Amore sbagliato.

di Jasmine_dreamer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La testardaggine ***
Capitolo 2: *** Le droghe. ***
Capitolo 3: *** I genitori di Veronica ***
Capitolo 4: *** Calvin ***
Capitolo 5: *** Auguri mamma! ***
Capitolo 7: *** 23 anni. ***
Capitolo 8: *** La vigilia ***
Capitolo 9: *** Overdose ***



Capitolo 1
*** La testardaggine ***


Sono Trevor, all’epoca avevo 25 anni, una famiglia benestante e un appuntamento.
La ragazza in questione si chiamava Veronica e, vi giuro su Dio, era bellissima.
Alle 18.50 andai a prenderla.
Quando uscì aveva un vestito rosso con uno scollo a “V” , corto e aderente.
“Wow!” esclamai quando aprì la porta: “Sei bellissima.”
“Anche tu non sei male, Trevor.” rispose lei ridendo.
Le aprii la portiera e lei, facendomi un sorriso e un cenno misto tra approvazione e sorpresa, salì.
Io ricambiai il sorriso.
Faceva la commessa al supermercato, due isolati dal mio quartiere e mi chiedeva spesso perché andassi a fare la spesa lì, considerando che c’era un supermercato più vicino a me, poi mi decisi a dirle che in quel supermercato non c’erano commesse belle come lei.
E dopo un anno, riuscii a farmi dare un appuntamento. Che diamine, se lo avessi saputo che bastava dirle così, lo avrei fatto prima!
“Dove vuoi mangiare?”
“Ho prenotato al Palace.”
“Trevor, ma è carissimo!” fece lei.
“E allora? Tanto pago io.” 
“Appunto, mi scoccia che debba spendere così tanto!”
“Senti, smettila. Voglio che sia una serata perfetta.”
Lei sorrise: “Va bene, starò zitta.”
“Ti ringrazio!” esclamai io.
E scoppiammo a ridere.
“Eccoci!” dissi dopo aver parcheggiato.
Le aprì la portiera e lei mi prese per il braccio.
“Fumi?!” chiesi porgendole il pacchetto.
“No.” rispose Veronica.
Io annuii e mi accesi la sigaretta.
Una volta finita entrammo.
“Wow!” esclamò lei incantata dal posto.
Io ci ero già stato, ma vederla così mi rallegrava.
Le tovaglie in seta bianche, i bicchieri di cristallo, le sedie a poltroncine e ricoperte anch’esse di seta bianca, le pareti vetrate davano sul mare e un lampadario gigante in stile vintage pendeva dal soffitto nel centro della sala.
“Ti piace?” domandai seppur sicuro della risposta.
“Scherzi? È meraviglioso, Trevor!” esclamò lei sorridendo.
“Bene.” risposi anche io sorridente.
Ci sedemmo al tavolo ma lei sembrò pensierosa.
“A che cosa stai pensando?” domandai.
“Eh? No a nulla, nulla di importante.”
“Sei sicura?” chiesi ancora incerto.
“Sì, sta’ tranquillo.” rispose con un sorriso.
“D’accordo.” poi scherzai: “Dopo tutti i soldi che lascerò qui stasera come minimo me la dovresti dare. In realtà dovresti darmela già per l’ostinazione, la costanza e la testardaggine dimostrata solo per un appuntamento, ma su quello potrei anche sorvolare.”
Lei rise: “Effettivamente la tua testardaggine è stata ammirevole, non ti sei dato mai per vinto!” 
“Hai visto? Fossi stato un altro avrei mollato subito, invece sono andato avanti ad oltranza per un anno!” 
Rise, ma poi si fece seria: “Perché hai insistito così tanto?”
“Perché quando ti ho vista hai mosso qualcosa in me, non saprei neanche io spiegare cosa. Ma quello che so è che nessuna ha mai avuto quest’effetto su di me in 25 anni.”
Lei sorrise intenerita.
“Ti ho fatto sciogliere?” chiesi io alzando l’indice.
“Un po’.”
“Beh, allora adesso devi darmela per forza!”
“Trevor!” esclamò Veronica ridendo.
“Sto scherzando!” feci io ridendo: “Però se vuoi…” 
Lei mi fulminò con lo sguardo.
“Come non detto!” esclamai io.
E allora lei rise di nuovo.

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Capitolo 2
*** Le droghe. ***


Mi frequentavo con Veronica da circa un mese e non avevamo ancora fatto sesso.
Quella sera però mi aveva chiesto se poteva venire a casa mia quindi le dissi di sì.
Quando arrivò andai ad aprire la porta e lei teneva in mano una cassa di birre: "Le ho portate direttamente da lavoro!"
"Hai fatto benissimo! Dai entra." 
Lei poggiò le birre sul tavolo.
"Allora che film vuoi..?" non feci in tempo a completare la frase che lei mi saltò addosso.
La portai sul letto, ma prima di spogliarla dovevo dirglielo: "Prima che tutto si faccia serio, devi sapere che sono un tossico."
"Sì, lo so."
"Cosa?" mi colse alla sprovvista.
"Sì, per questo non volevo uscire con te all'inizio, tutti sanno chi e cosa sei. Ma Trevor chissene frega ora, scopiamo e basta."
"Ok!" mi affrettai a dire io.
Lei mi sorrise e io iniziai a spogliarla, mentre lei faceva lo stesso con me.

Mi raddrizzai sul letto e mi accesi una sigaretta.
"Posso provare?" 
Io la guardai un po' perplesso: "Certo."
Lei fece un tiro e iniziò a tossire: "Ma come diavolo fa a piacerti?"
"Beh, inizi per fare il figo e poi lo trovi piacevole." dissi io facendo spallucce.
Veronica annuì.
"Quando hai iniziato con la droga?" mi chiese poi seria.
"Quando avevo 13 anni ho iniziato a consumare droghe leggere, quando ne avevo 16 ho iniziato con l'mdma... poi da lì non ho più saputo controllarmi. A 23 anni infine l'eroina. Non sempre, ogni tanto. Me la faccio una volta al mese tipo, so che quella è la più merda e non vado mica fiero di essere così. Poi ho anche i miei momenti di lucidità, cerco di limitarmi, anche se è difficile."
"E i tuoi genitori?"
"E che ne so, a loro non frega un cazzo. Bastava che li chiamavo dicendo che avevo bisogno di soldi e loro me li davano. Forse è questo il problema, che ho sempre avuto soldi."
"Quindi ora non ti mantengono più loro?"
"Cazzo, no, V. Ho 25 anni." feci io.
"E allora dove li trovi tutti quei soldi?" chiese lei perplessa.
"Non vuoi saperlo." risposi io.
"Sì invece."
Sospirai, feci un tiro alla sigaretta e dissi: "Spaccio." 
"Ohw.." 
Rimanemmo per qualche minuto in silenzio.
"Trevor" disse infine lei: "A me piaci sul serio."
"Anche tu." dissi sorridendo.
Poi ci alzammo e andammo in cucina, dove aprii l'armadietto e tirai fuori un sacchetto di polvere bianca.
Preparai una striscia e me la feci.
Le chiesi se volesse provare, ma lei mi rispose di no.
Quindi richiusi il sacchetto e lo misi via.
"Cosa provi quando ti fai?"
"Di coca?" chiesi io.
"Sì." rispose lei.
"All'inizio mi faceva sentire euforico, eccitato. felice!" dissi io: "Ma ora, ora la prendo solo perché arrivo a un punto in cui sto male se non la prendo.. capisci? Il mio corpo deve assumerla per non sentirsi così."
"Capisco." disse lei.
"Sei un po' come la coca anche tu." dissi poi guardandola.
"In che senso?"
"Mi fai sentire bene, e quando non ti vedo per un po' sento il bisogno di te. Penso che potresti diventare tu la mia dose giornaliera."
"Sai, sei proprio un tossico dolcissimo!"
"Non ne sono dipendente!"
"E allora perché non smetti?"
Mi feci serio: "Perché solo così mi sento vivo."
Si accoccolò su di me e poi disse: "Fight Club?"
"Cosa?" dissi io.
"Voglio vedere Fight Club!" ripetè.
"D'accordo." risposi infine prendendo il telecomando.
Lo avevo comprato qualche anno prima.

Nel letto la osservai dormire.
La luce del mattino che fuoriusciva dai fori delle persiane mi permetteva di guardarla nella penombra,e il silenzio che regnava mi permetteva di ascoltare il suo respiro.
Aveva un'aria serena, la sua pelle era olivastra, i suoi occhi verdi erano chiusi, i suoi capelli neri dietro, poggiati sul suo cuscino.
Di tanto in tanto muoveva le labbra, e io pensai a quanto fosse bella.
Avevo un angelo davanti a me, non avevo mai visto una creatura più bella di lei prima di allora.
Avrei voluto tenerla con me per sempre, avrei voluto vivere tutta una vita con lei.
Mi alzai e andai a farmi una birra nella cucina.
E mi accesi anche una canna, quella era la cosa meno dannosa di cui facevo uso.
Poi la vidi sbucare dalla porta.
"Ehi.." disse dandomi un bacio sulle labbra.
"Ehi." risposi.
"Ti sei svegliato presto." disse strofinandosi un occhio.
"Già."
"In realtà sono sveglio da più di due ore, solo che un'ora e mezza l'ho passata ad osservarti, quindi sono sveglio dalle 7." pensai.
Ma non dissi nulla.
"Posso fare due tiri?" chiese.
"Certo!" risposi io porgendole lo spinello.
"Wow, questo è piacevole." esclamò ridendo.
Io annuii ridendo a mia volta.
"Ma come fai a bere la birra appena sveglio?" domandò.
Diamine, ma quanto parlava? E si era anche appena svegliata.
"Abitudine, credo."
Lei annuì: "Ah, ho capito."
Io sorrisi.
"Che c'è?" chiese lei.
"Sei bella quando sei fatta."
Lei fece una risatina e io scossi la testa ridendo a mia volta.

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Capitolo 3
*** I genitori di Veronica ***


"Veronica, non me la sento." dissi in preda al panico.
"Trevor, sono soltanto i miei genitori, non un branco di serial killer!" rispose ridendo dal bagno.
"Ma come sei simpatica!" esclamai fingendo una risata.
Uscì dal bagno e sorrise sarcastica: "Lo sono sempre stata, tesoro." 
Alzai gli occhi al cielo.
"Ma non si potrebbe rimandare?"
"Trevor, tra meno di due settimane verrò a vivere qui, vorrei che i miei ti conoscessero prima, così poi potranno venire a casa."
"V, i tuoi non possono venire qua, appena entri si sente odore di crack!"
"Vorra dire che lo fumeremo nel secondo bagno, e che lo chiuderemo."
Sì, Veronica aveva iniziato a fare uso anche del crack.
Colpa mia? No, mica l'avevo costretta.
Salimmo in macchina e partirono i Pooh.
"Le tue origini italiane le odio, questa musica è inaccettabile."
"Ma se son bravissimi, non capisci nulla!" disse lei.
"Non capisco una parola."
"Io tutto, per questo mi piacciono. I loro testi sono arte."
"Sì, non lo metto in dubbio." dissi io sarcastico.
Lei rise e poi riprese a cantare.
Le lanciai uno sguardo e mi misi a ridere.
Poi lei si girò: "Ma che cosa ridi?!"
"Sei immersa nel tuo mondo quando canti!"
"È una cosa bella, Trevor!"
"Sì, è una delle cose che mi piace di te."
La guardai abbastanza per notare che sorrise, e poi ritornò a cantare.
Guidai per mezz'ora e arrivammo a casa dei genitori di Veronica.
Bussò alla porta e io ero tesissimo.
"Andrà bene, tesoro." e così dicendo mi diede un bacio sulle labbra.
Io annuii, ma ero ancora teso.
"Veronica!" esclamò sua madre aprendo la porta.
Lei abbracciò i suoi genitori.
"Mamma, papà.. lui è Trevor." annunciò poi.
"Salve." dissi io timidamente.
"Piacere, Stefano." disse suo padre, stringendomi la mano.
"Io sono Marina." disse la madre, anch'essa stringendomi la mano.
Entrammo.
"Mamma ti aiuto!" esclamò Veronica vedendo che sua madre stava preparando la cena.
"Trevor, vieni con me." disse Stefano.
Io annuii.
"Ti piace il calcio?" chiese.
"Sinceramente no, signore. Preferisco il baseball."
"Io sono italiano.." (e dal suo accento si sentiva): "Quindi adoro il calcio."
"Capisco, e che squadra tifa?"
"Il Milan."
Io lo guardai annuendo.
"Non sai cosa sia, vero?"
"No."
Lui rise e io ero a disagio.
"La cena!" urlarono le donne.
"Oh grazie a Dio!" pensai.
Ci sedemmo e io ero in un silenzio tombale.
"Allora, che lavoro fai, Trevor?" disse Marina.
Sbiancai guardando Veronica.
"Trevor è uno psicologo."
Io la guardai perplesso, lei però mi fece una faccia che mi faceva intendere che fosse la prima idea che le fosse venuta in mente.
Io annuii fingendo fosse vero: "Preferisco psichiatra."
Veronica soffocò una risatina.


"Dio, V!" esclamai: "È stata tipo la giornata più imbarazzante di tutta la mia vita."
"Sei andato bene."
"Psicologo?" chiesi poi perplesso.
"Non so, è stata la prima cosa a essermi venuta in mente."
Io risi, e lei pure.
"Dottor Trevis, ho bisogno di una terapia." fece lei.
"Vedrai che seduta terapeutica ti farò fare a casa, mia cara paziente!" 
Lei rise e io, sorridendo, scossi la testa.
Che serata assurda.
Quando arrivammo a casa, mi misi un camice che avevo trovato qualche anno prima a casa dei miei, mentre Veronica mi attendeva sdraiata sul divano.
"Allora, signorina, io sono il suo nuovo psicologo."
"Mio Dio, Trevor. Ma che diavolo ti sei messo addosso?" fece lei ridendo.
"Non mi prendere per il culo, te lo avevo detto che ti avrei fatto una seduta psichiatrica."
"Ma io credevo in un altro senso, cioè... un altro tipo di seduta." fece lei con uno sguardo ironico e sexy.
"Veronica, sei troppo maliziosa!" risposi io sorridendo e incrociando le braccia.
"Ti piaccio anche per questo." disse lei alzandosi e abbracciandomi.
La guardai negli occhi: "Non è che mi piaci anche per questo. Ti amo, anche per questo."
Lei si illuminò, sorrise e mi diede un bacio: "Anche io ti amo, Trevor."
E vi giuro, che quel momento, non me lo scorderò finché avrò vita.

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Capitolo 4
*** Calvin ***


"Ma chi è?" chiese Veronica insonnolita.
Mugolai qualcosa di incompresibile e poi risposi al cellulare.
"Mamma?" domandai insonnolito.
Dall'altra parte del telefono sentivo solo urla, non riuscivo a capire nulla.
"Mamma, calmati! Cos'è successo?" chiesi allora allarmato.
Veronica si tirò su coi gomiti e accese la luce dell' abat-jour.
La voce al telefono diventò poi quella di mio padre: "Trevor, si tratta di Calvin."
"Che cosa è successo?" chiesi sempre più confuso.
"Devi venire in ospedale, subito." rispose mio padre con tono fermo.
"Arrivo." risposi.
Riattaccai.
"Che cosa è successo?" chiese Veronica.
Io rimasi a fissare la coperta in silenzio.
"Trevor!" strillò lei.
"Si tratta di mio fratello, non so cosa sia successo, ma..." sospirai: "Mio padre ha detto che devo andare in ospedale, subito."
Guardai l'orario: 4.42.
Mi misi i primi vestiti che trovai e presi le chiavi della macchina ma Veronica me le tolse.
"Cosa fai?" chiesi.
"Guido io."
"Non so se dovresti venire con me, insomma chissà a che ora finirò."
Lei mi abbracciò: "Trevor, ti amo. Voglio starti vicino."
"Okay, andiamo."
Lei annuì e salimmo in macchina.
Io ero in silenzio, incapace di dire qualsiasi cosa.
"Trevor, non fasciamoci la testa senza conoscere le ferite."
Io continuai a restare in silenzio.
Sentivo il suo sguardo addosso, ma non riuscivo a guardarla.
Papà non mi avrebbe chiamato se non fosse stata grave.
Guardai fuori dal finestrino, Veronica smise di parlare e in macchina regnava il silenzio.
"Trevor." disse lei toccandomi il braccio e riportandomi nel mondo reale: "Siamo arrivati."
Entrammo in ospedale e ci dirigemmo al punto accoglienza.
"Johnson." dissi io.
"April, porta i ragazzi da Calvin Johnson."
La dottoressa annuì e ci scortò di fronte alla camera che ospitava mio fratello.
Seduta su una sedia mia madre piangeva disperata, mentre mio padre fissava il vuoto in piedi appooggiato al muro.
Veronica mi guardò.
Mia madre mi vide.
"Trevor!" urlò venendo ad abbracciarmi.
Mio padre si girò a guardarmi.
"Ciao Trevor." disse.
"Papà, cos' è successo?"
"Era ad una festa e gli hanno sparato. Adesso è il sala operatoria, non sappiamo se ce la farà."
Abbassai lo sguardo e lentamente mi voltai percorrendo il corridoio. 
Non sapevo dove sarei finito, non sapevo cosa avrei fatto.
Volevo solo svegliarmi da quell'incubo.
"Trevor!" strillò Veronica afferrandomi per il braccio.
"L'ultima volta gli dissi che non volevo più vederlo." risi amaramente: "Litigammo furiosamente, lui mi diceva che dovevo smetterla con la droga, diceva che quella merda mi avrebbe ucciso. Io gli dissi che non ne ero dipendente, ma lui mi diede del tossico e mi disse che gli facevo schifo, facemmo addirittura a botte." 
"Trevor.." disse Veronica con voce spezzata.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime: "Non voglio che il nostro ultimo ricordo insieme sia una litigata... non parlo con Calvin da quasi due anni ed ora potrei non parlarci mai più."
Scoppiai in lacrime e, con me, anche Veronica.
Mi abbracciò mentre io mi coprivo il visi con le mani.
"Se non riuscissi a dirgli addio, non me lo perdonerei mai, sarebbe il mio rimpianto più grande."
"Trevor.." disse lei stringendomi più forte.
La strinsi e poi urlai: "Non voglio perderlo!"
Lei non disse nulla, ed era giusto così.
Avrei voluto sentirmi dire che sarebbe andato tutto bene, ma era meglio che lei non lo dicesse, perché non sapevamo se sarebbe andato davvero tutto bene.
Dopo qualche minuto mi staccai da lei e mi asciugai le lacrime.
"Mi dispiace che tu abbia conosciuto i miei in queste circostanze." feci io.
Lei scosse la testa: "Come se fosse colpa tua."
La presi per mano ed, insieme, tornammo dai miei.
Mi sedetti in silenzio vicino a mia madre e la presi sotto il braccio.
Lei appoggiò la testa sul mio petto.
Veronica era vicino a me e mio padre si sedette accanto a mia madre poco dopo.
Restammo tutti in silenzio, con mia madre sotto il braccio, la testa di Veronica sulla mia spalla e le mani dei miei genitori intrecciate.
Tutti fissavamo il vuoto sperando di avere notizie presto, che fossero buone o no, ma volevamo sapere qualcosa.

Dopo qualche ora, venne fuori un medico chirurgo.
"La famiglia Johnson?"
"Sì." dissimo in coro alzandoci.
"Siete tutti parenti?" chiese lei.
"Noi siamo i genitori, e lui è il nostro figlio minore." disse mio padre indicandomi.
Il medico guardò Veronica.
"Lei è apposto, può sentire."
"L'operazione è andata bene, non ci sono state complicazioni. Tuttavia per dei risultati concreti dovremo aspettare dalle 4 alle 6 ore, solo in quel caso potremo decretare se sarà salvo o meno."
"Okay." disse mia madre.
"Tra qualche minuto uscirà il dottor Martinez per dirvi se potete entrare o meno."
"Grazie." disse ancora mia madre.
Lei annuì e si congedò.
Dopo qualche minuto, in effetti, il dottore arrivò.
"Salve, siete voi i Johnson?" chiese.
Noi annuimmo.
Lui sorrise e disse: "Io sono il dottor Martinez, se volete entrare ora potete, Calvin sta dormendo."
"Tra quanto si sveglierà?" chiese mia madre.
"Dalle 4 alle 6 ore, ma non è certo che succederà, penso sia doveroso dirvelo." fece lui serio: "Ora, se volete seguirmi, vi accompagno nella sua stanza."
Feci per entrare ma poi notai Veronica a qualche metro di distanza ferma.
"Non entri?" dissi io.
"No, Trevor. Si tratta della tua famiglia non della mia." fece lei.
"Beh.." intervenne mio padre: "Se però il mio intuito è giusto, tu sei la ragazza di mio figlio, quindi ora la nostra famiglia è anche un po' tua."
"Siete sicuri?" chiese lei.
Mia madre le se avvicinò e, mettendole una mano sulla spalla, disse: "Dai, vieni con noi."
Veronica sorrise ed entrò con noi.
Calvin era intubato, l'ossigeno lo riceveva tramite a una pompetta infilata nel naso.
"Io sono Sarah." disse poi mia madre dando la mano a Veronica.
"Veronica." disse.
"Io sono Axl."
"Veronica." disse di nuovo lei.
Passamo una nottata stracolma di ansia, caffè e sorrisi speranzosi.
Ore che ci sembrarono eterne.
Fino a quando, mio padre tornò con un vassoio in mano che portava 4 caffè, e Calvin si mosse.
Erano passate cinque ore e venti minuti, la paura di perderlo ci stava mangiando vivi, ma lui aprì gli occhi.
"Calvin!" urlò mia madre.
Veronica corse a chiamare i medici.
Io e i miei lo abbracciammo, lui era confuso e non ebbe alcun tipo di reazione.
Poi entrò il medico Martinez e lo esaminò.
Io ero in piedi, con gli occhi gonfi di lacrime di gioia abbracciai Veronica e poi mia madre.
"Lo sai chi sei?" chiede il dottor Martinez.
"Sì, sono Calvin. Il mio quesito è: perché sono qui?"
"Ti hanno sparato ad una festa."
"Ah, okay. Ma non ricordo nulla." disse Calvin.
"Non preoccuparti, è normale. Hai subito uno shock, tempo al tempo." disse il medico, poi aggiunse: "Vi lascio soli, per qualsiasi cosa chiamatemi."
"Grazie." dissimo tutti.
"Wow.." fece Calvin: "Se è venuto perfino Trevor, allora vuol dire che era grave."
"Testa di cazzo, ho avuto paura che morissi." dissi io.
"Così da smettere di rompere i coglioni? Mai, fratellino!"
"Calvin! Non vedi che abbiamo ospiti? Non essere così volgare!" lo riprese mia madre.
"Oh, perdonami, non ti avevo vista." mio fratello le porse la mano e aggiunse: "So che magari non è proprio il momento adatto per fare nuove conoscenze, ma io sono Calvin."
Lei rise, gli strinse la mano e disse: "Veronica, la ragazza di Trevor. E non preoccuparti, mica è colpa tua!" 
Dopo che parlavamo da circa un'ora, mia madre sorridente disse: "Trevor.." e indicò dietro di me.
Mi girai e vidi che Veronica si era addormentata sulla sedia.
"Vabene, vado a casa."
Abbracciai i miei genitori, e mia mamma disse: "Non sparire di nuovo."
Poi salutai mio fratello e svegliai Veronica, che si proclamò dispiaciuta per essersi addormentata e disse che non voleva che tornassimo a casa per colpa sua.
Dopo varie rassicurazioni, la riuscimmo a convincere che potevamo tornare a casa, anche perché erano le 11.30 ed ancora non avevamo dormito, se non 4 ore scarse prima di essere chiamati.
Guidai io, lei crollò sul sedile del passeggero.
La portai a letto tenendola in braccio e rimasi un po' a guardarla.
Poi costatai che non riuscivo a dormire ed andai in cucina a farmi una birra.

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Capitolo 5
*** Auguri mamma! ***


Attivai il giradischi, suonava "November Rain" dei Guns 'n Roses.
Veronica stringeva tra le dita una sigaretta, la spense e prese a ballare.
"Balla con me, Trevor."
Mi alzai e ballai con lei.
Mi cantò urlando nell'orecchio: "If we could take the time to lay it to the line, I could rest my head just knowin' that you were mine.."
Io risi e cantai con lei: "All mine, so if you want to love me then darlin' don't refrain, or I'll just end up walkin', in the cold November rain!"
Risi, lei anche rise.
Eravamo strafatti, cantavamo e ballavamo nudi nella camera da letto.
Lei rideva rumorosamente con la sua fronte premuta sulla mia spalla.
"Sei strafatta!" dissi io ridendo.
"Lo so" rispose lei continuando a ridere: "anche tu!"
"Sì, è vero!" esclamai.
Poi mentre Slash suonava il suo assolo lei mi guardò e si fece seria: "Non ho mai amato nessuno quanto amo te, Trev."
"Neanche io." feci io.
Mi baciò e quando si staccò da me, le sue guance erano rigate dalle lacrime.
"Perché piangi?" chiesi.
Lei sorrise: "Perché sono felice."
La abbracciai sorridendo.
Anche io ero felice, per la prima volta in tutta la mia vita ero felice.
Fu allora che capii di voler passare la mia vita con lei, volevo invecchiare con lei, sposarla, crearci una famiglia... capii che in quel momento avevo tra le braccia l'amore della mia vita.
Presi il suo viso tra le mani, memorizzai il suo viso, il suo sorriso e la baciai di nuovo.
E mentre partiva "Don't Cry", la feci stendere sul letto dolcemente.
Iniziai a spogliarla dolcemente e iniziai a baciarle tutto il corpo scendendo lentamente, lei tremava.
Arrivai all'intimità e lei afferrò le lenzuola alzando il bacino, poi mi mise la mano nei capelli per intimarmi a non smettere.
La guardai, si morse il labbro.
"Oh, Trevor." disse.
Risalii baciandola di nuovo ovunque, poi mi fermai e la guardai: "Sei bellissima."
Lei sorrise, mi baciò e iniziammo a fare l'amore.

La guardavo dormire ogni notte, anche quella notte lo feci.
Aveva un seno scoperto, la bocca semi aperta, un'espressione rilassata e una ciocca di capelli le attraversava la fronte e il naso.
Avevo la ragazza più bella del mondo accanto, non avrei potuto chiedere di meglio.
Con una mano percorsi la sua colonna vertebrale, e continuai a guardarla mentre la luce fioca del corridoio le illuminava il viso.
Spostai la mano dalla sua schiena alla sua guancia, accarezzai il suo viso, accarezzai le sue labbra.
La sua pelle era calda e morbida, vellutata.
Mi strinsi a lei per sentire il suo odore, odorava di buono, odorava di casa.
"Trevor.." gemette: "Cosa fai ancora sveglio?"
"Scusami, non volevo svegliarti."
Tenne gli occhi chiusi e sorrise: "Non preoccuparti."
Poi si riaddormentò.
Sorrisi, era la persona che si addormentava più velocemente che conoscessi.. sul serio! Le bastavano pochi secondi per crollare.
Dipendevo totalmente da lei, se fosse andata via credo che sarei impazzito, chissà che cosa avrei fatto senza di lei nella mia vita.
Era tutto ciò di cui mi importasse, il pensiero che potesse lasciarmi un giorno mi terrorizzava, ma ero consapevole che se lo avesse fatto significava solo che non la rendevo più felice e allora in quel caso lo avrei accettato, lo avrei fatto per lei.
Anche se questo poteva significare sentirsi morire dentro per me, solo il pensiero di una vita senza lei mi lacerava l'anima.
"Resta con me per sempre, V." sussurrai guardandola.
Non pensavo potesse capitare proprio a me, pensavo che l'amore fosse una stronzata e che non esistesse per tutti ma ero felice di aver scoperto il contrario.
Felice, ma allo stesso tempo ero spaventato all'idea di perderla, non mi andava proprio giù.
Mi addormentai per poi svegliarmi qualche ora dopo con Veronica che si lamentava.
"Non credo sia legale tagliare l'erba alle 8 di domenica mattina!" urlò dalla finestra.
"V, ti ci abituerai prima o poi?"
La famiglia che abitava nella villa di fronte aveva questo maledettissimo vizio.
Lei ritornò a letto: "Questo grandissimo stronzo, dannazione! Tagliala di pomeriggio l'erba!"
Io risi: "Hai ragione, non ha rispetto."
"Non prendermi in giro, Trevor!"
"Ma amore, è una delle cose più belle in una relazione."
"Bla, bla, bla, sei proprio antipatico!"
Risi ancora, poi la presi dai fianchi e, portandola verso di me, le feci il solletico: "Sei tu quella insopportabile la mattina!" esclamai.
Lei rise e implorò: "Trevor, finiscila!"
Smisi di farle il solletico e la abbracciai: "Restiamo a letto, fra un po' avrà finito e potremo dormire di nuovo."
"Va bene." disse girandosi verso di me per poi accovacciarsi sul mio petto.
La strinsi fra le mie braccia e il profumo dei suoi capelli mi riempì le narici.
Riaprii gli occhi alle 12.15.
Veronica non era più accanto a me, in casa suonavano gli Oasis e l'odore di arrosto si fece spazio nelle mie narici.
Mi alzai dal letto dirigendomi in cucina dove Veronica canticchiava e controllava, con addosso solo una mia maglietta, la cottura dell'arrosto.
Richiuse il forno e mi vide.
Ero sulla soglia della porta a fissarla come un ebete.
"Buongiorno." disse sorridendo.
"Buongiorno." mugugnai.
Lei si avvicinò gettandomi le braccia al collo: "Sei mesi."
"Che viviamo assieme." dissi.
Lei sorrise di nuovo e mi guardò negli occhi.
Appoggiò la testa sul mio petto: "Ti amo."
Le misi una mano nei capelli: "Anche io."
"Lo so." rispose lei.
"Per fortuna!" esclamai ridendo.
Rise anche lei danomi una pacca sulla spalla allontanandosi da me.
"Pronto?" disse rispondendo al telefono.
"Ah ciao mamma, aspetta che mi sposto che con la musica non sento." aggiunse.
Io mi sedetti e mi accesi una sigaretta.
"Amore," disse V tornando in cucina: "Mi ha chiesto mia madre se domenica andiamo a pranzo a casa loro."
"Vabene." 
"Mamma, ha detto che vabene!" disse: "Vabene, ciao, salutami papà."
Suonarono alla porta e Veronica andò ad aprire: "Oggi non ho pace." 
Tornò in cucina con Calvin.
"Fratello!" esclamai.
Andai ad abbracciarlo e lui ricambiò ridendo.
"Come mai qui?" domandai sedendomi di nuovo.
"Ti sei dimenticato?" chiese sconcertato.
"Di cosa?" 
"Domani la mamma compie 50 anni."
"Cazzo, è vero!" esclamai.
"Vieni a cena da loro? Lei non sa nulla, ha organizzato tutto papà, ci saranno tutti."
"Tesoro!" urlai.
Veronica ci raggiunse: "Dimmi."
"Domani conoscerai tutta la mia famiglia!"
"Quanti siete?"
Io e Calvin ci guardammo.
"Una cinquantina." ammisi. 
"Cosa?!" esclamò lei.
Io risi ma lei aggiunse: "Ma dici sul serio?!"
"Mai stato più serio!" dissi ridendo.
"Oh mio Dio, non ci posso credere." si mise a sedere mettendosi il viso tra le mani.

"Ciao Calvin!" dissi quando mi venne ad aprire.
Mio fratello salutò me e Veronica, poi la introdussi a tutti gli altri.
Lei fece subito amicizia con le mie cugine, soprattutto Alicia che aveva 23 anni.
Cominciarono a parlare di "cose da donne", quindi io andai a parlare di "cose da uomini" con mio fratello, i miei cugini e i miei zii.
"Oh gente, mi ha inviato un messaggio papà, sta parcheggiando, tutti ai posti." disse Calvin.
Ci nascondemmo e spegnemmo la luce, tra qualche risata soffocata, e qualche: "attento mi fai male!" accompagnato da conseguenti "Sssh!" riuscimmo a sistemarci.
Poco dopo sentimmo la porta aprirsi.
"Quei disgraziati dei tuoi figli non mi hanno neanche fatto gli auguri!" disse mia madre.
Io e Calvin riuscimmo a stento a trattenere la risata.
Mia madre entrò in sala e quando accese la luce tutti saltammo fuori urlando: "Sorpresa!" 
Dopo lo spavento e la paralisi iniziale, mia madre strillò: "Mio Dio!" e scoppiò in lacrime.
Io e Calvin andammo ad abbracciarla: "Auguri mamma."
"Allora non ve ne eravate dimenticati!" disse lei.
Io risi e Calvin, sorridente, disse: "Trevor, per poco non lo ha dimenticato."
"Va bhe, ma lo sappiamo tutti che tuo fratello ha la memoria più corta di Dori ne alla ricerca di Nemo!"
Veronica rise, mia madre solo allora si accorse della sua presenza.
"Tesoro, ci sei anche tu!" la abbracciò e Veronica ne rimase sorpresa ma ricambiò.
"Ora vado da tutti gli altri. Grazie." ci disse ancora.
"L'adora!" disse Calvin, riferendosi a V.
"Sì, concordo!" risposi.
Veronica sorrise: "Che bello, amore." disse abbracciandomi.
Io le diedi un bacio a stampo: "Chiunque ti adora, sei la persona migliore al mondo."
Lei sorrise ancora.
I bambini correvano per la casa rincorrendosi.
12 bambini.
"Volevo ringraziare tutti per essere qui stasera, siete meravigliosi." disse mia madre.
Poi aggiunse: "Ma un dubbio mi assale... io non ho intenzione di cucinare per tutti! Quindi cosa mangiamo?"
"Ho pensato a tutto!" fece mio padre: "Ho ordinato al take-away al cinese, tra mezz'ora qualcuno andrà a ritirare l'ordine e i bambini hanno mangiato prima di venire."
"Tra mezz'ora io, Travis e Calvin andiamo, zia." disse mio cugino James.
Come al solito, venivo buttato in mezzo senza neanche che mi venisse chiesto.
Passata mezz'ora, andammo al cinese a prendere gli ordini e tornammo poco dopo.
Tutti si misero a sedere al tavolo, e ognuno prese quello che aveva richiesto prima a mio padre.
Io avevo preso il riso coi gamberi e la frittura di calamari, Veronica gli spaghetti di soia con la carne.
Tutti mangiammo, ridemmo, fumammo, prendemmo accordi tra cugini per rivederci nei giorni a seguire.
Poi giocammo a carte, ci divertimmo da morire.
Anche Veronica era felice, rideva come una matta e i suoi occhi erano illuminati di gioia.
Fu bellissimo vedere il modo in cui tutti l'avevano accettata e la trattassero come se fosse una di famiglia.
Quando tornammo a casa, lei mi disse: "Adoro la tua famiglia, sono felice di farne parte!"
"Anche io sono felice che tu ne faccia parte."
Lei mi baciò: "Te lo giuro, è stata una delle serate più belle della mia vita e non vedo l'ora di uscire con i tuoi cugini sabato!"

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Capitolo 7
*** 23 anni. ***


Le strinsi le guance con le mani e dissi: "Sei la mia piccola scimmietta."
Lei mugugnò qualcosa che non riuscì a capire proprio perché stringendole le guance il modo in cui la bocca le si accartocciava, le rendeva difficile riuscire a parlare in maniera comprensibile.
Risi e la lasciai: "Cos'hai detto?"
"Che sono più carina di una scimmia." 
"Certo, sei la scimmietta più bella del mondo."
Lei rise e, ovviamente, mi fece sorridere.
Ci girammo verso il soffitto e incrociammo le dita l'uno nella mano dell'altra tenendo le braccia alzate, sdraiati sul nostro letto.
"Ci facciamo?" chiese lei.
Sicuramente questa cosa che ora si faceva non mi rendeva felice, al contrario, ma non potevo dirle nulla.
"Certo." risposi alzandomi: "Cosa vuoi? Crack o coca?"
"Crack." rispose.
Presi la pipa, ci infilai dentro la droga e l'accesi.
Feci due tiri e gliela passai, e continuammo così finché non cademmo insieme all'indietro sul letto ridendo.

Quando riaprii gli occhi erano le 8.30, mi alzai e andai a lavarmi i denti.
Dopoiché andai in cucina a preparare la colazione.
Stavo girando l'ultimo pancake quando un braccio mi avvolse da dietro.
Veronica appoggiò la testa sulla mia schiena.
"Auguri regina." dissi voltandomi verso di lei.
"Chi è Regina?" fece lei fingendosi sospettosa.
Io risi: "Deficiente."
Rise anche lei e mi diede un bacio: "Grazie."
"Stai invecchiando, tra poco avrai tutti i capelli bianchi!"
"Trevor, faccio 23 anni, non 60!" fece lei indispettita.
"Beh non sei poi così lontana..."
"Stronzo!" strillò.
Io risi: "Dai mangia, poi dobbiamo uscire."
"Cosa?" chiese lei.
"Ti sei dimenticata? Abbiamo il pranzo da Bonnie oggi."
"Oh, la tua cugina bionda, giusto!" fece lei con la bocca piena.
Io risi: "Veronica, sei disgustosa ho visto tutto il cibo che hai in bocca!"
Rise anche lei: "Scusa."
Finì di mangiare e corse a prepararsi, erano le 10.15.
Uscì da quel dannato bagno all 11.45.
"Possiamo andare?" chiesi: "Io ci ho messo 10 minuti."
"Ma non vedi che sono ancora in pigiama?"
"Io non ce la posso fare." esclamai disperato.
"Ti prometto che ci metto poco."
"Lo spero visto che saremmo dovuti uscire 15 minuti fa."
Passò il tempo e Veronica non si sbrigava.
"Per l'amor di Dio V, muoviti!"
"Sta' zitto, che palle!" strillò lei.
Misi la testa fra le mani e attesi.
Dopo una lunghissima mezz'ora lei uscì: "Sei bellissima, andiamo?"
"Trevor, dai!" fece lei.
"V, lo sei sul serio." 
"Sei sicuro?!" chiese di nuovo.
"Sì, sicuro." dissi io cercando di farla sbrigare.
"Non sarebbe meglio il vestito blu?"
"Ok, ne ho abbastanza." dissi.
La sollevai di peso e la portai fuori.
Salii in macchina, Veronica mi seguì e poi disse: "Sai non è stato affatto carino."
"Veronica, dovevamo essere li alle dodici, sono le dodici e un quarto e ci vuole mezz'ora per arrivare." dissi stizzito.
"Faremo un po' di ritardo!" fece lei minimizzando.
"Veronica..."
"E dai Trevor, è il mio compleanno."
"Va bene, non importa." dissi infine io.
Però qualcuno avrebbe dovuto farmi santo.

Quando arrivammo a casa di Bonnie, erano già arrivati tutti.
"Allora siete vivi!" esclamò Destiny ridendo.
Lanciai un' occhiata a Veronica che prontamente rispose: "Volevo essere al top oggi, quindi abbiamo ritardato per quello."
"Oggi?" fece Calvin: "Voi siete sempre in ritardo!"
"Non ricordamelo, fratello." dissi io ridendo.
"Ah... le donne!" esclamò poi Jaxon, il fidanzato di Bonnie cingendola con il braccio sinistro.
Lei le diede una piccola pacca sul petto e disse: "Ah, ma sta' zitto che non sapreste cosa fare senza di noi."
Lui alzò le spalle e Veronica mi guardò con un sorrisetto riappacificatore, io risi scuotendo la testa e il suo sorriso si aprì.
La giornata trascorse tra risate, canzoni cantate al Karaoke, la torta di compleanno per V con lei che piangeva e altro cibo.
Tornammo a casa alle quattro e venti di mattina.
"Trevor, non sto diventando una tossica-dipendente, vero?"
"Cosa?! Perché così all'mprovviso?" chiesi stranito.
I suoi occhi erano un po' preoccupati: "Pensavo... non ci facciamo ogni giorno, quindi non siamo dipendenti dalla droga, vero?"
"No, per lo meno non ancora." dissi io: "Finché riusciamo a controllarci, possiamo continuare."
"E se un giorno ne diventassimo dipendenti?" 
"Andremo a disintossicarci." risposi.
"Trevor, io.." esitò.
"Tu?"
"Io vorrei provare..." disse esitante.
"Cosa?" 
Lei scrollò le spalle e io capii.
"No, Veronica, quella no." dissi.
"Una sola volta."
"No, l'eroina no, V."
"Ma tu ogni tanto lo fai!" esclamò.
"Sì, e non ne vado fiero!" urlai.
"Per favore!" strillò.
"Veronica, tutto... ma non quella." poi la supplicai: "Ti prego."
Lei mi guardò e poi, rassegnata, annuì.

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Capitolo 8
*** La vigilia ***


"Sei sicuro?" chiese Veronica.
"Sì, questa casa mi ha stufato." risposi io.
"Non ci posso credere che il mese prossimo facciamo un anno." disse poi lei.
"Sei la mia relazione più lunga."
"Si spera anche l'ultima!" scherzò lei.
"Sì, lo spero anche io." aggiunsi serio.
Veronica mi sorrise intenerita.
"Ti amo." dissi dopo averle baciato il naso.
"Anche io, T."
Aveva iniziato a farsi anche quando io non c'ero poiché glielo avevo concesso a patto che non provasse il disgustoso piacere che si sente ad infilarsi un ago nel braccio, quella merda non doveva proprio toccarla, ma avevo paura che sviluppasse una dipendenza eccessiva dalle droghe.
Sapevo che tutto quello che stava succedendo era colpa mia che, per puro egoismo, avevo deciso di entrare a far parte della sua vita portando con me la merda che mi trascinavo dietro da una vita senza darle la possibilità di essere amata da qualcuno che forse avrebbe potuto renderla felice senza danneggiarla.
Eppure ero sicuro che al mondo non poteva esistere nessuno che l'avrebbe amata più di me, quanto avrei sperato di tenerla però lontana da tutto quello schifo che era la droga e che circondava il mio mondo fin da troppo tempo.
Tyler, il mio migliore amico che viveva all'estero da un po', al fronte di queste mie preoccupazioni e del mio senso di colpa mi rispose che non era colpa mia perché non le avevo puntato una pistola alla testa, eppure io ero convinto che se non fosse uscita con me quella sera, lei non avrebbe mai iniziato a fare uso di sostanze stupefacenti.
Dannazione, non fumava neppure sigarette prima che io mi infilassi non curante nel suo piccolo mondo.
Io credevo davvero di amare V, ma se era sul serio così allora perché non riuscivo a lasciarla andare a una vita che forse sarebbe stata migliore per lei? Perché continuavo a danneggiarla?
Possibile che l'amore mi rendesse così egoista?
Veronica rappresentava tutto ciò di buono e giusto c'era nella mia inutile vita, quella vita che mi aveva lasciato solo e che adesso sembrava un po' meno vuota insieme a lei.
Per quanto mi sforzassi a dire che avrei dovuto lasciarla a qualcuno di migliore sapevo benissimo che non l'avrei fatto finché non fosse stata lei a dirmi di chiudere.
Perché era chiaro che lo avrebbe fatto, per quale assurdo motivo una come lei avrebbe dovuto stare con me? Insomma, mi meravigliavo ogni mattina quando, al mio risveglio, la ritrovavo lì, prima o poi avrebbe capito che stava sprecando tutta la sua vita insieme a me.
La verità era che non la meritavo, lei era meravigliosa in tutti i sensi, mentre io ero solo io e di meraviglioso non avevo proprio nulla e sarei stato fortunato ad averla già un paio di giorni, figuriamoci un anno.
Veronica iniziò a saltellare per la casa, come una bambina canticchiava felice perché il giorno dopo sarebbe stata la vigilia di natale.
Avremmo passato la vigilia con i suoi, Natale invece con i miei parenti.
"Mia sorella sarà già arrivata da Chicago." disse ad un certo punto sdraiandosi sul letto.
Annuii, poi aggiunsi: "Come hai detto che si chiama?"
"Giorgia." fece.
"Che nome strano." mormorai.
"Sai com'è, siamo italiani."
"I tuoi sono italiani, tu sei nata e cresciuta qui." precisai.
"Che differenza fa? Il mio sangue è comunque più italiano che americano." esclamò.
"Mafia, pizza e Berlusconi!" scherzai.
"Sei un idiota!" rispose lei ridendo.
Risi a mia volta, e lei era bellissima.


Arrivammo a casa dei genitori di V, entrammo augurandoci buon Natale.
Una ragazza dai lunghi capelli che avevano lo stesso colore del rame e gli occhi marroni, arrivò e abbracciò subito Veronica.
Lei la strinse urlando: "Giorgia! Quanto mi sei mancata."
"Anche tu, sorellina." rispose lei.
Poi si presentò a me, era molto bella, non quanto sua sorella minore però.
"Trevor, vuoi del vino?" chiese Stefano.
"Sì, grazie." risposi andando a sedermi vicino a lui.
"Come stai?" mi domandò dopo avermi versato del vino rosso nel calice.
"Bene, tu?" chiesi a mia volta.
"Io sto bene. E Veronica? Lei come sta?" fece.
"Credo stia bene anche lei." risposi perplesso.
Lui mi guardò per un secondo e poi annuì.
Dopo qualche minuto arrivarono anche gli altri ospiti, amici di famiglia con rispettivi figli.
Nel giro di 15 minuti eravamo diventati in 16.
"Avevi detto che saremmo stati in pochi... una cosa intima." sussurrai a Veronica.
"Infatti siamo pochi. I miei zii e i miei cugini quest'anno sono rimasti in Italia." mi rispose lei.
Senza sapere più cosa rispondere annuii in silenzio.
Lucy, una bambina di 7 anni, venne da me e mi disse: "Tu sei più bello del fidanzato che aveva prima Veronica."
"Ne sono sicuro." risposi io guardando V, che scoppiò a ridere.
"Perché ridi? Quello lì era brutto e antipatico." fece lei.
"Sì, ha ragione. Ne sono convinto!" esclamai io.
Poi andò a giocare con gli altri bambini.
Dopo poco tempo Marina e due sue amiche, uscirono dalla cucina con gli antipasti in mano.
Mangiammo tutti come dei maiali, finché a mezzanotte non fu l'ora di aprire i regali.
Stefano era andato a travestirsi e arrivò vestito da Babbo Natale.
Diede i regali ai bambini e poi andò di nuovo a cambiarsi, era una scena molto tenera, i bambini lo veneravano.
 

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Capitolo 9
*** Overdose ***


“Amore, sono a casa!” esclamai io.
Non ricevendo risposta, la chiamai per nome.
“Veronica, ci sei?”
Ancora silenzio.
Allora andai in camera da letto e la trovai.
"Veronica?! Veronica, cazzo!"
Giaceva sul pavimento, il vomito in bocca, ma che cosa diavolo avevo fatto?
Non avevo idea di cosa fare.
Presi il telefono tra le mani e digitai il numero di emergenza.
"Pronto?! La mia ragazza è andata in overdose, aiuto!"
Tremavo, ero agitatissimo, le parole mi morivano in gola.
Mi chiesero come stava.
“Non respira, non sta respirando!” urlai io in preda al panico.
Loro mi dicevano cosa fare ma io non capivo niente.
La presi per le spalle e cominciai a scuoterla.
“Veronica, Veronica, Veronica…” continuavo a ripetere il suo nome, sperando che si svegliasse, ma non si muoveva, la sua pelle era bianca, il vomito era andato dappertutto.
La riappoggiai per terra e provai a farle le compressioni, niente Veronica non riprendeva a respirare.
Ripetevo continuamente il suo nome, non riuscivo a smettere di dirlo.
Ero confuso, agitato, vedevo tutto sfocato attorno a me, non riuscivo a capire che cosa stava succedendo.
L’ambulanza arrivò pochi minuti dopo.
“Si riprenderà, vero? Starà bene, vero?” ripetevo come se fosse un mantra, ma nessuno accennava a darmi una dannata risposta.
“Mi dispiace” mi disse poi un medico.
“No, dovete rianimarla, voi potete farlo, dovete rianimarla, non può morire!” le lacrime mi offuscarono gli occhi.
“Ci dispiace, è morta presumibilmente mezz’ora fa”.
A quel punto realizzai: la parola “MORTA” mi risuonava in testa come un eco.
La presi tra le braccia e iniziai a urlare: “Veronica! NO!”
Piansi sul corpo senza vita dell’unica donna che avessi mai amato, sul corpo della donna che io avevo ucciso.
“La causa è un’overdose da eroina” fece un paramedico dopo aver esaminato la droga sul comodino.
Guardai il suo viso e le accarezzai la guancia: “Ti avevo detto di lasciare perdere l’eroina, Veronica perché non mi hai dato ascolto?”
Arrivò anche la polizia in casa mia, mi fecero alcune domande, e poi mi lasciarono in pace.
Tutti mi guardavano come se fossi un criminale, e lo ero, Veronica era morta per colpa mia.
Il suo corpo fu portato via, io ero invece rannicchiato in un angolo con le ginocchia contro il petto.
Doveva essere un incubo, la mia Veronica non poteva essere morta.
Raggiunsi i medici che stavano portando via la mia ragazza e chiesi se potevo andare con loro.
Mi risposero che potevo seguirli con la macchina.
Quando arrivammo in ospedale, mi fecero sedere nella sala di attesa, mentre le facevano l’autopsia.
Dopo molto tempo, o forse poco, non lo saprei dire visto che avevo perso totalmente la cognizione del tempo, qualcuno uscì e mi chiamò.
“La sua ragazza era incinta”.
A quel punto persi la forza, quelle parole riecheggiavano nella mia testa.
Il medico continuava a parlare, ma non riuscivo a capire quello che stava dicendo.
Caddi a terra in preda a un dolore che non credevo potessi mai provare nella vita e urlai.
Urlai così forte che tutte le persone lì presenti si girarono a guardarmi.
Perché? Veronica, perché?!
Perché non sono morto io? Perché la donna più splendida che potesse esistere al Mondo?
Perché la donna che portava in grembo mio figlio? Una creatura che non aveva nessuna colpa, se non quella di essere stato generato da un mostro come me.
Perché questo ero: un mostro.
I genitori di Veronica entrarono correndo.
Io li guardai, Stefano si bloccò e poi in preda a un attacco di collera mi si lanciò addosso.
“Tu, figlio di puttana, è colpa tua se mia figlia è morta, lei non aveva mai toccato droghe prima di conoscere te!” urlò prendendomi per il collo della maglietta.
Io non feci nulla, fissavo il vuoto inerme, avrebbe anche potuto uccidermi, la mia vita non aveva più senso di esistere ormai.
Marina gli mise una mano sul petto e lui mi lasciò.
Percorsero il corridoio e mi lanciarono uno sguardo furioso, prima di scoppiare a piangere.
“È soltanto colpa mia” dissi io sedendomi sul pavimento.
Appoggiai le spalle contro al muro e attesi qualcosa, qualcuno.
Ma nessuno fece niente, tutti mi passarono davanti fingendo che io non esistessi.
Rimasi lì per ore ad attendere, magari un miracolo, magari di svegliarmi da quell’incubo, magari di morire anche io, ma non accadde nulla, fino a quando non arrivò Calvin.
“Forza, andiamo a casa” disse costringendomi ad alzarmi.
Appoggiai il mio braccio sulle sue spalle: “è morta”.
“Lo so” rispose.
“Era incinta” dissi ancora.
“So anche questo”.
Calvin guidò fino a casa dei miei genitori, mi abbracciarono non appena entrai in casa.
“Tesoro, mi dispiace tanto” fece mia madre.
Io annuì, sentivo i miei occhi che si erano spenti, la luce che Veronica aveva acceso nel mio cuore aveva cessato di brillare, il mio mondo stava svanendo poco a poco.
Non avevo più motivi per respirare, non avevo più motivi per sopravvivere.
Ogni cosa che aveva importanza nella mia vita se n’era andata per sempre, una parte di me era morta con lei e nessuno avrebbe mai potuto restituirmela.
Quel vuoto mi riempiva lo stomaco come se fosse un pugno.
Andai a distendermi sul divano, fissai il soffitto mentre sentivo gli altri che ne parlavano in cucina.
Avrebbero dovuto tenere la voce più bassa, così riuscivo a sentire quello che dicevano.
“Deve andare in comunità, mamma” fece Calvin.
“Sì, ma come possiamo convincerlo?” chiese mio padre.
“Dovremmo aspettare un po’, il tempo di superare almeno un po’ la perdita” disse mia mamma.
“E se fosse troppo tardi? Potrebbe rimetterci la pelle da un momento all’altro” disse papà.
“Anche io penso che sarebbe meglio farlo andare subito, ora che Veronica è morta potrebbe avere un cedimento emotivo ed esagerare” mormorò Calvin.
“Gliene parleremo domani, una volta finito il funerale” concordò mia madre.
“Ma tu credi che lo lasceranno entrare in chiesa?” domandò Calvin.
“Io credo di no, ma ci sarò lo stesso” feci io ad alta voce.
Una volta accorsi che li stavo ascoltando si zittirono.
Io chiusi gli occhi e mi imposi di addormentarmi e sognare Veronica, e così fu.

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