possa fare del bene ad Erminia. Magari anche la compagnia della signorina Adalgisa le sarà d’aiuto. Deve aver soltanto un anno o due più di lei e, per essere la figlia di un oste di campagna, sembra piuttosto colta. Zia Egilda ha detto che tempo fa l’ha presa sotto la sua ala protettiva e le ha trasmesso la passione per la lettura. Spero di non avervi annoiato con questa lunga lettera, mia cara sorella e prego di potervi dare notizia più confortanti su Erminia tra qualche giorno.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 24 marzo 1887

Un’altra giornata terribile, come ieri.
Il pensiero di dover uscire domenica prossima per andare a Montechiarugolo, in compagnia di una giovane del posto mi toglie il riposo. Me la immagino già... curiosa, mentre tenta di riempirmi la mente di domande senza capo né coda. Avrei voluto rifiutare, ma Normanno non mi ha lasciato altra scelta. Come avrei potuto negare la mia presenza, quando mio fratello aveva appena dato il suo assenso? Sarei risultata insensata e priva di educazione, ma soprattutto avrei dato adito a domande da parte di quell’Adalgisa. Se soltanto avessi la consolazione di poter cantare... se soltanto non fossi costantemente osservata... se soltanto zia Egilda non continuasse a chiedermi di uscire con lei per passeggiare un poco intorno alla casa padronale... forse tutto sarebbe migliore, forse riuscirei ad accettare il pensiero di trascorrere una giornata insieme alla figlia dell’oste e a Normanno.
Invece questo mi risulta sgradevole e inquietante.
E forse non riesco nemmeno a capirne bene il motivo. So solo che la mia mente disdegna e teme quando giungerà il momento.
E la voce, quella voce che mi chiama... quella voce si è fatta forte e sempre presente nella mia mente. Non mi ha fatta dormire. E mi tormenta anche adesso, in questo momento, mentre scrivo.
Mi sembra di impazzire.
Vorrei soltanto che tacesse, che tacesse... per sempre... Non posso credere che sia la voce della mia anima malata e triste... è malvagia... estranea al mio essere.
Ed ho paura.
Paura.
E sono sola. Cosa potrei mai dire a Normanno? Mi crederebbe mai? O mi prenderebbe per pazza? Ed io non voglio far la fine di un pazzo... non voglio trascorrere quel che mi rimane da vivere in un manicomio.
Dio, il solo pensiero mi stordisce e mi fa piangere.
Eppure questa voc... forse sono già pazza.
Ma non posso... non voglio crederlo.

Basilicanova, 25 marzo 1887

Mi sembrano unicamente una sciocchezza i pensieri di ieri. Forse ero unicamente infastidita al pensiero di dover andare a Montechiarugolo, forse mi mancava semplicemente troppo il canto... mi manca il canto... forse era unicamente il lamento della mia anima.
Non saprei spiegarmelo, ma oggi mi sembra tutto così irreale.
Forse perché non odo quella voce, forse perché non voglio credere di aver potuto pensare di essere impazzita all’improvviso.

Basilicanova, 26 marzo 1887

Mi sembra di essere una banderuola che si gira ad ogni sbuffo di vento.
Ieri mi dicevo tanto calma e tranquilla, certa che quello che pensavo il ventiquattro fosse dovuto ai moti del mio animo.
Oggi, invece, mi sento nuovamente agitata e tesa.
Per tutta la giornata quella voce non mi ha dato requie.
Mi pareva anche di distinguere alcune parole. Fino ad oggi non è mai accaduto. È sempre stato più un lamento indefinito, come una specie di vocalizzo, ma oggi mi è sembrato chiaramente di distinguere delle parole di senso compiuto.
Parole che mi spaventano e mi turbano.
Parole d’aiuto, di supplica... di chi? Di chi?
Di nessuno forse. O di un fantasma.
Eppure so che è una sciocchezza. I fantasmi non esistono. Sono solamente racconti di fantasia, leggende nate dalle menti semplici. Che senso ha credere che vi siano spiriti che vagano senza pace per la terra, dopo che il loro corpo è morto?
Nessuno.
Eppure io odo questa voce.
La odo!
Possibile che mi stia immaginando tutto? La mia mente può essere a tal punto turbata da credere di udire suoni che non esistono?



Ecco a voi un altro capitolo! Spero vi possa piacere!

Un grazie particolare a:

Thiliol: Grazie mille per i complimenti carissima!! Sono lusingatissima dalle tue parole. Alle volte ho il terrore di calare improvvisamente di tono o di scrivere capitoli poco interessanti. Sappimi dire cosa pensi di questo!

Un grazie anche a chi ha inserito la storia tra le seguite e a chi legge soltanto!

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Capitolo 3
*** Capitolo III. La Fata Bema ***


Capitolo III

La Fata Bema



Basilicanova, addì 27 marzo 1887


Mia amatissima Corinna,
vi scrivo ancor prima di ricevere una vostra risposta, ma non potevo fare altrimenti.
Devo ammettere che la mia preoccupazione per Erminia è centuplicata dopo la gita di oggi a Montechiarugolo. Ero convinto che potesse farle unicamente del bene, invece, quando siamo ritornati al Podere, mi è sembrata prostrata e come preoccupata per qualcosa che non sono riuscito a capire. Le sue gote erano ancora più pallide di quanto non le sia usuale. Spero che vostro marito possa darmi una spiegazione qualsiasi, una qualsiasi rassicurazione in proposito. Forse è unicamente la lunga camminata che abbiamo fatto ad averla stancata enormemente, ma quel pallore non avrebbe senso. Il volto avrebbe dovuto avere un bel colore rosato, essere arrossato dal sole primaverile... cosa sta accadendo ad Erminia? Perché pare peggiorare, quando non ha cantato, proprio come i medici hanno richiesto? Vi prego, sorella mia, chiedetene la motivazione a vostro marito.
Mi sorge anche il dubbio che possa essere rimasta impressionata da una leggenda che ci è stata narrata oggi, ma dubito che Erminia possa credere in queste storie popolari, affascinanti, sicuramente, ma ben lontane dalla realtà.
Questo mio pensiero, che pare a me stesso improbabile e assurdo, nasce dal fatto che nei giorni scorsi non ho notato nulla di particolarmente strano in lei, se non il suo consueto silenzio e la sua intima infelicità.
Voi non potete nemmeno immaginare, sorella mia, quanto sia per me difficoltoso e doloroso vedere il dolore di Erminia. Se soltanto io non l’avessi convinta a prendere lezioni di canto alcuni anni orsono, lei, in questo momento, sarebbe perfettamente felice e vitale. So che mi direte che non potevo sapere che nostra sorella avrebbe sofferto di una malattia che le avrebbe impedito di cantare, che non ero nemmeno in grado di prevedere che Erminia potesse costruire un legame così speciale con la musica. Alle volte, quando cantava ancora, mi sembrava quasi che fosse come posseduta, che in quel momento la sua anima non fosse più con noi, ma altrove, tanto pareva partecipe di ogni singola nota, di ogni singola parola.
Comprendo quindi il suo dolore infinito. A volte mi sembra che i suoi enormi occhi nocciola, divenendo all’improvviso vuoti e vacui, mi vogliano comunicare come ad Erminia manchi qualcosa di assolutamente vitale e prezioso.
Eppure non posso, in tutta coscienza, permetterle di cantare, di seguire quello che sono certo il suo cuore e la sua anima desiderano.
Ne morirebbe.
Ed io, sorella cara, non riuscirei mai a darmi pace se questo accadesse.
Ho scritto molte parole, Corinna, parole che voi già conoscete a memoria, ma non ho potuto fare altrimenti. Vi pregherei, però, di non angustiarvi per quello che vi ho detto. Non preoccupatevi per me. Soltanto Erminia deve essere al centro dei nostri pensieri.
Come vi dicevo, nei giorni scorsi non è accaduto nulla di particolare rilievo. Oggi, al contrario, è stata una giornata ben più pregnante. Sapete già delle mie preoccupazioni per Erminia, ma ho molto altro da farvi conoscere, mia cara sorella.
Come già vi avevo annunciato nell’altra mia lettera oggi ci siamo recati a Montechiarugolo. Zia Egilda non è potuta venire con noi. Credo, in realtà, che temesse di non riuscire a reggere tutta la lunga camminata.
Siamo partiti subito dopo la Santa Messa e questo ci ha risparmiato un po’ di strada. Dovete sapere, Corinna, che la chiesetta sorge oltre l’abitazione della zia. Più precisamente dopo aver percorso il viale alberato che porta alla casa della zia, si gira a sinistra e si percorre un tratto di strada sterrata che corre sempre dritta tra i campi. Sulla destra si trova un’altra casa padronale, più piccola di quella del defunto marito della zia, e poco dopo, sul lato opposto si incontra, un piccolo viottolo che porta al sagrato che sta davanti alla chiesa.
Ed è di qui che siamo partiti. Il tragitto è stato sicuramente piacevole e rimpiango sempre di non essere un pittore, soprattutto per il bel mulino che si trova poco dopo la chiesa sulla destra. Ci siamo fermati qualche istante sul ponticello che attraversa il canale per poter osservare la ruota del mulino girare. Una fanciulla era ferma poco distante intenta ad osservare l’acqua cadere sul legno. La signorina Adalgisa ha detto che era la figlia del mugnaio. Erminia ha lasciato partire uno strano sospiro che ha stupito la nostra accompagnatrice. Credo che anche voi possiate pensare quello che ho immaginato io.
Rammenterete sicuramente che, poco prima che i medici intuissero quale fosse la sua malattia, ci aveva allietati cantando Die schöne Müllerin di Schubert. Credo che la vista di una bella mugnaia le abbia fatto ricordare quel giorno. Ho notato, mentre ricominciavamo a camminare, che il suo sguardo non si era ancora staccato dall’edificio tinteggiato di giallo e soprattutto la strada che gli passa accanto, costeggiando il canale e la ruota di legno. Sono certo che in un giorno d’estate, con le finestre aperte, si vedrebbero perfettamente i macchinari che macinano il grano e lo trasformano in farina. Ma soprattutto ho notato che occhieggiava il corso d’acqua, quasi che stesse ripensando alla triste fine del protagonista del ciclo di poesie musicato da Schubert.
Prego con tutto me stesso che non possa pensare a togliersi la vita.
È stato un pensiero che mi ha attraversato la mente in quel momento, un pensiero angosciante e terribile, che anche ora mi perseguita, sebbene riesca a credere che Erminia non farebbe mai nulla del genere.
Sorella mia, credo che dovrei a questo punto chiedervi sinceramente perdono. Vi sto unicamente preoccupando e di certo non è questo il mio scopo. Dimenticate quindi, se possibile, i miei timori con ogni probabilità senza alcun fondamento reale.
Ben presto il mulino è scomparso alla vista, per lasciar posto ad un’alta siepe che ci impediva di vedere cosa vi fosse oltre. Soltanto quando siamo arrivati al cancello, ho potuto vedere una villa, che, secondo me, data alla fine del secolo scorso - ma non so dirvelo con certezza - imponente e dalle forme squadrate. Mi ha fatto l’impressione di qualcosa di assolutamente fuori posto rispetto al resto del paese. Persino la casa di zia Egilda, che pensavo stolidamente essere l’abitazione più grande del vicinato, pare rimpiccolirsi in confronto. La signorina Adalgisa ci ha detto che è la magione di non ricordo più che marchesi e che un tempo, al suo posto, sorgeva un castello. I servitori della villa dicono che nei sotterranei, a quel che sembra risalenti all’epoca della prima fondazione, si aggirino spiriti e fantasmi, come in ogni vecchia casa che si rispetti.
La strada prosegue poi attraverso altri campi. Ad un certo punto sulla destra si distacca un viottolo che porta verso un gruppuscolo di case chiamato Lovetta e poco dopo si arriva ad un altro incrocio che porta il nome non proprio rassicurante di Forca. So che si chiama così perché si trova all’incrocio di due strade, ma un bravo scrittore potrebbe inventarsi un racconto di paura giocando sul doppio senso del nome. Chissà, magari veramente un tempo, oltre all’incrocio, vi era un patibolo.
Immagino che adesso starete sorridendo, sorella mia. Alle volte emerge in me la fantasia spigliata che avevo da bambino. Ricorderete sicuramente quando deliziavo, anche se ho sempre avuto l’impressione che il loro apprezzamento fosse soltanto di facciata, i nostri genitori raccontando le storie che mi inventavo non so nemmeno io bene quando. La Forca è un incrocio sghembo. La strada che viene da Basilicanova (gli abitanti del posto dicono che già Lovetta non è più Basilicanova), prosegue non perfettamente in linea retta, ma spostata sulla sinistra, inerpicandosi appena su una piccola collinetta. Dritta invece appare l’altra strada che da Parma porta a Traversetolo.
Non vi starò a narrare tutto il percorso che ci ha condotti a Montechiarugolo, per quanto possa essere stato piacevole e per quanti scorci abbia notato. Credo che vi annoiereste soltanto.
Ben più interessante troverete il capoluogo del comune, un piccolo gruppo di case sulle quali giganteggia il castello che un tempo fu dei Torelli, un edificio imponente e turrito che a detta dell’oste che ci ha ospitati, guardando con aria quanto mai sospettosa Erminia e la signorina Adalgisa, possiede dall’altro lato, che guarda il torrente Enza, un loggiato di incredibile bellezza.
Quando ha capito che non v’era nulla di losco nel mio rapporto con le due giovani che erano con me, l’oste si è fatto improvvisamente ciarliero e ci ha narrato, bevendo con noi un bicchiere di vino rosso, la leggenda della fata Bema, che tenterò di riportarvi usando le sue stesse parole... vi dirò di più, sorella mia, tenterò di ricostruire l’intera nostra conversazione al riguardo.
«È un fatto accaduto sul serio. - ci ha assicurati l’oste prima di iniziare - C’è anche la data precisa. 1593, in settembre. Doveva venire a Montechiarugolo il duca Ranuccio primo Farnese. A nessuno andava bene la sua visita, ma non si poteva certo dirgli di starsene a Parma. Il Conte di Montechiarugolo, Pomponio Torelli, fece stare tutti a casa dai campi, come in un giorno di festa grande. E c’è chi dice che c’erano giocolieri, tornei... insomma tante belle cose. Ma c’era qualcosa che attirò l’attenzione di tutti. Una maga, un’indovina... la Bema per l’appunto, bellissima con i capelli neri lunghissimi. C’è chi dice che le arrivassero fino ai piedi, chi dice che erano ancora più lunghi.»
«Nessuna donna può avere capelli così lunghi, credetemi, signore.» ha detto la signorina Adalgisa con un lieve sorriso.
Erminia invece è rimasta muta e silenziosa, ma pareva ascoltare con attenzione quello che l’oste aveva da raccontare.
«In effetti... è quello che dice sempre anche mia moglie. La Bema predisse il futuro a molte persone quel giorno. Soprattutto lo predisse al figlio di Pomponio Torelli, Pio e a Barbara Sanseverino. La Bema non voleva dire cosa aveva visto, ma poi cedette. Predisse la visione di un lago di sangue, con diverse teste mozzate.»
Sono certo di aver sentito la signorina Adalgisa rabbrividire appena a questo punto della narrazione. Erminia invece era soltanto ferma e immobile, intenta ad ascoltare.
«La Bema però attirò anche l’attenzione di Ranuccio, che la fece imprigionare a Parma. La voleva sedurre, ma la donna resistette e alla fine riuscì a fuggire e a tornare a Montechiarugolo, dov’era protetta dai Torelli. Il giovane Pio si innamorò di lei e la Bema lo ricambiava, ma sapeva anche che un’indovina vagabonda e povera non poteva sposare il figlio di un Conte. Pomponio stesso si accorse dell’amore del figlio per la maga e per questo lo mandò a Parma, alla corte ducale, proprio per fargli dimenticare la Bema.»
«E la dimenticò?»
Vi posso assicurare, sorella mia, che sono quasi sobbalzato quando ho udito la voce di mia sorella. L’ho osservata per qualche istante con attenzione, forse per cogliere una qualche parvenza di vitalità in lei, ma pareva sempre la stessa. Ed i suoi occhi sembravano essere vuoti e distanti come al solito.
«Così parve all’inizio. Tornò infatti con una moglie, una certa Ginevra Bentivoglio, ma quando rivide la Bema capì di amarla sul serio. Anche la Bema lo amava ancora, ma non cedette mai al suo amore. Questo però non poteva saperlo Ginevra che, gelosa, accusò pubblicamente la Bema e la cacciò dal castello. La maga rimase scossa da questa sfuriata e iniziò a sembrare come pazza. Vagava per la campagna e il suo stato fece pentire Ginevra che la richiamò al castello. Però la Bema non era più la stessa e tra l’altro sapeva pure che i suoi giorni erano giunti alla fine. Nel 1612 i nobili del parmense fecero una congiura contro il duca che purtroppo scoprì la cospirazione e la soffocò nel sangue, decapitando i nobili. Tra questi ci fu anche Pio. Si avverava la profezia della Bema.»
L’oste ha fatto una pausa teatrale a questo punto. Sicuramente la signorina Adalgisa era molto compartecipe alla narrazione. Erminia mi è parsa per un istante più pallida del solito.
«La Bema impazzì completamente. Pio era morto e la sua mente, già provata, non resse. Andò a vivere in una casa contadina e si dedicò alla povera gente, fino alla sua morte. Da allora la Bema appare alla gente di Montechiarugolo e dei dintorni, ma nessuno la teme. Porta del bene e se vaga è solo per vedere i luoghi tanto amati e per amare e proteggere chi vive in quei luoghi.»
Ed eccovi, sorella mia, la leggenda della Bema. Devo ammettere che ha un suo fascino e sicuramente la figura della maga ha una sua originalità rispetto agli altri fantasmi che infestano i castelli della campagna parmense. E sembra quasi, sentendo parlare l’oste, che gli abitanti di Montechiarugolo credano veramente nella sua esistenza e che siano in un certo senso orgogliosi di avere un fantasma buono che li protegge.
Spero di poter aver presto vostre nuove e di potervi dare notizie rassicuranti sulla salute di Erminia.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.




[Dal diario di Adalgisa]

27 marzo 1887


Non riesco a comprendere per quale motivo la leggenda della Bema mi impressioni sempre così tanto. In fondo è una storia che conosco da quando sono nata, che mi hanno raccontato diverse volte. Eppure provo sempre una grande emozione e una grande partecipazione.
Mi commuovo, quasi.
Non sono riuscita a comprendere però se la signorina Erminia si sia commossa. È una persona strana. Se ne sta quasi sempre zitta. Ed è sempre così pallida. Secondo me ha qualche malattia.
Suo fratello invece sembra più aperto ed espansivo. E fa un mare di domande su quello che vede. Mi ha chiesto del mulino, della villa dei marchesi. Mi chiedo perché gli interessi tutto così tanto. Forse è perché viene dalla città.




[Dal diario di Erminia]


È da quando siamo tornati al Podere delle due Noci che sono ossessionata da un pensiero che non riesco a scacciare.
I capelli neri della Bema.
La storia della Bema.
La voce che mi ha tormentata per tutto il giorno, da che sono andata a Messa. E che mi tormenta tuttora.
Mi ha turbata immensamente la leggenda che l’oste di Montechiarugolo ci ha narrato oggi. Non riesco ad afferrarne completamente il motivo, ma qualcosa mi ha sconvolta.
La fata di Montechiarugolo aveva i capelli neri, come i miei, lunghissimi, come i miei. Mi chiedo se fosse anche così pallida e se sia impazzita solamente per la morte dell’amato Pio.
Forse anche lei sentiva una voce.
O la voce che io sento è la sua? La voce di un’anima tormentata per quanto di una donna buona.
Ogni volta che questi pensieri mi sfiorano la mente mi sento incredibilmente sciocca. Non esistono i fantasmi per quanto la gente ingenua di Montechiarugolo possa crederlo. Non è mai esistita nessuna Bema.
La sua storia è un semplice volo di fantasia, ricamata sopra un evento luttuoso della storia di Parma, nulla di più e nulla di diverso.
Eppure non riesco a non sentirmene ossessionata.
Ogni volta che ho provato a chiudere gli occhi in questa notte per ora, e credo per sempre, insonne, mi è apparsa davanti agli occhi: una figurina esile, vestita di bianco e con i capelli neri mossi dal vento.
Cosa mi sta accadendo?
Cosa?
Non si tratta nemmeno più del desiderio di cantare sempre presente nel mio animo. È qualcosa di differente. Forse è soltanto frutto della mia mente sovreccitata e troppo fantasiosa.




Ecco a voi un nuovo capitolo! Spero vi possa piacere:

Un grazie particolare a:

Thiliol: Sono felicissima che la storia ti stia prendendo come "la mia pace è perduta"! Sì, la storia si svolge nel paese dove vivo (ora è ben diverso a livello urbano da come appare dalla fic), e forse questo mi ha aiutata a capire le dinamiche di un piccolo paese che sono molto diverse da quelle di una città. Grazie mille ancora per i complimenti! Sappimi dire cosa ne pensi di questo capitolo!

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Capitolo 4
*** Capitolo III. Delirio ***


Capitolo IV

Delirio

[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 28 marzo 1887

Un’altra giornata tremenda e solitaria è trascorsa.
Un’altra giornata.
Mi sono chiesta quante altre giornate come questa debba vivere, quando mi raggiungerà la morte. Forse è sua la voce che sento, la voce che chiede aiuto. Può essere che la Morte voglia il mio ausilio perché io possa raggiungerla. Sarebbe qualcosa di facile. Basterebbe gettarsi dalla finestra della mia camera. Lasciarsi cadere nel canale che porta l’acqua al mulino. Ingerire un veleno... eppure, ogni volta che questo pensiero mi attraversa la mente, lo rigetto.
Forse, semplicemente, non è in questo modo che sono destinata a perire.
In fin dei conti sono già come morta. Morta nell’anima, senza la mia amata musica. Mi viene quasi da sorridere pensando alle parole che ho scritto ieri. Come potevo pensare che quello che provavo non fosse dovuto all’onnipresente desiderio di cantare? Come sono stata in grado di confonderlo con una semplice fantasticheria su una leggenda di poco conto?
Dovevo essere a dir poco scossa e sconvolta.
Oggi pomeriggio sono rimasta per pochi istanti da sola nella stanza del pianoforte. Se solo esistesse un qualche arcano che permetta di aprire il coperchio dello strumento senza la chiave... cielo... l’avrei fatto e avrei cantato. Forse avrei cominciato a cantare ugualmente, ma la zia è entrata immediatamente.
Non mi lasciano mai veramente sola, se non la notte, ma come potrei cantare senza destare l’intera casa?
Se soltanto l’astinenza forzata dal canto mi giovasse realmente, forse, non sarebbe così difficoltoso e doloroso, ma non mi pare di sentirmi realmente meglio. Al contrario, ogni giorno che passa mi indebolisco e perdo parte di me stessa... la mia vitalità, la mia volontà di vivere realmente, anche... ed ogni ora impallidisco sempre di più. Mi sono osservata stamane allo specchio ed ero tanto pallida da sembrare trasparente, come se stessi lentamente scomparendo.
Cosa mi sta accadendo veramente? Che male ho? Ed il canto è veramente così dannoso come dicono i medici?
Non posso crederlo.
Come può essere dannoso ciò che mi tiene in vita? Che rende di nuovo rosee le mie gote?


Basilicanova, 29 marzo 1887


Ogni volta che mi sembra di trovare una risposta ad un dubbio che mi rode, questa se ne va, svanisce in uno sbuffo di fumo.
Credevo che l’immagine della fata Bema che mi ha impedito di dormire fosse soltanto frutto di una mia improvvisa fantasia, invece è così tremendamente reale.
Cosa vuol dire, dunque?
Era forse sensato quando mi chiedevo se la voce che mi tormenta fosse forse la sua? Dio, cosa devo pensare? Mi sembra di impazzire.


Basilicanova, 30 marzo 1887


Ancora quell’immagine... ogni volta che chiudo le palpebre... la Bema è lì, davanti a me...
Cosa vuol dire? Cosa?




Basilicanova, addì 31 marzo 1887


Mia amatissima Corinna,
sono felice di ricevere finalmente una vostra nuova. Dite a vostro marito che non so cosa rispondergli. Erminia non ha avuto altri attacchi, però mi pare che soffra incredibilmente. Sono certo che in questi giorni non ha dormito affatto. Le occhiaie sono fin troppo ben visibili. La questione più strana è che ogni giorno diviene più pallida.
Potrebbe essere semplice spossatezza, forse, ma mi sembra che sia qualcosa che riguarda maggiormente la sua stessa anima.
Ho tentato, stamane, di scambiare qualche parola con lei, ma ha rifiutato di rispondere a qualsiasi mia domanda. Quando le ho chiesto come si sentiva, mi ha guardato con occhi straordinariamente dilatati e spenti.
Sorella mia, non potrebbe forse essere che la cura stabilita dai medici sia errata?
Chiedete a vostro marito se questo potrebbe spiegare il pallore e il suo sguardo?
L’aria di campagna, al contrario di quanto si pensava, pare non giovarle affatto. Sicuramente non trascorre molto tempo all’aria aperta, ma da quando siamo andati a Montechiarugolo accetta di passeggiare un poco intorno alla casa della zia. Ciò che mi angustia terribilmente è che mi segue in maniera inerte.
Cosa sta accadendo alla nostra amata sorella?
Oggi è venuta al Podere la signorina Adalgisa. So con certezza che ha compreso che lo stato di Erminia ha qualcosa di particolare. Non l’ha chiesto direttamente - è troppo discreta e gentile per poterlo fare -, ma, quando l’ho riaccompagnata alla porta, mi ha detto semplicemente che augura tutto il bene di questo mondo a mia sorella. In fondo come avrebbe fatto a non accorgersene? È così palese che Erminia sia sofferente.
Vi prego, Corinna, di perdonarmi per questa mi missiva così breve, ma non sono in grado di scrivervi altro.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 31 marzo 1887


Per un istante ho pensato che il tormento finisse. Invece sempre quella voce... perché non se ne va? Perché non mi lascia in pace?
Ma può essere veramente la Bema? In fondo anche a Parma la udivo. Eppure da che sono a Basilicanova si è fatta più viva ed è divenuta costante dopo aver visitato Montechiarugolo.
Vuol forse dire qualcosa?




[Dal diario di Adalgisa]

31 marzo 1887


Ho fatto visita al Podere delle due Noci, oggi. L’Egilda mi ha accolta con la solita gentilezza e così il signor Normanno. Ben più strana mi è apparsa invece la signorina Erminia. È sempre pallida e taciturna e pare dormire veramente molto poco.
Nell’aspetto mi ricorda la mia povera madre prima che morisse. È come se si stesse spegnendo. Eppure è così giovane e non mi sembra aver una malattia di cui ho sentito parlare. Non ha l’aspetto di una persona con la febbre, né di una donna con la tisi (e di questo so qualcosa... la mia povera sorella e mia madre... entrambe portate via da quel male terribile).
Quello però che è più incredibile sono i suoi occhi. Mi sembrano privi di vita. Vuoti.
Non so però cosa possa voler dire. In fondo sono solo la figlia dell’oste di Basilicanova che sa scrivere in maniera sensata unicamente perché l’Egilda ha avuto la bontà di aiutarmi.
Sicuramente il signor Normanno è preoccupato per lei. Gli ho augurato ogni bene per sua sorella nell’uscire. Mi chiedo se ho fatto bene.


1 aprile 1887


Ho assistito senza volere a parte di una conversazione tra il signor Normanno e sua sorella. Mi trovavo a passare accanto al cancello del Podere delle due Noci, quando sono giunte chiaramente le loro voci.
Mi sono fermata solo per pochi istanti, per la curiosità, sono costretta ad ammettere.
Ricordo chiaramente ogni singola parola.
«Vi prego, sorella mia, cosa vi angustia?» ha domandato il signor Normanno.
La signorina Erminia non ha detto nulla. Ho sentito il rumore delle sue scarpe sul ghiaino del sentiero.
«Sorella...»
«Cosa volete che vi dica, Normanno? Conoscete già da solo la risposta. Sapete meglio di chiunque altro cosa mi tormenti. Lo sapete. Voi e vostro cognato! Lo sapete e fingete di non saperlo.»
La voce della signorina Erminia era quanto mai acuta ed v’era qualcos’altro di strano.
«Conoscete il motivo per cui vi è proibito cantare, sorella mia. So quanto vi stia a cuore poter immergervi nella vostra amata musica, ma non potete rischiare...»
«Rischiare, Normanno? La mia vita langue quando la mia voce tace. Ricordatevelo, quando sarò morta.»
Sono rabbrividita.
E subito dopo ho ripreso a camminare. Mi sentivo in colpa per aver origliato la loro conversazione e non volevo sentire oltre. Era qualcosa di assolutamente personale, qualcosa che io non dovevo conoscere per alcun motivo. Mentre avanzavo lungo la strada ho tentato di dire un Ave, ma è stato inutile. Cercavo risposte a quello che avevo sentito. Le certo tuttora.
L’unica cosa che ho capito è che la signorina Erminia non può cantare.
Il perché rimane un mistero che forse non risolverò mai.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 1 aprile 1887


Oggi mi sento terribilmente strana. Non riesco a capire cosa mi sia successo con Normanno. Mai prima d’ora avevo risposto in quel modo alle sue parole, con tanta rabbia. Sono stata ingiusta con lui. Per quanto possa disapprovare il fatto che mi vieta di cantare, so che questo è dovuto unicamente alla sua preoccupazione per la mia salute. Vi sono state delle volte in cui l’ho odiato profondamente, come mai ho odiato nessun altro, ma l’odio si è presto estinto.
Mio fratello mi ama ed ogni suo gesto è finalizzato al mio bene, per quanto non riesca a notare miglioramenti in me. Perché sono stata così dura?
Possibile che sia a causa della voce che sento? Forse era lei a incitarmi in quella direzione. Oppure io ero troppo esacerbata?
Taci... taci!
Perché mi chiedi aiuto? Cosa vuoi da me?
Dio, cosa mi sta accadendo?
Rileggendo quello che ho appena scritto, fatico a respirare. Come posso vergare delle parole rivolte a quella voce?
È qualcosa di irreale e di assurdo. Non dovrei nemmeno sentire quella voce e quel grido d’aiuto. E sicuramente non pensare che questo grido possa essere della Bema.
No.
Non può essere lei.
I fantasmi e gli spiriti vaganti non esistono... non esistono. È soltanto la mia anima ad essere sconvolta.

Non può che essere questa la causa.
Oppure quella voce... quella voce, è la voce della musica?


Basilicanova, 2 aprile 1887


Zia Egilda mi ha tenuta accanto a sé per tutta la giornata, mentre preparava una torta per domani.
Devo ammettere che mi sono quasi divertita e per quel tempo la voce ha taciuto. Ho sperato, mentre osservavo il latte scaldarsi sul focolare, di non doverla sentire mai più. Ho creduto che questo mio scombussolamento interiore fosse finito.
Anche quando sono andata a passeggiare con la zia e Normanno non udivo nulla. Mio fratello mi ha osservata con preoccupazione e affetto, nonostante le brutte parole che gli ho detto ieri. Quando ha visto che ero tranquilla, si è rilassato leggermente.
Per qualche strana ragione sono riuscita a godermi il sole, a trovare piacevole la passeggiata, come ho sempre fatto quando andavo al Parco Ducale a Parma.
Mi sono illusa che tutto potesse tornare alla normalità, che, forse, anche il canto poteva essere una rinuncia minima se avessi iniziato veramente a stare meglio. Sicuramente in quei momenti la mia salute mi pareva migliorata.
Invece adesso, nel segreto della mia stanza, mi sento impazzire.
La voce è tornata a risuonare più forte che mai. Le tempie mi pulsano.
Perché non mi lascia in pace?
Perché non trovo respiro?


Basilicanova, 3 aprile 1887


Oggi la Messa è stata un incubo.
Non sono riuscita per un solo istante a pregare. Non ho udito una sola parola della predica del parroco.
Tutta la mia mente era rivolta a quell’odiosa voce, alle sue richieste di aiuto.
Avrei voluto poter gridare, ma in questo modo avrei dato adito a chissà quali chiacchiere e sospetti. Non è comportamento consono urlare durante la Santa Messa, ma non è nemmeno normale sentire voci nella propria testa. Ho tentato con tutte le mie forze di ignorarla, ma è stato totalmente inutile.
Mi sento male.
Ho tentato di pronunciare anche solo un rapido Pater, appena sono rientrata in casa, ma non vi sono riuscita. È come se la mia anima si fosse improvvisamente perduta.




[Dal diario di Adalgisa]

3 aprile 1887


Anche questa domenica il brusio era molto intenso. Tutti parlano dei nipoti dell’Egilda. La Gianna, seduta proprio alle mie spalle, ha detto che, per lei, quei due hanno qualcosa che non va. La Piera ha replicato dicendo che lei ha incrociato il signor Normanno e le è sembrato un giovane molto a modo e cordiale. Come non si aspettava fosse uno della città.
A questo punto si è intromessa la Germana...
«Non è lui quello strano, ma sua sorella. L’avete forse mai vista da qualche parte, se non a Messa?»
«Secondo me ha qualcosa che non va nella testa, ve lo dico io.»
«Oh andiamo, Piera! Non esagerare. Te lo dico io... si sente troppo importante per noi altri.»
«Macché, quella ragazza lì è malata. Ma non lo vedi? È sempre pallida.»
«Forse l’Adalgisa ne sa di più. Giacomo ha detto che va dall’Egilda.»
«Sai che novità, Gianna! L’Adalgisa è sempre andata dall’Egilda. E poi cosa vuoi che ti dica? Hai sentito cos’ha detto la Filoma, che le ha detto la Maria... quella signorina Erminia non parla mai.»
«Già. Ed è sempre triste. Io vi ripeto che quella ragazza lì è malata.»
«Se lo dici tu, Germana. Io non ci credo. Poveretta, deve essere andata giù di matto.»
Finalmente si sono zittite. L’Egilda è entrata con la signorina Erminia e il signor Normanno. Ho temuto per qualche istante che queste pettegole mi facessero delle domande.
All’uscita dalla chiesa l’Egilda mi ha fermata e abbiamo scambiato qualche parola. Anche il signor Normanno ha detto qualcosa. La signorina Erminia è rimasta silenziosa. Mi sembra ancora più pallida dell’ultima volta che l’ho vista.
Mi chiedo che malattia abbia? Forse è legata ai suoi polmoni o alla gola, dato che non può cantare.
Comunque sia prego che possa guarirne. Una ragazza così giovane...




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 4 aprile 1887


Non so più cosa fare. Non riesco più ad essere me stessa. Quella voce mi rapisce. Mi sembra di rimanere per ore a tentare di ascoltarla.
Normanno si fa sempre più preoccupato.
Forse dovrei parlare con lui?
Ma mi crederebbe realmente?


Basilicanova, 5 aprile 1887


Taci!
Basta. Non riesco più a sopportarla... la voce... la voce! Ho persino provato a parlare con Normanno oggi, ma nessuna parola è uscita sensatamente dalle mie labbra.
Mi ha tastato la fronte e ha detto che ho la febbre altissima.
Qualcuno è andato a cercare un medico... a Montechiarugolo forse, o a Traversetolo.
Ma deve ancora arrivare.
Eppure io non penso di aver la febbre. È soltanto quella voce... esiste una medicina per farla smettere?




Basilicanova, addì 7 aprile 1887


Mia amatissima Corinna,
le condizioni di Erminia si sono fatte improvvisamente gravi. Non è spossatezza, come credeva vostro marito. Due giorni or sono, il cinque del mese, ha tentato di parlarmi. Mi ha detto qualcosa di incomprensibile, che suonava come «falla smettere, ve ne prego, Normanno.». Mi sono spaventato. Cosa voleva dire la nostra povera sorella? Quando ho posato la mano sulla sua fronte ho sentito che scottava. Aveva la febbre altissima, forse stava semplicemente delirando. Sono stato io stesso a riaccompagnarla in camera sua, per poi lasciare a zia Egilda e a Maria il compito di metterla a letto.
Ho mandato un garzone a cercare un medico.
Quando sono ritornato in camera di mia sorella, era sola, già sotto le coperte e tremava. Le sue labbra si muovevano freneticamente ed ogni tanto riuscivo a cogliere una parola. Il più della volte diceva «Taci.». Non riesco a comprendere a cosa si riferisse.
Il medico è giunto a notte ormai fonda. Mi è sembrato molto perplesso. Ha detto che non sa se Erminia riuscirà a superare questo momento. Cielo! La sua malattia è dunque giunta a reclamarla?
Zia Egilda prega per quasi tutto il giorno ed io sono sempre al fianco di Erminia.
È avvenuto tutto in maniera così strana.
Il due di questo mese, ve lo posso assicurare, sorella mia, Erminia pareva stare meglio. Mentre passeggiavamo nel pomeriggio, un lieve rossore ha colorato le sue gote altrimenti pallide. Ho sperato che stesse migliorando. Il giorno successivo il rossore era scomparso, ma sono stato talmente ingenuo da dirmi che non aveva senso pensare che la salute le sarebbe tornata tutta in un colpo.
Invece, adesso, Erminia giace febbricitante e vicina alla morte.
Mi sento così angustiato, sorella mia e così terribilmente colpevole. Forse aveva già compromesso il suo fisico quando abbiamo compreso che non stava bene, forse aveva già cantato per troppo tempo. Quanto vorrei poter tornare indietro nel tempo e non suggerirle più di cantare, ma so che è impossibile.
Spero di potervi scrivere presto delle buone notizie.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.




[Dal diario di Adalgisa]

10 aprile 1887


I nipoti dell’Egilda non sono venuti alla Santa Messa Pasquale oggi. Le comari alle mie spalle hanno fatto mille ipotesi in proposito. Una di loro ha addirittura insinuato che la signorina Erminia non può venire perché ha in sé qualcosa di blasfemo e di certo un blasfemo non potrebbe resistere il giorno della Pasqua del Signore.
Tutte sciocchezze.
Dopo la celebrazione sono riuscita ad avvicinarmi all’Egilda.
La signorina Erminia è stata malata in questi giorni. Una febbre altissima che l’ha tenuta priva di conoscenza. Soltanto stamattina ha riaperto gli occhi e parlato. Spero che sia veramente un buon segno come crede l’Egilda.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 12 aprile 1887


Sono stata malata per giorni. Domenica ho riaperto gli occhi e parlato. Oggi riesco nuovamente a scrivere. Ricordo poco della malattia... Normanno ha detto che dal cinque non ho ripreso conoscenza fino a domenica. Riguardando questo diario ho notato che il cinque ho scritto qualcosa. Forse poco prima di perdere il contatto con la realtà.
Eppure c’è qualcosa che rammento.
La voce, quella voce che mi ha tormentato anche nella malattia.
Non v’è stato alcun reale cambiamento, quando mi sono svegliata. La voce era sempre lì.
L’unica vera diversità è che non vedevo più davanti a me la Bema, ma il volto preoccupato di mio fratello.




Basilicanova, addì 12 aprile 1887


Mia amatissima Corinna,
Erminia si sta riprendendo. Ho temuto grandemente per lei nelle giornate appena trascorse. Fino a domenica non ha aperto gli occhi, continuando a delirare in un sonno senza fine.
Avevo quasi perso tutte le mie speranze, quando ha riacquistato conoscenza. Domenica è però rimasta desta per ben poco tempo, mentre il giorno dopo e soprattutto oggi ha iniziato a stare veramente meglio.
Oggi l’ho portata, sotto consiglio del medico, a sedere al sole. Non ha più la febbre ed il tepore primaverile potrebbe giovarle.
Forse è veramente così. Mi è parso di vedere le sue gote leggermente meno pallide quando l’ho riaccompagnata nella sua stanza.
Vi prego quindi, sorella mia, di non preoccuparvi oltre.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 13 aprile 1887


Ho tentato nuovamente di parlare con Normanno della voce che mi tormenta, ma non ci sono riuscita.
Sembra quasi che mi sia precluso il solo farne cenno.
Perché non tace, semplicemente?
Non voglio sentirla... non voglio! Mi fa sentire in preda al delirio... chi è che mi chiama? Quale anima in preda alla disperazione? Ormai non credo nemmeno più sia la Bema...


14 aprile 1887


Ho trovato su un libro della zia un’immagine della Bema. L’ho fissata a lungo e mi sono osservata allo specchio.
È terrificante.
Sono identica a lei.
La voce è quindi la sua? La voce della sua anima che vuole prendere il posto della mia?
Ho paura.


15 apr


Aiutami
Taci... taci... io sono Erminia... Erminia!
Ti prego, aiutami
No! Taci, taci!
Ti...
Taci!
Aiutami.


Basilicanova, 16 aprile 1887


Cos’è accaduto ieri?
La mia pagina di diario... è sconvolgente.
Forse la sua anima ha preso il sopravvento sulla mia. Forse vuole solo chiamarmi.
Forse è così...
La sua anima mi chiama. Devo forse rispondere?


Aprile


Vedo delle teste mozze... il sangue...
No... non posso dirvelo, non posso.
Quel giovane così bello, morire... quella donna...
morire... tutti morti... nel sangue.
Perché mi tormenti così, Bema? Non vuoi forse più stare con la gente che hai amato? Lasciami in pace, te ne supplico.


1612


Pio è morto... ed io sono morta con lui.


Basilicanova, 19 aprile 1887


La voce tace oggi... ed il delirio dei giorni scorsi pare passato.
Forse era soltanto un rimasuglio del delirio della febbre. Deve essere così. Con ogni probabilità ho avuto la febbre per più tempo di quanto non ne sia stata cosciente, una febbre strisciante di cui non mi sono resa conto e per questo mi è parso di aver udito una voce e di esser diventata improvvisamente come la Bema.
Ho riguardato l’illustrazione che mi aveva fatto paura. Non c’è alcuna somiglianza tra me e la Bema. Soltanto i capelli neri, ma ci sono migliaia di donne con i capelli neri.
Sono stata una sciocca.
Mi viene da ridere quando penso alle mie paure.
A cena sono riuscita anche a parlare con Normanno. Non è stato difficoltoso, tutt’altro. Sono riuscita a scherzare come facevamo un tempo.




Basilicanova, addì 19 aprile 1887


Mia amatissima Corinna,
Erminia si è finalmente ripresa del tutto. Stasera a cena ha avuto una conversazione assolutamente vivace e scherzosa. È ancora pallida come un cencio, ma il dottore che è venuto a visitarla dice che è normale.
Nei giorni scorsi ha avuto a tratti delle ricadute in cui ha ripreso a delirare, ma sono state di breve durata. Oggi la sua fronte era fresca e non potete nemmeno immaginare quanto ne sia felice.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 20 aprile 1887


Mi sento così tremendamente libera in questi giorni e sento che la mia salute sta migliorando. Rimane il rimpianto di non poter più cantare, ma se questo serve per riacquistare la vitalità di un tempo...


Basilicanova, 21 aprile 1887


Tutto nel mondo è illusione.
Non sono libera... la voce ha ripreso a tormentarmi. Era solo una misera tregua...
Sono disperata. E Normanno mi pare lontanissimo.


22 aprile 1887


Aiutami! Canta... canta!
Dunque non era la Bema... era l’anima della musica. La sua anima che mi chiama... la musica che per qualche istante ha preso le sembianze della Bema.
Non posso cantare, non posso!


23 aprile 1887


Vorrei poter rispondere alla voce che mi chiama... la voce della musica....
Ma non posso.... mio fratello ne soffrirebbe troppo.


Eppure... perché no...
Dio, non posso...
Ma è ciò che desidero di più al mondo.


Canta! Canta!
Ascoltami, Erminia!
Tu mi appartieni. Canta... canta...




Basilicanova, addì 24 aprile 1887


Mia amatissima Corinna,
oggi è una ben triste domenica.
Non so nemmeno io cosa potrò scrivervi in questa mia lettera, senza gettarvi nella più cupa prostrazione. Vi posso assicurare che ho versato tantissime lacrime ieri notte.
Erminia è morta e se ripenso a quei timori che mi erano nati quando siamo andati a Montechiarugolo... i timori dovuti al mulino e al piccolo canale che gli porta acqua... e che li ho messi in disparte... cielo, provo la più cocente colpa.
Nostra sorella si è data la morte, gettandosi dal ponticello che passa il canale. Non è una gran caduta, ma il fondo è sassoso e quando sono corso a soccorrerla era già troppo tardi per lei.
È avvenuto tutto all’improvviso. Ci sono state giornate in cui pareva che Erminia stesse finalmente bene. Per qualche istante, il venti di questo mese, mi è sembrato di ravvisare in lei l’antica vitalità. I suoi occhi erano accesi da qualcosa e, sebbene fosse ancora pallida, sembrava assolutamente vivace.
Poi tutto ha iniziato a svanire d’un tratto. È diventata più inquieta, ma ho pensato, stoltamente, che fosse un semplice interludio prima della completa guarigione.
Ieri notte, però, tutto è finito.
Stavo già dormendo, quando un suono indefinito mi ha destato, all’improvviso. Subito non mi sono reso conto di cosa fosse, poi ho realizzato con sgomento. Erminia stava cantando. Mi sono alzato di scatto e, senza nemmeno curarmi di vestirmi, se non buttandomi addosso una vestaglia, sono sceso al piano inferiore.
Nostra sorella era la centro del salotto, con gli occhi chiusi e le gote tremendamente arrossate e stava cantando un’aria francese. Sono corso verso di lei e le ho intimato di smettere, ma non mi ha dato ascolto. Al contrario la sua voce si è fatta più intensa.
Zia Egilda ci ha raggiunti in quel momento, insieme a Maria. Entrambe hanno tentato di aiutarmi, ma invano. Erminia sembrava non udirci nemmeno. Quando mi sono avvicinata a lei, i suoi occhi si sono posati su di me... erano come infiammati e spaventosi.
Mi ha guardato per un istante, poi ha iniziato a correre, continuando a cantare ed è uscita all’aperto. Mi sono lanciato al suo inseguimento e, essendo più forte di lei, sono riuscito a raggiungerla e a stringerla tra le braccia. Continuava a cantare, una nenia, in quel momento.
Le ho detto nuovamente di smettere, l’ho implorata di farlo. È stato in quel momento che ha parlato.
«Non capite, Normanno, è la musica che mi chiama... è la sua anima che è dentro di me. Devo cantare... devo cantare.»
E la sua voce celestiale ha ripreso il suo canto.
In quel momento non ho pensato a nulla. L’unica cosa che volevo fare era riportare nostra sorella in casa e tentare di calmarla. Ho preso a trascinarla, ma Erminia è sembrata diventare improvvisamente più forte di me e si è divincolata dal mio abbraccio.
Ha ripreso a correre ed io ad inseguirla, ma sono, ahimè, inciampato nella vestaglia, cadendo a terra. Mi sono risollevato immediatamente e ho ripreso ad inseguirla. Mi sono ritrovato ben presto in strada. La sua figurina bianca era poco davanti a me, ma non riuscivo a raggiungerla. Quando si è fermata, ho provato un breve attimo di sollievo. L’avevo quasi raggiunta, quando si è lasciata cadere nel canale.
È stato terribile. Zia Egilda è giunta poco dopo, quando già tenevo mia sorella tra le braccia e piangevo.
Domani verrà sepolta. Il parroco è un brav’uomo. Sa che Erminia si è tolta la vita, ma ha deciso di donarle ugualmente un funerale cristiano. Nessuno nel paese saprà quello che è successo. Per una qualche fortuna nessuno era per strada e nessuno si è destato, soprattutto al mulino. Credo, sorella mia, che Erminia avesse smarrito la ragione. Forse il canto era veramente troppo importante per lei e il non poter cantare l’ha portata al delirio più cupo e assoluto. Era destino, credo, che, in un modo o nell’altro, la sua passione per il canto la portasse alla morte. Ma non è un pensiero consolante, Corinna. È soltanto un altro peso... qualcosa che si aggiunge al mio irrefrenabile dolore.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.




Mi scuso tantissimo per il tempo che ho fatto aspettare per la pubblicazione di questo capitolo. Un tempo forse ancora più assurdo se si considera che la storia è già tutta stata scritta e dovevo solo pubblicarla, ma, ammetto, mi era passato di mente.
Spero che il capitolo vi piaccia!

Un grazi particolare a:

Thiliol: Il mio paese è cambiato dal 1887, ma è un paese sicuramente tranquillo! Ed il Mulino è rimasto proprio come ai tempi che descrivo (anche se non è mai esistita nessuna Erminia. Ti devo però confessare che quando passo sul ponticello che attraversa il ruscelletto che porta l'acqua al mulino penso a lei. Una cosa sciocca, considerando che è una figura immaginaria.). Sono contenta che la storia della Bema (a cui gli abitanti di MOntechiarugolo tengono verament tantissimo) ti abbia affascinata. Spero che questo capitolo ti piaccia!

Un grazie a chi ha messo la storia tra le seguite e a chi legge soltanto!

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Epilogo

[Dal diario di Adalgisa]

9 luglio 1895


Oggi hanno sepolto l’Egilda. È stato terribile il giorno in cui è morta. Era una donna così gentile e dolce, eppure così infelice. Dopo la morte della signorina Erminia non è più stata la stessa. Ricordo ancora quel giorno terribile in cui, alla messa domenicale del 24 aprile 1887, don Piero ha dato l’annuncio.
Alcuni giorni dopo la sua sepoltura il signor Normanno ha lasciato Basilicanova e fino ad oggi non l’ho più rivisto. Mi è parso invecchiato anzitempo. Per essere un uomo ancora giovane ha già fin troppi capelli grigi. Forse la morte della sorella l’ha distrutto. Era chiaro che l’amava profondamente. Mio marito non ha compreso per quale motiva l’abbia osservato con una certa commozione. Lui non era a Basilicanova quando sono arrivati i nipoti dell’Egilda. È strano pensare che tutti gli altri abitanti del paese si siano come scordati della povera signorina Erminia. E pensare che avevano speso così tante chiacchiere sul suo conto, fatto tante ipotesi.
Se n’è parlato per qualche tempo dopo la sua morte, poi è stata dimenticata.
La sua tomba era visitata unicamente dalla signorina Egilda e a volte da me stessa. Per quanto non l’avessi conosciuta bene, mi ha colpita moltissimo la sua morte. Era sicuramente una bella persona e, per certi versi, vederla andarsene così giovane mi ha ricordato la morte di mia sorella.
Ogni sera prego anche per la signorina Erminia e da oggi credo pregherò perché il signor Normanno possa trovare pace. I suoi occhi sono colmi di tormento e biasimo.
Mi chiedo se per caso non incolpi se stesso per la morte della sorella.


Note conclusive dell'autore: Il titolo è riferito al punto di vista della sola Erminia. Non esiste una spiegazione a quello che le accade, o per lo meno, non una spiegazione univoca: potrebbe essere a tutti gli effetti una storia sovrannaturale (da qui la scelta del genere), sia aver tutto la spiegazione più razionale che congettura Normanno.


Ecco l'epilogo, brevissimo della storia.
Un grazie particolare a:

Thiliol: La malattia di Erminia è nata in me come suggestione letteraria, in seguito alla lettura del Consigliere Crespel di Hoffmann. Non esiste quindi una spiegazione scientifica ed io non ne possego gli strumenti per darne una, quindi non ho dato indicazioni nel testo. Ho preferito, quindi, lasciare il tutto a livello piuttosto indefinito. Spero che questo non ti deluda. (p.s.: in bocca al lupo per la maturità)

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