You don't know me

di ZARANDO
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Alzarsi presto non è mai stato il mio forte. 
Il sapore forte di quello che aveva bevuto la sera prima ancora gli gravava in gola. Si mise a sedere sul letto, notando la confusione che regnava un po’ ovunque nella propria stanza; dal pavimento al letto tutto sembrava essere stato messo a soqquadro da ladri alla ricerca di qualcosa di valore. In realtà era una settimana che evitava di mettere in ordine i propri vestiti lasciandoli sparsi a raccogliere polvere. 
Si passò una mano sul viso, incrociando il proprio sguardo nello specchio che faceva capolino da un’anta dell’armadio aperto. Occhiaie profonde accompagnavano il naso piatto e labbra carnose ormai incolori. 
Sospirò, grattandosi i capelli tagliati corti da poco. Aveva quasi fatto rasare i lati, tenendo decolorato una fascia centrale, per poter esibire gli ultimi piercing che adornavano le sue orecchie. Radici scure già facevano capolino dal color platino, ricordandogli di essere nato giapponese.
“Sei sveglio?” una voce che conosceva come le proprie tasche si fece sentire dalla porta semiaperta. 
Akito entrò in quella camera avvolta ancora nella penombra nonostante fosse mezzogiorno, poggiando ai piedi dell’altro una pila di magliette appena stirate. Suo fratello gemello condivideva con lui gli stessi tratti, sebbene mantenesse un colore di capelli naturale ed un taglio scalato ad incorniciargli il volto, abbastanza lunghi, scalati, secondo il dictat di un cantante pop in testa a tutte le classifiche del momento.
“Yoshi, tra poco è ora di pranzo.” Akito lo reguardì, lasciandolo nuovamente solo.
Yoshiyuki si ritrovò a riflettere sul suo clone. A quanto ne sapeva, la sua carriera brillante lo aveva portato a farsi eleggere rappresentante degli studenti della sua scuola; si immaginò quanto potesse essere frustrante per dei genitori avere un figlio perfetto e un altro che veniva sospeso per possesso di droga. Se non avesse avuto un termine di paragone così, probabilmente avrebbe potuto vivere tranquillo, si disse.
Frequentando una scuola professionale sperava di trovare lavoro appena possibile. Voglia di studiare ce n’era veramente poca.
Si trascinò in salotto, arrancando per il corridoio della zona notte. Scese le scale dal parquet lucido che lo avrebbero portato in cucina. 
“Akito, volevo farti i complimenti per essere stato eletto rappresentante degli studenti anche quest’anno.” disse Akira, il padre dei due gemelli, mentre Akito pranzava seduto a tavola.
L’uomo invece era seduto in poltrona, rivolto al televisore fisso su un telegiornale che trasmetteva immagini di città lontane colpite da un nubifragio. Per non dare le spalle ai figli, si girò di scatto, facendo ruotare la seduta sul perno e continuando il monologo. “Invece tu, Yoshi..”
A Yoshiyuki venne la pelle d’oca. Di solito preferiva ascoltare gli elogi al fratello, piuttosto che essere al centro dell’attenzione. Tutto ciò non presagiva nulla di buono, pensò.
“..volevamo annunciarti una cosa fa-vo-lo-sa!” finì la madre, poggiando sul tavolo la ciotola colma di riso per il figlio appena svegliatosi.
In coro, quasi canzonandolo, terminarono il discorso: “Da lunedì sarai nella stessa scuola di Akito.”
Ecco, lo sapevo. 
“Cosa!?” si risvegliò Akito dal sorseggiare la zuppa calda che stava finendo.
“Il liceo di Akito ha accettato il tuo trasferimento..”  iniziò la madre, rivolgendosi a Yoshiyuki, ancora in piedi in mezzo alla stanza. “Avevamo pensato che..”
Senza parole, Yoshi fissava la madre gongolante d’orgoglio. Perché?
“..il tuo scarso rendimento fosse dovuto alla qualità degli insegnanti della tua attuale scuola, che non è proprio eccelsa..”
“Ma io sto bene dove sto.” mugugnò Yoshi, sorridendo appena. “Per di più non voglio nemmeno..”
“E non avete mai preso in considerazione che forse è lui a non essere in grado di studiare?” si intromise Akito, sbattendo la ciotola vuota sul tavolo. “Cosa pensate, che come per magia si rivelerà bravo quanto me solo perché avrà i miei stessi insegnanti?”
“Grazie eh..” bofonchiò Yoshi, prendendo posto e agguantando con le bacchette un mucchietto di riso caldo fumante. 
“Lo speriamo, Akito.” sentenziò il padre. “Dovresti essere felice per tuo fratello. Verrà a scuola con te, dove tu sei rispettato e conosciuto.”
Fantastico. 
“Potrai aiutarlo a inserirsi, a prendere mano con lo studio, le lezioni, i corsi..”
Proprio quello che volevo.
“Gli farai da mentore, aiutandolo a passare l’anno.”
Mi hanno buttato nella fossa dei leoni.
“E in più potrete rafforzare il vostro rapporto!” si inserì la madre.
Lo capì incrociando lo sguardo di Akito, così pieno d’odio che avrebbe potuto morire fulminato dai suoi occhi.
Sarebbe stato un anno difficile.

Il liceo che frequentava Akito si trovava a qualche centinaio di metri dalla stazione della metropolitana del loro quartiere. Usciti da casa nostra, bisognava passare tre incroci, svoltare a sinistra, superare in ordine una panetteria, uno di quei famosi coffee bar italiani, un paio di edifici pieni di uffici per poi trovarsi di fronte al parco che conduceva all’entrata della scuola. Al contrario, per andare a lezione, Yoshi doveva prendere il bus la cui fermata stava a dieci minuti in bici da casa, attraversare tutta la città e poi percorrere ancora un paio di isolati a piedi per raggiungere la mia scuola. Dal punto di vista logistico, era davvero una pacchia.
Dal punto di vista umano, sorvoliamo. 
I due fratelli svoltarono all’interno del giardino, camminando all’unisono verso l’edificio. Sebbene la divisa non fosse obbligatoria, il codice scolastico consigliava di vestirsi in maniera adeguata. In altre parole, erano comunque obbligati a indossare un’uniforme. Cosicché Yoshiyuki, dopo anni di libertà, si ritrovò ad indossare una camicia bianca a maniche lunghe abbinata a un pantalone blu che gli conferivano la stessa identica aria da studente modello del fratello. Questo se non avesse avuto i capelli giallo paglierino, i piercing alle orecchie e le sopracciglia rasate. E a questo suo particolare aspetto doveva i continui sguardi che lo mettevano a disagio.
Nell’istituto che aveva frequentato fino al giorno prima, non c’erano regole riguardo il vestiario o la pettinatura. La scuola di Akito, invece, essendo una delle più rinomate del Toshima-ku , non era uno di quei licei privati dove l’etichetta è d’obbligo ma non lasciava nemmeno molta libertà. Erano permessi i colori naturali dei capelli (nonostante vi fosse comunque una certa tolleranza data la moda diffusa, specie tra le ragazze, di schiarirsi la chioma) ma non tagli particolari che potessero dare un’aria trasandata agli alunni. Piercing e tatuaggi erano permessi, ma non dovevano essere visibili, né spuntare magari dalla manica o dal colletto della camicia. Erano tollerate tuttavia scarpe da ginnastica (purché non di colori fluorescenti), sciarpe (tra cui al momento la più gettonata era in check  Burberry), cravatte, guanti e quant’altro potesse non turbare la quiete scolastica. Le ragazze dovevano indossare la gonna ma, fortunatamente, non vi era, come in altre scuole del paese, la misurazione della lunghezza all’inizio dell’anno scolastico. Erano tollerati sia scaldamuscoli che calzettoni, ma le scarpe, in questo caso, dovevano essere di stampo classico, non stringate e opportunamente lucidate. I colori dell’uniforme potevano variare sui vari toni del blu, del nero e del grigio. Bandito fu il marrone, ormai passato di moda. La scuola non forniva gli indumenti da indossare ma consigliava dei negozi della zona specializzati nelle uniformi scolastiche, a cui veniva consegnata una lista di possibili combinazioni. Un costo in più per le famiglie, ma la sicurezza di non vedere il proprio figlio accomunato a certi studenti che sembravano andare a scuola in pigiama. 
Studenti come Yoshiyuki, che di solito indossava tute da ginnastica oversize, canotte e cappellini con la visiera per andare a lezione. Un ragazzino che imitava semplicemente ciò che vedeva indossare ai suoi beniamini in tv, cantanti di colore d’oltreoceano. Per lui era qualcosa di più in quanto i due gemelli nacquero a Cleveland, in Ohio; vivendo in America la prima parte della loro infanzia, in entrambi era rimasta una sorta di nostalgia.
Yoshi si sentiva intrappolato in quegli abiti, accomunato a persone con cui non aveva nulla da spartire.
Osservava le ragazze che li sorpassavano in bicicletta, dirette anche loro a scuola: felici, ridacchiavano tra loro, lo zaino carico di sogni e libri. Lui aveva già deciso la sua strada. Non avrebbe studiato a lungo, ma si sarebbe trovato qualche lavoro part time, magari come aiuto meccanico, magazziniere, ragazzo delle pizze, fattorino, e poi via, verso la carriera brillante di cantautore che lo attendeva. Doveva solo trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Idee chiare, insomma.
Camminava stando qualche metro dietro al fratello, sperando di non incontrare nessuno della sua vecchia scuola.
Sua madre l’aveva obbligato a lasciarsi confiscare le sigarette, e continuava a sbuffare ad ogni passo. Gli mancavano tra le dita, per cui si era ficcato le mani in tasca, stringendosi nelle spalle. Così facendo, spingendo con forza le nocche all’interno delle tasche, cercava anche di far scendere i pantaloni che sentiva troppo alti in vita e sul cavallo. Maledetta cintura, pensò. 
La giornata era tersa, le nuvole lasciavano pieno spazio al sole che, nonostante gli alberi del viale, riusciva a scaldare benissimo chi passeggiava sotto le loro fronde. 
“Lo dico per te, meno mi stai addosso meglio sarà per tutti e due..” Akito proruppe, riportando Yoshi al mondo terreno. “Ti devo solo accompagnare in presidenza per firmare le ultime carte, poi in classe e chi s’è visto s’è visto, ok?”
Più che una domanda suonava come un ordine. 
“Logico.” chiuse il discorso Yoshiyuki, sospirando. 
Nemmeno lui aveva voglia di approfondire il loro rapporto solo perché costretti a studiare nello stesso edificio.
Non voleva averci nulla a che fare. Non sapeva se Akito avesse una compagnia, una ragazza, dei conoscenti o chissà cos’altro. Lo presumeva, ma non ci dava peso. Solo per il fatto di dover vedere ogni giorno qualcuno con la sua stessa faccia, le sue stesse mani, i suoi stessi modi, aveva vissuto male fino alle scuole superiori. Infatti erano stati nella stessa scuola fino a quel momento, quando i genitori capirono finalmente che, forse, i loro figli erano due persone distinte con due obiettivi diversi. Akito optò per un liceo che gli avrebbe potuto dare ottime chance di entrare nelle migliori università del Giappone, mentre Yoshi scelse un istituto professionale che lo avrebbe inserito direttamente nel mondo del lavoro. Tuttavia, i genitori avevano pensato bene di reinvestire proprio nel figlio considerato “ribelle” a detta di tutti. 
Quello stesso figlio che era cresciuto in maniera autonoma, rispondendo ormai a qualsiasi domanda con dei monosillabi interpretabili in molteplici modi. Si era chiuso in sé stesso tra le mura di casa, lasciandosi libero appena varcata la soglia. 
“Eccoci qui.”
Akito si fece strada tra la folla, fermandosi di fianco il portone aperto dell’edificio. All’interno si apriva un largo corridoio, teatro di un via vai enorme di persone. Alcune urtarono Yoshiyuki accidentalmente, che stava impalato a guardare la scuola. Il fratello gli fece cenno di avvicinarsi, impaziente di liberarsi in fretta dell’impiccio. Entrò, continuando a guardarsi in giro. C’era molta confusione, un vociare continuo, che talvolta si fermava in alcuni punti al passaggio del biondo. Vide alcune ragazze, intente poco prima a parlare tra loro, indicarlo e ridacchiare, coprendosi la bocca con le mani. Una arrossì, forse facendo un apprezzamento nei suoi riguardi. Di certo la somiglianza con il loro rappresentante degli studenti deve lasciare un po’ straniti, pensò Yoshiyuki. Si chiese persino se Akito avesse mai detto a qualcuno dell’esistenza di un suo gemello. 
“Ce n’è di gente, cavolo..” esordì, avvicinandosi al fratello, che proseguiva per la strada.
“Siamo cinque sezioni, per un totale di una quindicina di classi..” gli spiegò, assicurandosi meglio lo zaino sulle spalle. “..circa trecento alunni.”
Proseguirono per il corridoio, passando oltre a un bancone lungo, dove sedeva una signora che borbottava con dei ragazzi. Sventolavano delle giustificazioni, a loro dire firmate dai genitori.
“Quella è la segreteria.” indicò Akito. “Per qualsiasi problema basta che ti rivolgi al front office..”
Si aprì dinanzi a loro una grande stanza, con delle vetrate che davano sul giardino. C’erano delle poltroncine sul lato opposto, proprio in parte alla porta della segreteria, che guardavano alle aiuole in fiore appena fuori. La struttura era a ferro di cavallo, al cui centro stava l’aula d’attesa, e sulle cui estremità si aprivano le porte delle aule di studio. Da ambo i lati poi vi erano le scale che portavano ai piani superiori.
“Al piano terra trovi perciò le aule del primo anno, la segreteria e la presidenza.” sorpassarono la stanza illuminata dalle grandi finestre, andando al lato opposto della segreteria. “Se vuoi siediti pure qui, faccio in un attimo..”
Yoshiyuki si sedette su una poltroncina, leggendo il cartello sopra la porta che indicava la presidenza, mentre Akito si mise a cercare qualcosa nello zaino.
“Devo chiedere al preside il tuo libretto, i tuoi testi per oggi e poi ti porto nella tua classe..” gli spiegò, sfogliando un’agenda in pelle marrone. “Aspettami qui, faccio subito.”
Yoshi annuì, mentre Akito bussò ad una porta, attendendo riscontro. Appena scomparve dentro, il biondo sospirò. 
Si alzò in piedi, lasciando lo zaino del fratello ed il proprio incustoditi, appoggiati alle sedute. 
Sperava di trovare qualcuno a cui poter scroccare qualche sigaretta, ma il caos generale di qualche minuto prima era ormai sparito. Dovevano essere iniziate le lezioni, quindi i corridoi prima gremiti ora erano deserti. Probabilmente non aveva nemmeno sentito la campanella perché troppo concentrato a capire come fosse strutturata la scuola. Si incamminò per il corridoio su cui dava l’ufficio del preside, passando dinanzi alle aule da cui provenivano le voci degli insegnanti. In fondo vide l’uscita di sicurezza che dava sul giardino, da cui intravedeva i parcheggi delle biciclette. Preferì salire le scale lì di fianco, curioso di esplorare la sua nuova scuola. Dopotutto qualsiasi cosa andava bene piuttosto che stare seduti ad aspettare. Dalle finestre sulle scale intravide il campo da basket che stava nel bel mezzo del giardino, e più in fondo notò una struttura distaccata dall’edificio scolastico. Probabilmente quella è la palestra, intuì.
Fece gli ultimi gradini due per volta, arrivando al primo piano. 
“Buongiorno Mifune!” Tre ragazze dai capelli lunghi e anonimi, lo salutarono in coro.
“’Giorno..” rispose Yoshi, abbozzando mezzo sorriso. 
“Cos’hai fatto.. ai capelli?” proruppe la ragazza con la treccia, evidentemente imbarazzata. Le restanti lo guardavano ammirate, dalla chioma insolita alla punta dei piedi, scambiandosi occhiatine perplesse.
“Ah..” il biondo, capendo che lo avevano scambiato per Akito, sospirò, scuotendo la testa. “Sentite, non sono affari vostri quindi andate a rompere da qualche altra parte, ok?”
Sorprese della risposta scortese e quindi inaspettata da parte del loro beneamato rappresentante studentesco, volsero i tacchi, bisbigliando tra loro. Si diressero verso la parte opposta del corridoio, non staccandogli gli occhi di dosso. 
Vide il cartello appeso al muro che indicava i bagni e decise di andare a risolvere alcuni bisogni impellenti.

Si sciacquò le mani, schiacciando poi il bottone sul macchinario appeso al muro da cui poi proruppe vapore caldo per asciugarsele. Diede un’occhiata al proprio riflesso allo specchio. L’aspetto semi-ordinario che aveva lo demoralizzò, borbottando contro sua madre. 
“EHI!” 
Si volse di scatto, trovandosi di fronte due ragazze alte, una delle quali portava un collarino borchiato legato al collo. Pensò che fosse strano anche il loro trucco molto pesante, date tutte le regole che Akito gli aveva elencato la sera prima riguardo l’etichetta scolastica. La ragazza col collarino inoltre aveva un caschetto biondo platino che la rendeva ben poco adatta alla divisa che stava indossando.
“Mifune?” le due ragazze si guardarono allibite. 
“No guarda, Bond, James Bond..” sbuffò Yoshi, davvero stanco di essere scambiato nuovamente per il fratello. Tutti questi malintesi lasciavano presagire un anno pieno di prese in giro, beffe e scherzi a cui ormai si era disabituato. Da piccolo li aveva sopportati, li aveva perdonati, ma ora che era cresciuto, e che aveva fatto di tutto per differenziarsi dal fratello, non aveva più la pazienza di un tempo.
Le canzonò, mandando la biondina su tutte le furie. “Fai meno lo spaccone, Mifune!” lo spinse contro il lavabo, facendo notare a Yoshi quanto fosse più alta di lui. 
“Se no cosa mi fai?” sorrise, guardandola dal basso. Attirarono la sua attenzione le unghie lunghe e laccate di nero della ragazza.
“Dovresti portarci più rispetto..” si intromise l’altra, poggiando una mano sulla spalla dell’amica per calmarla e allontanarla da Yoshi.
“E perché mai?” 
“Qualcuno ha pagato qualcun altro per sistemare un altro ancora..” rispose sorniona la ragazza con i capelli raccolti in uno chignon morbido, alimentando la curiosità di Yoshiyuki.
Se lo avevano scambiato per Akito, voleva dire che suo fratello era in affari con le due ragazze che, osservandole bene, parevano provenire più dalla scuola di Yoshi che da un liceo di alto livello.
“Diecimila yen  per mandare all’ospedale Sota della 2-2 !” alzò la voce la biondina, sbattendo il pugno contro la porta di un cesso. 
“E chi è?” sfuggì a Yoshi, ridacchiando della scena che due ragazze avessero picchiato un ragazzo al posto di suo fratello.
“Ma hai il cervello che dorme?” ringhiò sempre la bionda, furiosa. “O ci stai prendendo in giro?”
Yoshiyuki sorrise, scostandosi dalle due e andando verso la porta. “Grazie delle informazioni..”
La ragazza più calma delle due gli fece un cenno, scuotendo la testa, compatendolo. Sarà stato anche il ragazzo con i voti migliori di tutto l’istituto, ma aveva davvero poca memoria, pensò.
Stava poi per chiedere loro come mai, essendo due ragazze, fossero nel bagno degli uomini ma si interruppe, quando vide la bionda aprire con un calcio una porta e tirar fuori un ragazzo impaurito per un orecchio. 
“Ciao Mifune.” chiuse il discorso la ragazza coi capelli raccolti, come per invitarlo ad andarsene.
Non era certo affare suo e per uno sconosciuto non avrebbe mosso un dito se c’era la anche solo remota possibilità di farsi male. Prese la porta ed uscì, tornando a sorridere quando l’idea del fratello ricattato comparve nella sua testa. Non era poi così perfetto come dicevano. E anche piuttosto vigliacco. E chissà il perché.
Anche non volendo, i fatti di cui era venuto a conoscenza gli solleticavano la curiosità perché rivelavano un aspetto inedito del suo gemello che, a suo parere, lo rendeva più simile a lui. La sua perfezione era dunque di facciata? Nascondeva in effetti un aspetto più interessante, più insolito.
Yoshiyuki si diresse verso la prima aula, appena fuori dai bagni, leggendo il numero. Se le aule del primo anno erano tutte al piano terra, forse quelle del secondo e del terzo erano al primo piano e all’ultimo le restanti, pensò. Voleva scoprire interamente la faccenda, perché voleva vedere la faccia del ragazzo che Akito temeva tanto da dover pagare qualcuno per sistemarlo al posto suo. 
Trovò l’aula una decina di minuti dopo, proprio quando la campanella che segnava il passaggio all’ora successiva suonò, facendo scattare un andirivieni di gente impressionante. Le porte delle aule parevano essersi aperte in contemporanea, vomitando fuori alunni in tutte le direzioni. Afferrò con decisione un ragazzo che usciva dall’aula 2 del terzo anno, tanto che quest’ultimo lo guardò malissimo, riconoscendolo poi in Mifune e quindi calmandosi.
“Sota, dici?” 
“Si, quante volte devo ripetertelo?” Yoshi era impaziente di conoscere il “famoso” Sota, magari per carpire qualche segreto del fratello e poterlo finalmente rendere umano agli occhi di tutti. 
Il ragazzo si sottrasse alla presa del biondo, tornando dentro l’aula. Lo vide avvicinarsi ad un gruppetto di ragazze indaffarate a pulire la lavagna per il professore dell’ora successiva. Yoshi cercò di sporgersi per vedere meglio l’interno della stanza, quando un altro ragazzo lo spinse in malo modo per passare e lo distrasse dai suoi pensieri. 
“Spostati.” disse, colpendolo con la propria spalla sulla sua, molto probabilmente non solo per farsi strada.
Deve essere una testa calda, pensò Yoshiyuki, maledicendolo e massaggiandosi il braccio dolorante.
“Cosa vuoi?” si trovò di fronte una ragazza dai lineamenti occidentali; occhi grandi, castani, una bocca a cuore e zigomi alti, incorniciati dai capelli mossi chiari. 
“Tu, cosa vuoi?” sbuffò Yoshi. Un’altra che rompe, pensò, sempre più stanco dell’atteggiamento di tutti dentro quella scuola. “Ci conosciamo?” continuò, sfrontato.
“Sei tu che..”
“Senti, vai a chiamarmi Sota.” la interruppe, indicandole la direzione con fare altezzoso. “Così tolgo definitivamente il disturbo..”
“Sono io Sota, stupido!” reagì lei, alzando la voce in modo che risuonasse in tutto il corridoio gremito di persone.
“Tu?” Yoshi era allibito. “Una ragazza?” Sota era una ragazza? Akito aveva paura di una ragazza?
“E’ da anni che ci conosciamo!” continuò Sota, sistemandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. “Solo adesso te ne sei accorto?”
Yoshiyuki stava per ribattere, per spiegare l’accaduto, che lui non era quel Mifune, non era lui che l’aveva fatta picchiare dalle due teppiste.
Dopotutto, era una ragazza. E persino per uno come lui era inammissibile fare del male a una donna.
“Congratulazioni per la tua elezione!” esordì invece lei, con tono canzonatorio. “Ringrazia quelle del quinto anno, altrimenti a quest’ora sarei io la rappresentante!”
Il tono della sua voce rimaneva alto, mettendolo a disagio. Una conversazione un po’ troppo personale che stava attirando l’attenzione di tutti, a quanto pareva. Stava dando spettacolo, ed era appena arrivato da un paio di ore!
“Un mese di convalescenza.. e lo so che ci sei tu dietro tutto ciò..” sibilò.
Comparve in quell’istante il professore di turno, sorridendo ad ogni studente e pregandoli di rientrare in classe. Yoshi, messo alle strette, approfittò del suo arrivo per allontanarsi da quella ragazza e da quella classe.
Mentre ripercorreva le scale, correndo a più non posso, si sentiva colpevole malgrado non centrasse con quella storia del pestaggio. L’idea che quella ragazza avesse provato una cosa simile, a causa di suo fratello, gli faceva ribollire il sangue dalla rabbia. 
Ed ora aveva capito anche il motivo per cui Akito aveva agito così. Sota doveva essere la sua principale rivale nelle elezioni per il comando della scuola. Una cosa assurda, decisamente.
“Ehi Yoshi.” Akito lo fermò quando era sugli ultimi gradini della scala. “Dove cavolo sei andato?”
“Da nessuna parte..” trattenne il nervoso, chiudendo forte i pugni. Avrebbe voluto scuoterlo, colpirlo, fargli provare ciò che aveva inflitto a Sota. Come aveva potuto? Una ragazza trattata così.
“Ti ho cercato dappertutto, sai?” Akito parlava mentre sistemava il contenuto della sua agenda. Ne trasse fuori un libretto scolastico nuovo di zecca, la copertina rigida lucida che splendeva sotto i neon. “Questo è il tuo libretto scolastico, non perderlo.”
Glielo consegnò, e Yoshi poté rimirare i suoi dati trascritti all’interno della prima pagina. La sua faccia beota lo fissava dalla fototessera applicata. 
“Dovresti andare nella tua classe ora.” aggiunse Akito.
Yoshi annuì, infilandosi nella tasca dei pantaloni il libretto.
“Attento a non rovinarlo..” lo rimproverò, passandogli lo zaino. 
“Ah.. qual è la mia classe?” chiese Yoshi, ignorando il gemello che si stava allontanando in direzione della segreteria.
“La 3-2. La trovi al piano superiore, la prima porta appena salite le scale.” 
Oh merda.

La classe seguiva la lezione di matematica mentre il professore trascriveva delle formule alla lavagna, spiegando dei teoremi particolarmente complessi.
Un ragazzo dai capelli castani, dall’aspetto curato e per bene, seduto in seconda fila, si volse verso Sota, la ragazza dai tratti somatici occidentali.
“Ma cosa voleva Akito?” le chiese, giocattolando con l’astuccio della ragazza.
Lei lo ignorò, spostando le penne dal suo raggio d’azione e cercando di seguire la lezione.
“Non so se hai notato anche il suo nuovo taglio di capelli..” ridacchiò, seguito a ruota da metà della classe.
Il professore sbatté il registro di classe sulla cattedra, per richiamare all’ordine gli studenti. Chiese silenzio, e si diresse poi alla porta scorrevole, facendo entrare Yoshiyuki che aveva bussato durante lo scompiglio in classe.
“Bentornato..” sussurrò qualcuno in fondo all’aula, suscitando nuovamente l’ilarità generale.
Il professore tossì sonoramente e poi prese la parola, per farli tacere. 
“Ragazzi.. lui è Yoshiyuki Mifune, il vostro nuovo compagno di classe.” Yoshi, sospirando, andò alla lavagna a scrivere il proprio nome e cognome, mentre tutti tenevano incollati gli occhi alla sua schiena. Finito l’ultimo ideogramma, si rivolse nuovamente alla classe, ora a bocca aperta, e si inchinò.
“Come avrete intuito, è il fratello gemello del nostro caro rappresentante degli studenti, Akito.” continuò il professore. E poi, rivolto al biondo: “Siete proprio due gocce d’acqua..”.
Yoshiyuki sorrise a stento, sperando che la presentazione fosse finita. 
Un brusio si diffuse tra i banchi, tutti che commentavano il suo aspetto, lui, suo fratello. Era per questo che aveva scelto una scuola diversa, lontana da casa, lontana da Akito. E ora invece..
“Vai pure a sederti laggiù, in quarta fila..” il professore, forse intuendo il suo disagio, chiuse il momento di imbarazzo e gli indicò un banco libero dietro una ragazza dai lunghi capelli scuri che portava un cerchiello rosa ad adornarle la chioma.
Yoshi per arrivarci dovette anche passare accanto al posto di Sota, e incrociò lo sguardo di lei che, rossa in volto, distolse subito gli occhi: la ragazza infatti si sentiva in colpa per averlo attaccato, poco prima, senza motivo.
Yoshiyuki, traendo un sospiro di sollievo dal non essere più al centro dell’attenzione, si sedette, notando comunque come tutti continuassero a osservarlo. Che sensazione sgradevole, pensò, mentre si sistemava il ciuffo a coprirgli l’occhio sinistro. 
Le due ore di lezione passarono in fretta, anche perché Yoshi di matematica capiva poco o nulla, e, dalla cattedra, l’ultima fila di banchi era praticamente invisibile. 
Appena il professore si alzò dalla sedia, raccogliendo i compiti per casa degli alunni da correggere, si fece avanti il ragazzo che sedeva davanti a Sota, quello che aveva canzonato Yoshiyuki per i capelli.
“Piacere, Honda Keichiro.” gli porse la mano. 
Yoshi accennò un sorriso, stringendogliela. Lo osservò bene: aveva un taglio di capelli ordinato, pulito, con la riga in parte e da un color nocciola appena più chiaro del suo colore naturale. La sua camicia era stirata in modo impeccabile, chiusa fino all’ultimo bottone del colletto, conferendogli un aspetto inamidato. Keichiro poi gli sorrise apertamente, presentandosi: “Sono un grande amico di Akito, ma non mi aveva mai detto di avere un gemello..”
“Ah.. beh..” Yoshi avrebbe voluto spiegare come stavano le cose. Che anche per lui avere un gemello era una scocciatura, un peso, un..
“Kei.” si avvicinò il ragazzo che aveva spinto Yoshi sulla porta dell’aula. 
Yoshi si sarebbe aspettato delle scuse, invece il ragazzo lo ignorò totalmente. 
“Lui è Takeshi.” glielo presentò Keichiro, prendendolo per le spalle. “E’ un po’ timido..”
“Ma quando mai!” sbottò il ragazzo in questione, liberandosi dalla presa di Keichiro. Aveva i capelli ossigenati, con un taglio a spazzola molto corto, una carnagione leggermente ambrata e le orecchie piene di piercing. Yoshiyuki, istintivamente, lo sentì molto vicino a sé, in quanto gli ricordava la compagnia di amici che aveva nell’altra scuola, un po’ simili al suo stile. 
Yoshi gli tese la mano, fissandolo negli occhi. Takeshi gliela strinse, rimanendo in silenzio. Aveva i polsini della camicia slacciati, così Yoshi, da seduto, intravide sul polso destro far capolino un tatuaggio tribale o qualcosa di simile. 
“Takeshi Fujimoto.” lo distrasse il ragazzo, dicendo il suo nome per intero. 
“Certo che vi somigliate davvero..” si intromise Keichiro, affascinato dal viso di Yoshi. “Credevo davvero che Akito si fosse colorato i capelli o roba simile..”
Yoshi sorrise a stento, alzandosi in piedi per sgranchirsi le gambe. Era solo la millesima volta che qualcuno notava la loro “straordinaria” somiglianza.
“Fujimoto..” Forse per il taglio, il modo di fare schivo o a pelle, il ragazzo abbronzato lo sentiva più nelle sue corde. O forse perché dalla sua bocca non era ancora uscito il nome di suo fratello.
“Dimmi.” Fujimoto gli stava dando la schiena in quanto era chinato a cercare qualcosa nelle tasche del giubbotto. Qualcosa che sembrava non trovare.
“..è vero che Akito ce l’ha a morte con quella?” Yoshi indicò Sota, che usciva dall’aula in compagnia della ragazza col cerchietto. 
Fujimoto annuì, aggiungendo poi: “Entrambi ambivano a diventare rappresentante scolastico.. ma lei è stata ricoverata in ospedale ed ha saltato proprio il periodo delle elezioni. Non ha potuto candidarsi e quindi è stato eletto Akito.” 
Non aggiunse altro, ma guardò Keichiro di sottecchi. Voleva far capire a Yoshi che tutti sapevano del pestaggio e del fatto che ci fosse Akito dietro. Ma nessuno poteva o voleva parlarne chiaramente.
“Mifune..” Keichiro attirò la sua attenzione. “Sono stato parecchie volte a casa tua e di Akito, ma com’è che non ti ho mai visto?”
Yoshi odiava dover spiegare che, ormai, tutti facevano finta che lui non esistesse. E che, in fondo, era quello a cui ambiva da quando aveva ricordi. 
“Frequentavo una scuola professionale lontano da qui..” sospirò, seccato dal dover spiegare la sua situazione. “Siccome prevedeva anche un laboratorio pomeridiano cercavo di stare più possibile a scuola, per imparare al meglio. Anche perché non mi piace molto l’aria che tira a casa mia..”
Fujimoto trovò finalmente il pacchetto di sigarette che stava cercando da tempo. 
“Ti scoccia se finiamo in terrazzo il racconto della tua triste infanzia, Mifune?”  chiese, indicando la porta con un cenno del capo. 

“Quindi.. i tuoi ti hanno fatto cambiare scuola anche se tu non volevi?” Keichiro si aprì il primo bottone della camicia, dato che, sul terrazzo all’ultimo piano, il sole picchiava forte. Era appoggiato con la schiena alla ringhiera, mentre Yoshi, in parte, era piegato sui gomiti a guardare il panorama da lassù.
Non che non volessi.. è che sono troppo pigro per reagire, avrebbe voluto rispondere.
“Diciamo che sono preoccupati per il mio futuro.” Akito così brillante, io così.. così. “Forse sono troppo diverso da Akito, ecco.”
Fujimoto rimaneva in silenzio, fumando e ascoltando i due chiacchierare. Ogni tanto prendeva la sigaretta dalle labbra tra le dita, per espirare a fondo. 
“Vuoi?” Passò la sigaretta accesa a Yoshi, per un tiro. 
“Grazie..” avidamente, Yoshiyuki la prese tra le dita e inspirò a pieni polmoni, bruciandone metà. 
“Quindi.. non hai un bel rapporto con Akito?” chiese Keichiro, sedendosi a terra.
“Non c’è alcun tipo di rapporto. E nessuno di noi due lo vuole!” ridacchiò Yoshiyuki, espirando il fumo acre.
Fujimoto sorrise, aggiungendo “Ti capisco! Con mia sorella è un po’ simile..”
“Hai una sorella?” chiese Yoshi, chiedendosi come potesse essere.
Takeshi annuì, infilandosi il pacchetto di sigarette richiuso in tasca. “Non farti illusioni..” rise, intuendo i pensieri di Yoshiyuki “E’ un armadio a tre ante, una specie di pugile obeso con il seno, per dirti..”
Scoppiarono a ridere tutti e tre, quasi fino alle lacrime. 
“Però, siccome è più grande ed anche lei ha studiato qui, mi conoscono un po’ tutti a scuola..” aggiunse Takeshi, dirigendosi verso l’ingresso della scalinata che riportava dentro l’edificio. Yoshi lo seguì giù per le scale, notando la schiena del ragazzo che poteva passare per quella di un nuotatore. Il colore ambrato della sua carnagione probabilmente era dovuto agli allenamenti continui all’aperto in piscina, pensò Yoshiyuki. “Comunque se vuoi oggi pomeriggio c’è una partita di calcio in palestra..”
Arrivarono al piano della loro classe, e Takeshi, prima di entrare in classe, si fermò fuori con Yoshiyuki, lasciando entrare Keichiro per primo.
“Dicevo, se oggi pomeriggio non hai niente da fare, potresti rimanere a vedere la partita dell’ultimo anno.” spiegò Fujimoto, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Guardò l’ora, attendendo la risposta di Yoshiyuki.
“Ok..”
“La fanno qui in palestra, così..” sospirò, decidendosi di aprire il cellulare a guscio, pigiando poi un paio di tasti. “..ti ambienti.”
Yoshi rimase perplesso, ma, facendo spallucce, disse che andava bene.
“Dammi la tua mail, così se mi capita di passare dalle tue parti ti chiamo.” 
Yoshiyuki sorrise, capendo che c’era stato immediato feeling anche dalla controparte, come se, nonostante il brusco inizio, si fossero capiti subito, al primo sguardo.

Terminato l’orario scolastico, l’intera classe in fretta e furia si preparò ad uscire.
Solamente Yoshi si trattenne in classe, a colloquio con l’insegnante di inglese dell’ultima ora. Gli aveva preparato un test di verifica delle sue conoscenze per determinare il suo livello e vedere se avesse avuto bisogno di un eventuale corso di recupero pomeridiano. La professoressa stava terminando di leggere gli ultimi stralci del compito, annuendo ad ogni rigo analizzato. Era una giovane insegnante, dalla parlantina veloce e acuta, che riscuoteva consensi in ogni classe, perché sapeva comportarsi in maniera meno rigida rispetto agli altri insegnanti. 
“Sei davvero portato..” accennò, sorridendogli. Yoshi le stava di fronte, in attesa del responso. Aveva sempre ottenuto il massimo in inglese al suo vecchio istituto, l’unica materia che apprezzasse per davvero. “Anche qui..” segnò un punto preciso dei quiz con la punta della penna rossa. “..pensavo non avresti capito questa forma grammaticale, dato che è materia del prossimo anno..”
Trasse un sospiro di sollievo, constatando che l’insegnante era piacevolmente sorpresa del suo risultato. Per lui, per il suo sogno un giorno di sfondare, l’inglese era l’unica cosa necessaria. Se fosse diventato una star, gli sarebbe piaciuto volgersi anche al panorama musicale internazionale, traducendo i propri testi in lingua straniera e cantandoli in modo perfetto, per non venir subito etichettato come un asiatico incapace di parlare inglese. Lo slang era la sua passione e internet il modo per venire a conoscenza degli ultimi vocaboli coniati. Il fatto che fosse nato in America poi, lo vedeva come un incentivo a tornare, un giorno, nella sua madre patria.
 “Diciamo che mi piace molto.” spiegò Yoshi, vedendo Sota uscire per ultima dalla classe. La ragazza si fermò sulla porta, come in attesa; ma appena i loro sguardi si incrociarono, uscì.
“Ottimo lavoro, Mifune.” la professoressa aprì una cartellina dove infilò il compito di verifica del ragazzo. “Sono molto felice tu sia entrato nella mia classe.”
Si alzò in piedi, e il ragazzo si protrasse in un inchino, tenendo le braccia distese lungo i fianchi.
“Spero avrai intenzione di diventare il mio pupillo..” sorrise lei, riponendo i libri e il registro di classe all’interno di una borsa in pelle rigida verde scuro. “..perché credo che potrei investire su di te per quanto riguarda eventuali speech  o servizi di tutor agli studenti meno portati. Cosa ne pensi?”
Yoshiyuki, sorridendole di rimando, poiché era una sensazione strana sentire qualcuno fare degli apprezzamenti su di lui, rispose che ne sarebbe stato lieto. Gli insegnanti dell’altro istituto lo reputavano un ragazzo dotato ma poco volenteroso, a cui interessava fare il minimo indispensabile per non venire bocciato. A questo si sommava la sua scarsa propensione al rispetto delle regole, le ripetute assenze ingiustificate, i ritardi e il carattere particolare. Tuttavia, nonostante ottenesse sempre il massimo in alcune materie, nessuno aveva mai pensato fosse farina del suo sacco, ma piuttosto il risultato di qualche furberia o imbroglio. 
Per lui fare da tutor o qualsiasi altra cosa gli venisse richiesta dall’insegnante di inglese andava bene poiché lo vedeva come un modo per averla dalla sua parte, ottenere un buon voto in lingua straniera e migliorare il proprio inglese, che riteneva basilare per il suo futuro.
Salutò la professoressa, dirigendosi fuori dall’aula. Ad attenderlo in corridoio c’era Fujimoto, intento a scrivere sul cellulare. Stava appoggiato al muro con la schiena, gli occhi fissi sul piccolo schermo illuminato. 
“Finito?” chiese, appena sentì Yoshiyuki avvicinarsi.
Yoshi si fermò di colpo, appena mise a fuoco il volto del ragazzo di fronte a sé.
“Ah, questo..” Takeshi si indicò il viso, ridendo. 
“Ma..” balbettò l’altro, osservandogli l’occhio destro che pareva vitreo. Era di un grigio sfocato, sfumato, la pupilla della grandezza di una capocchia di spillo. “E’ una lente a contatto?”
Fujimoto si infilò in tasca dei pantaloni il giubbotto, scuotendo la testa. “No, no.. è una cosa congenita.”
Iniziarono ad incamminarsi verso le scale, diretti al piano inferiore.
“Ho un occhio chiaro e siccome è una cosa un po’ particolare, quando sono a scuola lo copro con una lente a contatto scura..” spiegò Takeshi, scendendo i gradini in velocità. “Solo che appena posso la tolgo dato che mi da fastidio.. E’ una scocciatura, ecco.”
Yoshiyuki pensò alle facce strane che facevano le persone quando lo incrociavano per strada e pensò all’ulteriore spavento che avrebbe provocato se, da un giorno all’altro, si fosse ritrovato un occhio grigio. 
“Ha il suo fascino comunque..” ridacchiò Fujimoto, tenendo aperta una delle due porte finestre che davano sul giardino. “Rimorchio moltissimo!”
Yoshiyuki trattenne a stento le risate, percorrendo il prato che lo divideva dal campo da basket. Sentì di colpo la differenza tra la temperatura esterna, calda e umida, e l’aria condizionata che imperversava nella scuola. 
“Questo è il nostro campo da basket..” fece da cicerone Takeshi, cambiando discorso. “L’edificio in fondo è la palestra.. se giri a sinistra trovi invece le nostre piscine coperte con gli spogliatoi, oltre la fila di alberi..” indicò un punto indefinito, nascosto all’ombra. “Abbiamo anche quelle all’aperto, che personalmente preferisco..”
“Fai parte della squadra di nuoto?” Yoshi osservò la pelle abbronzata del collo di Takeshi, un po’ inusuale dato che erano appena ad aprile.
“Si, mi alleno due volte la settimana..” continuarono a camminare sotto il sole del pomeriggio, diretti alla palestra. “Anni fa mi allenavo molto di più, ma da quest’anno devo pensare anche agli esami di ammissione all’università.. si sommano un po’ di cose.”
Università? Yoshiyuki lo squadrò, pensando fosse strano che un ragazzo esteriormente così simile a lui potesse ambire a qualche università particolare. 
“Qui pensate davvero tutti a studiare! Ora capisco mio fratello..” sfuggì a Yoshi, sospirando. 
Fujimoto lo colpì piano al braccio col pugno chiuso, offeso. “Non paragonarmi a quello lì..”
I due scoppiarono a ridere, entrando nella palestra gremita di gente. Si sentivano scarpe da ginnastica stridere sul parquet lucido e i fischi dell’arbitro, coronati dalle urla dei tifosi, raccolti sugli spalti. I giocatori, divisi in due squadre, si differenziavano per le casacche di due colori diversi, blu o arancione.
Takeshi fece segno a Yoshiyuki di salire sugli spalti, verso i finestroni semiaperti a ridosso del soffitto. 
“Da lì vedremo meglio.” consigliò, salutando un paio di ragazzi che erano seduti sulle panchine nell’area di gioco, in attesa di poter entrare a giocare. 
Si sedettero sugli ultimi gradoni, e Fujimoto iniziò a indicargli i vari giocatori, descrivendone il profilo e spiegandogli a quale classe appartenessero. 
Siccome non erano cose che potessero svegliare il suo interesse, Yoshiyuki si perse a guardare gli spettatori, cercando di trovare qualcuno che conosceva. Riconobbe, verso la fine degli spalti, vicino all’uscita di sicurezza, Sota e le due ragazze che aveva incontrato in bagno la mattina. Si preoccupò vedendole insieme e notò che la bionda delle teppiste continuava a spingere Sota contro il muro, tenendola per una spalla. 
Yoshi si alzò in piedi di scatto e, ignorando Fujimoto che gli chiedeva dove stesse andando, si diresse in direzione della fanciulla in difficoltà. Non sopportava che, per colpa di suo fratello, quella poveretta venisse di nuovo malmenata, ma soprattutto non per un motivo così stupido come le elezioni scolastiche. 
“Sei già tornata?” la ragazza col chignon ridacchiava istericamente, mentre la bionda continuava a tenere ferma Sota contro la parete. “Dovevamo dartene di più!”
Reiko le mandò al diavolo, scatenando l’ira della ragazza con i capelli platinati. “Ma chi ti credi di essere?!”
In quel mentre, Yoshiyuki si intromise tra le ragazze, stringendo con forza il braccio della bionda. 
“E questo?” accennò una delle due, mentre tutte lo fissavano allibite. 
“Lasciatela in pace..” Yoshi scostò il braccio della bionda lontano da Sota, mentre questa non spiccicava parola, fissandolo con odio. 
“Mifune, la tinta per capelli ti è entrata nel cervello?” sbraitò la bionda, liberandosi dalla presa di Yoshiyuki.
Molto probabilmente non sapevano ancora del fatto dei gemelli, quindi ne approfittò, prendendo Sota per il polso e tirandola a sé. “Devo.. parlarle.”
Le due ragazze alte lo guardarono trascinare Sota in direzione dell’uscita di sicurezza e spingerla poi oltre la porta. Desistettero, sbuffando che se non fosse arrivato Akito probabilmente avrebbero potuto finire il lavoro in pace.
Usciti sulle scale antincendio, i passi che risuonavano sull’acciaio, Yoshiyuki incalzò Sota, che gli dava le spalle: “La prossima volta.. cerca di ignorarle e vattene, prima ancora che ti possano rivolgere la parola..”
“So benissimo cavarmela da sola.” ribatté lei, facendo per scendere le scale. 
“Scusa tanto se ti ho salvato eh..” Yoshiyuki sospirò, pensando che le donne fossero davvero un mistero. Almeno per lui. “La prossima volta lascio che ti picchino, ok?”
“Nessuno ti ha chiesto niente!”  Reiko si volse, il volto rosso di rabbia. 
“Ehi, non serve arrabbiarsi!” Yoshi si spazientì, sbottando “Ho solo cercato di aiutarti!”
La ragazza si buttò sul biondo, colpendolo al petto con le mani. “Fatti gli affari tuoi!” scandì bene le parole, come per cercare di imprimerle bene nella memoria del ragazzo.
“Accidenti..” sfuggì a Yoshi che, bloccandole i polsi, poté poi osservare i lineamenti delicati di Reiko da vicino. Le sue labbra erano carnose, rosse che sembravano disegnate sul suo viso. Il naso pronunciato, svettava su una pelle bianca che profumava di buono. “..sei carina.”
Rimasero entrambi a fissarsi, le guance che assumevano sempre più i toni caldi del fuoco.
“Io ti uccido..” sibilò Sota, rossa dalla vergogna, volgendo lo sguardo in basso, verso la punta delle proprie scarpe.
“Scherzavo..” Yoshiyuki capì all’istante di essere andato un po’ oltre, e cercò invano di recuperare la faccia. Allentò la presa sulla ragazza, quando uscì sul pianerottolo il suo gemello.
Akito, comparso sulla soglia, dapprima rimase sorpreso nel vedere il fratello avvinghiato alla ragazza. Poi, con fare deciso, fece tre passi nella loro direzione e, con forza, spinse Reiko lontano da Yoshiyuki, scaraventandola a terra.
Yoshiyuki notò quanto fosse agitato e si sorprese nel sentirlo quindi parlare con tono pacato. 
“Ecco perché non volevo che tu venissi in questa scuola..” 
Yoshi vide Sota tirarsi in piedi e mettersi a posto l’orlo della gonna, pulendolo dalla polvere col palmo della mano. 
“Mifune..” accennò, richiamando l’attenzione di entrambi i ragazzi che rispondevano a quel nome.
“Non ti intromettere, per piacere..” Akito la liquidò, non degnandola di uno sguardo.
La ragazza fece per ribattere ma si morse le labbra, fermandosi. Preferì prendere la porta e tornare all’interno della palestra, lasciando soli i due.
“Yoshi, questo è il mio territorio..” sentenziò Akito, indicando l’edificio alle sue spalle. “..e qui, tu sei solo d’impiccio.”
Il fratello reagì subito, alzando la voce: “E sai quanto me ne può fregare!”
Yoshiyuki, d’un tratto, intuì che forse Akito aveva frainteso la situazione. La sua reazione, le sue parole.. sembrava quasi che fosse interessato a Sota, pensò. Com’era uscito tranquillo e poi, infuriato, li aveva divisi. 
“Che non ti veda ancora ronzarle attorno..” aggiunse Akito, rivelando senza timore al gemello il suo interesse per la ragazza. “Capito?”
Yoshi avrebbe voluto spiegargli che aveva semplicemente aiutato Sota, che le aveva fatto solo un complimento e quella addirittura si era arrabbiata. “Senti, io non..” abbozzò, fermandosi quando si trovò il dito di Akito dinanzi al naso. Glielo appoggiò sulla punta, premendo. 
“Lei è mia, e com’è vero il mondo non me la farò portare via da nessuno..” ammise Akito, scuro in volto. “Specialmente non da te, Yoshi.”

Yoshiyuki, dopo essersi fumato una sigaretta per schiarirsi le idee, tornò in palestra, con l’intento di voler vedere la fine della partita e poi tornarsene a casa dopo una giornata così piena. 
“Mifune..” si sentì chiamare e vide Sota aspettarlo dove aveva lasciato Fujimoto, ora volatilizzatosi. Appoggiò la mano di fianco a sé, sul gradone, come per invitarlo a sedersi. Yoshiyuki, accomodandosi, come d’istinto, diede un’occhiata attorno per vedere se nelle vicinanze ci fosse stato suo fratello. 
“Volevo.. ringraziarti.” disse lei, tornando a concentrarsi sulla partita. O fingendosi comunque interessata a ciò che accadeva in campo. “E anche scusarmi.”
“Tranquilla..” La osservava di profilo, non riuscendo a staccare gli occhi da quel viso così particolare.
“Scusami se mi sono comportata male, anche stamattina.” continuò lei, tormentandosi le pellicine attorno alle unghie. “Ti avevo scambiato per Akito e, come avrai capito, non scorre buon sangue tra di noi.”
Nella mente di Yoshi tornarono a galleggiare le parole di Akito, la sua confessione. Se era tanto interessato.. cosa lo tratteneva dal dichiararsi apertamente? E se ne era così perso, perché farle del male? Perché permettere che le venisse fatto del male?
Avrebbe voluto chiederle di più, ma intuiva che doveva essere doloroso ricordare certi momenti. Così, dirottò il discorso su altri argomenti.
“Come mai hai questa faccia?” la domanda diretta, senza tatto, che gli uscì dalla bocca lasciò Sota di sasso.
Yoshiyuki cercò di riformularla in maniera più cortese, comprendendo di aver fatto un’altra gaffe.
“Mio padre è straniero, tutto qui.” concluse lei, passandosi una mano tra i lunghi capelli mossi. 
Non aggiunse nazionalità né tantomeno il motivo per cui portasse un cognome giapponese e il ragazzo preferì non indagare. 
“Scusami Sota, se non sono in grado di parlare con le ragazze..” ridacchiò Yoshi, cercando di stemperare i toni della conversazione. 
“Mi fa piacere se parliamo, invece.” rispose lei, sorridendo. “Mi trattano tutti come una bestia rara da quando sono tornata dall’ospedale. Quindi ultimamente non ho tante occasioni di fare conversazione..”
“Mettersi contro mio fratello non deve essere facile..” ripensò al carattere difficile di Akito, che probabilmente tiranneggiava a scuola quanto lo faceva tra le mura domestiche. 
Lei annuì, riprendendo “Ci credevo tanto in quel posto da rappresentante..” sospirò, stirando le pieghe della gonna con una mano. “Ho lavorato tanto per farmi accettare, per farmi delle amicizie solide, per essere tra le più brave a scuola, impegnandomi in un sacco di campagne che ora mi chiedo.. se ne sia valsa la pena.”
Si morse le labbra, sospirando. “Mi viene da ridere perché sto parlando di queste cose proprio con te che sei suo fratello!”
L’arbitro fischiò un fallo, tra le urla della folla, contraria al calcio di punizione assegnato. 
“Non siamo la stessa persona quindi stai tranquilla.” 
“E’ incredibile quanto siate diversi.” disse lei, volgendosi finalmente a guardarlo negli occhi che fino a prima aveva lasciato vagare per la palestra. Yoshi ebbe l’impulso di afferrarle il viso e chiederle di ripeterlo almeno altre cento volte, affinché il suono di quelle parole non si cancellasse dalla sua memoria.
“Grazie.” sorrise invece, preferendo un approccio più delicato. 
“Poi con quei capelli..” rise Sota, mentre Yoshi si sistemava il ciuffo a coprirgli il lato sinistro del viso. La ragazza osservava le orecchie di Yoshiyuki piene di piercing di dimensioni, forme e colori differenti. 
“Nella mia vecchia scuola non c’erano regole sull’abbigliamento o la pettinatura quindi per me è tutto nuovo..” spiegò Yoshi “Ho potuto fare quello che volevo, per me è strano vedere tutti vestiti uguali.”
“Ti ci abituerai..” 
“E poi anche Fujimoto ha i capelli biondi..” protestò Yoshiyuki.
“Ma lui fa parte del club di nuoto, perciò usa il cloro come scusa alla sua decolorazione..” spiegò lei, passandosi una mano sui capelli e spostandoseli tutti su una spalla sola. Lasciò scoperto il lato del viso rivolto a Mifune, continuando a spiegare come in realtà venivano lette le regole della scuola. “Lo sanno tutti che se li è tinti apposta, ma sia il collegio didattico che i professori fingono sia colpa dell’acqua delle vasche.. dopotutto è uno dei migliori nelle competizioni, quindi perché sospenderlo da scuola per un simile motivo? Sarebbe una perdita incredibile per il nome dell’istituto..”
Yoshiyuki comprese che il regolamento scolastico veniva davvero interpretato solo come mero inchiostro su carta. 
“Tu comunque puoi ritenerti fortunato.. essendo fratello del rappresentante degli studenti godi dell’immunità.” riprese lei.”Akito è uno studente modello per quanto riguarda studio, sport, disciplina..” elencò i pregi di Akito contandoli con le dita. “..carisma, successo con le ragazze, spirito di organizzazione.”
“Non mi piace l'idea di vivere di luce riflessa..”
“Diciamo che dal mio punto di vista vivi di merda riflessa.” concluse lei, scoppiando poi a ridere, seguita a ruota dal biondo. 
“Sotto sotto hai un bel caratterino allora..” esordì Yoshi.
“Se non lo avessi sarei solo una delle tante galline qui dentro.” ribatté lei, guardando un punto preciso della palestra, dove si stavano radunando delle ragazze. Stavano festeggiando un paio di giocatori che, a partita finita, stavano per lasciare il campo. “Anche se finora mi ha portato solo guai.”
E Yoshiyuki pensò fosse proprio quello il motivo per cui a suo fratello piaceva quella ragazza. Gli venne in mente che anche lui si era espresso sull’aspetto di Sota e si morse le labbra per esserselo lasciato sfuggire. Fare un apprezzamento del genere ad una ragazza così poteva venire intuito come una presa in giro. Il suo corpo, così diverso da quello delle ragazze giapponesi, doveva esserle già valso in passato qualche brutta esperienza. Lo somigliare ad una straniera ma essere giapponese, andare in una scuola di periferia con regole così severe, anche se di facciata, non doveva essere stato facile. Forse per questo Sota si era impegnata a fondo per le elezioni, ingoiando maldicenze e scherzi, facendosi rispettare giorno dopo giorno: se fosse infine divenuta rappresentante, avrebbe fatto capire che era davvero una di loro. Anzi, la migliore di tutti loro.
“Reiko!” si avvicinò una ragazza dai lunghi capelli neri, con un cerchiello rosa per tenerli a posto. Lanciò un’occhiataccia a Yoshiyuki, squadrandolo da testa a piedi, intimorita. “Ciao Mifune..”
Yoshiyuki la riconobbe come una sua compagna di classe e ricambiò il saluto. Si ricordò di averla intravista tra tutti quegli sguardi inebetiti a fissarlo, mentre si presentava stando alla cattedra.
“Credo non vi siate presentati quindi..” Sota si intromise, vedendo l’imbarazzo dell’amica. “..lei è Natsumi.”
Terminati i convenevoli, Reiko si allontanò con Natsumi, salutando il biondo che, vedendola andare via, avrebbe voluto seguirla. 

Quella sera Yoshiyuki uscì di casa, diretto dalla ragazza che nell’ultimo periodo era stata ben disposta a frequentarlo. Non poteva considerarla la sua fidanzata in quanto la loro era una relazione basata esclusivamente sul divertimento. Uscivano assieme, in gruppo con altri amici comuni, e si comportavano come una coppia qualunque, meno che impegnarsi in modo serio nel loro rapporto. Non provavano sentimenti forti, assoluti ma solo semplice attrazione; passionale, certo, ma pur sempre attrazione per qualcosa di tangibile. Era stato una sorta di colpo di fulmine avvenuto anni prima, accentuato dall’alcool che entrambi avevano ingerito, dalla foga del voler scoprire cosa volessero dire certe cose. 
Si trovò fermo ad un passaggio pedonale, aspettando che il semaforo diventasse verde per poter attraversare la strada. Le auto sfrecciavano dinanzi a Yoshi, disegnando sagome con i fasci di luce dei fanali. Si accese una sigaretta sapendo bene che quell’incrocio era di un’attesa immane.
Si mise a riflettere sulla giornata trascorsa nella nuova scuola. Stava pensando che forse due persone interessanti le aveva trovate ed era un bottino niente male per essere stato il primo giorno. Inoltre aveva scoperto di essere ben sopra la media per quanto riguardava la conoscenza della lingua inglese e..
“Ehi!” vide un braccio passargli davanti agli occhi, una mano poi a coprirli. 
“Indovina chi sono!” disse nuovamente la voce alle sue spalle, scoppiando a ridere poi.
“Lascialo in pace, dai..” proruppe un’altra persona, che liberò Yoshi dell’impiccio.
Erano Takeshi Fujimoto e Keichiro Honda, assieme poi ad altri tre ragazzi che Mifune non conosceva. 
“Perdona Kei..” sorrise Takeshi, raccogliendo da terra la sigaretta ancora accesa che era scivolata dalle labbra di Yoshi per lo spavento. “E’ un cretino delle volte.”
“Che ci fai per strada tutto solo?” domandò Keichiro, ignorando l’altro.
“Stavo andando da.. una persona.” Yoshi vide Fujimoto rubargli il mozzicone acceso per finirselo lui, facendo finta di niente.
“E’ questo il gemello di Mifune?” si intromise un ragazzo alto dai capelli rasati, gli occhi torvi e le labbra carnose.
“Lui è Koba..” sbuffò Keichiro, presentandolo a Yoshiyuki.
“Viene pure lui?” domandò Koba a Fujimoto, distraendo il biondo dai suoi pensieri.
“Se ha voglia..” rispose lui, con poco interesse. 
Yoshi notò l’atteggiamento scostante di Fujimoto, ricomparso nuovamente. Dopo l’invito a vedere la partita in palestra aveva infatti pensato che il biondo lo avrebbe contattato ma a quanto pareva era uscito dimenticandosi di chiamare anche Yoshi. O forse apposta. Dopotutto lo aveva ignorato per andare dietro a Sota.
“Hai voglia di venire in un locale?” gli chiese Keichiro.
“Ha detto che deve andare da una persona.” precisò Takeshi, buttando a terra quello che rimaneva della sigaretta e calpestandolo. La spalmò sul marciapiede per bene, osservando le briciole di tabacco spargersi a macchia.
Keichiro guardò deluso Yoshiyuki, alzando le spalle come per far capire che gli dispiaceva.
“Andrà da Sota..” sussurrò Takeshi forte appena perché Yoshi sentisse, allontanandosi a passi svelti dietro agli altri tre ragazzi che stavano attraversando la strada.
Yoshiyuki li guardò arrivare dall’altra parte, mentre Keichiro lo aspettava, stando al suo fianco.
Se per una volta avesse tirato buca alla sua pseudo fidanzata, non sarebbe crollato il mondo, pensò.
“Vengo anch’io.” annunciò Yoshi, innervosito dalla frecciatina che Fujimoto gli aveva lanciato.
“Sono felice tu venga, Akito non esce mai!” disse Keichiro, appena raggiunsero il restante gruppo.
“I bravi ragazzi a quest’ora dormono già, Kei.” aggiunse Takeshi.

Era una sottospecie di girl’s bar, dove uomini d’affari e impiegati si ritrovavano nello stesso posto accomunati dal desiderio di raccontare la propria giornata a qualche bella ragazza. Se poi la ragazza, dal semplice chiacchierare, avesse voluto spingersi oltre, nessuno glielo avrebbe impedito. Tuttavia la musica era piacevole, i costi degli alcolici moderati e Koba, a quanto pareva, era molto conosciuto. Durante il week end, infatti, faceva il pierre per i ristoranti di okonomiyaki  della zona: si appostava ad un incrocio pedonale e, a qualsiasi persona che transitasse nelle sue vicinanze, proponeva il menu della sera con buoni omaggio. Per cui conosceva bene il mondo della notte e tutti i suoi abitanti. Queste le ragioni per cui decisero di recarsi là.
“Anche se sono minorenne mi trattano tutti bene..” spiegò, sorseggiando un liquido ambrato dal bicchiere. “Sanno che se vedo qualcosa di strano mi faccio i fatti miei.”
Yoshiyuki in posti del genere non vi era mai entrato: al massimo in dei club, quando riusciva ad ottenere qualche riduzione. Le sale videogiochi erano il suo territorio, anche se solitamente preferiva girovagare per la città senza meta, solo per stare in compagnia dei suoi amici.
Amici che, saputa la notizia del suo trasferimento  definitivo in un’altra scuola, si erano prodigati a sparire nel nulla. 
Sospirò sonoramente, pensando se avesse fatto davvero bene a non passare la serata dalla sua fiamma.
Ubriacarsi è carino quando si è depressi, pensò. Ma la giornata era volta bene, quindi non aveva motivo per farlo, si disse. Poggiò sul tavolino tra i divanetti il bibitone verde fluorescente che aveva preso, un intruglio a base di menta e gin che avrebbe potuto far resuscitare i morti.
Non li conosceva bene, perciò i discorsi che affrontavano inevitabilmente lo escludevano. Poteva solo annuire o fingere di capire a cosa si stessero riferendo, mugugnando sottovoce.
Si era seduto di fianco a Keichiro che, nonostante avesse ammesso subito la sua grande amicizia con Akito, trovava abbastanza simpatico. Forse un po’ appiccicoso, ma simpatico. Era lui che gli aveva consigliato cosa prendere, evitandogli la scocciatura di leggere il listino. Yoshiyuki sperò solo in qualcosa di non molto costoso.
Fujimoto invece era impegnato a fumare la dodicesima sigaretta della serata, come se gareggiasse contro sé stesso per riempire solo con i suoi mozziconi il posacenere. Dato che nel locale faceva molto caldo, si era tolto la camicia che indossava, rimanendo con una canottiera bianca e i jeans appositamente strappati, dando l’idea di un giovane muratore californiano. 
Keichiro si alzò per andare al bagno, facendo spostare Yoshi e scuotendolo dai suoi pensieri. 
Gli altri tre si erano alzati da un pezzo, chi per rimorchiare un paio di donzelle sedute al bancone, chi per ordinare un altro giro di bibite.
Calò nuovamente il silenzio, anche perché né Takeshi né Yoshiyuki avevano intenzione di iniziare un discorso.
Poi a Mifune vennero in mente le sue parole di un’ora prima.
“Fortuna che Honda non ha sentito quello che hai detto.” proruppe Yoshi, cercando nella tasca della felpa il pacchetto di sigarette. Vedere l’altro che fumava di continuo gli aveva acceso la voglia.
“Cosa?” Takeshi lo guardò con fare annoiato, come se non lo avesse sentito. 
“Che andavo da Sota.” Non trovò le sigarette, quindi si arrese. Probabilmente le aveva lasciate a casa.
“Ah. E perché mai?” reagì scocciato di Takeshi. 
“Sarebbe andato a dirlo a mio fratello.. che mi avrebbe fatto mille domande, dato che Sota, secondo lui, è “roba sua”.”  
Fujimoto alzò un sopracciglio, con l’espressione interessata. “Al gelido Akito piace la scontrosa Sota?”
Yoshi scoppiò a ridere, intuendo il sarcasmo di Takeshi.
“Credo che gli interessi solo sessualmente.” precisò Yoshi. “Da quel poco che mi ha detto, mi sono fatto quest’idea.”
“Ah, l’ultima di una lunga lista di sue prede.” sorrise Takeshi, rimirandosi le unghie. “Comunque spero ti passi come idea, perché a quanto ne so non è mai stata con nessuno.”
“A quanto ne sai tu però..”
Takeshi gli sorrise beffardo, facendogli comprendere benissimo cosa stesse pensando. 
“Comunque non mi interessa nulla, né di Akito né di Sota.” si corresse Yoshi, riafferrando con fermezza il suo bicchiere. Non capiva suo fratello e, sebbene lo detestasse, era tremendamente curioso. Come lo era di quella ragazza.
“Beh..” Takeshi si spostò, avvicinandosi di posto in posto a Yoshiyuki. E, a voce bassa, per non farsi sentire, gli disse nell’orecchio: “..nel caso non fosse vero, Kei ne sa molto più di me. Specie su Akito.”
Parlare con lui sarebbe come rivelare ad Akito che sto indagando sul suo conto, pensò.
“Ah, Fujimoto.” sentì sotto il naso l’odore dolciastro della vodka che Takeshi aveva ordinato, sintomo che forse ne aveva bevuta troppa. 
Quest’ultimo faticò a metterlo a fuoco, stravaccato sul divanetto. “Dimmi.”
Yoshiyuki avrebbe voluto scusarsi per averlo lasciato solo in palestra, il motivo per cui, secondo lui, Fujimoto lo aveva bellamente ignorato per tutta la serata. In verità, sebbene un po’ introverso, quel ragazzo gli ispirava fiducia. Era del tutto diverso dal resto degli studenti che aveva visto; e per di più, con quel suo modo di scrutare le persone, sembrava saperle leggere dentro. 
“Un giorno vengo a vedere quando ti alleni.” sviò il discorso, tenendo fede al suo orgoglio.
“Nessun problema.” rispose lui, sollevandosi appena un po’ la canottiera dal petto sudato. “Comunque non mi sono offeso, se era questo che volevi dirmi.”
Mifune divenne di tutti i colori, bevendo a grandi sorsi il miscuglio che profumava di menta piperita. Gli andò di traverso e cominciò a tossire sonoramente, tanto che Takeshi prese a battergli la mano sulla schiena, ridendo come un matto.
“Se non ti piace non serve che ti sforzi!” lo canzonò Keichiro, sopraggiungendo. Anche Koba e gli altri due ragazzi tornarono al divanetto, avendo sentito Yoshiyuki fare confusione.
“Mi muore Mifune!” piagnucolò Takeshi, scompigliando i capelli di Yoshiyuki. 
“Ecco, Takeshi ha trovato un nuovo giocattolo!” rise Koba, indicando i due. 
“Eh sì, l’ho visto io per primo!” Fujimoto scosse la testa, alzandosi per avvicinarsi a Koba e tirargli affettuosamente un debole pugno alla spalla. 
 “E vi somigliate, pure..” aggiunse quello tra i due con il velo di barba, che lo faceva sembrare il più vecchio tra tutti, mentre Takeshi, dirigendosi al bancone, gli passò affianco.
Yoshiyuki, tornando a respirare, aveva sentito la conversazione e rimase stupito dell’affermazione del biondo. Se prima lo aveva ignorato, facendo capire a tutti che era stato Keichiro a volerlo far uscire con loro, ora sbandierava a pieni polmoni che si divertiva con Mifune. 
L’unico che non pareva divertirsi era Honda, che se ne stava impalato a fissare Takeshi aprire il portafoglio e offrire a tutti la bella serata, tra le proteste di Koba che cercava di corrompere la cameriera per non farle accettare i soldi del biondo. Yoshi lo vide mordersi le labbra nervosamente, concentrato. 

“Grazie per avermi offerto.” 
“A buon rendere.” 
Takeshi aveva accompagnato Yoshiyuki a casa, poiché abitava a qualche isolato da laggiù. Avevano preso la stessa metro, accorgendosi quando erano ormai a metà strada di essere nella stessa carrozza. Si erano tutti salutati all’ingresso della stazione di Ikebukuro Ovest, diretti ognuno a casa propria.
“La prossima volta che esci mandami una mail per davvero.” il tono serio di Yoshi fece sorridere Takeshi.
“”Uscite”, devi dire “quando uscite”.” ridacchiò. “Eravamo in cinque, stasera, oltre a te. Ricordi?”
Mifune si mise a trafficare con le chiavi per aprire il cancello che dava sul giardino della piccola bivilla. 
“E comunque credevo preferissi vedere qualcun’altra, sinceramente.” aggiunse poi, tornando sull’argomento Sota. “Sembra ti piaccia.”
“Carina è carina, ma ha un caratterino..” riuscì ad aprire il cancello ma rimase comunque sull’uscio, preferendo terminare di parlare con Takeshi. E poi, passata una certa ora, per lui era comunque difficile prendere sonno. 
“Io guardo solo l’aspetto fisico, tanto devo solo farci sesso.” ammise Takeshi, cercando di trattenere uno sbadiglio. 
Sicuramente aveva successo, pensò Yoshiyuki. Era alto poco più di lui, il viso affilato, le braccia magre ma muscolose, dove sul polso troneggiava un tatuaggio tribale che ricordava un serpente, le spalle proporzionate, il corpo ben allenato che si intravedeva anche da sotto la divisa. Inoltre era famoso a scuola per le gare di nuoto e a quanto pareva la popolarità dava davvero molto credito. Forse era più probabile che una come Sota si perdesse per lui che per Akito.
“Devi essere uno sciupa femmine..” lo prese in giro Yoshi.
“Non mi lamento, ma Sota non mi interessa proprio.” proseguì Takeshi. “La lascio a te ben volentieri!”
“Non la voglio, sono già impegnato.” Yoshiyuki si sorprese per le parole che aveva pronunciato lui stesso. Aveva appena ammesso a sé stesso di sentirsi occupato. 
“Meglio, no?” 
Yoshiyuki annuì, poco convinto. Forse era il parlare con Fujimoto di certe cose che lo aveva innervosito, e si era protetto rispondendo a quel modo.
“Anche a me piace una ragazza..” Fujimoto si grattò i capelli corti che aveva sulla nuca, nervosamente. “Ma è strana, prima vuole stare con me, poi corre dietro a tuo fratello..”
Un’altra? Ma è davvero così popolare?
“Poi quando vede che esco con gli amici si ingelosisce, non mi parla più..” sbottò Fujimoto. “Solo lei può essere libera? Le donne non le capisco proprio..”
Sospirarono entrambi, all’unisono.
“Anche i ragazzi sono strani.” venne in mente a Yoshi ciò che aveva notato in Keichiro poco prima. “Honda sembrava scosso stasera, ad un certo punto.”
“Ignoralo.” disse Takeshi, risoluto. “E non ti fidare.”
“Perché è amico di Akito?”
“Appunto.” Takeshi guardò l’ora sul cellulare, come per far capire a Yoshi che aveva fretta di andarsene. Ora. “Qualsiasi cosa ti dica di me..”
Era la prima volta che sentiva Takeshi parlare di Keichiro. Per di più sembravano così affiatati, amici. Aveva creduto fin da quando li aveva visti per la prima volta che fossero quei rari casi di amicizia che parte dall’infanzia e arriva sino alla vecchiaia. Si cresce assieme, si è diversi ma ci si completa, ci si aiuta in tutto, come fratelli.
“..è una bugia.” 
“Fujimoto..”
Takeshi si aspettava qualche altra domanda scomoda, ma ormai era pronto a tutto. Yoshi era davvero curioso. Si convinceva di vivere bene da solo, ma per ogni persona che fosse a lui affine avrebbe distrutto il mondo.
“Vai tranquillo, mi fido solo di te.”
Fujimoto si sentì sollevato, e gli porse la mano, sorridendo. “Piacere, Takeshi.”
Non capiva il senso di ripresentarsi, ma forse era un modo per scusarsi di come lo aveva trattato durante la mattinata, pensò Yoshiyuki. Quando si era presentato controvoglia, obbligato da Honda. Gliela strinse di rimando, sentendosi poi afferrare e tirare verso Fujimoto, che lo avvolse in un abbraccio fraterno.
Forse l’affetto che non aveva mai provato per Akito iniziava a formarsi nel rapporto con questo ragazzo appena conosciuto? Certo faceva bene sentirsi abbracciare senza doppi fini, solo per condividere un momento di serenità. 
Non si poteva dire di Fujimoto che fosse un ragazzo affettuoso. Pareva avere una visione distorta dell’amore, basata unicamente sul mero rapporto sessuale, senza obblighi o responsabilità. La ragazza che gli piaceva forse era solo un trofeo da sottrarre ad Akito, il capo assoluto della scuola. 
Invece sembrava alla ricerca dell’amico perfetto, del fratello mai avuto, del compagno di sventura.
E Yoshi, nel nuovo ambiente, tra tutte le persone che aveva incrociato, lo aveva scelto come amico.
Entrò in casa con mille pensieri nella testa, facendo piano per non svegliare i genitori che, probabilmente, dormivano nella grossa già da un po’. Erano le tre di notte e l’indomani avrebbe dovuto svegliarsi alle otto in punto per andare a scuola. Evitò di accendere la luce e chiuse la porta lentamente, cercando di non far rumore. Girò le chiavi nella toppa, attento a non far tintinnare il portachiavi. 
Di colpo si accese la luce dell’ingresso, nemmeno il tempo di togliersi le scarpe e indossare le ciabatte. 
“Ciao.” Akito era disteso sul divano del salotto, con addosso solo una canotta e un paio di pantaloncini, a fissare lo schermo acceso del televisore che dava un film senza sonoro. Molto probabilmente lo aveva sentito tornare e aveva abbassato il volume apposta per origliare ciò che si dicevano Yoshi e Fujimoto in giardino.
“Ciao.” Yoshiyuki si tolse la felpa, il fresco dell’aria aperta aveva lasciato spazio alla calura umida dell’interno di casa. 
“Certo che con Fujimoto ti sei proprio ambientato..” ridacchiò Akito, sprimacciando il cuscino che teneva sotto la testa. Dal divano, oltre lo schienale che dava sull’ingresso, poteva scorgere Yoshi che si toglieva felpa e scarpe.
“Beh.. non è male come tipo.” rispose, poco convinto dell’interesse del fratello.
“Già, non male davvero..” Akito si mise seduto, appoggiando il braccio sullo schienale del divano. “Il tipo che io definisco pezzo di merda.”
Ecco, appunto, pensò Yoshiyuki. 
“Non mi va che frequenti certa gente..” 
Avrebbe voluto dirgli che era uscito anche con Keichiro, ma preferì evitare. “Senti, sono cavoli miei con chi sto..” rispose. “E’ sempre stato così, non rompere.”
 “No, caro!” si alterò Akito, dando l’impressione al fratello di voler scavalcare il divano per balzargli alla gola. “Tu sei mio fratello e se la tua condotta non è delle migliori ne potrei risentire anch’io, sai?!”
“Ma ti calmi?!” i due gemelli ormai urlavano in soggiorno, il divano solo a dividerli, ignorando il resto.
Akito tacque, guardando il pavimento con aria bastonata.
“Non me ne frega niente della tua reputazione, delle tue amichette, tantomeno delle tue compagnie!” spiegò Yoshiyuki, calmandosi. “Perciò vorrei che tu facessi lo stesso con me.”
“Lei.. non è una mia amichetta.” la voce di Akito sembrava uscire da un automa, tanto era atona.
“Ma hai ascoltato quello che ti ho detto?” Yoshi era stanco di dover finire sempre a parlare di Sota; da quando era entrato in quella scuola, non aveva passato un minuto senza sentirla tirare in ballo.
“Non è la mia amichetta!” 
“Fottiti allora!”
Yoshiyuki fece per dargli le spalle, quando Akito lo prese per la maglietta. Si era alzato in ginocchio stando sul divano, afferrandolo saldamente per l’orlo della t-shirt. 
“Tu non la conosci.. non sai quanto è forte e presuntuosa.. ma anche gentile..” Akito ripensava a quando aveva visto il suo gemello avvinghiato a lei. E poi, sugli spalti, che la vedeva sorridere a Yoshi. E parlare, parlare e ridere assieme. “Allora perché, se sa essere così dolce con i suoi amici.. perché con me non si comporta così?! Perché con me non ha più voluto avere a che fare?”
Yoshi lo guardava allibito, mentre gli strattonava la maglietta, contorcendosi da un dolore che proveniva dal cuore. “Cosa vuoi che ne sappia..” provò a farlo ragionare.
“Mentre con te..” ad Akito salì nuovamente la rabbia in corpo, pensando che non aveva mai visto Reiko abbandonarsi così al primo ragazzo incontrato. Yoshiyuki aveva rotto tutte le sue barriere, semplicemente guardandola. “Cos’hai tu che io non ho?!”

“La faccia è uguale.. il fisico lo stesso.. gli occhi, le mani, tutto è uguale!”
Quante volte ho pensato la stessa cosa.

“Perché? Perché a te parla?!”

Akito si lasciò scivolare sul divano, mollando la presa, coprendosi il viso con le mani, per non far vedere al fratello che aveva cominciato a piangere. 
Yoshi fece per toccargli la testa per consolarlo, ma si fermò con la mano a mezz’aria.
“Non so perché. Ma mi dispiace.”



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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



La prima settimana nella nuova scuola passò per Yoshiyuki molto velocemente tra lezioni, compiti per casa, recuperi di matematica ed uscite con i nuovi amici.
Con Akito non aveva più parlato di Reiko anche perché, ultimamente, non era riuscito ad avvicinarla. Avrebbe voluto invitarla ad uscire, provarci nella maniera più spudorata possibile per vedere se era vero ciò che aveva in mente suo fratello: aveva un grosso ascendente su Sota, secondo lui. Tuttavia, schiva com’era, se ne era stata ben distante dal biondo dal giorno della partita, probabilmente per paura di qualche altra intromissione fulminea di Akito. 
Era seduto con la schiena contro la rete che circondava le piscine all’aperto, godendosi il sole caldo del pomeriggio. Fujimoto l’aveva convinto ad aspettarlo, dato che Yoshi aveva terminato il corso pomeridiano di recupero molto prima della fine dell’allenamento di nuoto.
Poiché ogni tanto riusciva a scorgere una ragazza allenarsi, poteva anche godersi qualche curva fasciata in costume intero.  Non tutto il male viene per nuocere, pensò. 
Osservò Fujimoto tuffarsi nuovamente dai blocchi di partenza, per inabissarsi e ricomparire poi, continuando a grandi bracciate. Era la decima volta che lo guardava ricominciare a nuotare, quindi Yoshi non vedeva l’ora che si stancasse definitivamente per potersene andare. 
Takeshi, come se avesse letto i suoi pensieri, arrivò a bordo vasca, si avvicinò alla scaletta in metallo e uscì finalmente. Affiorando sollevò molta acqua, e si sedette poi  sul bordo dando le spalle all’amico, guardando rapito i suoi compagni di squadra continuare a nuotare. Si tolse la cuffietta, scompigliandosi i capelli con una mano, per liberarli dall’acqua clorata delle vasche. Infine decise di alzarsi in piedi, per andare vicino a Yoshiyuki che gli tendeva l’asciugamano.
“Grazie..” Takeshi si asciugò il viso, passandosi poi l’asciugamano sulla capigliatura. Si sedette a fianco dell’amico, esausto. 
Yoshiyuki osservò le mille gocce che scorrevano dal corpo di Takeshi, iridescente sotto i raggi del sole. Pensò a quanto dovesse essere convinto del proprio aspetto fisico per indossare solo un costume nero e nient’altro, gareggiando sotto gli occhi di tutti. L’adrenalina della gara, la rabbia per le sconfitte, la gioia di indossare le medaglie.. chissà quante volte Takeshi aveva provato sentimenti simili. 
Passarono due ragazzi, entrambi con una bibita energetica in mano e l’asciugamano sulle spalle, salutando Fujimoto. Yoshiyuki aveva sentito dire in classe che Takeshi aveva provato a diventare capitano della squadra di nuoto ma, siccome era tra i più piccoli del gruppo, aveva dovuto desistere in favore di un altro ragazzo del quinto anno. Questioni di anzianità ed esperienza, a quanto pareva, seppure fosse così famoso e promettente. 
“A che pensi?” Takeshi lo distolse dai suoi pensieri, strizzando la cuffietta per toglierle l’acqua di dosso. Non aspettò la risposta, ma aggiunse: “Ti sarai annoiato, scusa..”
“Era la prima volta che ti vedevo..” spiegò Yoshi. “La prima mezz’ora mi è anche piaciuta, dopo basta però!”
Risero assieme, consci di sembrare sempre più degli idioti agli occhi di tutti quando erano assieme.
Yoshi prese a fissare poi l’occhio chiaro di Fujimoto, che gli era valso la nomea di “demone delle vasche”. 
“Ma ci vedi da quell’occhio?” chiese, incuriosito.
“Insomma..” si tappò le narici con le dita, cercando di stappare le orecchie.
“Però è figo.” commentò Yoshiyuki, notando poi il tatuaggio sul polso. 
Takeshi si accorse dello sguardo dell’amico, che era passato dall’occhio al tatuaggio, sorridendo. “Lascia perdere, questo mi ha fatto sospendere due anni fa!”
Gli mise il braccio sotto il naso, per fargli rimirare meglio il tribale. Era molto stilizzato ma doveva di sicuro essersi ispirato ad un serpente.
“L’ho fatto quando ho vinto le regionali la prima volta..” raccontò Takeshi. “Ma quando, alla gara successiva, i direttori di gara se ne sono accorti, volevano farmi saltare il turno direttamente.”
“Caspita..” Yoshiyuki ci passò sopra le dita ma, quando si accorse che non vi erano solchi o rigonfiamenti, ma solo pelle liscia, fece una smorfia delusa.
“E’ anche per questo che non posso fare il capitano..” sospirò. “Però mi ricorda una vittoria incredibile.. quindi chi se ne frega!” 
“Giusto..”
“Il preside poi mi sospese per due giorni..” sorrise Fujimoto, ricordando la disavventura. “Dovette intervenire anche la classe in mia difesa.. Sota in prima linea, ovviamente.”
Yoshiyuki ripensò a Reiko, con cui nell’ultimo periodo aveva parlato ogni tanto a lezione, mantenendo comunque le distanze. Lei stessa sembrava volergli stare alla larga, cercando ogni pretesto pur di non rimanere mai sola con lui. Forse dopo la chiacchierata in palestra, entrambi avevano compreso di essersi spinti un po’ oltre e si vergognavano di ciò che poteva pensare l’uno dell’altra e viceversa.
Yoshiyuki si trovò gli occhi di Takeshi a fissarlo intensamente, in silenzio. Ovviamente l’amico aveva intuito a cosa o meglio a chi stesse pensando l’altro. 
“Sei incredibile..” lo canzonò infatti  Fujimoto. “Sembri una scolaretta alla prima cotta!”
“Ma và..” Yoshi riuscì a biascicare, avvampando dalla vergogna. 
“Dai, andiamo..” Takeshi scattò in piedi, rivelando il solito fisico asciutto sotto il sole. 
Yoshiyuki un po’ gli invidiava l’aspetto fisico: lui era magro ma non certo allenato. Rimase ad osservargli la schiena da cui affioravano le scapole, mentre si stiracchiava prima di entrare nell’edificio dove vi erano le piscine al coperto.
Yoshi camminava dietro a Fujimoto mentre percorrevano l’ambiente che odorava di cloro. Gli spalti erano vuoti, come le
vasche: data la bella giornata la squadra preferiva allenarsi all’esterno. 
Takeshi svoltò dentro agli spogliatoi salutando l’amico che l’avrebbe atteso direttamente fuori.
Appena uscito sul marciapiede, Yoshi si accese una meritata sigaretta, traendone poi ampie boccate. Ormai i due amici percorrevano sempre assieme la strada del ritorno a casa, avendo scoperto di abitare molto vicini. Yoshi aveva pensato che fosse molto strano non essersi mai incontrati nella zona. Così simili non avrebbero potuto ignorarsi. Almeno non del tutto.
“Eccomi..” Takeshi aveva con sé un borsone da palestra che utilizzava per contenere tutto ciò che gli serviva per il nuoto; sulla fodera esterna era inoltre impresso il nome della scuola. 
Stavano per uscire dal perimetro della scuola quando videro, nella zona dei parcheggi delle biciclette, Keichiro seduto su una panchina, intento a fumare. 
Yoshiyuki pensò che lo aveva visto raramente con la sigaretta in bocca.
Appena lo sorpassarono, Mifune alzò la mano per salutarlo, mentre Takeshi fece finta di non vederlo, voltandosi dall’altra parte. Honda, vedendo i due, contraccambiò il saluto di Yoshi con un sorriso stentato.
Quando furono finalmente in strada, Yoshi chiese a Takeshi cos’era successo tra loro.
“Ma niente..” bofonchiò Fujimoto, grattandosi nervosamente la nuca. 
Yoshiyuki pensò che era ormai dalla prima volta dell’uscita tutti assieme, quando lo avevano convinto a non andare dalla sua ragazza, che non erano più così affiatati. Ciò che gli passò per la mente gli fece venire i brividi.
“Non sarà mica geloso?” domandò, pensando che non avevano otto anni.
“Boh..” Fujimoto fece spallucce, fingendo di non sapere.
“E’ geloso che io e te siamo diventati amici?” Yoshi afferrò il braccio di Takeshi, richiamando la sua attenzione. Fujimoto sospirò, scuotendo la testa. 
“Non lo so..” 
Non voleva essere odiato da Honda solo perché era diventato amico di Fujimoto. Ma effettivamente Keichiro si era fatto un po’ velenoso nei confronti di Yoshiyuki, prendendolo spesso in giro per i capelli o per il fatto che non fosse una cima in alcune materie. Takeshi non gli era molto d’aiuto: continuava a camminare, passo dopo passo, pensando ai fatti propri o ignorandolo apposta.
Ma Takeshi non poteva certo dirgli che Keichiro negli ultimi due anni non aveva mai perso un suo allenamento. Che ad ogni gara lui era sugli spalti a tifare per l’amico. Che, nonostante fosse amico di Akito, aveva sempre cercato di fare in modo che Fujimoto non venisse preso di mira dal rappresentante degli studenti.
Takeshi si era stancato dell’onnipresenza di Honda nella sua vita: voleva cambiare la routine e Yoshiyuki gli era parso la svolta ideale. Usciva quando e con chi ne aveva voglia, senza avanzare pretese.
“A volte penso ti veda come la sua fidanzata..” rise Yoshiyuki, cercando di buttarla sul ridere.
Fujimoto sorrise a malincuore, sentendosi un verme a trattare così un amico, ma dal suo punto di vista non aveva altre vie d’uscita. “Speriamo di no..”
Certe dinamiche del rapporto tra amici Yoshi non le conosceva: era sempre stato abituato al semplice fatto che se voleva poteva uscire con chiunque. Come poteva evitare di incontrare una persona per mesi e poi tornare dal nulla, come se non fosse successo nulla. Finora aveva sempre trovato amici con lo stesso atteggiamento, che non davano peso all’allontanamento di qualcuno né tantomeno al suo ritorno. 
“Non lo capisco proprio..” bofonchiò, alzandosi il colletto dalla camicia per darsi un tono. Aveva cercato di customizzare la propria divisa, invano. Appena entrato a scuola gli avevano fatto rimettere la camicia dentro i pantaloni e avevano imposto di abbassare il colletto. Ora, mentre camminava sul marciapiede, poteva finalmente sfogarsi.
“Beh, meglio se la prenda con me che con te.” rispose Fujimoto, facendo scrocchiare le dita piegandosi le mani.
“Non ho mica paura di quello..” ridacchiò Mifune,  svoltando dentro per una stradina sconnessa.
“Takeshi!” 
Si volse, vedendo Keichiro, il ragazzo di cui stavano parlando da una buona ventina di minuti, aggrappato al braccio di Fujimoto. Aveva corso per raggiungerli, si notava dalle guance rosse e il respiro affannoso.
“Perché mi ignori, si può sapere?”
Yoshiyuki non credeva ai suoi occhi: stava assistendo ad una scenata in piena regola.
“Cos’ho fatto?”
Takeshi veniva scosso da Keichiro e lo fissava in viso senza però proferire parola.
“Non mi avevi nemmeno detto che oggi vi allenavate!”
Yoshiyuki era in imbarazzo per Keichiro: come faceva a comportarsi così, ad esprimere i propri sentimenti alla luce del sole? Non aveva un minimo di orgoglio a quanto pareva. Non si vergognava ad ammettere di essere stato lasciato in disparte?
“Ehi..” Yoshi si intromise, toccandolo per una spalla.
“Tu fatti gli affari tuoi!” Honda esplose di colpo, rivolgendosi al biondo.
Yoshi stava per rispondergli a tono ma Takeshi sospirò rumorosamente, dicendo poi: “Kei, stai dando spettacolo.”
Keichiro lasciò la presa, mortificato. Si guardò attorno, cercando di scorgere qualche spettatore involontario.
“Ne abbiamo già parlato..”  Takeshi sembrava rispondere in modo vago, incerto proprio perché era presente Yoshiyuki. “Sai che non amo ripetermi.”
“Sono andato a vederlo io, non ti preoccupare..” disse Yoshi, sorridendo. Gli sembrava tutto una follia. Litigare per cosa?
Ma Fujimoto lo guardò con occhi sbarrati, volendolo strozzare.
Honda infatti reagì come se avesse ricevuto una sberla in faccia, prendendo Fujimoto per il colletto della camicia. 
“Perché?”
Takeshi volse gli occhi al cielo, pregando che non esagerasse, che non lo colpisse: in quel caso avrebbe dovuto reagire e non ne sarebbe stato felice. “Dai, per una volta..” sdrammatizzò.
“Sono sempre venuto io, perché ora lui?”
Takeshi sospirò nuovamente, guardando storto Yoshiyuki. Era colpa di Mifune se ora si trovava in quella situazione, dopotutto.
“Quello che mi da più fastidio..” Honda lasciò Takeshi, piagnucolando. “..è che volevi venisse solo lui!!”
Era paradossale come scena: Keichiro era geloso del fatto che fosse andato un altro a vedere gli allenamenti di Takeshi. 
Yoshiyuki era senza parole.
“E pensare che non volevo nemmeno andarci..” sbuffò Yoshi, incrociando le braccia al petto. Aveva intenzione di lasciarli soli, per potersene tornare a casa.
Honda lo fulminò, sconvolto. Takeshi si passò una mano sul viso, lamentandosi del fatto che Mifune fosse davvero un idiota.
A quel punto però Keichiro indietreggiò, tornando sui suoi passi, correndo via, da dove era venuto.

I due biondi proseguirono in silenzio, entrambi con la mente occupata dal medesimo pensiero: ciò che avevano visto fare a Honda. Provavano vergogna per aver assistito ad una tale dichiarazione senza precedenti. In Yoshi alcuni pensieri passarono solo per l’anticamera del cervello, mentre Fujimoto ne era pienamente cosciente.
Eppure, nessuno dei due aveva il coraggio di iniziare il discorso, di farsi quella domanda semplicissima ma feroce. Cosa provava in realtà Keichiro?
Ammettere che qualcuno avesse potuto scambiare per ben altro la loro amicizia era pura follia; Yoshi avrebbe poi dovuto ammettere che credeva Keichiro capace di provare qualcosa di ben più serio per Takeshi.
Si stavano salutando sulla soglia di casa Mifune, come ormai facevano da una settimana.
Un breve cenno, poi Takeshi volse le spalle a Yoshi, volendo evitare chiaramente il suo sguardo.
Si sentiva in colpa per aver fatto intendere all’amico cose che avrebbe voluto tenere nascoste. Anche se non compromettenti, potevano insinuare nella mente di Mifune strani dubbi, che l’avrebbero molto probabilmente portato a rifuggire da Fujimoto.
“Per qualsiasi cosa..” cominciò Yoshiyuki, nonostante avesse davanti la schiena di Takeshi e non il suo viso. “..sai che puoi contare su di me.”
Gli venne così, di getto, come se qualcuno lo avesse manovrato, una marionetta nelle mani di un altro. Anche se le sue parole avevano dimostrato comprensione, la ragione continuava ad imporgli di capire, di cercare di comprendere la realtà. Una realtà che Keichiro, col suo atteggiamento, gli aveva fatto intuire.
Ma Yoshi non voleva capire. 
Aveva un po’ paura di Takeshi.
L’amico continuò sui suoi passi, fingendo di non aver sentito. 
Per Yoshi guardare Fujimoto era come vedersi nel futuro: lo aveva preso come esempio, come riferimento. Però lo temeva. Quando lo vedeva scrutare il mondo con i suoi occhi, con lo sguardo freddo e distaccato, si sentiva male. Non capiva mai cosa pensasse realmente. Non riusciva a capire se lo riteneva amico degno della sua confidenza o semplice passatempo.
Koba lo aveva definito “giocattolo”. E quell’epiteto per lui era stato come una pugnalata. 
In passato l’avevano adorato, rispettato, maltrattato. Ma mai nessuno aveva giocato con lui.
Anche con l’ultima compagnia, era stato lui a lasciare il gruppo, cambiando scuola. E alla fine aveva scelto lui il nuovo ambiente. Quando una situazione o una persona non gli andava, era lui a fuggire, a lasciare, a troncare.
Ultimamente invece aveva notato di gravitare attorno a Takeshi un po’ troppo. 
Di dipendere un po’ dai suoi sguardi, dai suoi inviti. 

La mattina seguente Yoshiyuki decise di alzarsi prima per arrivare a scuola in anticipo. Suo fratello ancora faceva colazione in pigiama mentre lui era già vestito per uscire. Aveva pensato a questo stratagemma per riuscire ad evitare di incontrare per strada Takeshi e, quando arrivò all’interno delle mura dell’edificio scolastico completamente solo, capì di esserci riuscito.
Si sedette su una panchina, concedendosi la prima sigaretta della giornata. Trovò in tasca l’accendino arancione che aveva trafugato dalla cucina, ma non fece in tempo ad accendersela che una voce femminile lo salutò.
Era Sota, di fronte a lui, con una pila di scartoffie in grembo.
Tutte le mattine si salutavano, evitando però di parlarsi, mantenendo comunque un rapporto cordiale basato sui convenevoli: il tempo, il caldo, i voti.
Quella mattina però parve in lei esserci la volontà di rimangiarsi i metri di distanza che aveva lasciato crearsi tra loro. Dopotutto, era da giorni che non si trovavano da soli.
“Come stai?” chiese lei, sorridendo.
Yoshi notò che il plico di carte le pesava, così scattò in piedi, per concederle il suo aiuto. Malgrado la sua riluttanza, riuscì a sottrarle i fogli. Ebbene ci stava provando, faceva il galante sapendo benissimo che lei avrebbe apprezzato.
“Come mai così presto stamattina?” continuò Reiko, ringraziandolo del favore.
“Così..” fece spallucce, sputando a terra il mozzicone spento. “e tu?”
“Io arrivo sempre a quest’ora..” spiegò lei. “Oggi per giunta ho dovuto fare queste fotocopie per la classe..”
Si incamminarono verso la scuola, uno di fianco l’altra.
La ascoltò parlare degli obblighi di un rappresentante di classe nei confronti dei professori, degli altri studenti e del preside.
“Ci tieni proprio a questa scuola, eh?” ridacchiò Yoshi, facendo le scale dietro di lei, diretti al primo piano.
“Ormai è casa mia!” rispose lei, sorridendo. 
Appena arrivati alla loro classe, Yoshi appoggiò il pacco di fotocopie sulla cattedra, mentre Sota andò ad aprire le finestre per far cambiare l’aria viziata. 
“Ti ringrazio per avermi aiutata.” gli sorrise, non accennando un inchino, come avrebbe fatto una qualsiasi delle sue compagne di classe, ma mostrandogli invece i denti bianchi. Gli vennero in mente molti ricordi di quando, da piccolo, aveva frequentato l’asilo in America. Certe cose in Giappone considerate strane o addirittura offensive, laggiù erano pratica comune.
Si appoggiò al bancone, incrociando le braccia al petto, pensando e ripensando a come sarebbero andate le cose se non fosse mai tornato nel paese dell’estremo oriente. 
“Tutto bene?” chiese lei, avvicinandosi preoccupata. “Ti sei ambientato, no?”
Lo colse di sorpresa, al che la fissò senza rispondere.
“Se hai problemi di qualsiasi tipo sai che puoi fare affidamento su di me.” si toccò al petto con la mano, come fanno gli occidentali.
Yoshi sorrise, pensando che ormai era abituato a vedere le persone toccarsi il naso per indicare sé stessi. “Tutto a posto, all right.”
“Per fortuna.” La vide suddividere i fogli in gruppetti, per riuscire poi a distribuire a tutti le copie giuste. 
“Anche tu, per qualsiasi problema, sono qui.” gli venne d’istinto, cosa che normalmente avrebbe solo pensato.
“So difendermi da sola, tranquillo..” rispose lei, imbarazzata. 
“Sul serio.” Yoshi trafficò con le mani in tasca, tirandone fuori il cellulare. Fece scattare l’apertura a guscio, porgendoglielo. “Scrivimi la tua mail.”
Notò la faccia sorpresa di Reiko, fissare ora il telefonino, ora lui. “O-ok..” balbettò, prendendo tra le mani il cellulare di Yoshi. La osservò comporre l’indirizzo premendo sulla tastiera con le unghie laccate di rosa confetto.
“Dopo ti scrivo, così ti salvi anche il mio contatto.” 
Lei annuì, finendo di scrivere. “Che strano modo che hai di chiedermi le cose..” gli riconsegnò il telefonino.
“Sono un po’ diretto, lo so.” salvò la mail di Reiko, aggiungendola alla rubrica. 
“Beh, lo preferisco.” Sota tornò al suo lavoro, sedendosi sulla sedia del professore, per stare più comoda. “In questa scuola c’è poca gente che dice davvero come la pensa!”
Yoshiyuki pensò che forse era stato troppo diretto. Non sapeva se si stava frequentando con qualcuno, se era fidanzata, se avesse avuto piacere dello scambio di contatti, se le stava simpatico o se lo sopportava semplicemente. 
Non capiva nemmeno se lei avesse intuito che ci stava provando.
Sembrava solo assecondarlo, come fosse molto paziente.
“Mifune..” accennò lei, guardandolo mentre sistemava dei fogli stampati storti. “Posso chiamarti anche se voglio vederti o devo farlo solo se sono in difficoltà?”
Yoshi scoppiò a ridere, seguito a ruota da Reiko. 
“Puoi chiamarmi quando vuoi, anzi.” si tirò su dalla cattedra, stiracchiandosi le braccia. Stava per dirle che poteva chiamarlo per qualsiasi cosa, quando entrarono i primi compagni di classe, salutando i due.
Si guardarono, come avessero voluto salutarsi senza far rumore, rimandando ad un'altra volta altri discorsi che sentivano entrambi di voler fare. 
La desiderava, avrebbe voluto candidamente proporsi, esporre ciò che provava al suo giudizio ma ancora non se la sentiva. Provava a piccoli passi a vedere se apprezzasse o meno da lui certe carinerie tipiche di due persone che stanno assieme o comunque che si vogliono bene.
Molti entravano, lasciando vicino ai banchi i propri zaini, uscendo nuovamente chi per andare in bagno, chi per concedersi ancora qualche minuto di pausa prima dell’inizio delle lezioni. Yoshi ne approfittò, tornando in corridoio, decidendo se fumarsi o meno l’ennesima sigaretta della mattinata ancora da cominciare.
“Ehi.” lo salutò Akito, sorpassandolo ed entrando nella sua classe.
Con passo deciso, lo vide dirigersi alla cattedra dov’era seduta Sota, intenta ancora nel suo lavoro. Lo vide appoggiarsi con le mani al tavolo, chinato verso di lei a parlarle.
Poi notò Koba che gli faceva un inequivocabile gesto, invitandolo a salire in terrazzo per fumare. Offerta che non riuscì a rifiutare.

“Ciao.” Reiko lo salutò, ignorando il suo solito modo di porsi, così altezzoso, nei riguardi di chiunque. Era entrato alla svelta, con passi decisi, fermandosi dinanzi a lei senza spiccicare parola, ma guardandola con sguardo severo.
Avrebbe voluto urlargli che era uno stronzo, che non capiva come osasse ancora rivolgerle la parola, che avrebbe voluto e dovuto denunciarlo.
Ma questa storia andava avanti da mesi, quindi ormai comprendeva che aveva finalmente scoperto il fondo del pozzo di odio che Akito coltivava per lei.
“Ciao.” Indossava la giacca sopra la camicia che gli conferiva un’aria adulta a cui forse ambiva.
“Tuo fratello è qui fuori.” accennò lei, finendo l’ultimo plico e perciò alzandosi per iniziare a distribuire i fogli sui banchi di ogni studente. 
“Non sono qui per lui.” Lui la seguì con lo sguardo, andando a chiudere la porta della classe e appoggiandovi la spalla. Rimase così, storto, a fissarla passare tra i tavoli.
“E per cosa?” chiese lei, poco convinta. Più rimaneva con Akito e più cresceva in lei la voglia di scaraventargli addosso una sedia, per restituire la cortesia del ricovero in ospedale. 
“Per te.” 
“Se vuoi litigare, usciamo.” Sota si volse a fulminarlo, disturbata dal suo atteggiamento. “Così tutti vedranno quanto mi disprezzi in realtà.”
“Non è certo colpa tua se sei una straniera.” la stuzzicò. “E nemmeno mia se nessuno ti ha voluto votare quando credevi di vincere.”
Lei si trattenne dal rispondergli in malo modo, prevedendo che Mifune avesse ovviamente il coltello dalla parte del manico in quanto a stretto contatto con il preside.
“E poi cosa ti fa pensare che io ti disprezzi?” 
Reiko si sedette su un banco, incrociando le gambe. “Forse il fatto che mi hai fatto picchiare?” chiese ironica. “Se vuoi chiarire, chiariamo.”
“Te la sei andata tu a cercare, Reiko.” Akito si avvicinò alla ragazza, per timore che dal corridoio qualcuno potesse origliare la loro conversazione. “Ti sei messa contro di me, perciò ho dovuto.”
Trovandoselo di fronte, Sota ebbe un sussulto. Se le avesse fatto del male, ovviamente tutti si sarebbero resi conto del vero carattere di Akito. D’altro canto, se avesse voluto, avrebbe potuto farle del male seriamente dato che erano soli.  
“Non mi ha fatto piacere sai..” le passò una mano sul viso, carezzandole una guancia, osservandola da vicino. 
“Ma piantala..” scocciata, gli spostò il braccio.
“Il giorno del pestaggio, quando ti hanno trovato nel sottopassaggio..” parlava a voce bassissima, lentamente. “Rika e Serika ti hanno solo mandato all’ospedale. Ti hanno rotto un braccio perché ci sei caduta sopra.”
Sota rabbrividì al pensiero di quella giornata. Sua madre pensava al peggio, perché la ritrovarono distesa alla fine di una scalinata, le gambe ancora riverse sugli ultimi scalini, con i vestiti strappati, i capelli sporchi di fango, piena di contusioni, svenuta. 
“Le altre cose non so chi te le abbia fatte.” sorrise amaramente. Akito la scrutava, analizzando ogni singola piega dei suoi abiti, dalla camicetta, al fiocco fatto con cura, alla gonna stirata di fresco.
“Sono affari miei cosa faccio o non faccio.” rispose lei diretta, sfidandolo. Voleva capire se aveva davvero il coraggio di accusarla di certe dicerie.
“Lo so. E’ un gran bell’ostacolo a tante cose.” Akito le carezzò i capelli che le cadevano da un lato, sciolti e voluminosi. “Questo tuo aspetto.”
“Questo lo dici tu.” fece lei, sorniona. 
“Chi l’avrebbe detto che saremmo arrivati a questo.” disse Akito, sospirando. “Avrei detto che..”
Si zittì di colpo, perché Natsumi entrò nella stanza, disturbandoli.
Divenne rossa in viso vedendoli conversare così vicini, una scena un po’ equivocabile.
In un batter d’occhio Akito si defilò, lasciando Sota a pensare al giorno in cui si erano visti per la prima volta.
Un giorno del primo anno, qualche mese dopo il trasferimento di lei da un’altra città.
Sua madre aveva cambiato lavoro per la terza volta nel giro di un anno, facendole nuovamente cambiare casa e scuola.
Per una ragazzina dall’aspetto anomalo, più simile ad una ragazza occidentale che ad una giapponese, il passaggio in una scuola di Tokyo equivaleva alla certezza del non doversi più sentire diversa. Una metropoli conosciuta in tutto il mondo doveva certamente essere abituata alla presenza degli stranieri.
Invece anche lì, come in tutte le classi che aveva frequentato da che aveva ricordi, vi erano i soliti occhi puntati a guardarla.
Un pomeriggio, seduta su una panchina, con il bentō  sulle ginocchia, intenta a spostare i granelli di riso e sesamo da un lato all’altro della scatola, annoiata e poco affamata, un ragazzo aveva attirato la sua attenzione. 
Camminava tutto tronfio nel bel mezzo della strada, circondato da ragazze ammiranti, dai loro gridolini isterici e dai loro profumi. Aveva un bell’aspetto curato, i capelli neri scalati, portati con la scriminatura di lato e indossava, oltre alla camicia e ai pantaloni, anche una giacca coordinata. Pensò che dovesse essere qualcuno di importante dato che si era fatto ricamare lo stemma della scuola proprio all’altezza del petto. 
Rimase sorpresa nel notare che, quando la vide, le sorrise, facendole un cenno col capo.
Forse si erano già visti e non lo aveva riconosciuto.
Uscì dalla sua visuale, intrufolandosi nell’edificio.
Quando finì di torturare il suo pranzo, ricompose la scatolina in plastica gialla, con l’intenzione di tornare in aula. 
Chissà per quanto ancora avrebbe dovuto sopportare di mangiare, studiare, andare e venire a scuola da sola.
“Ehi.” stava sulle scalinate, finendo gli ultimi gradini per entrare nell’edificio, quando il ragazzo dai capelli neri di prima la fermò. “Sono Akito Mifune.” 
Le fece un inchino, che lei osservò in tutta la sua operazione. 
Non le veniva naturale quel modo di porsi, così cerimonioso. 
Le piacevano però gli occhi neri di quel ragazzo, dalla forma allungata ma non minuscoli. “Reiko.”
Lei gli porse invece la mano, suscitando in lui una strana reazione.
Scoppiò infatti a ridere, dicendo poi che nessuna ragazza gli si era presentata così.
Sota rimase con la mano sospesa fino a che Akito non gliela strinse.
“Sono il rappresentante della 1-1.” spiegò lui. “Non siamo nella stessa classe ma Honda mi ha parlato di te.”
Non le piaceva granché il fatto che si parlasse del suo arrivo come di un evento straordinario. Avrebbe preferito passare inosservata.
“Anche io sono nato in America, quindi capisco..” 
“Non sono nata in America.” lo zittì lei.
Akito rimase di stucco, non avendo previsto un simile carattere. La fissò oltrepassare le porte, ignorandolo e lasciandolo sulle scale.
Venne poi a sapere che il padre era un ingegnere di Los Angeles e, dopo la sua nascita, avvenuta a Osaka, città di sua madre, era tornato in America. Che Sota parlava assai poco della sua famiglia e che portava il cognome giapponese materno proprio perché i suoi non si erano sposati.
Quando la rivide, persa a leggere un libro, seduta su una panchina, verso le piscine e quindi molto nascosta, riprovò ad attaccare bottone.
Reiko era assorta nella lettura di un mastodontico volume di letteratura antica, noioso come pochi.
Sentì avvicinarsi qualcuno, che poi riconobbe essere il rappresentante della 1-1, l’”Americano”.
Sorrise nel ricordare come lo aveva soprannominato e lui lo prese come un invito al potersi avvicinare.
“Ehi, come stai?”
“Bene.” Lei tornò alla pagina del libro, lasciando che si sedesse in parte. 
Passarono qualche minuto in silenzio, quando Reiko chiuse il volume, sistemandosi i lunghi capelli da un lato.
“Noioso, eh?” chiese lui, che si era stravaccato sulla panchina, allungando le braccia sullo schienale.
Lei annuì con la testa, sospirando. Da quando era arrivata, anche le cose più semplici parevano insormontabili. 
Stava per perdersi nei propri pensieri quando notò che la osservava assorto ma insistente.
“Honda dice che è difficile avvicinarti.” proruppe. “A me non sembra. Basta starti addosso.”
A Sota sfuggì un sorriso, che coprì istintivamente con la mano. 
“Mi piace stare da sola.”
“Anche a me.”
Dopo quello scarno scambio di battute, si ritrovarono spesso in giardino a leggere, a studiare. O almeno, lei studiava, leggeva, scriveva. Lui si limitava a guardarla, a rimirare il cielo, a sonnecchiare. Alcune volte provava ad iniziare dei discorsi, che però finivano sempre per venir lasciati morire.
Ormai nella scuola erano ritenuti fidanzati, in quanto, visti assieme, davano proprio quell’impressione. Parlavano poco, ma sembrava che le parole non servissero tra loro. Qualche ragazza aveva tentato di origliare le loro conversazioni, tornandosene con la coda tra le gambe perché nel giro di due ore non era ancora stata spiccicata parola. Che il famoso Akito passasse il suo tempo libero semplicemente facendo compagnia all’ultima arrivata, e per giunta straniera, destava non poca invidia tra le loro compagne di scuola. Ad un certo punto credettero pure che fosse un suo obbligo farle da tutor, ma quando il preside disse loro che Sota era nata in Giappone e che quindi non aveva problemi a comprendere la loro lingua, capirono che al rappresentante d’istituto piaceva stare con lei.
Anche a mensa, durante la pausa pranzo, capitava che lui, dal tavolo dei ragazzi più facoltosi della scuola, cambiasse posto per andare a sedersi proprio davanti a Sota. Ma nulla fu più eclatante di quando Akito si presentò con due bentō identici, donandogliene uno. Tutti sapevano della sua maestria ai fornelli, per via della madre maestra di cucina; tutte, quando c’erano manifestazioni sportive, adoravano notare con quanta maestria sapesse intagliare le verdure e crearne pupazzetti simpatici. Erano le sciocchezze con cui Mifune prendeva in giro alcuni membri della scuola, facendone le caricature: il professore di fisica a forma di maialino fatto con i wurstel, la spilungona della 5-1 fatta con le pannocchiette dolci, il faccione del preside ricoperto di nei intagliato nel riso. Ma Sota, restia ad aprire quella scatola di plastica per il semplice motivo che si era portata già il pranzo da casa, non poteva comprendere appieno il perché di tutti quegli occhi addosso. Trovando al suo interno il riso rosa, pressato a forma di cuoricini, con le umeboshi  disposte a formare la scritta for you su di essi, rimase però anche lei ammutolita. Non esitò a portarsi a casa il proprio bentō immacolato, cibandosi di quello preparatogli dall’”Americano”.
Un giorno d’estate poi, Reiko arrivò dopo di lui alla solita panchina nascosta nel parco. Lo trovò infatti già disteso per tutta la sua lunghezza, un libro aperto a coprirgli il volto, come se dormisse. Poteva riposare tranquillo, perché le fronde degli alberi impedivano ai raggi del sole di raggiungerlo.
In realtà, la stava aspettando: quando lei gli si avvicinò, si mise seduto, mettendosi a posto in fretta i capelli.
“Ciao, ho finito prima.”
Gli si sedette vicino, aprendo poi lo zaino per cercare il quaderno degli appunti su cui doveva ripassare.
“Reiko..” Akito le poggiò il braccio sulle spalle, per portarsela vicino al petto.
Lei rimase immobile, rigida, mentre questi la stringeva a sé. Inspirava il profumo dei suoi capelli, trovando il coraggio di esporsi in prima persona in questo rapporto.
“Mi piaci.” riuscì a dire, sentendo le guance avvampare.
Reiko si sentì mancare la terra sotto i piedi, rilassandosi però in quell’abbraccio. Poggiò con naturalezza la guancia sul suo petto, aggrappandosi alla camicia bianca. 
Alzò il viso nella sua direzione, alla ricerca del suo primo bacio.
Sota rifletté sulle parole di Akito, prima che lasciasse l’aula. Pensò che il tempo cambiasse davvero le cose. 
Finì il giro tra i banchi, terminando di distribuire le fotocopie, mentre la classe tornava a riempirsi.

All’intervallo, Akito stava ancora fuori dalla classe di Yoshi, come se non si fosse mai mosso. Reggeva una pila di fogli e, salutando il professore con un cenno, si prodigò a fermare le prime ragazze che oltrepassarono la soglia e il suo sguardo. 
Yoshiyuki era impegnato in una conversazione sul compito di fisica che li avrebbe impegnati per tutto il semestre, cosicché, quando vide il proprio gemello entrare nell’aula scortato da delle ragazze, rimase basito. Ognuna di loro reggeva un plico di volantini colorati, freschi di stampa e li distribuiva ai compagni di classe. Natsumi ne sbandierò uno sotto il naso di Fujimoto, che l’afferrò, incuriosito.
Anche Honda, ignorando i quesiti di Yoshi sul moto perpetuo, rivolse la propria attenzione a quel foglietto. 
“Dai una festa, Mifune?” ridacchiò Takeshi, rivolgendosi ad Akito, perso a scrivere a carattere cubitali sulla lavagna la parola “party”. 
“Hai letto bene!” gli rispose di rimando, poggiando il gessetto sulla cattedra. “Do una festa per la mia.. incoronazione.” calcò la frase apposta, incrociando Reiko rientrare con una bottiglietta d’acqua tra le mani. La ragazza si fermò in mezzo alla stanza, non capendo perché Akito fosse nuovamente nella sua classe. Le passò per la mente anche il dubbio di aver sbagliato aula. 
Keichiro saltellò felice di quella notizia, elogiando Akito per la sua magnifica idea. “Quando Akito, quando?”
“Questo week end, e siete tutti invitati.” annunciò il rappresentante degli studenti, sorridendo sornione. Natsumi consegnò una copia anche a Reiko che diede una letta veloce al volantino. 
“A casa tua?” chiese lei ad Akito.
“Si, a casa mia.” annuì lui, trionfante.
“A casa mia?” gli fece eco Yoshi, risvegliandosi dal fondo della classe e agguantando il foglio che Takeshi teneva tra le mani.
“A casa nostra, bravo.” Akito mostrò i denti bianchi, sogghignando in direzione del fratello. 
Sapevano entrambi che quel fine settimana i loro genitori sarebbero andati in campagna a trovare dei parenti, per passare qualche giorno da coppietta innamorata e felice. Tuttavia mai Yoshi avrebbe pensato che il fratello potesse organizzare una festa a casa loro. E invitare tutta la scuola.
Avrebbe voluto protestare, ma preferì accartocciare il foglio e gettarlo sul pavimento.
Honda seguì Akito fuori dall’aula, su di giri, offrendosi di aiutarlo a distribuire tutti gli inviti in giro. 
“Sicuramente ci andranno i soliti senpai ..” accennò Fujimoto, raccattando la pallina di carta da terra. “Figurati se Akito fa entrare le matricole in casa sua.”
Sota si avvicinò a Yoshiyuki, chiedendogli se ne sapeva qualcosa, ma quest’ultimo fece scena muta.
“E’ una sorpresa anche per me.” ammise. “Abbiamo la casa libera ma non credevo per un festone.”
“Sicuramente ci sarà da divertirsi.” si fece pensoso Fujimoto. “E passare una sera a sbafo dei Mifune non mi dispiace.”
Yoshiyuki scoppiò a ridere, mandandolo a quel paese. 
Reiko invece richiamò la loro attenzione. “Credo che approfitterà delle solite galline per far preparare tutto.”
Diede un’occhiata veloce a Natsumi, che aveva seguito le altre ragazze in corridoio. Ovviamente nel gruppo delle starnazzanti oche inseriva pure la sua amica. “Però se non ho niente da fare sabato.. potrei passarci.”
Yoshiyuki sperò che quella frase buttata lì con noncuranza diventasse una certezza.
Poter stare in sua compagnia al di fuori della scuola gli avrebbe forse dato la possibilità di conoscerla.  

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***



La festa in sé era iniziata da qualche ora e già i fumi dell’alcol avevano sortito i primi effetti. Era stata invitata parecchia gente, che Yoshiyuki ricordava appena di aver intravisto a scuola. Tutta la classe di Akito, alcuni senpai di terza, qualche matricola, molte ragazze. 
Le amiche di Akito avevano organizzato tutto nei minimi dettagli, aiutandolo a preparare su grandi vassoi tartine, tramezzini, patatine e schifezze di ogni genere. Avevano passato il pomeriggio a sgobbare, ignorando Yoshi che aveva ciondolato per casa senza muovere un dito. Disposti sul tavolo in cucina, sul bancale, sul tavolino del salotto e su parecchi mobili non c’erano solo le cibarie ma pure parecchie bottiglie di alcolici e bibite gassate. Seminati poi in giro stavano bicchieri colorati di plastica e tovaglioli di carta. La casa era stata riempita inoltre di palloncini blu e bianchi e manifesti con le congratulazioni ad Akito da parte di ogni classe della scuola. 
Yoshiyuki, urtando parecchie persone intente a chiacchierare tra loro, riuscì finalmente a raggiungere la bottiglia di vodka alla menta che stava adocchiando da parecchio. Se ne versò metà bicchiere, tornando poi a isolarsi sedendosi sui primi gradini delle scale che portavano ai piani superiori. Si divertì ad osservare tutti gli invitati in piedi, che mangiavano, ridevano, bevevano e ballavano al suono della musica da discoteca molto alta che proveniva dallo stereo. Pensò che dopotutto non fosse stata male come idea.
Trangugiò la vodka che era rimasta attaccata al fondo del bicchiere. 
Poi, alzando gli occhi, vide Reiko ormai ubriaca camminare solo perché tenuta in piedi dalla sua amica Natsumi. Vederla traballare in mezzo alla gente, ignorata da tutti in quanto quelle erano le condizioni comuni a molti, gli fece sfuggire un sorriso. Sota si diresse verso una delle poltrone che stavano nel mezzo del salotto, scivolando su una di esse e lasciando cadere il capo sullo schienale. Yoshiyuki scoppiò a ridere, forse complice l’alcol in corpo.
Vide poi Fujimoto, che lo aveva ignorato per tutta la serata, appoggiato alla parete, conversare con Koba. Mentre chiacchieravano, Takeshi teneva il tempo della musica con le dita sul bicchiere, forse ascoltando più il sound che le parole dell’amico. Sulla sua spalla era appoggiato Keichiro, in una smorfia causata dalla posizione e dall’avanzato stato di ebbrezza.
Appena Fujimoto intravide Yoshi, seduto dall’altra parte della stanza, gli fece un cenno, alzando appena il mento nella sua direzione. Scosse un po’ Honda, massaggiandogli energicamente la schiena, come per svegliarlo.
Yoshi si distrasse, notando una bella ragazza bionda vestita in modo provocante invadere il suo campo visivo. Doveva essere molto più grande data l’età dei ragazzi che gli stavano attorno, tutti impegnati a pavoneggiarsi.
Così rimase un poco sorpreso vedendo Takeshi avanzare verso di lui, districandosi in mezzo alla folla. Indossava una camicia blu scuro molto aderente, che metteva in risalto il suo fisico asciutto, assieme ad un paio di pantaloni bianchi più morbidi. Nonostante fosse molto elegante, il fatto che fosse abbronzato, biondo e fondamentalmente strano, equilibrava il tutto.
“Ehilà.” sorrise, sedendosi in parte di Yoshiyuki.
Mifune invece indossava una tuta da ginnastica rossa, ma aveva lasciato aperta la felpa per far vedere la canotta bianca sotto. Sulla scollatura della canottiera stretta troneggiava una catena dorata. Si era ispirato ad un famoso cantante hip hop della West Coast, a suo dire.
“Come va?” continuò Takeshi, traendo grossi sorsi dal suo bicchiere. Dal puzzo d’alcol che proveniva dalla sua bocca non doveva essere il primo.
“Bene..” accennò Yoshi, tenendo il proprio bicchiere per il bordo. “Non volevo disturbarti.”
“Ma cosa dici!” Lo afferrò per le spalle con un braccio, mettendolo in imbarazzo.
“Sembravi aver fatto colpo con Honda!” rise Yoshi, spostando l’amico con la mano.
Di colpo Takeshi si fece serio, balbettando di nuovo: “Ma cosa dici..”
“Mica ti sarai offeso..” 
“Lascia stare.” Fujimoto scosse la testa, bagnando nuovamente le labbra con la bibita. “Mi fa un po’ senso che pensi mi piacciano certe cose..”
Yoshiyuki scoppiò a ridere sonoramente, dicendo che stava scherzando.
Rimasero un po’ in silenzio, entrambi assorti a fissare le persone muoversi dinanzi a loro. Qualcuno spense pure le luci, accendendo invece un faretto che emanava raggi di luce sul soffitto a intermittenza, illuminando parzialmente tutto. Iniziarono a ballare un po’ tutti, inebriati sia dalla musica che dall’alcol che dall’atmosfera. 
“Che fuori..” esclamò sorpreso Yoshi, chiedendosi dove Akito avesse trovato certi oggetti. Era davvero pieno di inventiva. Il soffitto buio veniva illuminato da piccoli led creando un gioco di luci e ombre che ricordava una notte stellata, disegnando però astri anche sulla pelle delle persone.
Girandosi verso Fujimoto per chiedergli cosa ne pensasse, lo vide assorto a fissarlo.
Il suo sguardo era rivolto a Yoshi ma sembrava in realtà guardargli attraverso, guardare altro. Uno sguardo vuoto probabilmente dovuto sempre ai due occhi spaiati. 
“Forse hai bevuto troppo.” esordì Yoshiyuki, togliendo di mano a Takeshi il bicchiere semivuoto.
“No, non credo.” scosse la testa, massaggiandosi la nuca con fare nervoso.
“Ogni tanto mi fai un po’ di paura, sai?”
Takeshi alzò appena lo sguardo, tendendo le orecchie. “Perché mai?” chiese, incuriosito.
“Non capisco mai cosa pensi.” poi Mifune sorrise, sentendosi ridicolo. “Mi sento anche stupido a pensarci, però è così.”
“Fatico un po’ ad aprirmi, ecco.” rispose frettoloso Takeshi. Se ti guardo mica vuol dire che ti odio, pensò.
“Noi siamo amici, quindi cerca di aprirti almeno con me, ok?” Yoshiyuki si appoggiò agli scalini alle loro spalle, rilassandosi. 
Notò la schiena di Fujimoto avere un sussulto, come se fosse stato preso dal singhiozzo per un attimo. 
“Stasera sei parecchio diretto!” gli scappò, buttandola sul ridere.
“Sei tu che, nonostante abbia bevuto così tanto, ti fai tanti problemi.” spiegò Yoshi, giocando con la catena che aveva al collo. Stava talmente stravaccato sui gradini che tutte le ragazze che passavano lanciavano occhiatine perplesse alla sua posa. “Se il tuo migliore amico è Honda, bene. Se ciò vuol dire che non possiamo più frequentarci, ottimo.” Takeshi smise di dargli le spalle  e si volse appena per poterlo guardare in viso.
“Ma non credere che ci soffrirò.” terminò Yoshiyuki, trattenendo a stento un rutto. “Non sono possessivo come tipo.”
Takeshi gli spinse una gamba, scocciato. “Non fare il figo ora!”
La musica cambiò di colpo, tutti che saltavano urlando il ritornello della canzone, in un inglese storpiato che a Yoshi diede il voltastomaco.
“Vorrei solo sapere chi ho davanti.” proruppe poi, rimettendosi seduto e togliendosi la felpa dal caldo, lasciando scoperte le braccia.
Si sentì la mano gelida di Takeshi sul braccio, che lo tirava a sé. 
“Vorresti davvero sapere tutto di me?” domandò, avvicinandosi al volto di Mifune.
Vorrei capire se posso fidarmi, pensò Yoshi. Lo guardava serio, sempre più convinto che Takeshi stesse facendo il doppio gioco. 
Non voleva trovarsi magari a doverlo affrontare, nella lotta contro Akito per Sota, perché amico di Keichiro. Aveva capito che i due si condizionavano a vicenda, quindi se Honda avesse preso le parti di Akito, molto probabilmente Takeshi lo avrebbe seguito a ruota. Ma anche il contrario pareva possibile.
Lo vide avvicinarsi ancora, quasi a parlargli sulle labbra.
Ma non usciva nessun suono dalla sua bocca socchiusa o almeno Yoshi non riusciva ad udire alcunché. Aveva le orecchie ovattate dal rombo della musica alta, dal vociare continuo.
Percepì invece un peso leggero sulle sue labbra, come se qualcuno ci avesse appoggiato un dito.
E sentì appena, a livello di gusto, un sapore dolciastro e intenso, simile a quello che rimane sulla lingua dopo aver bevuto troppo. 
Le dita di Takeshi lasciarono di scatto il braccio di Yoshi, che si scostò dall’amico. Yoshi lo guardò alzarsi, cercando di far ragionare il cervello che gli stava consigliando solo una spiegazione.
Fujimoto aveva tentato di baciarlo, urlavano i neuroni impazziti.

Yoshi passò la notte in bianco, fumando ogni sigaretta che aveva trovato per casa. Vuoi per il nervoso del fatto accaduto con Takeshi, vuoi per i rumori di chiara matrice riproduttiva provenienti dalla camera del fratello, non era riuscito a chiudere occhio. 
Ripensò che aveva tentato di parlare a Fujimoto, perché credette, per un istante, di aver frainteso, di essersi sbagliato, di aver travisato. Tutto ciò che aveva avuto in cambio era stata una sonora risata. “Ma cosa vai a dire..” Takeshi lo ascoltava appena, mentre si dedicava alla scelta del tramezzino da ingurgitare. Chinato sul tavolo della cucina, evitava chiaramente di guardare l’altro, in piedi davanti a lui. “Sei forse impazzito?”
Forse si era immaginato tutto, pensò nuovamente.
Ma aveva avuto voglia di fermare qualche ragazza che era stata lì vicino, chiedere a chiunque se avesse visto qualcosa. E che figura ci avrebbe fatto?
Se fosse andato in giro a chiedere se lo avevano visto baciare un ragazzo, poteva significare ben poche cose; si vergognava del fatto che qualcuno lo avesse visto perché o gli era piaciuto e aveva paura per la propria reputazione oppure che non credeva a ciò che aveva combinato. Tuttavia, in entrambi i casi, era una chiara ammissione del fatto in sé. Piaciuto o no, aveva baciato un uomo e, in qualsiasi scuola, sarebbe stato un pettegolezzo difficile da sfatare.
Di sicuro poi la colpa sarebbe ricaduta sul nuovo arrivato e non certo su Takeshi, il nuotatore provetto che portava gloria all’istituto. Invece incolpare lui di omosessualità, copia mal riuscita del rappresentante degli studenti, teppista e drogato a detta di tutto il quartiere, ragazzo dalla dubbia moralità, sarebbe stato facilissimo.
Era appoggiato al balcone, perso nei suoi pensieri quando, attirato da dei rumori in giardino, buttò l’occhio in direzione del cancello. Camera sua dava direttamente in strada, ma dalla finestra si poteva scorgere anche l’entrata dell’abitazione.
Notò Akito baciare con trasporto una ragazza dai lunghi capelli castani che indossava un vestitino a fiori rossi e blu.
Era quasi l’alba e, nonostante non ci fosse anima viva in giro, Yoshi si chiese come facesse a lasciarla andare via da sola per strada. La vide attraversare la via per percorrere il marciapiede opposto e, complice la luce di un lampione ancora acceso, riconobbe il volto dell’amica di Sota, Natsumi.
Ci rimase male, perché credeva seriamente a quanto Akito aveva ammesso a proposito della sua passione per Reiko. Aveva creduto addirittura che avrebbe approfittato di Sota ubriaca, per farsi avanti. A quanto sembrava o le cose non erano andate in porto o si era buttato su una preda più facile da ottenere. Tuttavia, secondo Yoshi il confronto tra le due ragazze era impossibile. Natsumi era la classica ragazza giapponese perbene, senza ambizioni né particolari qualità, carina al punto giusto da poterci uscire senza sfigurare, da poter presentare ai genitori con facilità, perché rappresentante di una bellezza tipica del paese, che non turbava né dava troppo nell’occhio, una bellezza “tranquilla”. Invece la mezza giapponese, Reiko, era ragazza dall’aspetto disarmante. Quando passeggiava vestita in divisa, sembrava una hostess dei libercoli che si trovano alle fermate dei treni o nei peggiori izakaya . Aveva una bellezza che colpiva, che metteva a disagio, che faceva pensare “non sarò mai abbastanza per te”. Attirava gli sguardi sia di uomini di mezz’età che dei più giovani intraprendenti; sguardi lascivi e non, perché era qualcosa di diverso, da spiare e desiderare. Ricordava paesi lontani, persone sconosciute, un mondo che si cercava di eguagliare e allo stesso tempo di superare. Occhi grandi che ipnotizzavano e che a molti ricordavano personaggi famosi vittime del bisturi al fine di somigliare anche solo lontanamente ai visi europei. Le ciglia lunghe, le sopracciglia ad arco, le guance scavate, il viso ovale, nulla avevano a che fare con la tipica fisionomia asiatica. Una ragazza così era difficile da accompagnare, ma a Yoshi la sfida sembrava interessare. 
VRR VRR
La vibrazione del cellulare sul pavimento lo fece trasalire. Spense la sigaretta contro lo stipite della finestra, ignorando tutte le bruciature che aveva procurato al legno. 
Guardò il mittente della mail, che non conosceva.
“Ciao Mifune, sono Reiko. Volevo scusarmi per la mia pessima figura in casa tua alla festa. Forse ho anche dimenticato una scarpa là da te.”
Scoppiò a ridere, pensando che fosse strana anche nello scrivere messaggi. 

Nei giorni successivi, Yoshi cercò in tutte le maniere di parlare a tu per tu nuovamente con Takeshi, invano. Il nuotatore provetto infatti lo evitava di continuo, gli rispondeva male, lo trattava come se fosse un fastidioso insetto.
Quando usciva sul terrazzo dell’ultimo piano a fumare con tutti i senpai, Fujimoto prendeva la porta con una scusa qualsiasi, preferendo rinunciare alle sigarette piuttosto che stare in sua compagnia. E se riusciva a metterlo alle strette, questi scoppiava a ridere canzonandolo, dicendogli che non era cambiato nulla, che erano solo sue paranoie e che, ovviamente, non c’era motivo perché accadesse il contrario. Dopotutto, non era successo nulla. 
Eppure, aveva smesso di cercarlo. Cosicché Mifune tornò ad uscire con la sua pseudo ragazza, con gli amici della vecchia scuola, prendendosi una pausa dalle persone che aveva conosciuto nella nuova.
L’unica che non riusciva a togliersi dalla testa era Sota.
Spesso si sentivano via mail, si davano appuntamento per il pomeriggio, con la scusa dello studiare assieme o di particolari progetti scolastici. In realtà passavano le ore a parlare, ridere, andare al cinema, mangiare fuori. Yoshi iniziava ad esporsi sempre più, passando molto tempo in sua compagnia.
Dentro le mura scolastiche invece si comportavano come buoni compagni di classe ma senza esagerare, forse per paura dei possibili e molto probabili commenti. 
Un pomeriggio andarono anche allo zoo di Ueno , visita di solito riservata alle coppiette in amore. Mentre passeggiavano tra le gabbie dove stavano rinchiuse molte specie di volatili provenienti da ogni angolo del mondo, Reiko gli chiese come si trovasse a scuola. Era una domanda che gli poneva spesso, perché anche lei, in passato, si era trovata nella stessa situazione e ne aveva sofferto parecchio.
“Così così.” ammise Yoshiyuki. Camminavano uno di fianco all’altra, sollevando di tanto in tanto lo sguardo a scorgere qualche uccello dal piumaggio variopinto. Di leggere i cartellini con le descrizioni e i nomi nessuno dei due ne aveva voglia.
“Come mai?” gli chiese lei. “I primi giorni mi parevi felice.”
Avrebbe voluto spiegargli di quanto era rimasto deluso dal comportamento di Fujimoto. Se da ubriaco aveva fatto qualcosa di cui si era pentito poteva spiegarglielo, ne avrebbero riso assieme. Il suo non ammettere invece, il suo fuggire di continuo, lo feriva.  
Rimase in silenzio, perdendosi nel guardare tra le fronde degli alberi.
Dopo un po’, quando Reiko aveva perso la speranza di ricevere una qualche risposta, Yoshi si decise a parlare.
“Fujimoto.”
“Fujimoto è strano.” finì lei, facendo spallucce. “E’ incomprensibile.”
“Credevo di aver trovato un amico..” Yoshi scosse la testa, amareggiato. Si vergognò di ammettere di starci male. Era fastidioso sentirsi ignorare da qualcuno in cui si credeva. “Mi sono sbagliato.”
“E’ successo qualcosa?” Reiko si sedette su una panchina, sotto degli alberi che facevano da cornice. Trovarono così un po’ d’ombra per ripararsi dal sole cocente. 
Se le avesse raccontato del presunto bacio avrebbe potuto sicuramente dire addio alla parentesi vietata ai minori che sognava accadesse tra loro.
“No, no..” Yoshi fece qualche passo indietro, temendo che la ragazza potesse capire.
“Forse dovresti parlargli.” gli consigliò lei, notando che Mifune era in difficoltà. “Pensa che..”
Si fermò, scoppiando in una risata nervosa che attirò l’attenzione di Yoshiyuki.
“Natsumi è venuta a dirmi che dopo la festa si è..” rise di nuovo, evitando di farsi vedere in volto. “..con Akito.”
Yoshiyuki ricordò di averla vista uscire da casa sua, di averla riconosciuta andare via a malincuore.
“Si, l’ho vista anch’io.” ammise, contento che Reiko stesse raccontando altro.
La ragazza lo guardò, un po’ seria in volto. “Me l’ha detto perché temeva di farmi star male.” continuò. “Quindi se hai anche il minimo dubbio su Fujimoto, parlagli e tutto si risolverà.”
Yoshi annuì, poco convinto.
“Se lasci passare troppo tempo dopo la distanza tra voi diventa sempre più grande.”
“Come mai aveva paura di farti del male?” Yoshiyuki si stava chiedendo il motivo di tanta premura. Certo, era incredibile che un’amica andasse a letto con il peggior nemico dell’altra, ma addirittura che ciò la facesse soffrire..
“Siamo molto unite, non voleva che pensassi cose strane. Tipo che prendesse le parti di Akito.” sospirò, fissandosi le mani appoggiate alle ginocchia. 
“Mah.” Yoshi bofonchiò, pensando che comunque, anche se amiche, una delle due ci aveva dato dentro senza tanto pensare a chi avesse davanti. “Per me sono stronzate.”
Reiko lo ascoltò, nonostante nella sua mente vagassero gli stessi pensieri del biondino. 
“Non credo molto al sesso mordi e fuggi con una persona che conosci bene e sai quanto e cosa ha fatto alle persone attorno a te.” ammise lui. “Poi deve essere brava a lavarsene le mani, certo.”
Sota si morse le labbra, rimanendo in silenzio. 
“Ciò non toglie che sia una carognata.” concluse Yoshi.
Reiko pensò al fatto di non aver mai visto la camera di Akito. Non sapeva nemmeno come fosse fatta, quindi certe simulazioni non poteva farle. Non poteva immaginare i due divertirsi, la sua amica con il suo ex ragazzo, e poi il senso di colpa che la portò a confessarsi. 
“Probabilmente lo aveva già notato.” le parole di Mifune divennero come coltellate, inferte con maestria all’orgoglio già malconcio della ragazza. “Ma non si era fatta avanti per rispetto nei tuoi riguardi.”
Nonostante Yoshi non sapesse del passato di Akito e Reiko, ciò che stava dicendo, riferito solo a quel poco che conosceva, calzava a pennello. 
Vedendo che Reiko non gradiva la piega che aveva preso il discorso, Yoshiyuki si alzò in piedi, spronandola a continuare la camminata.
Non aveva ancora imparato a tenersi dentro i pensieri più cinici che potevano ferire chi gli stava vicino. Tuttavia, era seriamente intenzionato a parlare con Takeshi. Non voleva perdere un amico prezioso solo per il troppo alcol nel corpo che lo aveva portato ad intuire cose sbagliate. 

L’indomani, appena suonata la campanella che indicava il termine dell’orario scolastico, Yoshiyuki scese le scale, uscendo dalla porta posteriore, diretto ai parcheggi delle biciclette. Aveva notato Takeshi utilizzare quella via per tornare a casa, passando per la strada dietro la scuola. Da quello che gli aveva detto Koba, aspettava la sua ragazza per fare metà strada insieme e poi lasciarla proseguire in bici da sola, poiché abitavano in due zone differenti. 
Yoshiyuki era anche parecchio curioso di vedere la fidanzata di Fujimoto, cosicché uscì in fretta, trovandosi in mezzo al parcheggio dove tutti liberavano le biciclette dalle catene  e prendevano la strada di casa. Intravide in fondo Takeshi aiutare una ragazza dai lunghi capelli neri e la frangia tagliata di netto a liberare il mezzo a due ruote. Era chinato a trafficare con il lucchetto e Yoshi decise di avvicinarsi.
La ragazza, vedendolo, gli sorrise, mettendo in mostra dei denti bianchissimi. Era davvero bella, pensò Yoshi, notando come la divisa scolastica le donasse. I lunghi capelli neri setosi le incorniciavano un viso ben proporzionato. 
“Ciao.” la salutò, con un gesto della mano.
Takeshi, come punto da un insetto, si volse di scatto, sorpreso di vedere Mifune dinanzi.
Lei gli rispose con lo stesso saluto cordiale.
Fujimoto invece si alzò in piedi in fretta, come volesse proteggerla. 
“Cosa vuoi?” chiese diretto. Al che la ragazza si preoccupò, vedendolo così scostante nei confronti del ragazzo biondo.
“Takeshi..” aveva una voce sottile, simile ad un sussurro. “..è un tuo amico?”
Fujimoto annuì, presentando il fratello del rappresentante degli studenti alla sua ragazza.
“Lei è Misato.” controvoglia, si era fatto da parte, permettendo i convenevoli.
Yoshi vide Fujimoto sulle spine, indeciso sul da farsi. Sapeva che Yoshiyuki era là per parlargli, ma non sapeva come liberarsi della ragazza. 
“Misato..” fu Mifune a prendere in mano la situazione. “..posso parlare un attimo da solo con Fujimoto?”
Lei sorrise nuovamente, annuendo. “Io vado avanti, Takeshi.” gli scoccò un bacio sulla guancia, liberando con uno strattone la bici dalla morsa che la teneva in piedi. “Ci sentiamo dopo.” salutò anche Yoshi, inforcando la bicicletta e iniziando a pedalare per immettersi dal marciapiede sulla strada.
Nel frattempo il parcheggio si era svuotato, lasciando i due soli. 
“Cosa vuoi?” chiese di nuovo Takeshi, incrociando le braccia al petto. “Di che vuoi parlare?”
Yoshiyuki si grattò dietro l’orecchio, nervosamente. Si vergognava a tirare fuori quel discorso. Takeshi lo aveva già liquidato con un “sei impazzito”, prima di innalzare un muro di silenzio.
“Non sarà mica per la festa?” sbuffò Takeshi, sedendosi su un portabiciclette, spazientito. 
Yoshi annuì. 
Takeshi sorrise, scuotendo la testa, come se non credesse a ciò che stava vivendo. Yoshiyuki lo aveva incolpato di averlo baciato e, nonostante gli avesse dato del visionario, era tornato a chiedere conferma. 
“Non è che ti sarà piaciuto?” chiese, sornione.
“Allora ammetti che..” Yoshiyuki non riusciva proprio a pronunciare certe parole. 
“E che ne so!” Takeshi si passò una mano sul viso, massaggiandosi le tempie. “Non ricordo niente di quella sera, te l’ho detto. Ho bevuto tanto, troppo.”
Mifune pensò che, da dargli del pazzo, ora la nuova versione del biondo era di essersi dimenticato tutto, quindi poteva esserci stato qualcosa come no. 
“So solo che Kei è geloso di te da far paura.” ora Takeshi lo fissava serio, e a Yoshi parve un’altra persona, perché l’amico indossava la lente a contatto che gli scuriva l’occhio grigio. 
“Geloso?”
“Geloso.”
“E’ per questo che mi stai evitando da una settimana?” si sedette in parte a Takeshi, abbassando la voce, come temesse che qualcuno potesse sentirli. O che a qualcuno potessero interessare i loro discorsi.
“Sì e no.” rispose l’altro, ridacchiando. 
“Non ho mica paura di Honda..” Yoshiyuki non vedeva il motivo per cui dovevano ignorarsi a vicenda.
“Lo so.” Takeshi si accese una sigaretta, riempiendo l’aria dell’odore acre del tabacco. “Non voglio affezionarmi troppo a te, diciamo.”
Yoshiyuki lo guardò, non capendo.
“Kei mi ha fatto notare che cerco sempre di starti attorno e non ha sbagliato.” tossì un poco, il fumo che gli era andato di traverso, forse dal nervoso. “Ti conosco da poco e già non riesco a non volerti sempre tra i piedi.”
Yoshi pensò alle sue parole, che gli parvero un po’ ambigue. 
Si prese la testa tra le mani, passando poi le dita sul collo.
“Proprio non capisco che razza di rapporto abbiate.” sentenziò, sapendo di toccare un tasto dolente così facendo.
“E’ che Kei mi conosce da anni, non vuole perdere il posto d’onore!” ridacchiò Takeshi, dando una gomitata sul fianco a Yoshi. 
“Ma chi se ne frega!” reagì l’altro, inaspettatamente. “Voglio solo una persona di cui potermi fidare, mica la fidanzatina!”
Fujimoto lo guardava senza parole, pregando che la situazione non degenerasse come aveva temuto.
“Non voglio portarti via a Honda, diglielo pure.” finì Yoshi, in collera, andandosene. Era stanco di non capire nulla di Takeshi: se all’inizio il fatto che fosse introverso, incomprensibile, lo aveva incuriosito, portandolo a sentirsi simile a lui, ora lo innervosiva. Dover pensare a cosa Honda volesse o non volesse, per non ferirlo o non farlo arrabbiare, gli dava sui nervi. 
A lui di Keichiro non importava nulla e ogni giorno sempre di più lo sentiva distante dal suo modo di pensare. Perché allora doveva tenere sempre conto di quello che Honda provava? Takeshi non riusciva a dirgli di chiudere la bocca, di farsi gli affari propri? 
“Mifune.” Fujimoto lo aveva raggiunto e lo teneva per il braccio. “Io ti ho baciato per davvero.” 
Yoshiyuki fu felice dello scoprire di non essersi sognato tutto e al tempo stesso preoccupato, perché ciò voleva dire solo guai. Si scrollò di dosso la presa del biondo, fissandolo con disgusto.
“Perché?” riuscì solo a dire, pensando che aveva la ragazza, che era un uomo, che prima gli aveva dato del pazzo, poi aveva mentito ed infine aveva ammesso.
“Non lo so..” Takeshi divenne rosso di vergogna in viso, mordendosi il labbro. 
“E’ di questo che è geloso Honda, allora.” Yoshi d’un tratto aveva compreso tutto. Si passò una mano tra i capelli, incredulo.
Rimasero a fissarsi in silenzio in mezzo al parcheggio delle biciclette, quasi al cancello che dava sulla strada trafficata.
“Glielo hai detto?”
“No, ma sei scemo?” Takeshi rispose serio, come se avesse ritrovato la forza di rispondere che per un istante aveva smarrito. “Non l’ho detto a nessuno!”
Yoshiyuki lo fissava, torvo. Non gli era mai capitata una cosa simile. Non era certo il tipo che riscuoteva successo tra gli omosessuali. Non era effeminato, non ricordava in alcun modo una ragazza e tantomeno sembrava avere qualche simpatia per il mondo lgbt dato che, chi nella sua vecchia scuola sembrava avere qualche strana tendenza, veniva picchiato e preso in giro a dovere. Nemmeno Takeshi gli sembrava un ragazzo capace di provare certe cose. Lo aveva appena visto in compagnia di una bella ragazza e nei giorni precedenti acclamato da gruppi di studentesse che avrebbero fatto di tutto per divertirsi un po’ con lui. Solo la presenza appiccicosa di Keichiro lo aveva lasciato perplesso. 
Un ragazzo normale  non avrebbe sopportato a lungo l’avere un amico tanto pesante.
“Hai baciato anche Honda?” Yoshi sapeva di essersi buttato in un pozzo molto profondo da cui sarebbe stato difficile venirne fuori. 
Takeshi si grattò nervosamente la nuca, evitando lo sguardo dell’altro. “Devo andare.”
Stava iniziando a conoscere qualcosa di più di Fujimoto, e già ne era disgustato.

Nonostante Yoshi fosse riluttante all’idea di rivedere Fujimoto, e per giunta da solo, si erano dati appuntamento ad un pub che rimaneva aperto fino a tarda notte. Takeshi sembrava ora ansioso di risolvere la questione del tutto, forse perché sentiva forte la probabilità di venire diffamato da Yoshiyuki. Dopotutto lo aveva trattato malissimo e quello sarebbe stato un bel modo di vendicarsi.
Ciò che non capiva era che Yoshiyuki, in realtà, era dispiaciuto perché sapeva che la loro amicizia non poteva continuare. 
Mifune arrivò per primo e prese posto ad un tavolo verso il fondo del locale, vicino alla finestra che dava sulla strada. Le panche in legno, rigide, le pareti ricoperte di quadri e litografie, il bancone in legno massiccio e la parete dietro ricoperta di bottiglie di alcolici ricordavano per davvero un pub. Prese in mano il menu, scorrendo le varie bibite e stuzzichini.
Appena arrivò Takeshi, poterono ordinare due birre da mezzo litro, con un piatto di patatine fritte. 
Fujimoto indossava una t-shirt blu con disegnata l’union jack che lo metteva in pendant con l’ambiente. 
Parlarono della scuola per i primi dieci minuti, aspettando le bibite. Appena iniziarono a spiluccare le patatine e l’alcol entrò in circolo, ripiegarono a parlare del vero motivo per cui si erano trovati.
“Se mi hai scambiato per lui..” Yoshi era davvero scocciato di doverne parlare ancora. “..ti sei sbagliato, te l’assicuro.”
“Mifune, cazzo..” Takeshi poggiò la mano sulla fronte, come se la testa gli pesasse. “Non sono quello che tu credi.. Ho anche Misato!”
“Non capisco allora con Honda..” Yoshiyuki era convinto che tra i due ci fosse qualcosa o che ci fosse stato. Honda era troppo preso da Takeshi, e aveva finalmente compreso il perché di certi sguardi, certi atteggiamenti, certe situazioni.
“Non è successo niente.” Takeshi bevve a grandi sorsi la birra gelida, perdendo qualche goccia sul tavolo.
Yoshiyuki lo fissava, osservando i suoi occhi diversi, i suoi capelli biondi, le orecchie piene di piercing.. “Merda, non ti credo.” 
Fujimoto scoppiò a ridere, ordinando con un cenno della mano un altro giro.

Seduti sul marciapiede, appena fuori dalla zona dei ristoranti e dei pachinko di Ikebukuro, i due continuavano a ridere a squarciagola, ubriachi. Lanciavano le lattine ormai vuote contro un cartello, scommettendo su chi colpisse con più precisione il faccione del divo di turno sul manifesto appeso.
Nell’aria si sentiva distintamente l’odore di pioggia misto a quello di fritti vari e smog. Le poche persone ancora in giro per quelle vie erano malviventi o ubriaconi che tentavano di ritrovare la via di casa.
Takeshi e Yoshiyuki, dopo aver lasciato il pub, avevano gironzolato prima in una sala pachinko  poi in una di videogiochi; infine, si erano seduti a riposare e a rifocillarsi di alcol, svuotando lattine di birra prese dal distributore. 
A Yoshi scappò un rutto rumoroso, facendo scoppiare a ridere Fujimoto. Scosse la testa appena, cercando di riprendere coscienza dato che gli occhi gli si erano riempiti di lacrime dallo sforzo. Fortunatamente reggeva molto bene, quindi non aveva paura di rimettere, ma piuttosto di non riprendersi in tempo per la mattinata del giorno dopo. 
“Tutto bene?” Takeshi lo strattonò per la spalla.
L’altro annuì, accartocciando con una mano la lattina di alluminio. “Questo Honda non lo sa fare, eh?” lo stuzzicò Yoshiyuki.
Era fermamente convinto che ad Honda piacesse Fujimoto e la cosa lo mandava in bestia perché, per questo motivo, doveva sottostare ad una serie di limiti che normalmente si hanno solo quando un amico è fidanzato.
Eppure Takeshi non lo aveva ancora ammesso. Fingeva di non capire, non sapere, non credere.
“Kei è..” Takeshi notò Mifune attendere le sue parole con impazienza. Anche se erano entrambi ubriachi, continuava a cercare di stare attento a quello che diceva. “..è Kei.”
“Sì, e io sono io.” rise Yoshi del biondo in difficoltà.
Fujimoto finì di scolarsi la birra, gettando poi oltre la strada il contenitore vuoto. Fare i vandali così, di sicuro a Kei non sarebbe venuto naturale. Nemmeno di ubriacarsi per strada. Né tantomeno di vestirsi come Yoshi. Quella sera indossava un paio di pantaloni neri stretti e una canotta bianca, ma quello che più lo turbava era la miriade di catenine e ciondoli di chiara ispirazione hip hop che gli pendevano sul petto. Rise, pensando che gli ricordava il nero dell’A-Team.
Yoshiyuki, ignorando Takeshi, si accese l’ultima sigaretta del pacchetto, tendendo la mano a sentire cadere sul palmo le prima gocce di pioggia. 
“Andiamo là.” Yoshi si alzò in piedi, dirigendosi verso un parcheggio recintato, dove stava una piccola panchina coperta da una rozza pompeiana in lamiera. Scavalcò la sbarra che permetteva l’accesso solo alle auto provviste di ticket, e si diresse verso il lato meno esposto alla pioggia.
Sentì Takeshi seguirlo, qualche passo indietro. Poggiò la schiena al muro, risistemandosi i capelli umidi con la mano. 
Perse il fiato, lasciando scivolare dalle labbra la sigaretta accesa, quando percepì la mano di Takeshi stringergli la gola.
Cercò di divincolarsi, ma l’altro lo teneva fermo con forza contro la parete. Gli strinse il braccio con entrambe le mani, tirandoglielo.
Lo vide chiaramente afferrare da una tasca un coltellino svizzero, che aprì con abilità. Takeshi gli puntò la fredda lama appuntita sotto il mento, premendo appena per fargliela sentire.
Mifune non aveva parole. Se avesse voluto ferirlo o peggio, non ne capiva la ragione.
Non trovava nemmeno la forza di chiedergli il motivo, tanto era in tensione.
“Paura?” gli chiese Takeshi, sorridendo. Poteva distintamente notare lo sguardo furioso dell’altro, come se le sue parole avessero cancellato la paura.
“Se mi tagli ti pesto.” rispose Yoshi, lasciando la presa sul braccio. 
“Volevo solo mostrarti un’altra cosa che Kei non sa fare.” Fujimoto richiuse il coltello, liberando dalla stretta Mifune.
Lo aveva minacciato. Gli aveva dimostrato come, nel caso avesse ancora avuto piacere di ficcare il naso in cose che non lo riguardavano, fosse facile per Takeshi fargli del male. Aveva appena tracciato il confine della loro amicizia.
“Ho capito.” ammise Yoshi, massaggiandosi la gola. Normalmente, avrebbe colpito con un pugno il naso di Fujimoto. Ma non voleva crearsi problemi dal nulla a scuola. Tutti erano protetti dalla loro fama, tranne lui. “Honda è una cosa che non devo toccarti.”
“Guarda che anche a lui ho fatto un discorso simile.” precisò Takeshi. “Quello che accade tra me e te è affare nostro, non suo.” 
“Sì, voglio proprio vedere..” disse sarcastico Yoshiyuki, accovacciandosi a terra.
Takeshi si sistemò di fianco a lui, porgendogli il suo pacchetto di sigarette. 
“Che poi tra me e te non accade proprio niente.” Yoshi prese una cicca, usando però il proprio accendino. Aveva appena evitato di venire sfregiato, quindi gli tremavano sia le mani che la voce.
“Mi ha rotto le scatole per la festa..” ammise Takeshi, strofinandosi gli occhi con la mano. 
A Yoshiyuki sorse il timore che Honda avesse potuto vederli.
“Ci ha visti?”
“Boh, credo di sì.” 
“Cazzo..” imprecò Yoshi, grattandosi la nuca nervosamente. “Cosa ti sia passato per la testa non lo so.. ma non è giusto che ci rimetta anch’io!”
Takeshi trasse una lunga boccata dalla sigaretta, espirando poi lentamente. Il discorso del motivo per cui si era avvicinato tentando di baciarlo non era stato affrontato ancora del tutto. Ed entrambi sembravano volerlo evitare il più a lungo possibile.
Yoshiyuki temeva di dover perdere l’unica persona con cui si trovasse davvero a proprio agio per uno sbaglio dovuto probabilmente allo stato di ubriachezza dell’altro. Tuttavia, sentiva sé stesso stare sulla difensiva con Takeshi: iniziava a dubitare sia della sua sincerità che della sua forza. 
“Non lo so il perché.” Takeshi misurava le parole, facendo lunghe pause. 
Yoshiyuki lo fissava, fumando nervosamente, pensando a come dovesse essere stata da spettatore, quella scena. Gli venne quasi la nausea, non capendo cosa lo avesse spinto a fare un gesto del genere. E, ora, non capiva cosa avesse spinto lui a parlare ancora a Takeshi. Se lo avesse fatto Keichiro, per esempio, lo avrebbe picchiato pesantemente, malgrado le probabili conseguenze. 
“Vorrei solo capire perché, merda.” Yoshi si passò una mano tra i capelli, un’emicrania lancinante sul nascere. “Se qualcuno ci ha visti io continuo a rinnegare, ti avviso. Rinnego fino alla morte.”
“Credo di averti toccato appena.” borbottò Fujimoto, spegnendo la sigaretta sull’asfalto bagnato.
Se avessi usato la lingua credo che non cammineresti più su questa terra, pensò Yoshi.
Poi, un’illuminazione, una folgorazione.
“E Honda?” Yoshi tornò su un discorso che lo incuriosiva e lo respingeva allo stesso tempo.
Takeshi sospirò, poiché aveva evitato già in tutti i modi possibili di parlare di Keichiro, ma Mifune tornava sempre su di lui.
“Te lo sei fatto, eh?” ridacchiò Yoshi, tirando dall’ormai mozzicone spento. 
“No, è questo il punto.” ammise Takeshi, poggiando le spalle al muro. “L’ho sempre respinto.”
Yoshiyuki si volse per guardarlo negli occhi mentre gli raccontava finalmente tutto. Avrebbe voluto avere una telecamera per filmarlo e averne la prova, perché l’indomani sarebbe stato tutto già meno chiaro, più offuscato dai postumi della sbronza.
“E’ il mio migliore amico. Ma col tempo credo si sia fissato e da un anno a questa parte è diventato pesante, geloso, appiccicoso.”
Takeshi poggiò un gomito sul ginocchio, tenendosi la fronte. 
“Ho sempre avuto fidanzate, amiche, simpatie.. non mi ha mai rotto per loro quanto invece lo faceva per gli amici. Koba lo sopporta, ma spesso sono venuti alle mani.. Koba è un mio caro amico, adora stare con me, con gli altri.. E’ un tipo forte.”
Yoshiyuki pensò che con Koba si trovava bene anche lui. Che sebbene Takeshi lo avesse ignorato, Koba lo cercava sempre, forse consapevole della situazione. Forse non era la prima volta che capitava. Forse era abituato ai capricci di Keichiro che Takeshi assecondava sempre.
“Anche agli altri, come Onizuka, Mitsuda..” sospirò. “Poi a Kei era venuta la fissa per Akito, così ho potuto respirare un po’. Ma Akito se si stufa reagisce, lo manda a cagare.”
In effetti Yoshi non aveva mai visto Keichiro per casa loro né tantomeno aveva mai sentito Akito parlarne. Anche se Keichiro si riteneva suo grande amico, ad Akito non importava granché.
“E poi arrivi tu.”
Mifune si sentì preso in causa e tese le orecchie.
“E non so cosa mi sia preso..” Takeshi continuava a guardare a terra, tenendosi la fronte. “Ho voluto baciarti, e sotto gli occhi di tutti.”
Yoshi si mise nei panni di Honda, malvolentieri ma lo fece.
“E sapevo che Kei avrebbe visto.”
Keichiro che si volta e intravede ciò che avrebbe voluto per sé. Fujimoto che bacia un altro. Sapendo bene che Takeshi non è gay, sta comunque baciando un ragazzo. Che però non è lui.
“Credo di averlo fatto proprio per quello.”
Keichiro che vede Mifune ritrarsi disgustato, spaventato. 
“Ehi.” Yoshi ebbe l’impressione che per Takeshi, parlare di quelle cose, fosse uno sforzo incredibile. Gli toccò la spalla, scuotendolo appena, come per rincuorarlo. 
“Ti ho baciato per farlo star male.” 
Yoshiyuki pensò alle parole di Koba.
Takeshi ha trovato un nuovo giocattolo!
Koba che pareva saperne più di tutti su Fujimoto.
“Io però non sono Honda.” proruppe Yoshiyuki. 
Takeshi lo fissò, non capendo il ragionamento di Yoshi. Gli aveva raccontato tutto e lui reagiva così, cambiando discorso?
“Se vuoi giocare, giochiamo.” continuò. “Ma se la cosa non mi piace, io reagisco.”
“In che senso?”
“Non usarmi più per fare del male ad Honda.” 
L’immagine di Fujimoto così perfetta, mano a mano che lo conosceva, veniva sempre più distorta. 
Una persona che manipolava gli altri, per poter sfuggire a situazioni che non gli andavano più. Perché se Keichiro era diventato così, voleva dire che era stato un percorso in ascesa, verso quella situazione. Voleva dire che fino ad un certo punto a Fujimoto era andato anche bene e che, poi, si era stancato. Ma era talmente disinteressato che non voleva dargli spiegazioni, voleva che le cose si sistemassero da sole.

Durante l’intervallo, Yoshiyuki era in fila ai distributori automatici con l’intenzione di prendersi una bibita. Il caldo tremendo degli ultimi giorni lo spossava.
Dall’uscita notturna con Fujimoto, poche cose gli erano rimaste nella testa: una fra tutte, la consapevolezza di essere stato “usato” per ferire Honda. Se qualcuno oltre a lui li avesse visti, c’avrebbe rimesso Yoshi e non certo Takeshi. Ma questo sembrava non interessare minimamente Fujimoto. 
Notò che il ragazzo in attesa del caffè era proprio Keichiro, la divisa perfettamente stirata come al suo solito, quell’aspetto impeccabile che a Yoshi ricordava tanto quello del fratello. Nonostante entrambi sapessero ciò che era accaduto alla festa, avevano continuato a salutarsi senza problemi. Pareva che Keichiro sfogasse le sue frustrazioni solo su Fujimoto, non prendendosela direttamentecon Mifune. 
“Anche stamattina abbiamo esagerato con il gel, eh?” gli chiese Keichiro, passandogli accanto, mentre soffiava sul caffè bollente. 
Yoshi gli sorrise a malincuore, chiedendosi perché solo lui venisse preso in giro. Nessuno sembrava accorgersi che Fujimoto si acconciava proprio come lui.
Mentre osservava Keichiro andare verso le finestre che davano sul giardino, sedendosi su una sedia libera, pensò a quello che aveva capito di quel ragazzo. Era innamorato di Takeshi, non ricambiato. Quindi gli piacevano i ragazzi, anche se non si sarebbe detto. Ed era per quel motivo che a Yoshiyuki non dava fastidio, com’era invece successo in passato con compagni di scuola parecchio effeminati vittime di bullismo. 
Ottenuta la lattina di Fanta, si avvicinò a Honda. 
Avrebbe voluto scusarsi della festa. Non capiva perché, ma lo infastidiva essere stato partecipe di una presa in giro ai suoi danni. Giocare con i sentimenti non era bello. E a lui, Keichiro non aveva fatto proprio niente.
Rimase invece impalato a fissarlo, aspettando che Keichiro rompesse il ghiaccio.
Dei ragazzi che correvano per il corridoio lo evitarono per un soffio, imprecando contro Yoshi che rimaneva imperterrito a guardare di fronte a sé.
“Ti ha dato fastidio il commento di prima?” chiese Kei, finendo il caffè.
Yoshi deglutì a fatica, la gola stranamente secca. “Se puoi, perdonami.”
Si vergognò talmente tanto delle parole dette che dovette girarsi in fretta, per evitare di incrociare lo sguardo dell’altro, incredulo. Si diresse verso la classe, mentre la campanella richiamava all’ordine.
Appena varcò la soglia si trovò faccia a faccia con Fujimoto.
Era difficile stargli alla larga dato che erano nella stessa classe.
Era riuscito a parlare con Koba prima di ritrovarselo fuori a fumare, dovendo quindi cambiare discorso.
Koba aveva detto a Yoshi di stare in guardia, perché non tutto quello che diceva Fujimoto corrispondeva a verità. Che aveva un carattere molto simile a quello di Akito: subdolo, egoista e pronto a tutto per raggiungere ciò che voleva. Che finché a Fujimoto era andato bene, Keichiro era l’amico di cui aveva sempre bisogno. Da quando invece era arrivato Yoshi, sembrava non avere occhi che per lui. E, secondo Koba, non era confortante. 
Ciò nonostante, l’ascendente che Fujimoto aveva su tutti era qualcosa che aveva colpito anche Yoshiyuki. Più raccontavano di quanto Fujimoto trattasse male le persone, più si chiedeva perché queste permettessero a Takeshi un comportamento simile. 
Koba gli aveva confidato che Takeshi lo considerava come un fratello. E avrebbe aggiunto altro, se Takeshi stesso non fosse sopraggiunto.

Quella sera uscì nuovamente con i ragazzi della sua vecchia scuola, poiché era il compleanno di uno di loro. Si ritrovò a mangiare okonomiyaki nella solita bettola, fumando e riempiendosi la pancia di squisitezze. L’atmosfera era allegra, spensierata, quello che ci voleva dopo tutto quello che era accaduto a Yoshi.
Quando ebbero finito la cena, optarono per il karaoke, proposto proprio da Kasumi, la ragazza che Yoshiyuki frequentava. Sebbene nella sua testa gravitasse perennemente Reiko, continuava a sfogarsi su Kasumi, immaginando l’altra ragazza al suo fianco e nel suo letto. Kasumi era carina, ma non eccezionale. 
Mentre camminavano per le vie di Ikebukuro Ovest, nei pressi della stazione dei treni, Yoshiyuki riconobbe Koba in compagnia di Fujimoto, Onizuka e altri ragazzi della sua nuova scuola. Vide Takeshi abbracciato a Misato con un vestitino rosa pesca. 
Fu strano incrociarli per Yoshi. E ancora più strano il fatto che Fujimoto non amasse chiedergli di uscire quando era presente anche Misato. Nemmeno Honda sembrava nei paraggi.
Attraversò la piazzetta davanti la stazione, a mano con Kasumi, seguendo il resto del gruppo, diretto ad un edificio preciso dove potersi divertire a cantare vecchie canzoni pop.
“Buonasera Mifune, eh!” urlò Onizuka, il ragazzo con l’aria adulta, riconoscendolo tra la folla.
Tutto il gruppo di Koba si sbracciò a salutarlo; tutti tranne Takeshi che, il braccio a cingere le spalle di Misato, gli sorrise appena. 
“Chi sono?” chiese Kasumi, fermandosi un attimo.
“I miei nuovi compagni di scuola.” rispose frettoloso Yoshi, tirandola verso gli altri che ormai stavano attraversando il passaggio pedonale.
Una serata al karaoke non lo elettrizzava ma non aveva voglia di ritrovarsi nuovamente con Takeshi.
Pagarono la stanza e salirono tutti al decimo piano, esaltati dall’idea di cantare a squarciagola assieme.
Yoshiyuki passò le successive tre ore a sopportare gli altri urlare e saltare sui divanetti, come bambini esagitati. Poiché gli era salito un’emicrania tremenda, forse dovuta alle canzoni e alle troppe sigarette fumate tutte nella stessa stanza, decise di scendere a prendere una boccata d’aria.
Anche se  mezzanotte, dato che era sabato, le strade erano ancora gremite di persone, auto e quant’altro. 
Decise di fare quattro passi, per sgranchirsi le gambe. Avrebbe preferito di gran lunga passare la nottata a letto, magari anche solo a dormire, per far riposare la testa.
Percorse le solite strade che conosceva come le proprie tasche, rivedendo scene già viste. 
Poi notò fuori dal girls bar dove lo avevano portato spesso Koba e gli altri Takeshi che fumava. Stranamente fumava all’aperto, quando era possibile comunque anche all’interno. Lo vide guardare il cellulare spesso, tirarlo e rimetterlo in tasca più volte, come se stesse aspettando qualcuno o qualcosa. Indossava una canotta nera con un pantalone bianco corto al ginocchio, i soliti capelli acconciati con il gel e qualche forcina. 
Yoshiyuki, nonostante si fosse ripromesso di stargli alla larga, gli si avvicinò.
“Aspetti qualcuno?” gli chiese, prendendolo alla sprovvista.
“Ciao..” gli diede un colpetto al braccio, per salutarlo. “Carina la tua ragazza.”
Yoshi stava per spiegargli che era un’amica, una con cui si frequentava e che solo in passato era stata la sua fidanzata.
“Scusa se non ti ho invitato oggi, ma mi sembravi un po’ scosso dall’altra sera per vedermi ancora.” si affrettò a spiegare Takeshi, prendendo tra le dita la sigaretta. “Poi con Misato attorno sono parecchio noioso.”
Yoshiyuki pensò che forse il suo saluto gelido era proprio dovuto alla presenza della ragazza, ma non capì il motivo. 
“Sei da solo?” gli chiese Fujimoto, non scorgendo nessuno con Yoshi.
“Avevo voglia di fare due passi. Detesto il karaoke.” spiegò Yoshi, infilando le mani in tasca. Era vestito con un pantaloncino corto militare, abbinato ad una canotta nera traforata, sovrapposta ad una bianca, su cui troneggiava una piastrina militare americana. “Tu chi aspetti?”
“Ah, nessuno, nessuno.” sorrise Takeshi. “Se vuoi ti faccio compagnia nella tua passeggiata.”
I due si incamminarono per la strada principale, uno di fianco all’altro, in silenzio.
Ad un certo punto, Takeshi gli chiese se aveva con sé il suo cellulare, ma Yoshi rispose che lo aveva lasciato nella borsetta di Kasumi, com’era solito fare quando usciva con lei. Si chiese poi il perché di quella domanda, ma preferì non indagare. 
“Sei ancora arrabbiato con me?” gli chiese poi Takeshi.
“Non sono arrabbiato.” Yoshi pensò a dove stesse andando a parare Takeshi, ossia il discorso del ferire gratuitamente Honda. “Sono solo deluso. Honda è tuo amico, no?”
Takeshi sospirò, rassegnato.
“Se avrai mai qualcuno di simile addosso capirai.” disse a Yoshi, cercando di discolparsi. “Uno come Kei ti manda via di testa, te l’assicuro.”
“Boh, non do corda a certe persone.” sbuffò Yoshi. “Comunque mi sono scusato.”
“E di che?” 
“Della festa. Anche se non credo abbia capito.” 
Fujimoto scoppiò a ridere, piegandosi in due non riuscendo a smetterla. Yoshi si fermò, aspettando che finisse.
“Scusami se ho baciato Takeshi proprio sotto il tuo naso!” lo canzonava Fujimoto, imitando la sua voce.
“Casomai scusami se Takeshi mi ha baciato.” precisò Yoshiyuki, spingendolo per una spalla. 
“Secondo me sei incazzato per altro.” Takeshi si asciugò le lacrime che gli erano scese dal ridere, dall’idea di Keichiro che fissava Yoshiyuki con odio, traducendo le sue scuse come l’ennesima presa in giro. 
“Tipo?”
“Che ti ho usato.” Takeshi divenne serio di colpo. 
Yoshiyuki annuì. “Anche per quello.”
“Beh, potevo sceglierne tanti e ho scelto te. Non ti sei chiesto perché?” Takeshi gli si fece vicino, parlando a bassa voce. “Per di più io ti volevo baciare.” 
“Dai, cazzo..” Yoshi ridacchiò, spingendo Takeshi lontano. “Se parli così mi vengono i brividi.”
“Mifune vuoi capirlo o no?” Fujimoto lo prese per le spalle, scuotendolo appena. “Guardami un attimo.”
Yoshiyuki lo fissò negli occhi, notando come si fosse fatto serio e deciso. Per un attimo gli balenò in testa un’idea malsana, amorale e sperò che Fujimoto non si riferisse a quella.
“Il problema tra me e te..” Takeshi abbassò gli occhi diversi al pavimento di ciottoli sotto i loro piedi. “..è che io ti bacerei anche adesso.”
Yoshi barcollò, non credendo alle proprie orecchie. Una dichiarazione in piena regola da Takeshi che considerava il proprio migliore amico.
“Stai scherzando, vero?” balbettò.
“No, proprio no.” Takeshi gli lasciò le spalle, fissandolo. “Non so proprio cosa mi sia preso..”
Si prese il viso tra le mani.
“Non hai idea di quanto mi faccio schifo..” continuò Takeshi, mentre Yoshi notava che, per fortuna, la stradina che avevano imboccato era deserta e quindi nessuno li avrebbe potuti vedere né sentire. “Non ho mai provato una cosa simile..”
Yoshiyuki non sapeva cosa dire o fare. Rimase là a fissare l’amico vergognarsi di un sentimento simile e del fatto di metterlo in difficoltà. Dire una cosa del genere equivaleva a perdere la fiducia di Mifune, Takeshi ne era certo.
“E Misato?” chiese Yoshi, a stento.
“Le ragazze mi piacciono e mi piaceranno sempre, andiamo..” rispose Takeshi, come se la cosa fosse ovvia. “Ciò che non capisco è come faccio a volerti.”
Yoshi cercò di connettere il cervello alla bocca, che muoveva senza però riuscire ad emettere altro che strani monosillabi. Non riusciva a concepire quello che Takeshi gli aveva appena detto. Gli balenarono nella testa fotogrammi di video porno, immagini di uomini che si baciavano tratte da qualche videoclip o servizi fotografici e gli salì un conato di vomito. 
“Non so cosa dirti.” proruppe, respirando a fatica. Cercava di controllarsi, perché d’istinto avrebbe voluto scappare, correre via, lontano da quelle parole.
“Non importa.” Takeshi gli sorrise, tendendo una mano per carezzargli il viso, ma Yoshi, velocemente, gli bloccò il polso.
“Non mi toccare.” parlò con voce ferma mentre ogni nervo del suo corpo era in tensione per proteggersi.
Percepì Fujimoto spingersi in avanti, forse ritenendo quella stretta che Yoshi aveva appena sciolto solo uno scherzo. 
Yoshiyuki scattò, fendendo l’aria con il proprio pugno destro chiuso, colpendo poi in pieno viso Takeshi.
Vide l’amico premersi una mano sul viso con forza, perdendo appena l’equilibrio. Lo sentì imprecare pesantemente.
Attraverso le dita Yoshiyuki riconobbe il colore vermiglio del sangue. Doveva aver assestato un bel gancio diretto al suo naso.
Takeshi reagì afferrando velocemente Yoshi per la canotta, sollevandolo e buttandolo di lato per terra, facendolo ruzzolare su una pozzanghera. Si chinò in ginocchio, continuando a scuoterlo, facendogli sbattere la schiena sull’asfalto, mentre Yoshi tentava di divincolarsi, stringendogli le braccia con le dita e scalciando, inutilmente. Takeshi gli era sopra e gli rendeva difficile il riuscire a liberarsi dalla sua presa.
Yoshi lo fissava con odio, osservava il sangue colargli dalle narici lungo il mento, cercando di afferrargli il collo, per strozzarlo e infine liberarsi. Ma in quella lotta silenziosa, solo il rumore dei loro corpi sulle pozzanghere a riempire le loro orecchie, Takeshi sembrava avere la meglio.
Gli bloccò un braccio, tenendoglielo fermo contro il pavimento, sopra la testa. 
Entrambi sporchi di fango, lottavano per difendersi l’uno dall’altro. 
“Lasciami, cazzo..” sussurrò appena Yoshi, sentendo le forze venirgli meno. Si era dimenato come un ossesso ma Takeshi era più pesante, più forte. Lo aveva colpito al viso ma le braccia iniziavano a fargli male, tanto Fujimoto gliele stringeva e teneva ferme col proprio peso. 
Takeshi mollò la presa, rimanendo seduto su Yoshi, come per fargli capire che, se si fosse mosso per colpirlo, lo avrebbe potuto fermare immediatamente. Mifune rimase invece steso, immobile, cercando di ritrovare il respiro. Si tirò su la canotta dal ventre, quasi a scoprirsi il petto per ripulirsi il viso bagnato e sporco. Anche Takeshi si passò il braccio sul viso, per pulirsi del sangue che aveva sulle labbra e sul mento. 
Guardando il sangue rappreso sul viso dell’amico, a Yoshi venne da scusarsi, ma la perse subito ripensando al motivo di quel pugno.
“Vuoi colpirmi ancora?” rise Takeshi, tirando rumorosamente su col naso il sangue che continuava a colare.
“No.” si limitò a rispondere l’altro.
“Ti sei calmato?” gli chiese Fujimoto, alzandosi in piedi e porgendogli la mano per aiutarlo a tirarsi su. 
Yoshi la afferrò. “Che stronzo.”
“E’ stata proprio uguale alla mia reazione quando Kei si dichiarò!” rise ancora Takeshi, passandosi le dita sulla bocca, togliendosi gli ultimi rimasugli di sangue. 
“Come no..” rispose Yoshiyuki, sistemandosi la maglietta. Era bagnato fradicio, dalla testa ai piedi, dato che aveva lottato sdraiato sull’asfalto ricoperto d’acqua sporca. “Scommetto che l’hai inculato dalla gioia..”
“No.” rispose serio Takeshi, strizzandosi la canotta dall’acqua raccolta dalla pozzanghera. “Proprio no.”
Notò Yoshi mettersi a posto le collanine dorate che teneva sul petto, raccogliendo tutti i pesanti pendagli nel mezzo. “Raccontami, allora.”
Takeshi scoppiò a ridere di gusto; non gli sembrava possibile che a Yoshi, dopo tutte le volte che gli aveva detto di quanto fosse indifferente a tutti e a tutto, ora interessasse sapere di lui e Keichiro. “Preferisco andare a casa a darmi una lavata.” rispose poi Takeshi, voltandosi a tornare indietro per la strada che avevano percorso.
Sporchi, si divisero all’entrata del girls bar, dando nell’occhio come fossero dei barboni, pronti ad affrontare le domande sul perché della loro condizione. 
Yoshi si diresse verso il karaoke bar, entrando nell’edificio sotto lo sguardo rassegnato della ragazza alla reception. Entrò nell’ascensore, diretto al piano dove avrebbe trovato i suoi amici. Appena entrò nella stanza, raccontò di essersi imbattuto in un ragazzino che voleva rubargli il portafoglio, che si erano scazzottati e alla fine aveva vinto lui ma con un triste esito dato che si era infangato tutto. 
Kasumi gli si era buttata al collo, preoccupata che gli fosse successo qualcosa. Si baciarono per un po’ sui divanetti, mentre i restanti tornarono a rivolgere lo sguardo allo schermo che mandava un video musicale su cui cantare. La storia era finita, quindi la loro attenzione alle parole di Yoshiyuki era scemata. 
Nel frattempo Yoshi spogliava appena le spalle di Kasumi, facendole scivolare la scollatura della maglietta per baciarle la zona delle clavicole, poi il collo, fino al mento, alle labbra. Delle volte avrebbe voluto possedere quel corpo vuoto, senza dover ascoltare quella voce odiosa parlargli di sentimenti, rispetto, amore. E da quando aveva iniziato a frequentare la nuova scuola, vuoi per Reiko, vuoi per tutte le vicissitudini che gli riempivano la testa, sentiva sempre più forte quel desiderio.  
“Yoshi..” lei si staccò dal suo bacio, indicando la propria borsetta abbandonata sul divanetto accanto a loro. “Il tuo cellulare ha squillato tutto il tempo.”
Yoshiyuki ignorò quell’informazione, tornando a divertirsi con la ragazza, pregustando l’inizio di una nottata in sua compagnia. Quando però sullo schermo del televisore comparve la canzone preferita di Kasumi, dovette lasciarla andare a scatenarsi sul tavolino in compagnia di altre due ragazze. Ammiccavano a strani amplessi, suscitando l’ilarità generale e su alcuni pure strani interessi. 
Mifune approfittò perciò del momento e aprì la pochette argentata, trovandovi il proprio telefonino all’interno. Appena aprì il cellulare, comparvero sullo schermo un paio di chiamate senza risposta e qualche messaggio. Li lesse, trasalendo. 
Erano tutti di Takeshi, che gli chiedevano se poteva vedersi con lui, dov’era, se lo disturbava. Guardò l’orario e capì che erano stati inviati tutti prima del loro incontro. 
La persona che Takeshi stava aspettando fuori dal locale era dunque lui e nessun altro.

I giorni successivi passarono senza lasciare alcuna traccia in Yoshiyuki, troppo impegnato a studiare per riuscire a recuperare i brutti voti che prendeva costantemente in matematica.
Inoltre, l’insegnante di inglese lo utilizzava come supporto durante le lezioni di recupero pomeridiano, approfittando della sua ottima dialettica in lingua. Si ritrovò così a passare ore e ore assieme a ragazzi e ragazze del primo anno, instaurando conversazioni in inglese per migliorare le loro capacità linguistiche. Per lui era una passeggiata, in quanto si trattavano di semplici roleplay da interpretare. 
Una mattina, mentre era impegnato a preparare una presentazione in inglese di uno stato europeo per allenare la classe all’utilizzo di termini difficili, Reiko si avvicinò al suo banco, situato nell’ultima fila. 
Lo salutò come al solito, soffermandosi però dinanzi a lui.
Ultimamente, siccome Kasumi era molto disponibile nei suoi riguardi, Yoshi aveva smesso di uscire tutti i pomeriggi con Sota, senza pensare alle possibili conseguenze che, tuttavia, non accaddero.
“E’ stata decisa la meta della gita scolastica.” proruppe lei, a bassa voce. “Volevo avvisarti che andremo con la classe di tuo fratello.” 
Yoshi immaginò cosa volesse dire per entrambi. La costante presenza di Akito li avrebbe costretti a comportarsi in maniera più distaccata?
Poi, lei fece per andarsene, ma si fermò nuovamente, sorridendo forzata. 
“Misato mi ha detto che la tua ragazza è carina.”
Yoshiyuki sentì una fitta al cuore e le guance avvampare dalla vergogna. 
La osservò tornarsene al suo posto, pronta per la lezione che stava per cominciare.
Con quella semplice affermazione, cosa aveva voluto dirgli in realtà? Ne era stata ferita?
Cercò con scarso impegno di seguire il professore spiegare gli integrali, rimanendo a fantasticare fino alla campanella dell’intervallo. Avrebbe voluto parlarle, avvicinarsi, chiederle, ma la vide sparire con delle ragazze fuori dall’aula. Decise così di andare sul terrazzo in cima alla scuola, per fumare in santa pace, spegnendo per un attimo il cervello.
Dall’alto si godeva di una vista mozzafiato e un’arietta fresca sferzava appena, scompigliandogli i capelli. Rimase appoggiato alla balaustra assaporando la sigaretta appena accesa.
E lo vide, disteso per terra, lo sguardo puntato al cielo, mentre tirava da un mozzicone.
Erano giorni che Takeshi non si faceva vedere a scuola e trovarlo lì per Yoshi fu una sorpresa.
Gli si avvicinò, guardingo. 
“Ciao.” 
Non ricevette risposta, in quanto Takeshi stava indossando degli auricolari, ascoltando dal lettore mp3 che teneva appoggiato sul petto. Gli diede appena un colpetto con il piede, richiamandolo dalla musica. 
Takeshi si ridestò, mettendosi a sedere, e sorridendogli. “Ciao Mifune.”
“Come mai qui?” gli chiese Yoshi, sedendosi in parte. “Iniziavo a preoccuparmi.”
Takeshi scoppiò a ridere, spiegandogli poi che era incappato in una rissa e aveva riportato un naso rotto come conseguenza al suo essersi impicciato. Anche Yoshi rise, capendo che si stava riferendo al suo pugno.
“Ho preferito aspettare di guarire del tutto.” si massaggiò la punta del naso. “Mi faceva parecchio male e sai.. ho una mamma un po’ ansiosa.”
Takeshi avvolse gli auricolari attorno al piccolo apparecchio elettronico, riponendolo poi nella tasca dei pantaloni.
Yoshiyuki avrebbe voluto dirgli che si era accorto dei suoi messaggi sul cellulare, che non capiva perché avesse voluto dichiararsi, perché avesse rischiato di compromettere tutto. Aveva creduto che non sarebbe più riuscito a stargli affianco, a parlarci; ma tutto ciò si era rivelato inutile. La presenza di Takeshi per lui era necessaria.
“Se vuoi oggi pomeriggio usciamo tutti assieme.” gli propose Fujimoto, gettando la sigaretta finita lontano da loro due.
Yoshiyuki avrebbe voluto dirgli di sì, ma preferiva risolvere prima con Reiko. “Misato ha parlato con Reiko di Kasumi.”
“Kasumi?” Fujimoto cadde dalle nuvole. “E chi è?”
Yoshi sorrise. “La mia ragazza.” avrebbe voluto mordersi la lingua per non dover sentire nominare Kasumi a quel modo. Si erano lasciati e ripresi un sacco di volte che ormai poteva chiamarla “ripiego” più che sua fidanzata.
“E allora?” Takeshi finse di non seguirlo.
“Sembra che Reiko sia gelosa.” spiegò Yoshi. “Così volevo trovarmi con lei per chiarirci.”
“Ah.” Takeshi gli rispose con un gemito, ricacciando dentro domande che gli sorgevano spontanee. Era davvero perso per Reiko? Aveva capito chi si trovava davanti? E ciò che la univa ad Akito?
Preferì non essere lui a guastargli i piani, quindi sorrise appena, dicendo che era un’ottima idea.
Yoshi lo fissò di traverso. Che fosse geloso?
“Ti piace proprio, eh?” gli chiese malinconico Takeshi, fissando il cielo azzurro terso.
Yoshi annuì, ritrovandosi a pensare che, se per sbaglio avesse baciato Reiko alla festa com’era successo invece con lui, tutto sarebbe stato diverso. 
“Secondo me anche tu le piaci.” continuò Takeshi. Le piaci perché sei la copia di Akito. Perché i tuoi occhi sono come i suoi. Perché se può ferirlo, venendo con te che sei suo fratello, questo è l’unico modo.
“Speriamo.” terminò Yoshiyuki. Stranamente, si trovava in difficoltà a parlare di Sota con Fujimoto. 
Sentiva i suoi occhi addosso, come se volesse dirgli molto più di quello che usciva dalla sua bocca. 

Akito si stava asciugando i capelli col phon, guardandosi allo specchio intensamente. Negli ultimi tempi era riuscito a cancellare ogni segno della sua adolescenza come brufoli, punti neri e altre imperfezioni del viso dovute agli ormoni in subbuglio. Aveva cercato di curare il proprio aspetto fisico sin dal principio, optando per un taglio di capelli all’ultima moda, iscrivendosi nella palestra vicina, stando attento a non assumere troppi carboidrati.
Anche quella sera avrebbe avuto un appuntamento galante con una delle ragazze più belle della sua scuola, una certa Miku del terzo anno. Sebbene fosse di un anno più grande, era parsa molto interessata ad Akito, tanto che lo aveva tampinato via mail per un mese buono prima di riuscire a ottenere un invito.
Nell’ultimo anno Akito era uscito con molte ragazze ma nessuna gli era rimasta in mente. Anche Natsumi, l’amica di Sota, era caduta nella rete ma, nonostante lo avesse fatto davvero divertire, non era riuscita ad ottenere ancora una seconda chance.
Prima o poi finiranno, pensò ridendo il moro.
Si pettinò con cura dei ciuffi, dando la piega giusta alla pettinatura, con un pettine sottile. Essere popolare lo rendeva invulnerabile e al tempo stesso lo sottoponeva a una forte dose di stress. Doveva essere sempre perfetto, il migliore in tutto. Alcune dritte, come la postura corretta per non sgualcire la camicia e il giusto passo misurato che tanto incuteva timore tra le matricole, gliele aveva consigliate il suo amico Keichiro, rampollo dell’alta società che di buone maniere se ne intendeva. Era una delle poche persone con cui aveva legato seriamente, anche se, talvolta, lo considerava un pericolo alla sua reputazione per le frequentazioni extra-scolastiche. Usciva spesso infatti con dei senpai dall’aria poco raccomandabile nella zona di Ikebukuro.
Quella sera però, anche Akito si sarebbe recato in quelle zone, per cenare in un costoso ristorante di cibo italiano. Sua madre glielo aveva consigliato volentieri, proprio per dargli la sicurezza di fare colpo. 
Uscì dal bagno, diretto in camera propria, sorpassando la porta della stanza dei genitori. Entrò, spostandosi ad aprire le ante dell’armadio ad angolo per scegliere l’abbigliamento della serata. La sua camera era abbastanza fredda, corredata di un grande tappeto zebrato e una scrivania su cui troneggiavano quaderni e libri. Il lato opposto alle due grandi finestre che davano luce all’intero ambiente era invece occupato da una grande libreria a ponte, cui sotto era posto il letto.
Tirò fuori dall’armadio un pantalone stretto grigio e una camicia a maniche corte, iniziando a vestirsi.
Quand’ebbe finito, afferrò dalla libreria una boccetta di profumo color ambra, spruzzandosene un po’ sui polsi e sul collo. 
Uscì dalla stanza, percorrendo le scale sino al piano terra. Prese dal tavolo della cucina il proprio portafoglio, il cellulare, le chiavi che aveva lasciato apposta lì. Salutò i genitori appollaiati sul divano a guardare la televisione, prendendo la porta, diretto dalla ragazza.
Si erano dati appuntamento in centro, così prese la metropolitana e, dopo qualche minuto, scese alla fermata decisa. Lei lo aspettava appena fuori, alla fine della scalinata, avvolta in un tubino blu scuro che lasciava intravedere un fisico asciutto. Aveva raccolto i capelli in una coda alta, lasciando scoperto il collo adornato solo di una catenina sottile.
“Sei bellissima.” gli sorrise lui, porgendogli con fare galante il braccio. Lei vi si aggrappò, ridendo, sentendosi una principessa al suo fianco. Tutte le ragazze che frequentavano il loro istituto ritenevano il rappresentante degli studenti il più bello in assoluto quindi, uscire con lui, equivaleva a vivere di luce riflessa di cotanto splendore.
Si diressero verso il locale prescelto, dove, prima di entrare, Akito ebbe cura di aprire la porta a Miku, come Keichiro gli aveva raccomandato. Usanza prettamente occidentale ma di grande effetto, gli aveva assicurato.
La ragazza infatti divenne di tutti i colori e, mentre il cameriere li conduceva al tavolo prenotato, continuava a dire ad Akito che si sentiva troppo coccolata da tante attenzioni. Che un ragazzo normale non avrebbe mai avuto tante premure. Ma lui era Mifune.
Presero posto, uno di fronte l’altra, sfogliando il menu alla ricerca di una possibile scelta come cena.
Akito optò per un filetto cottura media con contorno di verdure grigliate, Miku per un primo a base di carne. Il maitre consigliò poi un vino corposo che facilmente si abbinava alle loro due scelte e Akito acconsentì. Si sentiva il re del mondo. 
Attendendo il cibo, venne portato loro il vino, con cui riempirono i due grandi balloon di cristallo. Mentre sorseggiavano, chiacchierando del più e del meno, Akito sussultò sentendo la tasca dei pantaloni, dove teneva il telefonino, vibrargli. 
Chiese scusa, dicendo che potevano essere i suoi genitori, mentendo su un’ipotetica nonna cui era tanto affezionato e che era tanto malata. Diede un occhio alla mail che gli era arrivata, il cui mittente, stranamente, era Fujimoto Takeshi, amico di Keichiro e ultimamente anche del suo gemello. 
Tuo fratello stanotte si scopa Sota, diceva il messaggio. 
Akito rimase ammutolito. Un secondo prima aveva un sorriso ebete stampato sul volto che ora si era trasformato in una smorfia incredula.
Il pensiero di Reiko a letto con Yoshiyuki gli fece gelare il sangue.
Gli vennero in mente tutti i pomeriggi passati con lei a coccolarsi, passare le ore baciandosi, raccontando le proprie giornate che, inevitabilmente data la stessa scuola, combaciavano.
Poi i primi passi a scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa che lo aveva segnato, che gli aveva fatto capire quanto può portare piacere e quanto infliggere dolore. Quella cosa che Akito aveva avuto, non voleva dividerla con nessuno. Tantomeno con il suo gemello. E glielo aveva detto, lo aveva avvertito.
E nonostante ciò, lui osava.
“Tutto bene?” chiese Miku, vedendolo sudare freddo, fissando lo schermo del piccolo videofonino.
Lei che gli aveva insegnato quanto una persona può entrarti dentro e distruggerti dal profondo. Per colpa sua non riusciva più ad aprire il proprio cuore, ma solo la patta dei pantaloni. Ora lei voleva la sua copia? 
Spiegati meglio, digitò sul cellulare, spiegando invece a Miku che molto probabilmente la loro serata finiva lì, causa un malore improvviso del nonno.
“Ma non era la nonna?” precisò la ragazza, sentendosi presa in giro.
Tuo fratello credo sia a casa sua, rispose Fujimoto. 
Akito scattò in piedi, facendo cadere il tovagliolo e le posate a terra, ignorando la ragazza e lasciando la sala. Non gli importava del conto che avrebbe dovuto saldare lei né tantomeno delle facce degli altri ospiti che lo guardavano uscire in fretta.

Akito corse con tutte le forze che aveva in corpo verso il condominio che conosceva bene. Dal ristorante dove aveva portato la sua ragazza fuori a cena si trattava di quasi un chilometro che pareva non finire mai. Sorpassò nemmeno guardando, un incrocio trafficato, evitando per un soffio di essere investito da una bicicletta.
Raggiunse il portone in legno scuro ormai senza respiro, spingendolo ed entrando nell’atrio.
Aveva tenuto con sé, appesa al mazzo delle sue chiavi, quella che apriva la porta scorrevole in vetro per accedere ai vari piani del condominio dove abitava Reiko. Era stata proprio lei, durante il loro fidanzamento, a fargliene una copia, dato che spesso, quando era da sola, le piaceva averlo per casa. Infilò la chiave nella consolle, facendo scattare la porta. Raggiunse l’ascensore, digitando il numero del piano che gli interessava, ossia il quinto.
Poggiò la schiena sulla parete riflettente del vano, cercando di riprendere il controllo.
L’idea che suo fratello potesse anche solo averla toccata gli faceva ribollire il sangue nelle vene. L’aveva rifiutata, calpestata e per niente al mondo avrebbe voluto trovarsela di fronte, felice e amata dalla sua brutta fotocopia.
Il campanello dell’ascensore segnalò il suo arrivo, aprendosi sul corridoio. 
Corse nel corridoio per qualche decina di metri, svoltando a destra e trovandosi di fronte alla porta dell’appartamento numero 509.
Bussò forte, poggiando l’orecchio per sentire eventuali strani rumori.
Sentì invece rumore di passi, poi un chiavistello che veniva girato e lo scatto della porta che si apriva di qualche centimetro.
Scorse Reiko, che, sorpresa di vederlo, si affrettò ad aprire del tutto.
“Ciao.” Akito entrò velocemente, spostandola di lato, guardandosi attorno. “Lui dov’è?”
“Lui chi?” Sota chiuse la porta, sbirciando in corridoio se qualche vicino curioso avesse per caso buttato l’occhio, incuriosito da certe visite serali.
“Mio fratello.” rispose lui, buttandosi a quattro zampe per vedere sotto il divano.
La televisione era accesa su un poliziesco, rumori di spari e sgommate ovattati.
“E’ andato via ore fa.” rispose lei, incrociando le braccia al petto. “Si può sapere che vuoi?”
Akito si alzò in piedi, ignorando la sua domanda. Gli venne in mente la camera di lei, e si fiondò oltre il salotto, verso un disimpegno. Svoltò sicuro, poiché ricordava benissimo la pianta del piccolo appartamento di Sota e sua madre.
Lei lo seguì, continuando a chiedergli il motivo di quella visita.
Akito entrò nella camera di Reiko, dalle pareti dipinte di rosa e bianco, con decine di poster appesi alle pareti, il letto al centro della stanza e la grande finestra con le tende rosa antico. Solo una libreria non ricordava, per il resto ogni mobile era ancora al proprio posto.
“Se n’è andato nel pomeriggio, Akito.” ripeté lei, sull’uscio. Lo guardava aggirarsi per la stanza, alla ricerca di qualche indizio. 
Akito stava per aprire i cassetti del mobile bianco con lo specchio, quando gli cadde l’occhio su delle foto incorniciate.
Erano di diverse dimensioni, ognuna con la propria cornice colorata, spesso coperte ai lati da purikura e altri adesivi colorati. Riconobbe dei momenti, dei ricordi ben vividi nella sua mente. La gita in montagna, la passeggiata al mare, un pomeriggio di sole, l’hanami , gli hanabi  di fine anno, un gelato domenicale. 
Si riconobbe in varie pose, in smorfie e sorrisi, in vestiti ora invernali ora più leggeri.
Tolse le mani dalle maniglie dei cassettoni, prendendo in mano una delle foto.
Stavano abbracciati, sorridenti, vestiti in abiti tradizionali con le bancarelle del matsuri  sullo sfondo.
Il mese dopo si sarebbero lasciati, complici certe situazioni, persone..
“E’ tutto come lo ricordavo.” proruppe, poggiando nuovamente la cornice al suo posto.
Pensò che, qualsiasi ragazzo avesse mai varcato quella soglia, alla vista di certe istantanee, non avrebbe potuto mai approfittare di lei. Se suo fratello fosse anche entrato, di certo l’onnipresenza di Akito in quella stanza lo avrebbe fermato.
“Sei tu che mi hai lasciato.” precisò Reiko, chiudendo bene la tenda della finestra. 
Akito si sedette a terra, sospirando. Si passò una mano tra i capelli, calmandosi finalmente. Yoshi non era riuscito a farci niente, probabilmente non era neppure arrivato fino alla sua camera. “Temevo avessi fatto una cazzata delle tue, Reiko.”
Lei si chinò a guardarlo con un’espressione seria. “Non vuoi stare con me, ma non vuoi nemmeno che io mi faccia una vita.”
“Non te la meriti.”
“Stupidaggini.” lo fermò Reiko, tornando in piedi. 
“Anche se tu volessi, con tutte queste reliquie del passato..” indicò le foto e i regali che le aveva fatto, ancora sparsi per la stanza sotto forma di peluche. “..chi vuoi che ce la faccia?” Sota uscì da camera propria, senza nemmeno ribattere. Le dava fastidio vederlo nuovamente camminare tra le mura di casa, sapendo benissimo che lui continuava a divertirsi con molte ragazze, tra cui le sue cosiddette amiche. Natsumi in primis, pensò. Una delle prime a dare ad Akito del porco, quando la loro storia finì.
“Dai..” Akito l’aveva seguita fuori, e ora la stava tenendo per un braccio. “Scherzavo.”
Non poteva negare il fatto che vedere tutti i loro ricordi racchiusi in quella stanza non gli avesse fatto piacere. Sapere di non essere mai uscito dalla sua mente per lui era sinonimo di vittoria.
“Perché allora sei qui?” Sota glielo chiese di nuovo, aspettando impaziente una spiegazione.
Se era venuto per canzonarla, poteva andare al diavolo, pensò.
“Mi hanno detto che Yoshi era qui.” spiegò lui, mollando la presa. “Se non l’hai capito, ci sta provando.”
Sota sorrise, pensando che avrebbe dovuto essere cieca per non capirlo. “E allora?”
“Sono venuto qui per fermarti. Non vorrei mai che ti facessi mio fratello pensando che sia io.”
Reiko trattenne il respiro, facendo partire invece il braccio destro, colpendo in volto Akito con la mano aperta. Un sonoro schiocco risuonò per la stanza, poco prima che lei dicesse: “Pallone gonfiato.”
Akito si massaggiò la guancia dolente, scoppiando a ridere nervosamente. Aveva metà volto paralizzato dal dolore, come se formiche gli camminassero sottopelle. 
“Me la sono cercata, lo so..” ridacchiò, sedendosi sul divano ma tenendosi la mano sulla parte dolente della faccia. “Pensa che ho dato buca ad una per te.. e ora mi prendi pure a sberle!”
Sota andò verso la cucina aperta, aprendo il freezer alla ricerca di un po’ di ghiaccio. Non si sentiva minimamente in colpa ma l’educazione le imponeva di aiutarlo almeno a far passare il dolore che proprio lei gli aveva procurato.
“E’ solo che non riesco a non vederti mia.” continuò lui, abbastanza ad alta voce perché lei potesse sentire. 
Akito pensò che, date le condizioni della camera di Sota, piene dei loro oggetti, nemmeno lei si sentiva di qualcun altro oltre a lui, tantomeno libera.
“Tieni..” lei gli porse un sacchettino di ghiaccio, avvolto in uno strofinaccio. 
“Grazie.” Akito se lo premette contro il volto, sentendo un freddo gelido coprirgli la pelle. 
Rimasero in silenzio a fingere di interessarsi al telefilm, quando entrambi stavano pensando la stessa cosa. Ritrovarsi così, dopo tanto tempo e tanti fatti diversi, era ridicolo.
“Te ne puoi andare, se vuoi.” cominciò lei, non staccando gli occhi dallo schermo. 
“No, voglio aspettare qui con te tua madre.” scosse la testa lui. “Come facevo una volta.”
“Se ti trova qui ti uccide.” sorrise lei, facendo il segno del tagliare la gola con l’indice.
Akito si sfregò il ghiaccio sul viso, poggiandolo poi sul divano, ignorando il fatto che avrebbe macchiato la fodera. 
Con la mano ancora bagnata le carezzò una guancia, immaginando che, con mezzo viso gonfio, non doveva essere proprio al massimo del suo appeal. 
“Akito..” lei si sottrasse a quel contatto, guardando altrove nella stanza. “Stavolta sono io che ti rifiuto.”
E quelle parole, così fredde, risolute, fecero ad Akito più male di qualsiasi schiaffo.
“Lui non è me, Reiko.” rispose, tagliente. “Te lo puoi fare, ok, ma non è me.”
Notò sulle sue guance scorrere lacrime che non aveva visto nemmeno il giorno in cui l’aveva lasciata, andandosene dal luogo di un loro appuntamento. 
“Io ti amavo, Akito.” singhiozzò Reiko, piangendo in silenzio.
“Tra i due sei tu che conservi ancora le nostre foto.” Akito stava dando sfogo a tutta la cattiveria che aveva accumulato nei suoi confronti, dal primo sorriso che lei rivolse al fratello, al fatto che gli avesse permesso di entrare in casa sua. “Sei tu che cerchi ancora me negli altri.”
La sentì singhiozzare ad alta voce, come se ogni parola affondasse sempre di più nel suo cuore, riaprendo una ferita mai guarita del tutto.
“Pur di avermi andresti con mio fratello, non è forse così?” Akito la prese per le spalle, avvicinandola a sé. Premette la sua schiena contro il proprio petto, abbracciandola stretta. “Tu invece per me sei unica.”
Reiko si coprì il viso con le mani, piangendo a dirotto, scuotendo la testa come se non volesse ascoltarlo.
“Ti vorrò sempre.” Akito strusciò la propria guancia sui capelli di lei, lasciandosi inebriare dal suo profumo, che ricordava ancora intensamente. “Anche se vado a letto con altre.. ho sempre te nei miei pensieri.”
“Sta zitto, ti prego..” 
Le baciò la testa, le orecchie, la guancia, le mani con cui lei si riparava. “Non dimenticherò mai quando ti vidi con quell’uomo.” Le carezzò il collo, stringendola a sé forte, come per cullarla. “Ti odio per avermi fatto soffrire.”
Reiko riprese a piangere forte, implorandolo di non parlare, di non tornare su certi ricordi.
Akito però vedeva nitido di fronte a sé quella sera. Quella sera in cui gli parve di vederla camminare con un uomo per le strade di Ikebukuro. Non si erano visti perché lei era andata fuori con sua madre e ora lui la vedeva appesa al braccio di un uomo. Aveva pensato fosse suo padre, ingenuamente. Li aveva seguiti con Honda sino ad una zona dove sorgevano numerosi love hotel, capendo poi che con quell’individuo non poteva avere alcuna parentela. Vedendoli entrare nella hall assieme, ad Akito, come un flash, tornarono alla mente tanti piccoli particolari della ragazza che frequentava. I due cellulari, il portafoglio sempre pieno di denaro sebbene non lavorasse, parecchi ninnoli come catenine o braccialetti all’apparenza costosi che indossava e di cui non conosceva la provenienza. 
“Scommetto che a Yoshi non hai detto del tuo hobby, vero?” la sua voce divenne cattiva, parlava quasi urlandole nelle orecchie. Tutto ciò solo al pensiero di quello che aveva visto e provato. 
Lei smise di piangere, passandosi il palmo della mano sugli occhi per asciugarseli. 
“Scommetto che anche a lui faresti schifo..” continuò Akito, lasciandola di colpo, spingendola sul divano, lontano da lui. “Che anche a lui farebbe schifo venire con te se sapesse!”
Mifune si alzò dal divano, lasciandola singhiozzare premendosi il cuscino contro il viso. 
“Sei solo una troia.” le sussurrò all’orecchio, carezzandole i lunghi capelli sparsi sulla sua schiena. “Io ti amavo e tu mi hai tradito.”
Akito scandiva le parole per imprimergliele nella mente.
“Io ho amato solo te.” strinse la mano attorno ai suoi capelli, affondando le dita anche sulla pelle del collo della ragazza. “E per colpa tua non riesco ad amare nessun’altra. Non mi fido più di nessuna.”
Lasciò la presa, non sentendo più alcun singulto da parte sua. 
La osservò tirarsi su, facendo leva sui gomiti, il volto stravolto dal pianto appena cessato. Il trucco le era colato lungo le guance, disegnando striature nere sulla sua pelle chiara. Quelle labbra solitamente rosse e turgide erano storte in una smorfia di dolore. Con un gesto le tolse i capelli attaccati alla fronte, spostandoglieli dietro l’orecchio. 
Prima che potesse ritrarre la mano, Reiko gliela prese, facendola appoggiare sulla propria guancia. 
Socchiuse gli occhi, immersa in chissà quali pensieri.
Akito le afferrò il viso con forza, premendolo contro il proprio. Le infilò la lingua in bocca, in preda ad un forte desiderio, che la prese alla sprovvista. Ormai in apnea, la lasciò, per farla respirare. 
Reiko era senza parole oltre che senza respiro. Dopo un anno l’aveva baciata di nuovo e senza apparente motivo. 
Lo vedeva provato, nervoso, arrabbiato. Lui che aveva sempre soppresso tutti i propri sentimenti, che l’aveva lasciata semplicemente abbandonandola sola al parco, senza dirle quanto avesse sofferto ma solo elencandole ciò che aveva visto, ora sfogava su di lei tutta la sua frustrazione. 
Lo osservò alzarsi in piedi, accaldato, attraversare la stanza e dirigersi verso il portone d’ingresso, aprendolo ed uscendo, sbattendolo con forza.



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