Ubriaca d'amore, ti odio!

di BlueButterfly93
(/viewuser.php?uid=325071)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1: ADDIO ITALIA, BENVENUTA PARIGI ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2: Scontri il primo giorno di scuola ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3: Punizione e ritorno a casa ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4: La verità si paga ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5: Lo scoop di Peggy ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6: Il Castiel che aspettavo ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7: Filo da torcere per Peggy ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8: Confessioni ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 9: Il Dolce Journal ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 10: Al ballo di Natale, come Cenerentola ***
Capitolo 12: *** AVVISO ***
Capitolo 13: *** AVVISO 2 ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 11: OOPS, questa non ci voleva! ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 12: Rivelazioni a Natale ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 13: Un fuggitivo bugiardo ma innamorato ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 14: Da vicino fa più male ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 15: Mille rose che cambiano la vita ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 16: Due ipotetici rivali ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 17: UNO di troppo! ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 18: Fare del bene in segreto ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 19: Ira inaspettata ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 20: Il male del secolo ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 21: Mezze verità, forse! ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO 22: La bella addormentata ***
Capitolo 26: *** AVVISO (finalmente sono tornata) ***
Capitolo 27: *** CAPITOLO 23: Roma, lo scherzo del destino ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO 24: Ritorno inatteso ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO 25: Forse ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO 26: A mali estremi, bevi e rimedi ***
Capitolo 31: *** CAPITOLO 27: Il segno del tempo ***
Capitolo 32: *** AVVISO ***
Capitolo 33: *** CAPITOLO 28: Il giardino in terrazza ***
Capitolo 34: *** CAPITOLO 29: La Sirena dai capelli ramati ***
Capitolo 35: *** CAPITOLO 30: Ho solo bisogno di te ***
Capitolo 36: *** CAPITOLO 31: The diary ***
Capitolo 37: *** CAPITOLO 32: Da soli, insieme! ***
Capitolo 38: *** CAPITOLO 33: Resta con me ***
Capitolo 39: *** CAPITOLO 34: L'ennesimo dilemma ***
Capitolo 40: *** CAPITOLO 35: Arrivederci Castiel! ***
Capitolo 41: *** CAPITOLO 36: Perdere ***
Capitolo 42: *** CAPITOLO 37: Drunkers ***
Capitolo 43: *** CAPITOLO 38: Provare? ***
Capitolo 44: *** CAPITOLO 39: Brucia con me ***
Capitolo 45: *** CAPITOLO 40: Valentine's day ***
Capitolo 46: *** CAPITOLO 41: Perdonami ***
Capitolo 47: *** CAPITOLO 42: Promesse ***
Capitolo 48: *** CAPITOLO 43: Che ne è di noi? ***
Capitolo 49: *** CAPITOLO 44: Tutta colpa di Gossip Girl ***
Capitolo 50: *** CAPITOLO 45: Il compleanno di Miki ***
Capitolo 51: *** CAPITOLO 46: Un manto di stelle ***
Capitolo 52: *** CAPITOLO 47: Una cena catastrofica ***
Capitolo 53: *** CAPITOLO 48: Solo per una notte ***
Capitolo 54: *** CAPITOLO 49: Impossibile ***
Capitolo 55: *** CAPITOLO 50: Il concerto di fine anno ***
Capitolo 56: *** CAPITOLO 51: Nuovi incontri ***
Capitolo 57: *** CAPITOLO 52: Lasciarla andare ***
Capitolo 58: *** CAPITOLO 53: Dovunque ***
Capitolo 59: *** CAPITOLO 54: Ubriaca d'amore, ti odio! ***
Capitolo 60: *** CAPITOLO 55: L'ultimo segreto ***
Capitolo 61: *** CAPITOLO 56: Sai che... ***
Capitolo 62: *** CAPITOLO 57: Tutte le stelle ***
Capitolo 63: *** CAPITOLO 58: Di nome Ariel ***
Capitolo 64: *** CAPITOLO 59: Paradiso apparente ***
Capitolo 65: *** CAPITOLO 60: Sorelle ***
Capitolo 66: *** CAPITOLO 61: A qualunque costo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                    Prologo




 

Lei lo amava quando lui la odiava. 
Lui l'amava quando lei lo odiava.
Tempismo perfetto, lo chiamavano.
Appariva quasi come uno scioglilingua, ma in realtá non erano nient'altro che le due frasi più corrette per descrivere il loro rapporto.
Erano strani quei due.
Quando si trovavano nella stessa stanza si percepiva quel magnetismo, quella forte attrazione tra i loro corpi e le loro anime. Era un aspetto imbarazzante, quasi disarmante per chi si trovava insieme a loro. Affogavano la passione che provavano l'una per l'altro con l'astio e i battibecchi.



Quel ragazzo mi aveva reso talmente tanto ubriaca di lui da spingermi ad odiarlo.

L'odiavo per il suo modo di annientare la mia corazza ma l'amavo per il suo modo delicato di leggermi dentro.
Lo odiavo per il suo modo di allontanarmi, per la sua convinzione di non essere il ragazzo giusto per me.
E mentre mi allontanava convincendosi di amare un'altra io m'innamoravo ogni giorno e sempre più di lui.
Non era previsto.
Nel mio cuore distrutto non c'era spazio per l'amore. E invece era accaduto per davvero... Lo amavo per il suo sorriso sincero che concedeva a pochi ma anche per il suo ghigno provocatorio che concedeva a tutti. Lo amavo per il colore dei suoi occhi, erano grigi come la nebbia... Come la nebbia che avvolgeva il suo cuore e la sua anima. Il suo sguardo trasmetteva le emozioni che a parole non riusciva a sussurrare. Ma era anche arrogante, egoista e dispettoso, lo odiavo per quello e per la sua tendenza di mettersi nei guai dieci giorni su sette. A causa sua parecchie volte anch'io ero finita nei guai eppure questo non era bastato per odiarlo completamente. Odiavo invece la sua tendenza di distruggermi e ripararmi subito dopo, ma amavo i suoi baci e le sue carezze, amavo persino i suoi capelli strani.
I sentimenti provati per lui erano forti, talmente tanto da farmi dubitare della loro resistenza. Per quanto tempo ancora sarei sopravvissuta all'intensità di quell'odio/amore?



Tutti, con il tempo, si erano accorti dei loro sentimenti tranne loro due. 

Più volte si erano imposti di stare lontani ma tutte le volte avevano violato quella promessa. Erano come la calamita e il ferro, il fuoco e la benzina. L'uno pendeva dalle labbra dell'altro e ardevano per i sentimenti che si ostinavano
a reprimere. 
Avrebbero finito per perire davanti a quell'amore contrastante e troppo forte? O sarebbero sopravvissuti?

Fu una di quelle storie che lasciano il segno, una di quelle storie che magari dopo un po' di anni qualcuno decide di raccontare perchè sarebbe peccato non farlo. Era quello uno dei motivi che mi aveva spinto a scrivere di loro. Tutti avrebbero dovuto conoscere l'immensitá di quel sentimento che li legava. Il loro amore rendeva ubriachi, stordiva anche a distanza... Annebbiava la mente permettendo di raggiungere posti immaginari, bellissimi e sconosciuti. Il loro era un sentimento senza barriere e nè tempo. Era un amore indelebile come l'inchiostro, come quelle lettere, quei diari segreti antichi che qualcuno ritrova in soffitta dopo anni, magari decenni o addirittura centenni...
E il loro amore sarebbe stato così. 

Tutti, anche i più cinici, avrebbero riconosciuto e percepito la presenza di quell'amore ubriaco per molto tempo ancora.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO 1: ADDIO ITALIA, BENVENUTA PARIGI ***


                         CAPITOLO 1

    ADDIO ITALIA, BENVENUTA PARIGI






🎶 The Fray - How to save a life 🎶

Dove ho sbagliato? Ho perso un amico
da qualche parte, nell'amarezza
e sarei rimasto in piedi con te tutta la notte
se avessi saputo come salvare una vita

 

***

 

Micaela Rossi. Un nome che tutta Roma conosceva; una ragazza dietro al nome che invece nessuno era interessato a conoscere. Sin da piccola la vita mi aveva insegnato ad indossare una maschera, maschera che mi avrebbe protetta dagli uomini e soprattutto dall'amore. Indossare i panni di una ragazza superficiale e tutta apparenze -minigonna e tacchi a spillo- era risultato facile fino all'età di sedici anni. Avrei fatto di tutto pur di allontanare gli uomini e soprattutto l'amore; quel sentimento orribile rendeva deboli, fragili ed io non potevo permettermi niente di tutto quello. Le bambole mi erano state levate con forza sin dall'età di nove anni, erano i miei giocattoli preferiti eppure ero cresciuta ugualmente ed anche in fretta. Quindi vivere senza un ragazzo fisso e senza amore sarebbe stato un gioco da ragazzi. Ero sola, ormai, abbandonata al mio destino e l'amore era un nemico per una come me, figlia di un padre che aveva rovinato le vite di sua figlia e sua moglie. 

Una vecchietta -sentendomi parlare in quei termini- mi avrebbe sicuramente accusato di essere eccessivamente melodrammatica perché giovane e con tanti anni di vita d'affrontare; e che quindi ancora non avevo visto niente di tutto ciò che il futuro mi avrebbe riservato. Avrei tanto voluto darle ragione, ma non potevo. Le tante disavventure, troppe per una piccola ragazza, mi avevano portato a sostenere altre verità ben più amare.

Non avevo raccontato a nessuno la mia vera storia, mi ero sempre limitata a dire: "i miei genitori lavorano in una compagnia aerea, tornano raramente a casa e per questo vivo da sola", ma sapevo bene che in quella mia affermazione non c'era nulla di reale. La mia vita era stata sempre basata sulle menzogne, ad aiutarmi a mentire era il mio aspetto fisico e il mio modo di metterlo in mostra. Nonostante quel particolare non mi ero mai definita una bellezza mozza fiato. Ero una ragazza nella norma: capelli castani tendenti all'arancione "no,non sono una carota", occhi neri, altezza nella media e abbastanza magra. Nonostante i tratti somatici normali, le ragazze mi avevano sempre visto come un qualcosa da detestare e temere, mentre i ragazzi mi guardavano con brama, vero, ma nello stesso tempo mi ritenevano inavvicinabile ed avvicinabile solamente da un ragazzo: Ciak.

Ciak era il mio miglior amico, era un bel ragazzo, ma non avevo mai pensato a lui come un mio ipotetico ragazzo e poi... Io non ero stata creata per quel genere di cose. Lui era alto, occhi celesti e capelli neri; aveva molto successo con le ragazze, che però, prima di andare da lui e tentare la fortuna di farsi notare venivano da me per chiedermi se veramente non stessimo insieme. In Italia c'era sempre stata la concezione che tra uomo e donna non potesse esserci solamente un'amicizia, la maggior parte delle voci sostenevano che: o eravamo scopa amici, o che uno dei due era innamorato dell'altro e non aveva il coraggio di dirlo.

Mi levai quella idea dalla testa e chiamai Ciak.

«Pronto Miki...»

«Ciak andiamo un po' in spiaggia? Devo parlarti!» il mio tono non poteva che essere triste visto ciò che avrei dovuto dirgli da lì a poco.

E lui da bravo migliore amico se ne accorse «Cos'hai tesoro?»

«Ne parliamo dopo, vienimi a prendere per ora. Ciao», chiusi subito la chiamata per evitare di farmi tentare e raccontargli tutto per telefono, non mi sarebbe sembrato il caso. 

Ciak amava guidare ed appena compiuti i sedici anni, fatti i test, aveva preso la patente per la moto. Amavo la sua moto, era una vespa della Piaggio rossa, uscivamo sempre con quella e poi -vista la mia scarsa predisposizione a guidare io possedevo solamente una bici che, tra l'altro, avevo ridotto veramente male dopo i miei piccoli incidenti anche con quella. Non sapevo tener cura neanche ad una mezza bicicletta, quindi per forza maggiore Ciak era obbligato a passare prima da casa mia ogni volta che decidevamo di uscire. Ed anche quell'ultimo giorno fu così. 

Dopo neanche venti minuti a testimonianza del suo arrivo suonò il solito clacson per incitarmi a scendere e così feci. Erano i primi giorni di Settembre, il mare era piacevole e nonostante il leggero venticello avevo indossato il bikini che tanto amavo, rosso con i pois bianchi.

«Eccomi», gli urlai alzando una mano per mostrare il mio arrivo e soprattutto per incitarlo a smettere di suonare il clacson. Aveva la fissazione di continuare a suonarlo fin quando non mi vedeva sbucare dal portone di casa. Quanti rimproveri si era preso e quanti anche io, per colpa sua. Mi sarebbe mancato anche quel piccolo particolare del suo modo di fare giocoso. 

Dopo quella breve scenetta simpatica salii in moto e, dopo il saluto con un bacio sulla guancia, per tutto il viaggio non spiccicò parola; quasi come se già fosse a conoscenza di ciò che avrei dovuto dirgli. Mi conosceva bene. 

Abitando a Roma la spiaggia più vicina era ad Ostia, dove arrivammo in circa due ore. Eravamo abbastanza matti da essere capaci di fare due ore di viaggio per solo un'ora di mare. Stavamo bene insieme, passavamo intere giornate a scherzare, giocare, ballare, cantare, guardare sfilate in tv e riviste di moda. Avevamo gli stessi gusti e le stesse passioni, era facile andare d'accordo e difficile litigare. Era capitato rare volte e sperai che quei particolari non sarebbero mai cambiati neanche con tutte le difficoltà, che il nostro rapporto di amicizia inevitabilmente avrebbe dovuto affrontare. 

Arrivati a destinazione e parcheggiata la moto scendemmo in spiaggia. Il mare era calmo, l'acqua era calda e limpida, forse un po' troppo per una giornata di Settembre. Come tutte le spiagge in quel periodo anche quella era vuota. S'intravedeva in lontananza solo qualche pescatore, ma di bagnanti solo noi. Il mare a Settembre mi aveva sempre trasmesso una calma pazzesca, utile per affrontare i primi giorni di scuola e le inevitabili domande relative alla mia vita, peccato che quel giorno non ci riuscì.

«Allora... pronta per l'inizio scuola?» finalmente si era scomodato a rivolgermi la parola mentre stendeva l'asciugamano. 

«È proprio di questo che voglio parlarti», mi accomodai sulla sabbia per la fretta. Ero nervosa e con le mani tremanti, non sarei stata capace neanche di stendere un'asciugamano. 

Mi fece cenno di parlare senza aggiungere parola; sapeva fosse qualcosa d'importante, l'aveva capito sin dalla mia chiamata, sin da quando aveva incontrato i miei occhi sul portone di casa, dai miei movimenti. E aveva capito bene.

«Tutti questi anni insieme a te sono stati incredibili e non potrò mai dimenticarli, non smetterò mai di ringraziarti per tutte le risate, per la tua vicinanza, per non aver mai fatto domande sui miei genitori pur sapendo che qualcosa non quadrava su quello che raccontavo in giro o a scuola. Sei stato, sei e sarai sempre il migliore amico più buono, più bello, più bravo e più tutto...»

«Miki smettila con questi giri di parole, arriva al punto» era nervoso lo si percepiva dalla voce, ma perlomeno lui riusciva a guardarmi negli occhi mentre io, da codarda, appena parlò iniziai a fissare i miei piedi che a contatto con la sabbia molle erano sprofondati sotto terra. 

«Cambierò città, scuola e persino Stato», sputai in un fiato. Gettai quella bomba ed istintivamente strinsi gli occhi senza il coraggio di guardarlo in volto. 

Ero codarda. Lo sapevo bene. 

E come volevasi dimostrare non riuscì a parlare. Avevo sganciato quella verità con troppa crudeltà per un rapporto leale e genuino come il nostro. Non ci eravamo mai allontanati per più di una settimana, era capitato solo rare volte che lui dovesse partire e già quando succedeva ci lasciavamo in lacrime. Non osai immaginare cosa sarebbe accaduto quella volta durante la quale era prevista una mia partenza ma non un mio ritorno.

In quell'istante trovai il coraggio di guardarlo e alzai il volto. Volevo vedere quanto ero stata capace di far male all'unica persona in grado di rendermi felice ed i suoi occhi in quel momento valevano più di mille parole, non me li sarei mai più dimenticati. Avevano un mare in tempesta dentro. 

Istintivamente abbassai nuovamente lo sguardo per poter continuare a parlare, se non lo avessi fatto sarei scoppiata in lacrime.

«Andrò a vivere a Parigi con zia Kate». Sganciai l'altra bomba. Quella volta però insieme alla bomba scoppiò il mio cuore, si sgretolò in mille pezzi. Non volevo ferire Ciak, non se lo meritava. 

E fu a quel punto che mi stupì «Ma a cosa ti serve? Stai bene sola, i tuoi ti mandano soldi da qualunque città essi siano. Tu con me stai bene, è qui il tuo posto. Accanto a me».

Dopo quelle sue parole, proseguire fu uno strazio: «Io...io non ti ho mai detto tutta la verità. Io... non ho contatti con i miei genitori da quando avevo otto anni. Ancora porto delle ferite aperte e di loro non ne riesco a parlare, scusami. Quello c-che ora... quello che ora importa è che tu sappia che è mia zia ad avermi mandato i soldi fino ad ora. La voce che hai sempre sentito al telefono era di zia Kate, non di mia madre. Zia mi ha sempre detto che non appena si fosse sistemata definitivamente nella sua casa mi avrebbe fatta trasferire lì con lei, a Parigi. Io pensavo non sarebbe arrivato mai quel momento e invece è arrivato, e non posso più aspettare. Mi ha detto che non è più disposta a pagare le spese di due case ora che lei abita vicino ad un liceo ed in una casa grande, dove io avrei tutte le comodità. Lasciarmi qui, per lei, non avrebbe più senso. Capisci?»

Non fiatò. Non fece domande anche se gli si poteva leggere negli occhi quanto fosse confuso e quanto fosse stato ferito. Quella volta però non era stata una ragazza, non erano stati i suoi genitori, ma ero io; solo e soltanto io. Da sempre avevo avuto l'istinto di proteggerlo, di aiutarlo quando qualcosa nella sua vita non andava per il verso giusto; peccato però che quella volta non avrei potuto proteggerlo da me stessa.

Mentre le mie ferite, quelle che mi avevano procurato i miei genitori, erano talmente profonde da avere ancora i brividi solamente nel pronunciare i loro nomi, Ciak se ne stava lì a fissarmi con un nuovo sguardo, uno sguardo quasi d'odio. Perché per un attimo non provava a mettersi nei miei panni? Avevo provato più di una volta a dire la verità, sapevo che lui mi avrebbe compresa e aiutata, ma ero fragile tanto da chiudermi come un riccio, troppo per non riuscire a parlare del mio passato neanche con il mio migliore amico. La nostra amicizia durava da ben sette anni, sin dalle scuole elementari, ne avevo avuto di tempo per raccontare la mia verità eppure non ero mai riuscita a farlo. 

«Quando parti?» interruppe i minuti di silenzio, ma vista la sua freddezza forse sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto. 

«Stasera... Ma credimi ti chiamerò sempre, tutti i giorni. Ti racconterò tutto ciò che accade e poi durante le vacanze, ti farò un biglietto e verrai da me a trovarmi».

«E quindi tu hai aspettato l'ultimo giorno per dirmelo? Ma cos'hai in quel cervello eh, Miki? Ti sembra che la gente possa stare ai tuoi ordini come se nulla fosse? Ti ricordo che questo non è un gioco, è la vita reale. Come fai a pensare che a me dovrebbe star bene tutto quello che dici, tutto quello che mi hai nascosto, dovrei fare finta di nulla? E poi... poi non servono tutte queste false promesse. È inutile dire che sarà tutto come prima, sai bene che non sarà così. Tu te ne andrai, ti farai una nuova vita, nuovi amici e pian piano ti dimenticherai di me. So bene che andrà così. A questo punto qui l'unico stupido sono stato io a fidarmi ciecamente di te. Ti ho sempre raccontato ogni dettaglio di me, della mia vita, persino di quello che facevo con le ragazze e da imbecille credevo facessi lo stesso anche tu con me. Vero, pensavo non mi avessi raccontato tutta la verità sui tuoi, ma non credevo fossero così tanti segreti, pensavo fossero dettagli di poco conto quelli che nascondevi. E invece mi sbagliavo... ho vissuto sette anni nelle tue menzogne» e mi disse tutto quello che gli passava per la testa in quel momento. Vomitò ogni frase con odio e rabbia come non gli avevo mai visto fare, passava da un argomento all'altro senza un apparente filo logico, ma aveva ragione.

Come dargli torto? E proprio per quel motivo non riuscii a degnarlo di una risposta. Non avrei mai potuto controbattere sulle mille verità che aveva rivelato. Così decisi di non rispondere. Forse in quel momento avrei dovuto raccontargli tutto il dolore che avevo dentro, tutto il male che quell'uomo mi aveva fatto, gli abbandoni e lo schifo che ero stata costretta a vedere in una casa apparentemente accogliente, ma che dietro nascondeva mille segreti. Tante erano le parole che avrei dovuto dire ma che non ebbi il coraggio di pronunciare. Restò un muro tra noi che negli anni avevo innalzato io insieme ai miei silenzi. Quel muro probabilmente avrebbe posto fine alla nostra lunga amicizia.

«Spero troverai un ragazzo più degno di me per raccontare la tua storia».

«Non è vero. Nessuno potrà mai sostituirti Ciak, ricordalo». Furono le uniche parole che riuscii a pronunciare e a quei tempi lo pensavo realmente

«Sì come no...» furono le sue ultime sillabe prima di alzarsi ed incitarmi a fare lo stesso per rientrare a casa. 

Il viaggio di ritorno fu silenzioso, peggio dell'andata. In quel viaggio di ritorno c'era la consapevolezza che quella sarebbe stata l'ultima volta. L'ultimo nostro tragitto in moto, l'ultima nostra gita al mare, il primo importante e l'ultimo vero e proprio litigio. Visto il suo carattere orgoglioso non avrebbe voluto sentire parlare di me per un bel po' di giorni. Sperai e pregai che prima o poi gli sarebbe passata, ma a quei tempi non sapevo che c'erano questioni e sentimenti ben più delicati sotto quel suo comportamento di pura rabbia.

Arrivai a casa durante le prime ore del pomeriggio, scesi da quella moto sentendomi il corpo pesante, scosso da sensazioni negative. Levai il casco rosso personalizzato e glielo porsi, fino a quel momento non lo aveva indossato nessuno oltre me, lo tenevo persino dentro casa mia visto l'utilizzo frequente, ma da quel giorno non mi sarebbe spettato più. Quando Ciak allungò le mani per riprendere il casco ebbi la sensazione che insieme a quello gli stessi ritornando cose più importanti, quasi come se il casco non fosse nient'altro che una metafora. Forse con quel gesto stavo ritornando il cuore e l'amicizia ad una persona che non meritavo, qualcuno che mi era stato donato ma che da stupida non ero stata in grado di proteggere. Quando il casco restò solamente nelle sue mani alzai finalmente gli occhi per guardarlo. Lui mi stava già fissando, scosso per quello che sarebbe accaduto ed incredulo per quante cose sarebbero cambiate da lì a pochi minuti. Nessuno dei due fiatò, non servivano parole in quel momento sin troppo delicato. 

Senza avvertire scese dalla moto e restò in attesa davanti a me, voleva facessi io il primo passo. E così feci. Lo strinsi in un abbraccio forte quasi a volergli trasmettere sicurezze, quelle sicurezze che per colpa mia aveva perso tra la sabbia, lì in quella spiaggia che aveva visto il nostro primo e ultimo litigio importante. Sospirai sulla sua maglietta sottile bianca, ed inevitabilmente scesero delle lacrime, mentre lui s'irrigidì maggiormente tra le mie braccia. Non mi consolò, non mi diede neanche il tempo di riprendermi dal pianto perché subito staccò l'abbraccio e senza guardarmi più negli occhi, senza guardarsi indietro, ripartì lasciandomi sola tra il fumo provocato dalla marmitta della sua Vespa e tra il dolore della nostra amicizia ormai andata anche lei in fumo. Fu quella l'ultima immagine che ebbi di lui. Straziante, dopo i sette anni incredibili di amicizia.

Rientrai scossa ed amareggiata in casa, incapace di proseguire a sistemare le valigie per la partenza imminente. Ma dovetti farmi forza, l'aereo non avrebbe aspettato me. Dopo qualche ora era tutto pronto. Avevo riempito ben cinque valigie di vestiti, make-up e cianfrusaglie varie. Non sarei ritornata in Italia per chissà quanto tempo, dovevo portarmi quasi tutto quello che avevo. Chiamai un taxi e in attesa del suo arrivo diedi un ultimo sguardo a quella casa, mio nido ormai da ben sedici anni. Lì in quelle quattro mura erano successe tante, troppe, cose e se solo non nascondesse tanti di quei segreti avrei pensato a quelle mura come una casa accogliente. Essendo stata vissuta sin dalla mia nascita i mobili erano un po' vecchiotti, tutti in stile antico e rigorosamente in legno. Le mura erano color ocra. Spostando lo sguardo intravidi quella stanza maledetta, quella stanza che con la mia partenza avrei voluto dimenticarne l'esistenza. Era chiusa a chiave sin da quando l'aveva fatto lei e non sarebbe mai più stata aperta. Lì, chiuso, c'era il lavoro di mia madre; avrei voluto dimenticare anche quello. Scrollai la testa cercando di buttare via tutti quei pensieri e dolori, era difficile, ma dovevo riuscirci. Era giunta l'ora di chiudere tutto e ricominciare da capo. Chiusi con gran forza quella porta come a voler chiudere forzatamente con quella casa e nello stesso tempo anche con la vecchia vita; girai le chiavi per tre volte dentro la serratura e scesi le scale pronta per ricominciare davvero. Quando uscii fuori da quel portone, il taxi mi stava aspettando e già respirai un'aria nuova. Pian piano stavo prendendo consapevolezza che quel cambio di città e addirittura di Stato avrebbe potuto solamente giovarmi. 

Arrivata in aeroporto, pagai il tassista, e mi venne ad aiutare un addetto ai bagagli che subito li mise in fila per imbarcarli.

Diedi un'occhiata all'aeroporto nell'attesa dell'imbarco, era come l'avevo lasciato mesi fa quando avevo accompagnato Ciak per quel viaggio con i suoi genitori di una settimana. Tra la gente in fila per il mio stesso volo attirò la mia attenzione uno strano ragazzo, ma non feci in tempo a squadrare il suo aspetto fisico che subito mi accorsi che aveva le mie stesse ed identiche valigie. Riflettei un attimo e «cazzo non ho messo il Cognome alle mie». Come avevo potuto dimenticare un dettaglio così importante? Allarmata uscii dalla fila e corsi alla ricerca del personale addetto per spiegare la situazione. «I restanti bagagli sono già stati imbarcati, abbiamo provveduto noi a mettere un segno distintivo» mi rassicurarono, ma io non mi fidai e l'unica scelta disponibile restava quella di andare a parlare direttamente con il ragazzo con la mia stessa valigia per metterci d'accordo su eventuali scambi. 

Per mia sfortuna ecco una vocina femminile che riecheggiò per tutto l'aeroporto: «Ultima chiamata per il volo Roma-Parigi».

Persi le speranze di trovare quel ragazzo e mi diressi verso l'aereo per fare la fila ed imbarcarmi. 

Un'hostess mi fece accomodare al mio posto, mi misi comoda e con stupore notai che il ragazzo dei bagagli era seduto proprio accanto a me. Per una volta nella vita la fortuna era dalla mia parte. Feci un respiro di sollievo con la nuova convinzione che sarei riuscita ad avere la mia valigia sana e salva, non quella di un altro. Cercai di farmi notare per potergli parlare, ma fu più difficile del previsto.

«Ehi,scusa?!?» nessuna risposta.

«Ehi tu ragazzo?!» ancora niente.

Lo chiamavo ma non si voltava, era girato e poggiato con la testa dalla parte opposta alla mia e non poteva vedermi, ma continuavo a non capire perché non mi sentiva. La mia voce non aveva un tono basso, anzi più lo chiamavo e più alzavo i toni; si erano persino voltate le persone a tre sedili di distanza dai nostri. Non riuscivo in nessun modo a intravedere il suo volto, certo, con dei capelli simili doveva essere di sicuro un tipo particolare. Aveva dei capelli lunghi sino alla spalla -che a me non erano mai piaciuti in un ragazzo-, un giubbotto di pelle nero, insomma a primo impatto sembrava una specie di punk che usava girare su una di quelle moto grosse e fissato con la musica rock. Ma io stessa avevo inciso sulla pelle, da sempre, quanto l'abito non dovesse fare necessariamente il monaco.

«Ehi, tu...» continuai a chiamarlo «dovrei dirti una cosa importante» e toccarlo delicatamente sulla spalla, ma non voleva proprio darmi retta. Arrivai persino a pensare che potesse essere sordo e, per togliere quel dubbio e fare un'ultima prova, chiusi la mano e con maggiore forza gli sferrai un pugno sulla spalla. 

Il ragazzo finalmente si mosse e saltò in piedi spaventato, sbattendo la testa al tettuccio dell'aereo, lì dove potevano essere sistemati i bagagli leggeri, e gridando un «ma che cazzo vuoi?» fece voltare parecchi passeggeri nella nostra direzione. Dalla vergogna mi feci piccola sprofondando tra i sedili.

Quando notai che i passeggeri non ci guardavano più decisi di rispondergli a modo «Questo è il modo di rivolgersi ad una ragazza? Cafone!»

«Oh scusa tanto, la prossima volta starò più attento ragazzina» mi derise e poi tornò serio «sono tre ore che tocchi la mia spalla disturbandomi, ero impegnato non vedi?» concluse mostrandomi delle cuffie e un mp3.

Evitai di rispondergli male cercando di restare calma, mi conveniva così. «Non ho messo il nome ai bagagli, ho visto che li abbiamo uguali, se per caso tu non hai messo il nome alla tua e ti dovessi ritrovare qualcosa di mio: chiamami» gli dissi ignorandolo e porgendogli un biglietto con scritto il mio numero di telefono.

«Cazzo, neanch'io ho messo il cognome alle mie».

«Infatti, come immaginavo. Chiamami o lasciami il tuo numero in modo tale da poterti contattare se, scesi dall'aereo, non dovessimo più ritrovarci. Oppure al nostro arrivo potremmo scendere e andare a controllare insieme le valigie». Gli proposi tutte le alternative possibili. Avrei voluto soltanto avere la mia valigia senza ulteriori grattacapi. 

«Capisco di essere irresistibile, ma avresti potuto chiedere direttamente il mio numero senza tutti questi sotterfugi...» sogghignò. Non avevo mai visto quel tipo di sorriso beffeggiatorio stare così bene ad una persona.

Distolsi lo sguardo per evitare di farmi ammaliare e risposi a tono «Senti, stammi bene a sentire, voglio solo avere la mia valigia una volta scesi da quest'aereo, non m'interessa nient'altro. Sono stata chiara?» incrociai le braccia e spostai lo sguardo nuovamente su di lui, lo guardai dritto negli occhi senza farmi intimidire. 

Al contrario delle mie previsioni non rispose a quella mia presa di posizione, sorrise beffardo, si poggiò nuovamente sul sedile dell'aereo e chiuse gli occhi lasciandomi inebetita. Davanti al suo menefreghismo posai il bigliettino con scritto il mio numero sul tavolino davanti alla sua poltrona e voltai le spalle proprio come aveva fatto lui all'inizio del viaggio. Non mi piaceva per niente quel ragazzo, quel piccolo dialogo mi era bastato per capire il suo caratteraccio arrogante e presuntuoso. Si sentiva di essere il Re del mondo. Aveva i capelli rossi e già quello bastava per eliminarlo dalla lista dei ragazzi carini e per bene, gli occhi grigi intimidivano un po', e quel sorriso... quel sorriso da stronzo era unico. Scossi la testa ed eliminai totalmente dalla mente l'immagine di quello strano ragazzo, aveva avuto sin troppa attenzione da parte mia per quel giorno. 

Per tutto il tragitto in aereo chiusi gli occhi e pensai... Zia telefonicamente mi aveva accennato informazioni sul mio futuro liceo.

"Dolce Amoris" era il suo nome, certo nome un po' buffo per appartenere ad un liceo, sembrava piuttosto il nome di un teatro o di un sito d'incontri. La direttrice doveva essere una tipa alquanto romantica per aver pensato di chiamare un liceo in quel modo. 

Non sapevo cosa aspettarmi da quella nuova vita, da quel nuovo liceo e soprattutto dalle nuove persone che avrei incontrato. Pensai inevitabilmente a Ciak, l'unica persona e l'unico rimpianto o pensiero lasciato a Roma, in Italia. Ma cercai di evitare i piagnistei già a poche ore di distacco e tornai a pensare alla Francia. Sperai sin da subito che i francesi fossero meno ficcanaso degli italiani, che facessero il meno domande possibili sulla mia vita privata e che non condannassero la gente che, come me, indossava tacchi e minigonna. Certo, io in prima persona sarei voluta apparire una ragazza facile e intoccabile in modo da evitare ulteriori ferite, eppure nonostante i numerosi insulti e giudizi subiti negli anni, sul punto di cambiare Stato mi sentii fragile, quasi tentata a ricominciare una nuova vita senza alcuna maschera, ad essere me stessa, come non lo ero da tempo. Forse per iniziare realmente da zero avrei dovuto far avvicinare maggiormente i ragazzi a me, maggiormente le persone in generale e perché no, forse per abbandonare definitivamente la corazza che mi ero creata, avrei dovuto innamorarmi. No, innamorarsi avrebbe portato solamente guai ed ulteriori ferite al mio cuore, mia mamma era innamorata di mio padre e i risultati furono catastrofici. Dopo quel breve pensiero a quelle persone, scossi la testa ed eliminai il ridicolo pensiero di una Miki innamorata. E poi l'illuminazione. Quello che davvero mi sarebbe servito era un rapporto di solo sesso. In quel modo avrei scaricato tanta tensione e finalmente avrei eliminato il peso di essere vergine. Per me, essere vergine stava a significare essere debole. Era l'unico punto sul quale ero inesperta, l'unico punto sul quale un essere umano di sesso maschile avrebbe potuto ferirmi, provocarmi del male fisico. Quel problema, quella debolezza fastidiosa doveva essere eliminata a tutti i costi e doveva esser fatto a Parigi, nella mia nuova città, dove ancora nessuno mi conosceva; quella che per tutti rappresentava la città dell'amore per me sarebbe stata la città del sesso. Perfetto.

A quei tempi, nel lontano 2014, non potevo immaginare, non potevo sapere quanto in realtà mi sbagliavo. Quella città, Parigi, avrebbe sciolto, distrutto e ricostruito il mio cuore in continuazione. Parigi per me non divenne solo l'amore e il sesso allo stesso tempo, Parigi aveva un nome in particolare inciso su di essa; un nome con l'iniziale a forma di mezzaluna. Ma prima di arrivare a quel punto, dovemmo percorrere strade tortuose, ripide e con fossi, incontrare persone malvagie ma alcune buone, affrontare avventure che misero a dura prova il nostro amore. Ed ora a distanza di anni posso dire che rifarei tutto. Perché tutto, ogni avventura passata, mi ha resa ubriaca... ubriaca ogni giorno di più dei suoi occhi, del suo sorriso, della sua arroganza, del suo orgoglio, della sua testardaggine; ubriaca di lui, di un amore che mi ha resa viva, ardente, bruciante di passione. Sono state tante le volte in cui l'ho odiato. L'odiavo e l'odio tutt'ora, ma l'amavo e l'amo... lo amo e lo odio, lo odio e lo amo; due binomi, due sentimenti così forti e intensi da bastare già solo loro a rendermi ubriaca, ubriaca d'amore e d'odio per quell'uomo che ora, mentre penso a tutta la storia della nostra vita, mi sta fissando insistentemente ed innocentemente da quel letto di ospedale. 

Ripresi la concezione del tempo e aprendo gli occhi INTRAVIDI PARIGI. Dall'aeroporto potevo ammirare anche la tour Eiffel ed essendo ormai notte quella visione fu ancora più spettacolare, era tutto così diverso dalla piccola Italia. Tutto più maestoso e mozzafiato. 

Quando riuscii a staccare gli occhi da quel panorama cercai il rosso con lo sguardo, ma non lo trovai. Era già uscito fuori dall'aereo ed io non me n'ero neanche accorta. Perlomeno si era degnato di conservare il mio numero, così senza aspettare un secondo di più, scesi e andai alla ricerca di zia Kate. Era la sorella di mio padre, una donna in carriera, con precisione un avvocato; nulla a che vedere con quel fannullone del fratello. Lei era sicura di sé, molto eccentrica, prendeva qualsiasi decisione in fretta senza pensarci troppo.

Ancora una volta la sua troppa simpatia ed eccentricità si fece notare. Appena misi piede nell'aeroporto non potei evitare di notare l'enorme cartellone colorato, con scritte fosforescenti e brillantini, tra le mani della cara zia Kate. 

"MICAELA ROSSI, ZIETTA TI ASPETTA!!!" era scritto tra mille colori e brillantini vari. Odiavo il mio nome scritto per intero; lui mi chiamava in quel modo ed io odiando lui, odiavo il mio nome reale. Da chiunque. Impuntarsi su un nome poteva essere ritenuto come qualcosa di eccessivo, ma per me non lo era. Stavo male quando qualcuno mi chiamava con il mio nome reale, ma zia Kate continuava a non capirlo.

«Benvenuta a Parìs, Micaela!» pronunciò lei con entusiasmo.

«Zia ti ringrazio per tutto quest'affetto, ma il mio nome è Miki e sei pregata di chiamarmi anche tu così». Dissi con tono autoritario, sperando di essere ascoltata. 

«Non iniziare a dettare regole, ti chiamerò come mi pare e piace» era testarda.

«Mi chiamo Miki»

«Miki è un nome da maschiaccio e da provinciale»

«Oddio zia, per favore». Alzai gli occhi al cielo per la scusa banale utilizzata.

E il piccolo battibecco proseguì ancora a lungo; io sostenendo il nome Miki e lei insistendo che Micaela era nome da ragazza dolce e proveniente da una famiglia per bene. Stanca, lasciai cadere lì quel discorso e senza perdere ulteriore tempo andammo a prelevare i bagagli imbarcati. Quel pomodoro testardo era come sparito nel nulla, lasciai sfumare l'idea di poter controllare i bagagli nell'aeroporto stesso, vista la sua assenza sarebbe stato inutile. 

Cercai di evitare di pensare ulteriormente quella testa di rapa di cui non conoscevo neanche il nome e ritornai al presente. Zia Kate essendo un avvocato famoso possedeva molti lussi e comfort che altri potevano solamente sognare, lo testimoniava la sua macchina: una Porsche Cayenne S, nera, bella, sportiva ma nello stesso tempo elegante. I sedili erano molto comodi, notai durante il tragitto di ritorno a casa. 

Giunte a destinazione, prima di scendere dall'auto e conoscere la mia nuova casa, guardai l'ambiente circostante. Nel giro di un chilometro vi erano tantissime villette a schiera con giardino e piscina, era bellissimo come posto; ogni casa era di un colore diverso e ogni giardino era con fiori diversi. Nel guardare tutte quelle case apparentemente lussuose nell'insieme mi sembrò di essere in un sogno per quanto ricchi sembravano esserne tutti gli abitanti. Per un attimo mi sentii persino fuori posto. E poi era tutto talmente diverso dal caos di Roma che ci avrei messo parecchio ad abituarmi a quella tranquillità.

«Vuoi restare lì impalata tutto il giorno?» gridò zia Kate incitandomi ad aiutarla visto che quasi non si vedeva più per quanti bagagli teneva uno sopra l'altro, era praticamente sotterrata e quella scena mi fece ridere. 

Scesi dalla macchina e, un'altra immagine invase i miei occhi, un ragazzo che sembrava appena uscito da una fiaba portò a immobilizzarmi. Stava annaffiando il suo giardino, si trovava proprio accanto casa nostra e non potei trovare parole per descrivere la bellezza dei suoi movimenti delicati e del suo corpo. Era altissimo, magrissimo, e poi a salire beh... quel volto, quell'espressione avrebbe fatto impazzire qualunque ragazza, forse anche donne più adulte. Aveva i capelli biondi come il grano e gli occhi dello stesso colore dei capelli, non ne avevo mai visti un paio di così belli; erano dorati e brillavano ancor di più della luce riflessa sui vetri. Non seppi da dove stavano fuoriuscendo quelle parole, ma avevo detto la verità. Lui insieme a quelle case perfette intorno sembravano quasi finti, oggetto della mia immaginazione. 

«Oh, sapevo ti piacesse sin da subito. Quello è il nostro vicino di casa» zia Kate, non curandosi del fatto che il diretto interessato avrebbe potuto sentirla, si accorse dei miei occhi puntati su di lui, solo un cieco non mi avrebbe vista. Poi, lasciando cadere alcune valigie con poca cura, mi lanciò una breve pacca sulla spalla e proseguì verso l'entrata della villa.

«Come si chiama?» chiesi a bassa voce, con finta nonchalance, e recuperando i bagagli caduti.

La Francia era entrata ufficialmente a far parte della mia classifica dei posti migliori esistenti sulla terra, in assoluto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO 2: Scontri il primo giorno di scuola ***


                           CAPITOLO 2

              Scontri il primo giorno di scuola






 

«Come si chiama?» entrando in casa, chiesi a zia Kate per la seconda volta.

«Nathaniel, hai visto che figo? È anche ricco» era troppo ostinata nelle apparenze e soprattutto nel guardare le disponibilità economiche di ogni persona, non era cambiata per nulla.

«Zia non è troppo giovane per te?!? E poi soldi qui, soldi lì, non esistono solo i soldi nella vita.» sembravo quasi io l'adulta in quello strano dialogo che stavamo avendo. 

Se solo fosse stato possibile avrei abolito i soldi e inserito qualche altro sistema come forma di moneta. Era anche a causa dei soldi se la mia famiglia era morta già prima di nascere. 

«Ma infatti io sto provvedendo per te, mia cara nipote».

«Non ne ho bisogno, ma grazie del pensiero!»

«Ma che? Ti ho vista come lo guardavi. Lo stavi mangiando con gli occhi, signorina». 

«È un bel ragazzo, vero. Ma io non voglio relazioni, lo sai bene. Ora chiuso il discorso!» stroncai quel discorso sul nascere, altrimenti chissà quanto tempo ancora sarebbe durato. Altre volte ci aveva provato, aveva tentato di smuovere quella mia concezione sulle relazioni d'amore ma mai l'aveva avuta vinta. 

Zia Kate, seppur molto diversa da me era l'unica donna alla quale confidavo i miei segreti, le mie paure, le mie gioie. Lei sapeva tutto di me ed io sapevo tutto di lei; la lontananza non aveva mai fatto del male al nostro rapporto e anzi visti i nostri ultimi dialoghi pensai che, al contrario, la vicinanza avrebbe portato parecchi disguidi. Da quando mi ero trasferita a Parigi l'avevo trovata molto più impicciona del solito. 

Nonostante zia Kate stesse continuando a ribattere sulla mia ultima affermazione non l'ascoltai, ed iniziai a sbirciare e più che altro ammirare quella che sarebbe stata la mia nuova casa. Era tutto in un perfetto stile veneziano, una villa destinata a far sentire i propri abitanti dei veri e propri sangue blu, dei membri appartenenti ad una famiglia reale.La zia, notai, non si era risparmiata ad arredare la nuova casa; anche una sola sedia di quelle poteva arrivare a costare su per giù mille euro. Tutte le pareti erano bianche con il tamponato dorato, perfetto per i mobili in quello stile reale. Sui soffitti erano dipinti degli affreschi solitamente presenti nelle chiese o nelle reggie. Tutti i mobili erano in stile veneziano, quei mobili che le persone "normali" potevano solamente sognare di possedere guardando un film antico. 

«Zia non ti pare di aver esagerato con le spese per questa casa?» non potevo tenermi tutto per me. Era tutto troppo eccessivo per una giovane donna sola con a carico un'adolescente. 

«Oh non preoccuparti tesoro mio. Questa era la casa dei miei sogni, ho utilizzato gran parte dell'eredità lasciata dai nonni, me la meritavo. Ce la meritiamo dopo tutto» sentii il peso di quel "dopo tutto" gravarmi sulle spalle. Sapevo si riferisse a me, alla mia famiglia. Davanti a quelle sue parole però mi sentii già meglio. Sapere che non aveva fatto quei sacrifici solo per me, ma anche per lei, per una sua specie di sogno, mi rasserenò. 

«Cosa aspetti? Corri a vedere la tua stanza» quando aggiunse quelle parole con leggerezza, mi scrollai di ogni insicurezza. 

E senza farmelo ripetere due volte, lasciando le valigie all'entrata di casa, salii in fretta le scale dal corrimano d'oro e proprio difronte alla loro fine, una porta con scritto "MIKI" mi fece capire che quella sarebbe stata la mia futura stanza. Il mio nome non era scritto su quelle solite targhette, ma era inciso proprio sulla porta con lettere che sembravano essere d'oro. Era bellissima, era perfetta. Per evitare ulteriori battibecchi aveva messo da parte le sue preferenze e aveva inserito sulla porta il mio soprannome, non il mio nome di battesimo. La ringraziai mentalmente quando sfiorai, con l'indice della mano, l'iniziale. Aprii la porta e davanti a me si presentò una stanza enorme. Non era bellissima, lo era di più. Il soffitto era sempre dipinto con un affresco, ma al posto di angeli c'erano raffigurati una principessa ed un principe, si guardavano innamorati occhi negli occhi e si sfioravano le mani. Non potei fare a meno di guardare il vestito della principessa; rosa, ampio e pieno di diamanti. La dama aveva dei lunghi capelli ricci e tra i boccoli una corona che richiamava le pietre del vestito. 

«Ma sì quella è la principessa Sissi, guardavo sempre il cartone da piccola». Riconobbi la mia principessa preferita e per un attimo tornai bambina; a quando era tutto quasi normale.

Accanto a Sissi c'era Franz, il suo amore, con la solita divisa da imperatore bianca che non mi era mai piaciuta. Guardandoli così innamorati un po' li invidiai. Quella specie di affresco era tratto da un dipinto vero e non da un film o un cartone animato e più l'osservavo, più mi chiedevo come diamine facevano ad amarsi realmente in quel modo, con quella forza e costanza? Nella storia vera, loro due avevano sofferto molto, avevano perso tutti i loro figli e dovuto sopportare mille difficoltà eppure il loro amore era rimasto ed era più fortedi ogni cosa. A quei tempi pensai fosse impossibile trovare due persone così innamorate, col tempo invece dovetti ricredermi. 

Un altro aspetto caratterizzante di quella mia nuova stanza era il letto a baldacchino. Tutta la stanza era sui toni del rosa, dagli armadi - con dei fiori dipinti - alla scrivania. A destra del letto c'era un séparé, un tempo usato dalle dame per cambiarsi, ai nostri tempi usato come abbellimento o anche come spogliatoio. Affianco a quello vi era una porta; l'aprii e con mia grande sorpresa trovai un bagno. Avevo persino il bagno personale. Un bagno tutto per me. In camera. Ero incredula. ERA TUTTO TROPPO PERFETTO, quasi mi faceva paura.

Dopo aver girovagato per tutta la stanza mi lasciai cadere sul letto, ero molto stanca. Per un momento persi la concezione del tempo e lasciandomi coccolare dalla trapunta soffice del letto, mi addormentai. Sognai me stessa vestita come la Principessa Sissi dell'affresco, ero contesa da due uomini che per conquistarmi avrebbero dovuto combattere una battaglia all'ultimo sangue. Quando vidi i volti dei due uomini, mi spaventai. 

Com'era possibile? 

Era forse l'ennesimo scherzo del destino quello? 

Un volto apparteneva al nuovo vicino di casa, Nathaniel e l'altro volto apparteneva a niente poco di meno che, il ragazzo punk rozzo dai capelli rossi; il ragazzo scostumato incontrato sull'aereo. Stavano combattendo, entrambi erano feriti e perdevano molto sangue, ma il ragazzo dai capelli rossi sembrava essere perennemente in vantaggio.

E se in passato avessi potuto predire il futuro dei successivi quattro mesi, avrei saputo sin da subito che non c'era situazione più reale di quella battaglia. 

Proprio mentre il rosso era pronto a conficcare la spada nel cuore del povero e innocente Nathaniel, per ucciderlo definitivamente, la sua immagine mi fece sussultare e prendere coscienza all'improvviso. Mi svegliai quindi, improvvisamente.

Urlai «cazzo le valigie» e senza darmi il tempo di riprendermi fisicamente e mentalmente dal breve sonno, uscii dalla mia nuova camera e scesi le scale recuperando i bagagli. 

Mi diede una mano zia Kate che mi aiutò a portare tutte le valigie nella mia stanza.

«Era carino questo tipo con le tue stesse valigie, almeno?» secondo zia Kate dovevo essere attratta da ogni soggetto di sesso maschile, non era possibile quella sua nuova ossessione.

«Zia, devi capire che non posso guardare con secondi fini ogni essere umano che mi passa davanti solo perché ha il pisello» forse risultai un po' volgare, ma ero già stanca di quei suoi argomenti e di quel suo volermi trovare per forza un ragazzo. Non volevo nessuno al mio fianco. Per il sesso avrei trovato qualcuno adatto in un secondo momento, non di sicuro a poche ore dal mio arrivo in quel nuovo Stato.

«Le cose belle sono state fatte per essere guardate, sarebbe un peccato non farlo.» continuò e stranamente non disse neanche una parola per come mi ero rivolta volgarmente. Mi stupì. 

Facendo cadere il discorso senza rispondere ad una zia che altrimenti avrebbe continuato all'infinito a parlare di ragazzi, posai la prima valigia sul letto e l'aprii. Era la valigia che conteneva i miei slip, pigiami, reggiseni e fortunatamente non l'aveva presa quel cafone. A prima vista, guardando i bagagli, non trovai alcun segno distintivo che invece il personale addetto dell'aeroporto mi aveva assicurato di aver messo. 

Aprii la seconda valigia e apparteneva anche quella a me. Avevo messo qualche maglione e vestiti di vario genere. Trovai un foglio di carta chiuso intorno al manico del bagaglio e al di sopra vi era scritto il mio cognome. Cercai di capire la logica di quel meccanismo visto che il mio nome era inciso solo su quella valigia, mentre le altre potevano essere tranquillamente scambiate con una valigia uguale. Se zia Kate se ne fosse accorta avrebbe iniziato con le sue solite manie d'avvocato...

«Ma cos... che razza d'incompetenti, andrebbero denunciati. Non possono mettere il nome solo ad una valigia e lasciare tutte le altre senza nome» ecco, come non detto. Attaccò a parlare di leggi varie, ma io non l'ascoltai e non la degnai di risposta. 

Continuai ad aprire le restanti tre valigie pregando di non ritrovarmi oggetti strani, visto il soggetto mi sarei aspettata di tutto. Era troppo per il cielo chiedere di avere semplicemente i miei oggetti e vestiti? Nella terza valigia, la più piccola, avevo inserito i prodotti vari del make-up e quella, avendo una forma diversa rispetto alle altre, non poteva di sicuro essere scambiata. Nella quarta valigia trovai le mie scarpe, tirai un sospiro di sollievo perlomeno l'indomani non avrei iniziato scuola scalza. 

Restava l'ultima valigia e non capii se fu suggestione o presentimento, ma avevo una bruttissima sensazione al riguardo, ebbi quasi il timore di aprirla. 

«Zia aprila tu» mi allontanai dal letto timorosa, quasi come se all'interno di quel bagaglio potesse esserci una bomba. 

Zia Kate mi guardò confusa ma non fece storie e si avvicinò al letto con nonchalance per aprire la fantomatica valigia. Strinsi gli occhi e pregai che lì dentro ci fosse il mio diario segreto insieme ai miei oggetti personali, ma...

«Oh mio Dio!» urlò schifata mia zia. Aprii dallo spavento gli occhi e scoppiai a ridere per l'immagine della zia con in una mano un paio di slip da donna visibilmente usati e nell'altra un pacco di profilattici dallo scatolo stropicciato. 

Quando venni a contatto con la realtà e mi avvicinai con cautela alla valigia oggetto del crimine, mi venne quasi da strapparmi i capelli per il disordine e la nausea che mi provocò quell'immagine. All'interno vi erano maglie e boxer da uomo piegati male insieme a reggiseni e slip di varie taglie e genere. Quel piccolo dettaglio mi fece pensare fossero appartenenti tutti a donne diverse. Era d'aspettarselo per come si era presentato il ragazzo.

«Beh, perlomeno tiene attivo l'amico...» sdrammatizzò la mia cara zia. Era una tipa con le mentalità aperte, non tutta casa, chiesa e austera come la maggior parte degli avvocati. 

«E complimenti a lui per i suoi gusti» aggiunse tirando fuori dalla valigia un lubrificante della Durex effetto fresco, tra l'altro, pieno per metà a testimonianza del suo recente utilizzo. 

Alla vista di quel barattolo e del commento di zia Kate arrossii di colpo e mi coprii il volto con entrambe le mani per l'imbarazzo, quasi come se fossi io la colpevole. Insomma non era bello aprire una valigia insieme ad una zia e trovarsi quel genere di cose. 

Come se quella valigia non appartenesse ad un estraneo, zia Kate continuò a sbirciare tra gli oggetti e l'intimo. La incitai a smettere ma non mi diede ascolto. 

Quando trovò "un anello del piacere per il suo affare" sempre marcato Durex, ritenni che era davvero arrivato il momento di porre fine a quello scempio. Sembrava quasi avesse fatto una vacanza in Italia appositamente per acquistare quegli aggeggi. Sì, come se non ne vendessero in Francia. 

«No ok, questo è troppo. Zia chiudi la valigia. Devo solo aspettare la sua chiamata, vedrai che chiamerà appena si accorgerà dello scambio. Devo mantenere la calma. Devo...» entrai in panico mentre obbligavo zia Kate a rimettere ogni cosa al suo posto. Chiusi velocemente quel bagaglio e cercai di eliminare dalla mente gli oggetti visti, ma non fu facile. 

Nella mia ultima valigia - quella capitata in mani sbagliate - erano presenti tutti i miei oggetti personali ed in più il mio diario segreto, lì dove avevo inserito ogni dettaglio della mia vita, del mio vero essere, lì dove scrivevo sin da piccola senza indossare maschere. Zia Kate sapeva dell'esistenza di quel diario, ma non l'aveva mai letto, nessuno ne aveva mai letto i contenuti, solo io. Sperai nel buon senso del rosso e nella sua educazione che purtroppo a vederlo a primo impatto non aveva come doti del suo essere. 

«E se lo leggesse?!?» entrai in panico anche per quello mentre mi lasciai cadere sul pavimento quasi sconfitta. 

Zia Kate mi seguì e si sedette accanto a me per consolarmi «No tesoro non lo leggerà, vedrai» mise una sua mano sulle mie ginocchia e proseguì «e poi anche se fosse... non lo conosci, dopo lo scambio delle valigie non dovrai vederlo mai più in vita tua».

Erano rari i momenti di affetto tra noi due, non eravamo due persone espansive. A testimoniarlo era il fatto che da quando avevo messo piede in Francia non ci eravamo scambiate neanche un bacio o un abbraccio; avevamo entrambi questa caratteristica, almeno qualcosa in comune c'era in noi due. Ma ci volevamo bene lo stesso. Eppure quel momento in cui i nostri corpi erano l'uno accanto all'altro mi fece sentire bene, mi sentii coccolata come era capitato rare volte nella mia vita, ed inevitabilmente mi rasserenai. 

 

 


Castiel

Come ormai quasi ogni anno, parte di quell'Estate 2013 la trascorsi in Italia. Avevo amici ed anche qualche parente lì. Fui però costretto a ritornare in Francia per l'inizio di un altro anno straziante di scuola e sull'aereo per Parigi conobbi una strana ragazza che tendeva a fare la saccente e sembrava si sentisse la Regina del mondo. Voleva dettare ordini per delle stupide valigie ma non sapeva che con me non poteva vincere. Infatti avevo deciso volutamente di lasciare quell'aereo di fretta, una volta atterrati, giusto per darle del filo da torcere e per una sottospecie di vendetta dettata dal fatto che mi aveva disturbato proprio mentre stavo ascoltando una dei pezzi preferiti sul mio mp4. Doveva essere sicuramente una maniaca dell'ordine o una di quelle troppo innamorata dei suoi vestiti ed oggetti personali, altrimenti non si sarebbe spiegato tutto quel suo nervosismo... insomma erano solo delle valigie. Cosa potevano contenere di così importante e speciale? Giusto per poterla contattare in caso di scambio, e per potermi divertire un po con lei ed i suoi nervi, avevo persino accettato di prendere quel bigliettino con sopra scritto il suo numero di telefono.

Presi dalla tasca posteriore dei miei jeans neri quel cartoncino ed iniziai a giocarci girandolo tra le dita. "Miki Rossi" c'era scritto sopra al suo numero di cellulare. Era italiana ma parlava un francese con un accento perfetto, ed era bella. Molto bella. Indossava una gonna sottile e molto corta dalla quale le s'intravedevano delle belle gambe. Quelle come lei le conoscevo bene; si vestivano in modo appariscente solo per farsi guardare e per aggiungere alla loro lista un'altra conquista, aspettavano il momento giusto per abbindolare un ragazzo, farlo innamorare e dopo essersi prese tutto di lui lo lasciavano, solo, abbandonato al suo destino. Sembrava quasi stessi parlando di Debrah, la mia ex, ma era quella l'impressione che a primo impatto Miki mi aveva dato di lei. Eppure il suo viso sembrava essere in contraddizione con il suo modo di vestire e di atteggiarsi. Il suo volto era dolce ed innocente, caratteristiche mortali per uno come me. Adoravo le donne e lei era perfetta se solo avesse tenuto quella bocca chiusa...

A distanza di mesi e poi di anni mi accorsi di quanto mi sbagliavo. Miki era perfetta in tutto e per tutto. Miki non era solo fisico, non era tacchi alti e minigonna. Miki aveva carattere, forza, non si lasciava battere da nessuno. Aveva sempre la risposta pronta. Miki era una bomba ad orologeria capace di far esplodere tutto me stesso con i suoi forti sentimenti. Quando amava, amava con tutta se stessa, dava tutto, ogni parte del suo essere. E Miki mi amava e mi ama; con tutta se stessa. Persino guardandola su quel letto di ospedale sono stato capace di accorgermene. Trasmette amore e addirittura coi suoi occhi scuri riesce ad illuminare, con il suo sentimento, tutta la stanza. 

Posai momentaneamente il cartoncino con il suo numero e per la curiosità di sapere se le fantomatiche valigie fossero state scambiate realmente o se quella fosse stata solamente una fissazione prodotta dal cervello della bella Miki, aprii le due valigie che avevo portato con me. 

Presi la prima e subito trovai oggetti che non sarebbero potuti appartenere al sottoscritto mai e poi mai. La fissazione di Miki era divenuta realtà. Iniziai a sbirciare nella valigia, trovai album di cantanti italiani che non avevo idea di chi potessero essere, album di cantanti pop che invece piacevano alla mia ex ragazza e altri oggetti femminili che preferii non analizzare. 

A quel punto, aprii l'altra valigia sperando che almeno una fosse la mia e fortunatamente trovai i miei vestiti puliti. La sfortuna aveva voluto che miss Perfettina avesse tra le mani la mia valigia con vestiti sporchi, parecchi oggetti apparentemente strani e, aspetto imbarazzante, gli slip ed i reggiseni delle donne venute a letto con me. Avevo la tendenza a conservare l'intimo delle ragazze in modo tale da ricordarmi un po' di tutte e rammentare se quella notte ne sarebbe valsa la pena di un'altra o se avessi dovuto gettarla nel dimenticatoio. Dall'intimo ricordavo il volto, soprattutto il corpo, della ragazza e di conseguenza la notte di fuoco trascorsa insieme. Era uno strano metodo il mio, ma in quel modo evitavo inutili strazi di donne che mi cercavano e che non avevo voglia di rivedere una seconda volta. 

Scossi la testa e tornai a guardare la valigia di Miki, da una tasca vidi spuntare una specie di quaderno parecchio grosso e quello attirò più di tutto la mia attenzione. Lo presi tra le mani senza esitazione e vidiche sulla copertina rigida rosa con brillantini vi era riportata la scritta "Diary". Lo aprii per capire meglio...

 

"Caro diario,

è la prima volta che scrivo e per questo mi presento: sono Micaela o 7anni. I miei genitori non mi anno mai voluto bene. mia mamma è una prostituta gli uomini che vengono la chiamano così ma io non so cosa sigifica, a casa nostra vengono tanti maschi e non capisco perche non vengono anche le femmine. Nella stanza da lavoro lei non mi a mai fatto entrare ma io quando lei non ce entro. Ho trovato un letto con le manette come quelle dei carabinieri che arrestano le persone cattive e dei palloncini che profumano di frutta. I palloncini erano chiusi dentro una cosa di plastica ed avevano una forma allungata e strana erano ancora da gonfiare. Con tutta queste cose non capisco credo proprio che vado al compiuter per vedere cosa vuole dire prostituta e dopo che leggo ti dico. Mio padre invece è stato cattivo io lo chiamavo uomo nero. Secondo me è lui quello che dicono che va a rubare i bambini cattivi. Ma io non riesco a parlare di lui. Ora devo correre.

Ora vado a cucinare, a domani mio amico diario"


Chiaramente dal linguaggio e dai molteplici errori di grammatica si capiva bene che a scrivere fosse stata una bambina. Certo, all'epoca, per avere sette anni doveva aver affrontato difficoltà non poco gravi. Iniziai a rivalutare quella ragazza; forse era vero il detto "l'apparenza inganna". Restai scosso per quella rivelazione: la mamma di Miki era una prostituta. Caspita. Ad un certo punto, tornai in me stesso e seppellendo la curiosità riacquistai il buon senso, decisi che quel diario era sin troppo intimo e privato per esser letto da me, estraneo. Non sarebbe stato giusto sbirciare nel passato complicato e triste di una persona che non conoscevo bene. Neanch'io avrei voluto facessero una cosa di quelle con la mia vita. 

Posai ogni cosa al proprio posto e chiusi la valigia. Decisi che avrei chiamato la proprietaria del bagaglio l'indomani, in quel momento non ne avevo voglia. 

 

 


Miki

«Sveglia piccola Miki» la voce dolce di zia Kate cercava di smuovermi dal sonno. Per un risveglio meno traumatico aveva persino utilizzato il mio nome abbreviato.

Nonostante quel piccolo dettaglio, mi voltai dalla parte opposta e decisi di continuare a dormire per altri cinque minuti. 

«Dai alzati su, non puoi rischiare di far tardi proprio il primo giorno di scuola» m'incitò nuovamente la zia che aveva assistito alla mia voglia di vivere pari a zero. 

A quel punto presi il cuscino e lo girai intorno alla mia testa per coprirmi le orecchie. Qualsiasi suono m'infastidiva, ogni mattina era un trauma alzarsi, non amavo svegliarmi presto... ma quel giorno ancor di più. Ed era tutta colpa di quel cafone di ragazzo dai capelli rossi. La sera prima avevo aspettato fino a tardi inutilmente una sua chiamata o un suo messaggio, ma nulla, anche a distanza e non vedendolo doveva farmi per forza innervosire. E poi per colpa dei contenuti osceni di quella sua valigia, zia Kate aveva sbirciato e mi aveva disturbata facendo ritardare di parecchio la sistemazione dei vestiti. Tutto inevitabilmente ed inesorabilmente era collegato al ragazzo dai capelli rossi.

Quando zia Kate mi richiamò una terza volta decisi che era arrivato il momento reale di alzarsi e subito, senza perdere tempo, corsi a sistemarmi per quel nuovo inizio. 

«Ti accompagno?» chiese zia vedendomi scendere le scale dopo mezz'ora. Ero riuscita a fare una doccia e sistemarmi in un tempo record. Mi complimentai con me stessa. 

Ancora non le avevo rivolto la parola, sembrava stesse avendo un monologo, poveretta. 

«Vorrei fare una passeggiata a piedi, tanto è la strada che mi hai fatto vedere ieri, giusto?» il giorno prima, durante il tragitto di ritorno dall'aeroporto a casa, mi aveva spiegato la strada da percorrere per arrivare a scuola e visto che non era particolarmente difficile e lontano volevo farlo a piedi. Da sempre ero stata abituata ad essere indipendente e da lì in poi pur vivendo con un'altra persona non sarebbe cambiato nulla. 

«Sì certo, prosegui dritto per venti minuti e poi svolta a destra.» mi ripeté zia Kate mentre prendeva le ultime cartelle per poter uscire anche lei di casa e andare a lavorare. Il suo studio era dalla parte opposta dalla scuola, quindi, tra l'altro, non sarebbe stata di passaggio. 

Presi una mela dal cesto di frutta presente al centro del tavolo e salutando zia Kate partii per dirigermi verso scuola. Inevitabilmente ripensai a Ciak. Quello sarebbe stato il nostro primo anno distanti, soli, abbandonati al nostro destino. Se solo gli avessi raccontato del mio passato avrei potuto mandargli un messaggio, dirgli quanto già la sua mancanza si faceva sentire e poi magari gli avrei augurato un buon inizio di anno scolastico. Ma lo conoscevo, ed essendo troppo nervoso nei miei confronti, avrebbe valutato quel messaggio solo come una presa in giro. 

I miei pensieri furono interrotti da passi rumorosi, vicini e dietro di me. Voltai lievemente la testa e con la coda dell'occhio vidi che si trattava di Nathaniel, il mio nuovo vicino di casa biondo. Arrossii di colpo e mi voltai di scatto aumentando i passi. Non avrebbe dovuto pensare fossi una specie di stalker; già la sera prima aveva notato lo stessi fissando. Stava percorrendo la mia stessa strada, pensai che anche lui venisse nella mia scuola. 

Dopo venti minuti esatti arrivai a destinazione e svoltando a destra mi ritrovai il cancello del mio nuovo liceo. Nathaniel mi sorpassò e senza degnarmi di uno sguardo - giustamente non mi conosceva - mi sorpassò per entrare di fretta all'interno della struttura. Mi fermai a fissare per qualche minuto l'edificio, era grandissimo e giallo. Al centro, ben in vista, vi era riportato il nome del liceo "Dolce Amoris". 

Ad un tratto una voce stridula mi urlò contro e vidi dirigersi verso me una signora abbastanza paffutella e bassa da sembrare un arancino con i piedi. Senza offesa, ma faceva ridere. Era anche vestita tutta di rosa. 

«Signorina vuole un invito scritto per decidersi ad entrare? Si beccherà un bel ritardo il primo giorno di suola, si sbrighi e corra in classe!»

«Le chiedo scusa, Signora, sono nuova e non so dove sia la mia classe» le risposi con calma evitando ulteriori drammi. 

«Ah lei è Micaela Rossi, la ragazza disagiata che ora si è trasferita per vivere con la zia!»

Ero quello agli occhi degli altri? Un disagio. La verità faceva male e faceva male ancor di più il fatto che la zia avesse provveduto a rivelare a tutti il mio passato. Ecco uno dei motivi per il quale avevo rimandato da sempre il trasferirmi a Parigi. Sola mi sarei gestita meglio, avrei gestito le cose da far sapere e quelle che avrei preferito tenere per me, nascondere. Ma nonostante quel piccolo particolare, ancora una volta, quel giorno, mi rialzai e indossai la maschera della persona forte, la mia maschera doveva essere inscalfibile agli occhi degli altri. 

«Preferirei che la mia storia restasse privata, al di fuori dalle vicende scolastiche, se è possibile. Comunque sì, Piacere sono Miki Rossi. Lei invece dev'essere...» lasciai la frase in sospeso per farmi rivelare la sua identità. Chiamarla confetto gigante rosa non mi sarebbe sembrato il caso anche se, lei mi aveva definito "disagio", fui tentata a farlo. 

«Si, piacere Signora Direttrice -mi porse la mano e gliela strinsi- noi ci teniamo molto alla privacy dei nostri studenti. Del suo curriculum ne è a conoscenza solamente il segretario delegato ma lui ha come obbligo professionale il silenzio. Ora vada subito in aula delegati per terminare il modulo d'iscrizione».

Senza rispondere alla direttrice antipatica, mi voltai ed entrai nel liceo in direzione dell'aula delegati, anche se non avevo idea di dove si potesse trovare.

I corridoi erano già completamente vuoti, segno che le lezioni fossero iniziate. Così girovagai alla ricerca di una piantina, in quel modo avrei trovato tutte le aule o stanze. 

E bloccai di colpo la mia camminata quando, invece della piantina, vidi sbucare da un angolo nascosto - sembrava quasi un sottoscala, uno scantinato - ciuffi di capelli rossi. Subito mi balenò per la testa a chi potessero appartenere quei capelli. Non credo ci fossero molti soggetti con quel colore. Ma non poteva essere lui, vero?

Quando però la sua figura si fece sempre più vicina e la potei vedere interamente, capii che era realmente lui. Il tipo strano dell'aereo. Il ragazzo della valigia scambiata. Il punk rozzo che non si era degnato di chiamare subito per potermi ridare il bagaglio. E inevitabilmente la sua presenza mi fece innervosire.

«Ah -sbuffai- quando intendevi scomodarti per chiamare al numero che ti ho lasciato e ridarmi la valigia?»

«Ciao, anche per me è bello incontrarti di nuovo -disse sarcasticamente- piacere Castiel Black, a me hanno insegnato le buone maniere, non so a te...» con entrambe le mani nelle tasche anteriori dei suoi jeans neri e con nonchalance voleva rifarsi per le parole dette in aereo. Da quel momento capii il tipo, voleva essere sempre lui ad avere l'ultima parola. L'unico problema restava il fatto che anch'io... 

«Buone maniere un corno. In aereo sembravi tutto tranne che un tipo dalle buone maniere, quindi... "fai come ti è fatto che non è peccato". Comunque piacere Miki, ora puoi restituirmi la valigia, gentilmente?!?» marcai l'ultima parola per fargli notare "le mie buone maniere". 

«Ti sembro un mago per caso?»

«Come scusa?» pensai di non aver sentito bene. 

«Come potrei far apparire dal nulla la tua valigia? E poi per quale motivo avrei dovuto portarmela dietro? -sbuffò- Ma ti devo spiegare proprio tutto? Si vede proprio che sei una ragazzina» ad un tratto da divertito divenne scocciato. 

«Ah si?!? La ragazzina ti sta per mandare a quel paese. Fai in modo di ridarmi la valigia entro oggi, grazie» ed io ero più scocciata di lui. Non avrebbe vinto. 

«Dammi il tuo indirizzo» alzò gli occhi al cielo apparentemente e maggiormente nervoso. 

Senza aggiungere parola, mi poggiai ad un armadietto che trovai a lato, strappai un foglio da uno dei miei quaderni, scrissi l'indirizzo della mia nuova casa e glielo diedi. Lo guardai male, mi voltai e me ne andai senza aggiungere parola o salutarlo. Non li avevo mai tollerati i tipi come lui. 

Camminai ancora un po' e quando finalmente trovai, appesa ad un muro, la famosa piantina della scuola, subito mi accorsi che l'aula delegati si trovava proprio davanti l'entrata principale del liceo. Io quindi ero entrata dall'ingresso secondario; evviva al mio senso dell'orientamento.

Senza attendere ulteriormente camminai velocemente verso l'aula agognata, la trovai, bussai ed entrai. 

Sull'uscio della porta mi apparve solamente il sedere di un ragazzo impegnato a raccogliere fogli sparsi per tutto il pavimento. E non era niente male. Ma non riuscivo a intravedere il suo volto, così percependo le sue evidenti difficoltà mi piegai e aiutai a raccogliere i fogli.

«Salve, io sono la ragazza nuova. La direttrice mi ha appena detto di venire qui» gli dissi porgendogli i fogli raccolti dal pavimento. 

«Oh grazie» arrossì appena si voltò verso di me. Eravamo entrambi ancora inginocchiati sul pavimento e cavolo... quello era Nathaniel. 

Mi alzai di scatto e lui m'imitò. Non ne riuscivo a capire il motivo ma percepii un imbarazzo strano nell'aria. 

«Ah sì ciao. Piacere io sono Nathaniel Daniels, il segretario delegato del liceo». Mi porse la mano ed io gliela strinsi delicatamente ed a lungo. Sembravo inebetita improvvisamente per la sua bellezza. Da così vicino era ancora più perfetto. Caspita. 

Fece un po' di forza per togliere la sua mano dalla mia mentre io sorridevo da ebete più totale. I suoi occhi dorati mi squadravano curiosi ed un po' imbarazzati, quando lo vidi squadrarmi abbassai il volto. 

«Tieni. Questi sono i moduli da firmare» spezzò il silenzio porgendomi dei fogli. 

Li presi ed iniziai a fissare i fogli come se fossero l'oggetto più interessante della stanza. Non sapevo cosa mi fosse preso, Nathaniel mi metteva una strana agitazione in corpo. La sua bellezza semplice mi aveva stregata. 

«Ehi, hai capito cosa ti ho detto? O non capisci bene il francese? Forse posso spiegarti in inglese?» mi chiese sorridendo e neanche un po' spazientito. Lui sì che era un ragazzo dalle buone maniere. 

«ehm...ehm -finsi un colpo di tosse- sì, la capisco perfettamente. Scusa, ora firmo tutto» arrossii e prendendo la penna che avevo già nella tasca, firmai.

Improvvisamente mi assalì una strana voglia di fare conversazione con lui; ma non sapevo come procedere.

«Perfetto. Siamo nella stessa classe» disse quasi sorpreso. Evidentemente aveva appreso quel dettaglio in quel momento e anch'io.

«Oh, la sezione A?» 

«Sì. Aspetta, poso gli ultimi documenti e andiamo insieme, se non ti dispiace» 

"Altro che dispiacere..."

«Certo. Ti aspetto!» risposi con fin troppo entusiasmo. 

Non sapevo cosa mi stava accadendo. Quando finì con i documenti, neanche dopo cinque minuti, uscimmo dalla sala delegati e c'incamminammo verso l'aula della nostra prima ora di lezione. 

Mi ricordai dei dettagli rivelatami poco prima dalla direttrice, così decisi di chiarire sin da subito per evitare che la voce si spargesse in giro. 

«Ehm... volevo chiederti un favore... non so come... ok, beh... come dire, sì ecco... Purtroppo mia zia ha fatto inserire nel curriculum alcuni aspetti delicati della mia vita; beh, ecco... sì... ci terrei che questi rimanessero privati, non vorrei si sapesse in giro e soprattutto non vorrei essere giudicata per la mia storia» ero inesperta e mi sentivo a disagio nel parlare della mia vita. Sapere che qualcuno oltre zia Kate fosse a conoscenza di aspetti delicati della mia infanzia mi faceva sentire strana; mi sentivo debole, indifesa e non volevo. Quello stesso giorno avrei provocato la terza guerra mondiale una volta rientrata a casa, zia Kate non avrebbe dovuto permettersi.

«Stai tranquilla Miki, noi ci teniamo alla privacy degli studenti. E poi non ne avrei fatto parola ugualmente con nessuno. Non sono quel genere di persona» mi rassicurò il ragazzo dai capelli color del grano. E mi sorrise con un sorriso dolce. Troppo per i miei gusti. Pronunciava sempre la parola giusta al momento giusto, sapeva come rasserenare una persona, sapeva far star bene. Più parole scambiavo con lui e più mi piaceva. 

«mi stai dando un gran sollievo. Grazie Nath» tirai un sospiro di sollievo e d'istinto lo chiamai con un nome abbreviato che mi venne in mente al momento, forse osai troppo. 

Nell'udire quel nome divenne rosso ma non capii se per la rabbia o per la vergogna. Mi dispiacque. 

«N-Nath?!?» mi chiese per confermare se avesse sentito bene o meno quel nome. Iniziai a maledirmi, la mia stupida boccaccia aveva già rovinato tutto. 

«S-sì... ti ho infastidito chiamandoti così? Se è così davvero scus...» 

m'interruppe e «oh no, no che non m'infastidisce. Anzi mi hai sorpreso. Nessuno mi chiamava così da un pezzo. Ormai per tutti sono solo il "segretario delegato"; alcuni addirittura arrivano a chiamarmi con l'appellativo "Signore"» mi colpì quella sua confessione. Ormai mi ero convinta di aver sbagliato qualcosa. 

«Perfetto! Allora è arrivato il momento che qualcuno ti chiami di nuovo così, Nath» gli feci l'occhiolino e lui ricambiò con un altro sorriso. 

«ecco la nostra aula» poi aggiunse mostrandomi la porta con le mani. 

Da bravo gentiluomo qual'era aprì la porta e fece entrare prima me. Mi stupii anche per quel bel gesto che avevo visto compiere solo nei film d'amore. 

Appena dentro iniziai a guardare la mia futura classe. L'aula era composta da dieci banchi (in posti da due) e diciannove alunni, il mio posto era stato già aggiunto. Le pareti erano gialle e i banchi bianchi, insomma una tipica aula scolastica. Quello che poi scoprii essere il professore di arte, aveva già iniziato la sua lezione, eravamo in ritardo di mezz'ora.

Nath interruppe la lezione: «Professore, lei è la nuova alunna Micaela Rossi ma chiamatela pure Miki, lo preferisce»

Il fatto che Nath conoscesse molti aspetti di me e della mia vita senza che fossi io ad averla raccontata, gli fece accumulare punti. Peccato che l'amore non faceva per me. In un'altra vita sarebbe stato il ragazzo ideale, lo capii già solo in mezz'ora di conoscenza. Iniziai ad essere meno in collera con zia Kate; ma una bella strigliata d'orecchie non gliel'avrebbe tolta nessuno. Doveva imparare a parlare solo della sua vita e non anche di quella degli altri. 

«Bene. Grazie signor delegato, allora Miki... vieni pure e parlaci di te» disse il professore incitandomi a farmi avanti.

Era giunto il momento che più temevo e mi sudarono persino le mani. Ero sempre andata bene a scuola, avevo voti eccellenti, eppure quando arrivava il momento delle presentazioni sudavo freddo. Forse avevo troppi segreti da nascondere. 

«Ciao a tutti sono Miki, ho 16 anni, vivo con mia zia perché i miei genitori lavorano per tutto il mondo in una compagnia aerea. Mi piace vestirmi di marca e adoro la scuola».

L'ultima frase potevo benissimo risparmiarla. Cosa mi era girato per la testa? Un mio difetto? In un momento di pura vergogna e agitazione mi uscivano parole istintive dalla bocca; il che in uno sprazzo di vita quotidiana sarebbe stato un buon aspetto, davanti ad una classe di liceo, davanti a diciotto adolescenti un po' meno. 

Davanti alle mie parole vidi qualche volto, ancora sconosciuto, sgranare gli occhi e guardarmi quasi schifato. Me lo meritavo. Tutti odiavano la scuola, tutti odiavano le persone ricche e dire "mi piace vestirmi di marca" equivaleva a classificarsi come una ragazza viziata e ricca da far schifo. Abbassai il volto per la vergogna fin quando non sentii una voce provenire dalla fine dell'aula: «ochetta novellina» che mi fece risollevare il volto dallo stupore. E non era stupore per la frase utilizzata, quella me la meritavo. Lo stupore era per l'appartenenza a quella voce. Voce che avevo imparato a conoscere bene in un solo giorno.

Castiel. Cosa ci faceva Castiel Black nella mia stessa classe?

Senza poter connettere al meglio quelle troppe informazioni, il professore mi fece distrarre sgridando subito il rosso: «Castiel ora chiedi scusa alla tua nuova compagna compiendo il bel gesto di farla sedere accanto a te per il resto dell'anno» sembrava quasi stesse parlando ad un bambino. 

E poi chi diavolo avrebbe voluto vedere questo "bel gesto" da parte sua? Io no sicuramente.

«Oh no, non si preoccupi professore. Non posso sedermi accanto ad un pomodoro, potrebbe sporcare i miei vestiti...»

«Le oche non possono sporcarsi; stanno sempre nei loro laghi a starnazzare.» erano battute ed insulti infantili i nostri, sembrava quasi ci fossimo messi d'accordo.

«Ragazzi adesso basta, altrimenti sarò costretto a mandarvi dalla direttrice» aggiunse il professore, ma nessuno dei due si degnò ad ascoltarlo. 

«Sarò pure oca ma tu non ti sei visto con quei capelli e con i vestiti da barbone che ti ritrovi» ormai non potevo dargliela vinta. 

«Ragazzina mi stai facendo innervosire, non ti conviene farlo» sembrava quasi una minaccia la sua. Ed io non volevo altro che quello. Amavo essere provocata per poi rispondere con il peggio di me. 

«Oh allora sì che ho paura. Sto già tremando» feci la finta mossa che solitamente si fa quando è freddo. 

Il battibecco continuò per altri cinque minuti, quando poi il professore si rese conto di non poter più proseguire la lezione per colpa nostra: «Ora basta venite con me» c'impose. 

Entrambi lo seguimmo ed in un attimo ci trovammo nell'ufficio della direttrice. Quando ci vide e fu informata dei fatti, ci fece accomodare su due sedie davanti alla sua scrivania in legno ed iniziò anche lei la sua ramanzina.

«Signorina Miki, lei ha un curriculum perfetto e dei voti altrettanto perfetti ora cosa le è preso? È la cattiva influenza del signor Black a provocarle tutto questo?»

Quella sua frase risultò parecchio e troppo falsa per le mie orecchie. Non ero solo una ragazza disagiata, fino a mezz'ora prima, per lei? 

«Tzé... Ma se neanche la conosco!» s'intromise lui sentendosi messo in ballo.

«le chiedo scusa, sono nervosa, sa... il trasloco e tutto il resto» conclusi io. Mi stava antipatica, ma non potevo di certo risponderle male. Non volevo peggiorare la situazione già critica. 

«Nervosismo o meno non si accettano questo genere di cose il primo giorno di scuola -sospirò- comunque sia vi beccate entrambi una punizione che comporterà, terminate le lezioni, pulire tutta la scuola oggi pomeriggio ed essere vicini di banco per un anno intero. Che questo piccolo accaduto sia d'insegnamento agli altri alunni. Dovete pensarci due volte prima di litigare per delle sciocchezze, dovete volervi tutti bene». concluse così la lezione di vita, la direttrice.

«Ma no cazzo, ho le prove della band oggi.» Sempre molto delicato, Castiel.

«Castiel non usare questi termini nel mio ufficio -sbatté la mano sulla sua scrivania- e se ti lamenterai ancora, resterai una settimana dopo scuola a pulire!»

Con un finto colpo di tosse, poi, m'inserii anch'io nel discorso «Ehm... invece per quanto riguarda la questione di essere vicini di banco, non potrebbe essere rivista e cambiata? La situazione credo non gioverebbe al rendimento scolastico dell'intera classe. Ecco, vede... io ed il Signor Black siamo incompatibili caratterialmente e litigare sarà inevitabile»

«Ed è qui che si sbaglia signorina Rossi, il vostro rapporto sarà presto visto come esempio per il resto della classe. Presto vi accorgerete che i caratteri apparentemente incompatibili possono creare capolavori insieme»

«IMPOSSIBILE!» quasi urlammo in sincrono io e Castiel. 

 

Ma nulla in realtà era davvero impossibile.

 







N.A. CAPITOLO REVISIONATO E CORRETTO (2017)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CAPITOLO 3: Punizione e ritorno a casa ***


             
                               CAPITOLO 3
                   
                     Punizione e ritorno a casa








Dopo la ramanzina della direttrice eravamo rientrati in classe, o meglio io ero giunta in classe. Il signor Castiel pomodoro rosso aveva ben deciso di deviare il tragitto e andarsene a passeggio nel cortile. Non mi aveva rivolto la parola e maleducato com'era non aveva neanche avvisato quando aveva deciso di non voler tornare in classe ed io ignara di quel suo cambio di programma, non sapendomi ancora orientare nella scuola, per qualche metro avevo continuato a seguirlo. Quando però mi accorsi che quella strada non avrebbe portato nella nostra aula, ma al di fuori dell'istituto, avevo mandato gentilmente a quel paese il rosso - che tra l'altro aveva ricambiato con un bel dito medio alzato – e aiutandomi nuovamente con una piantina trovata appesa ad un muro, riuscii a ritrovare la strada per rientrare in classe. Furono inevitabili le domande di tutti, professori e compagni, su dove fosse quella testa di rapa rossa ed io avevo ben pensato persino di coprirlo dicendo a tutti che avesse fatto semplicemente una sosta al bagno e che sarebbe rientrato a breve.

Durante l'intervallo, poi, avevo conosciuto qualche compagno di classe. Sembravano tutte più o meno persone tranquille, ma nessuno ancora ispirava la mia fiducia. Con nessuno era scoccata la scintilla come invece era accaduto con Ciak in quel lontano primo giorno di scuola di molti anni prima. Forse mi aveva aiutata il fatto di essere piccola, troppa ingenua per pensare con malizia e conoscere la cattiveria del mondo. Ma da una parte era molto meglio un tempo, da piccola. Perlomeno riuscivo a socializzare, non avevo il timore che chiunque avrebbe potuto farmi del male. Invece quel giorno, a sedici anni suonati ogni persona m'intimoriva, tenevo tutti lontani o meglio ad una distanza di sicurezza. E per quello che vidi, facevo bene. Dal mio arrivo a Parigi solo con un ragazzo mi ero dimostrata disponibile e cordiale ma quello non aveva pensato due volte a smettere di calcolarmi. Sì, stavo parlando di Nathaniel. Magicamente, dopo il piccolo battibecco col rosso aveva iniziato ad evitarmi quasi come se avessi la peste. Durante i dieci minuti d'intervallo avevo persino cercato di avvicinarmi - io l'asociale della situazione - per scambiare qualche parola, ma lui mi aveva risposto con un semplice "sono impegnato" quando invece era palese non fosse vero. Infatti aveva continuato a stare seduto al suo posto senza fare nulla d'interessante, era anche solo. Non capivo, ero forse troppo strana o troppo "disagiata" come avrebbe detto la direttrice per avere degli amici? Forse meritavo quello.

Trascorso l'intervallo finalmente Castiel si scomodò a rientrare in aula, aveva trascorso due ore fuori dalla classe ma nessuno sembrava farci caso, o meglio... tutti sembravano essere abituati alla sua assenza temporanea, persino i professori. Come se lui fosse legittimato a trascorrere del tempo fuori magari come lo era realmente Nathaniel che essendo segretario delegato, spesso era costretto ad assentarsi ed era giustificato. 

Come ci aveva imposto la direttrice, io e Castiel, eravamo nello stesso banco e a dir la verità, quelle prime ore di convivenza non furono poi così terribili come invece mi aspettavo. 

Durante l'ultima ora, invece, quella di matematica, il rosso iniziò a disturbare la già mia scarsa attenzione verso quella materia orribile. 

«Ragazzina sei contenta?!?» non mi aveva calcolata per tutte le ore e se n'era uscito con quella frase proprio alla fine del primo giorno di scuola. Imprevedibile il ragazzo. 

«Castiel ma che vuoi?» risposi infastidita. Stavo cercando di ascoltare e trascrivere la spiegazione del professore che stava ripetendo argomenti dell'anno passato per rinfrescare la memoria.

«Se per colpa tua salto le prove della band, giuro che...» lasciò la frase in sospeso. Se aveva intenzione di minacciare una donna aveva sbagliato di gran lunga persona.

«Giuri che cosa? Su spara...» alzai la voce istintivamente e il professore mi rimproverò.

«Nulla. Lascia perdere» sembrò strano ma fu lui per una volta a lasciar cadere il discorso. Ed io m'impuntai ugualmente. Non poteva dare la colpa a me di una situazione che avevamo creato entrambi. 

«Guarda che non sono certo venuta a dirti "quando entro in classe prendimiin giro"; se tu non avessi fatto quella pessima battuta io non ti avrei risposto, ed ora non saremmo costretti a respirare la stessa aria» il mio discorso filava limpido. Non vi era nessuna crepa in quello che avevo ammesso. Ed evidentemente dovette accorgersene anche lui visto che non rispose. 

Tra battibecchi e battutine varie terminò per tutti il primo giorno di scuola; per tutti tranne che per me e la testa di rapa rossa. Fuori dalla nostra classe trovammo ad aspettarci due addetti delle pulizie, contenti di riposarsi per un giorno. Evidentemente li aveva avvertiti qualcuno e aveva detto loro di aspettarci al di fuori dell'aula alla fine delle lezioni, per evitare di permetterci di svignarcela. Io non l'avrei mai fatto a prescindere, Castiel forse sì. 

Mentre Castiel, come praticamente sempre, si era recato in cortile con la sua inseparabile sigaretta, io restai sola insieme ad un altro addetto alle pulizie che aveva il compito di "controllarmi". Le due signore invece erano andate a recuperare gli attrezzi necessari per le imminenti pulizie. Mi spettava un lungo e interminabile pomeriggio. 

«Stai attenta a quello che fai con il mio ragazzo» sentii una voce stridula e arrogante alle mie spalle. 

Mi voltai per capire se stesse parlando con me o meno e mi si presentò davanti una ragazza bellissima. Alta, snella e con lineamenti perfetti del viso. Era bionda con gli occhi marroni, tendenti al dorato. In quel paese doveva esserci per forza qualche tendenza strana ad avere gli occhi di colori particolari, fuori dal comune. Le persone incontrate fino a quel momento avevano dimostrato quello. Apartire da Castiel e ai suoi occhi grigi, a passare a Nathaniel e ai suoi occhi dorati, a finire a quella ragazza e ai suoi occhi simili a quelli del biondo. A pensarci, forse a primo impatto i due si somigliavano. Avevano entrambi gli stessi colori e lineamenti. 

Quando la bionda vide che non ricevette alcuna risposta si fece nuovamente sentire. «Mi hai sentita? Stai lontana dal mio ragazzo!»

«Scusa? S-stai parlando con me?» risposi quasi balbettando. Ero arrivata da un solo giorno, non avevo fatto nulla di male, ancora. 

«Chi altro vedi qui?!?» ribatté lei, ovvia. 

In effetti la scuola era già vuota, tutti gli alunni si erano affrettati ad uscire, per rientrare nelle proprie case, affamati. Poco distante da me vi era solamente l'addetto alle pulizie ed era ovvio non si potesse riferire a lui. 

«E chi sarebbe il tuo ragazzo?» chiesi, giusto per capire se mi fossi realmente avvicinata a lui o se fosse solamente un'altra di quelle tipiche ragazze gelose persino dell'aria respirata dal proprio ragazzo. 

«Castiel» rispose ovviamente, come se avessi già dovuto conoscere la risposta.

Scoppiai a ridere davanti a quel nome e restai in silenzio. Era ovvio si trattasse di lui. Erano proprio una bella coppia. 

«Che fai mi prendi anche in giro ora?» lei al contrario mio era sconvolta. Non aveva mai visto qualcuno ridere?

«Oh no, no! Solo... se parlassi abbastanza col tuo ragazzo capiresti che non c'è nessun pericolo. Io e Castiel litighiamo ogni volta in cui respiriamo la stessa aria. Praticamente ci odiamo» non capii per quale motivo, ma apparii quasi alla ricerca di giustificazioni come se fossi colpevole.

«Anche con Debrah era così, eppure...» sussurrò come se stesse pensando ad alta voce.

«Debrah...Chi?» chiesi istintivamente per comprendere le sue supposizioni.

«Nessuno, lascia perdere sguattera. Comunque sono stata chiara?»

"Mi hai chiamato sguattera? Brutta stronza e Barbie finta che non sei altro, ti faccio vedere io chi è la sguattera!"

«Tranquilla principessina, non ho nessuna intenzione di toccare il tuo amore» risposi alla fine. Per quel giorno avevo già avuto sin troppi battibecchi, ero troppo stanca per averne un altro. 

Lei, di risposta, mi guardò in malo modo e subito si voltò come se avesse percepito la presenza di qualcuno ed in effetti era così. Castiel si stava dirigendo verso noi, svogliatamente e a passo lento. Lei bloccò la sua camminata saltandogli addosso, abbracciandolo ed infine baciandolo a stampo. Quella scena mi disgustò senza capirne il motivo. 

Castiel di risposta si scrollò la ragazza di dosso e «Torna a casa. Oggi non ne ho voglia» gli rivolse uno sguardo duro e lei da fedele cagnolino osservò gli ordini sparendo dalla porta di uscita. 

Odiavo quando le donne si sottomettevano in modo totale ad un uomo. Ed odiavo gli uomini che pensavano di avere il controllo su ogni essere umano di sesso femminile. 

Castiel poi, come se nulla fosse accaduto, si avvicinò a me e chiese informazioni.

«Cosa ti ha detto quella stupida?» apparve quasi timoroso, come se lei sapesse qualcosa che non mi era permesso scoprire. 

«Punto uno: le donne non si trattano in quel modo, quindi impara a trattarle come si deve. Punto due: "quella stupida" avrà un nome, impara ad usare i nomi invece di appellativi offensivi. Punto tre mi ha detto la verità e cioè che state insieme» utilizzai le dita per contare la lista delle cose dette. Mi ero innervosita nuovamente, per colpa sua. 

E lui di tutta risposta levò la smorfia di disgusto perennemente presente sul suo volto e ghignò guardandomi. Avrebbe dovuto farlo più volte, il sorriso era un accessorio che stava davvero bene al suo volto. Mi sentii derisa, quasi una stupida visto che stava ridendo di me, ma ne era valsa la pena. Per la prima volta avevo visto quel ragazzo duro sorridere sinceramente. 

«Paladina della giustizia è un appellativo offensivo?»

Prendendo il mento tra pollice e indice ed alzando gli occhi pensante: «non credo, no!» risposi.

«Allora posso chiamarti "paladina della giustizia" senza essere ucciso da una femminista incallita come te?» chiese sarcastico. Era simpatico a volte. 

«Scemo» mi avvicinai a lui e gli tirai un piccolo schiaffo sulla spalla.

Ad interrompere quel momento demenziale furono gli addetti alle pulizie che ci diedero finalmente gli occorrenti per pulire.

«Sei capace a tenere una scopa in mano?» lo scherzai, poi, io. 

«Sì,e non hai idea di quante altre cose sono capace di tenere in mano» rispose maliziosamente alzando entrambe le sopracciglia e ghignando.

«Bleah, che schifo! Lavora pervertito» gli ordinai lanciandogli scherzosamente straccio e lava-pavimenti. Schifata, però, lo ero davvero per la sua pessima battuta volgare.

Vedere un tipo come Castiel pulire la scuola fu uno spettacolo unico. Ogni metro pulito equivaleva a minimo cinquanta sbuffi emessi. Quando non poteva in alcun modo accorgersene, mi divertiva guardarlo. Alzava gli occhi al cielo e con la mano cercava di spostare i ciuffi rossi che inevitabilmente gli ricadevano sul volto invadendo la sua vista; il suo corpo si piegava rigidamente verso il basso quando portava il lava-pavimenti verso avanti, la stessa cosa quando lo portava verso dietro. Bastarono quei movimenti buffi per renderlo un po' simpatico davanti ai miei occhi. 

«Cos'hai da guardare?» mi rimproverò ponendo i pugni sui fianchi, guardandomi di sbieco e pestando il piede su e giù continuamente sul pavimento semi-bagnato. Si era accorto del mio sguardo insistente, avevo abbassato la guardia. Non doveva accorgersi che lo stessi guardando. Diamine!

Ritenendomi colpevole, non risposi. Arrossii, per evitare di farmene accorgere mi voltai nella direzione opposta alla sua e ripresi a fare il mio lavoro. 

«Ragazzina, si vede tutto il sedere quando ti abbassi»

Ovviamente.

Doveva per forza vendicarsi, altrimenti non sarebbe stato contento. Non mi aveva dato neanche il tempo di voltarmi che subito si era messo ad osservare il mio corpo per ripicca di aver guardato il suo. Voleva essere sempre lui ad avere l'ultima parola. Ma con me non funzionava in quel modo. Io, Miki Rossi avrei vinto contro quello strano gioco intrapreso già dal nostro primo incontro. 

«Non penso sia una visione poi così sgradevole... Quindi non lamentarti e lavora!» ordinai.

«In effetti... Non è niente male per essere il sedere di una ragazzina» aveva sempre la risposta pronta. Era forte in quel gioco. 

«Ah e... - lasciò il lavoro temporaneamente e si diresse lentamente verso di me - non permetterti mai più a darmi ordini -si avvicinava sempre più- lo dico per il tuo bene». Pronunciò poi ad un centimetro dal mio viso. 

Sentivo persino il suo respiro caldo e profumato sul mio volto.

Odorava di menta. Odorava di buono.

CASPITA.

Nessuno aveva osato fino a quel punto con me, prima d'allora. Non lo avevo mai permesso, prima. Per quale strano motivo concessi a lui quella vicinanza non riuscii a spiegarlo. Quel fatto mi spiazzò.

«Ancora non ti conosco e già ti odio» digrignai i denti e strinsi i pugni come autodifesa. 

«E tu invece hai sin troppo carattere per essere soltanto una ragazzina» forse era un complimento, forse no... ma per evitare strane figure, imbarazzi restai in silenzio e senza rivolgergli più attenzioni ripresi il mio lavoro. 

Per chiamarmi, in ogni frase rivolta alla sottoscritta utilizzava quel diminutivo, neanche una volta lo avevo sentito pronunciare il mio nome reale. A dirla tutta mi ero anche affezionata a quel "ragazzina"pronunciato da voce calda; la sua voce calda. Per quel motivo non mi ero neanche più infastidita sentendo quel nomignolo in ogni frase.

 

Quando terminammo di pulire tutta la scuola -erano poco meno delle tre del pomeriggio- gli addetti alle pulizie, nostri custodi e controllori per quel giorno, non persero altro tempo per toglierci gentilmente fuori dall'istituto, poter finalmente chiudere le porte della scuola e tornarsene ognuno a casa.

Durante le ore di lavoro parecchie volte avevo sentito brontolare lo stomaco, purtroppo anche Castiel aveva sentito e non aveva perso tempo per deridermi. Ovviamente anche nel più totale silenzio, sui gradini di scuola, il mio stomaco doveva per forza farmi terminare quella giornata con una bella figuraccia. Non erano bastati i precedenti, no, perché anche in quel silenzio doveva per forza brontolare.

Castiel ghignò davanti quel rumore famigliare «direi che è ora di andar a mangiare una casa intera per accontentare quell'orchestra che hai nello stomaco».

«Simpatico. Sono le tre del pomeriggio, tu non hai fame? Sono un essere umano, è normale che io abbia la necessità di mangiare» incrociai le braccia ed emisi una smorfia per la presa in giro ricevuta dal rosso. 

«Sì, anch'io ho fame... ma il mio stomaco non scoreggia» ghignò nuovamente fiero della battuta appena fatta. 

«Ma? Che? Il mio stomaco non score...» cercai di difendere il mio stomaco, ma Castiel m'interruppe prima di poterlo fare.

«Sì, sì come dici tu -s'incamminò verso una moto di grossa cilindrata mentre continuava a parlare- Comunque salta su, ti do un passaggio» finì la frase mostrando con il pollice la moto dietro di lui. 

«Come mai all'improvviso così gentile?»

«Guarda che non ci metto molto a ritirare l'invito e lasciarti qui!» apparì serio.

«No-no, sono troppo stanca per tornare a piedi. Accetto l'invito, grazie gentilissimo signor Black» lo scherzai verso la fine. 

Lui non mi rispose, semplicemente si voltò e si avvicinò maggiormente alla moto. Quando l'osservai da vicino, capii si trattasse di una moto con cilindrata parecchio grande. Mi stupii.

«Scusa ma sei sicuro di poterla guidare questa?» gli chiesi incredula, spontaneamente. 

«Perché? Quanti anni pensi abbia?» mi chiese ovvio alzando il sopracciglio destro per l'incredulità della domanda appena ricevuta.

«Sedici?» chiesi alzando lievemente il tono di voce come segno di nervosismo. M'intimidì con il suo sguardo di superiorità. 

«Risposta sbagliata. Ho diciotto anni e ho la patente per guidare questa moto. Mi dispiace deluderti ma non sono un fuori legge come tutti credono, sono solo stato bocciato un paio di volte e purtroppo ora mi ritrovo in quella classe. Nella tua classe»

«mmm...non sei un fuori legge ma sei un asino a scuola, non cambia molto alla fin dei conti» dissi sorridendo, lui ricambiò lievemente, molto lievemente. 

«Nessuno mai si era permesso a insultarmi così... Quindi non ti allargare troppo. Ora, hai quaranta secondi di tempo per salire su questa moto. Se allo scadere del tempo non sarai lì sopra, partirò senza di te. E lo faccio davvero» terminò serio e guardandomi di sbieco. Era parecchio lunatico, il ragazzo.

Non risposi e anzi, velocizzando il più possibile i movimenti, salii sulla moto prima dello scoccare dei quaranta secondi. Ero stata brava. 

«Dieci secondi e saresti tornata a piedi».

Non risposi. Salì anche lui sulla moto e partì senza attendere ulteriormente. Castiel indossava il casco, io no.

«Avevi programmato questo piano per uccidermi, per caso? Non hai il casco per me e stai correndo oltre i limiti di veloci...» non riuscii a terminare la frase che Castiel accelerò ancora più di quanto già aveva fatto precedentemente. Rispose in quel modo alle mie supposizioni, quindi sì, avrebbe voluto uccidermi a quanto pareva. D'istinto e per sopravvivere, mi aggrappai a lui. Caspita. Frequentava sicuramente qualche palestra visto il dorso scolpito che mi ritrovai a stringere per forza maggiore. Caspita se era bello... 

«Vuoi soffocarmi per caso?» pronunciò solamente. Evidentemente stavo stringendo troppo il suo corpo o ancora più evidente lo infastidiva il mio contatto. 

«Ovvio. Tu vuoi uccidermi ed io per istinto di sopravvivenza ti soffoco» scherzai, ma infondo sperai che da quelle mie battute capisse di dover rallentare per mettere a tacere le mie paure. Non lo fece. Insomma, era Castiel. 

Chiusi gli occhi perché il vento li stava facendo lacrimare e a dir la verità li chiusi anche per la paura. 

Quando sentii spegnere il motore, aprii gli occhi pensando di trovare casa di Castiel davanti. Doveva ritornarmi la valigia e pensai mi avesse offerto un passaggio anche per quello. Per non doversi scomodare. Ma a quanto parve, mi sbagliavo. Davanti agli occhi trovai una gelateria con un'insegna verde e con sopra un nome strano, illeggibile. 

«C-Cosa è?» non riuscivo a parlare. 

«Una gelateria, sei anche cieca ora?»

«S-sì ma... cioè no, non sono cieca. Ma hai cambiato i piani senza che io sapessi niente»

«Oh scusi principessina, la prossima volta starò attento e le darò il preavviso una settimana prima, su carta, scritto in oro»

«Che battute pessime»

«Certo. Io entro, se non ti va un mega e buonissimo gelato, resta pure qui fuori mentre io lo mangerò alla faccia tua»

«Entro anch'io, simpatico!»

Appena scesi dalla moto entrammo nella gelateria dove notai subito tantissimi gusti di gelato. Restai ammaliata ad osservare fissa i tanti vari gusti di gelato, ma alla fine in cuor mio avevo già deciso per i miei gusti preferiti.

Nocciola e amarena. Sapevo non legassero bene tra di loro, quasi nessuno li sceglieva come ipotetici gusti da mettere insieme. Eppure erano i miei gusti preferiti e ogni volta non potevo fare a meno di prenderli. Ciak, il migliore amico di cui ogni giorno sentivo la mancanza, ogni volta scherzava su quel discorso; mi diceva: "sei capace di abbinare mille gonne e mille maglie, ma non sai farlo con un gelato?"

Castiel ordinò entrambi i miei gusti. Non era possibile che anche a lui piacessero insieme quei due. Erano così diversi di sapore tanto da farmi pensare che nessun altro osasse nello sceglierli in un eventuale cono. 

«Copi il mio gelato?»

«Caso mai sei stata tu a copiarlo, non io. Questi sono i miei gusti preferiti da sempre. Puoi anche chiedere a chi mi conosce bene se non ti fidi. Sarebbe una cosa piuttosto assurda da fare per un gelato, ma se proprio ci tieni...»

«Chi ti conosce bene?»

«Lysandre»

«Il tipo coi capelli bianchi, dici? Solo lui ti conosce bene?» 

Non avevo ancora presente tutti i compagni di classe, ma Lysandre mi era rimasto particolarmente impresso per gli strani capelli e gli strani abiti ottocenteschi che indossava. Avrei tanto voluto capire il motivo di quella sua particolarità, sembrava un tipo interessante. 

«Sì,lui. Preferisco fidarmi di pochi» non seppi dirne il motivo, ma quella frase e il suo tono di voce suonavano di rancore e malinconia. Non approfondii il discorso, non amavo che gli altri facessero domande sulla mia vita ed io non dovevo farne agli altri. Doveva essere reciproco. 

«Sbrigati a finire, lumaca. Devo andare alle prove della band» mi scherzò quando lui terminò il suo gelato, mentre io ancora ero a metà del mio.

Sinceramente provavo abbastanza vergogna a mangiare un cono gelato davanti ad una persona conosciuta da poco tempo, se a quello aggiungevo il fatto che fosse un ragazzo abbastanza pervertito, poi era ancora peggio. Per quel motivo invece di leccare il gelato, lo stavo mangiando con un cucchiaino di plastica offertaci dal gelataio. Quindi avevo impiegato più tempo a finirlo rispetto a Castiel che invece non si era fatto alcun problema a mangiarlo sguaiatamente e a bocca aperta, tra l'altro. Nonostante quella sua dimostrazione di scarsa educazione, non mi dispiacque osservarlo mentre mangiava. Era quasi buffo. 

«Quindi hai una band?» chiesi interessata mentre continuavo a mangiare il mio gelato. 

«Sì, con Lysandre ed altri».

Appariva restio a parlare di sé stesso ed io non indagai ulteriormente. Sapevo cosa si provasse a non voler parlare della propria vita e anche cosa si provava a ricevere domande invadenti e indiscrete. Quindi feci cadere lì il discorso e mi sbrigai a finire il gelato. 

«Ok, finito. Vado a pagare» gli comunicai alzandomi dalla sedia di ferro di quel posto.

«No. Ho già fatto» 

«C-che? Come? Oh... grazie, allora dimmi quanto ti devo» non mi sarei mai aspettata quel gesto da parte sua. Risposi sorpresa. 

«Non devi darmi nulla, tranquilla» rispose tranquillo mentre uscì dal locale. 

Lo seguii salutando per educazione i proprietari di quella gelateria mentre ovviamente Castiel non lo fece. «No, non esiste. Allora ti do 5 euro, credo andranno bene» insistetti. 

«Ti ho detto che non voglio niente. Non ti lagnare come i poppanti, ti prego» si disperò quasi.

«Va bene, va bene. Allora accetto. Sei stato gentilissimo ad offrirmi il gelato» gli sorrisi. Ero davvero sorpresa da quel suo gesto.

«Vedi? Quando voglio so anche essere un galantuomo» mi schernì.

Salimmo in moto e prima di partire aggiunse: «Ti va bene se passiamo da casa mia, in modo da restituirti la valigia?»

Acconsentii e senza aspettare partì con troppa velocità. D'istinto legai le braccia al suo corpo e lui s'irrigidì: «tieniti da dietro, ci sono degli appigli. Sono fatti apposta!»

«Oh... s-sì scu... scusa» gli risposi impacciata.

Quel ragazzo doveva avere per forza problemi di personalità o qualcosa di simile, perché altrimenti non potevano essere spiegati questi suoi sbalzi di umore. Un attimo prima era stato gentile ad offrirmi il gelato e l'attimo dopo era infastidito dal mio contatto e soprattutto dalla mia presenza. 

Quando Castiel svoltò per entrare in un cancello, capii di essere giunti a destinazione. Spense la moto, scendemmo e senza aggiungere parola s'incamminò per entrare dentro la villa che mi si presentò davanti e poi sbatté persino la porta d'entrata. Era sottinteso che non mi fosse concesso di entrare, così lo aspettai ferma davanti alla moto. Iniziai ad osservare la casa, notando fosse dello stesso genere di quella della zia, era solo poco più piccola ma strutturata allo stesso e identico modo. In quella città fino a quel momento parevano essere tutti benestanti. 

Affianco a me improvvisamente arrivò un cane, a prima vista sembrava un Rottweiler, annusò i miei piedi mentre io m'immobilizzai ancor di più. Non amavo per nulla quel genere di cane, quelli piccoli sì, ma quelli come questo neanche lontanamente. Non potevo nascondere la sua bellezza, ero stata rapita dalla lucentezza del suo manto nero. Quando mi annusò abbastanza come se nulla fosse mi lasciò sola e si diresse verso quella che sembrava essere la sua cuccia -tra l'altro molto grande direi- ma io continuai a fissarlo, rapita da quel suo comportamento strano per un genere di cane come quello. Avevo sentito molte storie di cani di questo tipo che uccidevano persone e ne ero stata terrorizzata sin da piccola, ma quel cane sembrava essere di tutt'altra razza per la tranquillità emanata. 

«Non hai mai visto una casa?» mi distolse dai miei pensieri Castiel, immobile davanti a me. Non lo avevo sentito uscire di casa. In mano aveva la mia valigia; saltai dalla felicità dentro di me.

«A dir la verità stavo fissando il tuo cane. Ho un po' paura»

«Oh quello è Demon. Non farebbe male neanche ad una mosca»

Non finì di pronunciare la frase che il "piccolo demonio" uccise per gioco un uccellino indifeso che si era poggiato per sbaglio sulla sua cuccia. Mi dispiacque per il povero uccellino, ma nello stesso tempo sorrisi per l'espressione assunta dal rosso. Demon aveva appena smentito l'affermazione del rosso. 

«Oh sì lo vedo» risi mostrando il suo cane. 

Non rispose, ma semplicemente uscì fuori dal cancello di casa ed io lo seguii. 

«Andiamo?» sapeva già dove abitassi -gli avevo dato il mio indirizzo quando ancora non sapevo degli avvenimenti che mi avrebbero invece portato a casa sua- e quindi s'incamminò con la valigia senza attendere mia risposta.

«Non c'è bisogno che ti scomodi per arrivare fino a lì, posso andare anche sola. Manca molto per casa mia ancora» mi sentivo in colpa, non volevo che lui camminasse con il peso della valigia quando potevo farlo benissimo da sola. 

«Oh sì, puoi andare anche sola... casa tua è a solo cinque minuti da qui, tu chissà quale strada avresti fatto per arrivarci» ghignò prendendomi in giro.

Bene! Avevo appena scoperto di abitare a cinque minuti di distanza da casa di Castiel Black. Era dalla strada opposta a quella della scuola e quindi non avevo ancora avuto l'opportunità di percorrerla. Forse avevo calcolato male il tragitto, forse sola mi sarei persa, forse...

Sì, aveva proprio ragione; ma non lo ammisi ad alta voce. 

«Ok, allora grazie per quest'altra gentilezza che mi concedi oggi» mi voltai per sorridergli, lui non ricambiò e anzi al contrario mi lanciò un'occhiata che non capii. 

«Non ti concedo nulla. Devo prendere la mia valigia, genio!» rispose dopo qualche secondo.

«Oh sì, certo». Avevo dimenticato quel piccolo particolare.

Era parecchio strano camminare per strada con lui, mi sentivo stranamente agitata. Avevamo passato quel poco tempo della nostra conoscenza solamente a discutere e avere quei momenti di tranquillità con lui era strano. 

Quando arrivammo nella mia via, glielo comunicai: «Ecco, siamo arrivati. Questa è casa mia» mostrai con le mani la villa di mia zia. 

Mi fece cenno con la testa di aver capito e non rispose. «Ehm... beh...allora... sì, vuoi entrare?» gracchiai. Improvvisamente non sapevo più parlare il francese. 

«No, aspetto qui mentre tu andrai gentilmente a prendere la mia valigia» rispose con tono derisorio soprattutto sulla parola "gentilmente".

«Oh..o-ok, arrivo subito allora» presi la mia valigia impacciatamente e diedi le spalle al ragazzo rosso motivo della mia agitazione. Entrai velocemente in casa facendo attenzione a non cadere, era molto probabile visto il nervosismo. 

Non avevo idea del motivo della mia agitazione nei suoi confronti. Insomma era solo Castiel, no? Il ragazzo burbero e rozzo incontrato sull'aereo, il compagno di classe dai capelli rossi osceni con cui avevo litigato. Per quale motivo mai avrebbe dovuto suscitarmi quelle emozioni strane? Non mi stava simpatico, non provavo alcun tipo d'interesse nei suoi confronti, no?

Scossi la testa, presi velocemente la sua valigia e mi diressi fuori. Quando uscii lo trovai con una sigaretta in bocca intento a fumare e a guardare il marciapiede pensieroso. 

Sospirai «tutto è bene quel che finisce bene!» mi riferii allo scambio delle valigie per mettere fine soprattutto a quello che avevo trovato all'interno della sua valigia. Continuai a sperare, invece, che lui non avesse curiosato nella mia, che non avesse trovato il mio diario.

«Sì, allora ciao» rispose freddo, prese la sua valigia e s'incamminò salutandomi con la mano libera.

L'osservai fin quando non scomparve. Aveva un bel modo di camminare e anche delle belle spalle a dir la verità. Seppur non fosse perfetto come Nathaniel, Castiel aveva una particolarità. Aveva il potere di farsi osservare da tutti, attirava gli sguardi, era magnetico. Me n'ero accorta nell'aeroporto, a scuola, alla gelateria, dappertutto era guardato e non per i suoi capelli, ma per la sua personalità che era talmente forte da fuoriuscire dal suo corpo. Era qualcosa d'inspiegabile.


«A scuola litigate e poi ti accompagna a casa?!? Coerenza!» mi fece sussultare una voce alle spalle che riconobbi essere quella di Nathaniel. Non sembrava neanche lui per l'odio che sembrava stesse sputando insieme a quelle lettere.

«Non credo di dover dar conto a nessuno, non ti pare?» mi voltai nella sua direzione e gli risposi guardandolo dritto negli occhi. 

«Siete uguali, vedrai vi metterete insieme» sparò poi con espressione dura e seria. Non sembrava più lui. Quel ragazzo solare, sorridente e cordiale. Emetteva odio da tutti i pori per me e per il rosso. Mi sforzai a capirne il motivo, ma non ci riuscii. 

Ci separavano parecchi centimetri e se fossimo stati in un cartone animato di sicuro tra di noi ci sarebbero stati quei lampi tipici come testimonianza di un astio. 

«Sono arrivata da appena un giorno, non ti sembra di correre troppo? E poi non è quello che voglio e non vedo come a te debba interessare».

«E che cosa vuoi realmente Miki?»

«Rinfrescami il motivo per il quale dovrei dirlo a te?!?» stavo utilizzando un tono di voce molto infastidito, non riuscivo proprio a trattenermi, era impossibile. 

Nathaniel non era il mio ragazzo, non era mio amico, ancora nessuno lo era. Ero appena arrivata in quella scuola non capivo il motivo per il quale una persona avrebbe già dovuto avere i diritti di proprietà nei miei confronti. E poi non riuscivo proprio a concepire quelle cose a prescindere. 

«Sono l'unico a conoscere la tua storia, mi ero preoccupato per te, volevo t'integrassi bene a scuola... Ma a quanto vedo qualcuno è stato più veloce di me e più bravo a darti delle dritte»

«Il fatto che conosci parte della mia storia -non per scelta mia tra l'altro- non ti dà alcun diritto di dirmi con chi devo stare, come mi devo comportare, con chi devo tornare a casa. Tu, come tutti gli altri alla fin dei conti, mi conoscete da un giorno e non sapete niente e dico niente della mia vita, e di tutta la merda che ho dovuto vedere ogni giorno. Quindi gradirei che la finissi di avere queste pretese nei miei confronti. Io non ho chiesto aiuto a nessuno, tantomeno a te... ora torna alla tua vita perfetta e lasciami in pace. Ciao!» ero davvero nervosa, avevo quasi urlato nel dirgli quelle parole, di sicuro i vicini avevano sentito tutto, ma a quelpunto poco importava. Ero già stanca di dover dare spiegazioni a sconosciuti. 

Dopo quelle parole, mi voltai e camminai decisa dentro casa. Sbattei la porta d'entrata intenzionata a salire di fretta le scale e chiudermi dentro la mia stanza e non uscire fino al giorno seguente. Quel primo giorno era stato straziante, pieno di sventure, battibecchi e non volevo più sentire nessun altro. Avevo già sentito abbastanza.

Ma ovviamente i miei desideri non potevano essere esauditi. 

«Posso sapere per quale motivo stavi litigando col vicino figo nel nostro giardino? E per quale motivo ho ricevuto una chiamata dal tuo liceo?»

«Ed io posso sapere per quale motivo hai dovuto inserire parte della MIA e dico MIA vita nel curriculum? Chi te ne ha dato il permesso? Dio, qui tutti vi sentite i padroni del mondo!»

«Micaela, non usare quel tono nei miei confronti. Prima di aggredire ascolta la verità. Ah questa gioventù... Comunque ho raccontato solo che i tuoi ti hanno abbandonata ad otto anni, non ho raccontato i dettagli. Ho dovuto dire la verità perché stranamente non hanno creduto alla storiella che racconti tu di solito; prima che facessero indagini e scoprissero la verità, ho preferito raccontarla in parte» utilizzò un tono di voce calmo e quello fece l'effetto di una camomilla su di me.

Mi rilassai e soprattutto mi rassicurai per le poche cose che zia Kate aveva raccontato. Nathaniel non sapeva un bel niente della mia vita, ne fui grata. Per come si era rivelato essere pochi minuti prima pensai non fosse la persona giusta. Incredibile come l'opinione che si ha di una persona, possa cambiare in così poco tempo.

«Ora vuoi dirmi cosa diamine hai combinato per finire in punizione ilprimo giorno di scuola?» si finse nervosa zia Kate. 

Le raccontai i fatti accaduti quel giorno e quando finii di dirle i fatti minimi e indispensabili, la liquidai e salii in camera la mia valigia. L'aprii, cercai l'oggetto dei miei pensieri e a primo impatto mi accorsi che era proprio come l'avevo lasciato. Tirai un sospiro di sollievo e conservai il mio caro diario segreto in un cassetto sicuro di quella mia nuova stanza. 

Dopo aver disfatto la famosa valigia dapprima perduta, mi sdraiai sul letto con poca grazia e parecchia stanchezza. Presi il cellulare con uno strano e intenso bisogno di sentire Ciak. Dopo tutto quel primogiorno avevo avuto mille dimostrazioni del fatto che lui fosse insostituibile. Con lui era partito tutto col piede giusto, sin dal primo giorno nella nostra conoscenza. Con lui era filato liscio tutto sin dal nostro primo sguardo, senza alcuna complicanza. Era unico.


A: Ciak

È stato brutto iniziare quest'anno scolastico senza te. Vorrei tanto poterti parlare, chiamare, chiarire. Vorrei poter ritornare ad essere la tua migliore amica, anche da lontano. Nessuno potrà mai sostituirti, lo sostengo ancora pur trovandomi in Francia. Se accetterai il mio invito di venire a stare nella mia nuova casa, durante le vacanze di Natale, prometto che ti racconterò ogni mio segreto... tutto quello che già avresti dovuto sapere. Ma per favore non imbronciarti ora. Ho bisogno di te. Sempre, anche da lontano. Notte un bacio!

 

 

 


N.A. Hi, volevo dire una cosa. Inizialmente i capitoli possono sembrare troppo corti e con pochi contenuti. Avete ragione. Ma purtroppo, pur revisionandoli, non posso modificare la trama della storia e all'interno di ogni capitolo devo inserire per forza solo gli eventi che erano già riportati precedentemente. Più avanti, nei capitoli scritti recentemente, la maggior parte arrivano ad essere lunghi 20 pagine e sono scritti meno superficialmente, ve lo assicuro. Quindi scusatemi anche per questo, ma come ho detto precedentemente questa storia ho iniziato a scriverla nel lontano 2013 e avevo una visione delle cose totalmente diversa rispetto ad ora. Spero abbiate pazienza.

Alla prossima, bacini!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CAPITOLO 4: La verità si paga ***


                             CAPITOLO 4

                           La verità si paga





Come scriveva uno dei miei autori italiani preferiti, Pirandello, ogni essere umano nella vita quotidiana, per ogni ambiente o situazione in cui si trova indossa una maschera diversa. 

Anch'io avevo la mia. E la mia era una maschera perfetta. Ma a differenza dei personaggi di Pirandello, indossavo le stesse ed identiche vesti per ogni scena, non cambiavo in base alle situazioni. Ero sempre e solo io: una ragazza dall'aspetto perfetto fuori, ma che dentro di sé aveva un disordine 
a-normale. 

Micaela Rossi era un personaggio, non una persona.

I guerrieri avevano le loro armature di ferro ed io avevo le mie, anche se un po' diverse esteticamente rispetto alle prime, entrambe avevano la stessa utilità. Minigonna, tacchi a spillo e un make-up da far paura erano le mie armi vincenti, quelle armi che da parecchio tempo fungevano da scudo. 

Ogni giorno combattevo la mia battaglia, mi sforzavo di apparire ciò che volevo essere agli occhi degli altri. Ero sempre riuscita nel mio intento fino a quel momento. Da otto anni ormai inscenavo la parte della figlia viziata, quella tipica ereditiera con la puzza sotto il naso e intoccabile. Era vero, in parte. Provenivo da una famiglia abbiente, ero l'unica nipote ed erede di quella famiglia facoltosa di avvocati e seppur la mia nascita non fosse stata ben accetta, soprattutto dai miei nonni, avevo scoperto da poco tempo della somma da capogiro che mi spettava come eredità. Essendo ancora minorenne, ovviamente zia Kate era il mio tutore. E la gente ricca di Parigi era già a conoscenza di quell'aspetto, forse più di me. Non sapevano della vera fine dei miei genitori, ma conoscevano ogni dettaglio economico della mia vita. Non capii mai il motivo per il quale alla gente importava così tanto della mia eredità, per quale motivo ero sulla bocca di tutti, ma ormai poco importava. Eppure nessuno sapeva, forse neanche zia Kate, che avrei pagato qualsiasi cifra, anche tutta l'eredità se serviva, per riavere indietro la mia infanzia, quell'infanzia che mi era stata tolta con prepotenza. Da sempre desideravo un'infanzia diversa, con l'amore di una mamma e un padre normali. Avrei dato tanto per vivere e sentire sulla mia pelle la sensazione di aspettare -davanti ad un camino, con la propria mamma- il rientro a casa di un padre tornato da un vero lavoro. Avrei dato tutto per un abbraccio soffocante tra figlia e genitori, un abbraccio che "mio padre" non era mai stato in grado di dare. Lui dava altri tipi di abbracci... abbracci che non erano neanche lontanamente paragonabili ad una forma di affetto. Era quello il massimo che avevo ricevuto dalla vita. Evidentemente meritavo quello.

La mia maschera, poi, mi aveva sempre permesso di nascondere la vera sofferenza e di sfogarla nello shopping. In poche parole credevo nella teoria dello shopping terapeutico. Così negli anni avevo accumulato un guardaroba da far invidia. Avevo davvero tanti vestiti, scarpe, accessori di vari marchi noti. Lo facevo proprio per bisogno, non per ostentare la mia ricchezza. Quando stavo male, quando sulla pelle percepivo troppe mancanze uscivo e spendevo tanti, troppi soldi. Sapevo di avere una sorta di dipendenza infatti con l'arrivo a Parigi mi promisi di ridimensionare gradualmente quella fissazione e di dare in beneficenza i vestiti che non usavo. E lo stavo già facendo.

Pensare allo shopping aveva portato i miei pensieri irrimediabilmente su Ciak, lui era la sola persona che portavo con me e volevo accanto quando stavo male, ovviamente indossavo la maschera anche con lui, ma non ci riuscivo del tutto. Capiva spesso che c'era qualcosa fuori posto e quando mi chiedeva spiegazioni ero costretta ad inventare scuse banali. 
Dovevo proprio far schifo a Dio se aveva deciso di togliermi anche Ciak. Vero, con le mie bugie avevo contribuito a farlo allontanare, ma fino a quel momento avevo pensato che tutte le nostre incongruenze potevano essere risolte con la sincerità da parte mia e invece non era stato così, almeno non per noi. Non aveva risposto al mio messaggio, non sapevo neanche se lo avesse letto o meno. Avevo passato giorni interi a prepararmi i discorsi da fargli, avrei voluto aprirmi con lui, raccontare ogni dettaglio della mia infanzia orribile. Mi avrebbe fatto soffrire, avrebbe riaperto le ferite mai rimarginate del tutto ma ero pronta a riaffrontare tutto per lui, per la nostra amicizia. Eppure se le situazioni fossero state capovolte, io l'avrei perdonato, a mio parere la nostra amicizia era più forte di tutto: delle incomprensioni, bugie non troppo gravi e persino della lontananza.  Evidentemente, però, lui non la pensava allo stesso modo.

-

Nelle settimane seguenti tutto scorreva normalmente a scuola, i miei compagni di classe scambiavano solamente qualche parola con me, per loro ero ancora "quella nuova" o la "novellina" come a volte mi definiva Castiel, ma con il passare dei giorni avevo iniziato a conoscerli ugualmente e almeno a ricordare tutti i loro nomi. Incredibile ma vero, l'unica persona con cui passavo la maggior parte del mio tempo scolastico restava niente poco di meno che Castiel. Avevamo sviluppato uno strano rapporto di amicizia complice soprattutto il fatto di essere compagni di banco; ci urlavamo ancora contro ma accadeva sempre più raramente. Certo i nostri battibecchi non mancavano mai ed erano anche causa di punizioni e richiami dei vari professori, ma erano scontri leggeri e affettuosi se così si potrebbe dire con un tipo come Castiel. A volte sembrava quasi che lui sapesse qualcosa di me, della vera me, quando mi vedeva triste cercava di farmi sorridere e ci riusciva molto bene. Grazie a lui sentivo sempre meno la mancanza di Ciak e mi faceva quasi paura quell'aspetto. 

Micaela Rossi era ancora in grado di affezionarsi alle persone. 

Perché sì, sebbene fosse passato solamente un mese provavo una sorta di affetto per Castiel. Lui sembrava esser andato oltre la mia maschera e corazza, sembrava vedermi per davvero, perché a detta sua quelle come Ambra le usava solo per andare a letto e passava il resto del tempo ad odiarle. Io al di fuori, dall'aspetto, ero come Ambra eppure non aveva nessuna intenzione di portarmi a letto e non sembrava più odiarmi. Mi sentivo lusingata per il posto che avevo assunto per lui. Non era parte del carattere di Castiel fare complimenti, con lui si doveva leggere tra le righe ed io stavo imparando a farlo. Mi piaceva sempre di più, come amico ovviamente. Il resto della classe e anche della scuola ci osservava quando eravamo insieme, a volte si avvicinavano persino per ascoltare cosa ci dicevamo e forse avevo capito il motivo. Erano poche le persone che rientravano tra le sue simpatie e amicizie, erano ancora più rare le ragazze. Con le donne, avevo capito dai suoi discorsi, si limitava ad avere rapporti sessuali. Nessun dialogo o coinvolgimento alcuno. E se i film e i libri mi avevano insegnato bene, doveva esserci qualche delusione amorosa di mezzo. La curiosità mi divorava in alcune situazioni in cui quella caratteristica era evidente nei discorsi che faceva, ma non avevo mai potuto soddisfarla. Non potevo rischiare di ricevere domande personali, da parte sua. La mia regola era quella: "nessuna domanda a loro, nessuna domanda a te" . 

Tra tutti i discorsi che io e Castiel ci trovavamo a fare -nelle ore libere o nelle ore in cui le materie erano troppo noiose- ve n'erano alcuni sulle nostre compagne di classe. Per cominciare... Iris, una ragazza dai capelli ramati, era molto carina di aspetto e Castiel approvava dicendo: «ha tutto al posto giusto ma non ha esperienza, non ci proverei mai con lei. Troppo santarellina». Per quel minimo di conoscenza, io invece la reputavo una ragazza buona, gentile e sempre allegra, era una delle poche che si sforzava a parlare con me. 

La migliore amica nonché sua compagna di banco, invece era tutto l'opposto di Iris, si chiamava Violet e aveva i capelli viola: "che fantasia", andava in giro sempre con un album da disegno. Un giorno, durante l'intervallo, smossa dalla curiosità mi ero sporta per sbirciare qualche suo disegno, ma dopo essersene accorta aveva subito chiuso e tolto l'album dalla mia visuale. Doveva essere una ragazza molto timida e riservata. Di lei stranamente Castiel diceva solamente che era troppo silenziosa, nessuna battuta fuori luogo. 

Poi continuando con le ragazze, c'erano Ambra, Lin e Charlotte. Le tre ragazze più popolari non solo della mia classe, ma anche dell'intero istituto. Erano le tipiche ragazze Barbie perfette descritte come le antagoniste della protagonista teen-ager di qualche film americano. E proprio come accadeva nei film, Ambra, la bionda ossigenata con cui avevo già avuto un incontro ravvicinato a causa del rosso, era il capo mentre le altre due eseguivano ogni suo ordine. Di lei Castiel parlava continuamente, non perché ne fosse infatuato ma perché rappresentava semplicemente il suo sfogo personale. Ogni qualvolta Castiel aveva un bisogno sessuale da soddisfare la chiamava e lei, forse illusa e innamorata, correva subito in suo soccorso. Durante il mio mese trascorso in quella scuola avevo già assistito a qualche episodio in cui lui le scriveva un messaggio dandole appuntamento nel bagno degli uomini o nello stanzino dei bidelli e lei lo raggiungeva subito. Ambra era bellissima, non poteva esser messo in dubbio, per la sua fisicità, lineamenti e colori poteva essere paragonata ad una Barbie vivente ma tutta la sua bellezza periva per quanto era prepotente con ogni essere umano. Era una specie di "bullo" al femminile. 

Lin invece, la sua seguace, era una ragazza asiatica, aveva dei capelli lunghissimi, lisci e neri. Non ci eravamo mai rivolte la parola. Il massimo che avevo ricevuto da lei era qualche occhiataccia che ovviamente io ricambiavo.

Charlotte, la terza e ultima seguace di Ambra aveva un fisico asciutto e alto, capelli e occhi marroni e un'espressione antipatica. Non avrei mai e poi mai voluto avere a che fare con lei. Castiel mi aveva raccontato qualche episodio in cui Ambra dava ordini a Lin e Charlotte di comprare profilattici per lei ed il rosso anche a notte inoltrata e loro eseguivano senza battere ciglia. Doveva esserci qualcosa sotto. Nessun pazzo sarebbe così fedele ad una persona del genere, non erano amiche per la pelle, sembravano delle vere e proprie serve di Ambra. 

Poi c'era Kim, una ragazza di origine africane dai capelli neri, gli occhi verdi e con i muscoli parecchio sviluppati. Praticava molto sport sia all'interno della scuola e sia al di fuori, il suo sogno era di diventare una pallavolista professionista. Avevamo avuto modo di chiacchierare qualche volta durante l'intervallo. Caratterialmente aveva qualche tratto simile a Castiel, era scorbutica e con gli atteggiamenti poco femminili. Insomma con lei era meglio non avere problemi. 

Rosalya invece, era la ragazza con cui avevo chiacchierato maggiormente. Lei era bellissima. Aveva dei lunghi capelli tinti di bianco, occhi celesti e un fisico da modella. Avevamo le stesse passioni e cioè quella dello shopping e della moda, era una ragazza solare, parlava con tutti ma era fedele a pochi. Lei stessa mi aveva detto di essere la fidanzata storica del fratello di Lysandre, il migliore amico di Castiel. 

Peggy, era bassa di statura, capelli corti corvini e occhi neri. La redattrice del "dolce journal" (il giornalino della scuola), era la ragazza che m'ispirava meno fiducia di tutte, forse anche meno di Ambra. Infatti sin dal primo giorno di scuola Peggy si era avvicinata a me per chiedere informazioni personali, ovviamente le avevo sempre e solo risposto con occhiatacce, ma con il passare dei giorni le sue domande si erano man mano spostate verso un altro argomento: Castiel. Ogni giorno, anche tre volte durante le lezioni, si avvicinava a me quando il rosso si allontanava e non perdeva tempo per chiedermi che genere di rapporto ci fosse tra me e Castiel. Il rosso stesso mi aveva avvertita di stare attenta a lei. Ogni tipo d'informazione, anche se minima, veniva trasformata dalla sua mente curiosa in qualcosa di più grande e grave ed inserita all'interno del giornalino. 

L'ultima ragazza della mia classe si chiamava Melody, era la compagna di banco di Nathaniel. Aveva il tipico viso ingenuo ma dava tanto l'impressione di una che facesse la stupida per non andare in guerra. Quando qualche ragazza parlava e scherzava con Nathaniel veniva automaticamente inserita nel suo libro nero, in poche parole uccideva con lo sguardo chiunque si avvicinasse al biondino. Non sapevo in che genere di rapporto erano i due, ma era palese l'interesse provato da lei. Nonostante quel piccolo particolare era una ragazza dall'aspetto piacevole, con occhi celesti, capelli lunghi castani e con boccoli. Era segretaria delegata insieme a Nathaniel e per quel motivo indossava abiti piuttosto classici. Castiel di lei diceva testuali parole: "se lei e il delegato stessero insieme non ci penserei due volte a portarmela a letto. Sarebbe la mia vendetta". Avevo provato a chiedergli cosa intendesse con quelle parole, ma lui mi aveva subito liquidata con un semplice "niente che possa interessarti", quindi avevo preferito non insistere sebbene la mia curiosità, con il passare dei giorni, non era scomparsa.

Poi passando ai ragazzi: Alexy e Armin erano i due gemelli della mia classe; simili di aspetto ma non di carattere. Alexy era un tipo estroverso e chiacchierone, era il migliore amico di Rosalya e proprio come lei amava lo shopping e gli uomini. Aveva occhi e capelli celesti. In quella città doveva esserci per forza qualche strana gara a chi si tingeva i capelli dal colore più sgargiante, perché altrimenti non poteva essere spiegata la fissazione di quasi tutte le persone di avere quei colori di capelli. Il fratello Armin al contrario di Alexy, l'unico shopping che amava fare era per i videogiochi. Era un nerd fino al midollo, ma non proprio nell'aspetto. Stava costantemente attaccato al suo Nintendo, parecchie volte oggetto delle urla dei professori che lo beccavano, ma a lui continuava a non importargliene. Aveva occhi blu e capelli neri, per l'aspetto fisico mi ricordava Ciak.

Poi c'era Lysandre, il migliore amico di Castiel. Era un tipo strano, tanto, parecchio strano. Sembrava quasi un ragazzo uscito da qualche film ambientato nell'epoca vittoriana per il suo abbigliamento. Aveva capelli dipinti di bianco e poi l'eterocromia del colore dei suoi occhi attirava l'attenzione di molte ragazze, un occhio era verde e uno marrone tendente al dorato. Lui era il poeta nonché il compositore nella band di Castiel. Il suo animo nobile si rifletteva anche sul suo aspetto esteriore grazie al suo abbigliamento, era così che lui stesso giustificava il suo modo di vestire. Più volte avevo avuto modo di dialogare con lui, vista la nostra "amicizia" in comune con il rosso, ed era davvero un bravo ragazzo. Non riuscivo neanche a comprendere come facesse ad essere amico di Castiel; erano due opposti. 

Oltre a Castiel, per finire c'era Nathaniel, il mio enorme punto interrogativo. I suoi comportamenti nei miei confronti erano stati strani sin dal primo giorno, o meglio si era comportato bene e da amico fin quando non era entrato in scena Castiel. Quando aveva intravisto lo strano legame tra me ed il rosso aveva ben pensato d'iniziare ad evitarmi. Non era una cosa normale. Avevo provato a chiedere spiegazioni a Castiel stesso, ma ovviamente aveva liquidato la mia domanda con: "è semplice odio reciproco". Ma allora perché si era lasciato sfuggire che se Nathaniel e Melody si fossero messi insieme, Melody sarebbe stata la sua vendetta? Sapevo di aver detto più volte di non dover ficcanasare negli affari altrui per evitare le eventuali domande sul mio conto, ma quando si trattava di Castiel e Nathaniel non riuscivo a trattenermi e volevo, dovevo scoprire qualcosa sul loro legame passato. Ero incoerente, lo sapevo bene.

-

Durante la mattina della mia terza settimana a Parigi mentre mi preparavo per quel giorno di scuola, continuavo a torturare i miei pensieri sul possibile rapporto tra Castiel e Nathaniel prima del mio arrivo in quella città. Il mio istinto suggeriva che doveva essere accaduto per forza qualcosa altrimenti nessuno dei due avrebbe avuto quegli strani comportamenti e parole per l'altro.

Quasi come se mi avesse letto nel pensiero, quando uscii per dirigermi a scuola trovai Nathaniel davanti al cancello di quella che ormai era diventata casa mia. Stava aspettando me. Per quale motivo? Mi evitava dal secondo giorno di scuola.

«Ehi Miki» mi rivolse un sorriso e continuò: «ti va di percorrere la strada insieme?» 

«Perché mai dovrei?» alzai un sopracciglio, irritata. Non mi andava di essere considerata solo quando lui ne aveva voglia. Più volte nel corso delle settimane avevo cercato di parlargli, di aprire un dialogo con lui, ma continuava a liquidarmi con due parole dette a caso e per il resto del tempo mi stava lontano come se avessi la peste. Eppure l'unica legittimata ad essere scontrosa nei suoi confronti dovevo essere io, ma lì, in quella città ognuno ragionava a modo suo.

Sospirò e poi rispose «quella sera posso esser risultato invadente, ti chiedo scusa».

«Oh certo! E te ne rendi conto solo tre settimane dopo?» risi sarcasticamente. 

«No! Solo... Non ho avuto il coraggio di parlarti. Dovevo sbollentarmi prima. Quando vedo qualche ragazza pendere dalle labbra di quel mostro non capisco più niente e... dovevo avvertirti. Non è una persona raccomandabile, spero lo capirai.»

Ancora con quella storia? Ero stufa. 

«Addirittura mostro... Non ti sembra di esagerare con le parole, Nathaniel?!?» mi stava innervosendo. Tolsi le mani dal cappotto ed iniziai a gesticolare come mi capitava sempre nei momenti di nervosismo «fino a prova contraria Castiel è stato l'unico a starmi vicino a suo modo. È l'unica persona quasi amica che ho. Quindi non vedo nessun valido motivo per stare lontana da lui. Si è sempre comportato bene con me, sin dal primo giorno. Certo ha modi scorbutici, è arrogante, ma è la persona più lontana dalla definizione di mostro...» lasciai l'ultima frase in sospeso, inevitabilmente ripensai a mio padre. Lui, lui poteva essere definito un mostro, non Castiel. 

Davanti a quelle mie parole Nathaniel rise amaramente «Già ti ha stregata. Già lo difendi. Attirare le sue prede facendo il simpatico e l'amico, tipico di Castiel. Ma vedi Miki... ci sono cose accadute esattamente un anno fa che tu evidentemente non sai. Devi credermi quando ti avverto su di lui.»

Corrugai la fronte davanti alle sue frasi. Cosa era accaduto l'anno prima?

«Visto che sei così di buon cuore e così preoccupato per il prossimo, sai dirle tu quali sono queste cose?» lo beffeggiai.

«Ovvio che no. Non spetta a me dirti queste cose.»

Non potevo credere alle mie orecchie. Seriamente? Prima mi avvertiva, diceva cattiverie sul conto di Castiel, diceva di dover mantenere le distanze da lui e poi non aveva neanche il buon senso di dirmi cosa era accaduto. Non mi piaceva per nulla la parte del carattere di Nathaniel che stava fuoriuscendo. 

«Dovresti smettere di fare il buonista. Dici tanto di voler avvertire e allontanare la gente dal male, ma non fai altro che confondere e sputare cattiverie su di lui senza dire il motivo tra l'altro... Ridicolo!» fu inevitabile insultarlo. Non era mia intenzione, ma aveva provocato la mia ira per troppi minuti. 

Mi voltai di spalle intenzionata a chiudere quella discussione con lui. Iniziai a percorrere la strada che mi avrebbe portata davanti scuola, ma non riuscii a fare più di qualche passo  che lui mi bloccò tenendomi dal braccio. 

«Non sono io il cattivo, non è me che dovresti insultare. Credimi, se solo sapessi. E poi... come mai non ti ha reso partecipe di quello che ha combinato un anno fa? Non avevi detto foste amici? Gli amici solitamente si raccontano tutto... ma a quanto pare lui non ti considera sua amica a tal punto da confidarsi con te» usò un tono denigratorio e rise. Non potevo vedere la sua espressione, ero ancora voltata di spalle, ma fu meglio in quel caso. 

Poteva anche non essere il cattivo della storia, ma in quel momento si stava comportando da tale. Aveva sganciato la bomba ed era scappato. Non voleva realmente salvarmi, altrimenti avrebbe reagito in altri modi. 

«Con tutto il cuore... Fanculo Nath!» mi divincolai dalla sua presa e m'incamminai a passo veloce verso scuola. Volevo allontanarmi da lui e dai mille dubbi che era riuscito ad aggiungere a quella storia. Cosa aveva fatto Castiel di così terribile? Ma soprattutto era vero quello che sosteneva il biondo?

Dopo quell'accaduto fui ancora più curiosa di scoprire cosa c'era dietro, volevo a tutti i costi conoscere quel passato. Castiel non mi avrebbe mai raccontato niente. Sarebbe stato inutile chiedere direttamente a lui. Sapevo di star per fare qualcosa che era meglio non fare, ma dovevo farlo. Volevo chiudere quella storia e per farlo dovevo conoscere i dettagli altrimenti la curiosità mi avrebbe uccisa. Non ero mai stata una persona curiosa di conoscere il passato delle persone che in qualche modo mi circondavano, anch'io avevo un passato da nascondere ed era stato quello il motivo principale della mia diffidenza. Ma Castiel aveva smosso qualcosa dentro di me, volevo a tutti i costi conoscerlo fino in fondo, conoscere il suo passato per poter prendere le sue difese. Certo, fisicamente era in grado di difendersi da solo, ma forse con le parole non era poi così bravo e quella parte sentivo toccasse a me. Tutti gli andavano contro, lo criticavano ed io sentivo il bisogno di mostrare la sua innocenza e di difenderlo.

Quel giorno Castiel aveva capito ci fosse qualcosa che mi preoccupava, mi scrutava, cercava di capire senza chiedere. Ovviamente. Lui non poteva mostrare il suo interesse al resto del mondo, quindi non si era degnato di chiedere a me direttamente. Ma dai suoi comportamenti capii che in realtà era curioso di sapere cosa mi passasse per la testa. Quando pensava di non esser visto si voltava nella mia direzione e corrugava la fronte in segno di dubbio e confusione, mi aveva messa alla prova con le sue solite battute alle quali non risposi come invece accadeva gli altri giorni. Ad un certo punto delle lezioni, però, si era stancato di pensare ai miei tormenti e con uno sbuffo mi lasciò perdere. Dopo tutto non ero così importante per lui; ci conoscevamo da poco meno di un mese e poi... non sarei mai potuta diventare la sua eccezione, insomma stavamo parlando di Castiel Black. Lui neanche sapeva cosa fossero le eccezioni. Cercava solo di mantenere una convivenza civile con la propria compagna di banco, non sarei mai stata considerata un'amica da lui. Gli unici rapporti che voleva mantenere -oltre a Lysandre e la sua band- erano quelli sessuali con le ragazze che più gli garbavano. 

Scossi la testa e mi concentrai su ciò che m'interessava. Non dovevo farmi distrarre dal rosso. 

Così durante tutta la durata delle lezioni cercai di azionare un piano. Avrei dovuto parlare con qualcuno e convincere quest'ultimo a raccontarmi quel maledetto passato. Chi poteva essere a conoscenza di tutti i fatti? Dopo aver fissato uno per uno tutti i compagni della mia classe arrivai ad una conclusione. Più le ore passavano e più scartavo le persone inutili per quel piano. Ad un'ora dalla fine delle lezioni restarono due persone. Peggy, la regina degli scoop e Lysandre, il miglior amico di Castiel. Lysandre non mi avrebbe mai rivelato niente, sapeva quanto riservato fosse Castiel e quanto ci tenesse a non rivelare informazioni su di lui, quindi mi ritrovai a dover scartare anche il suo aiuto. 

Restava solo una persona.

Peggy.

Lo stesso Castiel l'aveva definita come "colei che sapeva sempre tutto di tutti" ed essendo pettegola, non ci avrebbe messo molto a rivelarmi ogni cosa nei minimi particolari. Lei era perfetta per quel piano. 

Ansiosa e speranzosa aspettai la fine delle lezioni per parlarle. Lei, ogni giorno, era l'ultima ad uscire dall'aula quindi non sarebbe stato difficile intercettarla per parlare privatamente. E così fu.

Alla fine delle lezioni l'aspettai fuori dalla porta dell'aula e appena la vidi uscire da sola, pronunciai il suo nome e la fermai sfiorandole un braccio. 

«Che c'è novellina?»

"Ciao anche a te Peggy, è un piacere scambiare due chiacchiere con te".

«Ehm... Ti va di parlare un po'? Mi stai simpatica, ma non abbiamo mai avuto modo di chiacchierare tranquillamente» le chiesi cercando di far capire che avrei voluto parlare solamente del più e del meno per conoscerci. 

«Ti sembro stupida per caso? Cara Micaela Rossi ancora deve nascere chi può prendermi in giro.»

Sgranai gli occhi, mi aveva scoperta. Non ero brava a fingere o era lei troppo furba?

«No, ma che... che dici?!? Voglio so...» 

Mi bloccò prendendo la parola: «Avanti, sputa il rospo. Dimmi cosa vuoi. Durante le ultime ore non hai fatto altro che fissarmi.»

Ma che aveva anche gli occhi sulle spalle? Restai stupita per la sua furbizia, ma dopotutto era una specie di giornalista, quindi era anche normale in un certo senso. 

«Bene. Allora sarò breve. Nathaniel continua a dirmi di stare lontana da Castiel, perché è un mostro, che un anno fa ha fatto qualcosa di in...»

Mi bloccò ancora una volta. Era capace di far finire un discorso?

«Aspetta. Frena, frena. Perché mai il segretario delegato dovrebbe preoccuparsi così tanto per te?!? Non dà mai retta a nessuno. Ora rispondi a questa mia domanda: tra te ed il delegato c'è del tenero?»

All'improvviso mi vennero in mente e capii le parole di Castiel. Mi aveva avvertita di quanto Peggy potesse tirare le varie situazioni a suo favore. Da una cosa minima ne creava una enorme. E stava accadendo anche in quel momento. Sì, fare la giornalista di scoop sarebbe stato il suo lavoro ideale. 

«Nathaniel è semplicemente il mio vicino di casa  e dopo oggi non credo ci possa essere alcun tipo di rapporto. E comunque non hai ancora risposto alla mia domanda»

«Oh... piccola e ingenua Miki. Non hai ancora capito come funziona con me, ma lascia che ti dia qualche dritta. Io non dò niente se in cambio non mi viene dato qualcosa»

«Sono i soldi che vuoi? Quanto?» corrugai la fronte. Non pensavo fosse stato così complicato contrattare con lei. 

«Oh no, non è così facile cara. Non con te. Scoop in cambio di scoop

Perfetto! Di male in peggio. Cosa avrei dovuto rivelarle ora? Quella situazione iniziò a mettermi ansia. Mi ero infilata in un grosso guaio con le mie stesse mani. 

«Prima di oggi cosa poteva esserci tra te ed il delegato? Cosa c'è invece tra te e Castiel? È per lui che tu ed il segretario delegato avete litigato?» 

Come faceva ad arrivare alle conclusioni in pochi secondi non riuscii a capirlo. Aveva un talento innato. 

M'innervosii ed iniziai a parlare senza filtri, senza pensare a ciò che era meglio non rivelarle «Sei una pettegola senza scrupoli. E poi... notizia dell'anno: il segretario delegato ha un nome e si chiama Nathaniel. Dovete smetterla di generalizzare tutti, quasi come se non fosse una persona. Potrebbe starci male. Tra me e lui non c'è, non c'era e non ci sarà mai un bel niente, stessa cosa per Castiel. Io e Castiel siamo stati spediti semplicemente in punizione e alla fine di questa siamo usciti insieme a prendere un gelato. Da quel giorno è nata una specie di amicizia. Stop. Tutto qui. Niente di esclusivo, mi dispiace deluderti. Ora se degnassi la mia domanda di una risposta, te ne sarei grata. Grazie!»

Le s'intravide uno strano luccichio negli occhi. Sembrava elettrizzata. «Bene, proprio ciò che avrei voluto sentire. A te piace il segretario delegato e Castiel... WOW! Non anticipo niente, domani vedrai. Diventerai star del liceo per un giorno. La risposta alla tua domanda, la verità, potrai leggerla domani sul dolce journal. Ora lasciami in paceHo un articolo bomba da scrivere...»

Come? Cosa? Perché? Sul giornalino della scuola? Perché stava sostenendo il falso? Tutti avrebbero saputo ciò che era accaduto un anno prima a Castiel? E se fosse stata una cosa realmente grave? L'indomani tutti avrebbero saputo tutto. Castiel non mi avrebbe mai più rivolto la parola, ne ero sicura ormai. Mi sentii uno schifo. Avevo dimostrato di essere una pessima amica. Ero accecata dalla curiosità, dalla necessità di sapere e non avevo riflettuto abbastanza. Peggy non era la persona giusta, era costantemente alla ricerca di scoop, cosa pretendevo? Che mi raccontasse tutto senza volere niente in cambio?

Stupida Miki!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** CAPITOLO 5: Lo scoop di Peggy ***



                                 Capitolo 5
                          Lo scoop di Peggy








Quando i primi raggi di sole filtrarono dalla tapparella di quella che ormai da un mese era divenuta la mia stanza, decisi di porre fine all'illusione di poter prendere sonno e con uno sbuffo scalciai le lenzuola. Mi alzai dal letto e mi fiondai sotto la doccia sperando che l'acqua tiepida lavasse via tutta l'ansia racchiusa nel mio corpo. Quella notte il letto sembrava contenere spine al posto delle lenzuola, avevo cambiato posizione infinite volte; a destra, a sinistra, a pancia in sotto, a pancia in sú ma senza mai riuscire a trovare una posizione comoda che mi permettesse di prendere sonno. La realtà però era un'altra, mi sentivo tremendamente in colpa nei confronti di Castiel. Non dovevo permettermi di ficcanasare nel suo passato, non dovevo curiosare alla ricerca di una verità che non mi spettava conoscere. Insomma... Conoscevo Castiel solo da un mese e come io non avevo intenzione di raccontare il mio passato, non potevo pretendere da lui dei racconti dettagliati sulla sua vita. Eravamo diventati quasi amici e stavo per rovinare tutto solo per la mia stupida curiosità. Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo. In Italia non agivo mai d'istinto, ogni mio comportamento era previsto e calcolato a causa dei miei segreti, dalla mia vera vita da dover nascondere. Non volevo la compassione e l'aiuto di nessuno, non volevo riaffrontare quegli argomenti che avrebbero inevitabilmente riaperto ogni ferita e per questi motivi avevo deciso di tacere, di non mostrare mai curiosità, di non fare mai domande sul passato della gente con cui avevo a che fare.

Ma ora? A Parigi cosa era cambiato? 

Da qualche giorno avevo iniziato a pormi quella domanda senza mai riuscire a trovare risposta. Forse era l'aria misteriosa di Castiel, forse tutti quegli strani termini che sia lui che Nathaniel avevano pronunciato o forse era semplicemente l'aria di quella città a farmi cambiare, ma sentivo proprio la necessità di conoscere più dettagli sul suo passato. Nessun ragazzo aveva mai attirato così tanto la mia attenzione, ammisi. 

Per la prima volta dopo un mese, quel giorno indossai una semplice felpa sportiva verde, dei jeans e un paio di Vans. Per la prima volta dopo anni non avevo l'umore adatto per indossare tacchi e minigonna. Mi stupii di me stessa. 

Durante il tragitto verso scuola erano tanti i sentimenti che mi travolgevano e tra tutti: l'ansia, il timore e la rabbia erano quelli sovrastanti. A breve avrei perso l'unica persona che sentivo più vicina in quel mese di liceo. E avevo fatto tutto da sola per perderlo. Ero incredibilmente masochista, non c'era nient'altro da dire.

Oltre ai sentimenti negativi era parecchio presente anche la curiosità. Ero curiosa e nervosa allo stesso tempo nei confronti di Peggy. Ero curiosa di vedere con i miei stessi occhi fin dove si potesse spingere la fantasia di quella ragazza pur di avere successo con il suo giornalino patetico. Ero nervosa perché avevo la percezione che avesse inventato tante falsità.

Quando mi ritrovai davanti al Dolce Amoris le mani iniziarono a sudare e ad avere un leggero tremolio per la forte tensione accumulata dal giorno precedente. Non sapevo cosa mi aspettasse oltre quella porta. A breve avrei scoperto parte del passato di Castiel in un modo squallido. L'avevo combinata grossa, io stessa non mi sarei perdonata se fossi stata Castiel. 

Ingoiai il grosso groppo formatosi in gola e mi feci coraggio per entrare. Appena varcata la soglia notai i primi cambiamenti. Quasi come se ci trovassimo in una sfilata, man mano che camminavo diretta verso l'aula, tutti gli studenti accanto ai loro armadietti si voltarono per guardarmi. Peggy aveva ragione. Ero appena diventata "la star del liceo" per un giorno. Ma c'era un piccolo particolare che la fastidiosa giornalista aveva ignorato. Essere al centro dell'attenzione era l'ultimo dei miei desideri. Percepii un lieve calore sulle mie guance, abbassai il volto e alzai sulla testa il cappuccio della felpa per nascondermi. Nonostante il mio modo di vestire abbastanza provocante, non avevo mai amato avere tutti gli occhi della gente puntati addosso. O meglio, mi faceva piacere averli qualora mi avessero guardata per l'aspetto fisico o per l'abbigliamento, ma non per altro. Non avevo mai lasciato sfuggire niente sulla mia persona, sui miei affetti e sul mio passato ma la situazione a Parigi mi era sfuggita di mano. 

E non sapere cosa diavolo contenesse quel giornalino del cavolo m'irritò ancora di più. Dove avrei potuto trovarne una copia?

Non feci neanche in tempo ad alzare il volto per guardarmi intorno alla ricerca del mio oggetto del desiderio che questo mi venne sbattuto letteralmente in faccia da qualcuno. Restai sbigottita. Ignorai il lieve bruciore dell'impatto con la carta e cercai di capire chi avrebbe mai potuto compiere un gesto così brusco. 

Ovviamente Castiel Black. 

«Razza d'imbecille, vieni con me!» digrignò i denti, afferrò il mio polso e dopo aver raccolto il giornalino che dopo l'impatto col mio volto era finito sul pavimento, mi guidò in una stanza buia in cui non ero mai stata prima di allora.

Quando entrammo nella stanza Castiel sbatté la porta per scaricare parte della sua rabbia e subito dopo lasciò il mio polso. Sentii uno strano senso di vuoto pervadermi quando il suo tocco terminò, ma lo scacciai. Si voltò verso una piccola finestra e quando aprì lievemente la persiana entrò uno spiraglio di luce che mi fece intravedere gli attrezzi utilizzati dagli addetti per pulire.

"Vuoi vedere che..."

«Oh mio Dio... Questa è la stanza che penso io?» sgranai gli occhi e mi portai istintivamente la mano sulla bocca spalancata per la sorpresa.

«Non sei nella situazione di poter fare battute. Smettila di fare la bambina innocente del cazzo». 

Come avevo ben previsto era furioso per quello che avevo combinato. Mi zittii e non fiatai attendendo un qualsiasi suo accenno. Farlo innervosire maggiormente non era nelle mie intenzioni.

Eravamo in quel famoso stanzino. Proprio lì dove Castiel portava Ambra e chissà chi altro quando una certa voglia lo assaliva. Cercai di accantonare il fastidio che inevitabilmente invase ogni cellula del mio corpo ed evitai di guardarmi intorno. Non volevo essere portata dove erano state tutte. Io non ero "le altre". Ero una sua amica, giusto? Quindi non vedevo il motivo per il quale dovesse portarmi proprio lì. Scossi la testa per allontanare quel pensiero. Dovevamo semplicemente parlare, anzi doveva semplicemente urlarmi contro, e non poteva farlo davanti a tutti solo per quel motivo era stato costretto a portarmi in quella stanza. 

«Spiegami cosa cazzo è girato al tuo cervello grande quanto una nocciolina quando hai deciso di creare tutto questo casino» 

Deglutii rumorosamente ed abbassai il volto. Non sapevo cosa dire, meritavo da parte sua tutti gli insulti possibili e immaginabili. Così decisi di rispondere con il silenzio. Mantenni il volto basso, non riuscivo a guardarlo negli occhi. Ringraziai mentalmente il cappuccio della felpa che in quel momento utilizzai come scudo. Provavo una vergogna assurda per me stessa. Avevo avuto un comportamento da pazza e da irresponsabile. Castiel mi aveva persino avvertita di stare lontana da Peggy ed io invece cosa avevo fatto? Ero andata a chiedere informazioni private alla persona sbagliata.

«Era il mio passato che t'interessava? Eccolo!» sbraitò gettandomi nuovamente il giornalino addosso. Quella volta non colpí il volto ma il busto.

Lo sollevai da terra, lo strinsi tra le mani e guardai per qualche secondo Castiel. Per la rabbia si era portato entrambe le mani sulla testa, tra i capelli rossi, ed inevitabilmente la maglietta nera -che portava sotto al suo inseparabile giubbotto di pelle- si era sollevata mostrandomi parte dei suoi muscoli a forma di V che terminavano sotto il bordo dei suoi jeans. Non era il momento di contemplarlo ma era incredibilmente bello anche da nervoso, non potevo negarlo. Nel mese trascorso in quel liceo, al suo fianco, non mi ero mai fermata ad osservarlo come invece mi accadde in quel momento. Non lo stavo più guardando con gli occhi di un'amica, non lo stavo considerando solo un bel ragazzo come capitava di pensare per Ciak, no. Appena la mia mente aveva affiancato quell'aggettivo alla sua persona, il cuore aveva iniziato a battere più veloce del solito. Per quale motivo? Lui era il mio quasi amico...

Scossi la testa e spostai lo sguardo per evitare distrazioni. Senza proferire parola abbassai lo sguardo verso le mie mani e finalmente ebbi il coraggio di guardare quel giornalino che avrebbe cambiato inevitabilmente qualsiasi genere di rapporto avuto fino a quel giorno con Castiel. 

Mi stupii di vedere una foto di Violet sulla copertina ricoperta di lividi e Castiel affianco a lei con entrambe le mani sulle sue spalle. Aggrottai la fronte quando lessi il titolo che introduceva il contenuto dell'articolo: "La storia si ripeterà di nuovo?!?"

Cosa voleva dire tutto questo? Sollevai per un attimo lo sguardo in direzione di Castiel e lo sorpresi fissarmi con un'espressione corrucciata e le braccia incrociate. 

Il silenzio fece da padrone. Persino anche lui aveva smesso di urlare e d'insultarmi. Così approfittando di quella quiete improvvisa mi decisi di aprire il dolce journal. Saltai gli articoli e le informazioni che non m'interessavano fino ad arrivare a quel titolo che attirò subito la mia attenzione e nello stesso tempo mi fece rabbrividire.

"CASTIEL, MIKI, NATHANIEL: IL NUOVO TRIANGOLO DEGLI ORRORI". 

Quelle otto parole non premettevano nulla di buono. Con la mano libera portai all'indietro un ciuffo di capelli come gesto di puro nervosismo. Avevo quasi paura di leggere il contenuto dell'articolo.

«Sbrigati a leggere. Non ho tutta la giornata a disposizione da perdere con te» m'incitò Castiel con un tono di pura rabbia. 

Feci un grande respiro, chiusi gli occhi per un millesimo di secondo e dopo averli riaperti iniziai finalmente a leggere.




Come noi tutti sappiamo, un tempo non poi molto lontano Castiel Black e Nathaniel Daniels erano migliori amici. Si conobbero sin dai tempi della scuola dell'infanzia e da quel giorno non si separarono più. Tutti invidiavano il loro legame; non erano dei semplici amici, erano come due fratelli. Ma anche il loro rapporto, a quanto pare, non era poi così forte come tutti credevano. Era bastata una persona per separarli. Dopo la "famosa lite" Nathaniel sembrò rifiorire. Divenne la persona seria e distinta che tutti noi oggi conosciamo. Colui che ricevette il colpo più duro fu invece Castiel che in poco tempo aveva perso le due persone più importanti della sua vita. Il suo andamento scolastico precipitò e con quello anche la sua autostima e simpatia lasciando il posto alla persona scorbutica, arrogante e prepotente che è ancora oggi. Iniziò a frequentare compagnie poco raccomandabili, ad entrare in giri illegali non confermati, ancora oggi, ma ciò che a noi interessa è la violenza e l'abuso nei confronti della povera Violet Picard. Fu con quell'episodio che toccò il fondo. Fortuna volle che quel giorno, casualmente, passassi proprio io per quel vicolo e senza farmi vedere dai diretti interessati scattai una foto che portai direttamente alla prima caserma e denunciai il delinquente. Castiel Black, all'epoca ancora minorenne, non essendo stata confermata la violenza dalla diretta interessata, fu semplicemente condannato ai servizi sociali grazie alla mia foto. Sebbene la condanna fu misera la vostra Peggy e o non è stata una vera eroina?!? Certo che lo è stata. Senza di me non avrebbe avuto neppure una sanzione minima. Ma questa storia non è nuova, la conoscete già. Leggete e udite, ragazzi. Il vero scoop della giornata è un altro. Pare che Castiel sia tornato all'attacco e abbia abboccato una nuova preda: Miki Rossi, la nuova arrivata al Dolce Amoris. A raccontarmi gli avvenimenti è stata proprio la diretta interessata che impaurita dalle voci su Castiel è venuta a confidarsi con me. I due, Castiel e Miki, sono già usciti insieme un paio di volte e fonti attendibili hanno affermato di aver visto la bella Miki frequentare casa Black assiduamente. Pare anche che il bad-boy si comporti bene con lei, in attesa di poter ricevere ciò che più brama, ovviamente. Ma non siamo poi così sicuri che Castiel riuscirà nel suo intento, questa volta. "Castiel Black ottiene sempre quello che vuole!" starete di sicuro pensando. Vero, ma non se qualcuno gli darà del filo da torcere. E colui che s'intrometterà sarà niente poco di meno che Nathaniel Daniels, Signori. La nuova arrivata ha fatto breccia nel cuore del segretario delegato e pare che i due, anche se tra alti e bassi, si stiano frequentando. Caro Black, ti converrà riguardare il piano o ancora meglio ritirarti. Non riuscirai nel tuo intento questa volta, Daniels difenderà Miki con tutto se stesso. Qualora vedeste atteggiamenti sospetti, non abbiate paura, venite a confessarmi ogni cosa. Le persone come Castiel  Black devono essere punite. 

Continuate a seguire le vicende del triangolo, v'informerò di ogni novità. Ne vedremo delle belle.

Peggy Lefevre





La gola mi si seccò davanti a tutte quelle informazioni che la mia mente aveva recepito. Castiel e Nathaniel erano migliori amici, un tempo. Chi l'avrebbe mai detto? Avevano litigato a causa di una persona, non mi era dato sapere altro. I dubbi, le domande e la curiosità aumentarono a dismisura dopo aver appreso quelle mezze verità, ma avevo imparato la lezione. Prima o poi sarei riuscita a conoscere la verità, ma non dovevo affrettare le cose. Si trattava solo di pazientare un po' di tempo per poi chiedere ai diretti interessati. Mi avrebbero risposto, ne fui sicura.

Castiel aveva apparentemente abusato di Violet, la ragazza dai capelli viola sempre silenziosa della mia classe. Avrei tanto voluto avere un dialogo con lei per capire meglio. Mi promisi di provarci una volta usciti da quella stanza. Non seppi se fu un bene o un male, ma non credevo neanche ad una parola di quella storia. Castiel non era uno stupratore, ne ero convinta e come Peggy aveva inventato la storia del presunto triangolo, aveva inventato anche la storia della violenza. O perlomeno aveva cambiato parecchi dati e fatti. Doveva esserci una spiegazione differente anche per la foto presente sulla copertina. 

Dopo aver riordinato i pensieri alzai il volto e guardai il rosso di fronte a me. Continuava a fissare il giornalino tra le mie mani con un'espressione pensierosa, sembrava essersi calmato. Se avessimo avuto più confidenza, o un altro tipo di rapporto sarei corsa ad abbracciarlo per dimostrargli il mio sostegno. Avrei tanto voluto farlo sebbene sapessi che lui mi avrebbe allontanata, ma i piedi restarono incollati sul pavimento di quello stanzino.

Così tentai un'altra via per mostrargli il mio pensiero «Cas... C-Castiel...» pronunciai a bassa voce e a stento.

Alzò il volto e per un breve istante ci guardammo dritti negli occhi, poi abbassò lo sguardo quasi vergognandosi per ciò di cui era stato accusato.

«Che c'è ancora?» mi disse con un tono rassegnato, come se già sapesse che anch'io l'avrei accusato. 

Mi fece tenerezza quell'accenno di umanità mostrato per un istante. Doveva aver passato dei momenti pessimi per colpa di fraintendimenti e per colpa di persone che non gli avevano concesso il beneficio del dubbio. Tutti avevano pensato di additarlo, accusarlo e allontanarlo. Nessuno si era chiesto il vero motivo per il quale Violet non aveva confermato la storia, o il motivo per il quale Castiel non aveva ricevuto una condanna più grave di quella. Per tutti c'era stata solo una versione della storia, era facile seguire la massa. Me lo immaginai solo e abbandonato al suo destino. Castiel non era una persona propensa a chiedere aiuto, anzi al contrario allontanava le persone nei momenti di maggior bisogno. In quei giorni avevo imparato a conoscerlo meglio, anche se ancora avevo molto da scoprire su di lui. 

«Ecco io... Io n-non credo a Peggy» abbassai il volto sospirai e facendomi forza continuai «può essere che io non abbia capito niente, ma non posso crederle. So di essere arrivata da poco qui, di non sapere molto sul tuo conto, ma il mio istinto mi suggerisce che sei innocente. Nei tuoi occhi non leggo cattiveria. Beh... sì, sei stronzo e hai modi bruschi ma questo non fa di te uno stupratore. Sono sicura ci sia ben altro dietro a questa storia».

Davanti alle mie parole alzò di scatto la testa e mi fissò sorpreso. Alzai anch'io lo sguardo e gli sorrisi sinceramente. Ci dividevano molti centimetri, avrei voluto accorciare le distanze ma da vera codarda restai immobile lì dov'ero. Non ero ancora pronta ad ammettere la verità su ciò che Castiel mi provocava. 

«Resta il fatto che avresti dovuto evitare d'immischiarti in affari che non ti riguardano» riassunse l'aria da duro.

Ovviamente non poteva rispondere diversamente, non poteva ringraziarmi per la mia fiducia cieca nei suoi confronti, no. Lui era Castiel Black. 

«Hai ragione, m-mi dispiace... Scusa, non accadrà più» decisi di non chiedere spiegazioni su quella storia. Gli avrei chiesto la sua versione dei fatti in un secondo momento. Per quel giorno se n'era già parlato abbastanza.

«Vorrei vedere...» sollevò le sopracciglia prendendosi gioco di me.

«E' solo che... Nathaniel continuava ad avvertirmi, diceva cose molto brutte di te e mi sono trovata a voler scoprire di più visto che lui si ostinava a non volermi rivelare niente» decisi di essere sincera con lui, lo meritava. Infondo non sembrava essersela presa troppo per quella storia.

Sorrise amaramente «Ah! Quel delegato di merda... Non perderà mai il vizio di parlarmi alle spalle. Avrei dovuto immaginarlo» quasi urlò e la rabbia s'impossessò nuovamente di lui. Si voltò di spalle e s'incamminò verso la porta.

«I-io... non riesco a capire perché vi odiate così tanto» sussurrai. 

«Ed io non riesco a capire perchè non hai chiesto spiegazioni direttamente a me. Hai per caso paura di me?» Mi stuzzicò proseguendo la sua camminata lenta verso la porta.

«Mi avresti risposto? Insomma... Sii sincerto Castiel, non mi avresti mai detto niente. E poi... non so se hai ascoltato o meno, ma ti ho appena detto che credo nella tua innocenza. Per quale motivo dovrei avere paura di te?!?»

Non rispose, si rese conto di essere nel torto. 

«Comunque non hai ancora risposto alla mia prima domanda» gli ricordai.

Si bloccò e senza voltarsi rispose «non sono affari tuoi. Non intrometterti più, è già bastato tutto questo» chiarì con tono autoritario gesticolando. 

«Ti ho chiesto scusa più volte. E' inutile ripetermi sempre la stessa frase» non aveva ancora capito quanto fosse inutile impartirmi ordini. Non li avrei eseguiti. Avevo intenzione di scoprire la verità in un modo più intelligente, senza scatenare il caos. Poteva non essere quel giorno, ma prima o poi sarebbe accaduto e sperai di scoprire ogni cosa grazie a lui. Avrei tanto voluto si confidasse con me.

Quando poggiò le mani sulla maniglia della porta per andare chissà dove, mi pervase un senso d'inquietudine. Non volevo abbandonasse quella stanza; non volevo abbandonasse me. 

I piedi si mossero da soli, non ero più padrona del mio corpo, e mi portarono a pochi passi da lui. Senza aspettare ancora gli cinsi il busto con le mie braccia, posai la testa sulle sue spalle e chiusi gli occhi. Stavo abbracciando Castiel Black per la prima volta. Lui s'irrigidì ma al contrario delle mie aspettative non scansò le mie braccia. In quei secondi avrei tanto voluto osservare il suo volto ma non potei farlo, lo stavo abbracciando di spalle. 

Improvvisamente sentii il bisogno incessante di piangere, avevo accumulato troppa tensione in quei due giorni e nello stesso tempo avevo sbagliato troppe cose. Mi sentivo incredibilmente in colpa nei suoi confronti. Non volevo riaprire una sua ferita, non pensavo ci fossero fatti così gravi di mezzo. Non volevo che tutti ricordassero o che lo giudicassero ancora. Così senza volerlo una lacrima bagnò la sua maglietta e subito dopo se ne susseguirono delle altre permettendomi di liberarmi, in quel modo, di tutta l'ansia. Ero più sensibile del solito in quel periodo, diedi la colpa anche al secondo giorno di ciclo mestruale. 

«m... Mi dispiace» sussurrai per l'ennesima volta singhiozzando. 

Lui non rispose a parole, non era bravo con quelle, ma lo fece con un gesto che mi sciolse completamente.

Non sapevo quali emozioni si potessero provare ad essere tra le sue braccia possenti, non ancora visto che ad abbracciarlo fui unicamente io, ma quel giorno scoprii cosa si provava ad essere sfiorata da lui. Quando poggiò la sua mano sulla mia e con il pollice accarezzò dolcemente il mio palmo sentii strane scosse lungo la schiena e sia sul punto in cui il suo pollice mi stava accarezzando. Cercava di calmarmi con quel gesto, ma non capiva che invece mi stava agitando sempre di più. 

Non avevo mai provato quelle sensazioni per nessuno prima d'allora. 

Ciak aveva fatto mille volte quel gesto, aveva stretto la mia mano, mi aveva accarezzata, ma mai aveva suscitato in me le stesse sensazioni di Castiel. Il mio passato mi aveva portata a stare lontana dagli uomini e da qualsiasi tipo di sentimento oltre all'amicizia. Non volevo soffrire. Perciò mi ero sempre paragonata ad un computer con un bisogno costante di un antivirus. Il mio peggior nemico era il virus dell'amore. Pensavo di avere un ottimo antivirus fino a quel momento. Insomma non era grave provare una qualche attrazione per un ragazzo, no? Ero umana. Non rischiavo di essere contaminata in futuro con virus più gravi. Vero?

Quando mi resi conto di star stringendo troppo la presa, l'allentai e dopo essermi assicurata di non piangere più mi staccai completamente dal suo corpo. Mi dispiacque allontanarmi da lui, ma non potevo mettermi in ridicolo, avevo già dato spettacolo abbastanza. 

Gli sfiorai lievemente il braccio per fargli intuire di voltarsi verso di me e lui lo fece. Finalmente dopo minuti infiniti riuscii a vedere il suo volto. Sembrava essersi rilassato quasi completamente, non avevo mai avuto l'occasione di vedere quella sua espressione e restai ammaliata dal suo sguardo. Non trasmetteva più il solito astio. I suoi occhi in quel momento erano di un grigio chiaro, tendenti all'azzurro, mi trasmisero pace. 

«Resta con me» pronunciai dando vita ai miei pensieri. Non avevo nessuna intenzione di tornare tra i corridoi o in aula dove tutti avrebbero giudicato, o avrebbero posto domande scomode. 

Perché lì con lui avevo trovato la mia pace. Sapevo fosse una situazione temporanea; che lui sarebbe tornato ad essere quello di sempre, ma per il momento non volevo pensarci.  

«Come?!?» gli spuntò sulle labbra il solito ghigno provocatorio e fece finta di non capire la mia richiesta.

«Ti va di restare qui con me tutto il giorno?» ripetei sorridendo.

«Da quando Micaela secchiona Rossi marina la scuola? Non dovresti frequentare cattive compagnie, t'influenzano negativamente» apparì di nuovo quel ghigno sulla sua bocca e mi scherzò facendo un chiaro riferimento a se stesso come mia cattiva compagnia.

Senza aggiungere altro si distese sul pavimento di quel posto utilizzando uno scatolone come cuscino e chiuse gli occhi. 

Io restai immobile di fronte alla porta ad osservare Castiel da lontano. Evidentemente dovette sentirsi osservato perché aprì un occhio e «hai intenzione di stare lì impalata per tutto il giorno?!?»

Sbuffai e senza rispondere a parole andai verso di lui e mantenendo una giusta distanza di sicurezza mi sedetti, sollevai le gambe e ci poggiai la testa sopra. 

Un silenzio imbarazzante faceva da padrone, ma dopo un po' ci pensò lui a spezzarlo. Lo ringraziai mentalmente.

«Come intendi trascorrere le restanti ore chiusi qui dentro? Con il gioco del silenzio?» ogni frase pronunciata era una provocazione. Incredibile, il ragazzo. 

Nel frattempo aveva ben pensato di alzarsi e di mettersi nella mia stessa posizione con l'unica differenza che lui divaricò le gambe e poggiò la schiena al muro dietro di lui. 

L'una di fronte all'altro.
Quaranta centimetri a dividerci all'incirca.
Occhi negli occhi.
Troppa poca distanza per poter respirare normalmente.
Si creò una strana tensione nell'aria.

«Beh... non sarebbe una cattiva idea» ero rapita dai suoi gesti, sembrava quasi non riuscissi più a ragionare lucidamente.

Eravamo l'uno di fronte all'altra a meno di un metro di distanza. Troppo vicini per non commettere cavolate. Avevo quel chiodo fisso in testa.

«Se devo annoiarmi preferisco andare ad occupare il mio tempo per fare altro» alzò e abbassò ad intermittenza le sopracciglia quando pronunciò le ultime due parole. Con quel gesto ad accentuare la frase, fu facile capire cosa intendesse con "fare altro". 

«Potremmo... Parlare?!?» neanch'io credevo alle parole che pronunciavo.

«Parlare mi annoia, al momento. Credo potresti trovare qualcosa di più interessante da fare, vero Micaela?» avvampai davanti alla sua allusione e davanti al suo sguardo che con il passare dei secondi cambiava sempre di più. 

Il mio nome per esteso pronunciato dalla sua voce roca sarebbe dovuto essere illegale per quanto suonava bene.

«Cr-credo di sì...» lasciai la frase in sospeso ed arrossii maggiormente. Sembrava quasi stessi leggendo un copione, come se fosse già tutto scritto, come se lui già sapesse cosa volessimo entrambi e cosa sarebbe accaduto da lì a poco. Lo testimoniò l'allargarsi del suo sorrisetto sul volto. 

«E allora non farmi aspettare molto» mantenne quel tono di voce che non avevo mai sentito da lui prima d'allora. 

Emanava lussuria, necessità di avere un contatto. 

Non seppi bene come la situazione cambiò, come fece ad avvicinarsi così tanto a me tanto da riuscire a sentire il suo respiro sul volto, il suo fiato sul collo. Fatto stava che mi accorsi di desiderare quel momento sin dall'inizio, sin da quando avevo sostenuto di odiare quel ragazzo con tutta me stessa. 


«Baciami!» pronunciai con voce roca sorprendendo entrambi.


«Cos...» forse da parte sua era partito tutto come un gioco, per capire come avrei reagito davanti alle sue provocazioni, ma non m'importava. Desideravo quel momento. Volevo accadesse per davvero.


«Baciami e basta Castiel»

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** CAPITOLO 6: Il Castiel che aspettavo ***


                             CAPITOLO 6
                     
                     Il Castiel che aspettavo







Cosa mi era passato per la testa? Per quale motivo desideravo così improvvisamente un bacio da Castiel? Ma soprattutto perché il mio cuore batteva così velocemente per lui? Erano tante le domande che vorticarono nella mia mente in quel preciso istante ma a nessuna riuscii a trovare risposta. Gli unici pensieri insistenti erano le sue labbra, il suo respiro fresco, i suoi occhi intimidatori, il suo nome. Esisteva solo lui nella mia testa in quegli istanti. Non ero mai stata sfacciata in quel modo prima d'allora, non avevo mai chiesto un bacio, non avevo mai lasciato avvicinare nessun ragazzo. Perché sebbene volessi fare la dura, temevo di perdere la testa, d'innamorarmi. Il mio cuore non era di pietra come volevo far credere. Ma a quei tempi pensavo di non poter mai e poi mai riuscire a perdere la testa per uno come Castiel. Non era il principe azzurro che desideravo quando ancora -da piccola- mi era permesso sognare. Così quel giorno lasciai correre, mi lasciai travolgere dagli istinti perché credevo di non rischiare il mio cuore. Ma ancor prima che potessi chiudere gli occhi in attesa di congiungere le mie labbra con le sue, qualcuno scoppiò la bolla in cui mi ero rifugiata.

«Cosa ti fa pensare che io voglia baciarti?» sussurrò ridendo a pochi centimetri di distanza dal mio volto.

Mi stava prendendo in giro?

E fu lì che capii. Precedentemente aveva intrapreso una specie di gioco solo per vedere la mia reazione e per smettere di annoiarsi. Voleva dimostrare a sé stesso ed anche a me che neanch'io ero immune ai suoi modi, a lui ed al suo fascino. Era talmente sicuro di sé da sapere, dal principio, che io sarei caduta nella sua rete. E non era stato forse così? Sin dal primo giorno gli avevo fatto capire di essere immune al suo fascino, di non essere come le altre, di essere sua amica, di non essere interessata "all'altro" che lui aveva da offrirmi. E invece erano bastati una stanza buia, il suo sguardo, la sua voce seducente e le sue battute provocatorie per intrappolarmi lì dove erano cadute tutte. Avevo commesso più errori in quelle poche ore che in sedici anni di vita. Stupida!

«E cosa ti fa pensare che invece io voglio farlo?!?» cercai di ricompormi per non mostrare la delusione di quel mancato bacio. Riuscii a guardarlo persino negli occhi senza far trapelare niente. Tutti quegli anni di finzione erano serviti a qualcosa. Ero brava a mentire.

«Ma se fino a qualche minuto fa mi stavi quasi supplicando» ribatté ovvio. 

«Potrei anche averlo fatto di proposito, per vedere la tua reazione o per non farti andare via.. dipende dai punti di vista» mi stavo arrampicando sugli specchi, ma questo lui non doveva saperlo. Cercai di mostrare sicurezza dal mio tono di voce.

«E perché non volevi farmi andare via allora?» voleva mettermi in difficoltà; ci stava riuscendo.

«Vorrei delle risposte, ne ho bisogno. Altrimenti mi toccherà trovarmi di nuovo da sola le risposte ai miei dubbi e sai che sono capace di farlo» suonò quasi come un ricatto, ma non lo era.

Intanto si era allontanato dal mio corpo. Eravamo sempre alzati, l'una di fronte all'altro ma con una distanza di sicurezza a dividerci. 

«Credi di potermi intimidire? Ti sbagli. Non risponderò alle tue stupide domande» si era innervosito nuovamente. Strinse i pugni e mi guardò di sbieco, poi incrociò le braccia sul busto e iniziò a fissarmi. Era lui a voler intimidire me. 

«Perché l'amicizia tra te e Nath è finita?» ignorai i suoi toni intimidatori e schiettamente andai dritta al punto. Era quella la domanda che più fremeva di una risposta. Sapevo di aver detto di dover aspettare per un'ipotetica verità, ma dovevo sviare l'argomento "bacio" in qualche modo e quello era l'unico argomento che mi venne in mente al momento. 

«Tzé... Che ragazzina testarda» sbuffò poi continuò gesticolando nervoso «Nath? Sul serio? Smettila di chiamarlo con quel diminutivo come se foste amici inseparabili o altro. Apri gli occhi Micaela; se lui avesse tenuto realmente a te, ti avrebbe raccontato ogni cosa di questa storia insulsa. Se non l'ha fatto c'è un motivo. Vuole semplicemente allontanare tutti da me e ora usa te per farlo» non avevo mai sentito Castiel parlare a quella velocità e così tanto. Era nervoso e stava esplodendo usando le parole. Spesso rispondeva a monosillabi, quel giorno invece le ore in quello stanzino furono riempite solamente dalla sua voce.

Mi fece riflettere ciò che disse, ma non lo ammisi ad alta voce. Non volevo dargli soddisfazioni. 

«Scommetto pensi che lui si sia già innamorato di te...» aggiunse poi -abbassando i toni e quasi sussurrando- avvicinandosi alla mia figura.

«I-io n-non...» la sua vicinanza mi fece vacillare, non riuscivo ad esprimere il mio punto di vista.

«Bene. Allora tu vai dal tuo segretario delegato ed io troverò altro da fare. Non ho voglia di stare qui» pronunciò innervosendosi nuovamente e allontanandosi di nuovo verso la porta.

Quei suoi modi di fare lunatici mi stavano facendo impazzire. Era giunto a conclusioni da solo, senza attendere il mio parere. Doveva smetterla di comportarsi in quel modo.

Così senza riflettere ulteriormente, mi precipitai accanto a lui e lo bloccai dal braccio. Il mio inconscio, il mio subconscio, la mia anima, il mio cuore, la mia testa volevano stare con Castiel a tutti i costi. Mi piaceva trascorrere il mio tempo con lui; in quel giorno particolare ancor di più. 

«Facile discutere con sé stessi, vero? Hai parlato tutto il tempo da solo, senza aspettare un mio parere. Ti ringrazio per aver cercato di aprirmi gli occhi, ma quelle cose che hai detto le sapevo già. Non sono ingenua come tu credi. Non penso Nathaniel sia innamorato di me e non penso di essere sua amica; non penso neanche che lui tenga a me» chiarii. Riuscii ad avere un tono di voce fermo, per fortuna.

«E adesso fammi qualsiasi tipo di domanda. Chiedimi qualcosa di personale o non lo so... qualsiasi cosa, in modo da passare il tempo. Non andartene!» mai a nessuno avevo dato la possibilità di farmi domande personali, con lui venne tutto spontaneo. Mai a nessuno avevo chiesto di restare; mentre invece stavo quasi supplicando Castiel di non abbandonare quella stanza. 

Lui si voltò e mi guardò dritto negli occhi. L'espressione rilassata. Le mie parole erano riuscite a calmarlo. Poi un sorriso furbo spuntò sulla sua bocca sottile quando mi chiese: «sei vergine?» 

L'aria tesa di quella stanza si sciolse facendosi più leggera. Lo ringraziai mentalmente per aver evitato le domande sulla mia famiglia o sul mio passato, infondo non sapeva nulla di me e sarebbero state legittime qualora le avesse fatte. Però nello stesso tempo lo maledii per quella domanda parecchio scomoda. La verginità era il mio tallone d'Achille.

Arrossii e lui se ne accorse. Fece qualche passo verso di me, quando potei sentire il suo respiro sulla mia pelle mi guardò intimidendomi, sfiorò la sua spalla con la mia e mi sorpassò andandosi a sedere al posto occupato da lui in precedenza. 

«Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» voleva a tutti i costi imbarazzarmi. 

Ma io non potevo permettergli di capire le mie debolezze. 

Non potevo dire la verità.

Così mi feci forza, indossai la maschera che con lui avevo levato per troppo tempo, e lo raggiunsi con passo sicuro. Ingoiai un grosso groppo formatosi in gola per l'agitazione e mi abbassai -senza sedermi- a livello del suo volto. Eravamo a pochi millimetri di distanza; potei sentire il suo respiro accelerare, potei vedere i suoi occhi sgranarsi leggermente per la mia azione inaspettata, potei vedere la sua bellezza particolare da una distanza privilegiata. Inevitabilmente il mio cuore minacciò di uscire dalla gabbia toracica per quanto batteva forte. Era quello l'effetto che Castiel Black faceva al mio corpo. 

«M-ma... c-che stai facendo?!?» domandò più a sé stesso che a me. Non si aspettava un ribaltamento di situazione. In quel momento ero io a comandare, a decidere l'eventuali e successive azioni. 

Poi, sfiorando la sua bocca gli sussurrai «ho più esperienza di quanto tu possa pensare». Il mio tono era risultato sensuale e sicuro. Mi complimentai con me stessa per la missione riuscita. Non volevo baciare Castiel, volevo solo mentirgli, fargli credere di avere esperienza e a considerare l'espressione che si dipinse sul suo volto, ci riuscii in pieno. 

Vista la missione terminata feci per alzarmi, per riprendere la distanza di sicurezza da quel ragazzo pericoloso, ma Castel me lo impedì. Posò le sue mani sul mio bacino e mi attirò a sé facendomi sedere a cavalcioni su di lui. Io lo lasciai fare ma arrossii per quella posizione. Precedentemente ero stata troppo presa dal bisogno di mentirgli per permettermi di arrossire o di provare vergogna, ma ora che i giochi si erano conclusi era tutto diverso. Ero tornata ad essere una ragazza di sedici anni impacciata e senza alcuna esperienza, senza alcuna maschera. 

«Dove scappi? Adesso che sei qui, tutta per me, non ti lascio andare da nessuna parte» sussurrò a pochi centimetri dal mio volto. Quella sussurrata poteva apparire come un'imposizione, ma non lo era. 

Istintivamente socchiusi le labbra e lo guardai ammaliata. Fino a qualche mezz'ora prima mi aveva fatto credere di non avere nessuna intenzione di baciarmi, mentre in quell'istante capovolse tutte le convinzioni. Sapevo cosa sarebbe accaduto da lì a poco e non mi dispiacque. Non volevo scappare, non volevo pensare a cosa sarebbe accaduto dopo. Non volevo essere con una persona diversa. Il mio cuore, il mio corpo, la mia testa desideravano la bocca di Castiel; solo ed unicamente la sua. Sapevo di aver sostenuto tante cose sul suo conto, sapevo che quella bocca era stata di troppe ragazze prima di me, ma non doveva di certo diventare mio marito o il mio ragazzo. Non doveva importarmi niente del resto. Tutto ciò che vedevo eravamo io e Castel in quella stanza semi-buia. Due ragazzi con la voglia improvvisa di scambiarsi un semplice bacio, niente di più. 

Finalmente la sua mano dietro alla testa, tra i miei capelli, mi fece distogliere l'attenzione dai miei pensieri portandomi a pensare solamente e nuovamente a lui. Spinse leggermente il mio volto verso il suo e poggiò la sua fronte contro la mia. Sembrava quasi combattuto. Continuava a spostare lo sguardo dai miei occhi alla bocca ed io feci lo stesso. I nostri nasi si sfiorarono, i respiri si scontrarono. Era inutile nascondere le farfalle che s'impossessarono del mio stomaco. Ero agitata, tanto agitata e nello stesso tempo intrepida. Volevo a tutti i costi sfiorare la sua bocca, ne sentii il bisogno... Quasi di come si necessita dell'acqua dopo una corsa. I suoi occhi da quella distanza erano ancora più particolari. Il grigio era diventato quasi azzurro, come il cielo e a fissarli riuscii a tranquillizzarmi. 

Quando, poi, chiuse gli occhi capii che era giunto il momento. Il cuore accelerò il suo battito. Castiel spostò le sue mani dalla testa al mio collo e poi al volto. Quel contatto bruciò sulla mia pelle tanto da farmi credere di star andando a fuoco. 

E poi accadde...

Imprigionò quell'istante in un bacio. 

Il primo fu un bacio a stampo, dolce. Quando la sua lingua sfiorò il mio labbro inferiore gli permisi l'accesso aprendo leggermente la bocca. Le nostre lingue s'intrecciarono in uno scontro senza pretese, non c'era possessione in quel bacio ma solo voglia l'una dell'altro. 

Non sapevo bene cosa fare, cosí mi limitati semplicemente a seguire i suoi movimenti, a farmi guidare da lui. Sperai di non averlo deluso. Quando si staccò aveva il fiato corto ed intuii che, per fortuna, quel bacio non gli era stato del tutto indifferente.

Ma a me non bastava. Poggiai le mani sul suo petto e strinsi in un pugno la sua maglietta. Ne volevo ancora. L'attirai nuovamente verso la mia bocca, lo baciai con più foga e lui ricambiò. Sensazioni mai sentite prima d'allora si fecero spazio nel mio stomaco ed anche piú sotto, nella zona proibita. 

Ed ecco all'età di sedici anni il mio primo bacio. Non era stato in un luogo magico, non era stato con un principe azzurro eppure non avrei cambiato nulla di quel momento. Era stato tutto imprevedibile. Era perfetto così com'era.

Mentre il bacio continuava, le nostre bocche non ne volevano sapere di staccarsi, Castiel iniziò a sfiorarmi i fianchi e a giocare col bordo della mia felpa. Capii subito le sue intenzioni. Ma per andare oltre ancora non ero pronta. E poi... non potevo. Non con lui. Mi staccai di colpo dalle sue labbra e mi alzai velocemente dalle sue gambe.

«Sc-scusa devo andare...» e pronunciando una scusa banale abbandonai di fretta quella stanza senza voltarmi verso di lui. 

Appena fuori dalla porta dovetti poggiarmi per qualche istante al muro adiacente, per reggermi in piedi. Il cuore e le gambe ancora tremavano per tutte le emozioni vissute fino a qualche istante prima. Il respiro era pesante e le labbra erano gonfie. Portai una mano sul labbro superiore per tastarlo, il sapore di lui era ancora lì per non permettermi di dimenticare. 

Mi si ripresentò davanti agli occhi, quasi come un film, la scena di noi due. 

Solo in quel momento realizzai cosa era appena accaduto.

Come mi sarei dovuta comportare dopo quel momento? Ma soprattutto il mio rapporto di quasi amicizia con Castiel sarebbe mutato a causa di quel bacio? Non ne combinavo neanche una giusta quando nella mia stessa stanza si trovava il rosso. Da totale stupida non avevo pensato alle conseguenze.

Iniziai a fissare quella porta, Castiel sarebbe potuto uscire da un momento all'altro. L'aria d'un tratto era diventata opprimente. Scappai. E quasi come se stessi correndo una maratona andai alla ricerca dell'uscita per tornare immediatamente a casa, al sicuro. 

Sapevo di dover risolvere il problema dell'articolo sul dolce journal ma rimandai tutto al giorno seguente. Non potevo passare un minuto di più in quella scuola.

Quando arrivai davanti all'uscita primaria la trovai sigillata, con tanto di serranda blindata. Com'era possibile? Quanto tempo avevo passato in quella stanza con Castiel? Come sempre la mia mente si riempì di domande senza risposte. 

Passai i successivi trenta minuti a girovagare dentro scuola per trovare un'uscita d'emergenza non sigillata, ma non la trovai. Tutte le porte erano state chiuse con tanto di lucchetto e serrande in ferro. Era a prova di ladro quell'istituto. 

Quando il mio sguardo si scontrò con una sveglia posta sopra un muro sussultai per la sorpresa. Era già sera. Erano passate all'incirca tre ore dalla fine delle lezioni. Come avevo fatto a non accorgermene prima? Castiel stava diventando realmente pericoloso per la mia sanità mentale. Per tutto il tempo ero stata troppo impegnata con i suoi capricci, con il cercare a tutti i costi di farlo restare in quella stanza da non accorgermi minimamente delle ore che passavano. Nessuno era venuto a disturbarci o a prendere gli attrezzi per le pulizie presenti in quella famosa stanza ed io non mi ero preoccupata di guardare l'ora. Diventavo ogni giorno di più un'irresponsabile. 

Alzai il volto disperata e maledii ogni cosa di quella scuola; ero rimasta bloccata. Ma se...

Se urlassi qualcuno mi sentirebbe? Senza pensarci ulteriormente lo valutai come unico modo per non dover passare la notte chiusa lì dentro. 

Così mi diressi nuovamente verso l'entrata principale e urlai con tutta la voce posseduta in corpo.

«AIUTO! AIUTO! SONO BLOCCATA QUI DENTRO. AIUTO!» gridai per cinque minuti buoni, mentre a pugni chiusi battevo sulla porta sigillata. Sperai che almeno il rumore avrebbe attirato l'attenzione di qualcuno. 

In cuor mio, però, sapevo che quella maledetta scuola non si trovava al centro della città, sapevo fosse situata in una zona piuttosto isolata e che quindi i miei desideri non si sarebbero avverati. Ma tentar non nuoce, giusto?


 

Castiel

Da mezz'ora trattenevo a stento le risate. Mi trovavo in un angolo nascosto, dietro gli armadietti degli studenti, a guardare Miki disperarsi per essere rimasta chiusa dentro scuola in mia compagnia. Lei non si era accorta della mia presenza e proprio quella era la parte divertente. Continuava a farneticare e a maledire me mentre i suoi pensieri fuoriuscivano ad alta voce dalla sua bocca, senza che lei se ne accorgesse. In realtà, un modo per uscire da quella scuola c'era, ma ovviamente non lo avrei comunicato a lei. Perché privarmi di una serata e di una notte di divertimento? Sarebbe stato esilarante guardare i suoi comportamenti e gesti imbarazzati dopo il bacio. 

Già il bacio... E chi se lo sarebbe aspettato? Avevo provocato Miki per gioco ma non avevo di certo programmato di baciarla, eppure era accaduto e mi era anche piaciuto. Se non si fosse allontanata probabilmente non mi sarei riuscito a trattenere. Avrei tanto voluto baciarla ancora.

Scossi la testa per far fuoriuscire pensieri sbagliati dalla mia testa e decisi di uscire allo scoperto.

«Non sprecare fiato, tanto non ti sentirà nessuno. Siamo rimasti da soli... tu ed io» marcai sulle ultime parole per dar voce alla sua paura più grande, per stuzzicarla. 

Avevo compreso, dai suoi gesti, il motivo della sua fretta e della sua paura. Aveva il timore di restare da sola con me, paura che potesse accadere qualcos'altro dopo il bacio. Non potevo darle torto. Le intenzioni da parte mia c'erano tutte. Insomma ero un ragazzo di diciott'anni nel pieno della crescita ormonale, a quei tempi, era normale provare attrazione per una bella ragazza.

Quando sentì la mia voce sussultò e poi si voltò nella mia direzione con un'espressione incazzata. Per poco non scoppiai a riderle in faccia. Nessuno riusciva a divertirmi così tanto da parecchi anni. 

«Senti. Trova un modo per uscire da qui. Io voglio tornare a casa» mi puntò un dito contro.

«Quante volte devo dirti che io non accetto ordini da nessuno? E comunque anche se volessi non c'è nessun modo per uscire da qui. L'unica cosa buona di questa scuola è il sistema di sicurezza» ovviamente le mentii sull'ultima parte. 

«NO...NO...NO...NO! DEVE ESSERCI UN MODO. DEVE ESSERCI PER FORZA UN MODO...» si portò entrambe le mani sulla testa in segno di disperazione e si mise a camminare avanti e indietro davanti all'entrata principale ripetendo quelle frasi come un disco inceppato. Sembrava una pazza, mi divertiva sempre di più. 

«No, non c'è nessun modo. Ora smettila di disperarti e fermati. Mi stai facendo girare la testa!» volevo provocarla, farla infastidire maggiormente e ci riuscii.

Fermò la sua camminata folle e mi guardò con uno sguardo truce senza parlare.

«Guarda che non ho nessuna colpa io. Se non mi fossi saltata addosso saremmo riusciti ad uscire prima che chiudessero» conclusi con un sorrisetto sul volto, lei arrossì immediatamente. 

«I-io... io... non è vero!» riuscì solamente a dire mentre incrociò le braccia portandosele sul grembo. 

«Come dici tu. Io vado a prendere qualcosa da mangiare ai distributori. Ho fame!» bloccai il discorso incamminandomi verso i distributori mentre lei si voltò nuovamente e riprese a battere i pugni alla porta per farsi sentire.

"Quanto è cocciuta quella ragazzina"


 

Miki

Dopo circa quindici minuti di pugni alla porta venni stretta intorno alla vita e sollevata per poi essere allontanata dall'entrata. Poteva essere solamente una persona.

«Per oggi direi che hai dato spettacolo abbastanza. Se passasse qualcuno di qui chiamerebbe la polizia e noi finiremmo nei guai. Non ci ha pensato la tua testolina?» con quelle parole liberò la presa e i miei piedi toccarono il pavimento. 

Non mi era stato indifferente quel contatto breve, purtroppo. 

Aveva ragione, non avevo pensato alle conseguenze. Saremmo potuti finire nei guai. Maledetta me che non contava mai fino a dieci prima di agire. 

«Ho preso qualcosa anche per te» aggiunse porgendomi un pacchetto di patatine e degli snack sia dolci che salati. Alternai lo sguardo dagli snack a lui, incredula. Mi aveva pensata. Castiel Black aveva pensato qualcuno oltre sé stesso. Un sorriso spuntò involontariamente sulle mie labbra e mi brillarono gli occhi. Non era chissà quale gesto d'affetto, eppure mi emozionò. 

«Grazie! Quanto ti devo?» sussurrai prendendo gli snack. 

Le nostre mani si sfiorarono ed io sussultai. Dopo il bacio ero diventata particolarmente sensibile ai suoi tocchi.

«Niente!»

Non feci in tempo a ringraziarlo nuovamente che Castiel si voltò senza aggiungere altro e s'incamminò verso la stanza in cui avevamo passato quasi tutto il giorno. Io lo seguii.

Quando entrammo aprì la luce e si recò dritto verso la finestra spalancandola e accendendosi una sigaretta iniziò a fumare. 

«La regola del "se passasse qualcuno di qui e ti vedesse potrebbe chiamare la polizia" valeva solo per la sottoscritta?» puntualizzai.

«Questa stanza si trova dalla parte opposta all'entrata, c'è un muro e una campagna qui di fronte e nessuna strada, genio» rispose mentre gettava il fumo dalla bocca.

Mi guardò dritto negli occhi ed io feci lo stesso. Era poggiato al davanzale della finestra con una mano in tasca e l'altra a reggere la sigaretta. Quando poi si mise la sigaretta in bocca ed inspirò dovetti distogliere lo sguardo. 

Era incredibilmente sexy. 

Ma subito scossi la testa; non potevo permettermi quei pensieri. Non potevo rovinare quella specie di amicizia che si era creata tra di noi. Non sarebbe più accaduto nulla, nessun bacio, nessuno strano contatto, solo gesti d'affetto tra amici. Castiel era l'unica persona amica che avevo al momento, non potevo permettermi il lusso di desiderarlo in altri sensi. Nessuno dei due era alla ricerca di relazioni serie e un rapporto di scopamici con lui non era nei miei piani. Dovevo smetterla di considerarlo sexy e di desiderare un contatto con il suo corpo ogni qualvolta ci trovavamo nella stessa stanza. Con la promessa d'iniziare a controllare i miei istinti alzai nuovamente il volto e lo guardai. Aveva smesso di fumare e aveva gettato la sigaretta dalla finestra.

«Non ti hanno mai detto che la sigaretta inquina? Non dovresti gettarla per strada» sapevo di essere pesante, ma volevo creare una sorta di dialogo con lui e volevo insegnargli le buone maniere vista la sua totale mancanza. 

«Sai, ragazzina?!? Io credo dovresti usare la lingua per fare altro piuttosto che per blaterare continuamente. Per quel che ho potuto tastare sai usarla anche bene» arrossii davanti a quelle parole.

Per quale motivo si divertiva così tanto a mettermi continuamente in imbarazzo? 

Senza rispondere alle sue pessime insinuazioni mi voltai e cercai un posto per sedermi. Trovai una scatola piena e chiusa, la spostai verso il muro e mi ci sedetti sopra. Castiel nel frattempo era immobile alla finestra e seguiva i miei movimenti. Mi metteva in imbarazzo anche solo guardandomi. 

Si era creato un silenzio imbarazzante nella stanza e per spezzarlo aprii un pacco di patatine «Ne vuoi?» gli chiesi educatamente prima d'iniziare a mangiare. 

Lui non rispose a parole, ma si allungò verso uno scaffale, prese un altro pacco di patatine -che aveva poggiato lì appena era entrato nella stanza-  e si sedette accanto a me, ma sul pavimento con la schiena rivolta al muro. Aprì gli snack ed iniziò a mangiare silenziosamente.  

Quando finimmo entrambi di mangiare Castiel strappò degli scatoloni vuoti ed entrambi ci sdraiammo sopra. Lui fissava il soffitto e giocava con il bordo della sua maglia pensieroso. Era impossibile distogliere gli occhi dalla sua figura. 

«Non fissarmi» mormorò d'un tratto senza voltarsi. Ero stata colta in flagrante. Mi voltai di scatto e anch'io iniziai a fissare il soffitto. 

«Che situazione assurda» pensai ad alta voce.

«Che intendi?»

«Tu ed io. Restare chiusi in una scuola e doverci passare tutta la notte» risposi ovvia.

«Come abbiamo fatto a non accorgerci del tempo che passava? É assurdo» continuai. 

«Non rimurginarci sopra, ormai è accaduto e basta» la faceva facile lui.

Fortuna volle che proprio quel giorno zia Kate partisse per una causa di un cliente fuori città e avrebbe passato i successivi due giorni lontana da casa, altrimenti sarebbe successo l'impossibile.

Non risposi al rosso, non avevo voglia di discutere. Così tra di noi calò di nuovo il silenzio.

«Per quanto riguarda quella storia lì...» iniziò dopo qualche minuto di silenzio, ma si bloccò subito.

Corrugai la fronte. Di cosa stava parlando? 

«I-io... Quel giorno passavo di lì per caso, é uno dei quartieri peggiori della città, e ho trovato Violet in quello stato. Se solo fossi arrivato dieci minuti prima, quello stronzo non avrebbe abusato di lei» strinse i pugni in segno di nervosismo e il cartone sotto di lui fece rumore. 

«Non conoscevo bene Violet, era arrivata da poco qui al liceo, ma odio da sempre chiunque provochi violenza sulle donne... Eppure, scherzo del destino, sono stato accusato ingiustamente, tra l'altro, proprio di questo reato» rise amaramente. 

«M-ma per quale motivo Violet non ha detto la verità? Perché non ti ha scolpato?» Ero rapita dal suo racconto, non mi capacitavo del fatto che mi stesse raccontando tutto di sua spontanea volontà, senza alcuna domanda da parte mia. Già si fidava di me. Il mio cuore perse un battito e il mio corpo fu invaso da una scossa davanti a quella nuova scoperta.

«É stato il suo ex ragazzo ad abusare di lei. All'epoca stavano ancora insieme, non sto qui a raccontarti i vari motivi del loro litigio, sono fatti loro, fatto sta che lei non ha voluto metterlo nei guai mentendo sulla verità. E quella deficiente di Peggy ha dato la botta finale con la sua foto del cazzo...» sospirò poi proseguì il discorso «alla fine mio padre, con le sue amicizie, é riuscito a farmi dare come pena da scontare solo i lavori socialmente utili e il pagamento di una somma di denaro. Certo, la mia fedina penale sarà sporca per chissà quanto tempo ancora e qualora commettessi un altro reato sarei fottuto. Ma a me va bene così, ormai. Anzi... Ci ha aiutati il non avere la testimonianza e la conferma dei fatti da parte di Violet, se avesse confermato non credo sarei quì ora a parlare con te» concluse amaramente. Per tutto il racconto aveva utilizzato un tono rassegnato, sembrava non lo toccasse minimamente quella storia, come se non l'avesse vissuta in prima persona. Forse essendo passato un po' di tempo era riuscito a sbollentare la sua rabbia.

Perlomeno Violet aveva avuto la decenza di non testimoniare per qualcosa di falso. Eppure non riuscivo a comprendere le sue scelte. Come si poteva tacere davanti ad una violenza? Come aveva potuto lasciare che fosse incolpata una persona innocente? Non poteva esserci nessuna giustificazione al suo comportamento. Sicuramente superare una violenza fisica doveva essere qualcosa di difficilissimo e forse impossibile. Insomma, sarebbe rimasta per tutta la vita una ferita del genere. Se poi questa era provocata da una persona cara, a cui si tiene, diveniva il doppio difficile. Ma ciò non toglieva il male provocato a persone innocenti che al contrario volevano aiutarla dal principio. Quella sera capii finalmente la paura letta ogni giorno negli occhi di Violet da quando avevo messo piede nel liceo. Inizialmente non capivo quei suoi comportamenti di chiusura contro il mondo ma ora che conoscevo parte della storia era più che comprensibile il suo carattere. Purtroppo potevo capirla in parte. Sulla mia pelle avevo inciso il male provocato da quel mostro; qualcosa di simile alla storia di Violet.

«Non oso immaginare quello che hai dovuto passare in quel periodo. Mi dispiace tanto, Castiel» riuscii solamente a dire presa anch'io dai ricordi della mia vita orribile. 

Ma poi per dimostrargli la mia vicinanza feci qualcosa d'inaspettato per entrambi. Cercai la sua mano che ancora stava torturando la sua maglietta per il nervosismo e la strinsi nella mia. Voltò la testa dal mio lato ed io feci lo stesso. Gli sorrisi con gli occhi, con la bocca e con il cuore. Castiel non era la persona che tutti al liceo avevano dipinto come un mostro. Credevo alla sua versione della storia, i suoi occhi chiari in quel momento trasmettevano semplice e pura sincerità. Per quel motivo mi promisi una chiacchierata a quattro occhi con Peggy, il giorno dopo. Dovevo sdebitarmi con Castiel era il minimo dopo aver riaperto una sua ferita, dopo aver fatto riemergere quella storia. 

«Stanotte mi farai da cuscino» se ne uscì improvvisamente liberando le nostre mani ancora legate a alzandosi in piedi. Lo imitai e ci trovammo l'uno di fronte all'altra, di nuovo ad una distanza proibita. Mi allontanai di scatto come se fossi stata colpita da una scarica elettrica e mi andai a sedere contro il muro. In quel modo non lo avrei guardato negli occhi, non avrei percepito il suo respiro fresco sulla pelle, non avrei desiderato un suo bacio. 

«Stanotte dormiremo a dieci metri di distanza, come minimo» puntualizzai incrociando le braccia.

«Hai paura io scopra che sei vergine?» ghignò. 

L'aria si alleggerì ed io contemporaneamente ripresi ad odiare quei suoi modi di mettermi in imbarazzo. 

«Simpatico. No, non c'è nessun problema di questo genere perché non lo sono» gli feci l'occhiolino e la linguaccia. Cercai di essere sicura nel mio tono di voce, forse ci riuscii. Non potevo dirgli la verità, avrei mostrato le mie debolezze. Non mi era permesso farlo. 

«Hai paura di non riuscire a resistermi, allora?!?» lo avrei preso a sberle per l'espressione provocatoria e divertita che assunse. 

«Non ti farò da cuscino che ti piaccia o no. Non c'è nessun motivo, non voglio e basta!» 

«Se dormissi sotto quelle scatole del cazzo mi verrebbe il torcicollo e non posso permettermelo. Domani ho le prove con la band. Quindi farai un'opera di bene che ti piaccia o no!» 

Senza aspettare risposta, spense la luce e si sdraiò accanto a me poggiando la testa sulle mie gambe. Alzai gli occhi al cielo e m'inebriai del suo profumo. Purtroppo la sua vicinanza era piacevole, troppo piacevole e per quel motivo non potevo permetterla. Eppure in quel momento non riuscii ad alzarmi per allontanarmi da lui, aveva un'espressione rilassata mentre già probabilmente dopo pochi minuti si era appisolato. Non doveva esser stato facile per lui, starmi dietro tutto il giorno. Sorrisi ammirandolo. Aveva le braccia incrociate ed il corpo completamente rilassato illuminato dalla luna. Non l'avevo mai visto così in pace con sé stesso; mentre io non riuscivo a prendere sonno per la posizione scomoda. E poi... non potevo chiudere gli occhi sapendolo a pochi centimetri di distanza, quasi attaccato al mio corpo. Volevo bearmi della sua visione. Quella notte, quello sarebbe stato il mio piccolo segreto. Potevo ammirarlo senza essere disturbata o scoperta e così feci sebbene non avessi una sua completa visione, vista la scarsa illuminazione nella stanza. Ad un certo punto spostai lo sguardo sui suoi capelli lunghi e dal colore acceso; erano sparpagliati sulle mie gambe e sembravano richiamare le mie mani. Non mi avrebbe scoperta, stava dormendo. Ripetendomi quelle parole nella mente iniziai ad accarezzare i suoi capelli rossi partendo dalla testa a finire alle punte. Al tatto erano parecchio morbidi, mi rilassai nel sentirli scivolare tra le mie dita. Non avevo mai apprezzato i capelli lunghi in un uomo, ma su Castiel stavano incredibilmente bene. Dopotutto erano il suo segno distintivo. Giorno dopo giorno stavo iniziando ad apprezzare tutto di quel ragazzo e sicuramente non era qualcosa di positivo per la nostra quasi amicizia. 

«Ehi... Non dormi?» mi smosse dai pensieri la sua voce rauca. Lo guardai mentre il mio volto prese calore arrossendo. Lui aveva ancora gli occhi chiusi. 

Ed io stavo ancora accarezzando i suoi capelli anche dopo la sua domanda. Mi stupì il suo essere indifferente a quel tocco. Credevo mi avrebbe spostata bruscamente. 

«Vista la posizione discutibile non riesco» risposi con una frecciatina, levando le mani dai suoi capelli. Erano diventati una droga.

«E va bene... Ho capito. Mi sposto. Và a dormire dove caspita vuoi. Notte!» si alzò bruscamente e si spostò sugli scatoloni che aveva aperto precedentemente e gettato sul pavimento a mo' di coperta. Quando si allontanò sentii freddo sia fuori che dentro di me, ma cercai subito di eliminare quella sensazione.

«Oh, che gesto gentile. La ringrazio, signore!» lo sfottei mentre mi sollevai da terra e prendendo la mia parte di "coperta di cartone" mi posizionai e sdraiai qualche metro più lontana da lui. 

Presi il cellulare, postai la sveglia per le sette e trenta del giorno dopo e finalmente anch'io presi sonno pur rabbrividendo a causa del freddo. 

-

Quando il giorno dopo la sveglia suonò ero scossa dai brividi. Di notte i riscaldamenti a scuola restavano chiusi, giustamente, ma essendo già mese di Ottobre il primo freddo si era percepito per tutto il tempo in quella stanza. Inoltre mi faceva parecchio schifo il fatto di non aver potuto fare una doccia e di dover rimanere con gli stessi abiti per due giorni, ma quello era l'ultimo dei problemi al momento. 

A breve sarei andata alla ricerca di Peggy per mettere in atto il mio piano. Per sdebitarmi con Castiel. 

Mi alzai con il mal di schiena, bevvi un po' di acqua dalla bottiglia che avevo nello zaino, presi uno degli snack dolci offertami dal rosso il giorno prima e lo mangiai. 

«Buongiorno» sussurrai a Castiel quando lo vidi alzarsi da terra tenendosi anche lui la schiena. Sicuramente, come me, aveva dolore alla schiena a causa della dormita su quel pavimento duro. Lui non rispose al mio saluto ma imprecò contro il pavimento e il cartone -suo letto per quella notte passata- guardandoli. Risi per l'immagine buffa. 

«Ehm... Io vado... Ci vediamo dopo» ero ancora leggermente in imbarazzo per i fatti accaduti il giorno prima e farfugliai. 

Sapevo che Peggy avesse il permesso di entrare dentro scuola prima degli altri alunni per la stampa del giornalino così mi diressi direttamente verso il fantomatico laboratorio di stampa. La sera prima, avendo avuto tutta la scuola per me, avevo girovagato abbastanza, tanto da riuscirmi finalmente ad orientare e a saper distinguere le varie aule senza confondermi. 

Quando arrivai davanti al luogo di mio interesse trovai Peggy proprio in procinto di entrare nel laboratorio. Era di spalle e quindi non poteva vedermi. Ne approfittai per fare un forte respiro d'incoraggiamento e per riunire un attimo le idee. Ma subito dopo la chiamai prima che lei entrasse dentro la stanza.

«Peggy» il mio tono sembrò minaccioso. Dopo aver capito di che pasta fosse fatta avevo iniziato a provare una sorta di fastidio e rabbia nei suoi confronti. Aveva incastrato Castiel senza chiedere e capire prima i fatti com'erano andati realmente. Voleva solo essere al centro dell'attenzione, essere considerata l'eroina di turno, voleva solo avere scoop per il suo giornalino insulso giocando con i sentimenti e le vite degli altri. 

«Oh! Guarda, guarda chi si rivede. Contenta di aver saputo finalmente la verità?» si voltò con un sorriso furbo e guardandomi come se fossi un fenomeno da baraccone. 

Per lei ero solo un'altra pedina da muovere. Avrei tanto voluto urlare cosa pensavo di lei, ma quel giorno non potevo discutere, lei era la parte fondamentale del mio piano. Così mi morsi la lingua e non risposi alle sue provocazioni. 

Anzi andai dritta al punto cercando di mantenere un tono duro e deciso: 

«Ora sta' un po' zitta e ascolta la mia di verità».

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** CAPITOLO 7: Filo da torcere per Peggy ***


CAPITOLO 7
Filo da torcere per Peggy







«Se solo... Tu avessi parlato con i diretti interessati, all'epoca dell'accaduto, io non sarei stata costretta a ricorrere a questo, ora» anticipai, pensando ad alta voce e sospirai dopo aver seguito Peggy nella famosa aula dove avveniva la creazione e la stampa del "dolce journal". 

Aveva i muri sui toni del beige, tre scrivanie con sopra un computer, vari fogli sparpagliati e una lampada. La stanza, poi, era circondata da vari armadietti in legno e vetro. Di lato, accanto alla finestra era posta un'enorme stampante. Era quella l'artefice di tutti i pettegolezzi del Dolce Amoris. In me dominò subito l'istinto di appiccare il fuoco per bruciare ogni cosa presente in quello spazio in modo da non permettere per parecchio tempo la pubblicazione di quel maledetto giornalino. 

Nella mia testa cercai di riordinare i fatti legati alla verità che sarei stata disposta a raccontare per aiutare Castiel. Non avevo mai compiuto un gesto del genere per nessuno. L'aria di Parigi stava inquinando e intasando il mio cervello e soprattutto il mio cuore. Per scacciare quegli strani pensieri mi ricordai che il rosso fosse solo un mio amico e per gli amici solitamente si é disposti a fare qualsiasi cosa. Solo per quel motivo sentivo il costante bisogno di aiutarlo e di difenderlo, cercai di convincermi. Tra l'altro dovevo sdebitarmi per il caos generato dalla mia curiosità, il giorno prima. Castiel sarebbe diventato un mio caro amico, col tempo. Sì, era quello il posto spettante a lui nel mio cuore. Solo quello.

«Quindi?!? Seriamente? Sei venuta a disturbare il mio lavoro solo per farmi una paternale?» quasi mi rimproverò incrociando le braccia, sollevando le sopracciglia e fermandosi al centro della stanza.

"Frettolosa, la ragazza".

«Oh no, non avere tutta questa fretta. Ho qualcosa per te, ma io non dò niente se prima in cambio non mi viene dato qualcosa...» cercai di imitare le parole ed il tono di voce utilizzati da lei stessa qualche giorno prima; prima della catastrofe. E sorrisi furbamente. Castiel mi stava contagiando parecchio. Imitavo persino le sue espressioni, dannazione!

«Stai cercando d'imitare me, per caso? Ma lascia che ti confessi una cosa... Ci sono voluti anni prima di acquisire la sicurezza che ho io ora. Non é un lavoro per principianti, cara Micaela!» Imitò anche lei il mio sorriso deridendomi.

Sembrava stesse parlando di qualcosa di estremamente difficile e pericoloso, ma non era nient'altro che una sottospecie di ricatto ciò che faceva alla gente pur di avere i suoi dannati scoop. 

«Sí, certo come dici tu...» lasciai cadere il discorso. Non potevo tirare la corda più di tanto. Peggy mi serviva.

«Dai su, finiamola con i giri di parole. Vediamo cosa vuoi. Sputa il rospo!» gettò la spugna capendo che non l'avrei lasciata in pace.

«Dovrai ritirare ogni accusa fatta nei confronti di Castiel ed io racconterò la mia verità. Una verità che non conosce nessuno nè in Italia e nè in Francia» man mano che proseguii il discorso la sicurezza andò a scemare. Non ero poi cosí tanto pronta a levare parte della mia maschera. Stava accadendo troppo velocemente.

«Tzé... Dovevo immaginarlo» rispose scuotendo la testa. 

Iniziai a sudare. Forse Peggy non era ricattabile come pensavo. Infondo a chi sarebbe potuto importare della mia storia strappalacrime?!? Ero stata un'ingenua.

Ma non potevo arrendermi. Non ancora. Non prima di aver giocato tutte le mie carte.

«É una storia che non é presente neanche nel curriculum scolastico. O meglio... Di questa storia ne é presente solo una piccolissima parte» cercai di essere convincente.

Lei continuava a guardarmi con uno sguardo duro, al centro della stanza, con le braccia incrociate. Cosí mi giocai l'ultima chance di convincerla.

«Sai bene che non é stato Castiel a stuprare Violet. E qualora quest'ultima si convincesse a raccontare la sua verità, una denuncia per calunnia sarebbe assicurata per te, cara Peggy Lefevre» mi fermai per qualche secondo e poi sganciai l'ultima bomba «E... Credo che nessuna vera testata giornalistica -marcai su quel termine denigrando tacitamente il suo dolce journal da quattro soldi- rischierebbe di assumere una persona che ha giurato il falso in sede legale. Avresti il futuro segnato. Povera piccola giornalista squattrinata...» un sorriso soddisfatto disegnò il mio volto. Incrociai anch'io le braccia, fiera di essere nipote di avvocato.

«V-violet n..non d-denuncerebbe mai il suo vero stupratore...» vacillò mentre io riacquistai il coraggio. 

Finalmente ero riuscita a toccare il suo punto debole. Il suo futuro da giornalista. 

Per la prima volta fui orgogliosa del sangue della famiglia facoltosa che scorreva nelle mie vene. Disponevo della loro stessa audacia quando m'interstadivo. Lo sosteneva anche zia Kate.

«Oh sí che lo farebbe invece.. Sbaglio o non sta più insieme a quel ragazzo? Riuscirei a convincerla tranquillamente, sai che ne sono capace!» In realtà non ero più sicura come pochi istanti prima. Non ero neanche sicura di Violet, che non stesse più insieme a quello stronzo di ragazzo stupratore che si trovava. Eppure mentii utilizzando la stessa sicurezza avuta all'inizio della discussione. Se avessi vacillato un minimo, sarebbe stata la fine. Non potevo permettermelo. Non ora che Peggy aveva mostrato i primi cedimenti.

«Ascolterò prima ciò che hai da dire. Se sarà davvero un'esclusiva come sostieni leverò ogni mia accusa nei confronti di Castiel» anche Peggy aveva avuto informazioni sul processo, dopo quelle sue frasi ne fui ancora più sicura, altrimenti sarebbero state altre le sue risposte. Sapeva di quanto ancora non fosse tutto perso, per quel motivo era restia ad accettare il mio compromesso. Per una motivazione a me ignota voleva condannarlo a tutti i costi.

La notte prima, quando il rosso mi aveva spiegato com'erano andati realmente i fatti, avevo capito che Castiel non fosse ancora stato condannato in via definitiva. La sua causa, dopo la fase iniziale del processo, era stata archiviata a quindi sospesa a data da definire perché Violet aveva deciso di non testimoniare e le prove finite nelle mani dei giudici, fino a quel momento, non erano risultate schiaccianti. E avendo ricevuto, nel corso degli anni, altre denunce -non aveva voluto dirmi per cosa- era stato condannato ugualmente e provvisoriamente ai lavori socialmente utili. Ma se Peggy stessa avesse ritirato ogni tipo di accusa, i fatti sarebbero decisamente cambiati. Castiel sarebbe stato risarcito, non sarebbe finito in galera e di conseguenza non avrebbe avuto alcun precedente. Perlomeno non per quel reato. Il sistema penale francese funzionava in quel modo; avevo sentito zia Kate discutere con alcuni suoi colleghi o clienti parecchie volte. 

Quando fui sicura di non aver fatto un buco nell'acqua con il chiedere a Peggy di ritirare le sue accuse, mi ritenni pronta. Schiarii la voce con un colpetto di tosse ed iniziai a raccontare, per la prima volta in sedici anni di vita, dettagli sul mio passato alla persona sbagliata ma per una causa dannatamente giusta secondo il mio cuore. Sapevo che da quel momento ogni cosa sarebbe cambiata. Ma dovevo farlo per lui. Nessuno avrebbe dovuto temere Castiel, da quel giorno in poi. Sapevo che il rosso incuteva terrore a parecchi anche solo con la sua voce o la sua stazza, ma perlomeno dopo il mio contributo nessuno lo avrebbe temuto o tenuto a distanza per essere uno stupratore. Anche secondo lui quello era uno dei peggiori reati di cui si poteva essere accusati; era innocente e doveva essere scolpato a tutti i costi. 

Ricordare alcuni dettagli della mia vita passata fu tremendo e senza volerlo delle lacrime mi solcarono il volto. Stavo riaprendo delle ferite che avevo tentato di cucire e ricucire con le mie maschere. Iniziai a tremare impercettibilmente. E quando mi resi conto che potevano bastare quei fatti raccontati, decisi di fermare il racconto. Sollevai la testa che non mi ero accorta di aver abbassato e guardai la mia interlocutrice. Per tutto il tempo eravamo rimaste in piedi, al centro della stanza, immobili come se qualcuno ci avesse sotterrato i piedi con il cemento. 

«Bene, bene! Tutti si congratuleranno con me, domani, per aver scovato il passato di Micaela Rossi. Che bellezza!» batté le mani saltellando per l'eccitazione del momento. 

L'indomani avrebbe avuto un incremento di popolarità a mie spese. Risi amaramente, asciugando le lacrime. Ma andava bene così. "L'hai fatto per Castiel" continuavo a ripetermi nella testa mentre il coraggio e la forza stavano via via scemando. 

Lei tornò seria e finalmente disse ciò che volevo sentire uscire dalla sua bocca. «Fino ad oggi l'unica cosa scoperta su di te era il tuo nome di battesimo. Ho chiesto in giro, ho fatto le mie ricerche ma nessuno sapeva niente. La gente sa solo dell'enorme somma di denaro che possiedi come eredità. Incredibile. Quindi direi di sì, essendo sicura di avere l'esclusiva sulla tua storia, avrai in cambio il mio aiuto» tirai un sospiro di sollievo davanti alle sue parole. Ce l'avevo fatta. 

Peggy mi aveva fissata per tutto il tempo, aveva visto quanto raccontare quella storia mi avesse lacerata dentro eppure non le era interessato. Eravamo la cosa più lontanamente paragonabile a due amiche, ma umanamente io avrei reagito diversamente. Anche se avessi avuto davanti la mia peggior nemica mi sarei preoccupata per lei, ma evidentemente quella parola non esisteva nel vocabolario dell'aspirante giornalista.

«Ma ora dimmi la verità... Perché l'hai fatto?» mi chiese spiegazioni. Era da lei, farlo. 

E senza volerlo, senza capirne il motivo, mi sentii avvampare. Non risposi a quella sua domanda, finsi di non aver capito aggrottando la fronte. Non parve essere preoccupata per me, ma più che altro sembrava essere alla ricerca di altri scoop. 

«Perché ci tieni così tanto a Castiel? Vi conoscete soltanto da un mese. Cosa ti ha fatto?» insisté. Non conosceva la parola "arrendersi" ed io non conoscevo più alcuna parola, invece. Ero diventata muta. 

Il mio volto andò a fuoco maggiormente e lo abbassai iniziando a torturarmi le mani per il forte nervosismo crescente sempre di più nel mio corpo. Non volevo, non dovevo avere quella reazione. Maledizione!

«O mio Dio! Ti piace davvero Castiel Black?» 

Alzai di scatto la testa e sgranai gli occhi dinanzi a quell'insinuazione. Una strana sensazione s'insinuò nel mio stomaco. Non sapevo cosa mi stesse prendendo. Non sembravo più essere la persona decisa e sicura entrata quindici minuti prima in quella stanza, quella persona che aveva messo in difficoltà Peggy sembrava essere la bella copia della Miki insicura e muta di quel momento. Lei di tutta risposta si mise una mano davanti alla bocca in segno di stupore e mi fissò con gli occhi spalancati peggiorando la mia situazione. 

«Pensavo ti piacesse il segretario del...»

«Ma insomma, BASTA!» sbottai sorprendendo sia me che lei. 

Quelle non erano le reazioni di una persona sana di mente. Sembravo bipolare. Un minuto urlavo, un minuto mi ammutolivo e il minuto dopo sbottavo. Se avessi continuato ad avere quei comportamenti avrebbero dovuto rinchiudermi in una clinica specializzata. Ma avevo sentito abbastanza, anche troppo, per quella mattina e quell'ultima insinuazione mi aveva fatta esplodere. Doveva smetterla d'infilarmi nei guai, smetterla di tirarmi dalla bocca parole non dette. Era insopportabile quella ragazza. 

«Non mi piace nessuno. N E S S U N O» pronunciai lettera per lettera affinché si mettesse bene in testa quel concetto. Mi aveva stancata quel suo continuo ficcanasare.

Il mio improvviso momento di nervosismo e mutismo era ufficialmente giunto al termine.

«Odio che vengano punite persone innocenti per fatti non commessi. E poi... Castiel è l'unica persona che mi è stata vicina, a suo modo, dal mio arrivo a Parigi. Può essere la persona più arrogante, più scorbutica esistente al mondo ma non sarebbe capace di violentare nessun essere umano. Lui... Non è il mostro di cui voi vi divertite tanto a parlare. E questa storia deve finire. Per questo motivo oggi stesso, tu ed io, ci recheremo in caserma e vedremo di fare il possibile per ritirare ogni tua accusa nei suoi confronti. STOP!» m'imposi gesticolando e diventando rossa in volto per la rabbia. 

Doveva smetterla di ricercare scoop ogni minuto. Ma soprattutto doveva smetterla di mettere me al centro dell'attenzione di tutta la scuola. 

 



Castiel

«E un'ultima cosa... non sono venuta in questa città con la fissazione di trovarmi un ragazzo. Quindi mettitelo bene in testa...» Miki si avvicinò lentamente verso la pettegola e con il dito indice picchiettò sulla testa di Peggy «a me non piace nessuno. Né Castiel; né Nathaniel!» scandì bene le parole e si allontanò da lei proseguendo verso la porta per uscire.

«Quando termineranno le lezioni ti aspetterò qui davanti. Non pensare di svignartela. A dopo!» 

Quando fu sul punto di aprire la porta scattai e corsi a chiudermi dentro il bagno dei maschi per non essere scoperto. Non era da me seguire le ragazze e origliare le loro conversazioni eppure l'avevo appena fatto. Quando mi aveva salutato quella mattina, dopo la notte trascorsa nel liceo, c'era stato qualcosa di strano nel suo sguardo... Come se mi stesse nascondendo qualcosa, e nello stesso tempo come se si stesse per mettere nei guai; in parte era stato così. Il mio intuito si sbagliava rare volte. 

Io non le piacevo. L'aveva detto esplicitamente poco prima. 
Ma neanche lei mi piaceva. E allora perché me ne stavo lì chiuso in quel bagno ferito nell'orgoglio a pensare e ripensare alle sue parole? Non avevano senso i miei pensieri. Stavo perdendo colpi. 

Eravamo quasi amici come ci definiva lei. A me andava bene così; eppure quel bacio, la sua vicinanza, il suo profumo non mi erano stati indifferenti. E inevitabilmente ne avrei voluto ancora. Insomma... Se fossimo stati quasi amici con benefici, non mi sarebbe dispiaciuto. Non mi sarebbe dispiaciuto poter sfiorare la sua bocca, poter toccare lei ogniqualvolta ne avessi avuto voglia. Ma non dovevo, non potevo, non con lei. Era dannatamente pericolosa per il mio cervello. Era l'unica ragazza capace di tenermi testa e più che altro era l'unica a cui io lo permettevo. Dopo Debrah nessuna aveva avuto il privilegio di potermi insultare, deridere neanche bonariamente e invece Miki sì. Non riuscivo a spiegarne il motivo, eppure mi divertiva quel nostro continuo battibeccarci. E più di tutto adoravo stuzzicarla, farla innervosire anche con poco. 

Scossi la testa. Sollevai gli occhi al soffitto e sbuffai. Dovevo smettere di pensarla. Presi il cellulare dalla tasca posteriore dei miei jeans e composi un messaggio. Avevo bisogno di distrarmi. 


A: Ambra

Ti aspetto nel bagno dei maschi. Fai presto


Inviai subito. Ambra era un'ottima fonte di distrazione quando usava la bocca per fare altro e non per parlare. Una bella scopata di prima mattina era ciò che mi serviva per togliere labbra morbide, occhi da cerbiatto e fisico da urlo, dalla mia testa. Miki. Lei doveva sparire, doveva restare solo un lontano ricordo. 

Eppure stava facendo tanto per me. Questo non potevo negarlo. Inizialmente, quando avevo deciso di seguirla quella mattina, ero arrivato a pensare che fosse andata da Peggy solo per far sapere a tutti del nostro bacio. Poi mi era bastato avvicinarmi alla porta per capire quanto in realtà Miki fosse una persona d'animo buono. Io non meritavo neanche la sua amicizia. Aveva deciso di rendere pubblica la sua storia, mai raccontata prima, pur di far ritirare a Peggy le accuse nei miei confronti. 

Nessuno aveva mai fatto un gesto del genere per me. E per un attimo ebbi la malsana idea d'irrompere nella stanza per fermarla, per non permetterle di rendere pubblica una parte dolorosa del suo passato; ma poi un flash mi fece ricordare e bloccare sui miei passi. Debrah. Mi aveva dato amore, o almeno io m'illudevo fosse tale; aveva portato la luce nella mia vita monotona e solitaria ma all'improvviso aveva deciso di riprendersi tutto ciò che di positivo poteva esserci dopo di lei. Si era ripresa indietro tutto il bene con gli interessi. Mi aveva distrutto. E come lei, tutte le ragazze, tutte le persone, sapevo che prima o poi se ne sarebbero andate. Anche Miki l'avrebbe fatto. Lei non era diversa. Non meritava la mia compassione o protezione. Lei aveva contribuito a riaprire quella parte buia del mio passato e di conseguenza avrebbe dovuto assumersi le sue responsabilità. Aveva la sua testa per ragionare e qualora si fosse messa nei guai ne sarebbe dovuta uscire da sola. Non dovevo proteggerla. Non potevo, ne andava del mio orgoglio. Così bastò quel pensiero per far finta di non aver mai ascoltato la conversazione tra lei e Peggy. Lasciai ogni cosa al suo corso. Non ero neanche sicuro che avrebbero permesso di ritirare le accuse della giornalista...

Poi una voce stridula irruppe nella solitudine delle mie riflessioni «Cass...» 

La mia fonte di distrazione era appena arrivata. 

"Miki non è nessuno".

E con quell'ultimo pensiero rivolto a lei, mi liberai totalmente la mente pronto per concedermi al piacere fisico.

 



Miki

Castiel sembrava essersi dileguato nel nulla dopo la notte passata al liceo. Durante l'ora di letteratura 
-precisamente la seconda ora di lezione- il banco accanto al mio era ancora vuoto. Mancava anche Ambra. Era impossibile non collegare la loro assenza, fare due più due, ed era intollerabile pensarli insieme, magari nella stessa stanza in cui io e lui avevamo passato la notte. Immancabilmente arrivarono le fitte al cuore e allo stomaco. Dovevo smetterla di pensare al rosso costantemente. Stavo diventando patetica, lui era il mio quasi amico. Solo quello.

«Signorina Rossi vista la sua diligenza nell'ascoltare la lezione di oggi, può essere così gentile da spiegare ai ritardatari cosa abbiamo detto finora?!?» mi prese in giro la professoressa. Alzai il volto di scatto e sgranai gli occhi guardandomi intorno, incredula.

Castiel ed Ambra erano appena entrati in aula insieme, non avevano neanche avuto la decenza di risistemarsi e di entrare separati. Era palese cosa avessero fatto, visti i capelli scompigliati di lei e l'espressione soddisfatta del viso di Castiel, automaticamente mi apparì una smorfia disgustata sul volto. Quando poi il rosso prese posto di fianco al mio il disgusto aumentò e dovetti allontanarmi da lui per il senso di nausea provato nel sentire il suo odore. Non odorava più di Castiel, non odorava più di buono, odorava di un'altra. Di Ambra. Volevo scappare.

«Allora? Stiamo ancora tutti aspettando...» richiamò la mia attenzione, nuovamente, la professoressa. 

Non avevo proprio idea dell'argomento trattato quel giorno, nella mia testa vorticavano solo immagini di Castiel ed Ambra avvinghiati. Che schifo! 

Cercando di eliminare quelle immagini dalla mente mi guardai intorno e presi spunto da un libro aperto sul banco affianco al mio, quello di Iris, per capire cosa stesse spiegando la professoressa. Fortuna volle che quel giorno stesse facendo una carrellata degli autori europei più importanti e in quel momento le pagine del libro di Iris erano posizionate proprio sugli autori italiani, precisamente su Alessandro Manzoni. Spuntò un sorrisetto furbo sul mio volto e poi guardando dritta negli occhi la professoressa le ripetei qualcosa su quell'autore conosciuto come le mie tasche.

«Per questa volta ti è andata bene, sei molto preparata sull'argomento sebbene tutti sappiamo non stessi seguendo la lezione. Comunque d'ora in poi evita di distrarti, altrimenti sarò costretta a metterti una nota disciplinare sul registro» mi rimproverò giustamente la professoressa. Annuii senza rispondere.

«Secchiona» ovviamente non poteva passare inosservato a Castiel il mio breve intervento di qualche istante prima, che quindi aveva ben pensato di stuzzicarmi con le sue battute che però non avrebbero ricevuto risposte per quel giorno. Ero ancora nervosa con lui. Infatti mi limitai a guardarlo di sbieco, incrociai le braccia poggiandomi allo schienale della sedia e spostando lo sguardo verso la professoressa cercai di seguire la lezione. 

«Hai il ciclo per caso?» continuò il rosso punzecchiandomi il braccio con una matita. Ovviamente non poteva starsene buono ed in silenzio in un angolo. 

«Ehi bella bionda?!? E' con te che sto parlando...» 

«E no eh... Tutto ma non bionda!» quasi urlai tant'è che la professoressa mi lanciò un'occhiataccia rimproverandomi con lo sguardo. 

«Allora è vero...» lasciò la frase in sospeso.

Mi voltai verso di lui, irritata, per cercare di capire cosa intendesse e lo trovai con il suo solito sorrisetto impertinente. Aggrottai la fronte.

«Cosa?»

«Che sei gelosa perché hai capito cosa è successo tra me e Ambra» spiegò ovvio senza mai abbandonare quel ghigno sul suo viso.

Un colpo tra il cuore e lo stomaco mi fece sussultare. 

«Ma figuriamoci... Puoi fartela tutte le volte che vuoi».

"Sì, certo".

Con un altro sorrisetto e uno sguardo di troppo fece cadere lì il discorso e lo ringraziai mentalmente.

-

Durante l'intervallo ebbi modo di riflettere, essendo sola, e ritenni giusto scusarmi sia con Violet -per aver riaperto le sue ferite- che con Nathaniel per esser stato messo in mezzo a quella storia in cui apparentemente non c'entrava nulla. 

Iniziai da Violet. 

«Mi accompagni in bagno?» trovai una banale scusa per approcciarmi a lei.

Era chinata sul foglio, a disegnare come ogni giorno durante l'intervallo, quando mi vide nascose subito il contenuto del disegno, dopodiché mi guardò truce ma accettò senza parlare. Era timida ma gentile. 

Ci avviammo verso il bagno sotto lo sguardo incredulo della maggior parte della classe. Pensavano di aver davanti le due vittime di Castiel. Che sciocchi. 

Mi schiarii la voce «ehm... volevo scusarmi con te. Sai, per tutto il discorso dell'articolo uscito sul giornalino. Ma... Definivano Castiel come un mostro ed io volevo capirne il motivo, eppure tutti continuavano a nascondermi cosa ci fosse dietro a quell'appellativo... Così ho chiesto a Peggy che ha ben pensato di rispondere alle mie domande con un articolo. Io non potevo immaginarlo.. Non sapevo ci fosse dietro una storia così seria, che ci fossero in mezzo altre persone, tu e...» 

mi bloccò prendendo la parola «N-no... n-non devi scusarti, non potevi sapere cosa c'era dietro...» timida posò la sua piccola mano sul mio braccio per fermare la mia camminata. 

Restammo fuori dalla porta del bagno, in un angolino, dove avremmo potuto parlare tranquillamente. 

«Castiel non è una persona cattiva» sussurrò con il volto basso. Mi sembrò di vederla arrossire. Se non fossi stata ad una distanza ravvicinata, non l'avrei sentita. Mi stupì per quella confessione. Pensavo ci mettesse più tempo nel dichiararmi la verità.

«Lo so, so tutto» restò sorpresa davanti alla mia asserzione. 

«C-come?» mi scrutò con i suoi occhi pieni di timore.

«S-sì... Ho parlato con Castiel e...»

«Come? Lui ti ha raccontato tutto?» mi frenò incredula. 

In effetti Castiel non era tipo da svelare così presto dettagli sulla sua vita ad una persona qualunque.

«Sì, ma non è questo il punto. Dovevi dire la verità su chi fosse il tuo vero stupratore, Violet. E ancora sei in tempo per farlo, se vuoi. Chi ci fa del male deve pagare. Non può girare a piede libero mentre continua a combinare chissà cosa!» tentai di aprirle gli occhi e posai una mano sulla sua spalla in segno di sostegno. Se avesse avuto bisogno di qualcuno avrebbe potuto contare su di me. Non eravamo amiche, ma era una persona buona ed indifesa, doveva essere aiutata nel percorso dell'eventuale confessione. 

«T-tu non sai niente!» alzò il tono di voce, si scostò dal mio tocco e si voltò per allontanarsi da me, da una verità scomoda. 

«Tu non stai più con lui, vero?» non volevo pensare che dopotutto stesse ancora con una persona del genere. Ma dovetti farlo, la sua reazione mi portò a sostenerlo.

«Lasciami stare» si voltò nuovamente verso di me con un'espressione furibonda sul volto. Non sembrava più la Violet indifesa e timorosa anche solo di parlare, quella era una versione nuova di lei. Non sapevo come approcciarmi, volevo aprirle gli occhi. Era difficile.

«Io capisco che sei stata innamorata, capisco la tua fragilità, ma non puoi giustificare un atto del genere. Ti prego Violet, ragiona!» sapevo di essere insistente, ma doveva capire. 

«I-io non volevo passare alla fase successiva, non mi sentivo pronta. Discutevamo da qualche settimana su quell'argomento. Ma quel giorno era diventato insistente, i suoi baci, i suoi tocchi lo erano. Eravamo in un vico buio, io non volevo, mi allontanavo, cercavo di scostarmi dalle sue mani ma lui era più forte. Quando partì il suo primo schiaffo e quando sbottonò i pantaloni, mi abbandonai, capendo che era finita non mossi più un muscolo. Sentivo solo dolore dappertutto» mi confessò d'un tratto dopo essersi riavvicinata a me. Con lo sguardo vuoto posato su un muro stava immaginando chissà quali ricordi. E poi si sciolse in un pianto silenzioso. Era inevitabile non farlo. Mi sentii quasi colpevole di averle fatto rievocare momenti della sua vita passata.

Ma decisi di non parlare. Non le sarebbe servito un "mi dispiace", l'aveva sentito troppe volte. Sarebbe stato inutile. Mi avvicinai ancor di più al suo corpo esile e sebbene non avessimo alcuna confidenza l'abbracciai stretta. Era di qualche centimetro più bassa di me, in quel momento parve ancora più indifesa. Volevo mostrarle la mia vicinanza e lei per un attimo l'accettò. 

«Non posso denunciarlo. Ciò che è successo è stata solo colpa mia» si allontanò dalle mie braccia.

«No, tu...»

«Dovevo scappare, ma non l'ho fatto, da codarda ho aspettato che qualcuno agisse al posto mio e quando Castiel mi ha trovata per caso, lui è scappato. Non mi ha guardata neanche più in faccia. Avrei solo dovuto accettare di concedermi a lui, una settimana prima, e tutto sarebbe stato normale. Noi staremmo ancora insieme, magari» non poteva colpevolizzarsi ancora, non doveva. Stava delirando.

«Violet...» non mi lasciò finire, ormai era persa nei ricordi, nei suoi tormenti, nei suoi pensieri, non riusciva neanche a vedermi. Non si rese conto neanche di star confessando a me il suo passato.

«Da quel giorno non ho più avuto sue notizie, è scappato da Parigi. Neanche i suoi amici sapevano dove fosse finito quando li ho chiamati, un anno fa. Avrei voluto affrontarlo ma non me l'ha permesso. Quindi per rispondere alla tua domanda di prima: direi di no. Non sto più con lui.» 

«E non pensi sia un bene non stare più insieme ad una persona del genere? Se ti amava realmente ti avrebbe aspettata, senza approfittare di te. Apri gli occhi, Violet» quasi le urlai in faccia e lei sussultó. Non volevo spaventarla ma solo farle vedere la verità con occhi diversi, estranei dal suo amore accecante nei confronti del suo ex-ragazzo. Fu lì che prese conoscienza di avere un'altra persona davanti oltre lei stessa e i suoi ricordi.

«Tu non puoi sapere se mi amava realmente o meno. Tu non c'eri quando mi guardava, non c'eri nei nostri momenti. Io c'ero. Solo io posso conoscere il bene che mi ha fatto. Nessun altro. Nessun altro sa cosa provo da quel giorno, la delusione per me stessa, il cercarlo per le strade ma non trovarlo mai. Solo io so... Nessun altro sa» e con quelle parole che le spezzarono la voce scappò senza permettermi di ribattere. 

Incredibile, ma vero... Lei lo amava ancora.
 

*****

Quando quel giorno di scuola giunse al termine tirai un mezzo sospiro di sollievo. Mezzo perché la mia giornata ancora non si era conclusa, anzi la parte più importante doveva ancora pervenire. Sapevo che Peggy non aveva ancora concluso il suo lavoro, così decisi di recarmi in aula delegati per poter parlare finalmente con Nathaniel. Anche lui lasciava la scuola circa un'ora dopo rispetto ai normali studenti. Dovevo chiarire la questione del giornalino sebbene l'ultima nostra conversazione non si era conclusa in maniera troppo piacevole, quella mi parve l'occasione ideale per farlo. 

Quando arrivai a destinazione la porta era socchiusa e sbirciando notai -con non troppo piacere- che Nathaniel si trovava in compagnia dell'altra segretaria delegata, Melody. 

Lui intento a controllare dei fogli, lei intenta a controllare lui. Quando si avvicinò maggiormente a lui, accorciando le distanze e pronunciando il suo nome capii volesse parlargli, così decisi di origliare la conversazione e nello stesso tempo di sbirciare dalla porta socchiusa. Sapevo che quel gesto non fosse segno di buona educazione, ma sentivo il bisogno di capire il loro genere di rapporto ed essendosi presentata l'occasione, l'afferrai al volo. 

«Nath... Tu mi piaci, lo sai.»

"Wow che bell'inizio di discorso, ad effetto proprio, complimenti!"

«Siamo amici, Mel...» gli ricordò lui con tono grave senza degnarla di uno sguardo e quindi mantenendo il volto chino sui fogli.

«Beh, no... Tu non sei solo un amico per me e vorrei tanto tornassimo quelli di un tempo, vorrei fossimo qualcosa di più. So che anche tu lo vuoi» lei pendeva dalle sue labbra. Lo guardava con sguardo di adorazione. Come faceva a non capire che invece lui non fosse minimamente interessato?

«Ti ho già chiarito questa cosa un miliardo di volte, Mel, io non provo nulla per te... Non più. Fino a qualche giorno fa andava bene anche a te. Non so cosa tu abbia frainteso, ma è questa la realtà. Mi dispiace!» finalmente si era degnato di alzare lo sguardo e posarlo su di lei. Non parve neanche un minimo dispiaciuto. La sua espressione di freddezza mi fece rabbrividire. Insomma stava pur sempre dando un due di picche, non poteva reagire in quel modo. 

«Ma cosa dici? Eh?» Melody iniziò ad urlare terminando la sua pazienza dopo le parole di lui «quando mi baciavi non pensavi fossimo amici, fino a un mese fa uscivamo insieme quasi tutte le sere e mi tenevi la mano anche in pubblico. Questo lo chiami fraintendere, tu?» le si spezzò la voce. Quasi mi dispiacque. 

Quindi era come immaginavo. Nathaniel e Melody non erano due semplici amici. Sebbene non mi restò indifferente, la notizia non mi sorprese. 

«Ehi non urlare, potrebbero sentirci... Prova a calmarti!» il suo tono calmo e indifferente si contrappose a quello estremamente nervoso di Melody. Lo avrei preso a calci. 

Nathaniel era perennemente preoccupato dell'immagine di se stesso che avrebbe potuto dare alla gente. Non voleva fare pessime figure, voleva mostrarsi sempre preciso e perfetto, come un robot senza alcun tipo di sentimento e di conseguenza gli altri erano come trasparenti. Si percepiva da lontano un miglio quanto Melody stesse soffrendo per le sue parole, ma a lui continuava a non importare.

«Oh no, no caro mio. Io urlo e grido quanto voglio. E sai una cosa? Vorrei tanto che quella mezza prostituta della Rossi sentisse quanto sei bugiardo. Da quando è arrivata lei non rispondi alle mie chiamate e ai miei messaggi, non mi calcoli, non mi sfiori, non esci con me. Ti sembro stupida? Ti sembra che non vedo il modo in cui la guardi? Ma sai una cosa? Quella ha pesci più grandi da prendere. Lei non ti calcola minimamente. È troppo troia per te!»

Fu lì che non vidi più. Le mie orecchie avevano sentito troppo. Senza riflettere ulteriormente e senza far caso al fatto che avesse praticamente rivelato una specie d'interesse di Nathaniel per la sottoscritta, spalancai la porta ed entrai urlando verso quella ragazzina con il bisogno incessante d'insultare un'altra per conquistare il ragazzo dei suoi sogni. Patetica! Ed io mi ero persino dispiaciuta per lei, poco prima. Non meritava la mia compassione.

«Perché non ripeti davanti a me gli insulti che mi hai fatto finora? Troppo facile sparlare alle spalle!» 

«Vai in giro con vestiti che sembrano esser stati rubati ad una prostituta. Ma questa non è una novità neanche per te o sbaglio?!?» sorrise sfidandomi. Non aveva ancora capito niente.

«Sempre meglio una che si veste come me piuttosto che come te... Una santarellina che va in giro ad elemosinare un ragazzo. Patetica! Sei talmente convincente e sicura di te stessa da aver bisogno d'insultare me per avere un po' di attenzione da parte del ragazzo che ti piace. Ora se permetti, dovrei parlare con Nathaniel. Grazie, ciao!» finsi un sorriso finto e la salutai trionfante con la mano per invitarla ad uscire dalla stanza. 

Nathaniel restò da spettatore alla scena, non prese le parti di nessuno. Ovviamente. Non sia mai... "se fosse passato qualcuno e avrebbe visto il segretario delegato scomporsi, sarebbe stata la fine" pensai sarcasticamente.

«Non ho nulla da invidiarti. Nath è mio!» mi guardò con sguardo truce aggrottando la fronte. Sembrava quasi una bambina per le frasi appena uscite dal suo becco. Ed io, invece, scoppiai a riderle in faccia. Non riuscii a trattenermi. 

«Guarda, detto tra me e te...» mi avvicinai a lei e accostando la bocca al suo orecchio, per evitare di farmi sentire dal delegato, le sussurrai «non ho nessuna intenzione di rubartelo. Anche se... valutando la vostra conversazione di poco fa, non sembra proprio che tu ce l'abbia in pugno. Forse potresti passare da me per imparare qualche tecnica di seduzione» conclusi deridendola e ammiccando. E facendole un occhiolino decisi di uscire di scena. Rimandai ad un altro momento le mie scuse a Nathaniel. Anche se, dopo la sua prestazione per un attimo valutai l'ipotesi di non fargliele proprio. Ero stufa di respirare la stessa aria di gente come Melody, pronte a giudicare il monaco dall'abito. E l'avevo lasciata lì, inerme alle mie spalle, incapace di ribattere il mio monologo. 

Quando uscii trovai Peggy proprio sulla porta intenta ad origliare la nostra conversazione. Sarei stata nell'ennesimo articolo del dolce journal. Lo capii dalle sue mille domande che susseguirono. Ormai una volta in più, una in meno, non avrebbe cambiato nulla; sarei finita in quel giornalino ugualmente. 

*****

Quella sera tornai a casa stremata per tutti i fatti accaduti durante quella giornata di scuola. Ma quantomeno ero soddisfatta per la sua conclusione. Dopo la fine delle lezioni Peggy non era scappata in un altro Continente per evitare il ritiro delle accuse a Castiel, ma si era recata con me in caserma. Dopo aver esposto le sue richieste agli addetti, questi avevano trascritto il suo volere in un verbale dicendole che l'avrebbero mandato in Tribunale e i giudici competenti del caso, l'avrebbero esaminato. Qualora Violet non si fosse decisa a testimoniare, la causa si sarebbe chiusa e Castiel sarebbe stato assolto. Ovviamente i tempi erano abbastanza lunghi per risentire avvocati, giudici e per riesaminare tutti i fatti, ma nel giro di qualche mese avremmo di sicuro scoperto se la richiesta fosse andata a buon fine o meno. 

«Micaela...» mi voltai verso quella voce inconfondibile. Non l'avevo sentita entrare.

«Ma tu non dovevi essere fuori città per lavoro?» 

«Abbiamo finito un giorno prima. Mi dispiace per te, la casa è stata a tua completa disposizione per poco tempo» si prese gioco di me, non poteva immaginare che in realtà non vedevo casa esattamente da quando era partita anche lei. Poggiò la piccola valigia sul pavimento dell'entrata e poi proseguì «a proposito... hai fatto la brava durante la mia assenza? Non hai combinato guai, vero?»

"Oh sì zia, tutto apposto. Ho solo litigato con una mezza psicopatica. Ho solo avuto a che fare con una ragazza vittima di stupro. Ho solo cercato di convincerla a denunciare ma non c'è stato verso. Ho solo baciato il ragazzo della valigia scambiata. Ieri notte sono solo rimasta chiusa dentro scuola con colui che quando viaggia fa la collezione di oggetti strani e perversi. Ho solo dormito insieme a lui. Ho solo chiesto una verità alla persona meno raccomandabile che ha ben pensato d'inventarsi varie storie su di me e d'inserirmi nel suo giornalino. Quindi sono solo finita nel giornalino più letto della scuola e ora tutti mi conoscono come la ragazza dagli intrallazzi amorosi. Ho solo scoperto che Castiel è stato accusato ingiustamente di essere uno stupratore. Ho solo dovuto raccontare la mia vera storia -per cercare di scolparlo- che uscirà domani su quel maledetto giornalino. Direi di no... non ho combinato guai, zia". 

«No zia, niente guai, tutto apposto!»






 



N.A.

In questo capitolo, nel revisionarlo, ho deciso d'inserire qualcosa in più sulla violenza fisica. Non volevo entrare troppo nei particolari in quanto è un argomento troppo delicato, ma nel mio piccolo volevo affrontare dei fatti che purtroppo accadono ogni giorno. Molte donne non riescono a confessare, come nel caso di Violet, restando nel silenzio e nel dolore. Molte poi si vergognano di raccontare la verità, ma non dovrebbero. Non si deve tacere davanti a maltrattamenti o violenze carnali, non si può tacere. Chi fa del male deve pagare; e non importa se è un marito, un fidanzato, una persona cara, chiunque sia è giusto che debba pagare. 

DENUNCIATE. NON SIETE SOLE. Ormai esistono tante associazioni, tante vittime con cui parlare, dove sentirsi capite. Quindi davvero, trovate il coraggio di denunciare anche solo quando c'è un campanello d'allarme. E parlo non solo della violenza fisica, ma anche dei vari maltrattamenti fatti da mariti deficienti ecc.. perché non ama, non vuole bene un uomo che picchia o che fa qualsiasi tipo di male fisico e/o psicologico. 

Non so se potrò inserire ancora qualcosa sul percorso/storia di Violet, vorrei tanto farlo, ma nella storia pubblicata nel 2014 non c'era più nessun riferimento oltre questo capitolo e quindi devo valutare un po' di cose prima, per capire come e se poterla inserire. Non vorrei lasciar cadere qui l'argomento perché è un tema troppo importante. Quindi vedrò. Può anche essere io decida di fare una One-shot su questo argomento. Comunque sia, per qualsiasi cosa, sarete avvertiti. 

Tra due capitoli verrà rivelato il racconto di Miki fatto a Peggy e quindi parte del passato della protagonista. Non è stato raccontato volutamente in questo capitolo. 

Ora vi saluto.

Alla prossima...

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** CAPITOLO 8: Confessioni ***


Capitolo 8

Confessioni






Era ormai ora di cena quando zia Kate mi chiamò per sederci a tavola. Da quando era rientrata dal suo breve viaggio avevo notato uno strano comportamento in lei. Sembrava premurosa nei miei confronti e nello stesso tempo preoccupata per qualcosa, non lo era mai stata o perlomeno non aveva mai mostrato di esserlo. Quella forse era una caratteristica, anche mia, ereditata da lei; non mostrare mai i propri sentimenti, le proprie debolezze, ridere fuori anche se dentro si muore. Quel giorno però zia Kate non riuscì a farlo. Doveva essere qualcosa di estremamente importante per farla apparire accentuatamente preoccupata.

«Zia, tutto ok?» le chiesi in apprensione mentre assaggiai la mia insalata.

Non erano da lei quel volto teso e quell'espressione contratta. 

«Sì... ehm... n-no, cioè...» 

Inarcai le sopracciglia per la sorpresa. Non l'avevo mai sentita balbettare. Grazie al suo lavoro, da sempre la contraddistingueva una sicurezza nel parlare, tale da far invidia.

«Sono l'amante di un uomo sposato» quasi mi strozzai davanti alla sua rivelazione improvvisa. Il tono con il quale l'aveva detto era tranquillo e sicuro in totale contrapposizione con quello utilizzato qualche istante prima.

Bevvi un sorso d'acqua per mandare giù il pezzo di mais che mi si era bloccato in gola e poi cercai di parlare
«Da quanto tempo?» riuscii a dire, alla fine.

«Due anni!»

"Pensavo di contare di più nella tua vita" volevo risponderle, ma lasciai stare. A quanto parve, tra le due, ero l'unica a confessare quasi tutto. Le parlavo dei miei pensieri, sentimenti, delle mie giornate. Credevo lo facesse anche lei con me. Mi sbagliavo. Era giusto si trovasse qualcuno con cui stare, aveva trentotto anni, ma avrebbe dovuto farlo con qualcuno di più disponibile, qualcuno che non le avrebbe fatto del male. Non mi sarei mai fidata degli uomini sposati che non ci pensavano due volte prima di tradire la propria moglie. Senza contare il fatto, poi, che zia Kate avesse contribuito a rovinare una famiglia. 

"Chi è lui? Ha figli? E' davvero seria questa storia?" tante domande iniziarono a vorticare nella mia mente e c'era un solo modo per avere delle risposte: quello di non aggredirla, mostrarle comprensione senza giudicarla. Misi da parte il risentimento e provai a risponderle civilmente.

«Oh beh... si risolverà sper...» m'interruppe.

«È il padre di Castiel»

"Come? Cosa? Perché? Cosa mi sono persa? Come fa a conoscerlo? Perché proprio lui?" Istintivamente posai le mani sulla bocca in segno di stupore. Ero incredula. Il destino non era dalla mia parte a quanto pareva. Ogni fatto della mia vita negli ultimi mesi sembrava essere collegato a lui. Guardai zia Kate come se avesse tre teste. Lei sarebbe stata la rovina della famiglia di Castiel. Assurdo.

«Miki non guardarmi così... Noi ci amiamo!» sgranai del tutto gli occhi. 

Ma quanto poteva essere egoista?

Al diavolo i discorsi civili!

«Noi ci amiamo? Voi vi amate? Ma come ti permetti a parlare di amore, eh zia? Non potevi pensarci due volte prima di farlo entrare nelle tue mutande? Stai rovinando un'intera famiglia solo per i tuo capricci amorosi. È il padre di Castiel, cazzo!» mi alzai di scatto dal tavolo e la sedia costosa sulla quale ero seduta cadde rumorosamente sul pavimento. 

«Non rivolgerti a me con questi toni» si alzò anche lei dalla sedia quasi urlando e sbatté le mani sul tavolo. Non mi spaventò; che peccato!

Non mi avrebbe fatto da genitore a sedici anni suonati. Avevo vissuto sola per tanto tempo con solamente qualche sua visita sporadica, di certo sapevo come comportarmi nella vita, e a quanto pareva sapevo farlo meglio di lei che non aveva pensato due volte prima d'intraprendere una relazione con un uomo sposato. Certo, l'avrei ringraziata fino allo sfinimento perché era l'unica famiglia, l'unica persona su cui potessi contare, ma aveva sbagliato e non riuscivo a stare in silenzio. Era più forte di me, dovevo sbraitarle contro per riprendermi.

«La madre di Castiel già lo sa. Lei ed Isaac devono firmare le ultime carte e poi procederanno con il divorzio» si ricompose informandomi di fatti che forse era meglio non sapere. 

Isaac. Era quello il nome del maiale in questione. 

Il padre del ragazzo che aveva rubato il mio primo bacio. 

Com'era strana la vita, strano il destino e piccolo il mondo. 

«M-ma... Non sanno come dirlo al figlio» zia Kate sembrava quasi stesse facendo un monologo. Avevo smesso di risponderle per quanto ero nervosa nei suoi confronti. Ma fu con quell'ultima frase che scoppiai nuovamente.

«Ah sì? Eppure non dovrebbe essere difficile da spiegare l'atto sessuale con il quale ha tradito la moglie. Posso farti un disegnino, se vuoi, così magari farai venire un'illuminazione al maiale» non ero mai stata così esplicita nel parlare prima di quel giorno, ma ero troppo nervosa per impormi filtri. 

Agitai le mani e le portai sulla testa. Quella situazione era davvero assurda. Non ero a conoscenza del rapporto del rosso con i suoi genitori e in particolare di quello con il padre. Sapevo solo che lo avesse aiutato ad uscire dall'accusa di stupro. Castiel non mi aveva mai parlato della sua famiglia, ma in ogni caso non doveva esser bello vedere i propri genitori separarsi così all'improvviso. Non doveva essere piacevole essere tenuto all'oscuro da tutto. 

«Tu non sei genitore, certe cose non puoi capirle» continuò zia Kate. 

«Di certo se e quando sarò genitore avrò le palle per dire qualsiasi verità a mio figlio» risposi ovvia incrociando le braccia. 

Eravamo l'una di fronte all'altra con solo il tavolo a dividerci, continuando a lanciarci sguardi di rimprovero. 

«Vedremo! Fatto sta' che ho detto ad Isaac della tua amicizia con Castiel e...» si bloccò pensierosa senza completare la frase.

«E...?» corrugai la fronte. Non riuscivo a capire il motivo per il quale il discorso si era spostato su di me.

«E... lui ha pensato che potresti essere tu a raccontargli la verità» finì la frase stampandosi un sorriso di circostanza sul viso. Sapeva già che avrei rifiutato, ma aveva pensato ugualmente di mettermi al corrente della pretesa stupida del maiale. 

Dettava ordini ed era senza coraggio, due caratteristiche detestate dalla sottoscritta. Due caratteristiche possedute da Isaac. Non avevo mai odiato un uomo senza conoscerlo. Quella volta fu la prima.

«Sì, certo. Come no...» risposi solo prima di dirigermi verso le scale che mi avrebbero portata nella mia stanza per chiudere quelle pretese stupide alle spalle una volta per tutte. 

Quella giornata sembrava non voler finire più. Cosa doveva succedere ancora? Ovviamente zia Kate non demorse e mi seguì fino alla porta della mia camera. 

«Ci penserai?» 

"Ma che faccia tosta!"

«No. Dì ad Isaac di usare le palle per qualcosa di buono, invece di continuare a rompere le mie» le chiusi la porta in faccia dopo quella bella metafora. 

Non avrebbero neanche dovuto pensarla una cosa del genere. Come potevano pretendere che io acconsentissi a rivelare una cosa tanto importante a Castiel? Una cosa del genere doveva essere palesata dai diretti interessati, i suoi genitori, io non ero legittimata a farlo. Eravamo amici, quasi, eppure non avevamo tanta confidenza o meglio entrambi ci eravamo risparmiati di raccontarci le storielle strappalacrime delle nostre rispettive infanzie. Anche lui doveva avere parecchi problemi la rivelazione di zia Kate mi diede la conferma ai dubbi già insinuati a causa del carattere che il rosso si ritrovava. 

Ero tesissima, dovevo sfogarmi e calmarmi in qualche modo. Uscii sul balcone piccolo della mia stanza per prendere un po' d'aria e gettai fuori il respiro. Quelle giornate si stavano dimostrando più difficili del previsto e non osai immaginare l'indomani cosa mi sarebbe potuto aspettare. Sarebbe uscito il giornalino con la mia storia reale. Sfregai le mani sul volto come per volermi risvegliare da quell'incubo; non avrei mai potuto immaginare che la mia vita potesse peggiorare una volta atterrata a Parigi. In Italia, nonostante il passato, avevo le mie abitudini, non avevo alcun tipo d'intoppo, ogni giornata era uguale e monotona ma alla fin dei conti tranquilla mentre nella nuova città non avevo nient'altro che grattacapi da trenta giorni. 

Ad un tratto gli occhi si puntarono sulla mia salvezza temporanea, la piscina. Con un bel bagno avrei sbollentato e calmato i nervi. Con quella nuova idea in testa entrai nella mia stanza ed indossai velocemente un costume da bagno per poi dirigermi subito fuori in giardino. 

La piscina si trovava dalla parte opposta della strada, quindi all'entrata secondaria di quella mega casa. Era abbastanza grande e a forma di nuvola, quindi tondeggiante, da un lato della vasca vi era persino un piccolo cerchio chiuso con l'idromassaggio. Ovviamente il tutto era con l'impianto di riscaldamento, in modo da poter essere utilizzata anche nei mesi invernali. Non si era risparmiata niente la mia cara zia. Ma una volta che c'era perché non sfruttare la comodità? Mi tuffai e senza perdere tempo andai dritta nella parte di vasca con l'idromassaggio. Non sentii neanche lo sbalzo di temperatura dall'aria fredda all'acqua calda. Chiusi gli occhi e mi adagiai a bordo vasca lasciandomi tranquillizzare dalle vibrazioni percepite da tutto il mio corpo grazie alle bollicine dell'idromassaggio. 
In procinto di addormentarmi sentii delle mani fredde posarsi sui miei occhi; urlai d'istinto e mi alzai poggiando i piedi sul fondo della vasca. 

«Ti ho già detto di lasciarmi in pace, per oggi» ero quasi esasperata mentre mi voltai verso la fonte di disturbo pensando di trovare zia Kate.

Ma non era lei. Con mia sorpresa voltandomi scovai gli occhi confusi ma dolci di Nathaniel.

«C-cosa ci fai qui?» balbettai leggermente. Non potevo di certo aspettarmi di trovarlo nel mio giardino senza alcun apparente motivo. Avrei dovuto parlargli, vero, ma lui non poteva saperlo o forse...

«Sc-scusa non avrei dovuto. Il fatto è che... tu oggi a scuola avevi detto di dovermi parlare, poi sei scappata per via di Melody e... Ora passavo di qui, ti ho vista e trovando il cancello semi aperto ho pensato di entrare in modo da poter parlare. M-ma forse avrei dovuto lasciar perdere. Anzi, scusa.. vado via subito.. scusa ancora».

«No, no fermati» lo bloccai dal braccio uscendo dalla piscina. Si era già avviato per uscire dal cancello secondario. 

Ignorai i brividi di freddo su tutto il corpo a causa del consistente sbalzo di temperatura, dall'acqua calda all'aria fresca, e continuai a parlare quando lui si voltò verso di me. 

«Oggi quando ero venuta a cercarti volevo chiederti scusa. Non volevo intromettermi in tutta quella storia e non volevo mettere te in mezzo, ma tu continuavi ad accusarlo, a definirlo un mostro e nello stesso tempo non volevi dirmi cosa fosse successo... così smossa dalla voglia di sapere sono andata a chiedere all'unica persona che mi avrebbe detto tutto...» sospirai sentendomi maggiormente in colpa e abbassai il volto. Non avevo bisogno d'inserire i nomi dei diretti interessati o di spiegare nei minimi particolari. Lui aveva già capito ogni cosa.

«Ehi, ehi va tutto bene» dolcemente ponendo pollice e indice sotto il mento mi sollevò la testa in modo da potermi guardare negli occhi.

«Ti va di fare una passeggiata così parliamo tranquilli?» Aggiunse mostrando con la testa qualcosa o meglio qualcuno. Zia Kate ci stava spiando incuriosita da una finestra. Sbuffai.

«Dammi due minuti. Metto qualcosa addosso e arrivo».

Presi un asciugamano poggiata precedentemente su una sedia affianco alla piscina, l'avvolsi intorno al corpo e corsi in camera per cambiarmi. Ovviamente zia Kate non perse tempo per importunarmi. Era diventata il mio segugio.

«Vuoi essere denunciata per stalking, per caso?» sdrammatizzai.

«Micaela Rossi, ti proibisco di scherzare su questo genere di cose. Sono reati gravi, migliaia di persone muoiono o sono arrestate per questo tipo di reato e...»

«E bla bla bla. Hai finito? Smettila di seguirmi e vedrai che io non sarò costretta a parlare di queste cose!»

Ma come se non avessi aperto bocca, ignorò le mie parole ed iniziò a dialogare da sola nuovamente sull'aromento Isaac e Castiel, sui motivi per i quali avrei dovuto dire io la verità al rosso. Non l'ascoltai, asciugai i capelli bagnati, mi tolsi il costume sotto i suoi occhi indossando dei jeans aderenti, una felpa e un paio di Converse fucsia. Le tenevo per le uscite dell'ultimo minuto. Quando finii di sistemarmi, un quarto d'ora dopo, la salutai con un cenno di mano, un sorriso falso ed uscii dalla porta di casa. Sapevo di comportarmi male con lei, ma non riuscivo ad agire diversamente in quel momento.

«Ti ho fatto aspettare troppo, scusa» dissi appena Nathaniel apparve nella mia visuale. 

«Tranquilla» mi fece segno di uscire e lo seguii chiudendomi alle spalle il cancello di casa. Ci trovavamo nella via principale, non eravamo usciti dal cancello secondario. 

«Allora...» si grattò la nuca in segno di nervosismo mentre c'incamminammo senza alcuna meta. «Perdona Melody. Lei non è una cattiva ragazza, non pensava realmente ciò che ha detto. Era nervosa e delusa e... »

«Non me la sono presa per quello che ha detto.» Era la verità. Ero abituata a ricevere insulti peggiori dei suoi. 

Mi guardò per un istante quasi sbigottito, poi mi sorrise e continuò «tu invece? Cosa dovevi dirmi?»

«Te l'ho detto, non era mia intenzione riaprire le ferite di nessuno...» lasciai il discorso a metà, mancava qualcosa del mio discorso e lui lo capì. 

«Cos'altro?»

Sospirai. «Perché non hai voluto raccontarmi la verità?» Sapeva bene a cosa mi stessi riferendo.

«Non erano cose che mi riguardavano, da come hai visto.. e ho ritenuto opportuno lasciar raccontare ai diretti interessati i propri reati»

«Allora non avresti dovuto avvertirmi. Non ha avuto senso dirmi di stargli lontana senza raccontarmi il motivo».

«Cosa cambiava?  Tanto non gli saresti stata lontana ugualmente. Siete tutte così!»

«Cosa intendi?» Chi altro era come me? Chi doveva stare lontano dal rosso, ma non ci riusciva?

«Castiel non è la persona che sembra. È molto peggio». Non rispose alla mia domanda ma lasciai cadere il discorso. Non ero pronta ad avere altre confessioni, quel giorno. 

«Lui... Non ha fatto alcuna violenza su Violet. Smettila di accusarlo!» Inevitabilmente iniziai ad alzare la voce e innervosirmi.

«Ed io sono Babbo Natale... Ma per favore, Miki, non essere così cocciuta, ci sono le prove.»

«È stata Peggy a capire male. Violet è stata stuprata, ma non da Castiel. Anzi lui la stava persino aiutando quando sono state scattate quelle foto»

«E per quale motivo Violet non avrebbe testimoniato per scolparlo? Sentiamo!» aveva assunto un tono di voce quasi di sfida. Non mi piaceva.

«Non voleva denunciare il suo vero stuprato...»

M'interruppe. Non riuscivo a capire dove volesse andare a parare. I fatti erano quelli, Castiel non era colpevole. Violet mi aveva raccontato la sua verità personalmente. 

«E per quale motivo non avrebbe dovuto denunciar...»

«Senti, basta. È inutile parlare con te, mi hai stancata. Ero uscita con l'intento di chiarire una volta per tutte ogni incomprensione, ma tu continui a fare lo stronzo. Me ne torno a casa» girai i tacchi e m'incamminai per la via di ritorno.

Mi parve di essere nelle vicinanze di casa Black. Preferivo cento volte la schiettezza del rosso piuttosto che le convinzioni false di Nathaniel. Fui quasi tentata di bussare alla sua porta per non dover vedere più il biondo che invece continuava a seguirmi nonostante gli avessi detto più volte di lasciarmi sola. 
 




Castiel

Ero nel giardino di casa come ogni sera, solo, a fumare la mia sigaretta. Fissando il fumo uscire dalla bocca per poi disperdersi nell'aria ripensai alla mia vita. Per quello che avevo potuto apprendere dal suo diario e dalla sua stessa bocca durante la confessione a Peggy, la mia storia e quella di Micaela Rossi erano parecchio simili. Entrambi eravamo stati abbandonati da piccoli, entrambi eravamo stati costretti a crescere troppo in fretta senza aver nemmeno il tempo di accorgercene. Certo, la sua infanzia era stata più tragica rispetto alla mia, non c'erano dubbi. Io ero stato solamente abbandonato al mio destino perché i miei genitori si amavano troppo ed erano troppo impegnati a vivere la loro storia d'amore per accorgersi di me e dei miei bisogni. Lavoravano in una compagnia aerea; mio padre pilota e mia madre hostess, giravano il mondo, per mesi interi non rientravano a casa ed io ero spedito come un pacco postale per tutta la Francia o se mi andava male addirittura in altre città d'Europa. Non mi ero mai lamentato di quella vita perché eccessivamente ammaliato dall'amore dei miei genitori. Quando ancora ero troppo piccolo per conoscere le due facce della medaglia anch'io sognavo un amore come il loro. Litigavano spesso, praticamente per ogni cosa, ma poi facevano pace in un modo tutto loro. Erano smisuratamente innamorati l'una dell'altro per accorgersi di me. Ed io inevitabilmente ero il peso della situazione. Così a quattordici anni, acquisita un po' di autonomia, li convinsi a lasciarmi vivere la mia vita nella nostra vera casa a Parigi. Nella mia attuale casa. Sotto loro insistenza dovetti sorbirmi cameriere varie fino all'età di quindici anni, quando finalmente riuscii a sbarazzarmi anche di quelle. I miei rientravano una volta ogni due, tre mesi -quando andava bene- poi con il passare degli anni non tornavano proprio o lo facevano separatamente. 

«Miki ferma!» fui distratto dai pensieri. 

Quel nome pronunciato da quella voce mi fece sussultare e avvicinare d'istinto alla siepe per vedere con i miei occhi se fossi diventato matto o meno. Quella ragazzina stava diventando un'ossessione ed un pericolo realmente grave per la mia testa rossa. Immaginavo il suo corpo sotto al mio, sentivo qualsiasi persona chiamarla, percepivo la sua presenza da lontano. Era solo perché non avevo avuto modo di completare quello che avevamo iniziato quel giorno nello stanzino dei bidelli, ne ero sicuro. 

Ma quella sera non era stata la mia immaginazione a giocare brutti scherzi, Nathaniel e Miki erano realmente poco lontani dal mio cancello. Lei pareva essere nervosa, lui il solito leccapiedi. Per un attimo considerai come vero l'articolo di Peggy. E se Miki e Nathaniel stessero realmente insieme? Per quale motivo lei non me ne aveva mai parlato?

«T-tu non capisci...» continuò il delegato fermando la fuga di Miki. 

"Che voce odiosa".

«Cosa dovrei capire? Abbiamo una visione delle cose totalmente contrapposta. Io ci ho provato ad esserti amica, credimi, ma è davvero impossibile. I primi giorni di scuola eri gentile, poi mi sono avvicinata a Castiel e da quel giorno mi hai evitato come la peste sebbene io sia venuta a chiederti spiegazioni cercando di riavvicinarmi a te. Dopo tre settimane sei venuto a chiedermi scusa, ma abbiamo litigato nuovamente. Oggi avevamo deciso di chiarire per davvero una volta per tutte ma di nuovo abbia...» 

"Io ci ho provato ad esserti amica" aveva dettoErano amici. Solo amici. Tirai un sospiro di sollievo senza volerlo. Ma la scena seguente vista dai miei occhi mi costrinse a compiere il gesto contrapposto; trattenere il respiro. Il monologo di Miki venne interrotto dall'abbraccio improvviso di Nathaniel. Dalla rabbia accartocciai il pacchetto delle sigarette che tenevo in mano e gettai un calcio all'albero lì vicino. Dentro al pacchetto c'erano persino due sigarette, che diamine! Lanciai il pacco ormai trasformato in una palla -dalla mia rabbia- verso l'albero e mi voltai per rientrare dentro casa. Non avevo alcuna intenzione di assistere a quel teatrino sdolcinato. E poi... non m'interessava la sua vita. Era solo una ragazzina.

Non c'era motivo di perdere la pazienza in quel modo per lei. Cosa mi stava accadendo?
 




Miki

«Da quando sei arrivata non faccio altro che pensarti. Sono sparite tutte le altre e vorrei fosse così anche per te. Per questo m'infastidisco quando Castiel ti ronza intorno. Temo che lui ti possa interessare più di me» aggiunse leggermente in imbarazzo sciogliendo l'abbraccio e cercando di guardarmi negli occhi. 

Mi aveva praticamente appena ammesso di piacergli? 

«Ohh!! B-Beh...» percepii il volto andare in fiamme, non sapevo cosa rispondere. 

Non ero abituata a quel genere di ammissioni ed io non avevo mai valutato una possibilità come quella. Pensavo fosse un bel ragazzo, era innegabile, ma nello stesso tempo i suoi tratti caratteriali fuoriusciti in quel mese non mi facevano impazzire. Non ero alla ricerca di una relazione. E poi a prescindere... non avrei mai voluto una relazione. Non faceva per me una scemenza del genere. Non avrebbe mai fatto per me. Mai e poi mai. 

«Si è fatto tardi... D-devo rientrare» dissi solamente mostrando un punto qualsiasi dietro di me. Ero totalmente in imbarazzo e apparii un imbecille. 

«Oh sì certo» abbassò il volto e infilando entrambe le mani nei pantaloni di tuta grigi, s'incamminò senza degnarmi di uno sguardo. Sapevo di dover dire qualcosa riguardo le sue parole di poco prima, ma non riuscivo.

Non avevo captato il suo interesse nei miei confronti fino a quel momento. C'erano stati persino momenti in cui avevo pensato di stargli antipatica. Il primo sospetto lo avevo avuto quel giorno, dopo le parole urlate da Melody, ma avevo lasciato cadere il discorso credendo fosse un fattore di poco conto. Mentre ci dirigevamo verso casa, lo squadrai da dietro. Nathaniel apparentemente appariva come il ragazzo perfetto sia esteticamente che nei principi da ragazzo per bene, ma un paio di volte avevo avuto modo di pensare che quella fosse solo apparenza. Quando si trattava di Castiel, ad esempio faceva fuoriuscire tratti di lui leggermente cattivi. 

«Bene, eccoci arrivati» finse un sorriso voltandosi nella mia direzione. Era rimasto deluso dalla mia reazione, chiunque lo sarebbe stato. Mi aveva colto di sorpresa tanto da non riuscire a capire neanche se la sua ammissione mi avesse fatto piacere o meno.

Non sapevo come comportarmi e l'imbarazzo cresceva ogni minuto di più, così pensai bene di abbassare lo sguardo verso le mie Converse fucsia e di torturarmi le mani senza spiccicare parola. La determinazione e il carattere forte dimostrato in alcune situazioni si erano persi per strada. 

Ad un tratto nella mia visuale accanto alle Converse apparirono un paio di Nike Air Max -le sue scarpe- rialzai di scatto la testa e lo scrutai sgranando gli occhi quando notai l'estrema vicinanza dei nostri visi. Non l'avevo sentito arrivare e nello stesso tempo non riuscivo a percepire il suo respiro sulla mia pelle cosa che invece era accaduta solo il giorno prima con Castiel. Il suo fiato bruciava sulla mia pelle e mi sentivo fuoco; mentre con Nathaniel sembravo essere l'esatto opposto, il ghiaccio. 

«Buonanotte» sussurrò schioccando un bacio dolce e leggero sulla mia fronte. Socchiusi gli occhi per la tenerezza di quel gesto e subito dopo arrossii. Era il primo contatto maggiormente intimo tra me e Nathaniel. In quel mese di conoscenza ci eravamo limitati ad un abbraccio, tra l'altro avuto solamente mezz'ora prima per la primissima volta. 

Sparì nel buio della notte senza attendere una mia risposta. Con il cuore in sussulto e mille dubbi sul ragazzo biondo entrai dentro casa, precipitandomi nella mia camera per sfuggire alle ulteriori richieste petulanti di zia Kate. 

Indossai di fretta il pigiama desiderosa di chiudere una volta per tutte con quella giornata assurda, ma giustamente non poteva filare tutto liscio. Il computer portatile -che avevo il vizio di lasciare sempre aperto- segnò l'arrivo di una nuova mail accompagnata dal suono tipico prodotto dal Mac. Mi avvicinai e leggendo il nome del mittente strabuzzai gli occhi incredula. 

"Non potrò mai dimenticare i tuoi sorrisi, i tuoi sguardi. Resterai per sempre nel mio cuore. Ma è meglio per entrambi che la nostra amicizia finisca qui. Questa volta è finita per sempre. Ora sto con una ragazza, lei sa farmi d'amica e da fidanzata, cose che tu non sei mai stata capace di fare. Buona fortuna per la vita.

Ciak"

Lessi per altre dieci volte quella frase incredula: "lei sa farmi d'amica e da fidanzata, cose che  tu non sei mai stata capace di fare". 

«NO-NO-NO-NO-NO dev'esserci stato un errore. Sarà stato il correttore automatico, sì, avrà sbagliato a scrivermi» iniziai a parlare con me stessa ad alta voce, mentre percorrevo avanti e indietro tutta la stanza con le mani tra i capelli e tirandoli per la disperazione. 

Chiusi gli occhi, inspirai ed espirai, in attesa di riacquistare la lucidità di mente; ma non avvenne. L'unico modo per avere reali risposte era quello di chiamarlo. Gli avevo già lasciato abbastanza spazio, sentire la mia voce non gli avrebbe più provocato istinti omicidi, sperai.

Così lo chiamai senza preoccuparmi di disturbare. L'orologio segnava le undici di sera ormai, ma non m'importò. 

Esattamente al dodicesimo squillo rispose la voce squillante di una ragazza che non conoscevo «Sì, pronto».

«Ehm... Ciao, sono Miki. C'è Ciak? Dovrei parlargli» 

«Ah, tu sei quella... Aspetta un attimo» cosa significava? Aveva sentito parlare di me altre volte? E poi come si permetteva? Chi le aveva dato tutta quella confidenza?

«Non sono stato abbastanza chiaro nella mail?!?» disse sarcasticamente con il tono di voce grave. La voce del mio migliore amico mi fece tremare il cuore. Non lo sentivo da troppo tempo. Ero abituata ad averlo in giro per casa tutti i giorni a tutte le ore. Mi mancava ogni aspetto di lui.

«Cosa vuol dire che io non sono mai stata capace di fare da amica e da fidanzata? Amica, ci sta. Ma fidanzata? Sembra tutto un brutto scherzo...» sebbene sembrassi disperata, mi feci forza e chiesi la verità; quella che avrebbe cambiato la nostra amicizia per sempre.

«Ma davvero non c'eri arrivata, eh Miki?» Ma allora... era tutto vero. Non era possibile. Non per noi. No.

«N-no» la voce mi tentennò. 

Ogni sentimento era stato un inganno. Mentre io gli volevo bene come un fratello, lui provava qualcosa di più per me. Ero stata stupida a non accorgermene, ma come potevo? Neanche una volta ne avevo avuto il sospetto. 

«Beh allora lascia che ti dica una cosa, mia cara Micaela: tu non solo mi piaci, bensì sono innamorato di te da ben cinque fottuti anni. Insomma... non ti sei mai chiesta perché rifiutavo tutte le ragazze? Perché con nessuna volessi condividere più di una notte? Per me esistevi solo tu, ma ovviamente sei dovuta andare via proprio quando mi ero convinto di dirti la verità. Mi hai abbandonato, sei stata una stronza!»

Non potevo crederci. Non volevo. Dovevo risvegliarmi da quell'incubo per forza. 

«M-Ma...»

«Ma niente. Lascia che ti dica una seconda e ultima cosa: l'amicizia tra uomo e donna non esiste. Mettiti l'anima in pace, prima o poi uno dei due s'innamora dell'altro. Ad alcuni capita che entrambi scoprono di provare qualcosa per l'amico, ad altri no. Quando non capita l'amicizia finisce e bisogna farsene una ragione. Io mi sto abituando alla tua assenza, lo farai anche tu con me» mi tappai la bocca quasi come se fossi stata io a farmi sfuggire quelle parole. La sua voce era fredda, senza sentimenti, come se stesse facendo la lista della spesa. Non si rendeva conto delle parole appena uscite dalla sua bocca, o forse sì. Forse voleva solo provocarmi dolore e ci stava riuscendo. Una lama si era come conficcata nella mia anima dopo le sue ultime parole.

«Tutto chiaro?»

«Tutto chiaro. Come sempre capisco in ritardo. Buona fortuna con lei Ciak» dissi con l'amaro in bocca, ma non perché volessi il suo amore, ma perché rivolevo indietro il mio amico. Cercai di trattenere le lacrime, non volevo apparire fragile davanti alla sua versione nuova.

 «Lei non è te, mi accontenterò...» si fece sfuggire a bassa voce. Persi un battito.

«Nonostante tutto l'invito per Natale è ancora valido. In memoria della nostra amicizia vorrei raccontarti la vera storia della mia vita, se me lo permetterai» volevo vederlo un'ultima volta, era giusto che anche lui sapesse. Dovevo ringraziarlo in qualche modo.

«È troppo tardi per farlo. Tra l'altro ho  impegni per le feste. Notte, Miki!» notai solo un po' di nostalgia nel suo tono di voce. Dopo quelle parole chiuse la chiamata. 

Un silenzio tetro invase la mia stanza. L'amicizia tra la sottoscritta e Ciak era ufficialmente giunta al capolinea. La coppia di amici più invidiata non esisteva più. Lui si era innamorato di me. Tutti quei piccoli particolari, quelle piccole frasi continuavano a primeggiare nella mia testa. Più le ripetevo e più tutta quella storia appariva assurda. Mi lasciai cadere sconfitta sul pavimento della mia camera, era freddo ma non lo sentivo. Un pezzo del mio cuore era appena stato calpestato e ormai risultavo immune alle sensazioni, non mi accorsi neanche di star piangendo quando vidi le prime lacrime bagnare le mattonelle che mi stavano vedendo sprofondare. Ero stata forte per tutta la giornata davanti alle tante confessioni ricevute, ma l'ultima mi distrusse più di tutte. Ciak, il mio migliore amico, mio fratello, la mia ancora di salvezza, l'unica persona capace di farmi ridere, in realtà era innamorato di me. Man mano che venivo a contatto maggiormente con la realtà, il pianto aumentava. Ero distrutta. Un'altra volta. Ma quella volta non ci sarebbe stato nessuno a sorrergermi. Solo Ciak lo faceva. Sebbene gli raccontassi mille menzogne, c'era. 

Ma da quel giorno in poi? Chi avrebbe aiutato quest'orfana col cuore distrutto a rialzarsi?

E quasi come un segno del destino, il cellulare che tenevo stretto tra le mani tremò a causa della vibrazione, segnando l'arrivo di un messaggio. Con la vista appannata e senza premura di asciugarmi gli occhi mi affrettai a leggere il mittente e il testo. 

Sei ancora sveglia?

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** CAPITOLO 9: Il Dolce Journal ***


Capitolo 9

Il dolce journal







Miki:
Chi sei?

Sconosciuto:
Deduco tu non abbia il mio numero. Bene, bene credo di voler restare nell'anonimato ancora per un po'

Miki:
Per quale scopo? Non ha senso!

Sconosciuto: 
Quello d'infastidirti, ovvio.

Miki: 
Se io non rispondessi più ai tuoi messaggi non credo riusciresti nel tuo intento ;)

Sconosciuto:
Conoscendo la tua curiosità continuerai a rispondere, invece. 

Miki: 
Non mi conosci bene allora!

Sconosciuto:
Io credo di sì!

Miki:
Sei un uomo o una donna?

Sconosciuto:
Ecco fatto! Hai appena confermato la mia teoria. Ti conosco più di quanto tu creda.

Miki:
E tu non hai ancora risposto alla mia domanda.

Sconosciuto:
Uomo M O L T O affascinante.

Miki:
M O L T O modesto aggiungerei. Anni?

Sconosciuto:
Troppo facile così. Ho più o meno la tua età. Perchè non provi a fare domande meno banali?

Miki:
Mmm fammi pensare... Colore di capelli?

Sconosciuto:
-.-" Due anni fa, neri. E meno male che ti avevo chiesto di non essere banale.. 

Miki:
Ehi... Ma così non vale!!! Da quanto ti conosco?

Sconosciuto: 
Sono di Parigi

Miki: 
Oh beh.. Ora sì che il campo si restringe. Visto che hai più o meno la mia età frequenti la mia scuola, quindi?

Sconosciuto:
Perspicace

Miki:
Tu un gran chiacchierone, invece. Dai... Dimmi chi sei, perchè mi hai scritto e finiamola qui. Mi sono scocciata. Siamo amici?

Sconosciuto: 
Quasi amici ;) 

Miki:
Oh...

Sconosciuto:
E sei una discreta baciatrice

Miki:
Ho baciato parecchi ragazzi da quando sono atterrata a Parigi, quindi il campo si restringe solo di poco :D

Sconosciuto:
Buon per te, ma io sono indimenticabile. Quindi direi... Sono il bacio più bello che tu abbia mai dato!

Miki:
Modestia portami via... Non sei mica nella mia testa per saperlo con certezza

Sconosciuto:
Io credo di sì invece. Scommetto di esser diventato il tuo pensiero fisso dopo quel giorno

Miki:
Se fossi in te non ne sarei così sicuro. Ora vuoi dirmi perchè mi hai scritto, Castiel?

Castiel:
Ce ne hai messo di tempo...

Miki: 
A dir la verità avevo capito chi tu fossi già a metà conversazione, ma volevo giocare.

Castiel:
Sì certo, come no... Hai baciato davvero così tanti ragazzi?

Miki:
Rispondi alla mia domanda ed io risponderò alla tua!

Castiel:
Ti ho scritto per passarmi il tempo. Non avevo sonno.

Allora quanti ragazzi hai baciato da quando sei qui?

Miki:
Vuoi saperlo perché sei geloso, forse?

Castiel:
Di chi? Di te? Neanche un po'. Chiedevo per pura curiosità. Non ti montare la testa, ragazzina!

Miki:
Bene! Allora non c'è bisogno che io risponda alla tua domanda. Porta la tua curiosità a farsi una passeggiata. Buonanotte. x

-



Castiel

Cosa mi era passato per la testa quando avevo deciso di scrivere a Miki? Avevo persino apprezzato quello scambio simpatico di messaggi. Maledizione! 

Come aveva potuto insinuare che io, Castiel Black, fossi geloso di lei? Ma neanche per sogno!

Volevo solo saperne di più sul genere di rapporto tra lei ed il segretario delegato. Dopo averli visti quella sera, di fronte casa mia, continuavo a torturarmi sulle possibili ipotesi. Non conoscevo il motivo eppure sembrava essere diventata una questione di vita o di morte, per me, quella di scoprire la verità. Probabilmente era per il semplice fatto che odiassi i bugiardi. Qualora avesse avuto un qualche genere di rapporto al di fuori dell'amicizia con Nathaniel, avrebbe dovuto dirmelo. Lei stessa ci aveva definito quasi amici

"Gli amici non passano il loro tempo a baciarsi" s'intromise una vocina nel mio cervello. Cos'era? La mia coscienza? "Che diamine di stupidaggine è mai questa?" pensai.

Scossi il capo per cercare di spazzare via quella stupida voce. Ero stanco e avevo dormito poco, quasi sicuramente per quel motivo continuavo a immaginarmi voci nella mia testa pronunciare stupidaggini. 

Ma allora? Cosa facevano gli amici? Tornai a pensare. Si confidavano. Così io stesso avevo raccontato a Miki di qualche mia avventura con le ragazze del Dolce Amoris, di rimando pretendevo la stessa sincerità da parte sua. E invece no... aveva dovuto deviare la mia domanda perché si divertiva a stuzzicarmi almeno la metà di quanto mi divertissi io a farlo con lei. Eravamo simili per certi versi e m'infastidiva. Nessuno poteva o doveva tenermi testa. Ma il pensiero che mi spiazzava ancor di più era il mio continuo paragonarla a Debrah. Da quando quella ragazzina era entrata nella mia vita avevo iniziato nuovamente a rimuginare sulla mia ex. Ancora non ne comprendevo il motivo, ma quasi come se fosse una specie di campanello d'allarme rivivevo nella mia testa il passato, ciò che la mia ex ragazza diabolica mi aveva spinto a fare. Avevo tentato il suicidio a causa dei casini in cui mi aveva gettato. Quanto potevo esser stato imbecille? Non che fossi lucido, in quel periodo, ma non avrei dovuto farlo ugualmente. Eppure quell'episodio era servito per allontanarmi e mettere in guardia da ogni tipo di pericolo, da ogni tipo di sentimento. Non sarei mai più diventato schiavo dell'amore. Non avrei mai più consegnato il mio cuore nelle mani di una donna; neanche lo avevo più un cuore... 

E poi c'era Miki. Quella ragazzina tanto testarda e ficcanaso quanto bella e tenera. Tenera? Sul serio, Castiel? Il bullo della scuola che definiva una ragazza: tenera? Mi stavo fottendo il cervello. Dovevo smetterla. 

Mi girai e rigirai nel letto, scalciai persino le coperte -che caddero sul pavimento in silenzio- per quanto fossi nervoso. Non riuscivo a smettere di pensare ma volevo tanto farlo. Volevo staccare la spina, avere un black-out temporaneo per trovare la pace. 

Poi si accese una lampadina nella mia mente confusa e buia; Lysandre. Solo lui avrebbe potuto schiarire le mie idee, solo lui non avrebbe mai giudicato, solo lui mi conosceva meglio di chiunque altro. 

Senza rimuginarci sopra, lo chiamai fregandomi del fatto che fossero le due di notte. Lui mi avrebbe risposto, sarebbe venuto a casa mia e insieme avremmo trovato la pace, sì. 

E infatti rispose dopo un paio di squilli.

«Castiel? Ma che diamine...»

«Lys, è questione di vita o di morte. Corri a casa mia, sto dando di matto» avevo esagerato con le parole, ma se non lo avessi fatto non si sarebbe mai alzato dal suo letto caldo per i miei capricci.

Sospirò prima di rispondere «so quando menti. Dici questo solo per convincermi a venire. E non capisco perchè non riesco mai a dirti di no. Caspita... arrivo; ma dopo non torno a casa, resto a dormire da te, ti avverto» mi conosceva bene, lo stronzo. 

«Perfetto. Sbrigati, ti aspetto!» chiusi la chiamata senza aspettare risposta. Le nostre case distavano a dieci minuti di distanza l'una dall'altra, non avrebbe impiegato molto a raggiungermi. 

Lysandre era un buon amico e soprattutto capiva le donne meglio di chiunque altro. Più volte, all'epoca, mi aveva avvertito su Debrah, aveva capito ogni cosa di lei ma io da buon salame avevo deciso di non ascoltare il suo consiglio di allontanarla. 

-

«Caspiterina Cass, apri questa benedetta porta» sentii urlare Lysandre. Evidentemente non avevo sentito il suono del campanello mentre ero perso nel caos dei miei pensieri.

Mi alzai di scatto e scesi le scale, che mi separavano dalla porta di casa, fiondandomi ad aprire.

«Ma insomma! Prima chiami d'urgenza e poi mi lasci gelare fuori... Che comportamenti sono questi?» Mi rimproverò quasi teatralmente, Lysandre, mentre entrava dentro l'appartamento.

«Non ho sentito» risposi semplicemente con il mio solito tono indifferente.

«Sbadato!» disse sarcasticamente mollandomi un ceffone dietro la testa. «Ora saresti così gentile da rendermi partecipe del motivo per il quale mi hai fatto giungere qui, in piena notte, disturbando la mia quiete?» aggiunse accomodandosi sul divano situato nella stanza adiacente all'entrata. Lysandre aveva sempre avuto un linguaggio fuori dall'ordinario sebbene non lo usasse in tutte le occasioni; a volte preferiva utilizzare il linguaggio comune a tutti i giovani per non inscenare il ruolo dello strambo. Aveva un talento straordinario nel cambiare in base al posto in cui si trovava. A me dopotutto piaceva così com'era; originale nel suo modo di parlare e vestire. 

Mi sedetti sul divano di fronte a quello in cui si era accomodato il mio amico in modo da poterlo guardare negli occhi, presi un po' di coraggio dal sospiro che emisi e mi ritenni pronto per parlare di lei. Lysandre sapeva della mia sorta di amicizia con quella ragazzina, ma non sapeva proprio tutta la storia. 

«Ecco, sì... Lys, hai presente la mia vicina di banco?» risultai banale ma non riuscivo a pronunciare il suo nome ad alta voce. 

«Ti sembro così sventato da non ricordare una compagna di classe?»

Corrugai la fronte «Sventato?!?» 

«Sì Cass, sinonimo di smemorato, sbadato, distratto, avv...» sollevò le sopracciglia in segno di stupore per ciò che sapeva pensassi di lui. Insomma, perdeva il suo quaderno delle poesie ogni tre per due era normale pensare fosse smemorato.

«Ho capito, ho capito» mossi entrambe le mani verso di lui facendogli segno di fermarsi «non ho bisogno di un intero vocabolario per capire. Solo... potresti parlare meno...»

«Eruditamente?» 

«L'avrei detto in altri termini, ma sì. E a meno che tu non voglia spiegarmi il significato di ogni parola, dovresti adattarti un minimo» cercai di spiegarmi senza offenderlo. Apprezzavo il suo modo di essere, ma a volte era davvero difficile seguirlo nei discorsi e quel giorno finalmente trovai il coraggio di comunicarglielo. 

«Perfetto! Con voi plebei è così difficile dialogare...» sbuffò, si portò la mano sulla fronte e scosse la testa rassegnato. «Allora? Vuoi deciderti a parlare o devo venire lì e strapparti le parole dalla bocca? Ti assicuro non sarebbe piacevole!» cercò d'imitarmi nel tono di voce e nei modi. Si era adattato a me, letteralmente. 

Risi e subito dopo confidai i miei pensieri «Mi tartassa la mente» dissi tutto d'un fiato, non fui neanche sicuro di esser stato sentito dal mio amico.

«Come, scusa? Puoi ripetere meno velocemente?» i suoi occhi eterocromatici mi scrutarono attentamente cercando di capire cosa mi turbasse.

«Non riesco a smettere di pensarla e non ne capisco il motivo. Continuo a paragonarla a Debrah, a contare i loro tratti simili e diversi. Prima le ho persino mandato un messaggio di mia spontanea volontà... Io, io che scrivo a qualcuno, capisci quanto è strana la cosa? In più continuo a fottermi il cervello cercando di capire per quale motivo non avrebbe dovuto dirmi che frequenta dei ragazzi. Siamo quasi amici, no? È il minimo confidarsi. Allora perché non l'ha fatto?» se dapprima non avevo alcuna intenzione di aprire bocca, in quel momento invece il nervosismo mi fece avere la reazione contraria e cioè quella di parlare, anche troppo. Non mi era mai accaduto prima di allora.

«Quel quasi amici sta per scopamici o...»

«Quasi amici e basta! Lei non...»

«Siete stati a letto insieme, Castiel?»

«Ma cos'è un interrogatorio? Smettila con tutte queste domande, m'irriti cazzo! La risposta è NO, comunque» alzai la voce e sfregai le mani sui pantaloni della tuta per il leggero nervosismo. 

«Tra te e lei è successo qualcosa, ne sono sicuro. Ci metterei entrambi le mani sul fuoco che non siete solo "quasi" amici».

«Il punto non è questo! Penso sia diventata un mio chiodo fisso semplicemente perché ancora non sono riuscito a portarmela a letto. Lei è bella... Cazzo se è bella. Ma dopo averci fatto sesso non m'importerà più di lei, sarà come se non fosse mai esistita, sarà soltanto una delle tante. Sarà così vero?» sembrava volessi convincere me stesso di quelle parole; cercai conforto e sicurezza negli occhi di Lysandre, ma il suo sguardo trasmetteva altro.

Infatti scosse la testa «Castiel, lei non è come Ambra. Sebbene voglia dimostrare altro, non è il genere di donna di una notte e basta; si legge nei suoi occhi, fidati. Non usarla, non sporcarla. Anche se ancora non la conosco bene, non sembra meritarlo»

«Lo so, ma fin quando non entrerà nel mio letto non mi rassegnerò. Mi conosco»

«Sbagli! Non voglio accada una storia simile a quella di Debrah... Hai rischiato grosso quella volta, Castiel. Con l'unica differenza che in questo caso quella a subire le conseguenze sarebbe solo e soltanto Miki, non tu. Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te!»

«Non accadrà. È una situazione diversa, questa. Miki non s'innamorerebbe mai di me»

«E chi sarà a deciderlo?»

«Io. Io non le permetterei mai d'innamorarsi di me. E poi per come stanno andando le ultime cose molto probabilmente diventerà la ragazza del segretario delegato, sempre se già non lo è; visto che si ostina a nascondere le cose.. non posso saperlo. Ma in ogni caso non si pone nessun problema. Io me la scopo, lui se la sposa. Semplice!»

«Ed è perché non si pone nessun problema che stai torturando quel povero divano?!» mi derise Lysandre mentre mostrava le mie mani che stringevano con forza la stoffa del divano in cui ero ancora seduto. Non mi ero accorto di star compiendo quel gesto. 

Mollai la presa di scatto come se la stoffa bruciasse e mi appoggiai sguaiatamente, quasi sdraiandomi, sullo schienale del divano. Mi portai le mani al viso e le sfregai sulla pelle. Ero stanco. Lysandre invece di aiutarmi stava generando maggior confusione nella mia mente. Non avrei dovuto chiamarlo.

«Poi addirittura la vedi già sposata con Nathaniel...» 

«Era un modo di dire, scemo!» alzai gli occhi al cielo senza scomodarmi a cambiare posizione per poterlo guardare negli occhi.

«Sai che non è possibile tutto quello che hai detto, sì?»

«Sì che è possibile, invece. Mi basterà una sola volta e poi automaticamente quella ragazzina si cancellerà dalla mia testa»

«Castiel non puoi giocare con i se...»

«So cosa faccio. Smettila di farmi la morale, cazzo!» mi alzai di scatto dal divano e quasi gli urlai contro. L'avevo lasciato parlare abbastanza. Anche troppo.

«Quindi tu mi hai fatto venire fin qui, a notte fonda, per continuare a fare il testardo senza prendere minimamente in considerazione i miei consigli?» restò seduto, non si scompose nonostante il mio evidente nervosismo.

«No, solo...»

«Castiel, smettila di girarci intorno e dì la verità... Ti piace Miki?»

 

 

Nathaniel

Quella sera avevo ammesso a Miki che mi piacesse, per la prima volta avevo lasciato prevalere l'istinto sulla ragione. Avevo passato quasi un mese con la fissazione di volerla allontanare da me per non andare contro il volere dei miei genitori e nello stesso tempo perché lei sembrava essere così lontana da ciò che desiderassi da una storia. Ma non ci ero riuscito. Volevo avvertirla, tenerla lontana da Castiel e convincerla che si dovesse fidare solo di me. Sin da quando la vidi per la prima volta sentii quel bisogno di conoscerla meglio, era strana. Il viso dolce, quasi angelico e il corpo tentatore, da diavolo. Più che altro era il suo modo di metterlo in mostra, sbagliato. Amava farsi guardare ma non conoscere. Non avrebbe mai avuto l'approvazione di mio padre. 

Già, mio padre. Da sempre pretendeva di avere il potere su ogni mia scelta di vita. Fino ai quattordici anni glielo avevo impedito ed ero ribelle, combinavo continuamente guai. Poi qualcosa era cambiata, lui mi aveva trasformato facendomi diventare il ragazzo apparentemente perfetto, quello che ogni mamma sognava di vedere affianco alla propria figlia. 

Avevo capito di dovermi correggere dopo aver passato un mese rinchiuso in una stanza. Mio padre aveva progettato una specie di camera d'isolamento dove mi segregava ogniqualvolta andassi contro il suo volere. Non potevo vedere e sentire nessuno, capitava specialmente nei mesi estivi, quando non c'era la scuola e quando mi divertivo maggiormente. Lì in quella stanza dove non c'erano nient'altro che libri, dove venivo rinchiuso per assimilare una delle lezioni di vita tipiche di mio padre, dopo aver combinato qualche guaio. Rabbrividii al sol ricordo. Tante, troppe volte avevo sentito mia madre liquidare i miei amici che venivano a chiamarmi per uscire. Pretendevano di controllare persino le mie amicizie e Castiel non era di certo il tipo di amico consentito da loro, così pian piano anche lui mi aveva abbandonato. Non aveva afferrato il motivo per il quale dovessi allontanarmi da lui, capendo invece cose sbagliate e credendo a storie false soprattutto legate alla sua ex ragazza. Ma era andata in quel modo, non potevo mutare il corso degli eventi sebbene lo avessi voluto. Il rosso era un tipo testardo, non mi aveva mai permesso di spiegare la storia dal mio punto di vista. Ed io dopo Castiel ero rimasto da solo, senza nessuno. Isolato, in quella stanza chiusa a chiave da mio padre, con la compagnia dei libri. Erano diventati loro i miei migliori amici. Degli oggetti inanimati. Ero messo male. 

Ma dopo quell'esperienza capii la lezione. Dovevo comportarmi ed essere come mio padre voleva; era l'unico modo per non essere rinserrato in quella stanza maledetta. Così iniziai ad indossare abiti formali, a studiare diventando l'alunno più bravo di tutto l'istituto e facendo selezionare a mio padre ogni mio ipotetico amico o ragazza. Con quelle regole ferree impostate da me stesso ed implicitamente anche da mio padre, passai due anni senza mettere mai più piede nella camera d'isolamento. Ero libero in un certo senso. Fino a quel momento solo Melody aveva passato la selezione di mio padre, così mi ero affezionato a quella ragazza per davvero. Era stata il mio unico appiglio, l'unica boccata d'aria fresca concessami oltre lo studio. Anche lei proveniva da una famiglia simile alla mia, i nostri genitori erano amici e avevano previsto già il nostro futuro. Dovevamo sposarci, io avrei ereditato la società finanziaria di mio padre, e lei avrebbe impiegato il suo tempo ad accudire i nostri tre figli nella nostra villa parigina. Già, lui aveva persino deciso quanti figli dovessi avere. 

Stessa cosa non accadeva invece per Ambra, mia sorella. Lei era sempre riuscita a sfuggire al loro controllo, era stata brava a non far capire ai miei genitori che frequentava compagnie sbagliate, ma forse era semplicemente mio padre a farglielo credere. Forse da lei non pretendeva quanto esigeva da me. Lei era donna. Dopo aver conseguito il diploma avrebbe trovato un marito benestante e non avrebbe dovuto fare nient'altro. Ma restava ugualmente una vita triste quella di non poter decidere per sé stessi. 

E se per una volta pensassi e decidessi cosa vorrebbe realmente il mio cuore? E se volessi iniziare proprio da Miki, se volessi frequentare una ragazza che andrebbe contro l'approvazione di mio padre, sarebbe un male?

 

 

Miki

La mattina seguente non seppi neanche come riuscii a raggiungere il Dolce Amoris, avevo la mente completamente annebbiata dall'ansia. Non sapevo come avrebbe reagito Castiel davanti a quella dimostrazione d'affetto, non avevo idea di come avrebbe reagito il resto della scuola. Mi avrebbero commiserata, compresa, sarebbero rimasti sorpresi, dispiaciuti, si sarebbero immedesimati? Avevo sempre temuto il giudizio altrui, sapevo parlassero tutti in continuazione del mio fisico e soprattutto del mio modo di metterlo in mostra, ma nessuno -né in Italia, né in Francia- aveva mai parlato della mia vita, del mio passato perché non lo avevo mai svelato prima d'allora. Ed era quella circostanza a preoccuparmi oltremodo. 

Quando misi piede dentro scuola non mi accorsi degli sguardi puntati su di me, ma solo del fatto che nessuno mi avesse gettato un giornalino in pieno volto, come invece era accaduto qualche giorno prima -con il precedente articolo- grazie a Castiel. 

Mi diressi verso uno scaffale colorato situato al centro del corridoio, dove venivano distribuiti i giornalini, e ne presi uno tra le mani. 

Image and video hosting by TinyPic

Quando guardai la foto in copertina di una me in lacrime indietreggiai e lasciai cadere il giornalino ai miei piedi di mia spontanea volontà, come se fosse troppo scottante per riuscire a tenerlo tra le mani. Quando era stata scattata quella foto? Ma soprattutto da chi? Non volevo credere al fatto che Peggy avesse approfittato di un mio momento di debolezza per scattarla ed avere qualcosa di particolare per il suo maledetto articolo, ma era evidente fosse stata scattata proprio nel momento in cui le stavo confessando il mio passato. Era una ragazza senza cuore e opportunista. Schifosa!

Mentre arretravo, inciampai su qualcosa -che non potevo vedere perché di spalle a me- e non persi l'equilibrio solamente perché l'oggetto mi tenne stabile. 

«Dovresti guardare dove cammini» sussurrò una voce al mio orecchio, mentre delle mani si posarono sui miei fianchi per sorreggermi. Era la sua voce; erano le sue mani. D'istinto chiusi gli occhi ed il battito del cuore aumentò. Il suo respiro soffiava sul mio collo mentre parlava ed automaticamente rabbrividii.

Non volevo voltarmi, non volevo spostarmi, ma lo fece lui al posto mio. Si posizionò davanti la mia figura e scoppiò a ridermi in faccia. Corrugai la fronte, non capivo quel suo cambio improvviso di tono. 

«Ragazzina...» riuscì a dire solo tra le risate. Poi prese il giornale che precedentemente avevo gettato sul pavimento e me lo porse; lo afferrai guardandolo sbigottita e senza fiatare.

«Non avresti dovuto farti scattare questa foto.. Ti sei vista? Il piantolino non ti dona!» mi schernì senza preoccuparsi di capire per quale motivo mi fossi messa così tanto in ridicolo. 

E fu in quell'attimo che non vidi più niente. 

«Senti, tu» puntai il dito indice contro il suo petto «fottutissimo bastardo. Pensi sia stato facile raccontare la mia storia a tutta la scuola? Pensi sia stata io a farmi scattare questa foto?» alzai il giornale che ritraeva il mio volto sofferente e lo attaccai quasi alla sua faccia «Pensi l'abbia fatto per farmi commiserare o mettermi al centro dell'attenzione? Ti sbagli!» mi avvicinai maggiormente a lui digrignando i denti «perché io l'ho fatto solo per te, per salvarti il culo, per far sì che Peggy ritirasse le accuse contro di te. E tu che fai? Invece di ringraziarmi guardi la mia faccia di merda?!»

«Nessuno ti ha chiesto niente. Ciò che hai fatto, l'hai fatto di testa tua. Non devo proprio ringraziare nessuno!»

«Te lo dico con tutto il cuore: vaffanculo Castiel!» dopo quelle ultime parole, lo guardai di sbieco, feci urtare la mia spalla con la sua volutamente e lo superai dirigendomi verso un posto qualunque, bastava fosse lontano da lui. Volevo stare in solitudine, piangere, urlare senza esser disturbata. 

«Che delusione!» sospirai mentre salii le scale verso una meta indefinita. I miei piedi camminavano da soli senza essere in comunicazione con il cervello. Quando arrivai all'ultimo piano della scuola non sentii più alcun brusio, finalmente ero isolata dal resto del mondo come desideravo.

Alla fine delle scale mi si presentò davanti una porta mastodontica ed in ferro, l'aprii per curiosità e davanti a me si rivelò un enorme terrazzo. Era parte del tetto della scuola ma adibito a balcone; composto da mattonelle grezze bianche e da ringhiere non troppo alte ai bordi. 

Mi avvicinai alla fine di quello spazio grande e guardai il panorama cercando di calmarmi, senza però riuscirci. Mi lasciai cadere sul pavimento e con tutta la rabbia posseduta in corpo lanciai il giornalino, che tenevo ancora stretto tra le mani, verso la porta ma questo non cascò atterra. Alzai il volto cercando di capire dove fosse finito e compresi tutto. 

Davanti a me si presentò la figura di un Lysandre con una mano impegnata a massaggiarsi il volto e l'altra intenta a tenere il giornale. Avevo colpito lui con il mio lancio d'ira. 

«Sc-scusa non sapevo ci fossi tu...» cercai di scusarmi.

«Ehi no, no tranquilla. È tutto apposto. In realtà sono qui per chiederti scusa da parte di Cas...» non lo lasciai finire di parlare.

«Se sei venuto qui a parlarmi di lui, ti risparmio la fatica. Non voglio più sentire neanche il suo nome, quindi ti sarei grata se smettessi di...» fu il suo turno d'interrompermi. 

«Sai? Lo conosco sin da piccolo ed è sempre stato un tipo strano e testardo. Quando si trova in situazioni imbarazzanti o quando viene aiutato non sa riconoscerlo, non riesce a ringraziare e quindi le uniche parole ad uscire dalla sua bocca sono cattiverie» continuò tranquillamente a giustificarlo come se in precedenza non gli avessi vietato di parlarmi di lui. Poi si accomodò affianco a me iniziando a scrutarmi. 

«Se hai intenzione di continuare a giustificarlo, lascia perdere. Io non me le bevo queste balle. Puoi andare da Ambra o dalle altre amichette che si scopa, loro forse crederanno alle tue barzellette su di lui!» lo guardai duramente incrociando le braccia. 

Lui di rimando sorrise, come se avessi appena raccontato una novelletta comica. Mi spazientì. 

«Che c'è da ridere ora?»

«Niente! Me l'aveva detto fossi una tipa tosta. Ed io avevo ragione...» 

Castiel gli aveva già parlato di me? E per quale motivo?

«Ragione per cosa?»

«Voi due siete opposti e nello stesso tempo simili per degli aspetti caratteriali. Ora capisco perché battibeccate sempre»

Opposti ma simili; era mai possibile questa cosa?

«Non credo proprio. Io non sono così testa di cazzo come lui» sostenni seria. 

Scoppiò a ridere, poi continuò «entrambi avete sofferto in passato, entrambi mantenete gli altri a distanza, non volete innamorarvi, entrambi aggredite per nascondere la verità...»

«Tu non mi conosci!» 

«Ho forse detto qualcosa che non ti accomuna a lui nell'elenco che ho appena fatto?»

Non risposi. Aveva indovinato, ma era stata semplice fortuna. 

«Non vorrei essere affrettato, ma io penso che così facendo finirete per innamorarvi l'uno dell'altra.»

Strabuzzai gli occhi ed arrossii davanti all'ultima affermazione. Una fitta allo stomaco mi fece sussultare. Non sarebbe mai accaduto. Io e Castiel eravamo incompatibili sebbene simili come ci aveva definiti il suo amico. Era impensabile una coppia come me ed il rosso. E poi... io non potevo provare sentimenti, per nessuno. 

«Mi dispiace deludere le tue aspettative, ma no, non accadrà mai. Con oggi è finita anche quel briciolo di amicizia che c'era tra di noi. Ed io non ho più intenzione di rivolgergli la parola! Quindi...» sostenni convinta. Non meritavo quel suo trattamento dopo aver fatto di tutto per aiutarlo, non meritava la mia amicizia e devozione. 

 «Sì, certo...» mi schernì. 

Poi si alzò porgendomi la mano che rifiutai.

«Ce la faccio anche da sola, grazie!» sapevo fosse stato gentile nei miei confronti a preoccuparsi del mio stato d'animo, ma in quel momento ero in collera con il mondo intero e non riuscii a trattarlo diversamente. 

«Anche nelle risposte siete simili» concluse facendomi l'occhiolino e riferendosi al discorso trattato fino a qualche minuto prima. Non aggiunse altro, con un cenno della mano mi salutò scomparendo oltre la porta di ferro. Mi lasciò interdetta, senza alcuna capacità di riflettere ancora su quell'argomento.

All'improvviso lo sguardo mi cadde sul famoso giornalino, poggiato precedentemente da Lysandre su un muretto di quella terrazza. Lo presi e senza guardare ulteriormente il mio volto orribile in copertina, andai direttamente all'articolo che mi riguardava.

Lo lessi...


RICCA DI SOLDI, POVERA DI SENTIMENTI 

Cosa c'è di meglio della verità? Finalmente questa ragazza per la prima volta racconta la sua vera storia, senza filtri e in esclusiva solo per noi del dolce journal. Per quest'articolo mi limiterò a riportare le stesse parole confessatomi qualche giorno fa dalla protagonista Miki Rossi. Buona lettura!

"I miei genitori si sono conosciuti in Italia, mia mamma si chiamava Teresa, era di Roma e proveniva da una famiglia di calzolai. Mio padre si chiamava Luis, era di Parigi e proveniva da una ricca famiglia di avvocati. Il nonno paterno non era un semplice avvocato, ma era l'avvocato delle persone famose. Trasmise la stessa passione per le leggi a mia zia Kate (la persona con cui vivo ora qui a Parigi), lei era una figlia modello, aveva ottimi voti a scuola e giuste amicizie. Lo stesso, invece, non si poteva dire di Luis. È stato sempre lo scapestrato di famiglia. Era cullato dal fatto che avesse a portata di mano ogni cosa desiderata senza alcuno sforzo. A stento si diplomò, ma quando ci riuscì i genitori furono fieri di lui. Come premio per aver terminato la scuola dell'obbligo, i bravi genitori lo mandarono in vacanza in Italia. E fu così che conobbe Teresa. Una sera in un bar, un colpo di fulmine, s'innamorarono sin da subito. Tant'è che presi dalla foga dei loro primi momenti insieme, fecero l'amore. Successe una sola volta, ma quella bastò per far restare incinta Teresa. Luis, felice e convinto di voler passare il resto della sua vita con Teresa, lo comunicò ai suoi genitori, che però non presero bene la notizia e per non subire uno scandalo nell'alta società, decisero di mantenere economicamente lui e la ragazza in Italia. Proprio il giorno della mia nascita: il 24 aprile del 1998, i nonni morirono in un incidente, mentre si stavano recando in Italia per vedermi; perché nonostante tutto ero la loro prima nipote e volevano conoscermi. Così già dal primo giorno si poté capire che la mia nascita non era gioia, ma una condanna per i miei genitori. Luis di lavorare, non ne voleva sapere. Così Teresa pensò che l'unico modo per avere un guadagno facile senza doversi allontanare troppo da me fosse quello di prostituirsi. Con vari agganci e conoscendo le persone giuste divenne il divertimento degli uomini famosi. Trasformò una stanza della nostra casa in una specie di camera d'incontri, e lì vedevo entrare e uscire uomini che il giorno prima magari avevo visto in un film, in un concerto, in un programma televisivo. Luis in tutto questo cosa faceva? Andava in giro per i locali a bere e spese gli ultimi soldi lasciategli dai genitori per drogarsi. Quando avevo sei anni però la mamma s'infatuò di un cantante, suo cliente e, stanca di mio padre ed evidentemente anche di me, scappò con lui facendo perdere le sue tracce. Di lei d'allora non ebbi più notizie. Credo sia ancora viva, ma poco importa. Invece mio padre, due anni dopo la fuga della mamma, morì di overdose. Da quel giorno zia Kate divenne il mio tutore legale. Quindi non esistono genitori che viaggiano in giro per il mondo, non esiste nessuna famiglia felice nella mia vita. Questa è la mia vera storia!"


Fui sollevata dal fatto che perlomeno Peggy si fosse attenuta agli eventi raccontati da me, non aveva connesso falsità come era solita fare; ma d'altronde cosa avrebbe potuto aggiungere ad una storia già catastrofica di per sé? Sapevo bene che dietro quell'articolo di giornale ci fossero altre verità sulla mia vita, ma non potevo raccontare ogni cosa, non ci sarei mai riuscita. Già solo leggere sincerità in quella mia confessione fu difficile. Sentivo un brivido salirmi lungo la schiena per ogni frase rivelata e non fu entusiasmante. Avevo levato una delle mie maschere troppo velocemente con persone quasi sconosciute e avrei voluto maggiore gratitudine almeno da parte di Castiel, credevo di meritarla. Sebbene non fosse un dato sicuro quello di vedersi eliminato totalmente la pena, almeno avevo contribuito a salvargli il sedere, e mi sarei aspettata una reazione differente da parte sua. 

Non giustificai il suo comportamento neanche dopo la mia chiacchierata con il suo amico. Non era cambiato nulla. Era intollerabile.

 

 

Castiel

Ero stato uno stronzo fottuto deficiente. Avevo rovinato il bel gesto di Miki solamente per la mia incapacità di ringraziare e tenere la bocca chiusa. Era stato inaccettabile il mio comportamento. Per quella ragione -dopo la nostra discussione- avevo deciso di mandare Lysandre a rabbonire la ragazza dal passato disastroso. 

Ma ci stava impiegando troppo tempo. E se fosse accaduto qualcosa di brutto? Avevo mandato un messaggio al mio amico chiedendogli se stesse proseguendo tutto per il meglio, dopo che lui mi comunicò il luogo dove si trovavano, ma non ricevetti nessuna risposta. Fui tentato di raggiungerli, ma per una volta ragionai prima di agire e restai col sedere incollato alla sedia scomoda di quella classe. 

Il professore di matematica iniziò la sua prima ora di lezione dopo aver chiamato l'appello; per la prima volta nella vita mi preoccupai persino di avvertire che Miki e Lysandre fossero temporaneamente fuori e che sarebbero rientrati a breve. Mi ero aggiudicato le occhiate sorprese di alcuni miei compagni di classe che mi preoccupai ovviamente d'incenerire con lo sguardo per far capire loro di non fiatare sul fatto appena accaduto. Era un evento unico ed irripetibile sentire un Castiel Black giustificare o preoccuparsi per una ragazza qualunque e conosciuta da un mese, lo sapevo bene. Ma nessuno doveva interferire. 

Dopo qualche minuto Lysandre giunse in classe senza Miki. Comunicammo tramite occhiate e messaggi, rimandando all'intervallo la spiegazione dettagliata del loro dialogo. 

Dopo circa dieci minuti sopraggiunse in classe anche Miki. Tacchi, minigonna ed un profumo inconfondibile nell'aria già prima che lei si sedesse di fianco a me. Non mi rivolse né uno sguardo, né un gesto, né uno schiaffo. Avrei preferito di gran lunga quest'ultimo al suo silenzio. Odiavo essere ignorato. E odiavo ancor di più non poterla avere. 

-



Miki; due mesi dopo

In tre mesi di permanenza a Parigi pian piano ero rimasta sola, più sola di quanto avrei mai immaginato. Di mia spontanea volontà avevo ripreso a chiudermi nel mio guscio, ad indossare nuovamente tutte le maschere allontanando coloro che invece avevano intenzione di starmi vicino. Volevo restare sola, come mi ero programmata dall'inizio. Stavo bene isolata da ogni essere umano. 

Parlavo a stento con tutti a scuola e persino a casa con zia Kate. Dopo avermi rivelato di avere una relazione con il padre di Castiel non riuscivo a fidarmi pienamente neanche di lei. Quella relazione andava avanti da troppo tempo, credevo mi raccontasse tutto della sua quotidianità; ma visto il mio errore nel versare troppa fiducia in lei, avevo deciso di non aggiornarla più sulla mia vita al di fuori della nostra casa. Giocavo le sue stesse mosse. Tra l'altro da qualche giorno mi aveva comunicato che Castiel non sapesse ancora nulla del divorzio dei suoi genitori. Questo peggiorò del tutto il nostro rapporto. Quando me lo disse urlai come una matta e mi chiusi nella mia stanza con l'intenzione di non rivolgerle la parola per molto tempo; infatti da quella discussione l'avevo allontanata da me ancora di più. 

E Castiel? Beh lui aveva tentato di riavvicinarsi a me, aveva cercato di parlarmi, di scherzare ma non c'era stato verso. Ero diventata immune alle sue battute, immune a lui. Due mesi prima avevo cercato di aiutarlo e lui mi aveva ripagata deridendomi e innervosendosi. Avevo raccontato la mia storia, mi ero annullata per lui, ma non aveva apprezzato i miei sforzi... Quindi che senso avrebbe avuto una nostra amicizia? Eravamo incompatibili, due calamite pronte a respingersi in continuazione, ed ero stanca. Perlomeno grazie a quell'avvenimento avevo aperto gli occhi. Non potevo essere amica di nessuno perchè prima o poi mi avrebbero ferita, era scritto nel mio libro del destino. Quindi tanto valeva stare sola già in partenza, senza correre alcun pericolo.

Nathaniel, invece, era sempre gentile con me; dopo quella sera di due mesi prima era cambiato nei miei confronti e ne fui contenta. Ma ovviamente avevo allontanato anche lui. Non avevo bisogno del tipo di rapporto che pretendeva da me e di conseguenza non potevo dargli ciò che desiderava. 

Ogni tanto parlavo con Peggy che mi aggiornava sulle novità della procedura di ritiro delle accuse nei confronti di Castiel e per fortuna, una settimana prima, mi aveva avvertita si stesse concludendo tutto per il meglio. Vero, non avrebbe dovuto interessarmi più quella faccenda ma sapere che i miei sforzi fossero stati utili per qualcosa di concreto, mi gratificava. Sebbene Castiel non lo meritasse, ovvio.

-

Quella era una tipica ed ordinaria giornata d'inverno fin quando la preside non interruppe tutte le lezioni per comunicarci un avviso importante, tramite gli altoparlanti posti sopra le porte di ogni aula scolastica.

«Studenti e Studentesse del Dolce Amoris, come già saprete sta per arrivare il Natale. Quest'anno la scuola organizzerà qualcosa di speciale per voi; IL BALLO DI NATALE. Ebbene udite: il ballo non si terrà all'interno della scuola, ma davanti la Tour Eiffel. Posso comunicarvi con grande orgoglio di aver già avuto il permesso ad organizzare ogni cosa alla perfezione. Sarà un evento aperto a tutti, non solo agli studenti di quest'istituto. Ciascuno di voi sarà obbligato ad esserci con o senza accompagnatore. Prenderemo le firme e, visto che quest'evento sarà anche occasione di vetrina per la scuola, dovete essere tutti presenti. Non cercate di fare i furbetti, dovrete firmare l'ora di entrata e di uscita, chi commetterà irregolarità avrà ripercussioni gravi sul rendimento scolastico. Mi aspetto da voi: vestiti di gala e compostezza per questo giorno speciale. Maschietti, parlo con voi: da questo momento in poi, potrete invitare la ragazza che più vi piace. Apriamo a Dicembre la stagione dell'amour... Alla fine della serata, sotto le luci della romantica Tour Eiffel, saranno eletti il re e la reginetta del ballo. Cosa aspettate?! Preparatevi al meglio. Voglio vedere solo perfezione quella sera!»

Per poco non rigettai la colazione mangiata qualche ora prima. Il ballo di Natale. La stagione dell'amore. Ma per favore... solo una scuola dal nome ridicolo come il Dolce Amoris poteva inventarsi una smanceria simile.

Ovviamente avrei dovuto partecipare obbligatoriamente; la preside era stata chiara. Sperai invano sulla presenza di bevande alcoliche ma in cuor mio sapevo fosse impossibile. 

Avrei accettato e voluto solo l'alcol come mio accompagnatore.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** CAPITOLO 10: Al ballo di Natale, come Cenerentola ***


Capitolo 10

Al ballo di Natale, come Cenerentola






Nelle settimane precedenti il ballo di Natale nulla mutò. Nella mia quotidianità non ci fu alcuna novità. Gli unici miei dialoghi pacifici avvenivano con Nathaniel, Lysandre e Rosalya con la quale avevo scoperto di avere molte cose in comune. Eppure con nessuno dei tre riuscivo a sbilanciarmi. Continuavo ad avere la convinzione che tutti prima o poi mi avrebbero voltato le spalle, mi avrebbero ferita o addirittura usata per qualche losco scopo. Sapevo che non tutti fossero come Castiel o Ciak, ma non riuscivo proprio a fidarmi pienamente di nessuno e sebbene qualcuno mi dimostrasse cordialità o lealtà io continuavo con la mia testardaggine ad utilizzare la mia corazza d'indifferenza come difesa. 

Nathaniel, mesi prima mi aveva fatto intuire di piacergli, ma visto e considerato che non riaprì mai più l'argomento -nonostante ne avesse avuto occasione- pensai di aver capito male quella sera di Ottobre ormai lontana. In Italia i ragazzi a cui piacevo si erano sempre e solo limitati a commentare sgarbatamente qualche parte del mio corpo esposta dai vestiti poco casti. Sapevo di poter generare quei tipi di commenti, ma poco interessava. Quella era la mia maschera e grazie ai miei vestiti riuscivo a recitare, a mentire, a non ferirmi, quindi non mi lamentavo delle reazioni suscitate nei ragazzi. Ma nessuno prima d'allora, prima di Nath, aveva mostrato quel genere d'interesse nei miei confronti, sembrava quasi che riuscisse a guardare aldilà dell'apparenza e delle mille maschere, sembrava mi leggesse dentro; infatti ero rimasta lusingata dalle sue parole anche se sapevo di non poter ricambiare perché incapace di avere un qualsiasi tipo di relazione con lui o con qualsiasi altro ragazzo. Il biondo non sembrava essere il tipo da relazioni di solo sesso, quindi di conseguenza non poteva interessarmi. 

Castiel... Castiel invece pareva essere tipo da quel genere di relazioni e più volte avevo pensato a lui sotto quel punto di vista, ma la situazione si era complicata ed era meglio lasciar perdere. Con il rosso mi limitavo ai semplici dialoghi necessari tra due compagni di classe costretti ad essere vicini di banco. Le prime due settimane dopo l'uscita dell'ultimo giornalino -che raccontava la mia storia- aveva cercato di stuzzicarmi con le sue battute orribili ma non vedendo alcuna risposta o cambiamento da parte mia, aveva gettato la spugna lasciandomi perdere ed iniziando a trattarmi con indifferenza come faceva con ogni persona del genere femminile o maschile che non fosse Lysandre. Perché io non ne valevo la pena. Non ero poi così importante o speciale per lui come invece tutta la scuola, mesi prima, ostinava ad affermare. Ero entrata nel suo cerchio di amicizia ristretto, ero stata privilegiata, ma poi avevo deciso di mia spontanea volontà di uscirne e lui non aveva poi chissà quanto insistito per riavermi come amica. Non sarei stata in grado di riparare un mio eventuale cuore rotto, con Castiel c'erano alte probabilità che sarebbe accaduto. Mi aveva baciata, sedotta, derisa, presa in giro, il tutto nel giro di un mese, io gli avevo lasciato fare ogni cosa senza muovere un dito ed era grave per una come me. Mai, mai mi ero lasciata avvicinare da un ragazzo come avevo lasciato fare a lui; mai il mio cuore, la mia mente e il mio corpo avevano bramato le labbra e il fisico di un ragazzo come invece era accaduto con Castiel e questo non potevo permettermelo. Quindi addio Castiel e addio quasi amicizia con lui. 

-

Nella settimana precedente la vigilia di Natale i normali studenti di ogni liceo del mondo potevano iniziare a godersi le tanto attese vacanze invernali, ma ciò non accadeva per gli studenti del fantastico e strabiliante liceo Dolce Amoris. Tutti gli alunni effettivamente iscritti in quella scuola furono, infatti, costretti a recarsi ogni giorno, con propri mezzi, nel luogo dove si sarebbe tenuto il famoso e tanto atteso ballo per aiutare ad organizzare ogni cosa alla perfezione come continuava a sostenere la preside. Da settimane ormai, avevo iniziato ad odiare la parola "perfezione", la sentivo ripetere di continuo da chiunque, era snervante. 

Ogni giorno il Professor Faraize nonché vicepreside della scuola, si occupava di far firmare ogni alunno all'entrata e all'uscita di quel posto. Davamo l'impressione di essere degli imputati sottoposti all'obbligo di firma, ma dettagli. 

Con la Tour Eiffel facente da sfondo romantico, ogni giorno avevo assistito almeno ad un ragazzo che s'inginocchiava davanti ad una ragazza invitandola al ballo; se quell'ultima rispondeva affermativamente le veniva dato un bracciale con un fiore dello stesso colore della spilla posseduta dal ragazzo che si era proposto a lei. Ridicolo. Non la proposta, quella era anche carina, ma non riuscivo a capire il senso di quel fiore donato alle ragazze; lo vedevo come segno di possessività, come avvertimento a chiunque altro ragazzo che quel territorio era già stato marchiato. Quasi come se le donne in questione fossero un trofeo da mostrare, un semplice oggetto da collezione. Schifoso; ancor di più perché quei maledetti bracciali e spille di fiori venivano donati dalla scuola.  

Nella mia classe, all'opposto, era stata ribaltata ogni tradizione. Erano state le donne ad invitare i ragazzi. Ambra -della quale avevo scoperto da poco essere la sorella gemella di Nathaniel- aveva chiesto a Castiel di accompagnarla al ballo davanti a gran parte della scuola. Mossa sbagliata. Se avesse conosciuto bene il rosso avrebbe dovuto sapere quanto odiasse quei gesti plateali e soprattutto pubblici. Infatti il ragazzo, da convinto orgoglioso qual era, aveva liquidato la proposta di Ambra con un NO secco per di più mandandola a quel paese. Ma la bionda dopo la terribile scena non si era scomposta neanche davanti alle risate e prese in giro degli spettatori alla scena; aveva sorriso falsamente continuando ad aiutare l'organizzazione del ballo come se quel rifiuto non fosse mai avvenuto. Anche Melody, per evitare il pericolo che Nathaniel invitasse la sottoscritta, anticipò ed eliminò ogni tradizione o romanticheria invitando il biondo. Perlomeno lei era stata maggiormente riservata rispetto ad Ambra, facendo la fatidica domanda quasi a bassa voce ma nonostante quella scelta da apprezzare, Nathaniel non le aveva risposto affermativamente e né aveva rifiutato. 

Per quanto riguarda la sottoscritta, beh... non avevo ricevuto nessuna proposta. Ma ringraziai il cielo per quella vicenda, non sarebbe stato gentile o facile rifiutare un ipotetico ragazzo. Sapevo bene che dal ballo sarebbero sorti altri tipi di pretese ed io non ero pronta né ad appuntamenti e neanche ad un eventuale rapporto di solo sesso sebbene fino a quel momento avessi sostenuto il contrario. Mi sentivo tanto, troppo fragile per qualsiasi approccio. 

Per quanto riguarda l'unica persona rimasta della mia famiglia e cioè zia Kate, con lei in quelle settimane avevo avuto una breve tregua dalla guerra, apertasi dopo la sua pretesa di obbligarmi a rivelare la separazione dei genitori di Castiel a quest'ultimo. Kate pareva aver compreso le mie ragioni, per fortuna. 

-

Era il giorno prima del tanto atteso ballo di Natale quando decisi, dopo gli insistenti messaggi mandatami da Rosalya, di uscire dalla confortante casa Rossi per recarmi ad acquistare un vestito decente per la sera dopo. 

Quel pomeriggio presi la MasterCard donatami da zia Kate ed uscii dalla villa con il buon proposito di voler stupire tutti con il mio outfit. Avevo una forte fissazione per i vestiti eleganti ed ampi, Ciak ne sapeva qualcosa, ma non avevo mai avuto occasione d'indossarne uno. 

"Già Ciak... l'ex migliore amico che conosceva quasi tutto di me. Colui che molto probabilmente non avrei rivisto per molto tempo ancora. Colui con il quale non riuscirò mai più a chiarire, a riavere quel rapporto di pura amicizia perché innamorato di me. Sembra quasi impossibile da credere, non avevo mai recepito quei tipi di segnali da parte sua, non mi ero mai accorta di niente, eppure è questa la realtà. Non riavrò mai più indietro il mio Ciak" pensavo mentre l'autobus mi trasportava verso la Leigh Boutique.

Quella famosa Boutique si trovava in centro città, impiegai circa mezz'ora per raggiungerla. Quando scesi dall'autobus dovetti camminare per qualche minuto e fortunatamente riuscii a trovarla senza dover chiedere informazioni. Era un negozio con l'insegna in bella vista e parecchio grande contenente il nome del posto in corsivo e viola. Situato in un palazzo antico ed elegante d'al di fuori apparì ben fornito, me ne accorsi dalle enormi vetrate che facevano intravedere i bei vestiti. Senza attendere ancora entrai e rimasi ammaliata dalla bellezza di ogni cosa. La moquette e le pareti erano sui toni del viola, richiamavano l'insegna posta fuori. Ma la cosa che più attirò la mia attenzione furono ovviamente i meravigliosi vestiti appesi sui manichini e guardaroba in oro. 

«Oh... finalmente ti sei decisa a venire» mi fece sobbalzare la voce armoniosa e allegra di Rosalya. 

Quella infatti era la boutique di famiglia di Leigh, il ragazzo di Rosalya nonché fratello di Lysandre nonché amico di Castiel. Cosa c'entrava ora quella testa rossa?! Per quale motivo mi era venuto in mente?! Sbuffai scuotendo la testa per eliminare quel soggetto dalla mia testa. Non dovevo pensarlo; era acqua passata. 

«Cosa c'è che non va?» mi chiese quasi preoccupata Rose toccandomi la spalla destra e mettendosi di fronte a me. 

«No... nulla. Non ne potevo più dei tuoi messaggi insistenti ed ora eccomi qui» allargai le braccia mostrandomi e finsi un sorriso. Non mi andava di raccontarle di Castiel. 

«Sì certo; continua a fingere pure con te stessa che un bel vestito ti sia indifferente, ma sai di non poterlo fare con me» affermò facendomi l'occhiolino e voltandosi alla ricerca di qualcosa. 

Senza permettermi di replicare afferrò la mia mano e mi trascinò nel reparto dei vestiti da gala, il genere di vestito che avrebbe fatto al caso mio. Restai sbalordita davanti a tutti quei begli indumenti, senza il suo aiuto non sarei stata in grado di scegliere. 

«Più o meno quanto vorresti spendere?» mi chiese pensierosa mentre si portò pollice e indice sul mento spostando gli occhi su vari vestiti. 

 «Non ho un prezzo ben preciso... ma-» non mi fece finire di parlare che subito le s'illuminarono gli occhi, si mise a saltellare sul posto battendo le mani. Era elettrizzata all'idea di potersi sbizzarrire con me e finalmente uscì una risata sincera dalla mia bocca. Era contagiosa quella ragazza. 

Rosalya era un'aspirante stilista, amante della moda, passava il suo tempo libero ad aiutare i genitori del ragazzo e Leigh compreso a gestire il negozio. Con il tempo scoprii di avere tante cose in comune con lei oltre la moda, in più amavo la sua allegria contagiosa ed eccentricità, sarebbe potuta essere un'ottima amica se solo avessi abbattuto la mia corazza. 

Quel pomeriggio c'erano altri commessi, assunti appositamente nel periodo di Natale per la maggior affluenza di clienti nel negozio, e Rose quindi si poté dedicare totalmente a me. L'elemento che contraddistingueva quella boutique dalle altre della città era la produzione propria dei vestiti. All'interno dell'enorme stabilimento, in un reparto apposito, vi erano dei sarti che cucivano qualsiasi tipo di modello o taglia chiesta dal cliente. Sarei diventata loro cliente abituale. Ovviamente per mancanza di tempo mi fece provare dei vestiti già confezionati, in tutto forse venti modelli. In poche parole passammo tutto il pomeriggio nei grandi ed eleganti camerini viola. Scattammo anche qualche foto per ricordo. 

«Finalmente ho trovato una mia simile. Non ti lascerò scappare facilmente, sappilo!» mi confidò tra una prova di vestito e un altro. 

Forse avrei dovuto rivedere le mie regole in fatto di amicizia. Magari avrei potuto fare un'eccezione per lei. Rosalya non avrebbe potuto ferirmi in alcun modo, giusto? 

«Anch'io sto bene in tua compagnia» le sussurrai quasi arrossendo e abbassando il volto sorrisi sinceramente. Non ero abituata a quelle dimostrazioni d'affetto neanche con le ragazze presunte amiche. In Italia ogni ragazza stava ben attenta a non avvicinarsi a me, quasi come se avessi la peste. 

L'unico fattore che non riuscivo a comprendere di Rose era il suo continuo parlarmi di Nathaniel. Sapevo fossero conoscenti di vecchia data. Eppure non erano amici. Lui stesso mi aveva detto di non averne. Evidentemente avevo perso qualche pezzo del puzzle

«Nath non è male nel suo modo di vestire invece, che ne pensi?!» mi chiese dopo avermi parlato dei ragazzi della nostra classe senza alcun senso nello stile.

«Mmm... penso abbia bisogno d'indossare meno camicie bianche. Per il resto se si lasciasse andare di più, sarebbe perfetto!» nell'ultima parte sembrava quasi non stessi parlando del suo modo di vestire ma di ben altro; infatti arrossii di colpo e Rose se ne accorse. 

«Qui qualcuno a quanto pare si è presa una bella cotta per Nathaniel, eh?!» urtò volutamente il mio braccio con il suo gomito più volte per accentuare quello che aveva ammesso. 

«No, ma che dici?!? E' un bel ragazzo, ma non fa per me» cercai di essere sincera il più possibile senza entrare nei particolari, non le avevo confessato di non esser nata per le relazioni. Se l'avessi fatto avrei dovuto raccontare più cose di quelle già pubblicate nel dolce journal e ciò non sarebbe mai dovuto accadere; con nessuno. 

«Se vuoi posso aiutarti, non devi vergognartene. Alcune ragazze della scuola sono pazze di lui, è una cosa normalissima vista la sua bellezza evidente!»

«Non voglio fare colpo su di lui. Davvero n...» mi bloccò iniziando a ridere. Ero diventata un pagliaccio, per caso?!

«Oh credimi, hai già fatto colpo più di qu... Oops!» si tappò la bocca con le mani senza concludere la frase ma continuando a ridere. 

Corrugai la fronte per non esser riuscita a collegare le sue risate a quella strana piega che aveva preso il nostro discorso, ma lasciai perdere. Era tardi. Dovevo tornare a casa. Avevo promesso a zia Kate di aiutarla nelle faccende domestiche. Mi tolsi di fretta l'ultimo abito indossato, stando attenta a non strapparlo e dopo aver indossato nuovamente i miei vestiti, mi diressi verso la cassa a pagare. 

Potevo ritenermi soddisfatta. Avevo trovato il vestito adatto a me.

Rosalya si calmò, mi confezionò il vestito e dopo aver pagato con la mia carta la salutai dandoci appuntamento per la sera dopo, al ballo di Natale. Lei sarebbe stata accompagnata da Leigh, ovviamente. 


*****


Ed ecco finalmente giungere la famosa sera del ballo di cui tutti continuavano a parlare dappertutto. Anche sui social network non si faceva altro che commentare e pubblicare foto di anteprime sui relativi vestiti o cose simili. 

Era il 24 Dicembre ed ogni studente del Dolce Amoris, dal più scettico al più romantico, impiegò l'intero giorno per sistemare alla perfezione ogni aspetto di sé stesso. Dai capelli alle scarpe; dagli accessori al vestito; dalla pedicure alla manicure. Quell'evento venne considerato il migliore dell'anno come accadeva nelle scuole americane per il ballo di fine anno. 

Inizialmente parecchi studenti si erano lamentati perché costretti a doverci partecipare, ma sotto sotto tutti erano curiosi di vedere come si sarebbe svolto. Per quel che avevo capito era il primo anno che la scuola organizzava un evento di quella portata. Per di più davanti la tour Eiffel e non nell'istituto. Il Dolce Amoris, per come mi avevano raccontato, era famoso per l'organizzazione di concerti in cui si esibivano le band del posto, tra cui quella di Castiel; ma mai per balli scolastici o cose del genere. 

Anch'io nonostante inizialmente avessi recepito malamente la notizia del ballo, alla fine -giusto il giorno prima- avevo mutato umore su quell'avvenimento divenendo quasi contenta di parteciparvi. Così iniziai i preparativi nel tardo pomeriggio. Quella sera la maggior parte delle ragazze avrebbero voluto stupire per il trucco e risaltare per i loro vestiti; io al contrario avrei optato e puntato tutto sulla semplicità. Ogni giorno giungevo a scuola con parecchia pelle scoperta e con una consistente quantità di trucco; quella sera invece avevo scelto di non essere provocante, avevo scelto di essere semplicemente me stessa. La vera Micaela Rossi. Ormai tante carte erano state scoperte, parte del mio passato anche, e gli studenti del Dolce Amoris non avevano passato il loro tempo ad insultarmi, o a compatirmi come credevo; più i giorni passavano e più tutto ritornava alla normalità, non ero più la novellina o la ragazza disagiata, orfana. Ero semplicemente Miki, una ragazza caratterialmente riservata e dal modo di vestire eccessivamente provocante. Ero ciò che mostravo, ma nessuno giudicava e fui contenta di giungere a quella conclusione visto che in Italia non era così. 

Visto da un certo punto di vista la sera del ballo di Natale potrebbe aver rappresentato una sorta di prova per me ed il mio modo di mostrarmi. Per una sera avrei mostrato un altro mio lato, l'unico vero, forse. 

Lasciai i capelli ramati sciolti e con i boccoli che cadevano sulle spalle. Optai per un trucco leggero: una sottile linea di matita ed uno strato di mascara nero con i brillantini dorati; sulle labbra applicai un rossetto dal colore naturale. Ero semplice e perfetta, senza alcuna apparente maschera. Sapevo di aver sostenuto il contrario nell'ultimo mese, infatti il fatto di voler cambiare modo di vestire o di trucco, per una sera, non avrebbe significato che avrei lasciato avvicinare maggiormente le persone. Ero convinta potessero ancora ferirmi tutti, nessuno escluso. La mia corazza, quindi, era ancora in piedi ed era possente, parecchio possente. 

Terminato il trucco indossai quell'abito scelto il pomeriggio prima insieme a Rosalya. Stranamente a come ero abituata a vestire, copriva quasi tutte le parti del corpo. L'unico scollo presente era dietro la schiena, la quale restava scoperta poco più della metà. Il vestito era blu con delle sfumature e brillantini arancio tendenti al dorato. Pensavo non stessero bene questi colori insieme, ma dopo aver visto questa meraviglia dovetti ricredermi. Aveva un corpetto strettissimo fino alla vita. Dalla vita in giù la gonna scendeva a campana. Era davvero ampio, un vero e proprio vestito regale oserei dire. Il corpetto fin sotto al seno era color arancio, intrecciato al collo. Il resto del vestito era blu con dei diamanti dorati. Intorno alla vita un fiocco abbelliva e rendeva particolare il tutto. Era incredibilmente perfetto per quella serata. Indossai le scarpe blu e finalmente mi ritenni pronta.

«Bella della zia... vieni qui!» disse quasi commossa zia Kate entrando nella mia stanza. 

Si avvicinò e mi abbracciò. Non mi allontanai da quell'abbraccio, dopotutto avevo esagerato ad aggredirla nei mesi passati. Lei non aveva colpe tranne che per il fatto di essersi innamorata di un uomo sposato. Ma soprattutto di quell'uomo sposato. Non sapevo bene come erano accadute le vicende, ero stata io stessa a chiedere a zia di non raccontarmi niente. Non riuscivo proprio a metabolizzare la realtà; zia Kate aveva contribuito a rovinare la famiglia di Castiel. E già quella verità mi bastava. Ma nonostante ciò non potevo accusarla della codardia di Isaac. Era lui l'unico colpevole, l'unico soggetto senza attributi incapace di raccontare al figlio la questione.  Più della madre, spettava a lui e solo a lui. Lui non era stato capace di trattenersi dal tradire la moglie, lui aveva chiesto il divorzio. Restava il fatto che io non riuscissi a comprendere il motivo per il quale tutti avessero così paura di rivelare la verità al rosso. Insomma... non era un bambino e avrebbe preso la notizia con maturità, giusto? Certo non sarebbe stata facile d'accettare, ma erano pur sempre i suoi genitori quale reazione avrebbe potuto avere? 

«Se avessi la corona sembreresti una vera principessa...» mi destò dai pensieri la voce squillante della zia. La ringraziai mentalmente. Castiel e la sua famiglia non erano problema mio. Non dovevo affliggermi per il rosso; dopo la sua reazione al mio aiuto capii che non ne valeva la pena e dovevo continuare a stare sulla strada dell'indifferenza. 

«Ora non esageriamo! E' già abbastanza questo vestito» risposi ovvia mostrando l'abito ampio. 

«Oh no, no» aggiunse scuotendo la testa «aspetta qui, torno subito!» terminata la frase si allontanò da me scomparendo dalla porta. Non riuscivo a capire cosa le stesse accadendo. Non era mai stata così premurosa, attenta ed emotiva. 

-

«Ecco!» riapparve dalla porta dopo circa cinque minuti con in mano una piccola corona dorata. Sotto i miei occhi sorpresi e increduli la posizionò tra i miei capelli in modo da non permetterle di cascare. «Adesso sì che sei pronta...» lasciò la frase in sospeso, poi poggiò le sue mani sulle mie spalle e mi trascinò verso lo specchio per permettermi di ammirare il lavoro ultimato.

Diedi un'ultima occhiata allo specchio che mostrava la mia figura intera, effettivamente dovetti ammettere che quella piccola corona dava quel tocco di magia in più; era perfetta per quel genere di vestito. Mi sentii una vera principessa per un istante. C'erano però delle differenze ben evidenti tra me e le vere principesse. Le vere principesse avrebbero raggiunto il ballo con una carrozza, un cocchiere, dei cavalli e soprattutto ad aspettarle ci sarebbe stato un principe. Io, invece, il massimo che avrei ottenuto dalla serata sarebbe stato un passaggio in macchina da parte della zia e una sbornia grazie alle bottiglie di alcolici che i miei compagni di classe avrebbero introdotto al ballo di nascosto. Per ovvie ragioni era stata vietata l'intromissione di qualsiasi tipo di bevanda alcolica, ma Alexy e Armin -i due gemelli- avevano sostenuto, più volte, di avere un metodo tutto loro per introdurre l'alcol. Ero scettica sulla riuscita del loro piano, ma pregai per loro affinché non si cacciassero nei guai e riuscissero a presentarmi il mio amato principe azzurro per quella sera, cioè l'alcol. Ovvio. Io stessa non avevo desiderato alcun tipo di accompagnatore se non una bottiglia di un buon liquore fruttato. 

Il suono del citofono interruppe i miei pensieri «Oh! Hanno suonato. Vado io» disse pensierosa zia Kate. Ancora si trovava nella mia stanza, me n'ero quasi dimenticata fosse ancora lì. 

Scesi le scale curiosa di capire chi fosse. Non veniva a farci visita mai nessuno, mi stupii di sentire il suono di quel citofono proprio la sera della vigilia di Natale.

Quando riconobbi l'appartenenza della voce ad una persona di mia conoscenza mi nascosi, dietro un muro per non esser vista, curiosa di ascoltare quella conversazione. 

«S-Salve Signora R-Rossi, ecco... i-i...io sono qui p-per...» balbettante si portò la mano sinistra dietro la testa come usava fare nelle situazioni imbarazzanti. Sorrisi per la tenerezza di quella visione. 

«Calma ragazzo. Respira. Con calma, dimmi tutto» cercò di tranquillizzarlo zia Kate. Tratteneva a stento le risate per l'evidente difficoltà del ragazzo davanti a lei.

«Sì, mi scusi. So che è tardi e s-spero lei non sia già impegnata con qualcun altro m-ma...» Non riuscivo a capire cosa ci facesse davanti alla porta di casa mia. Sarebbe già dovuto essere al ballo e con la sua accompagnatrice, per giunta. Io, perlomeno, sapevo ne avesse una.

«Ma...?» zia Kate metteva ansia. Tanta, tanta ansia. Doveva smetterla. 

Poi smisi di guardare il volto del ragazzo per ammirare il resto del suo corpo. Tra le mani stringeva un bellissimo mazzo di fiori colorato. Indossava un vestito elegante e nero da sera. La cravatta sembrava richiamare gli stessi toni e colori del mio vestito. E non credevo potesse essere una coincidenza. Quel vestito, il mio vestito, era un pezzo unico. 

"Ehi... Un attimo. Ho visto bene?" "Sì che hai visto bene, deficiente. Non sei né vecchia e né cieca!" nella mia mente risuonò la mia stessa voce. Era forse la coscienza di cui tutti i libri parlavano? Stavo diventando matta. "Sì, proprio così. Sono la tua coscienza; sto cercando di farti svegliare, Bella addormentata nel bosco. SVEGLIA!" "Non sto dormendo!" "Oh sì invece, non sei neanche capace di capire l'evidenza!" 

Scossi la testa per eliminare quelle voci e ritornai ad ascoltare la conversazione. 

«M-ma vorrei chiederle se sarebbe disposta a concedermi l'onore di accompagnare sua nipote al ballo che si terrà questa sera...»

"Oh..." 

«Giovanotto, non ti sembra di essere leggermente in ritardo per un invito al ballo che tra l'altro potrebbe già essere incominciato?!?» zia Kate voleva a tutti i costi metterlo in difficoltà.

«Oh... quindi presumo sia già andata o che comunque sia già stata invitata. Sono in ritardo, dovevo immaginarlo» abbassò il volto pronunciando con tono sconfitto quelle parole. La sua dolcezza mi fece sussultare il cuore. 

«Sì, esattamente! Avresti dovuto immaginarlo» scherzò zia Kate, ma lui continuò a non accorgersene.

«Zia, smettila di scherzare» decisi di uscire allo scoperto per porre fine alla tortura di mia zia nei confronti di quel povero ragazzo. 

Appena mi vide spalancò gli occhi, mi guardò partendo dalla testa fino ad arrivare ai piedi e poi arrossì. Quello era il suo modo di dirmi che fossi carina con quel vestito. Vista l'evidente vergogna provata già solo per trovarsi in quella situazione, non avrebbe mai aggiunto altro. 

Ma furono proprio quei suoi atteggiamenti impacciati a spingermi di accettare l'idea di avere un accompagnatore per quella sera. Lui sarebbe stato quello giusto, cercai di convincermi. 

Forse per una sera, dopotutto avrei potuto concedermi uno strappo alla regola. Avrei potuto concedermi un ragazzo biondo che in quel momento ammirava ammaliato la mia figura con i suoi occhi color del miele. Quella sera, dopotutto, avrei potuto concedermi la compagnia di Nathaniel Daniels. Lui lo meritava.  





NATHANIEL

Dopo un mese intero impiegato ad interrogarmi e torturarmi con mille domande senza risposta, alla fine avevo deciso. Dovevo smetterla di avere il terrore di mio padre, di quello che avrebbe potuto fare se avesse scoperto che fossi interessato ad un'altra ragazza diversa da Melody. Lei non occupava più i miei pensieri da qualche mese ormai, ed era giusto che sia Mel che i miei genitori accettassero la mia decisione. E non sarebbe stato fondamentale sapere con certezza se Miki avesse o meno una certa esperienza con i ragazzi o da che genere di famiglia provenisse. Lei mi piaceva per davvero, come non era mai accaduto con nessun'altra. Mi piaceva senza costrizioni e avrei accettato qualsiasi cosa di lei, anche il fatto di non essere il suo primo ragazzo. Sin da quando si era trasferita a Parigi, da quando aveva varcato la soglia dell'aula delegati, c'era stato qualcosa in lei ad avermi colpito e non mi riferivo all'aspetto fisico, ma a quell'aria d'ingenuità e mistero che l'accerchiava. Per una volta decisi di non accantonare le sensazioni positive provate quando lei era nei paraggi, ma di farle prevalere seguendo gli istinti. 

Ero stanco dei comandi impostami da mio padre ed avrei iniziato la mia ribellione proprio grazie a Miki. Lei e solo lei mi spingeva ad avere quel genere di coraggio, senza neppure conoscere la mia storia, lo faceva involontariamente. Dopo aver letto la sua storia sul giornalino di Peggy non potei fare a meno di pensare a quanto avesse sofferto e di conseguenza a quanto meritasse di sorridere, di vivere finalmente una vita serena. Ed io, se solo lei me lo avesse permesso, sarei stato disposto a renderla felice e spensierata. Non conoscevo i suoi sentimenti nei miei confronti, ancora era troppo presto per parlarne; avrei voluto fare le cose con calma, magari chiedendole di frequentarci... E quale occasione migliore per dichiararsi esplicitamente se non il ballo scolastico? Quell'evento era capitato a pennello, avrebbe reso la mia dichiarazione maggiormente romantica. Sapevo di essermi deciso leggermente in ritardo, sapevo che molto probabilmente una ragazza bella come lei avesse già ricevuto altre proposte, ma quella sera mi sentii parecchio positivo. Così decisi di precipitarmi davanti la porta di casa sua per chiederle se fosse disponibile per essere accompagnata al ballo da un semplice ragazzo sbadato e ritardatario come me. Incrociai le dita e pregai che lei fosse ancora in casa. Mi ero impegnato molto ad organizzare tutto per il meglio.

Quel pomeriggio ero stato contattato da Rosalya che mi aveva fatto precipitare al negozio di Leigh, il suo ragazzo, di tutta fretta perché doveva parlarmi. Inizialmente non avevo capito fosse qualcosa legato a Micaela, ma quando mi ritrovai a parlare con lei venni a conoscenza del suo piano. Mi consegnò il mio vestito con una cravatta che a detta sua era coordinata e uguale ai colori del vestito della bella ragazza dai capelli ramati. Poi mi assicurò che Miki provasse un evidente interesse nei miei confronti e che di sicuro quella sera l'avrei trovata a casa senza nessun altro accompagnatore. Ma io avevo imparato a non fidarmi troppo dei miei coetanei, parecchie volte mi avevano giocato brutti scherzi. Quindi eccomi qui, in ansia e in attesa di scoprire la verità, sotto casa sua.

-

Dopo quel brutto scherzo giocatomi da sua zia Kate tirai un sospiro di sollievo. Miki non aveva ancora acconsentito ad essere accompagnata da me al ballo, ma visto il suo sorriso capii di avere buone possibilità. 

Eravamo davanti la porta di casa, lei dentro ed io fuori. Il freddo secco di Dicembre si percepiva sulla mia pelle, ma dopo averla vista nel suo splendido vestito quasi non lo sentii più, anzi al contrario mi sentivo avvampare per l'emozione di averla a pochi passi da me. Quel vestito luccicante le copriva quasi ogni parte del corpo al contrario dei suoi vestiti abituali. Sembrava un essere innocente, come se nessuno mai l'avesse sfiorata prima, un essere troppo prezioso e fragile per questo mondo. Quella ragazza mi confondeva l'anima.  

«Ehm... Hai s-sentito per caso il discorso di poco fa?» le chiesi riferendomi alla proposta di essere il suo accompagnatore per quella sera. 

Lei rispose acconsentendo con la testa senza spiccicare parola. Poi sorrise e finalmente parlò «Pensavo ci andassi con Melody» arrossì ed abbassò il volto.

Anche lei come me parve essere imbarazzata, quasi come se non si fosse mai trovata in una situazione del genere. M'incoraggiai e finalmente decisi di atteggiarmi da uomo qual ero. Non potevo mostrarmi debole, non più, non avrebbe mai accettato di stare con un ragazzo incapace di dialogare con l'altro sesso. 

Approfittandomi del fatto che sua zia ci avesse lasciato soli, mi avvicinai a Miki e le sollevai il volto delicatamente per permetterle di guardarmi negli occhi.

«È te che voglio come mia dama per questa sera, nessun'altra!» le sorrisi e lei m'imito. Mi parve d'intravedere persino i suoi occhi illuminarsi davanti a quelle mie parole sussurrate, ma non ne fui sicuro. 

Dopodiché mi schiarii la voce e, ponendo entrambe le braccia dietro la schiena, assunsi una postura dritta per mostrare maggiormente l'ufficialità di quel momento. «Signorina Micaela Rossi, mi farebbe l'onore di essere la mia dama per questa sera?» m'inchinai e le porsi il mazzo di fiori che tenevo stretto tra le mani da più di mezz'ora ormai. 

Era giunto il momento. Tra qualche secondo avrebbe dato una risposta affermativa o negativa. Mi sentivo l'ansia accrescere ogni istante di più e scaricai tutta la tensione nel mazzo di fiori, quasi stritolandolo. Le mani erano sudate.

Poi la risposta arrivò.





MIKI

Accettai il mazzo di fiori offertomi da Nathaniel, lo posai su un mobiletto situato accanto all'entrata e senza pensare, d'istinto, mi precipitai tra le sue braccia rispondendo affermativamente alla sua richiesta. 

Non avrei voluto pensare a nient'altro per una sera, né al futuro e né alle mie regole. 

Mi voltai per salutare zia Kate ed informarla sulla mia decisione, quando la intravidi dietro lo stesso muro utilizzato precedentemente da me per ascoltare la sua conversazione con il biondo. Quindi intuii fosse a conoscenza già di ogni cosa. Sorrisi e scossi la testa come reazione alla sua tendenza di spiarmi. Ultimamente lo faceva spesso. 

La salutai e, indossando una pelliccia per ripararmi dal freddo di Dicembre, raggiunsi Nathaniel ancora immobile fuori dalla porta.

Uscendo dal cancello della villa mi ritrovai davanti uno spettacolo. Ero incredula. Non riuscivo a credere ai miei occhi. Parcheggiata proprio davanti al mio cancello c'erano una carrozza, un cocchiere e due cavalli bianchi. Strabuzzai gli occhi e spalancai la bocca, dopodiché mi pizzicai la guancia per capire se stessi dormendo, sognando o se fosse tutto vero e a giudicare dal lieve bruciore che sentii sul lato di guancia pizzicato, capii fosse tutto reale. 

La carrozza era totalmente bianca ed in ferro, con quattro ruote enormi. La parte superiore era a forma di zucca, quasi come se richiamasse la vecchia fiaba Disney: Cenerentola che mi ostinavo a guardare quasi ogni giorno da piccola, quando la mia vita e la mia famiglia erano quasi normali. I sedili all'interno erano di velluto rossi. 

Mi girai cercando Nathaniel e lo trovai accanto a me impegnato a fissarmi con un'espressione soddisfatta sul volto. 

«Oh mio Dio, Nath... WOW! Davvero non so che dire. È... È bellissima, meravigliosa, stupenda!» per poco non saltai dalla gioia provata in quel momento. Stava fuoriuscendo la parte infantile e romantica ancora nascosta nella vera Miki. Mi venne spontaneo non recitare dopo quelle dimostrazioni. Lui non rispose, mi sorrise semplicemente.

Ebbi quasi la sensazione che Nathaniel mi conoscesse da molto più tempo, quella sera, era una sensazione inspiegabile forse dettata dal fatto che avesse indovinato molte delle poche cose capaci di stupirmi.

«Principessa Miki, venga la sua carrozza la sta aspettando» mi sussurrò posizionandosi davanti alla mia figura e inchinandosi leggermente; poi mi porse la mano destra mentre l'altra la portò dietro la schiena e come un vero galantuomo 
-quando poggiai la mia mano sul suo palmo- mi aiutò a salire sulla carrozza.

Quando Nathaniel salì sul mezzo particolare e antico finalmente partimmo con destinazione la Tour Eiffel. 

«Grazie di tutto, Nath...» dissi ancora sognante

«Non devi ringraziarmi. Come ogni principessa che si rispetti, anche tu meritavi di avere la tua fiaba e la tua carrozza, io ho solo contribuito a rendere tutto reale».

«No Nath, dico sul serio.. Sarà costata tantis-» mi bloccò.

«Nulla è troppo dinanzi a te.» Si era immedesimato bene nella parte del principe romantico, pensai. 

Lasciai cadere il discorso ed iniziai a guardarmi intorno. La carrozza camminava lentamente, non sentii neanche l'aria sferzarmi il volto a differenza di come accadde sulla moto di Castiel mesi prima.

"Eh no eh, signorina. Non ti permetto di pensare a quella testa di rapa anche mentre sei con il principe azzurro fatto in persona" risuonò nella testa la mia coscienza pronta a rimproverarmi. Ma quella volta dovetti darle ragione. 

Eliminai ogni pensiero sul rosso e mi concentrai sulla strada. Notai parecchie macchine o passanti guardarci ammaliati, alcuni addirittura arrivavano a salutarci. Effettivamente non doveva esser spettacolo di tutti i giorni veder passare una carrozza particolare come lo era quella affittata da Nathaniel. A pensarci -seppur mi ci ritrovassi seduta sopra- non riuscivo a metabolizzare che un ragazzo come Nath, nonostante le nostre molteplici incomprensioni, avesse organizzato una sorpresa del genere proprio per me. La ragazza orfana. La ragazza delle minigonne. 

Nessuno spiccicò parola fino al nostro arrivo alla Tour Eiffel.

«Oggi nessuno riuscirà a rovinarti questo giorno, piccola Miki. Te lo prometto!» mi soffiò accanto all'orecchio quelle dolci parole. Quasi ci credetti. 

E se fosse lui quello giusto? 

Scossi impercettibilmente la testa cercando di non pensarci. Non dovevo fasciarmi la testa con i miei soliti problemi, dovevo smetterla, l'avevo concesso a me stessa per quella sera, me l'ero promesso. 

«Eccoci giunti a destinazione, Signori. Buona serata e Buon Natale!» finalmente sentii la voce del cocchiere che ci comunicò del nostro arrivo. 

Nathaniel fu il primo a scendere dalla carrozza poi porgendomi la sua mano fece scendere anche me. Mi comunicò che al ritorno non ci sarebbe stata la carrozza ad aspettarci, era comprensibile. 

Appena alzai il volto per ammirare la magia di quel posto restai spiazzata nel notare parecchie persone intente a fissarci. Evidentemente erano stati avvertiti del nostro arrivo e avevo giusto un'idea della persona colpevole ad aver generato quella confusione. Rosalya. Aveva abilmente consegnato la cravatta a Nathaniel coordinata al mio vestito, gli aveva esplicitamente confessato che non fossi stata invitata al ballo da nessun altro, molto probabilmente aveva consigliato l'affitto della carrozza. E, ciliegina sulla torta, aveva in qualche modo calcolato i tempi e comunicato a tutti del nostro arrivo in modo da far posizionare molte persone intorno al tappeto rosso, situato al centro dell'enorme prato verde. Come ogni persona aveva fatto al proprio arrivo anche noi avremmo dovuto percorrere quel tappeto rosso per poi giungere alla fine, dove era posizionato un libro enorme contenente le firme di ogni studente della scuola partecipante al ballo, e dove avremmo dovuto firmare anche noi appena arrivati. 

Così Nathaniel, senza preoccuparsi dello sguardo di ogni persona fisso su di noi, posizionò delicatamente il mio braccio sotto al suo e mi condusse lungo il tappeto rosso.





CASTIEL

Il ballo di Natale. Quale preside sana di mente organizzerebbe un evento patetico del genere? Ma ovviamente la preside del mio liceo non essendo sana di mente aveva ben pensato di organizzare quella festa da poppanti proprio durante la notte della vigilia di Natale. Si poteva essere più ottusi di così? 

In più la settimana prima del ballo, avevo dovuto sorbirmi inviti su inviti di ragazzi che chiedevano alle ragazze di essere accompagnati al ballo. Si scambiavano anche dei bracciali e spille a forma di fiore che fungevano da promessa. Patetico! 

Ambra si era persino permessa a chiedermi di essere il suo accompagnatore. L'avevo liquidata con le mie solite e garbate parole, in questo modo avrebbe imparato la lezione. Avevo dato troppa confidenza a quella biondina e di conseguenza aveva iniziato a pretendere "di più", ma l'avevo messo in chiaro sin dall'inizio, non ero il tipo da relazioni; non più. Non dopo di lei. Non ero il genere di ragazzo adatto per quel genere di cose e tantomeno fare coppia per il ballo scolastico non sarebbe mai rientrato nelle mie intenzioni; non mi sarei mai e poi mai recato sotto casa sua ad aspettarla, con una macchina particolare affittata chissà dove per l'occasione. 

Infatti alla fine, avevo indossato uno smoking nero, una camicia rossa, una cravatta nera -che avrei tolto non appena ne avessi avuto occasione- e mi ero recato, da solo, verso quella pagliacciata di ballo a bordo della mia Harley Davidson. Lei sì che era la mia accompagnatrice ideale. 

Dopo la richiesta di ritiro della denuncia da parte di Peggy, molte ragazze avevano ricominciato a girarmi intorno e di conseguenza avevo maggiore scelta, divertimento e sfogo personale. Ero di nuovo il donnaiolo popolare della scuola, ne andavo fiero. 

Ma c'era un problema. Un problema tartassava la mia mente da ben tre mesi. O meglio... una persona. Solo una ragazza non era ancora entrata nel mio letto, Micaela. Le avevo tentate tutte ma più mi avvicinavo, più lei si allontanava. Le mie intenzioni non erano le più buone e forse lei lo avevo capito, vero, ma sapevo che anche lei volesse da me ciò che desideravo io da lei. Lo avevo percepito quelle poche volte che avevo sfiorato la sua pelle, quando al mio tocco rabbrividiva, quando appena mi avvicinavo al suo viso lei chiudeva gli occhi, quando...

"Ok basta, altrimenti l'alzabandiera non risponderà più delle sue azioni" mi risvegliò la coscienza. Quando pensavo a quella ragazza perdevo ogni tipo di controllo e cognizione, sapevo fosse solamente perché non ero ancora riuscito nel mio intento di entrarle nelle mutandine e dovevo sbrigarmi a sedurla altrimenti sarei diventato matto. 

Così avevo programmato tutto per quel giorno. Sapevo che al ballo fosse sola, che non avesse nessun accompagnatore, quindi l'avrei sedotta per tutta la serata con il mio fascino ed il mio umorismo, sapevo non ne fosse ancora completamente immune sebbene volesse farmi credere il contrario. 

Con un piano preciso nella mente dopo esser arrivato al luogo dove si sarebbe tenuto il ballo, scesi dalla mia amata moto e partii alla ricerca del mio bersaglio. 

Ma nel mio cerchio visivo apparì Lysandre e non lei, la mia preda. 

«Ehi, hai visto Miki?» non mi preoccupai neanche di salutarlo o di guardare la sua accompagnatrice, avevo fretta d'iniziare il mio piano.

«Oh ciao anche a te amico, è un piacere vederti. Io benone, tu come stai?» 

«Smettila di fare il simpatico, Lys. Non ho tempo ora per i convenevoli» iniziai ad innervosirmi.

«A proposito: complimenti per il tuo look, stai molto bene» continuava ad evitare la mia domanda, che bell'amico! Sapeva cosa dovessi fare sebbene lui mi avesse consigliato tutt'altro, ma non potevo ascoltarlo, non quella volta. 

«Sì, pronto per la ghigliottina» da sempre avevo definito e ritenuto quei completi eleganti come un'impiccagione e continuavo a sostenerlo. Erano davvero scomodi e soffocanti, soprattutto la cravatta. 

"Ehi un attimo, mi sta distraendo dal mio obiettivo?!?"

«Comunque dovresti sapere che odio chi non risponde alle mie domande!» riacquistai un tono intimidatorio.

«Smettila di cercarla continuamente!» cercò d'imitare il mio tono duro facendomi sorridere. 

«Non dirmi cosa devo o non devo fare» apprezzavo il suo modo di consigliarmi, ma in quelle settimane stava esagerando. 

Sospirò rumorosamente «non l'ho ancora vista, ma sicuramente sarà sola visto che qualcuno non ha auscultato il mio consiglio» 

«Auscultato? Sei serio?»

«Dai questo termine era comprensibile...» persino la sua ragazza lo guardò di sbieco. 

«E a proposito: dissoluto, saluta la mia ragazza!» 

Quando capì di aver utilizzato un termine non presente nel mio vocabolario si spiegò alzando gli occhi al cielo e sospirando: «Dissoluto, scostumato, immorale, turpe»

«Va bene ho capito. Ciao Heloise, è un piacere vederti» lei di rimando sorrise e mi salutò.

Heloise aveva quattordici anni, frequentava l'ultimo anno di scuole medie quindi era due anni più piccola del mio amico. Si erano conosciuti in una mostra d'arte; sebbene fosse appena un'adolescente le piaceva dipingere e di conseguenza amava qualsiasi forma d'arte. Aveva una carnagione chiara, ma non troppo; capelli neri ed occhi celesti. Quando erano insieme era strano guardare i capelli chiari del mio amico accanto a quelli scuri di lei, l'altezza generosa di lui e la bassa statura di lei. Era una coppia particolare, la loro. Ma dopotutto stavano bene insieme, lui sembrava tenerci a lei, le aveva dedicato e scritto anche qualche poesia, poi trasformata in canzone da me e gli altri componenti della band. Ero contento per lui; Heloise sembrava essere un tipo apposto, ma soprattutto l'amore provato per quel ragazzo d'altri tempi si leggeva nei suoi occhi anche a distanza. Sapevo ci avesse messo un bel po' di tempo per conquistare Lysandre. Inizialmente l'aveva ritenuta troppo immatura per lui sebbene perfetta fisicamente, ma poi ai suoi occhi risaltarono anche le qualità della ragazza che insisteva a volerlo a tutti i costi; impiegò quasi cinque mesi per conquistarlo ma ne valse la pena, alla fine aveva perso la testa per lei. 

«Quindi? Cosa avresti intenzione di fare con la dama ramata?» Lysandre qualche volta affibbiava quel nomignolo a Miki a causa del colore dei suoi capelli.

«Sai qual è il mio intento da mesi, ormai»

«Non ti sembra troppo tardi? Magari se l'avessi invitata al ballo avrebbe cambiato idea, avreste potuto riappaci...»

«Non è mai troppo tardi. Le starò comunque addosso tutta la serata e lei cadrà ai miei piedi!»

«Ehm... non vorrei intromettermi, ma la convinzione fotte la gente!» la voce sottile di Heloise mi risvegliò dalle immagini di una Miki tra le mie lenzuola. Guardai quella piccola ragazza dai capelli neri tra le braccia di Lysandre e seguii il suo sguardo. 

I suoi occhi chiari guardavano in direzione del tappeto rosso, dove gran parte della scuola e della gente presente era intenta ad ammirare qualcuno. Mi avvicinai al luogo d'interesse senza ascoltare le parole di Lysandre che in quel momento risultarono incomprensibili e mi sentii mancare la terra sotto ai piedi per lo stupore. 

«Cosa dicevi amico? Non è mai troppo tardi?! Oh sì... lo vedo, lo vedo» disse il mio amico posando una mano sulla mia spalla. Mi scansai e percorsi tutto il tappeto rosso man mano che la ragazza dai capelli ramati lo percorreva insieme al suo accompagnatore. 

Il suo sguardo non aveva ancora intercettato il mio fin quando giunsi alla fine del tessuto rosso dov'era posizionato il libro delle firme e dove l'afflusso di gente diminuiva; fu lì che mi vide e quando lo fece mi sentii qualcosa al centro dello stomaco. Ero arrivato tardi. Anche i suoi occhi mi trasmettevano quel rimprovero che poco prima aveva pensato di farmi Lysandre. 

Abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo, ed ammirai lei nel suo vestito elegante blu. C'era troppa stoffa, più di quanta ne indossasse quotidianamente, apparve innocente e ingenua davanti ai miei occhi, ancora più eccitante. Quando si voltò senza un accenno di saluto mi diede il colpo finale. La sua schiena era scoperta. Quella bianca e liscia schiena in attesa di rabbrividire e di essere toccata da me. Da nessun altro. 

E neanche da Nathaniel. Quel segretario delegato di merda. Per quale motivo puntassimo sempre le stesse ragazze non lo sapevo, ma era una continua lotta con lui. E pensare che un tempo era il mio migliore amico... Scossi la testa e mi recai nuovamente verso la mia moto dopo aver firmato su quel patetico libro e dopo aver intravisto Miki sulla pista da ballo con quel damerino insignificante. Mi poggiai contro la mia Harley Davidson stando attento a non rigarla e fumai ben quattro sigarette, una dietro l'altra. In situazioni di forte stress arrivavo a fumare anche un pacchetto intero. E in quel momento ero tanto, parecchio nervoso. Odiavo quando qualcuno s'intrometteva nei miei piani e odiavo ancor di più quando a farlo era Nathaniel. Dovevo trovare un modo per allontanarlo da Miki, per smascherarlo. Lui non era il santo che faceva credere di essere. 

Poi la mia testa rossa ebbe un'illuminazione quando una ragazza bionda, con un vestito elegante dorato ma corto, attraversò il mio campo visivo. Ambra, era lei la soluzione al mio problema. Terminata l'ultima sigaretta e ripetendo il piano nella mia mente mi diressi verso quella ragazza.

Le toccai la spalla e quando si voltò le parlai «Ci ho ripensato. Questa sera staremo insieme!» dissi secco. 

Davanti alla mia affermazione le brillarono gli occhi «Oh tesoro!» Ambra si fiondò ad abbracciarmi, ma non persi tempo e la scollai subito di dosso. 

Insieme avremmo attirato la rabbia e l'attenzione del delegato. Lui, ogniqualvolta ci vedeva insieme, non perdeva tempo per attaccarmi o lanciarmi occhiate; quella sera lo avrei cotto per bene. Sapevo mi vedesse una minaccia per sua sorella ed era capitato lo sfidassi di proposito stando con lei quando lui poteva vederci. Mi divertiva. 

«Hai visto tuo fratello con la novellina?» subito partii all'attacco. Sapevo già cosa mi avrebbe risposto la biondina.

«Chi non li ha visti, dovresti dire... Lei ha tutta l'attenzione su di sé mentre io passo inosservata. La odio! Nath ha fatto chiamate su chiamate per avere quella maledetta carrozza!» 

"Canestro! Ambra necessitava d'attenzione sin dalla nascita e chi ero io per non permetterle di averla?!" sorrisi beffardo. 

«Se stessimo accanto a loro tutta la serata, la gente capirebbe chi è sempre stata la vera Regina» terminai facendole l'occhiolino e mostrando la sua figura per farle capire che lei fosse la vera "regina". Stavo recitando, ovviamente. 

«Oh, sei un genio!» mi gettò nuovamente le braccia al collo. Misi tutta la forza posseduta in corpo per non allontanarmi da quell'abbraccio; Ambra mi serviva, dovevo tenerla cara. 





MIKI

Mentre mi ritrovavo a volteggiare in un ballo lento tra le braccia di Nathaniel, iniziai a guardare con attenzione il risultato del lavoro fatto da tutta la scuola per sistemare quel prato e renderlo il più elegante possibile. Sopra le nostre teste erano state appese, in alto, delle lanterne bianche in modo da illuminare creando un'atmosfera romantica intorno a tutta la pista da ballo. Ai lati della pista vi era il buffet su dei lunghi tavoli con tovaglie dorate e bianche posti tutti in fila e dietro ai quali vi erano degli addetti camerieri pronti a servire la cena. Poi per richiamare il Natale sopra ogni tavolo era stato posto un centro tavola formato da una candela, delle pigne con contorni d'oro e palline dorate. 

Era stato allestito anche un tendone nel caso in cui il clima avesse deciso di giocare brutti scherzi provocando un temporale. Ma per fortuna quella sera non era presente neanche una nuvola.

Dal lato opposto vi era un piccolo palco dove veniva suonata musica dal vivo e dove successivamente sarebbero stati eletti il Re e la Reginetta del ballo. 

A fare da sfondo a tutto l'ambiente, alle spalle di quell'enorme prato, vi era ovviamente la maestosa Tour Eiffel illuminata e accanto a questa un enorme albero di Natale. 

-

Dopo aver cenato con varie leccornie offertaci dalla scuola, finalmente riuscii ad intravedere Rosalya con il suo Leigh, si trovava insieme ad Alexy ed Armin, i gemelli. Mi avvicinai a loro ed anche Nathaniel mi seguì.

«Eccoti finalmente. Sei inavvicinabile questa sera, la regina d'Inghilterra è più ricercabile di te» mi disse salutandomi Rosalya. 

Risi alla sua battuta. 

«Oh, Alexy ma poi siete riusciti ad intrufolare l'alcol?» gli chiesi dopo aver salutato i due gemelli. Come immaginato non c'era alcuna traccia di bevande alcoliche, per compensare però servivano degli ottimi punch analcolici. 

«Non prendere questo discorso, guarda. L'intelligente di mio fratello aveva nascosto una piccola bottiglia di vodka nelle mutande. Si ostinava a dire che non si vedesse, mentre al contrario si notava. Insomma neanche un attore porno ha un pacco così visibile... e invece lui continuava a dire ai bodyguard di avere un pisello prosperoso e che per questo era stato persino chiamato alla trasmissione de "lo Show dei Record". Ma ti pare?! Ti lascio immaginare com'è andata a finire!» mi raccontò Alexy lanciando una scappellotto dietro la testa del fratello gemello, Armin, accanto a lui. La mia risata s'incrementò. Quei due insieme erano troppo comici. 

«Un mese di punizione, baby!» concluse Armin facendomi l'occhiolino e fingendo di spararmi con una pistola formata con il pollice e l'indice della sua mano. Mi comunicò quella notizia come se fosse una cosa di cui vantarsi. 

Intanto Rosalya si portò una mano sulla fronte e scosse la testa, poi guardò il cielo «Gesù ti ringrazio per avermi fatto fare dieci minuti di ritardo» chiaramente si riferiva al fatto di non aver assistito alla scena raccontata qualche secondo prima da Alexy, altrimenti se ne sarebbe vergognata perché vista la sua stretta amicizia con i gemelli, soprattutto con Alexy, sicuramente se lei non avesse ritardato sarebbero entrati insieme al ballo.

«Comunque questo vestito è stupendo su di te» cambiò discorso Alexy, parecchio irritato dal fratello, e mi ammirò sorridendo sinceramente. 

«Oh grazie! Tutto merito della consulente qui presente; nonché mia futura stilista personale» mostrai Rose e mi avvicinai a lei poggiando la testa sulla sua spalla in segno di affetto. 

«Lo so, lo so. Saresti stata persa senza di me»

Mi girai verso Nathaniel, trovandolo sorridente ma leggermente a disagio. Non era abituato a dialogare con i suoi coetanei.

«Ora noi andiamo in pista, ci vediamo dopo» salutai tutti mandando un bacio ad ognuno, e con la scusa di voler ballare tolsi Nathaniel dalla situazione d'imbarazzo in cui si trovava. 

Quando fummo nuovamente al centro della pista, notai un'espressione ansiosa e tormentata sul suo volto «Tutto bene?» così gli chiesi. 

«Ehm sì... veramente no. Ok, ce la posso fare» sbuffò e poi fece un grande respiro.

«Cosa succede? Ho fatto qualcosa di sbagliato?» corrugai la fronte non capendo il suo improvviso cambio d'umore. 

«No, davvero. Solo... finora abbiamo ballato, scherzato, sorriso ma è giunto il momento di parlarti seriamente» mi guardò dritto negli occhi e quelle parole ebbero un brutto effetto su di me. Una fitta colpì il mio stomaco generando ansia. 

Mi prese entrambe le mani e si avvicinò maggiormente al mio viso. 

Per un attimo pensai mi stesse per baciare. 

Ma non lo fece. Invece si preoccupò di avvicinarsi a me per sussurrarmi delle parole. 

«Ci sono sensazioni che non si possono spiegare, fantasie che non si possono raccontare...»

 «In tutto questo ci sei tu. Emily Bronte. Leggi anche tu i suoi romanzi?» rimasi stupita anche se c'era d'aspettarselo da uno come lui. 

«Sì e non trovando altre parole adatte, ho utilizzato una delle mie citazioni preferite. La verità è che tu mi piaci Miki, sul serio. Mi piaci tu, come persona.»

Restai senza parole. Nessuno prima d'allora mi aveva fatto una dichiarazione. Lui sembrava essere davvero interessato a me. Mi sarei potuta fidare di lui?

Non ero convinta di voler rispondere affermativamente, ma quando le regole che mi ero autoimposta iniziarono a ronzarmi per la testa le scacciai avvicinando il mio volto al suo con l'intenzione di baciarlo. 

Ma lui non volle baciarmi e anzi capendo il mio gesto portò le sue labbra sulla mia fronte, baciando quella al posto delle labbra. Ma che?

«Facciamo le cose con calma, ok? Iniziamo a frequentarci, poi andando vedendo» 

"Io continuo a non capirti. Perché hai scansato le mie labbra?"

«Vorrei che il nostro primo vero bacio testimoniasse il nostro fidanzamento».

Strabuzzai gli occhi per le parole appena udite. Speravo stesse scherzando, ma quando gli si scurì il volto davanti alla mia reazione capii che quelle parole le pensava realmente. 

In poche parole ero circondata dagli eccessi, una via di mezzo era troppo d'avere? C'era Castiel capace di spogliarti, baciarti e ucciderti anche solo con uno sguardo pur non conoscendo il tuo nome. E poi c'era Nathaniel perfetto fuori, con valori ben stabiliti, incapace di sfiorarti e che prima di baciarti doveva conoscere vita e miracoli della persona. 

Castiel e Nathaniel.

Il fuoco e il ghiaccio. 

Inferno e paradiso. 

Perché avevo ripensato a Castiel? Maledetto! 

Alla fine non risposi alla sua richiesta d'iniziare a frequentarci, non ne ebbi neanche il tempo. La sua attenzione fu catturata da qualcun altro. 

Spostai anche il mio sguardo in direzione del suo e capii ogni cosa.  

Castiel e Ambra stavano ballando un lento proprio accanto a noi. Castiel ballava. Impiegai tutta la forza per non lasciar scorrere lo sguardo lungo il suo corpo perfettamente fasciato da quel completo elegante. Ma come potevo spostare lo sguardo, evitare di guardarlo? Era come una calamita. 

Indossava una camicia bordeaux con due bottoni aperti, una cravatta nera slacciata e sopra a questi una giacca e dei pantaloni color grigio fumo che erano talmente stretti da delineare splendidamente e perfettamente le sue spalle ed il suo fondoschiena. Mi schiaffeggiai mentalmente. 

"Miki contieniti! Sei con Nathaniel. Non puoi guardare il sedere di un altro" ripetei quel mantra nella mia testa per cercare di placare i miei ormoni.

«Ehi mi stai ascoltando?» 

"Oops! Cosa avevi detto, Nath? Mi ero distratta giusto un attimo."

«Sì, certo ti sto ascoltando. Dicevamo?!?» finsi un sorriso e mi sentii avvampare. Se solo avesse potuto leggere nei miei pensieri...

«Non riesco a vedere mia sorella rovinarsi con un tipo come Castiel. Lui non è più quello di un tempo, ma lei non lo capisce»

«Nath, tu l'hai già avvertita, da buon fratello. Ora sta a lei capire cosa è giusto o sbagliato per sé stessa. Non puoi costringerla a non frequentarlo, lei lo farebbe ugualmente magari di nascosto, sarebbe solo peggio in questo modo» cercai di farlo ragionare. Il suo volto scuro e lo sguardo pieno di astio non promettevano nulla di buono. 

Sapevo che Castiel non fosse il ragazzo adatto ad una come Ambra, lei molto probabilmente -al contrario del rosso- era davvero infatuata di lui e in cuor mio immaginavo non potesse finire bene quella storia perché prima o poi si sarebbe stancato di lei. 

«No. Non posso lasciar perdere! Tu non puoi capire» si voltò verso di me guardandomi di sbieco, come se avessi colpe. 

«Cosa non posso capire, eh Nath? Non puoi imporre agli altri il tuo pensiero. Se a lei sta bene farsi usare, lasciala stare» quasi urlai ma fortunatamente non mi sentì nessuno a causa della musica alta. Odiavo quando non riusciva a vedere la realtà per com'era. Secondo la sua testa solamente il suo pensiero era esatto. 

«Fanno continuamente sesso. Se solo lo scoprissero i miei, lei... lei... Ah! Lascia stare!» portò entrambi le mani sulla testa e si tirò leggermente i capelli morbidi in segno di disperazione. Stava lottando con sé stesso, non sapeva se darmi ascolto o meno. 

«Nathaniel ti ricordo che siamo nel 2014 e non nel 1800. Sono cose normali queste da una certa età in poi...» ebbi la sensazione di star parlando con una persona anziana e non con un mio coetaneo. Avevamo una concezione della vita totalmente diversa.

«La nostra famiglia ci ha imposto dei valori ben precisi e siamo tenuti a rispettarli!» finì quella frase e si diresse verso Ambra e Castiel; non erano molto distanti da noi. Lo seguii. Un'ipotetica rissa sarebbe stata la fine per entrambi i ragazzi. 

«Castiel, lascia stare mia sorella!» afferrò le mani del rosso e le tolse dal corpo di Ambra. Stavano ballando prima della nostra intrusione.

Ambra urlò senza riuscire a spiccicare parola attirando l'attenzione di qualche ragazzo accanto a loro. Invece sul volto di Castiel si dipinse un ghigno come se non aspettasse altro che l'arrivo di quel momento. 

«Non devi venire di certo tu a dirmi con chi devo o non devo stare...» lo sfidò.

«Lei è mia sorella. È mio diritto proteggerla da quelli come te!»

«E sentiamo: come sarebbero quelli come me?»

«Stronzi, egoisti, manipolatori, poco raccomandabili, depravati. Vuoi altri termini?»

«Meglio essere me piuttosto che te, questo è sicuro.»

«Sì certo, convinto! Comunque hai sentito l'avvertimento. Inizia a ronzare lontano da mia sorella»

«Altrimenti cosa mi fai?»

«Tu prova a non ascoltarmi e poi vedrai» stava fuoriuscendo un nuovo lato di Nathaniel. Non l'avevo mai visto così aggressivo e sicuro di sé. 




CASTIEL

Mi avvicinai a Nathaniel per non far sentire alle due ragazze presenti, la mia proposta e gli parlai a bassa voce nell'orecchio. 

«Ascolta e se facessimo un patto? Non te lo chiedo perché ho paura di te, che sia chiaro, ma semplicemente perché converrebbe anche a me. Io mi allontano da Ambra, all'istante, solo se tu ti allontanerai da Miki»

«Miki? Cosa c'entra adesso lei? Miki non ha più nulla a che fare con te, ormai da parecchio tempo. Non dovresti neanche nominarla»

«Perché tu puoi nominarla, invece? Fino a prova contraria, e fino a questo momento, lei risulta essere più mia che tua» 

«Cosa intendi?»

«Sapessi...» mi leccai le labbra ed alzai le sopracciglia per enfatizzare ciò che volevo fargli credere. 

Ebbi l'effetto desiderato quando chiudendo le mani a pugno si precipitò verso di me pronto per colpirmi in pieno volto. Non aspettavo altro. Ma la bella ed innocente Miki lo fermò giusto in tempo.

«Grande, Castiel! Sei stato capace anche di rovinarmi questo giorno. Ti ringrazio!» Miki mi urlò quasi in faccia per poi voltarsi e andarsene a braccetto col segretario delegato. 

Fino a prova contraria il suo amato stava per colpire me e non il contrario. Io avevo generato il piano, vero, ma lei questo non poteva saperlo. 





MIKI

Ci allontanammo dalla pista da ballo per dirigerci verso un luogo poco più appartato. Stavo trascinando Nathaniel insieme a me. Da quando ero atterrata a Parigi, anzi ancor prima di atterrarci, già dall'aeroporto di Roma oserei dire, quella maledetta testa rossa di Castiel aveva contribuito a portarmi problemi su problemi, guai su guai. E neanche la sera della vigilia di Natale si era risparmiato. Non poteva andare a ballare lontano da me? No. Doveva rischiare di provocare una rissa, altrimenti non era contento. 

«Ehi ma che ti prende, si può sapere?» incrociai le braccia al petto e mi rivolsi nervosa anche nei confronti del biondo. Alla fin dei conti era stato lui ad avvicinarsi a loro. 

«Vuole sia te che lei ed io non posso permetterglielo» rispose abbassando il volto quasi sconfitto.

«Ma cosa dici? Al massimo vorrà tua sorella. Io e Castiel non siamo neanche più amici, condividiamo solo il banco a scuola perché forzati a farlo, altrimenti passeremo il nostro tempo ad azzanna-» 

«Miki sii sincera con me, te ne prego, cosa c'è stato tra te e Castiel?» alzò il volto guardandomi. Poi interrompendomi fece quella domanda. Trasalii per un momento, poi mi ricomposi.

«Proprio niente, guarda!» risi sarcasticamente e nervosa. Non riuscii ad aggiungere altro.

E se il rosso gli avesse già raccontato del nostro bacio? Io sarei risultata una menzognera.

Nathaniel aprì la bocca per controbattere ma fu bloccato da una voce femminile.

«Tuo padre non sarà contento di sapere che mi hai lasciata sola tutta la serata per appartarti con questa sgualdrina» ovviamente era Melody che mostrò la mia figura con le sue mani per poi incrociare le braccia al petto e mettersi davanti a noi. 

Istintivamente feci una smorfia schifata. Mi urtava il sistema nervoso quella ragazza per quanto insistesse nel volere a tutti i costi Nathaniel anche se lui più volte era stato chiaro con lei. 

Non sapevo cosa c'entrasse il padre di Nathaniel in tutta quella storia e non ero neanche curiosa di scoprirlo. Ero solamente stanca. Volevo allontanarmi da ogni tipo di problema o discussione per stare in pace e godermi l'atmosfera romantica e natalizia che avrebbe dovuto portare quel ballo.

Così non risposi neanche all'offesa di Melody e anzi decisi di lasciarli soli per chiarire. 

«Ascolta Nath, io vado a sedermi da qualche parte. Sono stanca. Voi chiarite e parlate pure con calma. A dopo!» non lo lasciai replicare e non feci neanche caso all'espressione di vittoria dipinta sul volto di Melody. Non m'importava niente. 

Erano bastate quelle discussioni, quelle persone, per farmi dimenticare di ogni gesto carino fatto da Nathaniel nei miei confronti. La carrozza, il mazzo di fiori, la sua gentilezza surreale sembravano quasi un sogno, come se non fossero mai accaduti. E mi tornò inevitabilmente il malumore, quel malumore che mi aveva fatto compagnia per un intero mese e che mi aveva fatto allontanare da ogni persona. Forse era destino che io non potessi vivere una vita tranquilla e felice. 

Girovagai per circa dieci minuti senza una meta stabilita tra i corpi sudati dei ragazzi e delle ragazze che si stavano scatenando, poi trovai una panchina bianca vuota situata poco più lontano della pista da ballo, accanto ai bagni. Mi sedetti poco garbatamente e feci fuoriuscire dalla bocca tutta l'aria trattenuta fino a quel momento. Ero nervosa. Parecchio.

«Ehi come mai sei sola soletta? Dove hai lasciato il tuo cavaliere?» Rosalya sorpresa si sedette accanto a me dopo avermi vista. Era anche lei sola, senza Leigh.

«Potrei farti la stessa domanda» mi voltai verso lei forzando un sorriso. 

«L'ho lasciato con suo fratello, proprio lì» mi mostrò il punto dove vidi Lysandre insieme a quella che pensai fosse la sua ragazza, Leigh ed altri ragazzi mai visti. «Ero anch'io con loro, poi ti ho vista tutta sola e ti ho raggiunta» concluse accarezzando la mia spalla.

«Quindi vuoi dirmi cosa ti prende o...» lasciò la frase in sospeso.

«O?»

«Vuoi continuare a fare la dama misteriosa?»

«No, è solo che... non riesco a passare neanche una serata tranquilla. Sembra quasi io mi attiri i guai» forse parlare con lei mi avrebbe aiutata, forse dopotutto di lei potevo fidarmi realmente. 

«Raccontami cosa ti turba, piccolina» accarezzò i miei capelli.

Decisi di raccontarle ogni cosa sia di Castiel che di Nathaniel. Non potevo tenermi tutto dentro. Quando conclusi la narrazione degli avvenimenti mi sentii sollevata, il peso sentito al centro dello stomaco si era alleviato. 

 «A te le soap-opere ti fanno un baffo proprio» disse per sdrammatizzare, Rose. Sorrisi. 

Rosalya era proprio una brava ragazza. Forse mi sarei affezionata a lei per davvero, forse saremmo diventate realmente amiche, forse...

Interruppe i miei pensieri la voce della preside che salita sul palco iniziò il suo discorso.

«Buonasera Signori e Signori; studenti e studentesse del Dolce Amoris, spero la serata stia proseguendo per il meglio e che stiate gradendo ciò che la nostra scuola ha da offrirvi. Comunque sono qui per comunicarvi che da questo momento apro ufficialmente le votazioni per il Re e la Reginetta del ballo. Ciascuno di voi indicherà due nomi: uno maschile e uno femminile nei fogli che vi verrano distribuiti dai professori agli appositi banchi. Potrete votare per la Reginetta tra: Eleonore MorinMicaela Rossi, Ambra Daniels e Odette Boyer. Potrete votare per il Re tra: Castiel Black, Fabien Garcia, Nathaniel Daniels e Adrien Thomas. I nomi dei candidati sono stati scelti dal comitato studentesco capitanato da Peggy Lefevre. E a proposito un ringraziamento speciale va a tutti loro per la disponibilità e diligenza mostrata ogni giorno, grazie! Le votazioni resteranno aperte per un'ora e trenta minuti a partire da adesso. Vi ricordo che ai candidati sarà vietato votare. A tutti gli altri auguro buona votazione e buon proseguimento di serata. A dopo!»

Ero tra le candidate. E chi se lo sarebbe aspettato? Certo, c'era stato lo zampino di Peggy. Evidentemente doveva aver proposto i candidati in base alla popolarità di quel periodo. Ed io che ero finita per ben due volte nel giro di pochi giorni sulla copertina del dolce journal, evidentemente ero da considerare popolare sebbene non per cause proprio piacevoli. 

«Wow! Castiel, tu e Nathaniel. Il triangolo perfetto!» rise Rosalya.

«Io aggiungerei anche Ambra per ovvie ragioni. Quindi il quadrato perfetto!» era meglio sdrammatizzare in questi casi.

Dopo quasi mezz'ora trascorsa a chiacchierare, ancora sedute su quella panchina, sentimmo dei rumori sospetti provenire dal bagno.

«Ma cos'è?!» Rose si alzò subito e si avvicinò alla struttura di legno costruita appositamente per il ballo. Erano obbligatori per legge, i bagni, in qualsiasi evento di qualsiasi natura.

Io non mi scomodai, restai sulla panchina. Poi però Rose si voltò verso di me, mi fece segno di raggiungerla e si portò entrambe le mani sulla bocca per trattenere le risate. 

Mi alzai e la raggiunsi per capire cosa volesse e cosa avesse visto di così divertente. 

«Ma che? Stanno girando un film porno, per caso, qui dentro?!» mi disse appena le fui vicina. Le feci segno di non urlare e stetti attenta ai rumori. 

Effettivamente era palese cosa stessero facendo grazie ai gemiti maschili e femminili che si udivano chiaramente provenire da dentro uno dei tre bagni presenti. Chiunque fosse chiuso in quel posto di sicuro non stava facendo caso al luogo. Insomma... Sit trovavano pur sempre in dei bagni movibili e per giunta al ballo scolastico, avrebbero dovuto avere essere un minimo di contegno.

«Vai, sì, continua... Sì» pronunciò una delle due voci chiuse in quel posto.

"Un attimo! Ma io conosco quella voce..."

«Ambra!» sussurrammo per non farci scoprire dai diretti interessati, strabuzzammo entrambe gli occhi e ci portammo le mani sulla bocca per lo stupore. 

Ma io al contrario di Rosalya dopo qualche secondo chiusi gli occhi. Perché se era Ambra la donna, allora l'uomo quasi sicuramente era...

"Fa' che non sia lui, fa' che non sia lui" ripetei mentalmente quel mantra ed incrociai le dita, mentre una strana ansia s'impossessò del mio stomaco. 

Non riuscivo a capire il motivo per il quale stessi reagendo in quel modo. Non avevamo alcun tipo di confidenza da mesi ormai, non eravamo mai stati nient'altro che quasi amici, ero persino a conoscenza del genere di rapporto esistente tra lui ed Ambra e allora perché sentivo il bisogno incessante di piangere ed urlare al sol pensiero di saperlo insieme a lei?

«Mi-Miki, sì... Miki» aprii di scatto gli occhi. 

Poi un colpo al cuore.

«O mio Dio!» Rose mi guardò incredula e riportò entrambe le mani sulla bocca. Non sapeva se ridere o meno. 

Io ero sbalordita, scioccata, sconcertata. Quel nome, il mio nome pronunciato dalla sua voce; dalla sua voce durante un atto sessuale con un'altra donna che aveva chiaramente un nome differente dal mio. Avevo sentito bene? 

«Stronzo maiale, io sono Ambra. A-M-B-R-A. Non Miki, cazzo! Cosa ti ha fatto quella lì?» sentimmo uno schiaffo sicuramente provenire da Ambra in direzione della guancia di Castiel. In quel momento Ambra mi fece pena e tenerezza allo stesso tempo. Era infatuata o forse addirittura innamorata di un ragazzo che non la considerava minimamente. Forse aveva ragione Nathaniel, sua sorella andava difesa perché sola non riusciva a farlo evidentemente. 

La mia mente si riempì di troppa confusione ed io non ero in grado di sopportarla, così decisi di aver sentito abbastanza. Afferrai il braccio di Rose e la trascinai lontano da quel maledetto bagno di legno. Sebbene Ambra andasse realmente allontanata da Castiel, in quel momento non potevo di certo entrare nel bagno e portarla via di forza. In più non avevo intenzione di ascoltare il mio compagno di banco concludere il suo atto sessuale.

«Ehi... Volevo sentire!» mi rimproverò Rose perché avevo interrotto il suo spionaggio. 

«Quando torni a casa, stanotte, cerchi un film hard e sei apposto» la liquidai. 

«Non volevo sentire quelle cose, ma altre e sai a cosa mi riferisco, scemina» mi buttò un leggero schiaffo sul braccio per rimproverarmi di ciò che avevo insinuato di lei. 

«Cioè... ti rendi conto? Castiel ha chiamato il tuo nome durante un suo atto sessuale» 

«Sì e non ripetermi questa cosa, grazie. Sto cercando di dimenticare» portai entrambe le mani davanti agli occhi e le sfregai sul volto, fregandomi del trucco che probabilmente si sarebbe sbavato. 

«Guarda che per te dovrebbe essere una cosa bella, secondo me. Mentre io, se fossi Ambra inizierei a farmi due conti» emise un risolino quando spostò l'argomento sulla bionda.

Non feci in tempo a risponderle, una voce al microfono attirò l'attenzione generale. 

«Tutti i candidati che concorrono per la corona sono invitati a salire sul palco. Tra qualche minuto avremo i risultati della votazione!»

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** AVVISO ***


                                         AVVISO

questo,non è un capitolo nuovo,ma un avviso molto importante per chiunque segui la mia storia. Una recensione di una ragazza,mi ha fatto riflettere molto e dopo averci pensato quanche giorno,ho capito che la storia che stava uscendo fuori non era come volevo che fosse realmente,così fin quando non cambierò molte cose non andrò avanti con altri capitoli.
Mi scuso con voi e sono dispiaciuta per questo avvenimento, ma spero di ripagarvi quando la mia storia sarà finalmente degna di questo sito.
A presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** AVVISO 2 ***


                                 AVVISO 2

ragazze/i oggi è un giorno importante,sono contentissima perchè sono riuscita  a modificare la storia. Ora mi piace tantissimo,spero che piacerà anche a voi.

A tutte coloro che già seguivano la storia vi chiedo un po di pazienza,andate a rileggere tutti i capitoli perchè molte cose sono state cambiate. 

A mio parere ora la trama è più interessante. In questi giorni,mentre voi rileggete io mi do da fare per scrivere il nuovo capitolo.

FATEMI SAPERE COSA NE PENSATE.
GRAZIE A TUTTE COLORO CHE MI HANNO DIMOSTRATO SOLIDARIETà ED INTERESSE.
LE VOSTRE RECENSIONI MI HANNO AIUTATA A SUPERARE QUESTO MOMENTO DI CRISI.

NON VI DELUDERò MAI PIù. UN BACIO A TUTTE :-*

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** CAPITOLO 11: OOPS, questa non ci voleva! ***


CAPITOLO 11

OOPS, questa non ci voleva!







«Buona fortuna!» esclamò elettrizzata Rosalya dandomi una pacca sul sedere e spingendomi verso il palco.

Il tempo era passato troppo velocemente ed io non ero psicologicamente pronta a rivedere i volti di Castiel e Ambra dopo ciò che avevo sentito poco prima. Anche loro erano tra i candidati e quindi sarebbero dovuti salire sul palco insieme a me, Nathaniel ed altri ragazzi di cui non avevo mai visto i volti e nè sentito i nomi prima di allora. 

Nathaniel.

Mi ero quasi dimenticata di lui, dopo aver lasciato che chiarisse, da solo, con Melody. Non mi ero neanche minimamente interessata di conoscere i motivi per i quali la mora avesse detto quelle parole sulla contrarietà del padre a saperlo in compagnia con la sottoscritta. Non ero nemmeno curiosa di scoprirlo ed era strano. Con Castiel accadeva tutto il contrario.

«Ehi ma ci sei?!? Devi salire sul palco. Sbrigati!» quasi mi urlò in faccia, Rosalya. E visto che non avevo intenzione di muovermi dal posto, ci pensò lei a trascinarmi proprio sotto il palco. 

Cercai con gli occhi Nathaniel voltandomi in tutte le direzioni, non lo avevo ancora ringraziato abbastanza per la bella serata organizzata per me. Dopotutto non era colpa sua di tutto quel trambusto accaduto successivamente. 

Ma invece di trovare la figura del bel biondo, mi apparirono i volti sfatti di Castiel e Ambra. Non si erano neanche preoccupati di darsi una risistemata dopo gli attimi di fuoco trascorsi nel bagno. In quel modo tutti avrebbero capito ogni cosa. Patetici! Ma sembrava avessero litigato. Ambra non rivolgeva più alcun sorriso o moina al rosso come era invece solita fare e lui non la considerava minimamente, ma quella non era una novità. Castiel dava importanza ad ogni donna solo durante un atto sessuale, fuori dalle lenzuola non esisteva alcun tipo di rapporto per lui. 

Scuotendo la testa per evitare di pensare ancora, feci un cenno di saluto a Rosalya e la lasciai in compagnia di Leigh per poi salire sul palco. Non avevo alcuna voglia di prender parte a quella commedia organizzata dalla scuola, ma non potevo rifiutarmi altrimenti avrei avuto ripercussioni sull'andamento scolastico. La preside era stata chiarissima più volte su quel punto.

Tanto non avrei mai potuto vincere il titolo di reginetta, quindi non mi sarebbe costato nulla fare la mia apparizione, aspettare l'incoronazione per poi abbandonare quel ballo e rientrare a casa. Non ci sarebbe stato più alcun dramma, tutto sarebbe filato liscio, ne ero convinta.

Proprio quando salii l'ultimo gradino che mi avrebbe dato accesso al ripiano, nel mio campo visivo entrò Nathaniel, già sul palco insieme a qualcuno degli altri candidati. Non mi aveva aspettata o cercata, ma decisi comunque di raggiungerlo per star accanto a lui.

«Dov'eri finita?» mi chiese, voltando il volto e guardandomi negli occhi.

«Potrei farti la stessa domanda. Ti stavo cercando» gli risposi con un pizzico di fastidio nella voce. Dopotutto non aveva posto resistenza e non mi aveva seguita quando l'avevo lasciato insieme alla sua ammiratrice numero uno. 

«Dovevo chiarire una volta per tutte con Mel, era diventata asfissiante» 

«Oh certo! Quindi vorresti dire che non ti darà mai più fastidio?»

«Lo spero» disse titubante.

Non gli risposi, sapevo che Melody non avrebbe mollato.

«Bene! All'appello mancano il Signor Castiel Black e la Signorina Ambra Daniels se non...» la voce della direttrice al microfono venne interrotta dai due ragazzi che finalmente ci degnarono della loro presenza raggiungendoci sul palco. 

Tutta l'attenzione si spostò su di loro. Castiel aveva delle sfumature di rossetto sul viso, come se qualcuno lo avesse baciato per tutto il volto. Fu palese che quei baci provenissero chiaramente dalle labbra di Ambra, invece rimasta quasi senza rossetto, vi era solo un accenno. La camicia del rosso, poi, era sgualcita e un pezzo fuoriusciva dai pantaloni. 

«Razza d'imbecille... i-io... io...» sibilò a denti stretti Nathaniel accanto a me, e stringendo i pugni a causa del forte nervosismo il suo corpo addirittura tremò. Ovviamente aveva capito ogni cosa anche lui. Guardò con sguardo d'ira il rosso che invece sorrise beffardo verso di lui.

Qualcuno porse un fazzoletto a Castiel in modo da potersi ripulire il volto macchiato del rossetto di Ambra. Guardai disgustata quella scena con uno strano nodo in gola. 

«Il signor Castiel Black non si smentisce mai...» commentò rassegnata la preside. Ovviamente stava facendo riferimento alla sua indole da donnaiolo. Ogni persona attenta e spettatrice della scena aveva compreso cosa era accaduto tra Castiel e Ambra. 

«Ora che tutti i candidati sono sul palco, possiamo andare avanti. Prima di proclamare i vincitori, però, volevo annunciarvi che quest'anno per il Re e la Reginetta eletti ci saranno in serbo tante sorprese» annunciò solennemente la direttrice nel suo tailleur rosa confetto. Neanche per quella sera si era sbilanciata ad indossare un altro colore. Doveva amare il rosa particolarmente visto che lo indossava la maggior parte del tempo, quasi tutti i giorni. 

La preside continuò con il suo monologo parlando della perfezione del Dolce Amoris e facendo ringraziamenti vari. Fui distratta dal ragazzo accanto a me.

«Sarebbe perfetto se vincessimo io e te» sussurrò al mio orecchio Nathaniel «almeno potremmo chiudere la serata per il meglio, cercando di eliminare tutti i dispiaceri, visto che non sono stato capace di farti passare la serata perfetta che meritavi e che ti avevo promesso» finì abbassando il volto. 

Io non volevo vincere.

«Ehi» gli carezzai il braccio «non devi sentirti in colpa. Siamo umani, può capitare d'innervosirsi, di non reggere alcune persone o comportamenti. Hai solo cercato di difendere tua sorella, ti fa onore» cercai di tranquillizzarlo. 

Non volevo si assumesse colpe che non aveva. Dopotutto neanch'io ero stata un'accompagnatrice perfetta. Lo avevo lasciato nelle mani di Melody senza battere ciglia. 

Non ebbe tempo di replicare che una strana base musicale partì dalle casse presenti intorno al palco. Sembrava una musica regale. Era assurdo quanto la preside ritenesse importante quella premiazione. 

Salì sul palco il professor Faraize con in mano una busta dorata contenente i nomi dei due vincitori. Lui avrebbe avuto l'onore di proclamarli. 

«Il Re del primo ballo di Natale organizzato dal prestigioso liceo Dolce Amoris è...»

"Nathaniel Daniels"

«Castiel Black» 

"Che cosa?!" pronunciai nella mia testa. "Ah ma quindi sei diventata realmente sorda!" e riecco la mia coscienza. "No è che... ero convinta vincesse Nathaniel" stavo realmente dialogando con una me stessa strana? "Io non sono una te stessa strana, sono semplicemente la tua coscienza. Quando non sei capace a ragionare da sola arrivo io, semplice!" "Mi stai dicendo che sono scema?" "Oh beh..." scossi la testa, non volevo ascoltare altro.

Tornai a pensare agli eventi accaduti pochi secondi prima e mi resi conto che il professore aveva pronunciato il nome del rosso senza alcun entusiasmo. Evidentemente il suo favorito era un altro ragazzo e avevo giusto un'idea di chi potesse essere. Ci fu un attimo di silenzio ed incredulità generale, poi tanti applausi incitarono Castiel a dirigersi al centro del palco per l'incoronazione. 

Il rosso si avvicinò alla direttrice pacatamente e senza mostrare alcuna emozione. Ovviamente ad uno come lui non importava essere il vincitore. Quando però vide avvicinarsi verso di lui la professoressa di francese con in mano una corona maschile ed una fascia con scritto "Re del ballo di Natale, liceo Dolce Amoris" indietreggiò, scosse la testa e le mani brutalmente. 

«Cosa?!? Ma voi siete matti? Cosa vi fa pensare che indosserò questi aggeggi da poppanti?» brontolò e sbuffò assumendo poi una smorfia schifata alla vista di quegli accessori. 

Scoppiai a ridere insieme a tutti i presenti. Il clima della serata si era alleggerito. Persino io mi dimenticai di ogni dispiacere avuto prima di quel momento. Castiel aveva quella capacità di divertire la gente senza neppure volerlo. Era un brontolone e le smorfie che in ogni situazione assumeva erano esilaranti. 

«Signor Black se non indossa all'istante questi riconoscimenti verrà sospeso, per tre giorni, senza obbligo di frequenza. E lei sa di non poterselo permettere» pronunciò la preside lontana dal microfono. Solo le persone presenti sul palco poterono sentirla. 

Castiel quasi sbiancò davanti a quella sottospecie di minaccia così, seppur con sguardi d'odio profondo verso la direttrice, acconsentì ad indossare sia la fascia che la corona. 

Quell'immagine sarebbe rimasta impressa nella mia mente per l'eternità come il momento più comico di sempre. Vedere Castiel con una corona in testa non era spettacolo di tutti i giorni, e non perché gli stesse bene addosso ma perché era troppo divertente guardare la sua espressione e nello stesso tempo ammirare uno come lui con quegli accessori.

«Come può farti ridere una persona come lui?» interruppe il mio divertimento Nathaniel. Era l'unico a non ridere. 

«Come può non farti ridere, vorrai dire» mostrai Castiel ridendo nuovamente.

Nathaniel come risposta incrociò le braccia al petto e chiuse gli occhi sospirando come per calmarsi. Doveva esserci un odio profondo tra i due, qualcosa non nata da quando Ambra iniziò a frequentare Castiel, ma qualcosa di più profondo. Molti avevano accennato ad un litigio serio tra i due risalente a qualche anno prima, ma nessuno aveva voluto raccontarmi di più, ovviamente. 

«Bene. Adesso è giunto il momento di proclamare la Reginetta, invece» disse la direttrice lasciando la parola al professor Faraize. 

La mia risata cessò immediatamente.

«C'è una parità di voti e per questo motivo abbiamo deciso, concordemente con il comitato, che sarà lo stesso Re a scegliere la sua Regina tra i due nomi che ora vi faremo».

Incrociai le dita dietro la schiena sperando di non essere una di quei due nomi. Non volevo essere Reginetta e tantomeno esserlo insieme a Castiel. 

«E le due dame che hanno ricevuto il maggior numero di voti sono...» lasciò la frase in sospeso, il professore.

Metteva ansia, tanta ansia.

«Ambra Daniels e...» era ovvio fosse lei, uno dei nomi. Era molto popolare e bella.

«Micaela Rossi» allungò sulla "i" con molto entusiasmo. Dovevo star simpatica al professore Faraize sebbene la matematica non fosse una delle mie materie preferite.

"Ma invece di pensare al professore e alla matematica ti sei resa conto che sei uno dei nomi scelti o devo farti un disegnino?" e rieccoci. "Stavo solo cercando di non pensarci, ma grazie per il tuo intervento. Molto gentile. Ora torna da dove sei venuta, grazie!" ero realmente diventata matta. Ultimamente capitava spesso di parlare con la mia coscienza e non la ritenni una cosa del tutto normale. "Zitta e ascolta la scelta di Castiel" diedi ragione a lei per una volta.

La direttrice c'invitò a recarci al centro del palco, di fronte a Castiel. Sia io che Ambra ascoltammo gli ordini della preside. Quando fummo l'una accanto all'altra, la bionda mi guardò dalla testa ai piedi e poi con una smorfia schifata si voltò guardando insistentemente Castiel di fronte a noi che si trovava a massimo un metro di distanza. Io restai immobile fin quando vidi il sorriso beffardo del rosso. Non osavo immaginare i suoi pensieri. Chiusi gli occhi ed incrociai nuovamente le dita dietro la schiena sperando in un miracolo. Non avevo alcuna intenzione di stare a stretto contatto con il rosso, soprattutto non dopo esser stata resa partecipe ed aver ascoltato un suo atto sessuale. Aveva chiamato me, me, mentre si stava dando da fare con un'altra. Non aveva alcun senso. Non eravamo mai stati insieme, non ci rivolgevamo la parola da parecchio tempo, tra noi c'era stata solamente una sorta di amicizia ed un bacio. Eppure non riuscivo a smettere di pensare alla sua voce che nel momento di lussuria pronunciava il mio nome. Dannazione!

«È arrivato il momento che il Signor Castiel Black ci comunichi la sua scelta» la voce squillante della direttrice mi risvegliò dai pensieri. 

Non avrebbe mai potuto scegliere me, giusto? Insomma tutti erano a conoscenza della sua frequentazione con Ambra, sarebbe stata logica la sua scelta. 

"Fa' che non scelga me, fa' che non scelga me" 

«Scelgo Micaela!»

Spalancai gli occhi ed il mio cuore perse un battito. Non potevo crederci. Aveva scelto me. Per quale motivo? E poi lui non aveva sostenuto di non volersi prestare a quelle pagliacciate? Perchè invece sembrava essere contento?

«N-no, devo aver sentito male» sussurrai tra me e me. 

«Siete patetici!» si sentì improvvisamente un'unica voce sovrastare il brusio generale. Era Ambra che dopo aver fatto notare il suo disappunto, mosse i suoi capelli con una mano, si voltò dandoci le spalle e sensualmente scese dal palco facendo la sua uscita ad effetto. Doveva esserci rimasta male, era comprensibile. 

Per qualsiasi persona quello sarebbe stato un momento di pura felicità e commozione, ma non per me. Anzi, al contrario sembrava quasi stessi per affrontare il rogo. Non riuscivo a vedere il buono in quella vincita, ma solo altre negatività e guai. Purtroppo ero parecchio pessimista e in più conoscevo Castiel, con lui non si poteva mai stare tranquilli. Per non parlare di Nathaniel. Cercai d'immedesimarmi in lui e pensai non dovesse esser facile vedere la propria dama essere incoronata Reginetta dopo esser stata scelta da un suo ex amico divenuto nemico con il quale avevano avuto una discussione poche ore prima. Non meritava quei dispiaceri che io involontariamente gli stavo dando. 

Dopo tutti quei pensieri, abbassai il volto. Non avevo alcuna intenzione di guardare i visi di Castiel, di Nathaniel o di qualsiasi altra persona. Stavo affrontando un momento imbarazzante, mi sentivo sotto esame. Sin dalle prime settimane di scuola Peggy aveva ipotizzato di un triangolo tra noi tre e in quel momento sembrava quasi si stesse realizzando la sua predizione. 

Quando, accanto alla gonna del mio abito ampio intravidi delle scarpe eleganti lucide nere accompagnate da delle esili ma possenti gambe da uomo, fui costretta ad alzare il volto. 

Sapevo già di chi si trattasse. 

Il forte odore di menta e tabacco mi fece arricciare il naso. Aveva l'abitudine a masticare una chewing-gum subito dopo aver fumato in modo da creare un mix tra i due odori. Avrebbe dovuto disgustarmi eppure mi piaceva incredibilmente. 

Castiel era a pochi centimetri dal mio viso, tra le mani stringeva una fascia simile alla sua ma con sopra scritto "Reginetta del ballo di Natale 2014, liceo Dolce Amoris". Sicuramente doveva esser stato incaricato da qualcuno di farmela indossare ed io non ero stata abbastanza attenta da accorgermene. Ero stata tra le nuvole, come sempre. 

«Non avrei mai permesso di sostituire la corona che già indossi per una di plastica, questa ti dona molto. Quindi metti solo la fascia» sussurrò per farsi sentire solo da me. 

Io ero come pietrificata, incredula per il Castiel che mi si era presentato davanti. Lui non era tipo da prestarsi a quel genere di cose, eppure aveva acconsentito persino a tenere sulla testa, l'ormai sua, corona. 

Dopo avermi aiutata ad indossare la fascia non si allontanò. 

Iniziò a guardarmi dritto negli occhi.

Non l'aveva fatto fino a quel momento. Non lo faceva da un po'. 

I suoi occhi grigi erano chiari più del solito, trasmettevano calma. 

Il mio cuore, invece, batteva forte più del dovuto, più del necessario. Era un organo involontario ed anche se avessi voluto non avrei potuto controllarlo. 

Quando mi sfiorò il volto delicatamente, tutto il mondo scomparve. Non esisteva più alcuna folla intenta a guardarci, non esisteva nessuno oltre noi due. 

Ricordi delle sue labbra sottili sulle mie piene si fecero vivi nella mia mente. Lo desideravo di nuovo, desideravo con tutta me stessa di toccare le sue labbra, di entrare in contatto con lui, nonostante tutte le differenze. Volevo semplicemente Castiel, senza "se" e senza "ma".

 Volevo semplicemente Castiel, senza

E poi accadde. 

Poggiò delicatamente le sue labbra sulle mie, senza pretese, senza approfondire. Fu un semplice bacio a stampo, eppure mi ritrovai a contare i secondi.

"Uno, due, tre..." il boato della folla che approvava quel bacio.

"Quat..." non riuscii a finire di contare mentalmente. Castiel venne allontanato brutalmente da qualcuno.

Era Nathaniel. 

"Cazzo, Nathaniel!" Non avevo pensato a lui neanche un secondo prima di ricambiare il bacio del rosso. Ero stata una stronza. Imperdonabile. 

Nathaniel prese dal colletto della camicia Castiel e si avventò su di lui; entrambi caddero sulla pavimentazione di legno del palco provocando un forte rumore. La folla dei più giovani presenti al ballo, incitò il combattimento. Il biondo lanciò un pugno in direzione del volto di Castiel, ma quest'ultimo fu bravo a scansarlo. Nessuno dei due poté continuare la propria battaglia, tre professori corsero a dividerli e aiutarli a sollevarsi da terra. 

Una strage era stata evitata, per fortuna. Ma la direttrice non doveva pensarla allo stesso modo. 

«Signor Daniels, questa sua improvvisa ira le costerà cara. Lei, da questo momento, non è più il segretario delegato del nostro liceo. Si consideri sollevato da ogni tipo d'incarico. Mi ha molto delusa, non mi aspettavo questo comportamento da parte sua. Quando è accaduto nel liceo, qualche tempo fa, ho chiuso un occhio ma ora non mi è più possibile. Se ha questioni in sospeso con il Signor Black le risolva in privato. Se vedrò di nuovo un comportamento simile a scuola sarò costretta a sospenderla. È avvertito!» era strano sentire la direttrice urlare proprio contro Nathaniel. Lui era il suo pupillo, il prescelto, l'alunno migliore della scuola. 

Nathaniel divenne rosso in volto per la vergogna, si scusò balbettando e abbassando il capo scese dal palco scappando chissà dove. Avrei dovuto seguirlo per scusarmi con lui. Quel litigio era scoppiato a causa mia, sebbene ci fosse già astio tra lui ed il rosso. Come avevo potuto ricambiare il bacio di Castiel? Per quale motivo non mi ero scostata? Perché sembrava essere tutto ciò che desideravo da sempre? Tante questioni si sovrapposero nella mia mente, ma per il momento le accantonai. Dovevo prima risolvere i problemi che da grande stupida avevo creato.

«L'hai fatto di proposito, vero? Sapevi che baciandomi lui avrebbe reagito in questo modo. È tutto un gioco, una sfida per te. Sei subdolo!» quasi urlai nervosa. 

Non importava più se tutta la scuola avesse sentito o meno. Ormai la figuraccia era stata fatta, eravamo al centro dell'attenzione, al centro del palco. Si udiva silenzio e solo un leggero brusio di sottofondo insieme ad una base musicale.

«Fino a qualche minuto fa non la pensavi così, però» si fece beffa di me tirando fuori quel sorriso arrogante che da sempre lo distingueva dal resto del mondo. 

Non gli risposi, se lo avessi fatto uno schiaffo in pieno volto sarebbe stato il minimo. Decisi, invece, di scendere dal palco per andare alla ricerca di Nathaniel. Era mio dovere scusarmi con lui. 

Lo trovai nello stesso punto in cui qualche ora prima lo avevo lasciato parlare con Melody, proprio quando mi aveva chiesto se tra me e Castiel ci fosse stato qualcosa oltre l'amicizia. 

E guardacaso anche in quel preciso istante non era solo, ma in compagnia del suo segugio Melody. Possibile lo seguisse dappertutto? Lui mi aveva persino detto che lei non sarebbe stato mai più un problema. "Lo vedo", pensai. Ovviamente la ragazza stava sparlando di me, era diventato il suo passatempo preferito ormai. 

«Ti rendi conto di cosa hai perso grazie a quella cortigiana? Non dovresti passare il tuo tempo dietro a quella lì. Ti sta cambiando, stai ritornando quello di un tempo. Il ragazzo combina guai di tre anni fa. Svegliati Nath, lei non fa per te!»

Stupendo! Ero diventata anche una cortigiana. Avrei tanto voluto uscire allo scoperto per ricordarle in quale anno fossimo e che quei termini erano ormai passati di moda, ma lasciai perdere. Volevo prima conoscere la risposta di Nathaniel. 

«E chi farebbe per me... Tu?!? Sono stanco di fare la vita programmata dai miei genitori. Lei non c'entra nulla in tutto questo. Voglio essere solamente padrone della mia vita e né tu, né i miei possono interferire. Devi smetterla di starmi addosso, smetterla d'insistere. Ti ho già detto che tra me e te non ci sarà più nulla. Accettalo e lasciami in pace!» gli urlò contro gesticolando per poi passarsi le mani tra i capelli biondi. 

Era quasi irriconoscibile, non aveva mai urlato contro qualcuno come in quel momento. Sembrava non stesse parlando solamente con Melody ma anche verso tutte le persone che avevano cercato di pilotare la sua vita. Nath non mi aveva mai reso partecipe della sua quotidianità, del suo passato, ma da quelle parole potei intuire ci fossero parecchie cose ancora da scoprire su di lui. Non aveva la vita facile e perfetta che tutta la scuola pensava avesse. 

«I-io n-no...n-non posso lasciarti in pace, i-io...» cercò di replicare Melody tra le lacrime, ma Nathaniel non glielo lasciò fare. 

«Basta! Và via!» specifico lettera per lettera. 

La mora finalmente capì e scappò via lasciandolo solo. Un po' mi dispiacque per lei.

Ma appena la vidi allontanarsi uscii dal cespuglio in cui mi ero nascosta precedentemente e corsi per avvicinarmi a Nathaniel. 

Lo abbracciai, in quei casi forse i gesti valevano più di ogni altra parola. Nathaniel restò spaesato in un primo momento, quasi spaventato perché non mi aveva vista arrivare a causa del buio di quel posto, poi ricambiò stringendomi forte e poggiando la testa sulla mia spalla. 

Quando sentii la pelle del collo bagnarsi capii che doveva trattarsi di Nathaniel. Stava piangendo. Era raro vedere un ragazzo mostrare la propria sofferenza così liberamente e se da molti era ritenuto come gesto poco virile, per me non lo era. Doveva avere un'anima pura quel ragazzo. Mi fece tenerezza.

«Ehi» sussurrai poggiando le mie mani sulle sue spalle per poter fargli sollevare il volto e guardarlo negli occhi. 

Nel momento in cui fummo l'una di fronte all'altro asciugai le poche lacrime che rigavano il suo volto e lo rassicurai «Costi quel che costi, riavrai il tuo posto di segretario delegato. Te lo prometto!» 

Avrei trovato un modo per convincere la preside a riassumerlo. Era il minimo. Sapevo quanto fosse importante per lui quel ruolo e sapevo quanto fosse importante per la sua famiglia. 

«Magari.. Grazie. Sai, speravo in un fine serata migliore di questo»

«Sì lo so, e a proposito volevo chiederti scu-» 

Mi bloccò «Perché hai ricambiato il bacio di Castiel? Perché sembrava piacerti?» corrugò le sopracciglia e mi guardò dritto negli occhi. 

La sua espressione passò dall'essere dispiaciuta al nervosa.

Ringraziai la scarsa illuminazione perché lui non mi poté vedere arrossire dopo quelle domande. 

Avrei dovuto dargli delle spiegazioni, era giunto il momento di essere sincera con lui. Non avrebbe dovuto innervosirsi, dopotutto quando accadde quel che accadde con Castiel, non ci stavamo ancora frequentando e anzi in quel periodo neanche mi rivolgeva la parola. 

«Ecco... Vedi, sì. Io e Ca... lui...» non sapevo come spiegarmi, era un momento davvero imbarazzante.

«Oh finalmente. Ecco dov'eri finita! Ti ho cercata dappertutto» m'interruppe la voce di Rose. 

Avrei dovuto creare una statua in suo onore, pensai. Sapevo di aver detto che non ci sarebbe stato nulla di male a raccontare dello strano rapporto tra me e Castiel al biondo, ma non mi sentivo poi così tanto pronta. 

«Che succede?» le chiesi rivolgendo tutta l'attenzione a lei e voltando le spalle a Nathaniel. Il rossore sulle mie guance era sparito, finalmente.

«Sei desiderata dalla direttrice al centro della pista per il ballo con il tuo principe» alzò ed abbassò le sopracciglia a intermittenza per prendermi in giro «Oh e a proposito: complimenti per aver stracciato le altre con la tua bellezza ed eleganza» si complimentò con me per aver vinto. Non ci eravamo ancora incrociate dopo esser salita sul palco. 

Mi voltai nuovamente verso Nathaniel con un'espressione dispiaciuta «Ehm... Tu vieni?» sapevo che quel ballo per lui non sarebbe stata una bella situazione da vedere e da accettare, ma non potevo abbandonarlo di punto in bianco. Già avevo contribuito a metterlo nei guai, non avrei voluto provocargli altri dispiaceri. 

«Mmm... No, io passo. Vai tu, tranquilla» mi sorrise falsamente.

«Miki dovremmo andare, ora» mi richiamò Rose.

«Oh, sì, ok. Arrivo. Beh allora ci vediamo in giro...» 

Quanto potevo essere stupida? Ci vediamo in giro, sul serio? Lo avevo liquidato così senza alcuna premura. Mi maledissi per essere una frana nei rapporti sociali. 

«Certo, ci vediamo in giro. Buon Natale, Miki» rise amaramente e lasciò quel posto ancor prima di me. Non sapevo verso dove fosse diretto, ma avevo il presentimento che avrebbe abbandonato il ballo molto presto. 

Sbuffai.

«So solo combinare casini e deludere le persone» mi lamentai mentre m'incamminai con Rose per raggiungere la pista da ballo.

«Guarda il lato positivo, sai come far divertire un'amica. Devo assolutamente comprare una macchina portatile per i popcorn. Quando sono in tua compagnia ho sempre l'impressione di star guardando un film e a me piace sgranocchiare i popcorn mentre guardo un film» cercò di sdrammatizzare.

In quei mesi avevo capito una cosa di Rosalya. Lei non era la tipica persona in grado di piangere insieme alla propria amica dinanzi alle difficoltà. Lei, al contrario, era quella persona che cercava di scherzare, di vedere il lato positivo in ogni cosa. Lei era quell'amica alla costante ricerca di un sorriso nel pianto. Inizavo a volerle bene sul serio.

«Da quando esiste una macchina portatile dei popcorn?!» scherzai anch'io.

«Oh sarà una mia invenzione, ovvio. Da grande sarò stilista e scienziata» 

Il discorso stava prendendo una piega inaspettata e insensata. 

«Sai?!? Devo ancora decidere da che parte stare» pensò a voce alta.

«Se fare la stilista o la scienziata? Beh io ti vedrei decisamente come stilista. La macchina dei popcorn non mi sembra una buona invenzione» 

«No, sciocchina. Intendo che non saprei se far parte del team-Nathaniel o del team-Castiel. Li vedo entrambi bene al tuo fianco, ma for-»

La voce della direttrice, per fortuna, bloccò il divagare di Rose appena entrammo nella sua visuale «Bene! Ora che anche la signorina Rossi ha deciso di degnarci della sua presenza: è giunto il momento del ballo tra il Re e la Reginetta. Apriranno loro le danze e dopo qualche secondo potranno unirsi intorno anche le altre coppie. Vi raccomando di non scatenare la terza guerra mondiale» concluse riferendosi a circa trenta minuti prima, a quando stava per esser infiammata una rissa tra Castiel e Nathaniel. 

Cercai con gli occhi il rosso appena partì una musica lenta tipica dei balli regali. Lui si avvicinò a me e senza proferire parola, senza un minimo d'indecisione mi porse la sua mano, io l'afferrai e mi condusse al centro esatto della pista. Ingoiai un grosso groppo formatosi in gola per il crescente nervosismo; non sapevo ballare, temevo di sbagliare qualcosa o ancor peggio di pestare i piedi del rosso. Se lo avessi fatto, non avrebbe mai più smesso di deridermi, ne ero sicura. 

Ma poi accade qualcosa d'inaspettato, qualcosa che avrei raccontato ai miei figli qualora ne avessi avuti un giorno, qualcosa che mi restò impresso nella mente per sempre. Castiel, quel Castiel poggiò la mano sinistra dietro la mia schiena, l'altra la strinse alla mia ed iniziò a guidarmi in quello che reputai essere un valzer. Strabuzzai gli occhi per l'incredulità. Dove aveva imparato a ballare così bene? Avendo il vestito lungo ed ampio nessuno si accorse delle numerose volte in cui pestai i suoi piedi eppure a differenza di come avrebbe fatto quotidianamente non mi derise, non puntualizzò quanto fossi buffa e goffa. No. Fece persino credere al resto delle persone che a ballare bene fossi io. 

Provai una sensazione bellissima e nuova ad essere tra le sue braccia forti, non mi stava stringendo con volgarità, possessione; no, anzi, se non l'avessi visto con i miei occhi non ci avrei creduto, lui mi stava guidando per tutta la pista con dolcezza. Mi fece sentire un essere speciale, in quel momento mi sentii essere realmente la sua principessa. E non esistevano litigi, non esistevano distanze incolmabili, non esisteva nessun altro se non noi. Già, noi. Era strano anche solo da pensare, ma quella sera, per la prima volta, sentii di essere connessa a lui, quasi come se conoscessimo ogni lato dell'altro, come se ci completassimo a vicenda. Sapevo fosse strano sentire tutte quelle emozioni con un solo ballo, ma purtroppo mi stava realmente accadendo. Non ero più padrona neanche di pensare con la testa, avevo persino dimenticato di averlo sentito gemere con un'altra ragazza, dimenticato delle sue risposte arroganti, del motivo del nostro litigio, avevo realmente eliminato tutte le negatività.

Anche quando si aggiunsero le altre coppie e ballarono accanto a noi, io non me ne accorsi. Ero schiava delle sue braccia, ammaliata da lui. Danzava con movimenti precisi ed eleganti. Sul suo volto non era più presente la sua solita espressione arrogante o derisoria. Era ugualmente serio ma con uno sguardo sensuale. 

Se lo avessi conosciuto quella sera, se fossi stata ignara di quanto un ragazzo come lui avrebbe potuto ferire una come me, mi sarei innamorata di lui. Con un colpo di fulmine, quella sera stessa mi avrebbe stracciata. Sì, proprio così. Quel Castiel, con quella sua nuova sfumatura di personalità sarebbe stato capace di far innamorare una ragazza come me, persino una ragazza cinica e contro l'amore. 

Il ballo durò per cinque minuti, cinque minuti in cui non esisteva nessun altro se non il suo volto ed il suo corpo, la sua persona. Mi sentivo spettatrice di un sogno, come se a ballare non fossi stata realmente io, come se quel momento non fosse stato reale perché troppo bello per essere vero. 

Continuai a guardarlo con volto sorpreso, dovevo sicuramente aver assunto un'espressione da ebete. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo e lui sembrò accorgersene tanto da approfittarne per vantarsi e mostrare le sue doti.

Quando il ballo finì la musica venne fermata, ma noi due restammo al centro della pista nella stessa posizione assunta per danzare. Mano nella mano, a cinque centimetri di distanza l'uno dall'altra.
Continuai a guardare i suoi occhi e lui guardò i miei.

Sebbene m'intimidisse leggermente, non riuscivo a spostare lo sguardo. Sembrava avessi gli occhi incollati su di lui. Quanto erano belli i suoi occhi, Dio! Quando non era in collera assumevano la tonalità di un grigio più chiaro, tendente al celeste, ed erano davvero profondi. 

«D-dove hai imparato a ballare? Sei bravissimo» quasi non mi accorsi neanche di star parlando per quanto mi aveva ammaliata. 

Lui non mi rispose e quell'aura di mistero che continuava a tenere intorno a lui, mi sedusse maggiormente. Non credevo fosse possibile. 

«La serata sta per giungere al termine ed ora che abbiamo eletto i nostri Re e Reginetta del ballo è arrivata finalmente l'ora di svelarvi la sorpresa.» 

La voce della direttrice ci costrinse a distogliere gli sguardi l'uno dall'altra, ci voltammo in sincrono verso di lei. Mi dispiacque interrompere quel contatto visivo. 

«Quest'anno per festeggiare il nostro primo vero e proprio ballo scolastico abbiamo deciso di regalare al Re e alla Reginetta una vacanza di una settimana nella capitale d'eccellenza, ricca di storia e cultura: a Roma, in Italia. Non lo trovate elettrizzante? Il periodo della vacanza è ancora da stabilire. Che questo viaggio sia di buon auspicio per i successivi balli scolastici che ogni anno, da quest'anno, la scuola organizzerà. Buon divertimento!»

"Roma? Roma?! Sul serio Roma?!?" non volevo crederci. La mia città. La città spettatrice e custode del mio passato, della mia infanzia, dei miei dolori. Pensavo di aver chiuso definitivamente con quella città, da tre mesi, ma evidentemente avrei dovuto ricredermi. Tre mesi prima avevo tentato di cancellare il passato o perlomeno di lasciarlo alle spalle, ma questo era tornato a farsi risentire più infido che mai e forse sarebbe stato ancor più doloroso tornare lì. 

«E se provassimo a chiedere di cambiare meta?» forse se avessi convinto anche Castiel a proporre una città alternativa da visitare, la direttrice avrebbe assecondato la nostra richiesta. 

«Come preferisci. La compagnia è quella, non cambierà molto. Una città vale l'altra. Sarà sempre una rottura di scatole» rispose monotono e quasi scocciato.

La magia era finita. Castiel era tornato ad essere il solito arrogante di sempre. Non riuscivo a capirne il motivo. Aveva mutato il suo umore all'improvviso senza alcun apparente motivo. 

"Ho trovato cosa potresti fare da grande come mestiere" intervenne la mia coscienza, "ma chi ti ha interpellata? E poi cosa c'entra ora il mio futuro lavoro?" non capivo neanche me stessa, era grave. "Donna di poca fede, non sono stupida. E' tutto collegato. Potresti studiare nella facoltà di psicologia Castelniana, e cioè lo studio della mente bacata del Signor Castiel Black, se non ne esiste una, la fonderai tu stessa!" scossi la testa per togliere quella voce inopportuna dalla testa. 




CASTIEL

Mentre cercavo di attuare il piano che avrebbe portato Micaela nel mio letto, pensai ad una vendetta nei confronti del segretario delegato. 

Avere Miki non sarebbe stata solamente soddisfazione personale ma anche vendetta. Dovevo concludere il conto in sospeso con il damerino, levarmi quel fastidioso sassolino dalla scarpa che calzavo da ormai troppo tempo. 

Aspettavo questo momento da tanti giorni, tanti mesi, tanti anni. Nathaniel Daniels avrebbe dovuto pagare ogni mia lacrima versata, ogni giorno d'ospedale, ogni momento in cui tutti pensavano fossi diventato matto. Lui, più degli altri, era colpevole del male subito.

E se inizialmente avevo considerato il fatto che le piacesse Miki un aspetto negativo, proprio durante il ballo di quella sera avevo dovuto ricredermi.

Non tutto il male veniva per nuocere. Perché quella sera, finalmente, avevo potuto tastare il livello di affezione provata dal bastardo per Micaela. Lo avevo provocato di proposito per tutta la durata del ballo scolastico e, a giudicare, dalle sue reazioni lei doveva essergli entrata nel cuore come forse non era mai accaduto prima con nessun'altra. 

Da due anni fremevo attendendo la mia vendetta, ma questa sembrava non arrivare mai. Nathaniel aveva frequentato Melody per tutto quel tempo, eppure non sembrava molto coinvolto nella relazione. 

Poi arrivò Miki ed insieme a lei un nuovo vento di speranza. Mi portava fortuna, quella ragazza. 

Nel giro di qualche mese contai di avere la mia vendetta. La ragazza dai capelli ramati si sarebbe messa insieme a Nathaniel mentre io proseguivo con il sedurla e pian piano con il farla entrare nel mio letto. Il damerino l'avrebbe scoperto solo dopo essersi innamorato di lei e avrebbe sofferto, tanto. Come meritava.

Per quanto riguardavano i sentimenti di Miki... Beh, lei non si sarebbe innamorata di nessuno. Non avrebbe sofferto, non lo avrei mai permesso. Nathaniel non era in grado di far perdere la testa ad una tipa tosta come lei. Mentre io, come avevo già confessato a Lysandre, sarei stato attento a non farla innamorare. Lei non avrebbe mai potuto provare alcun tipo di sentimento per me se io avessi continuato ad avere comportamenti contrastanti. Lei avrebbe dovuto desiderare solo il mio corpo per una notte, nient'altro.

La serata del ballo era stata fruttuosa, dopotutto. Avevo già servito, al delegato, l'antipasto. Avevo baciato Miki davanti a tutta la scuola, davanti a lui. Ed aveva agito proprio come immaginavo, si era fiondato su di me per colpirmi, per difendere il suo territorio. Ed era stato sollevato dall'incarico di segretario delegato. Ero contento. Doveva perdere tutto, ogni cosa, un po' come aveva fatto con me. 

Miki, poi, era rimasta colpita dalle mie doti di ballerino. Quella era la mia carta nascosta. Avevo imparato a ballare perché era necessario per ciò che facevo e con il tempo, quella, si era trasformata una caratteristica fondamentale per avere successo con le donne. Tante ragazze erano rimaste colpite da quel mio lato nascosto ed anche Micaela lo era stata, sebbene volesse sempre inscenare il ruolo di quella immune al mio fascino. 

L'unico chiodo fisso e al di fuori dalle mie volontà restava il fatto che avessi pronunciato il nome di quella ragazza mentre mi trovavo in compagnia di Ambra. Non avrei voluto pensarla, non era programmato trovarmi l'immagine del suo volto anche nei momenti meno opportuni. Non doveva accadere. Ma alla fine dando la colpa all'intenso desiderio provato nei confronti del suo corpo e al fatto che quest'ultimo fosse ancora inesplorato dalle mie mani, lasciai cadere l'argomento per evitare di fasciarmi la testa più del dovuto. 

Micaela era semplicemente e solamente la ragazza giusta per distruggere il cuore dell'ormai ex segretario delegato. Una vendetta. Un bisogno irrefrenabile. Con quella convinzione positiva e vittorioso potei ritenere come conclusa soddisfacentemente, la serata.




MIKI

Tutta la serata, ovviamente, era stata ripresa e fotografata dalla regina degli scoop: Peggy Lefreve. Non aveva perso tempo e non si era neanche fatta sfuggire i vari battibecchi e litigi avvenuti. A Gennaio, già il primo giorno di scuola, fui sicura che avrei trovato l'intero dolce journal con i vari fatti accaduti ed io sarei stata presente in tutti, ovviamente. Ma a lei ed al suo giornalino ridicolo avevo iniziato a dare l'importanza che meritavano e cioè: nessuna.

Quando finalmente la serata si concluse dopo un monologo di ben dieci minuti tenuto dalla direttrice realizzai di esser rimasta senza alcun passaggio per rientrare a casa. 

Nathaniel quasi sicuramente aveva abbandonato il ballo già da parecchio tempo.

Rosalya era sparita, volatilizzata nel nulla. Ma sicuramente doveva esser rientrata a casa con il suo ragazzo ed io non avrei di certo voluto giocare il ruolo del terzo incomodo.

Avevo, poi, visto sfrecciare Castiel sulla sua moto. Sebbene fossimo vicini, a fine discorso della preside mi aveva liquidata con un saluto freddo senza importarsi se avessi o meno il passaggio per il ritorno a casa. Abitavamo anche a poca distanza l'una dall'altra. Che stronzo!

Avrei dovuto chiamare zia Kate, ma non mi andava di svegliarla, era davvero molto tardi ed in più le avevo assicurato che sarei tornata sola. 

Di fare tutto il tragitto a piedi non se ne parlava proprio. Era praticamente impossibile. La Tour Eiffel distava molto da casa mia. 

E così mentre il magico luogo del ballo iniziava a svuotarsi, mentre ogni persona s'incamminava verso la propria dimora, io mi sedetti su una panchina pensando e cercando di trovare una soluzione. 

«Ehi, che ci fai qui seduta tutta sola?» 

Quando riconobbi la voce presente alle mie spalle, per poco non saltai dalla gioia.

La mia fata turchina, era arrivata giusto in tempo per salvarmi. 

Alexy. Effettivamente aveva una certa somiglianza alle fate, anche solo grazie al suo colore di capelli e ai colori sgargianti usati per il suo abbigliamento.

«Oh mio Dio, tu non puoi neanche immaginare quanto io sia felice di vederti!» dissi con forse troppo entusiasmo alzandomi dalla panchina e girandomi verso di lui. C'era anche Armin, con Alexy, intento a riaprire la sua Nintendo ormai scarica. Aveva giocato al suo videogioco per l'intera serata, era plausibile che si scaricasse.

«Mi dica tutto... Cosa desidera principessa?!?» ridacchiò Alexy fingendo un inchino, mentre Armin fingeva di essere da tutt'altra parte.

«Hai visto Nathaniel per caso?» gli chiesi.

«Rose l'ha visto andare via insieme ai suoi genitori proprio mentre tu ballavi con il tuo Re, perché?» alzò ed abbassò le sopracciglia come per insinuare ci fosse qualcosa tra me e Castiel. 

«Oh! E Rose... Rosalya invece dov'è?»

«E' andata a dormire a casa di Leigh» alzò le spalle come se fosse un fatto ovvio.

Perfetto. Avrei passato l'intera notte davanti la Tour Eiffel. Non avrei mai potuto chiedere un passaggio ai gemelli, non sapevo dove abitassero e tantomeno come avrebbero rincasato. Non ero poi così tanto sfacciata.

«Sai per caso se passano autobus, tram, metropolitane a quest'ora da qui?»

«Alexy per favore dille di smettere di fare tutte quelle domande e di tornarsene con noi» brontolò Armin che aveva compreso l'oggetto dei miei tormenti. In effetti era snervante quel mio continuo domandare. Mi fece ridacchiare il modo che usò per comunicare con me, utilizzò il fratello come tramite, come se non fossi fisicamente a poca distanza da lui.

«Bravo fratellino. Sai usare la testolina anche per fare altro allora, e non solo per giocare a quei cosi. Stavo iniziando a pensare un modo per diseredarti» terminò Alexy ridendo e colpendolo con un pugno leggero sul braccio.

«Quei cosi hanno un nome e vita propria. Casomai sei tu a non capire il mio ingegno; è troppo per te comune mortale» ripresero in quel modo a battibeccare come facevano la maggior parte del tempo. 

«Ora andiamo, dai. Miki saremmo molto felici se tu accettassi di tornare a casa con noi» si rivolse a me Alexy. 

«Se non è un disturbo... Ma se la vostra casa dista parecchio dalla mia non vale la pena che mi accompagniate. Troverò un altro modo, davvero..»

«Smettila di farti mille problemi e piuttosto sbrigati a salire in macchina. La mia Nintendo si è scaricata e devo correre a casa per concludere una missione online» ovviamente Armin aveva fretta di rintanare.

Ringraziai entrambi per la loro gentilezza e mentre i due continuavano a punzecchiarsi a vicenda, arrivammo in macchina. Ad aspettarci al di fuori del veicolo c'era il padre dei gemelli. Non l'avevo mai visto prima d'allora, i gemelli stessi mi presentarono a lui. Era un tipo abbastanza alto, leggermente robusto, stempiato e sopra i quarant'anni. Quando salimmo finalmente sull'autovettura, diedi le indicazioni stradali per casa mia e mi accorsi che l'uomo sembrava essere taciturno, l'opposto dei suoi due figli. Durante il tragitto verso la mia dimora, Alexy continuò a fare complimenti sul mio vestito e per la mia entrata ad effetto con la carrozza, mi confermò che Rosalya aveva consigliato a Nathaniel di affittarne una. Armin, poi, lo interruppe iniziando a paragonarmi ad una principessa facente parte di un suo videogioco dal nome impronunciabile.

Mentre loro continuavano a parlare della serata io voltai il capo per ammirare il panorama al di fuori dal finestrino, che scorreva grazie ai movimenti di quell'utilitaria. Parigi era davvero spettacolare di notte. Mi promisi d'iniziare a visitarla e viverla maggiormente durante le ore notturne. Tutte quelle luci, quei panorami permettevano allo spirito natalizio di prevalere. In occasione del Natale, infatti, ogni abitazione, ogni strada era stata abbellita con delle luci od oggetti natalizi. Era meraviglioso.

Solo zia Kate aveva deciso di non porre alcun illuminazione o alcun tipo di simbolo natalizio fuori e dentro l'abitazione. Non voleva rovinare l'estetica della casa, sosteneva. Ed io ero in totale disaccordo con lei. 

Quando, dopo circa trenta minuti giungemmo davanti casa mia ringraziai infinite volte il padre dei gemelli e loro stessi per avermi salvata da una notte come barbona. Conclusi con un "buon Natale" ed uscii dalla loro macchina.

Proprio sull'uscio di casa tirai un sospiro di sollievo, rilassandomi immediatamente. Finalmente si era concluso quel tanto atteso ballo di Natale. Era stata una serata stancante. Prima dell'inizio avevo previsto una serata tranquilla e senza problemi, ma ovviamente il destino doveva giocare a mio sfavore anche in occasioni come quella. Cercai, però, di non pensare momentaneamente ai mille dubbi che si erano formati nella mia testa a causa di quella serata. 

Entrai dentro casa e mi precipitai, senza accendere alcuna luce, in cucina per dissetarmi e mangiare. Con tutto quel trambusto avevo giusto sgranocchiato qualcosa, non avevo fatto una cena completa. Mi preparai un panino con pomodoro, prosciutto crudo e insalata verde. Poteva bastare per saziarmi. Dopo aver bevuto, mi diressi verso il soggiorno con il panino in mano per guardare la televisione ed occupare il mio tempo. Sapevo fosse notte inoltrata, ma non avevo ancora sonno. 

Quando però arrivai alla porta della stanza udii dei rumori provenire da lì dentro. La porta era chiusa, non potevo vedere chi ci fosse all'interno.

E se fossero stati dei ladri? Eppure zia Kate aveva installato dei sistemi antifurto, porte e finestre blindate, era impossibile un eventuale intrusione di qualcuno. 

Poggiai l'orecchio alla porta per cercare di capire meglio e nell'istante in cui capii restai pietrificata.

Qualche presenza nel cielo doveva avercela a morte con la sottoscritta, altrimenti era inspiegabile. 

Ansimi, borbottii indistinti, gemiti, parole che era meglio non pronunciare. Mi sembrò quasi di tornare indietro nel tempo; a quando ero costretta a sentire quegli stessi versi provenire dalla bocca di mia mamma e del suo cliente di turno. A quando ero troppo piccola per capire quale fosse il reale lavoro di mia madre. Rabbrividii per quei ricordi, per quelle immagini che inevitabilmente rividi riprodursi nella mia mente.

Quella era la seconda volta -nel giro di poche ore- che beccavo qualcuno durante un rapporto sessuale. Poteva apparire quasi comica quella situazione, se vista dall'esterno, ma dal mio punto di vista non era divertente. Per niente.

Sapevo esattamente o meglio potevo immaginare che una delle voci appartenesse a zia Kate, ma non ero sicura di conoscere la persona insieme a lei. Così senza pensarci troppo aprii lentamente la porta di qualche centimetro, giusto per sbirciare ed assicurarmi che nessuna coppia di sconosciuti si fosse intrufolata in casa nostra per fare sesso. Non si poteva mai sapere, la gente era matta a quei tempi. 

Lo spettacolo che mi si ripresentò davanti fu raccapricciante. Tutto ciò che vidi fu il sedere di un uomo molto magro, la carnagione chiara ed i suoi capelli neri. Quel soggetto era avvinghiato a zia Kate, sopra di lei, sul tappeto del mio soggiorno. Assurdo. L'indomani mi promisi di gettare nell'immondizia quell'arazzo. 

Non trovavo neanche le parole per spiegare quanto zia mi stesse facendo ribrezzo in quel momento. Lei sapeva che sarei rientrata verso quell'ora a casa, sapeva che ci sarebbe stato il rischio di essere scoperti. E per evitare ogni tipo di ulteriore dispiacere avrebbe potuto affittarsi una camera d'hotel o avrebbe benissimo potuto concludere i suoi atti sconci nel suo letto, invece che in una stanza praticata dalla sottoscritta assiduamente. E invece no. Kate Rossi non pensava mai alle conseguenze delle sue azioni. Richiusi la porta rumorosamente, di proposito, per disturbare i due adolescenti. 

L'istinto mi suggerì di scappare ma per una volta ascoltai la ragione. Posai il panino accanto ad un mobiletto dorato affianco alla porta del soggiorno, mi era passato l'appetito. Incrociai le braccia al petto, arretrai di qualche passo ed aspettai che i due uscissero per poterli affrontare, finalmente. Quell'uomo aveva allontanato sin troppo la zia da me, era stato la causa scatenante di tanti litigi. Era giunto il momento di affrontarlo. 

Dopo cinque minuti buoni si scomodò ad uscire dalla porta di quella maledetta stanza. Era solo. Zia Kate aveva ben pensato di non affrontarmi restando rifugiata nel soggiorno. L'uomo si richiuse la porta della camera alle spalle ed incominciò a fissarmi in un modo strano, senza parlare, sembrava mi stesse studiando. Ma io non mi feci intimidire, anzi stimolata ancor di più, lo sfidai con lo sguardo. Avrebbe rimpianto l'avermi chiesto quel favore, qualche mese prima. Avrei fatto risvegliare in lui la mancanza di coraggio nel parlare con il proprio figlio. Quella pagliacciata doveva giungere al termine.

Poi, trascorso qualche minuto nel totale silenzio, quell'uomo che già odiavo ancor prima di conoscere realmente, mi porse la mano per presentarsi ufficialmente:

«Sono Isaac. Isaac Black!»

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** CAPITOLO 12: Rivelazioni a Natale ***


Capitolo 12

Rivelazioni a Natale





 

Isaac Black. Forse l'unico uomo sulla faccia della terra capace di ferire Castiel, il ragazzo dal cuore duro. Era proprio lì, davanti ai miei occhi, in tutta la sua bruttezza. Sì proprio così, brutto dentro e fuori. Aveva un'aria innocente, oserei dire quasi strafottente, come se nulla al mondo potesse lederlo. Era alto, forse qualche centimetro più di Castiel, capelli neri corti -ma non troppo- e tinti. Il naso abbastanza pronunciato ed una bocca sottile.

"La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte... Col cappello alla romana; viva, viva la Befana!" la mia coscienza intervenì in un momento del tutto inopportuno paragonando Isaac alla tipica figura della befana e canticchiando, nella mia testa, quella filastrocca che mi avevano insegnato alla scuola materna. Sorrisi per un attimo e poi tornai seria continuando a studiare la figura dell'uomo davanti a me. 

E fu quando incontrai i suoi occhi che il mio cuore perse un battito nel ritrovare quel colore famigliare. Perché lui aveva quegli occhi; lo stesso colore del ragazzo che da qualche mese era entrato nella mia vita e nella mia testa senza avere alcuna intenzione di uscirne. 

Gli occhi di Isaac erano grigi, maledizione! 

Eppure in un certo senso mi rasserenai nel vedere che di Castiel avevano solo il colore. Perché gli occhi di quel ragazzo mi parlavano, esprimevano sempre tanti sentimenti contrastanti, mentre quelli di quell'uomo erano sconosciuti, privi di ogni emozione, vuoti. 

Non mi piaceva lui, non mi piacevano i suoi occhi. Non sembrava avere delle qualità all'apparenza.

E in realtà non sapevo neanche se ci potesse essere un briciolo di bontà nella sua figura così esile. Non avevo alcuna intenzione d'incontrarlo, di conoscerlo o di avere alcuna forma di dialogo prima di quella sera, bastavano e avanzavano i fatti di cui ero venuta a conoscenza nelle settimane precedenti. Eppure il destino aveva deciso al posto mio -come sempre accadeva nella mia vita, d'altronde- di avere un contatto ravvicinato con lui ed il suo fondoschiena. 

Per una volta, però, avrei affrontato il destino a testa alta. Se dapprima avevo deciso di starne fuori, era giunta l'ora di prender parte in quella storia insulsa. Avevano oltrepassato il limite.

«Cos'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua, ragazzina?» 

Ma certo, dovevo immaginarlo! Tale padre, tale figlio. Anche Isaac utilizzava lo stesso nomignolo che il figlio utilizzava spesso per chiamarmi. Perché chiamare la gente per nome era troppo, vero? C'era un'unica differenza. La voce d'Isaac risultò fastidiosa alle mie orecchie, mentre quando Castiel pronunciava quel nomignolo mi faceva quasi piacere. Solo lui poteva usarlo. Mi ero quasi affezionata a quel suo modo di chiamarmi e infatti storsi il naso davanti all'affermazione dell'uomo e continuai a guardarlo di sbieco. 

«E invece a te la passera ha mangiato il cervello?!» gli risposi con lo stesso tono tagliente. Nella mia domanda non domanda avevo utilizzato volutamente un doppio senso, sperai fosse arrivato a destinazione. 

Quando un sorriso furbo spuntò sulle sue labbra capii che la frecciatina aveva fatto centro. 

Senza aggiungere altro gli feci segno di seguirmi e mi recai nella sala da pranzo, dove poco prima era stato consumato un rapporto sessuale. Zia Kate per fortuna si era rivestita e seduta sul divano che fino a quel giorno tanto amavo. Dal mio arrivo a Parigi avevo passato la maggior parte del mio tempo libero su quel divano morbido, dorato ed elegante a guardare la tv. Mentre da quella sera in poi sarebbe stata la stanza da me più odiata. Grazie mille, zia Kate!

Con un'espressione schifata in volto aprii la grande finestra che si trovava in quella stanza per far cambiare aria. Era Dicembre, faceva freddo, ma poco m'importò. Non avevo alcuna intenzione di respirare quell'aria pesante. Forse era una semplice mia fissazione, eppure appena varcata la porta avevo percepito odore di sesso. "Bleah!"

«Miki cosa stai facendo? È notte fonda, è inverno e fa freddo!» cercò di ragionare zia Kate per farmi chiudere la finestra, ma io non l'ascoltai, mi limitai a guardarla di sbieco, la raggiunsi e mi posizionai davanti a lei tenendo le braccia incrociate e restando alzata. In un attimo mi sembrò di star inscenando il ruolo di una mamma che aveva appena scoperto la figlia fare sesso. I ruoli si erano invertiti, ma non ci potevo fare niente se in quel caso i due innamorati avevano deciso di restare fermi col cervello all'adolescenza. 

Guardai meglio zia Kate, ora circondata dalle braccia di Isaac. Appena entrati dentro il salotto, l'uomo mi aveva seguita con fare scocciato e menefreghista, poi con parecchia disinvoltura si era accomodato sul divano poggiando le sue braccia sulle spalle di mia zia. Quegli atteggiamenti non mi erano nuovi, erano parecchio simili a quelli di Castiel. Zia Kate aveva un'espressione preoccupata, dispiaciuta e colpevole sul volto, mentre non si poteva dire lo stesso di Isaac rilassato ma nello stesso tempo nervoso nei miei confronti per aver interrotto il suo piacere. Patetico!

«Domani non voglio più vedere questo tappeto in questa stanza. Fallo sparire. Che schifo!» guardai prima zia Kate e poi il tappeto mentre le immagini dei due lì sopra si fecero nuovamente spazio nella mia mente. Un forte senso di nausea s'impossessò del mio stomaco. Avrei tanto voluto vomitare su Isaac.

«Ma non ha senso! Se tu fossi arrivata dieci minuti dopo, non avresti saputo niente e di conseguenza avresti continuato a starci di sopra nei giorni a seguire, senza alcun problema» Isaac si concedeva persino il lusso di scaricare la colpa su di me. Lui sì che era un vero uomo.

«Perché invece tu non potevi tenere a bada il tuo pisello, giusto? Sono le due di notte, avreste dovuto immaginare che sarei tornata!» se avesse potuto il mio sguardo lo avrebbe ucciso. Odiavo già quell'uomo.

«Micaela! Non ti permetto di rivolgerti con questi toni ad Isaac. Chiedi scusa!» la zia aveva abbandonato l'espressione da cane bastonato sul suo volto per assumerne una decisa e quasi indispettita. 

«Ma scherzi? E voi quando mi chiederete scusa per aver scopato in un luogo dove c'erano il novanta percento di possibilità che vi avrei scoperti? Eravate così infuocati lì sotto, da non riuscire ad arrivare nella tua stanza o ancora meglio in un hotel? Sai bene che non approvo la tua relazione malata con questo coglione, per mio rispetto non avresti proprio dovuto portarlo qui!» agitai le mani per il nervosismo e parlai velocemente. 

«Perché chi sei, mia mamma? Io sto con chi mi pare e piace, di certo non devo dare ascolto ad una ragazzina di sedici anni. E poi Isaac è un bravissimo uomo, noi ci amiamo che ti piaccia o no.»

«Certo, un bravissimo uomo senza palle» risi per nervosismo.

Sembrava quasi che Isaac non fosse presente a quel litigio tra me e la zia. Alternava lo sguardo da me a lei come se niente potesse ferirlo. L'avevo insultato, eppure il suo volto non aveva cambiato espressione neanche una volta. Era impassibile. Evidentemente era a conoscenza di essere un coglione e non sentiva il bisogno di ribattere. 

«È la prima volta che l'incontri. Non ti permetto di giudicarlo ancor prima di conoscerlo. Vedrai che con il tempo cambierai idea» insisté nuovamente zia Kate nel prendere le parti di quell'uomo. Come se lui non fosse in grado di difendersi da solo. 

Dopo le parole di zia Kate un lampo di genio colpì la mia mente. Avrei potuto sfruttare la situazione a mio favore. Finalmente avrei posto fine a quel tira e molla. 

«Perché allora non cerchi di farmi cambiare idea già da domani?» mi rivolsi direttamente ad Isaac, guardandolo con un sorriso soddisfatto. Avevo avuto un'idea geniale!

«Cioè?» disse semplicemente corrugando la fronte. Abbandonò improvvisamente la sua espressione menefreghista. Era quasi preoccupato, mi considerava pericolosa evidentemente.

«Domani passeremo insieme il Natale. Faremo un pranzo con la madre di Castiel, il suo nuovo compagno, Castiel e poi ovviamente ci sarete voi due. E tu, Isaac, t'impegnerai a dire tutta la verità a tuo figlio. Hai creato questo casino ed ora spetta a te risolverlo. Castiel ha il diritto di sapere. Avete nascosto questa storia già per troppo tempo. Ci stai?» guardai l'uomo con aria di sfida convinta che non avrebbe acconsentito.

Avrebbe tirato fuori l'ennesima scusa, in quel caso si sarebbe nascosto dietro al fatto che fosse Natale e che non sarebbe stato opportuno risolvere quelle questioni importanti proprio in un giorno di festa. Avrei potuto anche dargli ragione, da un lato, ma sapevo che sia Isaac che la madre di Castiel non fossero sempre in città e per evitare di tirare ancora a lungo la corda avevo pensato di proporre quel pranzo. 

«Va bene. Accetto!» sgranai gli occhi davanti al suo improvviso coraggio. 

«Cosa? N-no Isaac, non sei costret-» zia Kate fu interrotta da Isaac «No, va bene così. Ha ragione Miki, questa situazione deve essere risolta una volta per tutte!» mi sorprese positivamente sebbene cercai di non illudermi troppo, la giornata di domani sarebbe stata lunga e non potevo sapere se l'uomo avrebbe mantenuto la parola o se da codardo avrebbe lasciato qualcun altro parlare al posto suo.

«Bene. Ad avvertire Castiel e per il cibo ci penso io. Voi impegnatevi solamente ad avvertire la mamma di Castiel. Il pranzo sarà alle 13 in punto. Siate puntuali. Notte!» salutai e mi voltai con l'intenzione di abbandonare la sala da pranzo.

Ma proprio quando raggiunsi la porta Isaac parlò lasciandomi di stucco. 

«Che peperino! Ora capisco perché Castiel ha una fissa per te» 

Mi bloccai mentre il mio cuore perse un battito. Bastò quella frase per mandarmi nuovamente in confusione. Castiel aveva parlato con suo padre di me? In bene o in male?

Per il momento decisi di lasciar perdere e senza rispondere mi diressi nella mia camera. Una volta che fui sola nel mio spazio e mondo personale, una volta chiusa la porta, sospirai. Mi complimentai con me stessa per la decisione dimostrata durante tutta la conversazione. Avevo sostenuto più volte di non voler prender parte a quella storia, vero, eppure quando si trattava di Castiel mi veniva spontaneo cercare di risolvere i problemi. Sapevo di aver detto che non meritava il mio aiuto dopo la sua reazione all'articolo del dolce journal, ma era più forte di me il bisogno di sostenerlo e aiutarlo nei casi in cui non riusciva o non poteva farlo da solo. Era mio amico, dopotutto, e gli amici si perdonano, litigano e si aiutano in continuazione. Ed io avevo già perdonato quel suo modo di fare di mesi prima, sebbene volessi ancora inscenare il ruolo della dura. 

Mi spogliai finalmente di quel vestito ampio ed elegante e dopo essermi lavata, indossai il pigiama e mi gettai poco garbatamente nel mio letto. Quando il mio sguardo cadde nuovamente su quel bellissimo vestito ripensai a tutta la serata. Senza esserne consapevole, soltanto in una sera, avevo abbassato il mio scudo. Avevo iniziato a togliere parte dell'armatura. Era accaduto così, all'improvviso, sotto la magica notte della vigilia di Natale, avevo permesso a più persone di starmi accanto. Alexy, Rosalya, Nathaniel e per finire anche Castiel. Sebbene ancora avessi paura di uscirne ferita da qualsiasi tipo di rapporto, fui contenta di aver iniziato a socializzare più naturalmente, senza impormi alcun tipo di regole. 




CASTIEL

Quella notte non c'era modo di riuscire a prendere sonno. Mi girai e rigirai nel letto alla ricerca di una posizione comoda, ma non la trovai. Continuavo ad avere davanti agli occhi immagini di quella ragazza nel suo vestito blu scintillante. Vedere la sua schiena scoperta aveva fatto rinascere istinti incontenibili dentro di me. Dio, se era bella! Ma avrei dovuto aspettare per averla. Quando lei e Nathaniel si sarebbero messi insieme, io avrei colpito, non potevo farlo prima. Dovevo vendicarmi, non potevo rovinare tutto solo per la voglia incontenibile di avere una scopata con quella ragazza bellissima. Mi sarei dovuto accontentare di avere altre, nel frattempo, come avevo fatto quella sera. La desideravo talmente tanto da arrivare a pronunciare persino il suo nome durante gli atti sessuali di quel periodo. Era accaduto con Ambra, proprio quella sera nei bagni di quel posto, ma non era la prima volta che mi accadeva. Maledizione! Sembrava quasi di non aver visto mai ragazze. Miki non aveva niente di particolare, niente più delle altre, dovevo smetterla di perdere il controllo. Dovevo aspettare. Essere paziente.

All'improvviso fui distratto dalla vibrazione del mio cellulare, lo presi e leggendo il nome di Miki sullo schermo sorrisi spontaneamente. Mi stava chiamando, sembrò farmi piacere. Somigliavo ad un bamboccio, dovevo smetterla. 

Risposi ma la sua voce stava già parlando senza darmi il tempo di aprire bocca. 

«Cosa mi stai facendo, rosso rubacuori?» corrugai la fronte davanti a quella strana domanda e quello strano nomignolo. Doveva essere ubriaca. 

«In realtà ci sarebbero tante cose che potrei farti... Prenderti e sbatter-» m'interruppe e sul mio volto nacque un sorriso furbo.

«Smettila Castiel, non stavo parlando con te» si giustificò, non la credetti ovviamente, ma non insistetti. Dovevo aspettare che lei si mettesse con Nathaniel prima, ripetei quella specie di mantra nella mia testa per convincermi. 

«Ti sembra ora di disturbare la gente, questa?!» tornai ad essere infastidito, come sempre. Dovevo farlo, dovevo mantenere le distanze, mi ripetei. 

«Oh sì, giusto. Scusa, ma dovevo avvertirti di una cosa importante. Sarò veloce, scusa ancora» sembrò essere dispiaciuta e per nulla ubriaca. Non le risposi, aspettai che continuasse.

«Ehm... Allora... Per domani hai impegni?» chiese impacciata. Mi fece quasi tenerezza. 

«No»

«Grande! Cioè, bene. Ehm... Quindi ti andrebbe di pranzare a casa mia?» era così diversa rispetto alle altre volte. Da sempre l'aveva distinta l'essere decisa, ma in quel momento sembrò quasi in difficoltà. Mi stava mostrando un altro suo lato.

«E per quale motivo dovrei pranzare a casa tua il giorno di Natale?» 

«Verranno anche i tuoi genitori» sgranai gli occhi dopo le sue parole. 

Non si erano neanche mai conosciuti, per quale motivo i miei genitori avrebbero dovuto pranzare a casa sua?

Sospirò «ascolta, so che ti sembra una cosa assurda... Ma per favore, non fare domande e fidati di me. Capirai tutto domani.» 

Feci come mi chiese. Acconsentii per quel pranzo, il giorno dopo non avevo niente di meglio da fare.





MIKI

Quando chiusi la chiamata con il rosso, mi diedi della stupida. Avevo balbettato per tutto il tempo e in più ad inizio conversazione avevo detto una frase imbarazzante. Lo avevo chiamato "rosso rubacuori", sul serio? Mi ero comportata come farebbe una tipica persona con il ragazzo per il quale ha una cotta.

"Ed io non ho proprio nessuna cotta per lui!" quasi mi sgridai mentalmente. "Oh sì certo, allora io sono Taylor Swift" intervenì la mia coscienza, mi erano mancate le sue battute. "Non sono battute, è la realtà. Quando aprirai gli occhi è sempre ora!" alzai gli occhi al cielo e non le risposi. Non volevo discutere anche con lei. 

Eppure Castiel era peggio dell'alcol per me. Era capitato raramente di ubriacarmi, ma era capitato, e potevo assicurare che il rosso fosse molto peggio. In sua presenza il cuore mi sussultava, cambiavo umore continuamente, un giorno lo odiavo e il giorno dopo no, mi provocava dipendenza. Più volte avevo provato a star lontana da lui ma poi finivo per ritrovarmi a pensarlo o peggio ad averci a che fare direttamente. E non sapevo quanto quelle sensazioni potessero essere paragonate ad un'amicizia. 

E poi c'era Nathaniel. Provavo una sorta di simpatia nei suoi confronti, ma non mi ero comportata nel migliore dei modi. Avrei dovuto chiarire con lui dopo ciò che era accaduto durante il ballo. Dopo Natale l'avrei cercato.

-

La sveglia suonò alle nove in punto. Mi alzai, feci una doccia veloce e mi vestii in fretta. Dovevo trovare un ristorante che praticasse il servizio d'asporto e non era facile il giorno di Natale. Aprii il computer ed iniziai la mia ricerca. Uno era chiuso, uno non praticava il servizio d'asporto per un numero elevato di portate. Dopo circa trenta minuti tra chiamate e ricerche andate male, trovai un ristorante che poteva andare bene. Si chiamava "Restaurant à la musique". Salvai il numero sul cellulare e provai a chiamare incrociando le dita.

Rispose una ragazza giovane, le spiegai di cosa avevo bisogno e lei mi rispose che avrebbero potuto soddisfarmi, ma che per via del menu completo richiesto avrei dovuto recarmi al locale di persona e anticipare i soldi almeno per coprire il prezzo di metà pranzo. All'ora che gli avrei indicato, poi, mi avrebbero consegnato il pranzo direttamente loro a casa. Era un metodo un po' strano il loro, ma avendo già chiamato la maggior parte dei ristoranti della città e non avendo più pazienza di cercare altri posti, acconsentii a quel compromesso. 

Quando chiusi la chiamata, però, mi resi conto di un'ulteriore problema. Non sapevo come raggiungere quel ristorante, non sapevo neanche dove si trovasse. Avrei potuto recarmi con un taxi o con un qualunque mezzo pubblico, ma ci avrei impiegato decisamente troppo tempo e quel giorno non avevo abbastanza pazienza. Declinai l'idea di chiamare un qualsiasi mio compagno di classe proprio in un giorno di festa o di chiedere a zia Kate, meno avevo a che fare con lei, meglio era. Ero ancora nervosa con lei per aver scelto un uomo come Isaac da amare. Così decisi di chiedere di accompagnarmi all'unica persona che non mi avrebbe potuto negare il suo aiuto. Doveva pranzare con me, quel giorno, se avesse rifiutato saremmo rimasti senza cibo e sarebbe stato anche a suo sfavore. 

Lo chiamai mentre mi si formò una strana ansia al centro dello stomaco. Rispose dopo otto squilli. 

«Possibile che non riesci a stare senza di me neanche mezza giornata?» la sua voce era più rauca del solito, a testimonianza del fatto che la mia chiamata lo aveva svegliato. 

«Buongiorno anche a te Castiel» gli risposi con sarcasmo per marcare il fatto che non mi avesse salutata.

«Giorno, ragazzina» la sua voce era bellissima da appena sveglio. Era la prima volta che mi capitava di sentirla. Chissà come doveva essere bello svegliarsi al suo fianco. Scossi la testa e cercai di restare concentrata sul mio obiettivo.

«Sì, senti... Dovresti farmi un favore. Siccome devo ordinare e pagare il cibo per il pranzo e per farlo mi hanno detto di dover andare direttamente al ristorante di persona... non è che potresti accompagnarmi? Sono a piedi!» mi sentii strana nel chiedergli quel favore, quasi mi vergognai. 

Sin dal giorno precedente, dal ballo, i miei atteggiamenti nei confronti del rosso erano mutati improvvisamente, mi veniva spontaneo comportarmi in modo strano, non riuscivo a controllare quella strana ansia provata verso di lui. Erano sensazioni nuove per me. 

«Ma una zia con una macchina non ce l'hai?» doveva essere sempre il solito scorbutico. 

«Castiel, insomma vieni o no?» quasi mi pentii di avergli chiamato. Avrei dovuto viaggiare in autobus, sarebbe stato meglio invece di sentire un suo rifiuto.

«Cosa ci guadagnerei se ti accompagnassi?»

«Il pranzo di oggi?!?» 

«Se mi darai qualcosa in cambio, oltre al cibo di oggi, ti accompagnerò!»

Acconsentii per farlo smettere di parlare. Non sapevo cosa volesse in cambio del passaggio, disse che mi avrebbe spiegato meglio quando sarebbe passato a prendermi da casa mia, ma non poteva essere qualcosa di così terribile, giusto?





NATHANIEL

Mentre pensieroso ammiravo la vista dalla finestra della mia camera, un clacson ed un rombo di motore famigliare attirarono la mia attenzione. Castiel fermò la sua moto proprio davanti al cancello di casa Rossi e quando scese dal mezzo, levandosi il casco e citofonando a casa sua ebbi la conferma che stesse aspettando proprio lei. Digrignai i denti e strinsi entrambe le mani a pugno. Quei due mi stavano nascondendo qualcosa. Più volte avevo chiesto a Miki di dirmi la verità e più volte eravamo stati interrotti da qualcuno. Lei poi non era mai apparsa così desiderosa di raccontarmi la verità. Sembrava quasi non fosse destino per me, scoprire di più su quella storia. Ma quella mattina sarei andato contro al destino, colto da un improvviso coraggio decisi di affrontare entrambi, insieme. Nessuno ci avrebbe potuto interrompere e saremmo stati lontani da occhi indiscreti. Era quello il giorno ideale.

Micaela mi piaceva realmente, ero legittimato a conoscere le sue verità prima di farmi male per davvero. Scesi le scale della mia villa di fretta e sotto lo sguardo indagatore di mia mamma, per una volta non le diedi retta, uscii di casa dirigendomi a passo svelto di fronte casa di Miki. 

«Cosa ci fai qui?» la mia domanda fece sussultare Castiel. Non mi aveva visto arrivare, era di spalle. 

Si voltò verso di me e poi guardandomi dalla testa ai piedi con un'espressione schifata rispose. «Non sono affari tuoi» incrociò le braccia. 

«Oh sì che lo sono, invece. Non so se qualcuno te lo ha riferito, ma io e Miki ci stiamo frequentando.» 

In realtà Miki non aveva ancora risposto affermativamente alla mia domanda della sera prima, ma questo Castiel non doveva saperlo. 

«Auguri e figli maschi meno coglioni di te, si spera» ghignò fingendosi menefreghista. 

Prima del nostro litigio avevo sempre apprezzato le sue battute taglienti, erano simpatiche. Ma da quando la maggior parte erano rivolte direttamente a me non mi apparvero più così tanto divertenti. 

«Ti conosco abbastanza bene da sapere che c'è qualcosa di sotto ai tuoi comportamenti nei suoi confronti. Lei non è il tuo tipo di ragazza ideale e non sei di certo interessato ad avere un'amica per la pelle. Quindi che intenzioni hai con lei?»

«È arrivato lo psicologo dei miei coglioni.» sbuffò alzando gli occhi al cielo. 

«A che gioco stai giocando, Castiel?»

«Fossi in te farei qualche domanda di queste alla tua ragazza invece di rompere le palle al sottoscritto. E poi ciò che faccio o non faccio con lei, non devo di certo dirlo a te!»

«Cosa c'è stato finora tra voi due?» sapevo non fosse corretto chiedere a lui, avrei dovuto chiarire con Miki prima di tutto, ma l'attesa, l'ignoranza sui fatti accaduti era diventata sin troppo straziante per me.

«Ahh! Quindi è questo il tuo problema. Temi che me la sia portata a letto prima di te, verginello. Oh, potevi dirlo prima, ci saremmo risparmiati questa patetica conversazione.»

Aprii la bocca per ribattere, ma la voce di Miki m'interruppe «Eccomi!» affermò mentre usciva dal cancello. 

«Cos-» la bloccai prendendo la parola «Miki, per favore ho bisogno di sapere la verità una volta per tutte, cosa c'è stato tra te e Castiel?» apparii quasi come un elemosinante, ma non ne potevo più.

Davanti alla mia domanda Miki puntò istintivamente il suo sguardo su Castiel e arrossì. Avevo capito tutto, purtroppo.

«Non potremmo riparlarne quando saremo soli? Non mi pare il caso, ora.»

Evidentemente era accaduto qualcosa e lei provava vergogna parlarne davanti a Castiel in persona. Restai deluso.

«No, mi dispiace. Non posso più, ho già aspettato abbastanza. Miki, tu e Castiel siete stati a letto insieme? Rispondi!» risultai antipatico e autoritario dal mio tono, forse, ma non ne potevo più di vivere nel dubbio. 

«Come ho fatto a non capirlo prima?!? Ma certo... è questo il tuo problema. La mia verginità. Temi che sia stata con tutti i ragazzi della scuola, con il tuo nemico, temi che io sia contro i tuoi valori? Una ragazza dovrebbe piacerti a prescindere da questo» s'innervosì. 

«Rispondendo così però non fai altro che confermare la mia ipotesi» non dovevo rispondere solamente con quella frase, eppure le parole mi sembrarono bloccate, non riuscivo a spiegarmi, maledizione!

«Ma pensa un po' ciò che vuoi... Non stiamo insieme ed anche se fosse non sarei tenuta a giustificarmi con te su niente. Hai detto di volermi frequentare, ma non capisco su cosa lo basi se sembra quasi che tu abbia paura di starmi vicino, temi il contatto fisico, temi che io non sia vergine. Abbiamo dei modi di pensare totalmente diversi e per concludere litighiamo appena dialoghiamo su qualcosa di personale. Sulla base di cosa dovrei accettare di frequentarti?»
 





MIKI

Ero nervosa, tanto, troppo nervosa. Sapevo di dover chiarire, di aver sbagliato il giorno prima nei suoi confronti. Ma odiavo che Nathaniel non si fidasse di me, dava importanza ad aspetti che invece dovevano essere secondari. Sembrava quasi scegliesse una ragazza non perché le piacesse realmente ma perché fosse vergine. Era un ragionamento assurdo, il suo. 

Dopo la mia sfuriata non rispose, mi guardò negli occhi e senza che riuscissi ad accorgermene lo ritrovai a pochi millimetri dal mio volto. Cosa voleva fare? 

I suoi occhi dorati si addolcirono mentre mi guardavano da quella distanza minima, erano così belli. Non eravamo mai stati così vicini. Le sue mani si posarono dietro la mia testa e quando chiuse gli occhi capii cosa sarebbe successo da lì a poco. 

Voleva dimostrare il contrario delle mie supposizioni di poco prima. Dimostrare che non fosse fondamentale la mia verginità o qualsiasi cosa accaduta con Castiel. Apprezzai quel suo comportamento.

Poggiò le sue labbra sulle mie senza preavviso, come un lampo a ciel sereno. Eppure a parte sorpresa non riuscii a provare nulla. Sentivo la presenza di Castiel alle mie spalle, non riuscii ad isolarmi, ad avere le famose farfalle nello stomaco. Fu il mio primo bacio con Nathaniel e mi aspettavo qualcosa di più. Perché non riuscivo a provare le stesse emozioni che invece avevo sentito con Castiel? Quella domanda ronzava nella mia testa come una zanzara fastidiosa finché non fu lo stesso Castiel ad interrompere i miei pensieri.

«Se non ti dai una mossa, torno a casa mia» percepii un lieve fastidio nella voce del rosso. 

Così senza destare maggior nervosismo in lui, salutai Nathaniel -con un bacio alla guancia- promettendo che gli avrei spiegato ogni cosa il giorno dopo. Non potevo più tirare la corda, era giunto il momento di chiarire con lui.

Quando il biondo rientrò a casa sua, Castiel mi porse un casco, lo afferrai e lo indossai senza fare domande. Salii sulla moto e mi aggrappai a lui. 

«Dove si trova questo ristorante?» mi domandò prima di accendere i motori.

«So solo che si chiama "restaurant à la musique". Non so dove si trova di preciso. Posso mettere il navigatore se v-» m'interruppe prendendo la parola.

«Con tanti locali in città, proprio quello dovevi scegliere?! Cazzo!» il suo corpo s'irrigidì sotto le mie mani. Ero ancora aggrappata a lui in attesa di partire. 

«Perché, lo conosci? Cos'ha che non va? Non si mangia bene?» lo riempii di domande non capendo il suo improvviso nervosismo nei confronti di quel posto. 

E ovviamente decise di non rispondere neanche ad una domanda. Partì con sicurezza e quindi capii che conosceva quel locale. Tutto il viaggio passò in silenzio, guidò senza rispettare i limiti di velocità ma quella volta non sembrava farlo di proposito per farmi urlare, quel giorno sembrava quasi trovarsi in un altro mondo. Nessuna battuta, nessun gesto, niente di niente. 

Quando arrivammo, capii che il locale si trovasse in centro città.

«Ah, ma non avevi detto di volere qualcosa in cambio del passaggio offertomi?» gli chiesi curiosa, scendendo dalla moto. 

«Non voglio niente. Non ha più importanza!» rispose infastidito togliendosi il casco, ma restando seduto sulla sua moto.

Sperai di migliorare il suo umore, facendolo pensare ad altro, ma non ci riuscii.

«Ora sbrigati ad ordinare. Non voglio restare qui a lungo» corrugai la fronte davanti alla sua frase. Non capivo. 

«Perché, tu non entri con me? Possiamo trovare un altro posto per ordinare, n-»

«No, ti aspetto qui. Ti ho detto di sbrigarti, cazzo! Sei fastidiosa» si passò una mano tra i capelli e mi guardò male. Non sopportavo quando mi trattava in quel modo.

«Innanzitutto ti calmi. Poi non so cosa mangi, quindi di-»

«Mangio tutto. Ora va'» mi slacciò il casco, lo tolse e lo poggiò sulla moto, poi posò le mani sulle mie spalle, mi voltò e mi diede una leggera spinta per incitarmi ad entrare in quel locale. 

Alzai il dito medio verso di lui senza voltarmi, ed entrai nel locale. Avrei tanto voluto sapere il motivo per il quale stava avendo quei comportamenti odiosi. Era un posto bellissimo e parecchio grande, ma ancora vuoto vista l'ora. I primi clienti sicuramente si sarebbero presentati tra qualche ora.

Era molto illuminato. Il soffitto era fatto di vetro, così da poter ammirare il cielo. Oltre i lampadari fatti a mo' di grappolo, vi erano due lampioni per ogni tavolo. Erano quei lampioni solitamente situati nei parchi. Era un posto molto suggestivo e interamente di legno. Come centro tavola erano sistemate delle chitarre e violini in miniatura per richiamare il nome del locale. Poi poco lontano dai tavoli c'era un palco vuoto con tutti gli strumenti. Sicuramente suonavano musica dal vivo. Mi s'illuminarono gli occhi nell'ammirare quel ristorante. Era davvero molto bello. Avrei tanto voluto fare i complimenti al proprietario.

«Ti ha accompagnata quel ragazzo sulla moto che c'è fuori?» mi chiese la stessa voce che aveva risposto al telefono poche ore prima. Aveva una voce particolare, mi era rimasta impressa per quel motivo. 

Mi voltai in direzione della voce e mi si presentò una ragazza davvero, davvero bella. Era alta quasi quanto me, dei lunghissimi capelli castani e lisci le contornavano il volto. Ma la vera particolarità di quella ragazza erano i suoi occhi. Aveva dei grandissimi occhi celesti, parecchio chiari. Ammaliavano, ma non sembravano limpidi e buoni all'apparenza. Guardai la sua figura per intero e notai fosse molto magra ma con delle forme parecchio definite. Doveva avere quasi la mia stessa età ed un modo di vestire appariscente. In quel momento indossava dei pantaloni stretti di pelle nera, degli stivali alti ed un top parecchio scollato. Le sue braccia erano contornate da tatuaggi a dir poco volgari, a mio parere.

«Hai finito di farmi la radiografia?» si riferì al fatto che la stessi osservando più del dovuto. In effetti aveva ragione, eppure non mi sentii in dovere di chiederle scusa, la guardai di sbieco senza aprire bocca. Mi sentivo quasi minacciata da lei, non riuscivo a capirne il motivo.

«Allora, sei con lui o no?» mi rinfrescò la mente sulla prima domanda.

Conosceva Castiel?

«Sì, lui è con me. Perché?» corrugai la fronte in attesa della sua risposta.

«State insieme, insieme?» si dipinse un'espressione di fastidio sul suo volto e oserei dire gelosia. 

«Ma questo è un ristorante o un programma di Maria De Filippi?» risposi sarcasticamente e nello stesso tempo innervosita. Mi stava stufando quella ragazza.

«Oh sei italiana! Bene, bene» sorrise diabolicamente. Ma era pazza o cosa?

«Continuo a non capire per quale motivo dovrebbe interessarti» alzai le sopracciglia, infastidita da lei e dal suo continuo ficcanasare.

«Sono l'ex ragazza di Castiel, ma lui mi appartiene ancora. Tornerà da me!»

"Oh beh... una delle tante, figuriamoci. Eppure perché continuo ad avere l'impressione che lei non fosse stata la sua ragazza solo per una notte?" Castiel era diventato nervoso appena avevo comunicato il nome del locale, non era voluto entrare. Stavo ricollegando tutto. Lei doveva essere la proprietaria del posto o qualcosa di simile. 

«E a me dovrebbe interessare perché..?» le risposi, eppure m'interessava eccome, ma non volevo dare troppe soddisfazioni a quella strana ragazza. Sapevo mi stesse testando. 

«Tanto lo so che sei gelosa da morire» mi provocò con aria di superiorità.

«Senti cara, vuoi darmi gentilmente un menu così posso finalmente andarmene e non rivederti mai più?»

Stavo realmente perdendo le staffe. Era bella, ma continuava a sentirsi la regina del mondo, come se tutto il mondo fosse ai suoi piedi, compreso Castiel. Non poteva sapere se lui provasse ancora qualcosa per lei, eppure lei era convinta che sarebbero ritornati insieme. 

«Si vede lontano un miglio che ti piace» mi derise «peccato però, tu non sei proprio il suo tipo» si finse dispiaciuta. 

«Dovresti dire peccato per te, invece. Io e Castiel stiamo insieme. Quindi evapora gentilmente, grazie!» 

Sapevo di aver detto una bugia, ma non la sopportavo più. Dovevo farla scendere dal piedistallo in qualche modo e quello di dirle del mio fidanzamento con il rosso mi sembrò l'unica possibilità.

«Oh bene. Proprio ciò che mi serviva sapere. Allora, scrivi questo nome nella tua testa: Debrah Duval. Sarò il tuo terrore!»

Debrah Duval. Era lei, quindi, la famosa Debrah. Il nome che più volte avevo sentito nei corridoi a scuola, la storia che nessuno osava raccontarmi. In quel momento ebbi la conferma che lei non era stata solamente la ragazza di una notte per Castiel. Tutti affiancavano il nome del rosso al suo, doveva esserci un motivo. 

«Debrah perché urli contro una nostra cliente?» una voce maschile interruppe i miei pensieri e la mia possibilità di rispondere a quella ragazza. Ma fui sollevata.

«Salve, senta può darmi gentilmente un menu, in modo da ordinare?» mi voltai verso la voce e mi si presentò davanti un uomo sulla cinquantina, dai capelli neri e di corporatura normale.

Con un sorriso sul volto mi consegnò il menu e sotto i suoi consigli decisi cosa ordinare. 

Moules à la creme (cozze con panna); Crostini di mare (spada e tonno affumicato, crema al tonno, crema al salmone); Omelette (accompagnata da insalata mista e patate al forno); Entrèe di mare: Tonno affumicato, pesce spada affumicato, salmone affumicato, ostrica gratin, spiedino di gamberi e zucchine, involtino di alici con pistacchi; Carpaccio del pescatore, pesce spada affumicato su letto di lattuga con frutta e noci; dolce: panettone con ciliegie a pezzi. 

Avevo ordinato tanto forse troppo cibo, ma la zia prima di uscire mi aveva raccomandato di abbondare, quindi ascoltai i suoi suggerimenti. 

Pagai la metà del pranzo e dettai il mio indirizzo di casa. Debrah sembrava essersi volatilizzata nel nulla; meglio così. Avrei tanto voluto non dover avere più a che fare con lei, ma il sesto senso mi suggerì che avrei sentito parlare di lei ancora per molto, purtroppo. Ringraziai il signore che mi aveva gentilmente salvata da quella situazione e uscii da quel posto tirando un sospiro di sollievo.

I miei occhi cercarono Castiel e lo trovarono poggiato alla sua moto mentre fumava una sigaretta. Istintivamente e senza connettere il cervello ai muscoli volontari del mio corpo, mi precipitai su di lui e lo strinsi tra le mie braccia. Volevo essere rassicurata da lui, percepire che non sarebbe mai andato da nessuna parte. Dal gesto inaspettato gli cadde la sigaretta dalle mani e continuò a bruciare sul marciapiede. Non si scostò dal mio abbraccio, anzi dopo qualche secondo ricambiò poggiando le sue mani grandi sulla mia schiena. Per un momento mi sentii al sicuro. 

Poi sciolse l'abbraccio e mi guardò dritto negli occhi.

"Non guardarmi così Castiel, no. Non resisto".

Le famose farfalle nello stomaco iniziarono a svolazzare nel mio stomaco, quelle che aspettavo di avere con Nathaniel arrivarono con Castiel, solamente con la sua vicinanza. Persino il mio corpo era contro di me. Il rosso non poteva farmi quell'effetto, non doveva.

«Che ti prende?» mi sussurrò piano accarezzando per qualche istante i miei capelli.

«Ho appena avuto a che fare con la tua ex. Sembrava abbastanza pazza, a dir la verità e-»

Non mi diede il tempo di finire il discorso, non ebbe neanche bisogno di sentire il suo nome che subito ricollegò.
«È tornata...» pronunciò spostando lo sguardo verso il locale. Notai una strana luce nei suoi occhi.

Quindi avevo ragione. Debrah era stata importante per lui e probabilmente lo era ancora. 

Sciolse definitivamente l'abbraccio e si allontanò da me. Tenne lo sguardo puntato in un punto dentro il locale, sembrava imbambolato. Quando mi voltai capii tutto. 

Attraverso il vetro della grande porta del ristorante s'intravedeva la figura di Debrah, immobile intenta a squadrare Castiel. Lui guardava lei, quasi ammaliato e lei guardava lui, vittoriosa. Mi sentii il terzo incomodo, mi sentii sprofondare. Non avrei mai voluto assistere ad una scena simile. 

«Cos'è lei per te oggi, Castiel?» mi venne spontaneo chiedergli. Lui si voltò nuovamente verso di me con un'espressione confusa sul viso. 

Ma prima di fare quel genere di domanda a lui, avrei dovuto chiedere a me stessa: "Cos'è Castiel per te, Miki?" Perché improvvisamente non lo sapevo più. Quelle sensazioni nuove, quei fastidi provati nel saperlo interessato ad un'altra non erano normali. Non mi stavo comportando da amica. 

«Perché dovrei dirlo a te?» rispose con un'altra domanda e senza aspettare risposta salì nuovamente sulla moto. 

Un senso di angoscia mi pervase il corpo. Con quella sua risposta mi fece capire di non esser legittimata a sapere la verità. Ma anche se non stavamo insieme, anche se tra di noi c'era stato solamente un bacio, lui non poteva andarsene via da me. Il suo posto era accanto a me. Lui era il mio vicino di banco; e qualsiasi altra cosa di strano ci fosse stata tra di noi, a me andava bene. Avrei soltanto voluto tenerlo accanto a me, nonostante il suo pessimo carattere. Non volevo finisse nelle grinfie di quella Debrah, non la conoscevo eppure non sembrava essere una brava ragazza.

Non fiatai, in quel momento non riuscivo più ad aprire bocca. Salii anch'io sulla moto e dopo essermi infilata il casco, tornammo a casa in totale silenzio con solo il rumore assordante dei motori e della città a fare da contorno. 

Erano ormai quasi le dodici quando giungemmo a casa mia. Mancava solamente un'ora all'arrivo degli altri. Volutamente qualche ora prima avevo spinto zia Kate ad uscire per poter restare da sola con Castiel, non per strane intenzioni, ma solamente per iniziare a prepararlo mentalmente su cosa sarebbe accaduto durante il pranzo. Avevo organizzato il tutto nel giorno sbagliato, ma non potevo aspettare. Il costante peso delle bugie mi torturava giorno per giorno da ormai qualche mese anche se io e Castiel non ci rivolgevamo più la parola. Sulla mia pelle avevo sentito cosa si provasse a mentire per troppo tempo, cosa avrebbe potuto generare, e non avevo più alcuna intenzione di trovarmi in situazioni analoghe.

Quando entrammo in casa ci dirigemmo nel salotto. Notai con piacere che zia Kate aveva provveduto a levare il famoso tappeto per sostituirlo con un altro più piccolo che evidentemente doveva avere di riserva. Sorrisi, almeno ero stata ascoltata. 

«Siamo soli?» finalmente parlò Castiel, dopo essersi accomodato sul divano dorato. Io restai alzata, di fronte a lui.

«Sì, gli altri arriveranno tra un'ora, più o meno»

«Ok, e non c'è alcuna possibilità che tu mi dica il motivo di questo pranzo, vero?» 

Perspicace, il ragazzo.

«No, non posso. Non spetta a me informarti di questi fatti. Mi prometti solo una cosa?» lo guardai quasi pregandolo.

«Dimmi»

«Mi prometti che quando saprai tutto non partirai in quinta prendendotela con me? Anch'io sono stata informata dei fatti in ritardo, ma l'ho saputo perché ci sono alcuni avvenimenti legati a mia zia Kate» cercai di restare il più vaga possibile e nello stesso tempo di fargli capire della mia innocenza. 

«Dì la verità... Sono così attraente che non riusciresti a vivere senza di me, vero?!? Per questa volta ti prometto di non prendermela con te, va bene» mi stupii della sua reazione calma e quasi giocosa. 

Era bipolare, tanto, troppo. Neanche mezz'ora prima era nervoso mentre in quel momento sembrò essere il ragazzo più spensierato del pianeta. Ne approfittai del suo buonumore per sapere qualcosa in più sulla sua ex. Non potevo farci nulla, la sua immagine e le sue parole continuavano a rimbombarmi nella mente. 

«E invece di Debrah non vuoi dirmi nulla?» avevo posto la domanda in maniera davvero schifosa, ma quella situazione mi metteva ansia tanto da farmi sudare le mani. 

Alzò gli occhi al cielo e si poggiò allo schienale del divano «E va bene... Tanto se non ti dico nulla, continuerai a chiedermi di lei all'infinito» mi fece segno di accomodarmi accanto a lui e così feci.

Poggiò i gomiti sulle sue gambe e guardando un punto inesistente davanti a lui iniziò a raccontare immergendosi nel passato:

«Lei... Beh, Debrah è stata la mia prima volta. Siamo stati insieme più di un anno, è stata la mia prima ed unica vera ragazza. È stata la prima a cui ho fatto un regalo. La prima in tutto. Ho sempre avuto delle mancanze da parte di mia mamma, lei le ha colmate. Visto che per la maggior parte del tempo vivevo da solo, quando stavamo insieme, quasi tutti i fine settimana si trasferiva da me e vivevamo insieme per tre giorni. Facevamo tutto insieme, ogni cosa. Ed io da buon cretino, con il passare del tempo ho finito per innamorarmi di lei sul serio. Ero talmente tanto folgorato del mio amore per lei da non accorgermi che lei, invece, non provava gli stessi sentimenti per me. Lei mi ha usato, mi ha manipolato e dopo che si è presa tutto quello che potevo darle mi ha abbandonato. Mi ha lasciato senza cuore dopo averlo pugnalato per bene. Mi ha lasciato come un povero senza vestiti. E da quando se n'è andata, da quel giorno, la mia vita è cambiata. Io, sono cambiato. Questa storia, però, la porterò per sempre con me, mi servirà per il futuro, è stata una lezione. Non m'innamorerò mai più di nessun'altra donna, è la regola fondamentale che mi sono imposto dopo il casino in cui quella ragazza mi ha lasciato. Ed è la stessa cosa che posso consigliare anche a te: non innamorarti. Mai. L'amore fa male, Miki...» lasciò la frase in sospeso e si voltò verso di me per guardarmi negli occhi. Dal suo sguardo trapelava tanta tristezza e sembrò quasi di volermi impormi quel consiglio, come regola assoluta da osservare. 

Quelle ultime parole rivolte a me, mi avevano trafitto il cuore. Mi avevano distrutta senza capirne il reale motivo. Per ogni sillaba pronunciata dalla sua voce, avevo avuto una fitta al cuore. Ma perché? Dopotutto anch'io avevo sempre pensato le stesse cose di Castiel. Anch'io sapevo che l'amore facesse male, anch'io non avevo alcuna intenzione d'innamorarmi di nessuno. Mai.

Poi, senza darmi il tempo di rispondere si voltò e iniziò a guardare di nuovo lo stesso punto vuoto di prima. Continuò a raccontare: «Sai, avevamo una band insieme. Lei era la cantante, io suonavo la chitarra elettrica e a volte cantavo, Nathaniel alla batteria e Lysandre scriveva le canzoni e nello stesso tempo suonava la chitarra acustica. Eravamo molto bravi. Suonavamo nel ristorante di Debrah il Sabato sera, lì dove siamo stati oggi. Per questo non volevo entrare, ho troppi ricordi in quel posto. Venivano a vederci tante persone, eravamo famosi più o meno. Quello è stato l'anno più bello della mia vita.» si passò le mani davanti al volto come a voler eliminare la tristezza e i ricordi, poi si poggiò con la schiena al divano e si voltò per osservarmi. 

Arrossii instintivamente e lui se ne accorse. Alzò un angolo della bocca e sorrise per dimostrarmi di aver visto la mia reazione. 

«M-mi dis-dispiace per quello che ti è accaduto» abbassai lo sguardo posandolo sui leggings che indossavo, improvvisamente li trovai interessanti. 

Non sapevo il motivo per il quale stavo avendo quei comportamenti, forse per le parole precedenti rivolte a me, forse perché avevo scoperto un nuovo lato di Castiel. Finalmente dopo mesi aveva dimostrato di possedere un cuore e di essere romantico, a modo suo. Sebbene mi avesse raccontato momenti dolorosi, aveva utilizzato delle belle parole, Debrah avrebbe dovuto esserne lusingata per l'amore che era riuscita a ricevere da lui. 

Castiel era una continua sorpresa e chissà quanto ancora avrei potuto scoprire di lui se solo me lo avesse consentito. Il giorno prima avevo scoperto delle sue doti da ballerino, e ora invece, quanto amore avesse da dare. 

«Perché stai arrossendo?» mi chiese improvvisamente, cambiando argomento. 

Bene. Aveva appena confermato di avermi notata. Perfetto. Mi sentii avvampare maggiormente e  avrei tanto voluto sprofondare per la vergogna.

Il divano accanto a me si mosse, segno che si stesse avvicinando a me. 

"Cosa sta facendo?" "Se alzassi quella faccia da pesciolina lessa che ti ritrovi, forse te ne accorgeresti" intervenì la mia coscienza. "Ma ti pare il momento di disturbare, questo?" "Invece di parlare con me perché non occupi il tuo tempo a fissare quel bel pezzo di manzo che ha poggiato le sue mani sul tuo mento e che forse vuole baciarti?!?" "Lui non ha alzato il mio men... Ehi un attimo! O mio Dio! Castiel è così vicino, Castiel mi sta guardando negli occhi, Castiel..."

«C-Castiel?!?» pronunciai ad alta voce. 

Maledetta coscienza, mi aveva distratta. 

«P-posso f-farti un'ultima domanda?» gli chiesi balbettando mentre lui continuava ad alternare lo sguardo tra i miei occhi e le mie labbra. Mi avrebbe uccisa lentamente quel suo modo di fare, ne ero sicura. 

Annuì e sparai senza pensare la prima cosa che mi venne in mente: «quindi tu e Nathaniel avete litigato per Debrah?» sapevo di aver sbagliato momento, ma non sapevo come smaltire il mio nervosismo e avevo ben pensato di fare domande poco opportune. 

Davanti a quella mia domanda Castiel si allontanò da me alzandosi dal divano. Il suo volto diventò di nuovo serio e la sua espressione scocciata. "Brava Miki, complimenti! Tu sì che sai come rovinare i pochi momenti carini che la vita ti concede"

«Non mi va di parlarne ora» rispose solamente.

«Oh sì, certo, scusami. Sono stata indiscreta nel chiederti una cosa talmente personale..» lasciai la frase in sospeso senza concluderla. 

Si creò parecchia tensione nell'aria, così gli passai il telecomando della TV e gli proposi di guardarla mentre io sarei salita in camera mia per cambiarmi. 

In realtà prima di quel momento non avevo alcuna intenzione di cambiare i miei vestiti, ma avevo dovuto trovare una scusa plausibile per evadere da quella situazione imbarazzante e quella di cambiare i vestiti fu l'unica che mi venne in mente. Approfittai della situazione per indossare degli abiti che pensai potessero piacere a Castiel. Non sapevo bene perché lo stessi facendo, ma l'entrata in scena della sua ex aveva suscitato in me una sorta di competizione ed io volevo colpire e attirare il rosso a tutti i costi. Indossai una gonna viola corta, un top abbastanza scollato e dei tacchi coordinati all'outfit. Quegli abiti coprivano poco, ma approfittai dell'aria calda emessa dai riscaldamenti per poterli indossare ugualmente in inverno. 

Mi affrettai a scendere le scale dopo aver concluso il mio look con un po' di trucco. Sperai in una sua reazione positiva nel vedermi, ma quando varcai la porta del salotto fui io a restare sorpresa e ad avere una reazione positiva per ciò che trovai. La tavola era già stata apparecchiata da Castiel. Sembrava quasi anche solo impossibile da pronunciare in una sola frase di senso compiuto. 

La tovaglia era rossa con delle renne disegnate in oro. Al centro del tavolo si trovava una stella di Natale bianca. Ai lati di questa c'erano due alberelli da soprammobile dorati e delle candele. Le posate, i bicchieri e i piatti erano tutti dorati. Su ogni piatto vi erano i tovaglioli di stoffa legati da un fiore rosso. Restai piacevolmente stupida dal suo gusto di apparecchiare la tavola, sembrava quasi esser stata agghindata da un cameriere. Più ore passavano e più il rosso mi stupiva, era forse la magia del Natale a far risaltare i suoi mille pregi. 

«Wow! Dove hai imparato?» gli chiesi curiosa. Sembrava davvero impossibile che uno come lui potesse apparecchiare la tavola nei minimi particolari come in realtà aveva fatto.

Non rispose. Alzò l'angolo sinistro della bocca mostrandomi un sorriso furbo. Sapevo avesse altro da nascondere.

L'unico aspetto mancante in quella tavola era un posto in meno. Ma giustamente Castiel non poteva sapere, forse non sapeva neanche dell'esistenza del compagno della mamma. Così prendendo tutto l'occorrente dalla vetrina di quella stanza aggiunsi io stessa il posto.

«Non dirmi che hai invitato anche il biondo...» la sua espressione disgustata aveva vinto tutto. 

Negai con la testa e mentre tirava un sospiro di sollievo iniziò a squadrarmi dalla testa ai piedi. 

«Pensavo avessi molto meno da offrire sul davanti. E invece...» si riferì al mio abbigliamento e soprattutto allo scollo sul davanti. Alzai gli occhi al cielo e non risposi.

-

Poco prima dell'ora di pranzo, mentre io e Castiel continuavamo a punzecchiarci a vicenda, sentimmo la porta d'ingresso aprirsi e dopo qualche istante sbucare nel salotto Isaac e zia Kate l'uno accanto all'altra, mano nella mano. Non potevo credere ai miei occhi, quei due non avevano avuto neanche la decenza di contenersi per comunicare quella notizia con un minimo di sensibilità. 

Mi voltai allarmata verso Castiel. Aveva capito tutto, non era stupido. I suoi occhi erano fissi sulle mani intrecciate dei due beoti che nel frattempo non si erano scomodati ad allontanarsi o a parlare. Avevo davanti due adolescenti, non due persone adulte. Povero mondo!

Non ebbi neanche il coraggio di avvicinarmi a Castiel, in quel momento niente e nessuno avrebbe potuto consolarlo. Era venuto a conoscenza della realtà in un modo troppo avventato ed io avrei tanto voluto schiaffeggiare quei due cretini che avevano permesso tutto quel casino. 

«Ciao rosso, come butta? Sono Kate, batti cinque» zia si avvicinò a Castiel e gli porse il pugno in segno di saluto.

"Ditemi che sto sognando, vi prego!" 

Castiel di tutta risposta la guardò di sbieco, incrociò le braccia e poi abbassando il volto verso il pugno di zia Kate fece una smorfia. Era il minimo dopo quella pessima presentazione. Ma cosa le era passato per la testa?

Quel pranzo sarebbe stato un vero e proprio disastro. Avevo avuto una pessima idea nell'organizzarlo. Quello era un segno. Eppure pensavo di aver a che fare con adulti, quando decisi sul da farsi, non con bambini. 

«Quando arriveranno gli altri dovrei comunicarti delle cose» intervenne, poi, Isaac ancora rimasto sulla porta del salotto. 

Usò un tono distaccato; non sembrava neanche stesse parlando con suo figlio. Mi sforzai di capire quell'uomo, ma non ci riuscii. Non avrei mai potuto cambiare idea sul suo conto, a quel punto ne fui quasi sicura. 

Dopo qualche minuto arrivò il furgone con il pranzo che suonò al citofono. Mi scusai con i presenti in casa ed uscii fuori per prendere le varie portate. Sospirai. All'interno di quell'abitazione si respirava un'aria parecchio pesante vista la tensione.

Proprio dopo aver finito di pagare il fattorino, davanti al mio cancello arrivò un auto nera ed elegante dalla quale scesero un uomo ed una donna. Capii subito che si trattasse della mamma di Castiel. La donna non era molto alta, di corporatura normale, lunghi capelli rossi ed occhi marroni tendenti al rosso. I lineamenti del viso erano identici a quelli del figlio. Era una donna molto affascinante a differenza del marito. In quel caso, in quella coppia pensai fosse stato lui a perdere con la separazione, non lei. Sapevo di non poter giudicare ancor prima di conoscerla, ma a primo acchito mi fece molta simpatia. Il suo volto era dolce e buono, davanti ai miei occhi apparì una donna energica e per nulla sofisticata. Insomma aveva tutte le caratteristiche positive che potevano essere possedute da una donna. 

«Ehi Miki aspetta, ti diamo una mano» sembrava già conoscermi.

 Si precipitò verso il furgone del cibo e prese le buste porgendone alcune all'uomo accanto a lei. 

Dopo aver guardato attentamente il suo compagno potei affermare che la rossa avesse cambiato per il meglio. Era biondo, occhi celesti e molto alto. Sembrava un ex modello. Ma nonostante ciò non era vitale come invece lo era la sua compagna. Mi strinse appena la mano presentandosi sotto il nome di Bruno. 

Dopo aver salutato e ringraziato il fattorino ci affrettammo ad entrare dentro casa, l'aria era gelida, sembrava stesse per nevicare. Posammo tutte le buste ed i vassoi del cibo in cucina, quando la donna si liberò di ogni peso e ingombro mi tese la mano per presentarsi.

«Finalmente ho l'onore di conoscerti.. Piacere, Adelaide»

Cosa voleva dire? Aveva sentito parlare di me spesso? Evidentemente per la storia del divorzio più volte aveva discusso con il suo quasi ex marito, e si era fatto riferimento a me che avrei dovuto raccontare al figlio la verità.

Ma poi avvicinandosi al mio orecchio mi rivelò un'altra verità del tutto inaspettata.

«Sai? A Castiel capita spesso di sognarti. I pochi giorni che passo a casa con lui succede di sentirlo chiamarti nel sonno» si allontanò dal mio orecchio, poi facendomi l'occhiolino e sorridendo, si allontanò dalla cucina per raggiungere il salotto e salutare il figlio. 

Io restai interdetta. Non era possibile. Castiel pronunciava il mio nome durante i suoi atti sessuali, mentre dormiva, in più il padre sosteneva ci tenesse a me. Avrei dovuto ricollegare ogni fattore scoperto in quei due giorni o avrei dovuto lasciar perdere per non illudermi? Lui stesso aveva detto di essere ormai contro ogni tipo di sentimento e io stessa lo sostenevo da una vita. Quelle erano state soltanto delle stupide coincidenze, e poi... chiunque poteva chiamarsi Miki. Magari non stava neanche facendo riferimento alla sottoscritta quando pronunciava il mio stesso nome.

«Cos'è questa pagliacciata? Qualcuno vuole scomodarsi a dirmelo?» alzò la voce innervosendosi, giustamente Castiel. 

Raggiunsi il salotto e lo trovai con i pugni stretti lungo il busto, tutti gli altri presenti lo fissavano quasi impauriti, come se temessero una sua reazione esagerata da un momento all'altro. 

«Sì tesoro, accomodatevi tutti a tavola, così tra una portata e l'altra ne discutiamo!» lo aveva appena chiamato "tesoro". Zia Kate non sapeva per niente cavarsela con i ragazzi della mia età. 

«Tesoro un corno» borbottò Castiel guardandola con sguardo omicida.

Kate si recò in cucina per sistemare le portate nei piatti e per servirle, mi aveva esplicitamente detto di accomodarmi e così feci. 

Zia Kate si sistemò a capotavola, di lato a destra Isaac, di fronte a lui e quindi a lato di zia Kate: Castiel. Io accanto a Castiel, di fronte a me Adelaide e accanto a lei Bruno. 

Iniziammo a pranzare in silenzio mentre la tensione poteva essere tagliata con un coltello. Castiel, tra un boccone e l'altro, guardava con astio ed odio Isaac che invece ogniqualvolta incrociava lo sguardo del figlio, lo spostava. Adelaide guardava con apprensione Castiel che invece non la degnava neanche di uno sguardo. Quando il rosso non era impegnato a trucidare con lo sguardo il padre passava la sua attenzione su Bruno, cercava d'incutergli terrore ma l'uomo sembrava non accorgersene. Zia Kate, invece cercò di fare da paciere della situazione, riuscendoci malamente. La tensione le faceva dire delle frasi abbastanza senza senso. E poi c'ero io. Io passavo il mio tempo a mangiare apprezzando il cibo di quel ristorante e a studiare i movimenti ed emozioni di Castiel, ero preoccupata per lui.

Sebbene la situazione ancora a metà pranzo non era stata spiegata, era intuibile. Castiel aveva capito cosa stesse accadendo nella sua famiglia, ma attendeva che qualcuno lo comunicasse apertamente. Quel qualcuno doveva essere Isaac ma aveva ben pensato di stare in silenzio, di abbuffarsi e quasi ubriacarsi per quanto vino stava bevendo. Era un codardo ed un ingordo. Più ore passavano e più difetti trovavo in lui, ma neanche un pregio riuscii ad intravedere in quella figura così brutta ed esile. Quasi mi dispiacque. Zia Kate stava insieme ad un uomo pessimo. 

Quasi a fine pranzo «Ma quindi, tu e Castiel state insieme? No, perché ora sarebbe un problema. Stiamo per diventare una fattispecie particolare di famiglia ricomposta e non vorrei strane tensioni amorose tra di voi» sgranai gli occhi davanti all'ultima uscita di zia Kate. Castiel saltò dalla sedia e sbatté i gomiti sul tavolo facendo sussultare tutti i presenti.

Zia Kate aveva esagerato. Aveva detto quelle parole con una tale nonchalance da farla sembrare una cosa normale. Ora il vero problema eravamo diventati io e Castiel? 

«Ma dico io, ti sei totalmente rimbecillita? Da quando sei diventata così stupida?» non riuscii a trattenermi nel chiamarla in quel modo. Sapevo fosse sbagliato rivolgermi a lei con quei termini e toni, ma non ne potevo più di quegli adulti che fingevano di essere adolescenti solamente per evitare di assumersi le proprie responsabilità. 

E poi... Conosceva bene i retroscena accaduti tra me e Castiel, sapeva bene che non stessimo insieme nonostante i baci, eppure aveva deciso di tirare in ballo noi per aprire il discorso. 

«Micaela, non ti permetto di rivolgerti a me con questo tono. Abbi un po' di ris-» 

Zia Kate venne interrotta da Castiel mentre cercava di rimproverarmi «Rispetto? Sul serio? Proprio tu stai parlando di rispetto? Tu invece il rispetto lo hai avuto quando ti sei scopata mio padre pur sapendo che aveva una famiglia?» strinse i pugni e li portò ai lati del suo busto mentre iniziò a trucidare con lo sguardo zia Kate. 

Come volevasi dimostrare Castiel era stato abbastanza furbo da intuire la situazione senza che nessuno gliela dicesse espressamente. 

Isaac si schiarì la voce e finalmente prese parola guardando dritto negli occhi il figlio: «Castiel gentilmente siediti e modera i toni. È giunto il momento che tu sappia tutto.» 

Era giunto il momento di essere un uomo, per lui. Sperai lo facesse fino in fondo. 

Castiel, sorprendentemente, si accomodò senza mai abbandonare l'espressione d'astio sul viso. Iniziò a torturare i suoi jeans strappati sulle gambe per sfogare parte del suo nervosismo, così senza pensarci due volte portai la mia mano sulla sua e gliela strinsi. Volevo fargli sentire il mio sostegno in qualche modo. Per un attimo pensai che mi avrebbe allontanata, ma invece si voltò verso di me, sorrise tristemente e poi strinse ancora più forte la presa della mia mano. Il cuore aumentò i suoi battiti per l'emozione del contatto. Sebbene fossi parecchio ansiosa, dentro di me, si creò un briciolo di tranquillità e felicità grazie alla mia vicinanza con il rosso. Non mi sembrò essere solamente una vicinanza fisica. Neanche Nathaniel era mai riuscito a trasmettermi tutte quelle sensazioni solamente con una stretta di mano. 

«Io e Kate ci conoscemmo sul volo Madrid-Parigi due anni e mezzo fa. Lei era stata in Spagna per risolvere un caso, io ero il pilota di quel volo. Appena la vidi salire su quell'aereo scattò qualcosa in me, non mi era mai capitato di avere quelle sensazioni dopo Adelaide. Io e lei stavamo attraversando una crisi di coppia in quel periodo; una crisi più mia che sua, forse. Fatto sta' che quel giorno non riuscii a trattenermi ed essendo secondo pilota passai tutto il mio tempo con lei. Vi risparmio i particolari. Dopo quegli attimi di passione, ci scambiammo i numeri di telefono ed iniziammo a conoscerci. Ci raccontammo tutta la nostra vita, scoprimmo di avere molte cose in comune, poi una cosa tira l'altra e iniziammo una vera e propria relazione clandestina. Adelaide non si accorse di niente per cinque mesi, poi un giorno ci vide e mi chiese la separazione. Quindi eccoci qui...» Isaac raccontò quella verità senza alcuno scrupolo o rimpianto, come se stesse raccontando la storia di una terza persona. 

Guardai Adelaide e sul suo viso vidi troppo dolore per essere una storia d'acqua passata. Era sofferente, chiunque se ne sarebbe accorto, ma Bruno non si preoccupò di consolarla, rimase impassibile sia davanti al racconto e sia davanti alle lacrime trattenute dalla sua compagna. Castiel guardò dispiaciuto sua madre sebbene non nascondesse quel briciolo di fastidio anche nei suoi confronti per aver tenuto nascosto quel fatto così importante per così tanto tempo. Poi spostò lo sguardo nuovamente verso il padre e riverso tutto l'odio su di lui con le parole.

«Complimenti! Ti sei dimostrato l'uomo di merda che sei sempre stato. E la prossima volta... vi raccomando, informatemi ancora più tardi di ora. Tanto sono solo vostro figlio, giusto? Non sono tenuto a sapere se state insieme o meno. Da piccolo ero un pacco postale, ora non esisto proprio, certo..» si alzò nuovamente dalla sedia che questa volta cadde sul pavimento creando abbastanza rumore. 

Isaac fissò il figlio impassibilmente, non si sorprese minimamente di quella sua reazione e né cercò di calmarlo. Non sembrava neanche preoccupato, al contrario di Adelaide che per poco non scoppiò a piangere. Zia Kate invece, si portò le mani sulla bocca in segno di stupore mentre prima per tutto il tempo aveva guardato ammaliata l'uomo che amava mentre raccontava la loro storiella d'amore patetica. 

«Tesoro, io avrei tanto voluto raccontarti tutto, ma spettava a tuo padre farlo. Ritenevo fosse giusto avvertirti all'istante, ma lui stesso mi ha bloccata più volte sostenendo che avrebbe risolto tutto al più presto. Io... mi dispiace» Adelaide si alzò dalla sedia e raggiunse il figlio abbracciandolo di spalle. La piccola figura della donna scompariva quasi accanto a Castiel, ma fu una scena bellissima quella tra i due. Il rosso non ricambiò l'abbraccio, si limitò ad abbassare il volto e a chiudere gli occhi cercando di calmarsi.

Tra Adelaide e zia Kate non doveva correre buon sangue visto che neanche si erano degnate di uno sguardo. Eppure apprezzai la madre di Castiel per aver messo da parte ogni tipo di astio pur di poter passare del tempo con suo figlio, pur di raccontargli la verità.

«E poi... C'è un'ultima cosa che dovete sapere» prese la parola zia Kate lasciando in sospeso il discorso.

"Fa' che non sia incinta, fa' che non sia incinta" pregai qualsiasi divinità esistente nel cielo. 

«Cosa?» ingoiai un grosso groppo formatosi in gola. Temevo il peggio, a quel punto.

«Io e Isaac...»

"Parla cazzo, zia. Parla!" la guardai con sguardo truce. 

«Avevamo pensato che potremmo vivere tutti insieme, qui a casa mia. In questo modo Castiel potrebbe vedere quando vuole entrambi i genitori.» per poco non caddi dalla sedia. 

Erano seri? 

«Da anni vivo da solo. Da anni vedo i miei genitori due volte l'anno. Da anni mi mantengo da solo. Da anni sto bene così come sto. Continua a fare l'avvocato per i tuoi clienti e lascia in pace me» Castiel rispose a zia Kate, poi lanciò un pugno sul tavolo facendo cadere una bottiglia d'acqua che si rovesciò bagnando la maggior parte delle cose presenti sulla tovaglia. 

«E poi... Che cazzo d'idee vi vengono in mente?!? Vivere insieme, tutti? Sul serio? Ma vaffanculo!» e con quell'ultima parola Castiel abbandonò velocemente quella stanza e -a giudicare dal rumore udito- anche la casa. 

Pensai di seguirlo, ma prima di farlo guardai zia Kate ed Isaac con uno sguardo che se avesse potuto avrebbe ucciso. 

Quando uscii fuori nel giardino, trovai Castiel intento a lanciare pugni e calci alla villa. Quando mi avvicinai a lui notai la vena del suo collo gonfia, non avevo mai avuto l'opportunità di vederlo in quello stato. Indossava solamente una maglia leggera a maniche corte, avrebbe potuto prendere l'influenza. Sapevo stesse sfogando la sua rabbia, ma lo stava facendo in modo sbagliato. In quel modo si sarebbe solo provocato del male e non andava bene. 

«Ehi... Fermati» sussurrai abbracciandolo per fermare la sua lotta contro il muro. 

Poggiai la testa sulla sua schiena e potei sentire, anche da lì, il battito accelerato del suo cuore. Con il mio contatto i muscoli dapprima tesi si rilassarono. 

Non si mosse da quella posizione, ma iniziò a sfogarsi parlando con me mentre le ferite sulle sue mani, provocate dal muro ruvido della casa, sanguinavano. 

«A loro non è mai fottuto di me, e quest'ultima storia ne è stata la conferma. Hanno ritenuto opportuno avvertirmi solamente dopo aver divorziato. Che schifo! Ed io nel frattempo ero ancora convinto che loro si amassero davvero... Patetico! In più ora arriva quell'altra e propone di vivere tutti insieme come se fossimo in un fottuto telefilm. Che vita di merda!» dopo le sue riflessioni si staccò da me e tirò un calcio ad un albero, accanto a noi, presente nel giardino. 

«Hai ragione su tutto, Castiel. È normale che ora tu sia così tanto amareggiato, ciò che posso dirti è di non incolpare tua madre. Sembrava davvero dispiaciuta di non averti potuto avvertire prima...» cercai di avvicinarmi a lui poggiando una mano sul suo braccio, ma si scansò colpendo il povero albero con un pugno. Aveva spostato la sua attenzione dalla casa all'albero e stava versando tutta la sua frustrazione su quei soggetti.

Si sarebbe rotto la mano se avesse continuato. 

«Castiel, smettila!» m'imposi quasi urlando e finalmente si bloccò. Mi dava le spalle. 

«Hai bisogno di disinfettare le ferite, se non hai voglia di rientrare vado a prendere l'occorrente e lo porto qui..» non sapevo come comportarmi, quella situazione era nuova per me. Non avevo mai avuto a che fare con la furia potente di quel ragazzo.

«Aspetto qui» disse in un sussurro a malapena udibile. 

Corsi dentro casa alla ricerca dell'occorrente che alla fine trovai nel bagno e feci in fretta per uscire nuovamente fuori. Avevo prelevato dell'alcool etilico e delle garze che avrei usato per coprire dopo aver disinfettato la sua mano. Poi passai in cucina e presi del ghiaccio dal freezer. Dovevano bastare quelle cose. 

Ma appena fuori dalla porta notai una novità spiacevole. 

Castiel non c'era più. 

Varcai il cancello, magari aveva deciso di fare una passeggiata per smaltire la rabbia. 

Ma così come lui, neanche la sua moto c'era più.

Aveva preferito restare solo, ma non aveva avuto il coraggio di dirmelo. Dopotutto tale padre, tale figlio. Anche Castiel era codardo, incapace di dire la verità. Se solo mi avesse avvertita prima, ci sarei rimasta meno male. 

Mi bloccai nel bel mezzo del giardino, mi sentivo vuota. Avrei tanto voluto calmare la sua rabbia, colmare le sue mancanze, sanare le sue ferite. 

Ma lui evidentemente aveva altri programmi, evidentemente non aveva così tanto fiducia nelle mie capacità o peggio non ero così tanto importante per lui da permettermi di vederlo nelle sue debolezze. Mi ero illusa.

E mentre m'illudevo ancora ad occhi aperti di ciò che avrei potuto fare per lui ma che ormai non era più possibile fare, sentii il cellulare vibrare nella tasca della gonna. Mi era appena arrivato un messaggio da parte di Castiel. Percepii una fitta al centro dello stomaco accompagnata da un'improvvisa ansia e sudorazione delle mani. 

Lessi il contenuto, ma forse sarebbe stato meglio non farlo. 

"Ho bisogno di parlare con Debrah. Non cercarmi e non preoccuparti, con lei sarò al sicuro. Ciao!"

Mi si annebbiò la vista. Ed inevitabilmente tutta l'ansia trattenuta durante quelle ore fuoriuscì in un pianto disperato. M'inginocchiai sul prato lasciando cadere l'alcool e le garze. Solo il ghiaccio e il cellulare mi restarono tra le mani. Il ghiaccio nella mano sinistra; il cellulare nella mano destra. Li strinsi entrambi e chiusi gli occhi. 

Mi sentivo ferita, delusa, illusa. A differenza di quanto sostenevano i suoi genitori, non ero mai stata niente per Castiel, né un'amica, né qualcosa di più. Ero solo una delle tante da portare a letto. Non mi pensava, non mi chiamava nel sonno, non mi voleva. Ed era bastato un solo evento per sbattermi in faccia la realtà. Quella verità che avevo tanto voluto nascondere ai miei occhi, ma che sentivo nel mio cuore sin dal principio. Castiel non era mai stato un amico per me, neanche quando continuavo a definirlo tale, neanche quando fingevo di odiarlo. Castiel era... era... non sapevo cosa fosse per me, ma qualunque cosa fosse dovevo reprimerla all'istante prima di distruggermi. 

Davanti a quella nuova consapevolezza sui miei sentimenti il ghiaccio che avevo tra le mani iniziò a sciogliersi insieme al mio cuore. Era molto freddo, ma a quel contatto restai inerme... Non riuscivo neanche a percepire l'erba gelida sotto le mie ginocchia nude. Ero corsa fuori con dei vestiti leggeri, eppure non captavo più neanche il freddo. In quel momento nessuna persona o cosa mi avrebbe potuto far provare dolore e nello stesso tempo salvare. Solo lui.

Già lui... il ragazzo della valigia scambiata, il ragazzo dai capelli lunghi e rossi che tanto dicevo di odiare, il ragazzo arrogante e che più di una volta mi aveva fatto del male. Lui mi aveva rubato il cuore in silenzio. Era duro da ammettere, non era stato Nathaniel, non era Ciak, era solo Castiel. Lui e soltanto lui, era stato capace di stravolgere le mie regole di una vita senza neanche accorgersene. E non andava bene. Probabilmente era il ragazzo che mi avrebbe fatto soffrire più di tutti. Eppure restava lui. Nel mio cuore e nella mia testa c'era soltanto lui. Mi aveva persino detto esplicitamente, poche ore prima, che non si sarebbe mai più innamorato di nessun'altra donna, che le avrebbe semplicemente usate per i suoi scopi personali. 

Perché nel suo cuore, nella sua testa ci sarebbe stato per sempre posto soltanto per una ragazza. Debrah

Quindi avrei soltanto dovuto mantenere le distanze da lui, quelle distanze che aveva già iniziato a prendere lui con il correre da lei e con lo scaricarmi con un semplice messaggio. 

Quando il ghiaccio si sciolse definitivamente e con quello anche ogni speranza di rivedere Castiel, il cellulare -ancora tra le mie mani- vibrò segnalandomi l'arrivo di un nuovo messaggio.

Per un attimo m'illusi si trattasse di Castiel. Ero mille volte stupida.

Invece era Ciak. Il mio ex migliore amico. Cosa voleva anche lui, ora?Lessi il testo pensando di trovare un semplice augurio di Natale mandato di proposito, con brutte parole, per farmi sentire ancor di più in colpa.

Ma spalancai gli occhi davanti al reale contenuto. Non poteva accadere tutto a me. Cosa avevo fatto di male?


"Se ogni tipo di rapporto tra noi è destinato a finire, voglio finisca nel migliore dei modi. Voglio che ti ricorda per sempre di me. Voglio essere la tua prima volta, Miki. Aspettami!"

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** CAPITOLO 13: Un fuggitivo bugiardo ma innamorato ***


CAPITOLO 13

Un fuggitivo bugiardo ma 

innamorato








"Se ogni tipo di rapporto tra noi è destinato a finire, voglio finisca nel migliore dei modi. Voglio che tu ti ricorda per sempre di me. Voglio essere la tua prima volta, Miki. Aspettami!"

Avevo imparato quei congiuntivi, quelle frasi a memoria e, dopo averle rilette almeno venti volte, ancora stentavo a credere che quelle parole erano state scritte dal mio migliore amico. Avevo affidato a lui il mio cuore, sette anni prima, era il fratello che non avevo mai avuto, era la mia famiglia. Nonostante gli avessi mentito era la persona a cui tenevo più al mondo, insieme a zia Kate. Entrambi mi avevano delusa, ferita, nello stesso periodo. Bastardo, il mondo!

Ero rimasta sola. Me ne resi pienamente conto in quel preciso istante, quando sprofondai ancor di più sul suolo. Lanciai il cellulare e tutto ciò che avevo in mano, per poi buttare dei pugni all'erba. Ero disperata, nervosa, delusa.

Quel messaggio mi aveva fatto ribrezzo. Il mio ex migliore amico voleva rubare la mia verginità come se questa fosse stata sottoposta all'asta. Voleva lasciarmi il segno. Come tutte le persone nella mia vita, anche lui, si preoccupava solo dei suoi sentimenti, di quello che sentiva e voleva, ma non di me. Ero solo il suo oggetto dei desideri, apparentemente senza emozioni. Nel messaggio non si era preoccupato di riportare un qualcosa che facesse riferimento alla mia volontà, niente. Mi sarei aspettata quantomeno un "se vorrai", era il minimo, eppure non lo aveva scritto. Ciak era l'ennesima delusione nei miei sedici anni di vita. Più volte avevamo parlato della mia verginità, del fatto che fossi contraria all'amore, ma non per questo motivo avrei regalato parte dei miei valori senza provare nulla. Non ero così disperata. Vero, più volte avevo sostenuto che la mia verginità mi pesasse, fosse una debolezza, ma non mi sentivo pronta a donarla a qualcuno che avevo ritenuto mio migliore amico per così tanti anni. Quello che si era presentato davanti ai miei occhi era un Ciak nuovo, egoista e spietato, non era mai stato così, con nessuna. Evidentemente si era stancato di aspettare, provava qualcosa per me da tanti anni per come aveva detto. Ma i suoi sentimenti forti, la delusione, le ferite provocate da me, non lo giustificavano per aver scritto quel messaggio squallido. 

Alzai il volto e guardai il cielo, era ricoperto da nuvole. Non spiccava neanche un filo di luce da quella massa grigia, bianca e morbida. Avrebbe piovuto, ne fui sicura. Proprio come nel mio cuore, nella mia anima; il meteo rispecchiava al meglio ciò che stava per abbattersi dentro di me. Era da parecchio tempo che non mi sentivo così sconfitta, così male. 

Sentivo freddo dentro e fuori, ma avevo bisogno di restare sola. Anche a costo di prendermi una broncopolmonite non volevo rivedere quei visi interrogativi, quegli allocchi ora intenti a concludere quel pranzo dentro casa mia. Non volevo mi chiedessero di Castiel o di me. Non volevo sentire nessuno. Volevo semplicemente sfogarmi in solitudine. Solitamente nei momenti simili a quello, in cui la tristezza sovrastava ogni altro tipo di emozione, usavo scrivere sul mio diario segreto. Sapevo bene che potesse essere considerato infantile come gesto, ma era il mio unico modo di dialogare liberamente, senza filtri, senza bugie. Se qualcuno lo avesse letto, avrebbe avuto davanti tutta la mia vita e i miei sentimenti. Il mio diario conosceva tutti i più terribili segreti, tutto il mio passato, i pregi, i difetti, ogni cosa. Per quel motivo ne ero parecchio gelosa.

In quel momento, mentre l'erba fresca solleticava le mie ginocchia, mentre il mio cuore si stava lentamente sgretolando, avevo bisogno di scrivere.  Il mio diario era nella mia stanza, dentro casa, non avevo alcuna intenzione di andare a prelevarlo. 

Così decisi di scrivere sul mio telefono, era l'unico mezzo a disposizione per sfogarmi. Gattonai fino a dove precedentemente lo avevo lanciato e lo afferrai. Era ancora perfettamente funzionante. Aprii un messaggio di testo senza soggetto ed iniziai a scrivere. Non seppi come, non seppi il motivo, ma per la prima volta nella mia vita cambiai destinatario. Non mi rivolsi al mio amato diario segreto, ad un oggetto inanimato, mi rivolsi invece a lui, l'unica persona che avrebbe potuto salvarmi, l'unica persona capace di farmi battere il cuore in maniera diversa. 

Mi sento distrutta, delusa, ferita. Tutte le persone più importanti mi hanno lasciata andare proprio ora, il giorno di Natale. Sono sola. Grazie a te, in tutti questi mesi avevo avuto di nuovo la forza di sorridere, di non arrendermi. Tu con i tuoi sorrisi, con la tua arroganza, con i tuoi sguardi mi hai resa forte e sicura di me. Ho sempre voglia di combattere, di non arrendermi quando tu sei con me. Vorrei averti nella mia vita per sempre. Eppure tu ora non ci sei. Avrei tanto bisogno di te, in questo momento. Ma dove sei? Vorrei abbracciarti, sentirmi protetta, o anche solo sentire la tua voce pronunciare qualsiasi scemenza. Perché se ti avessi vicino, il mio cuore si ricomporrebbe. Nonostante tu sia uno stronzo, nonostante tu mi faccia soffrire a volte, non voglio perderti. Tu dopotutto sei la mia forzaSe ci tieni almeno un po' a me non tornare da lei, ti prego. Non abbandonarmi!

Era Castiel. Era lui il ragazzo che nonostante mi avesse ferita nel corso dei mesi, avrebbe potuto ricomporre il mio cuore, farmi rialzare per permettermi di combattere. E non importava se da amico o da qualcosa in più, avrei voluto averlo con me in quel momento in cui mi sentivo così dispersa. Era l'unico ragazzo capace di farmi reagire, di scatenare strane sensazioni dentro di me. Non seppi neanche cosa mi passò per la testa in quell'istante, quelle parole scritte sul telefono dovevano restare un pensiero tra me e me. Eppure inserii il destinatario e senza pensare a cosa avrebbe potuto fraintendere, senza pensare al domani, sentendo solo il mio cuore: inviai quel messaggio a Castiel. 

Non volevo tornasse con Debrah. Non conoscevo bene quella ragazza, ma non sembrava rispecchiare proprio il prototipo di brava ragazza innamorata di Castiel. Anzi, da come mi aveva parlato, quella mattina, davanti ai miei occhi apparve quasi come se lei volesse il rosso per trofeo. Come se dovesse usarlo per qualche suo oscuro scopo. Ed io non glielo avrei permesso. Certo, Castiel era capace di decidere per sé stesso, eppure quando si parlava di Debrah sembrava quasi che lui non riuscisse più a ragionare lucidamente. Era accecato del suo amore per lei, perché ero sicura, ancora ne era innamorato. Altrimenti non l'avrebbe cercata, non di nuovo, non dopo il male che lei aveva provocato in lui. 

Fui distratta dai miei pensieri quando il cellulare vibrò nelle mie mani, segnando l'arrivo di un messaggio. Girai lo schermo e lessi il nome di Castiel. Sgranai gli occhi, aveva risposto al mio messaggio. Il cuore aumentò i suoi battiti e sentii l'ansia impossessarsi di nuovo e maggiormente del mio stomaco. 

Aprii il testo e rimasi interdetta. Rilessi mille volte quel messaggio, d'altronde era composto di una sola parola, non era difficile rileggerlo così velocemente. Quella risposta era formata da quattro lettere, due vocali e due consonanti. Parola semplice, ma che poteva racchiudere i significati più contraddittori che potessero esistere. 

Okay!

La sua risposta era stata: okay. Se la si fosse cercata su un vocabolario sarebbe stato riportato come significato: scritta più frequentemente OK indica positività, quindi sostituisce le espressioni "va bene", "sì", o comunque un assenso. 

Già... Assenso, positività, ma a che cosa? Cosa gli andava bene? Non mi avrebbe abbandonata? Sarebbe ritornato da me? Era già con Debrah? In quel messaggio avevo scritto talmente tanti pensieri che non potevano avere risposte del genere. Ma lui era Castiel. Da lui ci si poteva e doveva aspettare di tutto. Forse quando mi aveva risposto si trovava già in compagnia di Debrah, e non aveva tempo da perdere con me, forse aveva pensato fossi realmente una ragazzina, una delle tante che volevano da lui qualcosa. Probabilmente aveva già ricevuto frasi simili ed era stanco di dare risposte a sentimenti che non avrebbe ricambiato mai. Il mio cervello stava per andare in tilt per quanti pensieri stavo avendo. Se avessi continuato, mi sarebbe uscito il fumo, come accadeva nei cartoni animati o nei fumetti. 

«Tesoro parlerò io con la direttrice per farti riavere il posto di delegato, sta' tranquillo. Sono una delle alunne migliori della scuola e lei stravede per me, lo sai. Non aspettare e non ti fidare di quella sgualdrina, di sicuro in questo momento se la starà spassando con Black. Non ha tempo di pensare a te quella lì!» la voce di Melody mi distrasse. 

Stava parlando con Nathaniel, la voce proveniva dal giardino di casa sua. Melody aveva usato un tono più alto di proposito, per avere più possibilità di farsi sentire dalla sottoscritta. Il biondo, il giorno prima, mi aveva avvertita di avere la famiglia di Melody come ospite a casa sua per il pranzo di Natale. Lei probabilmente mi aveva vista nel giardino e ovviamente non aveva perso tempo, mi aveva insultata, ma poco m'importava di lei. Avevo ben altro da pensare. 

Mi avvicinai alla siepe -che separava casa mia da quella dei Daniels- per curiosità, Nathaniel non si sentiva fiatare e volevo capirne il motivo. Quando riuscii a distinguere le due figure li trovai avvinghiati, stretti in un abbraccio davvero troppo intimo. I loro corpi erano attaccati. Non avevo mai ricevuto un abbraccio del genere da parte sua, eppure sosteneva fosse interessato a me. A differenza di come aveva sempre ribadito dal mio arrivo, a lui quell'abbraccio, la vicinanza di Melody non gli dispiaceva affatto. Nathaniel aveva gli occhi chiusi e lei invece sorrideva in modo diabolico, come se stesse architettando un piano o forse semplicemente sapeva che mi avrebbe trovata lì, sapeva che li avrei visti. Non era la dolce ragazza che tutto il Dolce Amoris pensava.

Dopo qualche minuto Nathaniel si allontanò leggermente, ma non del tutto, dal corpo della ragazza e riaprendo gli occhi, si abbassò dando a Melody un bacio all'angolo della sua bocca. Le sopracciglia mi si sollevarono per la sorpresa. Solo qualche ora prima si era permesso a fare una scenata di gelosia davanti casa mia, per Castiel, mi aveva persino baciata e dopo neanche mezza giornata lui stesso era avvinghiato ad un'altra. Evviva la coerenza!

Non stavamo insieme, ma visti i suoi discorsi d'altri tempi e pieni di valore mi sarei aspettata ben altri comportamenti da parte sua. Invece non era altro che esattamente come gli altri. Provai un briciolo di fastidio e delusione nel vedere quella scena. L'ennesima batosta di quella giornata.

Ma quel Natale, nonostante gli avvenimenti negativi capii di non essere più immune o contraria ai sentimenti. Non ero innamorata, non sapevo se fossi capace o meno di provare quel sentimento così forte, eppure continuavo a provare continue emozioni sia per Nathaniel che per Castiel, sebbene alcune fossero più forti delle altre. In Italia non mi ero mai sentita in quel modo, per nessuno. Probabilmente stavo meglio in quell'altra città, in quell'altro Stato, mi sentivo quasi in una campana di vetro quando ero lì, eppure la vita vera era quella che stavo vivendo a Parigi. 

"Vedi di smetterla di pensare queste cose contorte, mi sto addormentando." Intervenì la mia coscienza, mentre ancora stavo osservando quei due ragazzi -nuovamente avvinghiati- chiacchierare. "Cosa stai aspettando? Va' a tirare i capelli a quella gattamorta!" continuò. "Non sono quel genere di ragazza. Non litigherò per un ragazzo!" "Oh sì, certo. Non litighi con lei solamente perché il ragazzo in questione non è Castiel. Altrimenti vorrei vedere... A Debrah la stavi per appendere ai lampioni, stamattina!" "Ma la coscienza non dovrebbe servire a far ragionare, per cercare di evitare i guai? Tu, invece, m'istighi alla violenza. Sei una cattiva influenza." "Io sono una coscienza speciale. Dovresti essere lusingata di avermi. Ora sbrigati. Va' a tirarle quella parrucca dalla testa. Lasciala pelata. Sbrigati!"

Scossi il capo per eliminare la voce della mia coscienza e decisi di aver visto già troppo. Mi allontanai da quella siepe e invece di dar ascolto alla vocina fastidiosa nella mia testa, decisi di rientrare in casa. Non sarei stata in pace neanche nel giardino, visto che continuavo a sentire la voce petulante di Melody. Sicuramente avrei dovuto chiarire molte cose con Nathaniel, ma non lo ritenni un momento adatto, quello. 

Improvvisamente volevo solo poltrire nel mio letto, farmi coccolare dal caldo e pesante piumone. Nessuno mi era stato vicino, neanche Castiel, ero stanca e sola. Così, contrariamente a quanto sostenuto neanche mezz'ora prima, rientrai dentro quella casa. Nonostante avessi gli occhi di tutti i presenti puntati addosso, con non-chalant e senza degnarli neanche di uno sguardo, salii le scale. Per ogni gradino salito mi accompagnò uno starnuto. Era normale. Avevo subito un forte sbalzo di temperatura ed il mio corpo reagì in quel modo. Entrata in camera mia, sbattei la porta potentemente e sospirai. 
 



ADELAIDE

Quel pranzo era stato un errore, non avrei dovuto accettare di parteciparvi. Sposare quell'uomo era stato un errore. Tutto in quel momento mi sembrava un errore, persino Bruno. Kate continuava a fissarmi considerandomi una minaccia, Isaac mi guardava come se stesse ammirando sua sorella. Io invece, mi ritrovai ancora una volta ad immergermi in quegli occhi grigi, a ripensare agli anni passati accanto a quell'uomo. Eravamo davvero innamorati, o perlomeno, io lo ero. Ero talmente acciecata dall'amore provato per lui, da non accorgermi che Isaac invece non sentiva gli stessi sentimenti per me. Insieme girammo il mondo. Avevamo persino deciso di fare lo stesso lavoro perchè in quel modo non saremmo stati costretti a separarci, ma neanche lo stare tutti i giorni e tutte le notti l'una accanto all'altro era servito. 

Quel Natale 2014, durante quel pranzo, ormai mancava solamente un anno e non sarei più stata la moglie di Isaac Black. Già solo pensarci mi faceva paura. Ogni giorno, più volte, finivo per guardare quelle carte. Quei documenti preparati proprio da Kate, la donna che ci aveva divisi, la donna che aveva spezzato il nostro sogno. Eppure non riuscivo a fargliene una colpa. Isaac, sebbene esteticamente non potesse essere considerato l'uomo più bello del mondo, era affascinante per i suoi modi di fare. Aveva la capacità di attirare la gente, di stregarla ed evidentemente aveva fatto lo stesso con Kate. Quando mi ritrovavo a guardare le carte del divorzio, ripensavo a quanto, anche agli occhi degli altri, eravamo sempre stati una coppia perfetta e inseparabile; da invidiare. Gli amici ci chiamavamo Peter Pan e Wendy. Lui, Peter Pan, perché nonostante fosse ormai abbastanza grande aveva dei comportamenti infantili ed immaturi, niente lo preoccupava realmente e Wendy, io, perché ero talmente attratta dal bambino che era Isaac, da voler restare per sempre bambina anch'io, lo seguivo dappertutto.

Eravamo stati felici insieme, ed ero sicura che anche lui provasse gli stessi sentimenti per me, inizialmente. 

Mi era sempre piaciuto il suo carattere giocoso eppure col tempo anche quel suo aspetto cambiò. Soprattutto dopo aver scoperto di esser rimasta incinta. Lui più volte era stato chiaro sul fatto che non volesse figli, voleva restare libero e spensierato con solo una moglie a suo carico. Mentre io desideravo da sempre essere mamma. Ero stata io ad architettare il piano per restare incinta. Una sera, era il nostro terzo anniversario, lo feci ubriacare più del solito e quando finimmo a letto insieme non usammo nessuna precauzione. Per fortuna bastò solo quella volta. Lui era un tipo molto attento alle precauzioni e sarebbe stato difficile farlo cadere in tranello più di una volta. Dopo quella sera però non potevo immaginare che la persona che più amavo al mondo avrebbe fatto di tutto per tenermi lontana da mio figlio. Aspettò che Castiel facesse un anno quando iniziò ad insistere per farmi reinserire come Hostess nella compagnia aerea dov'era pilota, nei suoi stessi voli. Io non avevo più intenzione di lavorare, il suo stipendio e i miei risparmi, ci sarebbero bastati per vivere, ma lui era geloso di mio figlio, del suo stesso figlio. Voleva avermi tutta per sé. Ed io da stupida innamorata qual ero, alla fine accettai il suo compromesso. Vedevo mio figlio solamente quando atterravo in un paese, in quelle poche ore a disposizione. Il mio Castiel, così, fu costretto sempre a stare con vari parenti in giro per il mondo, non ebbe mai la fortuna di vedere una famiglia unita davanti al camino, durante le feste. Non ebbe mai la fortuna di avere due genitori presenti.

Solamente quando divenne un adolescente mi resi conto di aver sbagliato tutto, non avrei dovuto seguire l'amore. Castiel, per colpa mia, per causa della mia assenza, aveva sviluppato un carattere aggressivo, scontroso, apatico nei confronti dei sentimenti e delle persone. Si affezionava alle persone sbagliate, allontanava quelle migliori. Ciò che avevo fatto per amore era stato tempo sprecato. Il mio amore per Isaac era sprecato, il tempo impiegato con lui avrei potuto concederlo a Castiel, il mio unico appiglio nei momenti peggiori, colui che non mi avrebbe tradita mai. Mi ritrovai a quasi quarant'anni a conoscere la vita di mio figlio dai quattordici anni in poi. Ero stata una pessima madre, lo sapevo bene. Ma non avevo a disposizione una macchina del tempo, sebbene lo avessi voluto fortemente non avrei potuto riavvolgere il nastro, perché ciò che era accaduto anni prima, era accaduto. E nonostante tutti quei punti negativi sul passato, perlomeno un giorno avrei potuto raccontare ai miei nipoti di aver conosciuto l'amore, quello vero. Perché, io, Isaac lo avevo amato con tutta me stessa. Il nostro amore mi aveva resa viva, libera, mi aveva permesso di volare, sognare. I miei occhi brilleranno sempre un po' quando guarderanno quell'uomo. Perché non tutte le storie d'amore potevano concludersi con un lieto fine. Esistevano anche gli amori, come il mio, destinati a vivere solo di ricordi, come quegli amori finiti ma mai dimenticati. Il suo ricordo sarebbe stato sempre vivo sulla mia pelle, dentro di me. 

Fui distratta dai miei pensieri quando udii la porta d'entrata di casa Rossi sbattere. Mi sporsi ed intravidi Miki -con un'espressione sconvolta, il trucco colato sulle guance per un evidente pianto- che senza dar retta a nessuno dei presenti, salì le scale dirigendosi chissà dove. 

Castiel aveva allontanato anche lei, non avevo dubbi. 

Senza riflettere la seguii. Dovevo cercare di aggiustare il cuore che mio figlio aveva appena spezzato. 
 




MIKI

Non m'importava se fosse Natale, non m'importava più nulla. Levai con rabbia i vestiti leggeri che indossavo e misi il pigiama. Uno dei miei comodi, morbidi, infantili, caldi pigiami. M'infilai con tutto il corpo e la testa sotto le coperte. Volevo piangere, deprimermi e soffrire in silenzio, lasciando il mondo fuori. 

In un'ora, in un istante, i ragazzi più importanti della mia vita avevano fatto a gara a chi fosse più bravo a distruggermi. Con un martello avevano frantumato in mille pezzi il mio cuore. Qualcuno di loro ruppe più pezzi, qualcun altro meno, ma il risultato fu ugualmente catastrofico. Ero una persona facile da distruggere, da calpestare, ero fragile sin dalla mia infanzia. Sfiderei chiunque a non esserlo dopo tutto il male che ero stata costretta a subire. 

Il mio primo pensiero, come sempre d'altronde, andò a Castiel. La mia mente immaginò lui insieme a Debrah. Loro due avvinghiati, bramosi di recuperare il tempo perso. Ero sicura e convinta che si stessero amando in un letto, in quel preciso istante, mentre io mi disperavo per lui. Ero gelosa, talmente gelosa che avrei voluto impedire quell'atto. Non volevo che le mani di Castiel sfiorassero il corpo nudo di Debrah; le avrei desiderate su di me. Non volevo che la bocca di Debrah baciasse quella di Castiel; avrei voluto farlo io. Era inutile negarlo, ormai, desideravo Castiel come non avevo mai desiderato nessun altro ragazzo. E una sola immagine -riprodotta dalla mia mente- di loro due nudi, bastò per far scendere la prima delle tante lacrime che come spade affilate rigarono il mio viso. Infondo già sapevo che a ferirmi maggiormente, quel giorno, sarebbe stato lui. Era l'unico tra i tre che poteva. Eppure per lui eravamo solo amici, non eravamo niente di più e probabilmente non lo saremmo mai stati. Non ero neanche legittimata ad avere quei comportamenti, a provare quella gelosia, quella rabbia, quella delusione. Lui non mi aveva mai illusa ed io di conseguenza nel primo periodo mi ero convinta di essere immune al suo carattere, al suo corpo. Poi era cambiato tutto. Non sapevo come, non sapevo quando, ma era accaduto. E se stavo avendo quella reazione era solamente colpa mia. Lui non era niente per me, dovevo convincermi, dovevo riprendermi. Lui sarebbe stato sempre e solo di un'altra ragazza. Non ci sarebbe stato mai più nulla tra noi due.

Scossi la testa cercando di pensare ad altro e per un momento mi venne in mente Ciak. Il sentimento predominante per lui, quel giorno, fu la rabbia. Aveva alluso al fatto che mi avrebbe raggiunta a Parigi e non da amico, per chiarire, ma da uno stronzo qualunque. Voleva avermi, avere la mia verginità, come se il mio corpo spettasse a lui di diritto. Con quale coraggio mi aveva mandato quel messaggio? E poi non aveva detto di essersi fidanzato? Non ero mai stata così tanto in collera con lui come in quel momento. Avrebbe dovuto chiedermi perdono in ginocchio, come minimo, una volta giunto nella mia nuova città. Io non vendevo o regalavo la mia verginità a chiunque. Lui era importante per me, vero, ma da amico. Non ero mai riuscita a vederlo sotto altri occhi. Era un bellissimo ragazzo, ma sarebbe rimasto soltanto e per sempre il mio migliore amico. Il mio Ciak. 

Inevitabilmente, poi, pensai a Nathaniel. Quel ragazzo era un mistero. Un giorno prima mi aveva confessato di avere valori ferrei impostatagli dai suoi genitori, sull'importanza anche solo di un bacio, il giorno stesso mi aveva baciata e dopo qualche ora lo avevo trovato avvinghiato ad un'altra. Dovevo ancora conoscerlo meglio, capire un po' di cose prima di decidere se sarebbe stato il caso o meno di frequentarlo. A tratti mi dava l'impressione di essere persino peggio di Castiel. "Ecco! Miki ora non stavi parlando di lui. Perchè ti viene sempre in mente? Dai Miki non pensarlo, dai Miki non pensar...."

«Miki?! Disturbo? Posso entrare?» come non detto. La mamma del ragazzo dei miei tormenti stava bussando alla porta della mia stanza. Dovetti rimandare l'idea di non pensarlo a più tardi. Con Adelaide non volevo essere scortese, era stata la persona migliore durante quel pranzo disastroso. Inoltre mi aveva mostrato cordialità e gentilezza sin dal primo istante. 

«Entra pure» le risposi cercando di ricompormi. Uscii dalle coperte e mi sedetti sul letto.

Quando entrò rimase stupita di vedere la stanza buia, senza alcuna fonte di luce, così la aprì e poi trasalì nel trovarmi in pigiama. Forse era stata spaventata anche dal mio volto, guardandomi allo specchio accanto al letto, notai di avere gli occhi gonfi e neri a causa del trucco colato. Ero appena diventata un tutt'uno con la razza dei panda. Arrivai alla conclusione che i mascara resistenti all'acqua non erano poi così tanto resistenti come sostenevano le pubblicità in televisione. Ma d'altronde avevo buttato più lacrime di un cielo in un temporale, non potevo lamentarmi dei prodotti.

 «Sarebbe inutile chiederti come stai o cosa è successo. Ci conosciamo solamente da un giorno ed io sono l'ultima persona con cui vorresti confidarti. Ti capisco. Ma, ecco... Sono venuta qui per scusarmi al posto di mio figlio, per qualsiasi cosa lui ti abbia fatto, so che è stato lui. E' evidente! Tende sempre a ferire le persone a cui tiene di più» si posizionò davanti a me, alzata, con le braccia invrociate sotto al seno. Era quasi imbarazzata.

Era la seconda persona a dirmi quelle parole. "Castiel tende sempre a ferire le persone a cui tiene di più". Era una cosa assurda apparentemente, eppure anche Lysandre mi aveva detto una frase simile, qualche mese prima. Sembrava quasi si fossero messi d'accordo, lui ed Adelaide, a prender parte nelle discussioni con Castiel. Il rosso sembrava incapace a chiedere scusa. 

«Beh allora deve amarmi alla follia, perché da quando mi ha conosciuta non fa altro che ferirmi...» risposi sarcasticamente e alzando gli occhi al cielo. 

Era palese fosse stato lui il motivo delle mie lacrime. Eravamo usciti insieme da quella casa, un'ora prima, ed ero rientrata sola e sconfitta.

La presenza di quella donna non m'infastidiva dopotutto, così le feci segno di accomodarsi sul letto, e così fece. Si sedette accanto a me e, con un gesto materno, iniziò ad accarezzarmi i capelli. Non ero abituata a gesti come quelli, fu inaspettato, m'irrigidii e lei se ne accorse ma di rimando mi sorrise rassicurandomi. Era dannatamente dolce quel gesto, mi portò a lasciarmi andare. Anche sul mio volto si accennò un sorriso. Mi piacevano le premure di Adelaide, mi piaceva come persona. Aveva un'espressione dolce e tranquilla sul volto, avrebbe avuto il potere di far calmare chiunque. Era tutto il contrario di zia Kate. 

Adelaide con quella carezza, per un momento, colmò alcuni vuoti lasciati dalla mia vera mamma. Si muoveva come solo una mamma sapeva fare. Si alzò e s'inginocchiò accanto a me persino per levarmi le macchie di trucco che le lacrime avevano sparso sul mio volto. Quando finì, senza rendermene conto, mi sdraiai sul letto spontaneamente e chiusi gli occhi. Continuò ad accarezzare i miei capelli senza spostarsi. In quel momento non esisté nessun ragazzo, nessuna zia, nessun Isaac, nessuna ipotetica nuova famiglia. Esistevamo solamente io ed Adelaide. Avevo bisogno di carezze, di sentirmi bambina, piccola e protetta. Non avevo mai ricevuto quelle attenzioni da mia mamma e a sedici anni suonati, capii di averne estremamente bisogno. Potevo sentirmi forte quanto volevo ma l'evidenza risuonò come un campanello d'allarme dentro me. Infondo, forse una presenza materna nella mia vita mi mancava. 

Senza riaprire gli occhi sentii il bisogno di parlare a quella donna dolce. Lei non mi avrebbe giudicata. 

«Mi... Mi dispiace per com'è andato a finire il pranzo. Sento che in parte è anche colpa di mia zia Kate e ci tenevo a scusarmi per lei. Con questo suo nuovo amore sembra esser tornata ragazzina e a volte sembra non ragionare quando parla. Le buone maniere dev'essersele dimenticate nel suo studio» mi sentii in dovere di scusarmi con Adelaide, non dev'esser stato piacevole avere a che fare con gli atteggiamenti infantili di mia zia.

«Oh, non ti preoccupare. Con Isaac al proprio fianco è facile ritornare adolescenti» rise amaramente, così aprii gli occhi davanti a quella sua affermazione. C'era qualcosa che non andava nel suo tono di voce e infatti il suo volto si scurì rattristandosi. 

Ma dimostrandosi forte cambiò discorso senza attendere mia risposta. «E rivolgiti a me con il tu. Non farmi sentire più vecchia di quanto già lo sia» mi rivolse un sorriso sincero. 

«Sì... sc-scusa non era il mio intento quello e-» m'impappinai mentre mi alzai sedendomi sul letto. 

«Lo so, tranquilla» rise davanti al mio disagio «Kate mi ha detto che stai frequentando Nathaniel. E' un bravo ragazzo, dopotutto» cambiò nuovamente discorso spostando l'argomento sulla mia vita sentimentale. 

Sapevo che Adelaide conoscesse bene il ragazzo biondo, fino a qualche anno prima era il migliore amico del figlio. A quel punto ne approfittai per fare maggiore chiarezza su di lui. 

«Non proprio. Diciamo che lui mi ha chiesto di frequentarci, cioè mi ha confessato che gli piaccio, ma... non lo so, c'è qualcosa in lui che non mi convince. Mi ha detto di avere dei precisi valori in fatto di baci, fidanzamento e quant'altro, eppure prima stava per baciare Melody dopo aver baciato me, non so se conosci Melody. Comunque, io-io sono davvero confusa.» Parlai a raffica e gesticolando a causa del nervosismo, non seppi neanche se collegai o meno i discorsi. «Insomma, è un bellissimo ragazzo, gentile, premuroso. Mi ha persino portata al ballo con la carrozza. Sembrerebbe quasi un ragazzo d'altri tempi, il ragazzo che ogni mamma vorrebbe accanto alla propria figlia ma-»

«Ma a te piace un altro. O sbaglio?» davanti a quella sua interruzione, arrossii ed abbassai gli occhi non sapendo più cosa dire, mentre lei sorrise furbamente. 

«Sai, fortunatamente sono brava in queste cose. Quindi mi dispiace per te, ma non puoi mentirmi» mi alzò il volto con la sua mano e parlò ancora guardandomi dritta negli occhi «Nathaniel è davvero il ragazzo che ti ha detto di essere. O meglio, un tempo era un po' diverso, non stava poi così attento su chi frequentare o meno. Ha avuto un paio di relazioni, che io sappia, ma la più importante è stata con Melody. Sono stati insieme un paio di anni e a dirla tutta, non sapevo neanche che si fossero lasciati. A Settembre stavano ancora insieme, quindi presumo si siano lasciati dopo il tuo arrivo!» affermò pensierosa e cercando di chiarirmi le idee. 

Con la rivelazione di Adelaide ero riuscita ad unire più tasselli. Iniziai a capire il comportamento scontroso di Melody nei miei confronti e la confidenza che lei e Nathaniel avevano. Sapevo che i loro genitori volessero farli stare insieme, ma non sapevo che loro effettivamente erano una coppia fino a qualche mese prima. E se Nathaniel avesse lasciato Melody a causa mia? Avrei dovuto parlare anche di quello con il ragazzo biondo.  

«Il tuo vero problema è che non sai chi ascoltare, Miki. La tua testa potrebbe continuare a dirti di quanto Nathaniel sia giusto per te, ma se continui a trovare dei difetti in lui -magari inesistenti- solamente perché in realtà, il tuo cuore, appartiene ad un'altra persona e tu continui a negarlo, allora non smetterai mai di tormentarti» concluse il discorso.

Persi un battito di cuore in quelle frasi. Adelaide non mi conosceva, eppure aveva compreso a pieno il mio dibattito interiore. 

«Quindi è stato proprio Castiel a rub-»

«No. Frena. La situazione è più complicata di come sembra» la bloccai per non sentire quella frase. Finalmente mi era ritornata la voce e più che altro il coraggio di parlare. Detto da un'altra persona sarebbe stato troppo reale quel particolare su Castiel, e non poteva esserlo. 

Mi fece segno di raccontarle, allora, quella situazione complicata e lo feci. Sapevo fosse sua madre e sapevo anche di averla conosciuta quel giorno, ma quella donna m'ispirava fiducia e in quel momento avevo davvero bisogno di una persona schietta come lei. 

«Noi due eravamo-siamo amici. S-solo che sono successe delle cose e per un attimo mi hanno fatto dubitare della nostra amicizia. Io non so cosa siamo al momento, non so cos'è lui per me... Ma diciamo che non mi è poi così indifferente come invece pensavo a Settembre. Solo che... Lui mi ferirebbe, anzi, a dirla tutta lui non potrebbe mai considerarmi come qualcosa in più. E ne ho avuto la conferma proprio oggi, è tornata Debrah, la sua ex, e lui è scappato da lei. Quindi pur volendo non ci sarebbe spazio per me nel suo cuore. Stop! Fine della storia» per tutto il tempo avevo tenuto lo sguardo lontano da quello della donna, provavo vergogna nel parlarle di Castiel, ma quando, dopo aver terminato il racconto, non ebbi alcun tipo di risposta la guardai.

Sgranò gli occhi, si alzò e si portò entrambe le mani sulla bocca. In quel gesto mi fece intuire forte disperazione, ma non capii. Cosa avevo detto di sbagliato?

«NO! Lei... L-lei non può essere tornata. Lei è davvero una ragazza cattiva, lei non può, non deve stare con il mio Castiel, di nuovo, No!» iniziò a camminare per tutta la stanza e a parlare a scatti. 

Stava facendo riferimento a Debrah. Sembrava quasi stesse parlando del diavolo, apparì un po' esagerata ai miei occhi, ma dopotutto non sapevo come fossero andate realmente le cose. 

«Tu lo sai, vero? Tu lo sai cosa ha fatto a mio figlio quella farabutta, vero? Dio! So che non dovrei pensare queste cose, ma le strapperei volentieri i capelli. Credimi, è un essere meschino, diabolico e-»

«Calma Adelaide, calma. Castiel saprà difendersi anche da solo, respira un attimo» mi alzai e mi posizionai di fronte a lei ponendo le mani sulle sue spalle per tranquillizzarla. Era fuori di sé. Se avesse avuto sotto le sue mani Debrah, sarebbe stata realmente la fine per quella ragazza. 

«Non posso calmarmi dal momento in cui Castiel ha tentato il suicidio per colpa di quella. Ci sono vicende successe in quegli anni davvero gravi, e ogni cosa è accaduta a causa sua!» quasi urlò quelle parole.

Nell'udire quella verità amara trasalii. Ad un tratto sentii le gambe e le braccia diventare molli, come se fossero fatte di gelatina. Restai immobile a fissare il vuoto, la voce di Adelaide era ovattata, lontana. Non era possibile. Castiel, quel Castiel, il Castiel forte, scorbutico, arrogante, infrangibile non avrebbe mai potuto suicidarsi. Doveva esserci un'ulteriore spiegazione. Dovevo scoprire cosa era accaduto realmente. Ma nello stesso tempo mi balenò nella testa la convinzione di dover assolutamente allontanare quei due. Castiel non poteva tornare con Debrah se lei era realmente la ragazza descritta da Adelaide. 

«I-io n-non s-sapevo ni-» balbettai ma fui interrotta da quella donna, percepii un filo di speranza nella sua voce: «Tu. Tu sei la sua speranza. Tu puoi tenerla a distanza da mio figlio; so che passate molto tempo insieme e so che puoi farcela. Devi fargliela dimenticare, lei deve restare solo un brutto e lontano ricordo per lui. Non possono, non devono tornare insieme!»

«Adelaide, ti ringrazio per la speranza che riservi in me, ma non la vedo una cosa fattibile. Mi dispiace deluderti. Non saprei proprio come poterti aiutare. Non credo ci sia modo per evitare che tornino insieme, loro due in questo momento sono già insieme quasi sicuramente e...»

«Lui deve semplicemente innamorarsi di te!»

Che? Sgranai gli occhi maggiormente davanti alla sua imposizione. Era matematicamente impossibile, eravamo incompatibili. Così cercai di spiegarlo a sua madre: «L'amore non si può imporre. Castiel non potrebbe mai innamorarsi di me. Proprio stamattina abbiamo parlato di questo, cioè.. Non di me e lui, ma abbiamo parlato dell'amore. Mi ha detto esplicitamente che non si sarebbe mai più innamorato di nessun'altra donna che non fosse Debrah. E poi... In ogni caso proprio con la sottoscritta sarebbe impossibile. Io e lui siamo incompatibili, litighiamo dieci giorni su sette, ci avviciniamo e poi ci allontaniamo di nuovo, in più io non ho intenzione di stare con lui. I-io non voglio un ragazzo come lui, lui mi farebbe soffrire continuamente. Già sono da sempre contro ogni tipo di sentimento, figuriamoci se potessi innamorarmi proprio di lui... Sarebbe la fine, per entrambi» alzai le spalle e scossi la testa per eliminare le immagini che la mia mente aveva inevitabilmente riprodotto di un'ipotetica coppia. Miki e Castiel, insieme avremmo fatto quasi ridere. 

«Come hai detto tu: l'amore non si può imporre. E questa regola vale per entrambi!» mi fece l'occhiolino e sorrise. Perlomeno si era calmata. «Miki, lui ti ha sognata. Ti chiamava, ti voleva. Se tu non fossi mai stata nei suoi pensieri, non ti avrebbe sognata quasi ogni notte. E poi conosco almeno un po' mio figlio, non credi?!»

Eppure nonostante le parole di Adelaide non riuscii a cambiare opinione. Castiel poteva anche desiderarmi, ma non nel senso inteso dalla madre. Il rosso voleva il mio corpo, ero il suo oggetto del desiderio solamente perché ero una delle poche ragazze a non esser ancora entrata nel suo letto. Sapevo fosse così, lo leggevo nei suoi occhi ogniqualvolta eravamo nella stessa stanza. Quel pomeriggio non lo dissi ad Adelaide, non avevo confidenza con lei, sarebbe stato strano parlare di quegli argomenti, ma non smisi di sostenerlo. Per quel motivo dovevo a tutti i costi allontanarmi da lui e da ogni tipo d'interesse in fase di maturazione per lui. Mi avrebbe ferita ed io ero già abbastanza rotta di mio. 

«Ora vieni con me. So dove trovarli!» non ebbi il tempo di risponderle, di contraddirla o fermarla, riuscii appena ad indossare le scarpe -tolte un'ora prima- che subito mi afferrò dal braccio e mi trascinò fuori da quella casa sotto lo sguardo confuso di Isaac, Bruno e zia Kate. Non potei biasimarli. Io ero in un pigiama rosso con i pois neri, con Minnie disegnata al centro della maglia, ed un paio di tacchi ai piedi. Adelaide sembrò non notarlo. 

Una volta dentro la sua auto partì senza indossare la cintura di sicurezza. Io, invece, la indossai e successivamente pensai bene d'iniziare a pregare dopo un bel segno della croce. Adelaide guidava senza osservare la segnaletica stradale, passammo persino con il semaforo rosso e per poco una macchina non ci travolse. Sudai freddo, ma lei sembrò non preoccuparsi e continuò per la sua strada. Non sapevo dove fossimo diretti, sperai in una zona meno popolata possibile, altrimenti, quasi sicuramente, qualcuno mi avrebbe fotografata e sarei finita in rete per il mio abbigliamento. Nessuno avrebbe riconosciuto la Micaela Rossi che solitamente amava farsi vedere in tacchi alti e minigonna, almeno nelle mura domestiche ero me stessa.  
 




CASTIEL

Se era vero il detto "a Natale si è tutti più buoni" beh, per me non valeva. Io ero, anche questa volta, l'eccezione che NON confermava la regola. Proprio il giorno di Natale ero fuggito. Fuggito dall'unica persona a cui importava realmente di me, dall'unica ragazza che mi capiva e lo dimostrava realmente ogni giorno. Era corsa in mio aiuto anche durante quel pranzo, voleva medicarmi la mano, i tagli e sbucciature avute a causa dei pugni lanciati contro un albero e un muro. Ed io cosa avevo fatto per ringraziarla? L'avevo lasciata sola, ero scappato, le avevo detto con un semplice messaggio che sarei tornato dalla mia ex, Debrah, anche se non era stato proprio così. 

Ero un fuggitivo ed anche un bugiardo

Non ero mai stato corretto con Miki; sin dal primo giorno le avevo mentito. Le avevo detto di non aver letto il suo diario segreto, quando le nostre valigie erano state scambiate, eppure avevo letto le prime pagine. E, come se non bastasse, ne avevo stampato una copia prima di restituirglielo. Se lo avesse scoperto probabilmente non mi avrebbe rivolto mai più la parola. Non avevo mai letto oltre le prime pagine, eppure in quel momento dopo esser fuggito da casa sua, dopo esser fuggito da lei, tenevo tra le mani quei fogli fotocopiati che in una calligrafia infantile racchiudevano ogni attimo della sua vita. Miki in quell'istante aveva la convinzione di sapermi con Debrah, mentre in realtà non facevo altro che pensare a lei. Strana la vita. Il suo diario, da Settembre, era chiuso a chiave in uno dei cassetti della mia scrivania e lì sarebbe ritornato. Non avevo intenzione di leggerlo, non ritenni corretto invadere il suo mondo, ancora. Non sapevo neanche il motivo per il quale avevo deciso di fotocopiarlo; forse alla fin dei conti quando lo feci pensai che leggere una storia di una persona con un passato più disastroso del mio, mi avrebbe aiutato e in un certo senso sollevato. Eravamo molto simili io e lei. Anch'io ero stato ferito dai miei genitori, anch'io ero cresciuto in solitudine. 

Senza invadere la mente di altri pensieri negativi, mi alzai dal mio letto e richiusi a chiave quei fogli nel cassetto della mia scrivania. Corsi a casa non appena mi ero reso conto di non riuscire a trattenere la rabbia dopo quel pranzo di Natale schifoso. Miki non avrebbe potuto essermi d'aiuto, non quella volta. 

Mi accovacciai di fronte la cuccia di Demon che avevo nella mia camera. Appena mi vide uscì fuori e mi saltò addosso, come accadeva tutti i giorni. Caddi sul parquet e mi sdraiai senza alcun intenzione di rialzarmi. Inevitabilmente ripensai a Debrah, come accadeva tutte le volte in cui mi ritrovavo steso in quel punto della stanza. Ripensai a quante volte lei era stata lì, nella mia stanza, a quante volte facemmo l'amore sul parquet, proprio in quel punto, dove quel pomeriggio mi ritrovai con Demon. 

Quando lei era con me la stanza si riempiva dei nostri gemiti, delle sue risate, di noi.

Il modo in cui avvolgeva il mio corpo mi spogliava l'anima.

In un istante fui travolto dalla nostalgia, avrei tanto voluto averla con me, nonostante tutto il male subito a causa sua. Da quando la nostra storia finì, cambiai con le ragazze. Non mi piaceva essere in quel modo. Preferivo i rapporti di solo sesso e ogni sera, in ogni ragazza, in ogni corpo cercavo qualcosa di lei. Ma non la trovavo mai. C'era qualcuna con gli occhi simili ai suoi, ma non uguali. C'era qualcuna con i capelli simili ai suoi, ma non uguali. Ogni ragazza veniva selezionata da me per lo stesso motivo, ma poi finivano per essere tutte un fallimento. Nessuna era lei. E mi tormentavo. Poi, però, incontrai Miki. Fisicamente totalmente diversa da Debrah, caratterialmente parecchio simile. Non per i lati negativi, ma per quelli positivi. Miki era l'unica ragazza capace di tenermi testa dopo di lei. Nessuna ci era riuscita. Miki aveva un carattere forte ma nello stesso tempo era dolce e ingenua, sebbene lo volesse nascondere. C'era stato un periodo in cui la mia mente era totalmente stregata da Micaela. M'incuriosiva. La ragazza dai capelli ramati aveva davvero tante belle qualità, ma queste erano state oscurate dopo il ritorno di Debrah. 

In mezza giornata ebbi chiaro ogni dubbio. Se dapprima mi torturavo per non riuscire a capire il motivo per il quale continuassi a desiderare incessantemente Miki, in quel giorno di Natale, non m'importò più. Non m'importò più neanche di avere la vendetta per Nathaniel. Mi bastava sapere che Debrah era cambiata realmente, che avrei potuto riavere quei giorni felici di qualche anno prima, per riuscire a cancellare ogni tormento o fatto negativo di quei mesi. Miki sarebbe potuta essere mia amica, dopotutto anche il suo messaggio di qualche ora prima voleva intendere quello. Lei non voleva perdermi, mi avrebbe voluto accanto per superare le difficoltà. Ed io ci sarei stato. Forse finalmente ogni cosa si sarebbe potuta sistemare, forse anch'io sarei potuto essere felice.

Pensando a Debrah ed alla nostra storia, rividi davanti ai miei occhi quei momenti indimenticabili. Così accesi la radio e ascoltai l'album di un cantante che a lei piaceva molto. 

Piango ma non rimpiango 

le sere che ho passato 

ad aspettarla qui 

La radio suonava e le parole di questo brano restavano impresse nella mia testa. Apparirono adatte per quel momento. Ripensai a quanto amai quella ragazza e a quanto lei mi aveva ricambiato ferendomi. Eppure mi sembrò di provare gli stessi e identici sentimenti per Debrah, di nuovo, come se questi non se ne fossero mai andati, ma fossero rimasti assopiti in un angolo del mio cuore. Nessuna donna avrebbe mai potuto prendere il suo posto. 

lo so che è tutto sbagliato

che lei mi fa male 

ma l'unica cosa che so 

è che io l'amo 

e l'amerò 

e delirio, delirio per lei

Fu brutto ammetterlo, ma quella canzone mi convinse maggiormente di quanto desideravo stringerla tra le mie braccia. Lei mi aveva abbandonato, aveva sbagliato nei miei confronti, ma mancava. Mancava in giro per casa, nel mio letto, mancava il suo profumo, i suoi occhi di ghiaccio, la sua pelle liscia. Ogni cosa. Avevo nostalgia di lei.

E dovrei chiamarla 

per dirle come sto 

cedo, ma non procedo 

giusto sarebbe dirglielo

E io invece procedetti. Volevo recuperare il tempo perso. Dovevo dirglielo. Dovevo avere coraggio e riprovarci.

Con la mano ancora dolente per i pugni tirati contro la casa di Miki, composi il numero di Debrah sul cellulare. Non lo avevo più in rubrica, ma cancellarlo era stato inutile. Nella mia testa lei, e persino il suo numero, erano rimasti segni indelebili. 

La chiamai sperando che non avesse cambiato numero.

Probabilmente ne sarei uscito sconfitto definitivamente da quella storia, ma con la consapevolezza che ingannarmi d'amore, ingannarmi di lei, mi avrebbe reso sazio e finalmente felice.
 




MIKI

Cominciai a intuire la destinazione quando Adelaide percorse la strada per casa di Castiel. La conoscevo a memoria ormai. Negli occhi di sua madre lessi speranza, da quando ebbe quell'idea assurda non cambiò più espressione. In me, invece, crebbe sempre maggiormente l'ansia e la tensione. Non avrei voluto vedere Castiel e Debrah insieme. Mi era capitato di vederlo in compagnia di altre ragazze, ma vederlo con l'unica donna capace di rubargli e spezzargli il cuore sarebbe stata tutt'altra storia. Debrah era l'unico amore della sua vita, mentre io ero una ragazzina qualunque ai suoi occhi. Non avrebbe mai potuto scegliere me. 

Adelaide fermò di colpo la macchina di fronte casa Black distogliendomi dai pensieri. Se non avessi indossato la cintura di sicurezza, sarei volata fuori grazie alla sua frenata brusca. 

«Oddio! Ma tu cosa ci fai con un pigiama addosso e i tacchi?!?» rise e poi si portò le mani davanti alla bocca. Finalmente si era accorta di quel piccolo particolare.

«Se tu mi avessi dato il tempo di cambiarmi forse...» 

«Non importa. Sei bella anche così. Ora sbrighiamoci a scendere da questa macchina, non abbiamo altro tempo da perdere!» non mi lasciò il tempo di finire la frase che scese dall'auto.

Scesi anch'io dal veicolo e intravidi la moto di Castiel parcheggiata nel giardino. Da una finestra situata al piano superiore della casa intravidi la luce fuoriuscire. Adelaide aveva ragione.

Castiel era a casa. 

Ripetei quell'evidenza nella mente e l'ansia aumentò secondo dopo secondo sempre di più. 

Ero a pochi metri dalla verità.

Entrammo nel cancello -grazie alle chiavi possedute da Adelaide- evitando ogni tipo di rumore. 

Quando fummo davanti alla porta d'entrata mi bisbigliò il piano da seguire. 

«Allora, facciamo così: tu entri da sola, gli faremo credere che lo hai raggiunto e sei entrata grazie alle mie chiavi che io gentilmente ti ho prestato. Io ti aspetterò nascosta qui fuori.» mi mostrò un cespuglio. 

Era l'unica donna capace d'inventare un piano dove una madre avrebbe dovuto nascondersi in casa propria per separare il figlio da una nuora malvagia. La stimavo ogni secondo di più. Non riuscii a capire il motivo per il quale sarei dovuta entrare in casa da sola, ma l'assecondai. Ero troppo in ansia per riuscire a ribattere. 

Così, come solo un ladro professionista poteva fare, Adelaide aprì la porta senza produrre alcun tipo di rumore e mi spinse letteralmente dentro. Sembravo essere immobilizzata al pavimento. Ingoiai un groppo di saliva che in quel momento sembrava una lama affilata, ed entrai in casa Black per la prima volta.

Mi si presentò davanti agli occhi una casa molto accogliente. Era interamente in legno. Proprio a destra dell'entrava c'era il salotto e a sinistra la cucina in un unico ambiente. I mobili erano classici ed oserei dire in stile vintage, simili a quelli utilizzati nelle baite romantiche in montagna. Nel salotto c'era un enorme camino per riscaldare la casa. Era acceso. Il che testimoniava la presenza di Castiel nell'abitazione. In realtà, avrei preferito non trovarlo. Vero, avrei voluto salvarlo dalla perfida Debrah, ma non in quel modo. Sapevo che se solo li avessi visti avvinghiati, sarei stata male. Molto male. Più male di quanto avrei potuto immaginare. 

Mentre mi guardavo intorno cercando di capire dove potesse essere il rosso, sentii dei rumori provenire dal piano di sopra. Così salii le scale situate proprio di fronte alla porta d'entrata, a qualche metro di distanza. Ad ogni gradino di quelle scale di legno, sul muro adiacente vi erano appesi dei quadri con delle foto. Erano tutte di Castiel e della sua famiglia, dalla nascita fino ai quattordici anni, più o meno. Non ero una stalker, non potevo sapere di certo l'età esatta risalente all'ultima foto. Arrivata all'ultimo gradino trovai appesa una foto che richiamò più di tutte la mia attenzione facendomi dimenticare, per qualche secondo, il motivo per il quale mi trovavo in quella casa.

Era una foto di qualche anno prima, senza alcuna cornice, era anche parecchio stropicciata. Qualcuno aveva cercato di rovinarla e nello stesso tempo di ripristinarla allo stato originale, e avevo giusto un'idea di chi potesse essere l'artefice. In realtà, conoscendolo, mi stupii di vederla appesa per abbellimento e non come oggetto di tiro all'arco. Dietro l'obiettivo erano presenti Castiel, Nathaniel e Debrah. Tutti con un viso più infantile rispetto a quello del Natale 2014. Dovevano essere molto legati. Castiel aveva le guance rosse, era raro vederlo arrossire; Debrah un sorriso smagliante e lo stesso sguardo diabolico di quando la vidi per la prima volta nel suo ristorante; Nathaniel, invece aveva un'espressione tra il divertito e lo scocciato, ma era pur sempre bello come il sole. Debrah era al centro e abbracciava i due ragazzi. Provai una sensazione strana nel vedere Castiel e Nathaniel nella stessa foto senza che questi si scannassero. Dovevano essere davvero dei grandi amici, un tempo. 

L'attenzione da quella foto mi fu distolta quando sentii dei rumori insistenti e inequivocabili provenire da una stanza. Quella doveva essere la stanza di Castiel. Mi avvicinai per sentire meglio, giusto per spezzarmi di più.

Il rumore di un letto in movimento mi fece perdere un battito. Dei respiri pesanti mi fecero perdere il contatto con il parquet di quella casa. Mi stavo distruggendo con le mie stesse mani. Volevo correre, eppure non sentivo più le gambe. Volevo urlare, eppure non avevo più voce.

Castiel e Debrah erano in quella stanza. Si stavano amando; o meglio... Castiel stava amando Debrah, lei chissà! Castiel era ritornato da lei senza aspettare neanche un giorno, calpestando la sua dignità. Ma non era più affar mio...

Perché era proprio come immaginavo inizialmente. Stavano recuperando il tempo perso.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** CAPITOLO 14: Da vicino fa più male ***


Capitolo 14

Da vicino fa più male








CASTIEL

La canzone che piaceva a lei terminò e con quella anche il mio coraggio andò in frantumi. Al quarto squillo -in un gesto automatico- il mio pollice premette contro il tasto rosso chiudendo così la chiamata. Non riuscii a parlare. Appena la sua voce risuonò all'interno del microfono di quell'apparecchio tecnologico non ebbi il coraggio di aprire bocca. Non avrei saputo come iniziare un discorso con lei dopo anni. Non potevo dirle: "Ehi ciao, passa da casa mia; scopiamo, parliamo..." No, con lei non funzionava in quel modo. 

Dopo quella chiamata il cuore batté forte, le mani tremarono; era il suo effetto. Quell'effetto che mai nessun'altra era riuscita a provocare in me. Gli anni passavano ma le cose non cambiavano, avevo dimostrato di essere ancora quel fottuto poppante di due anni prima. Avevo fatto di tutto per nasconderlo, di tutto per dimenticarla, eppure eccola lì con i suoi occhi di ghiaccio, ancora presente nel mio cuore. Non ero riuscito a guarire da lei. Con tutta la forza posseduta in corpo lanciai il cellulare contro il letto, non si ruppe. Com'era possibile? Com'era possibile che desideravo Debrah come il primo giorno? Com'era possibile dopo tutto il male che a causa sua avevo dovuto subire? 

Non avrei dovuto contattarla, lei avrebbe dovuto fare il primo passo. Due anni prima era stata lei ad annientarmi ed era suo compito ricompormi. Poi venni a contatto con la realtà. Non avrebbe mai capito che fossi stato io a chiamarla poco prima, a differenza mia lei non aveva mai imparato il mio numero telefonico a memoria. Non era neanche mai riuscita ad imparare la taglia dei miei vestiti, o dei miei boxer. Lei di me aveva solo imparato quanto scopassi bene. Non provava nient'altro, me l'aveva dimostrato parecchie volte. Ma tante volte io ero stato cieco e me ne resi conto solamente quando fu troppo tardi. 

Sconfitto nella battaglia contro me stesso scossi la testa per cercare di eliminare quei pensieri, spensi la radio e tornai a sdraiarmi sul parquet affianco a Demon. Lui era il mio compagno di avventure, colui che conosceva ogni mio lato, ogni mio segreto, colui che non mi avrebbe mai giudicato. Cominciai ad accarezzarlo, quel gesto rilassava sia me che lui. 

Stavo quasi per addormentarmi quando sentii una voce familiare provenire dal giardino di casa. Per un attimo pensai fosse frutto della mia immaginazione, dopotutto leggermente pazzo lo ero.

Lei era lì. Mia mamma era sotto casa e non era sola. Il pranzo patetico doveva esser finito. Ero ancora leggermente infastidito nei suoi confronti, sebbene le uniche persone realmente colpevoli per tutta quella storia insulsa erano Kate ed Isaac. Mi faceva schifo, al momento, chiamarlo "papà". Non meritava quell'appellativo perché in realtà non mi aveva mai voluto, aveva allontanato mia madre da me per i suoi scopi egoistici e per di più non l'aveva resa felice, l'aveva abbandonata e fatta soffrire. E per finire non aveva avuto neanche il coraggio di comunicarmi del loro divorzio. A tempo debito, quando mi sarei tranquillizzato, avrei voluto un incontro a quattr'occhi con lui, da uomo a uomo; anche se lui di uomo aveva ben poco. 

Nuovamente nervoso mi alzai di scatto dal pavimento e, con me, si mise sull'attenti anche Demon. Sembrava quasi potesse sentire le mie stesse emozioni, con lui non mi sentivo mai solo. Lui mi aveva accompagnato in ogni momento buio della mia infanzia e adolescenza. Aveva i miei stessi anni, lo consideravo un fratello. Poteva apparire stupido ma nutrivo un affetto immenso per quel cane. 

Spostai lo sguardo da Demon e mi avvicinai alla finestra per sbirciare. Quando vidi l'altra persona insieme a mia madre restai sorpreso e sgranai gli occhi. Miki. Era con lei che mia madre stava parlando. Si conoscevano da solamente un giorno e già avevano legato così tanto. Mia madre aveva delle doti innate di socializzazione, se poi qualcuno le stava simpatico era la fine. E Miki doveva starle tremendamente simpatica per arrivare ad organizzare persino dei piani diabolici con lei. Sapevo fossero giunte fin qui per interrompere la mia ipotetica fuga romantica con Debrah, non ero stupido.

 La ragazza bellissima dai capelli ramati era in pigiama, come mai l'avevo vista, ed indossava dei tacchi. Sorrisi davanti a quella visione buffa e, non seppi spiegare il motivo, ma il cuore aumentò leggermente i suoi battiti nel saperla lì, nel mio territorio. Mi concentrai su Miki e, sebbene fosse quasi buio ormai, riuscii a notare la sua espressione sconvolta in viso, sembrava esageratamente triste. Per un attimo pensai egoisticamente che stesse male a causa mia, ma poi ripensai al messaggio che mi aveva mandato qualche ora prima e scacciai quei pensieri dalla testa. Doveva esser accaduto altro. Io non ero così importante per lei. Dopo essermi concentrato sul suo viso, guardai il suo corpo, era in un pigiama davvero troppo infantile per una come lei. Al contrario di come avevo sempre immaginato, non usava pigiama sexy di pizzo o di seta. Anzi aveva addirittura un pigiama largo che nascondeva le sue forme. Quella ragazza era davvero strana; ma quel giorno suscitò ancora più curiosità in me. Quando nessuno poteva vederla si copriva, indossava abiti comodi, mentre quando tutto il mondo poteva ammirarla si scopriva. Era un'assurda abitudine la sua. Ma nonostante ciò sorrisi. Quella ragazza portava sempre un'aura di tranquillità con sé. Mi bastava vederla per sorridere di nuovo. Anche in un giorno di tempesta la sua presenza era capace di portare il sole.

Mentre Debrah provocava ansia ed inquietudine, Miki la placava. Forse erano sensazioni normali da provare. Debrah era l'unica donna che avrei sempre amato mentre Miki era una specie di amica e a tratti anche una vendetta, giusto? E allora perché continuavo a paragonarle da quando Debrah era riapparsa? Era una giornata intera ormai, che non appena pensavo Debrah contemporaneamente mi sentivo in colpa nei confronti di Miki. Non aveva senso. 

Per fortuna l'abbaio di Demon mi richiamò alla realtà. Dovevo sbrigarmi. Miki entrò in casa mentre mia madre restò fuori nascondendosi dietro un cespuglio. Alzai gli occhi al cielo e mi sbattei una mano sulla fronte per la scena ridicola a cui dovetti assistere. Stetti al loro gioco e per qualche motivo estraneo alla mia mente non volevo far scoprire a loro di essere solo. 

Aprii il computer. Iniziai a sentirmi un bugiardo professionista. Quando lo schermo fu aperto cercai la cartella nascosta con tutti i video di Debrah, e ne aprii uno. Erano parecchi mesi che non l'aprivo. Nonostante fosse trascorso del tempo di lei non avevo cancellato nulla. Non era per pigrizia, era per tenerla con me in qualche modo. Lei era rimasta nel mio cuore, nella mia anima, nei miei vestiti e persino nel mio computer. 

Premetti il tasto PLAY, alzai il volume ed il video partì. Quei suoni erano talmente reali che per un momento credetti davvero di avere Debrah vicina. Ringraziai mentalmente le casse professionali acquistate un anno prima grazie ai risparmi uniti con quel lavoro. 

Mi sedetti davanti al computer e la guardai immobile. Quel video risaliva a due anni e mezzo prima, a quando stavamo insieme da circa sei mesi. Eravamo proprio qui, nella mia stanza. Lei molto spinta parlava sul fare l'amore e su cosa voleva che le facessi. Mi piaceva da impazzire quando era così tanto maliziosa. Da ingenuo qual ero pensavo lo facesse solo con me, pensavo fosse in confidenza solamente con me, pensavo mi amasse. In realtà, sei mesi dopo la data di quel video avevo scoperto di quanto mi ero sbagliato. Lei era in confidenza con tutto il sesso maschile, non solo con me. Io non ero stato la sua eccezione, mentre lei era la mia

Un senso di angoscia, nostalgia e nervosismo s'impossessò del mio stomaco mentre continuavo a guardare le immagini che scorrevano su quello schermo. Ma poi, per fortuna, fui distratto da dei passi. Miki stava sicuramente salendo le scale. Così quasi a metà video misi in scena la seconda parte del piano. 

Per farle credere di esser impegnato in un rapporto reale con Debrah, andai verso il letto e, una volta esserci salito con i piedi su, cominciai a saltare come un imbecille per provocare quel cigolio tipico durante un rapporto abbastanza infuocato. In quel momento più rumore riuscivo a fare meglio era. Demon davanti a quei miei gesti strani restò immobile, non mi seguì come avrebbe fatto in altre occasioni. Forse persino lui provava vergogna per me. Eppure io stavo cercando di fare rumori azzardati ed in modo accentuato solamente perché avrei voluto che Miki, vergognandosi, abbandonasse quella casa nel minor tempo possibile. Non avevo voglia di dare spiegazioni sul perché non avessi chiamato realmente Debrah, volevo solamente restare in solitudine continuando a guardare i nostri video senza essere disturbato. 

Miki però non seguì i miei piani. Lei era diversa da tutte le altre, dovevo immaginarlo. Si fermò proprio davanti alla porta della mia camera chiusa a chiave. Non udii alcun rumore di passi affrettati che scendevano le scale per la vergogna di ciò che le sue orecchie avevano dovuto sentire. Non udii alcuna risata provenire dalla sua bocca piena per avermi scoperto a scopare. Niente di tutto ciò che avevo immaginato accadesse, dopo aver inscenato il mio piano, accadde. Fu solo allora che capii quanto stavo risultando idiota. Infondo Miki era stata sempre sincera con me. Se gli avessi detto la verità mi avrebbe compreso. Non mi avrebbe mai classificato come un codardo, non avrebbe mai pensato altre cattiverie su di me. Con lei potevo parlare, con lei potevo rompere la mia solitudine. E allora perché avevo creato tutta quella messa in scena? A quale scopo? Il video finì e nella camera si udì solo il sottoscritto inscenare il finto rapporto sessuale. Non aveva senso farlo. Fermai di colpo ogni mio tipo di movimento sotto lo sguardo inebetito di Demon e, proprio dopo esser sceso dal letto, mi accorsi di alcuni lamenti provenire dalla porta dietro la quale doveva esserci Miki. 

Mi avvicinai alla porta per capire meglio. Solo allora compresi cosa stava accadendo. Miki stava piangendo. Senza capirne il motivo mi venne spontaneo poggiare la mano sul masso di legno, come se lei dall'altra parte potesse vedermi e potesse sentire la mia vicinanza. Volevo darle conforto in qualche modo, anche senza conoscere la causa del suo malessere. 

Uno strano senso di rimorso per un attimo, mi fece pensare che il motivo del suo pianto potessi essere io visto e considerato che si trovava proprio in casa mia, davanti la mia stanza

Uno strano senso di rimorso per un attimo, mi fece pensare che il motivo del suo pianto potessi essere io visto e considerato che si trovava proprio in casa mia, davanti la mia stanza. E se lei provasse realmente un qualche genere d'interesse aldilà dell'amicizia, nei miei confronti? E se fosse andata proprio come sosteneva Lysandre? No, impossibile. Non poteva essere. Scacciai in un baleno quei pensieri insulsi dalla mente e mi concentrai nuovamente sulla realtà. 

Volevo capire cosa le stava accadendo, senza pensare a Debrah, senza riflettere su cosa Miki avesse potuto pensare di me dopo aver scoperto della commedia inscenata. Per una volta volevo essere io ad aiutare quella ragazza. Se lo meritava. Lei c'era stata per me in ogni occasione, sin da quando mi aveva conosciuto. Senza pensare alle conseguenze, ai "se" e ai "ma", feci scivolare la mano sulla maniglia ed aprii la porta.

Lei era poggiata al masso di legno, ma io non potevo saperlo. Non riuscì a reggersi da alcuno oggetto e, senza volerlo, cadde su di me. Colto dalla sorpresa non feci in tempo ad aggrapparmi a qualcosa per reggerla e finimmo entrambi per cadere sul parquet. Mi ritrovai schiacciato contro il pavimento con il suo corpo sopra al mio. Non mi dispiacque affatto quel piccolo incidente. 

A causa dell'impatto la sua testa finì sul mio petto mentre la mia contro il parquet, se la pavimentazione fosse stata di mattonelle mi sarei spaccato il cranio, come minimo. Per fortuna non accadde; non mi sarei voluto perdere per nulla al mondo quella scena. 

Bofonchiando parole incomprensibili e senza incontrare mai il mio sguardo, alzò leggermente la testa senza muovere il resto del corpo e scrutò la stanza con gli occhi in ogni angolo. Voleva controllare dove fosse Debrah. Quando trovò solamente Demon il suo viso cambiò espressione, sembrava quasi felice e nello stesso tempo sorpresa di quella scoperta. Poggiai i gomiti sul pavimento e sollevai leggermente il busto per guardarla meglio. Nonostante il trucco sbavato e sparso per tutto il volto, era così bella.. E noi eravamo così vicini..

«Ma tu... Lei non-» la zittii posando l'indice sulla sua bocca invitante e le guardai le labbra. L'istinto mi suggeriva di baciarla, ma non potevo, non dovevo complicare ancor di più le cose. 

I suoi occhi erano arrossati a causa del pianto ma in quel momento intravidi in loro una strana luce. Mi parve di leggervi dentro un briciolo di felicità, ma non ne fui sicuro. Ciò che mi aveva dal primo momento impressionato di quella ragazza erano i suoi occhi. Erano scuri, due pozzi bui, eppure riuscivano a trasmettere e ad emozionare ancor di più rispetto a due occhi chiari. Lei m'ipnotizzava.  

 Poi spostò lo sguardo su di noi, sui nostri corpi, parve che si rese conto solo in quel momento della posizione compromettente in cui eravamo. Alzò le sopracciglia per la sorpresa, si morse il labbro e poi tentò di sollevarsi per allontanarsi da me, ma non glielo permisi. Le bloccai le braccia senza proferire parola e lei fermò ogni suo movimento, dopotutto non voleva realmente andare via da me. 

Restammo in silenzio, l'una sopra l'altro, guardandoci negli occhi come se fossimo ipnotizzati. Lei non mi chiese il motivo per il quale Debrah non era presente in quella stanza, del perché avessi inscenato un finto rapporto sessuale. Ed io non le chiesi il motivo del suo pianto. Forse non volevo saperlo realmente, perché avrebbe potuto cambiare molte cose ed io non volevo per il momento venire a conoscenza di verità sui suoi sentimenti nei miei confronti. In quell'istante eravamo felici così. Senza domande, senza risposte, senza dubbi, esistevamo solo io, lei e la nostra attrazione. Non poteva essere negata, quella c'era sempre stata sebbene fossimo amici o qualcosa del genere. 

Ad un certo punto, senza capirne il motivo le accarezzai il volto. Uno strano senso di agitazione mi risalì dallo stomaco nel compiere quel gesto. Ma non doveva esserci, doveva esserci pura e semplice attrazione tra noi, ed una specie di amicizia. Nient'altro. Miki davanti a quel gesto arrossì, non lo faceva mai, solo in mia presenza capitava. D'altronde quel gesto da parte mia era inaspettato, non ero solito dimostrare affetto. Mi sollevai mettendomi seduto con lei di sopra e con entrambi i pollici cercai di pulirle il viso dal residuo di trucco. Con quel gesto volevo eliminare anche il dolore dalla sua anima, sperai di riuscirci, mi sentivo incredibilmente in colpa senza capirne il motivo. 

Ma il contatto con la sua pelle morbida e delicata durò per poco, non riuscii a levarle via tutto il dolore, quasi mi dispiacque.

 



ADELAIDE

Erano passati trenta minuti circa, da quando Miki era entrata dentro casa e la mia ansia cresceva ogni secondo sempre di più. Avevo omesso un grande particolare nell'architettare il piano che avrebbe sabotato la fuga romantica di mio figlio e quell'arpia. Miki non provava un semplice affetto amichevole nei confronti di Castiel, tutti se n'erano accorti tranne il diretto interessato, sarebbe rimasta ferita nel vedere mio figlio con la sua ex. Avrei dovuto riflettere meglio sul piano da seguire e soprattutto non avrei dovuto far entrare dentro casa Miki da sola, maledizione!

Miki era una ragazza fragile, Kate mi aveva confidato qualcosa sul suo passato, perlopiù quel giorno era già stata smossa abbastanza da molti accadimenti, non avrebbe dovuto vedere Castiel e Debrah insieme. Già solo il nome di quell'arpia mi provocava un'orticaria nervosa. Mio figlio come aveva potuto farsi abbindolare di nuovo da lei? Aveva subito già troppo a causa sua e fui sicura che lei stesse architettando un altro piano dei suoi, perché altrimenti non sarebbe ritornata a Parigi. Era una ragazza cattiva e diabolica sebbene avesse solamente diciassette anni. Era tornata nelle braccia di Castiel solo per avere qualcosa in cambio, non poteva essere altrimenti. Ormai la conoscevo bene. 

Mentre incredula ripensavo alla superficialità di mio figlio, guardai nuovamente l'orologio e continuai a non capire per quale motivo Miki ci stesse mettendo così tanto tempo. Avrei dovuto percepire un minimo urlo, delle voci, e invece non si percepì niente all'esterno. C'era troppa quiete. Debrah avrebbe urlato non appena Miki li avesse disturbati. E invece niente di tutto ciò era accaduto. Uscii dal cespuglio dove mi ero nascosta mezz'ora prima e mi avviai verso il portone d'entrata preoccupata per Miki. Ero intenzionata ad entrare anch'io dentro casa.

«Oh carissima suocera, da quanto tempo... Salve!» una voce, la sua voce stridula alle spalle, mi fece sussultare.

Non mi voltai per capire se fosse o meno realmente lei, non ce n'era bisogno. Conoscevo la sua voce fastidiosa alla perfezione, ormai. La rovina di mio figlio. Quindi Castiel non l'aveva chiamata realmente, non subito perlomeno. In quel momento Castiel e Miki erano in casa, da soli. Sorrisi furbamente meditando su un nuovo piano che avrebbe fatto infuriare decisamente Debrah. Aveva avuto il coraggio di definirmi sua suocera, di scherzare, di rivolgermi la parola, di presentarsi davanti ai miei occhi dopo tutti i danni che aveva provocato. 

Non risposi a quella sua provocazione, ero superiore ad un essere del genere. Ma quando si avvicinò un centimetro di troppo sfiorandomi le spalle con le sue luride mani, saltai dal nervosismo e mi allontanai dalla sua figura, quasi come se avesse la peste. Mi voltai di colpo e divenni cattiva come dovevo già esserlo da tempo con lei. 

«Non permetterti mai più a toccarmi con le tue mani zozze. Schifosa puttana!» gesticolai ed emisi una smorfia con la bocca.

Ero stata talmente dura con le parole che persino io stessa, alla loro pronuncia, rabbrividii. Non dovevo abbassarmi ai suoi livelli, lo sapevo bene, ma l'avere davanti agli occhi quel volto fresco e cattivo mi fece perdere ogni lume della ragione. Stavo rivivendo tutto il male che lei aveva provocato. E, d'altronde, le mie parole non erano state nient'altro che polvere se paragonate al dolore di una mamma che stava per perdere suo figlio. 

«Cosa ha detto? Ripeta, prego!» rispose con fare infastidito e superiore poggiando le mani sui suoi fianchi.

Persino la sua voce mi stava antipatica. Era alta, squillante e acuta talmente tanto da poter fare diventare sordi. La sua era la tipica voce da oca, non riuscivo neanche a capacitarmi del fatto che fosse diventata realmente una cantante professionista.

«Sai cara?! Non è bene essere sordi già alla tua età. Conosco i migliori otorini di Parigi, posso consigliartene uno?» ghignai. 

Sdrammatizzai quasi scherzando. La conoscevo bene, sarebbe stata capace di mettermi persino contro mio figlio. Era una manipolatrice professionista. 

«Le parole che mi ha detto non mi toccano, io sono una persona pulita e leale. Non m'importa che le sto antipatica. Mi riprenderò Castiel ugualmente, che le piaccia o no. Lei non è nessuno per giudicare» mi rispose passando in modalità vittima piangendosi addosso.

Era falsa. Persino Isaac era più leale o pulito di lei. Per quella ragazza non avevo altro che aggettivi negativi da affibbiarle. 

«E poi... anche se lei è sua mamma, non ha importanza. Non è stata capace di crescerlo, di stargli accanto, figuriamoci se sarebbe capace ad individuare chi è la ragazza giusta per lui. Lei non lo conosce, Adelaide» mi guardò con un'aria di superiorità e vittoria finendo con il fare un sorriso diabolico. 

Aveva colpito e affondato. Debrah era anche questa. Individuava i punti deboli dell'avversario e poi ficcava il colpo in profondità, uccidendo. 

Ma lei non mi avrebbe battuta, non mi sarei fatta sconfiggere, non quella volta. Ero più grande e più matura di lei; l'avrei ripagata con la stessa moneta.

«Eppure sai?! Devo contraddirti per questa volta; sono riuscita a fare qualcosa di buono per mio figlio. L'ho consigliato bene. Entra tu stessa e guarda con i tuoi occhi quanto Castiel è felice con la sua nuova ragazza» le mostrai la casa per incitarla ad entrare. «Lui non ti pensa più, Miki ha guarito ciò che tu hai distrutto. E' troppo tardi, Debrah!» continuai con tono di voce serio. 

Da lì a pochi minuti avrebbe scoperto la verità, lo sapevo, ma farle pensare totalmente il contrario anche solo per brevi istanti era stata una soddisfazione enorme per me. Castiel probabilmente avrebbe dato di matto non appena avesse scoperto le parole riferite a Debrah, ma non m'importo in quel momento. 

La ragazza dagli occhi di ghiaccio davanti le mie parole cambiò espressione; strinse i denti, le mani in due pugni e il suo voltò si arrossì a causa della rabbia. Stava lentamente avendo la consapevolezza di aver perso, che goduria! 

Senza far trasparire alcuna emozione presi le chiavi dalla tasca e aprii la porta facendole segno di entrare insieme a me. Lei fece come le comandai ed io la seguii. Sbirciai ogni angolo della casa senza muovermi, Castiel e Miki non erano al piano di sotto. Sorrisi furbamente.

«Oh non c'è bisogno che perdi tempo a cercarli in ogni stanza» la bloccai mentre da scostumata qual era aveva iniziato a girovagare per tutte le stanze, aprendo ogni porta presente in quella casa alla ricerca del suo oggetto del desiderio. «Loro sono proprio nella camera di Castiel, lì dove passavate la maggior parte del tempo anche voi due. Te l'ho detto, non esisti più per mio figlio» incrociai le braccia e le sorrisi fintamente dispiaciuta. 

«Lui non mi avrebbe chiamata se n-» la bloccai prima che potesse finire la frase.

«Avrà sbagliato numero. Ah un ultimo consiglio: se dovessi trovare la porta chiusa, non disturbare. E' Natale, di sicuro staranno festeggiando!» conclusi facendole l'occhiolino, e voltandomi per dirigermi con nonchalance verso il divano del salotto senza darle ulteriore importanza. 

Anche se per dei momenti brevi, le stavo restituendo un po' del male che lei ci aveva provocato.

Mi sedetti sulla poltrona in salotto, accanto al camino acceso. Da quella posizione riuscivo ad intravedere le scale ed anche Debrah che si trovava dinanzi a quelle con un'espressione abbastanza provata. Per la prima volta nella sua vita forse si stava sentendo umiliata, scartata. Continuava a guardarsi intorno come per voler cercare un'ulteriore spiegazione. Non voleva credere al fatto che il suo giocattolo personale stesse realmente con un'altra ragazza, che l'avesse sostituita. Andava avanti e indietro, dalle scale alla porta di casa, indecisa sul da farsi. Era totalmente spiazzata. Dopo qualche minuto finalmente gettò qualche sospiro e si decise a salire le scale, anche se lo fece lentamente. Non mi era mai capitato di vederla in quel modo. Solitamente era lei ad uscire vincitrice dagli scontri verbali, da ogni situazione, ma quella volta stava subendo, era la sconfitta. 

Non sapevo se i suoi sentimenti nei confronti di mio figlio fossero realmente cambiati, se si fosse pentita del male che gli aveva provocato, ne dubitavo ma avrei giudicato solo dopo averla studiata per più tempo.

 



MIKI

Mi ero sentita umiliata, usata, stupida, un'illusa quando pensavo che Castiel e Debrah fossero insieme. Non era accaduto come quando avevo scoperto fosse chiuso nel bagno sotto la tour Eiffel con Ambra, quel pomeriggio provai altre emozioni. Perché infondo presagivo che un rapporto con Debrah sarebbe stato diverso; lei era l'unica per lui e qualora fossero stati insieme sarebbe stata la fine per ogni cosa presente tra noi. Non sapevo definire bene quel sentimento, non volevo neanche farlo, ero forse troppo gelosa di lui per provare una semplice attrazione fisica, ma non potevo ammetterlo. 

In quel momento ero sopra il suo corpo tonico, lì dove ero caduta qualche minuto prima dopo che spalancò la porta sulla quale ero poggiata, avevo provato ad alzarmi dai suoi muscoli ma lui non me l'aveva permesso. Voleva sentire la mia vicinanza ed io gliel'avevo concessa. Il suo volto si era finalmente rasserenato rispetto a quando l'avevo osservato poche ore prima a casa mia, bastava quello per tranquillizzare anche me. Accarezzava il mio volto e cercava di eliminare i residui di trucco con entrambe le mani, sembrava essere a suo agio ma nello stesso tempo anche leggermente in imbarazzo; non ci eravamo mai trovati in quella situazione così intima. Le sue carezze erano addirittura quasi dolci, in netta contrapposizione alla personalità ed ai suoi soliti modi bruschi. Quello era un altro suo lato mai visto prima, mi ritenni fortunata a ricevere le sue attenzioni. 

«Porti sempre un'aura di serenità assurda dietro di te e riesci anche a trasmetterla agli altri. Infatti mi basta vederti per tranquillizzarmi. E' bella questa sensazione» accennò un sorriso e finalmente si scomodò a parlare guardandomi negli occhi. Nel suo sguardo lessi sincerità. Si era tranquillizzato e l'aveva fatto con me. 

Percepii il mio volto andare in fiamme, ma sorrisi ugualmente per poi abbassare lo sguardo. 

Per la prima volta, quel pomeriggio, mi sentii importante per lui. Non era tipo da confidare ogni giorno quel genere di cose. Non aveva utilizzato parole o termini eclatanti, ma per me lo furono. Era raro o addirittura impossibile intravedere quel Castiel, fu la prima volta che accadde. 

Avrei tanto voluto fargli alcune domande sulla risposta breve al mio messaggio di qualche ora prima, volevo capire cosa intendesse, volevo anche capire il motivo per il quale aveva voluto farmi credere di essere con la sua ex ragazza, ma evitai. Quell'istante era perfetto così com'era. Niente e nessuno avrebbe potuto distrarci. Tornai a guardarlo negli occhi e notai fossero più chiari del solito grazie alla sua evidente tranquillità interiore. Non aveva provato neanche a baciarmi eppure avrebbe potuto, eravamo così vicini...

«Se le cose stanno così, allora perché mi hai chiamata?» la voce stridula che avevo imparato a conoscere quel giorno riecheggiò per tutta la stanza. 

Non mi voltai nella sua direzione, preferii guardare la reazione di Castiel e fu proprio quella a darmi la coltellata finale. Se fino a pochi secondi prima ero riuscita a volare grazie a quello sguardo, quegli stessi occhi negli attimi successivi mi spezzarono le ali. Stavo per precipitare negli abissi più profondi, ma quella volta al mio fianco non ci sarebbe stato nessuno pronto a sorreggermi. Sarei rimasta sola. Non sarei caduta su Castiel, no, lui non mi avrebbe più salvata, protetta, ricomposta. Quella volta lui avrebbe salvato solo lei... il suo vero ed unico amore.

Appena la vide gli s'illuminarono gli occhi e con un sorriso a trentadue denti sollevò la testa per guardarla. Era come ammaliato, un po' come Ulisse con Nausicaa. Da quando lei si fermò sulla soglia della porta per lui non esisté nessun'altra, io diventai trasparente e le parole, la dolcezza di pochi istanti prima diventarono solo un lontano ricordo. E, come se non bastasse quell'umiliazione, ecco arrivare da parte sua il colpo di grazia. Le stesse mani che poco prima stavano accarezzando il mio volto, mi spinsero via e lontano da quel corpo di cui ero attratta da ormai tanti mesi. Mi spinse con forza, senza curarsi di quanto avrebbe potuto farmi male, ed io caddi col sedere sul parquet. Aveva fretta di raggiungerla. 

«Lei è soltanto un'amica...» disse alzandosi e posizionandosi di fronte a lei.

D'altronde gli aveva riferito la verità, ma allora perché il cuore faceva così male? 

Debrah mi guardò di sbieco emettendo un sorriso di vittoria, poi tornò a guardare Castiel e gli raccontò -senza perdere tempo- di un litigio avvenuto con Adelaide pochi minuti prima. Non si vedevano da anni e lei pensava solo a fare la vittima, possibile che Castiel non riusciva a rendersene conto? Mi accigliai davanti a quella scena patetica. Erano a pochi centimetri di distanza, l'una di fronte all'altro; lui voleva baciarla, lo desiderava con tutto se stesso mentre io restai sul parquet, proprio lì dove ero caduta dopo aver volato. Mi allontanai da loro, mi facevano ribrezzo; strisciai fino ai piedi del letto di Castiel dove mi ci poggiai di spalle. Potevo considerarmi una spettatrice a tutti gli effetti, non interferii nei loro discorsi né tantomeno loro calcolarono me. Ero diventata trasparente per il rosso, lui ormai pendeva solo dalle labbra della sua ex. L'aveva perdonata in una velocità assurda, non me lo sarei mai aspettato da un tipo come Castiel. 

Totalmente persa tra i miei pensieri, non mi accorsi neanche di star accarezzando Demon. Era stato un gesto automatico, quasi un anti-stress. Avevo il timore dei cani come lui, eppure in quel momento non riuscivo a sentire alcuna paura. Cercai ugualmente e d'istinto di spostarmi, ma lui mi seguì poggiando la testa addirittura sulle mie gambe. Aveva bisogno di coccole ed io feci un'eccezione concedendogliele. Dopotutto non mi aveva ancora abbaiato contro, quel giorno. 

Dopo essermi distratta portai nuovamente lo sguardo su Castiel. Non appena la strega finì il suo monologo, lui prese le sue mani, le sollevò insieme alle sue e le portò sul cuore. 

«Mi dispiace per tutto, ma ciò che hai visto o sentito non è nient'altro che un equivoco. Ciò che ti ha detto mia madre è un equivoco. Io non potrei mai amare Miki, né nessun'altra ragazza che non sia tu. E' vero, mi hai ferito come mai nessuno avrebbe potuto fare, hai sbagliato in parecchie cose durante il nostro rapporto, ma di questo parleremo e chiariremo in un altro momento. Ora mi basterebbe che tu mi dicessi di volerci riprovare, ed insieme cercheremo di superare ogni cosa. Io ti amo ancora Debrah e l'ho capito oggi, dopo averti rivista. Non posso continuare a mentire a me stesso!»

L'aveva perdonata ancor prima di farla parlare. 

«Tesoro mio, te lo prometto. Non ti farò mai più del male. Tutto ciò che voglio è riuscire a farmi perdonare da te» 

Patetico! Tutto ciò a cui fui costretta ad assistere era patetico ai miei occhi ed alle mie orecchie. Il tono di voce di Debrah risultò talmente falso da scaturirmi un conato di vomito, mentre Castiel sembrò persino essere contento delle parole uscite dalla bocca di quell'oca. Ero incredula, come poteva farsi abbindolare così facilmente? Era forse quello l'effetto dell'amore? L'amore accecava, intontiva, faceva vivere in un mondo parallelo o era semplicemente lui a non voler entrare in contatto con la realtà perché troppo cruda e dolorosa? Non conoscevo gli effetti dell'amore, io non avevo mai provato quel sentimento così forte e se le cose stavano come con Debrah e Castiel, allora non avrei mai voluto provarlo. I miei principi ferrei che avevo prima di atterrare a Parigi non era poi così tanto sbagliati.

I due continuarono a parlare e a scambiarsi effusioni, ma io mi estraniai volutamente senza più ascoltare; avevo sentito già abbastanza.

Avevo sempre immaginato che anche il rosso avesse un cuore. Lo stava mostrando e donando proprio in quel momento. Peccato però che la diretta interessata non fossi io. Debrah doveva ritenersi fortunata, eppure lei non sembrava neanche accorgersi del tesoro posseduto. Castiel poteva essere il ragazzo più testardo, arrogante, presuntuoso ed imbecille al mondo, ma quando donava il proprio cuore donava se stesso. Persino io mi ritenni fortunata ad assistere alla versione di un lui innamorato, anche se per me non avrebbe mai potuto provare sentimenti simili; l'aveva persino detto esplicitamente nel suo discorso... "Io non potrei mai amare Miki", aveva detto. Dovevo solo rassegnarmi. Forse era meglio così, lui mi avrebbe portato solo problemi, mi avrebbe ferita proprio come già stava facendo. La corda non poteva essere tirata più di così. Sperai per lui che Debrah non lo tradisse nuovamente, che non gli facesse del male, ma dentro il mio cuore già sapevo come sarebbe andata a finire. Ed io a quel punto avrei solo potuto aiutarlo a sanare le ferite, se ne fossi stata capace, se ne avessi avuto le forze. Quel giorno mi sentivo senza quindi evitai. 

«Miki scendi di sotto con noi. Dobbiamo parlare!» finalmente Castiel si accorse della mia presenza in quella stanza. Mi parlò con tono arrogante quasi come se gli avessi fatto un torto. 

Sconfitta ancor prima di conoscere il risultato, mi alzai di malavoglia dal parquet salutando Demon, da quella sera mi sarebbe stato simpatico. Quando fui sulla soglia, mi fermai accanto alla porta per poco e la guardai per poi spostare lo sguardo su Castiel. Ripensai inevitabilmente a qualche istante prima, a quando per fatalità ero finita su di lui, a quando insieme -soli- stavamo bene. Il rosso ricambiò lo sguardo capendo a cosa stessi pensando, ma subito lo spostò riportandolo sulla sua amata. A causa di tutto quel trambusto non avevo neanche avuto modo di ammirare la camera del rosso, avrei potuto farlo in quel momento se solo Castiel non mi avesse tirata in modo brusco giù dalle scale. Tenendomi stretta dal polso mi fece scendere di fretta la rampa di legno trascinandomi nel salotto. Dietro di me c'era Debrah, quando mi voltai verso lei, aveva ancora dipinta sul volto quell'espressione di vittoria che non l'aveva abbandonata neanche per un secondo da quando Castiel le aveva concesso un'altra possibilità. I suoi occhi erano malvagi, diabolici, non mi piaceva il suo sguardo. Avrei pagato tanto pur di poterle tirare uno schiaffo in pieno volto. 

Giunti in salotto trovai Adelaide seduta su un divano grande di stoffa marrone e verde, era abbastanza accogliente quella stanza ma in quel momento m'incusse ulteriore ansia. Di fronte al grande divano c'era un enorme camino acceso e accanto a quello una tv a schermo piatto spenta. Il parquet in quella camera era coperto da un tappeto verde abbastanza grande e ai lati di questo, oltre al divano su cui era seduta Adelaide, vi erano altre due poltrone dello stesso colore. 

Quando Castiel mollò la presa dai miei polsi, mi accomodai affianco ad Adelaide. Entrambe guardammo il fuoco. Probabilmente anche lei stava immaginando di spingere Debrah dentro il camino. L'ipotetica scena mi fece sorridere, ma questo a Castiel non piacque.

«Se fossi al tuo posto non riderei...»

Ma cosa gli avevo fatto? Per quale motivo doveva sfogare la sua rabbia su di me? Con Debrah avrebbe dovuto essere in ira, non con la sottoscritta. Ero stanca di quel suo comportamento privo di senso, così senza rifletterci sbottai. 

«Ma si può sapere cosa vuoi? Perché mi tratti in questo modo? Hai di nuovo la tua Debrah, ora lascia in pace me. Non ti servo più!»

Non avevo meditato, avevo sputato quelle parole come se fossero fiamme roventi. Stavo parlando con dolore e gelosia. Già... Gelosia. Ma che diritto avevo, io, di essere gelosa? Non potevo essere gelosa di qualcuno che non era e non sarebbe mai stato mio. Eppure lo ero.

Mi sentivo il cuore, come un pezzo di carta, bruciare. Il mio cuore stava sanguinando a causa della gelosia. Non mi ero mai sentita in quel modo prima d'allora.

Nonostante le mie parole Castiel non si mosse, non mi rispose e né fece trapelare alcuna emozione. Debrah era vicino a lui, entrambi erano alzati affianco al camino. La mora gli prese la mano e gliela strinse come per dargli coraggio. Solo sei ore prima ero io a stringere quella stessa mano, quando i suoi genitori avevano comunicato lui quell'amara verità. Io ero stata vicina a Castiel in quei mesi, non Debrah, eppure era bastato così poco per stravolgere le cose; per far cambiare idea a Castiel.

Rabbrividii ripensando a quei dati di fatto e Debrah se ne accorse, infatti di proposito alzò la mano del rosso e se la portò davanti alla bocca baciandone il dorso per dispetto. Era furba. Tremendamente. 

«Mamma, ascolta: da oggi in poi evita di rivolgere a Debrah determinate parole. Abbiamo deciso di riprovarci ed io voglio darle un'altra possibilità, voglio chiarire con lei, quindi portale rispetto gentilmente. Durante l'anno in cui siamo stati insieme ha preso il tuo posto, mentre tu per me non ci sei mai stata lei invece c'era sempre. Mi ha curato quando ero malato, mi ha amato e accudito come una mamma avrebbe dovuto fare. Ha sbagliato molto, sì lo so, ma nello stesso tempo ha portato tante cose belle nella mia vita; ora mi ha promesso che cambierà ed io voglio crederle. Le darò un'ultima possibilità. Se a te non sta bene la decisione che ho preso, se devi iniziare con le tue solite opposizioni inutili, allora quella è la porta» finì il discorso mostrando la porta d'uscita. 

Adelaide sembrò innervosirsi davanti alle parole del figlio, lo si capiva dall'espressione dura assunta dal suo volto. Mentre Castiel aveva sostenuto il suo discorso senza far trapelare alcun sentimento tranne che il menefreghismo più totale. Stava difendendo la donna amata sminuendo sua madre; aveva fatto intendere che Debrah avesse preso il suo posto, io non potevo conoscere la verità, ero ancora in Italia in quegli anni tirati così tanto in ballo quel giorno. Eppure quelle parole mi risultarono talmente false da non riuscire minimamente a crederci. Era come se Castiel si volesse giustificare di aver perdonato Debrah così velocemente, quasi come se volesse convincere se stesso. Avrei tanto voluto conoscere quel passato, le vicende, ma quel momento non era adatto per scoprirlo o per fare domande. Ma pur non conoscendo i retroscena ero in grado di giudicare e riconoscere una persona che esagerava con le parole e Castiel stava decisamente ingrandendo la situazione. Non avrebbe dovuto permettersi di togliere sua mamma di casa qualora non avesse accettato la sua relazione con Debrah. 

«Hai ragione, mi metterò da parte. Spero solo che questa volta prenderai le cose con più maturità quando lei ti abbandonerà... Perché lo farà e lo sappiamo entrambi. Avrò sbagliato anch'io da giovane è vero, ma ricorda una mamma è per sempre, io ti ho messo al mondo e so cosa è giusto per te; non posso obbligarti certo, ma devo tentare di farti cambiare idea. E poi... Tante volte ti ho chiesto perdono per le mie azioni passate, tante volte negli ultimi anni ho cercato di recuperare il nostro rapporto e pensavo di esserci riuscita, ma è bastata una semplice ragazza sbagliata per annebbiarti la mente, di nuovo. Io mi sono pentita di molte cose del mio passato, l'amore a volte porta a sbagliare, per questo ho cercato di far ragionare almeno te, di farti capire che una come Debrah è meglio perderla che trovarla. Ho cercato d'insegnarti -per esperienza personale- di non ascoltare solamente il cuore, perché a volte ti porta in strade totalmente errate, ma tu non ascolti... E va bene così. Non sono per nulla d'accordo con questa tua decisione di rimetterti insieme a lei, per questo scelgo la seconda alternativa che mi hai imposto. Esco dalla porta, tanto ormai questa casa è tua e puoi ospitare chi vuoi. Almeno le hai raccontato della tua vita dopo che lei è partita? Lei sa del tuo tentato suicidio, eh? Scommetto che non lo sa. Ma certo... Come potrebbe saperlo?! E' arrivata soltanto pochi minuti fa, ti ha sedotto e tu l'hai accolta tra le tue braccia, cedendo ancor prima di chiarirvi o di parlare di qualsiasi cosa. Ma d'altronde non c'è da stupirsi, è quello che fanno le manipolatrici professioniste, le puttane come lei e...» Adelaide venne interrotta da Castiel che si avvicinò a lei e stringendo il suo braccio la fece alzare dal divano.

Il discorso di Adelaide era partito con calma, inizialmente, ma più le parole uscivano dalla bocca e più fuoriuscivano emozioni come l'odio, la rabbia, la disperazione e la delusione. Era una donna distrutta dagli errori, dai pentimenti. Avrebbe voluto poter cancellare il passato, fermare il tempo e spostare le lancette dell'orologio indietro di qualche anno, per essere forte tanto da coccolare e crescere suo figlio. Le si leggeva negli occhi il senso di colpa per averlo abbandonato. Voleva inoltre che il suo unico figlio non sbagliasse come lei, che non si facesse accecare dall'amore e invece lui continuava a non ascoltare, a non capire. Avrei tanto voluto urlare contro Castiel, scuoterlo e inculcargli in testa i giusti ragionamenti, ma sapevo bene che sarebbe stato tutto inutile.

«Mamma ti ho detto di non rivolgerti a lei in questo modo. Esci fuori. Va via. Vattene!» Castiel urlò contro sua madre mentre ancora teneva stretto il suo braccio. 

Dopo aver pronunciato quelle parole con un tale odio da far rabbrividire spinse sua madre verso la porta mentre lei sembrò essere sotto shock. Una volta giunti sull'uscio di casa si staccò e allontanò da lei e stringendo le mani a pugno continuò a guardarla con odio e rabbia. Debrah, ancora accanto al camino teneva le braccia incrociate sotto al petto e osservava la situazione con un misto tra vittoria e divertimento. 

Ed io a quel punto non ragionai più. Scattai dal divano, come una furia mi diressi davanti Castiel, ancora di fronte a sua madre, e guardandolo dritto negli occhi con una rabbia fuori dal normale gli mollai uno schiaffo in pieno viso. 

Non sapevo cosa sarebbe successo a quel punto, ma non potevo sopportare quella sua mancanza di rispetto nei confronti della madre. Sapevo non spettava a me il compito di rimproverarlo o di aprire i suoi occhi alla realtà, ma essendo presente a quella discussione non potevo starmene con le mani in mano come invece stava facendo la sua attuale fidanzata. Ormai ero convinta che Debrah non lo amasse. Altrimenti non avrebbe permesso quei suoi comportamenti, non lo avrebbe messo contro la sua famiglia. Lei voleva solamente allontanarlo, manipolarlo e voleva qualcosa da lui ancora a me ignara. Ero convinta di questo. 

A vederlo così infuriato, a vederlo così cambiato nel giro di un'ora non avevo più risposto delle mie azioni. Se fossi rimasta un minuto di più in quella casa, in quell'aria così pesante, in presenza di Debrah e del nuovo Castiel, sarei stata in grado di commettere un omicidio. 

Il rosso davanti al mio schiaffo si portò le mani sulla parte colpita e subito dopo mi guardò incredulo. Ancora non avevo finito con lui. 

Mi avvicinai maggiormente alla figura imponente di Castiel e gli urlai contro senza farmi intimidire da lui: «Ma che cazzo combini coglione? Che cazzo ti frulla in quel cervello minuscolo che ti ritrovi, eh? Come diavolo ti permetti a rivolgerti in questo modo ad Adelaide? E' tua mamma, cazzo. Lei vuole solo il tuo bene, svegliati!» toccai con l'indice il suo petto, involontariamente. Poi mi allontanai e spostai lo sguardo verso Debrah, ancora immobile vicino al camino, ma il salotto essendo in un unico ambiente con la porta d'entrata e la cucina, mi permise di vederla ugualmente «E tu manipolatrice del cazzo così lo ami? Così ti sei pentita? Così? Io non conosco tutta la storia, non conosco te e non ho neanche la minima intenzione di conoscerti meglio, ma già mi è bastato oggi per capirti. Non so cosa tu abbia in mente, è quasi impossibile comprendere una pazza, ma stai cercando di metterlo contro tutti, questo è palese, vuoi ferirlo e nello stesso tempo vuoi che lui segua solo te, che stia solo con te. E sei una cretina; qualunque cosa tu abbia in mente spero non riuscirai mai a realizzarla. Sei una persona orribile. Spero che Castiel lo capisca prima o poi. Stavamo tutti così bene senza di te... Non hai mosso neanche un dito per evitare questa lite, anzi sei stata tutto il tempo a ridere e a godere del dolore degli altri. Vergognati stronza!»

Finalmente riuscii a togliere fuori un po' di veleno presente nel mio cuore. Non potevo starmene in silenzio, lo ero già stata per troppo tempo. Io ero fatta così, dovevo parlare, sfogarmi, provare ad aprire gli occhi alla gente dal cervello bacato come quello del rosso. Castiel dopo le mie parole iniziò a guardarmi con disprezzo e rabbia, un po' come aveva fatto fino a poco prima con sua madre, mentre Debrah non si scomodò a rispondere, quelle parole non l'avevano toccata minimamente, si spostò semplicemente dal salotto raggiungendo Castiel e si mise dietro di lui, sorridendo soddisfatta e felice. Che persona orribile!

«Lascia che sia io a scegliere chi può o non può far parte della mia vita, che sia io a giudicare Debrah, a te non deve minimamente interessare. Tu non sei nessuno per giudicare. Anzi spero che tu possa conoscere Debrah per quello che è realmente, potreste diventare anche amiche, magari, mi farebbe piacere. Ah e a proposito, colgo l'occasione per chiarirti un paio di cose. Non t'illudere che tra noi possa nascere qualcosa, aldilà dell'amicizia, un giorno. Quei baci, quelle parole e tutto il resto erano dati e dette solo in amicizia o con l'intenzione di portarti a letto. Lo so, non sono cose carine da dire forse... Ma credo sia meglio la sincerità. Tu non eri, non sei e non sarai mai diversa dalle altre. Sei stata una buona amica, questo sì. Nulla di più»

Non aveva dato peso alle parole, aveva concluso con il ferire anche me; non bastava Adelaide. Quelle parole mi fecero male al cuore, all'anima, molto male. Avevo sempre sospettato che il suo interesse nei miei confronti si limitasse solo al sesso, al brivido della conquista di una ragazza non troppo facile come dava a vedere. Eppure da vicino faceva più male. Sebbene sapessi e percepissi ogni cosa già da tempo, detta palesemente e davanti a terze persone faceva più male. A volte le parole potevano ferire più di una reale coltellata, di uno schiaffo, di pugni. Perché in quel momento sembrava che Castiel mi avesse sparata, picchiata ed accoltellata contemporaneamente. Il cuore faceva male, la carne, gli occhi, ogni parte del mio corpo era indolenzita. Volevo scappare, sotterrarmi, cancellare quel ragazzo dalla mia testa. 

Ma perlomeno non mi sarei più illusa, da quel giorno in poi non avrei avuto più dubbi. La verità mi era stata sbattuta in faccia definitivamente. Non c'erano dubbi ai messaggi risposti, ai gesti compiuti. Ero stata illusa, derisa dal ragazzo che un'ora prima mi aveva accarezzata, che mi aveva fatto volare anche se con una semplice frase. Mi aveva mentito per tutto il tempo, per tutti quei mesi. 

Dopo aver assorbito temporaneamente il colpo riuscii ad utilizzare le ultime forze per rispondergli e chiudere ogni cosa esistente fino a quel momento tra noi: «Mi dispiace deludere le tue aspettative, ma io e lei non potremo mai essere amiche, neanche in un'altra vita. Poi tra me e te non c'è mai stato niente di così importante, l'ho sempre saputo e non mi sono mai illusa. Non so da dove tu abbia pensato che io potessi provare qualcosa per te, ma le mie intenzioni erano identiche alle tue.» riuscii persino a strizzare l'occhio e fare l'occhiolino «Castiel non credere di essere al centro del mondo, sul serio scendi dal piedistallo, tu sei l'ultima persona che potrebbe piacermi. E poi se proprio ci tieni a saperlo c'è già chi mi piace e non sei di certo tu. A me piace Nathaniel, solo per lui potrei provare qualcosa di diverso, qualcosa di speciale. Ma ora non starò qui a dire queste cose a te perché tu non sei niente per me. E poi sai che ti dico?! Fin quando starai con questa qui io non ti rivolgerò mai più la parola, non mi piace la persona che diventi quando sei con lei. Vedervi insieme mi fa schifo, quello che le hai detto mi fa schifo. Tu mi fai schifo. Ti fai tanto il forte e poi non sei stato neanche in grado di dimenticarti di una così... Ma non la vedi che è bastato soltanto un giorno per farti litigare con tutte le persone più importanti della tua vita? Davvero.. non ti capirò mai!» sbuffai e poi sospirai finendo finalmente di pronunciare quelle menzogne.

«E chi sarebbero queste persone? Sentiamo... Tu saresti una delle persone più importanti della mia vita? Ma non farmi ridere Miki» e rise, anche se nervosamente, ma rise.

Dopo quelle parole le lacrime uscirono senza avvertirmi. Il mio cuore, la mia anima erano contro la mia testa. Piangere era l'ultima cosa che avrei dovuto fare in quel momento. Non avrei dovuto davanti a lui, non davanti alla sua nuova ragazza. Ero riuscita a mentire così bene fino a quel momento... E invece il mio cuore aveva dovuto tradirmi proprio quando avrebbe dovuto fare l'ultimo sforzo. Ero persino riuscita a dire di provare sentimenti veri per Nathaniel, che Castiel non fosse niente e nessuno per me, quando la realtà delle cose era un'altra. Castiel era dal primo giorno al centro del mio mondo. L'avevo difeso, aiutato, avevo provato per lui sentimenti ed emozioni contrastanti, ma in ogni situazione lui e solo lui persisteva nella mia mente e nel mio cuore. Ma quella verità non importava, non più. Avevo sputato quelle menzogne a fin di bene, per bene mio e di tutti. 

Prima di scappare a gambe levate nel buio, prima di liberarmi nel pianto totalmente, aspettai una sua risposta, un suo gesto, volevo e speravo dimostrasse di essere dispiaciuto. Mi aggrappai all'ultimo briciolo di speranza, ma ancora una volta e per l'ultima volta sbagliai.

«Comunque perfetto! Chiudiamo anche quel briciolo di amicizia che c'è stato tra noi finora, se è quello che preferisci. A me non importa. Addio Miki!»

E il gesto arrivò, abbastanza diverso dalle parole sputate. Gli occhi di Castiel diventarono leggermente lucidi, il volto gli si scurì. Ma arrivati a quel punto pensai fosse semplicemente una mia illusione ciò che riuscivo a leggere nel suo sguardo. I suoi occhi mi avevano mentito fino a quel giorno? A giudicare dalle sue cattiverie gettatomi addosso sì. In ogni caso era troppo tardi per rimuginarci sopra. Lui voleva lei, i sentimenti per lei erano di gran lunga superiori a quelli provati per me -se di sentimenti si poteva parlare- e visto che Debrah e Miki non potevano coesistere all'interno di uno stesso gruppo, all'interno della stessa stanza, io mi sarei fatta semplicemente da parte. Non ci saremmo parlati più. Proprio il giorno di Natale suggellammo quel patto. Un Natale da dimenticare, un Natale che finalmente stava per giungere alla sua fine.

Guardai un'ultima volta gli occhi di Castiel per imprimere il suo ricordo dentro la pelle. Dopotutto non avrei mai voluto dimenticare quel ragazzo. Seppure volessi in un primo momento, presa dalla rabbia, non avrei mai potuto dimenticarlo. Lui era stato il mio primo bacio e nonostante tutto sarebbe rimasto lui. 

E senza guardare nessun altro uscii dalla porta di quella casa e dalla vita di Castiel Black. 

Fuori pioveva, ma poco importava, dentro di me era iniziato il temporale già da un po'. Senza curarmi della pioggia mi fermai al centro del giardino per l'ultima volta, non sarei mai più tornata in quella casa. 

Dopo neanche un minuto già le mie lacrime si confondevano con la pioggia. Pioveva forte, un po' come nel mio cuore. Mi sentivo sconfitta, sola e abbandonata. Castiel era l'unico ad essermi rimasto realmente vicino per tutto quel tempo. Avevamo litigato, ci eravamo allontanati per un periodo ma poi era pur sempre ritornato da me, quella volta non sarebbe accaduto. 

«Vieni Miki, ti accompagno a casa. Lascia perdere Castiel, capirà da solo di aver sbagliato.» 

La voce di Adelaide aveva cambiato tono, si era rassegnata. Beata lei. Ma non volevo tornare a casa. Volevo stare sola. Le feci cenno di diniego con la testa e togliendomi quei tacchi fastidiosi dai piedi, cominciai a correre scalza sotto la pioggia senza alcuna destinazione.

L'acqua cadeva sul mio capo, sul mio pigiama, ero fradicia, ma non me ne curai. Intanto la pioggia aumentava e insieme a lei, il mio pianto.

 



CASTIEL

Il mio amore era tornato, era tra le mie braccia proprio in quel momento. 

Eppure non ero felice come immaginavo, come volevo. Sentivo che c'era qualcosa di sbagliato in me, in noi. Mi ero già pentito di tutte le cattiverie lasciate dalla mia bocca. Micaela senza conoscere Debrah aveva colto in pieno il problema. Debrah mi allontanava dalle persone più importanti, dalla gente e dal mondo in generale, l'aveva sempre fatto e sapevo non fosse giusto, ma non riuscivo a controllarmi, a gestirmi. Nonostante conoscessi la verità continuavo a stare con lei, non riuscivo ad allontanarla. Non sapevo cosa mi accadeva in sua presenza. 

Riavere tutta per me Debrah era stato il desiderio espresso ogni Natale, ad ogni mezzanotte da quando se n'era andata. Eppure riaverla non era stato emozionante. Non ancora. Ero turbato, distratto da altro.

«Allora hai trovato qualcuna più brava di me a letto? Non credo; ed anche se a quella... ehm, come si chiama?! Miki?! Comunque, anche se non te la sei scopata non credo sarebbe migliore di me, insomma l'hai vista? Non ha nulla da darti ora che puoi avere me!» Debrah venne verso di me con fare seducente. 

Voleva già darsi da fare. Avevamo tante cose da chiarire e lei voleva scopare. Pensava solo a quello. Mi stava dando fastidio. Non doveva permettersi a parlare male della mia Miki. 

"Mia? Miki, mia? Ma che diavolo mi sta prendendo? Cazzo! Non dovrei neanche pensarla"

«Sta' zitta!» le urlai semplicemente trucidandola con lo sguardo. 

Nonostante avessi messo da parte tutti per darle un'altra possibilità, in quel momento non avevo tanto voglia di averla tra i piedi. Mi stava antipatica, prima di giudicare gli altri avrebbe dovuto guardare dentro se stessa e invece non lo faceva. Non era dispiaciuta per quella situazione, non aveva neanche provato a giustificarsi per gli sbagli passati e non si era scomodata a spiegarmi i motivi del suo ritorno. Finsi di dover andare in bagno, feci accomodare Debrah in salotto e mi recai nella mia stanza. La voce di Debrah era irritante, la sua presenza insopportabile. Avevo bisogno di stare solo.

L'addio di Miki mi aveva spiazzato, era questa la verità. Le avevo rivelato i miei reali sentimenti, eppure non facevo altro che pensarla, che desiderarla anche in quel momento. Miki aveva il potere di calmarmi, colmarmi, lei e solo lei. Ma avevo rovinato tutto, persino la nostra amicizia. Lei aveva da sempre avuto quello strano potere su di me. Nei momenti difficili, nei momenti tristi, nei momenti di rabbia pura, bastava ammirare i suoi occhi, il suo volto ingenuo ed angelico per stare meglio. 

Così senza pensarci troppo, presi il cellulare dal comodino e cercai una sua foto.

La trovai. Miki...

Eravamo a scuola, quella foto l'avevo scattata in un'ora di supplenza, senza farmene accorgere da lei. Anche se le si vedeva solo il busto ricordavo perfettamente cosa aveva addosso. Aveva una minigonna a quadri dove le s'intravedevano delle gambe favolose, un top rosa e nero aderente dal quale le si potevano inquadrare bene le sue forme. I capelli ondulati di quel colore ramato particolare. E poi gli occhi... I suoi occhi che lei odiava ma che per me erano perfetti, bellissimi, in netto contrasto coi suoi capelli chiari. Nonostante il nero, colore banale per un paio di occhi su di lei erano bellissimi. Dentro quegli occhi mi ci sarei potuto perdere, erano profondi ed esprimevano tutto ciò che a voce non riusciva a pronunciare. Proprio come pochi minuti prima. Mi aveva detto e sputato in faccia di non essere niente per lei, eppure i suoi occhi mi avevano espresso altro. Era così ferita tanto da piangere senza volerlo, senza accorgersene. Era stato straziante vederla soffrire a causa mia. Ero stato uno stronzo, non dovevo permettermi di spiattellarle le verità in faccia in quel modo. 

Restai a guardare quella foto immobile. Mi fece sorridere, ancora una volta. Era normale ciò che provavo?

Non avrei dovuto, forse, nutrire quell'emozioni per lei. Miki era un'amica, nient'altro. Mi faceva sorridere da amica, mi rasserenava da amica. Nient'altro. Cercai di convincere me stesso di quell'evidenza, mentre il cellulare vibrò tra le mie mani segnandomi l'arrivo di un messaggio. 

Era mia madre.

"Miki è fuggita da sola sotto la pioggia. Di sicuro tu saprai dove trovarla, la conosci meglio di me sicuramente. Corri da lei, consideralo un ringraziamento speciale per tutto ciò che di bello ha fatto per te. Con Debrah ci starai un altro giorno se proprio dovrai. Per favore almeno ora ascoltami.. và da Miki!"

 




MIKI

Castiel mi aveva ferita, un'altra volta. Non era la prima volta che capitava, ma quel giorno le aveva superate tutte. Aveva toccato il fondo ed io non l'avrei perdonato; probabilmente neanche voleva essere scusato. Ormai aveva Debrah, Miki sarebbe stata solamente un ricordo, anzi qualcuno da deridere. Li immaginai avvinghiati a recuperare il tempo perso nello stesso momento in cui io mi trovavo da sola, a correre sotto la pioggia. Strano ed ingiusto il mondo; a chi donava molto, a chi toglieva tutto. 

Ero scalza con i tacchi tra le mani; sotto i piedi a volte sentivo dei sassolini pungermi ma non m'importava. Ero immune al dolore.

La pioggia scendeva copiosa ed inesorabile, insieme a questa le mie lacrime s'intensificavano. Per non pensare a fatti che mi avrebbero lesionata ancor di più, scollegai la mente e mi feci guidare solamente dal corpo in un viaggio senza ritorno. 

Senza volerlo realmente mi ritrovai davanti alla gelateria dove Castiel mi aveva portata dopo la punizione, il primo giorno di scuola. 

Inizialmente ed inconsciamente pensavo mi avesse portata lì per essere carino, per farmi integrare, per non farmi sentire fuori posto, dopotutto lui era l'unico che conoscevo maggiormente. Il nostro primo incontro, quello sull'aereo non era stato dei migliori, vero, ma avevo lo stesso maggiore confidenza con lui rispetto che con gli altri compagni di classe. A distanza di tre mesi avevo scoperto, invece, che avesse giocato ogni carta solamente con l'intenzione di portarmi a letto. Crudele la vita. 

Mi fermai proprio di fronte la porta del locale, ora chiusa, e stringendo gli occhi rivissi quel giorno. Avevamo scelto lo stesso gusto di gelato, avevamo dialogato per la prima volta pacificamente senza però farci mancare le nostre solite frecciatine. Era stato bello quel pomeriggio passato in sua compagnia.

Ripensando a quei momenti, fu come riviverli. Cominciai a scappare con la testa bassa; avevo ribadito di dover pensare ad altro ma inevitabilmente avevo finito col rimuginare su di lui. Senza avvertirmi, poi, la mente volò al giorno che più mi era rimasto impresso. Quel giorno lo avrei ricordato come uno dei più importanti della mia adolescenza. Il mio primo bacio col ragazzo più stronzo, più scorbutico e più sbagliato di tutti. Ricordavo le parole di Castiel prima del bacio, purtroppo le ricordavo a memoria.

Iniziai a pronunciare ad alta voce la frase che lui mi aveva rivolto nel momento anteriore al bacio «Dove scappi? Adesso che...» ma qualcuno m'interruppe prima di poterla finire.

«Adesso che sei qui, tutta per me, non ti lascio andare da nessuna parte».

Bloccai la fuga. Era Castiel. Era la sua voce, l'avrei riconosciuta anche tra altre mille simili. La sua voce era inconfondibile. La voce scorbutica che poco prima mi aveva bloccato il respiro, la voce che da sempre -dal mio arrivo a Parigi- mi aveva fatto battere il cuore. Era lui, non avevo dubbi. Ma sembrava impossibile che potesse essere lì, non avrebbe potuto trovarmi, non avrebbe potuto ricordare anche lui ciò che mi aveva detto mesi prima. Era impossibile per uno come lui, per uno che voleva solamente divertirsi con me. 

L'acqua doveva essermi entrata in testa tanto da rendermi matta, avevo immaginato la sua voce senza che lui fosse lì realmente.

Alzai la testa con l'intenzione di cercarlo, ma davanti a me non c'era nessuno. Neanche l'ombra di una persona. Diluviava, solamente dei pazzi avrebbero passeggiato a piedi con quel tempo, la sera di Natale per giunta. Tanti brividi percorsero le mie braccia e non per il freddo. Avevo udito chiaramente il suono della sua voce calda, non potevo essermi immaginata tutto. 

Appena cercai di voltarmi, per capire se ci fosse qualcuno alle mie spalle, venni coperta da un giubbotto di pelle nera. Conoscevo bene quel capo, era inconfondibile. Il proprietario non usciva mai senza. Era lui, Castiel era lì proprio alle mie spalle, proprio accanto a me, sotto la pioggia. Non potevo credere alla realtà. Era impossibile. 

«Sapevo di trovarti qui» sussurrò poggiando le mani sulle mie spalle. 

Lui era dietro di me, non potevo vedere il suo volto e fu meglio così per la mia salute mentale.

«Che emozione! Ora sei anche un mago» lo derisi con tono infastidito. Non potevo mostrare le mie reali emozioni, mi avrebbe distrutta altrimenti. Dovevo rialzare la mia corazza, dovevo tornare ad essere come ai primi mesi. 

Ero ancora molto delusa e ferita da lui, non sarei di certo caduta tra le sue braccia nonostante apprezzai il fatto che mi avesse inseguita. Non sapevo neanche per quale motivo, tra l'altro.

«No, semplicemente ti conosco.» 

«Giusto! Il cercare di conoscermi meglio faceva parte del tuo piano per portarmi a letto. Cos'è hai stilato una lista delle cose che avrebbero impressionato Micaela Rossi?!» il cercare di essere pungente e l'andare alla ricerca delle battute adatte avevano calmato il mio pianto facendomi risultare ai suoi occhi, al contrario, fredda.

Era snervante parlargli senza poterlo guardare in viso, avrei dato tanto pur di scoprire l'effetto che le mie parole avevano sui suoi occhi. Quelli mi facevano capire sempre tutto, o quasi. 

«Smettila con queste battute poco divertenti e vieni con me. Ti accompagno a casa!» 

Ma chi si credeva di essere? Non poteva inseguirmi e pretendere di voler ricominciare tutto da capo. Avevamo preso una decisione entrambi, non dovevamo rivolgerci la parola. Era finito tutto.

«Come facevi a ricordarti le parole esatte che mi hai detto quel giorno?» Non risposi al suo comando, anzi al contrario cambiai totalmente argomento senza muovermi di un millimetro. Non l'avrei seguito. Non c'era bisogno di specificare ulteriormente la mia domanda, aveva capito a cosa mi stessi riferendo.

«Non sono poi così tanto rimbambito, evidentemente. Le cose che dico le ricordo» ghignò. 

Grazie a quelle battute riconobbi nuovamente Castiel, il solito ragazzo dai capelli rossi perennemente imbronciato e dalle battute taglienti. Quando era lontano da Debrah ragionava normalmente, in poche ore avevo potuto captare la differenza.

«Oh bene. Allora ricorderai anche ciò che ci siamo detti poco fa a casa tua. Non siamo più niente, neanche conoscenti. Non dovremmo più rivolgerci la parola» lentamente le mie autodifese stavano cedendo, stavo facendo la preziosa senza crederci a pieno. Ma non potevo permettermi di cedere, non quella volta. 

«Ma dai... Non abbiamo mica firmato un contratto, le cose possono cambiare. E poi ho esagerato con le parole, questo è vero. Se vieni con me in un posto all'asciutto, ti spiego meglio.» 

Non aveva ancora imparato la lezione. Pensava lo avessi perdonato con uno schiocco di dita, pensava che io non avessi un cuore, ma si sbagliava di grosso. 

Mi girai verso di lui, guardai per un attimo il suo volto totalmente bagnato, i suoi capelli rossi gocciolavano e sembravano essere più lunghi e più scuri a causa dell'acqua. Sussultò per quel mio gesto improvviso, ma continuai ad ignorarlo e gli puntai il dito contro iniziando a parlare ad alta voce, nuovamente nervosa «No! Io non vado proprio da nessuna parte con te. Non sono mica una marionetta. L'hai detto tu stesso di avermi usata solo con l'intenzione di portarmi a letto, hai detto anche tante altre cose e mi dispiace avvertirti che non è più possibile riavvolgere il nastro. Ormai ciò che è stato detto, è stato detto. Ora hai Debrah, quindi va da lei. Hai lei e hai tutto. Io torno a casa. Addio Castiel!»

Senza alzare lo sguardo verso i suoi occhi buttai il giubbotto sul marciapiede, mi voltai nuovamente e m'incamminai verso casa mia senza voltarmi indietro. Ero stanca di essere sempre buona con lui. Meritava quel trattamento per tutte le volte in cui lui me ne aveva riservato uno peggiore. 

Ma feci solamente qualche passo prima di sentirmi afferrare per un braccio saldamente, anche se senza farmi male. Non avevo bisogno di voltarmi per capire chi fosse, ormai conoscevo anche il suo tocco.

«Fermati, cazzo Miki. Devo fare una cosa prima che finisca tutto...» parlò affannosamente. Aveva corso per raggiungermi. Era pazzo quasi più di me ad inseguirmi sotto la pioggia senza neanche un ombrello, sicuramente anche lui avrebbe preso l'influenza. 

Mollò il braccio per poi far cadere le mani sui miei fianchi. A quel contatto rabbrividii. Decisi di non spostarmi momentaneamente per capire dove sarebbe arrivato. Inoltre quel contatto era terribilmente piacevole. Lasciando le mani sui miei fianchi mi voltò nella sua direzione e si avvicinò pian piano al mio corpo. Dopo neanche cinque secondi eravamo praticamente attaccati l'uno all'altra. Cominciò a guardarmi dritto negli occhi, i suoi erano chiari in quel momento, quasi tendenti all'azzurro in netta contrapposizione al cielo cupo. Poi avvicinandosi all'orecchio sinistro sussurrò: «Punto primo: non puoi dire che i tuoi occhi sono brutti perché altrimenti non mi ci perderei dentro ogni volta che li guardo» si riferì ad ogni volta in cui avevo affermato di odiare il colore dei miei occhi. Lui si ricordava anche di quello.

Fu bellissimo sentire il suo fiato sul mio collo. Ad ogni parola mi riscaldava il corpo, il cuore e l'anima. Mi ricomponeva. A quel contatto così intenso chiusi istintivamente gli occhi. Sapevo di star sbagliando, non dovevo cedere, ma il modo in cui mi fece sentire era troppo speciale per restarne inerme.

Dal collo passò alle labbra. Me le sentii solleticare a causa del suo fiato; a quattro millimetri di distanza mi sussurrò ancora: «Punto secondo: sai trovare una spiegazione al perché solo quando sono con te sorrido?»

A quel punto ingoiai un grosso groppo di saliva formatosi per l'agitazione. Erano così intense le sensazioni che mi trasmetteva... Ma anche se quelle parole mi stavano ammaliando, non riuscivo a capire per quale motivo le stesse dicendo neanche un'ora dopo avermene dette altre orribili e opposte a quelle. L'unica risposta che riuscii a darmi fu che si sentisse in colpa e in quel momento stava cercando di alleggerire il colpo utilizzando altre menzogne per non farmi restare troppo male. Ma io dovevo essere cattiva almeno la metà di quanto lui lo era stato con me. Non dovevo dargliela vinta.

Ma non mi lasciò neanche il tempo di reagire o di oppormi che senza capirlo mi ritrovai bocca a bocca con lui. Posò le labbra delicatamente sulle mie. Cercò di schiudere la bocca leccando il labbro inferiore, ma io non glielo permisi. 

Anche se il mio cuore e il mio corpo desideravano avere di più, mi allontanai da quel contatto pericoloso. 

Giunti a quel punto non potevo far altro che cercare di ferirlo nell'orgoglio. Uno come lui non veniva rifiutato quasi mai, ma quella volta invece accadde e fui io a farlo. Mi sentii vittoriosa anche se delusa e distrutta dentro. Sperai di averlo ferito anche se minimamente.

Ad una distanza di sicurezza rassicurante uscii di scena con la mia battuta finale, sperando di schiarirgli le idee: «Non sono la tua bambola. Io non ero, non sono e dovrò continuare a non essere niente per te. Ora hai Debrah, va' a baciare o a divertirti con lei. Lasciami in pace, Castiel!»

Non gli permisi di rispondere, non lo feci fiatare. Lo lasciai lì sul marciapiede sotto l'acqua senza curarmi di ciò che avrebbe risposto, e m'incamminai nuovamente verso casa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** CAPITOLO 15: Mille rose che cambiano la vita ***


Image and video hosting by TinyPic

Prima d'inserire il capitolo questa volta volevo richiamare la vostra attenzione con questo splendido disegno che avete appena ammirato. La mia unica lettrice fedele (che recensisce ogni capitolo) e che è bravissima a disegnare... è rimasta colpita da questa scena e ne ha fatto il relativo disegno. È una scena che ho “sentito” particolarmente anche io e sono contenta che lei è riuscita a renderla ancor più emozionante. Una Castelniana com'è anche lei, non poteva non creare un qualcosa collegata a Castiel, e questo mi ha reso ancora più su di giri xD E poi, ecco.. questa è Miki, come l'immagino io. Beh.. è in un momento di rabbia, ma credo ne possiate vedere le sue caratteristiche.. spero che tutti voi l'avevate immaginata così. Direi che questa volta, il disegno e l'autrice, si meritino anche solo un “brava” da almeno qualcuno di voi, ma visto e considerato di quanto “voi lettori silenti” siete pigri, sono sicura che come sempre, a fine capitolo, mi ritroverò le solite due recensioni (ringrazio le coraggiose :*)

E ora vorrei passare alla favolosa ragazza che ha creato questo capolavoro, credo se lo meriti più di tutti. RandomWriter è una scrittrice e disegnatrice bravissima, anzi se non l'avete già fatto invito tutti voi a leggere la sua fan fiction sempre ambientata in DF, dal titolo “in her shoes”, così mi darete anche voi ragione... Ora parlo rivolgendomi direttamente a te, così mi viene più facile, E. beh... ci siamo conosciute già da qualche mese, la tua storia ci ha fatto conoscere. Di te mi ha sempre colpito il tuo modo di scrivere e mi hanno sempre fatto impazzire i tuoi disegni, e soprattutto ora che ne hai fatto uno per la mia storia. Quello che hai fatto per la mia storia, Mi lusinga parecchio, già in MP ti ho ringraziato forse dieci volte xD, ma ora ci tenevo a farlo in pubblico, ti meriti tutto il bene del mondo e ti auguro di restare sempre così come sei, che oggi è davvero difficile trovare persone disponibili, brave e buone proprio come te... GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE... Oltre questo non so cosa dire, perché non ci sono parole per descrivere quanto mi hai fatta felice facendomi quel disegno. Ti ringrazio anche per avermi sollevata dai miei dispiaceri e voglio inoltre che tutti sappiano che io per te ci sarò sempre, se un giorno avrai bisogno d'aiuto volerò come una farfalla da te e farò il possibile per aiutarti. :*

OK...Ho finito con la dose di miele, ma prima di lasciarvi leggere in pace: VOLEVO ACCENNARE CHE NEL CORSO DEL CAPITOLO SI FARÀ RIFERIMENTO A Paco Rabanne, NOTO STILISTA FRANCESE. I FATTI E GLI AVVENIMENTI CHE RACCONTERÒ SU DI LUI, SONO FRUTTO DELL'IMMAGINAZIONE E DELLA MIA LIBERA ISPIRAZIONE. DI REALE C'è SOLO IL NOME E QUALCHE ACCENNO SULLA SUA VITA. Vi dico questo per tutelarmi, non voglio che si pensino cattiverie o si facciano Spam, violazioni e via dicendo. Se non posso farlo avvertitemi che cambierò il nome dello stilista e me ne inventerò uno a caso.

Ora ho finito davvero.. VI LASCIO LEGGERE IL CAPITOLO. BUONA LETTURA!

 

Capitolo 15

Mille rose che cambiano la vita







Erano passati cinque giorni. Cinque giorni dall'ultima volta che i miei occhi avevano incontrato quelli di Castiel; cinque giorni da quando lui era tornato insieme alla sua ex ragazza; cinque giorni da quando in quella stanza, nella sua stanza, avevo intravisto qualcosa cambiare nel suo sguardo; cinque giorni dal mio addio a Castiel. Era stato duro nei miei confronti, mi aveva palesemente confidato di avermi abbindolata mesi prima solo con l'intenzione di portarmi a letto. Mi aveva ammesso di essere una sua semplice amica, ed io lo sapevo ancor prima di sentirlo uscire dalla sua bocca. Eppure mi aveva ferita e da stupida qual ero dopo cinque giorni ero ancora lì a piangere sul latte versato, e mi mancava. Tremendamente. Non osai immaginare cosa sarebbe accaduto dopo averlo incontrato di nuovo. Ma non potevo cedere, dovevo convincermi e tornare al principio quando di lui non m'importava niente. Lui ormai aveva la sua Debrah. Non m'interrogai neanche sul motivo per il quale mi aveva seguita sotto la pioggia, dopo il nostro addio, non ne valeva la pena illudersi ancora.

In realtà non sapevo come sarebbero andate le cose nei giorni a seguire ma di un fatto ero certa: in quel momento non volevo avere niente a che fare con il mondo maschile. Non avevo risposto al messaggio di Ciak, non lo meritava, avevo evitato come la peste anche Nathaniel. Volevo stare sola com'era sempre stato. L'unica persona che mi faceva piacere sentire era una donna, Rosalya, diventata la mia più cara amica a Parigi. Le avevo accennato tutto il trambusto accaduto e neanche lei era contenta di sapere del ritorno di Debrah. Avevo l'impressione che sapesse cosa fosse accaduto di così grave qualche anno prima, ma neanche lei aveva l'intenzione di rivelarmelo. Grazie a lei però avevo capito che in tutta quella storia c'entrasse anche Nathaniel. Non riuscivo a capacitarmi del perché tutti continuassero a volermi tenere nascosto quel litigio, quel passato. 

«Cosa farai domani? Sarà la vigilia di Capodanno, non esci con i tuoi amici?» interruppe i miei pensieri zia Kate, ma non la degnai di risposta.

Dopo l'episodio del pranzo di Natale, zia Kate, aveva cercato in tutti i modi di risanare il nostro rapporto. Dal mio arrivo a Parigi era tutto cambiato, la convivenza al contrario di quanto lei aveva sostenuto inizialmente, ci aveva solamente allontanate. Non tolleravo troppe cose di lei e quel pranzo insieme ai genitori di Castiel non era stato altro che la ciliegina sulla torta. Si era comportata da immatura, mi ero persino vergognata di lei, per non parlare del giorno prima quando l'avevo addirittura trovata insieme a quell'uomo sul tappeto del nostro salotto. Non ne combinava una giusta, ultimamente. Ma stavo apprezzando il suo costante darmi attenzioni, quel suo essere premurosa nei miei confronti per poter recuperare qualcosa. Qualcosa che io al momento non volevo assolutamente. Volevo stare sola, lontana anche da lei. Sapevo bene di starle dando sofferenza per quel mio menefreghismo nei suoi confronti ma, come tutti gli altri avevano fatto con me, anch'io volevo fregarmene altamente dei sentimenti ed emozioni di chi mi stava vicino. Avevo dato tanto a persone che non lo meritavano, a persone che poi non ci avevano pensato due volte a prendersi gioco di me, ad illudermi. Tutti avevano la consapevolezza che li avrei perdonati a prescindere e subito, ma i giochi erano cambiati. Ero stanca di correre dietro a chi non lo meritava, ad accettare le scuse da chi mi avrebbe nuovamente ferito. Purtroppo quei miei pensieri non erano riferiti solamente a zia Kate, ma anche a Nathaniel che si era rivelato un bugiardo come tutti gli altri, era riferito a Castiel ovviamente; lui non mancava mai nelle consapevolezze negative. 

I miei pensieri erano riferiti in parte anche a Ciak, ma era leggermente diverso. Non avevo risposto a quel messaggio di cinque giorni prima sebbene avessi tanto voluto chiedergli spiegazioni. Lo conoscevo da dieci anni, ormai, e sapevo quanto buono fosse, quanto rispettasse le donne, non era tipo da mandare quel genere di messaggio. Quindi ero giunta alla conclusione che l'avesse mandato solamente per ferirmi, toccando il mio punto debole. Ciak era bello, da togliere il fiato, ma non era il classico bad boy che si divertiva a spezzare i cuori delle ragazze. Amava le avventure di una notte, ma lo metteva in chiaro con ogni ragazza prima di fare qualsiasi cosa. Le rispettava, le venerava, era dolce e mai volgare. Era il ragazzo perfetto, ma non il mio. Quanto avrei voluto tornare indietro di qualche mese e poter chiarire con lui... Eppure non era possibile, ero convinta che nulla sarebbe tornato come prima, lui era innamorato di me. Ancora stentavo a crederci. Come poteva una persona innamorarsi della sottoscritta? Come aveva potuto proprio lui?

Dovevo ritornare ad essere passiva ai sentimenti come mi ero promessa. Stavo impazzendo dietro a tutti quei dilemmi. 

Dopo quei brutti comportamenti di zia Kate, dal giorno di Natale, avevo deciso di pranzare e cenare da sola, senza aspettarla, come se fossimo due estranee. Era brutto lo sapevo, eppure era l'unico modo per non sorbirmi le sue continue scuse e lamentele. Ma quel trenta Dicembre la separazione non servì molto. Aveva già terminato il suo pranzo ma era rimasta ugualmente in cucina, posizionandosi dalla parte opposta del tavolo in cui ero seduta io. Era alzata continuava a fissarmi e a parlarmi, era inquietante. Ovviamente non stavo ascoltando neanche una delle sue tante ed inutili frasi, ero concentrata a guardare la zuppa calda che stavo mangiando mentre pensavo ad altro. Persino una zuppa era più interessante dei discorsi della zia. Ma ad un certo qualcos'altro attirò la mia attenzione. Un qualcosa di liscio e appuntito, tagliente, colpì la mia fronte per poi cadere dritto nel piatto contenente la mia zuppa. 

Era una carta di credito. La presi, cercai di asciugarla e pulirla con un fazzoletto per poi alzare il volto corrucciato verso zia Kate. Aveva le mani poggiate sul tavolo, infuriata.

«Ma dove siamo arrivati?!? Devo lanciarti oggetti per attirare la tua attenzione? Cosa ho fatto di male, Miki? Parliamone ti prego, ma non ignorarmi» inizialmente urlò, poi via via si calmò divenendo quasi supplichevole nei miei confronti pur di convincermi a parlarle. L'accontentai. 

«Ed hai persino la faccia tosta di chiedermelo? Ti ho beccata a scopare col padre di un mio amico» trasalii nel pronunciare quell'ultima parola, perché quella persona non era proprio un mio amico «Hai rovinato la sua famiglia, sei stata tu la causa del divorzio dei suoi genitori, e mi hai tenuto nascosta questa storia patetica per ben due anni. In più hai fatto una pessima figura davanti lui e tutti gli altri presenti durante il pranzo di Natale. I-io mi vergogno di te, è questa la verità. Sei l'unica famiglia che io abbia mai avuto, l'unico esempio per me, ma è bastato vivere con te per qualche mese per capire quanto stupida io sia stata a crederti una persona leale e senza difetti. Volevo essere come te, da grande.. Magari diventare anch'io un avvocato importante, ma sinceramente ora non so più cosa è giusto e cosa invece no, non so se ne vale la pena avere come modello da imitare te» ero stata dura con le parole, senza filtri, ma avevo bisogno di mettere in chiaro cosa di lei mi aveva provocato del male. Quel suo nuovo lato mi aveva spiazzata nell'ultimo mese, non pensavo potesse diventare quasi stupida una volta essersi innamorata. Era adulta ma in determinate situazioni ritornava ad essere un adolescente davanti alla sua prima cotta. 

Zia Kate davanti quel mio discorso sgranò gli occhi. Non si aspettava questa sincerità da parte mia. Lessi anche delusione e leggera vergogna per la verità mostratele, mi dispiacque ma era quello che mi aveva dimostrato. 

Prima di replicare sospirò e chiuse gli occhi «So di essere stata esagerata a volte ed in alcune occasioni, per questo motivo ti chiedo scusa. Ma prova a capirmi anche tu... Questa è la prima volta che m'innamoro seriamente. Lo sai, non ho mai dato retta al mondo maschile, tutti gli uomini davanti ai miei occhi risultavano essere degli approfittatori, dei farabutti, e ciò fin quando non ho conosciuto lui. Isaac è capitato, non era previsto; mi ha stregata e da quel benedetto giorno non faccio altro che pensare a lui. Mi batte il cuore all'impazzata anche solo nel pronunciare il suo nome, o quando lo penso. Quindi se devo essere considerata un'adolescente con gli ormoni impazziti solamente per essermi innamorata, beh, preferisco di gran lunga questo piuttosto che continuare con la mia vita noiosa e priva di colori. Perché lui mi fa vivere. Non ho fatto nulla di male, il rapporto tra Isaac e Adelaide aveva già delle crepe, non posso affibbiarmi colpe che non ho. Isaac non amava più Adelaide, è questa la realtà e dovreste iniziare ad accettarla anche voi; tu, Castiel, Adelaide. Mi dispiace di averti delusa, Miki, ma nessuno è perfetto ed io voglio continuare a vivere nella mia imperfezione se questa contiene una vita accanto ad Isaac!» il suo discorso era limpido e pulito, non faceva una piega apparentemente, ma spalancai la bocca ugualmente per la sorpresa di quelle frasi. Zia Kate era proprio cotta.

Ed io non mi sarei mai innamorata. L'amore portava all'offuscamento totale della vita vera, perdita del contatto con la realtà, io non sarei mai stata pronta a perdere me stessa. 

«Comunque quella» indicò la carta di credito sul tavolo «è intestata alla sottoscritta, ma ho deciso di regalarla a te. Fanne buon uso, la lista movimenti sarà sempre disponibile per controllarti quindi attenta. Vorrei che tu uscissi oggi pomeriggio per una seduta frenetica di shopping, ti fa sempre bene quello. E poi so per certo che è stato inaugurato da pochi giorni un negozio Guess poco distante da qui»

«Non ho molta voglia di uscire in r-» fui bloccata dalla voce insistente di zia Kate.

«Fallo per me, dai, ti prego» continuò così per cinque minuti buoni, ed alla fine acconsentii pur di far smettere le sue suppliche.

Nonostante non avessi nessuna voglia di uscire, accontentai zia Kate, le mie orecchie non ne potevano più di sentirla urlare. Pensavo che avrebbe reagito male dinanzi alle mie dichiarazioni forti di qualche minuto prima, ma invece dopo essersi giustificata, dopo avermi parlato del suo amore, ciò che più le premeva sembrava essere sbarazzarsi di me. Evidentemente le serviva avere la casa libera per un incontro focoso ed amoroso con Pinocchio. Avevo dato quel soprannome ad Isaac sia per la protuberanza del suo naso e sia per la sua indole a mentire; era perfetto quel nomignolo per lui.

Per evitare brutti incontri mi alzai velocemente dal tavolo e dopo aver lavato i piatti, salii in camera per cambiarmi. Mandai un messaggio a Rosalya, chiedendole se fosse libera quel pomeriggio per accompagnarmi e lei non ritardò ad acconsentire. Lo shopping era la salvezza di entrambe. Mi risollevò l'umore sapere che non sarei stata da sola, Rose era una buona compagnia, in più non stavamo insieme dal famoso di ballo di Natale. Nei giorni precedenti ci eravamo solamente sentite telefonicamente. 

Un'ora dopo, non ebbi neanche il tempo di mettere piede fuori dal cancello di casa che un Nathaniel sorridente iniziò ad importunarmi. Aveva messo delle cimici dentro la villa e conosceva ogni mio movimento, per caso?

«Oh finalmente! Cerco d'incontrarti da cinque giorni... Cos'è, esci solo la notte quando nessuno può vederti? Sto iniziando a pensare che tu sia un vampiro!» poggiò una mano sul mio braccio e mi sorrise.

Non avevo alcuna intenzione di parlare con lui. Da cinque giorni avevo stipulato un patto con me stessa, dovevo stare alla larga dai ragazzi che continuavano a portare problemi nella mia vita e lui era uno di quelli. 

Il suo sorriso toglieva il fiato. Era un ragazzo solare a differenza di qualcun altro di mia conoscenza. Guardai per un attimo il cielo cercando di tranquillizzarmi, era una bella giornata per essere Dicembre, il cappello e la sciarpa che avevo indossato non servivano più di tanto per quel clima, ma servivano più che altro per l'influenza. Come avevo predetto, a causa della mia fuga sotto l'acquazzone e a causa del freddo preso, il giorno dopo Natale mi ero svegliata con la fronte bollente e il raffreddore. Per fortuna cinque giorni dopo ero quasi guarita.

Guardai meglio il ragazzo di fronte a me, i raggi del sole riflettevano sui suoi capelli rendendoli ancor più dorati. Lo stesso sole rifletteva sui suoi occhi rendendoli quasi di un colore soprannaturale. Non potevo negare la sua bellezza, ogni giorno che passava sembrava sempre più perfetto. In un attimo mi ritrovai a pensare al suo bacio di qualche giorno prima e mi sentii a disagio. Non avevo sentito niente, nessuna emozione, era strano. 

"Rosalya ti aspetta. Mollalo con due parole e scappa!" "Grazie, se non ci fossi stata tu..." pensai sarcasticamente per la perspicacia della mia coscienza. "Se mi ascoltassi sempre non ci troveremmo in questo stato, zitella!" "Che? Come mi hai chiamata? Ma che str..." "Ehi, sta' attenta a quello che dici, insulteresti te stessa" "Ora smettila, sono impegnata" "No, non sei impegnata. Se fossi stata con Castiel, allora ti avrei lasciata in pace, ma ora sei con un tipo che non merita più di tanto la tua attenzione. Quindi muovi quei piedi, grazie!" "Ti ho detto che non voglio mai più sentir parlare di quel pomodoro secco..." "Oh sì, certo! Ridimmelo quando lo incontrerai di nuovo." 

«Miki, tutto ok?» la voce del biondo mi riportò alla realtà. Maledetta coscienza!

«Sì, hai bisogno di qualcosa?» gli risposi quasi infastidita.

«Ecco, vedi, i-io vo-volevo... A proposito del bacio, i-»

Bloccai il suo imbarazzo prendendo la parola. Sapevo già dove volesse andare a parare lui e le sue regole. «Oh non preoccuparti. I tuoi principi non sono stati violati, è stato un semplice bacio a stampo. Dopo quello non ci fidanzeremo, non ci sposeremo e non faremo un bel niente. Ora se non ti dispiace ho da fare. Ciao!» il mio tono di voce risultò troppo infastidito, più di quanto lo ero realmente. Levai il braccio dalle sue mani e m'incamminai verso la fermata dell'autobus. Con Rosalya ci saremmo visti direttamente in centro.

Sia Castiel che Nathaniel avevano passato il loro tempo a prendermi in giro. Nathaniel era stato molto chiuso nei miei confronti, non mi aveva raccontato della sua storia con Melody e anzi avevo la netta sensazione che mentre diceva parole dolci alla sottoscritta, passava il suo tempo anche con la mora. Certo, io ed il biondo non stavamo insieme quindi avrebbe potuto fare ciò che voleva, ma odiavo esser presa in giro e, una volta che mi si era presentata l'occasione, gli avrei fatto capire di essere a conoscenza di ogni cosa sulla sua storia passata. 

Dopo aver fatto qualche passo mi fermai per poi voltarmi nuovamente verso lui «Ah, un'ultima cosa. Dopo le vacanze parlerò con la direttrice per farti riavere il posto di delegato. Mantengo sempre le mie promesse. E quando la vedrai, di' pure a Melody di dormire sogni tranquilli: può riprenderti quando le pare, la sgualdrina -come mi ha definita lei- non ha nessuna voglia d'interferire con la vostra lunga ed importante storia d'amore».  Marcai gli ultimi due aggettivi per fargli capire di essere a conoscenza della loro storia, poi senza attendere risposta mi voltai nuovamente e con camminata decisa raggiunsi la fermata dell'autobus. 

«Aspetta, Miki, non è come pensi...»

"Sì certo come no, non è mai come penso". 

Con quel mio discorso avevo appena interrotto ogni specie di rapporto con Nathaniel. Ero stata abbastanza chiara, non volevo più essere il terzo incomodo né tantomeno dividere una coppia già affermata. Inoltre di bugiardi ne avevo già conosciuti tanti, un altro sarebbe stato di troppo. Quella di quei giorni oltre tutto fu una sorta di prova ai miei sospetti, l'innocenza che faceva apparire Nathaniel era finta, era fuoco sotto cenere, era come tutti gli altri. Ed io dovevo salvarmi finché ero in tempo, nonostante il senso di confusione insistente che m'annebbiava mente e cuore dovevo tornare ad essere quella di un tempo, apatica ad ogni tipo di sentimento, ad ogni ragazzo.

-

Rosalya, come immaginavo, aveva fatto di tutto per distrarmi. Era stata un'ottima compagna di shopping ma una rovina per la carta di credito della zia. Avevo speso davvero tanti, troppi soldi, perlomeno tornai a casa di ottimo umore. Erano ormai le otto di sera quando varcai la porta di quella villa. Le luci erano spente e proprio per quel motivo urlai il nome della zia per evitare spiacevoli inconvenienti com'era accaduto, invece, in quella famosa notte della vigilia di Natale. Ma dopo aver posato le buste dei miei acquisti su delle sedie, in cucina, e dopo aver acceso le luci, notai di essere sola realmente. Forse zia Kate aveva ascoltato il mio consiglio di prenotare un hotel per i suoi incontri passionali con Pinocchio. 

Mi fiondai in camera mia per liberarmi dei vestiti e fare un bagno rilassante, ma i miei piani furono stravolti non appena varcai la soglia e trovai davanti uno spettacolo irripetibile. 

La stanza, la mia stanza era cosparsa di rose rosse. Strabuzzai gli occhi per la sorpresa del tutto inaspettata. Non riuscii a contare quanti fiori potessero esserci in ogni angolo della camera. Erano davvero tanti, anzi erano troppi. 

Chi poteva aver fatto quel gesto così eclatante nei miei confronti? 

Nessuno era così pazzo, ma soprattutto nessuno era a conoscenza che quelli fossero i miei fiori preferiti. Per un attimo la mia mente malata e masochista ricollegò quel gesto a Castiel. Volevo illudermi ancora una volta che a lui importasse qualcosa di me, che volesse scusarsi in qualche modo per le parole urlate cinque giorni prima, per l'umiliazione subita a causa sua, ma ovviamente in cuor mio sapevo bene che quelle sorprese uno come lui non le avrebbe mai messe in atto, o perlomeno non per me. Lui aveva la sua Debrah... Eppure sarebbe stato bello ricevere dei fiori da parte sua, ne ero sicura. Accantonai quel pensiero doloroso e del tutto inappropriato e venni a contatto con la realtà. Solo zia Kate poteva aver fatto una cosa del genere. 

Restai immobile sull'uscio della porta, come un ebete, a fissare quella stanza per qualche altro istante, poi prendendo il cellulare feci una foto per immortalare quello spettacolo. Ero senza parole. Abbassai lo sguardo sul pavimento e vidi una scia di rose rosse formare una strada che partiva proprio dalla porta -dove mi trovavo io in quell'istante- e finiva accanto al letto. Seguii la scia di rose, raccogliendole man mano che mi capitavano sotto gli occhi e quando fui accanto al letto notai una custodia nera solitamente utilizzata per i vestiti, e accanto a questa una scatola di scarpe. Corrugai la fronte quando poi riconobbi la calligrafia di una lettera poggiata sulla custodia nera, dove dentro doveva esserci un vestito. 

Quel foglio bianco riportava il mio nome: per Miki. Era scritto in italiano. Quella calligrafia l'avrei riconosciuta anche tra mille simili, d'altronde avevamo imparato a scrivere insieme. Era stato il mio compagno di banco, il mio compagno di avventure per dieci anni esatti. 

Ciak aveva organizzato quella sorpresa per me, e quello fu l'unico momento in cui finalmente dopo mesi ebbi uno spiraglio di speranza nel pensare che ci fosse ancora qualche possibilità di riavere il mio Ciak, l'amico migliore che potesse esistere al mondo. 

Quando presi il foglio bianco tra le mani fui colpita da una brezza improvvisa di felicità, era il suo profumo, mi sentii di nuovo a casa, di nuovo vicina al mio migliore amico, sebbene non avessi ancora dimenticato il contenuto di quel messaggio mandatomi qualche giorno prima. Mi s'inumidirono gli occhi ancor prima di leggere il contenuto di quel foglio. 

Ciak mi aveva scritto una lettera. Non persi ulteriore tempo, mi sedetti sul letto coperto da centinaia di fiori e lessi.

"Cara Miki,

da come avrai già capito queste mille rose rosse sono per te, per chiederti mille volte scusa... 

I miei comportamenti in questi mesi sono stati imperdonabili, ma non potevo lasciare scemare la nostra amicizia che dura da anni, restando a guardare, senza muovere un dito. 

Tua zia, che ti ha praticamente tolto di casa oggi pomeriggio, era d'accordo con me per aiutarmi in questa mia folle sorpresa, che poi folle non è perché quando si tratta di te io farei di tutto. Comunque ho pregato Kate affinché mi aiutasse, quindi qualora non apprezzassi questo mio gesto, non prendertela con lei, ma con me, e soprattutto non pensare che mi sono intrufolato dentro casa tua come un ladro. 

Ora di sicuro la tua bella testolina starà pensando: "ma questo è pazzo.. prima manda quei messaggi e ora fa il romantico", le due cose effettivamente sono legate, ma non arrivare a risultati affrettati. Calma! Respira, ora ti spiego! Innanzitutto, ho deciso di scriverti una lettera perché conoscendoti se mi avessi visto di persona, non mi avresti lasciato il tempo per parlare, come al tuo solito mi avresti aggredito senza lasciarmi spiegare.. Perché sei fatta semplicemente così, sei spontanea e a me piaci anche per questo. So anche che dopo aver letto questa frase starai sorridendo con quella bocca carnosa che ho sempre sognato di baciare.. Da come vedi ti conosco, ti conosco più di chiunque altro. La nostra amicizia va avanti da dieci anni, e oramai sono capace di prevedere qualsiasi tuo movimento o gesto. Mi è sempre piaciuto osservarti, sai? Anche quando meno te l'aspettavi, quando pensavi che nessuno badasse ai tuoi comportamenti, io ero lì a guardarti e ad innamorarmi ogni giorno di più. Mi ha da sempre incuriosito questo tuo modo di approcciarti al mondo, vedere come vuoi apparire perfetta davanti agli altri, di come vuoi far credere di essere immune ai sentimenti, contraria all'amore ma come in realtà di ciò non ne sei convinta neanche tu. Perché che ti piaccia o no un giorno t'innamorerai, Miki. Potrò essere o non essere io, ma sono sicuro che accadrà perché tu hai un mondo da donare, sei ricca di sentimenti tanto da non rendertene neanche conto. E sono sicuro che quando t'innamorerai donerai tutta te stessa, e pagherei tutti i tesori del mondo per essere io il fortunato a ricevere il tuo amore. Ma ora non voglio parlare di questo, anzi, scusa se sto divagando, ma quando si parla di te potrei anche riuscire a scrivere un libro. Dicevo: hai sempre mentito, e ci sei riuscita anche bene. Il mondo ti ha vista, ti vede come hai voluto, ma in tutto ciò hai dimenticato di cercare di convincere una persona: ME. Per quanto quel giorno di Settembre, ormai lontano, io abbia potuto fare il sorpreso, l'orgoglioso e l'incazzato, oggi posso e devo confessarti che io avevo già capito molte cose di te senza che tu me le rivelassi. Ad esempio avevo capito che tu fossi orfana, che raccontassi una montagna di frottole sul loro lavoro. Avevo capito che dietro la maschera della perfezione, hai sempre nascosto il tuo dolore. Tante volte avrei voluto aprire questo discorso, aiutarti, ma sono stato troppo orgoglioso. Ho sempre pensato che avresti dovuto parlarmene tu, ho aspettato tanto credimi, ma non l'hai fatto e ho capito che forse non ti sei mai fidata abbastanza di me per parlarmi sinceramente. Questa è stata  la cosa che più mi ha ferito, ciò che mi ha provocato maggiore rabbia. I tanti anni di amicizia si sono rivelati essere solo cenere ed è stato proprio questo a portarmi a scriverti quel messaggio orribile, il 25 Dicembre. Tu mi hai abbandonato, tu mi hai ferito ed io con quelle parole volevo ferire te, tornandoti almeno la metà del dolore che tu provocasti in me a Settembre. So di aver sbagliato, so di averti delusa, non avrei dovuto attaccarti proprio su quell'argomento, so quanto odi essere vergine. Perché per te verginità equivale a debolezza. Ma sai che ti dico oggi, Miki? Non è vero! Questo è un valore enorme che ancora possiedi e che non tutte le ragazze della tua età hanno, non concederlo solo per il gusto di farlo, donalo solamente a chi tu ritieni degno. So di sembrare contraddittorio, visto che ti ho praticamente fatto capire che la tua verginità mi spetta di diritto, ma non è così. Come ti ho già detto ho sbagliato, e sebbene essere la tua prima volta mi farebbe acquistare un primato indelebile nel tuo cuore, non voglio accada così. Tu e solo tu puoi decidere la persona giusta, io non ho alcun diritto di decidere al posto tuo. Spero potrai perdonarmi e che capirai i miei motivi. Ti chiedo ancora scusa!

Chiarite queste cose, vorrei passare ad un'altra parte fondamentale della lettera. Io, Ciak, sono a Parigi, da come avrai capito, e alloggio in un hotel vicino la Tour Eiffel. Mi trovo qui, non per pedinarti, non per supplicarti a stare con me, ma per lavoro. Ebbene sì, finalmente ce l'ho fatta. Ricordi la famosa agenzia in cui ero iscritto e che mi costava troppi soldi? Beh ecco... quella stessa agenzia, a Novembre mi ha finalmente chiamato, mi ha fissato un incontro e mi ha offerto tre possibilità di lavoro e dovevo scegliere se lavorare a Parigi, in Spagna o a Milano. Io ho scelto Parigi, ovviamente... la città dell'amore, la città del mio amore. Sono stato condizionato dal fatto che tu ti fossi trasferita a Parigi e per questo ho scelto di venire a vivere anch'io nella tua stessa città, perché non potevo stare più lontano da te. L'Italia, Roma era vuota senza te. Ho pensato anche che grazie alla vicinanza potremmo ritornare quelli di una volta, ho pensato che grazie a Parigi potrò di nuovo stare bene.. perché da quando sei andata via mi manca il respiro. E quindi eccomi qui. Da Gennaio sarò un modello, un vero foto modello, ti rendi conto?! Ancora stento a crederci di star realizzando il mio sogno più grande. Per fortuna avendo un'agenzia con ottimi agganci e dopo averla pagata profumatamente per anni, le mie foto sono state viste dai più grandi stilisti e case di moda attuali, così da Gennaio inizierò a lavorare per Paco Rabanne. Mi senti urlare?!? Mio Dio, Miki. Domani sera, poi, ci sarà una festa organizzata da lui, dove saranno presenti un bel po' di persone famose e tutti coloro che lavorano per lui, ancora non so molto, ma so solo che dietro di se ha una macchina enorme fatta di persone e collaboratori. Ed io, essendo il suo nuovo acquisto, sono stato invitato. 

Da come sai questo è un sogno che si avvera. E almeno per una sera vorrei condividere parte del mio sogno realizzatosi con te. Sì proprio così, ti ho invitata a venire con me. 

Vuoi essere la mia dama in un capodanno da VIP con me? 

Pensaci prima di rispondermi e quando vuoi apri pure le scatole che trovi sul letto. Questo è un mio regalo per te, un pensiero. Conoscendo la tua passione per queste cose, già avrai capito di cosa si tratta, e sono sicuro che muori dalla voglia di vedere com'è. Quando lo avrai tra le mani capirai anche che ho mantenuto la promessa fatta due anni fa. Indossalo domani sera qualora tu deciderai di accompagnarmi. Altrimenti sarà ugualmente tuo. 

Aspetto la tua risposta. Il mio numero di cellulare è rimasto sempre il solito. 

Un bacio.. Ciak"

Ero esterrefatta, incredula e contenta per lui. Nel leggere l'ultima parte della lettera mi ero messa a saltare di gioia per tutta la stanza per la bella notizia. Sapevo quanto ci tenesse, Ciak, a sfondare nel mondo dello spettacolo e sapere che ormai quel sogno era divenuto realtà mi fece battere il cuore all'impazzata. Avrebbe lavorato con uno degli stilisti più conosciuti al mondo, ero così fiera di lui nonostante le incomprensioni. Avrei tanto voluto abbracciarlo in quel momento.   

Con quella lettera, Ciak, aveva dimostrato di conoscermi più di chiunque altro. Aveva previsto persino i miei gesti, era qualcosa di sensazionale, qualcosa d'inspiegabile. Quella sorpresa, quella lettera mi avevano lasciato senza parole. Era tutto vero quello che aveva affermato.. ed era proprio come immaginavo, quel messaggio lo aveva mandato per rabbia, per provocarmi dolore. Come lui conosceva me, io conoscevo lui. Infondo avevamo passato insieme dieci anni, in cui ne avevamo combinate molte, entrambi conoscevamo ogni lato dell'altro. Finalmente dopo tanti giorni riuscii nuovamente a sorridere. Era da cinque giorni che non lo facevo. E chi se lo sarebbe aspettato che proprio Ciak, quel Ciak, sarebbe stato capace di farmi ridere?

Senza perdere altro tempo, mi precipitai ad aprire la custodia nera in cui doveva per forza esserci il vestito. Ero curiosa. Restai a bocca aperta quando lo vidi, era perfetto come avevo sempre immaginato. Alzandomi dal letto e saltellando, nuovamente, per la felicità decisi d'indossarlo, poteva anche non andare bene, starmi male, non potevo saperlo senza provarlo. Ma una volta indossato dovetti ricredermi. Quel vestito sembrò esser stato cucito appositamente per l'evento e per me, non avevo parole nell'ammirarmi allo specchio.

L'abito era a sirena, stretto fino alle gambe e dalle gambe in poi scendeva ampio. Era rosso e bianco, lungo fin sotto i piedi. Lo scollo alla parte superiore era a cuore e drappeggiato. Sotto il seno una fascia piena zeppa di diamanti lo rendevano spettacolare. Sotto ai fianchi dei decori a fiori di Swaroski accompagnavano la stoffa che poi si allargava dando spazio all'ampiezza. La stoffa rossa scendeva morbida fino alle ginocchia e dalle ginocchia fino a sotto i piedi una stoffa di pizzo bianca rendeva fiabesco e non troppo colorato quel vestito favoloso. Poi presi le scarpe, quelle richiamavano gli Swaroski del vestito, e praticamente erano interamente ricoperte di brillantini. Avevano un tacco di circa quindici centimetri. Le guardai con ammirazione ed elettrizzata mi venne in mente quanto fossero simili se non identiche alle scarpe delle principesse delle fiabe. 

Ancora con il vestito addosso, guardandomi allo specchio, ripensai a tutte le volte che avevo parlato di un vestito simile a Ciak.

«Guarda Ciak...» lo richiamai con voce sognante.

«Ancora in fissa con questi vestiti?!» alzò gli occhi al cielo fintamente scocciato, mostrandomi la vetrina. Eravamo in via Condotti, a Roma, proprio di fronte al negozio Valentino. 

«Sai come sarebbe perfetto?! La stessa forma di questo, a sirena, ma con degli Swaroski sulla vita e sotto il seno. Poi mi piacerebbe alternare il rosso con una stoffa bianca di pizzo sulla parte ampia, sarebbe fantastico e poi...»

«Miki non ripetermelo ancora una volta, ti prego!» mi fermò dalla descrizione dell'abito dei miei sogni. «Ora vieni o faremo tardi...» mi afferrò dal braccio ed iniziò a trascinarmi verso casa mia. Nonostante le sue parole, non dimostrava alcun segno d'irritazione sul volto, anzi sorrideva. Avevo sempre ammirato la sua pazienza.

«Il fatto è che non avrei occasioni per indossarlo, altrimenti l'avrei già fatto cucire» sbuffai mentre c'incamminammo. Ero realmente innamorata di quel vestito disegnato nella mia mente, non potevo farci niente. 

«Allora, facciamo una cosa» si bloccò ed io sbattei alla sua schiena, poi si voltò e fece quella promessa guardandomi dritta negli occhi «quando diventerò famoso ti farò cucire questo benedetto vestito che tanto ami. Te lo prometto!» incrociò le dita guardandomi dritto negli occhi. Nel suo sguardo non c'era ombra di esitazione, lo stava promettendo sul serio.

A distanza di due anni, aveva mantenuto realmente quella promessa. E non solo... A mio parere l'aveva persino superata. Il vestito era ancora più bello di come immaginavo, aveva aggiunto dei dettagli che lo rendevano ancor più meraviglioso. In quel gesto vidi nuovamente il mio migliore amico, quello che conoscevo da dieci anni, sembrava esser sparito il Ciak vendicativo dei precedenti mesi. Sperai di poter recuperare il nostro rapporto, sapevo non fosse facile dal momento che lui provava ben altro per me, ma se solo lui lo avesse voluto ci avrei provato. Dopo quelle dimostrazioni decisi di perdonarlo, di concedergli un'ulteriore possibilità, non me ne sarei pentita ne ero sicura.

Lui aveva mantenuto la promessa ed io avrei mantenuto la mia. Avremmo festeggiato il suo debutto insieme. L'indomani sarebbe stato Capodanno ed io non avevo di meglio da fare. E Ciak meritava il mio tempo. 

Non posso crederci che tu ricordavi quella promessa. Non posso crederci che tu l'abbia mantenuta. Il vestito è favoloso, ancor più bello di come lo immaginavo. Ti adoro Ciak! Grazie per le mille rose rosse, grazie per le belle parole avute per me nella lettera, grazie di tutto. Per questa volta perdono il tuo esser stato stronzo, dopotutto tu hai perdonato me per non averti raccontato la mia storia... Bene, se vorrai domani inizierò a raccontarti qualcosa. Ti voglio bene!

Mandai quel messaggio al mio migliore amico e lui rispose subito, dopo neanche un minuto, sembrava stesse aspettando un mio segno di vita.

Cosa vuol dire? Accetti di accompagnarmi? Sul serio? 

Percepii la sua felicità persino da un messaggio.

Certo che ti accompagno. Mantengo sempre le mie promesse ;)

Feci riferimento alle nostre promesse fatte quando ancora ci trovavamo entrambi in Italia. Lui aveva promesso di farmi cucire ed indossare quel vestito ed io avevo promesso a lui di stargli accanto nel giorno più importante della sua vita.

Mitico! Passo a prenderti domani alle 20:30. Buona serata, un bacio.

Sapevo quanti sacrifici avesse fatto per raggiungere quel traguardo e non potevo che essere felice per lui. Era iscritto in quell'agenzia da ormai tre anni e aveva partecipato a parecchi provini sebbene avesse solo sedici anni. Il mondo della moda favoriva modelli giovani e dopo anni ci era riuscito seriamente. Non potevo crederci. Il mio Ciak a breve sarebbe diventato famoso. Lo meritava. Per mantenere un fisico tonico e muscoloso aveva un'alimentazione ferrea, beveva persino uova crude, in più si allenava per quattro ore ogni giorno. Certo, oltre quei particolari, madre natura era stata generosa con lui. Gli aveva donato due occhi verdi bellissimi, dei capelli mori e un'altezza impressionante. Tutti quei suoi particolari lo facevano sembrare più grande rispetto alla sua età reale, infatti aveva sempre attirato attenzioni anche da donne mature. Era bellissimo, non c'erano dubbi. 

Oltre la mia felicità per lui, però, avrei dovuto chiarire un ultimo punto. Lui era il mio migliore amico, non avrei mai potuto immaginarlo o considerarlo come qualcosa di più. 

-

Dopo aver passato l'intera serata a raccogliere rose sparse per tutta la stanza, con zia Kate era tornato un provvisorio sereno. Non avevamo più parlato dei nostri problemi, anzi avevamo passato tutta la sera ed il successivo giorno a parlare di quel gala a cui avrei dovuto partecipare. Il pomeriggio insisté persino ad aiutarmi con il trucco e i capelli. Per una volta la lasciai fare, dopotutto era bello vederla così sorridente. Se non fosse stato che aveva rovinato un'intera famiglia, sarei stata contenta per lei. L'amore le faceva bene. La sera avrebbe festeggiato con Pinocchio in un locale, ma aveva continuato a sostenere che io avessi la priorità e che quindi lei si sarebbe sistemata in un secondo momento. 

Per quella sera decisi di abbandonare i ricci e di optare per un'acconciatura liscia. Zia Kate mi lisciò i capelli con la piastra e poi, sotto la mia guida -dopo aver guardato per circa un'ora dei tutorial su YouTube- mi raccolse i capelli in uno chignon laterale che poi abbellì con delle forcine brillantate. Era perfetta. 

Volevo creare un trucco delicato sugli occhi e più marcato sulle labbra. Infatti così feci. Misi il fondotinta e come ombretto un colore tenue, naturale. Poi passai al mascara, misi quello nero e subito dopo i brillantini sulle ciglia. Ed ecco arrivati al rossetto.. optai per un rosso uguale al colore del vestito. 

Poi finalmente arrivò il momento che più attendevo dal giorno prima, indossai quel vestito che non avevo perso d'occhio neanche un secondo. Dopo, sedendomi sul letto indossai le scarpe sotto gli occhi sbalorditi di zia Kate. Doveva apprezzare sicuramente il risultato finale, vista la sua espressione.

«Wow! La mia bambina sta crescendo» quasi si commosse nel vedermi pronta.

Si avvicinò e dopo tanti mesi mi abbracciò. Zia Kate non era mai stata una donna affettuosa, non che non ci tenesse a me, solo... Non riusciva sempre a dimostrarlo. Quella sera ricambiai l'abbraccio sperando in giorni migliori e soprattutto sperando nel recupero del nostro rapporto. 

Il citofono interruppe il nostro momento dolce. Zia Kate si staccò e andò ad aprire.  

«Miki» urlò la zia dal piano inferiore «Ciak è arrivato, scendi!»

Deglutii rumorosamente e cominciai a scendere le scale lentamente. Ero ansiosa di rivedere Ciak. Erano ormai quasi quattro mesi che passavamo lontani senza neanche sentirci. In quel momento -mentre scendevo le scale di quella villa- mi sentii una modella, visto il contesto e visto gli spettatori che non facevano altro che fissarmi con un sorriso sulle labbra. Avevo solo quattro occhi puntati addosso, ma quelli bastarono per farmi sentire in soggezione. Arrivata all'ultimo gradino, senza perdere tempo e velocemente, anche se il vestito mi avrebbe dovuto impedire quel tipo di movimenti, corsi verso Ciak e mi attaccai al suo collo. Fu un gesto troppo avventato per la mia indole e visti i precedenti, ma non riuscii a trattenermi. Quel ragazzo mi era mancato così tanto.. Appena mi staccai, dopo forse un minuto, lo squadrai dalla testa ai piedi.

Se lo si guardava all'apparenza, aveva il tipico vestito elegante maschile con giacca e pantaloni neri. Ma non era così, la particolarità stava nella camicia e negli accessori. Entrambi erano coordinati al mio vestito. La camicia era bianca con i bottoni rossi, al posto della cravatta aveva un papillon rosso, ed una fascia grossa di seta sulla pancia legata a mo' di cinta di cui non ricordavo il nome. D'altronde la mia passione erano gli abiti femminili, di quelli maschili non ne capivo poi molto. Un'altra particolarità stava nel taschino della giacca. Solitamente lì si sarebbe dovuto portare una specie di fazzoletto di stoffa, ma lui lo aveva di pizzo bianco, lo stesso pizzo della parte inferiore del mio vestito. Eravamo coordinati perfettamente. I capelli poi erano diversi di come li ricordavo io, non sapevo se lo avesse fatto per l'occasione, ma di sicuro quei capelli scompigliati e quei ciuffetti ribelli che lo distinguevano dalla massa, erano spariti. I capelli erano stati sistemati all'indietro con il gel e ciò faceva risaltare i lineamenti virili del suo volto e soprattutto gli occhi. Il suo sguardo era felice ed emozionato totalmente differente dall'ultima immagine impressa nella mia mente di lui. Quattro mesi prima lo avevo lasciato con uno sguardo duro, pieno di rabbia, vederlo nuovamente sereno, rasserenò anche me. 

Zia Kate ci aveva salutati ed era corsa di sopra a prepararsi, mentre io continuai a fissare quello che era rimasto del mio migliore amico. Era cambiato e lui se ne accorse che lo stessi fissando con sorpresa per quel motivo. 

«Sì, lo so sono cambiato.. Beh fa parte del contratto che ho firmato. Non posso più sembrare un ragazzino anche se ho solo sedici anni. Devo apparire maturo, sembrare un uomo, devo mantenere la mia immagine altrimenti non durerò molto in questo mondo».

In effetti la sua immagine era cambiata molto. Essendo un ragazzo molto sportivo, in Italia, indossava solamente t-shirt, jeans, e tute da ginnastica era strano vederlo in quegli abiti così eleganti. Avrebbe potuto indossare un semplice completo casual per quell'evento, ma il suo contratto non glielo permetteva. 

«Comunque sei spettacolare, ed è bellissimo rivederti dopo tutti questi mesi» si complimentò senza ombra d'imbarazzo. Era sempre stato un ragazzo diretto e deciso.

Dopo avermi guardata con ammirazione, accorciò nuovamente le distanze tra di noi, si abbassò di qualche centimetro per arrivare all'altezza del mio viso e mi diede un dolce bacio sulla guancia. Nonostante non fossi una ragazza eccessivamente bassa -ma di altezza normale- lui mi superava di parecchio, era alto un metro e novanta ed in quel momento nonostante i tacchi mi fece sentire una bambina.  

Ero contenta che non avesse perso la parte dolce di lui, l'avevo sempre apprezzata. Era dolce e premuroso nei miei confronti a differenza di un'altra persona. Maledizione, mi ero promessa di non pensare a quella testa rossa eppure lo stavo nuovamente paragonando a qualcuno. 

«Cos'è, hai perso la lingua? Comunque andiamo, siamo già in ritardo!»

"Ed ora questa battuta da dov'è uscita?" Non erano battute da Ciak. Non aveva detto qualcosa di offensivo o strano, ma era stato il modo con il quale aveva pronunciato quelle parole a farmi sussultare. Mi diede l'impressione di sentirsi una spanna sopra di me, più importante, sperai non si fosse montato la testa ancor prima d'iniziare a lavorare seriamente in quel mondo. Sarebbe stata la fine.

Non risposi a differenza di come avrei fatto in altre situazioni, volevo tastare i suoi altri comportamenti prima di giudicare ed eventualmente farglielo presente. Uscimmo fuori dal cancello e ad aspettarci c'era una limousine. Come facesse un modello ancora inesperto a potersi permettere un mezzo del genere non ne avevo idea, avrei indagato in un secondo momento. Quella sera volevo solamente godermi quel giro in un mezzo che quasi sicuramente non avrei rivisto in altre occasioni. 

Era nera e lunghissima. Ad aprire lo sportello non fu Ciak ma l'autista, che scese appositamente per noi. Avrei potuto benissimo aprire da sola lo sportello, non era necessaria mica una laurea per farlo. Eppure Ciak mi bloccò quando vide le mie mani dirette alla maniglia. Alzai gli occhi al cielo e quando il mio migliore amico finì di fare il divo finalmente riuscimmo ad entrare in auto. Più che automobile quella sembrava una vera e propria casa. Mi sedetti e guardai ogni punto. I sedili erano di color beige, di pelle e molto morbidi. Oltre i sedili vi era una piccola piscina idromassaggio rotonda, ancora più in là una specie di bar portatile ed un freezer che Ciak non perse tempo ad aprire. L'autista partì in direzione del gala che non avevo idea dove si sarebbe tenuto, mentre il mio migliore amico afferrò tre bottiglie alcoliche, poi scuotendole e aprendole pronunciò testuali parole «Che la festa abbia inizio...» Ed io non potevo credere ai miei occhi quando iniziò a bere prima da una bottiglia e poi dall'altra, alternandosi. Inarcai le sopracciglia per la sorpresa. Cosa ne era stato del mio migliore amico? Quella era la versione di un Ciak viziato e a me non piaceva per niente. 

Sotto la mia espressione scioccata mi offrì persino una bottiglia di un liquore, che sembrava parecchio pesante visto il forte odore di alcol presente nell'abitacolo, che io però non tardai a rifiutare. 

Dopo avermi raggiunta si accomodò accanto a me e: «Ah a proposito, Miki... Davanti a quella gente non chiamarmi Ciak, loro mi conoscono come Francois. Il mio manager continua a sostenere che Ciak è un soprannome imbecille e per marmocchi e devo dire che non ha tutti i torti. D'altronde il mio vero nome è Francesco che poi trasformato in francese diviene Francois; et voilà... Ecco che anch'io ho uno pseudonimo». La sua voce al momento era irritante, troppo.

Con quella frase, poi, mi aveva stravolto ancor di più. Ero stata proprio io, dieci anni prima, ad inventare quel nomignolo e da quel giorno era divenuto di tendenza chiamarlo in quel modo. Nessuno a Roma lo conosceva come Francesco, ma tutti come Ciak. Poteva anche sembrare infantile da parte mia, ma sostenendo di essere d'accordo col suo manager un po' mi ferì. Ero affezionata a quel nomignolo, lui per me era Ciak, e Ciak non era un soprannome imbecille o per marmocchi, era solamente un nome per distinguersi dalla massa, un nome che rappresentava la nostra amicizia. Aveva sempre sostenuto di esser rimasto incuriosito da me perché ero l'unica a chiamarlo diversamente, ed era proprio per quel mio modo buffo di chiamarlo che la nostra amicizia era iniziata. Quando giocavamo con gli altri bambini aveva sempre la tendenza a dire "Ciak si gira!" era il tipico modo italiano dei registi per iniziare una registrazione; lui era già colpito da quel mondo sin da piccolo, sin da quando suo zio -un regista dilettante- lo aveva portato con sé sul set di un film. E da lì il suo gioco preferito divenne far finta di essere un regista. Quindi d'imbecille quel nome non aveva proprio nulla; aveva tutta una storia dietro, praticamente un mondo. 

Nonostante ci fossi rimasta particolarmente male, non lo diedi a vedere, non volevo partire col piede sbagliato, non volevo creare maggiori crepe in quel rapporto che già ne aveva troppe. Così acconsentii a chiamarlo con il suo vero nome francesizzato e cambiai discorso. 

«Hai notato che stiamo parlando in italiano da quando ci siamo visti?» risi «In Italia parlavamo in francese ed ora che siamo in Francia parliamo l'italiano. Il colmo proprio..»

In effetti era buffo quel fatto. Quando eravamo a Roma lui insisteva a voler parlare in francese perché in quel modo avrebbe potuto imparare un'altra lingua. Una delle poche e vere cose raccontate a Ciak era proprio quella di essere bilingue. Lui sapeva che mio padre fosse francese, nulla di più. Nonostante le mezze verità, perlomeno ero stata un'ottima insegnante, in quegli anni aveva imparato a parlare il Francese perfettamente. 

«Oddio, è vero... E dire che non me n'ero neanche accorto» mi sorrise, l'esaltazione gli era passata, apparì più tranquillo «Ti manca l'Italia? A me per niente!» 

«Diciamo che se prima avevo un motivo per tornarci, ora non più. Il mio motivo è qui vicino a me» gli sorrisi spontaneamente. Ed era la verità. Non avevo rimpianti o mancanze, in Italia mi era rimasto solo lui e dal momento che si sarebbe trasferito a Parigi, non avevo più motivo di tornarci. 

Per un attimo mi venne in mente il fatto di aver vinto un viaggio a Roma insieme al rosso, ma scacciai quel pensiero dalla testa per evitare di fasciarmela. A Gennaio avrei proposto alla preside di cambiare meta.

«Oh! Finalmente una frase carina per me. Quindi ora ammetti che ti sono mancato...» lasciò la frase in sospeso e si alzò dal sedile cominciando a solleticare la mia pancia. Una frenata un po' troppo brusca nel momento sbagliato, lo fece cadere su di me.

C'era poca distanza tra di noi, non era la prima volta che accadeva nel corso degli anni, ma quella volta fu diverso; quella volta entrambi avevamo la consapevolezza che qualcosa era cambiato. Lui era innamorato di me e si era dichiarato. Ci guardammo negli occhi e a causa del suo sguardo una triste consapevolezza mi arrivò come uno schiaffo in pieno viso, perché capii che non sarebbe più stato come prima. Quell'amicizia innocente e genuina non esisteva più. Era duro da ammettere, ma era quella l'unica verità. Avremmo potuto volerci riprovare, accantonare le incongruenze, ma nulla sarebbe potuto tornare com'era un tempo. Non sarebbero ritornate le gite al mare, in moto, le lunghe chiacchierate o le dormite insieme, nulla di tutto ciò sarebbe potuto ritornare senza un secondo scopo da parte sua. Il mio Ciak, il mio migliore amico non sarebbe potuto ritornare. Quegli occhi che continuavano a fissarmi bramosi erano uguali a tutti gli altri ragazzi, non era lo sguardo del mio migliore amico, quello senza malizia. Era diventato quasi un estraneo per me.

Non feci in tempo a far pressione sul suo petto per spostarlo che subito si avvicinò ad un centimetro dalla mia bocca e sussurrò: «da troppo tempo aspetto questo momento...» la sua voce era sensuale e mi fece rabbrividire, ma non per il piacere. Era strano, troppo, vedere il mio migliore amico provarci con me. 

«Eh no però...» lo spinsi con tutta la forza posseduta in corpo e lui cadde sulla moquette della Limousine «Io a differenza tua non aspettavo questo momento, Cia... o Francois, come ti chiami tu...» sospirai. La serata doveva ancora iniziare ed io già ero piena di problemi. 

«Ti ho già detto che non provo niente per te, sei il mio migliore amico, cazzo Ciak... Ci siamo visti neanche un'ora fa dopo quattro mesi di litigi e tu che fai? Arrivi e mi baci? E no, eh! Ti ringrazio per la sorpresa, ti perdono, ma questo non vuol dire che puoi baciarmi senza che io voglia!» cercai di essere il più chiara possibile senza alterarmi, ma ci riuscii malamente. Quel suo gesto avventato mi aveva innervosita e scossa.

«Sc-scusa Miki, hai ragione» abbassò il volto senza neanche provare ad alzarsi da terra.

-



CASTIEL

Da cinque giorni Debrah era come una sanguisuga, mi cercava costantemente e continuamente insisteva sul voler stare a casa mia. Fino a qualche tempo prima avrei dato tutto pur di avere quel genere di attenzioni da parte sua, invece in quei giorni -dalla sera di Natale esattamente- non sapevo cosa mi fosse preso ma la reputavo insopportabile. Eppure continuavo a stare con lei. Avevo bisogno di un ottimo specialista, evidentemente. 

Mentre ancora riflettevo sulla mia poca sanità indossai, sbuffando, quel maledetto papillon e quel vestito elegante che da sempre odiavo ma che perennemente mi trovavo a dover indossare. Anche quella sera, vigilia di Capodanno, dovevo lavorare. Certo, quel lavoro mi era retribuito bene e non potevo lamentarmi. Grazie ai guadagni riuscivo a mantenermi da solo ormai da due anni, ed ero fiero di quel particolare. Non dovevo più chiedere nulla a quella sottospecie di genitore che mi ritrovavo, ed anche al momento del divorzio da mia madre non mi sarebbe spettato nulla, per fortuna. Non volevo i soldi del suo lavoro che aveva sfasciato la mia famiglia già sul nascere. 

Lavoravo in una strana e grande compagnia comandata e gestita da un unico capo, molto conosciuto in forse tutto il mondo. Mi aveva sempre detto di essere alla ricerca della mia partner ideale e che quando l'avrebbe trovata, insieme avremmo potuto fare grandi cose, e mi avrebbe aumentato lo stipendio. Io, personalmente, avevo sempre ritenuto che quel vecchio avesse qualche rotella fuori posto, ma dettagli. Negli anni avevo fatto di tutto, dal cameriere al cuoco, dal lavapiatti al pianista, dal chitarrista al batterista. Il fatto che conoscessi bene la musica era un punto a mio favore. In realtà le uniche cose che mi avevano trattenuto dal non sbottare e lasciare quel lavoro erano il bisogno di soldi insieme alla voglia di sfondare proprio nel mondo della musica. Probabilmente grazie a quella compagnia ci sarei riuscito, un giorno. 

 -



MIKI

Ciak comprese il motivo del mio rifiuto e del mio nervosismo, ed anzi mi chiese di perdonarlo dicendo che fosse stato stupido da parte sua provare a baciarmi. Quando il suo imbarazzo svanì decise di raccontarmi qualcosa sul famoso Paco Rabanne. Ormai mancava poco al nostro arrivo al Gala ed io non avevo la minima idea di cosa avrei trovato in quel luogo. 

«Paco ha quasi 80 anni, è nato in Spagna, ma si è trasferito in Francia sin da piccolo. Il suo vero nome è Francisco Rabaneda Cuervo. Divenne famoso già da giovane, creando gioielli per Givenchy e Dior, in quei tempi lo chiamavano "l'enfànt terrible". Quando si rese conto di essere pronto a spiccare il volo, nel 1966 creò la sua casa di moda. Ciò che mi ha sempre incuriosito di lui è la sua attitudine e mania di controllo. Da anni ormai, vengono selezionati molti giovani per lavorare con lui. Prende ragazzi e ragazze iscritti nelle varie agenzie che lo colpiscono particolarmente, e poi magari il lavoro per cui ambiscono è l'ultima cosa che gli fa fare. Tutti assecondano le sue richieste perché è un uomo molto potente. Oggi potrai averne la prova. Ogni persona del suo staff è scelta personalmente da lui o dai suoi collaboratori più stretti, e ovviamente sono tutti di bella presenza o che soddisfano determinati requisiti. Ha una squadra dietro di se incredibile... Ha un catering, una band. È impressionante il suo staff, sul serio. Dice di non voler mai fare brutta figura, di voler essere impeccabile e che per questo motivo preferisce avere sotto controllo ogni cosa».

Dalla descrizione del mio amico quello stilista m'incuriosì molto. Persino Ciak stesso ne sembrava ammaliato. Aveva parlato di lui con un'ammirazione e venerazione incredibili. Nutriva molte speranze in quell'uomo e in quell'opportunità concessa. Io non sapevo come fosse d'aspetto quello stilista, conoscevo solo il nome ed il suo profumo "one million" molto di voga tra i giovani italiani negli ultimi anni. Era strano che uno stilista fosse concentrato non soltanto sui vestiti, sugli accessori, sulle fragranze, ma anche sul cibo e sulla musica necessaria per ogni sfilata o evento. Quel particolare mi risultò bizzarro, ma nello stesso tempo entusiasmante. Perlomeno dava lavoro a molte persone.

«Sarà sicuramente interessante conoscerlo».

«Beh, per questo non dovrai aspettare molto. Siamo arrivati al luogo della fiesta» disse Ciak urlando e allungando l'ultima vocale, appena l'auto si fermò.

Ero ufficialmente arrivata al famoso gala dei VIP di Capodanno. Non sapevo cosa aspettarmi da quella serata e non sapevo neanche in che zona di Parigi fossimo. Ma non appena scesi dalla limousine capii ogni cosa. Ancora una volta la Tour Eiffel avrebbe fatto da scenario ad una mia notte di festa. Solamente sei giorni prima ero stata sotto quella torre, proprio lì dove io e Castiel eravamo stati incoronati Re e Reginetta del ballo di Natale. Dei brividi si formarono sulle braccia nel ripensare a quella notte, sperai di passare un Capodanno migliore. Ovviamente quella sera non saremmo stati all'aperto, ma in un locale lussuoso a qualche metro dalla Tour Eiffel. Mi guardai intorno per studiare il posto e notai un lunghissimo tappeto rosso partire dal marciapiede dov'eravamo scesi noi e finire proprio sull'entrata di un locale. Ai lati del tappeto erano state posizionate delle transenne dove tante ragazzine urlanti indicavano verso la nostra direzione. Ma se Ciak non era ancora divenuto famoso, allora per chi stavano urlando?

Come se avesse potuto leggere la mia mente Ciak rispose al mio dubbio «Sanno del nuovo acquisto del team Rabanne e stanno urlando proprio per il sottoscritto. Da circa un mese sui Social ufficiali dello stilista hanno pubblicato delle mie foto e da quel momento non si fa altro che parlare di me. I miei follower sono saliti tantissimo, ne ho già 2 milioni e tutto ciò ancor prima di ottenere un vero ingaggio. Ho ricevuto tanti riscontri positivi dal pubblico e commenti poco casti dalle ragazze. Sono troppo felice, Miki! E pensare che io non ho fatto altro che raccontare le mie giornate, i miei allenamenti e postare foto. Amo questo mondo, questo lavoro. Non vedo l'ora d'iniziare seriamente». 

Restai sbalordita dal suo racconto. Non mi sarei abituata facilmente all'idea che il mio migliore amico stesse diventando l'idolo di migliaia di ragazze. Non utilizzavo molto i Social e non mi ero minimamente accorta della sua crescita sconsiderata di seguaci. Non risposi all'ennesima rivelazione della serata di Ciak, non ne trovai le parole. 

E lui, vedendomi in totale imbarazzo prese il mio braccio mettendoselo sotto al suo ed insieme c'incamminammo lungo il tappeto rosso. Camminavamo a passo di lumaca, Ciak spesso si fermava a firmare autografi e a scattare foto con le fan, mentre io restavo immobile spettatrice della scena. Ero incredula di ciò che si stava materializzando sotto i miei occhi; il mio migliore amico era davvero diventato un personaggio pubblico, da quel giorno lo avrebbero fermato per strada, le sue ammiratrici avrebbero urlato ai quattro venti quanto fosse bello e perfetto, e lui avrebbe sostenuto quelle ragazze, le avrebbe aiutate nei momenti tristi. Quelle reazioni le avevo avuto anch'io con i miei cantanti preferiti. In quel momento m'immedesimai parecchio in una ragazza che mi chiese di scattarle una foto insieme "al suo amore", lo aveva definito così. Ed io non esitai, le sorrisi e realizzai il suo sogno. Certo, tutta quell'acclamazione verso un personaggio conosciuto solamente un mese prima era un tantino esagerata, ma sapevo come andavano quelle cose e non me la sentii di condannare quella folla.  

Come se non bastasse, dopo aver passato le fan, ci raggiunse la televisione di un canale francese. Cominciarono ad intervistare Ciak ed io restai in disparte. Mentre ascoltavo le sue risposte mi accorsi che era migliorato molto nel francese; usava persino gli accenti corretti e non sbagliava neanche la pronuncia di una parola. Di sicuro aveva frequentato un corso di dizione. I movimenti del suo corpo e l'espressione del suo viso erano misurati, tranquilli, oserei dire calcolati. Più minuti passavano e più mi rendevo conto che del vecchio Ciak era rimasto davvero poco. Solamente i suoi occhi, fino a quel momento, apparvero quelli naturali. Nonostante la sua bellezza da sempre indiscussa, in Italia, aveva un'aria buffa e dei movimenti naturali, non era per nulla controllato, faceva ogni cosa spontaneamente senza pensare alla conseguenze. Ma quelle caratteristiche da sempre apprezzate in lui erano come sparite quella sera. Era diventato semplicemente un burattino nelle mani del più potente.

«La tua accompagnatrice è per caso un nuovo acquisto del team Rabanne? A noi puoi dirlo, sappiamo mantenere i segreti» la giornalista che aveva formulato quella domanda strizzò un occhio e poggiò una mano sul petto di Ciak quasi tastandolo. Stava per caso flirtando con un minorenne? Per carità aveva quarant'anni quella donna, aveva per caso perso il lume della ragione? Mi schiaffeggiai mentalmente per ciò che i miei occhi stavano dovendo vedere.

Poi un'espressione schifata si dipinse sul mio volto. Doveva essere una giornalista da quattro soldi se il suo intuito le aveva suggerito che fossi una modella. Non avevo nulla a che vedere con loro.

«Oh... No» sorrise nella mia direzione Ciak «lei è la mia migliore amica!» 

Con quella risposta il mio migliore amico aveva accumulato punti. Non aveva risposto alle avance esplicite della giornalista, ma aveva utilizzato semplice professionalità. Lo ammirai. Ma ovviamente quella sua risposta generò ulteriori domande, tra cui: "non sembri convinto, c'è qualcosa di più tra voi? E' la tua ragazza? Chi è allora?" Alzai gli occhi al cielo per l'irritazione e incontrai l'insegna del posto in cui avremmo cenato, semmai ci fossimo arrivati all'interno della struttura. Di quel passo neanche per il giorno dell'Epifania avremmo concluso quella serata. Comunque il locale si chiamava: Alain Ducasse. La struttura di quel posto era a forma tondeggiante e piena di finestre, porte di vetro trasparenti. Di muro ve n'era poco. Restai sbalordita per la bellezza di quelle vetrate. Ad abbellire il tutto erano le luci, poste in ogni angolo, pronte a donare suggestione.

Ciak continuava a rispondere alle domande di varie televisioni o a posare per qualche foto di giornale, era passata già mezz'ora dal nostro arrivo. Io continuavo a seguirlo senza alcun interesse. Più i minuti scorrevano e più gente arrivava. Tra tanti riconobbi parecchi volti noti, da sempre visti in televisione o in qualche film o su qualche rivista di moda. Era incredibile quanto una vita potesse cambiare da un momento all'altro. Ieri non mi sarei mai e poi mai immaginata di essere catapultata in un mondo simile per una sera. Era tutto strano e troppo confusionario per una come me. Avevo bisogno di una persona affianco, ma quella persona era impegnata ad atteggiarsi con gente che non faceva altro che elogiarlo. Quindi era quello tutto il divertimento che avrei avuto quella sera? Che ruolo avevo io? Non avremmo mai festeggiato insieme, come ci eravamo promessi, di quel passo. 

Per non pensare eccessivamente e per evitare di star male ulteriormente, incuriosita dalla struttura tondeggiante ritornai ad ammirarla. Di quel passo avrei fatto in tempo a prendermi una laurea in architettura, che al mio ritorno avrei trovato Ciak ancora lì intento a rispondere a quei giornalisti impiccioni. Proprio mentre ammiravo da qualche metro di distanza uno dei tanti decori sulle porte, mi apparve una visione davanti agli occhi. Ero diventata matta per caso? Mi mancò la terra sotto i piedi per un minuto buono quando mi resi conto di dovermi rinchiudere in un manicomio, da quel giorno. Perché lui non poteva essere lì, nello stesso mio posto. Lui non aveva niente a che vedere con il mondo di Ciak. Chiusi gli occhi e mi trattenni dallo strofinarli per evitare di rovinare il trucco e quando li riaprii speravo nella scomparsa della visione, ma lui era ancora lì.

Non captando nient'altro se non lui, mollai Ciak senza avvertirlo, percorsi il restante e brevissimo tratto di tappeto rosso quasi correndo, e mi diressi verso quel ragazzo. Volevo vedere e capire da vicino quanto fossi diventata pazza di lui. Era davvero impossibile che lui si trovasse lì. Infatti una volta giunta al punto in cui lo avevo intravisto, non c'era più. Sbirciai ogni angolo per dimostrare a me stessa di non essere matta; ma neanche in quel caso lo trovai. Perché il mio cervello aveva riprodotto la sua immagine in un momento in cui lui non era neanche tra i miei pensieri? Era così grave la mia situazione?

«Cerchi qualcuno?»

La sua voce. Ero addirittura diventata sorda o Castiel era proprio lì nel mio stesso posto? Se non lo avessi visto con i miei occhi non ci avrei mai creduto. Quel gala era esclusivamente per gente selezionata e poi non avrei mai immaginato che ad uno come lui potesse interessare quel genere di festa. Castiel era un ragazzo dalle mille risorse.

Senza rispondere alla sua domanda mi voltai in direzione della voce e lo guardai dalla testa ai piedi. Una visione, un miraggio non poteva essere così reale. Castiel era realmente lì per qualche strano motivo a me ignoto. Aveva un vestito elegante che mi ricordava un cameriere. Aveva camicia bianca, papillon e gilet nero. Vederlo di nuovo dopo cinque giorni, dopo quegli accaduti, dopo il nostro addio, mi fece battere il cuore e come sempre non capii più nulla, era così bello rivederlo dopo tutti quei giorni. Ma nonostante ciò nella mia mente risuonarono le parole cattive che mi aveva detto e che io di conseguenza gli avevo urlato, così mi convinsi di non doverlo parlare neanche in quell'occasione sebbene fossi contenta di vederlo. 

«Miki?!?» evidentemente non mi aveva riconosciuta prima di spalle «Oh cazzo!» spalancò gli occhi per la sorpresa quando riuscì a vedermi nel mio vestito «s-sei b-belli... S-stai bene così!» si stava lasciando andare ad un complimento troppo esagerato per uno come lui, infatti si corresse. Mi fece sorridere ugualmente il fatto di averlo sorpreso, non era scena di tutti i giorni vedere un Castiel in imbarazzo balbettare.

Non sapevo se quello fosse un modo per cercare di recuperare un rapporto ormai giunto al capolinea o se fosse ancora una delle sue tattiche per farmi entrare nel suo letto. Evidentemente Debrah non l'aveva soddisfatto. Scacciai quei pensieri poco casti e mi ricordai di non doverlo parlare e così feci. Lui continuava a guardarmi dalla testa ai piedi sbalordito e compiaciuto, mentre io continuai ad ignorarlo incrociando le braccia al petto. Non l'avrebbe avuta vinta con me sebbene morissi dalla voglia di chiedergli cosa ci facesse lì uno come lui.

«Ehi tesoro che succede? Perché sei scappata?» udii la voce di Ciak alle mie spalle.

Era arrivato nel momento giusto con le parole giuste. Castiel nell'udire quelle parole e nel vedere l'evidente bellezza del mio migliore amico cambiò totalmente espressione, mi sembrò di vederlo innervosirsi ma non ne fui sicura. Dopotutto non ne aveva motivo. Io non gli piacevo e nel suo cuore non avevo tutta quella importanza. 

Ma proprio in quel momento mi balenò nella testa un'idea che forse era meglio non pensare. Volevo dimostrare la poca importanza che Castiel avesse nella mia vita, fargli capire che lui non fosse al centro del mio mondo, convincerlo di esser stata capace di andare avanti. Sapevo che con quel mio comportamento mi sarei messa in cattiva luce nei suoi confronti; solo cinque giorni prima gli avevo confessato -falsamente- di volerci provare con Nathaniel ed ora sapendomi felicemente fidanzata con un aspirante modello non mi avrebbe creato una buona reputazione, ma poco m'importava. Era pur sempre l'immagine che volevo trasmettere di me stessa, e da quel giorno anche lui avrebbe dovuto avere quell'idea di me. Castiel non era diverso dagli altri.

«Oh Love, mi ero solamente scocciata di vedermi tutte quelle telecamere e tutti quegli occhi puntati addosso, mentre tu finivi le tue interviste, così ho deciso di entrare. Sono felice che tu mi abbia raggiunta presto, questi minuti senza te sono sembrati un'eternità. Mi mancavi già..» ed inscenai la recita senza pensare alle conseguenze che quella mia frase avrebbe potuto provocare in Ciak. Sperai solamente che mi avrebbe retto il gioco da migliore amico qual era stato negli anni precedenti. 

Per un attimo però, avevo dimenticato che Ciak non fosse più lo stesso. Infatti non assecondò le mie parole. Rimase talmente confuso da non riuscire ad emettere neanche un suono, continuava solamente a guardarmi imbambolato. Castiel, invece, oltre che parecchio confuso era sorpreso negativamente, ma non potei giudicare quelle sensazioni come vere perché quel ragazzo era un mistero.

«Ora andiamo. Sono proprio curiosa di conoscere il tuo amato Paco» finsi un sorriso e poi afferrando Ciak dal braccio, lo trascinai via da quell'angolo dove rimase Castiel, ogni secondo più sbalordito. 

Ovviamente il rosso non aveva mai visto o sentito parlare di Ciak prima d'allora, e quello per una volta giocò a mio favore. Non sapevo bene cosa avrei ottenuto dalle mie menzogne, ma volevo vendicarmi, dare una lezione a quel pallone gonfiato di Castiel Black. La sera di cinque giorni prima aveva insinuato cose non troppo piacevoli per me, mi aveva fatto capire di essere quasi convinto che io provassi qualcosa per lui e come se non bastava mi aveva umiliata. Quella delusione non mi sarebbe passata se prima non avessi dimostrato il contrario delle sue insinuazioni. Tra noi, da quel momento, sarebbe stata guerra aperta. E non m'importava se a lui fregasse o meno di me, doveva ficcarsi in quella brutta testolina rossa che io vivevo benissimo anche senza di lui.

«Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo?» una volta lontani dal rosso, Ciak mi chiese giustamente spiegazioni sul mio strano comportamento. Strappò il braccio dalla mia mano e mi guardò negli occhi con sguardo furente «Chi è quello? Lo conosci?»

A quel punto chiusi gli occhi e gettai dalla bocca un enorme sospiro. Per troppo tempo avevo mentito a Ciak ed era giunto il momento di concedergli una prima verità. Sapevo di ferirlo, ma avevo tastato sula mia pelle che di bugie ce n'erano state già troppe e facevano ancora più male di un'amara verità. Così gli rivelai quella verità senza filtri, gli raccontai brevemente del mio incontro con Castiel, dei nostri baci, dei nostri litigi, di Debrah, del ballo, ogni cosa accaduta in quei quattro mesi.

«Quindi tu vorresti dirmi che preferisci quelli come lui a quelli come me?» si mostrò compiaciuto. Aveva sviluppato troppa fiducia in se stesso «Sul serio Miki? Io dovrei competere con uno zotico, senza classe, dai capelli rossi e lunghi?» fu il suo turno di essere sbalordito.

"Quando arriva la parte in cui tu gli dai un dolce ceffone in pieno viso accompagnato da un tenero calcio in culo? No, perché altrimenti lo faccio io!" riapparì in un momento poco opportuno, la mia coscienza. La lasciai sbruffare sola mentre io tornai con la mente a quella insinuazione di Ciak.

Avrei tanto voluto rispondergli "al cuor non si comanda", ma decisi che sarebbe stato meglio mordersi la lingua per non peggiorare la situazione e così feci. Ciò che Ciak non riusciva a capire era che erano i difetti a rendere una persona unica nel suo genere, e Castiel lo era. 

Non appena aprii la bocca per replicare al mio migliore amico, venne chiamato dall'ennesima giornalista della serata che lo intervistò. Tutta quella attenzione su di lui era esagerata, non ero gelosa ma semplicemente stavo ragionando con la testa. Ciak era un semplice ed aspirante modello, non capivo quel loro continuo tartassarlo.

Approfittando dell'ennesimo momento di solitudine della serata cominciai a fissare la sala, visto che fino a quel momento non ne avevo avuto l'opportunità, grazie ad una persona che aveva occupato tutta la scena. 

L'ambiente in cui mi trovavo era molto grande, a mio parere poteva arrivare ad ospitare oltre mille persone. La stanza era tutta bianca, al centro vi erano quattro pilastri rotondi che facevano da sostegno ad una specie di balconcino anch'esso rotondo. Sotto il balconcino delle scale permettevano di accedere al piano superiore. Erano proprio accanto a dove mi trovavo io, così curiosa percorsi le scale e arrivata al piano superiore alzai la testa. Quello spettacolo lo avrei ricordato per tutta la vita. C'era un enorme lampadario -grande quanto tutto il balconcino- che scendeva a grappolo ed arrivava al piano inferiore quasi a due metri da terra. Il lampadario era di Swaroski, brillava talmente tanto da emettere tutti i colori dell'arcobaleno... Quei colori regalavano un'atmosfera bellissima ed emozionante, erano molto suggestivi. Le sfere di cristallo potevano persino essere toccate da dove mi trovavo io, così completamente ammaliata da loro, mi avvicinai toccandole e notai che al centro della cascata di Swaroski vi era un enorme palla anch'essa di cristallo e diamanti, ma questa a differenza delle altre, emanava luce artificiale illuminante gran parte della sala. 

Dal balconcino si godeva di un'ottima vista, perché posto al centro della sala, da lì si poteva guardare e tenere d'occhio ogni cosa. Il piano superiore era vuoto. Diedi uno sguardo ai tavoli sotto di me, erano tutti bianchi e rotondi, mentre le sedie non erano semplici ma erano delle vere e proprie poltrone anch'esse bianche. C'era fin troppo bianco in quella stanza, quasi come se fossimo nel paradiso di Dante Alighieri, l'unico paragone stupido che mi venne in mente in quell'istante.

Cercai di non pensare a quel dettaglio inquietante, così ammirai gli invitati al gala. Più passavano i minuti e più la sala si riempiva di gente ben vestita, ma nessuno superava la bellezza, l'eleganza e la raffinatezza del mio abito, modestamente. Forse Ciak aveva esagerato nella scelta, ma poco importava, quello era l'abito dei miei sogni e finalmente ero riuscita ad indossarlo. Il mio sguardo successivamente cadde sui camerieri cercando di capire se la confidenza fattami da Ciak un'ora prima, in auto, fosse vera o meno. Li guardai per bene e fu così, Ciak aveva detto la verità. Ogni persona dello staff era di bella presenza, alta e con un fisico asciutto, ma la cosa che risaltò ancor più ai miei occhi fu che tutti erano vestiti come Castiel. Era inevitabile, ogni pensiero, ogni sguardo mi riportava pericolosamente a lui. Cosa ci facesse quel ragazzo a quell'evento era un mistero; sebbene gli altri camerieri fossero vestiti come lui, lui non poteva far parte dello staff di Rabanne, c'era qualcosa di diverso in lui da non poterlo minimamente paragonare a quei bellocci tutto muscoli facenti parte di quel mondo. 

«Signorina le è piaciuto il vestito, quindi...» una voce di un uomo maturo alle mie spalle rivolta a me.

«Mi scusi?!? Ci conosciamo?» replicai, cercando di capire, e voltandomi verso di lui. Mi si presentò un uomo più anziano di quanto avevo immaginato ascoltando soltanto il suo tono di voce.

«Venga! Mi accompagni al piano di sotto» non rispose alla mia domanda, al contrario dettò ordini e rise di gusto.

"Ma che modi sono questi? Neanche un misero per favore o una richiesta. Niente. Come se fossi costretta ad obbedire a lui per forza. E poi cosa sei un pagliaccio? Come si permette a riderti in faccia?!" la mia coscienza sempre presente che invece di farmi ragionare, m'istigava alla violenza.

«Oh! Non riesce a camminare solo?» cercai di mantenere un tono calmo, ma dentro di me bollivo dal fastidio. Odiavo quando qualcuno voleva darmi ordini.

Era alto su per giù un metro e settanta, di corporatura robusta, aveva i capelli grigi e una barba di media lunghezza. Appariva come un uomo distinto ma a me non stava per niente simpatico.

Acconsentii ad aiutarlo giusto per non apparire scostumata. Ci recammo davanti le scale ma senza capirne il motivo sul primo gradino si fermò, senza continuare a scendere.

«C'è qualcosa che non va? Non riesce a scendere le scale? La devo prendere di peso e trascinarla giù? In tal caso chiamerei i rinforzi, ho degli amici qui, da sola non ci riuscirei mai a portarla di sotto» sicuramente dovetti risultare buffa ai suoi occhi perché riprese a ridere come se avessi fatto la battuta migliore dell'anno. Corrugai la fronte. Quel vecchio stava iniziando ad irritarmi. Non solo avevo acconsentito ad aiutarlo a scendere le scale, ora si permetteva persino di fare i capricci facendomi aspettare come un ebete davanti quei dodici gradini. E poi... non mi parve di vederlo incapace di camminare o particolarmente malato. Qualcosa non mi tornava.

«Signorina mi tolga una curiosità: lei non ha proprio capito chi sono eh?» si avvicinò al mio orecchio come se mi stesse confidando un segreto. Il suo sguardo curioso attendeva una risposta ed io avevo capito a che gioco stesse giocando. Il vecchietto aveva voglia di spacciarsi per il vip della situazione.

«Oh sì che lo so!» mi fermai per un attimo dal rivelargli chi fosse per me «Lei è un signore molto pigro che non ha voglia di scendere le scale, anzi ce la sta mettendo tutta per irritarmi e devo dire che ci sta riuscendo. Ora possiamo scendere o...»

Fui bloccata da una voce maschile al microfono che attirò l'attenzione di tutti compresa quella del signore accanto a me.

«Signori e Signore buonasera. Diamo il via a questa splendida serata con l'ingresso del padrone di casa. Sollevate tutti gli occhi. Ecco a voi l'unico ed inimitabile Paco Rabanne...» allungò le vocali sul nome del famoso stilista. 

Ero proprio curiosa di conoscerlo, non avevo mai visto una sua foto. I racconti di Ciak mi avevano incuriosita incredibilmente. Cercai di sbirciare da dove sarebbe potuto entrare, ma di lui nessuna traccia. Un attimo. Quell'uomo al microfono aveva detto "sollevate tutti gli occhi!"   Oh cazzo!

«A quanto vedo i ruoli si sono invertiti. Ora è lei la pigra della situazione? Hanno annunciato la mia entrata, adesso è arrivato il momento di scendere» marcò la parola "adesso" e mi prese a braccetto mentre io restai immobile, di sasso.

«Che cosa?!?» mi uscì spontaneo un urlo che superava di parecchio i decibel legali. Non potevo crederci, avevo appena fatto la figura di merda peggiore della mia vita. Non solo avevo incontrato prima di tutti il grande stilista, ma lo avevo anche definito pigro e non lo avevo riconosciuto. Avevo persino osato a fare la saccente e la simpatica con lui. Mi ero addirittura infastidita dei suoi comportamenti quando era programma della serata che lui entrasse dopo un annuncio.

La cosa fu ancora più grave perchè mi trovavo ad una sua festa. Per l'imbarazzo ritornai al centro del balconcino -lontana dalle scale- e abbassando lo sguardo mi coprii il volto con le mani, senza curarmi del trucco. Sarei voluta scomparire. Non facevo altro che combinare guai.

Ma il signore pigro, seguendomi, prese le mie mani levandole dal mio viso, poggiò le sue sotto il mio mento e con pollice ed indice mi sollevò il volto: «stai tranquilla! Ho già qualcosa in mente per farti perdonare» rise furbamente rivolgendosi a me con il tu. Fino a quel momento mi si era rivolto con il lei. Quella frase appena pronunciata dalla sua bocca rugosa poteva essere fraintesa e a me non piaceva per niente.

«Nulla di scabroso, non preoccuparti. Farai un provino come modella nel mio studio!» mi spiegò vedendo totale confusione sul mio volto. Ma quella sua spiegazione non mi era stata di molto aiuto e di certo non mi aveva rassicurata.

«Forse finalmente ho trovato la modella giusta per quel ragazzo». 

Di quale ragazzo stava parlando? Senza spiegarmi cosa stesse farneticando, prese il cellulare e sembrò digitare un messaggio.

Avrei voluto strapparmi i capelli per essermi infilata in quel guaio. Fare la modella non era una mia ambizione e non avevo alcuna intenzione di assecondare quello stilista capriccioso. Quella sera sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei visto, non l'avrei mai più incontrato, quindi non avrebbe dovuto perdonarmi un bel niente. Dopotutto non lo avevo riconosciuto ed ero stata leggermente scorbutica con lui inizialmente, non era la fine del mondo e non avevo ucciso nessuno.

«Le chiedo scusa di esser stata irrispettosa nei suoi confronti e di non averla riconosciuta, ma io non farò alcun provino per farmi perdonare. Non è accaduto nulla di grave!» ritrovai il coraggio e la mia determinazione rifiutando quella sua offerta guardandolo dritto negli occhi. Poco importava della sua potenza o importanza nel mondo.

Ma quella mia replica parve infastidirlo molto. Mi prese il braccio, lo infilò sotto il suo e ci voltammo nuovamente verso le scale. Tutti gli invitati ci stavano fissando e tutte le telecamere dei vari canali televisivi ci stavano inquadrando. Perfetto! La mia figuraccia sarebbe stata mandata in onda per tutta la Francia e chissà dove altro. Con quattromila occhi puntati addosso cominciammo a scendere le scale. Non me la sentii di fare scenate davanti a quelle persone, così cercai di sorridere ed essere il più disinvolta possibile sebbene avrei voluto trovarmi da tutt'altra parte. Magari nel mio letto. Da sola. Tutti cominciarono ad applaudire e arrossii dalla vergogna. Ero abituata ad avere attenzioni soprattutto per il mio modo di vestire quotidianamente, ma quel genere di attenzione era diversa rispetto al solito.

Continuavo a non capire quell'uomo. In tutta la sala avrebbe potuto trovare migliaia di modelle che avrebbero fatto a gara per essere notate da lui e da tutto il mondo. Perché aveva scelto me? Non avevo professionalità o esperienza. I tacchi e i vestiti erano la mia passione, vero, ma non avevo il portamento di una modella e mai lo avrei avuto. 

Puntai gli occhi alla fine della scalinata e trovai quelli di Castiel. Sembrava ci stesse aspettando e restò sbalordito nel vedermi a braccetto con lo stilista. Anch'io lo ero. Ci guardammo intensamente, il suo sguardo bruciava su tutto il mio corpo ma stranamente fissando lui mi sentii di nuovo a mio agio. Era strano come mi faceva sentire.

Quando scendemmo l'ultimo gradino, Rabanne si liberò dalla mia presa, e mandò vari baci e saluti alle persone presenti in sala. Io restai immobile a fissare Castiel e lui fece lo stesso con me.

«Bene! Mettetevi vicini» lo stilista si avvicinò a me dopo aver terminato i saluti al microfono. Poggiò le mani sulle mie spalle e mi spostò avvicinandomi a Castiel. Entrambi restammo fermi. Io non stavo capendo più niente. L'unico a capirci qualcosa sembrò proprio Paco che ci guardò per due minuti buoni, accarezzandosi la barba con le mani. Io ed il rosso eravamo terribilmente imbarazzati e confusi, nessuno dei due capiva dove volesse andare a parare quello stilista bizzarro.. O forse l'unica a non capirci niente ero proprio io. Nella sala nessuno fiatava, tutti pendevano dalle labbra del potente Rabanne.

«Il 7 Gennaio alle 20:30, nel mio ufficio. Entrambi. Tu, signorina, sei minorenne e dovrai venire accompagnata da un tuo famigliare. Buona serata!» ci comunicò fiscalmente ciò che avremmo dovuto fare e girò i tacchi lasciandoci soli.

Sgranai gli occhi sorpresa. Cos'era appena successo? Ero esterrefatta. Sapeva persino che io fossi minorenne, Ciak aveva dovuto mostrargli una mia foto e aveva sicuramente parlato di me, era l'unica spiegazione visto che prima, sulle scale, aveva persino parlato del mio vestito. 

Quel vecchio non aveva minimamente considerato il mio rifiuto categorico di non voler fare il provino. Avevo appena avuto la prova di chi fosse realmente Paco Rabanne. Mi aveva imposto qualcosa che non volevo fare, come se lui potesse decidere al posto degli altri, come se lui fosse il padrone del mondo. Che nervi!

Appena lo stilista si allontanò il rosso cominciò a ridere incredulo, lui non sembrava essere infastidito dall'imposizione dello stilista, quasi come se fosse a conoscenza di qualcosa.

«Certo che neanche a farlo apposta... Tra cento sei tu quella che vede giusta per me!» finì quella frase con un sorriso sghembo mentre io perdevo cento anni di vita. 

Quella frase che per qualche strana ragione associai a tutt'altro e quel sorriso mozzafiato mi avevano stesa, le mie barriere erano cadute nuovamente davanti a lui. E per un attimo gli rivolsi la parola, giusto per capire qualcosa in più su quella storia.

«Cioè tu sai cos'ha in mente quello lì? Lo conoscevi già prima?» mi morsi la lingua per non chiedergli altro. Non dovevo.

«E che credi, che io sia qui per grazia divina?!» mi si rivolse con il suo solito tono arrogante, quasi seccato. In altre situazioni lo avrei lasciato solo, ma quella sera non potevo, dovevo vederci chiaro in quella storia.

«Smettila di fare il misterioso per una volta e dimmi cosa diavolo c'entri con lui»

«Sai quanto odio quando mi s'impone qualcosa. E poi non vedo il motivo per il quale dovrei informarti di qualcosa di personale. Noi non siamo niente, non sei stata tu a dirmelo l'ultima volta?»

«Castiel, vaffanculo!» e con charme e rabbia mi allontanai da lui lasciandolo solo a fare qualsiasi cosa lui era andato a fare a quel gala. 

Alla fine non avevo resistito. Dopo tutto si era permesso anche a ricordarmi di quella sera, di fare l'arrogante. Mi aveva appena dimostrato di non voler recuperare alcun tipo di rapporto con me ed io di certo non sarei stata il suo burattino. Non gli avrei rivolto più la parola, sul serio. Per il momento cercai di tenere a bada la mia curiosità sul cosa ci facesse lui ad un gala e sul motivo per il quale Rabanne avrebbe voluto farci fare un provino insieme. Entrambi avevano pronunciato delle strani frasi. Ma non m'importava di scoprire niente, non avrei fatto quel provino per nulla al mondo.

Andai alla ricerca di Ciak, solamente lui avrebbe potuto aiutarmi a disdire quell'appuntamento. Per come mi aveva detto lui era molto in confidenza con Rabanne, lo avrebbe convinto, ne ero sicura. Girovagai, senza mai trovarlo, per tutta la sala. Incontrai parecchi volti noti della televisione ma dalla fretta e per la confusione che avevo in testa, non mi scusai quando li spinsi o li urtai senza volerlo. Parecchie ragazze avrebbero voluto trovarsi nella mia stessa situazione, ma non potevo farci niente se quello non volevo che fosse il mio futuro mondo. Da grande avrei tanto voluto lavorare in una rivista di moda, ma come redattrice non come modella. Conoscevo bene le tendenze di stagione ma non avrei mai voluto posare o essere fotografata. E poi non avevo la minima intenzione di lavorare insieme a Castiel, non dopo il nostro litigio. 

Ma più lo cercavo e più Ciak sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Così decidi di tentare il tutto e per tutto andando fuori, nel giardino situato nella parte posteriore della sala. Uscii fuori, e dopo aver girovagato tra cespugli e fiori vari finalmente lo trovai. Gettai un sospiro di sollievo. Era lì, su una delle tante panchine, ma non era solo. Era con tre ragazze che immaginai fossero modelle vista l'altezza, la magrezza e la perfezione dei loro corpi.

«Ciak, finalmente ti ho trovato» dissi con il fiato corto «comunque potresti venire con me un attimo? Ho urgente bisogno di parlarti!» il mio tono di voce risultò supplichevole, come se la mia vita dipendesse da lui.

«Non conosco nessun Ciak. Io sono Francois» sollevò le sopracciglia infastidito e guardandomi con aria di sufficienza «in ogni caso ora sono impegnato, non lo vedi?!?»

Un'altra pugnalata mi arrivò dritta al cuore. Ed ecco che mi apparve davanti agli occhi la trasformazione completa del mio ex migliore amico. Dovevo chiamarlo così ormai. Dopo quella sua risposta capii che il vecchio Ciak non esisteva più, per davvero. Di lui non esisteva più neanche una misera traccia. Se fino a un'ora prima mi ero impegnata a cercarne le somiglianze e le differenze, da quel momento non ce ne sarebbe stato più bisogno. La situazione era palese, e mi fece male. Tanto male. Feci risalire le lacrime che minacciavano di uscire e mi avvicinai a lui. Gli avrei parlato davanti a quelle ragazze mettendo il mio orgoglio sotto i piedi per una volta. Lui era l'unico che poteva aiutarmi e dovevo risolvere quel piccolo problema con quel maledetto stilista. 

«Il tuo amato stilista del cavolo vuole che io faccia un provino, mi ha già fissato la data. Come se non bastasse dovrei presentarmi con quella testa di cazzo rossa e giocare a fare la modella insieme a lui. Io non voglio farlo per nessuna ragione al mondo. Ora dimmi che puoi aiutarmi a disdire questa cosa insulsa...» gli parlai quasi urlando in italiano sperando che nessuna delle ragazze parlasse la mia lingua. All'ultima frase incrociai le dita e chiusi gli occhi fin quando Ciak non mi rispose.

«Forse le cose che ti ho detto prima di entrare non ti sono chiare. A Paco Rabanne non si può dire di no. Sai quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto? Smettila di fare la capricciosa e vacci. Non sarà così terribile, vedrai».

«No, no e no! Io non farò il provino, deve esserci un modo per rifiutare, deve per forza esserci un...» alzai di qualche tono la voce facendola risultare più acuta. Non sapevo neanche perché mi stessi impuntando in quel modo, dopotutto non voleva dire niente un provino. Tanto, quasi sicuramente, in quell'occasione avrebbe capito che io non avessi la grazia e l'eleganza di una modella e mi avrebbe mandata a casa.. ma a chi volevo prendere in giro? La mia vera paura era e restava Castiel. Stare in sua presenza mi avrebbe fatta cedere, ancora una volta, ed io non potevo più soffrire per lui.

«Tu forse ancora non hai capito con chi hai a che fare. Metterti contro di lui vorrebbe dire chiudere tutte le porte per il futuro. Lui odia essere scavalcato o essere contraddetto. Se non vuoi ritrovarti senza un lavoro, da grande, devi andare a quel provino. Io ti ho dato un consiglio, poi fa' come vuoi..» non mostrò neanche un briciolo di compassione o interesse nei miei confronti. Il vecchio Ciak non mi avrebbe liquidata con quelle parole.

Aveva descritto quello stilista quasi come se fosse il diavolo in persona o comunque qualcuno da temere, uno degli uomini più potenti al mondo, eppure non riuscivo a capirne il motivo. Come poteva un semplice stilista avere tutto quel potere?

Con le sue parole dure mi aveva quasi convinta a partecipare a quel provino, non volevo avere problemi in futuro. Ma avrei cercato ugualmente da sola una scappatoia.

«Va bene. Grazie per le dritte e scusa per il disturbo. Non volevo farti perdere tempo.. Chiamami quando dobbiamo andare via, mi troverai ad ubriacarmi da qualche parte al bancone degli alcolici» non sapevo neanche perché uscirono quelle parole dalla mia bocca. Sembrai addirittura sconsolata o infastidita per averlo trovato con quelle ragazze e soprattutto per le sue risposte. Non avevo alcun diritto di avere quegli atteggiamenti. Fatto stava che dopo le mie frasi girai i tacchi e m'incamminai verso l'interno della struttura.

Non feci in tempo ad arrivare alla porta che una mano sul mio braccio bloccò la mia fuga. Mi voltai e trovai Ciak con uno sguardo di speranza, dovevo avergli trasmesso il messaggio sbagliato, poco prima. Ero una stupida, non c'era niente da fare, sapevo solo complicare le cose.

Senza parlare scese la sua mano fino alla mia e l'afferrò per poi trascinarmi in una parte di giardino che ancora non avevo visto. Dovetti ammettere che quel posto era molto suggestivo. Il giardino era completamente formato da un prato verde curato, con delle piante di qua e di là e delle siepi. L'unica parte senza verde erano delle panchine di legno insieme a dei lampioni piccoli. Ma il posto dove Ciak mi portò superò tutto. Quando si fermò ritrovai davanti agli occhi un ponticello di legno e ferro con sotto un laghetto. Senza staccare le nostre mani mi trascinò fino al centro del ponte e si poggiò alla ringhiera, concentrato guardò l'acqua di quel laghetto, lo imitai anch'io. Era pensieroso, in dubbio se dire o meno qualcosa. Ed io per la prima volta in dieci anni ebbi paura di ciò che la sua bocca avrebbe potuto far fuoriuscire. Per smaltire un po' di ansia mi concentrai sul lago. Come abbellimento vi erano delle piantine galleggianti e finte con dei fiori colorati, dentro all'acqua notai qualche pesce dai colori improbabili. Quel posto era il più romantico mai visitato ed ero in compagnia di quello che una volta era il mio migliore amico. Tutto questo era strano.

Girai il volto per ammirare lui, quella sicurezza che Ciak aveva nei movimenti, tutta la sua bellezza e perfezione mi spiazzarono. Qualcosa stava cambiando nell'aria e non era il clima. Così con semplicità facendomi un sorriso che avrebbe sciolto persino i ghiacciai del Polo Nord, cominciò a parlarmi, interrompendo quel silenzio che fino a quel momento aveva fatto da padrone alla situazione. Si staccò dalla ringhiera e si avvicinò a me, prese il mio volto tra le sue mani a coppa e guardandomi negli occhi...

«Parlo, parlo, parlo... Dico tante cose per nascondere l'imbarazzo, per nascondere le parole che vorrei urlarti ogni volta che ti guardo, ogni volta che siamo nella stessa stanza. So di averti promesso di non fare gesti avventati, di non complicare maggiormente le cose, ma non ci riesco. Non posso continuare a fare finta di niente Miki. Perché io ti amo, sul serio. Quello che provo nei tuoi confronti non è una semplice infatuazione, è amore, lo sento dal profondo del mio cuore. Volevo fare l'eroe, il superiore, stando in compagnia di quelle ragazze. Ma la verità è che nessuna è te. E' impossibile stare con altre quando so di poter avere te..» I suoi occhi erano sinceri come non vedevo da tanto tempo e mi aveva appena confessato i suoi sentimenti. Stentavo a crederci.

Il cuore cominciò a battermi forte, nessuno, aveva mai osato dirmi quel genere di parole. E lui le aveva sussurrate con una tale convinzione e disinvoltura da farmi tremare. Lui era il mio migliore amico, cavolo, non poteva farmi quell'effetto. 

Poi cominciò a sfiorarmi il lato inferiore degli occhi «perché nessuna ha il tuo sguardo...»

Passò ad accarezzarmi le ciocche sciolte dei miei capelli «perché nessuna ha i tuoi capelli color del grano e del sole congiuntamente...»

Poggiò le sue mani sui miei fianchi «perché nessuna ha il tuo corpo, neanche la modella più bella...»

Infine sfiorò la mia bocca con le sue mani disegnandone i contorni «Perché nessuna ha la tua bocca...» ed io schiusi le labbra senza rendermene neanche conto.

A quel punto la tentazione di baciarlo salì alle stelle, ogni mia convinzione, ogni muro che mi ero creata nei suoi confronti risultò essere di sabbia. Infondo un bacio non avrebbe fatto male a nessuno, infondo avrei potuto provarci. Dentro me salì una sensazione strana che non avevo mai provato per lui. Se gli fossi stata vicina un secondo di più avrei ceduto. Non resistevo più. Com'ero strana... Solo poche ore prima lo avevo allontanato e gli avevo urlato contro per aver provato a baciarmi, mentre poco dopo ero quasi io a volerlo baciare. Solo che... 

Guardare i suoi occhi da così vicino, mi stregò. Vedere quella dolcezza inaspettata m'ipnotizzò

Mi aveva fatta sentire speciale con le sue parole e con le sue carezze. Con nessuna era stato in quel modo prima di quel giorno. A nessuna aveva fatto quello sguardo, a nessuna aveva detto "ti amo", nessuna gli aveva rubato il cuore. Io ero soltanto fortunata a ricevere le sue attenzioni.

Continuammo a guardarci immobili, questa volta non provò a baciarmi, si vedeva volesse che a fare il primo passo fossi io. Se prima, in limousine non avevo avuto dubbi, ora ne avevo e pure tanti. Il mio cuore voleva baciarlo per capire finalmente che effetto mi avrebbe fatto, ma la mia mente continuava a bloccarmi, lui era il mio migliore amico, non potevo illuderlo di un qualcosa che non ci sarebbe mai potuto essere.

«Ora non vorrei niente di più di un tuo tenero abbraccio. Non chiedo poi tanto, non credi? Solo di sentirmi anche per un attimo importante per te... E sappi che qualunque cosa accada di brutto o di bello tra noi, non vorrò perderti mai, non posso vivere senza te!»

Se un minuto prima del muro erano rimasti pochi mattoni di sabbia con quell'ultime parole il muro di sabbia cadde definitivamente.

Feci come desiderava, mi avvicinai ancor di più al suo corpo e accorciammo le distanze in un abbraccio. Ma quello non fu un abbraccio amichevole, di mezzo c'era qualcosa di più. Il suo cuore batteva all'impazzata ed il mio non era da meno. Quelle nuove sensazioni verso lui mi fecero restare sbalordita. La sua dichiarazione schietta ma dolce aveva smosso qualcosa nel mio cuore.

Mentre la mia mente e il mio cuore continuarono a combattere per tutta la durata dell'abbraccio. 

Se lo baciassi, morirei. E allora cosa avrei dovuto fare?!? Avrei dovuto baciarlo lasciandomi morire, o non baciarlo continuando a vivere in dubbi e rimpianti?

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** CAPITOLO 16: Due ipotetici rivali ***


Capitolo 16

Due ipotetici rivali








Mentre il cuore e la mente combattevano, i due respiri pian piano si unirono. Si avvicinarono sempre più. Non riuscii a controllare i movimenti, il cuore sussultò quando le mie labbra baciarono le guance all'estremità della bocca del mio ex migliore amico. Già, dovevo definirlo così oramai. Il mio cuore era stato sin troppo lieto di accogliere le parole di Ciak, troppo per considerarle, semplicemente, le parole di un amico. A causa della bellezza dei suoi occhi, che continuavano ininterrottamente a fissarmi, mi sentivo leggermente frastornata. Non riuscivo a capire cosa fosse diventato quel ragazzo ed il legame che mi spingesse a lui. Non capivo più nulla. Tutto intorno era diventato come una foto modificata con effetto sfocatura, e l'unica immagine nitida di quella foto erano gli occhi di quel ragazzo. Erano tremendamente belli e profondi, non riuscivo a staccarne lo sguardo. Erano di un colore strano e nello stesso tempo attraente, tra il verde e l'azzurro. Quel colore che non poteva essere paragonato a niente per quanto fosse bello. 

Lui non si muoveva, assecondava ogni mio movimento, era curioso di scoprire dove sarei arrivata. Nonostante lo avessi quasi baciato pochi secondi prima, lui non cercò di avvicinarsi alle labbra, anzi, restò immobile anche se nei suoi occhi percepivo la sua voglia di andare oltre. Dopo aver memorizzato per bene ogni punto dei suoi occhi, passai alla bocca. A quella poca distanza la si poteva vedere ancora più carnosa di come fosse ad una distanza normale. Soltanto in quel momento compresi perchè era riuscito a stregare così tante ragazze... La sua bellezza era ancor più perfetta da vicino. D'istinto posai due dita sul suo labbro inferiore, l'accarezzai e chiusi gli occhi. Era giunto il momento. Le gambe cominciarono a tremare, le braccia anche. Sembrava stessi per affrontare un importante interrogazione a scuola. Non sapevo, in realtà, chi tra la mente e il cuore stava per vincere il duello, in quell'istante avevo solamente voglia delle sue labbra rosse e carnose. Così senza pensare un minuto di più, con dei movimenti veloci in netto contrasto con quelli lenti di qualche istante prima, posai le labbra sul ragazzo. Non chiusi gli occhi, come invece mi veniva spontaneo fare con Castiel, e quando la lingua di Ciak voleva farsi spazio per approfondire quel bacio, mi resi conto di cosa avevo combinato.

«M-Ma cosa sto facendo?!? Oddio, no... Non può essere. I-io n-non...» guardai Ciak con gli occhi sgranati come se mi fossi appena resa conto di chi avessi davanti.

Posai la mano sulla mia bocca e cominciai a strofinarmici su -avevo la tinta labbra e per fortuna non sbavai il rossetto evitando un disastro- come se quella bocca avesse commesso uno dei peccati mortali. Durante il bacio, quando la mia mente aveva pensato il nome del rosso, mi si accese come una lampadina nella testa. Castiel in qualche modo mi aveva portato a contatto con la realtà, e per una volta almeno, risultò di aiuto. Così pronunciando una frase indecifrabile mi staccai da Ciak. Sapevo bene di averlo ferito e di averlo ucciso con i miei comportamenti contrastanti, ma lui per me era il mio migliore amico, non poteva girarmi nella testa di baciarlo. Non riuscivo a capire cosa mi fosse girato nella testa nei minuti precedenti. 

Da quel momento, su quel ponte, era salita la tensione tra di noi, si percepiva nell'aria. Eppure lui non diede a vedere di essere ferito, attendeva solamente con ansia una mia reazione ed io di risposta non riuscii più a guardarlo negli occhi. L'unica soluzione risultò quella di fuggire da lui. Ero una codarda, lo sapevo bene. Infatti tenendomi il vestito per evitare d'inciampare, scappai a gambe levate verso l'entrata del ristorante, ma sbattei contro qualcuno...

-


CASTIEL

Dopo esser stato protagonista della scena che sconvolse Miki, decisi di seguirla. Volevo evitare che combinasse guai. Quel provino mi serviva, ed anche se lei non voleva entrare in quel mondo, anche se lei non voleva stare a stretto contatto con me, io non potevo farci nulla, lei avrebbe dovuto presentarsi quel sette Gennaio. Non potevo perdere quell'opportunità dopo anni. Rabanne per qualche strano motivo si era convinto che io e lei stessimo bene insieme. A dir la verità, se fossi stato uno stilista non avrei mai associato un volto come il mio con quello di Miki, lei era così innocente ed io così dannato... Tanto da sembrare l'angelo e il diavolo insieme. E se Rabanne avesse pensato proprio questo di noi? Da uno come lui ci si sarebbe dovuti aspettare di tutto. 

Seguivo Miki, scansando la gente brutalmente, mentre la mia testa ne pensava tante per il futuro provino. Ma quando vidi che lei fosse diretta da quello, il cervello si scollegò. Sicuramente era corsa da lui per rivelargli dell'accaduto, evidentemente dovevano avere un rapporto così intimo da raccontarsi ogni cosa. Quando Miki lo vide tra le grazie di alcune modelle ci restò male, sembrava gelosa. Da lì purtroppo intuii tutto. Stavano davvero insieme. E allora perché non mi aveva detto di avere un ragazzo, sin dal principio? Perché continuava a dire di volerci provare con Nathaniel? Perché assecondava le mie carezze o i miei baci? Una strana consapevolezza mista a delusione si fece padrone del mio corpo. Miki era come tutte le altre. Il suo modo di vestire rifletteva realmente sulla sua personalità, sul suo essere, non aveva mentito come più volte avevo creduto. Miki era come Ambra o come qualsiasi ragazza facile. Non volevo crederci, ma l'evidenza era giunta come uno schiaffo in pieno viso. 

Nonostante quella consapevolezza, mi nascosi dietro le siepi di quel giardino quando il suo ragazzo di plastica la portò su un ponte di legno -la parte più sdolcinata di quel posto- ci sapeva fare il ragazzo, doveva farsi perdonare evidentemente.

Ingoiai rumorosamente la saliva quando vidi le labbra di Miki posarsi su quelle del modello. Lo aveva già perdonato, dopotutto lei aveva fatto di peggio in quei mesi. Lo aveva tradito con me e forse anche con Nathaniel. Ed io che fino all'ultimo pensavo di avere il coltello dalla parte del manico, non avrei mai potuto immaginare che invece tra le mani avevo solo la lama. Non mi capacitai su quale fosse il motivo, ma quello che stava accadendo tra i due non mi piaceva affatto, mi generò sin troppo fastidio quella scena, per i miei gusti. Quelle labbra erano state mie in più occasioni e vederla ora essere di un altro, forse migliore di me, mi fece stringere le mani e tirare un pugno ad un albero che mi ritrovai affianco. Ero nervoso, troppo, senza motivo. Ma lei non era mai stata così con me, non aveva mai preso l'iniziativa. Solitamente ero io a fare il primo passo. Forse fu quello che mi fece avere quei gesti e quelle reazioni. 

Certo, se prima avessi avuto dei dubbi su quello che legasse quei due, con quel bacio non ne ebbi più. Quella scena, quella verità mi fecero sentire un peso tra il cuore e lo stomaco. Non sapevo cosa mi legasse realmente a quella ragazza, ma era qualcosa che non doveva uscire proprio ora. Lei aveva trovato il suo amore ed io il mio, quindi dove stava il problema? Se due ore prima mi torturavo per trovare una risposta, ora l'avevo trovata. Non c'era nulla da scegliere. Miki avrebbe continuavo a vivere la sua vita a ed io la mia. I baci, i momenti vissuti insieme sarebbero finiti nel dimenticatoio, com'era giusto accadesse. 

Dopo quel bacio mi convinsi che non serviva più torturarsi con i miei dubbi su Debrah. Il destino aveva già scelto al posto mio. Ormai, il mio ruolo nella vita di Miki era stato eliminato da tutte le scene, non avevo più nulla da fare dietro quelle siepi. Miki non aveva bisogno di essere controllata, lei aveva già un altro che potesse proteggerla. Il mio tempo, il nostro tempo era finito.

Rassegnato abbassai la testa e feci per tornare dentro, ma quando stavo per voltare le spalle eccola di nuovo tra le mie braccia. Un filo invisibile ci legava, dove c'ero io, c'era lei da qualche mese ormai. Ma non sarebbe più accaduto da quella sera in poi. Lei aveva il suo ragazzo ed io la mia. Anche se... Per qualche motivo era scappata dopo il bacio con il suo ragazzo e sfortunatamente non avevo sentito cosa si erano detti, cosa era accaduto. Quando i due si trovavano sul ponte, ero ad una distanza dalla quale potevo intravedere solo i loro gesti ma non potevo udirne le voci. 

«Ma è possibile che sbuchi dappertutto?!» sbuffò infastidita allontanandosi dal mio corpo. Non sopportava più la mia presenza ed era stata solamente colpa mia, ma ormai non importava più.

Per una volta decisi di non risponderle. Non avevo voglia di litigare con lei. Mi appoggiai all'albero che cinque minuti prima avevo preso a pugni ed accesi una sigaretta, mentre lei se ne stava immobile con le braccia incrociate sotto il seno a fissarmi. Era inquietante e m'irritava sapere che mi avesse mentito per tutto quel tempo. 

«Dato che t'infastidisce così tanto la mia presenza perché stai ancora lì impalata?!» la canzonai. 

Sapevo che avrebbe risposto a breve, non era solita a farsi mettere i piedi in testa e mi attirava parecchio quel suo aspetto.

«Ho litigato con il mio ragazzo» rispose dopo un po'. 

Davanti le sue parole, la stessa fitta che mi aveva colpito qualche minuto prima a causa del suo bacio con il modello, mi colpì lo stomaco. Senza capire il perchè, per la sorpresa, mi cadde la sigaretta. Dal nervoso la pestai -per evitare l'incendio di quel prato- e ne accesi subito un'altra. 

Cosa voleva? Essere consolata da me, per caso? Aveva sbagliato persona.

«Sono in servizio. Non ho tempo per le tue pene d'amore!» freddo, coinciso e forse scontroso, non avevo più neanche voglia di provocarla o stuzzicarla come facevo invece sempre, non volevo proprio vederla in quel momento. 

«Oh ma quindi è vero? Tu fai parte dello staff di Rabanne? E chi lo avrebbe mai detto... Non sembri il tipo» rise incredula. 

Ma io non avevo intenzione di raccontarle i fatti della mia vita. Non ad una bugiarda come lei. La guardai di sbieco, lei capì, senza aggiungere altro mi fece un cenno di saluto e mi lasciò solo. Aveva dimostrato ancora una volta di capirmi. Sapeva quando fosse momento di non disturbare, lei aveva sempre capito tutto di me. Non come Debrah, che invece non faceva altro che torturarmi con la sua pesantezza e tartassarmi di messaggi sebbene io non la calcolassi.

Quel fastidio provato nei confronti di Debrah era troppo strano. Non avevo desiderato nient'altro che un suo ritorno, fino a quel momento. Mi aveva persino chiesto di perdonarla in parecchie occasioni e stava facendo di tutto per dimostrarmi quanto ci tenesse a riacquistare la mia fiducia. Mi voleva di nuovo, ma io non ero felice come avrei dovuto. Continuavo a fondermi la mente per un'altra ragazza...

Miki

Eppure Miki... Lei non era niente per me, lei non doveva essere niente per me, lei non era la ragazza giusta per me ed io non ero quello giusto per lei. Già, un tempo lei non era niente per me. E ora? Allora cosa mi stava succedendo? Era realmente solamente il fatto di non averla ancora fatta mia totalmente?

Quella specie di scioglilingua e quelle domande continuavano a ripetersi ininterrottamente nella mia mente, senza giungere però, mai, ad una risposta sicura. Finii la sigaretta e tornai all'interno del ristorante a svolgere il mio maledetto ruolo, rimandando le mie torture mentali ad un altro momento.

-



MIKI

Il bacio era stato un errore, un qualcosa che non doveva accadere. Mi ero lasciata trasportare dalle emozioni del momento, dalle dolci ed importanti parole che mai nessuno mi aveva sussurrato prima d'allora, ma non avrei dovuto. Ciak era il mio migliore amico e non potevo rischiare di perderlo. C'erano già tanti problemi tra noi, avevo notato in lui un evidente cambiamento dal suo arrivo a Parigi, in più provava qualcosa per me ed io l'avevo illuso con quel mio bacio. Ero stata una stronza.  Quelle immagini, quei momenti rigiravano nella mia testa insieme ai sensi di colpa mentre scappavo da lui. Poi sbattei contro Castiel, non fu una cosa buona incontrarlo a quella festa, ma perlomeno mi aveva fatto sorridere. I modi che aveva, anche se scorbutici, mi fecero intravedere il vecchio Castiel, quello che conoscevo al mio arrivo al Dolce Amoris, quello che era lui senza Debrah. Non avrei dovuto rivolgergli la parola, avrei dovuto continuare ad essere arrogante, ma dialogare con lui per un istante non avrebbe cambiato le carte in tavola. Non ci saremmo rivolti la parola nei giorni seguenti nonostante il nostro piccolo scambio di battute e tutto sarebbe tornato alla normalità. O quasi... l'imminente provino incombeva sulla mia testa.

Quando entrai nuovamente in sala, da sola, senza nessuno dei due ragazzi, tutti gli occhi erano puntati sulla mia figura senza capirne il motivo. Poi un'illuminazione. Tutti avevano assistito alla scena di Rabanne che mi comunicava di dover fare un provino con Castiel. Eppure era un misero provino, perché se lo si doveva fare con Rabanne era considerato qualcosa di diverso? Quel velo di mistero che rendeva Rabanne un Dio, volevo si celasse. Volevo scoprire per quale motivo tutti pendevano dalle sue labbra, per quale motivo era così famoso ed importante. Era un semplice stilista eppure sembrava ci fosse qualcosa sotto. 

«Fatti guardare... Oddio che vestito! Non sai quanto t'invidio, sei fortunatissima a possederlo» corrugai la fronte davanti alle parole di una signora che mi raggiunse toccando e onorando il vestito che avevo indosso. 

Non conoscevo quella donna, non l'avevo mai vista. Era molto alta con capelli ed occhi neri, i lineamenti sottili, doveva avere all'incirca cinquant'anni. 

«Già, è da una vita che desidero un abito così» replicai con aria trasognante «ma non capisco perché tutti continuano a fissarlo. Insomma.. è un abito, bellissimo ed elegantissimo, ma pur sempre un abito comune a tutti gli a-» 

La signora non mi fece concludere la frase che m'interruppe poggiando le sue mani sulle mie spalle e spostando l'attenzione dall'abito al mio viso «Come? Sul serio, non lo sai? Quest'abito è stato cucito personalmente da Paco, è un pezzo unico. Ed è raro vedere un suo abito, lui è più concentrato su altro solitamente...» mi parlò come se mi stesse rivelando uno dei più grandi segreti. 

Su cosa era concentrato solitamente? Più rivelazioni avevo quella sera e più restavo confusa. Ma non sapevo se quella donna avesse detto o meno la verità, all'interno dell'abito non vi era alcun marchio. Eppure in quell'istante mi venne in mente la frase di Rabanne non appena mi aveva incontrato su quelle scale. E non ebbi più dubbi. Ciak aveva indicato allo stilista i miei gusti, le mie misure e lui aveva fatto il resto del lavoro. Ma perché? Paco Rabanne non mi conosceva e valutando i suoi comportamenti non doveva essere un uomo dai regali facili. Voleva qualcosa in cambio di qualcos'altro. 

Senza curarmi della signora che ancora ammirava il mio vestito -senza salutarla- camminai alla ricerca di Ciak. Mettendo da parte l'imbarazzo dovevo chiarire con lui, non avrei potuto rimandare quel momento a vita, e poi dovevo ringraziarlo per quel vestito, non lo avevo ancora fatto abbastanza. 

Ma quando lo trovai, al centro della sala, la voce che animava la serata avvisò al microfono gli invitati e fermò momentaneamente le mie intenzioni di parlare al mio migliore amico. 

«I Signori sono pregati di prendere posto ai rispettivi tavoli assegnati. Trovate i vostri nomi e posti all'entrata principale. Grazie e buona cena!»

«Miki vieni, conosco già i nostri posti» la voce dolce di Ciak richiamò la mia attenzione. Dopo neanche un secondo mi prese la mano e mi guidò fino al tavolo. 

Sembrava essere rassegnato, non deluso. Fortunatamente non se l'era presa per la mia fuga, anzi, da ragazzo maturo aveva accettato il mio intontimento. Per un attimo mi venne spontaneo paragonarlo a Castiel. Lui non avrebbe mai reagito allo stesso modo, lui mi avrebbe evitata o al massimo mi avrebbe inveito contro, al contrario. Non seppi il motivo ma classificai il carattere di Castiel come migliore. 

«Cia... Francois dobbiamo parlare, aspetta» tentai inutilmente di bloccare la sua camminata verso il tavolo, ma non mi diede ascolto.

Ciak non aveva alcuna voglia di chiarire, di venire a contatto con la verità, forse la mia verità lo avrebbe ferito, ma io necessitavo di fargli presente alcune cose sul bacio di poco prima e sui miei comportamenti. Non ero mai stata così incoerente come quella sera, non era da me. 

«Non possiamo evitare il discorso per sempre, per favore» insistei ma lui voltandosi nella mia direzione mi lanciò un'occhiata di ammonimento come per incitarmi a stare in silenzio. E siccome quei generi di discorsi non potevano essere dei monologhi, feci come preferiva. Rimandai il discorso ad un momento successivo.

Cercando di pensare alla location in cui mi trovavo e cercando di evitare le mie torture mentali, mi guardai intorno per capire quale tavolo ci fosse stato assegnato. Scoprii essere al centro della sala e tra i nostri vicini di posto c'era nientemeno che Paco Rabanne. Era diventato una persecuzione quello stilista per me. In molti avrebbero pagato anche solo per incontrarlo, mentre io lo stavo odiando ogni secondo di più. Il suo posto era libero ancora, mentre gli altri posti accanto a lui erano occupati da un ragazzo e da una ragazza, che vista la loro evidente bellezza e forma fisica classificai come modelli. Il padrone di casa doveva ancora degnarci della sua presenza. Ciak -da vero gentiluomo- spostò la sedia dove mi sarei dovuta accomodare e mi fece sedere, successivamente si accomodò anche lui accanto a me e proprio difronte a Rabanne. In quella sala ogni elemento era stato studiato alla perfezione per non far mancare niente ai commensali, Rabanne aveva assunto un cameriere per ogni tavolo in modo da essere serviti tutti allo stesso istante. 

Mi voltai per vedere il cameriere che avrebbe servito il nostro tavolo e mi affogai con la mia stessa saliva quando incontrai i suoi occhi. Tossii diventando addirittura rossa in viso. Qualcuno si stava divertendo a giocare con la mia sfortuna, quella sera evidentemente, perché Castiel sarebbe stato il nostro cameriere. Con più di cento persone facenti parte dello staff di Rabanne proprio lui doveva capitare al mio tavolo. Da quel momento iniziai però a pensare che quello non era stato proprio un caso, ma che lo stilista lo avesse fatto di proposito a metterlo lì; ogni azione era misurata e studiata da parte sua, per come tutti dicevano. 

Castiel si limitò a sorridermi arrogantemente, come al suo solito, mentre Ciak continuava a non capire quella mia reazione esagerata e -dopo avermi versato l'acqua in un bicchiere per farmi riprendere dalla tosse- si voltò nella direzione del mio sguardo comprendendo poi tutto, dopodiché mostrando un sorriso amaro si voltò di scatto dando le spalle al rosso. Anch'io gli diedi le spalle, era stato scontroso con me poco prima e non meritava la mia attenzione sebbene mi stesse simpatico, a volte

«Salve ragazzi, perdonate l'attesa. Ma dovevo terminare i saluti ai miei invitati.»

Lo stilista fece la sua entrata trionfale interrompendo finalmente il silenzio imbarazzante di quel tavolo. Nessuno si era presentato a me ed io di conseguenza non avevo iniziato a chiacchierare con gli altri, i due modelli seduti a qualche centimetro di distanza da me non sembravano poi così tanto cordiali. Nessuno rispose al grande Rabanne, i tre modelli presenti compreso Ciak si limitarono a sorridere fintamente verso di lui, tutti tranne io. 

«Mikì, qualcosa non va?» e Rabanne se ne accorse. 

Mi aveva chiamata per nome ma facendo cadere l'accento sulla "i", accento tipicamente francese. Non lo corressi, dopotutto non suonava male.

«NO! Tutto benissimo!» scandii bene le lettere per far capire che invece andava tutto fuorché che bene. 

Io non ero come gli altri suoi modelli, non avrei obbedito ai suoi ordini né tantomeno gli avrei sorriso, mi stava tremendamente antipatico e glielo avrei fatto capire ad ogni costo. Se non avessi potuto rifiutare quel provino, allora avrei fatto di tutto per non essere scelta. Comportarsi da maleducata con lui, sicuramente, era la mia prima carta da giocare.

Quella sera imparai un'altra caratteristica: Rabanne doveva avere sempre l'ultima parola, un'altra sua regola stupida. 

«Benissimo!» ripeté la stessa parola pronunciata da me qualche secondo prima, con lo stesso tono «Che la cena abbia inizio!» ordinò con un cenno ai camerieri. 

Tutti pendevano dalle sue labbra, perfino Castiel, assurdo! Il rosso cominciò a servirci l'antipasto. Quella che vidi quella sera fu un'altra sua sfumatura. Rabbrividii. Finalmente capii per quale motivo aveva apparecchiato divinamente la tavola a casa mia durante il pranzo di Natale. Quel ragazzo aveva tante doti nascose, eppure mi aspettavo di vedere un disastro mentre spostava il cibo dal vassoio che aveva in mano al piatto di ognuno. Restai ammaliata e stregata da ogni suo gesto e Rabanne parve accorgersene visto che mi rivolse un sorrisetto furbo. Maledizione! Dovevo sabotare il provino non dargli la prova di quanto Castiel mi attraesse realmente. Mi diedi della stupida mentalmente ma non potei fare a meno di continuare a pensare a quel ragazzo. In quei mesi mi aveva mostrato tante sue sfumature totalmente contrapposte alla sua personalità. Avevo compreso che qualunque cosa dovesse fare, ci teneva a portarla al termine in modo brillante. Sembrava quasi si stesse impegnando così tanto per poter raggiungere un obiettivo, avrei tanto voluto sapere di più sul suo conto ma non era facile leggergli dentro. Era un ragazzo così chiuso... 

Quando porse l'antipasto a Ciak vennero meno i modi garbati mostrati con Rabanne e gli altri due modelli.

«Attenzione signore, potrebbe affogarsi» gli sussurrò beffandosi di lui dandogli l'appellativo di "signore". 

Quando poi servì il cibo alla sottoscritta continuò: «No, ma forse dovrebbe fare più attenzione a qualcos'altro. Alla sua ragazza, ad esempio... Qualcuno gliela potrebbe portare via»

Per far comprendere al meglio l'utilizzo delle sue parole, per una dimostrazione pratica, si abbassò arrivando a livello del mio viso, mi guardò fisso negli occhi facendo aumentare a dismisura il battito del mio cuore e mi lasciò del tutto interdetta quando mi diede un piccolo bacio sulla guancia, terminò poi quel siparietto con un'occhiata di competizione verso Ciak. Il volto avvampò quando mi accorsi degli otto occhi puntati su di noi. 

Castiel non aveva mai avuto quei comportamenti prima d'allora, ma soprattutto non era stato così loquace mezz'ora prima quando mi aveva esplicitamente chiesto di lasciarlo solo, quando mi aveva liquidata con il suo solito modo arrogante in giardino. A quel punto, quindi, vi era solo una spiegazione plausibile. Castiel aveva avuto di proposito quel comportamento, al tavolo, per quel provino. Voleva a tutti i costi attirare l'attenzione di Rabanne e convincerlo di aver fatto la scelta giusta nel selezionare me e lui per chissà cosa. Capii di avere più di un rivale e sarebbe stato maggiormente difficoltoso sabotare quel provino. Ma se uno come Castiel si era abbassato a così tanto voleva dire che per lui quell'ingaggio era davvero importante e volevo capirne il motivo. 

Fui distratta da una risata proveniente dal mio fianco, era Ciak. «Chi dovrebbe fare attenzione, io?!» si mostrò vanitosamente. «E chi potrebbe portarmi via Miki, tu?!» mostrò prima me e poi Castiel. «Uno come te non potrebbe mai piacere ad una come lei, rassegnati pellerossa!» lo derise affibbiando un appellativo al rosso niente male.

Quel gioco era stato iniziato da me, e Ciak lo stava continuando, applaudii mentalmente. Il mio migliore amico stava fingendo di stare insieme a me, di essere il mio ragazzo davanti al rosso. Sapevo di dover porre fine a quella farsa prima o poi, ma per una volta Castiel aveva avute tornate indietro l'umiliazione e le cattiverie versate su di me cinque giorni prima. Senza volerlo, Ciak aveva utilizzato proprio lo stesso significato dei discorsi di Castiel, avrei tanto voluto abbracciare il mio migliore amico in quel momento. Ritrovai un pezzo del ragazzo che avevo lasciato in Italia, quel ragazzo che mi salvava sempre da qualsiasi situazione senza badare al fatto che magari ne sarebbe rimasto ferito lui stesso.

Sembrava quasi stessero giocando una battaglia quei due, e in quel momento erano pari. Così sollevai il volto in direzione di Castiel, lo guardai sorridendo quasi con aria di sfida anch'io, ovviamente non ero sua compagna di squadra. Ma sul suo viso non trovai l'espressione che mi aspettavo di trovare, non era offeso o demoralizzato anzi era pensieroso e pronto ad attaccare con il successivo colpo. Non si arrendeva facilmente, lo sapevo bene.

Cominciammo a cenare in silenzio. Nessuno era intervenuto in quei battibecchi, i presenti si limitarono a guardare divertiti la scena, soprattutto Rabanne al quale mi parve d'intravedere uno scintillio di eccitazione negli occhi. Stava sicuramente apprezzando e pensando a qualche idea malsana sul provino.

Il cibo era di ottima qualità, almeno in quello Rabanne ci aveva azzeccato. L'antipasto era molto sofisticato, era composto da vari tipi di insalata con al centro un gambero gigante. Quando terminammo di mangiarlo, Castiel tolse i piatti. Di sicuro il suo cervello aveva architettato una risposta...

E infatti fu così:

«Bada a come parli quando ti rivolgi a me, altrimenti, alla prossima portata invece del piatto ti sparecchio la faccia!» 

Si rivolse a Ciak con uno sguardo di rabbia, di sfida e a denti stretti. Il suo cervellino aveva lavorato parecchio per trovare una risposta degna dopo l'affronto di Ciak. Con quella frase Castiel si era guadagnato l'ultima battuta, risultando vincitore per quella manche. Quella sorta di rivalità tra i due era nata quella sera, non si erano mai conosciuti prima d'allora. Non avevano conti in sospeso, non erano amici di vecchia data. Non capivo perché Castiel si fosse accanito così tanto contro Ciak. In realtà il tutto era partito proprio da Castiel, quindi il vero problema stava in lui, ma non capivo davvero, non capivo il motivo. Forse c'era stata antipatia a pelle, forse stava usando lui per far colpo su Rabanne, per far capire che io e lui potevamo funzionare insieme, ma secondo il mio umile parere non era quello il modo adatto per approcciarsi. 

Quando finì di sparecchiare, il rosso, portò i primi piatti in tavola. Continuava a non sentirsi volare neanche una mosca. Ciak voleva rispondere a Castiel ma per fargli capire che non avrebbe dovuto, gli mollai un calcio sul polpaccio e lui per poco non urlò dal dolore, ma perlomeno evitò di continuare quei battibecchi. Ero già contenta così, Castiel aveva avuto la battuta che si meritava, non c'era bisogno di continuare, temevo in un evolversi disastroso della discussione. 

Ripensai all'accanimento eccessivo di Castiel nei confronti di Ciak e mi venne in mente una questione, così prendendo il menù e portandolo davanti alla bocca -per non rendere partecipi gli altri della mia domanda- sussurrai a Ciak: «Sei sicuro di non conoscere una certa Debrah? E' una ragazza con parecchi tatuaggi sulle braccia, occhi grandi e celesti, capelli lunghi e castani, è un po-»

Bloccò la mia descrizione tappandomi la bocca «Ti ho detto che non la conosco. Ma possibile? Sei così sciocca da non capire il reale motivo per il quale pellerossa si comporta così?!»

Per essere sicuri che nessuno potesse ascoltare i nostri discorsi stavamo parlando nuovamente in italiano. La cosa ci veniva molto naturale quindi non ci pesò. Comunque anche dopo quelle frasi di Ciak, continuavo a non capire il motivo per il quale Castiel era così scontroso verso il mio migliore amico. Ad un certo punto avevo pensato che per uno strano caso Ciak avesse conosciuto Debrah, ci fosse finito a letto e che Castiel lo avesse scoperto. Perché negli occhi del rosso stavo leggendo gelosia, fastidio e rabbia, non stava fingendo solo per ottenere l'ingaggio, nel suo sguardo sembrava esserci qualcosa di reale e Ciak sembrava averlo capito. 

«Allora visto che sei così bravo a capire la gente, sai dirmi tu per quale motivo continua ad avere quegli atteggiamenti?» scocciata e leggermente irritata levai il menù dal mio viso e parlai apertamente, nessuno conosceva l'italiano. 

«Sarebbe troppo facile così. Queste sono cose che dovrai capire da sola!»

Sbuffai davanti a quella risposta così vaga, cominciai a mangiare senza fiatare e parecchio irritata. Avevo perso la pazienza e non avevo più nessuna intenzione d'interrogarmi sul ragazzo dai capelli rossi. Erano troppo complicati da comprendere i suoi pensieri. I vicini di tavolo guardarono in modo strano me e Ciak, come se avessimo tre teste, a causa della lingua con la quale avevamo parlato in quei minuti, ma per fortuna non dissero niente.

Il primo piatto era composto da un risotto a base di pesci, la presentazione era molto particolare. Il riso era stato posto nel piatto a forma di cubo e affianco dei pesci enormi e rossi gli davano colore. Ma, mentre ero intenta a fissare la pietanza, qualcuno mi aveva disturbata. Qualcuno stava battendo le mani. Alzai la testa con la fronte corrugata e capii che quel qualcuno era proprio di fronte a me. Era lo stilista bizzarro. Paco Rabanne. Persino i modelli cominciarono a guardarlo straniti, persino Ciak e Castiel. Nessuno fiatava da qualche minuto, il suo battito di mani era del tutto fuori luogo. Tutti gli invitati seduti ai tavoli vicini si voltarono verso noi. Che vergogna! 

«Bravi, bravi, bravissimi!» continuò ad applaudire. «Adoro tutta questa tensione, tutta questa rivalità tra voi due» si rivolse a Ciak e Castiel. «Potrei trovare un ruolo perfetto per voi tre all'interno di una pubblicità. Sarà qualcosa di eccezionale!» finì con il toccarsi la barba pensieroso ed emozionato all'idea appena avuta.

Ma a mio parere lo stilista stava dando letteralmente i numeri. Aveva sbagliato a contare, prima parlava di due persone e poi di tre. Si era rivolto a Castiel e Ciak, quindi doveva per forza rivolgersi a loro, così glielo feci presente.

«Mi scusi per l'intromissione, ma Ciak... ehm Francois e Castiel -se la matematica non è un'opinione- sono due, non tre» sapevo di aver fatto fin troppo la saccente, ma il mio obiettivo era quello di farmi odiare da lui, non il contrario.  

«Sciocchina» rise per poi rendere partecipe anche me del suo divertimento «voi siete tre, nel trio sei compresa anche tu, ovviamente, Mikì».

Di male in peggio. Lo stilista non aveva ancora capito cosa potessero provocare quei due ragazzi vicini, ma io sì, e non era per nulla un'idea geniale. 

«Io invece credo che sarebbe meglio evitare di fare il provino. Loro due litigherebbero quasi sicuramente, potrebbe essere addirittura pericoloso per l'incolumità di qualcuno tenere tutti e tre in una sola stanza..» drammatica cercai di peggiorare la situazione e finii con un sorriso fintamente dispiaciuto. Ovviamente inserii anche me stessa nel possibile caos che un nostro provino avrebbe potuto generare, in quel modo mi sarei potuta sollevare dall'ingaggio. 

Castiel e Ciak mi guardarono ammonendomi, evidentemente nessuno dei due doveva pensarla come me o meglio entrambi avevano la necessità di fare quel maledetto provino. Alzai gli occhi al cielo; ero sola nel combattere quella battaglia contro lo stilista. Nonostante ciò con un giro di parole ero convinta di esser riuscita a mettere i bastoni tra le ruote a quel nuovo progetto di Paco, ma non fu così ovviamente.

«Oh non si preoccupi di questo, Mikì» mi rivolse nuovamente un tono formale «ho un'ottima squadra alle mie spalle e sicuramente prenderò le giuste precauzioni affinché non ci sia alcun dispiacere sul set. Questo progetto me gusta mucho e verrà portato a termine, che le piaccia o no!» 

Odiavo quel suo modo di rivolgersi a me. Un minuto mi parlava in tono informale e l'attimo dopo in quello formale, faceva un po' tutto a suo piacimento senza interrogarsi su cosa avessero potuto pensare gli altri. Mi era stato appena posto un altro ordine da quel vecchio decrepito. Una sera mi era bastata per odiarlo. Non riuscivo a comprendere come facessero tutti gli altri ad assecondarlo in ogni sua richiesta o capriccio, comprimendo i loro stessi pensieri. Persino Castiel assecondò la sua richiesta, non fiatò. Tutti si erano inchinati davanti al loro nuovo Dio. Sbuffai infastidita ed evitai di rispondere ulteriormente, tanto sarebbe stata guerra persa a prescindere.

La cena proseguì in un borbottio generale, io evitai di fiatare. 

«Signori e Signore, siamo giunti a metà serata. Ed ora è proprio arrivato uno dei momenti più attesi: il ballo di coppia. I cavalieri e le loro rispettive dame sono pregati a scendere in pista e dare il via alle danze...» c'informò la solita voce al microfono. 

«Lei, splendida fanciulla, mi concede l'onore di questo ballo?» il suono della voce di Ciak mi fece voltare verso di lui.

Senza esitazione o vergogna si alzò dalla sedia e s'inchinò proprio come avrebbe fatto un vero principe. Arrossii per la scena e per l'imbarazzo, molte persone ci stavano fissando. Accettai senza proferire parola poggiando semplicemente le mani sul suo palmo. Mi alzai dalla sedia, ero stata seduta per più di un'ora, avevo proprio bisogno di sgranchirmi le gambe. Quando passammo affianco a Castiel, Ciak lo guardò vittorioso cercando d'imitare il sorriso arrogante del rosso. Mi dispiacque per lui, ma il sorriso di Castiel era inimitabile. Era il suo marchio di fabbrica, faceva parte della sua personalità, la caratteristica che da sempre lo contraddistingueva dal resto del mondo maschile. 

-



CASTIEL

Da quella sera aggiunsi ufficialmente l'ennesimo nome alla lista delle persone da me odiate, Francois o Ciak, come diavolo si chiamava lui... Era il deficiente più arrogante, più spavaldo, più coglione che avessi mai incontrato. Non potevo permettere a qualcuno di superarmi a livello di stronzaggine, non se ti chiamavi Castiel Black. Il primato di tutti quei difetti -classificati dalle donne come attraenti- spettava da sempre al sottoscritto e nessuno poteva rubarmi quel titolo. Quei dati di fatto giravano nella mia mente e pian piano stavano cominciando a fuoriuscire con le mie solite pessime battute ed i miei malumori. Non mi fregava in quale luogo ci trovassimo e con quanti pezzi grossi, quanta gente dello spettacolo fosse presente, se quello lì avesse continuato a comportarsi da superiore del cazzo senza neanche esserlo, mi sarei gettato su di lui provocando anche una rissa se necessario. A causa di quel modello da quattro soldi avevo fatto una pessima figura sia con Rabanne che con Miki. Due a uno per lui; Stavo perdendo la battaglia che mentalmente entrambi avevamo iniziato a combattere, e Castiel Black non era abituato alle sconfitte. Castiel Black avrebbe vinto, ad ogni costo, sempre.

Era appena giunto il momento del ballo di coppia, il cretino avrebbe ballato con Miki. Si era inchinato per chiederle di danzare insieme, e per poco non vomitai a causa della scena schifosamente dolce a cui avevo assistito. Mi passarono, poi, vicini mano nella mano. Perché lei ovviamente aveva accettato di ballare insieme al suo ragazzo. Lei era una mia amica o meglio ex amica, eppure non sopportavo la loro vicinanza. Ma non feci niente, non lo diedi a vedere, restai immobile a fissarli con la mascella serrata e i pugni chiusi. 

Cominciò il primo ballo. Era un valzer. La sorte giocò a mio sfavore. Era lo stesso valzer che io e Miki avevamo ballato cinque giorni prima. Sentii uno strano formicolio allo stomaco mentre cominciai a guardare intensamente negli occhi quella ragazza. Eravamo lontani, ma non troppo. Lei mi guardava anche, sembrava quasi che stessimo ballando insieme, sembrava che le distanze tra noi si fossero ridotte in un baleno. Le mie braccia circondavano il suo busto, la mia mano destra stringeva la sua, il mio corpo sfiorava il suo nella mia immaginazione. Non sapevo cosa stesse accadendo tra noi, ma fu come rivivere quegli istanti, fu strano, quasi magico oserei dire, d'altronde essere affianco a lei era il mio unico desiderio espresso segretamente, ma mai realizzato. 

Fui costretto a distogliere lo sguardo da quello di Miki quando qualcuno afferrò un mio braccio. Urlai contro alla persona che mi distrasse «Ma che diamine?!? Lasciami stare, stronzo!» strappai il braccio dalla sua presa e lo guardai con sguardo furente. Ma quando vidi l'autore del gesto proprio davanti a me, per poco non mi scavai una fossa per sotterrarmi. 

«Smettila di essere sempre così tanto irriverente e seguimi...» Rabanne tralasciò quel mio modo di rapportarmi al mondo e mi fece segno di seguirlo, lo feci.

Mi portò proprio davanti alla coppia che dall'inizio stava ballando e che aveva attirato da subito la mia attenzione. 

«Ho bisogno di vedervi insieme mentre ballate, è importante che io scopra se c'è o meno feeling tra voi due, prima del provino» indicò me e Miki. «Francois, tu vieni con me. Conosco un'altra dama giusta per te!»

Senza accorgermene, il mio compagno di squadra era divenuto Rabanne -o forse lo era sempre stato sin dal principio- e grazie a lui avevo appena ottenuto un altro punto nella battaglia contro il modello. Eravamo pari, due a due ed armi al centro. Eppure in quel momento percepii di esser appena passato in vantaggio.

Miki ora era mia.

 -



MIKI

In un batter d'occhio mi ritrovai in coppia con Castiel. Il potente Rabanne aveva deciso così. Eseguii l'ordine soltanto perchè alla fin dei conti volevo passare un po' di tempo con il rosso, sebbene volessi nascondere quella piccola verità.

Era stato carino ballare per la prima volta con Ciak, ma non potevo dire la stessa cosa per il rosso. Perchè ballare con lui non fu semplicemente carino, lo fu mille volte di più. Era la seconda volta che altre persone avevano deciso di unirci nello stesso e identico ballo. Cominciai a credere che qualcuno avesse fatto patti con un'entità superiore. Quando Castiel mi strinse a se, tra le sue braccia possenti, ad un tratto mi sentii le gambe, le mani, le braccia, lo stomaco... Insomma tutto cominciò a tremare. Mi sembrò di tornare a cinque giorni prima, quando non esisteva Debrah, quando si era creato un rapporto particolare tra me e lui. Il destino aveva voluto -stranamente e giusto per torturarmi maggiormente- che capitasse lo stesso valzer del ballo di Natale. Persino il fato si divertiva a prendersi gioco di me.

Come la prima volta anche quella sera, al gala di Rabanne, fu Castiel a guidarmi. Ci guardammo dritti negli occhi, e per quei tre minuti svanirono tutte le nostre incomprensioni, i nostri litigi, le nostre verità nascoste. Eravamo in perfetta sintonia, che, credetti di non aver mai raggiunto con nessun altro prima d'allora. Con lui era stato sin dall'inizio tutto strano, il nostro rapporto era pieno di alti e bassi, più bassi che alti, ma era sempre bastato un semplice gesto e l'uno si dimenticava il torto che aveva subìto dall'altra e viceversa. Il ballo sarebbe potuto durare un'intera vita e non me ne sarebbe importato, non avrei provato stanchezza o fastidio, perchè al mio fianco c'era quel Castiel. Mi stringeva a se con il braccio destro, mentre con l'altro, quello sinistro, mi teneva la mano, ma lo faceva dolcemente. Sembrava totalmente un altro. Non era più il bullo del Dolce Amoris, il ragazzo scorbutico e di poche parole, quello scontroso ed arrogante, ma -quello tra le mie braccia- era tutt'altra persona; incredibile ma vero!

Chiusi gli occhi e finalmente trovai la pace. Mi feci guidare dal mio cavaliere e per un attimo mi sentii quasi sospesa in aria. Grazie al fascino di quel ragazzo, davanti a me si aprì una seconda realtà totalmente diversa dalla prima e di gran lunga migliore da quella vera e propria. Castiel era l'ala che mi permetteva di volare ed io ero il corpo. Stavo imparando a volare insieme e grazie a lui. Apparimmo come quelle coppie in cui l'una era la complementare dell'altro, l'uno il respiro dell'altra. 

Intanto continuando a tenere gli occhi chiusi navigai con la mente, venni trasportata dal rosso -con passi da ballerino- per tutta la sala, mentre mi sentivo leggera come una piuma sospesa in aria. 

Peccato che tutto terminò dopo quelli che mi sembrarono solamente pochi attimi.

La musica finì di suonare e si creò uno strano silenzio. Aprii gli occhi e sentii l'improvviso bisogno di piangere per la delusione di non riuscire a percepire più le stesse emozioni provate durante quel valzer. Venendo a contatto con la realtà, mi accorsi di esser rimasta sola in pista, io e Castiel, nessuna coppia oltre noi, avevamo solamente mille occhi puntati addosso. Arrossii di colpo per non essermene accorta prima; il rosso mi aveva totalmente stregata con le sue doti da ballerino. 

 Partì un solo applauso che si udì in lontananza, e guarda caso era quello di Rabanne. Aveva costretto gli altri invitati a non ballare per guardare noi. Oltre alla pazzia dello stilista cominciai a pensare che in quella realtà, io e Castiel eravamo nemici, non dovevo rivolgergli la parola, gli avevo mentito facendogli credere di stare con Ciak, anche se lui non era da meno... stava con Debrah, con l'unica differenza che lui ci stava insieme per davvero. Dopo aver ripensato a tutti i problemi della vita vera, classificai la seconda realtà -quella della mia immaginazione- come la migliore. Lì, in quella realtà, non esisteva nessun Ciak, nessun Nathaniel, nessuna Debrah, nessuna Ambra... nella seconda realtà io e Castiel stavamo insieme, volavamo danzando, lui mi proteggeva da ogni cosa, e soprattutto lui mi dimostrava il suo affetto. 

Ma considerando gli accaduti di pochi giorni prima, quei tre minuti di ballo non erano stati nient'altro che illusione. Ero stata una stupida a farmi ammaliare da lui, dalle sue doti, non dovevo. Lui amava Debrah, solo lei, non si sarebbe mai affezionato ad una come me né come amica né come qualcosa di più.

Colpita dalla delusione della realtà, senza guardare il rosso un secondo di più, mentre tutti gli occhi erano puntati su di noi, corsi in direzione di Ciak. Senza pensare alle conseguenze, senza collegare i muscoli volontari con il cervello, giunta da Ciak lo baciai. Il brutto fu che non lo baciai in fronte o alla guancia, ma sulla bocca. Quella volta non fu un segreto custodito soltanto da noi due, quella volta il bacio fu ripreso dalle telecamere di un canale francese, e visto dagli occhi curiosi di tutti i presenti al gala. Forse stavo dando adito a pettegolezzi o a nuovi film mentali di Rabanne, ma non m'importava. Con tutta me stessa volevo far fare la più grande figuraccia della sua vita a Castiel Black, e quella volta fui sicura di esserci riuscita. Dentro di se avrebbe dovuto recepire il mio rifiuto e un maschio alfa come lui sarebbe rimasto ferito nell'orgoglio, avevo imparato a conoscerlo bene. 

Vero, i miei sentimenti erano altri e le mie intenzioni anche, ma in quel momento non riuscii ad essere razionale. Non sapevo fino a che punto Ciak capisse i miei gesti, fino a che punto avrebbe accettato quella situazione paranormale ma non fece domande, mi assecondò semplicemente dandomi addirittura un secondo bacio a stampo anche se i suoi occhi non erano tranquilli, mi trasmisero risentimento. 

Non sapevo cosa mi fosse preso, non ero mai stata una tipa vendicativa eppure con Castiel venivano fuori tutti i lati del mio carattere nascosti, quelli che non sapevo neanch'io di possedere. Più male mi faceva e più gliene volevo ritornare. Anche con quel ballo mi aveva provocato dolore interiore. Mi aveva fatto immaginare realtà inesistenti, un Castiel che non esisteva, e questo non potevo accettarlo. 

L'intrattenitore della serata c'informò di accomodarci nuovamente ai propri rispettivi tavoli in modo da proseguire la cena. Come un robot, eseguii i comandi senza fiatare, e lo stesso fecero Castiel e Ciak. Ci sedemmo e la cena proseguì. Dopo il mio comportamento la tensione regnava, anche Ciak dapprima mio complice, cercava di evitarmi, ma non lo biasimai. Non avevo avuto un comportamento del tutto corretto nei suoi confronti e sicuramente doveva sentirsi un oggetto, ero stata una stupida. Perlomeno avevo posto fine alle battute di Castiel, che improvvisamente assunse il ruolo che gli spettava -quello di cameriere- e lo svolse diligentemente.

Quando la cena giunse al termine, l'orologio segnava le ventitré e cinquanta.

La solita voce al microfono annunciò: «Cavalieri, per il prossimo ballo scegliete per bene le vostre dame. La tradizione vuole che ogni coppia formatasi durante i dieci minuti prima della mezzanotte, si scambierà un dolce bacio sotto i fuochi d'artificio della tour Eiffel».

Se quella era la tradizione per quel genere di gala, per me invece non lo sarebbe stato, io non facevo parte di quel mondo. E poi... avevo già provocato sin troppi guai e per quella sera bastavano e avanzarono. Così approfittando dell'attimo di distrazione che ebbe Ciak -mentre chiacchierava con l'altro modello del nostro tavolo- mi alzai intenzionata a nascondermi. Non avevo alcuna voglia di altri baci, ne avevo già dati più del necessario. 

Mi recai nel giardino, nel punto in cui ero stata nella prima parte della serata con Ciak e mi poggiai di spalle alla ringhiera di quel ponte. Esausta feci scivolare la schiena e mi sedetti per terra. Non m'importava di sporcare il vestito, non m'importava del suo valore, lo avrei portato in lavanderia e sarebbe tornato come nuovo. 

Non mi riconoscevo più, ero in totale ira con me stessa. Per tutta la serata mi ero comportata da tipica stronza, avevo usato Ciak per dare una lezione a Castiel, come se non bastasse avevo avuto mille dubbi mai provati prima d'allora sul mio migliore amico. Non sapevo cosa mi stesse prendendo, ero stata infantile e per nulla razionale. Una stupida! Dovevo darmi una svegliata. 

Dopo essermi schiaffeggiata mentalmente alzai la testa verso il cielo per cercare un minimo di tranquillità. Era una bella serata, di quelle che ti permettevano di sognare. C'era la luna piena e le stelle intorno, senza presenza di nuvole. Le nubi erano state risucchiate tutte all'interno della mia vita, dove non intravedevo -da un bel pezzo- neanche un po' di sereno. Mentre ammiravo il cielo mi venne in mente un brano italiano di una cantante molto conosciuta nel mio vecchio Stato, iniziai a canticchiarla spontaneamente, si addiceva molto alla mia situazione attuale.

"La luna è un cerchio

ci vuole poco a disegnarla,

ha un'aria nobile 

e un cielo intero ad ammirarla.

E tra le stelle 

i mille sogni della gente 

che pensa a vivere 

mentre io penso a te.

E mi ero affezionata... 

mi sono incasinata.

Parlami, parlami adesso 

che io ti sento che non sei più lo stesso,

che me ne frega di esserti amica? Una tua amica! 

mi sembra assurdo solo a pensarci... cosa che vuoi che dica?" 

Cantare era l'altra mia valvola di sfogo oltre lo shopping. Cantavo quando ero particolarmente nervosa, o quando c'erano situazioni che potevano essere raccontate solo tramite le canzoni. Spesso mi era capitato di riuscire ad associare situazioni vissute con alcuni brani, la stessa cosa mi era capitata quella sera. Quel pezzo di canzone mi faceva pensare a lui. All'unico ragazzo che mi aveva fatto soffrire, all'unico che mi aveva fatto battere realmente il cuore, all'unico capace di farmi perdere la ragione, di farmi perdere me stessa, i miei valori, principi, capace di farmi commettere azioni che prima non avrei mai compiuto. Era dedicata al mio primo bacio. Di sicuro quello che era accaduto tra noi, per lui non aveva avuto alcun significato. Lui era abituato a ben altre cose. Lui baciava chiunque, lui era abituato alle storie di una notte, ma non io, non la vera me, al contrario di come mi piaceva far credere alla gente. Nonostante i nostri baci, il nostro guardarci negli occhi e le nostre confessioni, lui voleva che fossimo semplici amici e quel piccolo aspetto non ero sicura di riuscirlo ad accettare. Se avessi dovuto essergli amica, fare da candela a lui e al suo vecchio nuovo amore, avrei preferito non parlarlo proprio. E così stava accadendo. Non rivolgergli la parola o ritornargli tutto il male che mi aveva provocato, era l'unica soluzione per smaltire, per farmi passare la mia sottospecie d'infatuazione nei suoi confronti. Eravamo due estranei a partire da ieri, -o meglio da cinque giorni prima- proprio come il titolo della canzone che avevo canticchiato fino a poco prima.

Dopo lo sfogo, chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi. Ma il mio momento di solitudine non durò per molto. Sentii dei passi venire verso la mia direzione, non aprii gli occhi per vedere chi fosse, non ne avevo voglia. Ma considerando che il soggetto si sedette accanto a me, intuii subito che fosse Ciak. Nessuno si sarebbe presa quella confidenza con la sottoscritta, solo lui. Senza aspettare che parlasse per assicurarmi che fosse lui, poggiai la testa sulla sua spalla e il braccio destra intorno alla sua vita, sperai non fraintendesse.

«Scusa per tutto Ciak, ma volevo chiederti un'ultima cosa, poi giuro di smetterla con lui... Visto che prima hai detto di averlo capito, dimmi perché Castiel si comporta in quel modo, ti prego! Non ne posso più...» sbuffai alla fine della frase.

«Perché anche se sei una stronza di alti livelli, lui non vuole perderti!»

Sussultai per il tono di quella voce che avrei riconosciuto tra mille, lui se ne accorse ghignando di risposta.

Perché a rispondere alla mia domanda, non fu la voce di Ciak, ma quella di Castiel. La mia testa e le mie braccia erano intorno al corpo di Castiel e non di Ciak, avevo appena mostrato preoccupazione per quella situazione assurda a Castiel e non a Ciak. Cosa ci faceva accanto a me? Non doveva pensare a servire il dolce o qualcosa del genere? Maledizione! 

In quella serata come in tutta la mia vita ogni cosa era stata un errore. Continuavo a sbagliare, e sbagliare ancora nonostante ci sbattessi la testa mille volte. E per l'ennesima volta avevo sbattuto la testa sull'errore più grande: Castiel

Eppure nonostante riconobbi la sua voce, non mi spostai dalle sue spalle, non aprii gli occhi, ma tolsi solamente le mani dal suo busto. Non risposi alla sua affermazione, al suo "lui non vuole perderti!", sapevo si trattasse solo di un'altra illusione, di un'altra frase dettata dal momento, tanto per farmi ricadere nella sua rete di seduzione. 

Ero attorniata dalla sua fragranza, e non mi dispiacque purtroppo. Sentire il suo profumo era veleno e antidoto allo stesso tempo. 

-



CASTIEL

Miki mi aveva umiliato lasciandomi lì impalato, dopo il nostro ballo, e correndo invece dal suo ragazzo. L'aveva baciato dopo esser stata tra le mie braccia, l'affronto peggiore che una ragazza mi avesse mai fatto. Quasi come se io non le bastassi, come se fossi qualcuno di facilmente rimpiazzabile. Mi sentii ferito nell'orgoglio dopo quel suo gesto eppure non esitai un attimo a seguirla. Come precedentemente, ad inizio serata, si recò nel lato del giardino disgustosamente romantico ma quella volta era sola su quel ponte. Chiuse gli occhi, si sedette contro la ringhiera di legno e dopo aver alzato gli occhi verso il cielo, li chiuse iniziando a cantare. Restai impietrito, a qualche metro lontano da lei, senza nascondermi... volevo mi vedesse. Non si accorse di niente, cantò con una voce dolce e intonata, capii persino le parole. Lei non ne era a conoscenza, probabilmente, ma il sottoscritto sapeva parlare e capire la lingua italiana discretamente. 

Miki non aveva una voce particolare, da cantante, ma quelle parole erano state cantate con una tale convinzione e con un tale sentimento da farmi rabbrividire. Erano dedicate sicuramente al suo ragazzo, sebbene io non conoscessi la loro storia avevo intuito avessero dei problemi. Da tale stupido qual ero mi avvicinai per consolarla, nutrivo uno strano senso di protezione nei suoi confronti. Quando poggiò la testa sulla mia spalla il cuore aumentò i suoi battiti e ancor di più quando rivolse al suo amato un interrogativo indirizzato a me. Lei pensava fossi Ciak. D'istinto le dissi di non volerla perdere e la mia coscienza non poteva suggerirmi niente di più sbagliato. Non dovevo espormi così tanto con lei, non potevo illuderla, solo cinque giorni prima avevo ripreso la mia storia con Debrah. E poi... Miki non era così tanto importante per me come le avevo fatto credere con quelle mie parole, giusto? Maledetta coscienza che mi aveva messo in quella situazione. 

Mi alzai di scatto senza preavviso e Miki -dapprima con la testa poggiata sulla mia spalla- cadde sulla pavimentazione di legno di quel ponte. Si alzò mettendosi nuovamente seduta e senza guardarmi negli occhi prese ad ammirare il cielo. Non mi sbraitò contro per essermi alzato all'improvviso, non rispose neanche alla mia precedente affermazione, a quando stupidamente le rivelai di non volerla perdere. Niente sembrava toccarla. Era infrangibile a differenza del solito. E questo mi diede fastidio, a lei non importava di me. Ed io non potevo inscenare il ruolo dello scemo di turno, non potevo farle intuire cose sbagliate. 

«Con questo non pensare che io sbavi dietro a te. Io amo Debrah, giusto per chiarire, non farti strane illusioni come al tuo solito!» le dissi una volta per tutte l'evidenza di come le cose sarebbero dovute rimanere. Mi ricollegai alla risposta che le avevo dato, a quel "non vuole perderti".

«Mi dispiace distruggere i tuoi film mentali ma io ho un ragazzo da molto più tempo di quanto tu creda, caro Castiel Black, e le illusioni romantiche con te sono proprio il mio ultimo pensiero».

Pronunciò quelle parole lentamente, senza alcun apparente nervosismo, senza guardarmi negli occhi ma continuando a guardare il cielo.

Me l'aveva ammesso. Amava Francois. Stava insieme a lui anche prima di conoscerci, prima di avvicinarci, prima dei nostri baci. Fino a quel momento avevo pensato di esser stato io il furbo, di aver esagerato con i giochi, ma non avevo ancora fatto i conti con la realtà. Miki non era ingenua come avevo creduto, forse era realmente come voleva far vedere agli altri... ed io che pensavo che quella fosse stata solamente apparenza, mi sbagliavo. Era riuscita ad ingannare anche me. Eppure non avrebbe dovuto importarmi, io avevo Debrah, entrambi avevamo giocato ad armi pari, entrambi eravamo impegnati, quella rivelazione avrebbe dovuto sollevarmi da ogni senso di colpa o situazione. Ma allora perché continuavo a sentire un senso di frustrazione impadronirsi di me? Perché continuavo a sentire un peso sul cuore?

«Perfetto! Discorso chiuso allora!» le risposi, alla fine.

Decisi di non pormi più domande. Chiusi quelle mie torture mentali. Non aveva senso interrogarmi su questioni che neanche mi riguardavano. Io non ero il tipo di ragazzo da rimanerci male dopo una presa in giro da parte di una ragazza e Miki non doveva essere l'eccezione. Non doveva importarmi.

Quelle furono le nostre ultime parole. Alla mia frase non rispose, d'altronde non c'era niente da replicare. Ma nonostante i nostri discorsi restammo ai nostri posti, stranamente lei non scappò ed io neanche. Mi poggiai alla ringhiera di legno senza sedermi, mentre lei continuava ad ammirare il cielo nella stessa posizione assunta inizialmente. 

Dopo qualche minuto cominciarono i fuochi d'artificio. Anche dal giardino, dov'eravamo noi, potevano essere ammirati, ma nessuno dei due ne aveva voglia. Io mi girai dalla parte opposta della direzione dei fuochi, ammirando invece il laghetto dove le luci colorate degli spari si riflettevano, mentre Miki, anche se avrebbe potuto guardarli lasciando semplicemente gli occhi aperti, non lo fece. Non appena si udì il primo sparo chiuse gli occhi. Quella ragazza era davvero unica nel suo genere, strana e contorta, ma proprio quello era uno dei motivi per cui m'incuriosiva sempre di più conoscerla. Perché lo sapevo bene, lei ancora aveva tanto da mostrarmi di sé. Se solo avessimo messo da parte l'orgoglio forse...

-



MIKI

Non avrei mai immaginato di esser capace di cambiare così di continuo umore. In quella sera avevo provato tutte le emozioni che si potevano provare contemporaneamente. Rabbia, paura, confusione, frustrazione, gioia, affetto e molte altre ancora. Ogni minuto era più doloroso o gioioso dell'altro. In quel momento però stavo provando lo stesso dolore sofferto cinque giorni prima, la stessa e identica rabbia nei confronti di Castiel. E in quel caso non potevo prendermela con Debrah. L'artefice di tutto era stato lui, il pomodoro secco. 

I fuochi d'artificio cominciarono ad emanare suoni, ma io chiusi gli occhi per non guardarli, restai immobile contro la ringhiera di legno di quel ponte apparentemente romantico per le persone normali. Era mezzanotte, si era aperto ufficialmente il nuovo anno. Per la prima volta nella vita, restai inerme allo spettacolo che si stava presentando davanti ai miei occhi. I fuochi erano da sempre la mia parte preferita delle feste, ne ponevano la fine, ma nello stesso tempo l'inizio di un qualcosa di bello. Solitamente quello era l'unico momento di felicità dei momenti della mia infanzia, ora non lo era più. Ad ogni botto il mio cuore emetteva un lamento. Nella mia testa risuonava la frase che aveva pronunciato Castiel poco prima: "Con questo non pensare che io sbavi dietro a te. Io amo Debrah, giusto per chiarire, non farti strane illusioni come al tuo solito!" le avevo imparate a memoria, erano impresse nella mia mente e nel mio cuore sebbene le avesse pronunciate solo una volta. Quelle poche parole erano bastate per porre fine alla dolce illusione di vedermi insieme a Castiel. Delle parole simili mi erano state dette già cinque giorni prima, ma dette una seconda volta avevano fatto ancora più male. Con quel ballo, con quei modi, mi ero illusa di poter ancora intravedere il vecchio Castiel, pensavo volesse chiedermi scusa per il male provocatomi. E invece no, quelle parole le pensava realmente, e non avrebbero dovuto neanche stupirmi eppure eccomi di nuovo lì a soffrire per i suoi modi burberi. Era convinto che io sbavassi per lui, ma non mi conosceva. Dopo le sue parole non mi ero mostrata debole, anzi al contrario, gli avevo sbattuto in faccia una menzogna pur di uscire vincitrice da quello scontro e forse in quell'occasione passai addirittura in vantaggio. 

Prima che finissero i fuochi mi alzai da terra e ricominciai a combattere per chiudere in bellezza ogni tipo di rapporto esistente ancora tra noi. Mi avvicinai a Castiel anche troppo vicino di quanto avrei dovuto. I tacchi mi permisero di poterlo guardare dritto negli occhi senza alzarmi sulle punte. Così, con lo sguardo duro, con lo sguardo da guerriera lo guardai fisso. Davanti ai miei occhi pieni di rabbia lo sentii sussultare. Lui l'avrebbe pagata cara per tutte le volte che mi aveva fatto sentire piccola come una formica, per tutte le volte che mi aveva illusa, per tutti i baci che mi aveva rubato.. gliel'avrei fatta pagare a nome di tutte le ragazze che aveva usato e gettato come bambole. Ero stanca dei suoi cambi d'umore, del suo perduto amore verso Debrah e del suo continuo spiattellarmelo in faccia ogni tre per due, stanca dei suoi insulti. Ero persino stanca dei suoi capelli. Non li sopportavo più. Erano brutti e avrei pagato oro per avere la possibilità di strapparglieli uno ad uno. Quella volta l'avrebbe pagata cara. Avrei combattuto anche a costo di ferirmi.

«Castiel Black tu da oggi non esisti più! Non abbiamo più niente da dirci e questa volta sul serio. Addio!» 

Pronunciando quelle parole, gli puntai il dito contro il petto e con odio profondo mi voltai di scatto incamminandomi senza lasciargli facoltà di risposta.

Ero uscita di scena come le più grandi dive, come le più grandi attrici, proprio nel momento in cui i fuochi d'artificio finirono. Ero stanca di piangere, di essere vista come la depressa di turno, ma soprattutto ero stanca di correre dietro a chi non lo meritava. Non sarei mai stata un giocattolo di un ragazzo e tanto meno quello di Castiel Black. Non doveva permettersi più a calpestarmi. Lo aveva fatto sin troppe volte ed io sin troppe volte lo avevo perdonato ed ero soccorsa in suo aiuto. 

Giunta nuovamente dentro, incrociai Ciak, arrivava proprio al momento giusto. Dovevo assolutamente abbandonare quella festa.

«Oh finalmente! Sono tre ore che ti chiamo.. Dove caspita hai messo il cel... Ehi ma come hai fatto a ridurre in queste condizioni il vestito? E dai però Miki, avresti dovuto tenerci più cura, è un pezzo uni-»

Lo bloccai prendendo la parola «Sta' tranquillo, lo porterò in lavanderia, tornerà come nuovo. Questo vestito è importante anche per me» gli sorrisi.

Senza perdere ulteriore tempo, sebbene sapessi che forse lo avrei ferito, mi venne spontaneo raccontargli dello scontro con il rosso. Avevo giurato a me stessa che non avrei avuto più segreti con lui e, anche se, non sapevo perfettamente se potessi o meno definirlo ancora mio migliore amico decisi di non tralasciare nulla essendo totalmente sincera con lui.

«Che stronzo di pellerossa! Lo torcerei volentieri come si strappa un vecchio copione ormai inutilizzabile.» 

Ciak aveva dei modi e dei termini del tutto personali da utilizzare in caso di forte rabbia o nervosismo. Per un attimo mi fece sorridere.

La serata era quasi giunta al termine, ci sarebbero stati altri pochi balli e il sogno del grand gala si sarebbe concluso. Quasi tutti gli invitati -unendosi in coppia- continuarono a ballare, io preferii restare sola. Non me la sentii di chiedere a Ciak di abbandonare la festa, dopotutto quello era il suo giorno e sarebbe stato giusto se se lo fosse goduto fino alla fine. Tornai a sedermi al tavolo mentre Ciak venne chiamato a ballare con la modella che era stata seduta accanto a noi durante la cena. Di sicuro avrebbero fatto coppia in qualche clip. Insieme erano una visione per gli occhi. Aveva i capelli biondi dello stesso colore di Nathaniel, occhi celesti, ed alta quasi quanto Ciak. Non sapevo come si chiamasse, non avevamo avuto modo di chiacchierare, ma era molto bella... anche se troppo magra per i miei gusti. Da come avevo potuto capire era invaghita di Ciak, ma lui ovviamente l'aveva rifiutata. Infatti durante tutta la serata mi lanciò occhiatacce, pensando che il motivo del rifiuto del mio amico fossi stata io. 

Mentre ero seduta ancora ad ammirare gli altri ballare in pista, Castiel con la sua arroganza tipica della sua persona e senza calcolarmi minimamente, sparecchiò il tavolo continuando a passarmi affianco infinite volte ma ignorandomi, io feci lo stesso. D'altronde eravamo diventati due estranei a partire da ieri, da prima dello scoccare della mezzanotte.

«Andiamo via... Sei molto stanca!» la voce armoniosa di Ciak mi solleticò l'orecchio ed io sussultai per la sorpresa. L'ultima volta che avevo guardato dove fosse, si trovava ancora in pista.

«Certo che no! Questa è la tua festa, è il tuo primo giorno di fama. Goditelo finché puoi... Ciak davvero, sto bene dove sono, tranquillo!» stampai un sorriso rassicurante sul viso.

Fece come se le mie parole non fossero mai uscite dalla mia bocca che afferrò la mia mano e senza salutare nessuno, mi trascinò verso l'uscita del locale. Con quel gesto mi aveva ancora una volta stupita. Non aveva salutato neanche Rabanne che, considerando il tipo, la mancanza di saluto doveva ritenerla una mancanza di rispetto. Ma a Ciak non importò in quell'istante.

Ad aspettarci oltre il tappeto rosso c'era la Limousine. Ma quella volta non scese nessuno ad aprirci, a fare tutto fu Ciak.

«I festeggiamenti d'inizio carriera sono belli solo fin quando ci sei tu al mio fianco. Buon anno nuovo Mikì» mi confessò guardandomi negli occhi quando l'auto partì. 

«Ti prego» emisi un lamento allungando le vocali «non chiamarmi anche tu come quello lì, me lo ricordi altrimenti, ed io non voglio!» feci riferimento ovviamente a Rabanne che aveva francesizzato il mio soprannome. «Comunque grazie Ciak, buon anno nuovo anche a te!» mi avvicinai al suo volto schiacciando un bacio sulla sua guancia. «Ora è arrivato il momento di parlare degli accaduti di questa sera, ora che siamo soli voglio che tu sappia che non era mia int-»

Interruppe il mio monologo prendendo la parola «A proposito... Non ti avevo, per caso, avvertita poco prima della festa di chiamarmi Francois davanti a tutta quella gente famosa?» mi rimproverò ma con il sorriso sulle labbra.

Evidentemente non avrebbe voluto affrontare il discorso "bacio", ma era necessario per me e per la nostra amicizia.

«Oh sì, perdonami per questo, però devi capire che... tu per dieci anni sei sempre e solo stato Ciak. Non potevo cambiare le mie abitudini in un solo giorno. Ma pian piano mi abituerò, promesso!» cercai, poi, di prendere nuovamente quel discorso: «per quanto riguarda ciò che è accaduto oggi, ecco i-»

Non mi fece finire di parlare che attaccò lui a parlarmi di sopra, di nuovo:

«Smettila di essere paranoica, Mikì» sbuffò ma poi sorrise per il nome pronunciato male «Già so cosa vorresti dirmi. Tra noi non potrà mai esserci nulla, ti vedo come un amico o addirittura quasi un fratello. Questa sera mi son lasciata trasportare dal momento e dalle parole magnifiche che mi hai sussurrato. Le altre volte che ti ho baciato volevo solo dar una lezione a pellerossa, e bla bla bla... Ti conosco Mikì, basta, relax!» alzò gli occhi e le mani al cielo. 

Anche se sembrava lo dicesse con sarcasmo, aveva indovinato ogni cosa, aveva capito i miei reali sentimenti e finalmente potei emettere un sospiro di sollievo. Forse qualche ora prima avevo sbagliato le previsioni, la nostra amicizia si sarebbe salvata, lui si sarebbe rassegnato al mio rifiuto e avrebbe trovato una ragazza che meritasse e ricambiasse il suo amore.

«Non ti nascondo di esserci rimasto male inizialmente, di aver sperato fino all'ultimo che tu ti accorgessi del sottoscritto, di quanto io sia migliore di pellerossa. Ho sperato che dopo il bacio qualcosa dentro te cambiasse, ma non è stato così e va bene... Non posso obbligarti a cambiare idea. E' tutto okay, sul serio!» tornò serio per un attimo guardando coi suoi occhi limpidi dentro ai miei.

Non risposi a quella sua confessione, accennai solo un segno di assenso con la testa, ero stanca. 

Forse per il troppo sonno, forse per la pazzia, ma all'improvviso riuscii ad avere una premonizione del futuro. Ciak avrebbe trovato una donna adatta a lui, magari del suo stesso mondo; Castiel sarebbe rimasto alle dipendenze di Debrah, si sarebbero sposati o avrebbero convissuto; Nathaniel si sarebbe sposato con Melody e avrebbe avuto tanti figli con lei. Rosalya si sarebbe sposata con Leigh dopo esser diventata una stilista famosa. Tutti avrebbero avuto una vita privata entusiasmante, persino zia Kate con Pinocchio magari, tutti tranne io. Avevo scelto così, di stare sola perché incapace di amare, di distinguere e scindere i vari sentimenti. Ero una frana in quel genere di cose ed una come me poteva solamente stare da sola. La sera del gala ne era stata una conferma, ero stata capace solo di provocare guai.

Stavo immaginando, quindi, la vita come poteva essere tra dieci anni, la vedevo luminosa per gli altri e cupa per me. D'altronde ero destinata a soffrire sin dalla nascita. Con i brutti pensieri mi appoggiai sulla testa di Ciak e ci restai, forse, fino al mio arrivo a casa.

-

«Ehi?!? Miki siamo arrivati a casa tua, sveglia, devi scendere!» mi solleticò la voce dolce di Ciak.

Mi ero addormentata come una bimba sulle spalle del proprio padre o fratello, un privilegio che non avevo mai avuto occasione di provare. Già...

«E?! S-sì... S-sono sveglia. Ci vediamo presto. Ciao amico, ciao!» pronunciando quelle frasi sconnesse, mi alzai di scatto da dove ero accomodata dimenticandomi totalmente di essere all'interno di un auto e finendo, quindi, per sbattere la testa contro il tettuccio.

«Avevo dimenticato quanto tu fossi rincoglionita appena sveglia!» rise riferendosi alla mia incapacità di dialogare e di connettere anche dopo un semplice sonnellino.

Alzai gli occhi al cielo e lo guardai con un espressione rassegnata, ma non risi come invece si divertiva a fare lui. Scesi a braccia conserte da quella sottospecie di casa mobile e feci per salutarlo, ma lui mi bloccò poggiando la mano sul mio braccio e confessandomi:

«Ciò che sto per dirti ho deciso di tenerlo per me fino ad ora. Volevo fosse la sorpresa di fine serata, spero ti faccia piacere. Ecco, beh... Dal sette Gennaio inizierò a frequentare la tua stessa scuola, Mikì, sarò alunno a tutti gli effetti del liceo Dolce Amoris!»

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** CAPITOLO 17: UNO di troppo! ***


CAPITOLO 17

UNO di troppo!







Ci trovavamo in una stanza d'albergo. Da soli. Nella camera che la direttrice ci aveva assegnato per la nostra permanenza a Roma. Avevamo vinto quel dannato viaggio come Re e Reginetta del ballo di Natale, non era stato possibile cambiare la meta della gita, la preside non aveva voluto sentire ragioni, e sebbene io non avessi alcuna intenzione di tornare nella mia città natale avevo deciso di partecipare ugualmente a quella vacanza. Ed eccomi qui. 

Come ormai tutti i giorni in quello strano viaggio, io e Castiel eravamo soli. Ci trovavamo lì ad una distanza millimetrica l'uno dall'altra. Potevo percepire il suo respiro farsi sempre più pesante sulla mia pelle. Il suo fiato corto mi provocava brividi di piacere. Senza ben capire come fossimo finiti in quella situazione compromettente ed intima il rosso mi spinse con brama verso il letto, quasi come se avesse fretta di concludere l'atto. Sebbene fossi ad un passo dal letto restai sui miei piedi senza lasciarmi cadere sul materasso. Nonostante fossimo completamente vestiti, cominciò a strusciarsi sopra di me. Sentii la sua eccitazione crescere sempre di più. Ero totalmente impacciata, tanto da non riuscirmi a godere il momento; d'altronde non ero mai passata in terza fase con nessuno prima di quel giorno. 

Io e Castiel continuavamo a guardarci senza spingerci oltre. I suoi occhi erano così profondi e scuri in quel momento tanto da potermici perdere dentro. Nessuno dei due baciava l'altro. Ma dopo qualche istante, facendo uso della sua esperienza per quel genere di cose, fece la prima mossa. Iniziò a spogliarmi baciandomi ogni angolo di pelle ed io divenni fuoco tra le sue mani. La mia troppa ingenuità ed inesperienza, non mi aiutarono a capire cosa dovessi fare, mi sentii solamente avvampare dappertutto. Nessun ragazzo mi aveva mai vista nuda prima d'allora. Forse avrei dovuto spogliarlo anch'io, forse avrei dovuto toccarlo, accarezzarlo, sfiorarlo, ma non ci riuscii. Ero come pietrificata.. eppure avevo atteso quel momento da tanto, troppo tempo per restare lì impalata. L'unico gesto che non mi costò molto fare e che quindi portai a termine fu stringere i suoi capelli rossi tra le mani. 

Di lì a poco sarebbe accaduto per davvero, Castiel Black stava per diventare la mia prima volta. "La mia prima volta?! Oh cazzo! devo dirglielo, deve saperlo che io..."

«Cass, aspetta!» mi staccai dalle sue labbra e poggiai entrambe le mani sul suo petto per fermarlo. «Ecco, i-io, sì insomma; Io... non ho mai... N-non ho mai-» le parole mi morirono in gola, abbassai il volto impacciatamente senza concludere, ma lui sembrò capire ugualmente il senso del mio discorso. Castiel non rispose a parole si limitò solamente ad alzarmi il volto con le sue mani grandi, era molto più bravo a comunicare con i gesti. Mi fece capire che non aveva importanza se gli avessi nascosto di essere vergine fino a quel momento, che lui fosse pronto ad accogliermi e cercò di tranquillizzarmi. Si spogliò senza il mio aiuto, mentre io restai stregata da quel fisico scolpito. Restammo entrambi in intimo, l'uno di fronte all'altra. Poggiando entrambi le mani sul mio bacino mi spinse verso il letto dove mi lasciai finalmente cadere. Cominciò a toccarmi da sopra l'intimo, ma a causa dell'ansia che mi stava divorando, non riuscii a provare niente, nessun piacere immenso come tutti dicevano di provare ogni qual volta la mano di un uomo toccava la loro intimità. Nonostante quel piccolo particolare ero contenta, ero felice di essere con lui. Non potevo scegliere nessun altro al di fuori del ragazzo dai capelli rossi; lui era esperto, lui sapeva come gestire la situazione, lui solitamente mi faceva provare emozioni indescrivibili. E non seppi spiegarne il motivo, ma in quel momento sembrava mancasse qualcosa, non percepivo il fuoco del piacere corrodermi, non sentivo le farfalle nello stomaco, come con lui avevo provato in passato anche solo con un bacio. 

Cercai comunque di non torturarmi con i soliti pensieri e spostai l'attenzione nuovamente a lui. S'inginocchiò sul letto e mi abbassò gli slip. Le guance mi si colorarono dalla vergogna, lui se ne accorse, ma continuò nella sua impresa. Si levò i boxer e a quel suo gesto le mie guance diventarono ancora più rosee. Poi mi levò il reggiseno, inarcai la schiena per facilitargli il lavoro. Eravamo completamente nudi, l'uno sopra all'altra. Sospirai.

Castiel stava per diventare la mia prima volta, ero incredula, chi l'avrebbe mai detto?

Prima di entrare totalmente in me, baciò i miei seni ed ogni piccola porzione di pelle fino a loro a partire dal mio viso. Era diventato incredibilmente dolce, in netto contrasto con qualche minuto prima. Non feci in tempo neanche ad ammirare quel suo lato che fui distratta da un suono frastornante. Sembrava una sveglia.

"Ehi un attimo; Ma questa è una sveglia, cazzo!"

Aprii gli occhi di scatto e con gesti parecchio violenti scaraventai quell'aggeggio infernale contro il pavimento. Quel suono frastornante ci aveva interrotti. 

Scossi la testa per venire a contatto con la realtà, ma non ci riuscii. Poi provai a sbattere in modo continuato le palpebre, ma neanche quello mi fu d'aiuto. Avevo ancora davanti quelle immagini, quelle sensazioni, la sua bocca sulla mia pelle. Così rinunciai ad alzarmi e provai a connettere la mente limitandomi a rotolare tra le coperte.

Avevo appena sognato la mia prima volta. Non mi era mai capitato. Ma poi perché proprio con lui? Conoscevo tanti ragazzi carini, tanti ragazzi migliori di lui e invece no, il mio inconscio, subconscio o quello che era aveva ben pensato di immaginarmi con lui durante la mia prima esperienza di sesso. Non potei negare che fosse perfetto fisicamente, non avevo mai visto niente di più bello. Certo, non avendolo mai visto nella realtà non potevo sapere se il sogno corrispondesse o meno al suo vero fisico, ma i ricordi delle volte in cui avevo sfiorato i suoi addominali da sopra la maglietta mi fecero avere la consapevolezza che il suo corpo potesse essere ancora più prestante del sogno. 

"Smettila Miki. Non puoi pensarlo in quel senso. E' stato solo un sogno. Tu non lo desideri, lui non ti desidera. Dovete stare a debita distanza, ve lo siete promessi." Cercai di ripetermi quelle parole nella mente per auto convincermi e per smetterla di stare lì a smanettarmi i pensieri su uno stupido sogno e su uno stupido ragazzo. E poi... Lui non meritava di essere nei miei sogni. Solamente una settimana prima avevamo litigato ed avevamo deciso di chiudere ogni tipo di rapporto avuto fino a quel momento. Io per lui ero stata una delle tante e dovevo convincermi che anche lui fosse lo stesso per me.

Dopo aver chiarito i miei pensieri mi feci forza e riuscii finalmente ad abbandonare quel letto caldo. Sbirciai il calendario sulla scrivania che segnava la data del sette Gennaio.

Sette Gennaio.  

Quel maledetto giorno che avevo scarabocchiato cercando inutilmente di eliminarlo definitivamente dai giorni di Gennaio di quest'anno, era appena arrivato e incombeva sulla mia testa come una ghigliottina. 

Il famoso provino con Paco Rabanne. Solo nel pensare il nome dello stilista avevo il voltastomaco. Quella sera si sarebbe tenuto quel maledetto provino. Ma prima mi attendeva il ritorno a scuola, nel liceo Dolce Amoris. 

Le feste erano passate in fretta. Durante le vacanze avevo sentito telefonicamente e visto Rosalya e Ciak, ovviamente. Avevo, invece, evitato volutamente Nathaniel. Non volevo avere altri grattacapi. Del rosso, invece, nessuna notizia per fortuna. Sicuramente era stato impegnato a trascorrere le sue vacanze da fidanzato innamorato con la sua Debrah. Sul mio viso nacque una smorfia di disgusto solo a pensarli insieme. 

Analizzando gli abiti presenti nella mia cabina armadio, continuai a fare il punto della situazione. Quel giorno avrei dovuto parlare con la direttrice per far riassumere Nathaniel come segretario delegato, sebbene volessi mantenermi a debita distanza anche da lui, avevo promesso di aiutarlo; era stata anche a causa mia se aveva perso le staffe quella sera dell'ormai lontano ballo di Natale. Inoltre Ciak avrebbe iniziato a frequentare il mio liceo ed ebbi uno strano presentimento che anche Debrah sarebbe ritornata nella sua ex scuola. Per non parlare poi del provino a cui avrei dovuto prender parte la sera stessa ed in cui non avevo alcuna intenzione di partecipare. Sì, ormai era sicuro. Quella giornata sarebbe stata una delle giornate peggiori del mio ultimo anno di vita. Assicurato!

Dopo aver disordinato mezza stanza finalmente decisi cosa indossare. Quando ero nervosa perdevo ogni capacità di scegliere i vestiti e i vari abbinamenti. Alla fine avevo optato per un maglione nero e dorato, dei collant color carne e come sempre una gonna sopra al ginocchio coordinata al maglione. Mi truccai velocemente e scesi in cucina per fare colazione. Zia Kate era già uscita di casa, ma diversamente dalle altre mattine, quel giorno trovai un biglietto sul tavolo con la sua calligrafia. Lo presi e lo lessi:

Tesoro, in bocca al lupo per il ritorno a scuola. Non mi sono dimenticata del provino. Ti accompagno io. Ci vediamo stasera. 

PS ogni giorno mi rendi la zia più orgogliosa al mondo. 

Un bacio!

La zia era diventata molto dolce in quel periodo. L'averle tenuto il broncio per un paio di giorni aveva dato i suoi frutti. Dopo la mia sfuriata a Natale, Kate -infatti- aveva compreso i suoi sbagli e aveva cercato di rimediare, di ragionare sulle varie situazioni. Continuava a vivere la sua storia con Pinocchio, ma lo faceva con più moderazione e da donna adulta. In poco tempo stavamo pian piano recuperando il rapporto che avevamo prima del mio trasferimento a Parigi; addirittura era diventata persino più affettuosa con me. 

Prima che potessi mangiare la mia colazione, sentii suonare al citofono. Di sicuro Ciak era arrivato. La sera prima aveva insistito affinché mi venisse a prendere con la sua auto. Aveva speso i suoi primi risparmi per assumere un autista e comprare una macchina tutta sua. Era parecchio vanitoso e propenso a mostrare la sua ricchezza al mondo. Spesa inutile quella dell'automobile, a mio avviso, ma contento lui...

Conoscevo bene l'impazienza di quel ragazzo, così uscii di casa senza mettere nulla tra i denti e senza neppure rispondere al citofono; a quell'ora non poteva essere nessun altro. 

Ma in realtà ad aspettarmi fuori dal cancello non c'era nessun Ciak, nessun auto e nessun autista. Avrei fatto meglio a rispondere al citofono prima di uscire perché trovai ad aspettarmi, con le mani nelle tasche e lo sguardo fisso alla mia figura, Nathaniel. 

Non avevo alcuna intenzione di rivolgergli la parola, al momento, mi era bastato sapere quanto anche lui fosse stato bugiardo con la sottoscritta per farlo passare di diritto nella mia lista nera. Così sbattei il cancello dietro di me ed incrociai le braccia sbuffando davanti a lui, per fargli intuire che la sua presenza non fosse ben voluta.

«Potrei parlarti mentre c'incamminiamo verso scuola?» non mi salutò, si limitò a recitare la farsa del ragazzo per bene ed ingenuo, ma non ci sarei più cascata. 

«Non abbiamo niente da dirci io e te» lo guardai di sbieco mantenendo le braccia incrociate «E poi... Sto aspettando il mio ragazzo» mentii anche a lui. 

Stavo sbagliando tutto, lo sapevo bene, ma non riuscivo più a smettere di mentire; era più forte di me. Volevo ripagare con la stessa moneta tutti gli inganni di Castiel e Nathaniel, quello sembrava essere l'unico modo. Ciak era d'accordo con me. Avevamo deciso insieme di creare quella messa in scena, non avrei dovuto accettare visto e considerato che il mio migliore amico provava un sentimento profondo nei miei confronti, ma lui aveva insistito ed io non avevo saputo resistere a quella proposta così allettante. 

Davanti a quelle mie parole, gli occhi  del biondo che da sempre si erano contraddistinti per la loro lucentezza e solarità, divennero d'un tratto cupi, persero il colore del sole. 

«C-che?! C-c-come? Da quando hai un ragazzo?!» sgranò gli occhi. Era incredulo, balbettava, aveva abboccato ed io approfittai della sua debolezza per gettare il primo colpo.

«Oh, lui è italiano. Stavamo insieme da un po' di anni, proprio come te e Melody. A causa del mio trasferimento avevamo deciso di prenderci una pausa, nessuno dei due sopporta le storie a distanza. Ma visto che lui è un modello un mese fa è stato ingaggiato da Paco Rabanne, che lo ha assunto nella sua casa di moda a Parigi, ed ora eccoci di nuovo qui. Ci siamo ritrovati. Il destino ha giocato a nostro favore. E' una bella storia, non credi?!» finsi un sorriso. 

Nathaniel aprì bocca per cercare di rispondere, ma non ne ebbe il tempo perché la voce squillante di Ciak c'interruppe.

«Tesoro, salta su, sono arrivato.» si sporse dal finestrino posteriore dell'auto nera. Lo ringraziai mentalmente per avermi salvato da quella situazione scomoda e non persi altro tempo, entrai subito in auto. 

«Quel biondino viene a scuola con noi?» mi chiese provocandomi un sospiro. 

Annuii senza proferire parola, ma me ne pentii all'istante perché Ciak -con la solita esuberanza che lo caratterizzava- si sbracciò fuori dal finestrino attirando l'attenzione di Nathaniel. «Ehi tu, biondino, salta su, ti do un passaggio!» mi schiaffeggiai la fronte. 

«No, grazie. Preferisco fare due passi» rispose cordialmente come era solito fare, Nathaniel. 

«Invece insisto, vieni dai! Voglio fare nuove conoscenze. Sono nuovo, ancora non conosco nessuno della scuola e-»

Bloccai il monologo infinito del mio amico, sbottando. «Ma che cazzo Ciak, ha risposto di no, lascialo in pace!» alzai gli occhi e le mani al cielo esasperata.

«Va bene, accetto il passaggio!» 

"Ma che? Molo coerente, il ragazzo." Il biondo accettò il passaggio dopo aver notato il mio nervosismo. Perché lo aveva fatto?

Quando Nathaniel salì in auto accanto a Ciak, dopo le presentazioni, finalmente partimmo. Nathaniel era a sinistra, io a destra e Ciak al centro. Il trio perfetto.

A Ciak non avevo raccontato molto del biondo, sapeva che mi avesse accompagnata al ballo di Natale, del viaggio in carrozza, che fosse stato molto gentile, ma non era a conoscenza di tutti i trascorsi e retroscena, per quel motivo gli fece una domanda che sarebbe stato meglio evitare. 

«Allora Nathaniel, come va con le ragazze? Stai con qualcuna?» 

Il biondo non poteva saperlo, ma Ciak in Italia era conosciuto come Cupido di turno. Quella sulle relazioni era una delle prime domande che faceva non appena conosceva qualcuno. Le persone normali avrebbero chiesto: "Cosa fai nella vita? Che aspirazioni hai per il futuro?", mentre lui: "Hai una ragazza?". Aveva quella strana fissazione di cercare la persona giusta per ogni ragazzo o ragazza single, a volte i suoi accoppiamenti funzionavano. Nella nostra scuola, a Roma, avevo visto coppie formate da lui durare addirittura qualche anno. 

Nathaniel, stranamente, non si scompose davanti a quella domanda anzi si voltò verso di me e rispose come se quella frase fosse rivolta a me: «Al momento sono single, ma il mio cuore batte per una ragazza strepitosa!»

«Sì, si chiama Melody!» non persi tempo per controbattere e distogliere lo sguardo dal suo. 

Nathaniel scosse la testa in segno di negazione davanti alla mia affermazione e poi prese parola «Melody è la mia ex, siamo stati insieme per parecchio tempo, ma più che altro sotto costrizione dei miei genitori. Diciamo che... a causa loro mi ero anch'io auto-convinto che lei fosse perfetta per me» sospirò e poi terminò il discorso «Ma... Poi a Settembre dello scorso anno conobbi un'altra ragazza e niente mi parve più certo. Mi ha stregato! E, scoprire oggi -a distanza di tempo- che è impegnata con qualcun altro beh... mi fa male!»

Ingoiai la saliva rumorosamente. Non era mai stato così sincero prima d'allora. Avevo già intuito qualcosa del genere, ma non essendomi stato mai confermato da nessuno, non potevo sapere quale fosse la verità. Nathaniel aveva iniziato ad allontanarsi da Melody dopo il mio arrivo al Dolce Amoris. Ma allora perché non mi aveva raccontato semplicemente la verità invece di continuare a mentirmi? Sarebbe stato tutto diverso se lo avesse fatto. Dopo quella sua confessione sincera mi sentii quasi in colpa di essermela presa così tanto con lui, dopotutto non stavamo insieme, non avevamo neanche iniziato a frequentarci; tra di noi c'era stato semplicemente un bacio a stampo, lui mi aveva confessato di piacergli, era stato il mio cavaliere al ballo di Natale e di certo con quegli avvenimenti non avevo alcun diritto di sentirmi tradita da lui. Il fatto era che... stava andando tutto a rotoli in quel periodo. Per anni mi ero costretta a non provare nessun d'interesse reale, oltre quello fisico, per alcun ragazzo ma in quei mesi a Parigi mi ero ritrovata ad avere la vita totalmente stravolta. Non sapevo più distinguere un rapporto di amicizia da qualcosa di più, non sapevo gestire i vari rapporti. Ero un disastro. 

Abbassai il volto dalla vergogna dei miei pensieri, per la mia confusione, mentre Ciak continuava ad alternare lo sguardo da me a Nathaniel. Prima guardava me e poi il biondo. Forse aveva capito più cose di quanto ne avessi capite io nel giro di cinque mesi. 

«Mhmh... E questa ragazza misteriosa, invece, cosa prova per te?» chiese Ciak a Nathaniel marcando la parola "misteriosa", fingendo di non aver capito chi fosse la ragazza, ma guardando me di sottecchi. Il mio migliore amico aveva decisamente compreso ogni cosa. 

Nathaniel a quella domanda così diretta di Ciak, arrossì lievemente e poi alzando le spalle in segno di dubbio mi guardò direttamente chiedendo a me di rispondere al posto suo. Effettivamente non mi ero mai esposta nei suoi confronti, avevamo sempre e solo parlato della sua infatuazione, mai di ciò che provassi io. Ero così confusa tanto da non sapere come uscire da quella situazione. Non volevo deluderlo.

«Quella ragazza prova qualcosa per Nathaniel?» tanto per infilare ancor di più il dito nella piaga, il mio migliore amico si rivolse a me senza più sotterfugi. Maledetto.

Nathaniel era, senza ombra di dubbio, un bellissimo ragazzo, gentile e con tanti altri pregi. Ma da sempre, sin dal primo giorno della nostra conoscenza c'era stato un lato di lui nascosto, come se avesse paura a mostrarsi per chi era realmente, come se avesse timore di me. Era un ragazzo troppo basato, non trasgrediva neanche una delle sue stupide regole. Così cercai di trasmettergli quelle mie impressioni.

«I-io credo che lei pensi che Nathaniel sia un ragazzo straordinario, ma troppo frenato. Dovrebbe lasciarsi andare, trasgredire le sue regole, dovrebbe parlarle esplicitamente di ciò che vuole.» mi lasciai andare con le parole, poi mi affrettai a precisare: «Tutto questo me l'ha detto lei. Ehm, sì... P-perché la conosco» aggiunsi un sorriso di circostanza alla fine. 

Non ne capii il vero motivo, ma nonostante tutti e tre sapessimo perfettamente chi fosse quella ragazza misteriosa ad aver rubato il cuore del biondo, continuammo a parlare in terza persona. Come se lei non fosse presente a quel discorso, come se lei non fosse me

Nathaniel non rispose alle mie parole, restò in silenzio a riflettere portandosi la mano al mento. Ad un certo punto alzò il volto di scatto, come se avesse appena fatto una scoperta importante, e con le sopracciglia corrugate fissò stranito me e Ciak: «Ma voi due non avevate detto di stare insieme?» mi ammutolii con quel quesito. 

Per tutto il tempo trascorso in auto, sia io che il mio migliore amico, avevamo dimenticato un piccolo particolare: il nostro finto fidanzamento. Ci eravamo, infatti, comportati come facevamo in ogni occasione, come due amici. In quel frangente di tempo avevo persino dimenticato che Ciak provasse qualcosa per me. Ero una sbadata di prima categoria, come potevo dimenticare quei particolari così importanti? 

«Siamo una coppia aperta!» rispose di getto Ciak per evitare di farci scoprire ancor prima d'iniziare quella farsa. Davanti a quella replica io e Nathaniel sgranammo gli occhi all'unisono. Mi picchiai in fronte mentalmente per quell'uscita assurda del mio amico. 

«V-voi quindi potete avere r-rapporti sessuali anche con altre persone?» sussurrò il biondo quasi come se ci stesse chiedendo qualcosa d'indecente e proibito. 

Quella situazione era divenuta troppo imbarazzante per i miei gusti. Quei discorsi avevano preso una piega del tutto inaspettata. Quel giorno le strade erano parecchio trafficate e c'impiegammo il doppio del tempo per giungere a scuola, per mia sfortuna, così non potei neanche deviare l'argomento, ma lasciai ugualmente tutto il peso dei fatti a Ciak. Lui ci aveva messi in quella situazione e lui ci avrebbe salvato.

«Oh no questo no, non sia mai! Solo baci o cose simili. Le avevo proposto anche quello, ma lei insiste di voler arrivare vergine al m-»

«Ma che cazzo dici Ciak? Sta' zitto!» mi sollevai d'istinto dal mio posto e mi sporsi verso il mio migliore amico per tappargli la bocca mentre lui trattenne a stento le risate. Il farabutto mi aveva giocato volutamente quel brutto scherzo per allontanare Nathaniel da me. Non potei negare, però, di esser rimasta incredibilmente divertita dall'espressione che si dipinse sul volto del biondo dopo le parole di Ciak.

-

La rivelazione del mio migliore amico a Nathaniel mi aveva innervosita e non poco, ma Ciak non aveva colpe. Lui non poteva sapere cosa avessi fatto intendere a tutta la scuola,  non poteva immaginare che tutti pensavano che io avessi parecchia esperienza con i ragazzi. Tutte quelle bugie prima o poi mi si sarebbero rivolte contro, ne ero già consapevole. Ma arrivata a quel punto non potevo più tornare indietro, altrimenti ogni persona della scuola mi avrebbe preso per pazza. Sperai nella discrezione di Nathaniel, sperai che non ne facesse parola con nessuno della mia verginità. Quell'aura da ragazza facile era stato il mio scudo per tanti anni e un repentino ribaltamento della situazione mi avrebbe fatto cadere nella disperazione più totale, non potevo permettere a nessuno di scalfire il mio muro. 

Quando finalmente arrivammo davanti scuola, liquidai sia Ciak che Nathaniel per recarmi nell'ufficio della preside. Avevo promesso al biondo che sarei riuscita a fargli riavere il posto di segretario delegato, e così sarebbe stato. 

Così nonostante il cattivo umore che avvolgeva ogni cellula del mio corpo, mi recai convinta più che mai davanti quella porta.

L'ufficio della direttrice era situato al pianoterra prima delle scale che portavano ai successivi piani. Mi era capitato solamente una volta di entrare in quella stanza e guarda caso era successo con il rosso. Purtroppo, anche se mi pesava ammetterlo, con e grazie a lui avevo passato davvero tanti momenti incredibili. Lui era la persona più importante che avevo conosciuto a Parigi, il primo francese conosciuto ancor prima di metter piede in quel nuovo Stato. Tutti i momenti passati accanto al rosso, nonostante la rabbia e il dolore che la maggior parte delle volte mi avevano provocato, mi avevano lasciato anche un sorriso. Poteva essere un sorriso amaro o un sorriso felice, ma era pur sempre un sorriso. Uno dei pregi di Castiel era appunto quello. Era capace di far ridere chiunque pur essendone inconsapevole. Di lui era comica persino la mimica facciale imbronciata del suo viso. 

Restai impalata davanti alla porta dell'ufficio a pensare quello strano ragazzo. Potevo disprezzarlo quanto volevo, dargli qualsiasi colpa, ma sarebbe rimasto pur sempre nel mio cuore e quell'aspetto non avrei mai potuto mutarlo. Così senza volerlo ripensai inevitabilmente al mio primo giorno di scuola, alla mia prima ed unica visita nell'ufficio della preside. 

«Ciao a tutti sono Miki, ho 16 anni, vivo con mia zia perché i miei genitori lavorano per tutto il mondo in una compagnia aerea. Mi piace vestirmi di marca e adoro la scuola».

L'ultima frase potevo benissimo risparmiarla. Cosa mi era girato per la testa? Un mio difetto? In un momento di pura vergogna e agitazione mi uscivano parole istintive dalla bocca; il che in uno sprazzo di vita quotidiana sarebbe stato un buon aspetto, davanti ad una classe di liceo, davanti a diciotto adolescenti un po' meno. 

Davanti alle mie parole vidi qualche volto, ancora sconosciuto, sgranare gli occhi e guardarmi quasi schifato. Me lo meritavo. Tutti odiavano la scuola, tutti odiavano le persone ricche e dire "mi piace vestirmi di marca" equivaleva a classificarsi come una ragazza viziata e ricca da far schifo. Abbassai il volto per la vergogna fin quando non sentii una voce provenire dalla fine dell'aula: «ochetta novellina» che mi fece risollevare il volto dallo stupore. E non era stupore per la frase utilizzata, quella me la meritavo. Lo stupore era per l'appartenenza a quella voce. Voce che avevo imparato a conoscere bene in un solo giorno.

Castiel. Cosa ci faceva Castiel Black nella mia stessa classe?

Senza poter connettere al meglio quelle troppe informazioni, il professore mi fece distrarre sgridando subito il rosso: «Castiel ora chiedi scusa alla tua nuova compagna compiendo il bel gesto di farla sedere accanto a te per il resto dell'anno» sembrava quasi stesse parlando ad un bambino. 

E poi chi diavolo avrebbe voluto vedere questo "bel gesto" da parte sua? Io no sicuramente.

«Oh no, non si preoccupi professore. Non posso sedermi accanto ad un pomodoro, potrebbe sporcare i miei vestiti...»

«Le oche non possono sporcarsi; stanno sempre nei loro laghi a starnazzare.» erano battute ed insulti infantili i nostri, sembrava quasi ci fossimo messi d'accordo.

«Ragazzi adesso basta, altrimenti sarò costretto a mandarvi dalla direttrice» aggiunse il professore, ma nessuno dei due si degnò di ascoltarlo. 

«Sarò pure oca ma tu non ti sei visto con quei capelli e con i vestiti da barbone che ti ritrovi» ormai non potevo dargliela vinta. 

«Ragazzina mi stai facendo innervosire, non ti conviene farlo» sembrava quasi una minaccia la sua. Ed io non volevo altro che quello. Amavo essere provocata per poi rispondere con il peggio di me. 

«Oh allora sì che ho paura. Sto già tremando» feci la finta mossa che solitamente si fa quando è freddo. 

Il battibecco continuò per altri cinque minuti, quando poi il professore si rese conto di non poter più proseguire la lezione per colpa nostra: «Ora basta venite con me» c'impose. 

Entrambi lo seguimmo ed in un attimo ci trovammo nell'ufficio della direttrice. Quando ci vide e fu informata dei fatti, ci fece accomodare su due sedie davanti alla sua scrivania in legno ed iniziò anche lei la sua ramanzina.

«Signorina Miki, lei ha un curriculum perfetto e dei voti altrettanto perfetti ora cosa le è preso? È già la cattiva influenza del signor Black a provocarle tutto questo?»

Quella sua frase risultò parecchio e troppo falsa per le mie orecchie. Non ero solo una ragazza disagiata, fino a mezz'ora prima, per lei? 

«Tzé... Ma se neanche la conosco!» s'intromise lui sentendosi messo in ballo.

«Le chiedo scusa, sono nervosa, sa... il trasloco e tutto il resto» conclusi io. Mi stava antipatica, ma non potevo di certo risponderle male. Non volevo peggiorare la situazione già critica. 

«Nervosismo o meno non si accettano questo genere di cose il primo giorno di scuola -sospirò- comunque sia vi beccate entrambi una punizione che comporterà, terminate le lezioni, pulire tutta la scuola oggi pomeriggio ed essere vicini di banco per un anno intero. Che questo piccolo accaduto sia d'insegnamento agli altri alunni. Dovete pensarci due volte prima di litigare per delle sciocchezze, dovete volervi tutti bene». concluse così la lezione di vita, la direttrice.

«Ma no cazzo, ho le prove della band oggi.» Sempre molto delicato, Castiel.

«Castiel non usare questi termini nel mio ufficio -sbatté la mano sulla sua scrivania- e se ti lamenterai ancora, resterai una settimana dopo scuola a pulire!»

Con un finto colpo di tosse, poi, m'inserii anch'io nel discorso «Ehm... invece per quanto riguarda la questione di essere vicini di banco, non potrebbe essere rivista e cambiata? La situazione credo non gioverebbe al rendimento scolastico dell'intera classe. Ecco, vede... io ed il Signor Black siamo incompatibili caratterialmente e litigare sarà inevitabile»

«Ed è qui che si sbaglia signorina Rossi, il vostro rapporto sarà presto visto come esempio per il resto della classe. Presto vi accorgerete che i caratteri apparentemente incompatibili possono creare capolavori insieme».

«IMPOSSIBILE!» quasi urlammo in sincrono io e Castiel. 

Avrei dovuto correggere la direttrice per la sua insinuazione di qualche mese prima. Io mi ero affezionata realmente al rosso, ma lui a me neanche un minimo. In più, in tutto quel tempo, non avevamo fatto altro che litigare. Inizialmente sembrava fossimo diventati realmente amici, ma poi erano bastati degli avvenimenti per stravolgere tutte le carte e per farci allontanare definitivamente. Insieme non avevamo creato alcun capolavoro, anzi semmai -dietro di noi- avevamo portato distruzione; eppure non riuscivo a rimpiangere niente di quei mesi.  

Tra noi era tutto cominciato così, tra battibecchi vari e abbracci nascosti, tra sorrisi sghembi e carezze mancate, tra sguardi duri e baci rubati. Castiel con quei suoi comportamenti strani si era fatto pian piano spazio nel mio cuore e alla fine se n'era impossessato completamente. Finalmente grazie ad un flashback avevo capito il reale motivo del sogno di quella notte. Potevo negarlo fino allo sfinimento, ma non sarei mai riuscita a dimenticare Castiel. Era stato il mio primo bacio, era stato il primo ad entrare nel mio cuore dopo Ciak, e dentro me -in un posto internato e nascosto- continuavo a desiderare che lui diventasse la mia prima volta, sebbene quel piccolo aspetto non sarebbe più potuto divenire reale. Lui stava con Debrah, lui non mi voleva, e dopo le ultime discussioni neanch'io ero più convinta di volerlo nella mia quotidianità, ma Castiel restava Castiel. Il bello, tenebroso e impossibile Castiel.

"Basta Miki! Ti stai contraddicendo continuamente con discorsi inutili. Smetti di pensare chi non merita e bussa a quella dannata porta!" intervenne la mia coscienza suggerendomi, per la prima volta, la cosa più sensata da fare. Le diedi ascolto. 

Alzai la mano a mo' di pugno pronta a bussare, ma restai con la mano bloccata a mezz'aria quando sentii delle voci all'interno della stanza. La preside ed il vicepreside Faraize, stavano avendo un battibecco.

«Signora Preside, mi dispiace se insito ma non ritengo opportuno iniziare le attività dei club. Sarebbe rischioso farlo a metà anno. Non abbiamo ancora fondi a sufficienza per le attività finali e sappiamo bene che il ministero dell'istruzione non ci permetterà di svolgere le attività se alla fine...»

«Stia un po' zitto, Faraize! Nessuno ha chiesto il suo parere. La decisione finale spetta a me ed io ritengo che si debbano iniziare le attività già da domani. I fondi arriveranno in un secondo momento ed entrambi sappiamo bene che più club apriamo e più saranno sostanziosi i finanziamenti. Ora che è arrivata anche l'aiutante del club di musica riusciremo ad avere molto più successo durante il concerto finale.» Si prese un attimo di tempo e poi concluse il discorso: «Ogni alunno ha già provveduto ad inserire la propria preferenza all'interno della domanda d'iscrizione, si faccia aiutare dai delegati e visioni tutte le domande entro domani mattina per poter spostare i ragazzi dai club più affollati a quelli meno frequentati, qualora ce ne sia bisogno. Si sbrighi e sparisca dalla mia vista, ha molto lavoro da svolgere!» la preside era stata molto severa con il vicepreside, ma tutti ormai la conoscevano bene e sapevamo che quel tono duro non era nient'altro che apparenza. 

L'indomani, quindi, avrebbero avuto inizio le attività dei club. La mia scelta, al momento dell'iscrizione, era stata il club di musica. Non sapevo suonare nessuno strumento, ma da sempre amavo cantare e -sebbene non avessi una voce da usignolo- ero intonata. All'epoca dell'iscrizione sapevo che si potessero iscrivere sia cantanti che musicisti, quindi ne approfittai e scelsi quel club. Degli altri club presenti non me ne piaceva neanche uno. C'erano i club: di teatro, giardinaggio, basket ed infine quello di musica.

Dopo aver lasciato uscire e passare il professor Faraize e dopo aver inventato una scusa sulla mia presenza invadente davanti alla porta, mi decisi finalmente a bussare per poter parlare con quella donna.

Aspettai un segno della preside e quando arrivò non persi tempo, entrai nell'ufficio e senza accomodarmi su una delle poltrone, cominciai a parlare: «Salve Signora preside, ecco io... Sono qui per p-» bloccò ogni mio discorso sul nascere e togliendosi gli occhiali alzò un sopracciglio irritata: «Scommetto che mi vuole parlare della riassunzione dell'ex delegato, vero signorina Rossi?!»

Mi aveva letto nel pensiero e a valutare la sua reazione ancor prima d'iniziare il discorso, pensai che non sarebbe stato per nulla semplice convincerla. 

«Ecco, io... in effetti, s-sì. Vorrei parlarle dell'avvenimento accaduto durante il ballo di Natale. Nathaniel ha reagito in quel modo perché è stato istigato, ed è stata solo colpa mia. Dovrebbe punire me, non lui. Inoltre mi scusi per tutto il trambusto generato, non si ripeterà più!» piagnucolai facendo fuoriuscire l'attrice innata presente in me, ma la preside non si scompose.

«Vorrei ben vedere... Certo che non deve accadere più una cosa del genere, signorina Rossi, altrimenti la prossima volta i provvedimenti saranno ancora più gravi!» mi rimproverò, poi proseguì: «Capisco i suoi drammi amorosi, alla sua età è normale avere più di un contendente, ma ciò non può giustificare in alcun modo il comportamento del signor Daniels. Il segretario delegato dovrebbe essere l'alunno modello per eccellenza e quei comportamenti da pugile non possono essere tollerati».

«Signora preside, lei lo sa meglio di me quanto Nathaniel Daniels sia perfetto come alunno e come segretario delegato. Sarà difficile o addirittura impossibile sostituirlo. Per lui è importantissimo questo ruolo, la scongiuro, ci ripensi è stata colpa mia se è successo quello che è successo e..»

«Signorina Rossi non mi faccia alterare più di quanto io non lo sia già, la invito a smetterla con questi piagnistei. Apprezzo la sua solidarietà per il signor Daniels, ma in questo momento non può essergli d'aiuto in alcun modo. Non cambierò opinione. Sebbene apprezzi da sempre il lavoro svolto da Nathaniel per la nostra scuola, non posso comportarmi diversamente. La legge è uguale per tutti e lo è anche per lui, senza alcuna eccezione!» 

Si alzò dalla sua scrivania e con tutta la serietà del mondo aprì la porta «Ora vada in classe, o arriverà in ritardo per la prima lezione!» Poi con la mano mi mostrò la via d'uscita.

La preside era un osso duro più di quanto credessi. Non si lasciava influenzare da nessuno. Si fidava solo di se stessa.

Così senza insistere, uscii a testa bassa da quella stanza. Non avrei avuto il coraggio di affrontare Nathaniel dopo la mia sconfitta. M'incamminai per recarmi in aula, ma sentii delle voci troppo familiari, alle mie spalle, e mi bloccai nel bel mezzo del corridoio. Non mi voltai nella loro direzione, non ne avevo bisogno. Le voci insopportabili potevano essere riconosciute anche a distanza. 

«Quindi tu mi stai dicendo che dovrai continuare a stare in banco con quella troia laggiù?»

La voce stridula della vipera si fece sentire. Era pronta a mordermi per annientarmi con il suo veleno, ma io non glielo avrei permesso. Mi aveva definita nel peggiore dei modi senza neanche conoscermi, ma l'indifferenza era pur sempre la miglior difesa, no?

La sua presenza asfissiante nel corridoio, stava a significare solo una cosa. Le mie previsioni erano reali. Debrah avrebbe ricominciato a frequentare il Dolce Amoris. Di quel passo entro la fine dell'anno sarei finita in carcere dopo averla uccisa, come minimo. 

Senza rispondere a quelle provocazioni ripresi a camminare in direzione della mia classe, avrei preferito attendere un po' prima di commettere il suo omicidio. 

«Ah comunque se avevi intenzione di attirare l'attenzione di Castiel, vestita in quel modo squallido, sappi che la tua è stata solo fatica sprecata. Castiel odia le puttane come te!» urlò l'ultima frase e la sua voce si espanse per tutto il corridoio. 

Sebbene fossero già tutti nelle proprie rispettive classi, sebbene nessuno l'avesse sentita, il suo modo di chiamarmi urtò il mio sistema nervoso. L'aveva fatto per la seconda volta nel giro di pochi minuti ed io non potevo più permettere di essere chiamata con quel nomignolo proprio da lei. Dovevo difendermi, l'indifferenza in quel caso non sembrò essere la miglior difesa. 

Mi voltai furiosa e la raggiunsi con passi svelti. Era in compagnia di Castiel, come immaginavo, e ciò mi disturbò, non perché non riuscissi a sopportare la vista di loro due avvinghiati, ma perché non si era sprecato neanche a dire alla sua ragazza di moderare i termini. Evidentemente anche lui doveva avere la stessa concezione che Debrah aveva di me. Lui era alla sue spalle; Stringeva le mani intorno alla vita della ragazza e teneva il volto basso, come se non volesse incrociare il mio sguardo. Prima di liberarmi con le parole, mi presi un attimo di tempo per fissare il ragazzo dai capelli rossi. Inevitabilmente ripensai al sogno di quella mattina e mi sentii avvampare e nello stesso istante avvertii una strana sudorazione alle mani. Era strano il destino, un attimo prima sembrava darti tutto, una felicità illusoria ma pur sempre bella e l'attimo dopo invece sembrava toglierti ogni cosa positiva, facendoti sprofondare sotto terra, dove la realtà colpiva come un fulmine a ciel sereno. Castiel quella mattina -nel mio sogno- era avvinghiato a me, quelle sue mani cercavano, bramavano il mio corpo, perché invece dopo poche ore doveva stare con un'altra che non fossi io? Perché le sue mani erano su di lei?

Scossi impercettibilmente la testa quando mi resi conto della direzione sbagliata che i miei pensieri stavano prendendo e finalmente mi decisi di replicare agli insulti della sua ragazza.

«Mi dispiace illuminarti, allora, che tu non hai un modo di vestire poi così tanto differente dal mio» un sorrisetto finto sul mio viso «e poi non mi pare che il tuo ragazzo si sia mai lamentato delle mie minigonne, fino all'altro giorno, quando per l'ennesima volta mi ha scopata con gli occhi» il mio sorriso si allargò quando vidi l'espressione sul volto di Debrah mutare in una d'incertezza. Non era poi così tanto sicura di se stessa come voleva far credere agli altri. 

«Ah e, un'ultima cosa. Io sono felicemente fidanzata, non voglio avere noie a causa delle tue gelosie da pivella. Castiel non è mai stato nient'altro che una possibile scopata, per me. Ora spostati, m'invadi l'aria!» dopo quell'ultima frase l'urtai con le mie spalle spingendola, -finendo per sfiorare involontariamente anche un pezzo di pelle di Castiel- e la sorpassai senza dedicare un secondo in più della mia attenzione a quei due. Camminai sensualmente più del solito, sapevo che entrambi mi stessero fissando e ne approfittai.

 Avevo appena mostrato a quella vipera di poter essere più tagliente di lei con le parole, potevo spruzzarle addosso un veleno ancora più potente del suo. Quelle parole dette da me erano state più false dell'imitazione di un vestito Dolce e Gabbana. Mi provocò persino una fitta all'altezza del cuore pronunciarle, ma non potei fare altrimenti. Dovevo difendermi in qualche modo e inventare menzogne su menzogne sembrava essere l'unica possibilità.

Castiel in quei pochi minuti in cui avevamo condiviso la stessa aria, era stato capace di deludermi, di nuovo. Quando era con Debrah diveniva totalmente un'altra persona. Era passivo, non reagiva, stava come un cane al guinzaglio. Eseguiva i comandi della sua padrona. La sera del gala invece, era diverso. Avrei preferito i suoi soliti insulti piuttosto che il suo silenzio. Mentre Debrah sputava veleno, lui stava immobile. Qualcosa non quadrava, il Castiel conosciuto in quei mesi non si sarebbe abbassato davanti a nessuno, neanche davanti all'amore. Quello che si era presentando ai miei occhi non era degno del suo nome, non era degno di chiamarsi Castiel Black.

-


CIAK

Il sentimento provato per Miki era talmente grande da portarmi ad assecondare ogni sua richiesta. Assecondai persino di essere il suo finto fidanzato per far ingelosire quel pellerossa da quattro soldi. Era brutto da ammettere, ma il modo con il quale guardava quel Castiel, faceva intendere che dentro di lei ci fosse un sentimento maggiore di quello che pensava di provare. Miki non aveva accettato il fatto di essere la seconda scelta, che la sua infatuazione non fosse corrisposta o almeno non corrisposta per ciò che faceva intendere Castiel. Quel disastro di ragazzo voleva auto convincersi di non essere affezionato alla mia Miki, ma faceva soltanto ridere, si contraddiceva da solo, finiva sempre per tornare da lei o addirittura era geloso di qualsiasi ragazzo le si avvicinava. Avevo sempre avuto un dono innato di comprendere i comportamenti delle persone e mi erano bastate poche ore per capire appieno anche quel rosso problematico. 

Era facile innamorarsi di Miki; bella da togliere il fiato, un volto angelico e un corpo da diavolo. Era pura, divertente, riservata, apriva il cuore solo a poche persone ma quando lo faceva, dava tutta se stessa. 

In Italia tutti si erano fermati all'apparenza, nessuno era interessato a stare vicino ad una ragazza con la pelle scoperta più delle altre. Tutti ritenevano fosse una ragazza facile solo per quell'aspetto, nessuno l'aveva mai vista in situazioni sospette con un ragazzo eppure faceva comodo ai nostri compagni continuare ad additarla come "poco di buono". Ma in Francia dove a nessuno importava del proprio modo di vestire, la gente e soprattutto i ragazzi erano andati oltre. Aveva conquistato più cuori di quanto immaginasse. Aveva stregato tutti con i suoi modi di fare contraddittori ed io impazzivo ogni istante di più nel sapere in quanti la desiderassero. 

Era strana quella situazione, a tratti faceva ridere. Miki provava gli stessi miei sentimenti, si trovava nella mia stessa situazione, ma non nutriva quell'emozioni per me, bensì per un altro ragazzo duro di comprendonio. Miki desiderava una persona apparentemente impegnata e avrebbe fatto di tutto pur di stargli vicino. Anch'io ero così con lei. Fingevo di capire come si sentisse confusa, fingevo di esser rimasto suo amico, fingevo che tutto andava bene così... Ma la realtà dei fatti era un'altra: io non riuscivo a comprendere un bel niente. Non capivo perché mi avesse baciato la sera del gala, perché avesse quei comportamenti contraddittori. Quei pensieri mi stavano torturando da una settimana e avrei preferito non dover frequentare lo stesso suo liceo, sebbene le avessi fatto intuire di esserne entusiasta. A causa del nostro finto fidanzamento ci eravamo infilati entrambi in quella situazione paradossale e non era facile per me starle accanto ma non esserlo per davvero. Avevo sbagliato ad assecondarla, in quell'attimo di follia mi ero illuso di poter trarre vantaggi da quella storia.

Lei mi baciava per finzione ed io per amore. Non c'era nulla di giusto in quel concetto. 

Ogni suo bacio era aria per me, era come uscire da due minuti di apnea, era come sognare ad occhi aperti, ma lei? Cosa provava quando mi baciava? Fino a quel giorno non volli essere autolesionista ma sapevo perfettamente cosa provava o meglio a chi pensava mentre era costretta a stare con me. Quando lei baciava me pensava a Castiel. A quanto si fosse infastidito a sentirsi rifiutato per un altro, a quanto sarebbe stato bello se al mio posto ci fosse stato lui. 

Non c'era niente di giusto in quella situazione così contorta. E se avessi saputo che sarebbe andata a finire in quel modo, di sicuro, avrei preferito scegliere un'altra città per lavorare. Il mio stilista preferito stava altrove non in Francia. Avevo fatto credere a Miki che la scelta non fosse stata fatta unicamente per lei, ma invece era stato così. Fingevo davanti a Rabanne, fingevo di adorarlo davanti a lei, davanti a tutti, ma ogni giorno il mio odio per quell'uomo cresceva sempre di più.

Dal mio arrivo a Parigi, Miki, poi non si era fermata neanche un attimo a chiedermi una scemenza come: "Ehi Ciak, tutto apposto? Come ti trovi in questa città?", No. Da quando ero atterrato in quella terra straniera non era esistito nient'altro che il nostro finto fidanzamento, nient'altro che i suoi racconti sulla sua vita. Era risultata egoista.

Anche quella mattina era stato così. Mi aveva baciato e lasciato come un allocco per correre a risolvere una certa situazione per il biondo. Che poi... Miki aveva dovuto cambiare città per svegliarsi e darsi da fare con i ragazzi? Improvvisamente tutti la mettevano in confusione, non era più contraria all'amore. Cosa l'aveva cambiata così tanto? 

Scossi la testa. Non era più momento di pensare a lei. La mia vita doveva smettere di girare intorno alla sua figura. Così cominciai a guardarmi intorno. Quella che mi ritrovavo davanti sarebbe stata la mia nuova scuola: il liceo Dolce Amoris. Il nome era abbastanza buffo, e non sembrava certo un nome di una scuola, ma piuttosto quello di un cartone. L'edificio sembrava abbastanza grande se visto dall'esterno. Era tutto giallo. Da fuori si poteva ammirare un enorme giardino con molti alberi, ma su questo non ci feci molta attenzione visto il mio scontroso rapporto con la natura. Da sempre preferivo i luoghi chiusi o al massimo il mare...

Già, il mare... Una fitta allo stomaco, e quella parola evocò ricordi che sarebbe stato meglio non ricordare al momento. Con Miki mi capitava spesso di andarci. Lì, su quelle spiagge italiane dove più di una volta avevo provato a rivelarle i miei sentimenti, ma come un codardo, alla fine non avevo mai trovato il coraggio di farlo realmente. Ogni volta che mi attingevo a farlo avevo avuto la fissazione e il timore di essere rifiutato, di poter mandare a quel paese anni e anni di amicizia, solo perché lei continuava a dire di essere contraria all'amore. Ma vedendola a distanza di mesi capii di aver sbagliato, perché se solo avessi avuto poco più coraggio le avrei fatto capire di non dover avere paura, l'avrei fatta innamorare di me. Cominciai ad avere quella convinzione la sera di Capodanno, al gala. Vederla con quegli occhi, con quelle intenzioni, lì sul pontino mi accese alcune speranze, ma alla velocità della luce le spense per dare spazio ai rimpianti.. perché subito dopo il nostro bacio nel suo sguardo, in quegli occhi scuri capii che stesse pensando ad un altro; e l'altro non ero io, ma Castiel. Se solo avessi anticipato i tempi, se solo avessi avuto un briciolo di caparbia in più, l'altro non sarebbe mai entrato nella sua vita o nel suo cuore.

Tra mille rimpianti e ripensamenti finalmente mi decisi ad entrare nell'edificio della mia nuova scuola. Dopo qualche metro dell'entrata erano piazzati ai lati del corridoio, i famosi armadietti degli studenti. Erano del colore dell'alluminio e ad ognuno vi era scritto un nome. Caso volle che tra tanti, il mio sguardo si posasse proprio sul nome di Miki. Accanto al suo era riportato un altro nome: Rosalya. Mi avvicinai sempre più all'armadietto della persona che mi costringevo a definire ancora mia migliore amica, e lo sfiorai con le mani. Mi avvicinai ancora, come se potessi sentire il suo odore, la sua presenza, il suo profumo lì. Ero un caso perso, non riuscivo a starle lontano, quei mesi senza di lei in Italia erano stati un inferno e una volta trasferitomi a Parigi il mio attaccamento morboso per quella ragazza era peggiorato. Ero masochista.

Il corridoio vista l'ora era molto trafficato. Abbassai lo sguardo e intravidi i pavimenti, tutti bianchi. Sembrava una delle scuole americane, di quelle che si potevano ammirare nei film, era molto diversa dalla scuola italiana, di gran lunga migliore e molto, molto più pulita.

Dopo essermi preso qualche altro minuto per girovagare e curiosare nella mia nuova scuola, mi recai dentro l'aula delegati dove mi accolse una ragazza dai capelli castani e ondulati, con un paio di occhi celesti molto belli. Si presentò come "Melody", e lì capii si trattasse della ragazza di Nathaniel. La famosa Melody che tanto odiava Miki e tanto amava Nathaniel. Finalmente avevo avuto modo di conoscere uno dei soggetti principali dei molteplici racconti della mia amica. 

Le diedi i documenti necessari per concludere l'iscrizione e dopo qualche firma su dei fogli, mi spiegò che saremmo stati in classe insieme

-

MIKI

Di malavoglia mi sedetti al mio solito banco. Per nulla al mondo avrei voluto condividere la stessa aria con Castiel, dovevo pensare ad un modo per cambiare banco sebbene avessi avuto degli ordini dalla preside di stare accanto al rosso fino alla fine dell'anno. Ma non potevo, se avessi voluto sopravvivere, se avessi voluto dimostrargli delle cose ben precise avrei dovuto assolutamente stare ad una distanza accettabile da lui e condividere la stessa linea d'aria per cinque ore, non era considerabile come cosa buona. 

«Ehi tesoro!» interruppe i miei pensieri Rosalya che venne ad abbracciarmi. Era una ragazza molto espansiva al contrario di me. 

«Devo trovare un modo per cambiare banco. Non lo voglio accanto a me!» non ricambiai il saluto sebbene non mi allontanai dalle sue braccia, ma piuttosto pensai subito ad esporle il problema. Eravamo diventate ottime amiche e mi capì al volo. Anche lei sapeva chi fosse il soggetto costante dei miei discorsi, problemi e pensieri. 

 «Non lo vuoi o cerchi di convincere te stessa di non volerlo?» mi scrutò furbamente, Rosalya.

«Smettila di fare la filosofa, Rose..» sbuffai alzando gli occhi al cielo evitando di rispondere al suo quesito. 

«Comunque se proprio vuoi trovare un modo per non stare in banco con lui, pensa tutto tranne il fatto di togliere lui da questo posto. Lo sappiamo tutti che questo non si tocca.» nel pronunciare l'ultima frase mi mostrò una scritta sul banco e sul muro col nome di Castiel. Quasi come se volesse dimostrare che quel piccolo spazio della classe fosse di sua proprietà. Ragazzo possessivo!

Feci per ribattere ma venni interrotta dalla voce di Ciak che pronunciava il mio nome. 

«Ciak, ti sei perso? Non dovresti essere in classe a quest'ora?» non essendo mai stato in quella scuola prima di quel giorno valutai come plausibile l'ipotesi che potesse essersi perso. 

«Ma io sono nella mia classe!» sorrise Ciak, non seppi spiegarmi il motivo, ma il suo sorriso non mi sembrò reale. 

Restai sorpresa da quella novità, e subito pensai di sfruttare la situazione a mio favore. Castiel non l'avrebbe avuta vinta. Quella volta a dover cambiare posto sarebbe stato proprio lui, non io. Lui non era nessuno.

«Oh come sono contenta! Vieni, siediti accanto a me.» enfatizzai il tutto alzandomi, abbracciandolo, e un sorriso sornione si formò sul mio volto. 

«Ma come? Questo non è il posto di pellerossa?» era impossibile mentire al mio migliore amico, sapeva tutto della mia vita, ormai. 

«Ecco appunto, proprio quello che le stavo dicendo io. Piacere, Rosalya!» finì con il porgergli la mano. 

I due si presentarono e poi intervenni io, nuovamente: «Uff, quante cerimonie per un posto! Quando arriverà si siederà ad un altro banco, semplice! Castiel non è nessuno per comandare».

Entrambi dopo le mie parole assunsero un espressione contrariata. Ma dopotutto avevo ragione; il Signor Castiel Black non era nessuno per sovrastare gli altri, e poi pensai che tutti avevano sin troppo timore di lui, cosa mai avrebbe potuto fare per un posto? Insomma era uno stupido banco di legno! 

Ciak pur non condividendo il mio pensiero, decise ugualmente di accomodarsi accanto a me, al posto di Castiel. Mi sentii incredibilmente soddisfatta di esser riuscita nel mio intento. L'unico aspetto che continuò a darmi fastidio furono la sorpresa e gli avvertimenti dateci dai compagni di classe. Man mano che arrivarono in aula, infatti, si avvicinavano a Ciak e lo avvisavano che Castiel si sarebbe addirittura spinto a picchiarlo nel vederlo al suo posto. Che esagerazione!

Tutti guardarono con compassione e con timore il posto che aveva preso Ciak, come se Castiel avesse potuto ucciderlo. Ma il mio punto di vista era un altro. Il rosso sarebbe arrivato persino a ringraziarmi per averlo allontanato da me. La sua ragazza era gelosa e in più lui non mi tollerava, quindi... In quel modo avevo persino fatto un favore a Castiel, che non sarebbe stato più costretto a stare in mia compagnia, in una compagnia che non gli interessava avere. 

La lezione sarebbe dovuta iniziare da un momento all'altro, intanto in molti chiacchieravano sul ritorno di Debrah. Era tornata, ancora non aveva il diploma. Fortunatamente per me, aveva perso parecchi anni a causa della sua carriera da diva e anche se quell'anno avrebbe dovuto compiere diciotto anni, le toccava frequentare il secondo anno.

Seppur non avessi voluto ascoltare i pettegolezzi sul conto di quell'arpia, non potei fare a meno di farlo. Chiunque parlava di lei quel giorno.  

Che Debrah fosse una cantante me l'aveva già rivelato Castiel, ma non credevo a quei livelli. Aveva persino pubblicato un album, per come Iris stava rivelando a Kim, caspita!

«Io invece credo che se è tornata vorrà pur dire qualcosa... Non sarà così brava come pensano tutti, altrimenti non avrebbe fallito ancor prima d'iniziare la sua carriera» mi sussurrò Ciak all'orecchio.

Come sempre aveva capito ciò che mi stava torturando in quel momento. A volte avevo la percezione che Ciak non fosse di questa terra. Sapeva e capiva sempre ogni cosa, o forse semplicemente mi conosceva bene. Era davvero troppo prezioso per me. Mi era mancato in tutto quel tempo trascorso senza di lui. Mi accarezzò il braccio e fece uno di quei suoi sorrisi belli, capaci di sciogliere persino i ghiacciai. Aveva avuto davvero tanta pazienza nel sopportarmi. Sapevo di starlo ferendo con l'essere così interessata ad un altro, ma ero incapace di mentirgli. L'avevo già fatto per troppo tempo, su altri argomenti, ed era stato terribile per me.

«Un giorno, spero di poter ricambiare tutto il bene che mi hai fatto e stai continuando a fare. Dal profondo del cuore: grazie Ciak!» lo guardai dritto negli occhi; non ero mai stata più sincera di quegli attimi. 

Meritava ogni bene che gli stava capitando, era una persona buona nonostante fosse anche eccentrico ed estroverso. Lui era la mia spalla destra, e, nonostante tutto sarebbe continuato ad esserlo. Poteva cambiare atteggiamento in presenza della gente dello spettacolo ma in mia presenza, quando eravamo soli, tornava ad essere il mio Ciak. Ritornava ad essere il ragazzo umile in jeans e t-shirt, niente di più.

Quella mattina, grazie al primo giorno di scuola, avevo capito ogni cosa su di lui: Ciak, come ogni modello o persona dello spettacolo, quando stava per entrare in scena diventava Francois: persona colta, arrogante ma matura, posata, mentre nella vita di tutti i giorni, quando era con me, ritornava ad essere il vecchio, sguaiato e adorabile Ciak. Quella mattina non aveva neanche più aggiustato i capelli con quintali di gel, era tornato semplicemente lui, quello di Roma ed io non potevo che volergli bene sempre di più.

Ad aprire le lezioni fu il professore di matematica, la materia da me più odiata. Castiel ancora non si era deciso a degnare la classe della sua presenza. Quasi sicuramente era impegnato a recuperare altro tempo perso, insieme alla sua amata, in qualche bagno della scuola.

«Da oggi si unisce a noi un altro ragazzo proveniente dall'Italia. Vieni Francois, vieni pure a presentarti alla classe». 

Anche per Ciak era giunto il momento da me tanto temuto: il discordo davanti tutta la classe. Di sicuro per il mio amico non ci sarebbero stati problemi, aveva sempre avuto ottime capacità di rapportarsi con il mondo, con i coetanei, al contrario mio. Si alzò dal posto di Castiel e con passo deciso si recò alla cattedra, davanti a tutta la classe, guardando uno per uno tutti i presenti, cominciò a raccontare di sé:

«Ciao a tutti, sono Francesco Oliviero -ma solitamente mi chiamano Ciak. Ho sedici anni, vengo dall'Italia, precisamente da Roma. Sto insieme a Miki Rossi, che tutti voi conoscete. Mi sono trasferito a Parigi per lavoro, da un mese sono un modello del marchio Paco Rabanne. Vivo solo, sono un minorenne emancipato. Per quanto riguarda il mio carattere... beh, non mi piace giudicarmi da solo, quando mi conoscerete lo farete voi; spero in positivo. Bene, credo di aver finito.» concluse la sua presentazione brillante con un sorriso sul volto. 

Era stato perfetto. Era stato perfetto a mentire sul nostro rapporto, a raccontarsi, era stato meraviglioso in tutto. Mentre il mio migliore amico parlava, avevo sbirciato le espressioni delle altre ragazze della mia classe: Ambra quando aveva rivelato la nostra relazione, era rimasta a bocca aperta e aveva iniziato a guardarmi di sbieco. Le sue amiche si voltarono verso me con un'espressione schifata. Peggy prendeva appunti, di sicuro per un suo futuro articolo. Ma non m'intimoriva più neanche lei. Iris invece, sorrideva, Violet anche. Rosalya mi guardava di sottecchi sorridendo furbamente, era a conoscenza della verità, gliel'avevo raccontata durante le vacanze natalizie. Mi ero fidata sin dal primo giorno di lei. Sapeva darmi consigli, diceva quando secondo lei sbagliavo e lo faceva senza peli sulla lingua, senza parlare alle spalle. E cosa più bella ancora.. lei non era invidiosa di me. Con le ragazze, nei vari anni di scuola non avevo mai avuto un bel rapporto. C'era stato da sempre solo Ciak. Le ragazze mi giocavano tranelli alle spalle, sparlavano di me, erano invidiose. In realtà non avevano mai capito nulla di me, continuavano a vedermi come possibile rivale, come avversaria o qualcuno da temere perché capace di rubare i loro fidanzati con le mie tecniche di seduzione. Ma finalmente Parigi mi aveva fatto capire che non tutte le ragazze erano come quelle che avevo conosciuto fino a quel momento. Avevo trovato Rosalya, una spalla su cui piangere, una persona su cui contare. Con il passare dei giorni mi aveva dimostrato di poter contare su di lei, e la stessa cosa avevo dimostrato io a lei. Da come mi aveva raccontato, anche lei aveva un rapporto conflittuale con le altre ragazze, e in me aveva visto una persona diversa, sin dal mio primo ingresso in classe. Le piaceva il mio modo di vestire, e quello per lei era un aspetto importante vista la sua fissazione per la moda. Come me, anche lei fino a prima di conoscere me credeva maggiormente nell'amicizia maschile. Ciò che Ciak rappresentava per me, Alexy lo era per lei; con un'unica differenza: Alexy era gay e non avrebbe mai potuto innamorarsi di lei. Alexy era una bella persona, anche lui amava lo shopping come me, era poi molto altruista e gentile simile a Ciak. 

Durante la presentazione del mio migliore amico Alexy non si era voltato nella mia direzione neanche per sbaglio -come invece avevano fatto uno per uno tutti- per un attimo pensai che si fosse invaghito di Ciak. Lo guardava intensamente, l'aveva squadrato da capo a piedi, lo stava venerando e soprattutto spogliando con gli occhi. Peccato per lui che il mio amico aveva gusti totalmente diversi dai suoi, sarebbero stati una bella coppia. 

Appena Ciak tornò al suo posto -accanto a me- il professore iniziò la devastante lezione di matematica, ed io che non avevo nessuna intenzione di ascoltarla, m'isolai nei miei pensieri. 

Castiel non era ancora entrato in aula. Eppure io lo avevo incontrato dentro l'edificio... Non credevo si potesse uscire una volta entrati. E se si fosse nascosto in quello sgabuzzino, insieme a Debrah, per poter saltare le lezioni? E se avesse portato lei nello stesso posto in cui eravamo stati noi? Dove ci eravamo dati il nostro primo bacio? A quegli interrogativi sussultai senza volerlo. Le mani mi cominciarono a sudare, la matita che pochi secondi prima stava scarabocchiando su un foglio, cadde sul banco. Non volevo che portasse lei nel nostro posto. Non sarebbe stato corretto, io non lo avrei accettato. Lì ci eravamo avvicinati, lì avevamo passato un'intera giornata, per me era diventata importante quella stanza. Ma chissà quante altre ragazze ci aveva portato prima e dopo di me... d'altronde Castiel era in quel modo. Ed io per lui ero stata una delle tante bocche baciate, nulla di più. Non riuscivo a capire cosa mi prese dopo quei pensieri, non sapevo per quale motivo stavo avendo quelle reazioni, quell'egoismo. Castiel non era il mio ex ragazzo, non avevo alcun diritto di comportarmi in quel modo. E poi, a dirla tutta, lui non aveva proprio alcun permesso di entrare nei miei pensieri. Ci eravamo promessi di restare a distanza l'una dall'altro, di non rivolgerci più la parola e così sarebbe dovuto continuare ad essere. A me non interessava nulla di lui.

Fui distolta dai pensieri a causa di un rumore. Qualcuno aveva spalancato la porta dell'aula con violenza e senza bussare. Soltanto uno avrebbe potuto compiere quel gesto, solo uno sarebbe potuto entrare in aula nel bel mezzo della spiegazione di un professore, senza chiedere scusa, facendola sembrare una cosa normale; quell'uno che io riconoscerei anche solo da un passo o da una chiusura di porta, anche solo dal profumo o tra mille voci. 

Alzai la testa per vedere se avessi o meno capito bene, e fu così. Quell'uno era Castiel. Ci guardammo per un secondo negli occhi, poi spostò lo sguardo accanto a me e s'infuriò. Senza salutare, senza scusarsi con il professore per il suo ritardo, corse verso Ciak, lo fece alzare dalla sedia afferrandolo dal colletto della maglietta. Tutto accadde in pochi istanti, non capii più nulla. 

«Chi cazzo ti ha dato il permesso di sederti al mio posto? Come cazzo ti sei permesso, eh?! Come?» Castiel urlò contro Ciak con tutta la forza posseduta in corpo.

Ed io restai paralizzata, non potevo credere ai miei occhi, alle mie orecchie, per la scena a cui stavo assistendo. Avevano ragione i miei compagni di classe, aveva ragione Rosalya. Come sempre avevo sbagliato tutto. E Ciak era stato coinvolto -per l'ennesima volta- in quella storia, lui sarebbe stato quello a patire più sofferenza.

Castiel sollevò leggermente Ciak da terra e lo spinse contro il muro sorreggendolo dal colletto della maglietta. Non l'avevo mai visto così violento, così in collera. Non era accaduto nulla di grave alla fin dei conti; avrebbe benissimo potuto limitarsi ad utilizzare le parole invece di aggredire il mio amico. Sembrava quasi ci fosse altro dietro la sua rabbia. 

Io, invece, restai come bloccata. Non riuscii ad interpormi tra i due, mi limitai a portare entrambi le mani sulla mia bocca e ad alzarmi dalla sedia per lo spavento e stupore. 

«Black, non consento gesti di violenza nella mia aula. Si scusi immediatamente col suo compagno di classe».

Il professore giunse nella nostra direzione cercando di placare l'animo del rosso, e cercando di porre fine a quel siparietto, ma non ci riuscì: 

«Io non chiedo niente a nessuno. Dovrebbe esser lui a ringraziare me per non avergli ancora spaccato la faccia di plastica che si ritrova!» liberò la presa lasciando cadere il povero Ciak sul pavimento di quell'aula.

«Vedi di sloggiare dal mio posto, altrimenti a furia di calci ti rimando da dove sei venuto» continuò il rosso con tono di voce greve, rivolgendosi direttamente a Ciak.

 A quel punto finalmente riuscii a reagire, mi precipitai accanto al mio amico per accertarmi sulla sua salute. Mi disse semplicemente e freddamente che non gli era accaduto nulla, in effetti non aveva avuto né graffi e né ferite.

«Signor Black, ma quante volte devo dirglielo? Lei non è la legge. Le regole vengono stabilite da organi superiori e se non vuole finire in presidenza, per l'ennesima volta, le consiglio di accomodarsi accanto a Oliviero e Rossi per il resto dell'anno scolastico e non voglio vedere mai più questi scempi né durante le mie ore, né durante le altre. I problemi personali lasciateli fuori dall'ambiente scolastico».

Davanti alle parole del professore sussultai. Sarebbe stato invivibile, impossibile avere come compagni di banco entrambi i ragazzi. 

«Le normative antisismiche e antincendio sanciscono il divieto di sistemare banchi superiori a due posti nelle aule scolastiche» cercai d'intervenire come meglio potevo per evitare quella condanna per il resto dell'anno. 

Il professore udito quel mio modo saccente di evitare quel provvedimento, per poco non scoppiò a ridermi in faccia: «I tre banchi saranno tutti divisibili, ovvio Miki. Questo è a norma. Lei ha mai visto banchi unici a tre posti?!»

Mi sentii una stupida davanti a tutta la classe. L'idea di non voler avere entrambi i ragazzi -soprattutto Castiel- in banco con me, mi aveva fatto passare per l'ignorante di turno. Avrei dovuto restare in silenzio, maledizione! Evitai di rispondere al professore, quindi, e anzi acconsentii al suo discorso che non faceva una piega. 

Poi intervenne Castiel che riprese il discorso sulla sua eventuale visita in presidenza: «E lei professore, crede che una donna di quasi settant'anni mi possa fare paura?! Bene. Se lo crede, si sbaglia. Io in banco con quello lì non mi ci metto. Anzi a dirla tutta preferisco una sospensione; a casa ho un bel po' di cose da fare, una breve vacanza mi sarebbe utile.»

Con sarcasmo Castiel si recò alla cattedra del professore che, sentite quelle parole, lo accompagnò dalla preside soddisfacendo i suoi desideri. Dopo averlo tolto dai guai circa un milione di volte, finalmente avevo provocato qualche disagio al ragazzo dai capelli rossi. Se lo meritava.

Sebbene avessi realizzato un altro obiettivo -anche se lo avevo fatto provocando del male al mio migliore amico- divenni più tranquilla del solito, ma Ciak continuò a non rivolgermi la parola, ad evitarmi, e ciò mi fece andare nuovamente in tilt. 

Dopo qualche minuto il professore rientrò in aula senza essere accompagnato da Castiel. E se la direttrice avesse realmente deciso di sospendere il rosso da ogni attività scolastica? Sarei stata pronta a non vederlo di nuovo tutti i giorni? Sapevo di essere di una contraddittorietà assurda, ma sebbene Castiel, fosse diventato un estraneo per me era risaputo l'effetto che solo lui riusciva a procurarmi.

«La preside vuole parlare anche con lei, Rossi. Vada nel suo ufficio!» mi comunicò il professore.

Prima di andare, mi voltai verso Ciak, ma lui non corrispose il mio sguardo. Sembrava stesse togliendo fuori tutto l'odio in un colpo. L'odio per il male che gli avevo creato in quel periodo. Non potevo che dargli ragione, ero stata una pessima amica, una pessima persona nei suoi confronti.

Mi alzai dalla sedia rumorosamente e mi diressi verso la porta. Tutta la classe mi fissava. Chi per curiosità, chi per compassione, chi con consapevolezza, ma tutti, proprio tutti mi fissavano.. Persino Lysandre, persino Armin che, per un attimo, aveva poggiato la suo Nintendo sul banco per controllare il caos da me provocato. Tutti mi avevano avvertita ad inizio ora, ma io avevo preferito non ascoltare. Uscii dall'aula e mi diressi nuovamente verso l'ufficio della preside. Era la seconda volta in un'unica giornata che percorrevo quel tragitto. Cercai di pensare ciò che avrebbe voluto dirmi, ma non ne avevo la minima idea. D'altronde né Castiel né la direttrice potevano sapere che fossi stata io a convincere Ciak a sedersi al posto del rosso.

Arrivata dinanzi all'entrata dell'ufficio, notai che la porta fosse già aperta. Castiel percepì la mia presenza e si voltò di scatto per guardarmi. Io feci come lui -lo vidi seduto sguaiatamente su una sedia- lo guardai dritto negli occhi senza abbassare lo sguardo. Non capii il modo con il quale mi fissò, aveva uno sguardo diverso quasi di delusione, ma delusione per cosa?

«Signorina Rossi, si decide ad entrare o devo chiamare le forze speciali per convincerla ad unirsi a noi?! Forse preferisce un tappeto rosso?!» la direttrice usò un tono di voce infastidito, più del solito.

Non me lo feci ripetere due volte, entrai e mi accomodai sulla sedia accanto al rosso. Da circa una settimana non mi trovavo a quella minima distanza da lui, il piccolo scontro avuto un'ora prima con Debrah non lo contavo nemmeno. Abbassai lo sguardo, percepivo i suoi occhi addosso. Per quale motivo doveva guardarmi insistentemente? Avevo forse qualcosa in faccia?Quasi entrai in panico, magari ero sporca di qualcosa e non me n'ero accorta. 

Per un attimo, poi, fu inevitabile ripensare al sogno. La mia mente malata riprodusse l'immagine di lui sopra di me, della sua bocca sottile che accarezzava tutto il mio corpo. Chiusi gli occhi ed assaporai per bene quell'immaginazione. Sarebbe stato qualcosa d'irrealizzabile, ma sperai che perlomeno quel sogno restasse impresso nella mia mente a lungo termine. Sapevo di non dovermi permettere di desiderarlo, lui era di un'altra donna, per giunta ci eravamo promessi di non rivolgerci più alcuna confidenza, ma nessuno avrebbe scoperto di quel piccolo segreto riprodotto dalla mia testa e lo conservai come se fosse qualcosa di prezioso. 

Aprii gli occhi a scatto. Non potevo permettermi di pensare a lui in quel senso, non quando mi trovavo in presidenza in sua compagnia. La preside ci aveva detto di attendere qualche minuto, era stata chiamata con urgenza da qualche professore. 

Restammo soli; io e Castiel. Lui; colui che avevo sognato fino a poche ore prima, colui che aveva un corpo da favola, ma anche lui: cagnolino di Debrah. Dopo quell'ultimo pensiero scossi la testa e nonostante fosse in quella stanza -a qualche centimetro dalla sottoscritta- cercai di non considerarlo. E l'impresa sarebbe stata più difficile del previsto vista la mia attrazione smisurata verso quel babbuino. Così per non pensarlo iniziai a guardarmi intorno. Mi alzai dalla sedia e cominciai a sbirciare l'ambiente, sebbene fossi stata altre volte in quel posto non avevo avuto tempo di guardarlo. 

Le mura di quella stanza erano verdi, di un verde inquietante, forse color muffa. Sulle pareti vi erano dei decori strani color oro, inquietanti anche quelli. Per fortuna, quelle strane pareti si vedevano poco perchè coperti d'alti armadi a cassetti di ferro. La scrivania invece era di legno scuro. Lì in mostra, potevano ammirarsi delle foto che ritraevano la preside con il suo cane Kiki. Non c'erano foto di figli o di un eventuale marito. Per come avevo sentito parlare, lei non doveva avere nessuno di caro oltre quel cane. Aveva dedicato tutta la sua vita alla carriera. 

«Dovevi evitare di far sedere il tuo bambolotto al mio banco. E comunque ringrazia che non gli abbia spaccato la faccia!» se ne uscì dal nulla, Castiel, marcando gli aggettivi possessivi. 

Mi voltai per poterlo guadare, lo trovai nella sua solita posa: braccia conserte, seduto sguaiato con le gambe aperte. Aveva inoltre assunto in viso la sua solita espressione scocciata e scorbutica. Forse quella posa avrebbe potuto innervosire chiunque, ma in me non faceva un effetto negativo, anzi il contrario. Era un tratto tipico di lui e mi faceva letteralmente impazzire.

«Se non avessi pensato solo a slinguazzarti con quell'arpia della tua ragazza, magari saresti arrivato in orario e il tuo banco sarebbe stato ancora tuo. Chi ultimo arriva male alloggia, non lo conoscevi questo detto?»

Forse da quella risposta risultai leggermente gelosa, ma non me ne importava di mascherarlo. Debrah aveva un brutto effetto su di lui e avrei continuato ad odiarla all'infinito se non avesse mutato atteggiamento. Dopo quella mia risposta, copiai la sua posa, mi sistemai a braccia conserte sulla sedia proprio come lui, ma tenendo le gambe chiuse. Non sarebbe stato il caso di copiare anche la postura delle sue gambe vista la mia gonna.

«Che c'è, sei gelosa? Vorresti per caso essere al suo posto? Vorresti essere tu a limonare con me?» sul suo viso spuntò un sorriso sghembo ed io arrossii pericolosamente. Maledizione Castiel!

«Che? Continua a sognare, bello! Io ho un ragazzo e posso dire per esperienza che sa usare la lingua decisamente meglio di te!» fu il mio turno di farmi beffa di lui.

Sollevò le sopracciglia come per mostrarmi di non credere neanche ad una delle mie parole. Era così sicuro di sé.

«Fingerò di crederti. Fatto sta che per colpa tua, dovrò sorbirmi entrambi fino alla fine dell'anno. La preside ha rifiutato di sospendermi e anzi mi ha obbligato a stare in banco con ben due teste di cazzo. Che schifo!»

«Uh poverino! Ti consiglio di combinare qualcosa d'imperdonabile che ti assicuri la bocciatura, in questo modo magari l'anno prossimo raggiungerai la tua amata vipera e non sarai più costretto a stare con delle teste di cazzo, ma anzi vedrai solo gente falsa al tuo cospetto. Molto meglio delle teste di cazzo, no?!» mi alterai, quel suo denigrarmi stava cominciando ad essere fastidioso. «Ah e a proposito: la prossima volta che si rivolge a me in quei termini giuro che le stacco tutte le extension che ha in testa. Avvertila!» conclusi il mio discorso diventando rossa in viso dalla rabbia. 

A quel punto Castiel fece qualcosa d'inaspettato: rise. Non rise di me, ma con me. Sembrava essere dalla mia parte, sembrava essergli piaciuta la mia minaccia.

«Basta voi due! Le urla si sentono da fuori. Ma a Natale non avevate rappacificato? Che gioventù! Difficile starvi dietro...» la direttrice irruppe nella stanza ponendo fine ai nostri battibecchi.

Aveva ragione. Un giorno litigavamo come matti, un giorno tornavamo in pace e il giorno dopo tornavamo ad acciuffarci. Era impossibile starci dietro. 

«Comunque» iniziò finalmente ciò che doveva comunicarci ad entrambi «tra una settimana partirete per Roma. Siamo riusciti ad organizzare il viaggio nonostante le difficoltà economiche in cui la scuola si sta trovando in questo periodo, voi avete ottenuto il titolo di Re e Reginetta del ballo e voi partirete, ci teniamo a mantenere le promesse. Purtroppo per carenza di fondi dovrete stare in camera insieme, ma non per questo siete autorizzati a riprodurvi come conigli. Ho assunto un tutor che vi seguirà ovunque e insieme abbiamo preso le giuste precauzioni affinché i due lati di stanza siano divisi. Ogni giorno il tutor vi farà visitare la città e mi riferirà il vostro comportamento». 

Ciò che la preside doveva comunicarmi non era sulla lite tra Ciak e Castiel, ma sull'imminente viaggio. Il mio cuore sobbalzò nell'apprendere che tra una settimana sarei potuta tornare nel mio paese d'origine. Avevo solo brutti ricordi in quel posto. 

Poi indossando gli occhiali da vista e cercando tra i suoi documenti continuò: «Tuttavia, non siete obbligati a partecipare al viaggio. Entro domani dovrete darmi la risposta. Qualora entrambi o uno di voi due deciderebbe di non partire, il vostro posto sarà ceduto ai secondi classificati: Ambra o Nathaniel Daniels. Qualora invece accettaste vi comunico già che la meta e le visite guidate non possono essere cambiate per nessuna ragione, sono già state prefissate. Ecco, questo è il programma...»

La preside era stata chiara. La meta non si sarebbe potuta cambiare, ma avremmo potuto rifiutare di prendere parte al viaggio. Avevo promesso a me stessa di stare lontano da Castiel, avevo promesso a me stessa che non avrei mai più messo piede a Roma, ma nonostante quei piccoli particolare, la mia intenzione era quella di partecipare ugualmente al viaggio. Il ventiquattro Dicembre, nonostante le litigate, era stato un giorno perfetto che non si sarebbe mai più ripetuto. Era stato il giorno in cui ero stata eletta Reginetta del ballo senza essere popolare, senza che andassi in giro a chiedere voti. E poi... La verità che volevo a tutti i costi tener nascosta era un'altra. Amavo farmi del male, amavo terribilmente passare del tempo con il mio nemico, amavo torturarmi. Per tutti quei motivi decisi di comunicare il mio consenso sin da subito. 

Così la preside, allungando le mani verso di noi ci diede i fogli contenenti l'itinerario. Lessi velocemente. Erano previste visite praticamente in tutta Roma, ma quando lessi Colosseo mi bloccai. Lì vicino era situata la mia vecchia casa, lì dove avevo subìto tutto il male della mia infanzia.

Fui distolta dai pensieri da Castiel che si alzò rumorosamente dalla sedia e piegando il foglio, senza neanche guardarlo, si diresse verso la porta: «Forse non potrò partire. Darò comunque la mia risposta definitiva domani!» disse quelle parole con nonchalance senza sapere che con sé si sarebbe portato un pezzetto del mio cuore rotto. Non mi degnò di uno sguardo mentre svanì dalla mia vista. Ero stata una scema a pensare che avrebbe accettato di partire. Non poteva lasciare Parigi, non senza la sua ragazza.

Per l'ennesima volta mi aveva delusa. Io avevo iniziato a torturarmi, a pensare come potesse essere quel viaggio, lo avevo persino sognato nella camera d'albergo quella mattina, ma avrei dovuto intuire tutto sin da subito. Lui non sarebbe venuto. Di sicuro la sua ragazza gli avrebbe vietato di partire con la sottoscritta e lui come un cagnolino fedele, avrebbe ascoltato le parole della sua padrona. Certo, non avrebbe mai potuto deludere lei. L'amore della sua vita. Ed io non ero stata nient'altro che una povera stupida. Come avevo potuto pensare che per quei giorni entrambi avremmo deposto l'ascia da guerra? Ero disposta a godermi quel tempo insieme a lui assaporando ogni secondo, immaginando che al ritorno tutto sarebbe stato come ora, nemici. Lui sarebbe ritornato con Debrah e io a fingere con Ciak. Ma ciò che m'importava fino a quel momento erano stati quei maledetti giorni in Italia. Di quei sette giorni avevo davvero sognato l'impossibile, il proibito, ma non avrei dovuto. Mi ero illusa ancora una volta. Mentre lui non mi aveva neanche tenuto in considerazione. 

Ma non importava. Era inutile continuare a rimuginarci sopra. Mi ero stancata di pensarlo, di giustificarlo, di fare in modo che tutto il mondo girasse intorno a lui. Tutto sarebbe potuto cambiare da quel viaggio, e se fossi stata lontano da lui per una settimana, forse sarei anche riuscita ad allontanato definitivamente dal mio cuore.

«Signora preside, io non ho bisogno di pensarci. Partirò per questo viaggio, anche se conosco Roma alla perfezione. Non importa chi verrà con me, io ci sarò!» senza riflettere oltre diedi la mia adesione per quella vacanza.

La giornata a scuola proseguì tra battibecchi vari. Castiel e Ciak continuarono a punzecchiarsi a vicenda sebbene con toni meno gravi rispetto alla prima ora, mentre io restai immobile per tutto il tempo, non rivolsi a nessuno la parola. 

Al ritorno in classe, il professore di matematica, dopo la decisione della preside, aveva deciso di assegnare a Castiel il posto accanto alla finestra, a me quello centrale ed a Ciak quello alla mia sinistra, quindi dalla parte opposta alla finestra. Io ero tra i due fuochi. Pensava che in quel modo avrebbe ridotto i litigi tra i due al minimo, ma ovviamente non era stato così.

-

Dopo la fine delle lezioni tornai a casa con l'auto di Ciak, e pensai che quello fosse il momento opportuno per chiarire le cose. Non volevo alimentare il suo odio nei miei confronti. 

«In questi giorni posso esserti sembrata egoista, ma a tutto c'è stato un motivo. Inizialmente volevo fargliela pagare a Castiel, fargli vedere che lui non ha importanza per me, che quello che c'è stato tra me e lui non è significato nulla. Ma comunque da oggi non servirà più fingere di stare con te. Ho deciso che da domani dichiareremo di esserci lasciati, di non andare più bene come coppia perché abbiamo passato troppi mesi lontani ed entrambi siamo cambiati, cresciuti, e che quindi abbiamo deciso di restare solo amici. Nessuno si accorgerà di nulla. Mi dispiace di averti fatto soffrire in questa settimana.. Sai, ancora ero con l'idea che tra noi due ci fosse l'amicizia pura di un tempo, ma come vedi ho sbagliato. Ho ignorato i tuoi sentimenti verso me per la maggior parte del tempo, ho fatto finta che non esistessero -da parte tua- quei sentimenti diversi dall'amicizia. Oggi dopo gli ultimi avvenimenti ho compreso tutto, so che è tardi ma l'importante è aver capito, no? Ho capito che tu stai provando le stesse emozioni che io ho provato con Castiel. Ti senti rifiutato, distrutto, deluso, vorresti spaccare tutto quando mi vedi con lui. Ma quest'ultima cosa non temerla, non accadrà più. Io e Castiel ormai non siamo più amici e non saremo mai qualcosa di più. L'ho capito finalmente!» sperai di esser stata chiara nonostante la voce tremante e la ripetizione e confusione nelle parole. 

Quando finii, il mio amico con sarcasmo mi chiese: «Hai finito il tuo ennesimo monologo? Posso parlare ora?» non capivo come, ma ancora una volta, Ciak era con il sorriso sulle labbra. Solo poche ore prima aveva iniziato ad ignorarmi, a guardarmi con odio mentre in quella macchina sembrava essere tornato il mio migliore amico.

Acconsentii alla sua richiesta e per una volta stetti ad ascoltarlo, come non facevo da tempo.

«Vero. Ammetto che più di una volta in questa settimana ho pensato che tu ti sia comportata da egoista, ma non per questo voglio mollare tutto ora. Ormai sono stato tirato in ballo in questo finto fidanzamento e voglio continuare. Voglio vedere a quanto arriva la cocciutaggine delle persone. Voglio capire se anche questa volta ho capito e centrato in pieno i sentimenti di qualcuno. Pellerossa oggi stava per affogarmi, ma nonostante questo non riesco ad odiarlo. Mi fa una strana simpatia quando provoca, quando ti guarda, quando fa quelle battute stupide. So bene che questi miei comportamenti potrebbero essere considerati da pazzo, ma è così che mi sento. All'inizio non mi era stato simpatico visto il tuo interesse per lui, ma ora invece è al primo posto della mia lista.. Pensa a tratti mi sta più simpatico di te!» rise e poi continuò: «Oltre ad essere l'ennesimo tuo spasimante, sono prima di tutto il tuo migliore amico da più di dieci anni e se permetti voglio comportarmi da tale. In certi momenti ho avuto voglia di mandare tutto a quel paese e di andarmene da questa città, ma prima o poi mi abituerò al tuo rifiuto, è solo questione di tempo. Miki io non voglio perderti. Non voglio perdere te come persona e non voglio perdere quest'amicizia che va avanti da tanto tempo. Lo ammetto, mi ero trasferito a Parigi con l'intento di farti innamorare di me, mi ero illuso che ti avrei potuta conquistare con delle rose. Ma avevo tralasciato la parte più importante: una ragazza bella come te avrebbe fatto breccia nel cuore di molti ragazzi. È stato così... E ora non mi resta che accettare tutto questo. È doloroso, ma non preoccuparti prima o poi passerà. Ti chiedo soltanto una cosa: quando mi vedrai di cattivo umore; non parlarmi, lasciami solo perché vorrà dire che in quel momento tu sarai l'ultima persona che vorrò vedere.. ma ti ripeto, è solo questione di tempo. Passerà!»

Nelle parole di Ciak avevo intravisto un ragazzo maturo, pronto ad accettare le sconfitte, e a combattere per nuove battaglie. Il Ciak dell'Italia non sarebbe stato in grado di affrontare un discorso del genere, o almeno non lo ritenevo possibile. Probabilmente il due di picche ricevuto dalla sottoscritta lo aveva fatto crescere. Erano terribilmente esatte le sue frasi, talmente tanto da farmi salire i brividi dalla schiena fino alla testa. Aveva utilizzato malinconia, amore, rabbia nel pronunciarle, ed il tutto con un incredibile maturità.. Né Castiel più grande di lui, e né nessun altro ragazzo sarebbe stato in grado di parlare in quel modo. Rassegnarsi, essere pacifico e pensare addirittura che il suo rivale fosse simpatico non era da tutti. 

-

Quando arrivai a casa salutai Ciak ed entrai in casa.

Come mi aveva scritto la zia sarebbe tornata giusto in tempo per accompagnarmi al provino. Guardai l'orologio: erano le due in punto. Mancavano ancora sei ore e mezza. Sei ore e mezzo per diventare irriconoscibile, per essere brutta e spregevole. Già... quello sarebbe stato il mio piano: mi sarei vestita talmente male che neanche la mia stessa zia mi avrebbe riconosciuta. Se in un certo senso Rabanne mi avesse costretta a partecipare a quel provino, io avrei costretto lui a non scegliermi. 

Per prima cosa non avrei dovuto mangiare. Salita in camera, cominciai a spazzolarmi i capelli all'incontrario. In questo modo si sarebbero fatti mille nodi e i capelli sarebbero risultati impresentabili come se avessero preso la scossa. Forse sarebbe stata la prima volta, ma dovevo farlo. Potevo risultare infantile ma non sopportavo chi voleva darmi ordini e quello era il mio modo per fargliela pagare. Sarei andata a quel provino, ma a modo mio!

-

15:30

Rendere i capelli inguardabili mi richiese più tempo del previsto. Dopo aver finito mi guardai allo specchio. Ero perfetta. Sembrava che avessi dormito per giornate intere e che avessi avuto degli incubi.. o peggio ancora sembravo esser appena uscita da un manicomio. I miei capelli non erano stati mai così brutti e pieni di nodi. 

Senza perdere altro tempo, aprii l'enorme armadio e cercai di trovare dei vestiti anonimi e vecchietti che non usavo più ma avevo accantonato invece di gettarli o darli in beneficienza. A prima vista non ce n'erano. 

Aprii degli scatoloni vecchi situati nel cassetto sotto l'armadio e finalmente trovai quello che faceva al caso mio. Erano degli jeans di un colore scuro ed abbastanza larghi. Poi trovai una t-shirt nera anch'essa larga senza nessun disegno. Afferrai una forbice e feci qualche piccolo buco alla maglia. Peggio di così non avrei potuto vestirmi... ma per peggiorare il tutto: strappai gli jeans dalle ginocchia. Poi presi le converse nere e cominciai a strappare anche pezzi di tela di quest'ultime. Tutto ciò poteva bastare. Io ed un barbone saremmo stati un'unica cosa da quel momento fino a dopo il provino. 

-

18:00

Mi addormentai come una bimba sul tappeto della mia camera dopo aver ultimato i preparativi per quella sera. Mi alzai di scatto, presi il cellulare per controllare l'ora e per fortuna ancora avrei avuto un po' di tempo prima di rendermi totalmente impresentabile. Quando però -oltre all'ora- sullo schermo trovai un messaggio di Castiel dallo spavento quasi non mi cadde il cellulare dalle mani. Lessi il contenuto per capire se: avrei dovuto comprare uno smartphone nuovo perché magari segnava messaggi vecchi, perché magari era impazzito; o se invece quello ad esser uscito fuori dai gangheri fosse stato il rosso. 

Quanto costa uno spazzolino?

Dopo aver letto fu tutto chiaro. La testa di rapa rossa aveva sbagliato numero. Di certo un messaggio così dal nulla non lo avrebbe potuto mandare alla sottoscritta. Poche ore prima non avevamo fatto altro che litigare ed io non avevo fatto altro che insultare la sua ragazza, quindi non avrebbe avuto motivo per mandarmi quel genere di messaggio così dal nulla. Decisi di rispondergli, giusto per informarlo di aver scritto alla persona sbagliata.

Sono Miki.. credo che tu abbia sbagliato numero.

Purtroppo l'effetto che mi aveva generato era dei peggiori. Si era presentato così, con un messaggio indirizzato probabilmente alla sua ragazza, eppure, nonostante quel piccolissimo particolare io avevo il batticuore. Non era giusto. Aspettai la sua risposta con ansia, come se mi dovesse dire una cosa importante. Mi sedetti sul letto e ogni secondo controllavo se il cellulare avesse campo. La linea c'era tutta. La risposta quindi era una sola: aveva capito di aver sbagliato numero e si era dileguato nel nulla. 

Guarda che ancora ho 18 anni.. non ne ho 60. Ci vedo bene per fortuna :P

Mi aveva risposto dopo qualche minuto. Quel messaggio era indirizzato a me. Il contenuto era stupido ma era per me, non per la vipera, era per me, per me... Dalla gioia cominciai a saltellare per tutta la stanza con il telefono in mano. Ero felice perchè il mio nemico si era fatto sentire. Incredibile da ammettere, ma era così. Poi cominciammo a scriverci e non passò neanche un minuto dalla risposta dell'altro.

CASTIEL: Allora vuoi dirmi quanto costa questo spazzolino sì o no?

MIKI: Ma ti sembro un supermercato, io?

MIKI: Comunque credo che al massimo possa costare 2 Euro... Perché?

CASTIEL: Mi è appena caduto nel cesso. Devo correre a comprarlo.

MIKI: Ma certo che sei scemo con i cavoli tu ! -.-"

CASTIEL: Ammetti che mi trovi irresistibile ;) altro che scemo!

MIKI: No! Ti trovo stupido. Prima fai le sparate, m'insulti, poi non sai come chiedere scusa e mandi messaggi imbecilli come te, per attaccare bottone. Ammetti tu questo, piuttosto!

MIKI: Comunque che hai deciso alla fine?

CASTIEL: Che vado a comprare lo spazzolino nuovo!

MIKI: Scemo! Per Roma...

CASTIEL: Tu ci andrai?

MIKI: Ma da quand'è che alle domande si risponde con altre domande? Comunque sì ci vado.

CASTIEL: Finiscila di fare la saccente.. Ci vengo anch'io. Più giorni di scuola si perdono, meglio è!

MIKI: Ok, certo. Adesso devo andare. Ci vediamo stasera. Ciao!

CASTIEL: Stasera?

MIKI: Al provino -.-" 

CASTIEL: Ah giusto! A stasera!

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** CAPITOLO 18: Fare del bene in segreto ***




 

Capitolo 18

Fare del bene in segreto








Erano bastati quei pochi messaggi per stravolgermi i piani. Trovarmi, di nuovo davanti, quel Castiel mi fece tremare dall'emozione.

Dopo la breve euforia del momento restai immobile al centro della stanza come un ebete a fissare un punto fisso e vuoto. 

Mi tremavano le gambe, le braccia, tant'è che mi cadde il telefono dalle mani. Fece rumore, ma non mi spaventai. Non riuscii neanche ad abbassare lo sguardo per controllare se quel pezzo di tecnologia fosse ancora intero. 

Continuai a restare inerme come se avessi avuto uno shock, come se fossi appena stata avvisata di una notizia terrificante, ma in realtà non era accaduto nulla di così allarmante. Un imbecille terribilmente attraente, mi aveva mandato dei maledetti messaggi, ed io come un pesce ero nuovamente rimasta intrappolata nella sua rete di seduzione. Probabilmente aveva giocato allo stesso modo con altre ragazze difficili da sedurre. Probabilmente le aveva attirate con i suoi messaggi idioti proprio come aveva appena fatto con me. E se un tempo non ci sarei cascata, in quel momento fu difficile non farlo. Per quanto mi dolesse ammetterlo, Castiel mi mancava terribilmente. Sì, avevamo battibeccato solamente poche ore prima a scuola, ma quello di quella mattina non era lo stesso ragazzo che aveva sin dall'inizio attirato la mia attenzione. Castiel; Castiel il ragazzo dei messaggi imbecilli, il donnaiolo, il ragazzo dal sorriso sghembo stronzo ma sincero, il ragazzo incontrato sull'aereo per Parigi, il ragazzo che per fatalità aveva la mia stessa valigia, il ragazzo che stupiva quando meno te lo aspettavi.. quello era il Castiel che sempre mi sarebbe mancato. 

Ancora una volta quel pomeriggio volli illudermi che -invece- il fidanzato zerbino di Debrah fosse soltanto una copia venuta male del ragazzo dai capelli rossi, e che avesse un qualche strano e giusto motivo per comportarsi da cagnolino fedele con lei.

Dopo un breve tempo finalmente riuscii di nuovo a muovermi, anche se di poco. Girai il volto a destra ed intravidi la mia immagine riflessa nello specchio della consolle. Voltai nella stessa direzione il resto del corpo e cominciai a fissarmi. 

Era da parecchio tempo, forse mesi, che non lo facevo approfonditamente.

Così, per guardarmi meglio -a passi lenti- mi avvicinai all'immagine riflessa. Forse avrei dovuto mantenere una distanza di sicurezza maggiore, perché quella ragazza raffigurata nello specchio mi fece paura, quella non ero io, non era la vera Micaela Rossi.

Guardai gli occhi della ragazza allo specchio. Quelli non potevano essere i miei. I miei occhi non avevano mai avuto uno sguardo del genere. Non avevano mai avuto uno sguardo d'odio. Quelli raffigurati in quello specchio erano occhi pieni d'invidia, egoismo, io non avevo mai provato quei sentimenti neanche per chi -al contrario di me- aveva avuto tutto dalla vita. Perchè avrei dovuto provare quelle sensazioni dopo sedici anni di vita per la prima volta?!

Un senso di frustrazione mi pervase il corpo. La situazione mi stava sfuggendo di mano. E se fossi diventata io, la cattiva della storia?!? 

Quando lo sguardo passò ai capelli finalmente riacquistai un briciolo di lucidità. «Miki ma dove cazzo credi di andare in queste condizioni?» rimproverai me stessa. E mi odiai, mi odiai talmente tanto d'arrivare a schiaffeggiarmi da sola. Mi sarei meritata più di uno schiaffo. 

Ero diventata un mostro. Un mostro non nell'aspetto ma nell'animo. Perché se fosse vero che gli occhi sono lo specchio dell'anima, allora io dovevo ritenermi davvero rovinata. Non riuscii a comprendere come fossi giunta a quel punto, in quello stato così pietoso, ma una cosa era sicura, avrei dovuto ringraziare Castiel per avermi aperto gli occhi. Certo, lo aveva fatto inconsciamente ma grazie a lui, mi ero fermata a riflettere; grazie a lui, dopo molto tempo mi ero guardata allo specchio, non per vedere come fossi vestita ma per leggermi dentro. Nei giorni passati avevo solamente pensato a vendette, a fare del male a tutti e tutto, ma mai a qualcosa di bello, a qualcosa per me, a qualcosa che mi avrebbe resa felice. Castiel mi aveva ferita, vero, aveva giocato con i pezzi del mio cuore che segretamente gli avevo donato, verissimo, ma lui non poteva saperlo, non mi aveva letteralmente tradita perché non stavamo insieme prima dell'arrivo di Debrah. Un bacio non voleva dire niente. Certo, i suoi modi bruschi restavano discutibili, ma quello era il suo carattere e non poteva cambiarlo solo perché a me non andava bene. Ero stata solo e soltanto io a creare castelli in aria ed ero ancora solamente io l'unica colpevole di quelle illusioni.

Finalmente riuscii a fare i conti con la vera realtà e sorrisi sinceramente verso il mio riflesso, sorrisi a me stessa per la prima volta dopo tanto tempo perché non ero più incazzata con il mondo intero. 

Mentre ancora mi guardavo, venni distratta. Sentii scuotermi i piedi da una vibrazione del pavimento. Mi voltai di scatto abbassando lo sguardo e capii cos'era. La cover -a causa della caduta- si era staccata per metà dal cellulare, e l'arrivo di un messaggio aveva reso tutto molto rumoroso. Con gesti lenti mi diressi nuovamente al centro della stanza, m'inginocchiai e prendendo il cellulare lessi il messaggio. Era di nuovo lui.

CASTIEL: spazzolino comprato ;) 

Ed ecco la sua ennesima entrata apparentemente ridicola. In quel momento avrei tanto voluto chiedergli se per caso avesse litigato con Debrah, se mi stesse usando come ruota di scorta o come scacciapensieri, ma lasciai stare. A dirla tutta, a primo acchito non sembrava neanche Castiel il ragazzo scherzoso e spensierato di quei messaggi. Non era da lui voler passare per un'idiota, eppure lo stava facendo. 

Come una tipica adolescente alle prese con la sua prima cotta cambiai nuovamente umore. Nella mia testa, nel mio cuore, stavano combattendo tra loro tre sentimenti: rabbia, confusione, felicità. Rabbia perché Castiel era un cretino capace di stravolgermi completamente. Confusione perché seppure mi sforzassi non capivo le sue intenzioni. Felicità perché era stato lui a cercarmi, forse almeno un minimo, a volte -per qualche minuto- rientravo anch'io tra i suoi pensieri. L'illusione di lui intento a pensarmi iniziò a far svolazzare le prime farfalle nel mio stomaco. Per quanto mi sforzassi di pensare al provino che si sarebbe tenuto tra qualche ora, ogni mio sentimento era legato principalmente ed inesorabilmente al rosso. Anche se in quelle settimane avevo voluto negarlo, tutto girava intorno a lui. Ogni cosa; Tutto.

Non pensai a zia Kate e alla delusione che avrei letto nei suoi occhi una volta che mi avrebbe trovata pronta per una festa di Halloween invece che per un provino con un famoso stilista. Non pensai a Ciak alle sue parole, ai suoi consigli, non pensai a Rabanne. Grazie alle dritte datomi dal mio migliore amico, capii con chi avrei avuto a che fare. Lo stilista non amava ricevere un "no", se non lo si assecondava era capace di chiudere tutte le porte per il futuro e non solo per quello della moda, ma in tutti i rami. E a quel punto non sapevo più come comportarmi. Ero stata una tale stupida quel pomeriggio... non avrei dovuto!

Non risposi al messaggio di Castiel. Non per cattiveria, ma perché in quel momento ero in pieno conflitto con me stessa e valutai non fosse il caso di scrivere parole per cui a mente fredda mi sarei amaramente pentita. Quindi restai accovacciata poggiando braccia e testa sulle gambe e continuando a riflettere per trovare una soluzione.

«Non posso presentarmi al provino. Non ci andrò. Una come me non merita un'opportunità del genere!» ripetei ad alta voce. Avevo ragione. Non meritavo un provino, non meritavo niente del bene che mi era stato offerto. Tante ragazze avrebbero pagato per essere al mio posto, ed io avrei ceduto volentieri il mio ingaggio a qualcun'altra con il non presentandomi quella sera. 

Ero diventata un mostro, mi era bastato guardarmi realmente allo specchio per capirlo. Erano due settimane ormai che continuavo a scaricare colpe sugli altri senza fermarmi un attimo. Non avrei dovuto; perché l'unica colpevole per ogni avvenimento accaduto ero io. 

Mi resi conto di essere colpevole persino dei comportamenti di Castiel. Se mi fossi dimostrata sincera sulla mia attrazione nei suoi confronti, forse non sarebbe corso così facilmente nelle braccia di Debrah. Se mi fossi mostrata senza maschere davanti a lui, forse si sarebbe invaghito di me, avrebbe avuto maggior voglia di conoscermi. Le mie erano solo supposizioni, ma in quell'istante mi sembrarono vere più che mai. Ero stata persino capace di farmi odiare dal mio migliore amico. Che poi... chi volevo prendere in giro? Come potevo ancora definire "migliore amico" un ragazzo innamorato di me? Come avevo potuto, fino a quel momento, fingere che lui fosse il mio ragazzo? Quanto ero stata egoista? Tante erano le domande, ma a tutte non vi era neanche una risposta. Non ci poteva essere giustificazione davanti ad un comportamento come al mio. 

Nonostante tutti gli aspetti negativi scoperti dopo aver aperto gli occhi, ringraziai qualunque cosa mi avesse spinta -quella sera- a guardare la realtà.

Quel pomeriggio vidi persino la questione più banale come un problema irrisolvibile. Mi sentivo fragile... Così, senza capacitarmi delle mie azioni, mi tolsi con odio i vestiti di dosso e m'infilai uno dei miei caldi, comodi, anti-estetici pigiami di pile. In quegli abiti mi sentivo me stessa.

Poi decisi di riempire il volto di puntini rossi, in quel modo zia Kate avrebbe pensato che mi fossi presa il morbillo e di non potermi recare -per forza maggiore- a fare quel provino. 

Non avevo nessuna intenzione di andarci. La moda seppur mi attirasse non era parte dei miei sogni. Il mio futuro non era da modella. In quel momento oltretutto stavo dando possibilità ad una delle migliaia ragazze che non desideravano nient'altro che quello: diventare modelle. Rabanne avrebbe trovato sicuramente la modella giusta per Castiel, di sicuro qualcuna migliore di me. Non ero io quella giusta per lui. Lo stilista continuava a dire il contrario, che insieme fossimo perfetti. Già... ma se non ero stata capace di conquistarlo nella vita quotidiana, come potevo su un set, proprio io che di pose e sensualità ne sapevo meno di zero?!?

Mi resi conto di aver esagerato nel rendermi impresentabile, mi sarei vergognata persino ad uscire di casa in quelle condizioni. Sembrai quasi una bandiera, svolazzavo da un pensiero all'altro in base alla direzione del vento. Dopo essermi disegnata i puntini, nascosi il pennarello. Poi corsi per casa alla ricerca del termometro per misurare la temperatura; quando lo trovai in un mobiletto del bagno principale, lo passai sotto l'acqua calda, facendo così salire la temperatura a trentanove. Se prima di venire a contatto con la realtà avevo pensato di presentarmi nello studio di Rabanne vestita da barbona, dopo una lunga riflessione capii che non sarebbe stato il caso di farlo e optai d'ingannare zia Kate. 

Rientrata nella mia camera, posai il termometro sul comodino in bella vista a chiunque sarebbe entrato nella mia stanza; e mi sdraiai sul letto coprendomi con il piumone fin sopra la testa.

-

«Guarda Kate... è proprio questo l'aspetto più odioso di Rabanne. Per lui bisogna essere sempre disponibili, anche quando avverte mezz'ora prima di un servizio, altrimenti sarebbe capace di metterti sul libro nero e addio carriera. È assurdo!»

La voce di Ciak ed il rumore delle chiavi che giravano nella serratura della porta d'entrata, mi fecero aprire gli occhi di scatto. Emisi un sussulto dallo spavento. Mi ero addormentata per minimo un'ora e la sveglia sul comodino segnava ormai le otto di sera. Stava per arrivare il momento del provino, ma io ero malata e non avrei potuto prenderci parte. Ciak si trovava in compagnia di zia Kate, sparlava di Rabanne, ma non ne capivo il motivo. Alla fine si era deciso di non far fare a tutti e tre quel maledetto provino, ma solamente a me e Castiel. E allora cosa ci faceva a casa mia Ciak? E perché dalle sue parole ebbi la sensazione che a quel provino avrebbe dovuto prender parte anche lui?

«Miki, sei pronta?» urlò la zia dal piano inferiore.

Decisi di non rispondere. Volevo far credere di stare malissimo talmente tanto da aver perso la voce. Poi sentii dei passi salire le scale. Di sicuro qualcuno stava venendo a controllare. Chiusi gli occhi, mi voltai in direzione opposta alla porta e finsi di dormire. 

Qualcuno aprì la porta ed entrò dentro la mia stanza senza proferire parola.

Era zia Kate: «Oh Signore!» uno schiocco di mani mi fece intuire che la zia le avesse unite a mo' di preghiera per la disperazione; per poco non scoppiai a riderle in faccia «Ciak, corri... Sali di sopra..» era preoccupata; e vedendomi in quello stato chiamò i rinforzi. 

Da sotto le coperte, incrociai le dita, sperando con tutta me stessa che Ciak non scoprisse la mia menzogna. Questi trucchetti mi erano stati insegnati propri da lui qualche anno prima, quando per non andare a scuola inventava di essere un moribondo. Salì le scale quasi correndo e con passo lesto entrò nella mia stanza. Senza perdere tempo si avvicinò al mio letto. Si abbassò verso il mio volto. Potevo sentire il suo respiro sul viso, vista la misera distanza che ci divideva. Dopo aver strofinato un lembo di pelle per cancellare -con una mano- il primo dei tanti puntini che incorniciavano il mio volto, sussurrò accanto al mio orecchio: «Miki, tesoro sono stato io ad impararti questi trucchetti... Vuoi che non li riconosca?!» gli scappò una mezza risata. Forse anche lui aveva dato spazio ai ricordi del passato. Della nostra amicizia sincera e ingenua restavano solo quelli; i ricordi. Nient'altro.

Vedendo che non mi attingevo a dargli segni di vita, ad aprire gli occhi e a rispondergli, Ciak scosse tutto il corpo per incitarmi. Non risposi ugualmente. Non avrei ceduto. 

«Mi spieghi perché pensi sempre e solo a te stessa?» sospirò e poi proseguì «ho parlato così tanto di te a Rabanne da convincerlo a farmi fare il provino con te. Ci sarà anche Castiel, ma non importa, la nostra alchimia lo convincerà a scegliere me per fare coppia con te e non lui» la sua convinzione per un attimo mi fece rabbrividire. «Non mi deludere ancora Miki, ti prego!» e furono quelle le parole che mi diedero il colpo di grazia. 

Aprii gli occhi e mi alzai di scatto, rimanendo seduta sul letto «Perché non riesci a capire che quello non è il mio mondo? Io non voglio diventare una fottuta modella!»

Mi voltai in direzione della porta attendendo un rimprovero di zia Kate per aver utilizzato un linguaggio scurrile, ma lei non c'era. Ci aveva lasciati soli. Aveva riposto tacitamente tutte le speranze su Ciak.

«Se neanche ci provi come puoi saperlo? Ho visto milioni di persone -dopo averci provato- innamorarsi di un lavoro che prima odiavano. Dai, cambiati o faremo tardi».

«No! Non ho proprio nulla da fare lì!»

La conversazione continuò in quei toni per circa cinque minuti. Lui insisteva per farmi provare quella nuova avventura mentre io restavo irremovibile.

Quando poi guardò l'orologio e si rese conto che a quell'ora saremmo già dovuti essere nello studio di Rabanne, m'inveì contro. 

«Ma cazzo Miki, sei diventata così egoista... Non capisci. Non capisci che così facendo ci andrò di mezzo anch'io? Mi stai mettendo nei guai. Ed io ti ho fatto da finto fidanzato, ti ho dato finti baci, ho rischiato di farmi pestare per te. E tu, tu come mi stai ripagando? Con il tuo cazzo di egoismo?!? Ti avevo chiesto un favore Miki, solo uno, e tu non sei neanche stata capace di aiutarmi. Come ci tieni a dire sempre: Parigi ti ha cambiata realmente Miki, sì, ma in peggio!»

Quelle frasi mi trafissero il cuore come se fossero delle spille appuntite. L'aveva pronunciate con una tale rabbia da farmi rabbrividire. Si alzò dal letto, dove si era seduto per cercare di convincermi, e si recò sull'uscio della porta. Si voltò un'ultima volta nella mia direzione, ed anche se da lontano, lessi tutta la delusione possibile in quegli occhi blu. 

Vederlo in quelle condizioni mi fece reagire. Con le sue parole ancora in testa abbandonai definitivamente il letto. 

Sarei andata a quel provino. 

Non potevo continuare a mantenere le sembianze di un mostro, dovevo tornare ad essere me stessa; non potevo continuare ad essere l'egoista di turno e ancor meno nei suoi confronti dopo tutti i sacrifici fatti per me.

Per non perdere altro tempo, indossai i vestiti che precedentemente avevo tagliato. Sarei stata orribile, Castiel avrebbe riso di me, Rabanne mi avrebbe tolto dal suo studio ancor prima di metterci piede, ma non potevo mettermi a cercare abiti decenti nel mio armadio, vista l'ora e l'enorme ritardo. 

Senza finire di levarmi i puntini di pennarello rosso dal volto e senza curarmi dei capelli a mo' di riccio, uscii dalla mia stanza definendomi pronta. Scesi le scale lentamente, come se avessi passato interi giorni a letto. I miei programmi per quella serata erano altri, eppure io stessa avevo deciso di stravolgerli. Le parole di Ciak mi avevano ferita, ma non ero risentita nei suoi confronti. Ero in collera con me stessa. Dopo i messaggi di Castiel, dentro me era scattata come una scintilla, come se qualcuno fosse entrato dentro il mio cervello e avesse premuto il tasto play. 

Avevo capito di aver sbagliato ogni cosa in quelle settimane. Il peggior errore che potessi mai commettere era stato durante la sera del gala, a Capodanno. Non avrei dovuto baciare Ciak, non avrei dovuto raccontare bugie a Castiel, ma soprattutto non avrei dovuto fingere di stare insieme al mio migliore amico. Mi fermai prima di scendere l'ultimo gradino e m'imposi di raccontare a tutti sulla verità del mio rapporto con Ciak, forse l'avrei fatto dopo il ritorno dal viaggio a Roma, forse da quel momento tutti mi avrebbero odiata, ma non importava. Non potevo più vivere in quelle condizioni, non potevo sopportare lo sguardo d'odio con il quale il mio amico continuava a guardarmi. Ero stata bendata per troppo tempo ed era giunta l'ora di reagire. 

«Neanche Naomi Campbell si è mai fatta attendere per così tanto tempo!» disse Ciak continuando a guardare l'orologio seccato. Non disse quella frase con divertimento o per battuta ma solo per rabbia.

Lui indossava un abito elegante che portava divinamente, come ogni outfit d'altronde. 

«Ci toglieranno da quello studio a furia di calci nel sedere stasera, ne sono sicura. Miki, ma come ti sei conciata?» per la prima volta nella sua vita zia Kate ebbe occasione di rimproverarmi sul mio modo di vestire. Aveva ragione, ma ero nervosa, delusa, arrabbiata, quando avevo scelto il completo da indossare.

«Sì, sbrighiamoci sono le venti e quindici, è tardissimo. Non può cambiarsi ormai. Andiamo!» disse con fretta Ciak e prendendo dal braccetto me e zia Kate, ci trascinò fuori nel giardino dove stranamente non trovai l'autista e l'auto lussuosa ad aspettarci.

Di fretta entrammo nell'auto di zia Kate e partimmo diretti allo studio del fantomatico stilista.

«Devi ancora spiegarmi dove volevi andare a parare con questo tuo atteggiamento. Volevi per caso farmi perdere il posto? Rispedirmi in Italia perché qui ti sto troppo stretto? Continui a combinare una cazzata dietro l'altra da quando sono qui, cazzo Miki!» cominciò a sbraitare Ciak sbattendo le mani per rabbia contro il sedile davanti a lui; era seduto affianco a me, nei sedili posteriori mentre zia Kate era alla guida.

«In realtà io... non sapevo ci fossi anche tu questa sera...» cercai di giustificarmi mantenendo il volto basso.

«Sì ma non sono ugualmente modi questi! Ti ho presentato io Rabanne, avresti solamente dovuto ringraziarmi, non sabotarmi il lavoro»

Lui continuava a rimproverarmi ed io a testa bassa subivo i suoi attacchi. Non avevo voglia di contraddirlo, volevo solo permettergli di sbollentare la rabbia. Sperai di riuscirci entro la fine di quel breve tratto di strada. 

All'improvviso vidi una luce fuoriuscire dalla tasca anteriore dei miei jeans, in contemporanea la vibrazione del cellulare mi fece tremare la gamba. Era arrivato un messaggio. Presi il cellulare con svogliatezza pensando fosse un sms di buona fortuna mandatomi da Rosalya, ma non fu così. Sgranai gli occhi per la sorpresa e nel leggere il suo nome sul display un sorriso spontaneo mi si dipinse sul volto. Passò un minuto, ero ancora a fissare quel nome, come se fosse il primo messaggio ricevuto da lui. Quelle attenzioni che in quelle poche ore mi stava rivolgendo, mi fecero sorridere il cuore.

CASTIEL <3 : poi sarei io lo smemorato tra noi due? Dove cazzo sei?

Noi due. 

Aveva appena utilizzato un solo pronome personale per descriverci. 

Noi due.

Persi un battito del cuore nell'immaginare la sua voce pronunciare quelle due parole.

Non era uno di quei messaggi dolci, uno di quei messaggi che facevano piangere, no, lui non li avrebbe mai mandati probabilmente.. Ma anche con una parolaccia, anche con la sua arroganza, era capace di farmi emozionare. Forse era preoccupato per me; O era solamente preoccupato di non riuscire a fare il provino per causa mia?

MIKI: Sto arrivando!

Non potevo evitarlo. Dopo aver pigiato il pulsante d'invio, spontaneamente mi portai il cellulare sul cuore. In quel momento, dopo quelle sottospecie di attenzioni, sarei stata capace di deporre l'ascia da guerra con il rosso anche solo se per poco. Sapevo di essere contraddittoria ma non riuscivo ad agire diversamente.

«L'hai finita con questo teatrino?» la voce schifata di Ciak interruppe il mio momento d'illusione romantica con Castiel «Non riuscirò mai a capire cosa ci hai trovato in quello lì!»

Evidentemente aveva sbirciato il contenuto dei messaggi o il nome del mittente, e aveva poi esaminato la mia espressione di contentezza nel ricevere attenzioni da lui. 

Feci per aprire bocca ma intervenne zia Kate che, spostando lo specchietto retrovisore verso il volto di Ciak e guardandolo attraverso quello, rispose al posto mio «Ma insomma Ciak, la vuoi smettere? Di te ho sempre apprezzato la maturità che solitamente utilizzi in tante occasioni, ma stasera stai dimostrando di avere dieci anni non quasi diciassette. Miki ha sbagliato in alcune cose, ok, ma capita a tutti di fare errori e non per questo deve finire al rogo. Sicuramente troverà il modo di farsi perdonare. Torturarla così non porterà da nessuna parte. Quindi smettila, mi stai facendo venire il mal di testa con i tuoi lamenti!»

Con quell'affermazione, zia Kate, aveva riottenuto totalmente la mia stima. Non era solita difendermi, e se lo aveva fatto in quell'occasione allora voleva dire che Ciak era diventato davvero insopportabile con le sue lamentele. In effetti, era diventato pesante, anzi no, pesantissimo. Il mio amico aveva tutte le ragioni del mondo per prendersela con me, sì, ma era inutile ripetere le stesse cose per venti minuti. 

Così, ritenendomi soddisfatta della risposta di zia Kate, non replicai al moro, restai in silenzio fino al nostro arrivo allo studio di Rabanne. Ed anche Ciak parve del mio stesso avviso, si ammutolì all'improvviso. 

ROSALYA: In bocca al lupo, honey! Ti raccomando, mettimi una buona parola con lo stilista ;) Aggiornami quando finisci.. Un bacio <3

Il messaggio di Rose mi fece sorridere. Anche lei -come Rabanne- avrebbe voluto fare la stilista dopo il diploma. 

Scendendo dall'auto -al nostro arrivo allo studio di Rabanne- non potei fare a meno di ammirare l'enorme struttura imponente davanti ai nostri occhi. Era terribilmente grande. Era un palazzo bianco, con finestre e tetto di legno. Pareva una villa, non uno studio. Subito dopo il parcheggio, iniziava una via con pietre da percorrere a piedi. Lungo la stradina che avrebbe portato all'entrata della villa, posti ad una distanza regolare l'uno dall'altro, vi erano dei cipressi altissimi. Poco più distante da dove avevamo posteggiato l'auto, mi si presentò davanti agli occhi la moto di Castiel. La conoscevo bene quella.

Percorremmo la via con i cipressi e proprio accanto alla porta d'ingresso, i miei occhi puntarono la figura di Castiel. Era poggiato di spalle con un piede al muro della struttura intento a fumare una sigaretta. A differenza di Ciak, non aveva cambiato il suo abbigliamento per quel provino, indossava i soliti jeans neri e la sua immancabile giacca di pelle. 

«Stai andando ad una festa in maschera e non mi hai invitato? Sono terribilmente offeso!» ed eccolo entrare in scena con le sue battute esilaranti. 

«Ciao anche a te Castiel, è un piacere vederti!» risposi semplicemente accennando un sorriso. 

Ciak lo guardò male senza salutarlo.

«Evita di fare la simpatica. Ti sembra l'ora di arrivare questa? Non solo sei arrivata vestita da barbona, ti permetti anche il lusso di farlo aspettare!» arrivò anche il rimprovero del rosso, come se non mi fossero bastati gli altri due. Nella sua voce c'era una sorta di timore e urgenza, non capii per cosa.

Evitai di rispondergli, non potevo che dar ragione anche a lui. 

Entrammo nello studio. Pavimenti e mura erano in legno, ma non di legno rustico, di un legno sofisticato e di ottima qualità. A sinistra della porta d'entrata vi era una scrivania in stile ottocentesco. Dietro la scrivania c'era una ragazza sulle trentina, molto magra, con occhiali da vista e capelli biondo cenere raccolti in uno chignon laterale. Quella di sicuro doveva essere la segretaria di Rabanne, o qualcuno di simile. Appena ci vide entrare corse contro una porta enorme e di vetro. La porta occupava un'intera parete, ma nonostante fosse di vetro, non si poteva guardare oltre, perché formata da decori vari, un vetro molto spesso e non trasparente.

«Vi sembra l'ora di presentarsi ad un provino, questa?! Tutti sanno che non tollero i ritardatari, e voi che fate? Ritardo. Siete degli ingrati!» arrivò contro di noi lo stilista infuriato. 

Nonostante fossi fuori di me nell'ultimo periodo, decisi di prendermi ogni responsabilità. Mi feci spazio tra Ciak e zia Kate e sollevando la mano destra: «È solamente colpa mia, Signor Rabanne. Non avevo alcuna intenzione di recarmi al provino, questa sera, per cui mi hanno quasi portata di forza qui» fui sincera al massimo. 

Lo stilista, dopo le mie parole, mi guardò sconcertato dalla testa ai piedi e poi mi rispose con un'espressione schifata «Mi dispiace avvertirla che i suoi tentativi di sabotare il provino sono stati vani, signorina. Cosa le sembrava: un provino da quattro soldi? Proverete la pubblicità con degli abiti da scena e prima di entrare sul set dovrete tutti; e dico TUTTI rifarvi il look!» marcò l'ultima frase guardando di sottecchi Castiel. Il rosso, ero sicura, fosse contrario a truccarsi e acconciarsi a comando. Infatti sin da quando avevo scoperto che lui lavorasse per lo stilista non riuscivo a capacitarmi di come facesse e soprattutto del motivo per cui non avesse ancora cambiato lavoro. Quello non era il mondo per un tipo come lui. 

Quando il rosso sentì le parole di Rabanne s'irrigidì di colpo, per poco non gli risi in faccia per la sua espressione.

«Più tardi faremo un discorsetto io e lei, signorina!»aggiunse per ultimo Rabanne, lanciandomi un'occhiataccia. Contrariamente a come avrei dovuto fare, sostenni lo sguardo e guardai lo stilista proprio come aveva fatto lui con me. Ma senza intimorirsi minimamente girò i tacchi e sparì dietro quell'enorme porta. 

Lasciò alla segretaria il compito di darci istruzioni.

«Buonasera, sono Molly, la segretaria di Paco Rabanne. Potrete andare a sistemarvi nei camerini quando ve lo comunicherò io. Nel frattempo accomodatevi pure.» c'indicò delle poltrone presenti nella hall di quell'enorme studio. 

Silenziosamente acconsentimmo e ci recammo nello spazio indicatoci da Molly. I divani esaltavano molto quella stanza, erano di un colore bianco perla, davano l'idea di essere molto comodi visto il loro tessuto di pelle morbida. Mi accomodai sguaiatamente approfittando del fatto che quella sera avevo indossato i pantaloni. Vicino a me si accomodò Ciak, e vicino a lui zia Kate. Avevamo occupato il divano a tre posti. Di fronte alla mia visuale vi era una poltrona. Lì si accomodò Castiel. 

Sin dal primo momento in cui, quella sera, ci eravamo visti di persona -a differenza dei messaggi di qualche ora prima- il rosso cercava in tutti i modi di evitare il mio sguardo. Sembrava quasi essere offeso da qualcosa. Non capivo.

I suoi occhi, invece, andavano in direzione di zia Kate. Purtroppo, a differenza mia, non aveva ancora perdonato i suoi genitori e soprattutto lei. Di sicuro la riteneva essere la causa della fine del matrimonio dei suoi genitori, e come dargli torto? La guardava con odio ed in silenzio, mentre lei, da colpevole e codarda, tenne per tutto il tempo lo sguardo basso e altrove senza mai guardare lui. Ciak, nello stesso tempo guardava Castiel con invidia, rabbia. Ed io in tutto ciò che ruolo avevo?! Beh, stavo in silenzio a fare da spettatrice alla scena. Forse guardavo più Castiel che gli altri. 

Capitò un evento strano in quella sala d'aspetto. Nel momento in cui il rosso aveva lo sguardo da tutt'altra parte, io contemplavo e guardavo minuziosamente la sua figura; mentre quando lui spostava lo sguardo nella mia direzione io mi voltavo concentrandomi sull'arredamento di quel posto. Strano ma vero, non riuscivamo a guardare l'uno negli occhi dell'altra.

Quando poi il cellulare di Castiel squillò, il nostro strano gioco terminò. Senza curarsi dei presenti, rispose. Non si scomodò ad alzarsi, preferì che tutti ascoltassero la sua conversazione.

«Ehi amour, dimmi...»

Sì... Era stato lui. Sì, proprio lui aveva appena risposto al telefono facendo fuoriuscire dalla sua bocca quella parola. Restai interdetta ed uno strano senso di rabbia riempì il mio corpo. Da sempre era talmente orgoglioso da non riuscire neanche a pronunciare un "mi manchi", mentre con lei... con lei abbassava tutti i muri. Proprio come accadeva nei libri, nei film d'amore. Perché con me stava attento a nascondere ogni attenzione, mentre con lei gli veniva tutto così spontaneo, anche pronunciare uno stupido nomignolo romantico? Cosa aveva lei più di me?

Perché lei era tutto ed io niente.

«Vaffanculo, Cass...»

"Oops... ho pronunciato la maledizione ad alta voce" 

Tutti i presenti in sala sgranarono gli occhi, me compresa, ed anche il destinatario della mia maledizione si girò sconvolto verso me. Quella volta non ci sarebbero stati equivoci, quella volta era tutto chiaro anche a lui. Si era capito quanto fossi gelosa di lui e Debrah.

Valutando le urla che sentii provenire dal microfono interno del cellulare del rosso, anche la vipera aveva udito la mia dolce parola. Stranamente dal solito Castiel non rispose alla mia provocazione involontaria, continuò a parlare con la sua amata, quasi come se volesse farmi un dispetto.

«Mi manchi, sai? Vorrei essere nel nostro letto, proprio ora, invece che qui..»

Disse quella frase sensualmente e senza urlare, la sua voce roca ed il suo sguardo lussurioso percorsero il mio corpo facendomi rabbrividire e arrossire contemporaneamente. Sembravo quasi io la destinataria delle sue frasi piccanti e non la sua ragazza. 

Mi alzai di scatto dal divano per non illudermi ulteriormente. Erano rivolti a lei i suoi desideri -non più- segreti, non alla sottoscritta. Dovevo smetterla di pensare a fatti impossibili.

Andai avanti ed indietro, dalla porta d'entrata alla scrivania di Molly. Contavo i minuti, non per l'imminente provino ma per la durata infinita della chiamata tra Castiel e la vipera. Continuava a chiamarla usando l'appellativo "amore". A tratti posai le mani sulle orecchie per tapparle, per porre fine a quella lenta tortura. Stava diventando tutto troppo insopportabile e non ero neanche legittimata ad essere gelosa. Lui non era niente per me.

Ciak, in quel frangente di tempo mi uccise con lo sguardo mentre per la rabbia strinse la pelle del divano. Sapevo di fargli del male mostrandogli quanto in realtà m'importasse di Castiel, ma non potevo più fingere, avevo passato tutta la mia vita a farlo era il momento di smetterla. 

«Potete entrare ognuno nei rispettivi camerini, prego...» c'informò Molly alzandosi dalla sedia ed indicando la strada per i camerini. Salutai zia Kate che ci avrebbe aspettati su quei comodi divani, e mi diressi a prepararmi. 

Fui grata per quella intromissione, finalmente le mie orecchie non sarebbero più state costrette ad ascoltare la voce di Castiel rivolgere attenzioni alla sua ragazza. 

Vedere il camerino attrezzato di ogni cosa, mi fece brillare gli occhi. A differenza del resto della struttura, quella stanza gigante era con mura e linoleum grigio scuro. Non vi era nessun tipo di arredamento, era stato lasciato tutto libero per poter contenere trucchi e vestiti in abbondanza. Non potei contarli tutti, ma credo che fossero presenti più di cento vestiti eleganti in quei guardaroba. Per tutta la lunghezza della stanza vi erano depositati appendiabiti stracolmi di vestiti meravigliosi e luccicanti. Quando un'aiutante prese il mio, restai quasi delusa. Mi sarei aspettata un vestito più romantico e vistoso, ma ovviamente decisi di restare in silenzio. Prima d'indossare quell'abito, la parrucchiera passò ai capelli ed al trucco facendomi accomodare su una poltrona rosa in camoscio. Non potei fare a meno di notare le tante consolle presenti in quella stanza. Ce n'erano dieci, tutte uguali ed in fila. Ognuna conteneva tutto il necessario per il make up ed uno specchio con le luci intorno. 

Iniziarono quasi a piacermi quelle coccole da star. 

-

CASTIEL

Adoravo terribilmente vedere Miki innervosirsi. Inizialmente avevo accettato la chiamata di Debrah davanti a tutti, non per farle un dispetto ma per pigrizia. Ero stanco, e a dirla tutta non avevo neanche intenzione di protrarre quella chiamata. Ma poi... quando Miki mi aveva mandato letteralmente a quel paese ne avevo approfittato. Non sapevo se le desse fastidio il fatto di sentire Debrah, o il fatto di sapere me con lei in certi atteggiamenti. In realtà, non ero mai stato dolce, neanche con Debrah. Quella sera divenne tutto automatico, forse aveva pensato a tutto il mio subconscio ed avevo iniziato a mentire pur di vedere Miki innervosirsi. 

A dirla tutta non ero neanche ancora riuscitoad andare a letto con Debrah. Dal suo ritorno non avevamo avuto un rapporto completo, solo preliminari, niente di entusiasmante o trascinante. Non provavo neanche più lo stesso desiderio di anni prima per lei.

C'era sempre qualcosa a bloccarmi, che mi portava a respingerla e non riuscivo a capire neanche cosa fosse di preciso. Evidentemente avevo intenzione di metterla alla prova, per capire se lei fosse tornata con me solo per del buon sesso o per secondi fini; in realtà non mi fidavo di lei come un tempo, non credevo alle sue parole d'amore, non ero così scemo e innamorato come tutti pensavano. 

E se fosse Miki il motivo per il quale non riuscissi ad andare oltre con Debrah? Scossi la testa e mi diedi mentalmente dell'imbecille per quel pensiero stupido. Miki non era nient'altro che una possibile e bellissima scopata. 

E invece cos'era che mi teneva così legato a Debrah?!? Le ombre del passato? I rimorsi? Di certo non l'amavo come prima, l'avevo capito in quei pochi giorni, perché se avessi provato per lei ciò che provavo in passato, non avrei aspettato neanche un giorno prima di saltarle addosso.

Un altro dubbio che torturava la mia mente era quel Francois o Ciak come diamine si chiamava. Non riuscivo a capire quanto fosse importante per Miki o che ruolo realmente avesse nella sua vita. Non che m'importasse qualcosa, ma non sembravano una vera coppia. Nei primi mesi dal suo arrivo a Parigi io e Miki eravamo diventati quasi amici, ci raccontavamo parecchie storie o fatti accaduti all'altro, ma non mi aveva mai nominato Ciak; se fosse stato realmente il suo ragazzo non avrebbe fatto altro che parlare di lui, la conoscevo almeno un minimo ormai. Forse per chiarire ogni dubbio avrei dovuto finalmente decidermi ad aprire e leggere la copia del suo diario segreto, chiusa a chiave in un cassetto della mia stanza. 

Mentre quella stronza della truccatrice non faceva altro che spalmarmi delle strane creme sul viso -a detta sua essenziali per una migliore luce nelle foto- io continuavo a pensare a lei. Era entrata nella mia mente da quattro mesi ormai, e non riuscivo ad eliminarla in nessun modo. Era talmente strana e misteriosa quella ragazza, da riuscire a colpirti il cuore e quando ti colpiva, lo faceva così profondamente, da non lasciarti più alcun scampo. O eri cotto di lei o la odiavi, non esisteva una via di mezzo.

«Mi spieghi che intenzioni hai con Miki?»

Quella specie di bambolotto vivente del suo ragazzo, poi, continuava a tartassarmi di domande. A tratti appariva più che altro come il suo migliore amico, come qualcuno che la volesse proteggere, e non come il suo ragazzo. Era geloso, ma si conteneva, quasi come se non fosse legittimato ad esserlo. Se Miki fosse stata mia, di certo, non mi sarei rivolto in quei termini al mio eventuale rivalegli avrei spaccato direttamente la faccia che era ben diverso dal suo comportamento.

«Credo di avere una mosca nell'orecchio... Devo eliminarla prima che diventi troppo fastidiosa».    Non riuscivo a farmelo stare simpatico, era più forte di me.

«Avessi avuto io la tua fortuna...» lasciò quella frase in sospeso che mi spiazzò facendomi aggrottare la fronte.

Stavo per chiedergli cosa intendesse con quelle parole, ma venni bloccato da Clark, il costumista che ci comunicò l'abbigliamento che avremmo dovuto indossare per il provino.

«Indossate questi. Dovrete stare a piedi scalzi e dorso nudo!»

Dovevamo indossare solamente un pantalone elegante e nero, saremmo rimasti quindi, a petto nudo e piedi scalzi. Preferivo quel tipo di abbigliamento piuttosto che un abito ingessato. Ero piuttosto in confidenza con il mio corpo, grazie agli allenamenti giornalieri avevo sviluppato un fisico di cui andavo parecchio fiero e di certo non temevo di stare a dorso nudo, non temevo i bambocci come Ciak dal fisico gonfiato da chissà quale droga. 

-

CIAK

Se dodici ore prima non ero infastidito da Castiel, le cose si erano completamente ribaltate. Avevo cominciato a non sopportarlo. Voleva far ingelosire Miki a tutti i costi e non mi piacevano i suoi comportamenti da maschio alfa. Voleva illuderla, farle credere che lui non provasse niente per lei. La guardava in un modo strano, con interesse, bramosia, conoscevo quello sguardo; quando decideva di non guardarla o di non rivolgerle attenzioni era solo per orgoglio. Mi feriva vedere Miki così tanto interessata ad un ragazzo che non fossi io; s'infastidiva per qualsiasi cosa quando si trattava di lui, anche solo per una chiamata alla sua ragazza, mentre con me non aveva avuto alcuna reazione nonostante le avessi urlato parole pesanti. Per me non aveva l'alcun minima considerazione. 

Pian piano, magari, avrei accettato quella situazione, avrei accettato che lei avesse occhi e cuore solo per lui.. ma a distanza di qualche giorno da quella scoperta, ancora faceva tremendamente male vederli in quegli atteggiamenti. Lui poteva averla, poteva prendersi cura di lei, poteva ricevere il suo amore, eppure non si attingeva neanche a farle capire di essere interessato a lei. Lasciava solo che soffrisse, che la gelosia le logorasse l'anima.

Dopo aver ricevuto le indicazioni dal costumista, ci vestimmo. Eravamo in camerino insieme. Quando terminammo i battibecchi e il nostro look era completo ci recammo sul set fotografico.

Avremmo dovuto pubblicizzare un profumo. La nuova fragranza di Paco Rabanne: Ivre.

«Come dice la stessa fragranza, ivre: gli uomini dovranno essere ubriachi del profumo, che in questo caso sarà incarnato da Miki. Proverete uno per volta. Prima toccherà a Francois.» ci avvertì Rabanne. Poi continuò: «Ricordatevi che questo sarà un provino. Vi verranno scattate solamente delle foto. La pubblicità del profumo si farà in riva al mare, e lì sarà realizzato un video-clip per i media di tutto il mondo. Oggi, dovrò solo capire chi sarà la coppia giusta per questo lavoro e qualora alcune foto scattate mi piaceranno particolarmente ne sceglierò qualcuna per le riviste».

Rabanne era stato chiaro.

"Voglio essere io colui che farà la pubblicità." 

Appena Rabanne finì di darci indicazioni, vidi sbucare Miki dalla porta del suo camerino. I suoi tentativi di fingersi malata, di vestirsi male, risultarono vani. Era bellissima, ancor più del solito. Era truccata perfettamente, quasi da sembrare una bambola di porcellana. Aveva un vestito ampio e dorato, uno di quelli che solitamente lei amava, eppure sembrò essere a disagio in quell'abito. Il corpetto era molto stretto, fatto praticamente solo di paillettes dorate, mentre il resto del vestito scendeva morbido, composto completamente di tulle dorato. Quel colore le donava molto.

Ogni mio tentativo di odiarla, d'infastidirmi con lei -dopo averla vista vestita della sua bellezza particolare- andò a scemare.

-

MIKI

Amavo i vestiti come quello appena indossato, ma in quel momento niente mi avrebbe resa felice. Quel corpetto era incredibilmente scomodo, sentivo entrare nella pelle le migliaia paillettes dorate. Per di più sebbene avessi un corpo esile, il costumista aveva continuato a dire -per tutto il tempo passato in camerino- che con quel capo stretto si sarebbe di conseguenza nascosto il mio filo di pancia. Pesavo sessantadue chili ed ero alta un metro e settanta, non ero di certo in sovrappeso. E invece no... secondo la mente bacata del costumista, e secondo quel mondo stupido -fatto di gente che neanche si sedeva a tavola a mangiare per non ingrassare duecento grammi- avevo dei chili di troppo. Era tutto abbastanza ridicolo. Per distrarmi dalle cose negative che nel giro di un'ora mi erano capitate, dopo aver abbandonato il camerino diedi un'occhiata allo studio, era in stile ottocentesco. Ma quello che catturò ancor di più la mia attenzione, furono le luci e l'ambientazione della sala. Dalla parte opposta alle macchine fotografiche, c'era un telone che raffigurava il mare e degli scogli. Tutto pareva tranne che un provino. Sembrava di essere già sul set del videoclip. 

Rabanne era parecchio concentrato, stava discutendo degli ultimi preparativi con il fotografo e nello stesso tempo parve essere molto nervoso, stranamente pensavo di sapere il perché. 

«Per il bene di tutti ti consiglio di non farlo irritare ulteriormente. Hai già contribuito fin troppo ad innervosirlo!» Molly giunse alle mie spalle spaventandomi.

«Voi siete tutti matti qui dentro!» mi venne spontaneo affermare dopo lo spavento avuto nel sentire la sua voce alle spalle. 

Forse utilizzai un tono di voce alto visti tutti gli occhi puntati sulla sottoscritta, da quel momento. 

Castiel e Ciak si diressero verso di me, entrambi con espressione corrucciata. 

«Quando pensi di finirla di fare la ragazzina?!» Castiel mi rimproverò. 

Come avessi fatto a non notare il suo abbigliamento poco vestito non lo sapevo, ma non appena abbassai lo sguardo sul suo petto scolpito e scoperto arrossii di colpo. Gli dii greci erano facilmente paragonabili al suo fisico asciutto e muscoloso. 

Ciak -anche lui nello stesso abbigliamento di Castiel- aggiunse la sua: «Oh! La prima cosa intelligente detta da questo beduino da quando lo conosco. Ha ragione, Miki, fa' la persona matura, ti prego!» unì le mani a mo' di preghiera.

«Ehi testa di plastica, beduino a chi?» s'intromise giustamente Castiel difendendosi. 

Ciak ignorò l'entrata del rosso e si rivolse a me «Comunque tesoro, i capelli lisci ti stanno divinamente. Dovresti portarli spesso così!» sfiorò gli ormai lunghi capelli. 

Quella sera avevo scoperto un ulteriore novità: le piastre professionali facevano miracoli. I miei boccoli, grazie alla bravissima parrucchiera dello Staff Rabanne, erano diventati lisci come la seta arrivandomi fin sotto la spalla. Mi erano stati lasciati liberi, senza alcun fermaglio. Così, naturali.

Sapevo quanto quel provino fosse importante per Ciak, ma fino a quell'istante non avevo immaginato quanto potesse esserlo anche per Castiel. Non l'avevo mai visto così nervoso. Riuscì addirittura a contenersi dinanzi allo snob di Ciak limitandosi solo a stringere i pugni lungo il corpo dopo non aver ottenuto risposta. Era quasi come se fosse frenato, come se non potesse sfogarsi come voleva per la troppa importanza di quel provino. Avrei tanto voluto scoprire cosa ci fosse dietro, Castiel ometteva sempre i fatti importanti della sua vita. 

I due uomini indossavano un pantalone nero mentre il petto era scoperto. Che Ciak avesse un fisico mozzafiato era fuori ogni dubbio; l'avevo visto e rivisto mille volte, in costume, in boxer, ormai ci ero abituata... Ma la vera sorpresa quella sera fu Castiel. Quel ragazzo non finiva mai di sorprendermi. Sotto le sue t-shirt non troppo strette immaginavo nascondesse un fisico carino e muscoloso, ma a vederlo dal vivo, senza immaginazione, era davvero perfetto. Aveva un addome parecchio muscoloso, uno di quei fisici che fuoriescono solo dopo anni e anni di allenamento. 

«Sappia che non tollero altri capricci da parte sua, Mikì.» si avvicinò a me lo stilista «Le spiego subito la sua parte in questo provino. Lei incorporerà la fragranza letale, quella che farà ubriacare l'uomo, l'ammalierà e lui penderà dalle sue labbra. Dovrà essere espressiva, sicura di sé, sensuale, una vera e propria femme fatale!» Rabanne spiegò il mio ruolo, ma non avevo proprio idea di come riuscire a mettere in mostra tutti quegli aspetti. 

Sarei stata un disastro, ne ero già convinta e consapevole. 

Dopo ulteriori indicazioni anche ai due uomini, lo stilista c'informò che era tutto pronto. Ci avrebbero scattato delle foto a turni. I primi a salire sul set saremmo stati io e Ciak.

Rabanne mi diede tra le mani una boccetta di profumo. Era una piccola bottiglia di vino. Al centro, su un'etichetta nera, era intagliato il titolo del profumo "Ivre" con sotto il nome del celeberrimo stilista. Non avevo mai sentito quel profumo, mai vista quella forma particolare di boccetta. Come ogni profumo di Paco Rabanne che si rispetti, anche quella bottiglietta era di color dorato. Aveva lo stesso colore del mio vestito, scelto a sua volta volutamente per quel motivo. Le idee di quel signore iniziarono ad intrigarmi molto, aveva studiato tutto nei minimi dettagli. Ma restava fissa nella mia testa l'unica sua scelta più sbagliata, e cioè: io. Non facevo parte di un'agenzia di moda, non ero alta, non ero abbastanza esile per come richiedeva quel mondo, non ero una modella. Continuavo a non capacitarmi perché lo stilista avesse insistito più volte nel farmi fare quel maledetto provino.

Qualcuno ci stava dando delle indicazioni, sulle pose da assumere, ma io mi ero distratta e non sentii. Quando percepii le braccia di Ciak stringermi forte, m'irrigidii, il suo petto a contatto con la mia schiena mi fece sussultare. A quel punto il corpetto iniziò a torturarmi ancor di più. Assunsi un'espressione disgustata e dolorosa. Di sicuro quella, non aveva nulla a che vedere con la femme fatale desiderata da Rabanne.

«No, no, e no. Mikì ma che stai combinando? Lo devi sedurre, devi essere potente, devi fargli girare la testa. Rapirlo. Un volto disgustato non venderà mai e poi mai dei profumi». Per la prima volta, lo stilista, si rivolse a me con un tono informale, lo avevo talmente tanto esasperato da fargli dimenticare persino il bon ton tanto seguito da lui. 

Come volevasi dimostrare Ciak era risultato impeccabile, io no. Lui era un modello, quello era il suo lavoro, non il mio. Vedere la mia faccia spiaccicata su riviste o chissà dove nel mondo, era l'ultimo dei miei sogni. Non volevo assolutamente diventare famosa o lo zerbino di uno stilista. Avrei voluto continuare ad amare la moda dall'esterno, vestirmi, apprezzare le brave modelle ma non divenire una di loro.

Non riuscii ad ascoltare i consigli di Rabanne, continuai a fare di testa mia restando assente sia con lo sguardo che con il corpo. Ciak mi stringeva mentre io ero persa nei miei pensieri; sognavo di dormire nel mio letto caldo, da sola, fuori da quel mondo fatto solo di apparenze e telecamere. Io non avevo niente a che vedere con la bellezza e perfezione del mio migliore amico. 

-

CASTIEL

"Si, ma non c'è bisogno che la stringa in quel modo!" ripetevo tra me e me ad ogni stretta di Ciak intorno al busto di Miki."Geloso, mio bel fustacchione?" intervenne la mia indiscreta coscienza. "Chi? Io? Ma sei matta? Torna a dormire per piacere, la sbronza di ieri deve averti fatto male!" sapevo di poter risultare pazzo agli occhi degli altri, visti i miei dialoghi interiori, ma nessuno avrebbe scoperto che di tanto in tanto mi ritrovavo a litigare con una vocina dentro la mia testa chiamata da tutti coscienza. "Falla bere a qualcun altro. Con me non funziona. Io non bevo le tue balle. Ti ricordo di essere la tua coscienza, quella particella che dovrebbe farti ragionare, farti aprire gli occhi; ed io sto cercando di farlo dalla tua nascita, se solo mi stessi ad ascoltare..." scossi la testa eliminando e smettendo di ascoltare le parole di quella parte petulante della mia testa, e mi concentrai nuovamente sulla scena che si stava presentando davanti ai miei occhi. 

Percepivo uno strano fastidio sulla bocca dello stomaco. Forse delle fitte, forse un formicolio. La sera prima avevo esagerato con l'alcol eppure qualcosa mi suggeriva di non essere esattamente quello il motivo del mio malessere. 

Miki non era felice con Francois, l'avevo capito grazie a quel siparietto nello studio di Rabanne, solo... Non comprendevo il motivo per il quale non lo avesse ancora lasciato. Ogniqualvolta il bamboccio di plastica sfiorava il corpo longilineo della ragazza dai capelli ramati, le mani mi prudevano. Avrei tanto voluto sbattere al muro la testa di quel coglione fino a fargli perdere i sensi. M'infastidiva la loro vicinanza ma non per ciò che aveva sostenuto la mia coscienza... o forse sì?! Fatto stava che ancora non ero pronto ad ammettere verità scomode e, molto probabilmente, non lo sarei mai stato. 

-

MIKI

Sentivo i suoi addominali scolpiti eppure non provavo niente. Non riuscivo a smuovermi, a fingere come avevo continuato a fare durante la nostra finta relazione. Sembrava quasi che il mio cervello si fosse sconnesso totalmente dalle altre parti del corpo. In quel momento risultò difficile, e anche disgustoso a dirla tutta, restare avvinghiata al mio migliore amico. Mi stavo comportando da vera stronza nei suoi confronti, si sarebbe infuriato ne ero certa.

Tra tutte le foto scattate da Frank -il fotografo- probabilmente neanche in una avevo osservato gli ordini impartitami dallo stilista.

«È un disastro. Un completo disastro» Rabanne si portò entrambi le mani tra i capelli, esasperato. Aveva ragione, ma io lo avevo avvertito di non essere in grado di stare davanti ai riflettori. «Francois cedi il tuo posto a Castiel!»

Già solo sentendo pronunciare quel nome sussultai come scossa da una scarica elettrica. E, improvvisamente mi risvegliai.

«Anche in questo caso ti sei dimostrata essere la solita egoista. Grazie Miki, grazie molte!» mi rimproverò Ciak; poi mi diede un'ultima occhiata accusatoria e abbandonò il set.

Non gli risposi. Non riuscii neanche a chiedere scusa al mio migliore amico. Il mio cervello si era appena bloccato, inceppato alla frase precedente pronunciata da Rabanne. Quelle parole si ripetevano nella mia mente ininterrottamente: "Francois cedi il tuo posto a Castiel".

Come avrei reagito dinanzi alla troppa vicinanza con il ragazzo dai capelli rossi? Mi avrebbe ancora una volta scatenato le stesse sensazioni, sarei andata in combustione già solo con un suo tocco? Improvvisamente divenni nervosa, fin troppo, ma nello stesso tempo una strana gioia iniziò quasi a sovrastare le altre emozioni.

Era da troppo tempo che le sue braccia non stringevano il mio corpo.

Era da troppo tempo che il suo fiato non solleticava il mio collo.

Da troppo tempo la sua bocca non sfiorava la mia.

Era da troppo tempo che mi mancava...

Precisamente sette giorni, un'ora, quarantacinque minuti e dieci secondi che non avevo un contatto ravvicinato con il mio Castiel.

Era passato troppo tempo dall'ultima volta.

Lui non ebbe nessuna trepidazione, nessun timore ad avvicinarsi a me. Lo fece con una tale naturalezza da far paura, inconsapevole che con un solo passo in più del dovuto avrebbe rischiato di frantumare le mie certezze. 

Si posizionò alle mie spalle, allungò le mani verso la mia vita e, spingendomi contro il suo corpo, mi abbracciò. In un microsecondo mi ritrovai attaccata al suo addome muscoloso e nudo. Ero in totale balia dei suoi gesti, stregata dal suo profumo; un misto tra buchu selvatico e menta piperita. Non era lui a dover essere ubriaco di me? Perché quella sera l'unica ubriachezza che percepii fu la mia. 

Ero totalmente ubriaca di lui. Allora era quello ciò che provocava l'astinenza dalla droga per troppo tempo... Assaggiarla di nuovo e non essere più capace d'intendere e volere; provarla e sentirsi nuovamente, totalmente e incondizionatamente dipendente da lui. Maledizione!

Dopo qualche scatto poggiò la testa sulla mia spalla ed io d'istinto feci lo stesso con lui, alzai lo sguardo verso il cielo e chiusi gli occhi.

Neanche il corpetto dalle mille paillettes era più un problema, magicamente non lo sentii più stretto. Il mio cervello era annebbiato. In quel momento ero disposta a percepire solo ogni battito del suo cuore, ogni suo respiro sul collo ed in contemporanea ogni brivido sulla pelle che la sua vicinanza mi faceva emettere. 

Un battito di mani interruppe il mio momento di magia. Ogni cosa bella dura sempre troppo poco, era un dato di fatto.

Poi la sua voce: «Bravi, bravi, bravi» tre battiti di mano «Sembravate quasi veri. Devo ammettere che recitate bene. Peccato però che Castiel vuole solo me, piccola troia!» sgranai gli occhi davanti al suo nomignolo e per la rabbia strinsi i pugni. 

Doveva smetterla di definirmi una troia, quello casomai era il suo lavoro non il mio. 

«Debrah, ma che cazzo c-ci f...» lasciò la frase in sospeso Castiel, staccandosi bruscamente dal mio corpo. 

Improvvisamente sentii freddo, e rabbrividii. Certo, lei restava pur sempre la sua preferita. Come avevo potuto dimenticarlo in quei minuti in cui si era stretto a me? 

«Signorina, signorina» col fiatone irruppe correndo, Molly, interrompendo l'attimo di sgomento e silenzio generale per l'entrata di Debrah. «L'ho già avvertita che in questa sala è vietato l'ingresso al personale non autorizzato. Se vuole aspettare il suo ragazzo, lo attenda fuori nella sala d'attesa».

Evidentemente da testarda nata, Debrah, non aveva osservato le indicazioni della segretaria, e si era introdotta sul set senza alcuna autorizzazione.

«Ed io ti ho detto che quella...» m'indicò «vuole rubarmi il ragazzo. È mio diritto stare qui!» ribatté la vipera. 

Per poco riuscii a trattenere le risate. Debrah e la sua figuraccia davanti a professionisti, mi fece quasi pena. Ero quasi tentata di rispondere alle sue accuse nei miei confronti, mi ritenni però di gran lunga superiore ad una ragazza senza cervello. Continuai a non capire cosa le avesse visto Castiel di così speciale, reputavo il rosso molto più intelligente di lei. La bellezza non era tutto nella vita. Una come lei non poteva essere considerata una compagna di vita degna per uno come Castiel. 

Ma una cosa era certa, se quella ragazza era arrivata addirittura ad interrompere un provino a causa della sua gelosia, voleva dire che non era poi così tanto certa dei sentimenti di Castiel verso di lei. Quel possibile aspetto mi destabilizzò. Forse Castiel dopotutto non era realmente il cagnolino fedele di Debrah, non pendeva dalle sue labbra come faceva credere a tutti... Forse.

Il rosso non era rimasto contento dell'entrata poco trionfale di Debrah nello studio fotografico, infatti fissò per tutto il tempo la vipera con sguardo d'ira, sorpreso e con risentimento. Di certo con quella reazione non era a conoscenza del suo intento di sabotare il provino, quello era poco ma sicuro. 

I miei pensieri furono interrotti da un Rabanne furioso e stanco di tutti quegli imprevisti «Se ne vada Signorina, non la voglio vedere neanche in sala d'attesa. Abbandoni all'istante lo studio prima che mi decida a chiamare la polizia!» puntò le dita in direzione della porta, intimandole di uscire. 

Debrah riconoscendo sicuramente il volto di Rabanne come uno dei più potenti ed influenti stilisti del momento -nel mondo della moda e non solo- non aggiunse altro. La sua sfuriata era appena giunta al termine, per fortuna. Si limitò ad uscire permettendosi addirittura di sbattere l'enorme porta di vetro. 

Dopo la breve ma intensa invasione di campo, Rabanne c'impose di continuare con gli scatti. Ci fece posizionare l'una di fronte all'altro, con il profumo in bella vista. Se prima c'era qualche speranza di riuscire ad essere quantomeno un minimo espressiva, da quel momento non ci sarei più riuscita. L'intrusione di Debrah mi aveva sbattuto nuovamente in faccia la realtà; nella rabbia, nella gelosia, nel rancore.

Castiel mi si avvicinò nuovamente, avrei dovuto guardarlo negli occhi come ci stava indicando lo stilista, ma arrivati a quel punto non ci riuscii. Ripensai alla telefonata di un'ora e mezza prima, a come il rosso si era allontanato da me non appena la ragazza era entrata sul set. Il suo amore era sempre rimasto lei, il suo unico pensiero era Debrah nonostante i dubbi della ragazza. 

E quel nostro contatto anche se pura finzione per lui, mi provocò dolore, rabbia... A me che dall'inizio del provino non ero riuscita a fingere neanche un istante; a me che impazzivo anche solo per la sua vicinanza, per un suo lieve tocco. 

«Mikì, così non va. Castiel accarezzale i capelli. Tu Mikì, spruzza il profumo».

Cercammo entrambi di osservare le indicazioni dello stilista per porre fine a quella tortura il prima possibile, ma appena Castiel cominciò a sfiorare una ciocca dei miei capelli, il profumo che avevo tra le mani cadde sul pavimento rompendosi.

Rabanne invece di adirarsi maggiormente applaudì. «Ivre... Oui... Questo sì che rende il vero significato del profumo. La boccetta rotta. Hai scattato tutti i momenti Frank?»

Il fotografo fece cenno con la testa per rispondere alla domanda dello stilista e come per indicare di pensarla allo stesso modo di Rabanne.

Bene, visto che avevo dato abbastanza, potevo anche ritirarmi arrivati a quel punto. Anzi, avevo dato anche troppo... più di quello che avrei dovuto. Non avevo bisogno di mettermi ancora in ridicolo.

«Adesso basta!» scoppiai, aggiudicandomi gli sguardi sorpresi di tutti i presenti «Sono del tutto inadatta per questo ruolo. Sembro una stupida. Smettete di applaudire. Rabanne cercati un'altra, io me ne vado!» la pressione dell'intera giornata scoppiò all'improvviso. Dovevo immaginarlo che mi sarebbe accaduto. 

Sapevo di non potermi permettere il lusso di rivolgermi al grande stilista con quei toni, ma non ce la facevo più. Con passo deciso e senza guardare più nessuno, abbandonai il set recandomi nel camerino. 

La vicinanza con Castiel mi aveva reso debole. In un certo senso Debrah, mi aveva salvata... mi aveva portata a contatto con la realtà. Mi aveva permesso di ripensare a quella telefonata e a quanto lui fosse così innamorato di lei e così poco interessato a me. Lui con me stava solo fingendo. 

Presi una salviettina struccante e cominciai a togliere il trucco...

Insieme al trucco avrei tanto voluto levare anche l'impronta di Castiel, ma sapevo fosse impossibile, almeno per il momento. Il suo tocco era impresso sulla mia pelle quasi come un tatuaggio, sperai che perlomeno fosse uno di quelli semi-permanenti in modo da avere la possibilità di poterlo dimenticare prima o poi. 

Avevo ripreso ad odiarlo, nuovamente. Sebbene amassi l'illusione romantica di lui creata dalla mia mente non potevo permettermi di sognare, dovevo essere realista. 

«Si tolga i vestiti ed indossa i suoi. Poi vada nella sala d'attesa. Rabanne le vuole parlare!» Molly entrò senza bussare e con aria distaccata mi comunicò le volontà dello stilista.

Da lì a poco mi sarebbe spettata una di quelle ramanzine che non si dimenticano facilmente nella vita, ma per la prima volta non potevo che trovarmi d'accordo con lo stilista. Mi meritavo un rimprovero con i fiocchi.

-

CIAK

Ero terribilmente risentito e offeso dai comportamenti tenuti da Miki per l'ennesima volta dal mio arrivo a Parigi. Sapeva quanto fosse importante per me quel lavoro, maledizione. In mia presenza era stata più tesa di una corda di violino, mentre poi le era bastato sentire il nome di Castiel per iniziare a sciogliersi, per entrare nel personaggio. Era così incredibile, così ingiusto ciò che era capitato in quella stanza da farmi sentire ferito nell'orgoglio. Io ero mille volte migliore di quel finto pellerossa. 

«Ecco, Francois, sarò schietto con te... tu sei perfetto, troppo perfetto. La tua perfezione oscura la modella, in questo caso Mikì. Con te ho delle intenzioni serie, voglio assumerti a pianta stabile rendendoti protagonista. Ho molti progetti perfetti per te, ma lavorerai come modello singolo.»

Una botta al cuore mi affannò il respiro. Rabanne alla fin dei conti mi aveva elogiato facendomi dei complimenti, ma per quella pubblicità sosteneva non fossi adatto. Pellerossa era stato migliore di me, avrebbe preso parte a quella campagna. Sarebbe stato il volto del nuovo profumo. Sarebbe diventato famoso al posto mio insieme alla ragazza che amavo. Se solo Miki si fosse comportata diversamente, se solo avesse collaborato il ruolo di "homme ivre" sarebbe stato mio. Era stata tutta colpa sua. Aveva lasciato scegliere il cuore, non aveva ragionato, non mi aveva pensato, anzi aveva preferito lui a me -di nuovo e per di più inconsciamente- cosa ancora più grave. 

Annuendo sconfitto, uscii dall'ufficio dello stilista. Volevo scappare e non vederla mai più, ma nello stesso tempo volevo restare e rimproverarla. Miki era diventata un ossessione, avrei dovuto dimenticarla, faceva solo male vederla ogni giorno ma non poterla avere mai.

Ma quella volta era stato troppo, non potevo più giustificarla. Non sentiva neanche la metà dei sentimenti che provavo per lei. Era un dato di fatto. Ma non l'avrebbe più passata liscia ed io non avrei sorvolato. Già troppe volte ero stato la ruota di scorta, il cretino di turno, troppe volte mi aveva deluso, usato, non aveva avuto nessuna premura per me.

Mi accomodai nella sala d'attesa di quel maledetto studio e alla fine decisi di aspettarla impaziente.

-

MIKI

Mi spogliai e vestii velocemente. Andai verso l'uscita del camerino per dirigermi nella sala d'attesa ed aspettare di parlare con Rabanne, ma una voce mi distrasse dalla mia intenzione di aprire la porta. Se fosse stata la voce di un ragazzo comune non mi sarebbe interessato, ma quella voce era del ragazzo più importante e nello stesso tempo più odioso per me; Castiel. Il suo tono di voce era parecchio teso. Era al telefono proprio fuori dal mio camerino.

«Senta, le prometto che le porterò i soldi, mi dica solo quanto tempo ho ancora prima che....»

Poi non riuscii più a sentire nulla. Molto probabilmente si era allontanato perché stava camminando verso chissà dove. Ero incuriosita, volevo capire in quale guaio si fosse cacciato. Finiva spesso nei guai per come mi era stato raccontato e per come avevo avuto modo di apprendere in quei mesi di sua conoscenza. Ma avrei dovuto rimandare i miei istinti da detective in un secondo tempo, in quel momento mi spettava una discussione aspra con lo stilista più potente del panorama della moda. Così aprii la porta del camerino e mi diressi verso l'entrata dello studio. Non sapevo dove si trovasse l'ufficio di Rabanne. Mi era parso di capire che avesse uno di quegli uffici con scrivanie enormi, dove discuteva, firmava ed entrava in affari. 

Nella sala d'attesa, ritrovai zia Kate e Ciak. Debrah sembrava essersi volatilizzata nel nulla.

Mi avvicinai ai divanetti e sussurrai «Zia, hai visto per caso Debrah?»

«Non ti seguo tesoro, cosa dici? Chi è? Com'è andato il provino? Sembri piuttosto scossa» mi chiese disorientata zia Kate.

Ma certo, ero stata stupida! Avevo dato per scontato che lei la conoscesse. Mi era capitato di raccontarle qualcosa di Debrah, ma svolata com'era, se n'era dimenticata. In ogni caso non aveva mai avuto occasione di vederla. La descrissi fisicamente e dopo un po' le venne l'illuminazione.

«Ah sì, si è messa ad urlare di voler assistere necessariamente al provino, ma poi la segretaria l'ha intimata ad abbandonare lo studio perché altrimenti avrebbe chiamato le forze dell'ordine. Aveva una voce sin troppo acuta per i miei timpani, proprio insopportabile! Quindi quella sarebbe la famosa ragazza che ha rubato il cuore di Castiel? Certo che non ne ha preso per niente dal padre in fatto di donne, pensavo avesse gusti migliori...»

Zia e le sue battute infelici. Davvero, davvero simpatica. 

Per fortuna non sarei più stata costretta a vedere quell'arpia di Debrah. Pericolo -di strapparle i capelli e di essere arrestata per tentato omicidio- scampato. 

«Miki dobbiamo parlare. Vieni fuori con me!» non mi permise di replicare a zia Kate, la voce di Ciak alle mie spalle.

La sua non era una richiesta, era un ordine. Mi afferrò il braccio destro e mi portò fuori, nell'aria gelida, all'entrata dello studio. Quello che mi si era parato davanti dopo il provino non era né Ciak e né Francois, piuttosto aveva delle somiglianze molto evidenti con i modi scorbutici di un certo ragazzo di mia conoscenza con nome Castiel.

«Perché ci tieni così tanto a rovinarmi la vita? Eh Miki? Me lo spieghi?»mi chiese infuriato, io non capivo o meglio non volevo capire. 

Evidentemente non gli era andato a genio il mio provino e soprattutto il mio cambio repentino di modi. Ma come spiegargli che "al cuor non si comanda"?

«Che vuoi dire, Ciak?» mi uscirono a malapena le parole, non ero abituata a quella sua nuova versione.

«Dico che l'hai fatto di proposito, non sono scemo. Volevi che il ruolo fosse assegnato a Castiel, e per questo con lui hai posato bene, hai seguito alla lettera i comandi di Rabanne, anzi l'hai addirittura stupito nel rompere la maledetta boccetta... E invece con me che hai fatto? Sembravi una morta vivente. Questo è stato un colpo davvero davvero basso, non me lo sarei mai aspettato da te. Mi spieghi che cazzo ha lui più di me? Io sono un vero modello, lui è un cazzo di lavapiatti, te ne rendi conto Miki? Mi hai tolto la possibilità di diventare famoso insieme a te, era questo che desideravo una volta che mi se n'era presentata l'occasione. Cazzo!» concluse lanciando due pugni contro il muro della struttura, ai lati del mio corpo. Istintivamente sgranai gli occhi, non aveva mai perso le staffe in quel modo.

Mentre parlava, mi aveva puntato il dito contro per tutto il tempo, accentuando ancor di più la mia colpa.

Ma come spiegargli di non aver programmato un bel nulla? Avevo agito d'istinto, il mio cervello era andato in pappa non appena avevo sentito il suo nome, non appena avevo percepito la sua presenza alle mie spalle, non appena le sue mani avevano sfiorato il mio corpo. Mentre Ciak era solo il mio migliore amico, Castiel mi mancava costantemente ed incessantemente... Come potevo spiegare quei dettagli senza ferire quegli occhi di ghiaccio che continuavano a fissarmi rabbiosi?

«Non è come sembra, credimi. Non avevo programmato nulla, è capitato. Mi dispiace che io ti abbia ferito, ma non era mia intenzione. Io non sono una modella, non faccio gesti ed espressioni a comando. Ora ti prometto solo che tutto finirà presto, non ti metterò più in mezzo.. Non ti rovinerò più la vita!»

Così, senza rispondere esplicitamente alle sue domande suonai nuovamente alla porta. Subito dopo qualcuno l'aprì. Lasciai Ciak nei suoi mille dubbi e domande entrando nello studio.

«Venga con me!» all'entrata c'era Molly che mi accompagnò all'ufficio di Rabanne.

L'ufficio non si trovava al pianoterra. Entrammo in un piccolo ascensore, la segretaria premette il tasto 2 e quando arrivammo al piano in questione mi guardai intorno. L'arredamento era identico alla sala d'attesa dell'entrata.

«Aspettatelo entrambi qui. Vi dirà lui quando può ricevervi!» dando le ultime indicazioni, Molly sparì dietro la porta dell'ascensore.

Aveva parlato al plurale. Doveva esserci qualcuno insieme a me in quella hall. Mi voltai per capire di chi si trattasse, ed eccolo... di nuovo vestito con i suoi abiti. Dovevo aspettarmi che sarebbe stato lui. Castiel era seduto su una poltrona ed apparì estremamente nervoso. Di sicuro quell'umore era collegato al discorso che avevo origliato a metà, poco prima. Cercai di placare la curiosità. Mi sedetti di fronte a lui e con tutte le forze provai a non guardarlo, ma risultò un'impresa difficile.

Eravamo nuovamente soli. Bastò quel piccolo particolare per rendermi fragile davanti a lui. Quel ragazzo aveva questo strano potere su di me. Bastava che fossimo soli in una stanza, che fossimo vicini, per portarmi a smettere di odiarlo. In quel momento provavo addirittura un misto tra tenerezza ed attrazione per lui.

Cercai di non guardarlo, ce la misi tutta, ma inevitabilmente i miei occhi lo puntavano sempre. Lui se n'era accorto, ma continuava a stare in silenzio. Era un silenzio nervoso, il suo. Quando cominciò a muovere su e giù le gambe, in un gesto nervoso, la curiosità prevalse del tutto:

«È davvero importante per te questo lavoro?» mi morsi il labbro inferiore non appena capii di non aver utilizzato il filtro tra bocca e cervello. Maledizione! Dovevo smetterla di farmi gli affari suoi.

«Sono i soldi che m'interessano, Miki. Che altro vuoi che me ne freghi?» fu di una sincerità disarmante. 

Quando mi rispose spostando quegli occhi grigi su di me, avvampai di colpo e il cuore aumentò i suoi battiti. Era di una bellezza particolare, di quelle che ti lasciano senza fiato, che non ti lasciano via di scampo ed io -sebbene sostenessi il contrario- forse non volevo realmente scappare da lui. 

Ad interrompere quello strano momento fu l'aprirsi di una porta e Rabanne comparire oltre essa.

«Mikì, venga prima lei.» Lo stilista aveva ripreso a rivolgersi con un tono formale, verso di me. 

Mi preparai psicologicamente all'infuriata che mi avrebbe attesa, mi alzai dalla poltrona e lo seguii.

Ed eccomi finalmente nel suo studio.

Era grande e ben arredato. Tutta la stanza era in stile moderno. Le mura di legno come al resto della struttura, il design diverso rispetto agli altri ambienti. Al centro della stanza vi era un tavolo con cinque posti, in ferro e completamente bianco. Poco distante dal tavolo, una scrivania con un computer e delle foto, doveva essere la sua scrivania personale.

Ma quello che mi colpì di più fu il resto della stanza. In gran parte, sui muri vi erano dei disegni e nonostante fossero molti, notai che erano tutti ben ordinati. Su un lato vi era lo spazio per gli abiti femminili, il mio posto preferito, dove c'erano tre manichini con pezzi di vestiti non terminati, accanto a questi e posti a fila erano raffigurati tantissimi schizzi di abiti da sera. Rosalya sarebbe impazzita nel trovarsi in un ambiente come quello. Più in là, invece, su un solo manichino vi era un pantalone maschile, accanto a questo tanti schizzi di abiti eleganti per uomo appesi al muro. Più distante, invece vi erano degli schizzi di boccette di profumo. Tra tutti riconobbi la fragranza che avevo tenuto poco prima tra le mani e che tra l'altro avevo sbadatamente rotto. 

Rabanne mi fece segno di accomodarmi proprio attorno alla scrivania che immaginavo come sua, osservai i suoi ordini. Lui si sedette dal lato opposto del tavolo, su una sedia girevole e di pelle nera. 

"E che la ramanzina abbia inizio..."

«Sappia signorina Miki, che ben poche persone in vita mia si sono prese la libertà che si è presa lei. Insolente e maleducata, pur essendo così giovane ed estranea a questo settore».

Avevo avuto dei comportamenti ingiustificabili, ma sfiderei chiunque a comportarsi diversamente per qualcosa che si è costretti a fare controvoglia.

«Lei sarà anche un grandissimo stilista signor Rabanne, ma sono convinta che al mio posto pure lei non avrebbe accettato che qualcuno le imponesse qualcosa che non vuole fare» gli risposi a tono. 

«Mi faccia finire di parlare, non amo quando qualcuno m'interrompe!» poi cominciò a contare i miei errori con le dita «Allora, in due ore lei è stata capace di: arrivare con mezz'ora di ritardo, per giunta in un abbigliamento impresentabile, ha tolto fuori gioco uno dei miei migliori modelli; Francois, ha ingelosito la ragazza di Castiel facendola arrivare sul set a disturbare, ha abbandonato il set quando ancora gli scatti erano incompleti... E poi?!? Ho dimenticato qualcosa? No, mi sembra di no.. Se esistesse un regolamento sulle cose da non fare in un provino, beh, direi che lei avrebbe violato tutte quelle regole!»

Sebbene avessi avuto quei comportamenti indicibili, vidi uno spiraglio di luce nei suoi occhi neri. Tuttavia aveva parlato di aspetti falsi, cose che io non avevo fatto. Glielo precisai imitandolo nei gesti quindi numerando con le mani proprio come lui poco prima «Punto numero uno: io non ho tolto fuori gioco nessuno, non sono una modella e non vorrò mai diventarlo. Punto numero due: non mi pare di aver ingelosito nessuna ragazza. Io e il signor Black non siamo niente, né amici, né altro. La sua amata ragazza non aveva modo d'infastidirsi, è lei a creare castelli in aria da un mese a questa parte. Se pensa che il suo ragazzo non la ami abbastanza non è un problema mio» finii con l'incrociare le braccia al petto e sbuffando.

Nonostante avessi parlato con serietà, lo stilista si mise a ridere borbottando: «Miki, Mikì... farà carriera con questo suo atteggiamento, ma certamente non nel mondo della moda.»

Tirai un sospiro di sollievo, ormai era sicuro, non avevo passato il provino. Avrei potuto godermi la première della pubblicità di quel nuovo profumo -dalla tv al plasma- seduta comodamente sul divano del salotto di casa mia, perché il volto da "ivre" non sarebbe stato mio. Improvvisamente divenni rilassata, contenta e spensierata. Nonostante fossi stata del tutto naturale con Castiel, lo stilista non era stato soddisfatto della mia performance, fortunatamente.

«Tuttavia tu e quel ragazzo insieme siete qualcosa di magnetico. Siete come due calamite tenute forzatamente a distanza: vi imponete di stare lontani, ma tra di voi c'è un'attrazione pazzesca e nelle foto si vede!»

What? E le mie bravate dov'erano finite? Avevo sentito bene, o quel giorno avevo dimenticato di lavare le orecchie?

Restai senza parole. Come aveva intuito quegli aspetti in così poco tempo? Aveva descritto esattamente ciò che provavo, ma di Castiel non aveva capito nulla, evidentemente i miei gesti erano più intuibili dei suoi. Io m'imponevo realmente di stargli lontano senza riuscirci, lui invece... si limitava semplicemente a giocare con me. Ero una sua possibile scopata -per il momento mancata- nulla di più.

Dopo avermi lasciata di stucco, incapace di proferire parola, posò sulla scrivania, in fila, tre delle migliori foto scattate.

Nella prima foto lui era alle mie spalle, mi stringeva con le sue braccia possenti mentre io con sguardo sognante guardavo il cielo.

Nella seconda foto lui sfiorava i miei capelli, aveva uno sguardo strano, diverso dal solito. Non avevo mai avuto l'opportunità di ammirarlo in quegli atteggiamenti. Sembrava essere dispiaciuto, misteriosamente attratto da qualcosa, ammaliato... forse "ivre" era la parola più adatta per descrivere la sua espressione. Sapeva recitare bene, il ragazzo. Stava rappresentando perfettamente il prodotto che avremmo dovuto pubblicizzare. In quell'immagine, io, accennavo un sorriso determinato, come se fossi una donna dominatrice. Ma quando l'aveva scattata? Non ricordavo di aver sorriso in quel modo.

Nella terza foto la boccetta di profumo era caduta, frantumandosi. Come lei, anch'io ero distrutta, triste, abbattuta, mentre Castiel mi fissava con volto sorpreso. Una vera immagine da ubriaco, insomma!

In ogni foto, non potei evitare di soffermarmi su di lui. Aveva quella strana forza persino su una carta fotografica, era capace di attirare tutta l'attenzione su di sé senza neppure volerlo. In quel caso non potei evitare di notare quanto Castiel prendesse bene in foto, quasi come se persino l'obiettivo fosse stregato dalla sua personalità. Era perfetto.

«Vero?! Castiel è molto fotogenico!» ero appena stata colta in flagrante ad ammirarlo. Avvampai davanti all'insinuazione di Rabanne.

"Maledizione questo provino mi ha fatto perdere dieci anni di vita!"

«E... Per lui questo lavoro è fondamentale!» continuò attirando tutta la mia attenzione. 

«Lei sa perché?» Alzai lo sguardo dalle foto e guardai dritta negli occhi lo stilista.

«Saperlo influenzerà la sua decisione se accettare o meno l'offerta?»

Sollevai spontaneamente le spalle, ma prima che potessi aprire bocca, lo stilista decise di patteggiare «Io glielo dico se promette di accettare l'incarico. Non troverò un'altra coppia altrettanto valida quanto voi due in poco tempo, ne sono sicuro. Siete particolari e la particolarità in quanto tale, non è dietro l'angolo!»

«Accetto!» affermai senza rifletterci neanche un attimo. Volevo giungere alla fine di quella storia, sapere il motivo di quella chiamata fatta da Castiel neanche mezz'ora prima.

«Molto bene.» sorrise Rabanne, appoggiando soddisfatto la schiena contro la poltrona girevole.

«La sua paga sarà pari a quella di Castiel, dovrete pubblicizzare lo stesso profumo che ha tenuto in mano oggi, in un set simile a quello in cui abbiamo fatto le foto, sarà solo più realistico. La paga sarà di ottocento euro ciascuno».

«Non mi ha detto ciò che voglio sentire» di sicuro in un momento come quello, i soldi -per me- erano l'ultima cosa importante.

Rabanne ghignò e si sistemò del tabacco nella pipa «Non si aspetti chissà ché storia strappalacrime, si tratta del suo cane. Dovrà affrontare un delicato intervento chirurgico all'intestino in una clinica veterinaria. Tra operazione e farmaci, gli hanno presentato un conto piuttosto salato. Il suo attaccamento per quel cane è assurdo!»

Non era assurdo. Demon era come un fratello per lui. Demon era la sua famiglia. Mi era capitato di vederlo insieme a quel cane, sembrava quasi che si parlassero. Si sostenevano a vicenda. Per Castiel, Demon non era mai stato solo un cane. Demon c'era stato in ogni sconfitta e vittoria, era sempre presente per lui, l'unico che non l'aveva mai abbandonato.

Vedendomi turbata da quella confessione e non comprendendone il motivo, Rabanne tagliò corto. M'informò che il colloquio era giunto al termine. Dovevo uscire da quello studio e far entrare Castiel che a sua volta sarebbe stato assunto per la pubblicità. Ma come mi capitava spesso quando si trattava del ragazzo dai capelli rossi, anche quella volta sentii l'estremo bisogno di doverlo aiutare. 

Così proposi: «Le posso chiedere un favore signor Rabanne? Dica a Castiel che lo stipendio è di 1.600 euro»

Ovviamente, non comprendendo il significato delle mie parole, lo stilista s'irritò: «Ha persino la faccia tosta d'intimarmi a raddoppiare lo stipendio?»

«No, sto dicendo solo di dargli il mio compenso. Io farò questa pubblicità gratuitamente, ma non glielo dica... è talmente orgoglioso che non li accetterebbe mai!»

Non potevo starmene con le mani in mano dopo aver appreso una notizia del genere, dopo aver udito l'urgenza e la disperazione nella voce di Castiel poco prima mentre parlava al telefono, quasi sicuramente con il veterinario. Non dopo aver assistito più di una volta al rapporto fraterno avuto con quel cane. Sapevo di aver giurato a me stessa di non doverlo più aiutare visti i suoi molteplici atteggiamenti scontrosi nei miei confronti, ma neanche in quel caso riuscii a trattenermi. Quando si trattava di lui fuoriuscivano tutti quei lati che non sapevo neanche di possedere. 

Nonostante i miei piani falliti di sabotare il provino, uscii da quell'ufficio fiera di me stessa. 

Fiera di aver fatto del bene per lui, anche se... in segreto.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** CAPITOLO 19: Ira inaspettata ***


Capitolo 19

Ira inaspettata








CASTIEL

Non era avvenimento quotidiano passare un provino con un famoso stilista e ricevere immediatamente un impiego. Era tutto molto bizzarro. Rabanne si era dimostrato, tra l'altro, molto generoso nei miei confronti. La parcella risaliva addirittura a 1600 euro. Erano eccessivi per l'impegno di qualche ora se messi in paragone con uno stipendio di un operaio che lavorava fino a dodici ore al giorno sotto il sole cocente. Sebbene mi sembrasse uno schiaffo alla povertà avevo accettato di fare la pubblicità di quel profumo. Quei dannati soldi mi servivano per salvare, da una morte certa, Demon. Il veterinario mi aveva spiegato che avesse una specie di tumore e che se non avessi trovato i soldi per l'operazione e per degli antibiotici specifici, il mio amico non ce l'avrebbe fatta. Demon per me non era un cane, ma era un amico, un fratello, l'unico ricordo bello della mia infanzia. C'era un rapporto speciale tra me e quel cagnone, ci proteggevamo a vicenda e in quel momento sarebbe toccato a me il compito di salvarlo. Lui mi aveva salvato talmente tante di quelle volte che oramai avevo perso il conto. Nessuno era a conoscenza della malattia del mio cane, non avevo informato neanche Debrah di questo. E nemmeno uno doveva saperlo. Solo Lysandre sapeva qualcosa. Ero parecchio restio a raccontare i fatti strettamente personali, un tempo con la mia ragazza avevo trovato una confidenza tale da riuscirmi a confidare anche con lei, ma temevo che quell'intimità non sarebbe mai più ritornata con lei e né con nessun'altra.

Ripensando al provino, quella serata era stata strana per le sensazioni percepite stando accanto a Miki. Anche solo sfiorarle i capelli era stato emozionante. Per tutto il tempo avevo sentito come un foro nello stomaco, il cuore trepidante quando la stringevo. In quelle riconobbi le stesse emozioni provate con Debrah durante il primo anno della nostra storia. Quando ero totalmente cotto di lei, per la prima volta innamor... "No, non posso, non devo utilizzare lo stesso verbo per un'altra donna, sto divagando, devo aver sbattuto la testa da qualche parte senza essermene neppure accorto. Smettila Castiel, smettila!" 

Non sapevo ancora cosa rappresentasse Miki nella mia vita, di certo non l'amore, ma ero ormai sicuro che fosse indispensabile. 

Quell'ammissione fatta a me stesso mi stupì. Nessuno era più indispensabile nella mia quotidianità da tanto, troppo tempo; mentre Miki era entrata nei miei pensieri così per caso e per motivi non del tutto piacevoli, anzi inizialmente quasi la odiavo, ma poi nei mesi a seguire si era impossessata completamente della mia testa. Non c'era momento in cui i miei pensieri non andassero a lei, in un modo o in un altro, in bene o in male era lei ad occupare la gran parte delle mie riflessioni. E non sapevo neanche più se fosse solo per il semplice fatto di non esser riuscito, ancora, a portarmela a letto.

Dopo esser giunto a casa in sella alla mia moto, mi ricordai di dover leggere il suo diario segreto, dovevo farlo per arrivare alla fine di quel puzzle che continuava ad assillare la mia mente. 

Pur potendo risultare indiscreto decisi di riaprire il cassetto che custodiva quel mistero. Volevo denudare una volta per tutte il passato di quella ragazza. Certo, non sarei stato come Peggy, non avrei raccontato a tutti la sua storia, ma volevo vederci chiaro per una cosa mia personale. Il legame tra Ciak e Miki non mi convinceva, sentivo ci fosse qualcosa di strano tra loro...

Con ansia aprii il cassetto chiuso a chiave. Malgrado avessi deciso da un pezzo di leggere, presi quei fogli con indecisione, avrei pur sempre invaso l'intimità di una donna senza che questa me n'avesse dato il permesso. Infatti prima di chinare il volto sulla carta, pensai a come l'avrebbe potuta prendere Miki se solo avesse saputo che avrei sbirciato nella sua infanzia. Forse non mi avrebbe rivolto la parola per molto tempo. O forse, peggio ancora, non mi avrebbe mai più guardato in faccia. Non potevo ideare nemmeno una tra le due situazioni. Non potevo immaginare una vita senza Miki. Era vero, quella ragazza la maggior parte delle volte era irritabile, mi faceva perdere le staffe, aveva dei comportamenti vezzosi, ma nonostante questo lei era unica... In molte situazioni l'avevo ferita eppure lei continuava a venirmi dietro, cercava di proteggermi e salvarmi ad ogni costo, ed io anche se facendo finta di non accorgermene, ne rimanevo ogni volta colpito. Quei suoi comportamenti così affettuosi mi avevano da sempre portatoad un passo in più verso lei... e a cento in meno da Debrah.

Quando finalmente ero deciso ad intraprendere la lettura di quelle righe, venni disturbato. Qualcuno aveva suonato alla porta di casa. Scesi frettolosamente le scale. Ero irritato da quel terzo incomodo, chiunque esso fosse stato. Così, sgarbatamente, arrivato sull'uscio della porta, abbassai la maniglia sorprendendomi di trovare lei dietro quel masso di legno.

«Posso entrare?» mi chiese con la voce d'agnellino innocente.

Feci cenno di "sì" con il capo e la invitai ad entrare. Sebbene fosse la mia ragazza, quella sera avrei preferito restare in solitudine. Aveva già dato troppo con l'intromissione nel provino, ed ero parecchio in collera con lei. 

Senza proferire parola si recò verso il salotto, si posizionò davanti al camino e cominciò a fissarmi con uno dei suoi sguardi che un tempo risvegliavano la parte nascosta di me. Eppure in quell'istante non mi suscitò alcun effetto, neanche un brivido, il nulla totale. Dal suo sguardo intuii sin da subito le sue intenzioni, ma non glielo feci capire. Nella quiete di entrambi, raggiunsi anch'io il salotto e mi accomodai su uno di quei divani che un tempo adoperavamo spesso come oggetto per le nostre notti piccanti. D'un tratto cominciai a pensare ai miei sentimenti, a quelli che al momento non provavo più per lei. Un tempo quando mi provocava, quando mi faceva quello sguardo le saltavo subito addosso, non le davo il tempo neanche di respirare. Mentre dal suo ritorno dopo due anni, guardandola ero capace di vedere soltanto il male, il male che mi aveva provocato e dal quale, ancora, non era riuscita a farsi perdonare. Eppure stavo ancora insieme a lei. 

Non riuscivo a spiegarmene il motivo, ma c'era qualcosa dentro me che mi legava ancora a quella ragazza e, dentro me, sapevo anche a cosa fosse dovuta quella paura di lasciarmela alle spalle. Quella donna era pericolosa.

Forse per porre fine a quelle torture, a quei dubbi, avrei dovuto lasciarmi andare, perdermi nel suo corpo, fare l'amore con lei, ed in quel modo, liberare la mente eliminando ogni pregiudizio verso quella ragazza diabolica. Con quel nuovo buono proposito provai a guardarla in attesa di eccitarmi. L'esaminai partendo dalla testa e finendo ai piedi. Era vestita strana, diversa dal solito. Aveva un impermeabile beige che terminava appena sotto il sedere. Le gambe erano nude, coperte solo da delle autoreggenti trasparenti con un particolare di pizzo sulla gamba che lasciavano intendere che sotto quel cappotto ci fosse ben poco di vestiti. Per finire aveva un paio di scarpe a décolleté nere, lucide e altissime.

Nonostante le avessi guardato ogni centimetro di stoffa e di pelle, non riuscii ad eccitarmi. Non capivo cosa mi stesse succedendo, era quasi come se desiderassi il mio stesso sesso, come se non provassi alcun piacere nel vedere una bella donna, ma non desideravo Debrah neanche un po'.

«Mi dici che ti prende?» mi chiese giustamente.

«Nulla!» non avevo altre parole, non mi sarei giustificato, non serviva.

«Ma che cazzo Cass, guarda qui...»

Pronunciando quelle ultime parole, iniziò a sbottonarsi il cappotto. Lo fece con lentezza, come se stesse aspettando che finissi io il lavoro. Vedendomi impassibile, inscenò una specie di spogliarello. Dopo aver sbottonato il cappotto, lo fece scendere via dalle spalle e delicatamente scivolò a terra. Aveva un completino intimo davvero troppo succinto. Non potevo negare di quanto avesse sempre portato bene quegli abitini. Era nero, rosa e molto trasparente. Al posto del reggiseno vi era un corpetto che le copriva il busto fino al sedere, se così si poteva dire, visto che s'intravedeva ogni pezzo di pelle. Sul seno, dei pezzi di pizzo rosa facevano da contrasto a quel colore nero, troppo scuro, del resto della stoffa. Il perizoma anch'esso rosa e nero, richiamava il sopra delle coppe del corpetto. Il mio amichetto finalmente si risvegliò, ma nonostante ciò non mi alzai dal divano. Avrebbe dovuto sedurmi lei quella sera. Io non avrei mai più fatto prime mosse. Appena dopo essersi tolta le scarpe mi giunse vicino, come desideravo. Aprendo le gambe si accomodò sopra di me, mi fissò dritto negli occhi e sussurrando: «mi era mancato tutto questo» cominciò a baciarmi.

Restai come pietrificato, sentii di avere realmente il cuore di pietra. Ogni notte, ogni giorno, ogni pomeriggio di quei due anni passati senza lei avevo sognato quel momento, ma quando finalmente stava per accadere realmente non riuscivo a provare niente. Il vuoto più totale. Non potevo comprendere come fossi arrivato a quello stato, ma ci ero arrivato e fare del buon sesso non era più quello che mi serviva. Con lei avrei voluto fare l'amore, non del semplice sesso. Il sesso, quello sarebbe potuto accadere con tante altre ragazze, Debrah non era la donna giusta per questo, non dopo il nostro passato. Ed anche se all'epoca avessi solo diciott'anni ne avevo avute di esperienze nella vita, avventure di una notte; e ciò che mi serviva in un momento come quello era credere ancora nell'amore, credere in qualcosa che neanche i miei genitori erano stati capaci di darsi e darmi. Dopo la notizia del loro divorzio, in me era scattato qualcosa. Probabilmente avevo messo più sale in zucca. Ero cambiato sul serio, d'un tratto non vedevo più Debrah come la ragazza giusta per me, come unica donna della mia vita, non pensavo solo al sesso, pensavo a cose più importanti. Ero diventato un ragazzo davvero troppo confuso come non ero mai stato. Da sempre la sicurezza e la determinazione mi avevano contraddistinto dagli altri, in ogni situazione, ma ormai non ero più sicuro di nullaNeanche del fatto che l'amore esistesse davverosebbene volessi provarlo a tutti i costi.

Non amavo Debrah come un tempo, eppure continuavo a starci insieme, come se a tenermi unito a lei ci fosse una catena chiusa con un lucchetto del quale si era persa la chiave. In un certo senso lei era quello che mi restava del mio passato, della mia infanzia una volta che neanche Nathaniel c'era più nella mia vita. 

O forse stavo con lei per quel maledetto guaio combinato anni prima. Debrah avrebbe potuto rovinarmi se solo avesse voluto...

I baci si fecero più intensi, lei cominciò a toccarmi sul basso ventre, poi scese ancora più sotto fino ad arrivare al membro. Lo carezzava in attesa di sentirlo di nuovo duro, come mi capitava sempre con lei. Ma non diventò come lei desiderava. Così, infastidita mi sbottonò i pantaloni. Stava per mettere la mano nei boxer quando la fermai. Afferrai la sua mano vogliosa e la tolsi fuori dalla mia intimità.

Finalmente avevo trovato il coraggio: «Vuoi spiegarmi per quale motivo sei arrivata sul set facendo quella sceneggiata? Sembravi una fuori di testa!» ero stato brusco nei modi, ma se lei non aveva accennato al discorso, allora toccava a me farlo.

«Ma ti sembra momento, questo?» mi rispose infastidita corrugando le sopracciglia. Mi fece capire di non aver intenzione di parlarne, ma io continuai...

«Sì. Adesso rispondi!» gli imposi.

«Mi avevi sussurrato tutte quelle frasi eccitanti al telefono, come non facevi da anni. Mi ero illusa che venendo lì avremmo trovato il modo per farlo selvaggiamente. Mi eccitano un botto i posti in cui c'è il rischio di essere scoperti, lo sai. E poi... ho troppa voglia di te!» finendo di pronunciare le ultime parole, tolse fuori la lingua e si leccò il labbro inferiore. 

Per qualche strano motivo non sembrò essere quella la sua unica motivazione ad indurla ad interrompere il provino. 

«C'era bisogno di fare quella sceneggiata, allora? Rabanne si è incazzato una bestia per la tua entrata e fino all'ultimo ha tentennato sul darmi la parte. Poi per fortuna ha capito che due come noi non li avrebbe trovati facilmente e ci ha dato l'impiego dimenticando la tua stupida irruzione. Fai, comunque, in modo che non accada più!» non potei fare a meno di rimproverarla. 

«Ah! Quindi alla fine farai il lavoro con quella puttana?» ignorò del tutto la mia ramanzina arrivando dritta al punto che interessava a lei.

«Non è una puttana. Smettila di chiamarla continuamente così!» quell'insulto fatto alla ragazza dai capelli ramati m'infastidì più del previsto. Se Debrah fosse stata un uomo, un pugno dritto in faccia da parte mia, non gliel'avrebbe risparmiato nessuno. «Il suo nome è Miki, e si da il caso che grazie a lei prenderò un bel compenso!» involontariamente ero finito per difendere Miki dalla mia ragazza, non mi sarei mai ritenuto capace di un gesto come quello verso di lei, ma già più volte l'aveva screditata, insultata, additata, non era corretto usare quei nomignoli per una ragazza buona come Miki. 

«Solo perché te l'ha data, ha acquistato il diritto di essere difesa da te? Non ti facevo un ragazzo così debole!» mostrò la sua gelosia con un'espressione disgustata sul viso, mentre ancora sedeva sulle mia gambe. 

«Lei non me l'ha data!»

«Da come lo dici sembra quasi ti dispiaccia» sgranò lievemente gli occhi sorpresa da quella nuova versione di Castiel. 

«No, n-non...»

Non mi diede il tempo di giustificarmi che subito cambiò discorso: «Comunque spero che almeno con i soldi guadagnati penserai ad un regalo da fare a me! Potremmo fare un viaggio, tu ed io soli, che ne pensi? Magari a Roma. Potremmo andare a trovare mia sorella.» sorrise sensualmente, pensando di farmi lo stesso effetto di due anni prima, ma non era più così.

Debrah aveva avuto un'infanzia difficile. I suoi genitori si erano separati decidendo comunque di continuare a gestire insieme un ristorante di famiglia. Il padre aveva tradito la moglie con una donna italiana, di Roma, e con lei aveva avuto un'altra figlia. Lei avrebbe dovuto capirmi meglio di chiunque altro, ma nonostante sapesse dell'imminente divorzio dei miei genitori non mi era stata vicina come speravo, o forse ero semplicemente io stesso a rifiutare le sue particolari premure.

«Sì, come no...» risuonò quasi come una presa in giro, la mia, ed in effetti lo era. Al momento avevo a cuore solamente la salute di Demon, partire con Debrah non era di certo presente nella lista delle future cose da fare. «Comunque ora perdonami, ma ho da fare. Ti dispiace rimandare quest'incontro piccante ad un altro giorno?!» liquidarla all'improvviso mi fece apparire uno stronzo, come ero sempre stato con tutte ma mai con lei. 

Dopotutto dovevo vendicarmi nel mio piccolo di tutte le pene subite da lei negli ultimi due anni. 

Senza aprire bocca si alzò infuriata dalle mie gambe. Prese frettolosamente il cappotto, le scarpe e senza indossarle si diresse verso l'uscita. Non la seguii con lo sguardo, non ne avevo voglia. 

Attese qualche secondo prima di aprire la porta e andarsene, forse aspettandosi un mio gesto, un mio ipotetico pentimento, ma non vedendo alcuna implorazione da parte mia, spalancò furiosa la porta e sbattendola se ne andò.

Era giusto così.

-

DEBRAH

Debrah Duval rifiutata sessualmente dal coglione di Castiel Black. Incredibile ma vero. Tutti i nostri coetanei, a Parigi, erano a conoscenza di quanto io prevalessi nel nostro rapporto; lui non aveva fatto nient'altro che assecondarmi, amarmi, desiderarmi, pendere dalle mie labbra per tutta la nostra relazione. Ma magicamente non era più così. Aveva dei comportamenti contrastanti dal mio ritorno e avevo giusto un'idea del motivo che mi aveva allontanata dal suo cuore. Più che motivo, della persona

Uscii da quella casa totalmente sconcertata, frustrata come non mai, ed infuriata ai massimi. 

Le avevo provate tutte. In tutti i modi avevo tentato di sedurlo, avevo speso quasi duecento euro per quel maledetto completo intimo di Victoria's Secret, sicura che non avrebbe resistito al mio fascino in lingerie, ma ogni mio tentativo era andato fallito. Maledetto! Aveva avuto la mente impegnata da chissà quale pensiero mentre mi spogliavo, mentre lo toccavo, mentre mi guardava... Ero sicura stesse pensando a quella puttana dai capelli ramati.

Non avevo neanche più parole per come mi aveva fatto sentire poco prima il rosso. Rifiutata, derisa, non amata. Sembrava quasi che si volesse riprendere tutto il bene regalatomi due anni prima. Come se volesse farmi del male volutamente, per rivoltarmi tutto il dolore che gli avevo provocato. Era vero, mi ero comportata da falsa, traditrice, ma dovevo farlo. Davanti ad un occasione come quella che mi si era presentata non potevo rifiutare. Non volevo che lui mi rubasse la scena, non volevo che ci fosse sempre quel Nathaniel tra me e lui. E pensare che Castiel ancora crede di esser stato realmente tradito dal biondo, mi fa sorridere. Castiel spesso voleva giocare la parte del furbo, ma in realtà nella nostra storia non lo era stato per niente. Probabilmente perché avevo organizzato il piano nei minimi dettagli, ma la verità era pur sempre quella. Lui era tutto il contrario di come voleva apparire.

Prima di rientrare a Parigi, ero stata informata accuratamente da mia madre che Castiel fosse stato selezionato per entrare a far parte dello staff di uno stilista famoso. Io invece, due anni prima ero partita grazie ad un contratto discografico, avevo fatto tour in tutta l'America. Il primo anno era andato a gonfie vele, ero stata abbondantemente pagata, coccolata e viziata dai privilegi da star, ma poi qualcosa andò storto. La casa discografica mi sferrò un gancio destro, fui truffata, e senza neanche rendermi conto di come, restai senza un soldo e disperata. Ma poi, una fredda sera di Dicembre la mia cara mamma mi aveva illuminata. Castiel stava avendo più fortuna di me, così mi aggrappai alla concezione di me e lui di nuovo insieme. Sapevo per certo, tramite amici in comune, di non esser stata ancora dimenticata da lui, che seducendolo sarei potuta rientrare nel suo letto e nelle sue grazie, che in quel modo lui mi avrebbe raccomandata allo stilista per cui lavorava. Ci immaginavo già su tutte le riviste più importanti del mondo catalogati come la coppia più bella dentro e fuori al set.

Ma tornando mi resi conto di starmi sbagliando di grosso, la mia era stata una semplice e banale illusione. 

Perché una volta rientrata a Parigi trovai un'altra presenza accanto a lui, un'altra che involontariamente aveva suscitato influenza sui pensieri del mio Castiel. Quella Miki, con la sua aria innocente da finta ragazzina per bene, era sempre con lui. Sia fisicamente che mentalmente. Si era persino impossessata del suo cuore, ne ero certa. 

Il giorno di Natale avevo pensato di averla fatta franca, ma nel giro di pochi giorni capii il contrario. Perché oramai riservava a lei tutte le attenzioni, sguardi, apprensioni che un tempo erano solo ed unicamente per me. Castiel dava tutto alla persona amata ed io ne avevo avuto la prova.

Vederlo sul set fotografico con un'altra che non fossi io, aveva provocato un enorme frustrazione in me. Non avevamo mai avuto la stessa loro sintonia fuori dal letto, quella sintonia che loro parevano avere anche solo con uno sguardo, con un tocco. Era stato tremendo da ammettere, ma la stupida e piccola Miki dava più sicurezze al mio Castiel, attenzioni che io non avevo mai neanche sognato di trasmettere a nessuno. Ero sempre stata una persona fredda nei sentimenti, neanche nella recita riuscivo a smuovermi.

Nonostante conoscessi quei particolari di certo non avrei lasciato Castiel nelle mani di quella. L'avrei sedotto, tratto verso di me e ci sarei riuscita. Debrah Duval non fallisce mai. 

Perché lui sarebbe sempre stato di mio possesso; mio e di nessun'altra.

-


CASTIEL

Senza dare importanza all'abbandono di Debrah, salii nella mia camera. Quella volta non mi sarei fermato davanti a niente e nessuno. Dovevo leggere quel diario e volevo farlo all'istante. Ma ancora una volta qualcosa mi distrasse: il mio cellulare. Lo schermo si illuminò, e questo voleva dire l'arrivo o di una chiamata o di un messaggio. Solitamente non davo attenzioni a quell'aggeggio tranne che in cause che mi stavano particolarmente a cuore. Questa era una di quelle volte.

Il cellulare era posto vicino ai fogli del diario segreto per quel motivo potei vederlo all'istante, avevo la modalità silenzioso e se non avessi posato gli occhi lì, non l'avrei mai visto. Con scatti veloci mi lanciai, come un giaguaro contro la sua preda, sul cellulare. Caddi sul letto e subito sentii una molla scattare, capitava sempre con movimenti bruschi, era capitato spesso anche mentre io e Debrah facevamo l'amore. Scossi la testa per eliminare quei vecchi ricordi e diedi attenzione allo schermo dell'aggeggio elettronico. A leggere quel nome mi venne spontaneo blaterare ad alta voce: «Cazzo è lei!» con grande stupore aprii il testo, e da lì, una serie di messaggi idioti come solo noi potevamo scambiarci.

MIKI: Spero resterai sempre come questa sera. Dolce Notte :-*

CASTIEL: Mi sa che hai sbagliato numero. Io non sono il tuo modello, mi dispiace deluderti ma sono Castiel!

MIKI: Guarda che ancora ho 18 anni.. non ne ho 60. Ci vedo bene per fortuna! :P

CASTIEL: Ehi.. non copiarmi i messaggi, tra l'altro malamente visto che non hai 18 anni!

MIKI: Oops.. ti senti per caso chiamato in causa?

CASTIEL: Eh.. te le ho scritte io quelle parole oggi pome

MIKI: Già, ricordo bene.

CASTIEL: Allora che vuoldire quel messaggio?

MIKI: Che vuol dire si scrive così come l'ho scritto io, non tutto attaccato :P

CASTIEL: Saccente dei miei stivali non azzardarti a cambiare discorso.

MIKI: Tu non porti gli stivali :)

CASTIEL: Smettila, sei irritante!

MIKI: Allora, visto che hai detto più volte di non essere un vecchio e di vederci bene: rileggi l'sms, riflettici su e poi capirai il significato. Non è difficile, vedrai. Vado a nanna ora... Buonanotte :*

Ma che diamine... mi aveva lasciato lì con il cellulare in mano a sorridere come un beota nel rileggere i nostri messaggi. Non riuscivo a capire cosa volesse dire con quel messaggio. Di sicuro le era piaciuto come mi ero comportato, ma non avevo fatto nulla di strano, ero rimasto me stesso come sempre. Erano passati un bel po' di minuti, ed ero ancora a rileggere quelle parole: Spero resterai sempre come questa sera.

"Potrebbe avere tanti significati, non capisco, davvero, non capisco, cazzo!" "Ovvio, per accendere la tua mente bacata c'è bisogno di me!" rieccola, la mia coscienza. "Ho bisogno di suggerimenti" dissi tra me e me. "Ed io sono qui per questo! Comunque bando alle ciance... Devo correggerti su una cosa. Tu non ti sei comportato come sempre, sul set sei stato dolce con lei, certo ti saresti potuto risparmiare quella chiamata da deficiente con Debrah, ma lei ha apprezzato ugualmente i tuoi gesti!"

Nonostante le delucidazioni della mia vecchia amica coscienza, non riuscii a capire. Miki non poteva sapere che io non stessi mentendo durante il provino. Dall'ira di non riuscirla a capire lanciai il cellulare che cadde sul pavimento provocando abbastanza rumore. Si era tolta la batteria, la cover, e non volevo sapere se si fosse o meno disintegrato il vetro. Non m'interessava. In quel momento avrei voluto avere davanti Miki per capire quali fossero le sue intenzioni, quali fossero i significati di quelle parole, non comprendevo nulla ma morivo dalla voglia di risolvere quell'enigma.

Per non pensarci più, cercai i fogli di quel diario. Era quello il momento giusto per leggere, né il cellulare, né la porta mi avrebbero più fermato. Né Debrah e né Miki mi avrebbero più distratto.

«Dove sono finiti?!» nell'attimo di pace, i fogli erano spariti dalla mia vista. Da sdraiato, sul letto, li cercai con lo sguardo in ogni angolo della stanza, ma non c'erano, si erano come volatilizzati. Facendo poi, mente locale, mi ricordai che erano sul letto.. infilai la mano sotto la mia schiena, ed eccoli. Appena toccai il foglio fresco e liscio emisi un lieve sussulto. Era giunto il momento della verità. Li presi, mi alzai e mi sedetti sul letto. I fogli erano stropicciati, cercai di stirarli un po' con la mano. 

Ecco la pagina dopo le presentazioni. Avrei voluto conoscere per filo e per segno la vita di quella ragazza, ma rimossi questa curiosità. Per il momento mi sarei limitato a sbirciare per scoprire il reale rapporto tra lei e Ciak. 

"Caro diario,

ora che ho imparato a scrivere posso raccontarti tutto quello che ho fatto fino ad oggi. Come ben sai, non s'impara a scrivere da subito a scuola. Sto imparando meglio ora che faccio la quarta elementare. Per questo ti racconterò le cose più importanti accadute a scuola. Come tutti i bimbi fanno, anch'io voglio raccontarti del mio primo giorno di scuola elementare. Quel che ricordo bene è che, a detto degli altri compagni, il mio è stato diverso e molto più brutto, anzi no, il peggiore. Peggiore è aggettivo dispregiativo?? Ma comunque, quello che voglio dire è che è stato il più brutto brutto, bruttissimo. Tutti i bimbi, si fanno le foto con i loro fratelli o genitori, con il grembiule e lo zaino nuovo, prima di andare a scuola.. Io invece no. Io sono andata a scuola a piedi già dal primo giorno, mentre all'entrata tutti gli altri bimbi erano accompagnati dai loro genitori. Io mi sono preparata la merenda sola, mentre gli altri genitori hanno preparato tutto per i loro figlioletti. Ma ora basta. Non voglio parlarti di cose brutte. Voglio parlare della cosa più bella del mondo, anzi no, di meglio, della persona più buona e bella di tutto l'universo.. tu starai pensando che è la mia mamma, o il mio papà.. eh no.. non sono loro, io a loro non gli voglio bene perché sono cattivi con me. Io voglio parlarti del mio compagno di banco e migliore amico Francesco. Ora si fa chiamare da tutti i bimbi Ciak perché io stessa l'ho chiamato così per scherzare. Lui è fissato con i film, il cinema, lo spettacolo. Io invece lo odio quel mondo. E poi.. dice che Ciak è un nome figo. Si, figo è una delle parole che abbiamo sentito dire da ragazzi più grandi di noi, pare che significa bellissimo. Ciak, è un bimbo bravo. Non mi chiede mai dei miei genitori, lui non è come gli altri bimbi cattivi della mia classe. È bravissimo e mi ha detto che saremo per sempre amici."

Certo, in quarta elementare non si scrive benissimo. Si è ripetitivi, si utilizzano i congiuntivi sbagliati e spesso si divaga da un discorso all'altro. Lessi più e più volte il passaggio che parlava del modello, e scoprii fossero amici, da piccoli. Avevano una lunga conoscenza alle loro spalle. Senza saperne il motivo invidiai per l'ennesima volta quel Ciak. Aveva il privilegio di conoscere tutte le sfaccettature della complessa personalità di Miki, di averla vista crescere, mutare, diventare donna. Una lieve fitta mi colpì lo stomaco. 

Per capire meglio, andai avanti con le pagine, e via via con gli anni. Lì dentro aveva scritto davvero ogni istante della sua vita. Quel diario era un malloppo di centinaia e centinaia di pagine. Arrivai quasi alla fine del librone, sarebbe dovuto essere di non molto tempo prima, quando lei era già un'adolescente.

"Caro diario,

stare con Ciak è davvero qualcosa d'incredibile... Anche se involontariamente, quando sono triste riesce sempre a tirarmi su di morale. Quando penso a quella donna che mi ha abbandonato come un cane c'è sempre lui, che con un sorriso illumina la mia giornata. Lui non sa del mio passato, non sa nulla e non ha mai chiesto nulla. Non è mai stato indiscreto. Di me conosce le stesse e identiche cose che racconto al resto dei compagni, al resto della gente. Lui meriterebbe di sapere la verità perché è stato sempre sincero con me, ma se ci sono momenti che sono tentata a dirgli tutto, poi mi tiro indietro. Ho paura che mi possa giudicare, che tra di noi possa cambiare tutto, che possa finire la nostra amicizia. Ed io non voglio... perché noi siamo stati sempre gli amici inseparabili, gli unici che pur essendo uomo e donna abbiano continuato ad essere solo amici, nessuno dei due prova o ha mai provato qualcosa per l'altro, e sarà così per sempre. Per questo, ora non posso rovinare tutto per persone che non meritano."

Le righe appena lette risalivano ad un anno prima della sua partenza per Parigi. Ciò dimostrò che i miei sospetti erano fondati. Miki e Ciak non stavano realmente insieme. Un inspiegabile senso di sollievo s'impossessò di me, ma nello stesso tempo sentii la rabbia montare. Mi aveva mentito. Aveva raccontato delle menzogne a me e a tutta la scuola, ma perché? Doveva esserci per forza una spiegazione. Miki non era un tipo da fare le cose per divertimento, tanto per ingannare. 

Così decisi di proseguire nella lettura, arrivai all'ultima pagina per cercare conferma. Forse per qualche strano motivo aveva semplicemente mentito sugli anni del loro fidanzamento, forse stavano insieme da poco.

Decisi di leggere l'ultimo giorno della sua permanenza in Italia. Lì si sarebbe nascosta tutta la verità su loro due. Senza capirne il motivo, il cuore cominciò ad avere un battito accelerato per l'imminente scoperta della verità.

"Caro diario,

oggi parto. Mi trasferirò a Parigi da zia Kate. Ha comprato ed arredato casa nuova vicino ad un liceo, dice che ormai non c'è motivo di mantenere due case e di stare lontane. Dice di sentirsi sola. In realtà non mi dispiace lasciare l'Italia. Questo Stato mi ha sempre solo dato sofferenze, mi ricorda avvenimenti spiacevoli e sarà un sollievo lasciarlo per sempre. Forse in questo modo, dimenticherò quelle mani, quel respiro, quella persona orribile. Forse con la partenza si elimineranno totalmente i ricordi dolorosi che ho dei miei genitori. È tutto un bene! Ma qui lascerò anche un pezzo del mio cuore; il mio migliore amico Ciak. Credo continueremo a sentirci, spero che verrà a trovarmi ogni tanto a Parigi, lo spero... Ora sto aspettando che mi venga a prendere.. Andremo al mare per l'ultimo giorno, gli racconterò finalmente la verità, e gli dirò che partirò. Questa sarà la parte più dolorosa. Mi mancheranno le nostre passeggiate in via Condotti, i lunghi tragitti percorsi in moto, le giornate al mare, le sue confessioni sulle sue notti piccanti con ragazze, le nostre chiacchierate sulla moda, mi mancherà ogni momento trascorso con lui.. Perché ogni momento è stato speciale, puro proprio come la nostra amicizia."

Bene, quello poteva bastare. Miki avrebbe dovuto spiegarmi parecchie cose. Di certo non avrei potuto rivelarle di aver letto il suo diario segreto, ma in qualche modo l'avrei indotta a spiegarmi il motivo di ogni cosa. 

Quell'ultima pagina di diario mi aveva lasciato l'amaro in bocca, un buco nel cuore, nello stomaco. Mi sentivo tradito, odiavo le persone bugiarde eppure non riuscivo a farne a meno di circondarmene continuamente. Miki era stata l'ennesima delusione, chissà quante altre cazzate mi aveva raccontato in quattro mesi di conoscenza. 

Di lei non avrebbe dovuto importarmene. Continuavo a ripetere quel mantra, mentre lei pian piano s'insinuava maggiormente nella mia testa e ancor peggio nel cuore. Perché dolente o nolente la ragazza dai capelli ramati era diventata una delle persone più importanti. Una dalle quali non sarei riuscito a farne a meno. Non sarebbe dovuto accadere, ma era accaduto e quella consapevolezza non faceva altro che spaventarmi. 

-


MIKI

La mattina seguente mi svegliai di buon'umore grazie ai messaggi scambiati con il rosso prima di dormire. Sapevo di esser stata contraddittoria, che nel provino mi aveva provocato fastidio quel suo cercare continuamente Debrah, ma una volta rientrata a casa sentivo il bisogno di scrivergli, di mostrargli la mia vicinanza e lo avevo fatto con quel messaggio. Il sapere della malattia di Demon mi aveva stravolta. 

Quella mattina per recarmi a scuola non avrei avuto il passaggio di Ciak, non sarebbe passato a prendermi con il suo autista personale, la sera prima avevamo litigato e conoscendolo ci avrebbe messo un po' per farsela passare, quasi sicuramente non mi avrebbe rivolto la parola per qualche giorno. Non potevo biasimarlo. Così partii a piedi. 

Appena oltrepassato il cancello di casa trovai Nathaniel ad aspettarmi. Non sapevo cosa volesse, né tantomeno avevo voglia di ascoltare le sue ennesime scuse o il suo finto interesse nei miei confronti. Dopotutto sebbene si fosse dimostrato gentile la maggior parte del tempo, sebbene fosse un ragazzo perfetto fisicamente, non avevo intenzione di stare a sentire anche le sue scuse. Anche lui era come gli altri, era interessato a più donne, non aveva chiuso definitivamente con la sua ex ed io non avevo il minimo proposito d'infilarmi in un triangolo amoroso. Così quella mattina fui diffidente nei suoi confronti, lo salutai con un cenno del capo, e m'incamminai senza aspettarlo. Io proseguivo svelta verso la scuola e lui dietro me, cercava di stare al mio passo.

«Miki rallenti per piacere?! Dovrei parlarti», mi supplicò con il fiatone. 

A quella richiesta mi fermai senza avvertirlo e finì involontariamente con il sbattermi addosso. Mi sfiorò la schiena delicatamente, nonostante la mia improvvisa frenata riuscì ad attenuare la collisione. Non si spostò dopo quel contatto, e ciò non era da lui.

«Perché quando siamo insieme ho sempre la percezione che tu abbia paura di me?» me ne uscii con quella sparata, senza riflettere, senza guardarlo negli occhi. Ma era ciò che pensavo dal primo momento in cui lo conobbi.

Puntavo il dito contro i suoi sentimenti. Probabilmente volevo scolparmi per non essere abbastanza interessata a lui, uno dei ragazzi più belli del Dolce Amoris. Certamente un ragazzo come Nathaniel al proprio fianco sarebbe stato migliore rispetto a Castiel, lui mi avrebbe fatto passare meno pene rispetto al rosso; ma al cuor non si comanda ed io avevo scelto di essere masochista.

Mi aveva mandato messaggi, sembrava fosse interessato a me durante il provino, ma in fondo sapevo che stesse soltanto mentendo. Io non potevo piacere realmente a Castiel; lui aveva tutto da Debrah. Lei era bella, lei aveva il suo amore.

Inesorabilmente mi ritrovai ancora una volta a pensarlo. Anche quando non c'entrava avevo la capacità di trovare un filo conduttore del discorso per pensare al rosso. Incredibile, ma vero. 

Fortunatamente fui distratta da Nathaniel. Non pensavo potesse essere capace di quei gesti. Mi afferrò delicatamente per le braccia e mi fece fare un giro su me stessa. Così mi ritrovai faccia a faccia con lui. La distanza era minima, potevo sentire il suo fiato nervoso sul mio collo. Si fece forza. Se prima continuava a tenere lo sguardo basso, ora non più. 

«Ti va di venire a cena con me? Così potrò spiegarti ogni cosa», mi guardò dritto negli occhi come non aveva mai fatto. La vergogna che avevo sempre percepito in lui, svanì. Sembrava avesse avuto una trasformazione. Sembrava mi avesse letto il cuore e la mente, come se sapesse che tipo di ragazzo mi piaceva; o meglio...Chi mi piaceva.

«D'accordo, ma non farti strane idee. Verrò a cena per ascoltarti, per porre fine ai dubbi, non perché io abbia diverse intenzioni con te. Tu sei un ragazzo gentile, perfetto, non smetterò mai di ringraziarti per la sorpresa del ballo. Ma i-io sto insieme a C...»

Bloccò la mia frase per prendere parola: «Miki non mentirmi. Dì la verità. L'ho capito, sai?! Tu e Ciak non state realmente insieme!» 

Era per caso un mago? O semplicemente io e Ciak eravamo dei pessimi attori? 

Respirai intensamente per incoraggiarmi: «Avevo deciso di raccontare la verità dopo il mio rientro dalla gita a Roma, ma già che ci sono lo dico ugualmente a te; no, io e Ciak non siamo mai stati insieme. C'è un motivo se abbiamo inscenato questa farsa. Ne parliamo domani a cena, ok?» conclusi con un sorriso nervoso. Non ero per nulla abituata alle confessioni. 

«Facciamo alle venti?» mi chiese semplicemente con un sorriso sincero. Non mi giudicò per aver mentito, gli fui grata.

«D'accordo!»

E con uno strano senso di sollievo c'incamminammo nuovamente diretti verso scuola. La verità non era male da raccontare, dopotutto.

-


CASTIEL

Dovevo trovare il momento giusto per parlarle. 

Dovevo capire per quale motivo avesse mentito a tutti così spudoratamente. Ma soprattutto perché avesse mentito al sottoscritto.

La mattinata trascorse noiosamente come tutte le altre. I professori delle varie materie si alternavano ed io non trovavo un attimo di quiete per poterle parlare in privato. Grazie alla sua testolina bacata anche il modello nonché suo migliore amico, sedeva in banco con noi, e non avevo alcuna intenzione di aprire il discorso in sua presenza. Così decisi di rimandare alla fine delle lezioni. 

L'orologio appeso in aula segnava le undici meno dieci. L'ora dell'intervallo. Sebbene morissi dalla voglia di evadere da quella specie di carcere per fumare una sigaretta, la aspettai. Uscii fuori dall'aula e attesi davanti alla porta il suo arrivo. Solitamente, durante la pausa passeggiava con Rosalya per i corridoi, quasi sicuramente l'avrebbe fatto anche quel giorno. Miki si faceva desiderare in tutto e per tutto. Ed io non ero conosciuto per la mia pazienza, anzi al contrario.

«Amoreee... Mi stavi aspettando?» la voce squillante di Debrah che proveniva alle mie spalle mi fece sbuffare dal fastidio. 

Quella ragazza aveva il potere di arrivare nei momenti più sbagliati, quasi come se fosse a conoscenza dei miei pensieri ed intenzioni. 

«Oh che dolce.. Volevi per caso farti perdonare per ieri?!» 

Odioso. Ecco com'era il suo tono di voce.

Le sue mani toccarono prepotentemente i miei addominali e le sue braccia mi strinsero. Con Debrah non serviva parlare, giustificarsi, cercare di dirle di essere impegnati, lei capiva sempre tutto a modo suo.

Davanti alle sue moine restai immobile. Sapeva che in pubblico odiassi tutti quei gesti amorosi ed espliciti eppure continuava a fare sempre peggio, come se lo facesse di proposito, quasi come se per lei non avessi voce in capitolo. Sciolse l'abbraccio. Si alzò sulle punte e spingendomi contro gli armadietti -posizionati accanto alla mia aula- cominciò a baciarmi.

Non feci in tempo a scrollarmela di dosso che... «Ehm, scusate il disturbo; dovrei conservare dei libri!» la voce di Miki mi provocò una fitta allo stomaco.

Debrah mi aveva spinto contro il suo armadietto. Ma che diamine, proprio il suo?! Senza aprire bocca mi spostai e prima che potessi tirare via anche Debrah, lei intervenì.

«Guarda caso proprio ora hai l'urgenza di posarli. Ammettilo; l'hai fatto di proposito per interromperci!» La lingua appuntita della mia ragazza cominciò ad attaccare Miki. Non sapeva mai quando era il caso di stare in silenzio. 

«Si dà il caso che questo sia il mio armadietto e poso la mia roba quando mi pare e piace. In più mi duole informarti che non sei al centro del mio mondo. Fattene una ragione e smettila una volta per tutte di rompere con le tue accuse infondate!» Miki fu chiara e coincisa. Amavo il suo modo di smontare ogni insinuazione di Debrah. Ghignai non potendone fare a meno.

La ragazza dagli occhi di ghiaccio non potendo controbattere a quella risposta così vera, si voltò verso di me, mi raggiunse e ricominciò a darmi baci a stampo.

La tolsi malamente; mi stava innervosendo ogni secondo di più. «Ti ho sempre detto di evitare le smancerie in pubblico. Basta!» la spostai dal mio corpo e me ne andai in cortile lasciandola sola. 

-


MIKI

Ciak il giorno dopo del provino non si sforzò a salutarmi. Neanche una parola rivolta per sbaglio. Era la prima volta che ci capitava, il primo vero e proprio litigio importante negli anni della nostra amicizia. Sapevo di essere in torto, di avergli promesso di risolvere la storia sul finto fidanzamento il prima possibile, ma non potevo permettermi di farlo al momento. Tra qualche giorno sarei dovuta partire per il viaggio vinto da reginetta del ballo e se avessi raccontato uno scoop come quello, Ciak sarebbe stato costretto a sopportare domande insistenti, pressioni varie, da solo e non potevo abbandonarlo in un momento come quello vista la fetta abbondante di colpa che avevo. Per quel motivo decisi quindi di rimandare il racconto della verità a dopo il mio rientro in Francia. Era l'unica soluzione. Sarebbe stato comodo continuare a raccontare una bugia, dire magari che io e Ciak avessimo deciso di lasciarci di comune accordo e di restare amici dopo la nostra rottura, ma se avessi voluto una minima possibilità di recuperare parte del vecchio rapporto tra me ed il mio migliore amico, avrei dovuto raccontare la reale storia, o quasi tutta. Sapevo di rischiare di diventare lo zimbello del Dolce Amoris, ma non potevo fare altrimenti. Preferivo di gran lunga l'amicizia di Ciak piuttosto che esser vista di buon occhio dalla scuola. Tanto, in un modo o in un altro parecchi studenti mi ritenevano già una cattiva influenza. 

Mentre calcolavo e meditavo sulla versione da raccontare a tutta la scuola, la lezione di fisica proseguiva. Quella sarebbe stata l'ultima ora di lezione, finalmente. Dopodiché ci sarebbero state la pausa pranzo e le attività nei club. 

La direttrice durante la prima ora di lezione, tramite gli altoparlanti sparsi per la scuola, ci aveva accennato le novità. Per il club di musica era stata scelta un'assistente -anche lei studentessa del Dolce Amoris- che aiutasse le vocalist del club. Nel club di basket ci sarebbe stato un ex alunno del liceo ad allenare i cestisti. Nel club di giardinaggio idem. 

Ma la grande novità stava nell'unire, per lo spettacolo di fine anno scolastico, i club di musica e teatro. Entrambi gli spettacoli sarebbero stati mostrati in un'unica serata. Ancora non sapevo bene che genere di spettacoli facesse il Dolce Amoris, ma a detta di Rosalya erano da veri professionisti. Una leggera ansia mi si formò al centro dello stomaco sebbene mancassero ancora cinque mesi prima di quel concerto. Mi sarei dovuta esibire davanti ad un pubblico, cantando, e sarebbe stata la prima volta per me. I miei unici spettatori, fino a quel giorno erano stati Ciak e zia Kate, che da anni si sorbivano le mie ore infinite di canzoni cantate al karaoke. 

-

Durante la pausa pranzo, mi recai nell'aula della mensa in compagnia di Rose. Non sapevo dove fosse quella grande stanza adibita per il pranzo -quello sarebbe stato il nostro primo giorno nei club e il primo giorno di mensa- quindi mi feci guidare dalla mia amica.

Salimmo al primo piano. Al termine della rampa di scale svoltammo a sinistra, camminammo qualche metro e quando ci ritrovammo davanti ad una porta abbastanza grande di vetro infrangibile e di ferro rossa, Rosalya mi fece segno di entrare.

«Mon amour, siamo giunte a destinazione», mi annunciò fingendo un inchino. «L'anno scorso pranzavo sempre con Alexy ed il fratello, Nathaniel e la sua rag... mhm... Lasciamo perdere, non mi è mai piaciuta quella lì», fece una smorfia buffa. «Comunque sia credo che, viste le circostanze, quest'anno finalmente abbia deciso di cambiare compagnia», sorrise mostrando tutti i denti.

Sapevo bene che si trattasse di Melody, sebbene non avesse pronunciato ad alta voce il suo nome. «Qualora ci fosse io non avrei problemi; è lei ad averne con me».

Finalmente entrammo nella mensa. Era una stanza enorme. Sembrava una di quelle aule viste nei film americani. Di certo, niente a che vedere con quelle italiane. Quella del Dolce Amoris mi ricordò quella del film "High School musical". Le mura erano pitturate per metà di rosso e per metà di bianco, la parte inferiore rossa e la parte superiore bianca. Per accedere ai tavoli vi era una rampa di scale bianca con ringhiera rossa. I tavoli erano di diverse forme, alcuni erano quadrati, altri rotondi ed altri ancora rettangolari. Tutti però erano rossi.. di quel rosso acceso, molto bello. Intorno ai tavoli rotondi e quadrati vi erano delle sedie rosse; mentre a quelli rettangolari -i tavoli più grandi- vi erano invece delle panche lunghissime di legno al posto delle sedie. Quella sala era molto vistosa. La direttrice non solo aveva avuto gusti molto singolari per la scelta del nome del liceo, ma anche per gli arredamenti.

«Sono finita in un telefilm, per caso, e non me ne sono accorta?» mostrando i tavoli, chiesi sarcasticamente alla mia amica che continuava a camminare affianco a me.

Lei si limitò a sollevare le spalle in segno di comprensione ed assenso. Dopo aver ammirato la sala dall'alto, scendemmo le scale. C'era molta confusione e fu impossibile trovare un intero tavolo libero. Gli unici posti non occupati erano quelli in un tavolo rettangolare semi-pieno. 

«Vieni, mettiamoci qui», disse Rose trascinandomi con sé da un braccio. 

Ci accomodammo, non feci in tempo a guardarmi intorno che subito fui disturbata da una voce dannatamente alta e fastidiosa a destra del tavolo. «Sarà mai possibile che devo averti sempre tra le scatole? Invadi l'aria sporcandola!»

Non sapevo più con quale nomignolo dispregiativo chiamarla, poiché anche le vipere si sarebbero offese se paragonate ad una come lei. Aveva passato ogni attimo dalla sua apparizione a fingersi la vittima della situazione, o almeno lo faceva in mia presenza.

«Uhh davvero?! Perché a me risulta di aver fatto il contrario...» lasciai la frase in sospeso spostando lo sguardo per un istante volutamente su Castiel, seduto accanto a lei, per poi ritornare a guardare la regina delle vipere: «Mi sono sempre preoccupata di ripulire l'aria viziata provocata dalle vipere» accennai un sorriso furbo. 

Colpita ed affondata. Il mio riferimento era stato chiarissimo.

«Non metterti contro di me. Non provarci proprio; tu non sai di cosa sono capace!» divenne rossa in volto per la rabbia. Ed infatti aveva capito bene. 

A quel punto decisi di non risponderle, bastava e avanzava la mia frecciatina di qualche secondo prima. Debrah non mi faceva paura. 

Castiel invece era stato per tutto il tempo in silenzio, giocando il ruolo di spettatore. Eppure giurerei di aver intravisto l'accenno di un sorrisetto sul suo volto, dopo la mia battuta. Mi si scaldò il cuore al sol pensiero che quel sorriso potesse esser stato reale. 

Mi voltai dando loro le spalle, senza preoccuparmi di cambiare posto. 

«L'hai stracciata, amica mia» sussurrò Rose dandomi una piccola gomitata sul braccio. 

-

Dopo aver fatto la fila per prelevare il pranzo poco appetitoso offerto dalla mensa, ci accomodammo nuovamente ai nostri posti. D'istinto cercai Ciak con gli occhi; non conosceva molte persone in quella scuola e non avrei voluto per nulla al mondo che pranzasse in solitudine. Sapevo che non mi parlasse, ma era pur sempre il mio migliore amico da ormai dieci anni e non potevo abbandonarlo. Sbirciai per tutta la sala, ma di lui nessuna traccia. 

Dopo qualche minuto giunse anche Alexy a pranzare con noi, mentre il fratello a detta sua era impegnato in un torneo importante al Nintendo e si era rifugiato in qualche aula nascosta della scuola per giocare indisturbato. Nathaniel era ancora intento a supplicare la direttrice per riammetterlo nel posto di segretario delegato, visto che la mia richiesta era stata vana. 

Tra una chiacchiera e l'altra il tempo passò, e pian piano giunse il tanto atteso momento delle attività dei club. Sebbene avremmo dovuto partecipare allo stesso spettacolo a fine anno, la preparazione si sarebbe svolta separatamente, quindi Rosalya ed Alexy, facendo parte del club di teatro, si diressero nel sottoscala adibito in una specie di teatro arrangiato. Io invece mi recai verso l'aula di musica. Rosalya mi aveva spiegato dove si trovasse, così cercando di fare mente locale alle sue indicazioni, m'incamminai. L'aula si trovava sullo stesso piano della sala mensa, non a sinistra della scala ma a destra. Dopo qualche minuto di smarrimento la trovai.

L'ansia s'impossessò nuovamente del mio corpo. Non ero una cantante, non avevo mai preso parte a lezioni di canto e non avevo una voce da usignolo, ero semplicemente intonata a detta di chi mi aveva già sentita canticchiare. Il timore di poter richiamare l'attenzione su di me, mi bloccò sull'uscio dalla porta. Non ero abituata ad avere gli occhi puntati addosso per qualcosa di diverso dai vestiti poco coprenti, e la situazione mi gettò in uno stato d'imbarazzo ancor prima di presentarsi. Per un attimo pensai che avrei dovuto scegliere un club del tutto diverso da quello, un club dove non avrei dovuto espormi troppo, come ad esempio il club di giardinaggio. Ma i fiori e le piante nelle mie mani morivano ancor prima di essere piantati nei vasi, mentre per praticare sport ero sempre stata troppo pigra. Cantare invece mi faceva entrare in un mondo parallelo, in un mondo tutto mio. Un mondo dove avrei potuto sfogarmi qualora fossi stata triste, gioire qualora fossi stata felice. La musica di per sé aveva sempre contribuito a farmi evadere dalla realtà, era stata la medicina in una vita piena zeppa di virus.

Ingoiai pesantemente la saliva e con prodezza mi decisi finalmente a varcare la soglia della porta. I maledetti tacchi che mi ostinavo a indossare quasi ogni giorno, fecero rumore e tutti i presenti si voltarono nella mia direzione. Inevitabilmente arrossii. Sarei voluta sprofondare almeno tre metri sotto terra. 

Notai Lysandre seduto su una sedia, l'unico compagno presente della mia classe. Altri apparirono come volti conosciuti, ma solo di vista. Sicuramente li avevo incontrati di qua e di là tra i corridoi del liceo. Evitando gli sguardi e prendendo un respiro d'incoraggiamento scelsi un posto lontano da tutti recandomi a sedere con finta disinvoltura. Volevo starmene in disparte e per una volta non attirarmi noie, come invece ero solita fare dal mio arrivo a Parigi. Trovai un posto libero accanto alla finestra, da cui si poteva godere di un'ottima vista del cielo e del verde giardino del liceo.

La stanza era diversa dal resto del Dolce Amoris, sembrava essere una specie di sala di registrazione. Le mura erano tutte rivestite in legno, fatte di quel materiale insonorizzato che permettesse di non far udire i suoni al di fuori della stanza. Le sedie erano rosse e davanti a queste, per ogni posto, vi era un leggio con degli spartiti sopra. Al centro dell'aula, una cattedra di legno era l'unico elemento che potesse ricordare di essere in un'aula scolastica. Di lato alla cattedra, a sinistra, si trovavano una batteria, una chitarra, un piano e tre microfoni, situati proprio difronte alla sottoscritta. Ero, infatti, in prima fila. 

Guardai i microfoni ed un brivido mi percorse la schiena. Mai prima di quel momento avevo avuto quelle reazioni alla sola vista di un semplice amplificatore per la voce. Non capivo il motivo ma continuavo ad essere inquieta. Mi voltai verso il resto dei compagni, ispezionandoli. In quell'aula vi erano soltanto cinque donne compresa me e tutto il resto erano maschi. 

All'improvviso la preside irruppe nell'aula attirando l'attenzione generale. «Ragazzi, buonasera. Alzatevi in piedi e date il benvenuto alla vostra compagna nonché nuova assistente del professor Laurent, professore del club di musica per chi non lo conoscesse. Purtroppo il Signor Laurent oggi non sarà qui con voi per problemi di salute, ma lo sostituirà egregiamente la signorina Debrah Duval. È un grande onore averla nuovamente qui con noi. Siete molto fortunati, starà con voi un anno intero. Attraverso i suoi consigli ed esperienza musicale internazionale avrete l'opportunità di fare tesoro di molti aspetti di questo mondo particolare. Vi lascio in buone mani. Vi raccomando, comportatevi bene. Buon lavoro!»

Non sapevo se mi convenisse più ridere o piangere. Ancora una volta il destino, Dio, o quel che caspita era, aveva dimostrato di detestarmi. Non solo sarei stata costretta a vederla gironzolare per i corridoi col ragazzo di cui ero tremendamente infatuata, da quel giorno in poi sarebbe stata persino una sorta di professoressa per me. 

La guardai entrare e cercai di auto-convincermi che da persona matura avrebbe sicuramente lasciato fuori da quell'aula le faccende personali, che vista la sua esperienza sarebbe stata una persona parecchio professionale. Ma più la guardavo e più mi resi conto che invece mi avrebbe dato il tormento maggiormente di come continuava a fare nella quotidianità.

«Salve a tutti. Allora, come vi ha giustamente preannunciato la direttrice sono da poco rientrata in Francia dopo un tour americano e dopo il mio primo album. Ho venduto cinquecento mila copie in un solo anno...» con la sua voce stridula e fastidiosa, si accomodò sulla cattedra accavallando le gambe e mostrando gentilmente -grazie alla gonna corta- il perizoma di pizzo nero. 

Continuò a vantarsi della sua esperienza internazionale per cinque minuti buoni, ed io ovviamente non ascoltai neanche una parola. Se Castiel fosse stato presente in quel preciso istante, l'avrebbe interrotta nel bel mezzo del suo monologo per deriderla con una battuta simile: "E allora, visto che sei così famosa, com'è che sei qui nel ruolo di regina delle sfigate alla ricerca dei suoi cinque minuti di fama?!", ma ovviamente il rosso non avrebbe mai fatto una battuta del genere, sia perché non era lì e sia perché era il fidanzatino fedele della vipera in questione. 

Dopo varie moine finalmente tirò fuori da una cartellina l'elenco di tutti gli iscritti a quel club e senza alzare la testa dal foglio decise l'attività che avremmo svolto quel pomeriggio.

«Per oggi mi limiterei ad ascoltare la voce di tutte le vocalist, giusto per capire le loro capacità. La voce, all'interno di una band è fondamentale come lo è anche la bella presenza del cantante che è quello maggiormente esposto al pubblico. Perché si sa: anche l'occhio vuole la sua parte!» sull'ultima frase mostrò se stessa, orgogliosa di essere nella lista delle cantanti di bella presenza. 

Ed il primo conato di vomito minacciò di uscire dalla mia anima, non solo per la sua enorme autostima, ma anche per quello che ci aveva comunicato. Quel giorno le ore nell'aula di musica sarebbero state incentrate tutte sulle vocalist. Io ero una di loro. Avrei dovuto cantare, magari a cappella, davanti a venti sconosciuti. Mi maledissi di aver scelto quel club mentre un nodo in gola non mi permise di respirare bene. 

Pronunciò correttamente i nomi e cognomi di tutte le aspiranti cantanti, mentre quando arrivò il mio turno ovviamente non poteva comportarsi da persona intelligente. 

«Poi abbiamo Micaela Puzzi...» davanti al suo errore voluto, tutta la classe si mise a sghignazzare. 

Con un colpo di tosse attirai l'attenzione su di me, senza scompormi. Debrah alzò la testa dal foglio sorridendo diabolicamente, mentre io senza timore e senza far fuoriuscire battute acide che in sua presenza mi venivano quasi naturali, la corressi: «il mio nome è Micaela Rossi. R-o-s-s-i!» conclusi con uno spelling del cognome, sollevando un angolo della bocca.

Aveva cominciato ad attaccarmi, voleva che io reagissi, ma non lo feci. Risposi con educazione e lei non se lo aspettava. Mi guardò di sbieco e con un sorrisetto, quel sorrisetto che emetteva quando stava per mettere in atto uno dei suoi piani diabolici. Infatti così fu. Con mosse sensuali, per attirare il pubblico maschile, si alzò dalla cattedra iniziando a girare e rigirare tra le sedie degli alunni. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, le donne la guardavano con invidia, gli uomini con bramosia. L'unico che rimase impassibile alle sue mosse, probabilmente perché ne era abituato, fu Lysandre. La guardava di sottecchi con disapprovazione per poi ritornare a fissare lo spartito, quel pentagramma ricco di note di chissà quale canzone. Evidentemente non doveva stargli poi così tanto simpatica quella ragazza.

Debrah aveva tanto criticato il mio modo di vestire ritenendolo non idoneo ad un luogo scolastico eppure quel pomeriggio anche lei aveva una gonna, forse ancora più corta di come la portavo io. Indossava una maglia scollata dalla quale le s'intravedeva il reggiseno di pizzo nero. Una con quell'abbigliamento non doveva neanche poter entrare dentro un liceo. Io, nonostante indossassi minigonne e scarpe con tacco lo facevo con una certa dignità e di certo non mostravo a tutti il mio intimo, non mi ero mai permessa d'indossare maglie così eccessivamente scollate. Aveva esagerato e potevo metterci la mano sul fuoco che quell'abbigliamento lo avesse indossato solo per mostrarmi che lei, quei vestiti, sapesse portarli meglio di me. Mi avrebbe voluto dimostrare che lei sapeva essere più provocante e sensuale della sottoscritta se solo avesse voluto. Ma io non le diedi alcuna soddisfazione, dal mio viso non lasciai trapelare nessuna emozione. Anzi per testimoniare la noia che mi trasmetteva, sbadigliai nel momento in cui passò affianco a me. Agendo in quel modo, però, fu come servirle la prossima mossa da compiere su un piatto d'argento.

«Visto che ti stai annoiando così tanto, comincerai tu a cantare. Ecco tieni; questa è la canzone. È famosissima in tutto il mondo, non dovresti avere difficoltà.» pronunciando quelle parole si diresse verso me dandomi un foglio, quasi lanciandomelo, con un sorrisetto che non lasciava prevedere nulla di buono. Debrah aveva la capacità di fingersi vittima in un modo degno da premio Oscar. Nessuno poteva capire che stesse fingendo, nemmeno uno, tranne chi la conosceva bene, tranne chi l'aveva vista agire, cambiare come cambia il vento.

Diedi un'occhiata al foglio. In alto era riportato il titolo della canzone e della cantante. Sgranai gli occhi istintivamente. Mi aveva dato un pezzo difficilissimo da cantare e tra l'altro dovevo farlo a cappella. La canzone in questione era: "My heart will go on" di Céline Dion. Canzone parecchio vecchia, ma intramontabile. Oserei dire, brano temuto da tutti gli interpreti con poca estensione vocale. Solo chi aveva una voce pazzesca e potente poteva cantare una cosa del genere, ma non le diedi ugualmente soddisfazione. Non mi sarei tirata indietro; non davanti a lei. 

In un attimo tutte le mie ansie e paure si affievolirono, mi alzai e mi recai davanti agli strumenti. Non utilizzai il microfono, non sarebbe servito visto che non ci sarebbe stata la musica come sottofondo.

Calò il silenzio in aula. Tutti mi guardavano, ed iniziai a cantare fissando il vuoto. Il cuore mi scalpitava ma non mi feci abbattere. 

«Every night in my dreams I see you, I feel you. That is how I know you go on... Far across the distance and spaces between us, You have come to show you go on...»

Nella parte bassa me la cavai, il problema arrivò quando provai a cantare le note acute. E Debrah era proprio quel momento che stava aspettando con trepidazione. In quella parte la voce mi tremò, stonai e non riuscii più a continuare. Abbassai il viso e divenni paonazza per la figuraccia appena fatta.

L'assistente si mise a ridere e dopo di lei anche il resto della classe. Sapevo di non avere le capacità vocali necessarie per cantare un brano di quel genere, ma ci avevo provato ugualmente.

«Hai fatto più errori di quanti capelli tieni in testa. Brava. Sei un caso disperato», rise malvagiamente. Pronunciò quelle parole con disprezzo e cattiveria. Poi avvicinandosi, mi parlò all'orecchio ma facendosi udire chiaramente anche dal resto dei presenti: «ti do un consiglio spassionato. Ritirati. Questo club non è adatto a te!»

Eccolo lì il suo piano. Mettermi in ridicolo davanti a tutti per poi darmi la botta finale. Se prima avessi l'intenzione di non cedere alle sue provocazioni, di non fare il suo stesso gioco, in quel momento cambiai opinione. Mi aveva stancata. Le avrei risposto ed anche pesantemente. Ma non mi diede neanche il tempo di farlo. Mi sfilò con presunzione il foglio dalle mani e senza aggiungere altro cominciò a cantare lo stesso brano, ma dalla parte alta.

«Near, far, wherever you are. I believe that the heart does go on... Once more you open the door, And you're here in my heart; And my heart will go on and on. There is some love that will not go away».

Era maledettamente brava. Aveva una voce acuta, degna di una gallina nel sentirla parlare, ma nel canto era bravissima e tremendamente dotata. Sicuramente uno dei suoi punti forti erano gli acuti. 

Senza aspettare ulteriori umiliazioni, abbassai nuovamente il volto e mi diressi al mio posto. Ma prima che potessi accomodarmi qualcuno irruppe nel silenzio improvviso della stanza. 

«Debrah, bello vincere facile vero? Sei stata scorretta, come aver rubato le caramelle ad un bambino. Cantare le parti alte è stato sempre il tuo forte, non è di certo una novità. Ma perché non hai cantato anche le parti basse? Avevi il timore di fare una figuraccia? Come mai non hai cominciato la canzone dall'inizio? Eh, perché non lo fai ora? Dai tesoro, fai vedere a tutti come sei brava!» la derise. Ed i miei occhi fuoriuscirono dalle orbite per la sorpresa. 

Quell'intrusione non me la sarei mai aspettata... non dal suo fedele cagnolino. Castiel aveva spalancato la porta e senza preavviso aveva cominciato a sputare veleno sulla sua ragazza. Mi aveva difesa. Castiel Black aveva offeso la sua ragazza per difendere me. Me. Me. Cazzo. Micaela Rossi. Per poco, per la felicità di quell'evidenza, non volai tre metri sopra al cielo. 

Ma la stanza non era insonorizzata? Come aveva potuto seguire la scena? Qualcuno nella mia testa mi suggerì che in questo caso ci fosse stato lo zampino del caro Lysandre. 

Castiel aveva cantato insieme a Debrah per molto tempo, lui la conosceva più di tutti, conosceva il suo tallone d'Achille, ma non avrei mai pensato che sarebbe stato capace di rivoltarsi in quel modo. Si era svegliato all'improvviso, magicamente si era strappato il collare d'addosso ritornando in sé; il caro, vecchio stronzo e scorbutico ragazzo dai capelli rossi era di nuovo tra noi.

A quelle parole la dominatrice sconfitta divenne non nera, ma viola dalla rabbia e dall'invidia. Il suo ragazzo si era intromesso nel suo piano diabolico, rovinandoglielo. Così dirigendosi verso di lui gli urlò contro. «Come ti permetti ad offendermi in questo modo? Esci subito fuori da quest'aula o sarò costretta a chiamare la direttrice! Ma che diamine ti salta in mente?» gli poggiò le mani sulle spalle con l'intenzione di voltarlo e farlo uscire dalla stanza, ma Castiel non si mosse neanche di un centimetro. 

«Cosa si prova ad essere interrotti durante il proprio lavoro?!» mise entrambi le mani nelle tasche anteriori degli jeans e, con nonchalance, sollevò un angolo della bocca formando quel sorriso da stronzo che da sempre mi aveva fatto impazzire. 

Evidentemente si riferiva all'intrusione sul set di Rabanne. Si era vendicato. Non voleva difendermi, ma solo vendicarsi per la scenata fatta dalla sua ragazza, la sera prima. Un moto di delusione mi pervase. Mi ero illusa ancora una volta.

«Và via!» ringhio Debrah.

«Sì, io me ne vado volentieri; ma lei viene con me!» rispose schietto puntando il dito verso la mia direzione.

Non capivo se fosse diventato strabico, se stesse parlando di un'altra ragazza dietro me o di Debrah, rivolgendosi a lei con tono formale. Ma quello non era di certo linguaggio usuale di Castiel. Mi voltai a 360 gradi per capire se dietro o affianco a me ci fosse un'altra ragazza, ma non c'era nessuno.

Castiel mi guardava imbambolato, Debrah rideva a causa del nervosismo. La stava umiliando. Lei che aveva sempre portato i pantaloni nel loro rapporto, all'improvviso si era vista tutto ribaltato.

«Tu sei tonta solo dove vuoi apparirlo. Cammina fuori, devo parlarti!» giunse verso di me, Castiel, mi afferrò la mano e mi trascinò fuori sotto lo sguardo inebetito dei presenti e il sorrisetto di Lysandre. 

Per un attimo il mondo sparì. Castiel mi stava tenendo per mano anche se in un modo poco garbato. La prima farfalla iniziò a gironzolare indisturbata nel mio stomaco.

Era furioso anche con me, sebbene non avessi colpe. Debrah ci seguì e, quando ci ritrovammo fuori dall'aula, chiuse la porta dietro di sé e urlò ancor più di prima. Di certo la voce acuta non le mancava; rimbombò per tutto il corridoio.

«Castiel ma che cazzo ti prende? Mi gioco il posto così, ti rendi conto?»

«Io invece mi stavo per giocare l'unica vita che mi era stata donata, per colpa tua, pensa te...»

«Allora è questo il problema? Non sei riuscito ancora a perdonarmi? Io ti amo Castiel, sono tornata in Francia solo per te. Smettila di torturarti con il passato!» per poco non vomitai la minestra mangiata a mensa. Quelle parole suonarono più false del plagio di una canzone. 

«Sta' zitta per una buona volta e tornatene lì dentro dagli unici ragazzi che possono ancora sbavare per te. O preferisci che racconti a tutti qualcosa sul tuo piccolo segreto

«Non hai la situazione in pugno come pensi, sappilo Castiel!»

Assistetti a quella scena totalmente stupita della piega che avevano preso i loro discorsi. Debrah aveva un segreto? Doveva essere un qualcosa di estremamente importante vista la sua totale dedizione ad ascoltare gli ordini di Castiel, infatti dopo la sua risposta rientrò in aula senza rivolgermi neanche uno sguardo. In un secondo si erano ribaltati i loro ruoli, ero incredula e avevo passato tutto il tempo nel limitarmi a spostare lo sguardo da uno all'altra. 

Dopo che Debrah sparì dalla nostra vista, Castiel afferrò il mio polso e mi trascinò verso chissà dove. 

«Si può sapere che sta succedendo? E lasciami che mi fai male!» cercai di farmi mollare il polso, ma lui non mollò la presa, continuò a camminare velocemente senza degnarsi di darmi spiegazioni. 

Non capivo e non sapevo dove mi stesse portando. Arrivammo alle scale e le salimmo. Salimmo il primo piano, il secondo e poi il terzo. Conoscevo quella strada, portava al terrazzo, il luogo dove mi recavo quando avevo bisogno di stare in solitudine.

Quando arrivammo a destinazione, aprì il portone d'entrata. Mi liberò finalmente il polso che cominciò a pulsare. Alzai il volto e vidi Castiel dirigersi verso il punto finale del terrazzo e sedersi sulla ringhiera. Poi cominciò a sbattere i piedi nervosamente contro quell'ammasso di ferro.

«Castiel per favore non giocare, scendi da lì. Potresti cadere!» mi rivolsi con apprensione, facendo qualche passo per avvicinarmi a lui.

Non mi rispose, non mi degnò neanche di uno sguardo e tanto per cambiare non ascoltò le mie richieste. Restò seduto sulla ringhiera e si limitò ad incrociare le braccia. Quello era un gesto tipico da lui, e mi piaceva così come il suo ghigno. Aveva dei modi unici che lo distinguevano dalla massa. 

Dopo qualche altro secondo imbarazzante di silenzio si scomodò finalmente a comunicarmi ciò che doveva sin dalla sua irruzione nell'aula di musica. 

«Perché cazzo hai finto di stare insieme a quel coglione del tuo migliore amico?» mi lanciò una breve occhiata accusatoria per poi spostare nuovamente lo sguardo.

"Perché volevo dimostrarti di stare bene anche senza te, volevo fingere che tu non fossi niente per me", avrei dovuto rispondergli con quelle parole, con la verità, ma non lo feci. 

Mi aveva scoperta prima del dovuto, mi aveva sorpresa e lasciata senza parole. Non avevo ancora generato un piano da raccontare agli altri sul mio finto fidanzamento con Ciak, né tantomeno qualcosa da raccontare a lui, lui... La causa scatenante di tutta quella recita. 

Così mi limitai a non rispondere alla sua domanda. Dopotutto avevo imparato da lui a farlo. Incrociai le braccia al petto ed abbassai il volto. Restai immobile poco distante da dove mi aveva lasciata. In quel momento non percepivo più sensibilità alle gambe, sentivo come se queste stessero cedendo. Volevo sprofondare sottoterra, nascondermi in un masso di sabbia e non uscire mai più. Avevo sempre avuto delle giustificazioni in ogni situazione, avevo sempre avuto la risposta pronta, una menzogna a portata di mano, ma non quella volta. In quattro mesi di conoscenza ero sempre stata io a rimproverare Castiel per un qualsiasi sbaglio, ero io ad averlo lasciato senza parole, ma quel giorno i ruoli si erano invertiti anche nel nostro rapporto. Io ero la cattiva, lui il buono.

Nonostante fosse già toccata a lui la prima mossa, vedendo che io non mi attingevo a rispondere, decise di spezzare nuovamente il ghiaccio, quell'ammasso di ghiaccio che avevo costruito con il silenzio. Restai con il volto basso, ma come un cane dall'udito sviluppato, potei capire, dai rumori, cosa stesse facendo. Si alzò in piedi sulla balaustra facendomi mancare un battito e poi scese da lì con un salto. Cominciò a camminare a passo lento e quando i passi si fecero pian piano più rumorosi e vicini capii che era proprio verso me che stava giungendo. 

Ad un tratto non sentii più nulla. Non vi era alcun rumore. C'erano solo le sue Timberland difronte alle mie Guess. Calò il silenzio. Nell'aria poteva sentirsi il cinguettio degli uccellini che ignari dell'aria che tirava, si posavano da qualche parte su quel terrazzo. 

Castiel si avvicinò ancor di più a me. Intorno ogni rumore atmosferico mi giunse ovattato, non c'erano più neanche gli uccellini o passi, percepivo solo il suono del fiato del ragazzo che tanto mi piaceva. Quando lui stava a quella vicinanza, intorno a me sarebbe anche potuto cadere il mondo ed io non mi sarei spostata. Nel suo respiro, in quel momento, si poteva udire tutta la tensione. Prima di fare altri movimenti restò immobile per qualche secondo. Poi, poggiò pollice ed indice sotto al mio mento e lo alzò. Il battito del mio cuore sovrastò il suono del suo respiro tanto che batteva forte. Non rifiutai di farmi toccare da lui, anzi mi faceva, ogni giorno di più, piacere. 

Inevitabilmente il mio sguardo andò a finire nei suoi occhi. Visto che ci trovavamo sul punto più alto dell'edificio, il sole batteva fortissimo su quello spazio aperto. I raggi solari negli occhi di Castiel gli generarono un colore quasi surreale. Divennero come magnetici, il mio sguardo fu attratto dal suo come una calamita, una forza innaturale. I suoi particolari occhi grigi con il sole sembrarono quasi azzurri, di un celeste scuro, opaco, ma bellissimo. Quelle sfumature di colore rientrarono tra le mie tonalità preferite in assoluto. 

«Allora, perché hai finto di stare insieme a lui anche durante il gala di Rabanne?» insistette di nuovo, sibilando diversamente la domanda.

«E tu? Tu come fai ad esserne certo che sia stata finzione?» riuscii a malapena a sussurrare di risposta. La sua vicinanza abbatteva ogni mia corazza. 

Non capii da dove provenisse tutta la sua sicurezza. Sembrava sapere con certezza che io avessi finto, quasi come se gliel'avesse svelato qualche persona fidata.

«Non ti hanno insegnato che è segno di cattiva educazione rispondere con una domanda ad un'altra domanda?» ovviamente non poteva perdere occasione di ammonirmi.

«Non mi hai ancora risposto!»

«Neanche tu se è per questo. Comunque lo so e basta. Ora rispondi alla mia domanda; odio le persone bugiarde».

«Touché, senti chi parla! Stai con la ragazza più meschina e bugiarda che possa esistere al mondo e vieni a fare la paternale a me?» sapevo che con quel mio atteggiamento si sarebbe innervosito maggiormente, ma quello era l'unico modo per uscire illesa da quel confronto. Dovevo prendere tempo e riflettere su che scusa inventare. 

Infatti le mie previsioni risultarono esatte, dopo la mia risposta si alterò passandosi entrambe le mani tra i capelli in segno di disperazione e cominciò a camminare avanti ed indietro allontanandosi da me. 

«Ma cazzo Miki! Per chi mi hai preso? Per uno scemo? Smettila di girarci intorno e sputa il rospo!» si fermò poco distante da me e gesticolò per poi riprendere la sua camminata impaziente.

«In realtà ho mangiato la minestra oggi, non un rosp-» l'occhiata glaciale che mi gettò mi fece stoppare immediatamente ogni specie d'ironia, così per prendere altro tempo tergiversai. «Okay, la smetto. Prima che ti dica tutto, però mi spieghi perché insisti così tanto? Insomma che importa a te che io abbia o meno mentito, o ancor di più il motivo?»

A quella mia domanda si fermò di spalle, non potei guardarlo negli occhi per capire se stesse o meno mentendo. «Odio essere preso per il culo!» rispose secco. Non ne sapevo il motivo, ma ebbi la percezione che quella non fosse l'unica verità. 

«Ma se la tua ragazza lo fa da anni...» mi venne spontaneo ribattere. 

Quando si voltò di scatto nella mia direzione e mi guardò con sguardo omicida, mi passò ogni voglia di contraddirlo e finalmente mi decisi ad inventare la prima scusa che mi venne in mente. 

«D'accordo ti racconterò tutto, ma non aspettarti chissà quale storia... Diciamo che... È tutto cominciato per gioco. Poi è diventato una specie di rito tra amici; lui è il mio migliore amico da dieci anni, ormai. Sin da piccoli fingiamo di stare insieme, in alcune circostanze. Ci piace giocare e vedere se qualcuno si accorge che non facciamo sul serio. Tu sei il primo ad averci scoperti, nessuno ci era mai riuscito in tutti questi anni, meriteresti un premio!» gesticolai nervosamente e poi alla fine gli sorrisi impacciatamente. Non amavo mentirgli. Mi sentii un mostro. 

«In realtà basta guardarti negli occhi per capire ciò che provi!» e gelandomi sul posto con quella frase, abbandonò la terrazza scomparendo dietro la porta.

Mi aveva lasciata sola, a meditare, a torturarmi come sempre a causa delle sue frasi ambigue. Cosa aveva intuito? Aveva capito quanto fossi infatuata di lui? Che non gli avessi raccontato la verità sul motivo della recita con Ciak?

Quel giorno ce la misi tutta a cercare di capirlo, ma senza risultati. Castiel era peggio dei giochi enigmistici. Con ira inaspettata si era ribellato a Debrah, con ira inaspettata mi aveva quasi dimostrato di tenerci a me, con parole inaspettate dopo avermi dichiarato guerra si era arreso abbandonando la battaglia. Era scomparso dietro la porta senza salutare, senza farmi capire se mi avesse o meno creduto. Maledetto!

In neanche un'ora aveva cambiato per sin troppe volte umore. Avrei dovuto consigliargli un ottimo psicologo per curare la sua bipolarità. 

E se invece quella fosse stata solamente una recita? Un piano architettato con la sua ragazza. Se si fosse messo d'accordo con Debrah per farmi espellere dal club di musica o ancor peggio per farmi perdere l'anno in modo da non essere più in classe con lui? 

Tantissime domande stavano girando nella mia mente e altrettante risposte si alternavano in un circolo vizioso. Non potevo giungere da sola alla soluzione del rebus o sarei ammattita dietro a lui. 

Tra mille dubbi e senza alcuna voglia di rientrare nell'aula di musica, percorsi tutta la terrazza recandomi infine affianco a quella balaustra che fino a pochi minuti prima aveva retto lo strano ragazzo. Lì percepii sulla pelle la sua vicinanza, sentii il suo odore, il suo profumo che ancora inebriava l'aria. 

Ovunque andasse lasciava il segno. Chiusi gli occhi e alzai il volto verso il cielo.

Immaginai un suo ritorno.

Pentendosi di come mi aveva lasciata, tornò indietro. Non avrebbe voluto farsi notare subito, ma le sue Timberland rumorose non glielo permisero. Udii i suoi passi sin dalla porta. Lentamente giunse verso me, poggiò il suo fisico muscoloso sulla mia schiena. In quel momento persino il suo membro era felice di vedermi. Lo sentivo. Nonostante i vestiti, ogni sua parte di corpo poteva essere percepita. Forse perché aspettavo da troppo quel momento, forse perché ormai  conoscevo quei tratti così virili e marcati a memoria, ma lo sentivo e lo volevo tutto per me, in quel momento e per sempre.

Poggiò le sue mani sui miei occhi. Erano profumate, di un profumo che dalla sera prima avevo imparato a conoscere bene. Profumava di "ivre" il nostro profumo, il profumo della pubblicità.

«Basta guardarti negli occhi per capire tutto ciò che provi», mi sussurrò nell'orecchio sinistro.

«In che senso? Vorrei capire, per favore!» quasi lo pregai di porre fine alle mie torture mentali.

La sua risposta avrebbe spiegato molte cose.

«Non hai mai guardato nessun altro come invece guardi me; e come mi guardi tu non mi ha mai guardato nessun'altra».

Aveva spiegato tutto con una specie di scioglilingua, e quel tutto cominciava a piacermi.

«E tu? Tu cosa provi?» il cuore iniziò a battermi all'impazzata, aspettavo di porgli quel quesito sin dal nostro primo bacio.

L'eventuale sua risposta avrebbe potuto cambiare ogni cosa, tutto.

Non mi aveva mai dimostrato di tenerci a me, anzi aveva sempre provato ad allontanarmi. Eppure c'era qualcosa che mi aveva portata a stargli vicino nonostante tutto, a continuare a lottare nonostante lui stesse con un'altra.

Peccato che non avrei mai saputo cosa mi avesse potuto rispondere. Il mio sogno ad occhi aperti fu interrotto.

Il rumore della vibrazione del mio cellulare rimbombò nell'aria. Maledicendo chiunque avesse inventato ogni forma di tecnologia, estrai lo smartphone dalla tasca.

Mi era appena arrivato un messaggio. 


Hai da fare questo pomeriggio? Possiamo incontrarci? Dovrei parlarti.

ADELAIDE <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** CAPITOLO 20: Il male del secolo ***


Prima di lasciarvi leggere in pace, volevo rendervi partecipi di qualcosa. Parte della storia narrata in questo capitolo ed in particolare il percorso che affronterà Adelaide (che continuerà anche nel seguito della ff) è un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che purtroppo ho vissuto in prima persona, non direttamente ma con una persona a me vicinissima e a cui ero molto, molto legata. Quando, all'epoca, ho scritto questo capitolo questa persona stava lottando ed era ancora in vita, le avevo dedicato questa parte di storia. A distanza di tre anni, mi duole scrivere che questa persona non c'è più. Nonostante ciò ho deciso ugualmente di dedicarle la storia di Adelaide, che sarà la mia rivincita e che cercherò di concludere nel modo in cui sarebbe dovuta andare la sua vita vera. 

Spero di non deludervi con argomenti troppo delicati. Ma la vita è anche questa, ed io che ho deciso di attenermi alla realtà scrivendo questa fan-fiction, avevo bisogno d'inserire anche quest'argomento. Che sia un invito alla riflessione e alla forza...

Buona lettura!

Dedicato a S. che spero mi stia guardando da lassù e che sia almeno un po' fiera di me.

 

 

Capitolo 20

Il male del secolo





 

MIKI

Inevitabilmente la mia vita era legata a quella di Castiel. Appena smettevo di pensarlo, subito dopo, accadeva qualcosa di imprevedibile che lo portava ancora a girovagare nei miei sensi. Sì proprio così. Se ci fosse stata una telecamera nel mio cervello ed un'altra nel mio cuore, tutti avrebbero potuto vedere un esserino dai capelli rossi con le sue scarpe rumorose, andare da una parte all'altra nel mio corpo. Metafore e similitudini a parte, anche quel giorno era accaduto. Un attimo prima -su quella terrazza- avevo immaginato un suo ritorno ed un secondo dopo ecco sua mamma sbucare dal nulla con un messaggio.

Ero ancora sul terrazzo quando il cellulare mi aveva avvertito della presenza di quel messaggio. Era dal giorno di Natale che non incontravo il volto premuroso di Adelaide, ma nonostante questo l'avevo sentita telefonicamente. Lavorava ancora in una compagnia aerea e quindi viaggiava spesso, era una donna molto impegnata, ma quando trovava il tempo si faceva sentire. Mi aveva detto che i rapporti con Castiel non erano migliorati ma che lo chiamava ugualmente. Stava cercando di fare la mamma che non aveva mai potuto essere, si era pentita di aver abbandonato il figlio in mani non materne, e per quello ne stava pagando -ogni giorno- le conseguenze. Purtroppo aveva dato tutto il suo amore ad un uomo che non meritava, ad un uomo che alla prima occasione l'aveva tradita fisicamente e non solo. Più tempo passava e più mi sentivo vicina a quella donna, avvertivo il suo senso materno, il suo affetto anche da un messaggio. Adelaide era una donna fortissima. Quando ricevevo sue chiamate ero ben lieta di risponderle, di raccontarle le novità, le avevo persino ammesso di essere cotta di suo figlio, era diventata una sorta di confidente; un po' come Rosalya ma un tantino più matura. In quel periodo della mia vita era più facile confidarsi con lei piuttosto che con zia Kate. 

Anche quel giorno, dopo aver ricevuto il suo messaggio, la chiamai. Cercai il numero nella rubrica, dopo aver piggiato il tasto verde, il microfono del cellulare cominciò a squillare. Rispose già al secondo squillo.

«Ehi Adelaide, come stai?»

«Ciao Miki, Và... E tu? Sei a scuola?»

«Sì, oggi primo giorno nel club», sospirai ripensando a ciò che era successo in quell'aula poco prima «ho letto nel messaggio che vorresti incontrarmi; dove di preciso?» senza troppi giri di parole arrivai dritta al punto.

«Se non hai altri impegni, sì. Al "Café de Flore" per le diciassette, va bene?»

«Non ho idea di dove si trovi, ma chiederò informazioni e arriverò a destinazione di sicuro, prima o poi...» risposi titubante sorridendo impacciatamente. 

«Sì non è molto distante dal Dolce Amoris..»

«Okay, allora a più tardi!»

«Va bene, a dopo!»

Fu Adelaide a chiudere la chiamata. Non aveva la solita voce pulita, allegra e vivace. Mi preoccupai ed iniziai a pensare che non dovesse dirmi qualcosa di così piacevole. Rimandai quella preoccupazione ad un momento successivo perché in quello avrei dovuto pensare alla quasi imminente sospensione dal club di musica. Ero stata fuori dall'aula per mezz'ora. Maledetto Castiel!

Di fretta abbandonai il terrazzo e l'idea del rosso che sarebbe potuto tornare da me, e mi diressi a passo svelto verso l'aula di musica. Scesi le scale e per sbrigarmi, vista la fretta, scivolai. Invece di poggiare il piede sul gradino che veniva subito dopo quello sceso, lo poggiai, o meglio lo lanciai nel vuoto, due gradini dopo. Persi l'equilibrio e caddi, così, all'indietro. Il sedere sbatté contro un gradino che via via percorse tutti gli altri restanti. In poche parole feci una rampa di scale tutta con il didietro. Fermai la caduta solo alla fine delle scale. "Ottimo equilibrio Miki, complimenti!" poi tenendomi dalla ringhiera, mi alzai. Il sedere era indolenzito, bruciava, come se qualcuno lo stesse pizzicando. Dal dolore, mi venne spontaneo mettere la mano proprio dietro lì e camminare. Non potevo permettermi il lusso di stare ferma a pochi minuti dalla fine della lezione. Come una vecchietta con il bastone, arrivai a destinazione anche se più in ritardo del previsto.

La porta dell'aula era chiusa, forse ancora nulla era perso, forse ero arrivata in tempo, forse...

«Dove credi di andare? La lezione è finita!» ogni mio forse, fu disintegrato dalla voce stridula della cantante.

La lezione era conclusa eppure lei era lì, come se sapesse ogni mio movimento, come se sapesse che prima o poi sarei tornata. Era lì ad aspettarmi come un leone che attende di sgranare la sua preda. In quel caso però, io ero la pecorella smarrita e lei la vipera pronta a mostrarmi la via giusta da percorrere, sì, quella verso il suo stomaco.

Senza rispondere al suo tono sgarbato ed irritante, mi voltai in direzione delle scale e feci per andarmene, ma nuovamente quella voce interruppe ogni mio futuro gesto.

«Tu non vai proprio da nessuna parte. Vieni qui. Devo parlarti!» per un attimo mi ricordò gli atteggiamenti di Castiel. Scossi subito la testa; dovevo smettere di pensarlo ogni attimo di secondo. 

«Cosa vuoi ancora da me? Lasciami in pace una volta per tutte!» di scatto mi voltai nella sua direzione furibonda, e dopo averle lanciato un'occhiata omicida, mi girai nuovamente per poter abbandonare quell'edificio e recarmi all'appuntamento con Adelaide. 

Nonostante le mie parole significanti, la vipera mi raggiunse bloccando la mia corsa e strattonandomi dal braccio mi trascinò dentro l'aula di musica, fuori da orecchie ed occhi indiscreti. 

«Togli subito quelle mani viscide da me, brutta vipera. Mollami!» urlai ad alta voce. Mi accorsi di avere una voce più acuta della sua se solo l'avessi voluto.

Guardandomi di sbieco lasciò la presa, si precipitò davanti alla porta e sbirciando se vi era qualcuno ad origliare, chiuse il masso di legno con forza. Poi si diresse verso me con fare minaccioso.

«Se non vuoi finire nei guai, se non vuoi ricevere un'altra convocazione dalla preside che ti farebbe perdere l'anno, devi stare lontana dal mio Castiel», marcò l'aggettivo "mio" ed il mio cuore perse tre battiti. Terribile da sentire, ma era la pura e semplice verità. Fino a prova contraria, Castiel era suo. 

Nonostante ciò, a causa di quella minaccia mi venne spontaneo spalancare gli occhi. Dovevo immaginarlo che avrebbe architettato un altro piano. Subdola e viscida stronza!

«E di cosa dovresti accusarmi? Sentiamo!» le chiesi poi con tono di voce disgustato e facendo una smorfia percettibile.

«Hai abbandonato l'aula prima della fine della lezione. Mi hai insultata davanti tutta la classe. Tu vuoi Castiel e mi torturi per questo... Tu sei gelosa di me!»

Davanti a quelle false insinuazioni corrugai involontariamente le sopracciglia. Aveva parlato con una tale convinzione da mettere in dubbio persino a me stessa ciò che feci realmente. Difronte a quelle sue parole persino io stavo cominciando a credere di aver fatto quello per cui mi accusava. Era brava, era una manipolatrice professionista. 

«Ma io non ho fatto niente di tutto ciò!» emisi con un filo di voce, turbata.

Davanti a tale bravura d'attrice non riuscii più a spiccicare parola. Ero rimasta colpita, ed anche se per aspetti negativi, dovetti ammetterlo.. iniziai a comprendere Castiel. Debrah era brava a manipolare, brava a far sentire in colpa, brava ad imprigionare -con i suoi artigli- chi le stava intorno.

«Oh sì! Ma questo non è importante» mi rispose facendo una mossa con le mani.

Parlava con un'aria di superiorità da far rabbrividire. Come se lei, nella scala gerarchica, fosse di dieci gradini più in alto di me. Poi continuò.

«La preside crederà me, non te!» aggiunse incrociando le braccia. In quei gesti, ancora una volta, riconobbi quelli di Castiel. Come se lo stesse imitando, come se volesse somigliargli un po'.

«Tu non puoi fare una cosa di queste. Non azzardarti!» iniziai anch'io come lei, a minacciarla. Non sapevo come difendermi, mi sentivo insicura. In quel momento avrei tanto avuto bisogno di una spalla, di qualcuno che mi proteggesse dalle grinfie di quella strega malvagia.

«Sì che posso, invece. Tu sei un inutile studentessa, io un'affermata cantante oltreché studentessa modello e assistente del professore Laurent», ghignò diabolicamente.

«Sai poi, potrei suggerire alla preside di non farti partire per Roma. Un soggetto che non segue le regole in una semplice scuola, sarebbe una mina vagante da sola in una gita scolastica...» continuò cercando d'incutermi timore. 

Aspettavo quel viaggio da ormai un mese, finalmente avrei passato del tempo con Castiel, con il vero Castiel, quello che era distante dall'arpia. Lei non poteva, non doveva permettersi di rovinarmi anche quel viaggio.

«Tu non farai proprio un bel niente. La preside non ti crederà!» strinsi le mani a pugno e digrignai i denti.

Con quel suo atteggiamento aveva dimostrato di essere terribilmente gelosa di me e Castiel, aveva il timore che quel viaggio l'avrebbe allontanata dal suo cagnolino fedele. Ma non aveva nulla da temere, Castiel le sarebbe rimasto accanto per com'era innamorato di lei. 

«Vedremo!» sorrise sicura di sé. «Allora cos'hai deciso, possiamo fare quest'accordo: sì o no?» nelle sue parole finalmente intuii un pizzico di ansia. La sua sicurezza stava andando a scemare nel momento in cui avevo mostrato di non cedere ai suoi ricatti.

Lei non era nessuno. Lei non poteva negarmi quel po' di felicità che mi stava per essere concessa. Castiel la maggior parte delle volte mi faceva innervosire, sì, ma con lui ero spensierata, con lui sentivo di essere realmente un adolescente, di avere la mia età, con lui ero me stessa... Con lui ero viva. Solo ed unicamente con lui. Lei non poteva farmi del male, non poteva togliermi lui. Non doveva permettersi.

«Certo che no! Non rinuncerò a parlare con Castiel solo per un tuo capriccio. Fa' quello che ti pare, accusami pure con la preside; non m'interessa! Tanto sono sicura che prima o poi Castiel capirà di che pasta sei fatta e ti lascerà. Resterai sola, come meriti di stare. Ora continua a minacciare e manipolare mezzo mondo, ridi e divertiti finché puoi. Ma ricorda una cosa: chi ride bene, ride ultimo!» strizzando un occhio, sorridendo falsamente, girai i tacchi e la lasciai sola nella sua cattiveria. 

Parlare di Castiel, parlare di qualcuno d'importante, mi aveva risvegliata dallo stato di paura in cui quella strega mi aveva fatto cadere. Pensando a quei capelli rossi, a quel sorriso sghembo, mi resi conto che lei non avrebbe potuto farmi nulla. Lei non poteva negarmi di stare accanto alla persona che più desideravo. Lui per me era come una calamitauna forza maggioreun'attrazione della quale non potevo farne a meno. Castiel per me era qualcosa d'imprevedibiled'imprescindibile. Quando provavo a stargli lontano stavo male ed inevitabilmente finivo per tornare a girargli intorno, finivo sempre per essere attratta da lui. Non potevo più negarlo a me stessa, non volevo più fingere di essere immune ai sentimenti. Lui aveva buttato giù la mia corazza, costruita in sedici anni di vita, senza neppure volerlo. E nessuno doveva permettersi ad allontanarmi dalla mia unica fonte di felicità. Mi bastava anche solo stargli vicino, sarei stata disposta a prendermi ciò che lui voleva concedermi, un'amicizia, un cuore spezzato, una notte di solo sesso, qualunque cosa. Sapevo che non mi avrebbe mai amata, ma non m'importava più al momento. Perché lui era come un evento soprannaturale, difficile da spiegare ma inevitabile da provare. Mi bastava solo che non smettesse di starmi accanto, in qualunque modo ne avesse intenzione. Ero la regina delle masochiste, ormai lo sapevo bene. 

-

DEBRAH

La ragazzina viziata non aveva mollato come immaginavo e questo non lo avevo previsto. Al contrario, pensavo si sarebbe subito arresa, appariva come una di quelle bamboline fissate sulle apparenze, che pur di non esser viste di mal occhio avrebbero ceduto a qualsiasi ricatto. E invece no. Non avevo calcolato la fattispecie più importante: i suoi sentimenti per Castiel. Avrei dovuto fare maggiore attenzione, avevo sottovalutato la ragazza. Pure un cieco se ne sarebbe accorto, lei stravedeva per lui, avrebbe fatto qualsiasi cosa per stargli vicino e per difenderlo. Non potei negare che io non provavo neanche la metà dei sentimenti di Miki per Castiel. Io ero interessata ad altro, non avevo mai avuto il timore di ammetterlo. 

Per un film a lieto fine quelle parole sarebbero state perfette, peccato che quel film sarebbe terminato con un "the end" leggermente diverso da quello che ci si aspettasse. Io mi ero da sempre autodefinita la cattiva della storia, architettavo piani infallibili, mettevo il bastone tra le ruote a chiunque volesse ingannarmi, ero furba con una mente diabolica fuori dal comune. Per tutte quelle evidenze il mio lieto fine sarebbe stato: il successo, la fama, affianco a Castiel. Ce l'avrei fatta, avrei annientato una volta per tutte la stupida e piccola Micaela Rossi pur di riuscire nel piano. 

Con i miei buoni, per modo di dire, propositi, dopo la conversazione con Miki, mi diressi alla ricerca della direttrice. Sebbene fosse già pomeriggio, la sua diligenza, la portava, da sempre, a chiudere le porte del liceo insieme ai suoi colleghi o addetti. Così, con grande determinazione scesi le scale e mi recai dinanzi la porta del suo ufficio. Bussai. 

«Avanti!» mi rispose la voce autorevole della vecchia. Spinsi la porta ed entrai, senza accomodarmi o salutare arrivai dritta al punto che più m'interessava. Odiavo avere ansia o noie, volevo ottenere tutto ciò che desideravo subito.

«La signorina Micaela Rossi, durante l'attività dei club, mi ha mancata di rispetto. Ha abbandonato l'aula prima del termine delle lezioni senza il mio permesso, e come se non bastasse -nel poco tempo dove era presente- si è presa il lusso d'insultarmi e rispondermi. Esigo dei provvedimenti nei suoi confronti!» terminai con un sorriso che la sapeva lunga.

-

MIKI

Avvertii zia Kate che avrei ritardato il mio rientro a casa. La chiamai, non le raccontai tutta la verità, non mi andava di avere altri battibecchi con lei, così fui costretta a mentire. Le comunicai che avrei girovagato tra i negozi in centro insieme a Rosalya. Una bugia a fin di bene.

Kate ed Adelaide erano come il Ketchup e la torta di mele, due mondi totalmente contrapposti.

L'una odiava l'altra, i motivi erano facilmente comprensibili, anzi no, il motivo era piuttosto comprensibile: Isaac. Solo con il pensare il suo nome mi si formava un nodo allo stomaco, sentivo i nervi partire dalle dita dei piedi e finire alla punta più in alto del corpo, la testa. Erano difficili da descrivere le sensazioni negative che quell'uomo mi faceva provare. Si era comportato da essere umano senza attributi, aveva avuto troppi comportamenti negativi. Io non ero nessuno per giudicare, non ero perfetta, ma ero legittimata a scegliere di non intraprendere alcun tipo di rapporto con lui. Sebbene ci fossero buone possibilità che lui divenisse il mio futuro zio acquisito, era più forte di me. Non lo sopportavo. L'unica nostra conversazione era avvenuta a Natale, quella che mi aveva portato ufficialmente a detestarlo. Non aveva neanche avuto il coraggio di avvertire Castiel dei pasticci combinati, aveva fatto di tutto per allontanare la madre dal figlio, era stato geloso di lui sin dalla nascita. Che tipo di uomo poteva essere un individuo del genere? Aveva persino avuto la premura di aizzare le due donne -più importanti della sua vita- l'una contro l'altra. A zia Kate aveva svelato che Adelaide sparlasse di lei, che la definisse una poco di buono e stessa cosa aveva fatto con Adelaide confessando che Kate la definisse con termini poco carini. Io, avendo vissuto la situazione dall'esterno e potendo sentire entrambe le campane, avevo intuito sin da subito il gioco dell'uomo. Avevo provato a rivelarlo ad entrambe le Signore, ma quest'ultime erano convinte che il mio giudizio non contava perché condizionato da una bassa stima nei confronti di Isaac. Convinte loro...

Mentre la mente si auto-lesionava riflettendo su quell'uomo stronzo, ero in procinto di recarmi all'appuntamento con la mamma del ragazzo per cui avevo perso la testa, nonché ex moglie del nuovo partner di zia Kate. L'uomo in questione era, tra l'altro, il padre di Castiel. Quindi visto e considerato che, in un certo senso, Adelaide e Kate erano rivali, fui costretta a mentire a zia per evitare ulteriori dissapori tra le due donne. Eh già... Bel casino!

Ero appena salita sull'autobus quando ancora ero intenta a fare i resoconti sulla mia vita incasinata. L'autobus era nuovo, al contrario di come invece, erano quelli di Roma scarabocchiati e malridotti. Andai affianco all'autista per chiedere a quale fermata si trovasse il bar del mio appuntamento, e dopo essermi rassicurata che mi avrebbe avvertita lui quando scendere, mi sedetti su un sedile. Come tutti gli autobus del mondo, anche questo, aveva dei sedili doppi e singoli, io mi sedetti in uno singolo.

Alla fermata dopo quella del Dolce Amoris (la fermata dove ero salita), salirono un ragazzo ed una ragazza. Su per giù avevano una ventina d'anni ciascuno, erano innamorati. Si sedettero davanti a me, nei posti doppi. Si cominciarono a baciare. A vedere quella scena, il cuore mi batté all'impazzata, la mente andò ancora una volta a lui, a come sarebbe stata la scena del nostro viaggio su quel mezzo pubblico...

Così, poggiai la testa sul vetro del finestrino e guardando la strada indietreggiare sotto le ruote enormi di quel mezzo, cominciai ad immaginarlo; Di nuovo... Era la seconda volta in una giornata. Stavo per divenire un caso perso.

L'autobus era pieno, strapieno. C'era solamente un posto vuoto, tutti gli altri occupati da passeggeri di età varie. Senza capire cosa avrebbe fatto, Castiel -tenendomi per mano- mi trascinò verso quel posto. Arrivati a destinazione, si voltò verso me, strizzò l'occhio destro e con una delle sue tipiche smorfie si sedette.

Per un attimo stesi il muso, pensando che avesse preferito fare il solito spaccone piuttosto che il galantuomo cedendo il posto alla sottoscritta; pensando che avesse pensato solo a se stesso. E invece...

Stendendo il braccio in avanti, mi sfiorò i fianchi e sollevandomi mi poggiò sulle sue gambe facendomi sedere su di lui. Nonostante stessimo insieme da ormai tre anni, provavo le stesse emozioni del primo giorno. C'era chi diceva che l'amore si dimostra soltanto nei primi mesi di fidanzamento, ma per me non era stato così. C'era chi diceva che prima o poi mi sarei abituata a lui, ai suoi gesti, ai suoi occhi, alle sue labbra, al suo fisico, ma per me non era stato così.

Perché per me, baciarlo, accarezzarlo, toccarlo era sempre stato come sentire una sensazione nuova mai provata prima; e tutto era come il primo giorno... Fare l'amore con lui, ogni giorno, era come la prima volta, fare la doccia insieme era, ogni giorno, come la prima volta e anche in quel momento, prendere l'autobus insieme era come prenderlo per la prima volta.

Per ringraziarlo di quel gesto inaspettato, poggiai le mani sul suo collo, e spingendo la sua testa verso la mia lo baciai appassionatamente.

Non c'importava della gente, non c'importava di chi ci potesse giudicare; il nostro amore era espansivo, pieno di gesti d'affetto, di contatti fisici. Noi eravamo quelli, prendevamo fuoco non appena l'uno sfiorava l'altra. Quando la sua lingua si fece spazio nella mia bocca, l'accolsi senza titubanza, ancora, dopo mille baci. Provai le stesse emozioni del nostro primo bacio, quello nello stanzino dei bidelli. Subito le farfalle si fecero spazio per svolazzare nel mio stomaco, il cuore batté fortissimo... tutto, tutto era come la prima volta.

«Signorina, è qui il Café de Flore. È stata fortunata che proprio qui di fronte hanno costruito una fermata di recente. Altrimenti avrebbe dovuto percorrere quasi un chilometro a piedi per arrivarci», e menomale che Adelaide aveva detto fosse vicino al mio liceo. A quanto parve il suo senso di orientamento era peggio del mio. 

La voce dell'autista aveva interrotto la mia fuga romantica con il cervello. Dovetti ammettere avessi sviluppato molta fantasia dopo l'arrivo a Parigi. Quella città mi aveva resa romantica, non per nulla era definita da tutti come "la città dell'amore". Ma in realtà per quanto mi piacesse scaricare le colpe -per il mio cambiamento- a quella città, per non ammettere quanto fossi in uno stadio avanzato con i sentimenti per lui, in cuor mio sapevo che i cambiamenti della mia personalità erano dovuti a quella persona. Castiel, senza volerlo, senza saperlo, mi aveva cambiata, mi era entrato dentro il cuore senza che neppure io volessi. E, per me, non ci sarebbe più stata possibilità di ritorno. 

«S-sì grazie mille! Arrivederci, allora» 

Forse ero stata parecchi secondi in silenzio come se fossi stata in uno stadio transitorio di shock.. Come se mi fosse accaduto qualcosa di entusiasmante. L'autista di sicuro aveva pensato fossi pazza, viste le occhiate che mi lanciò prima che abbandonassi quel mezzo di trasporto. 

Ma non potevo farci niente; Castiel faceva quest'effetto. Mi mandava il cervello in fumo, mi faceva bruciare il cuore, infiammava tutta me stessa lasciandomi senza via di fuga.

Scusandomi per l'attesa creata a tutti i passeggeri, scesi dall'autobus. Mi ritrovai subito difronte un'insegna enorme e bianca con su scritto, in corsivo "Café de Flore"Il bar era ad angolo, situato in un palazzo che prendeva due lati. Restai impietrita dinanzi alla maestosità di quel palazzo. Dopo aver squadrato ogni dettaglio abbassai lo sguardo e davanti a me si presentò una figura simile a quella di Adelaide.

"Aspetta un attimo, ma quella è, Adelaide!"

Corrugai le sopracciglia, mi strofinai gli occhi con le mani, la donna che mi si era presentata davanti non era la stessa conosciuta durante il pranzo di Natale. La donna difronte a me era trasandata, senza trucco e con i capelli spettinati, la riconobbi a stento solo dopo averle guardato affondo gli occhi. Indossava una giacca lunga e beige, delle scarpe sportive e dei pantaloni da tuta.

Fui in dubbio fino all'ultimo, non mi spostai di un millimetro per cercare di capire se quella donna fosse realmente lei o meno, ma ne fui finalmente certa quando si recò a salutarmi. Mi diede due baci sulla guancia, prima sulla sinistra poi sulla destra. Non sorrideva. La donna che avevo conosciuto un mese prima invece sì, e molto anche. L'avevo ammirata per la forza, per la determinazione che aveva dimostrato dopo il tradimento di Isaac, e vedere che forse, quella, era stata solo apparenza, mi fece rabbrividire. Lei si accorse delle mie occhiate indagatrici, ma fece finta di non notarle, non mi diede spiegazioni, non spiccicò parola e solamente con l'uso dei gesti m'invitò ad entrare nel bar.

Osservai i suoi suggerimenti, aprì la porta spessa e pesante del café e fece entrare prima me. Una volta dentro mi ritrovai in un posto molto accogliente. La parete che coincideva con l'entrata era interamente di vetro, mentre il resto di legno. Dappertutto s'intravedevano dei tavolini rotondi, piccoli e verdi che potevano contenere al massimo tre persone ciascuno. Intorno ai tavoli, delle poltrone in vimini rendevano l'atmosfera intima, come se ci trovassimo in un giardino di casa.

Adelaide mi fece strada, ci accomodammo in uno dei tavolini più appartati. In tutto il tragitto non avevo smesso di guardare il suo volto. Trasmetteva molta ansia, timore, preoccupazione, e da quegli sguardi cominciai a preoccuparmi. Sembrava di dovermi confessare qualcosa di davvero serio. Prima di arrivare a quel fatidico appuntamento avevo calcolato tante ipotesi, avevo cercato di capire cosa dovesse dirmi Adelaide di così importante da convocarmi all'improvviso. Avevo immaginato potesse essere a causa di Castiel, e quindi per il suo rapporto conflittuale con il figlio. Oppure avevo pensato potesse essere per Debrah, per cercare di eliminarla una volta per tutte. Poi, visti i discorsi di qualche ora prima usciti dalla bocca di Castiel, avevo immaginato che il suo invito al bar potesse trattare di quel segreto che sembrava nascondere Debrah. Delle tre opzioni pensate, forse l'ultima poteva avvicinarsi alle sensazioni che mi stava trasmettendo quella donna con il suo volto. Ma allora cosa aveva fatto Debrah di così grave? A quanto parve lo avrei scoperto da lì a poco. 

Trascorse qualche secondo in silenzio, poi con un sospiro si fece coraggio; afferrò le mie mani e le trascinò verso le sue. Le strinse come per darmi forza e nello stesso tempo prendersene un po' anche lei.

«Ecco, vedi.. il mio rapporto con Castiel non è più lo stesso da quando Debrah è rientrata nella sua vita. Sapevo sarebbe andata così, per questo ero così in pensiero quando sono venuta a conoscenza del suo ritorno. E dire che avevo ripreso ad avere un rapporto decente con lui solo da un annetto; e ora... Non so più come parlare a mio figlio, dovrei raccontargli molte cose, ma quando provo a farlo, lui non vuole sentire ragione», sospirò. 

Finalmente si era decisa a parlare. Quella che stava uscendo dalla mamma di Castiel era una voce disperata, una voce senza alcuna speranza. Non era più la stessa voce di una donna forte e determinata. Le emozioni del suo cuore erano mutate. 

Volevo chiarezza senza stare troppo sulle spine. Volevo sapere se il suo rapporto con Castiel fosse l'argomento che le aveva spento gli occhi, quello che l'aveva spinta a chiamarmi d'urgenza. 

Però non feci in tempo a chiederle delucidazioni perché giunse verso di noi un cameriere in un uniforme molto formale. 

«Cosa gradiscono le Signore?» ci chiese cordialmente.

«Per me una cioccolata calda, grazie. E tu Miki, cosa prendi?» mi chiese a sua volta Adelaide.

«Anche per me una cioccolata calda. Grazie!»

Se c'era una bevanda calda d'eccellenza, per me era la cioccolata calda. Era buona, riscaldava e riempiva i cuori. Era un dato di fatto in tutto il mondo: "la cioccolata è un ottimo anti depressivo". Era vero. E sperai fino all'ultimo che quel pomeriggio potesse tirare su il morale anche alla donna dinanzi a me. Ma ancora non sapevo quanto invece avesse tutte le ragioni per sentirsi distrutta e triste. 

-

DEBRAH

«Ecco... Avevo pensato ad esempio di annullare il viaggio a Roma come giusta punizione, o magari ad espellerla definitivamente dal club di musica, o ancora a delle ore di lavoro pomeridiano forzato presso il nostro istituto. Merita una punizione esemplare per come mi ha mancata di rispetto!» proposi qualche idea alla direttrice. 

Il mio piano sarebbe funzionato, ne ero sicura. 

Con le mie parole, notai dal suo sguardo, che però la preside s'innervosì. Si tolse gli occhiali dal volto e gesticolando con quelli ancora tra le mani, cominciò a rimproverarmi ingiustamente.

«Mi faccia capire signorina Duval, lei è qui solamente da un giorno in veste di assistente e si permette il lusso di proporre punizioni?! Se mi conoscesse bene saprebbe che io non prendo ordini da nessuno! Ora vada, vada... Torni a casa, di sicuro avrà compiti più interessanti da svolgere piuttosto che giocare a fare la preside del mio liceo!»

Anche la preside era contro di me. Tutto il mondo quel pomeriggio parve essere contro di me. Non poteva essere vero. Ed io non potevo crederci. Uscii da quella stanza sconfitta, inizialmente mi tirai un ceffone in volto per capire se quello che stava accadendo fosse realtà o finzione. Pensavo di star dormendo. Ma a giudicare dal bruciore che sentii sulle guance, giudicai tutto come vero.

Miki era la più amata, Miki era protetta da tutti, da chiunque, non c'era modo di sferrarle un colpo basso. Maledetta ragazzina!

A quel punto avrei dovuto architettare un ulteriore piano che la rendesse ridicola o meno interessante agli occhi di Castiel. 

Trascorso qualche minuto a passeggiare nervosamente tra i corridoi della scuola, trovai un piano infallibile. In quel modo ogni cosa sarebbe tornata al suo posto. Io sarei tornata ad essere al centro dei pensieri di Castiel, al centro dei pensieri dell'intero liceo. 

Grazie alla mia nuova idea, Miki non avrebbe avuto giorni facili e felici a Roma. Non avrebbe avuto la sua fuga romantica con il mio ragazzo. Quella ragazza aveva tentato di rubarmi la scena sin troppe volte, ma soprattutto pretendeva di volere ciò che era già mio da molto tempo prima. Lei non l'avrebbe avuta vinta. Perché è Debrah Duval a vincere ogni guerra, sempre!

-

MIKI

«Non farmi venire ansia, non girarci intorno. Dimmi cosa succede, Adelaide...» fui schietta e quasi supplichevole. 

A giudicare dal suo aspetto non mi parve che l'unico motivo della sua richiesta urgente di parlarmi fosse il rapporto conflittuale con il figlio. Avevo l'impressione ci fosse qualcosa di grosso, sotto. Sperai di sbagliarmi. 

«Sì ora ci arrivo, perdonami. Sai, non è facile per me parlarne...» abbassò lo sguardo sulle nostre mani ancora legate «Potrò sembrarti addirittura pazza dopo averti confessato ciò che sto per dirti. Insomma, nessuno oltre te saprà questa cosa... E alla fin dei conti ci conosciamo da poco, non abbiamo legami, non sei neanche la ragazza di mio figlio...»

Adelaide affrontò la questione girandoci intorno. Il tono della sua voce oscillava, fremeva, come se avesse paura a raccontarmi quella verità. Avevo percepito tutta la sua angoscia e mi sentivo morire dall'ansia. Bramavo per scoprire quella maledetta verità.

«L-la verità è c-che non so con chi altro parlare di questa situazione così delicata. Tu hai un cuore buono, Castiel sembra farsi ragionare da te; anzi sei l'unica a poterlo avvicinare in questi mesi. Inoltre so che per lui faresti qualsiasi cosa», si zittì improvvisamente.

Nessuno mai prima di quel pomeriggio, aveva associato il mio cuore all'aggettivo buono. Lei era stata la prima. Appena, poi, fece il nome di Castiel le palpitazioni presero il sopravvento. Non udivo più il mio fiato, sentivo solo il rumore dei battiti del mio cuore. Non capivo come e quando fossi arrivata a quello stato. La mia infatuazione per quel ragazzo era cresciuta a vista d'occhio nonostante avesse una ragazza. Non sarebbe dovuto accadere. 

«Ecco a voi», fece irruzione il cameriere che su un vassoio portò due tazze colme di cioccolata calda fumante. 

Le poggiò sul tavolo, una davanti a me e l'altra dinanzi ad Adelaide, poi ci lasciò di nuovo sole. Le tazze erano bianche, al centro portavano il marchio di quel locale. Café de Flore, il nome di quel posto non mi suonò nuovo, eppure non ci ero mai stata lì di questo ne ero più che sicura.

Per spezzare un po' la tensione cambiai temporaneamente discorso, «perché mi sembra di conoscere questo posto sebbene sia sicura di non esserci mai stata qui, prima di oggi?!»

«Beh... Questo era un posto frequentato da Picasso. Inoltre ci sono molti dipinti che raffigurano il locale. È un bar storico; pensa, è stato aperto nel lontano 1887. Ha ispirato un romanzo, c'è un film con questo nome. Insomma hai potuto sentirne parlare in molti ambiti, magari per questo non ti è nuovo!» mi rispose la donna, molto ferrata sull'argomento. 

«WOW! Sicuramente ne avrò sentito parlare per questo, allora!» le sorrisi.

Passò qualche minuto, la tensione poteva essere tagliata con un coltello, mentre lei non si decideva a concludere il discorso. Si limitava solo a soffiare sulla bevanda bollente. Ed io stavo per essere divorata dall'ansia. 

«Adelaide ti supplico, dimmi cosa ti è successo...» non ne potevo più, risultai esasperata dalla voce, ma era la verità. Volevo sapere cos'altro fosse accaduto.

Quell'attesa era diventata straziante.

Percependo la mia tensione mista ad esasperazione, la donna continuando a soffiare sulla cioccolata calda per farla raffreddare, finalmente parlò ed il mio mondo si bloccò dinanzi a quella frase.

«Ho un cancro!» mi confidò cruda, con un filo di voce, senza riuscire a guardarmi negli occhi. 

Ed il mio mondo inaspettatamente si bloccò dinanzi a quell'amara confessione. Non potevo crederci. Non volevo. 

«D-dove?» mi si spezzò la voce nel chiederle quella domanda difficile.

«Al fegato!»

Improvvisamente sentii un peso al centro del corpo, tra stomaco e pancia.

Per un attimo i battiti del cuore si fermarono, il fiato si affievolì.

Le mani cominciarono a tremare.

Non sapevo cosa risponderle, cosa dirle, come consolarla. Il mondo, la vita era bastarda.

«L'ho scoperto qualche giorno fa, dopo una visita oncologica. Da qualche mese continuavo ad avere dolori lancinanti alla pancia, il medico mi ha consigliato di effettuare dell'ecografie per precauzione ed ecco cosa ho scoperto...» si mostrò il luogo del suo male.

In famiglia non avevo mai avuto casi simili, o con quelle malattie, ma in TV tra un programma e l'altro avevo sentito parlare spesso di quel tipo di malattia. Negli ultimi anni, i dottori sostenevano che il tasso dei tumori fosse aumentato a causa di sostanze inquinanti nell'aria, cibi di scarsa qualità e l'elevato stress. Quella malattia invasiva e con poche possibilità di scampo veniva definita da molti esperti, il male del secolo. E come dar loro torto? I casi di gente colpita crescevano ogni giorno di più.

Il cancro era una malattia di varie entità, chi era fortunato -per modo di dire- lo aveva benigno, e quindi facilmente operabile e guaribile. Quello tremendo invece era il maligno. Quest'ultimo consumava le cellule buone, poteva essere operabile in alcuni casi, ma doveva essere sconfitto con la chemioterapia o radioterapia. Entrambe erano devastanti, soprattutto per una donna. 

«È operabile?» le chiesi con un filo di voce. Sapevo di non essere di conforto in quel momento, ma quella confessione mi aveva completamente spiazzata, non avrei mai immaginato una svolta del genere per quella chiacchierata. 

«Mi hanno garantito di sì. Sarà un'operazione abbastanza difficoltosa, ce l'ho da qualche anno e per questo motivo si è ingrandito nel tempo. I medici mi hanno detto, per farmi capire, che il cancro ha dormito per tutti questi anni ed ora che si è risvegliato mi provoca tutti questi dolori. Mi hanno spiegato tutto perché io ho voluto sapere. C'è il rischio che durante l'operazione si espandano delle cellule che poi potrebbero intaccare altri organi e provocare ulteriori tumori, ma se non effettuo l'operazione rischierei di morire ugualmente tra qualche anno o forse tra qualche mese, chissà... quindi meglio tentare di salvarsi che lasciarsi morire prima del tempo, no?!»

Parlò tenendo il volto basso e sorseggiando la cioccolata di tanto in tanto; ma a differenza di poco prima, nella sua voce non si poté percepire alcuna emozione. La sua disperazione, parlando, sembrava essersi rassegnata... ma la mia no!

Inevitabilmente tutta la mia tensione, la mia paura per ciò che le sarebbe potuto accadere sfociò in un pianto. Sapevo bene che quel gesto l'avrebbe mortificata, ma non riuscii a trattenermi. Quello che mi era appena stato descritto era un problema troppo grande da affrontare, più grande di me, più grande di Castiel e persino più grande di Adelaide. Ed io avevo solo sedici anni, mi sentii impotente. Più pensavo al modo di risolvere quella situazione, più mi sentivo impedita mentalmente, psicologicamente. Avrei fatto ricerche su internet, contattato i migliori medici specializzati per aiutarla. Dovevo farlo, dovevo sbrigarmi prima che potesse essere troppo tardi.

Le mie lacrime furono per Castiel, perché il sol pensiero che anche lui avrebbe potuto perdere la figura materna mi straziò l'anima. Inevitabilmente tornai indietro negli anni, a quando anch'io avevo perso la mia. Sì, era stato per cause diverse, la mia era fuggita, probabilmente ancora viva e vegeta, ma tutta quella storia era assurda e schifosa. Adelaide aveva sbagliato in passato, ma necessitava del tempo per rimediare ai suoi errori. Era finalmente disposta a donare tutto l'amore che non era stata capace di dare precedentemente al figlio.. Ma la vita era stata bastarda. Avrebbe rischiato di morire con il rimorso di non esser riuscita a fare il genitore. Invece, Teresa, la mia presunta madre, senza malattia alcuna aveva preferito fuggire da me, diretta chissà dove con un altro uomo. Si era creata un'altra famiglia, probabilmente, dimenticandosi di sua figlia. Il Signore dà il pane a chi non ha i denti, era un dato di fatto quel detto. 

La vita era così ingiusta, il destino era così codardo... ma non poteva finire così. Non quella volta; non l'avrei permesso. Adelaide doveva lottare, Adelaide doveva sconfiggere quel male, Adelaide doveva vedere suo figlio sposarsi, sarebbe dovuta diventare nonna, Adelaide aveva ancora una vita davanti. Era giovane, non poteva lasciare questo mondo per nessuna ragione. C'era ancora bisogno di lei, tra i vivi. Lei sarebbe guarita sì, ed io l'avrei aiutata a farlo.

Con i miei nuovi ed inaspettati obiettivi per l'imminente futuro, mi asciugai le lacrime, mi alzai dalla poltrona e mi recai affianco ad Adelaide. Le presi la mano e gliela strinsi, finalmente mi decisi di darle forza.

«Hai tante persone che tengono a te; devi farcela per loro, per te. Il giorno dell'operazione saremo tutti lì insieme, pronti a sostenerti, ad aiutare a rialzarti quando scivolerai. Insieme ce la faremo, vedrai!»

Dopo le mie parole sollevò il volto e notai i suoi occhi lucidi. Parve che non fui così convincente come immaginavo. Non le avevo diffuso forza.

«Ci sono altre cose che devo dirti. Mettiti comoda!»

Feci come mi diceva, tornai al mio posto ed iniziai a sorseggiare lentamente la mia cioccolata. Fino a quel momento non mi ero accorta delle lacrime di Adelaide. I lunghi capelli rossi e spettinati le avevano coperto il volto ed io da grande ingenua qual ero, non mi accorsi delle gocce cadute dai suoi occhi. A giudicare dagli occhi arrossati, intuii che avesse pianto per tutto il tempo.

«Mi sento sola; mi sento terribilmente sola in questo momento, Miki. Ed ho così paura.. Ho paura di morire, caspita!» il battito del cuore mi si fermò dinanzi alle sue parole crude.

Provai a farmi forza, a non scoppiare nuovamente in lacrime, non avrei potuto. Non avrebbe fatto bene ad Adelaide vedermi piagnucolare. 

«No, no.. stai tranquilla», le carezzai il braccio che aveva poggiato sul tavolo «Tu non sei e non sarai mai sola. Dopo aver raccontato la verità, in molti ti aiuteranno, vedrai. C'è Castiel, Bruno, ci sono io.» le elencai tutte le persone che le stavano intorno senza menzionare, volutamente, né Isaac e né zia Kate.

«Touché Bruno. Sì certo, come no...» commentò con una risata sarcastica.

«Come no? Bruno ti aiuterà. Perché non dovrebbe? A proposito lui sa già qualcosa?» le chiesi ingenuamente.

«Possibile che ancora nessuno l'abbia capito?» roteò gli occhi al cielo «Bruno era un attore che ho pagato per mostrare ad Isaac di essere felice e serena anche senza di lui! Nessuno vuole una come me, tant'è che ho dovuto pagare per avere un compagno».

"Eh no però... il mio cuore non può sopportare tutte queste novità in un colpo solo". 

L'ennesima confessione di Adelaide nel giro di mezz'ora, colpì un'altra volta il mio cuore. Zia Kate aveva rovinato la vita ad una famiglia e quel gesto estremo compiuto dalla donna seduta difronte a me, lo testimoniava. Affittare un uomo era un gesto estremo, dava la prova di quanto Adelaide si sentisse sola ed abbandonata da tutti gli uomini più importanti della sua vita. Se una fetta abbondante di torta andasse ad Isaac, l'altra fetta poco meno piccola andava decisamente a Castiel. La madre stava cercando in tutti i modi di recuperare il tempo perso con lui, ma il rosso non gliene aveva dato modo orgoglioso com'era. E stava sbagliando.

Compativo quella donna eppure non riuscivo a spiccicare parola. Ero rimasta pietrificata.

«Ed ora ecco arrivato il pilastro della conversazione. Avrei estremo bisogno del tuo aiuto..»

«Ma certo, dimmi pure. Farò tutto il possibile».

«Potresti svelare della mia malattia a Castiel? Non riesco a rivelargli una cosa del genere, non ho il coraggio di guardarlo in volto. Inoltre non mi rivolge la parola, e quando lo fa è solo perché non può farne a meno. Non saprei come potergli dire questa cosa... Castiel fa il duro con chiunque, ma in realtà è più fragile di quanto tu possa immaginare.»

Sebbene la situazione fosse drammatica, involontariamente, appena parlò di Castiel, mi s'illuminarono gli occhi e sulle labbra mi spuntò il tipico sorriso da ebete sognante. Quando mi accorsi di esser stata troppo esplicita con i gesti, socchiusi gli occhi e scossi la testa in segno di errore.

«No, Miki, no. Non hai sbagliato. La spontaneità è il lato più bello che può avere una ragazza della tua età. So cosa provi per mio figlio e sono sicura che prima o poi se ne accorgerà anche lui. Non potete far altro che finire insieme, voi due» mi strizzò l'occhio finendo per farmi arrossire.

Ad un tratto la negatività sparì dagli occhi di Adelaide, sembrava fosse stato proprio a causa della mia reazione nel sentir parlare del figlio. Le si lesse negli occhi grande forza e voglia di vivere, quella che avrebbe dovuto avere chiunque si trovava a lottare tra la vita e la morte.

Non risposi alle sue insinuazioni su un'ipotetica tresca tra me ed il figlio, ma la rassicurai per altro. «Appena troverò il momento adatto per dire la verità a Castiel, lo farò. Voglio esserti utile per qualcosa, almeno».

Non m'importò se al momento della confessione avrebbe reagito malamente, se mi avrebbe mandata a farmi benedire, se mi avrebbe detto di non immischiarmi nella sua vita.. Perché se l'avesse fatto, mi sarei lasciata scivolare ogni cosa per una causa giusta. 

«Grazie!» le partì un ringraziamento sincero, non solo con la bocca ma anche con il cuore, gli occhi e l'anima.

Dopo quelle confessioni, Adelaide si sentì sollevata. Non aveva rivelato a nessun altro della sua malattia, io ero stata la prima. Mi sentii incredibilmente lusingata sebbene inquieta. Aveva bisogno di sfogarsi, di sentirsi dire che non avrebbe affrontato quel male in solitudine, ma che con lei ci sarei stata io e di sicuro anche Castiel ed io risultai essere di ottimo aiuto, per fortuna.

Quando l'ultimo goccio di cioccolata toccò le nostre bocche, Adelaide apparì una persona nuova, o meglio simile alla donna conosciuta al pranzo di Natale. 

Continuammo a chiacchierare per tutto il pomeriggio, fin quando l'orologio segnò le diciotto e trenta. 

«Grazie per questo pomeriggio, necessitavo di sorridere un po'» mi confessò prima di lasciarmi andare alla fermata dell'autobus.

«Non ringraziarmi, è il minimo. Nonostante la nostra breve conoscenza io ci tengo a te, sei un'amica. E le amiche si vedono nel momento del bisogno, no?! Non esitarmi a chiamare, per qualsiasi cosa correrò da te. Vedrai, insieme il peso da portare sarà più leggero. Insieme ce la faremo!»

Rispose con un abbraccio forte e un bacio sulla guancia, dopodiché scomparve dietro quel bar ad angolo.

-

Il giorno seguente a scuola venni convocata dalla preside nel suo ufficio, quella volta senza Castiel. Immaginavo già cosa mi sarebbe spettato, Debrah quasi sicuramente era corsa da lei ad accusarmi.

Camminai lungo il corridoio percorrendo per l'ennesima volta quel tragitto. Sapere che quella mattina sarei stata da sola con la preside, senza alcuna compagnia, mi fece un certo effetto. Solitamente ero rasserenata dal fatto che insieme a me ci fosse il rosso. Quando c'era lui vicino a me, mi sentivo quasi protetta, come se non mi potesse accadere niente di così grave neanche se la natura delle mie convocazioni fosse colpa sua. 

Per la centesima volta mi ritrovai dinanzi quella porta, per la millesima volta ci bussai e per l'ennesima volta la preside rispose con un "avanti". Entrai e senza far passare alla battuta seguente, la preside, mi accomodai su una delle due sedie difronte alla sua scrivania. Involontariamente guardai la sedia vuota, chiusi gli occhi e m'immaginai Castiel accanto a me. Le farfalle nello stomaco mi rassicurarono.. dopo averlo pensato mi sentii a mio agio.

«Signorina Rossi, sono stata informata dei disturbi provocati da lei nel club di musica. C'è stato ancora un sol giorno di lezione, com'è possibile?»

«Posso sapere cosa le ha riferito la signorina Duval?» fui schietta e diretta. Non mi servivano giri di parole, volevo sapere cosa mi spettava e subito.

«Chi le ha detto che è stata lei ad accusarla?»

«Nessuno, in realtà. Lei non vede l'ora di farmi espellere da quel club. Vuole rendermi la vita difficile, allontanarmi da Castiel. Sbaglio o le ha per caso detto che le torturo la vita, che sono gelosa di lei e voglio a tutti i costi rubarle il ragazzo?»affermai sarcasticamente sicura di aver indovinato.

«Esatto. E lei ammette di aver avuto quest'intenzione?» fu sorpresa, la direttrice per la veggente presente in me. 

«A scuola bisognerebbe essere puniti per i comportamenti indisciplinati, non per fatti di vita personale. Quindi non credo abbiano importanza le allusioni della signorina Duval!»

«Infatti lei sarà punita per aver abbandonato l'aula senza permesso e per aver aizzato contro una mia assistente, non perché entrambe vi contendete quel mascalzone di Black», puntualizzò la donna paffuta.

«Benissimo! Quindi non ha alcun bisogno di conoscere anche la mia versione della storia, tanto entrambe sappiamo che crederà ugualmente alla sua assistente invece che a me.» M'innervosii leggermente. 

Non aveva senso che mi facesse delle domande con risposte già scontate. Come aveva sostenuto anche Debrah, la preside avrebbe creduto a lei: un'assistente, una cantante, non a me semplice studentessa con media discreta.

«Signorina Rossi, lei è sospesa dall'attività dei club per un mese a partire da oggi. Durante le ore pomeridiane, in sostituzione del club di musica, aiuterà l'impresa di pulizia a mettere in ordine il liceo».

Un mese di attività sospesa era parecchio, ma sicuramente meglio di non poter partire per Roma. Sebbene non volessi tornare nella mia città, passare del tempo da sola con il rosso, era divenuto di estrema importanza. 

«Partirò ugualmente per Roma, quindi?» in fondo era quello il mio interesse principale.

«Sì, anche lei parteciperà a quel viaggio. È già stata organizzata e prenotata ogni cosa a suo nome, non possiamo permetterci di annullare e sperperare così il denaro».

Da quel momento in poi nella mia mente s'inceppò un disco che continuò a ripetere ininterrottamente le solite quattro parole. Miki. Castiel. Roma. Una settimana. 

-

NATHANIEL

Puntuale come un orologio svizzero suonai a casa Rossi.. e Miki ritardataria, come l'orologio di un autobus, non era ancora pronta. Mentre l'attendevo con ansia ripensai alla precedente volta in cui mi ritrovai ad aspettarla nello stesso punto e nella stessa posizione, la notte della vigilia di Natale. La sera del ballo, giorno da dimenticare quello. 

Ma quella sera Miki -la ragazza dei sogni di ogni notte- sarebbe stata mia per un'intera serata, pensare al passato non sarebbe stato necessario. Nè Ciak e né Castiel l'avrebbero potuta distrarre da me. Lei avrebbe avuto occhi e orecchie solo per me. Ero emozionato, perché pronto a raccontarle ogni cosa sulla mia vita, pronto a spiegarle il motivo dei miei comportamenti scostanti. Lei avrebbe saputo tutto senza nascondigli. Nessuno conosceva il motivo della mia severità per quei principi di castità autoimposti. Nel corso degli anni avevo creato un muro, nel quale nessuno poteva spiare oltre quei pochi buchi tralasciati. Dover abbattere quel muro completamente mi fece sentire indifeso, particolarmente in ansia; per nessuna prima di quel giorno c'era stata la necessità di distruggere la mia corazza. Per lei però l'avrei fatto. Se avessi voluto avere qualche possibilità in più con Miki, avrei dovuto gettare nel fiume ogni maschera, solo in quel modo lei mi avrebbe compreso, avrebbe potuto scegliermi. Quella ragazza mi piaceva, mi attraeva davvero tanto, avrei fatto di tutto pur di conquistarla. 

Quando apparve davanti ai miei occhi come una visione, ogni ansia scomparve.

La vidi scendere ancora una volta da quella scala, aveva un portamento da modella non sarei rimasto per niente scandalizzato se qualche noto stilista, un giorno, l'avrebbe scelta per entrare nel suo team. Era bella da togliere il fiato. Aveva i capelli poggiati, tutti, sul lato destro del collo, erano ondulati e di quel colore particolare che le permetteva di distinguersi da tutte le altre. La ragazza dai capelli ramati. 

Indossava un vestitino corto sopra le ginocchia. Era rosso e nero. Stranamente dal solito era semplice. La parte superiore era nera, poco scollata ed a maniche lunghe. Dalla vita in giù era rosso con una stoffa ondulata sul fondo schiena. Quella sera non era il vestito, non era il suo corpo a notarsi maggiormente, ma era il suo viso.

Il viso emetteva una luce diversa, negli occhi le si leggeva tristezza, come se le fosse accaduto qualcosa di terribile. 

Sarei tanto voluto essere la sua medicina, ma in cuor mio già all'epoca sapevo che quel posto fosse, da tempo, occupato da qualcun altro. 

-

MIKI

Se non avessi promesso a Nathaniel una cena per chiarire, quella sera sarei rimasta chiusa in camera a deprimermi con canzoni sdolcinate. Avevo bisogno di riflettere, pensare e ancora pensare. Castiel e la sua famiglia avevano bisogno del mio aiuto. Avrei dovuto pensare ad un modo per dire al rosso la verità, quell'amara verità che l'avrebbe spiazzato e che probabilmente gli avrebbe cambiato la vita per sempre. Non sapevo come affrontare l'argomento e soprattutto quando trovare il momento giusto. Quel mercoledì sera sarebbe dovuto essere rilassante per me, ma non riuscivo proprio a stare tranquilla. La malattia di Adelaide era arrivata troppo in fretta e mi aveva sconvolto totalmente. Iniziai a pregare affinché potesse guarire. Una disgrazia del genere sarebbe stata impossibile da sopportare. Non di nuovo, non proprio quando avevo trovato una confidente, una persona per cui valesse la pena essere amica. Maledizione, quella donna non meritava un destino del genere!

Forse anche Nathaniel si accorse della tristezza trapelata dai miei occhi. Mi guardava attonito, ed oltre ai sorrisi ancora non avevamo spiccicato parola. Ci eravamo salutati, eravamo entrati nel taxi che ci avrebbe portati al ristorante e niente più. Sembrò un po' deluso dal mio umore, ma non poteva sapere cosa avessi dentro. 

Per evitare di comportarmi come la solita stronza spezzai il ghiaccio. 

«Allora... Dove mi porterai questa sera?»

Alle mie parole tirò un sospiro di sollievo, finalmente gli avevo dato un minimo d'importanza. Sorrise con tutti i denti che si ritrovava «Restaurant à la musique!»

"Che??? Ho sentito bene? Coglione che non è altro. Quello è il cazzo di ristorante di Debrah. Ma come cazzo si è permesso a portarmi nel territorio nemico?! Stronzo!"

Non appena le mie orecchie udirono quel nome mi si drizzarono tutti i peli del corpo, e dico tutti, non volevo, non potevo crederci. Spalancai gli occhi ed in concomitanza sollevai le sopracciglia in segno di stupore. Era così, ero stupita e nello stesso tempo delusa. Tutta la scuola, lui compreso, sapeva quanto io e quella ragazza ci odiassimo sin dal nostro primo sguardo. "Cretino, deficiente che non è altro!"

«È un fottuto scherzo questo? Ma sai di chi è quel ristorante?» per poco non invasi il suo sedile per strozzarlo. 

«Certo! Della famiglia Duval. Voglio che tutti sappiano di noi, Miki. Debrah è una ragazza a cui piace molto spettegolare. Domani l'intera scuola saprà che abbiamo cenato insieme».

«Noi? Di noi? Cosa dovrebbero sapere gli altri di noi?» la mia ira cresceva di secondo in secondo. Fui sicura di essere rossa in volto per la rabbia. 

Non potevo accettare una cosa del genere, non potevo accettare di vedere anche dopo la scuola quella vipera. E se ci fosse stato anche Castiel con lei nel suo ristorante, cosa avrebbe pensato di me? Non dovevo accettare quella cena, non dovevo fare un bel niente con quel biondo, ormai, senza cervello. Avevo sbagliato tutto, ancora una volta. Ero una fottuta frana nei rapporti sociali. Ma chi diamine se la sarebbe aspettata questa da uno come Nathaniel? Prima di perdere il posto da delegato era conosciuto da tutti come una persona particolarmente riservata, discreta, del tutto indifferente del giudizio altrui. Ma quello accanto a me, in quel taxi, quella sera, chi diamine era? Mi lasciò del tutto interdetta e con una voglia crescente di aprire lo sportello e darmela a gambe. 

«Che ci stiamo frequentando...» sorrise sarcasticamente come se fosse già ovvio. 

Ma ovvio un corno. 

«No Nath. Ero stata chiara quando ho accettato di accompagnarti. Questa sarebbe dovuta essere una cena di chiarimenti, non un vero e proprio appuntamento. La mia vita è già abbastanza incasinata, non voglio assolutamente trascinare anche te. Inizialmente, a Dicembre, avevo pensato che magari ci saremmo potuti dare una possibilità ma ora non lo penso più. È inutile girarci intorno..» sapevo di esser risultata insensibile nello sbattergli la verità così crudamente, ma quel suo trarre conclusioni affrettate mi aveva fatto imbestialire. 

Non ci eravamo parlati per settimane intere, avevamo ripreso ad avere rapporti civili solamente il giorno prima e lui era convinto che ci stessimo frequentando solamente per aver accettato di cenare con lui. Assurdo! 

«Lascia decidere me se volessi o meno essere trascinato nel casino che è la tua vita!»

«No, non ti voglio io! Non in quel senso», quasi urlai. 

In un momento come quello non avevo la minima intenzione di impegnarmi in una relazione seria, non ci tenevo a stare ancora male. La prima cotta della mia vita era stata un fiasco totale. In più anche Nathaniel mi aveva nascosto parecchie cose sulla sua relazione con Melody, non riuscivo a fidarmi ancora di lui. E poi... Lui non era Castiel. Non avevo idea di quante cose mi stessero frullando nella testa in un minuto, e in realtà non sapevo proprio che pensare, non sapevo con certezza quali fossero i miei sentimenti nei confronti dei due ragazzi. Non sapevo niente, ero confusa.

Lui non rispose a quella mia affermazione. Ma a giudicare dall'espressione del suo volto mi resi conto che quel messaggio era giunto al destinatario. Il sorriso era scomparso, non riusciva più a guardarmi negli occhi. Prese ad ammirare -dal finestrino del taxi- il paesaggio illuminato dai lampioni sulle strade di Parigi. Lo imitai.

Appena mi voltai a sinistra verso il finestrino, vidi spuntare le luci dell'insegna di quel maledetto ristorante. Lì dove i miei sogni si erano fermati, dove avevo conosciuto la mia rivale, dove avevo intravisto per la prima volta quella vipera, dove ogni tipo di relazione con Castiel aveva subìto un peggioramento drastico. 

Scendendo dall'auto e prima di entrare nel ristorante, chiusi gli occhi e ricordai con disperazione quel terribile giorno.

Era molto illuminato. Il soffitto era fatto di vetro, così da poter ammirare il cielo. Oltre i lampadari fatti a mo' di grappolo, vi erano due lampioni per ogni tavolo. Erano quei lampioni solitamente situati nei parchi. Era un posto molto suggestivo e interamente di legno. Come centro tavola erano sistemate delle chitarre e violini in miniatura per richiamare il nome del locale. Poi poco lontano dai tavoli c'era un palco vuoto con tutti gli strumenti. Sicuramente suonavano musica dal vivo. Mi s'illuminarono gli occhi nell'ammirare quel ristorante. Era davvero molto bello. Avrei tanto voluto fare i complimenti al proprietario.

«Ti ha accompagnata quel ragazzo sulla moto che c'è fuori?» mi chiese la stessa voce che aveva risposto al telefono poche ore prima. Aveva una voce particolare, mi era rimasta impressa per quel motivo.

Mi voltai in direzione della voce e mi si presentò una ragazza davvero, davvero bella. Era alta quasi quanto me, dei lunghissimi capelli castani e lisci le contornavano il volto. Ma la vera particolarità di quella ragazza erano i suoi occhi. Aveva dei grandissimi occhi celesti, parecchio chiari. Ammaliavano, ma non sembravano limpidi e buoni all'apparenza. Guardai la sua figura per intero e notai fosse molto magra ma con delle forme parecchio definite. Doveva avere quasi la mia stessa età ed un modo di vestire appariscente. In quel momento indossava dei pantaloni stretti di pelle nera, degli stivali alti ed un top parecchio scollato. Le sue braccia erano contornate da tatuaggi a dir poco volgari, a mio parere.

«Hai finito di farmi la radiografia?» si riferì al fatto che la stessi osservando più del dovuto. In effetti aveva ragione, eppure non mi sentii in dovere di chiederle scusa, la guardai di sbieco senza aprire bocca. Mi sentivo quasi minacciata da lei, non riuscivo a capirne il motivo.

«Allora, sei con lui o no?» mi rinfrescò la mente sulla prima domanda.

Conosceva Castiel?

«Sì, lui è con me. Perché?» corrugai la fronte in attesa della sua risposta.

«State insieme, insieme?» si dipinse un'espressione di fastidio sul suo volto e oserei dire gelosia.

«Ma questo è un ristorante o un programma di Maria De Filippi?» risposi sarcasticamente e nello stesso tempo innervosita. Mi stava stufando quella ragazza.

«Oh sei italiana! Bene, bene» sorrise diabolicamente. Ma era pazza o cosa?

«Continuo a non capire per quale motivo dovrebbe interessarti» alzai le sopracciglia, infastidita da lei e dal suo continuo ficcanasare.

«Sono l'ex ragazza di Castiel, ma lui mi appartiene ancora. Tornerà da me!»

"Oh beh... una delle tante, figuriamoci. Eppure perché continuo ad avere l'impressione che lei non fosse stata la sua ragazza solo per una notte?" Castiel era diventato nervoso appena avevo comunicato il nome del locale, non era voluto entrare. Stavo ricollegando tutto. Lei doveva essere la proprietaria del posto o qualcosa di simile.

«E a me dovrebbe interessare perché..?» le risposi, eppure m'interessava eccome, ma non volevo dare troppe soddisfazioni a quella strana ragazza. Sapevo mi stesse testando.

«Tanto lo so che sei gelosa da morire» mi provocò con aria di superiorità.

«Senti cara, vuoi darmi gentilmente un menu così posso finalmente andarmene e non rivederti mai più?»

Stavo realmente perdendo le staffe. Era bella, ma continuava a sentirsi la regina del mondo, come se tutto il mondo fosse ai suoi piedi, compreso Castiel. Non poteva sapere se lui provasse ancora qualcosa per lei, eppure lei era convinta che sarebbero ritornati insieme.

«Si vede lontano un miglio che ti piace» mi derise «peccato però, tu non sei proprio il suo tipo» si finse dispiaciuta.

«Dovresti dire peccato per te, invece. Io e Castiel stiamo insieme. Quindi evapora gentilmente, grazie!»

Sapevo di aver detto una bugia, ma non la sopportavo più. Dovevo farla scendere dal piedistallo in qualche modo e quello di dirle del mio fidanzamento con il rosso mi sembrò l'unica possibilità.

«Oh bene. Proprio ciò che mi serviva sapere. Allora, scrivi questo nome nella tua testa: Debrah Duval. Sarò il tuo terrore!»

Debrah Duval. Era lei, quindi, la famosa Debrah. Il nome che più volte avevo sentito nei corridoi a scuola, la storia che nessuno osava raccontarmi. In quel momento ebbi la conferma che lei non era stata solamente la ragazza di una notte per Castiel. Tutti affiancavano il nome del rosso al suo, doveva esserci un motivo.

Se solo fossi potuta tornare indietro con il tempo, avrei commesso un omicidio.. o perlomeno l'avrei rinchiusa in uno stanzino. Avrei sequestrato quella ragazza come i peggior delinquenti e l'avrei lasciata sola, al buio a morire di fame, si sarebbe meritato questo una come lei. Da quando lei era entrata nella mia vita, tutte le cose erano peggiorate. Io e Castiel ci parlavamo appena, Adelaide era stata, letteralmente, tolta di casa e dalla vita del figlio. Ed io stavo continuamente male, subivo boicottaggi, la vedevo dappertutto, lei era diventata un terrore, una persecuzione per me. E purtroppo ebbi il presentimento che il peggio sarebbe stato dietro l'angolo, non era ancora avvenuto.

Entrammo nel ristorante e subito mi guardai intorno. L'arredamento del locale era rimasto identico a Dicembre. Guardai dappertutto per assicurarmi che non ci fosse nessuno di mia conoscenza. Dopo lo scontro avuto il giorno prima non avevo intenzione d'incontrare quello sguardo perfido.. e tantomeno d'incontrare quello sensuale di Castiel.

Un cameriere molto giovane, direi quasi della mia stessa età, c'indirizzò verso un tavolo appartato. Era situato in una parete ad angolo con l'illuminazione a lume di candela. Per la prima volta mi sentii intimidita dalla presenza di Nathaniel. Non mi erano piaciute le sue dichiarazioni. Il ragazzo biondo del taxi non mi piaceva affatto, troppo diverso dal segretario delegato gentile conosciuto fino a quel giorno.

Quando mi superò per spostare la sedia e farmi sedere, però, rividi dei tratti del solito Nathaniel. Era un po' come se avesse tanti lati, varie sfaccettature di carattere, alcune belle, altre bellissime ed altre ancora brutte. Non seppi valutare se la mia personalità nascondesse dei lati masochisti, ma a tratti le parti, per così dire, brutte di Nathaniel m'incuriosivano, m'intrigarono. Sembravano una novità, un'attrazione per chiunque non l'avesse mai visto in quel modo. Ero talmente abituata a vederlo nei panni del ragazzo serio e perfetto da sembrare qualcosa di surreale la sua somiglianza al carattere di Castiel. E forse quel suo lato mi attraeva solamente perché vicino alla personalità del rosso. Maledetto pomodoro, era sempre nei miei pensieri!

Con fare svelto, dopo avermi fatta accomodare, si precipitò dal lato opposto del tavolo sedendosi al suo posto. Da lì iniziò a fissarmi negli occhi ed io arrossii di conseguenza. Chi se lo sarebbe mai immaginato?!? Io intimidita da uno come Nathaniel?!?

Il fatto spiazzante fu che quella sera, il biondo, aveva degli occhi limpidi, come se mi avesse dato il permesso di scoprire la sua anima, come se si fosse tolto la lente, quella protezione che mi aveva sempre impedito di avvicinarmi a lui.

«Mi permetteresti di ordinare anche per te? Conosco tutte le specialità di questo posto e vorrei fartele assaggiare», mi domandò spontaneamente. Era entrato in scena con quella richiesta futile, senza aggiungere altro in riferimento al discorso fatto nel taxi.

Feci cenno di sì con la testa senza sprecare fiato, non serviva. Quella sera gli avrei permesso di giocare tutte le sue carte, non gli avrei negato nulla, ero curiosa di capire fin dove si potesse spingere. Ero attratta da quel suo nuovo essere, sebbene gli avessi detto chiaro e tondo che non avrebbe avuto possibilità con me. Pian piano la rabbia provata verso di lui in auto stava andando a scemare. 

Chiamò educatamente il cameriere che dopo aver appuntato una serie di pietanze da ordinare, elencate da Nathaniel, se ne andò. 

«Allora» il biondo si schiarì la voce; «posso cominciare adesso. A tutto c'è un motivo, credimi Miki!»

Il momento della verità era arrivato, nessuno dei due sarebbe più potuto scappare. Io gli avrei raccontato parte della verità su Ciak e Nathaniel mi avrebbe reso partecipe di alcuni fatti importanti della sua vita. Certo, non era uno scambio equo, ma io non potevo permettermi di raccontare tutta la mia verità. Non potevo raccontare i segreti nascosti della mia vita, sulla mia infanzia, no.. quelle sarebbero state cicatrici indelebili mai svelate e scoperte da nessuno.

«Ho avuto altre ragazze nella mia vita, ma mai con nessuna sono andato oltre i baci e le palpate. Le ragazze che ho avuto sono state, da sempre, testate prima dai miei genitori e poi da me. Prima di valutare se avessi potuto o meno frequentarle, le facevo conoscere a loro. Melody addirittura mi è stata imposta dai miei genitori. Un po' come accadeva ai vecchi tempi. I nostri padri hanno progettato già il nostro futuro insieme, figli, ipotetico lavoro, casa... Tutto. Prima di Melody ero più libero di lasciare le ragazze, ma non pensare che ne abbia avute chissà quante. Prima di lei forse due. Potevo lasciarle solo perché non avevo disobbedito alle regole morali della mia famiglia. Ora che non voglio più neanche Melody sono usciti fuori vari problemi, sarà difficile convincerli di volere qualcun'altra..»

"Quindi vuol dire che io sono già stata testata? O sono in fase di prova? Com'è che funziona?!" la voce interiore del mio subconscio cominciò a punzecchiarmi. Non provai neanche a pensare a ciò che mi disse di Melody. Non avevo mai tollerato quel genere di famiglia dalle regole ferree. 

«Scusa se t'interrompo; ma io non sono stata testata da loro, vero? Non ho mai conosciuto i tuoi genitori. Oddio non mi dire che mi hanno spiata, hanno messo qualche microchip nei miei vestiti per capire se fossi o meno adatta a te?!» mi venne spontaneo chiedergli vista la sua continua insistenza nei miei confronti. Più volte mi aveva corteggiata, mi aveva esplicitamente detto di essere infatuato di me, e visto che assecondava solo le scelte fatte dai suoi genitori non capivo come potessi esser stata considerata degna di lui essendo orfana, indossando abiti provocanti e via dicendo. Le mie supposizioni lo fecero ridere.

Emise un sorriso che non gli avevo mai visto prima d'allora, un sorriso convinto e sincero, come se si aspettasse quella domanda, come se si fosse già preparato la risposta. Ed infatti rispose sùbito fiero.

«No, loro non sanno di te. O meglio ormai lo sanno grazie a Melody. È uscita fuori di testa quando ha capito che con te volessi fare sul serio ed è corsa a casa dei miei a spifferare ogni cosa. Ma non m'importa più. Tu sei diversa! Tu mi hai aperto gli occhi. Appena ti ho vista è scattato qualcosa dentro di me, un desiderio che non avevo mai provato per nessuna. Ho avuto l'istinto di cedere, la volontà di possederti anche se tu non fossi stata vergine o la mia ragazza. Tu mi mandi in tilt, Miki!» si portò la mano destra dietro la testa ed arrossì per le ammissioni appena fatte. Un gesto tipico di lui.

La sua sincerità mi spiazzò e m'intenerì nello stesso tempo. Nathaniel era un ragazzo costruito davanti agli altri, attento ad apparire sempre perfetto, ma c'erano dei momenti in cui riusciva a dimostrare la parte reale e sincera di lui come accadde quella sera. Finalmente aveva deciso di gettare via la maschera e lo stava facendo con me. Mi sentii lusingata. Nessuno, a detta sua, conosceva quelle parti di verità e soltanto io ne stavo avendo il privilegio. Dimenticai le insinuazioni fatte da lui nel taxi, grazie alle sue parole la rabbia verso di lui non esisteva più.

«Wow! Grazie...» non sapevo cos'altro aggiungere. Mi aveva spiazzata. Così cercai di chiarire alcuni dubbi «Vorrei sapere qualcos'altro... perché sia tu che la tua ipotetica ragazza dovete essere per forza vergini? Non riesco a capire questo passaggio».

Più volte aveva giudicato chi decidesse di amarsi in tutti i modi possibili, chi decidesse di avere una vita sessuale attiva, giudicava persino sua sorella per quello. Se fosse stato un principio morale della sua famiglia allora perché Nathaniel avrebbe dovuto osservarlo mentre Ambra no? 

Dopo aver formulato la domanda, il cameriere giunse verso il nostro tavolo porgendoci le pietanze ordinate da Nathaniel. Rimasi stupita, aveva ordinato tutto il Menu. Ci erano stati portati tanti assaggi di ogni pietanza, non saremmo mai riusciti a mangiare tutto.

«Chi dovrebbe mangiarle tutte queste cose? Siamo due persone non un esercito!» mi venne spontaneo enunciare.

E lui, aspettandosi anche quell'affermazione, rispose fiero e convinto «Ho il mio asso nella manica» facendomi l'occhiolino.

A meno che non avesse una sorta di buco nero nello stomaco, non capivo cosa potesse considerare asso nella manica. Tutto il tavolo era strapieno di cibo, ero davvero sbalordita. Aveva ordinato tutte le pietanze a base di pesce presenti nel menù, ad iniziare dall'antipasto di mare a finire con la grigliata di pesce. Assurdo!

«Non fare quella faccia» rise di me «non è niente d'inquietante. In alcuni punti della città, quando mi trovo in zona, do da mangiare a dei gatti randagi. I miei non mi permettono di tenerne qualcuno in casa, così mi diletto a curarne quanto più posso» mi rivelò il suo asso nella manica. Quella rivelazione mi stupì piacevolmente. 

Tra un boccone e l'altro, Nathaniel sembrò essere sempre più simpatico e naturale. Pian piano l'imbarazzo iniziale si sciolse, complice il fatto di non aver intravisto né Castiel e né Debrah, evidentemente erano entrambi altrove a fare chissà cosa. Scossi la testa. Non dovevo pensare a lui, non quella sera. Ritornai così a concentrarmi sul meraviglioso ragazzo seduto di fronte a me. Forse ad aiutarlo a renderlo diverso ai miei occhi era stato anche l'abbigliamento indossato per la cena. Aveva dei pantaloni beige e un maglione semplice nero. Ero abituata a vederlo in camicia e cravatta, ma mai in un maglione.

Quando i nostri stomachi furono abbastanza pieni, riprese a raccontare la sua verità. Partì dalla mia domanda fatta più di mezz'ora prima, alla quale non aveva ancora risposto. 

«Ciò che sto per dirti non è semplice da raccontare. Ancora oggi me ne vergogno molto, ma devo farlo per permetterti di capire».

Vidi nuovamente l'ansia nell'espressione del suo volto e nelle sue parole. A breve avrei scoperto cosa impediva a Nathaniel di vivere la vita come un ragazzo normale. 

-

DEBRAH

Sebbene ancora delusa dai comportamenti di Castiel del giorno prima, dovetti mettere da parte l'orgoglio e scrivergli un messaggio per permettere la realizzazione del mio piano. 

DEBRAH: Ciao amore che fai?

CASTIEL: Cazzi miei!

Dovevo immaginare quella risposta, ormai non ero più io ad essere privilegiata, non ero più io la sua eccezione. Da lui venivo trattata con sufficienza, come faceva con tutti gli altri. 

Così decisi di fingere, di non esser rimasta ferita dalla sua risposta e proseguii. 

DEBRAH: Io sono al ristorante, stasera mi tocca fare da lavapiatti. Bleah :(

Castiel a quel punto non rispose più, decisi così di tagliare corto per poter studiare la sua reazione a ciò che gli avrei riferito.

DEBRAH: Non hai idea di chi c'è qui a cenare nel ristorante..

CASTIEL: Chi? Un'accalappia pettegole?!?

DEBRAH: Puff che acidità... No. Sono due ragazzi della nostra scuola.

CASTIEL: Hai mai pensato di fare richiesta per entrare nel club del giornalino di Peggy? Ci sei tagliata per questo lavoro!

DEBRAH: Grazie per il consiglio, ci penserò :P Comunque ti do un indizio... la mia peggior nemica ed il tuo peggior nemico.

CASTIEL: I fratelli Daniels?!? Ahah com'è caduto in basso l'ex delegato... Non è capace di uscire con una ragazza che non sia sua sorella.. sfigato!

DEBRAH: Possibile che tu sia così idiota? C'è Nathaniel, sì, ma non con Ambra, è con un'altra ragazza... Le parole Italia, Roma e Paco Rabanne ti dicono qualcosa?

Come volevasi dimostrare, dopo quell'informazione Castiel non rispose. Lo conoscevo a tal punto da sapere che non rispondesse ai messaggi solo per rabbia o nervosismo ed evidentemente quella notizia di sapere Nathaniel e Miki insieme, l'aveva mandato su tutte le furie. A Castiel non era indifferente Miki, quella era la prova che aspettavo.

Una volta scoperte le carte mi sarebbe toccato giocare sporco, Castiel avrebbe dovuto odiare Miki Puzzi.

Grazie all'aiuto involontario di Nathaniel il piano di distruggere Miki sarebbe stato più veloce di quanto avessi immaginato. La piccola e dolce ragazza sarebbe rimasta non scottata ma ustionata da quella storia.

-

MIKI

Quando Nathaniel, facendo un respiro profondo, poggiò le mani -che avevo sul tavolo- sulle sue, capii fosse giunto il momento.

Finalmente avrei conosciuto la verità essenziale.

«Tutto cominciò quando mio padre era giovane. Era scapestrato, aveva ragazze in ogni posto nel quale metteva piede. Viaggiava molto visto che i suoi genitori, nonché i miei nonni, erano i proprietari di una nota linea di navi da crociera. Si ubriacava tutti i giorni ed andava oltre con ogni ragazza che gli piaceva.. fin quando incontrò mia madre. Avevano entrambi diciannove anni quando si conobbero. Lei era figlia di un uomo d'affari e si conobbero proprio su una delle navi dei miei nonni paterni. Mio padre se ne innamorò follemente per il semplice fatto che lo rifiutò.. era cattolica convinta e voleva conservare la sua verginità fino al matrimonio. Lei era diversa dalle altre, non cercava avventure anche se se lo sarebbe potuto permettere vista la sua bellezza evidente e vista la corte spietata che le facevano molti uomini. Inizialmente papà questa sua scelta non l'aveva accettata, lui voleva tutto da lei, così la lasciò andare e non ebbero contatti per più di quattro mesi.. Ma poi lui ritornò sui suoi passi; ritornò da lei, e grazie ad amicizie in comune riuscì a rintracciarla facilmente. La distanza lo aveva fatto riflettere e aveva maturato i suoi sentimenti. Così si sposarono.. Però a distanza di molti anni, quando mia madre era in dolce attesa di me ed Ambra, mio padre scoprì di avere tre figli, tutti dalle sue avventure di una notte. Mamma non lo accettò dapprima, ma in un secondo momento lo perdonò, promettendosi che avrebbero cresciuto il loro figlio lontano dai peccati terreni. Passarono momenti difficili e tutt'ora mio padre ne sta pagando le conseguenze. Sborsa sempre soldi a questi figli ed alle loro mamme, perché teme che si possa venire a sapere in giro. Essendo, ora, un uomo d'affari non può in nessun modo permettersi di avere una pessima reputazione. Ed ecco io.. fino a poco tempo fa...»

«Ehi, tranquillo. Con me la tua storia è al sicuro» carezzandogli la mano, lo tranquillizzai.

Si capiva da lontano un miglio che si sentisse a disagio e in pericolo nel rivelare tutti gli scheletri nell'armadio della sua famiglia. 

«I-io... Ecco, a me non importava nulla delle loro regole. Fino ai quattordici anni sono stato un figlio molto indisciplinato. Baciavo chi mi capitava, combinavo guai in giro. Più tempo passava e più i miei iniziavano a temere che crescendo avrei potuto fare di peggio, che sarei finito per ritrovarmi nella stessa situazione di mio padre...»

Mentre andava avanti con il racconto teneva gli occhi fissi in un punto vuoto, forse non aveva il coraggio di guardarmi, forse per lui era già un traguardo raccontare a qualcuno il suo passato. Nelle sue parole si leggeva tanta rabbia e pentimento. Prima di andare avanti con il racconto fece un respiro ansioso, poi spostando lo sguardo ed il volto verso il basso continuò:

«Così per ridimensionarmi, per educarmi, decisero di segregarmi nella biblioteca della villa di famiglia per giorni interi. Per me quella divenne la stanza delle punizioni. Non avevo nient'altro che libri. Solo quelli potevano farmi compagnia. Passai parecchio tempo in quella camera, mi rinchiudevano per tre giorni non appena commettevo qualche errore. Mangiavo e bevevo solo il cibo portato da loro. Mi allontanarono da tutte le amicizie, dormivo sul pavimento. Ora non starò qui a raccontarti ciò che mi accadeva lì dentro, ma ti basta sapere che quello che ho subìto mi è bastato per stravolgere il mio stile di vita. Sono diventato una specie di burattino nelle mani di mio padre, ma questa semi-libertà è d'oro rispetto a quella avuta in quel periodo, quindi mi sta bene così».

Sarebbe stato di gran lunga migliore ascoltare un altro tipo di verità, ad esempio se Nathaniel avesse fatto il voto di castità per un motivo religioso. Simulare una specie di carcere in casa era da matti, un po' come avere dei figli sparsi per il mondo. Non mi sarei mai aspettata quel tipo di realtà. Nathaniel aveva avuto un'infanzia terribile, per certi versi paragonabile alla mia.

Non avevo idea di come avrei potuto rispondergli, di come avrei potuto consolarlo. Il mio inconscio mi suggerì che in verità un modo c'era, ma io non volevo rivelare i dettagli della mia infanzia, quindi decisi di stare in silenzio. Parlare e riparlare, raccontare e raccontare ancora su dolori, ferite aperte non era il meglio per me. Volevo che la maggior parte del mio passato restasse chiusa in un cassetto, nel mio diario segreto dove mai nessuno ci avrebbe messo mani od occhi.

«Capisco ciò che ti è accaduto, e me ne dispiace molto.. Ma lascia che ti dica che non puoi permettere ad altri di scegliere la tua vita. Cavolo Nath, tuo padre se l'è spassata una vita intera.. Perché tu ora non potresti? Loro devono consigliarti, guidarti, com'è giusto che sia, ma non importi scelte. E poi.. Io credo che anche qualora decidessi di darti da fare con qualcuna, useresti le giuste precauzioni per non combinare guai. Non saresti così sciocco da mettere qualcuna incinta. Nella vita ci vuole il giusto equilibrio, non bisogna mai eccedere. E poi mica che tutti coloro che fanno sesso prima del matrimonio hanno figli... Ciò che è capitato a tuo padre è un evento singolo, lui è stato incosciente, era ubriaco la maggior parte delle volte per questo ha così tanti figli sparsi per il mondo. Questo a te non potrebbe mai capitare, sei attento ad ogni cosa, sei perfetto, del tutto cosciente e astemio. Apri gli occhi e vivi, Nath!»

Sperai di esser stata chiara con quel mio discorso. Avrei tanto voluto aprirgli gli occhi, fargli capire di quanto la vita scorra veloce, era un peccato mettersi freni; non poteva basarsi su avvenimenti accaduti al padre. Lui non era così imbecille da commettere gli stessi errori. 

«Oggi sono ciò che sono solo grazie all'educazione ferrea che ho avuto. Per questo non mi potrebbe più capitare quello che è accaduto a lui. Tu non sapevi come fossi prima, non mi conoscevi, solo Cast-» alzò di scatto il volto e finalmente cominciò a guardarmi negli occhi. Aveva le orbite di fuori. Sapevo quale nome stesse per enunciare, ma non lo fece. Si bloccò con una nuova espressione di dolore nello sguardo. Avrei tanto voluto scoprire per quale motivo i due avessero discusso. Rosalya me ne aveva parlato più volte, ma non conosceva il reale motivo del loro litigio. Sapevo che un tempo fossero stati migliori amici e che ad un certo punto avessero litigato, si fossero menati e mai più parlati. 

Non presi il discorso "Castiel", mi limitai a cercare di fargli cambiare idea sul fatto che i suoi genitori fossero legittimati a scegliere la sua vita al posto suo. «Non ti conoscevo, vero. Ma ti conosco ora e sei ancora in tempo per abbandonare le tradizioni e vivere la tua vita da normale adolescente spensierato. La vita è una e i diciassette anni non torneranno mai più. Nath, comincia a vivere. Prendi esempio da tua sorella», pensavo che non l'avrei mai detto, ma Ambra viveva di gran lunga meglio di lui. 

«Ah guarda, lei non so come fa.. I miei pensano che ancora sia vergine. Ha una tale capacità di rigirare le parole e di raccontare menzogne che a volte anch'io inizio a credere che stia raccontando la verità. Anch'io che conosco la verità dubito su quale sia la realtà quand'è lei a parlare.. Quindi immagina!»

In quel momento cercò di giustificarsi, di cambiare discorso. Sembrava non avesse alcun intenzione di cambiare idea, eppure neanche un'ora prima mi aveva fatto capire chiaro e tondo che a causa mia avesse avuto delle tentazioni, che io lo stessi facendo cambiare. Evidentemente si trovava in un momento di totale confusione. 

«E tu invece? Non dovevi dirmi niente?» mi chiese poi con fare sospetto. Non aveva più alcuna intenzione di parlare del suo passato ed io lo assecondai. Dopotutto mi aveva già rivelato gran parte della sua vita.

«Beh sì... Ciak è il mio migliore amico da quasi undici anni, ogni tanto giochiamo a stare insieme per capire quante persone ci scoprono. Qui a Parigi è la prima volta che veniamo scoperti. Ecco tutto, non abbiamo mentito per nessuno scopo malefico o motivo strano».

Non ero stata leale nei suoi confronti. Quantomeno meritava parte della verità, ma non potevo farlo attualmente. Lo avrei fatto al ritorno da Roma, avevo deciso ormai. Non potevo permettere che si sapesse la verità in quel momento.

Alla fine trovai la stessa scusante utilizzata con Castiel. Lo feci con una tale sicurezza da farlo cascare all'istante. Mi credette, ma ovviamente lui non poteva concepire cose come quelle. Lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non avrebbe mai finto. Infatti ebbi la conferma dai suoi occhi, gli si leggeva disapprovazione, ma non mi disse ugualmente niente. Non rispose nonostante non approvasse quello che avevo fatto.

Ad un tratto sentii vibrare il cellulare che si trovava nella pochette vicino la mia gamba. Non ne capivo il motivo ma percepii un brutto e strano presentimento. Forse ero suggestionata dal semplice fatto che mi trovassi nel locale di Debrah. Eppure durante la cena non avevo visto nessuno, avevo squadrato ogni angolo per cercare lei o Castiel, ma di loro non c'era stata traccia.

Non lessi il testo di quel messaggio davanti a Nathaniel, viste le sue regole di bon ton mi avrebbe giudicata una maleducata se avessi preso il telefono a tavola, davanti a lui. Così inventai una banale scusa e mi recai alla toilette per leggerlo in pace. 

Una volta in bagno, presi il cellulare e lessi subito il mittente. Castiel. Era lui... quando non aveva nulla di meglio da fare sbucava davanti a me come un canguro saltellante. Poi m'illudeva e spariva di nuovo. Ma nonostante tutti i punti a suo sfavore che avrebbero dovuto farmelo odiare, non riuscii ad evitare di leggere quel messaggio. 

Miki vieni tra 15 minuti a casa mia, sola. Devo parlarti!

Ed io come una stupida falena avrei continuato a scambiare la fonte di luce della lampadina per quella della luna. Sarei volata intorno a lui ancora una volta, ma sapevo bene che avrei finito per bruciarmi prima o poi, perché ingannata e disorientata da quella fonte luminosa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** CAPITOLO 21: Mezze verità, forse! ***


Capitolo 21

Mezze verità, forse!







CASTIEL<3: Miki vieni tra 15 minuti a casa mia, sola. Devo parlarti!

Un messaggio. Un unico, solo e maledetto messaggio era bastato per scatenare in me un turbinio di emozioni contrastanti tra loro. Appena gli occhi si erano posati sulla prima lettera riposta sullo schermo, il cuore mi era fuoriuscito dal petto ad aveva cominciato a viaggiare in un posto a me ignoto. Era bastata solamente una C, la terza lettera dell'alfabeto, per provocarmi tutto questo. Lo ritenni grave, sin troppo. E non ebbi neanche bisogno di leggere le lettere restanti di quel nome per capire chi fosse il mittente della comunicazione misteriosa, quello era divenuto automatico. Quando poi nei millesimi di secondo successivi ne avevo letto il contenuto, la cellula dai capelli rossi sempre presente dentro il mio corpo, aveva ricominciato a prendersi gioco di me. Erano stati pochi i secondi di distacco dall'ultimo pensiero rivolto a lui all'arrivo del messaggio.

La cellula rossa voleva a tutti i costi vincere la battaglia con la mia coscienza.. Sapevo che Castiel fosse il ragazzo sbagliato, ma non riuscivo ad ignorarlo, neanche quando mi ci mettevo d'impegno.

Ero distrutta, combattuta. La coscienza continuava a chiedersi: "Vale la pena correre da lui? Forse ti deluderà di nuovo, forse ti riempirà di parolacce, forse...". Ma ad interrompere il buonsenso era arrivata lei, la cellula rossa che in un baleno mi riempì di forse positivi. "Forse vorrà darti buone notizie, forse ha voglia di vederti, forse vuole baciarti..."

Non sapevo chi ascoltare, non sapevo cosa fare... Dalla disperazione posai le mani sulle tempie, poi indietreggiai le dita e cominciai a tirarmi delicatamente i capelli. Se non avessi provato dolore, forse, quel messaggio sarebbe potuto esser stato frutto della mia immaginazione, forse stavo sognando, non ero obbligata a scegliere, forse...

«Ahi! Cazzo...» imprecai.

Avevo sentito dolore nel gesto disperato di strapparmi quasi i capelli dalla testa, così capii fosse tutto vero, quel messaggio era arrivato realmente. Mi abbandonai contro le pareti di quel bagno freddo e scivolai sul pavimento. Allungai le gambe e alzai la testa al cielo. Guardando il soffitto bianco forse avrei potuto avere qualche risposta sensata. Ma niente. Provai poi a prendere nuovamente il cellulare..

Senza motivo o volontà alcuna, digitai su google "sinonimi di sbagliato". E dopo un solo battito di ciglia eccomi accontentata:

Sinonimi trovati: errato, fallace, impreciso, improduttivo, inadatto, inesatto, inutile, irregolare, sballato, scorretto, storto, cattivo, falso.

Avevo trovato tredici sinonimi e la mia attrazione verso Castiel era esattamente come tutti questi.

Era errata come una domanda a risposta multipla sbarrata male.

Era fallace come una norma giuridica con lacune.

Era imprecisa come un pacco di biscotti senza scadenza.

Era improduttivo come un animale sterile.

Era inadatta come la Sirenetta fuori dall'acqua.

Era inesatto come un test di gravidanza acquistato in un negozio dell'usato.

Era inutile come una ciliegina sulla pasta.

Era irregolare come gli autobus italiani.

Era sballato come il ciclo mestruale nei mesi di stress.

Era scorretto come un arbitro a favore di una delle due squadre.

Era storta come la torre di Pisa.

Era cattivo come gli antagonisti della Marvel.

Era falsa come l'imitazione di una borsa DeG.

Ma tutte le metafore del mondo non sarebbero servite, perlomeno non quella sera. La forza d'attrazione verso la cellula rossa era più forte di me ed era più forte, persino, di un motore di ricerca come Google.

In quel tempo trascorso nella toilette le avevo provate davvero tutte, ma la mia risposta non era cambiata. Sarei andata a casa di Castiel sebbene non sapessi cosa sarebbe accaduto, sebbene non sapessi cosa avesse voluto da una povera ragazza incapace di resistergli.

Trascorsi dieci minuti nella confusione più totale finalmente trovai il coraggio.. Uscii dalla porta di quel bagno come un soldato. Iniziai a marciare verso il tavolo dove ad aspettarmi ci sarebbe stato Nathaniel. I miei passi erano piuttosto rumorosi, quasi come se dovessi combattere contro il pavimento, come se avessi un nemico da abbattere. Ma sia io, sia la mia coscienza, sia la cellula rossa sapevamo che non c'era nessun nemico se non me stessa.

Ora più che mai ero convinta di ciò che volessi fare, ero uscita da quel bagno come nuova, persino io rabbrividii dinanzi a tanta convinzione.

Camminai con disinvoltura sotto gli occhi attenti di Nathaniel che aveva dimostrato, come del resto sempre, tanta tolleranza. Nonostante quel particolare aveva un espressione molto titubante sul volto, mi squadrava dall'alto verso il basso cercando risposte alle sue domande, ma non riuscendo a trovare alcun riscontro. Ignorai ogni pensiero su di lui per concentrarmi su quello che gli avrei dovuto dire per evadere da quella cena.

La sua compagnia in alcuni momenti era stata piacevole, ma in altri tendeva alla seccatura. E non potevo assolutamente paragonare la compagnia di Castiel a quella di Nathaniel. Questo dato era attestato dai fatti reali: stavo letteralmente fuggendo da una cena noiosa per recarmi a casa del tenebroso rosso. Con Castiel non si sapeva mai cosa doversi aspettare, non si sapeva mai cosa poteva accadere. Lui era una continua sorpresa, un continuo svago, una continua tortura, un continuo piacere.. ed era ciò che mi serviva. Con Nathaniel avrei vissuto anni ed anni di astinenza, di disagio senza alcun divertimento. Con Nathaniel mi sarei dovuta controllare nelle parole, non avrei potuto sbagliare verbi, avrei dovuto parlare, invece, una lingua perfetta perché altrimenti non mi sarei sentita alla sua altezza. Con Nathaniel mi sarei sentita sempre sotto esame e non mi avrebbe fatto bene una situazione del genere. Io non avevo bisogno di questo. Avevo, invece, bisogno di sentirmi viva.

Finalmente ero riuscita a mettere in chiaro i miei sentimenti. Sebbene per mesi mi fossi sforzata di riuscire a vederlo come il ragazzo ideale, capii che con il biondo non ci sarebbe potuto essere mai niente oltre la semplice amicizia. Lui era bello, perfetto, ma il tutto si fermava all'apparenza. Per quello che avevo imparato dalla serata appena trascorsa, non saremmo mai potuti andare d'accordo. Compativo il suo vissuto, compativo lui ma non potevo di certo iniziare a frequentarlo e vederlo come un ipotetico mio ragazzo solamente per ciò che mi aveva confessato durante quella cena. Non potevo volerlo per compassione. Non meritava di esser preso in giro, al suo fianco avrebbe avuto bisogno di una persona che ricambiasse i suoi sentimenti, qualcuna che lo facesse uscire fuori dalle sue vedute ristrette o che le condividesse. Io non ero adatta a lui. Perlomeno non dal momento in cui desideravo un altro al posto suo. Era inutile continuarsi a prendere in giro. 

«Perdonami se ci ho impiegato tanto, ma... Purtroppo mi ha chiamata Rosalya, era disperata, e ha bisogno di me. Infatti sta passando da qui a prendermi, devo abbandonarti purtroppo. Non ti dispiace, vero?» gli mentii trovando la prima scusa che balenò nel mio cervello.

Non gli avrei potuto dire la verità. Dopotutto lui e Castiel erano nemici e non mi andava di metterli ancor di più l'uno contro l'altro. Sui miei reali sentimenti gli avrei parlato in altro luogo ed in un altro tempo, non avrei potuto liquidarlo con due parole per poi abbandonarlo. No. Potevo pur apparire come una ragazza egoista e senza cuore, ma in fondo non ero così malvagia. Non avevo intenzione di ferire nessuno. 

«Oh... Se proprio devi» gli si scurì il volto per qualche secondo ma subito dopo si sforzò di sfoggiare un sorriso «Spero di avere altre occasioni per rifarmi» finì strizzando l'occhio. 

«Certo» gli sorrisi sincera. Da amici, avrei voluto aggiungere, ma evitai per non risultare crudele. Non era il momento adatto per discutere sul nostro futuro. 

«Una sera di queste, se ne avrai voglia, potremmo andare al rifugio dei gatti di cui ti parlavo prima» aggiunse speranzoso. 

«Sì, magari ci organizziamo meglio dopo il mio ritorno da Roma», non mi andava di essere scortese con lui. Non lo meritava sebbene fosse duro di comprendonio sulle mie intenzioni.

-


CASTIEL

Quella sera la sorte volle che incontrassi il migliore amico di Miki proprio difronte casa mia. Stavo passeggiando con Demon quando lo vidi. Stava correndo, praticava attività sportiva all'aperto oltre alle ore sfiancanti di palestra. Ecco spiegato il motivo del fisico prestante. Ovviamente non mi scomodai a salutarlo, ma appena mi notò corse lui contro di me.

«Ehi... Castiel» affannato cercò di parlarmi poggiando le mani sulle ginocchia per sorreggersi dalla fatica fatta con la corsa, «ora che ne ho l'occasione vorrei chiarire con te un paio di cose. Sono un po' di giorni che cerco di beccarti da solo, ma non ne ho avuto mai modo...» mi aveva per caso seguito? Mi fissò con il volto da angioletto di plastica. Lo avrei preso a pugni volentieri. 

«Io non ho proprio nulla da chiarire con te!» 

«Aspetta Castiel, quello che ho da dirti t'interesserà. Ascoltami per una buona volta...» non gli diedi neanche il tempo di finire le sue suppliche che mi voltai dandogli le spalle e m'incamminai verso il cancello di casa.

«Io e Miki non stiamo insieme. Non lo siamo mai stati realmente. Lei è la mia migliore amica da dieci anni più o meno... Nulla di più!» mi bloccai sul posto. Aveva trovato il modo per attirare la mia attenzione. Ovviamente non poteva sapere che io conoscessi parte della verità grazie al diario segreto della sua amica, così mi voltai nuovamente nella sua direzione e facendogli segno con la mano lo invitai ad entrare nel mio giardino. 

Avrei scoperto il motivo per il quale avevano finto di stare insieme. Non mi ero bevuto la balla di Miki del giorno prima. Non ero così ingenuo da crederle. Ormai la conoscevo bene, sapevo riconoscere quando mentiva. Le si formava un lieve rossore sulle guance e soprattutto evadeva lo sguardo altrove. Prevedibile la ragazza.

Ciak mi seguì e ci sedemmo intorno al tavolino in vimini riposto nel bel mezzo del giardino di casa mia. Non ero un tipo cordiale che offriva da bere in casa propria, così evitai i convenevoli porgendogli solamente una sigaretta.

«No, grazie! Non fumo», mi rispose rifiutando. Buon per lui. Al contrario mio non doveva avere i polmoni neri e consumati. 

Senza esitare, mi accesi la sigaretta e spaparanzato sulla sedia andai dritto al punto. Non avrei di certo preso a fare conversazione con lui come due buoni amici. Lui non sarebbe mai stato mio amico. «Perché lo avete fatto?»

Ciak aveva un espressione impassibile, stava seduto immobile con lo sguardo rivolto verso il basso. Se avesse respirato meno rumorosamente lo avrei potuto scambiare per una statua.

Fece un respiro per prendere coraggio e poi iniziò con la verità. 

«Tu non puoi immaginare da quanto tempo io sia innamorato di Miki.. Tu non puoi immaginare quante volte avrei voluto dirglielo, ma non potevo. Avevo paura che la nostra amicizia potesse finire, avevo paura che lei non ricambiasse i miei sentimenti e passavo intere giornate ad averla ad un centimetro di distanza senza poterla toccare. Dio, quante volte avrei voluto baciarla, farla mia.. Ogni volta però non era mai quella giusta.. e quando mi ero finalmente deciso lei è arrivata con la bella notizia che si sarebbe trasferita a Parigi. Dopo la sua partenza non ci siamo più sentiti come prima, lei mi cercava ma non le rispondevo. Fin quando un giorno risposi alla sua chiamata e per telefono -a causa della forte delusione- le dissi ciò che provavo per lei... E lei niente, prima di quel momento non aveva capito nulla. Che stupida! Anche un cecato se ne sarebbe accorto».

«Immagino quando la sapevi con altri ragazzi, allora...» osservai semplicemente, di certo non lo avrei consolato per il suo discorso da pazzo innamorato, mi limitai ad immedesimarmi in lui senza neppure volerlo.

«No, su questo non c'è mai stato pericolo. Piuttosto ero io quello a stare con molte ragazze. Volevo dimenticarla, cercando di sostituirla, ma nessuna è mai potuta essere lei».

"Già.. Nessuna è Miki!" 

"Cosa? Ed ora da dove sono uscite queste frasi del cazzo? Ma che cazzo vado a pensare? Dannazione!" 

«E lei... Lei non usciva con nessuno?» ovviamente la mia lingua non poteva tenersi a freno. Non dovevo interessarmi del passato di Miki, non era affar mio. Ma cosa mi stava prendendo?

«Chiedilo a lei! Non sono cose che sono tenuto a dirti io».

«No. Ora parli, brutto stronzo!»

«Si è fatto tardi, torno in hotel...» si alzò dalla sedia deviando ancora il discorso. 

Mi alzai di scatto e lo bloccai afferrandolo per il braccio e stringendolo. Lui doveva rispondermi. Non poteva lasciarmi sulle spine.

«Perché dite a tutti di stare insieme?» provai a cambiare domanda cercando di mostrarmi paziente un minimo. Avrei voluto sapere la verità almeno su quello. 

Evitò di rispondere, ancora una volta. A quel punto persi le staffe. La mia pazienza aveva un limite e lui lo aveva di gran lunga superato.

«Allora perché cazzo sei venuto a rompermi le palle se non hai intenzione di dirmi tutta la verità? Vattene!» per poco non lo presi a pugni scaraventandolo fuori dal cancello. 

«Possibile che entrambi siete così cretini da non accorgervi di niente? Come fai a non averlo capito, come? Mi ha sempre e solo baciato davanti a te. L'ha fatto per te. Per te, cazzone che non sei altro. Il resto della storia chiedilo a lei. Io me ne chiamo fuori!» 

«Per me? M-ma... Ma che stai dicendo?» strabuzzai gli occhi sibilando. Improvvisamente mi sentii in un altro mondo frastornato, le forze mi abbandonarono, non riuscii neanche a rispondere ai suoi insulti. 

Miki aveva potuto fingere per allontanarmi da lei, da quello strano rapporto che si stava creando tra noi, poteva averlo fatto per ingelosirmi... No, impossibile!

L'aria si tese ancor di più. Persino lui si permise di giocare a fare il nervoso, ma non ne aveva il diritto visto che aveva insistito a parlarmi, poco prima, e poi aveva finito con l'essere evasivo nelle risposte. 

Ciak rise incredulo e nervoso per la mia incapacità di capire, poi mi diede il colpo di grazia.

«Sì, per te! Incredibile vero? Come si fa a preferire uno come te a me? Non lo so neanch'io, ma è così. Lei preferisce te», sollevò le spalle rassegnato «ed è inutile che voi continuate a fingere. Inutile che proviate a stare con altre persone, inutile che vi convinciate di essere dei semplici amici, o addirittura che vi urliate di non essere nessuno per l'altro. Smettetela di fare i bambini. E smettila anche tu Castiel. Ho visto come la guardi, vi ho visti sul set di quella maledetta pubblicità. Rabanne vi ha scelti semplicemente perché tra di voi aleggia una particolare attrazione, quel misto tra odio, amore, rabbia e passione. Non sareste mai stati in grado di fingere a tal punto. Neanche tu. E poi... poi lo sappiamo entrambi che se non ti fosse interessato niente di Miki, non ti saresti fermato ad un semplice bacio. Ci saresti andato a letto subito e poi l'avresti scaricata come hai fatto con tutte le altre. Quindi smettila. Smettila per l'amor del cielo ed apri gli occhi!»

E uscì di scena facendo vincere, a quel discorso, il premio come miglior battuta dell'anno. Mi lasciò confuso. In balia delle onde interiori del mio essere. Mi portai entrambi le mani sulla testa, avrei voluto strapparmi i capelli per il caos attuale generato da quel coglione nella mia mente. Lui non mi conosceva, lui non poteva sapere come trattassi le donne, come gestissi i miei rapporti solitamente. Lui non sapeva niente. Forse...

E se invece Ciak avesse avuto ragione?

-


MIKI

Se la storia fosse stata vista da un'altra angolazione, non avevo mentito a Nathaniel. Dopo aver ringraziato il biondo per la cena offerta e dopo esser balzata fuori dal ristorante dell'arpia Duval, avevo telefonato realmente Rosalya. Non sapevo come raggiungere casa del rosso dal momento che a quell'ora della notte non sarebbero passati autobus. 

"Ok, questa è una cavolata bella e buona, Miki. Dì la verità!" qualcuno interruppe il flusso dei miei pensieri. "Va bene coscienza lo ammetto. Non ho la minima idea di dove possa essere una fermata per prendere l'autobus. E non so proprio dove si possa trovare casa di Castiel da questo punto della città". Il senso dell'orientamento non era mai stato il mio forte. 

Poteva essere che nell'attesa di Rosalya stessi dando di matto, ma per sdrammatizzare nelle situazioni di forte stress amavo dialogare con la mia coscienza, e così continuai a fare fuori da quel locale.

Nascondendomi alla presenza del biondo che sconsolato si dirigeva verso casa, iniziai a proporre una serie d'ipotesi -sul discorso che avrebbe dovuto farmi Castiel- che la mia coscienza scartava ogni qualvolta apparivano come fandonie.

"Mmm... fammi pensare.. E se non si fosse bevuto la faccenda del finto fidanzamento con Ciak e vorrebbe chiedermi spiegazioni?!?" proposi ponendomi il dito indice sul labbro inferiore.

"Sì, Miki questo può essere!" rispose la mia coscienza. Sebbene potesse essere l'idea più vicina alla realtà decisi di escluderla per il timore che in quel modo avrei dovuto raccontargli la verità. Ero incapace di trovare altri stratagemmi. 

"No, no, impossibile. Sono stata convincente. Secondo me è per quest'altro motivo: Forse vuole dividere gli oggetti da portare per il viaggio a Roma. Magari deve dirmi di portare la piastra al posto suo... O che lui porterà l'asciugacapelli!" 

"Ma dai, Miki.. Tu ce lo vedi Castiel proporre questo genere di cose? Al massimo accollerebbe tutto a te, in modo da avere la valigia più leggera!" ad interrompere ogni mia ricerca della serenità c'era lei, la mia cara, amata, vecchia coscienza.

Il dialogo pazzoide continuò per parecchi minuti. E fu lì che mi accorsi di non andar d'accordo con una piccola, minuscola, parte di me. Cosa avrei potuto fare a riguardo? Sbruffai, di certo non avrei potuto levarla dal mio corpo con forza. 

«Ma che fai Miki, parli sola? Ma cosa devo fare io con te?!» mi apparve davanti il viso sconcertato di Rosalya. 

Ero voltata nella direzione opposta alla strada, con le braccia conserte e gli occhi puntati verso il cielo, mi ero ritrovata a camminare avanti e indietro senza accorgermene. "Sembravo una pazza, ve lo assicuro".

Senza il bisogno di giustificarmi, m'infilai in macchina sospirando «Ciao Rose, ciao Leigh. Mi dispiace avervi interrotto nel bel mezzo del vostro amplesso, ma è un'urgenza. Un'urgenza da codice rosso!» era ufficiale, avevo perso qualche rotella dopo il messaggio di Castiel.

Ebbene sì, Rosalya non avendo compiuto ancora diciott'anni, aveva bisogno del fidanzato invece maggiorenne, per esser trasportata dappertutto. Avevo visto Leigh in un paio d'occasioni, era un tipo silenzioso, taciturno, un po' come il fratello, Lysandre. Anche Leigh aveva lo stesso modo di vestire del fratello. Non avevo mai capito il motivo di così tanta ostinazione verso quello stile antico, poteva risultare affascinante per certi versi, ma non mi entusiasmava particolarmente. E non mi ero mai spiegata la ragione per cui Rose, regina della moda, lasciava che il suo ragazzo vestisse quegli abiti.

L'auto di Leigh era antica proprio come i suoi vestiti. Era una macchina italiana d'epoca, tenuta bene. Il ragazzo aspettò che Rose si accomodasse nei sedili anteriori, accanto a lui, per partire e farmi un cenno di saluto con la testa. Molto loquace il tipo. Più minuti passavo dentro quell'abitacolo e più mi stupivo di quanto gli opposti si attraessero a tal punto da unire due come loro. Erano realmente opposti, opposti come i biscotti e le lasagne. Lei era espansiva, una gran chiacchierona, e lui il ragazzo più taciturno esistente al mondo. 

«Tranquilla tesoro, recupereremo. Piuttosto a te sembra una buona idea accettare l'invito di andare a casa di quel maniaco?» la mia amica si voltò verso i sedili posteriori, dov'ero accomodata io, ed iniziò una delle sue abitudinarie ramanzine.

Conosceva da molto tempo Castiel, ma non era mai stata sua amica. Lo aveva da sempre guardato da una certa distanza, perché non era mai stata attratta dai tipi come lui. Lo definiva una persona sporca fuori e dentro, un ragazzo attratto dalle belle ragazze e dal sesso, un tipo superficiale e con un'aria di superiorità perenne. Non che avesse torto, ma Castiel non era solo quello. Castiel era molto altro e la me infatuata di lui lo sapeva bene.

«So che sta' con la Vipera, so di dover stare alla larga da lui e lo sto facendo credimi... Ma sono curiosa di sapere cosa deve dirmi di così urgente.»

«D'accordo, ma sta' attenta. Non voglio diventare zia così giovane e soprattutto non voglio avere un nipote da lui. Bleah!» con espressione schifata immaginò un eventuale figlio mio e di Castiel. Avvampai al sol pensiero. Non sarebbe stato niente male un pargoletto coi suoi occhi. Scossi la testa ed evitai quei pensieri totalmente surreali. Ma io non ero quella contro l'amore, la formazione di una famiglia, i fidanzamenti, le smancerie? "Smettila Miki!"

«Non esagerare, amore. Castiel non è così stupido!» parlò per la prima volta dopo dieci minuti di viaggio, Leigh. Rosalya si limitò ad incrociare le braccia e guardarlo di sbieco. Quella scena mi fece sorridere. Dopotutto erano carini quei due. 

Rose a detta sua, non era mai stata a casa di Castiel, mentre Leigh sì, e molte volte anche. Il rosso, vivendo praticamente da solo, usava organizzare parecchie serate tra ragazzi, feste e cene a base di birra, pizza, rock'n'roll ed il ragazzo di Rose ne prendeva parte spesso e volentieri, anche grazie alla forte amicizia che legava Lysandre e Castiel.

«Tieni. Questo mettilo nella borsetta, potrebbe esserti utile. Non si sa mai!» mi disse Rosalya quando l'auto si fermò, porgendomi una bottiglietta di spray al peperoncino. La sua espressione seria per poco non mi fece scoppiare a riderle in faccia. Era assurda quella ragazza!

Mi trattenni e mi limitai a sorridere, per non offenderla accettai il suo dono, se così poteva essere definito. Tra di noi si era creato un rapporto davvero unico, entrambe ci preoccupavano per l'altra, entrambe ci proteggevamo a vicenda, anche se forse ero più io ad aver bisogno di lei. Ma d'altronde... Lei aveva il suo bel principe azzurro pronto a proteggerla dai pericoli, mentre io al massimo avevo trovato un principe oscuro pronto a trafiggermi il cuore.

Quando casa Black apparve davanti agli occhi, capii che fosse giunto il momento della verità. Dall'ansia non riuscii più a proferire parola, salutai con un cenno della mano entrambi i piccioncini e scesi dalla macchina a mo' di rallentatore.

Intravedere ancora una volta quella casa m'incusse terrore. Proprio al centro dello stomaco sentii uno spasmo. E da lì ebbi delle sensazioni a catena, il cuore aumentò i suoi battiti, le mani oscillarono dall'ansia. Quando c'era Castiel nei paraggi, o qualcosa che mi ricollegasse a lui, lo percepivo. Era un po' come quelle ferite arrecate da un'operazione che provocano dolore ogni qual volta il meteo cambia. Sì, proprio così, una similitudine insolita finalmente era riuscita a spiegare ciò che il rosso cagionava al mio essere.

Senza bisogno di citofonare, al mio arrivo il cancello si aprì. Come se lui mi avesse vista arrivare, come se mi stesse aspettando con ansia davanti al vetro trasparente della finestra fredda. Il pensiero che lui potesse esser stato in frenesia a causa mia, mi fece rabbrividire ancora adesso.

«Tesoro aggiornami dopo» la voce urlante di Rose mi spaventò e saltai sul posto. Ero diventata suscettibile a qualsiasi rumore.

Ancora la macchina di Leigh non era partita, era ferma immobile dove l'avevo lasciata pochi secondi prima, eppure non me n'ero accorta. E quell'aspetto mi fece innervosire leggermente, non dovevo annullarmi così per Castiel, lui non lo meritava.

Senza rispondere a quella voce, sorrisi ancora una volta in segno di consenso e m'incamminai verso la porta dell'abitazione del rosso. Ad ogni passo la tensione aumentava, più mi avvicinavo più l'ansia mi uccideva. Avevo persino le mani sudate dall'agitazione, così cercai di levarmi il sudore strofinandole contro il vestito che indossavo. Ma risultò un tentativo vano, perché appena il sudore si appiccicava al tessuto, il mio corpo ne produceva dell'altro. Avrei potuto persino venderlo, ne stavo producendo a quantità industriale.

«Mi temi così tanto da aver bisogno di portarti dietro una cosa del genere?!»

"Oh cazzo, eccolo. Mio Dio! Muoio. Crepo. La sua voce. Oddio!" 

Imprecai dentro me nell'udire la sua voce. Il cuore incominciò a battere ancora più veloce di prima, un battito insolito direi. Sentii pizzicare la parte inferiore degli occhi, come se volessero farsi spazio delle lacrime. Non era possibile, non sapevo cosa mi dovesse dire eppure ero felice di vederlo talmente tanto da emozionarmi nell'anima. Lo avevo visto solamente la mattina prima. Dannazione. Non ero mai stata così in tensione.

Sospirai.

«Se fossimo stati in un film tu ti saresti dovuta voltare stupita verso di me dicendomi "ehi ma come hai fatto?"» fece per imitare la mia voce alla fine.

Come da copione, mi voltai nella sua direzione. Si trovava nella parte sinistra del giardino, dietro di lui vi erano un tavolo e delle poltrone in vimini. Quel materiale mi ricordò il "Cafè de Flore" e l'incontro con Adelaide del pomeriggio prima.

Rabbrividii.

«Oh Pardon, non avercela con me ora! Ho interrotto la tua cena romantica con l'ex delegato, mi dispiace. Beh.. ma in ogni caso non eri mica obbligata a correre da me così velocemente», aggiunse deridendomi.

Intuii che o Debrah o qualcuno di conoscenza del rosso, l'avesse avvertito della mia cena con Nathaniel. Ma a quale scopo? Cosa interessava a Castiel con chi cenavo? Lui aveva la sua Debrah. 

«Scuse non accettate. A proposito... Di cosa dovrei essere stupita? Perché mai avrei dovuto dirti: "ma come hai fatto?"» ripresi la sua battuta iniziale che fece entrando in scena.

Continuavo a non capire.

Ehi un attimo...

Soltanto in quel momento capii. Castiel mi aveva derubato del mio spray. Feci mente locale e tornai al momento in cui Rose mi consegnò quella sottospecie di arma, mi resi conto di non averla mai conservata nella borsetta. L'avevo tenuta in mano per tutto il tempo.

Ripensandoci: già nel momento in cui avevo le mani appiccicaticce, quando avevo cercato inutilmente di asciugare il sudore al vestito, la bomboletta era sparita dalle mie mani. Ma come avevo fatto a non accorgermene? Come aveva fatto lui ad essere così silenzioso? Oddio! Per poco non urlai dalla disperazione. Castiel mi avrebbe fatta rinchiudere in un centro psichiatrico prima o poi. 

Grazie alla sua performance capii che il rosso avesse persino delle doti da ladro professionista; proprio un ragazzo da sposare, pensai sdrammatizzando.

Le luci erano offuscate, ed in realtà Castiel era soltanto un'ombra. Di lui s'intuiva solamente la sagoma. Ed anche soltanto la sua figura mi attraeva. Era sensuale. Aveva dei lineamenti perfetti e riconoscibili, nessuno avrebbe potuto confonderlo con un'altra persona. I capelli lunghi fino al collo, le spalle grandi, la vita sottile, le gambe longilinee. Il bello e dannato Castiel Black.

«Allora... Come mai sei venuta armata?» si prendeva gioco di me anche a qualche metro di distanza, fissandomi con un sorriso provocatorio. 

«Io... io non ho paura di te!» sussurrai spontaneamente fissandolo. 

"Ho solo paura di come mi fai sentire dentro", aggiunsi nella mia mente.

«Oh beh, lo vedo» ghignò agitando la bomboletta a spray tra le mani. 

«È colpa di Rosalya e delle sue fissazioni... Io non c'entro niente», mi scolpai sbuffando alla fine. 

«Ah sì? Teme per la tua incolumità?!» vidi la sagoma avvicinarsi a me e pian piano farsi sempre più grande ai miei occhi «in effetti fa bene..» fin quando la distanza tra noi non divenne quasi millimetrica. 

Era giunta la fine per il mio povero cuore. 

-


DEBRAH

L'esecuzione del mio piano partì già quella sera stessa, chiamando la mia sorellastra.

«Ehi Flora... Come stai? Come prosegue la vita lì?» finsi il ruolo di brava sorella mentre gli ingranaggi del mio cervello continuavano a girare. 

«Ciao sorellona, solite cose. Tu?» mi rispose urlando con entusiasmo. Avevamo un bel rapporto dopotutto. 

Flora era la mia sorellina minore, aveva dieci anni. Era figlia di mio padre e della sua compagna. Vivevano in Italia, a Roma. Non ero mai andata a farle visita, capitava in qualche festività che, però, venivano loro qui da noi. Tutti tranne lei, la compagna di mio padre. Nessuno l'aveva mai voluta nel mio ristorante, nella mia città né tanto meno lei voleva venirci. Diceva sempre di odiare Parigi e soprattutto gli abitanti, ma non le avevo mai chiesto se il suo motivo fosse realmente fondato per una ragione particolare o meno.

«Benissimo, grazie! Devo darti una bellissima notizia...» lasciai la frase in sospeso. 

«Dimmi tutto.. Dai, Debby non tenermi sulle spine. Sai quanto odio aspettare!» piagnucolò fintamente. Era un'attrice nata, una Duval a tutti gli effetti. 

«Settimana prossima verrò a trovarvi», la informai finalmente.

Il mio vero entusiasmo era per il piano che avrei messo in atto. Ero affezionata a Flora, sebbene fosse una semplice sorellastra, era una bambina sveglia e la adoravo, ma nonostante quel particolare quella sera fui più appagata di ciò che avrei rovinato una volta atterrata in Italia. Stavo pregustando il risultato che sarebbe stato sicuramente positivo. 

Flora fu molto contenta della notizia appena svelata, infatti con me attaccata ancora dall'altra parte della cornetta, si recò saltellante da sua madre per darle la notizia.

«Mamma, mamma! Debrah verrà da noi prossima settimana. Sii... non vedo l'ora!» urlò come una matta.

Sua madre non si dimostrò contenta quanto lei. Sebbene ci fosse qualche problema di linea, fui quasi certa che sbuffò un "perfetto" quasi sarcastico. Io e lei ci odiavamo, non avevamo mai niente di affettuoso o carino da dirci, anzi la maggior parte del tempo litigavamo. Lei aveva diviso i miei genitori. Avevano divorziato per colpa sua. Maledetta troia!

Dopo un paio di minuti trascorsi a parlare con la mia sorellastra le inventai una banale scusa per terminare la chiamata. 

Una volta sola ricontrollai il mio piano mentalmente per evitare inutili e scomodi sbagli quando avrei dovuto entrare in azione.

Ma non c'era nessun difetto. Sarebbe stato tutto perfetto. 

Avrei ottenuto la mia vendetta. Finalmente. 

-


MIKI

«La prima regola da osservare per diventare furbi, è non cercare di essere furbi con quelli più furbi di te!» sussurrò Castiel ad una distanza millimetrica da me. 

«Ti stai esercitando negli scioglilingua in questi giorni, per caso?» replicai sfacciatamente.

«No, sto semplicemente constatando che tu mi temi, ma hai preferito far ricadere la colpa sulla tua amica piuttosto che dirmi la verità, ed io odio i bugiardi!» sembrava quasi stesse riferendosi ad altri argomenti, non ad una stupida bomboletta spray. 

«È seriamente di uno spray al peperoncino che stiamo discutendo da cinque minuti?» ribattei. 

«Non solo...» e lasciò la frase in sospeso. 

Entrambi avevamo deciso di scovare il significato di quel discorso tra le righe. Non stavamo realmente parlando di una stupida bomboletta spray, avevo capito si stesse riferendo al mio rapporto con Ciak, l'unica volta che gli mentii fu quella. Ma non gli avrei rivelato la verità, no, non avrebbe vinto. Quello non era il momento adatto, non mi sentivo pronta, soprattutto essendo sicura che lui fosse interessato ad un'altra ragazza. Ma come potevo essermi invaghita di uno come lui? Come ero giunta a quel punto? Non c'era stato un momento esatto in cui l'avevo capito, era accaduto e basta. Più avevo provato ad allontanarmi da lui e più invece mi ero trovata a girargli intorno. Fu il destino a decidere al posto mio. In un modo o in un altro ero stata costretta ad averci a che fare, anche dopo aver deciso di non rivolgergli più la parola; perché diciamocelo chiaro: Castiel non meritava il mio perdono, la mia vicinanza, dopo avermi respinta un milione di volte, dopo avermi umiliata, ferita, abbandonata. E invece l'aveva avuto, il mio perdono, e non solo quello. Anche il mio cuore. Quella piccola ma ardente parte di me che non avrebbe mai dovuto battere per nessuno, un bel giorno aveva deciso di divenire un organo a sé, era andato contro ogni mia volontà imposta dal mio cervello da sedici anni, e aveva finito per cambiare anche me. Perché io non ero più la stessa persona partita da Roma. Non avevo raggiunto neanche uno degli obiettivi impostatami alla partenza dall'Italia, a distanza di cinque mesi mi ritrovavo ad essere ancora vergine e con parte del cuore spezzato quando invece mi ero promessa d'iniziare rapporti di sesso senza impegni. Ottimo Miki!

Ma l'elemento maggiormente spiazzante era un altro. Più fissavo Castiel e più ogni mio dubbio, delusione diventava certezza perché c'era lui con me. Perché non avrei voluto cambiare nulla. Preferivo soffrire piuttosto che non averlo mai conosciuto. 

Ed in quell'istante, in una fredda sera di Gennaio ci trovavamo lì, ad una distanza minima, ad una lontananza che non c'era. Si era avvicinato così tanto da far decadere ogni mia paura.

Calato il silenzio, dopo la sua ammissione, evitai il suo sguardo, non mi sentivo in grado di sostenerlo, di guardare i suoi occhi grigi e profondi.

Evidentemente lui odiava quel particolare. Perché afferrò il mio mento con garbatezza e lo alzò, facendo sì che i nostri sguardi si raggiungessero. Mi costrinse a guardarlo. Il suo volto era illuminato dai lampioni della strada, i capelli sembrarono più chiari, mentre gli occhi ancora più attraenti del solito. Emettevano una luce particolare, un'emozione che non seppi identificare e forse fu meglio per entrambi. 

Si sporse maggiormente verso di me, vista la vicinanza dovette per forza sentire il battito del mio cuore accelerato, ma non riuscivo a controllarmi, era più forte di me. 

Schiusi automaticamente le labbra come per volermi preparare a qualcosa che avevo desiderato più di quanto immaginassi. Ma non accadde nulla.

«Entriamo dentro, vieni. Qui qualcuno potrebbe vederci» fu lui a spezzare la magia, allontanandosi di colpo da quella vicinanza creata da lui stesso. 

Improvvisamente dentro di lui era per caso nata una coscienza? Non voleva tradire la sua amata fidanzata? O semplicemente aveva paura di essere visto con me perché la sua lei gli aveva esplicitamente proibito di stare in mia compagnia? In ogni caso, qualsiasi sia stato il motivo scatenante di quel cambio di rotta, ai miei occhi risultò essere un incoerente di prima categoria. 

«Non sono stata io ad avvicinarmi come un bradipo in calore, brutto stronzo!» mormorai innervosita mentre lo seguii in casa, certa di non essere sentita da lui, ma a giudicare dal sorrisetto stronzo che gli apparì sul volto dopo la mia osservazione, capii che invece avesse recepito il messaggio forte e chiaro. 

Ebbi la tentazione di scappare a gambe levate, di non seguirlo visto il gesto di qualche secondo prima, ma decisi di tenere a bada il lato orgoglioso di me per scoprire cosa avesse di così importante da dirmi. 

Mi fece accomodare nel salotto, sullo stesso divano dell'ultima volta. Sullo stesso divano in cui aveva avuto inizio il litigio di Natale. Chiusi gli occhi e per un attimo ripensai a quella brutta giornata che avrei voluto dimenticare.

-

Scattai dal divano, come una furia mi diressi davanti Castiel, ancora di fronte a sua madre, e guardandolo dritto negli occhi con una rabbia fuori dal normale gli mollai uno schiaffo in pieno viso.

A vederlo così infuriato, a vederlo così cambiato nel giro di un'ora non avevo più risposto delle mie azioni. Se fossi rimasta un minuto di più in quella casa, in quell'aria così pesante, in presenza di Debrah e del nuovo Castiel, sarei stata in grado di commettere un omicidio.

Il rosso davanti al mio schiaffo si portò le mani sulla parte colpita e subito dopo mi guardò incredulo. Ancora non avevo finito con lui.

Mi avvicinai maggiormente alla figura imponente di Castiel e gli urlai contro senza farmi intimidire da lui: «Ma che cazzo combini coglione? Che cazzo ti frulla in quel cervello minuscolo che ti ritrovi, eh? Come diavolo ti permetti a rivolgerti in questo modo ad Adelaide? E' tua mamma, cazzo. Lei vuole solo il tuo bene, svegliati!» toccai con l'indice il suo petto, involontariamente. Poi mi allontanai e spostai lo sguardo verso Debrah, ancora immobile vicino al camino, ma il salotto essendo in un unico ambiente con la porta d'entrata e la cucina, mi permise di vederla ugualmente «E tu manipolatrice del cazzo così lo ami? Così ti sei pentita? Così? Io non conosco tutta la storia, non conosco te e non ho neanche la minima intenzione di conoscerti meglio, ma già mi è bastato oggi per capirti. Non so cosa tu abbia in mente, è quasi impossibile comprendere una pazza, ma stai cercando di metterlo contro tutti, questo è palese, vuoi ferirlo e nello stesso tempo vuoi che lui segua solo te, che stia solo con te. E sei una cretina; qualunque cosa tu abbia in mente spero non riuscirai mai a realizzarla. Sei una persona orribile. Spero che Castiel lo capisca prima o poi. Stavamo tutti così bene senza di te... Non hai mosso neanche un dito per evitare questa lite, anzi sei stata tutto il tempo a ridere e a godere del dolore degli altri. Vergognati stronza!»

Finalmente riuscii a togliere fuori un po' di veleno presente nel mio cuore. Non potevo starmene in silenzio, lo ero già stata per troppo tempo. Io ero fatta così, dovevo parlare, sfogarmi, provare ad aprire gli occhi alla gente dal cervello bacato come quello del rosso. Castiel dopo le mie parole iniziò a guardarmi con disprezzo e rabbia, un po' come aveva fatto fino a poco prima con sua madre, mentre Debrah non si scomodò a rispondere, quelle parole non l'avevano toccata minimamente, si spostò semplicemente dal salotto raggiungendo Castiel e si mise dietro di lui, sorridendo soddisfatta e felice. Che persona orribile!

«Lascia che sia io a scegliere chi può o non può far parte della mia vita, che sia io a giudicare Debrah, a te non deve minimamente interessare. Tu non sei nessuno per giudicare. Anzi spero che tu possa conoscere Debrah per quello che è realmente, potreste diventare anche amiche, magari, mi farebbe piacere. Ah e a proposito, colgo l'occasione per chiarirti un paio di cose. Non t'illudere che tra noi possa nascere qualcosa, aldilà dell'amicizia, un giorno. Quei baci, quelle parole e tutto il resto erano dati e dette solo in amicizia o con l'intenzione di portarti a letto. Lo so, non sono cose carine da dire forse... Ma credo sia meglio la sincerità. Tu non eri, non sei e non sarai mai diversa dalle altre. Sei stata una buona amica, questo sì. Nulla di più»

Non aveva dato peso alle parole, aveva concluso con il ferire anche me; non bastava Adelaide. Quelle parole mi fecero male al cuore, all'anima, molto male. Avevo sempre sospettato che il suo interesse nei miei confronti si limitasse solo al sesso, al brivido della conquista di una ragazza non troppo facile come dava a vedere. Eppure da vicino faceva più male. Sebbene sapessi e percepissi ogni cosa già da tempo, detta palesemente e davanti a terze persone faceva più male. A volte le parole potevano ferire più di una reale coltellata, di uno schiaffo, di pugni. Perché in quel momento sembrava che Castiel mi avesse sparata, picchiata ed accoltellata contemporaneamente. Il cuore faceva male, la carne, gli occhi, ogni parte del mio corpo era indolenzita. Volevo scappare, sotterrarmi, cancellare quel ragazzo dalla mia testa.

Ma perlomeno non mi sarei più illusa, da quel giorno in poi non avrei avuto più dubbi. La verità mi era stata sbattuta in faccia definitivamente. Non c'erano dubbi ai messaggi risposti, ai gesti compiuti. Ero stata illusa, derisa dal ragazzo che un'ora prima mi aveva accarezzata, che mi aveva fatto volare anche se con una semplice frase. Mi aveva mentito per tutto il tempo, per tutti quei mesi.

Dopo aver assorbito temporaneamente il colpo riuscii ad utilizzare le ultime forze per rispondergli e chiudere ogni cosa esistente fino a quel momento tra noi: «Mi dispiace deludere le tue aspettative, ma io e lei non potremo mai essere amiche, neanche in un'altra vita. Poi tra me e te non c'è mai stato niente di così importante, l'ho sempre saputo e non mi sono mai illusa. Non so da dove tu abbia pensato che io potessi provare qualcosa per te, ma le mie intenzioni erano identiche alle tue.» riuscii persino a strizzare l'occhio e fare l'occhiolino «Castiel non credere di essere al centro del mondo, sul serio scendi dal piedistallo, tu sei l'ultima persona che potrebbe piacermi. E poi se proprio ci tieni a saperlo c'è già chi mi piace e non sei di certo tu. A me piace Nathaniel, solo per lui potrei provare qualcosa di diverso, qualcosa di speciale. Ma ora non starò qui a dire queste cose a te perché tu non sei niente per me. E poi sai che ti dico?! Fin quando starai con questa qui io non ti rivolgerò mai più la parola, non mi piace la persona che diventi quando sei con lei. Vedervi insieme mi fa schifo, quello che le hai detto mi fa schifo. Tu mi fai schifo. Ti fai tanto il forte e poi non sei stato neanche in grado di dimenticarti di una così... Ma non la vedi che è bastato soltanto un giorno per farti litigare con tutte le persone più importanti della tua vita? Davvero.. non ti capirò mai!» sbuffai e poi sospirai finendo finalmente di pronunciare quelle menzogne.

«E chi sarebbero queste persone? Sentiamo... Tu saresti una delle persone più importanti della mia vita? Ma non farmi ridere Miki» e rise, anche se nervosamente, ma rise.

Dopo quelle parole le lacrime uscirono senza avvertirmi. Il mio cuore, la mia anima erano contro la mia testa. Piangere era l'ultima cosa che avrei dovuto fare in quel momento. Non avrei dovuto davanti a lui, non davanti alla sua nuova ragazza. Ero riuscita a mentire così bene fino a quel momento... E invece il mio cuore aveva dovuto tradirmi proprio quando avrebbe dovuto fare l'ultimo sforzo. Ero persino riuscita a dire di provare sentimenti veri per Nathaniel, che Castiel non fosse niente e nessuno per me, quando la realtà delle cose era un'altra. Castiel era dal primo giorno al centro del mio mondo. L'avevo difeso, aiutato, avevo provato per lui sentimenti ed emozioni contrastanti, ma in ogni situazione lui e solo lui persisteva nella mia mente e nel mio cuore. Ma quella verità non importava, non più. Avevo sputato quelle menzogne a fin di bene, per bene mio e di tutti.

Prima di scappare a gambe levate nel buio, prima di liberarmi nel pianto totalmente, aspettai una sua risposta, un suo gesto, volevo e speravo dimostrasse di essere dispiaciuto. Mi aggrappai all'ultimo briciolo di speranza, ma ancora una volta e per l'ultima volta sbagliai.

«Comunque perfetto! Chiudiamo anche quel briciolo di amicizia che c'è stato tra noi finora, se è quello che preferisci. A me non importa. Addio Miki!»

E il gesto arrivò, abbastanza diverso dalle parole sputate. Gli occhi di Castiel diventarono leggermente lucidi, il volto gli si scurì. Ma arrivati a quel punto pensai fosse semplicemente una mia illusione ciò che riuscivo a leggere nel suo sguardo. I suoi occhi mi avevano mentito fino a quel giorno? A giudicare dalle sue cattiverie gettatomi addosso sì. In ogni caso era troppo tardi per rimuginarci sopra. Lui voleva lei, i sentimenti per lei erano di gran lunga superiori a quelli provati per me -se di sentimenti si poteva parlare- e visto che Debrah e Miki non potevano coesistere all'interno di uno stesso gruppo, all'interno della stessa stanza, io mi sarei fatta semplicemente da parte. Non ci saremmo parlati più. Proprio il giorno di Natale suggellammo quel patto. Un Natale da dimenticare, un Natale che finalmente stava per giungere alla sua fine.

Guardai un'ultima volta gli occhi di Castiel per imprimere il suo ricordo dentro la pelle. Dopotutto non avrei mai voluto dimenticare quel ragazzo. Seppure volessi in un primo momento, presa dalla rabbia, non avrei mai potuto dimenticarlo. Lui era stato il mio primo bacio e nonostante tutto sarebbe rimasto lui.

E senza guardare nessun altro uscii dalla porta di quella casa e dalla vita di Castiel Black.

Fuori pioveva, ma poco importava, dentro di me era iniziato il temporale già da un po'. Senza curarmi della pioggia mi fermai al centro del giardino per l'ultima volta, non sarei mai più tornata in quella casa.

-

Già.. una trentina di giorni prima ero convinta e disposta a non entrare mai più in casa sua ed invece eccomi lì. Avevo dimostrato di non essere in grado di mantenere la parola, ero divenuta bugiarda persino con me stessa. Era passato a malapena un mese da quella scenata. Quella sera Castiel aveva dato il peggio di sé ed io avevo giurato di non permettere più a nessuno di dirmi quelle parole, possedevo una dignità anch'io! Ma non era cambiato poi molto da quel periodo, eravamo sempre nella stessa e identica posizione di stallo io e lui. Non eravamo amici, dei semplici conoscenti, o qualcosa di più. Eravamo ancora il niente.

A ripensarci mi si formò un nodo allo stomaco, un dolore bruttissimo al petto. Cominciai a fissare il vuoto, mi si scurì il volto. Quando Castiel tornò con in mano una birra mi trovò in uno stato pietoso. Si bloccò totalmente sorpreso dietro al divano, come se stesse giocando a quel gioco che mi piaceva tanto fare da piccola: "Un, due, tre stella!". 

Non lo calcolai, scossi leggermente la testa per distogliere lo sguardo da quel punto vuoto che stavo fissando e nel quale ora riuscivo a vedere solo lui. Poi incrociai le braccia e mi poggiai allo schienale del divano. Mi sistemai comoda con la testa poggiata sul cuscino, con lo sguardo rivolto verso il soffitto. Solo in quel modo avrei evitato di guardarlo.

A causa del silenzio tombale presente in quella camera riuscii a percepire il rumore della birra bevuta e deglutita dal rosso. La bevve da alzato, nella stessa posizione tenuta pochi istanti prima.

Se lui non avesse spiccicato parola, allora non l'avrei fatto neppure io. Lui mi aveva chiesto di raggiungerlo a casa sua e quindi sarebbe spettato a lui iniziare un qualsiasi discorso. Presi il cellulare da dentro la pochette che avevo adagiato sulle mie gambe, e scrissi un messaggio a zia Kate. Quella sera, a differenza del pomeriggio precedente, le avrei detto la verità, o almeno... buona parte.

Zia sono a casa di Castiel con Rosalya ed il suo ragazzo. È una lunga storia domani ti spiegherò.. tornerò un po' tardi, non aspettarmi. Buonanotte baci <3

Non potevo dirle tutto. Di sicuro si sarebbe precipitata qui con Isaac e non avevo intenzione di vedere nessuno dei due, soprattutto non dopo aver saputo la verità di Adelaide. Non feci in tempo a riporre il cellulare al suo posto che subito vibrò. Era zia Kate. Evidentemente Isaac aveva già dato per quella sera e zia non aveva niente di meglio da fare. Non mi aveva mai risposto così tempestivamente. Erano pur sempre le undici di sera.

Non combinare guai. Ti raccomando piccola, mi fido di te! Buonanotte anche a te.

E fu così che mi sentii ufficialmente una sporca e fottutissima bugiarda. Forse non era corretto mentirle, lei era l'unica donna a cui importava di me, mi aveva accudito e cresciuto come una figlia per sedici anni. Nonostante -negli ultimi mesi- non andassimo sempre d'amore e d'accordo lei era pur sempre l'unica famiglia che mi restava. Non meritava una bugiarda incallita come me, una nipote ingrata pronta sempre a giudicarla e mai assecondarla. Sprofondai sul divano sbuffando per la frustrazione e come se fossi a casa mia mi sdraiai verticalmente e rumorosamente, non che fossi stanca, ma più che altro lo feci in segno di disperazione. 

Dopo qualche minuto mi alzai in piedi, come una matta, di scatto e mi feci avanti puntando il dito contro Castiel. Ero ufficialmente da rinchiudere in un manicomio. 

«Allora?! Vogliamo smetterla con questo mutismo o ne abbiamo ancora per le lunghe?! Cosa devi dirmi?» gli chiesi come se avessi fretta di andare via. Probabilmente dopo quel messaggio erano divenute realmente le mie intenzioni.

Ma parve che Castiel avesse tutto tranne che fretta. Prima di rispondere alla mia domanda porse in avanti la birra come per voler brindare a qualcosa, ma poi quando si accorse che io non avevo nessuna bevanda con cui brindare, se ne uscì con una delle sue battute poco divertenti. «Oh, che sbadato! Non ti ho offerto niente. Gradisce qualcosa da bere, signora Daniels?»

Fui certa che fu una mia impressione -perché non poteva essere altrimenti- ma quella battuta apparì detta quasi per gelosia. 

«No, non preoccuparti grazie! Ha pensato già a tutto Nathaniel. Ho bevuto lo champagne, poco fa, mi è bastato quello» anch'io sapevo essere stronza se avessi voluto. Così stetti al suo gioco. 

A giudicare dalla sua espressione restò sorpreso. Si sarebbe aspettato mille domande su come avesse saputo della mia cena con Nathaniel, ma non lo feci. Avevo già le risposte, non ero così stupida come pensava. Inoltre non meritava troppa soddisfazione. Se pochi istanti prima rischiavo di sciogliermi davanti ai suoi piedi, da quel momento in poi non avrei dovuto più farlo. Dovevo provare ad essere come lui, fingere perlomeno. 

«Mi dispiace che io, umile cameriere non possa competere con uno del calibro di Daniels. Me ne farò una ragione!» continuò con quel tono indisponente. 

«Smettila con questi giochetti, Castiel. Ora basta! Dimmi cosa devi, così ognuno può tornare alla propria vita e arrivederci» mi aveva esasperata. Avevo appena perso la pazienza. Mi snervava il suo modo di girare e rigirare il discorso.

L'aria del suo volto divenne magicamente seria. Diminuì le distanze avvicinandosi al divano, sul quale io mi ero nuovamente accomodata, s'inginocchiò e alzò il suo volto verso il mio. Poggiò le mani sulle mie ginocchia nude, e fu lì che mi maledii per non aver indossato i pantaloni. Lì dove aveva poggiato le dita mi si formarono dei brividi visibili e percettibili, lui stesso se ne accorse, da quel particolare sarebbe stato facile tirare le somme per chiunque. I nostri sguardi s'incrociarono, le guance mi s'imporporarono, il respiro si fece pesante, il cuore mi arrivò quasi in gola. Era devastante l'effetto della sua vicinanza.

«In realtà sono due le cose da dirti...» sussurrò con voce grave ma quasi dolce, facendomi credere che dovesse rivelarmi qualcosa di bello.

La cellula rossa riprese a riempirmi di buoni propositi, ma io decisi di eliminarli. Non potevo illudermi che potesse aver lasciato Debrah a causa mia, o che provasse un qualche genere d'interesse per una ragazzina come me. Quei discorsi non erano da lui e soprattutto non argomenti da fare con me. Sapevo di essere di una contraddittorietà assurda, perché sebbene non ci credessi, infondo speravo che fosse quello il motivo della sua chiamata improvvisa. Contraddittorietà perché un attimo prima non avevo la minima intenzione di guardarlo, per non ferirmi, e un attimo dopo non desideravo altro che quello. Continuavo a non capirne i suoi fini, ma mandava dei segnali strani. Con la sua vicinanza, con i suoi sussurri, con le sue mezze carezze mi faceva pensare che in fondo anche da parte sua qualcosa nei miei confronti c'era. 

Deglutii rumorosamente quando cominciò a parlare «Punto uno: agli occhi di tutti stai passando per una troia facendo questi scambi di ragazzi.»

Strabuzzai gli occhi incredula di cosa alla fine fosse uscito da quella sua boccaccia capace solo d'insultare. «Troio ci sarai tu. E poi non sono affari che ti riguardano con quanti ragazzi sto io!» feci per levargli le sue luride manacce dalle mie cosce, ma non me lo permise. Era più forte di me, lo stronzo. 

Per un attimo avevo creduto realmente che volesse dirmi qualcosa di romantico, di dolce... ma quelle parole, quelle frasi, quei gesti esistevano solo nella mia mente e dovevo smetterla di fantasticare.

«Oh certo, ma infatti non m'interessa» fece una smorfia di cui non capii il significato e poi continuò il suo discorso insulso abbassando il volto «lo dicevo perché a scuola hanno aperto delle scommesse su chi sceglierai alla fine e vorrei puntare sul vincitore! Quindi mi farebbe comodo se tu mi dicessi chi preferisci...» finì puntando nuovamente i suoi occhi su di me e sogghignando. 

Mi alzai dal divano violentemente e finalmente riuscii a vincerlo in forza. Cominciai a camminare avanti e indietro per tutto il salotto a causa del nervosismo che quel coglione mi trasmise. 

In realtà essere considerata una ragazza facile, era uno dei miei obiettivi principali da parecchio tempo ormai, ma sentirsi dire quelle parole dal ragazzo di cui ero infatuata, faceva male. Anzi no, faceva più che male; malissimo. Tant'è che sentii pizzicare di nuovo gli occhi, ma quella volta erano delle lacrime di dolore a voler uscire, non più di felicità. Venire a conoscenza del fatto che anche lui avesse quella brutta reputazione di me, fu straziante. Vedere che lui non avesse capito nulla della sottoscritta, mi nauseò. Lo avevo difeso, salvato da molte situazioni, gli avevo mostrato il mio cuore, la mia vera personalità, ma non gli era bastato. No. Anche lui aveva la stessa considerazione, per me, degli altri. Avrei tanto voluto giocare a lanciare freccette sulla sua faccia, in quel momento. D'istinto mi venne voglia di sbandierare tutta la verità, di spiegargli cosa mi provocava, cosa avevo fatto finora per lui, per il suo bene. Solo in quel modo lo avrei zittito una volta per tutte, ma non lo feci.

«Be' di certo non preferisci Ciak. Quindi uno è eliminato definitivamente dalla lista.» continuò a girare il coltello nella piaga.

Si stava divertendo a giocare con la mia vita, con la mia dignità ed io bloccai di colpo la mia camminata. Stava esagerando. Gli puntai il dito contro e urlai: «Per l'amor del cielo, sta' zitto Castiel. Tu non sai niente. Niente! Non azzardarti a parlare ancora, altrimenti io...» 

«Altrimenti cosa?! Altrimenti finalmente ti degnerai a raccontarmi una volta per tutte la verità? Oh ma non devi preoccuparti per questo... non sprecare fiato, qualcuno ha già fatto il lavoro al posto tuo...» sorrise oserei dire amareggiato. 

Un colpo al cuore e allo stomaco, mi colpirono in sincrono diminuendo l'ira di pochi secondi prima. «C-che c-cosa?» gli chiesi balbettando spaesata.

E se fosse stato proprio Ciak a tradirmi? Per vendicarsi avrebbe potuto rivelare a Castiel qualsiasi cosa. Lui sapeva tutto. Non percepii più il pavimento sotto ai piedi tanto dalla pesantezza della sorpresa negativa appena ricevuta.

Con una falcata il rosso mi raggiunse. Ci trovammo di nuovo l'uno di fronte all'altra, l'uno guardava gli occhi dell'altra.. e maledettamente arrossii. "Controllati Miki. Ricorda, tu sei furiosa con lui!" il pezzo di coscienza sopravvissuta alla battaglia contro la cellula rossa, cercò d'incoraggiarmi e di riportarmi sulla retta via.

«Sì esatto, Ciak!» sembrò aver ascoltato i miei pensieri «lui mi ha detto. Ma vorrei sentirle dire da te certe cose, se non è troppo...» mi schernì. 

«Io non devo dirti proprio niente. Ho già parlato quando dovevo; ora lasciami in pace!» ricominciai a vagare per tutta la stanza nuovamente nervosa. La quiete era durata solo per qualche istante. 

Marciai velocemente, sembravo una matta appena evasa da un manicomio. Castiel protrasse a guardarmi imbambolato ed in silenzio per qualche minuto, era pensieroso, quasi combattuto sul dirmi o meno ciò che vorticava nella sua mente. Poi prese in mano la situazione afferrandomi da un braccio e bloccando la mia scarpinata. Cercai di staccarmi da quella presa così potente, ma non ci riuscii. Ero girata di spalle, non potei ammirare il suo volto. Lui dietro di me continuava a tenermi ferma. C'era tensione nell'aria, quasi come se da un momento all'altro dovesse accadere qualcosa di eccezionale.

«Miki, cosa provi per me?» e la bomba scoppiò.

Non poteva avermelo chiesto realmente. No, lui non poteva averlo fatto. Stavamo argomentando discorsi sconnessi tra loro, frasi a metà, domande senza risposte. Ma per quale motivo? Come eravamo giunti a quel punto? Con quella domanda scomparse ogni altro pensiero dalla mia mente e dal mio cuore. Mi svuotai completamente, non seppi cosa pensare, nelle mie orecchie sentii suonare e risuonare soltanto la sua domanda "Miki cosa provi per me? Be' Castiel, non lo so neanch'io!"

Ero spaesata, non mi sarei mai e poi mai aspettata un interrogativo del genere da parte sua. Gli risposi con il mio silenzio, era meglio così. Restammo nella stessa posizione anche dopo il quesito senza risposta.

«Rispondi, per piacere» fu dolce nel tono di voce. E le braccia mi si riempirono di brividi. 

Mi girai finalmente nella sua direzione, lo guardai negli occhi per un attimo, poi abbassai lo sguardo e scollegai il filtro bocca-cervello.

«E tu... tu cosa provi per Debrah?»

Con una domanda del genere risultai prevedibile. Era ovvio che m'interessasse, a quel punto. Era ovvio che provassi qualcosa per lui se lo avevo appena invitato a comunicarmi quali sentimenti sentisse per la sua ragazza, altrimenti avrei risposto tranquillamente senza interessarmi di altro. Ero stata una stupida, avevo dimostrato di essere una ragazzina gelosa e viziata. Si percepiva tutto dalla mia domanda, mi ero rovinata con le mie stesse mani.

«La amavo un tempo...» quando si rese conto di non aver completato la frase, aggiunse il resto quasi in imbarazzo: «ora di nuovo».

Quell'espressione me la sarei ricordata per il resto della mia esistenza. Castiel impacciato. Non era riuscito liberamente ad ammettere di amarla ancora, forse per il semplice fatto di non volermi deludere. Ormai era palese anche ai suoi occhi che m'interessasse, voleva limitare la mia figuraccia, la mia delusione. Fu premuroso e triste allo stesso tempo. 

Le guance gli arrossirono impercettibilmente, gli occhi guardarono ovunque tranne che nella mia direzione. E come se non bastasse, si portò una mano dietro la nuca scompigliandosi leggermente i capelli. Era dolcissima quell'immagine, avrei pagato oro per ricevere quelle stesse reazioni una volta confessatomi i suoi sentimenti. Ma non sarebbe mai accaduto. Debrah era la sua donna, non io. Sarebbe rimasta sempre lei, il suo amore.

«Bene. E vissero tutti felici e contenti. Fine!» dissi dopo qualche secondo amareggiata, con un sorriso finto. 

Perfetto. L'unico scopo dell'invito di andare a casa sua, fu quello di mettermi in ridicolo. Ormai era sicuro. Voleva prendersi gioco di me e ci era riuscito già più del dovuto. Verso la fine si era -poi- dispiaciuto, aveva provato compassione per me e si era addolcito. Finiva tutto lì. Così, decisa ad abbandonare quella casa all'istante, mi recai in direzione del divano per riprendere la borsa e sgattaiolare via. Era scivolata sul pavimento quando mi ero alzata di scatto dalla poltrona. Mi abbassai e l'afferrai.

«Ah un'ultima cosa: ringrazia la tua ragazza da parte mia per aver fatto sì che ricevessi come punizione quella di lavare tutti i cessi della scuola per un mese. Molto carino da parte sua» sorrisi «peccato, però, che non sia riuscita a far saltare la partenza per Roma!» aggiunsi la battuta finale recandomi dinanzi alla porta d'uscita.

«Cosa stai blaterando?» si precipitò davanti alla porta per evitare di farmi uscire. Come volevasi dimostrare il rosso non era a conoscenza della malvagità della sua ragazza per la sottoscritta. 

«La tua bellissima, bravissima e intelligentissima ragazza mi ha minacciata. Se ti fossi stata lontana, se non ti avessi mai più rivolto la parola lei non mi avrebbe accusato alla direttrice... mentre se non avessi osservato i suoi ordini mi avrebbe accusata e bla, bla, bla... Insomma sai la storia!» tolsi fuori tutto l'amaro tenuto dentro da due giorni. Finalmente ero riuscita ad accusare quella vipera. Nessuno era a conoscenza dei suoi ricatti. 

«E tu hai accettato la sua proposta, spero...» corrugò le sopracciglia. Era duro di comprendonio. 

Sospirai e poi cercai di spiegargli. «Se avessi accettato allora perché ti avrei detto di ringraziarla per avermi mandata in punizione?»

«Avresti dovuto accettare. Tu non la conosci, tu...» si bloccò «dimmi perché l'hai fatto, perché?» la sua reazione nervosa mi stupì.

«Ti sembro una che si fa mettere facilmente i piedi in testa? Lei non è nessuno per dirmi cosa devo o non devo fare! E poi.. pensa piuttosto a lei e a tenerla a bada. È diventata insopportabile!» poi feci per spostarlo dalla porta «ed ora fammi passare. Devo rientrare a casa!» ma lui non si spostò neanche di un passo.

«No, tu non vai da nessuna parte. Tu non dovevi farlo. Ma perché, perché l'hai fatto?» parlò sembrando quasi di temere per la mia incolumità, quasi come se Debrah potesse provocarmi del male fisico. «Dovevi dirle che non mi avresti rivolto più la parola. Dovevi farlo. Perché è così importante parlarmi, starmi accanto, perché? Non faccio altro che trattarti male e...»

«Ma che cazzo Castiel vuoi che ti faccia i disegnini, per farti capire meglio? Sembri un inetto in alcune occasioni» scossi la testa incredula. Era palese ormai cosa provassi per lui, ma ancora chiedeva spiegazioni. Incredibile, quel ragazzo. Se sentirlo pronunciare dalla mia bocca fosse stata la sua intenzione, non avrei potuto accontentarlo. Non gliel'avrei detto esplicitamente, non quella sera.

«No. Tu... spiegami, devi...» non gli diedi il tempo d'iniziare la frase che lo bloccai con le mie parole, di nuovo. Ero un fiume in piena. 

«Sei innamorato di un'altra... Cosa vuoi che ti dica, ancora?» avevo perso le staffe e blateravo. Quel ragazzo era capace di farmi cambiare umore da un micro secondo all'altro.

«E tu Miki? Sei mai stata innamorata?» che senso aveva quella domanda? Stavo per uscire fuori di testa, non sopportavo più tutti quegli argomenti lasciati a metà.

Ma a quella domanda il cuore mi sobbalzò ugualmente. Quella sera stava giocando sporco, m'illudeva e mi disintegrava nello stesso istante.

«No!» risposi con tono secco. Sembrai quasi delusa.

«Allora non farlo mai. Non innamorarti mai, Miki. Non lo fare perché fa male. Fa dannatamente male. Ti senti legato a vita a quella persona anche nel momento in cui vieni a conoscenza di non provare più sentimenti per lei... non riesci ugualmente a fare a meno di lei...»

In terza persona mi stava parlando del suo rapporto con Debrah, forse? Avevo sentito bene? Castiel non era più innamorato di Debrah?!? No, impossibile! Non credevo alle mie orecchie, non credevo ad una sola sua parola. Era impossibile visti gli avvenimenti del mese passato. Si stava solo prendendo gioco di me.

«Non riesci a lasciarla perché evidentemente non hai un motivo valido» risposi semplicemente. Non potevo credergli. 

Ma seguitai a non capire. Maledizione. Cercò di giustificarsi, di fare attenzione alle parole usate, sembrava impaurito, impaurito di farmi del male. Eppure lui non era il tipo di ragazzo da farsi quel genere di complessi. "Che ti sta succedendo Castiel?" 

Mi osservava con sguardo fisso e profondo, immobile, davanti al masso di legno, con le braccia aperte per bloccarmi la strada.

A quel punto quella che voleva capirci qualcosa in più ero io. 

«Quindi qual è stata la mia funzione qui, stasera?»

«Tu... stai con Nathaniel, di nuovo?» 

«Non rispondere alle domande con altre domande. È snervante!» sbuffai.

«Tu lo fai sempre...» rispose semplicemente.

Non potevo sostenere quella conversazione un minuto di più. Mi avvicinai a lui velocemente e lo spinsi lateralmente. Con la mia forza da formica gli feci fare pochi passi che però mi permisero di poggiare le mani sulla maniglia per aprire la porta d'entrata.

Ma un gesto inaspettato mi bloccò ogni movimento futuro. Mi abbracciò di spalle, cinse i miei fianchi con le braccia e poggiò la testa sui miei capelli.

Socchiusi gli occhi a quel contatto e assaporai quegli improvvisi momenti di serenità. Ad un tratto, grazie al suo tocco magico, il corpo teso dall'ira, si rilassò. Quella fu la dimostrazione di quanto fosse forte ciò che provavo per lui. Ma Castiel... Lui cosa provava per me? Non potevo rispondere niente, non dopo quei gesti. Fui quasi tentata di chiederglielo, ma non ebbi il coraggio. Non volevo rovinare anche quel momento. L'unico istante di pace dopo tanto tempo.

Restammo in quella posizione per qualche minuto, nessuno dei due osava scogliere quell'abbraccio, se così si poteva definire. Sembrava non avesse abbastanza coraggio per andare oltre o per parlare, come se in realtà volesse dire o fare qualcosa ma non riusciva a farla. C'era tensione nell'aria respirata da entrambi. 

«A te cosa importa di me e Nathaniel, o di me e Ciak? E non rispondermi allo stesso modo di prima. Sii sincero. Cosa vuol dire questo ora?» alla fine non riuscii a trattenermi. Implicitamente gli chiesi se fossi o meno importante per lui, cosa significasse quell'abbraccio. Provai ad avere un tono di voce forte, impositivo, ma non fui sicura di esserci riuscita. La sua vicinanza mi faceva sciogliere il cuore. 

Quel contatto aveva addolcito anche la mia voce, nonostante i mille dubbi su quelle mezze verità che cercavo d'immaginare come reali.

«Odio essere preso in giro da te. Odio che tu voglia apparire ciò che non sei...»

Mentiva, si percepiva. Le sue corde vocali oscillarono così come la sua incertezza. Era più di mezz'ora che mentiva. Stava svelando delle mezze verità. Ma qual era la restante parte della medaglia?

«A te cosa importa se passo o meno per una puttana? Cosa t'importa di me? Un mese fa eravamo proprio in questo punto quando mi hai urlato contro di non essere nessuno per te..» dissi aprendo le braccia sconcertata.

Con quei movimenti sciolsi l'abbraccio. Mi voltai, e guardandolo negli occhi cercai di trasmettergli con lo sguardo tutto il risentimento, il rancore per le ferite procurate da lui un mese prima. Ritornavano sempre a galla, quelle. 

«Stai parlando di un mese fa, Miki! In un mese, molte, troppe cose cambiano»

Per la prima volta in quella serata apparì sincero, involontariamente. Perché quando si rese conto di aver detto una parola di troppo sgranò leggermente gli occhi grigi. 

«E in te.. In te cosa è cambiato?» 

Fu una domanda scomoda quella, per lui. Infatti portò una mano sui capelli e scompigliò il ciuffo in segno di nervosismo. 

«Ho imparato a conoscerti meglio in questi mesi. Ti ho osservata da lontano, sei buona Miki. E mi rode che gli altri ti considerino una puttana. Non lo sei. Perché vuoi per forza sembrarlo?! Sembra che tu ti ci metta d'impegno a volerlo apparire..»

La sua schiettezza mi percosse facendomi vacillare. 

«Non dovresti roderti, se io sono niente per te..» evitai di spiegargli il motivo per cui volessi apparire una ragazza facile, non era il momento adatto. 

Avremmo potuto continuare quel discorso fino all'alba ma nessuno avrebbe detto nulla di più. Entrambi avevamo paura di parlare, di compiere qualsiasi gesto più esplicito. Eppure nessuno dei due, riusciva a stare lontano dall'altro. Tutto quella sera apparì strano e diverso, come se ci stessimo parlando per la prima volta.

«Non è vero. Tu sei...» stava finalmente per dire qualcosa di concreto quando qualcuno suonò alla porta, interrompendoci.

Mi fiondai ad aprire essendo accanto alla porta socchiusa. Sapevo bene che oramai ogni argomento poteva definirsi concluso. 

Debrah Duval. 

Ovviamente era stata lei ad averci impedito di concludere. Avrei dovuto immaginarlo. Era giunta a casa del rosso per passare la notte insieme a lui. E perché non avrebbe dovuto farlo?!? Era la sua ragazza, dopotutto. 

Diversamente dal solito non iniziò con battute, anzi aveva in volto la sua tipica aria di superiorità e soddisfazione allo stesso tempo. Mi spostai per farla passare. Appena dentro, si precipitò tra le braccia di Castiel e lui l'accolse come se la stesse aspettando da una vita intera. Ebbi la percezione che lei sapesse di trovarmi a casa del rosso, altrimenti avrebbe avuto un'altra reazione ne fui convinta.

Quell'abbraccio fu la risposta ad ogni mio dubbio. Lui era e sarebbe stato sempre e solo innamorato di lei. Non aveva cambiato idea, aveva finto durante quella mezz'ora, era stato in imbarazzo soltanto per non provocarmi dispiacere. Non voleva avere rimorsi o sensi di colpi nei miei confronti, non ero poi così scema da non capirlo. 

«Io stavo giusto andando...» pronunciai afflitta con un filo di voce. Rientrai nel salotto per prendere il famoso spray al peperoncino per restituirlo alla mia amica. Poi uscendo dalla porta d'entrata senza aspettar alcun saluto, sbattei con forza il masso di legno.

Mi lasciai alle spalle la stessa e quasi identica scena di un mese prima. Debrah aveva vinto ancora una volta, a distanza di tempo non ero riuscita a far cambiare idea a quel beota. Sì, solo così avrei potuto definirlo. Mi aveva ferito, talmente tanto da lasciarmi di nuovo l'amaro in bocca, nel corpo, nel petto, nell'anima. Amaro dal dispiacere, dalla rabbia, dalla delusione. Mi aveva chiamata, usata per chissà quale scopo, e gettata via. Avrei preferito non vederlo piuttosto che concludere con quel finale sdolcinato e del tutto nocivo per la mia salute mentale. 

Con tanti pensieri che frullavano in testa, mi misi a correre e correre ancora, fino all'arrivo a casa. Correndo sperai d'inciampare, di sbattere la testa per potermi dimenticare definitivamente di quella sera e di Castiel. Sarebbe stato meglio se non l'avessi mai conosciuto. Ma seppure lo avessi voluto, non riuscii a cancellarlo. Lui restò impresso nel mio cuore, nella mia mente come una scritta intagliata in un marmo. Come qualcosa d'incancellabile.

-

Una settimana era trascorsa velocemente nonostante le ore di punizione che mi toccarono praticare a causa delle accuse di Debrah. Pulivo e ripulivo le toilette, i corridoi del Dolce Amoris, mentre tutti gli altri inseguivano i loro sogni più ambiziosi. Allorché Debrah appariva come la fidanzatina fedele, io apparivo come l'altra... L'altra, candidata amante e rovina fidanzamenti, incapace di tenersi solo un ragazzo. 

Ero l'altra; la cattiva della storia

Sul mio conto se ne dissero molte in quella dannata settimana. E di partire non ne avevo neanche più voglia. Persino di Castiel non avevo più voglia. Ero disgustata dal fatto che anche quella volta avesse scelto lei e l'aveva fatto davanti ai miei occhi, senza portare un minimo rispetto. Aveva finto di volermi rispettare, ma aveva fatto tutt'altro che quello. In più ormai aveva scoperto tutte le mie carte, conosceva i miei sentimenti, doveva saperlo sicuro dopo quel maledetto mercoledì sera. Era sottinteso che m'interessasse, che non fosse un semplice amico o conoscente, mentre lui nulla, il vuoto più totale. Quella sera aveva avuto dei comportamenti ambigui, sin troppo per i miei gusti. Non era riuscito a dirmi di amare ancora Debrah per non ferirmi, ma poi aveva finito per abbracciarsela appena era apparsa sulla sua vista. Aveva detto di sapere la verità di tutta la storia con Ciak, che aveva parlato con lui, ma poi continuava a chiedermi spiegazioni come se in realtà non sapesse niente. Non avevo capito nulla, nulla su quello che volesse dimostrare con quella chiamata, con quell'invito esplicito ad andare a casa sua. Mi aveva semplicemente fatto capire di non vedermi con gli stessi occhi del resto della scuola, di avermi imparato a conoscere. Nulla di più. Solo illusione. Era un circolo vizioso senza fine.

E avevo passato così un'intera settimana, negli ennesimi dubbi, nella rabbia e nella solitudine. Evitavo Nathaniel che continuava a tartassarmi di chiamate ed inviti per visitare il rifugio dei gatti. Evitavo persino Ciak perché mi aveva tradita, io non l'avrei mai fatto nonostante tutto. Ed evitavo infine lui; Castiel. Per la prima settimana nella mia vita riuscii ad evitare di parlargli, di seguirlo ovunque, di risolvere i suoi problemi. E ci riuscii finalmente. Dove intravedevo lui, scappavo lontana.

Peccato avessi tralasciato un piccolo particolare: il viaggio a Roma!

Quando mi accorsi che sarebbe stato inevitabile rivolgergli la parola era troppo tardi. Mi ritrovavo infatti già sull'aereo in partenza, proprio affianco a lui. E come se non bastasse in me persisteva il batticuore causato dalla sua semplice presenza affianco. 

Non ero ancora guarita da lui. 

-


CASTIEL

Miki si ostinava ad evitarmi, lo faceva da quel famoso mercoledì sera. Ma non potei rischiare, non avrei potuto togliere Debrah di casa, rifiutarla, lo avevo fatto per il bene di Miki. In più durante quella stramba conversazione notturna, mi ero fatto sfuggire troppi fatti che la bella romana non avrebbe mai dovuto conoscere, Debrah era giunta al momento adatto per salvarmi. Eppure come spiegarle? Come farle capire quanto fosse pericolosa quella ragazza? Sebbene avesse solamente quasi diciott'anni, la sua mente diabolica avrebbe potuto far invidia persino all'uomo più malvagio del mondo. Non era un'esagerazione la mia, ma pura verità. Avevo intuito stesse architettando qualcosa contro di me, e sapere che anche Miki fosse nel suo mirino m'incusse timore. Non temevo per la mia incolumità, quanto per la sua. Non volevo le accadesse niente di male. 

Anche per quel motivo non potevo permettermi di sbilanciarmi con lei. Miki era attraente, bellissima, ma se non avessi prima risolto la situazione traballante con Debrah non avrei potuto espormi anche con Miki. Non ero un traditore. Dare un bacio ad un'altra era una cosa accettabile in un certo senso, mentre tradirla fisicamente era un altro, un qualcosa che non doveva e non poteva accadere. E poi ne avevo avute abbastanza grazie ad Isaac, il mio cosiddetto padre. Aveva tradito mia madre, rovinando così una famiglia. Aveva rovinato una persona, dei valori, dei sentimenti. Ed io non avrei mai commesso il suo stesso sbaglio.

Non sapevo cosa ci fosse tra me e Miki, ma qualsiasi cosa potesse esserci non sarebbe mai andata oltre ciò che c'era già stato. Lei non era la ragazza giusta per me ed io non ero il ragazzo adatto a lei. Era un dato di fatto. 

Mentre cercavo di auto-convincermi su di lei, eccola lì: apparentemente innocente, seduta affianco a me sull'aereo che ci avrebbe portati nella città eterna. Il velivolo doveva ancora decollare, delle hostess dalle forme sinuose ci avevano appena informato sulle procedure da seguire prima della partenza.

Cominciai a scrutare accuratamente la ragazza dai capelli ramati, più la guardavo e più mi affascinava. Aveva un paio di leggings aderenti, neri, che le fasciavano le gambe e delineavano più del necessario le sue forme perfette. Una camicetta a quadri rosa e viola, le arrivava all'altezza dell'inguine. 

Senza volerlo, senza un minimo di autocontrollo iniziai ad immaginarla nuda.

Lei, nuda con solo la camicetta rosa addosso. Sotto quella non indossava neanche l'intimo; dal tessuto fino le s'intravedevano i capezzoli turgidi per l'eccitazione. Mi guardava, mi fissava con quei suoi occhi scuri, uno sguardo che in lei non avevo mai visto. Era sensuale, lo sguardo più provocante che avessi mai guardato.

Continuava a fissarmi, fin quando si morse il labbro inferiore. Lì divenni come cieco. L'istinto divenne l'unico padrone. Le saltai addosso e la cominciai a baciare affamato delle sue labbra, della sua saliva. Affamato di lei...

Eravamo in una cabina privata ed isolata dell'aereo. La poggiai sui sedili e le sbottonai la camicetta a morsi, strappandola.

La volevo ammirare senza veli, solo con la sua pelle addosso. Non le diedi neanche il tempo di respirare che tolsi tutto. Avevo fretta di vederla finalmente dopo tanti mesi di desiderio.

Era bellissima. Non avevo mai visto donna più bella di lei, nessuno poteva batterla. Era unica.

Scossi la testa per distogliere quei pensieri, altrimenti il mio membro avrebbe iniziato a farsi sentire e vedere. In quelle circostanze non sarebbe stato il caso. Eppure continuavo a non capire, non avevo mai desiderato così tanto una donna a tal punto da immaginarmi delle scene erotiche al sol guardarla vestita con abiti normali. Forse accadeva perché le altre erano cadute ai miei piedi senza fatica, compresa Debrah. Ma non dovevo permettermi di distrarmi ancora, Miki doveva seguitare ad essere un divieto per il sottoscritto. Non potevo cedere.

Venni disturbato dagli altoparlanti che c'informarono di dover spegnere tutti gli apparecchi elettronici. Presi il cellulare, dalle tasche anteriori dei miei jeans neri, tirandolo con forza.

Feci per premere sul tasto di chiusura, ma grazie all'illuminazione del cellulare potei vedere il segno della presenza di un messaggio. Aprii di fretta il testo e alla lettura di quelle parole mi affogai con la mia stessa saliva.

Mi hai messa incinta, coglione!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** CAPITOLO 22: La bella addormentata ***


Capitolo 22

La bella addormentata






MIKI

Ed eravamo lì, l'uno affianco all'altra. Così vicini eppure così lontani, non passava un minuto senza che i suoi occhi finissero per sfiorare il mio corpo. Nessuno dei due proferiva parola eppure c'era intimità nei nostri sguardi. Eravamo lontani, o meglio lui era lontano. Era impegnato, amava un'altra ed era stato tanto codardo da non riuscire a rivelarmelo. Avevo lasciato il mio cuore nelle sue mani tuttavia non era stato capace di accoglierlo. E ritrovarlo lì ancora una volta, così vicino senza poterlo toccare, faceva male, malissimo. La nostra era diventata quel che si potrebbe definire una vicinanza proibita. Una lontananza necessaria.

Mi ero addormentata sulla sua possente spalla a causa del lungo viaggio. Lui non mi aveva spostata non si era comportato con il solito atteggiamento spocchioso, anzi, aveva accolto la mia vicinanza come un regalo. Continuavo a non capire i suoi comportamenti e per giunta non comprendevo neanche i miei. Avevo passato una settimana intera a tormentarmi, ad impormi di stargli lontano e poi era bastato un posto vicino in aereo per farmi rimangiare ogni parola. Appena le mie narici si erano inumidite del suo profumo, appena i suoi occhi si erano posati su di me, ogni sicurezza apparve svanita. Ero come stregata dalla sua presenza, ma questo non potevo più permetterlo. Non se volevo restare viva fino alla fine del viaggio.

Mi svegliai definitivamente e sollevai la testa di scatto, cercai di evitare i suoi occhi, anzi cercai di non guardarlo proprio. Così mi voltai dal lato del piccolo finestrino dell'aereo e mi persi nella vista del cielo chiaro. Era un effetto pazzesco. Le nuvole apparvero talmente soffici ai miei occhi da desiderarle, per sonnecchiare, al posto del letto. 

«Il pisolino ti ha fatto male? La mia spalla non era abbastanza comoda?!» mi distrasse dal mio scacciapensieri la voce irritante e scostumata di Castiel. Ma cosa voleva ancora da me? Non poteva continuare ad evitarmi come anche lui aveva fatto per una settimana?

Non gli risposi, pensai che sarebbe stato meglio ignorarlo. Ed infatti il mio pensiero almeno per una volta risultò esatto. Dopo quella mezza battuta non ne susseguirono delle altre.

Mi appoggiai comoda sul sedile morbido di pelle, ma inevitabilmente il mio cuore spinse gli occhi a squadrare il ragazzo affianco a me. E così feci... Finii per guardarlo. Osservavo ogni suo centimetro di pelle scoperta dai vestiti rozzi, e nell'immaginarlo nudo dei brividi mi percorsero tutta la schiena.

Anch'egli era nella mia stessa posizione, ma a differenza mia teneva gli occhi chiusi. Aveva lo stesso mp4 di quando lo avevo conosciuto. Ascoltava musica rock e tra l'altro ad alto volume. Certo, i nostri generi musicali erano totalmente diversi, eppure percepivo una strana vicinanza a lui. Non sapevo come spiegarlo, ma sentivo che nonostante fossimo opposti infondo ci somigliassimo su qualcosa. Forse avevamo qualche tratto caratteriale simile, forse entrambi avevamo passato un'infanzia solitaria, forse a era a causa di quegli aspetti che ritornavo da lui -nonostante tutto- ogni volta. 

Quando aprì gli occhi, io subito li chiusi. Non potevo farmi cogliere in fallo, fargli capire che lo stessi ammirando. Ma da lì mi sentii osservata, quasi come se lui mi stesse guardando, come se si fosse alternato a me.

Volevo esserne sicura, così riaprii lentamente metà occhio sinistro, quello più vicino a lui. Ma non riuscii a vedere niente; impaziente li dischiusi entrambi.

Trovai i suoi occhi grigi su di me. M'imbarazzò molto quello sguardo attento sul mio corpo, ma nello stesso tempo fui contenta, soddisfatta. Quando capì di esser stato colto in flagrante sgranò lievemente quegli occhi magnetici e un leggero rossore gli si formò sulle gote, ma riuscì a ricomporsi subito come il furbo che era. 

S'inventò una scusa: «No, nulla... Volevo avvisarti che stiamo per atterrare»

«Ti hanno nominato hostess e non mi dici niente?! Mi sento profondamente offesa. Credevo ci dicessimo tutto.. Odio i bugiardi!» cercai di metterlo in imbarazzo e nello stesso tempo di lanciare frecciatine sulla nostra ultima discussione avvenuta quel maledetto mercoledì sera. 

«In realtà non ti ho mentito; ho rifiutato il lavoro. Il gonnellino sono abituato a levarlo alle donne, non ad indossarlo!» sollevò un angolo della bocca con la convinzione di chi sapeva di averla appena avuta vinta. Maledetto, aveva sempre la risposta pronta!

M'irritai e non risposi, voltandogli le spalle guardai nuovamente il finestrino dell'aeromobile. Inevitabilmente l'immaginarlo con altre ragazze mi provocò una forte orticaria.

***

Il rosso non aveva avuto tutti i torti, dalla sua affermazione all'atterraggio passarono solo pochi minuti.

Ed eccomi di nuovo lì nell'aeroporto della mia città natale. 

Erano passati appena cinque mesi dall'ultima volta che le mie scarpe avevano toccato il pavimento marmoreo di quella stazione. E ritrovarsi lì a distanza di tempo sortì in me una specie di malinconia e tormento interiore, sensazioni che non avrei voluto riprovare. Avevo lasciato quella terra nella speranza di ricominciare una nuova vita, nella speranza di evitare problemi, ma non era stato così. Con il cambio di Stato erano sì cambiate alcune cose, alcuni aspetti della mia personalità e della mia vita, ma ancora non riuscivo a capire se in meglio o in peggio. 

Già dall'istante in cui le piccole rotelle dell'aereo si erano staccate dalla terra ferma, nell'ormai lontano cinque Settembre duemilaquattordici, tutto era cambiato. Perché quel giorno, accanto al posto numerato del mio sedile si era accomodata la persona più scorbutica del mondo. Un ragazzo dagli insoliti capelli e con un look fuori dalla portata di tutti aveva fatto breccia nel mio cuore, lì dove nessuno prima d'allora aveva osato essere. E lo scherzo del destino aveva voluto che io ritornassi nella mia terra natale proprio con lui.. proprio lì dove tutto era cominciato.

Avevamo già prelevato i bagagli dal nastro trasportatore quando Castiel iniziò la ricerca sfrenata della nostra futura assistente. La direttrice ci aveva informati che sarebbe stata una donna la guida che ci avrebbe fatto da Cicerone, per tutta la settimana di permanenza a Roma. Certo, io non ne avrei avuto bisogno ma forse Castiel sì.

Nell'aeroporto regnava il caos. Tanti signori e signore, troppi, attendevano i passeggeri dei vari voli, fu difficile trovare la nostra guida. 

«Cazzo» sbuffò «dove cazzo sta?» e sbuffò nuovamente Castiel, già spazientito di cercare la persona di nostro interesse.

«No ma vai tranquillo, aggiungi pure un'altra parolaccia ora che ti trovi...» alzai gli occhi al cielo. 

«Porco cazzo di quella put-» non gli permisi di concludere la marea di parole volgari perché lo raggiunsi e sollevandomi sulle punte per arrivare alla sua altezza, gli tappai la bocca con entrambi le mani. Lui sgranò sorpreso gli occhi per la sorpresa di quella vicinanza e di quel gesto, mentre il mio cuore scalpitò. Mi allontanai spaventata per aver sorpassato involontariamente la distanza di sicurezza tra noi. 

«Dov'è finita?» borbottò come per niente toccato dal mio gesto di pochi secondi prima, e continuò a camminare disorientato da una parte all'altra alla ricerca della guida perduta.

«Cosa vuoi che ne sappia io? Sono qui con te, purtroppo!» agitai le braccia e accentuai pesantemente l'ultima parola, come per fargli capire che fosse un sacrificio stare in sua compagnia. "Sì sì, come no; un enorme sacrificio!!!" la coscienza riprese, intanto, i suoi commenti.

Lui non rispose. Restai immobile in un punto fisso, non seguii il rosso, non lo aiutai, roteando solamente il volto cercai di seguire la sagoma di Castiel spostarsi da una parte all'altra, irritato. La pazienza e l'attesa non erano il suo forte.

Passarono un bel po' di minuti e quando anche il rosso aveva smesso di cercare l'ignoto, ecco alcuni movimenti anomali.

Una donna paffuta e di bassa statura si stava facendo spazio tra la gente per farsi vedere da qualcuno. Quando trovò finalmente uno spazio vuoto ci si stazionò sollevando un cartello enorme con su scritto:

"DOLCE AMORIS garszon. Reux and Reginè deux Ballus du Natal!"

Sicuramente avevo letto male. Sollevai le sopracciglia incredula: «Secondo te è lei?»

Vedendo che non giunse alcuna risposta dall'interlocutore bacato con cui avevo a che fare, mi voltai nella direzione del pomodoro e capii il motivo del suo silenzio. Si stava trattenendo per non scoppiare a ridere. Castiel non era tipo da risate a crepapelle, e in quell'occasione mise tutta la sua forza per evitare di essere come tutti gli altri ragazzi della terra. Doveva essere una delle sue regole da bad boy quella di non poter ridere apertamente. Ma perlomeno quel piccolo gesto mi aiutò a comprendere di non essermi sbagliata.

La nostra futura assistente non aveva azzeccato neanche una lettera delle parole francesi che avrebbe voluto scrivere. Praticamente aveva riportato correttamente solo il nome del liceo. Quel piccolo particolare confermò la mia convinzione nel credere alle parole della direttrice sulla carenza di fondi del liceo in quel periodo. Una guida conoscitrice di lingue doveva essere parecchio costosa. 

«Dovevano pur risparmiare in qualcosa no?!? Hanno assunto un'interprete mediocre per la carenza di fondi» pensai ad alta voce.

«Speriamo in un albergo discreto, almeno..» sogghignò Castiel. Era proprio divertito da quella scena e da quel soggetto. 

Tra battute e lamentele varie ci dirigemmo verso la nostra futura guida per farne conoscenza. 

Ci si presentò davanti una signora sulla quarantina, bassa e tonda. Per la corporatura ricordava parecchio la preside del liceo. Ma se messe accanto, la direttrice sarebbe stata scambiata per Miss Mondo. La nostra cicerone era abbastanza, anzi direi troppo, trasandata. Sul volto le si potevano intravedere degli orribili baffetti neri tra il labbro superiore e il naso, per finire delle sopracciglia parecchio irsute. Degli occhiali spessi e tondi facevano da contorno a quel volto poco femminile. E per finire, la ciliegina sulla torta, ecco spuntare un apparecchio d'acciaio scuro sui denti. L'abbigliamento, poi, non aiutava neanche ad immaginare una bellezza nascosta. Indossava una gonna larga e lunga fino alle caviglie con fantasie geometriche, ed un maglione dalle maniche larghe. Gli stivali poi, avrebbero fatto invidia solamente ad una strega uscita da una favola horror, erano neri e a punta.

Ed ecco formarsi, sotto i nostri occhi, con tutte le caratteristiche necessarie: le regole della befana perfetta!

«Go suisss Stefanià Lambertò and vui?!? Comm'en vius appelles?» ci porse la mano paffuta.

Gliela strinsi con un sorriso finto dipinto sul volto. Oltre a non saper scrivere in francese non riusciva neanche a spiccicare una parola con accento corretto. Di bene in meglio. Castiel, alla fine non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere proprio davanti al volto della povera donna. Dalla bocca del rosso volò persino un po' di saliva, che involontariamente andò a finire sul volto della signora.

Di sicuro lei non era stata d'aiuto a non farsi prendere in giro da un tipo come Castiel. Aveva sbagliato tutto, a partire dall'accento a finire alla pronuncia. Aveva parlato un misto tra inglese e chissà quale lingua. Se si fosse trattato di una donna che non avrebbe avuto alcun obbligo di parlare il francese, la questione poteva presentarsi come ragionevole. Ma la situazione divenne ridicola quando lei era stata definita "interprete" dalla stessa preside. Ricordai che durante il colloquio -prima della partenza- erano state proprio quelli i termini: "a farvi da guida per tutto il viaggio, ci sarà un'interprete italo-francese".

«Signora Lamberto, io sono Micaela Rossi, piacere. Sono originaria di Roma, se vuole posso fare io da interprete per il signor Castiel Black!» le proposi per aiutarla.

Lei restò di sasso. Divenne totalmente rossa in volto e assunse un espressione molto disagiata.

«Ma che ti sembro un inetto, per caso?» mi guardò di sbieco Castiel parlando un italiano perfetto.

E dopo una tale battuta quella che restò di sasso fui io. Non avevo mai valutato la possibilità che Castiel potesse parlare la mia stessa lingua. Lo avevo incontrato nel mio stesso aeroporto, a Roma -cinque mesi prima- vero, ma sin dall'inizio avevamo parlato usando la lingua francese. Non aveva mai accennato a quella sua attitudine, si era conservato quella sua capacità per sorprendere e ci era riuscito completamente. 

Senza intromettersi nelle questioni personali, Stefania tirò un sospiro di sollievo «Benissimo; allora la nostra lingua ufficiale per la vostra permanenza a Roma, sarà l'italiano!» 

Entrambi annuimmo. 

«Adesso venite con me. Seguitemi. Fuori ci sta aspettando un auto che ci porterà nell'albergo dove alloggerete!»

Cercai di trascinare le due valige, ma non ci riuscii. Fu in quel minuto che ammisi di aver portato troppi vestiti, inutili per solo una settimana di vacanza. Avevo portato di tutto e di più. Non sapendo a quali eventi eravamo invitati o cosa avremmo visitato, avevo portato dagli abiti eleganti agli shorts per la discoteca.

Vedendomi in seria difficoltà, Castiel mi soccorse strappandomi dalle mani il manico di una valigia ed iniziando a trascinarla dietro di sé.

«Dà qua! Ho solo una valigia come le persone comuni di questa terra, io!» iniziò a deridermi. Aveva più che ragione per quella volta.

Proseguimmo il percorso seguendo la signora Lamberto in totale silenzio ed io, contrariamente da come si aspettava Castiel, non risposi alle sue provocazioni, mi limitai solamente a ringraziarlo.

Dopo qualche secondo di silenzio cambiò apparentemente discorso «Commetti sempre gli stessi errori, hai già dimenticato la storia delle valigie? E menomale che sarei dovuto essere io il vecchio...» stranamente il rosso aveva voglia di ricordare il passato di cinque mesi prima.

"Ma come, come avrei potuto dimenticare quel giorno? Al contrario... pensavo che tu avessi dimenticato, che io non fossi abbastanza importante, per te, da ricordare" avrei tanto voluto dare quella risposta, eppure qualcosa me lo stava impedendo. Come se ci fosse un'altra persona oltre noi due che evitasse di farmi commettere errori.

Stefania intanto ci aveva distanziati. Eravamo soli: io, lui e l'aeroporto.

Castiel aspettava una risposta, ma quella non arrivò. Iniziò a scrutarmi come per intuire i miei pensieri, poi allungò un angolo della bocca sorridendo verso me. Era di buon umore quel giorno, il signorino. 

«Non immagini neanche che genere di persona mi eri sembrata in quell'aereo...»

Corrugai le sopracciglia. Non capivo dove volesse andare a parare. Comprese anche quella mia espressione e come un indovino che schiera sul tavolo le sue carte, continuò:

«Una di quelle Escort pronte ad abbordare i pezzi grossi per farli divertire, durante i viaggi, nei bagni degli aerei e dei treni» la sua probabilmente voleva essere una battuta infelice, giusto per infastidirmi.

Ma sbagliò tutto. Quella battuta non potevo incassarla e stare in silenzio, no. Non quella volta. Mi voltai, come un felino, nella sua direzione e con tutta la forza che possedevo in corpo, nel cuore e nell'anima, gli mollai uno schiaffo in pieno viso. «Escort ci sarà la tua ragazza!» sibilai con rabbia.

Non fu un semplice schiaffo, no, ma uno di quelli potenti. Uno di quelli che lasciano il segno. Aveva un'espressione esterrefatta, non mi avrebbe mai immaginato capace di quel gesto in pubblico. 

Ancora incredulo poggiò la mano sulla guancia massaggiandosela. Un gesto così estremo era inaspettato da parte mia. Solitamente stavo al suo gioco, ma quella volta aveva oltrepassato ogni limite. Quelle battute non potevano più essere accettate, non se provenivano da lui. Non le meritavo. Non meritavo le sue cattiverie. Non meritavo le sue parole. Lui avrebbe dovuto costruirmi una statua per il bene che gli avevo dato, ed invece al contrario, ogni qualvolta lo aiutavo venivo derisa maggiormente. Dopo lo schiaffo continuai a guardarlo immobile e con uno sguardo duro. In quel momento l'odiavo, lo stavo odiando con tutta me stessa. E dentro di me era scomparsa persino la cellula rossa sempre pronta a difenderlo. 

Poi poggiai entrambe le mani sui fianchi ed incominciai a sbattere energicamente il piede sinistro contro il pavimento, senza staccare un secondo gli occhi da lui. Quella posizione oltre ad apparire spazientita era una posizione in attesa di qualcosa. Ed in effetti, io ero in attesa. Ero in attesa di una sua semplice richiesta di perdono, semplice ma della quale forse Castiel non ne conosceva l'esistenza. Le cinque lettere così fondamentali per me, non arrivarono. "Scusa", bastava quello e invece niente. 

Senza aspettare un minuto di più roteai di scatto con tutto il corpo e m'incamminai velocemente per raggiungere Stefania. Non sapevo e non avevo intenzione di scoprire cosa avesse fatto lui, non m'importava più.

«Venite ragazzi. Questa è l'auto che ci porterà all'hotel!» giunti al di fuori dell'aeroporto, la voce della nostra tutor c'indicò quale macchina ci avrebbe portati a destinazione.

Non solo l'interprete, ma anche l'auto era mal ridotta. Era una Fiat 500 vecchio tipo. Quadrata, piccola e per niente spaziosa. Viola come il colore delle melanzane.

"Ma non sarebbe stato meglio chiamare un taxi?" chiesi tra me e me, dandomi da sola ragione.

«Scusi signora Lamberto, ma io dove le metto tutte queste valigie?» le chiesi con grande serietà, come se stessi per affrontare il più grande dilemma della storia.

«Mi chiami signorina grazie. Comunque faremo due viaggi!» ribatté ovvia.

«No, no! Farò in modo di farle entrare tutte!» affermai con gran terrore. Non avrei lasciato per nessun ragione al mondo i miei vestiti abbandonati nelle mani del destino. Dove andavo io, mi avrebbero seguito loro.

Lo schiaffo fortunatamente aveva ammutolito Castiel. Continuava a stare in silenzio senza fiatare.

Escogitai un piano per salvare i miei indumenti e dopo varie proposte trovai quella più appropriata e fattibile. Feci accomodare in auto sia Castiel che la signorina Lamberto, che eseguirono in silenzio i miei comandi. Posai una valigia nel minuscolo bagagliaio della 500. Aprii lo sportello posteriore dove sarei dovuta entrare e lanciai letteralmente la valigia addosso al rosso.

E lui agitando le braccia: «Te l'avrei anche tenuta la valigia... ma cazzo bastava chiedere. Che modi sono questi?!» si riferì al mio modo sgarbato di lanciare il bagaglio. Ben gli stava.

«Ho imparato questi modi da te; Dal miglior coglione della storia mondiale. Quindi evita le lamentele, grazie!» gli sorrisi innocentemente.

«Non tollero questo genere di termini. Moderatevi!» cercò di farsi sentire la signorina Lamberto, interrompendoci.

Castiel aveva iniziato a parlare l'italiano in modo impeccabile. Aveva accenti e pronuncia francesi, quella tipica "r" pronunciata male, ma nonostante questo restai sbalordita. Sembrava quasi che avesse mentito sulle sue origini, quasi come se fosse originario dell'Italia. E probabilmente era così. Forse non conoscevo il suo passato realmente, forse Adelaide non mi aveva raccontato tutto.

Prima d'infilarmi nella piccola automobile ne pensai davvero tante, troppe.

Un altro piccolo particolare confermò quanto il Dolce Amoris si fosse impoverito. La signorina Stefania si mise alla guida della 500, giustificandosi: «L'auto è mia. Non volevo che qualcuno la rovinasse». 

Dopo quella specie di battuta involontaria, Castiel ghignò. In effetti cosa poteva esserci da rovinare in una macchina in quelle condizioni? La vernice in alcuni punti sul tettuccio era sbiadita, per non parlare delle condizioni all'interno. I sedili erano trasandati e scuciti, s'intravedeva la spugna morbida e giallastra posta al di sotto del tessuto.

Tra rimproveri, derisioni e incomprensioni varie, la signorina Lamberto finalmente mise in moto l'auto che inizialmente ebbe difficoltà ad accendersi, ma dopo tre giri di chiave eccola sprizzare ancora di salute. Castiel spostò il mio bagaglio avanti, al posto conducente approfittando del fatto che fosse vuoto. 

Il rosso ed io eravamo vicini, non riuscivo a guardarlo negli occhi, ero ancora delusa per le precedenti parole. Mi avevano fatto male, e non importava se qualcuno mi avrebbe definito suscettibile o altro. Forse se fosse stato un altro ragazzo a fare quelle battute ci avrei passato sopra, infondo era quello che volevo apparire agli occhi degli altri, ma con Castiel no. Era come immaginavo. Non avevo dato neanche a lui una buona impressione. Eppure.. eppure gli avevo mostrato il mio cuore. Avrebbe dovuto dimenticare il primo segno lasciato in lui dopo tutti i miei sacrifici. E invece no, io continuavo ad essere solo: "una di quelle Escort che faceva divertire i pezzi grossi sugli aerei ed i treni!"

Intanto, tra mille riflessioni, ammiravo la bellezza di quella città. Di affetti non ne avevo più in quel posto, tuttavia Roma aveva un qualcosa che ancora mi apparteneva, un qualcosa che non avrei mai e poi mai lasciato o abbandonato: la cittadinanza e quindi l'appartenenza all'Italia. L'Italia era il paese con più storia e tradizione di tutti. In Italia si mangiava bene, dei pranzi che in Francia neanche potevano permettersi di sognare. Gli italiani erano calorosi, accoglievano chiunque. E per accettarsi di questo bastava andare a fare un giro in centro Roma, si potevano intravedere tanti turisti provenienti da qualsiasi parte del mondo, che gli italiani facevano sentire a casa propria.

Ad interrompere il mio discorso mentale ed ideologico fu un lieve bruciore proveniente dalla coscia sinistra. Abbassai di scatto il volto e intravidi una mano fuggire dal luogo del delitto. Non ci fu neanche il bisogno di voltarmi, l'artefice era stato lui. Castiel forse non sapeva come chiedere scusa, anzi non era proprio nel suo gene farlo.. Tuttavia quel gesto significava tanto per chi lo conosceva approfonditamente. Quel cenno nascondeva dispiacere, e lo sembrava davvero. Era dispiaciuto per quella battuta di cattivo gusto, ed era amareggiato perché non era riuscito a rimediare al danno. Si percepiva nell'aria eppure lui era così orgoglioso da non volerlo ammettere. Cercava di raggranellare il male provocato rimpiazzandolo con dispetti simpatici. Mi rammollì un po' quel suo segno, ma non lo diedi a vedere. Ero orgogliosa.

Continuai ad evitare di rivolgergli la parola guardandolo solamente di sbieco per poi rigirarmi a destra verso il finestrino per ammirare la bellezza della mia ex città.

Come al solito il traffico fungeva da padrone, e quando i tratti di strada erano liberi, la poca pratica nella guida della signorina Lamberto impedì alla puntualità di diventare protagonista nel viaggio. In poche parole arrivammo in hotel con un'ora di ritardo dall'ora prevista sul calendario che ci aveva distribuito la preside prima della partenza.

L'hotel non aveva nomi. Si chiamava semplicemente "Hotel". Aveva un'insegna con il nome riportato sopra, banale e bianca. Si trovava in un palazzo di pietra. Già solo la vista esteriore non premetteva nulla di buono. E la stessa cosa la pensò anche Castiel, che scendendo dall'auto dopo di me e mettendosi a guardare con attenzione il posto nel quale avremmo alloggiato per una settimana, si scosse con le mani i capelli in segno di frustrazione.

La signorina Stefania ci fece cenno di aspettare mentre lei avrebbe preso le valigie dal bagagliaio. Aveva esplicitamente affermato che avrebbe voluto fare tutto sola, ma forse non aveva guardato con attenzione i miei bagagli. Erano stati, persino, imbarcati separatamente perché avevano superato i nove chilogrammi premessi ad ogni passeggero.

Quando cercò di sollevare i trolley, la goffa signora, cadde sull'asfalto davanti alla nostra vista. Castiel non perse un attimo per deriderla, ma non appena riuscì a controllarsi corse in soccorso della povera Stefania. Anch'io cercai di fare lo stesso, ma lo impedì Castiel che mi lanciò la sua valigia, come se quella fosse una palla da basket ed io il canestro da centrare. Afferrai il bagaglio lasciando incustodita una delle mie. La presa non fu difficile tanto che era leggera. Non mi capacitavo di come avesse fatto entrare gli abiti e gli occorrenti che sarebbero serviti per una settimana, in una valigia così piccola.

Appena Castiel giunse dietro al cofano dell'auto, Stefania si fece aiutare ma con il broncio. Sin da subito, infatti, era nata un'antipatia reciproca da parte di entrambi. Quella della Lamberto era più che giustificata. Si sentiva ridicolizzata in ogni istante da uno studente, e se non fosse stato per quel poco di stipendio percepito grazie a quella gita, lei avrebbe di sicuro risposto con altri mille insulti nei confronti del rosso. Quelle sensazioni, quei pensieri si percepivano nell'aria, negli sguardi.. e quelli valevano più di ogni altra parola.

Quando finalmente tutti i bagagli erano difronte al cosiddetto hotel, la signorina Lamberto, prima di entrare c'impose delle regole.

«Come vi ha già anticipato l'illustrissima preside, in albergo sarete disposti in un'unica camera. Quest'ultima ha due letti singoli che sono stati adibiti appositamente per voi. Di lato al letto avrete delle tende che fungeranno da separé in modo tale da dover condividere solamente il bagno..»

Non aveva un linguaggio colto, e non sembrava avere la sua età. Non sapeva dare spiegazioni. Insomma ci avrebbe atteso una settimana comica e nello stesso tempo devastante.

«In poche parole.. ehm.. con tutto questo giro di parole volevo dirvi che... non tollero alcun tipo di rapporti amorosi all'interno della camera. Io sarò nella stanza accanto alla vostra! Anche se credo che con voi non avrò problemi di questo tipo.. Ho potuto constatare che non andate molto d'accordo e questo me l'ha riferito anche la preside del vostro liceo! Comunque uomo avvertito, mezzo salvato!»

Nel pronunciare quelle frasi ebbe molto timore e vergogna, infatti restò per tutto il tempo con lo sguardo rivolto verso il basso e con il volto in fiamme. A dir la verità anch'io provai una sorta d'imbarazzo in quel momento. "Ho potuto constatare che non andate molto d'accordo.." era vero, ma tra noi c'erano stati dei precedenti e la preside ne era a conoscenza sin dalla sera del ballo di Natale. Per un attimo mi balenò in testa il fatto che la stessa direttrice potesse essere una sostenitrice dell'eventuale coppia Castiel-Miki e che -da inguaribile romantica qual era- avesse architettato di proposito di farci inserire insieme in camera. Cercai di eliminare sùbito quell'idea insana dalla mente.

Castiel dinanzi a quelle frasi emise un ghigno divertito, e dopo avermi sogguardata maliziosamente riprese a camminare entrando nella hall dell'albergo. Io lo seguii con un lieve rossore sulle guance.

Le porte girevoli, tipiche entrate degli hotel, ci portarono davanti ad enormi vetrate dal colore dell'acqua marina con su dipinti fiori dalle più svariate sfumature di colore. Erano disposte sia a destra che a sinistra in modo tale da formare una specie di traiettoria da percorrere. I vetri colorati proseguivano dritti e ad un certo punto svoltavano a destra. Dopo ancora qualche metro ecco che terminavano. Il percorso ci portò davanti ad un bancone tradizionale della reception. Lì ci accolse un signore sulla sessantina dai baffi e capelli bianchi, che subito c'intrattenne parlando un francese perfetto.

Ci spiegò tutte le regole dell'hotel e sùbito dopo ci porse le chiavi della nostra futura camera. Castiel lasciò che la prendessi io. Mi ritrovai tra le mani una piccola chiave ed un enorme e pesante aggeggio, che fungeva da portachiavi, color oro con su scritto un numero: 93. Il numero così elevato mi fece intuire che avremmo alloggiato in una delle stanze più in alto dell'edificio.

Sapere che quella chiave avrebbe aperto la porta alla stanza nella quale dove io e Castiel avremmo dormito sotto lo stesso tetto e quasi nello stesso letto, m'incusse una sensazione strana. Mi sentii avvampare e nel medesimo lasso di tempo le mani emisero più sudorazione del dovuto tanto da inumidire le chiavi. In quello stesso istante Castiel me le strappò.. tempismo perfetto, direi!

«Ma che caspita sei, un lama?!?» affermò stupito nel vedere le chiavi bagnaticcie.

Non replicai.. divenni solamente più rossa di come già ero.

Un altro tizio impiegato dell'hotel, ci portò dinanzi alle scale e all'ascensore che avrebbe dato accesso alle camere. Ci si presentò uno spazio abbastanza striminzito, abbellito da un tappeto persiano, grande quanto tutta la stanza. A sinistra vi erano due ascensori e a destra le scale. Appena si aprì l'ascensore mi sentii soffocare alla sola vista, talmente che era piccolo. Non che le scale fossero più spaziose, ma di sicuro meglio quelle.

Mi posizionai davanti alle scale ma prima di salire Castiel mi fermò con la sua voce «Inizia a salire. Io aspetto Ugly Betty e..» lo interruppi.

«Ehi» lo bacchettai «abbi un minimo di rispetto. Si chiama Stefania Lamberto, starà dietro a noi per una settimana, sù smettila..»

«Sì certo paladina, lascia qui le tue mille valigie. Le salgo io!» nel pronunciare quella frase evitò di guardarmi negli occhi. Tenne lo sguardo puntato sui bagagli posati sul tappeto.

Sembrava quasi avesse percepito il mio timore di entrare in ascensore, come se volesse farmi un favore, come se un minimo ci tenesse a me.. e infondo un po' stavo iniziando a crederci. Insomma, aveva espresso parole negative nei miei confronti in aeroporto, ma erano pur sempre parole del passato, parole che forse non pensava più. Valutai l'opzione di dargli l'ennesima possibilità di farsi perdonare.

Senza aprire bocca annuii con la testa ed iniziai a salire in camera tramite le scale. Soffrivo da sempre di claustrofobia e non riuscivo, quindi, ad entrare in luoghi troppo piccoli o troppo bassi, e l'ascensore era uno di quelli. Preferivo di gran lunga sgranchire le gambe con un po' di movimento, piuttosto che avere crisi di panico.

-


CASTIEL

Non appena le porte dell'ascensore si erano aperte, Miki era rimasta scossa, in stato di shock. Quei comportamenti mi fecero, automaticamente, ricordare quelli di mia madre che da perfetta claustrofobica non riusciva ad entrare in un saliscendi senza avere crisi. Avevo quindi deciso, senza troppe cerimonie, di accollarmi il trasporto delle valigie fino alla camera che ci avrebbe ospitati, in modo da permettere a Miki di salire prendendo le scale.

Mentre Ugly Betty era andata a medicare le parti di gamba rimaste lese dalla caduta storica al nostro arrivo, io me ne stavo come un deficiente ad aspettare la più stupida assistente di tutti i tempi.

Passarono parecchi minuti e ancora non si vedeva arrivare, così decisi di seguire l'istinto e di salire da solo. Avrei voluto portare i suoi bagagli deponendo, in questo modo, l'ascia da guerra, ma dovevo per forza rimandare la faccenda escogitando un futuro gesto caritatevole.

Il personale dell'hotel non era per nulla cordiale, anzi se poteva si scansava il lavoro. Appena ci avevano visti con molti bagagli si erano volatilizzati tutti, tranne il povero vecchiaccio dietro la reception. Così tutto il duro lavoro venne lasciato a me, povero cristo, unico uomo in quella vacanza da sfigati.

Infilai tutti i bagagli nel minuscolo ascensore e dopo essermi assicurato di non averne lasciato nessuno fuori, feci per entrare e salire, ma trovai il masso d'acciaio già chiuso. Spinsi con tutta la forza contro il bottone di quell'affare che invece di aprirsi iniziò ad elevarsi. Mi apparvero infatti, sul bottone, delle freccette verdi con il segno verso l'alto ed i vari numeretti man mano che la scatola meccanica saliva.

Decisi di aspettare lì fermo sperando fino all'ultimo che nessuno mi avrebbe giocato brutti scherzi derubando le valigie.. altrimenti chi l'avrebbe sentita Miki?!?

Quando l'elevatore si fermò, mi accorsi che lo fece al sesto piano. Noi avremmo alloggiato al settimo ed ultimo piano, quindi premetti nuovamente contro quel maledetto bottone, ma dopo miliardi di tentativi capii che il problema non era l'ascensore ma il bottone. Provai a prenotare l'altro saliscendi che si trovava accanto a quello sfortunato, ma una scritta su foglio A4 m'informo: "ASCENSORE GUASTO!". Bene, nessun ascensore era funzionante. Mi sarebbe toccato salire a piedi. Nonostante la pigrizia e la stanchezza di un viaggio in aereo appena affrontato, mi presi di coraggio ed iniziai a scalare i primi sei piani.

Arrivai a destinazione dopo qualche minuto. Ripetei i gesti di poco prima -pigiando i bottoni- e questa volta l'ascensore si aprì. Ma senza correre altri rischi e per non passare per il coglione di turno, tirai fuori tutte le valige. Le avrei salite a piedi. Mancava solo un piano. Mi aveva spazientito quell'aggeggio da quattro soldi.

Ponendo i bagagli difronte alle scale, iniziai a salirli una ad una.

-


MIKI

La prima impressione nel vedere l'ambiente, non fu pessima. Era una semplice stanza d'albergo anonima, ma nello stesso tempo accogliente, forse era stata la familiarità con il parquet a renderla tale. La stanza era sui toni del blu. La coperta, la sedia della scrivania, la mantovana della tenda, i lampadari, erano tutti dello stesso tono. Le pareti erano dipinte in celeste, quel celeste chiarissimo, quasi bianco. Accanto alla porta, a sinistra vi erano i letti e a destra il bagno. Le brande erano separate da una tenda che di divisione aveva ben poco.. era persino trasparente. Di fronte al lettino, che per mia scelta sarebbe stato di Castiel, vi era una scrivania con su una televisione piccola e di vecchia fabbrica. Vicino alla scrivania vi era un armadio in legno chiaro. Ai lati dei letti si trovavano dei comodini con sopra delle abat-jour. Poco distante dalla branda del rosso vi era una grande finestra con delle tende molto carine.

Dopo aver dato un'occhiata veloce alla stanza, m'intrufolai nel bagno. Era posto su un gradino. Anch'esso sui torni dell'azzurrino, aveva una vasca, un water, un lavandino ed una doccia. Almeno quello era abbastanza spazioso.

Castiel ritardava ad arrivare. Ero preoccupata ma nello stesso tempo non auspicavo a farmene accorgere. Non volevo che lui pensasse di avere come compagna di viaggio una rompiballe apprensiva, così evitai di correre alla sua ricerca.

Ma ero ansiosa, molto, troppo ansiosa. Non capivo per quale ragione ma persistevo ad avere dei brutti presentimenti.

Per spezzare l'attesa decisi di fare un bel bagno caldo. Sul letto c'erano posizionate un set di asciugamani con del sapone sopra. Iniziai a squadrarle nei minimi dettagli e solo dopo averle guardate per bene mi rassicurai di poterle utilizzare perché pulite. Erano una buona alternativa all'accappatoio situato nelle valigie che al momento non avevo con me.

M'infilai così nella vasca da bagno cercando di rilassare i nervi il più possibile.

-


CASTIEL

Quando finalmente riuscii a salire l'ultima valigia sul piano della stanza, venni disturbato. Quella vacanza era partita già troppo male, ero esausto.

Qualcuno mi stava tirando dal colletto della giacca, irritandomi. Mi liberai come una furia e senza vedere di chi si trattasse, mollai un pugno all'indietro.

Nessuno parlava.

Di nuovo libero, mi voltai per capire chi potesse essere l'artefice di quel gesto. Pensavo si potesse trattare di un ladro scappato alle guardie anziane dell'hotel, ma tutto era tranne che quello.

Non era un ladro, non era Miki.. era qualcuno che, invece, non avevo la minima volontà o intenzione di vedere durante quel viaggio. Anzi, addirittura inizialmente avevo accettato di partecipare a quella villeggiatura per staccarmi un po' da quella situazione asfissiante, da quella persona divenuta così insistente e petulante. 

E invece no, mi era impossibile farlo, distaccarmi, dimenticarmene. Ormai ero segnato. Perché era una persecuzione e in quel momento si trovava proprio davanti ai miei occhi.

Che ci faceva lì? Che voleva ancora? Maledizione!

Debrah se ne stava lì, imbambolata. Non si aspettava quella mia reazione brusca, forse si aspettava quel Castiel. Il ragazzo che le sarebbe saltato addosso davanti ad un gesto del genere, quel Castiel che l'avrebbe sbattuta contro il muro e baciata con passione, quel ragazzo che l'amava senza riserva, che non aveva occhi per nessun'altra ragazza oltre lei. Quel Castiel che evidentemente non esisteva più. 

Perché forse, quel Castiel era morto con la sua storia d'amore. Era morto con il tradimento della donna, che un tempo era, la più importante della sua vita.

Ritornando sui miei passi avevo creduto che lei sarebbe cambiata, che lei avrebbe posto fine ai suoi continui piani diabolici; credevo fosse tornata da me pentita, amareggiata, innamorata di me, desiderosa di farsi perdonare, ma purtroppo mi ero sbagliato ancora una volta. Ero stato un completo imbecille nel concederle una seconda possibilità. 

Roma mi sarebbe dovuta servire come luogo di riflessione, avrei dovuto rispondere ai mille interrogativi rimasti in sospeso da ormai qualche mese, ma con Debrah a pochi metri di distanza sarebbe stato tutto inutile. Mi sentivo mancare l'aria da quei suoi nuovi comportamenti ossessivi e nello stesso tempo possessivi, non sapevo quanto ancora avrei resistito senza allontanarla definitivamente da me. 

«Cosa ti sta accadendo in questo periodo, amore?! Sai che con me puoi parlarne...» mi sussurrò come la migliore falsa ingenua esistente al mondo, mentre mi carezzava la spalla sinisrtra.

Sì certo, come no. Con lei potevo parlare di tutto. Di tutto tranne che della mia vita. Ma sebbene stesse facendo la finta tonta, sapeva bene cosa mi stava accadendo. Semplicemente le faceva comodo fingere quella farsa.

Sospirò «Ti ho promesso che sarei cambiata, lo farò credimi. Dammi solo del tempo, permettimi di farlo. Abbassa il muro che hai innalzato, ti scongiuro..»

Le sue parole sembrarono sincere, ma io stesso avevo provato sulla mia pelle quanto quella ragazza potesse essere bugiarda e diabolica. Con addosso solo una vestaglia di seta bianca, s'inginocchiò facendo intravedere dei pezzi di pelle, dei pezzi proibiti. Voleva giurarmi amore eterno lì, in quell'albergo dove lei non era legittimata a stare. Era stata egoista, aveva occupato anche quei pochi spazi che avevo chiesto. Era gelosa della ragazza che mi stava aspettando nella stanza 93, e mi aveva seguito in un altro Stato per non perdermi definitivamente. Sapeva ci fosse il rischio. E come darle torto? Miki era una persona meravigliosa. Se fossi stato un ragazzo meno problematico e incasinato, avrei rischiato più volte di perderle la testa per lei. 

In quel momento, nonostante le parole di Debrah, nonostante l'umiliazione che lei da sola aveva deciso di subire inginocchiandosi ai miei piedi, non mi fece alcun effetto. Ma non demorse; prese le mie mani e le strinse tra le sue. Poi senza liberarmi, si alzò da terra e mi trascinò dentro una stanza. Era la numero 89.

«Ho prenotato una stanza accanto alla tua, ho rinunciato ad un'ottima opportunità lavorativa per seguirti, per stare insieme a te, e voglio dimostrarti ancora tanto, credimi. Ma tu mi stai rendendo le cose parecchio difficili... tu non puoi trattarmi così, non sei mai stato così freddo, distante come in questi giorni. Non è giusto!» mi rimproverò. «Perché mi fai questo, Castiel?»

«Prima di puntare il dito, guarda te stessa, fatti un esame di coscienza», replicai con un tono esageratamente duro.

Da degna testarda qual era, si slacciò la vestaglia e la fece cadere delicatamente sul parquet. Come immaginavo, sotto, era nuda. Del suo fisico non si poteva dire nulla, anzi al contrario, era una delle più belle ragazze che avessi mai visto.

«Perché non lo facciamo insieme quest'esame di coscienza?» ammiccò provocandomi, con le mani sui fianchi, esponendomi tutta la sua mercanzia.

Debrah Duval non aveva mai perso una battaglia, combatteva con tutte le sue forze, avrebbe fatto di tutto per vincere. Ma io per lei non sarei stato un avversario facile da battere. Non più.

-


MIKI

Il bagno era stato tutto fuorché rilassante. Avevo avuto, per tutto il tempo, la percezione di sentire la porta della camera chiudersi, o di udire passi di quelle Timberland che ormai conoscevo a memoria. Avevo passato ben quindici minuti in quelle condizioni. Aprivo e chiudevo continuamente il rubinetto, illudendomi. Mi ero proprio auto-convinta che lui fosse lì fuori quella porta ad aspettarmi.

Per non farmi trovare sorpresa e nuda, avvolsi il mio corpo, dal seno fino alle cosce, in un'enorme asciugamano che l'hotel ci aveva donato gentilmente in omaggio. Poi infilai delle infradito di gomma ai piedi ed uscii speranzosa dal bagno.

«Cass... Castiel...» iniziai così a chiamarlo invano, quasi come se fossimo all'aperto. Ero convinta che se non avessi urlato, non mi avrebbe potuto sentire. Ma avevo tralasciato il fattore più importante: lui non c'era e qualora ci fosse stato lo avrei già visto dall'uscio della porta.

Ero quasi delusa di non averlo trovato. Non m'importava dei bagagli o che a quel punto non mi sarei potuta vestire, che sarei dovuta rimanere avvolta da un asciugamano, a me importava solo di lui, di averlo affianco. Sebbene avessimo battibeccato, sebbene fossi in collera con lui, non tolleravo la sensazione di mancanza, di smarrimento che provavo quando non era accanto a me. 

Castiel era la mia ancora di salvezza in quella città sommersa da un mare di brutti ricordi.

Amareggiata, dopo aver girovagato per tutti gli angoli della camera, mi accorsi che in quelle condizioni non sarei potuta andare da nessuna parte per cercarlo; quindi non mi restava nient'altro che attenderlo lì, nella nostra stanza. Mi accoccolai rassegnata su quello che sarebbe diventato il letto del rosso e chiusi gli occhi.

-


CASTIEL

Durante il tragitto che mi avrebbe portato dalla stanza di Debrah alla mia, riflettei sullo brutto scherzo giocatomi da qualche ragazza con cui ero stato a letto. Prima della partenza per Roma, avevo ricevuto un messaggio anonimo, sapevo per certo che non potessero essere stati i miei amici, mi conoscevano e non avevano la minima intenzione di avere a che fare con la versione di un Castiel nervo-isterico. Di altro non sapevo chi pensare. Di certo non poteva essere vero ciò di cui mi accusavano. In ogni rapporto avevo sempre utilizzato precauzioni. Giusto?!

Ma ogni mia perplessità e problema si offuscò quando, aprendo per la prima volta la porta della mia futura stanza, trovai la bella addormentata

Micaela.

Il cuore senza avvertimenti incominciò ad aumentare i suoi battiti.

Ed io d'istinto gettando tutte le valigie, dappertutto, mi avvicinai a lei. M'inginocchiai dal lato in cui potevo ammirare meglio il suo volto perfetto.

Era così bella, bella e fragile. Dormendo esprimeva la dolcezza che, invece, da sveglia aveva sempre cercato di nascondere mostrando a tutti un caratteraccio arrogante. Ma in quel momento si trovava lì, ad un millimetro dalle mie mani, con solo una leggera asciugamano addosso. Sarebbe bastato soltanto un piccolo gesto, per sciogliere quella specie di nodo che teneva legate le due estremità di stoffa, per vederla finalmente nuda.

La desideravo, maledettamente la desideravo.. ma non sarebbe stato giusto, non così, non con lei.

Era vero, inizialmente l'avevo classificata come ragazza facile, ma non lo era mai stata. Lo sapevo bene. Ed ero stato uno stupido poche ore prima, in aeroporto, a dirle il contrario in quel modo grezzo. Lei non mi meritava. Avevo la stupida fissazione di allontanare qualsiasi persona che mostrava un minimo d'interesse reale verso di me. Non potevo di nuovo far entrare una ragazza nel mio cuore ormai divenuto di pietra. L'avrei ferita, perché io non ero più capace di amare, e lei... Miki; lei non era la ragazza giusta neanche da scopare. Mi avrebbe fatto perdere la testa e abbandonato, avrebbe fatto come Debrah. Lei non...

«Castiel... Cass...», Miki parlò nel sonno. Mi stava sognando?

«Cass, dove sei? Torna qui! Io... Io ti amo, non puoi lasciarmi, ti prego!»

Davanti a quelle sue parole mi sollevai da terra, di scatto, e restai immobile in stato di shock. Lei... lei aveva detto di amarmi. Ma lei, lei non poteva volere me sul serio. Io non potevo darle niente, non potevo ricambiare i suoi sentimenti. Cazzo! Infilai disperatamente entrambe le mani tra i capelli. Ero frustrato.

"D'accordo Castiel calmati, respira! Era solo un sogno" mi suggerì la coscienza. Dovetti darle ragione, e placai il mio affanno. Magari era persino un altro Castiel quello che stava sognando ed io da grande babbeo ero entrato in confusione per uno stupido fraintendimento.

Tuttavia mi sentii strano per quelle parole sussurrate dalla sua voce. Come se quello a sognare, a dormire, in quel momento fossi io. Percepii la terra mancare sotto ai piedi e la ragione abbandonarmi lentamente, avrei potuto fare qualsiasi cosa e non me ne sarei neanche accorto o ricordato in futuro. Quasi come se fossi statoubriaco.

Così, d'istinto e continuando a sognare -forse-, mi avvicinai pian piano al viso della piccola donna, senza più alcun timore. M'inginocchiai e poggiai le gambe nuovamente sul parquet. Le cominciai ad accarezzare i capelli con una dolcezza che non sapevo mi appartenesse, come per volerla svegliare. Volevo che lei sapesse, che lei ricordasse qualsiasi cosa sarebbe accaduta da quel momento in poi. Perché io non resistevo più.

Le sue labbra mi chiamavano, mi chiamavano e richiamavano ancora. Non potevo più farle aspettare.

Mi alzai nuovamente e piegandomi per avvicinarmi, sfiorando il suo corpo, le schioccai un bacio a stampo.

E lei, così come la bella addormentata risvegliata dall'incantesimo, aprì gli occhi...

-


MIKI

Lo stavo sognando. Lo cercavo, volevo dirgli di amarlo. Ma lui non c'era, lo intravedevo ma poi fuggiva. Scappavo per tutta Roma, girai tutti i posti più comuni e non, ma lui non c'era. Ero esausta e con il fiato corto. Nel bel mezzo di Via Condotti mi piegai poggiando le mani sulle ginocchia. Qualcuno ad un certo punto prese a carezzarmi i capelli, come per rassicurarmi. 

Era un movimento dolce, quasi come se imitasse quello di un'altalena, la mano andava su e giù tra i capelli. Le dita fungevano da pettine, il pettine più dolce che avessi mai posseduto.

Dopo qualche istante mi sentii solleticare il braccio da un qualcosa che sembrava essere una fredda cerniera di una giacca.

E dopo ancora le mie narici s'inebriarono di un profumo; un profumo inconfondibile che forse ancora non era in vendita. Era ivre.. Il profumo della pubblicità, il mio ed il suo profumo.

Senza, però, riuscire a connettere totalmente, fui nuovamente distratta. Anche se quella distrazione -dovetti ammettere- mi piacque molto, segnò il mio KO finale. Le labbra appartenenti al corpo dalle mani dolci, le labbra appartenenti alla persona che indossava il giubbotto, sfiorarono le mie.

Finalmente l'avevo trovato; non era in Via Condotti, non era al Colosseo, non era fuggito da me.. lui era lì nella mia stessa stanza pronto ad aspettarmi.

Aprire gli occhi e materializzare realmente che lui fosse lì, mi rese la persona più felice al mondo. Mi ero ritrovata i suoi occhi grigi ad un millimetro dei miei, la sua bocca invitante ad un millimetro dalla mia, il suo cuore unito al mio... o perlomeno in quell'istante fu così.

«Pace?!?» mi propose con una voce talmente dolce e roca che rimpiansi di non avere un registratore a portata di mano per imprimerla e tenerla per sempre come ricordo.

Non gli risposi, non ce ne fu il bisogno, gli occhi lo fecero al posto mio. E poi mi spuntò un sorriso involontario, uno di quei sorrisi sinceri, fatti con il cuore. 

Senza connettere più, ad un tratto mi sollevò. Mi legai con i piedi intorno ai suoi fianchi e mi lasciai trasportare da lui. Non capivo se lo avesse fatto di proposito ma la mia asciugamano in quella posizione cadde, inevitabilmente. Ero nuda, nuda per la prima volta davanti ad un ragazzo, nuda davanti a Castiel... "Castiel, signori. Diamine!" iniziai ad urlare dentro di me colta da una felicità improvvisa, come l'adolescente che in realtà ero ma che non ero mai stata fino in fondo. 

Ebbene sì, dopo l'ennesimo nostro litigio, forse stava per giungere quel fatidico momento: la mia prima volta. "Oh cazzo! La mia prima volta", davanti a quel piccolo particolare che la mia mente riuscì a ricordare, avvampai. Divenni rossa più dei capelli di Castiel. Non ero pronta, e forse in realtà non lo sarei mai stata.

Ma lui non mi lasciò il tempo di riflettere. Mi spinse contro il muro freddo continuandomi a tenere sollevata, quasi come se fossi una piuma. Poi iniziò a baciarmi insistentemente come se stesse aspettando quel momento da tanto tempo. Accettai i suoi baci, li desideravo anch'io. Ma in quell'istante, una volta presa coscienza della situazione, provai una vergogna assurda, non riuscivo ad essere a mio agio sapendomi nuda davanti a lui. Insomma non lo ero mai stata prima d'allora davanti ad un uomo. E quell'uomo in particolare non doveva assolutamente sapere che fossi vergine ed inesperta. Non potevo permettermi di mostrargli anche quella mia debolezza. 

«Ehi, che succede?! Tutto okay?» si preoccupò per me. Si accorse all'istante che qualcosa non andava, non mi sarei mai aspettata quella delicatezza da parte sua. 

«Mhmh... Ti dispiacerebbe farmi scendere?» 

"Stupida! Stupida! Stupida! Ma che razza di domande fai?!?" 

Castiel giustamente corrugò le sopracciglia confuso «non era di tuo gradimento quello che stava succedendo?» il cuore perse un battito per come sembrò restarci male. Ero ufficialmente la ragazza più deficiente al mondo. Come avevo potuto lasciarmi sfuggire un'occasione come quella? Cretina!

«Certo che mi piaceva...» arrossii per l'assurdità del momento. Stavo chiacchierando nuda davanti al ragazzo per cui avevo una cotta da mesi, avevo fantasticato ore o ore su nostri ipotetici approcci intimi e proprio quando stava per accadere realmente, lo avevo rifiutato, liquidato. Patetica. «È solo che... Sono sicura che la Lamberto passerà di qui tra poco e non vorrei ci trovasse in situazioni ambigue» mascherai la scusa con un finto sorriso, dando la botta finale a quello che era accaduto.

A quel punto lui non rispose, apparì deluso. Mi ero comportata da codarda, più del solito. Non avevo il coraggio di dirgli di essere vergine ed ero passata per la tipica ragazza che ne aveva già viste tante di quelle cose nella vita, e che al momento non ne aveva voglia.

Raccolsi l'asciugamano dal parquet e con essa, ripresi, anche la mia verginità. Aprii la prima valigia che mi capitò tra i piedi, presi dei vestiti comodi e mi precipitai in bagno sotto lo sguardo bruciante di Castiel. Indossai di fretta e furia un jeans ed una maglia rossa, uscii dal bagno nello stesso istante in cui qualcuno bussò alla porta. 

Corsi ad aprire, sapevamo benissimo fosse Stefania, ed io non volevo farla aspettare, non volevo potesse pensare a male.

«Allora... La camera è di vostro gradimento?» ci chiese appena entrò.

Avvampai all'istante. Se solo avesse saputo cosa era accaduto in quella stanza cinque minuti prima, ci avrebbe pensato due volte prima di fare quella domanda equivocabile. Nonostante l'imbarazzo risposi affermativamente, mentre Castiel non si scompose minimamente. 

Continuò a stare immobile poggiato alla finestra, accanto al suo letto, ed a braccia conserte. Dopo il mio rifiuto, dopo quello che era accaduto, non si era spostato neanche di un centimetro. Si era solo limitato a sollevare il cellulare dalla tasca dei suoi jeans e a giocarci... o forse stava semplicemente scrivendo alla sua ragazza che il viaggio era andato bene.

Stefania, invece, dopo la domanda entrò nella stanza chiudendo la porta alle sue spalle. Poi si sedette comodamente su quello che sarebbe diventato il mio letto e si sistemò la lunga gonna assicurandosi che non le si fossero fatte quelle fastidiose pieghe.

Subito dopo, poggiando le braccia sulla linda gonna iniziò a girare i pollici. Con tutta la calma del mondo, per ultimo, c'informo: «Per volontà della preside avrete questa giornata libera. Io avrei optato per una sorveglianza a distanza, ma lei ha insistito! Quindi il coprifuoco sarà a mezzanotte... Uscite, fate ciò che volete visto che entrambi conoscete già Roma, ma se ritardate di anche solo un minuto sappiate che trascorrerete una vacanza da incubo!»

Con quelle ultime parole cercò d'incuterci timore, con me ci riuscì ma con Castiel probabilmente no. Infatti non si scompose neanche di un millimetro, continuò a giocare con il cellulare e non fece neanche un cenno di saluto quando la signorina Lamberto uscì dalla porta.

Quelle frasi mi avevano fatto riflettere sulle tante contraddittorietà del Dolce Amoris. Ci avevano assegnato un tutor, una guida che ci potesse osservare e controllare durante il viaggio, ma poi alla prima occasione ci avevano dato il via libera e potevamo persino uscire quando e dove ci sarebbe capitato. Nello stesso tempo, ci avevano assegnato un'unica stanza trascurando il fatto che sia io che Castiel eravamo di sesso opposto, ma poi la prima raccomandazione che ci avevano fatto stava nel non avere inciuci.

Così feci presente le mie perplessità a Castiel per spezzare il ghiaccio che si era formato tra di noi.

«Certo che il Dolce Amoris è contraddittorio forte, eh?!»

«Già... Stasera facciamo un'uscita a tre o esco da solo?» non mi aveva calcolata per niente. Non aveva sollevato neanche un attimo il volto dal cellulare. Sembrava mi stesse invitando ad uscire con lui solo per non sentirsi in colpa. E poi perché aveva detto "tre"?! Fino a prova contraria io e lui eravamo due persone, non tre.

«Hai per caso intenzione d'invitare la Lamberto con noi? Non sono sicura sia di buona compagnia, me...»

«No. C'è Debrah qui!» con quell'affermazione bloccò le mie parole e la mia leggera risata provocata dall'idea di un'uscita a tre con la nostra tutor.

Ma da ridere non c'era proprio nulla. Nell'udire quel nome persi un respiro, mi mancò un battito ed una fitta lancinante colpì il mio povero cuore. Non sapevo cosa dire, come reagire. Non sapevo niente. M'innervosii all'istante. Avrei dovuto sopportare quella palla al piede anche a Roma. Ero incredula.

«C-che? Cosa mi sono persa?» furono le uniche lettere che riuscii a pronunciare, balbettando.

Sembrava quasi che avessi visto qualcuno a me caro morire.. quasi come se un po' stessi morendo anch'io.

«Lei è a Roma.» mi comunicò semplicemente, senza ulteriori spiegazioni. «Allora, hai deciso cosa fare? Non posso stare una giornata appresso a te!» nonostante il mio tono di voce tremante non si era scomposto.. come se il ragazzo apprensivo che mi aveva accarezzata mezz'ora prima fosse stata un'altra persona. Con il mio rifiuto di poco prima avevo innalzato un muro tra noi, ma a quel punto avevo fatto più che bene. Aveva intenzione di avere una tresca con due ragazze contemporaneamente? Con la sottoscritta non sarebbe mai accaduto. Aveva sbagliato di gran lunga persona. 

Eppure Debrah mi aveva avvertita, avrebbe fatto di tutto per allontanarci, per farmela pagare, ma allora per quale motivo ci ero rimasta così male? Be' la risposta risultò semplice. Mi ero totalmente dimenticata di lei e della sua mente diabolica. Pensavo fosse solamente una minaccia, la sua, pensavo che in realtà non l'avrebbe fatto, ma avevo sbagliato i miei calcoli; come sempre del resto.

Incassando anche quell'ultimo colpo, corsi a sdraiarmi. Mi distesi sull'estremità del letto dandogli le spalle, lui non mi avrebbe dovuto vedere.

Senza volerlo, la prima lacrima mi solcò il viso.. dovevo pur togliere, in qualche modo, un po' di veleno che mi si era formato, in un baleno, nel corpo. Ed il miglior modo per farlo era quello. Non amavo piangere, prima di trasferirmi a Parigi non lo facevo da anni.

Quando mi sentii in grado di rispondere a quella sua specie di proposta, lo feci, senza però guardarlo negli occhi. Quello era un modo per ripagarlo con la sua stessa moneta.

«Non mi va di uscire. Sono stanca. Preferisco rimanere in camera, da sola. Divertiti!» accentuai le ultime due parole che risultarono dette con acidità.

Come faceva da ormai mezz'ora m'ignorò anche davanti a quella espressione. Ed io lo lasciai fare; ero divenuta forzosamente, abbastanza orgogliosa da non calcolarlo più.

***

Dormire non era servito a niente. Mi ero addormentata pensandolo e risvegliata allo stesso e identico modo. Non sapevo se fosse uscito o se fosse ancora lì impegnato a scrivere alla sua amata ragazza. Capirlo però fu facile. Mettendo un po' di orgoglio da parte, mi voltai verso la finestra trovando solo quel muro che nascondeva le impronte della nostra quasi passione. Lui non c'era. Non era sul suo letto e né in bagno.

Così ne approfittai, feci per alzarmi ma appena drizzai il corpo un forte capogiro mi fece cadere sul parquet fresco.

Non avevo forza per alzarmi, così restai lì poggiando solo la schiena contro il muro. Subito lo sguardo cadde su quella parete, la parete, il momento che molto probabilmente avrebbe segnato la rovina del mio viaggio sereno a Roma.

Appena pensavo a lui, inevitabilmente piangevo. Non seppi spiegare quella reazione, ma in quei momenti lo stavo associando ai dolori più amari.

Le lacrime continuavano a scendere, erano giunte all'estremità della bocca. Su quella bocca che poche ore prima era stata di Castiel ora giacevano semplici e stupide lacrime, provocate sempre dallo stesso protagonista.

Le lacrime avevano un sapore salato, salato come il conto che avevo dovuto pagare rifiutando il rosso. Più minuti passavano e più mi rendevo conto di aver sbagliato. Ero di una contraddittorietà assurda. Avevo sbagliato, ero una codarda, perché lui sicuramente avrebbe capito, lui mi avrebbe insegnato a fare l'amore se solo glielo avessi permesso. L'amore per me, il sesso per lui. Ovvio. Ma... Se solo avessi accettato, se solo avessi zittito la mia bocca, lui non sarebbe corso da Debrah e probabilmente quella sera l'avremmo trascorsa insieme, noi due, soli. Quelle che rigiravano nella mia mente erano solo ipotesi, ma ripensando agli accaduti apparivano come più corrette che mai. Lui aveva voglia di stare con me, desiderava il mio corpo perlomeno, perché se fosse stato il contrario sarebbe entrato in quella stanza e mi avrebbe lasciata dormire. Dopo quelle convinzioni restava da capire solo una cosa: l'avrebbe fatto per semplice vizio o perché infondo gli interessavo io come persona? 

Dopo tutte quegli interrogativi senza risposta ebbi il cervello in fiamme. E stare lì chiusa in quella stanza, che mi parlava solo del mio vero e più grande punto di domanda, non mi avrebbe aiutata. Senza riflettere un secondo di più mi alzai di scatto con un'idea in mente. Per placare le mie ansie e i miei dolori sarei dovuta recarmi in un luogo che di dolori ne aveva visti anche troppi: la mia casa. Solo in quel modo, la stupida cotta per Castiel e i relativi problemi legati a lui, mi sarebbero apparsi un niente in confronto a quelli vissuti per tutta l'infanzia. Portavo sempre con me le chiavi, anche andando in giro a Parigi le portavo con me. Era un modo per avere dietro un pezzo di Roma che infondo era ancora la mia città. Un modo per ricordarmi chi ero. 

Questa volta senza alcun giramento di testa, m'infilai in fretta e furia delle converse rosse e indossando una borsetta a tracolla corsi in direzione della fermata più vicina. Sapevo di aver detto che avrei chiuso definitivamente con quella casa una volta cambiato Stato, ma ora sentivo il bisogno fisico e mentale di tornarci. Forse agli occhi degli altri, semmai lo avessi raccontato a qualcuno, sarei apparsa masochista, una ragazza che ama farsi del male, ma non potevo farci nulla..

Dovevo tornare nel luogo dei miei mali per aprire gli occhi e smetterla di soffrire per uno stupido ragazzo. Solo la visione di quel luogo mi avrebbe riportata coi piedi per terra, a quando mi ero imposta di non far entrare nessun uomo nel mio cuore.

Dopo qualche minuto trascorso alla fermata con, forse, una ventina di persone di tutte l'età, l'autobus arrivò pieno zeppo di pendolari. Dovevo immaginarlo. Gli autobus di Roma alle sei di sera, in orario di punta, non si potevano avvicinare ed anzi ad alcune fermate, gli autisti, neanche si fermavano. Per fortuna però, quel giorno incappai in un'autista dal cuore generoso, che pur vedendo molte persone, alla fermata dove mi trovavo io, si fermò ugualmente.

Salii e fui catapultata nell'inferno di Dante Alighieri. Ero finita per errore nel girone dei puzzolenti, un nuovo girone, dove c'erano tutte le puzze inimmaginabili. Girandomi a destra avevo ritrovato i puzzolenti di ascella, girandomi a sinistra i puzzolenti di piedi, davanti a me i puzzolenti di anziani peti e dietro di me un misto dei precedenti puzzolenti. Insomma un divertimento mai provato prima. Fui comunque fortunata perché scesi poche fermate dopo, passai quindi solo dieci minuti in quella sottospecie d'inferno.

Ed in un batter d'occhio eccomi giunta a destinazione. A pochi passi dalla fermata avrei ritrovato di nuovo quella casa che era stata mia per sedici anni. M'incamminai a passo indeciso e quando ebbi il palazzo nella visuale, le mani iniziarono a sudare freddo. Ero in uno stato di forte ansia, avevo il timore di ritrovare lì la donna che mi aveva partorito. Avevo la paura che lei avesse saputo della mia partenza e si fosse trasferita nuovamente in quella casa. E ancora una volta la mia tendenza innata di farmi film mentali non mi stava aiutando.

Man mano che i passi di distanza dal portone d'entrata diminuivano, l'ansia ed i formicolii nello stomaco aumentavano, di conseguenza.

Dopo qualche attimi di secondo eccomi di nuovo lì. Era rimasto lo stesso e identico portone d'entrata di vetro e alluminio dorato. Affianco, la lista di nomi e cognomi sui citofoni non era cambiata. Ma lì dove proprio qualche mese prima c'era stanziato il mio nome, si leggeva uno spazio bianco. Uno spazio bianco che valeva più di tante spiegazioni o parole: lei non era tornata, la mia cosiddetta madre, aveva continuato la sua vita senza pensare minimamente a me. Era proprio quello che avevo sempre voluto ma infondo un po' ci speravo di rivederla. Anche solo per riempirla di parole orribili, anche solo per riguardare i suoi occhi incoscienti, mi avrebbe fatto bene rincontrarla dopo otto anni di lontananza.

«Otto anni sono tanti...» pronunciai con amarezza come se stessi dialogando con qualcuno.

Mantenendo il volto basso entrai dentro il portone. Salii tutte le rampe di scale e finalmente giunsi alla mia porta. Era come l'avevo lasciata, di legno scuro massiccio con su una targa, in oro, che riportava il cognome Rossi, della famiglia di mio padre e di conseguenza il mio.. Quell'uomo, di suo, mi aveva lasciato solo quello, oltre al male provocatomi. 

Prima d'infilare la chiave dentro la serratura emisi un sospiro d'incoraggiamento, quando mi ritenni pronta girai le chiavi.. ma proprio quando avrei dovuto fare l'ultimo giro, mi fermai.

Inevitabilmente la ripensai. Non sapevo per quale motivo, ma ora come non mai, rimpiangevo di non aver avuto una guida, di non aver avuto lei come madre. Non avrei voluto avere una mamma totalmente diversa, no quello no, io di lei sarei stata capace di accettare anche gli enormi difetti pur di averla, affettuosa, affianco. Sarei stata capace di accettare persino il suo lavoro poco dignitoso se solo lei mi avesse, in cambio, amata. E invece no, non era mai accaduto niente di tutto quello. Lei non era stata in grado di aiutare una figlia, di proteggerla, di accudirla, amarla. Lei non era stata in grado di fare nulla se non solo scappare con il primo che le aveva promesso una vita sicura.

«Chissà se lei ora ha un'altra famiglia, chissà se ora è capace di amare, chissà se mi pensa ogni tanto, chissà se è viva...» un magone all'altezza dello stomaco mi provocò ansia al sol pensiero che anche lei non ci fosse più sulla terra. Avevo ricominciato a parlare ad alta voce, ma prima che la vecchietta pettegola e vicina di porta uscisse, di fretta feci l'ultimo giro di chiavi e la porta di casa si aprì.

L'entrata era proprio come l'avevo lasciata. Spalancai d'istinto la porta del mio luogo preferito, il salotto, ed ammirai ogni cosa. Sparse per i mobili c'erano le tante foto di paesaggi o che mi raffiguravano da sola, e insieme a Ciak. Amavo fare foto.

Purtroppo per questione di spazio non ero riuscita a portarmi a Parigi, quei collage enormi di autoscatti, e quindi erano rimasti lì, su quelle mura bianche e spoglie. Era rimasta immobile anche l'enorme libreria difronte al divano. Mi avvicinai, proseguendo, ad un posto ben definito. In uno scompartimento c'era un cassetto, dentro a questo una foto. La presi.

Le lacrime ricominciarono a scendere ininterrottamente. In quella foto, mia mamma giovane e ancora innocente sorreggeva tra le braccia una bimba di appena sette mesi. Quella bambina ero io. In quella foto mia mamma era felice di avere una figlia, in quella foto, nonostante i problemi non avrebbe mai pensato di abbandonarmi.

Ed invece il destino aveva scelto per noi due strade separate che probabilmente non si sarebbero mai più incontrate. Io e lei saremmo per sempre rimaste due rette parallele incapaci di scontrarsi. 

«Adesso dove sei, mamma?» chiesi ancora ad una persona che non mi avrebbe mai e poi mai sentita.

Con tutto il dolore del mondo, poggiandomi contro la libreria, lasciai cadere il mio corpo sul pavimento. E intanto piangevo, piangevo e piangevo ancora. Negli otto anni trascorsi senza di lei avevo trascorso altri momenti simili, momenti di debolezza che poi erano sfociati in forza. Con il passare degli anni, con il dolore, avevo costruito una corazza che mi potesse proteggere dagli altri, dalle delusioni e dagli amori. Creando quella maschera un po' volevo somigliarle.. infondo era quella l'unica cosa che mi aveva insegnato. Lei era una prostituta ed io di conseguenza mi ero sfacciata per ragazza facile. Lei mi aveva abbandonata dimostrando un menefreghismo assurdo, ed io di conseguenza avevo assunto quegli aspetti caratteriali con tutti. Non mostravo le mie emozioni, ero distaccata dal resto del mondo.

Eppure cambiare città mi aveva trasformata. Non ero più la ragazzina orfana e triste di Roma. Qualcuno aveva abbattuto la mia corazza, aveva levato la mia maschera, ma giunti a quel punto non sapevo più quale versione di Miki fosse la migliore. Soffrivo in ogni caso. Mostrare emozioni, sentimenti rendeva deboli ed io non ero diventata nient'altro che quello. Una debole. Una pedina, una monetina nelle mani del giocatore d'azzardo. Che tristezza.

Dialogavo sola come una matta fissando un punto fisso e vuoto.

Dopo essermi resa conto che stavo esagerando con quella scenata, scossi la testa e prendendo, anche questa volta, forza dal dolore, mi alzai di scatto.

Volevo visitare la casa come se la stessi vedendo per la prima volta. Mi trovavo nel lungo corridoio quando una luce improvvisa mi spinse a recarmi in cucina con timore.

Quello che trovai fu qualcosa di straordinariamente distruttivo, di straordinariamente strano da auto-convincermi che potesse trattarsi di pura immaginazione. Pur di negare quello che stavo vedendo, pensai che rivisitando il passato ero entrata in una suggestione tale da immaginarmi realtà che non potevano esistere.

Nel mondo surreale, nella mia vecchia cucina, intravedevo un tavolo apparecchiato per due. Una tovaglia bianca con su ricamati dei fiori di seta che rendevano tutta la stanza elegante. Un enorme candelabro in Swaroski riducevano tutti gli altri centrotavola del mondo miseri dinanzi a lui. Delle posate e dei piatti, degni da gran gala Rabanne, rendevano la tavola ancora più lussuosa. Per non parlare poi delle tante leccornie presenti, dall'antipasto al dolce, tutto era sofisticato e dall'aspetto appetitoso.

Il candelabro era acceso, quindi nella mia fantasia doveva esserci qualcuno in casa oltre me.

Iniziai così a scrutare ogni angolo e mi accorsi di esser valida, nonché degna sostituta del Detective Conan. Anzi a dirla tutta avrei potuto rubargli il mestiere.

Vivendo ancora nella suggestione e nelle sensazioni acute, entrai in tutte le stanze della casa.

Superando ogni limite, squadrai anche ogni angolo nella stanza dei giochi della mia cara mamma. Ripensandoci, forse l'autrice della trilogia Cinquanta Sfumature aveva preso spunto da lei. Ironie a parte, in quella casa non c'era davvero nessuno oltre la sottoscritta. Quindi le cose erano due: o ero diventata pazza o dovevo cercare altri indizi sulla tavola. Da perfetta detective scelsi la seconda opzione. Volevo cercare altre prove e se non ne avessi trovate, allora, avrei dovuto far visita ad un bravo psichiatra.

In punta di piedi e con mille occhi al posto di due mi recai nuovamente sul luogo del delitto. Era proprio lì che avrei dovuto trovare le prove. Squadrai con dettaglio ogni minimo particolare della tavola e trovai realmente qualcosa. Ringraziai mentalmente Italia unoper avermi tramandato una grande cultura con tutte le puntate del cartone Conan, e riguardai la prova.

Sotto al tovagliolo di stoffa in raso spuntava un foglietto piccolo con su scritto in stampato: CASTIEL.

Non capivo. Dovevo sicuramente avere gli occhi appannati, o forse con tutte le lacrime mi era diminuita la vista. Per evitare ulteriori sbagli, strizzai gli occhi con entrambi le mani, era giunto tempo di capire e vederci chiaro.

Poi sollevai il foglio dal tovagliolo e mi accorsi che non era riportato solo un nome, ma anche una frase.

Quelle parole erano dedicate a Castiel. Stavo per sentirmi male, seriamente.

Perché ogni volta che provavo ad allontanarmi da lui, inevitabilmente il fato ci legava nuovamente?! Quel circolo vizioso nel nostro rapporto, era qualcosa di altamente distruttivo. Il mio cuore non ne poteva più.

Lessi e rilessi il contenuto del messaggio, non potevo, non riuscivo a capire come fosse finito a casa mia.


CASTIEL,

so di averti ferito in passato,

ma oggi sono qui per dimostrarti

quanto in realtà tengo a te.

SEI LA MIA UNICA RAGIONE DI VITA..

TI AMO

Debrah <3


Non capivo. Non capivo come diamine avesse fatto ad avere le chiavi di casa mia. Se avesse forzato la serratura me ne sarei accorta, le finestre oltre ad essere ancor ora sigillate non potevano essere percorse a causa del piano alto in cui abitavo.

Delle calorie improvvise, poi, mi avvamparono il volto. Improvvisamente avevo caldo, tanto caldo. Forse per lo spavento, forse perché non avevo più la situazione sotto controllo, forse perché ero impaurita.. ma stavo avendo sensazioni ed intuizioni che non volevo per nessuna ragione al mondo avere. Ogni cosa mi era sfuggita di mano. 

Dopo neanche un minuto, sentii la porta d'entrata aprirsi. Dovevo proteggermi, dovevo prendere qualcosa tra le mani, all'istante. La prima cosa che notarono gli occhi fu quel meraviglioso candelabro. Senza pensarci due volte, lo presi e mi recai a passi lenti verso l'entrata.

Ma prima che potessi intravedere chi fosse, delle voci mi fecero sussultare.

«Come hai avuto le chiavi di questo posto?» era lui. Castiel.

Era lui, cazzo, lui, lui a casa mia. Ma come? Come? In quel caso, più le domande aumentavano e più la testa girava. Sentivo lentamente le forze mancare, stavo male come non lo ero mai stata. Ero in totale stato di shock. 

Senza capire come, urtai un vaso poggiato al muro, accanto alla porta della cucina. Si ruppe.

Inevitabilmente gli ospiti inaspettati, mi sentirono. 

«Che succede? Chi c'è?» urlò lei come un'oca starnazzante.

Proseguii di qualche centimetro verso le loro voci, ma subito dopo, furono loro a trovare me.

Ed io urlai con voce stanca e un po' troppo debilitata «Sorpresa!»

Il volto di Castiel fu un misto tra stupore, incredulità e spavento. Quello di Debrah non feci in tempo a guardarlo.

Le forze che pochi minuti prima stavano per mancarmi, perirono del tutto. Mi sentii scarica, senza energie. Subito, il cuore iniziò a battere fortissimo, avevo una tachicardia inarrestabile, e la fronte sudò fredda.

Non percepii più la terra sotto i piedi, non avevo equilibrio. Sembrava che qualcuno stesse per spostare il pavimento, come se con esso, mi dovessi spostare anch'io.

Poi all'improvviso la vista mi si appannò, la sua voce magnetica che pronunciava il mio nome. Eppure il suono era lontano, quasi ovattato.

«Miki, Miki..» non sembrava più nervoso, ma preoccupato e dolce. Musica per le mie orecchie. 

«N-non s-smettere d-di chiamarmi. A-a-amo...» non capivo cosa stavo farneticando.

Poi, il vuoto totale. La testa mi si svuotò e vidi tutto nero.

-


CASTIEL

Da degna bella addormentata qual era, Miki, svenendo, cadde in un sonno profondo. Se le stupidaggini delle fiabe -inculcate ai bambini- fossero state vere, si sarebbe potuta risvegliare, nella beatitudine, solamente con il bacio del vero amore.

Ma purtroppo per lei, eravamo nel mondo reale al momento, e non sarebbe mai potuto accadere.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** AVVISO (finalmente sono tornata) ***


AVVISO (finalmente sono tornata)

 

 

 

 

 

Come dice il titolo, questo non è un nuovo capitolo.

Ho semplicemente ritenuto necessario giustificarmi con tutti voi per la mia lunga assenza.

In questi mesi sono accadute davvero troppe troppe cose negative.. dalle cose risolvibili a quelle meno.

 

Una di queste (la più importante) ho voluto descriverla in una OS che ho pubblicato in storie originali nella sezione “drammatico”

 

Se vi va leggete pure.

 

Ho perso una persona a me cara, morta della stessa malattia di Adelaide (la mamma di Castiel). Confesso che l'avevo inserita nella storia per sfogarmi, per cambiare le sorti a persone malate di cancro, una malattia che ai tempi d'oggi e con le nuove tecnologie si dovrebbe poter sconfiggere in qualsiasi stato essa si trovi. Invece in Italia, il denaro, i fondi per investire in ricerche vengono spesi per cose futili e mai per quelle importanti. Gli studenti più bravi vengono spediti fuori dall'Italia e qui cosa resta? Niente. Ora non voglio farne un monologo, anzi vi chiedo scusa se già sta risultando tale, ma in due anni ho visto cose davvero incredibili e non posso stare in silenzio senza neanche accennare. Di questa malattia continuerò a parlarne in Ubriaca d'amore, anche se nel mio caso è andata a finire nel modo peggiore che potesse esistere.

 

Prima di questo dolore che mi ha colpito nel mese di Luglio, vi dirò la verità, stavo perdendo le speranze di scrivere.

C'è chi dice che il blocco d'autore (si chiama in questo modo, io non mi sento un autore, sono solo una dilettante) non esiste, anch'io pensavo così fino a poco tempo fa.

Poi invece mi sono dovuta ricredere, io ne ho avuto uno.

 

Avevo perso ogni motivazione per la scrittura, non ricevevo abbastanza supporto dai lettori, sentivo che la mia storia non era amata e che non c'era motivo di continuarla. Mi sono detta: “Ehi Blue, tu scrivi per divertirti o per stare male?” Beh, scrivo innanzitutto per passione, una passione che se non ha dei resoconti non vale la pena di essere condivisa.

Quando mi mettevo davanti allo schermo a scrivere, ogni santa volta pensavo: “Se nessuno commenta puoi benissimo continuare a scrivere e lasciare la storia salvata nel PC, tanto è la stessa cosa.”

 

Io non ho mai preteso di ricevere commenti del genere: “sei bravissima continua così!” No, anzi, ho sempre cercato lettori che mi dicessero la verità. Anche un “la tua storia fa schifo perché...” mi avrebbe aiutata.

Come si può crescere in questo campo se nessuno ti dice cosa pensa?!?

 

Ero in crisi perché vedevo le visualizzazioni dei vari capitoli crescere e le recensioni diminuire. Non mi spiegavo il motivo..

Poi leggevo e rileggevo storie che invece ricevevano parecchi incoraggiamenti o consigli e mi chiedevo “ma io cos'ho che non va?”

 

Nonostante questo, mi sono data forza e ho continuato per la mia strada, in tempi invidiabili solo da una lumaca, ma il lavoro da pubblicare era pronto e poi?!? -.-” Il mio PC magicamente è pieno zeppo e decide di sbattermi fuori dall'account. Così ho creato un altro account e ho cercato, giorni e giorni, di recuperare quel maledetto capitolo, ma non ce l'ho fatta.

 

Adesso lo sto riscrivendo sperando che la memoria non mi abbandoni XD

Dunque tutta questa pappardella per dire che

CONTINUERÒ A SCRIVERE UBRIACA D'AMORE <3

 

In questi mesi di assenza ho visto davvero davvero tanto affetto, cosa che ormai non mi aspettavo più. Ringrazio tutti i lettori che non vedendo più spuntare aggiornamenti mi hanno lasciato recensioni e messaggi privati. Non credevo di avere tutta questa gente, dietro, che segue la storia <3

Avete contribuito a farmi ricredere sulla storia

GRAZIE!

 

Spero abbiate pazienza ancora per un po'...

A presto :-*

 

 

PS mi dispiace lasciarvi tutti questi avvisi ogni volta che c'è qualcosa che mi turba, ma voglio essere leale e sincera con tutti voi, non riesco a tenermi tutto dentro... quindi per favore abbiate pazienza <3 (ora mi dileguo davvero. Ciao :-P )

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** CAPITOLO 23: Roma, lo scherzo del destino ***


Capitolo 23

Roma, lo scherzo del destino!








DEBRAH

Era accaduto tutto all'improvviso. Avevo organizzato ogni cosa alla perfezione scordandomi, evidentemente, del problema fondamentale: Micaela. Per un attimo avevo dimenticato quanto fosse importante per il mio ragazzo, avevo cessato di ricordare quanto lei ci tenesse a rovinarmi la vita. E sebbene con gli altri accaduti ci avesse soltanto provato, quella sera forse aveva colpito il bersaglio. 

Come una stupida principessina delle fiabe se ne stava svenuta sul pavimento ancora una volta per richiamare l'attenzione su di lei. Perché non le era bastato il cuore del mio ragazzo, no, voleva con tutta se stessa rovinarmi l'esistenza. Con un piano che ancora non avevo compreso interamente, voleva soffiarmi da sotto il naso tutto quello che avevo di più caro. Sì, Castiel era la persona più importante dopo me stessa. L'avevo intuito in ritardo, ma come si suol dire: "meglio tardi che mai". Forse però -per mia sfortuna- quella volta era davvero troppo tardi. 

Ero tornata quando il cuore di Castiel era già stato ricomposto da qualcuno, e quel qualcuno non ero io. Ero rientrata in Francia con l'intento di riparare quello che avevo rotto, perché il ragazzo dai capelli rossi sembrava essere l'unica speranza per riprendermi quel poco di dignità che mi era rimasta. Tra l'altro, Nathaniel mi aveva avvertita che Castiel sapesse tutto sul mio passato e non potevo permettere che venisse a galla a terze persone. 

Dopo che la mia carriera nella musica era finita ancor prima di incominciare, dovevo per forza ripartire da lì... da dove tutto era cominciato. 

Castiel aveva talento e se gli avessi presentato le persone giuste, di sicuro, sarebbe diventato famoso nel giro di poco tempo e con lui anche io. Tutto girava in un cerchio e un avvenimento poteva essere la conseguenza di un altro. 

Ma già a pochi giorni dal mio ritorno ebbi la consapevolezza che nulla era come l'avevo lasciato, neanche Castiel. I suoi occhi erano cambiati, lui era cambiato. Dovevo rivedere i miei piani, togliere fuori gioco Micaela. 

Perché era tutta colpa sua, di Miki. Lei era entrata nel cuore di Castiel lentamente, il modo migliore per restare dentro ad una persona in eterno. Quando, poi, lui aveva scelto di nuovo me, avevo sperato di farla franca, ma più i giorni passavano e più mi resi conto che io ero stata preferita solamente per nostalgia o ancora peggio per timore. Castiel sapeva cosa avevo tra le mani, non era ingenuo. 

Tuttavia pur sapendo di averlo in pugno, un senso di sconfitta continuava ad aleggiare intorno a me. Mi era bastato vedere come lui guardava Miki per capire ogni cosa... Perché lui la guardava con gli stessi occhi con cui un tempo contemplava i miei.

Ma nonostante avessi capito ogni cosa non mi sarei arresa. Se Castiel non poteva essere mio allora non sarebbe stato di nessun'altra, e tantomeno di Miki.

La mia mente pensava ed il mio corpo restava immobile, inerme anche davanti ai movimenti bruschi di Castiel. Aveva iniziato a girovagare per quella casa sconosciuta alla ricerca di qualcosa. Nervoso e in ansia apriva e chiudeva tutte le porte che gli si presentavano davanti. Non capivo bene cosa stesse facendo, ma una cosa era sicura: era come se io non esistessi. Dopo aver visto Miki io ero diventata invisibile, quasi come un'intrusa, come se non fossi legittimata ad assistere a quella scena. Avrei preferito uno sguardo nervoso, uno di quegli sguardi tipici di Castiel che intimorivano, piuttosto che l'indifferenza. Ma secondo lui, ormai non meritavo neanche quello.

Quando finalmente trovò la stanza che gli serviva spalancò la porta e senza perdere altro tempo sollevò Miki dal freddo pavimento. Sebbene fosse svenuta e non potesse sentire quello che le stava accadendo, la invidiai. Invidiavo quell'espressione, quelle attenzioni che Castiel stava rivolgendo solo e soltanto a lei. Non era mai stato un tipo dolce, neanche con me, ma con lei lo stava diventando senza neanche farlo di proposito. Non era corretto; Quegli sguardi, quelle mani, quel corpo, quel cuore doveva essere mio. Castiel mi spettava di diritto. Lui era stato la mia prima volta, dovevamo essere come quegli innamorati che s'incontrano dopo tanti anni eppure si amano ancora. Come nei film. Dovevamo essere una di quelle coppie che si ritrovano per poi non lasciarsi mai più. Non volevo, non potevo accettare la realtà. Quella ragazzina viziata non aveva niente più di me. Anzi, semmai io, Debrah Duval avevo qualcosa più di lei.

Quei pensieri bastarono per farmi muovere. Seguii Castiel che entrò in una stanza con un enorme divano. Ci posizionò sopra Miki con delicatezza, quasi come se fosse un oggetto fragile e prezioso che si sarebbe potuto spezzare da un momento all'altro. Mi bloccai nuovamente davanti a quella scena quasi sdolcinata. Invidiai quella ragazza ancora e ancora...

-


CASTIEL

«Che c'è?» sbottai sentendo la presenza di Debrah alle spalle.

Non ne potevo più di sentire quegli occhi di ghiaccio puntati addosso. Non ne potevo più di lei e delle sue continue menzogne. Ero arrivato al limite della sopportazione. Volevo tutta la verità. All'istante.

«Io non ho idea di quello che sta succedendo... Non prendertela con me», mi supplicò con tono di voce tremante.

Se qualcuno l'avesse conosciuta in quell'istante l'avrebbe potuta reputare innocente. Ma io la conoscevo sin troppo bene, sapevo quanto le piacesse giocare con i sentimenti delle persone. In realtà ormai di Debrah avevo solo dei pensieri negativi, e non mi capacitavo del perché perdessi ancora tempo dietro a lei. Forse ero rimasto ancorato al passato sin troppo, forse non avevo superato il male che mi aveva provocato, forse non ero poi così forte come invece dimostravo al mondo intero. O forse semplicemente temevo che lei potesse vendicarsi di quel piccolo accaduto combinato in un momento di rabbia e delusione nei suoi confronti. 

«Ah no? E allora con chi dovrei prendermela? Sentiamo!» non mi ero mai mostrato così aggressivo verso di lei. Dentro di me sapevo di non potermi permettere il lusso di farlo, la situazione era a suo vantaggio. Debrah per me era una regina persino dopo tutto il male che mi aveva cagionato. Ma c'è sempre una prima volta.

Lei senza rispondere si avvicinò a me, poggiandomi una mano sulla spalla e mi carezzò come se volesse calmarmi. Non sapeva però che l'unico modo per tranquillizzarmi -in quel caso- sarebbe stato non averla mai più davanti agli occhi. Volevo sparisse dalla circolazione. Con quel suo gesto scattò qualcosa dentro di me... di negativo. Ero convinto che lei sapesse la verità e che ci avrebbe marciato sopra per prendersi gioco di Miki.

«Scommetto che tu non sapevi nulla di tutto questo, vero?!» chiesi con sarcasmo, guardandola dritto negli occhi e puntando il dito verso una parete con delle foto. Subito dopo scrollai con violenza la sua mano dalla mia spalla. Sul muro c'erano tante foto che ritraevano Miki qualche anno prima. Quella era casa sua e Debrah lo sapeva, ne ero sicuro.

«N-no, i-io...» affermò titubante.

Scocciato per stemperare un po' di ansia iniziai a girovagare per quella stanza, a me fino a pochi minuti prima sconosciuta. Nella mia mente stavano iniziando a girare tanti pensieri, da come poter svegliare Miki, a come far sputare il rospo a Debrah. Tanti pensieri contorti che aumentarono il nervosismo. Non sapendo cos'altro fare andai spedito verso la cucina per cercare dell'acqua da mischiare con lo zucchero. Sperai -non avendo nient'altro- che avrebbe aiutato Miki a riprendere le forze. Prima che riuscissi a trovare il divano nel salotto avevo girovagato per tutta la casa, aprendo qualsiasi porta non chiusa a chiave e quindi sapevo già dove si trovava la cucina. Andai dritto, rinvenni subito l'acqua sulla tavola apparecchiata precedentemente da Debrah; forse era vero quello che diceva, si era pentita di ogni cosa, voleva realmente recuperare i rapporti con me. Scossi la testa per evitare di accumulare un pensiero in più. Aprii ogni mobile che mi veniva davanti, ma non trovai lo zucchero. Fui costretto ad urlare il nome di Debrah e lei mi raggiunse con una scintilla di speranza negli occhi. Ma stronzo com'ero la spensi subito:

«Sai dov'è lo zucchero?» le chiesi con tono piatto.

Non volevo, non dovevo mostrarle emozioni. Lei doveva capire una volta per tutte che mi ero stancato. Delusa e senza aprire bocca si diresse verso il reparto contenente lo zucchero, lo trovò subito. Eppure avevo già aperto quello scomparto di cucina non trovandoci nulla. Evidentemente ero troppo distratto. Stavo per impazzire dall'ansia e dal nervosismo. Era da troppo tempo che non mi capitava di avere tutta quella tensione. 

«Non aspettarti nessun grazie» aggiunsi guardandola di sottecchi. Nei suoi occhi si leggeva altra speranza così l'attutii ancora una volta.

Alle mie parole si poggiò al muro, incrociando le braccia, e le si scurì il volto. Nonostante ciò continuava a guardarmi dritto negli occhi. Era una delle cose che avevo sempre apprezzato di lei; il fatto di non intimorirsi davanti a niente e nessuno, neanche quando aveva torto marcio.

«Castiel, non so quante volte dovrò dirtelo ancora, ma io non c'entro nulla con questa storia. Non sapevo fosse casa sua, altrimenti ti pareva che sarei venuta qui? Meno ho a che fare con lei, meglio è!» ripeté per l'ennesima volta, cercando di essere maggiormente convincente.

Non le risposi, mi limitai a guardarla di sbieco. Mi presi del tempo. Dopo aver mescolato l'acqua e lo zucchero, con il bicchiere in mano, mi avvicinai a lei guardandola dritto negli occhi. Neanch'io riuscivo a capire i miei comportamenti, ma avevo voglia d'illuderla, di leggere nel suo sguardo speranza per poi vederla svanire. Volevo vederla soffrire. Doveva patire le mie stesse pene. E una volta che mi era stata servita l'occasione sul piatto d'argento, avrei giocato un po'.

Bastò un attimo per perdermi dentro i suoi fottuti occhi. Quegli stessi occhi che un paio di anni prima mi avevano quasi ucciso. Fu allora che ripensai, disgustato, al giorno in cui Nathaniel mi aveva raccontato ogni cosa, ogni segreto della maledetta ragazza ora davanti a me.

-

*Inizio flashback*

Un Lunedì di due anni prima scoprii quella che per me era verità. Stavo andando in cortile per fumare, quando dall'aula delegati sentii due voci sovrapporsi. Se fossero state due voci qualunque non mi sarei fermato ad origliare, ma quelle voci le conoscevo troppo bene. Il mio migliore amico e l'amore della mia vita.

«Debrah dobbiamo finirla con questa farsa. Tutto sta durando troppo!»

Perché il mio migliore amico stava urlando quelle parole contro la mia ragazza? quelli furono gli unici pensieri che il cervello riuscì ad emanare. Mi fidavo ciecamente di loro.

«Sì, dammi solo del tempo, tesoro!» Debrah lo supplicava. Lo aveva chiamato "tesoro". Continuavo a non capire o meglio volevo negare l'evidenza.

«No! Di tempo ne hai avuto anche troppo. Sono mesi che andiamo avanti così» rispose indietreggiando.

La porta era socchiusa e oltre a sentire potevo vedere quello che stava accadendo. Debrah cercava di poggiargli una mano sull'addome e lui la scansava, indietreggiando. Erano troppo intimi. Non sapevo avessero tutta quella confidenza.

«No, cazzo! Entro oggi se non parli tu, parlerò io. Castiel ha il diritto di sapere!»

BASTA! Avevo assistito a quel teatrino per troppi minuti. Ormai la situazione mi era fin troppo chiara. Così spalancai la porta e urlando con tutta la voce che possedevo in corpo: «Dirmi cosa? Che siete entrambi dei traditori?»

Non capivo più nulla. Non potevo crederci. Nathaniel e Debrah erano amanti. Lei mi aveva tradito con il mio migliore amico. Mio fratello si era fatto la mia ragazza. Davanti agli occhi e nei pensieri avevo immagini di loro due avvinghiati, scene che neanche la persona peggiore della terra meriterebbe d'immaginare.

Quando partì il primo pugno sul volto di Nathaniel, nella testa e nel cuore, erano rimaste solo quelle parole e quelle scene patetiche. Sembrava che nel mio cervello si fosse inceppato un DVD. Ero vuoto. Non mi era rimasto più niente. Mi era successa la cosa più brutta che potesse mai capitare in un rapporto. Dalla rabbia non vedevo nient'altro che il loro tradimento. Più colpivo il traditore, più eliminavo tensione dal corpo. Debrah urlava parole che in quel momento risultarono incomprensibili. Sentivo la sua presenza dietro di me, ma non la guardavo. Non sarei riuscito più a guardarla per parecchio tempo.

«Cosa sta succedendo qui? Smettetela!» udii una voce maschile mentre due mani mi sollevavano da terra. Durante il conflitto avevo gettato Nathaniel sul pavimento ed io ero sopra di lui... Ero talmente nero che la rabbia si era impossessata di tutto il mio corpo. Compivo azioni, ma non me ne rendevo conto.

«Voi tre: dalla preside. Subito!» riuscii a malapena a sollevare il volto per guardare chi mi aveva diviso dalla persona che da quel momento in poi avrei odiato di più al mondo. Era Faraize. Dietro ai miei casini c'era sempre lui, era destino ormai.

Senza protestare o guardare i due piccioncini, m'incamminai per primo seguendo il professore. Durante la sua ora di lezione avevo conosciuto Debrah e con lui avevo posto fine alla mia storia. Sembrava uno strano scherzo del destino, ma era pura e cruda realtà.

Appena arrivai nell'ufficio della preside: «Black, cos'hai combinato sta...» la direttrice lasciò le parole in sospeso quando vide spuntare dietro di me il volto sanguinante di Nathaniel. Mi ero superato. Non avevo mai fatto a botte nella scuola. O meglio, l'avevo fatto ma le altre volte era qualcosa di più leggero. Le altre volte era Nathaniel a suggerirmi di finirla. Lui era la mia coscienza, la persona di cui mi fidavo di più al mondo. 

Faraize iniziò a raccontare tutto ciò che aveva intuito sulla lite e nessuno dei tre fiatò. Eravamo piazzati in orizzontale, in fila, con parecchia distanza l'uno dall'altro. Dopo che la direttrice ci squadrò con disappunto, arrivò ad una conclusione.

«Signorina Duval, lei partirà tra una settimana e le farei solamente un favore a non farle frequentare le lezioni. Quindi chiamerò la sua futura scuola per far presente l'accaduto e prenderanno lì i provvedimenti opportuni!»

Le orecchie mi fischiarono per lo stupore ed il cuore aumentò di un battito. Partire? Avevo sentito bene?

Debrah doveva partire. Cambiava scuola. Perché io non ne sapevo nulla? Ero davvero così poco importante per lei? Eppure stavamo insieme da parecchio tempo oramai. Appena la direttrice finì di rivolgersi a lei, Debrah mi guardò e mi fece segno che avremmo parlato appena fuori dall'ufficio. Io non le risposi, la guardai con sguardo duro e mi voltai di scatto verso la preside. Per la prima volta apparì più interessante guardare il confetto incazzato piuttosto che Debrah.

«Signor Daniels, lei corra in infermeria e si faccia medicare. La sospendo per tre giorni con obbligo di frequenza» con volto basso sporcando persino il pavimento, per delle gocce di sangue cadute, Nathaniel annuì e senza spiccicare parola uscì dall'ufficio.

Restavo io. Colui che aveva spaccato la faccia al suo migliore amico.

«Signor Black, lei è sospeso da ogni attività scolastica per un mese a partire da ora. Il che sa che vorrà dire? La bocciatura assicurata! La violenza è ciò che tollero di meno. Che sia d'insegnamento a tutti gli alunni della scuola. Non voglio mai più vedere scene da Wrestling nella mia scuola. Chiaro?!»

Non m'interessava. Da quel momento meno sarei stato in quel postaccio, meglio era. Alzai il pollice della mano sinistra verso l'alto e con il mio sorrisetto falso abbandonai l'ufficio senza suppliche o aggiungere parole. M'incamminai verso l'uscita a passo veloce per evitare di parlare con Debrah. Se la nostra storia doveva finire, avrei voluto che finisse in quel modo, senza bisogno di dirsi le frasi di merda tipiche dei film melodrammatici. Ma ovviamente nella mia vita non poteva filare tutto liscio, neanche per una volta.

«Castiel, aspetta... fermati... ti prego...» alle calcagna Debrah, con il fiatone, voleva lavarmi la faccia a tutti i costi. Mi fermai di scatto proprio vicino alla porta d'uscita di scuola. Mi voltai verso di lei ma senza guardarla negli occhi.

«Una casa discografica mi ha offerto un contratto. Mi trasferisco in America!» disse entusiasta.

"Ma che bella faccia tosta. Come se non fosse successo niente..."

«Buona vita!» risposi visibilmente scocciato ed incrociando le braccia al petto. Poi aggiunsi: «Se hai finito, io andrei...» mostrando la porta dietro le spalle.

Lei m'ignorò e continuò «Sapevi che non sarebbe potuta continuare la nostra storia. Pretendevi che andassi all'estero da fidanzata?»

«Ah no! Ti auguro di farti tutti i JOHNNY che vuoi. Addio Debrah.» dovevo farle capire in qualche modo che -qualche sera prima- avevo letto i suoi messaggi orribili scambiati con chissà chi, e quello fu l'unico modo. Senza aspettare risposta mi voltai di scatto ed uscii da quella maledetta scuola.

Lei restò senza parole e continuò a seguirmi: «Che? Hai letto i messag.. ma vedi che.. no..» era alla ricerca delle parole giuste, ma evidentemente non era poi così brava a trovare menzogne immediate.

«Sta' tranquilla. Non sprecare la tua bellissima voce, altrimenti come farà l'America senza di lei? Adesso devo proprio andare. CIAO!» risposi a mo' di sfotto' e con un cenno della mano salutai per l'ultima volta Debrah. 

Mi voltai per guardarla un'ultima volta con il cuore in gola, non l'avrei mai più rivista e almeno quello me lo concessi. Era spiazzata, con la bocca spalancata per le risposte fredde che le avevo dato. Evidentemente non se l'aspettava. Avrebbe voluto una supplica o qualcosa di simile, ma aveva sbagliato di gran lunga persona. Nel nostro rapporto avevo già fatto troppi errori; le avevo dato me stesso senza che neanche lo meritasse. 

Quella mattina, nell'atrio della scuola, lasciai nelle mani della donna che pensavo di amare un piccolo pezzo di cuore. Non si sarebbe mai risanata quella ferita, quel tradimento, e sarebbero stati giorni duri per me quelli a seguire, lo sapevo bene. Ma sarei sopravvissuto. Un cuore di pietra spezzato era impossibile da scalfire ulteriormente. Da quel giorno non mi sarei fidato di nessuno per molto tempo.

Passai il mese successivo chiuso in casa. Non avevo voglia di fare nulla. Uscivo il giusto indispensabile per comprare alcolici ed erba. Sì. Non l'avevo mai fatto prima d'allora. Avevo sentito alcuni amici parlarne; dicevano che lo spinello facesse stare meglio, così iniziai a fumarne anche venti al giorno. Non avevo alcun beneficio una volta che il mio corpo si era abituato alla sostanza ma ormai, anche quello, era diventato un vizio. Bevevo e fumavo, fumavo e bevevo. Ero ridotto male, ora, ripensandoci lo ammetto. Ma in quel periodo non capivo niente. Niente mi sembrava corretto, niente mi sembrava sbagliato. Vivevo in una bolla. Mi sentivo come un pesce senza alcuna responsabilità. Mi alzavo la mattina con l'idea della ragazza stronza in testa e subito iniziavo a bere. Bevevo per dimenticare. Volevo dimenticare la mia prima ragazza, la storia che mi aveva segnato per tutta la vita. 

Ma come si può bere e dimenticare se non si è ubriachi di alcol? Ero un deficiente ubriaco d'amore. Ubriaco di un amore falso, bugiardo, un amore che non sarebbe dovuto neanche nascere; ma che comunque era nato con solo l'intento di distruggermi. E ci stava riuscendo. 

Ogni santa giornata quando vedevo che l'alcol non aveva fatto il suo effetto, iniziavo a fumare spinelli fino a rincoglionirmi. E ci riuscivo. Passavo il resto della giornata buttato sul divano a guardare programmi spazzatura in TV e a mangiare cibo in scatola. In quei mesi ero troppo annebbiato per capire, per fermarmi a pensare che era tutto sbagliato. Pensavo a Debrah a quello che mi aveva fatto e ancor più pensavo a Nathaniel a quanto mi aveva ferito. Lui era l'amicizia di una vita, sapeva tutto di me, ogni cosa, davvero. Non doveva permettersi di andare a letto proprio con lei. Erano loro due i miei unici pensieri. 

I miei genitori avevano capito che c'era qualcosa che non andava, ma continuarono la loro vita sparsi per il mondo senza pensarmi minimamente. E nonostante tutto ero felice per loro. Loro almeno si amavano. Anche se in quindici anni non erano stati capaci di trasmettermi il loro amore, ero felice così. Non avevo bisogno di loro. Non avevo bisogno di nessuno. Ogni tanto Lysandre, un compagno della vecchia band, veniva a farmi visita, era l'unica persona che tolleravo. In quel mese -il peggiore della mia vita- avevo persino abbandonato la musica. Errore più grande. Ma a cosa mi serviva suonare, scrivere canzoni, se pensavo ininterrottamente a lei soprattutto in quei casi? Ogni cosa mi ricordava quella stronza patentata, persino il divano su cui mi ostinavo a stare giorno e notte. Mi appuntai di comprarne uno nuovo prima o poi. Dovevo eliminare ogni cosa mi ricordasse lei.

Esattamente al trentesimo giorno dall'accaduto accadde una cosa, l'ultima che distrusse definitivamente quel poco di ragione che mi restava. Suonarono alla porta, pensavo fossero quei piccoli venditori ambulanti che ogni tanto disturbavano la mia quiete, così urlai senza scomodarmi:

«'Fanculo! Non mi serve niente. Andate via!» ma nonostante la mia intimidazione chiunque fosse continuava a suonare e bussare senza parlare.

Quando non ne potetti più di quel suono assordante mi alzai con intenzioni non buone dal divano e mi recai ad aprire la porta. L'alcol ed il fumo avevano peggiorato il mio carattere. Ero ancora più suscettibile e stronzo del solito. Giunto davanti al masso di legno, lo spalancai quasi rompendo la maniglia tanto della forza che ci misi. In quell'istante avrei voluto tanto essere spettatore della scena, di sicuro l'espressione che feci quando vidi Nathaniel sull'uscio di casa mia, fu la più brutta e buffa della storia.

Non me l'aspettavo. Il nemico aveva oltrepassato il limite. Non gli bastava più avermi segnato e rovinato per sempre l'esistenza, aveva bisogno anche di ricordarmi quanto lui fosse più fortunato di me, più bello e più tutto. Con espressione disgustata gli voltai le spalle e mi recai in cucina a prendere una birra. Lasciai la porta aperta per fargli capire che sarebbe potuto entrare. Non che io volessi ricucire i rapporti con lui, quello mai, ma ero curioso di sapere cosa voleva ancora da me. Era da ormai più di un mese che non mi concedevo una risata e quel giorno ero proprio in vena di rifarlo. Ritornai nel soggiorno dove Nathaniel aveva occupato il mio posto preferito e restai in piedi con le spalle al camino, difronte al lecchino. Iniziai a bere la birra senza offrirgliene; quella non era mai stata mia abitudine, figuriamoci poi ad un verme come lui. Per quanto mi riguardava sarebbe anche potuto morire di sete. Da quel giorno in poi avrebbe dovuto chiedermi qualsiasi cosa in ginocchio. Lui per me non era più niente. Persino la formica più piccola presente tra le mura della casa avrebbe meritato maggiori attenzioni di lui.

Schioccai la lingua al palato «Che faccia di cazzo che hai nel presentarti qui!» brontolai a bassa voce ma visto il silenzio sapevo mi avrebbe sentito ugualmente.

«Mi ha mandato la direttrice» iniziò ingoiando pesantemente la saliva, persino io lo sentii, «queste sono tutte le spiegazioni che ti sei perso fino ad ora. Ha detto che devi rimetterti di pari passo con il programma anche se sei sospeso», aggiunse porgendomi su per giù duecento pagine di appunti.

Lanciai il malloppo di fogli in aria. Non avevo nessuna intenzione di studiare, né di ricevere aiuto da un traditore come la faccia da beduino difronte a me. Ormai avrei perso l'anno. Sarei stato bocciato a prescindere, a cosa sarebbe servito studiare?

Ma se la direttrice si era bevuta il cervello, Nathaniel non era da meno. Era cambiato. Non solo dal modo di parlare ma anche in quello di vestire. Se non l'avessi visto con i miei occhi, non avrei mai potuto immaginare che sarebbe potuto cambiare in così poco tempo. Era in camicia e cravatta abbigliamento che lui aveva sempre odiato perché poteva in qualche modo accomunarlo al padre. E invece eccolo lì: un clone perfetto del signor Daniels.

«Se hai finito, puoi anche andare via, ora!» riuscii a dire solamente. Ero sotto shock ancor di più. Cosa ne era stato del mio ex migliore amico?

«No! Vorrei sapere cosa ti ha detto Debrah» affermò con fermezza. 

Ma il damerino si era sbagliato i conti «non sono affari tuoi!» risposi secco.

«Sì invece, dal momento in cui sono stato preso a pugni per un malinteso», insisté. A me non erano mai piaciute le persone che insistevano in un discorso, e lui lo sapeva bene. Mi stava istigando per chissà quale fine.

«Lo chiami malinteso scoparti la mia ragazza?!?» chiesi sarcasticamente troppo ad alta voce ed estremamente nervoso.

«Io che?!» chiese a sua volta sgranando gli occhi. Sembrava sorpreso, eppure non avrebbe dovuto.

Poi continuò: «Quindi non ti ha detto un bel niente, presumo. Non conosci la verità. Bene. Lascia che te la racconti io, allora!»

«No, non ho altro tempo da perdere dietro a te! Ho cose migliori da fare invece di ascoltare un bugiardo di merda» più cattiverie avrei detto, meglio sarebbe stato. Volevo toglierlo a pedate da casa mia, all'istante.

«Non cambierai mai eh?! Sempre il solito testone» sorrise malinconico e scosse la testa, «comunque visto che non mi dai altra scelta, sarò costretto a spiegarti tutto in due parole...» stava per raccontare altre cazzate, lo sapevo già, e tutte quelle scemenze stavano diventando troppe, così bloccai il discorso da quattro soldi sul nascere, raggiungendolo con aria minacciosa 

«O te ne vai o sarò costretto ad usare le maniere forti e non sarò clemente come l'ultima volta, ti avverto!» lo presi dal colletto della camicia e lo sollevai dal divano. Ero rimasto in silenzio e buono per già sin troppi minuti.

«Debrah-ha-ceduto-a-ricatti-per-fare-carriera!» disse tutto in un fiato e con voce strozzata a causa della mia mano che lo strattonava. Non fece niente per liberarsi dalla mia presa, mi conosceva, sapeva che dopo quelle parole gli avrei permesso di spiegarsi meglio.

Forse non avevo capito bene. Lo mollai spingendolo, come si aspettava, e gli permisi di concludere. 

«Si è portata a letto parecchie persone per riuscire a farsi assumere da una casa discografica...» non volevo crederlo. Lei non era quel genere di persona. Mi stava mentendo per pararsi il culo. Sì. Doveva essere per forza così. «...E per finire un chitarrista. Lui non è bravo quanto te, per questo motivo ha scelto lui e non te. Non vuole avere la scena oscurata da qualcuno più bravo di lei. Ha trovato questo ragazzo che suonava nel locale del padre, ha visto che l'avrebbe potuto conquistare e si è buttata letteralmente su di lui...»

«E tu lo sai, perché...» sapevo non stesse dicendo menzogne. Lo conoscevo bene. Aveva cambiato il suo modo di vestire, di approcciarsi, ma non le sue espressioni. I suoi occhi in quel momento non mentivano.

«L'ho vista all'attacco. Un Sabato sera sono arrivato nel locale prima di te e Lys ed ho assistito ad una scena patetica. Ti risparmio i dettagli. Da lì mi ha raccontato tutto, perché ovviamente sono andato a dirgliene due una volta averla beccata... Non poteva aver fatto una cosa del genere al mio migliore amico..» lo fissai schifato ed incredulo. 

Non mi aveva tradito con una persona sola. Non mi aveva tradito per semplice attrazione. Mi aveva tradito per fama, successo e soldi. Lei non poteva essere la stessa persona che per la prima volta aveva fatto l'amore con me. Come poteva quella ragazzina ingenua architettare piani del genere?

«Pensavo fosse partita per una carriera da solista!» dalla mia bocca non fuoriuscivano i pensieri del momento, ma domande, frasi buttate lì senza senso. Non capivo più nulla. Non ricordavo più neanche il mio nome. 

«Non volevano una solista, ce n'erano troppe dicevano. Cercavano un duo uomo-donna con qualcuno dei due che suonasse uno strumento. Ma comunque è come se fosse solista. Quel ragazzo è un musicista, un cantante come tutti gli altri, non ha nulla di particolare».

«E tu in tutto questo cosa c'entri?» ancora una volta, una domanda buttata lì. Quasi per sembrare freddo, per sembrare quello poco colpito dalla situazione. Ma la verità era che tutto mi toccava sin troppo. Mi facevo schifo. Ero stato con una donna, una mezza donnetta adolescente, che si era concessa per diventare famosa. Per la prima volta, grazie a Nathaniel la verità mi era stata sbattuta in faccia. Per la prima volta dopo molto tempo ero di nuovo entrato in contatto con la realtà. Ed era terribile.

«Te l'ho detto. Non sopportavo il fatto che stesse prendendo in giro te. In più mi aveva offerto di partire con lei. Aveva provato a sedurre anche me, ma ho rifiutato.» Nonostante quel bel gesto, restava il fatto che doveva parlarmene subito.

«Da quant'è che va avanti questa storia?» chiesi. Sembravo un giornalista, freddo. Perlomeno capii di essere un bravo attore quel maledetto giorno.

«Contando questo mese appena passato, tre. Tre mesi!» un colpo al centro tra il petto e lo stomaco mi colpì violentemente. Quando facevamo l'amore, l'aveva fatto con chissà quanti altri, magari anche nello stesso giorno. Sentii l'impellente bisogno di vomitare il tonno in scatola mangiato a pranzo. Avevo il disgusto. Di che diamine di donna mi ero innamorato?

«Perché non me l'hai detto subito?» continuai il mio finto ruolo da giornalista menefreghista senza far trapelare il mio disgusto per quell'assurda situazione.

«Voleva essere lei a parlartene... mi aveva quasi supplicato. Ma ogni giorno trovava una scusa per evitare di parlarti. Dovevo capire sin da subito che non ti avrebbe mai raccontato niente per davvero. Sono stato stupido, ho sbagliato, lo ammetto..»

«Sì. Il tempo per i piagnistei è scaduto. Puoi andartene ora!»

E con quella frase si chiuse l'ultima conversazione quasi civile tra me ed il biondo. 

Non potevo perdonarlo. Tre mesi erano troppi. Lui sapeva ogni cosa e me l'aveva tenuta nascosta. Per lo più non aveva negato di esser stato con lei. Aveva rifiutato l'offerta, la partenza, la fama, ma il resto? Chi mi avrebbe potuto garantire che stesse raccontando la verità? Decisi di voler restare nel dubbio, di non voler sapere la verità. Già stavo male per quella porcheria che mi era stata sbattuta in faccia, figuriamoci se avessi avuto conferme di un'ipotetica storia tra lui e Debrah. Non avrei sopportato parole del tipo "sì, siamo stati insieme.. abbiamo scopato ma nulla di più" e cose simili. Non avrei retto, non se quelle frasi fossero uscite dalla sua bocca; dalla bocca del mio ex migliore amico.

Se ne andò da quella casa senza aggiungere sillaba. Era strano per uno come lui, ma lo fece. Preferì scappare, lasciar perdere. Sapeva che l'argomento successivo che avremmo affrontato sarebbe stato quello. Sapeva che a quel punto mi avrebbe dovuto rivelare la sua relazione con Debrah. E da quel giorno la diedi per sicura, forse sbagliandomi, ma ne fui convinto per molti anni dopo l'accaduto. 

«Si è portata a letto parecchie persone per riuscire a farsi assumere da una casa discografica» ripetei ad alta voce le stesse ed identiche parole che mi aveva riferito Nathaniel pochi secondi prima. Quella frase, la prima, fu quella che mi sconvolse maggiormente. Senza delicatezza avevo conosciuto la realtà tutta d'un tratto. Mi sentivo come un cieco che con un miracolo acquista la vista. Inizialmente si sente spaesato e non riesce ad aprire gli occhi, ha bisogno di percepire i colori un po' per volta. Ecco, la differenza era che io ormai non potevo recepire le informazioni un po' alla volta. La verità, l'unica verità, l'avevo conosciuta tutta d'un fiato e la colpa era stata mia. Non avevo lasciato a Nathaniel il tempo di spiegare, l'avevo aggredito con la mia impulsività, con il mio carattere del cazzo, e quello ne era stato il risultato. 

Restai immobile per tutto il giorno a fissare la parete bianca in attesa di risposte, di consigli, ma non arrivavano. 

Bevevo ma ormai non bastava più. Fumavo ma ormai non bastava più neanche quello, lo spinello. Il mio corpo si era abituato a quella sostanza e magicamente l'unica cosa che il cervello pensò in quella giornata fu che avevo bisogno di qualcosa di più pesante. Qualcosa che mi avrebbe fatto sentire tutt'altra persona, che mi avrebbe fatto entrare in mondi paralleli. 

Decisi di chiamare il tizio che mi vendeva la droga. C'incontrammo vicino casa e mi diede quello che secondo lui faceva al caso mio. Un allucinogeno. Mi parve di sentirlo chiamare LSD. Non avevo idea di che effetti provocasse, gli dissi di voler spegnere solamente la mente, avere un po' di pace interiore, che più arrivavo a non capire nulla, meglio sarebbe stato. Lui mi assicurò il risultato. 

Tornai a casa e ingoiai quella droga gelatinosa e verde. Mai vista prima d'allora, una cosa del genere. Dopo un'ora ebbi i primi effetti. Fu lì che iniziò il mio incubo.

Mi trovavo in un prato enorme -al posto del cielo delle luci psichedeliche di mille colori- e al centro del verde era situato un palco. Sentivo una musica e di sottofondo cantare una voce familiare. La voce proveniva dall'impalcatura. Iniziai a correre per ascoltare meglio e quando arrivai sotto la struttura, mi bloccai. Era Debrah; Debrah seduta su uno sgabello che cantava accompagnata da un ragazzo con la chitarra. Doveva essere lui. Lui era il ragazzo che me l'aveva portata via per sempre. Avrei voluto urlare, ma non riuscivo. Ero semplicemente spettatore di quella scena, come se loro non mi vedessero. Appena finì il brano, infatti si avvicinarono e con la dolcezza e l'intimità di due fidanzati, si scambiarono un bacio. Senza pensarci due volte salii sul palco per prendere dal collo quello stronzo, ma loro continuavano ad ignorarmi. Non capivo. Non capivo niente. Loro si spogliavano, disinibiti sotto i miei occhi. Stavo soffrendo, per la prima volta nella mia vita sentivo il bisogno di piangere e urlare. 

Poi una voce. 

«Castiel..Castiel.. ma che cazz..» cosa voleva Lysandre? E perché non voleva che dividessi Debrah da quel coglione? 

Quelli furono i miei ultimi pensieri. Successivamente vidi tutto buio. Il resto mi fu raccontato un mese dopo l'accaduto.

Aprii gli occhi il giorno dopo, ma restai tormentato -da quella realtà vissuta in quelle poche ore sotto l'effetto della droga- per una settimana intera, mi dissero i miei genitori. "Lysandre è il tuo angelo" continuava a ripetere mia madre. Inizialmente non capivo, poi collegai ogni cosa. 

Nathaniel mi aveva fatto visita, mi aveva raccontato quasi tutta la verità su Debrah. Io l'avevo presa male e per togliermi i pensieri dalla testa mi ero dato appuntamento con il mio amico spacciatore e comprai robaccia. Mi feci consigliare da lui, la scelta più sbagliata della mia vita. Mi diede una sostanza che assumendola faceva entrare in un altro mondo. LSD. Era il cervello a non connettere più e faceva pensare a mondi paralleli. Nella mia specie di sogno c'era Debrah, e quando avevo corso nel prato, in realtà ero salito in camera mia. Quando ero salito sul palco per spaccare il muso al presunto ragazzo di Debrah, in realtà ero salito sulla finestra della mia camera. Lysandre era arrivato proprio nel momento giusto. Altrimenti sarei caduto dalla finestra. Sarei morto senza neanche accorgermene, sotto effetto di droga. 

Subito dopo l'accaduto fui portato in una clinica dai miei genitori che per la prima volta dopo mesi tornarono a casa dal loro lavoro impegnativo. In quella struttura passai il mese successivo a disintossicarmi e sotto la cura di psicologi. Un incubo senza fine.

Ma io non ero malato. Avevo solo superato il limite. 

Ogni giorno strizza-cervelli, dottori, mi sottoponevano ad esami stressanti e noiosi. Non ne potevo più. Con il passare del tempo, però, ritornai sempre di più me stesso. Iniziai a ragionare con il mio cervello dopo una ventina di giorni e finalmente compresi lo sbaglio commesso decidendo di mettere una svolta alla mia vita. 

Non avrei mai più assunto droghe in vita mia. Quella lezione era bastata. Non avrei mai dovuto perdere il controllo per una donna, ancor meno per una come la mia ex. Da quel giorno avrei bevuto in modo moderato, senza eccedere mai più. 

Mi ero comportato da bamboccio. Era arrivato il momento di crescere. 

Al ritorno a scuola la situazione peggiorò. Non per le droghe, ma dal punto di vista sociale. Sopportavo le persone ancor meno di prima. Non socializzavo e anzi al contrario cercavo di far stare tutti alla larga da me. Non legai più con nessuno, le donne creavano solo problemi. Usai qualche ragazza consenziente per delle sveltine, dovevo pur sfogarmi in qualche modo, ma mai qualcosa di serio.

Riuscii in ogni mio intento. Il fattore sfiga mi aveva fatto trovare al posto sbagliato al momento sbagliato, mi ero beccato un'accusa falsa di violenza, ma nonostante quel particolare non sfogai più la mia frustrazione nell'alcol o nella droga. Non toccai mai più il fondo. Neanche quando ebbi nuove notizie di Debrah. Era diventata una cantante, finalmente. Aveva pubblicato il suo primo Cd. Si era subito sbarazzata del chitarrista e chissà con quali mezzi diventò la diva che aveva sempre sognato di essere. Tutto proseguì...

*fine flashback*


Non c'erano giustificazioni davanti al mio comportamento, avevo sbagliato ogni cosa. Ma Debrah non rappresentava una semplice ragazza, non era una semplice scopata, Debrah era molto di più. Lei era la figura femminile, stabile e duratura che non avevo mai avuto; perché Debrah nonostante le apparenze era una ragazza come poche. Passava ogni fine settimana a casa mia e vederla gironzolare per casa, vederla prendersi cura di me era diventato necessario. Perché Debrah aveva sostituito una mamma, una sorella che non avevo mai avuto realmente. Peccato che però l'aveva fatto solo in apparenza. Forse era stato quello il motivo del mio gesto sconsiderato che aveva portato ad abbandonarmi alla droga e all'alcol. Non potevano esserci altre ragioni. 

La verità? Ero un coglione. Non avevo mai avuto un carattere forte prima che lei mi lasciasse. Fingevo di averlo, ma non era vero. Tutti, dopo l'accaduto, continuavano a lamentarsi di quanto fossi diventato ancor più intrattabile, ma io andavo fiero di quel carattere che mi era fuoriuscito dopo la batosta. Perché dopo quei mesi nessuno mi avrebbe messo più i piedi in testa e tantomeno ancora una volta lei, Debrah. 

Quando poi dopo due anni era tornata a Parigi, tutti avevano creduto che fossi diventato di nuovo il suo cagnolino, ma si sbagliavano. Da una parte il mio ritorno con lei aveva uno scopo. Ogni cosa, per me, aveva un senso e prima o poi sarei riuscito a portare a termine il mio fine. D'altro lato, invece, ero tornato tra le sue braccia anche per mancanza, nostalgia dei tempi in cui ero spensierato. Una via e due servizi. 

«Ok, lo ammetto. Teresa è la mia matrigna. Sapevo fosse la vera mamma di Miki. Contento? Ora mi parlerai o continuerai ad ignorarmi?» mi spezzò dal mio stato di trance la voce che ormai per me era solo simbolo di falsità e male, Debrah. 

Avevo ragione, era malvagia. Non era cambiata neanche di una virgola. Anzi, forse era addirittura peggiorata.

-

MIKI

Un brusio di voci alterate mi destò dal sonno. Strano, non ricordavo di essermi addormentata. Cercai di aprire gli occhi, ma non ci riuscii. Percepivo un peso sulla testa. Mi sentivo senza forze e la testa vorticare in un modo stranissimo, più forte di come mi era già accaduto in passato. Così senza muovermi di un millimetro mi sforzai di distinguere almeno le voci che si sovrapponevano tra di loro. Qualcuno stava litigando.

«Ti ho detto di andartene Debrah, cazzo!»

Quel nome. Quella voce profonda e roca che avrei riconosciuto tra mille simili. Castiel stava incitando Debrah ad andarsene. Ma per quale motivo? Era la sua venerata ragazza. 

«Guarda che non è stata lei a dirmelo, l'ho solo intuito. E poi... Teresa non la vuole neanche vedere!»

Un altro nome; questa volta però m'indusse ad aprire gli occhi in un lampo.

Cercai di focalizzare meglio il posto in cui mi trovavo, fu difficile, gli occhi bruciavano. Ma bastò riconoscere la stanza in cui ero per ricordare l'accaduto di chissà quante ore prima. Ero a casa mia, a Roma. Debrah e Castiel, senza capire il come ed il perché, avevano invaso anche quel mio spazio. Ed io dallo shock provocato dalla loro vista ero svenuta, giusto?

«Non voglio più sentire le tue giustificazioni, VA' VIA!» Castiel continuava ad urlare sempre più forte contro la sua ragazza e dopo qualche secondo udii una porta sbattere.

Poi il silenzio. 

Debrah era andata via, sicuro. Gli schiamazzi erano terminati quindi doveva essere per forza così. E se anche il rosso mi aveva abbandonata?

Ma un attimo dopo fortunatamente fui rassicurata del contrario. Non mi aveva lasciata sola. Lui era lì, con me. Nella mia casa. Da solo. 

Il rumore dei passi, veloci e convinti delle Timberland di Castiel, si faceva sempre più vicino ed io rabbrividii già solo nell'immaginarlo affianco a me.

«Cazzo... tu sei sveglia? Da quanto?» si fiondò accanto a me apprensivo ed allarmato. C'era qualcosa di diverso in lui, lo percepivo.

S'inginocchio sul tappeto accanto al divano del salotto dove mi trovavo distesa, ed iniziò a scrutarmi con quello sguardo mai visto in lui. Era preoccupato. Non era mai stato così tanto premuroso con me prima di quel pomeriggio. Nell'albergo non ci eravamo neanche lasciati in pace... e invece lui sembrava essersene dimenticato. 

Gli sorrisi. Fu l'unica cosa che riuscii a fare. Quei suoi nuovi comportamenti mi spiazzarono totalmente. 

«Ho preparato un po' d'acqua e zucchero, dovrebbe andare bene per aiutarti a riprendere energia. Non ho trovato nient'altro..» dalla sua voce, poi, fuoriuscì nervosismo ed imbarazzo. Perché? Lo fissai confusa.

Lui non fece caso al mio sguardo, mise il braccio sotto la mia nuca e aiutò a farmi sedere. La stanza prese a girare velocissima.

Istintivamente poggiai la mano sulla fronte e richiusi gli occhi, stringendoli. «Sei troppo debole. Tieni, bevi veloce» feci come diceva ed ingoiai l'acqua dolce nel bicchiere che gentilmente resse lui tra le mani. 

Quando finalmente la testa tornò più o meno al suo posto, in quella posizione riuscii ad ammirare Castiel meglio in volto. Quegli occhi mi erano mancati, terribilmente. Non erano scuri dalla rabbia, erano del loro colore naturale e particolare. Lo contemplai come un ebete. Sentendosi sotto esame, si spostò accomodandosi affianco a me, sul divano, evitando il mio sguardo. Quelli erano comportamenti sin troppo strani per uno come lui. La sicurezza che lo aveva da sempre contraddistinto era come svanita nel nulla. 

Volevo capire cosa fosse accaduto, cosa ci facesse lui in quella casa, per quale sacrilegio Debrah possedesse una copia delle chiavi di quell'appartamento, così cercai di chiedere chiarimenti e fortunatamente, sebbene con un filo di voce, ci riuscii.

«Sono un po' confusa...» lasciai la frase in sospeso sperando che lui si decidesse a spiegarmi qualcosa.

«Che ne dici di fare il giro della città quando ti riprendi? Non so se sia una buona idea... insomma... sì, giusto per fare qualcosa» evase la mia domanda, ponendomene un'altra e poggiandosi una mano dietro la nuca in segno d'imbarazzo. Quello era un gesto tipico di Nathaniel, se fatto da lui era prevedibile, ma da Castiel proprio no. A quel punto mi venne spontaneo corrugare le sopracciglia. Era troppo strano il suo comportamento. Non lo avevo mai visto in quel modo, non riuscii a pensare nient'altro. Nella mia testa rigiravano sempre gli stessi argomenti e frasi, probabilmente ero ancora confusa a causa dello svenimento.

Evitai di metterlo ulteriormente in soggezione, così rilassando i muscoli annuii senza aprire bocca. Durante la fantomatica passeggiata avrebbe risposto alla mia confusione. Sembrava mi stesse nascondendo qualcosa e sapevo fosse collegato a Debrah e alla donna che mi aveva messo al mondo. Pochi minuti prima avevo udito il nome di Teresa uscire dalla bocca di Debrah. Supposi, quindi, che Castiel era venuto a conoscenza di qualcosa che forse era bene che io sapessi. Aspettai con ansia e pazienza che fosse il rosso a parlare.

-


ADELAIDE

Mi sentivo uno straccio. No, forse anche uno straccio sarebbe stato meglio di me. Mi sentivo già morta prima ancora di esserlo realmente. Ed ero sola. Forse la cosa più brutta di tutta la storia era quell'aspetto. La solitudine era peggiore della malattia in sé. Ero stata punita per non aver cresciuto un figlio, l'unico che forse mi sarebbe potuto stare accanto in un momento come quello.

Uscii dall'ennesima visita e l'ennesimo parere chiesto risultò negativo. Dovevo operarmi e l'operazione sarebbe stata molto rischiosa. Ma non era quello a preoccuparmi. Non avevo paura della morte; non temevo neanche il male che cresceva, dentro me, ogni giorno di più. Il mio unico pensiero andò a Castiel. 

Come l'avrebbe presa se a raccontare la verità fosse stata Miki, un'estranea in fondo, e non io? Mi pentii all'istante della troppa impulsività che avevo avuto qualche giorno prima, a voler addossare la responsabilità della mia codardia ad una povera ragazza. Miki era molto importante per Castiel, ormai anche i muri ne erano a conoscenza, ed era stato quello a spingermi a raccontarle tutto. Pensavo che lei sarebbe stata in grado a gestire un carattere impulsivo come quello di mio figlio. Ma non era corretto addossare quel peso ad una ragazzina. Era tutto dannatamente sbagliato. Ero stata immatura, ancora una volta. Nella mia vita non ne avevo combinata una giusta. 

Mi sedetti su una panchina, situata al di fuori dalla casa ospedaliera -che mi avrebbe ospitata nei prossimi mesi-, sfinita. Nessuno faceva caso a me. Ero una delle tante facce distrutte per l'ennesimo tumore del mese. Ero un numero. Un ridicolo numero d'aggiungere al record del chirurgo più bravo di Parigi. Gli oncologi di tutto il mondo facevano a gara tra loro sulle operazioni più rischiose che riuscivano a portare a termine in un anno, e ricevevano addirittura dei premi per il loro ipotetico primato. 

Anche su di me avrebbero fatto degli esperimenti, il mio tumore era raro; mi sentivo uno stupido animale da laboratorio. Provavo delle sensazioni tremende d'impotenza. 

Strano pensarlo, ma in quel momento avrei tanto desiderato una carezza di Isaac. Ma lui dov'era? Mi aveva abbandonata per un'altra donna, una donna che non aveva mai rinunciato a nulla per lui. Ed io, invece? Io cos'ero stata? Io che avevo partorito un figlio per poi abbandonarlo subito dopo, solo per un marito esigente e prepotente, non avevo ricevuto di certo un premio di merito. Anzi al contrario ero stata punita per quel gesto. Qualcuno di superiore si stava prendendo gioco di me, lasciandomi -in un momento delicato come quello in cui mi trovavo- da sola.

Fu allora che decisi di prendere in mano il destino e di cambiare le cose. Se nessuno era disposto ad aiutarmi, me stessa si sarebbe aiutata da sola. Cercai il cellulare nella borsa enorme e iniziai a comporre un messaggio diretto a Miki. Sapevo bene che si trovasse con Castiel, e per evitare -l'altrimenti inevitabile possibilità che lei gli rivelasse la verità al posto mio- le scrissi..

-


MIKI

Il troppo silenzio nella stanza mi permise di udire la vibrazione del mio cellulare, situato sulla poltrona poco lontana dalla mia. Feci per alzarmi e prenderlo, ma Castiel anticipò le mosse sorprendendomi. Se non fosse per il dolore di testa penserei di star sognando. Il Castiel che conoscevo, non avrebbe mai compiuto quei gesti gentili.

Mi prese la borsa velocemente e me la porse. 
«Grazie» sussurrai sorridendo imbarazzata.

Quando finalmente ebbi il cellulare tra le mani, emisi un'espressione di sorpresa e Castiel se ne accorse.


DA ADELAIDE:

Ciao Miki non voglio disturbarti quindi sarò breve. Gentilmente non raccontare a Castiel quello che ci siamo dette qualche giorno fa. Ho deciso di farlo io appena rientrerete in Francia. Godetevi questi giorni e perdonami per averti tirato in mezzo a questa storia, non dovevo. UN BACIO


Ero contenta. Non per la disgrazia che stava accadendo ad Adelaide, ma perché finalmente si era decisa a voler ricucire i rapporti con il figlio. Ne fui subito convinta, quella sarebbe stata la svolta per metter da parte tutti i rancori accumulati negli anni.


A ADELAIDE:

Sono contentissima del coraggio della tua scelta. Per il resto non preoccuparti anzi, ti assicuro che non ti libererai facilmente di me. Io ci sarò anche se dirai di non volermi più vedere :P


«Il bambolotto di plastica, vero?» mi chiese, mostrando il telefono che ancora reggevo tra le mani, con espressione disgustata ed a braccia conserte, riferendosi a Ciak. In quel momento era ritornato magicamente il solito Castiel.

A quella sua battuta mi scappò una lieve risatina e decisi di dirgli la verità «No, è tua mamma».

L'espressione sorpresa sul suo volto mi fece concludere il discorso «Ci raccomanda di divertirci» lo informai con una mezza verità, facendo l'occhiolino. Quel mio atteggiamento avrebbe potuto confondere, non ci feci caso in quel momento, ma bastò Castiel per farmelo notare.

«Nah... sei troppo piatta, non mi divertirei più di tanto»

"Stronzo, coglione, cretino, deficiente!"

«Grazie, gentilissimo» risposi semplicemente, quasi offesa per non essere considerata attraente da lui. 

"Miki, stupida che non sei altro. Fagli vedere chi sei!" m'incitò la vocina interiore. 

In ritardo rispetto al mio finto ringraziamento di poco prima, alzai il dito medio nella sua direzione, accompagnato da una linguaccia. Perlomeno con quei gesti non passai per una che non sapeva rispondere a tono.

Finsi di non esserci rimasta male, ma in realtà aveva colpito più infondo di quanto io stessa immaginassi. Quei suoi sbalzi d'umore continuavo a non capirli e non potevo giustificarli. Erano bastati pochi istanti per farlo ritornare il Castiel di sempre, non che a me infastidisse, ma volevo sapere cosa diavolo ci fosse sotto. Era più lunatico del solito. Un minuto prima era premuroso, quello dopo menefreghista, come se non gli fregasse niente di me. 


***


Uno strano imbarazzo si era impossessato dell'aria che respiravamo. Era da ormai mezz'ora che girovagavamo per le strade di Roma senza alcuna meta. Grazie all'acqua mista allo zucchero avevo ripreso interamente le forze. Non avevo, però, ancora capito per quale motivo fossi svenuta. Forse avevo provato emozioni troppo forti, forse ero entrata in qualche strana specie di stato di shock dopo aver visto in casa mia Castiel e Debrah. D'altronde... Sfiderei chiunque a non restare di stucco davanti ad una scena di quelle. Il destino, anche quel giorno, mi aveva riservato grandi scherzi. Ero scappata da quell'albergo a causa della coppia che più odiavo e me li ero ritrovata nell'unico posto, sino a quel momento, ritenuto da me invalicabile. 

Dopo il mio incontro per metà hot ravvicinato con il rosso di quel pomeriggio e dopo esser giunta a conoscenza sulla presenza della sua ragazza in quella città, avevo deciso di recarmi nell'unico luogo che ritenevo sicuro da loro, ma soprattutto da lui.. 

Castiel

Era affianco a me ancora una volta, in quell'istante. Finivamo sempre per stare insieme; certo, non come ragazzo e ragazza ma era ugualmente come se una strana forza girasse intorno a noi legandoci indissolubilmente. Era tutto una specie di circolo vizioso. Sì, doveva essere quello per forza, perché prima ci allontanavamo promettendoci di non rivolgerci mai più la parola, ma dopo poco tempo con un avvenimento di qualsiasi tipo, finivo inevitabilmente per cadere nuovamente tra le sue braccia. Ma io? Avevo lo stesso effetto su di lui? Anche lui non poteva fare a meno della mia presenza? Chissà se sarei mai stata capace di dare una risposta ai miei interrogativi.

«Miki...» la sua voce magnetica mi distolse dai pensieri. Mi bloccai di colpo sul marciapiede e mi girai nella sua direzione per poterlo guardare dritto negli occhi. 

Eravamo l'uno difronte all'altro.

 «Dobbiamo parlare...» aggiunse con tono nuovamente preoccupato. Era lunatico, caspita se lo era!

Alle sue parole collegai subito le frasi sparse che avevo sentito mentre ero semi-cosciente. Sapendo su chi e su cosa sarebbe andato a parare il discorso, e per l'ansia che m'invase il corpo, non riposi. Mi limitai ad accennare un sorriso agitato ed a muovere il capo incitandolo a proseguire.

Chiuse gli occhi per una frazione di secondo e scompigliandosi i capelli per il nervosismo, iniziò il discorso «Debrah aveva le chiavi di casa tua, a questo ci eri arrivata, giusto?» Annuii e lui sospirò. 

«Bene, ecco... Lei... Cavolo! Che situazione del cazzo, io non sono bravo in queste cose», sbuffò stropicciandosi il viso con le mani. Mi trasmise ancora più tensione di quanta ne avessi già. 

«Suo padre sta con tua madre e vivono a Roma» cacciò fuori l'aria e l'ansia tutta d'un fiato, quasi sollevato di essersi tolto un peso. 

Mentre io...

Mi mancò il respiro per un secondo. Forse anche per più di un secondo. Il cuore perse alcuni battiti. Dovevo vomitare l'acqua e lo zucchero bevuti un'ora prima. 

Eppure avevo intuito qualcosa, no? Non ero ingenua o imbecille. Ma allora perché quella reazione? Allora perché in quel momento mi sentii ancora più orfana di prima? La donna che mi aveva messo al mondo si era rifatta una vita. Lei era felice. Lei aveva dimenticato le cose orribili che aveva fatto anche davanti a me. La mia vita era stata segnata per colpa sua, mentre lei se ne stava chissà dove, magari a sfornare figli... magari a giocare a "mamma e papà"

Perché ne ero convinta -se non era stata in grado di crescere me- non aveva di certo imparato, in pochi anni, a fare il genitore. Ma cosa potevo saperne io? Non sapevo neanche se avesse realmente avuto figli con quell'uomo, se avesse continuato a vivere per tutto il tempo nella mia stessa città, non sapevo nulla di nulla. 

Lei era un'estranea per me. L'evidenza di quell'aspetto mi fece tremare. Come può, una mamma, essere estranea dinanzi alla propria figlia?

E poi chi diavolo l'avrebbe mai detto? Debrah era ufficialmente la mia sorellastra. La persona più odiosa al mondo era addirittura in qualche modo legata a me. Non volevo crederci. Non potevo..

Debrah. 

Debrah che probabilmente conosceva molte più cose di quante ne avessi mai sapute io, di quella donna. Tutto divenne assurdo e ridicolo ai miei occhi. Io ero sua figlia, non lei. Io avevo il diritto di conoscerla nel profondo, non lei. Maledetta!

Ma, dopo esser stata abbandonata in quel modo, desideravo davvero conoscere tutta la verità su quella donna?

-


CASTIEL

Non ero riuscito a dirle tutta la verità. C'erano altre realtà che avrebbe dovuto sapere, eppure qualcosa mi bloccava dal rivelargliele. Non volevo soffrisse ancora una volta, ancora per sua madre. Volevo proteggerla, tutelarla dal male che sapevo si sarebbe intromesso da quel giorno in poi nella sua vita.

Avrei dovuto, inoltre, consolarla quando le si scurì il volto dopo la scoperta svelata dal sottoscritto, ma non ci riuscii. Ero bloccato da ogni dimostrazione di affetto. Persino una statua sarebbe stata in grado di mostrare più emozioni di me.

Eppure glielo dovevo... A lei che passava sopra ai miei difetti, a lei che per prima aveva visto del buono in me. A lei che la vita era stata sin troppo dura, che più di tutti avrebbe meritato di vedere il sole, di avere una speranza. Il cuore mi diceva "agisci", la mente mi diceva "fermo". Ed io da gran codardo seguii la mente.

Quando, vedendo la mia non-reazione, riprese a camminare velocemente l'avrei dovuta bloccare, avrei dovuto afferrarla e stringere tra le braccia. Ma non lo feci. Ero uno stronzo, un fottuto stronzo. Me ne rendevo conto.

Iniziai a seguirla mantenendo una specie di distanza di sicurezza. Sebbene non fossi riuscito fisicamente a starle accanto in un momento delicato come quello, non l'avrei lasciata fuggire da me, sentivo il bisogno di controllare ogni suo movimento. Sapevo di avere qualche problema legato alla personalità, che neanche uno strizza-cervelli mi avrebbe capito, ma non potevo farci niente. Quello ero io.

-


MIKI

Come se non fosse abbastanza già la novità scoperta poco prima sulla mia presunta madre, anche Castiel pensò bene di darmi altri problemi. Si comportò da stronzo, come d'altronde era sempre stato. Con freddezza, aveva sganciato quella che, per me, era stata una bomba ad orologeria e non si era degnato neanche di dire un semplice "mi dispiace". Ma chi voleva prendere in giro? Dovevo immaginarlo sin da quando avevo aperto gli occhi che la sua quasi dolcezza non era destinata a durare a lungo. Quando però poi avevo ripreso a camminare velocemente per cercare di separare le nostre strade, mi stava alle calcagna.

"Qual era il senso del suo comportamento? Dannato bipolare del cazzo!"

Dopo aver proseguito per un paio di metri «Voglio restare sola» bloccai nervosa la mia camminata emettendo la mia richiesta con tono fermo, senza far trapelare alcuna emozione. Non mi voltai nella sua direzione. Non sopportavo più quel suo carattere discordante. Avevo altro a cui pensare invece che ai suoi continui cambi d'umore.

Non si degnò neanche di rispondere. Eppure lo sentivo, percepivo la sua presenza, quella l'avrei percepita anche in mezzo a mille uomini. Era inevitabile per me riconoscerlo. Nonostante il suo silenzio non mi voltai, non volevo dargli nessuna soddisfazione. Avevo altri problemi, dei fatti che, finalmente, venivano prima di lui. Gli avevo dato per troppo tempo la priorità senza che la meritasse. 

I passanti continuavano a fissarci, ovviamente. Roma, come tutta l'Italia d'altronde, era sempre stato un posto dove nessuno sapeva farsi gli affaracci propri. Già a poche ore dal mio ritorno sentivo la differenza con la Francia. Quella città non aveva mai fatto per me e per i miei troppi segreti.

Poi delle braccia mi distolsero dai miei futili pensieri. E strano a dirsi, visto i precedenti comportamenti, ma erano le sue. Le sue mani si erano poggiate sulle mie spalle. Con il minimo di forza richiesta e necessaria mi voltò, io lo lasciai fare come la stupida ed incoerente che ero, ovviamente.

Castiel Black mi abbracciò. 

Senza proferire parola e con un semplice gesto aveva avuto la capacità di farmi cambiare umore in un battito di ciglia. Ero incredula. Poggiai le mani sul suo petto e strinsi il tessuto rosso della sua maglietta. Percepivo il bisogno di aggrapparmi a qualcosa, volevo sentirmi al sicuro e con lui risultò sin troppo facile, di una facilità da far paura. La giacca nera di pelle essendo aperta apparì ancora più grande e funse da scudo al mio corpo. Senza volerlo, dal mio volto, scese la prima lacrima alla quale ne susseguirono tante altre e mi abbandonai ad un pianto liberatorio. 

Sentire il nome di quella donna dopo tanto tempo mi aveva provocato una sensazione strana, quasi di mancanza mista ad odio. Sì, perché nonostante il male che mi aveva cagionato, restava pur sempre la mia mamma. In un certo verso quei miei pensieri mi sembrarono assurdi. Mi sentivo come se fossi divisa a metà, una parte voleva ancora bene alla donna che mi aveva creata, l'altra parte l'odiava per il male che mi aveva fomentato.

Quando poi la mano grande e calda di Castiel si poggiò sui miei capelli incominciando a carezzarli, ritornai alla realtà. Alzai il volto e lo guardai negli occhi. Era bellissimo. I suoi occhi grigi emanavano talmente tanta sicurezza che bastò per entrambi. Mi calmai all'istante.

«M...mi dispiace» sussurrai con un filo di voce abbassando nuovamente il volto. Non mi capacitavo di quello che stava accadendo. Anche se lui non aveva aperto bocca, improvvisamente mi bastava. Perché quel suo abbraccio rappresentava molto di più. Non importava se ci avesse messo più del dovuto a dimostrare la sua vicinanza, l'aveva fatto ed era quello che contava. All'improvviso, con quell'abbraccio tutto il male che ci eravamo fatti fino a quel momento, scivolò nella parte più remota dei pensieri. 

Castiel era quello, e a me piaceva. Castiel aveva uno strano modo di mostrare l'emozioni, e a me faceva impazzire in tutti i sensi. Castiel era il ragazzo più strano e testardo del mondo ed io da masochista com'ero, ero disposta a farmi del male ancora e ancora.

Sarei rimasta in quella posizione per l'eternità, ma come tutte le cose belle, anche quel momento era destinato a finire. 

Tornammo in hotel subito dopo aver staccato quell'abbraccio. Non c'era stato un motivo, semplicemente stava iniziando ad essere sin troppo duraturo e sospetto. Neanche nella stanza d'albergo, nel nostro quasi momento d'intimità, era stato così intenso come invece era accaduto in quell'abbraccio. C'erano parole non dette, emozioni forti, in quel gesto all'apparenza banale. Così, quasi in sincrono, avevamo deciso di staccarci. Non erano servite parole o gesti strani, ma solo sguardi. Ci capivamo sin troppo bene ormai.

Quando i nostri corpi si erano staccati da quell'abbraccio disperato, si creò una sorta d'imbarazzo tra noi. Castiel fu quello che s'incamminò per primo lungo il viaggio del ritorno. Io lo seguii dopo qualche secondo, cercando di raggiungerlo per camminare vicini, almeno.

Ci riuscii ma lo trovai con quell'espressione fredda e imbronciata tipica dell'essere di Castiel. Avevo il volto sconvolto, ne fui sicura, per quel motivo camminai con lo sguardo rivolto verso il basso. Le mie scarpe erano diventate l'oggetto più interessante esistente al mondo.

Quando, però, mi accorsi che i passanti non ci stavano fissando più attentamente come pochi minuti prima, ne approfittai per guardarmi intorno. Alzai il volto. Roma era come l'avevo lasciata. Bellissima ed affascinante, ma troppo poco curata. La mia ex casa si trovava nella zona del Colosseo; in quel periodo era una zona poco frequentata di sera visto che il Colosseo era in fase di ristrutturazione. Ormai era quasi notte, i lampioni accesi emettevano una luce bianca rendendo la città antica ancora più affascinante. Sebbene fossi passata da lì migliaia di volte, rifarlo a distanza di mesi mi provocò sensazioni strane. Amavo Roma, la città non gli abitanti, nonostante i dolori, non potevo farci nulla.

Arrivammo alla fermata più vicina giusto in tempo e salimmo sull'autobus già in partenza. 

Volontariamente evitai di pensare a quella donna, Teresa, per tutto il resto della serata. Non era degna di avere accanto al suo nome, l'appellativo di mamma, non lo meritava. Sapevo bene di quanto i miei pensieri fossero in contrasto tra loro e contorti, nel giro di poche ore avevo cambiato continuamente opinione, ma non riuscivo a provare sentimenti diversi. 

 

***


Io e Castiel rientrammo in hotel giusto in tempo per la cena. Stefania ce ne fu grata non appena, bussando alla porta della nostra camera, ci trovò. Forse con quel gesto avevamo guadagnato un po' di punti della sua fiducia visto che avevamo il coprifuoco a mezzanotte ma eravamo rientrati molte ore prima. C'incamminammo per scendere insieme nella sala del ristorante e lei era ancora più buffa del pomeriggio. Aveva cambiato i suoi vestiti ed io non seppi giudicare quale dei due outfit fosse il meno peggio, ma perlomeno grazie ai pantaloni le s'intravedeva qualche forma femminile. Indossava un pantalone bianco con stampa floreale a zampa di elefante ed una camicia con margherite bianche. Gli stivali beige sembravano appartenere ad un cowboy. Dalla zampa gigante del pantalone spuntavano persino delle frange. Mentre percorrevamo il corridoio che ci avrebbe portato alle scale, la fissai sbalordita per qualche secondo, prima di esser disturbata dal solito cafone:

«Per l'occasione, il Festival di Sanremo sembra essersi trasferito a Roma. Stefania Lamberto, ma come ti vesti?!?» Castiel, con quella battuta e con la voce maggiormente acuta sul finale, aveva richiamato un noto programma televisivo parlando un italiano perfetto. Avevo trascurato per tutto il tempo l'ennesima qualità del rosso e per la sorpresa momentanea restai letteralmente a bocca aperta. Forse la battuta era di pessimo gusto, forse non faceva poi così tanto ridere, ma io iniziai a farlo. Risi una di quelle risate che non si dimenticavano facilmente. E ringraziai mentalmente Castiel per avermi trasmesso ancora una volta il buon umore. Per aver riportato il sole in quella giornata buia.

Poi un flash. E gli chiesi: «A proposito, ma tu come mai parli l'italiano?» mi voltai di scatto nella sua direzione, attendendo con curiosità la risposta.

«Signor Black io non credo si divertirebbe ancora così tanto se -come punizione per la sua insolenza- dovesse passare l'intera settimana di vacanza a lavare piatti nella cucina dell'hotel. Sarebbe un vero peccato!» c'interruppe la signorina Stefania, fingendosi dispiaciuta, senza voltarsi e continuando a camminare. Lo stava letteralmente minacciando. Fino a quel momento stavamo percorrendo il corridoio uno dietro l'altro.

Approfittando della situazione e sapendo che Stefania non l'avrebbe visto, Castiel fece dapprima una smorfia nella sua direzione e dopo, come se non bastasse, sollevò il dito più lungo della mano ed iniziò a sventolarlo in senso circolare. Gustandomi la scena, trattenni una risata tappandomi la bocca con la mano, ma feci ugualmente rumore. Nel corridoio il suono si triplicò ed anche Stefania si fermò di scatto voltandosi.

«Signorina Rossi, la stessa cosa vale per lei. Continuate con quest'atteggiamento offensivo nei miei confronti ed entrambi vi ritroverete a fare da lava-piatti!» il sorriso mi scomparve. Non per la minaccia, ma più che altro per la scena. Subito immaginai un Castiel sexy con indosso un grembiule da cucina. Un senso di calore mi percorse tutto il corpo al sol pensiero.

«Oh... ma hai proprio la memoria corta tu eh?!?» Castiel ignorò Stefania, rivolgendosi a me, rispondendo alla mia domanda. In realtà quella non era una risposta, non mi aveva detto nulla.

«Ma cosa ti costerebbe rispondermi, senza troppi giri di parole e senza lamentarti, per una volta?» sbuffai fintamente nervosa.

Stefania assistette alla scena, incredula. Nessuno le dava la considerazione che meritava, quasi mi dispiacque. Ma ero troppo impegnata con Mr. Brontolone per darle retta.

«Ho amici e qualche parente qui a Roma. Nulla che ti possa interessare, ficcanaso!» mi rispose voltandosi e premendo l'indice sul mio naso. Per poco non svenni sulla moquette di quel posto. Non era cosa di tutti i giorni avere a che fare con un Castiel sereno e divertente. Intanto Stefania ormai senza speranze aveva ripreso a camminare.

«Sul serio... Ti hanno mai paragonato a Brontolo il nano di Biancaneve? Tranne che per l'altezza, gli somigli.» feci la linguaccia e lo superai riprendendo a camminare. Quella stava per divenire di diritto la conversazione più demente che avessi mai avuto. Perlomeno, con quella domanda, incrementai le possibilità.

«Biancaneve sotto i nani? Sono stato paragonato al nano che sta sopra di lei» mi raggiunse iniziando a camminarmi affianco. Dopo la battuta gli spuntò quel sorriso furbo. Cazzo. Rischiai di svenire, di nuovo. Nonostante la sua volgarità, mi piaceva. Troppo.

Solo con un gesto delle mani, lo mandai letteralmente a quel paese per scherzo. Ignorai il suo sarcasmo e, per non dargli soddisfazione di avermi vista ridere ancora alle sue battute, lo superai andando dritta verso il ristorante.

Gli ascensori non erano in funzione e ci toccò scendere fino al primo piano a piedi. Ci si presentò davanti un enorme sala. Il ristorante era aperto al pubblico, non solo ai clienti dell'hotel. Pensai subito che si dovesse mangiare parecchio bene visto l'elevato numero di persone presenti in sala. Come nella hall, anche quest'ambiente era caratterizzato da vetrate decorate da bellissimi fiori variopinti. Ogni tavola era quadrata, apparecchiata con una lunghissima tovaglia bianca ed i tovaglioli di stoffa blu coordinati al tessuto delle sedie; al centro si presentava un vaso trasparente che conteneva tre rose blu finte. Per finire cinque faretti posti al soffitto, in corrispondenza di ogni tavolo illuminavano benissimo la zona. In poche parole quell'arredamento non aveva nulla a che vedere con l'anonimo palazzo che si presentava all'esterno. Sembravano quasi due posti diversi. 

Quando la signorina Lamberto ci vide arrivare fece cenno con la mano di avvicinarci a lei che si era già seduta ad un tavolo apparecchiato per tre. Ci accomodammo mentre uno strano silenzio faceva da padrone. Sia io che Castiel non avevamo avuto il tempo di cambiarci ed eravamo vestiti con gli stessi abiti del pomeriggio. Strano a pensarsi, ma in pochissime ore erano successe tante cose. E non provai neanche ad immaginare quello che sarebbe accaduto nei cinque giorni di vacanza rimanenti.

«Per i clienti dell'hotel c'è sempre il menù fisso e per questa cena ci saranno due piatti: bucatini all'amatriciana e cotoletta con contorno di patate al forno», c'informò Stefania con la solita aria distaccata. Se poco prima pareva essersi calmata, dopo l'atteggiamento derisorio di Castiel aveva ripreso a trattenersi dall'esternare qualsiasi tipo di emozione nei nostri confronti.

Castiel stranamente non spiccicò più parola, neanche una battuta infelice, sembrava avesse qualche problema improvviso. Pestava, continuamente e nervosamente, i piedi sul pavimento e solo con quel gesto riuscì ad innervosire anche me. Mr. lunatico era tornato tra noi. Gli orli della tovaglia continuavano a muoversi insieme alle sue gambe provocandomi dei lievi fastidi sulle cosce. Cominciai a sbuffare rumorosamente ma lui sembrava non accorgersene, o forse faceva finta. E giusto per incrementare l'irritamento iniziò anche a picchiettare con le dita sul tavolo. Per non urlare istericamente allontanai la sedia dalla tovaglia evitando così che quest'ultima mi toccasse provocandomi fastidi, e provai a non guardarlo. Dovevo, potevo farcela per una volta.

Eppure prima di entrare nella sala del ristorante l'avevo sentito fare battute ed era abbastanza spensierato. Avrei dovuto suggerirgli un bravo psicologo.

-


CASTIEL

Quella sottospecie di -ancora più- brutta versione di Ugly Betty stava blaterando qualche insulsa frase, ma io non l'ascoltai. Avevo ben altro da pensare.

In quella sala colma di persone avevo intravisto l'ultima persona che avrei voluto incontrare. Non seppi bene se fu una sottospecie di scherzo del destino o se semplicemente era stato tutto architettato dalla mia ormai ex ragazza, ma lì in quel fottuto ristorante c'era il fottuto padre di Debrah e non era solo. Quel poco di cervello che mi era rimasto subito collegò tutte le informazioni che aveva ricevuto ed arrivò ad una conclusione, la più amara.

Perché lì con quell'uomo c'era lei. La riconobbi dai capelli. Grazie ad una foto ed alle informazioni recepite dal diario segreto di Miki, avevo imparato a memoria anche i volti che non avevo mai visto e che non avrei mai sognato d'incontrare. A quanto parve non era cambiata molto, aveva lo stesso colore di capelli di otto anni prima, sicuramente tinti. Forse non me ne sarebbe dovuto fregare, forse la mia reazione fu esagerata, ma quella situazione mi rese parecchio irrequieto. Ormai, conoscendo tutta o gran parte della storia, anch'io mi sentivo chiamato in causa. Ed era più forte di me. Odiavo quella donna ancor prima di conoscerla realmente.

Quasi stentai a crederci di aver materializzato davanti agli occhi colei che aveva reso la vita di Miki un inferno. Fu come veder diventare reale l'antagonista dei libri, quel cattivo a cui vorresti dar fuoco tanto dalla rabbia che ti provoca. Per me fu la stessa cosa. Mi sentii protagonista di un incubo divenuto realtà. Teresa era lì, a pochi metri di distanza da una figlia che non aveva più voluto avere "tra i piedi". Una figlia che aveva tenuto a distanza volutamente. Perché lei tutto quel tempo era stata nella stessa città della figlia. Non aveva mai lasciato Roma, e se lo aveva fatto era stato solo per qualche mese. Per Teresa, Miki era stata un giocattolo; uno di quei giocattoli non troppo preziosi, che i bambini utilizzano solo per qualche mese e poi gettano via, nel dimenticatoio. E lei aveva fatto così; aveva giocato con lei "a mamma e figlia" e appena se n'era stancata, l'aveva gettata e dimenticata... Che mamma di merda! Un po' come la mia.

-

Sebbene non fossi particolarmente credente in Dio, pregai fino all'ultimo momento che Miki non si voltasse nella sua direzione. Ma ovviamente nulla poteva andare per il verso giusto. Perché tutto doveva essere complicato e sbagliato. 

Miki la vide, si voltò verso di lei sgranando gli occhi, trattenendo il respiro, e facendo di quel viaggio a Roma uno strano scherzo del destino. 

Quella città era una rovina per lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** CAPITOLO 24: Ritorno inatteso ***


 

Capitolo 24

Ritorno (in)atteso








MIKI

Lei era lì. Non era finzione, quella volta non era un sogno, non era un incubo ma pura e forse amara realtà. La donna che mi aveva messo al mondo sedeva beatamente ad un tavolo poco distante dal mio. Come poteva essere vero? Perché stava accadendo tutto così all'improvviso? Quel viaggio a Roma sembrava esser stato maledetto da qualcuno; stavano accadendo troppe cose strane, troppe coincidenze concentrate in un giorno solo.

Teresa rideva. Dovetti stropicciarmi gli occhi per capire se quel che stavo vedendo fosse realtà o finzione. Per fortuna il trucco se n'era già andato precedentemente, altrimenti sarei diventata una maschera di Carnevale tanto dalla forza e convinzione che misi nel gesto. Lei rideva in quel sorriso ricordato solo grazie ad alcune foto. Era un sorriso semplice di una donna solare, una donna che sembrava felice, come se non avesse mai commesso nessun peccato. Da quei sorrisi si capiva perfettamente che ogni peccato compiuto in un'altra vita era stato lavato. Sì, lavato ma non eliminato. Perché i suoi peccati erano talmente tanti da non poter essere eliminati in nessun modo, neanche se fosse diventata una suora. Peccati che potevano essere paragonati a tante macchie sui vestiti, quelle macchie insistenti che lavaggio dopo lavaggio si schiariscono ma restano sempre ben presenti sul tessuto. Io in quel caso ero la macchia fastidiosa; ero un peccato che non poteva essere lavato, cancellato. Purtroppo esistevo seppure non mi avesse voluta, o forse sì... Inizialmente il gioco del genitore era stato facile anche per lei, poi le situazioni si complicarono ed aveva ben pensato di fare la prostituta; "sei un genio, Teresa". Come se non esistessero altri lavori, come se non fosse stato meglio guadagnare poco ma tenersi la dignità stretta... Eh no! Non avevo mai compreso le sue scelte, ma, mai avuto la possibilità di confrontarmi con lei. Ero maledettamente piccola quando aveva deciso di fare quella vita e qualsiasi mio giudizio, eventuale, sarebbe stato ignorato. All'epoca io non contavo nulla, anzi, semmai pesavo.

Dall'espressione che le si leggeva sul volto, in quell'istante, non trasparì nessun rimpianto per quel lavoro sporco fatto per anni, anche perché, tra l'altro, fu grazie alla prostituzione che conobbe la sua anima gemella; forse non ricordava neanche di aver abbandonato una figlia vista la spensieratezza che emetteva ogni secondo di più... E poi c'era lui. Lo ricordai subito quando lo vidi seduto affianco a Teresa. Era uno dei suoi clienti abituali, un musicista che secondo lei aveva qualcosa di diverso dagli altri. Aveva promesso di portarla via, di non farle fare più quella vita; aveva promesso che le avrebbe concesso una vita degna di una regina. Almeno lui - al contrario di lei - fu di parola; perché altrimenti non starebbero ancora insieme, non avrebbe provocato a Teresa una di quelle risate più belle e sincere di sempre. Quella risata. La ricordavo ancora sebbene fossi piccola, troppo, per memorizzare. C'è chi dice che i bambini tendono a ricordare gli eventi straordinari, belli o brutti, che vivono. Ed io infatti ricordavo bene. Avevo quasi quattro anni, prima che mio padre diventasse un'alcolista, prima che la mia vita diventasse vergogna ed incubo...

 

Era uno di quei giorni che la mamma lasciava liberi da ogni impegno, solo per me. Succedeva almeno due giorni alla settimana, mi dedicava tutta la giornata invece di pulire casa. 

Quel giorno stavamo giocando con le Barbie, le svestivamo e cambiavamo loro i vestiti. Stupidamente credevo nella magia. Credevo che le scarpe delle bambole con un po' di forza potessero essere indossate da chiunque, e quindi, che poggiandole sul proprio piede si sarebbero ingrandite su misura. E così feci, quel giorno. Ma invece d'ingrandirsi, le piccole scarpe, andarono sotto la pianta di entrambi i piedi e mi fecero scivolare goffamente sul pavimento provocando un grande rumore. Teresa aveva osservato -in silenzio e curiosa- tutta la scena. Appena mi vide cadere corse in mio soccorso mentre le uscì una delle risate più belle di sempre. Era una risata piena, una di quelle risate che coinvolgono chiunque, e che farebbero ridere anche i più depressi. Era una risata ricca di felicità e soddisfazione, una di quelle risate che sono riservate a pochi. Io in quel caso fui fortunata, ebbi il privilegio di sentirla e persino di provocarla. Pur non sapendo ancora cosa mi sarebbe aspettato, quel momento, lo avrei portato per sempre nel cuore e nei ricordi.

«Tesoro...» s'interruppe per continuare a ridere, poi continuò: «devi sapere che le scarpine delle Barbie non possono diventare grandi quanto le tue», mi sollevò tra le sue braccia, esili ma nello stesso tempo grandi e calde, portandomi sul divano insieme a lei.

Dopo qualche minuto riuscì a tornare seria e proseguì il discorso: «non siamo nel cartone animato che ti piace tanto guardare. Nella vita reale gli oggetti piccoli restano piccoli ed i grandi restano grandi, né s'ingrandiscono né si rimpiccoliscono. Capito, amore?» usando parole semplici, che potessero entrare nella testa di una bambina di quasi quattro anni, terminò la sua lezione con un dolce bacio sulla fronte.

Amavo quei momenti, amavo lei. Alla follia.

 

Ripensando ai giorni passati mi chiesi, ancora una volta, come una donna dai sani principi, semplice e buona, potesse essersi trasformata in avida, senza cuore e quasi cattiva in un breve periodo. Forse neanche dei dottori specialisti sarebbero stati in grado di spiegarlo. In pochi istanti mi passò davanti agli occhi tutta la vita: il dolore, l'abbandono, la solitudine. Con tre semplici parole avevo spiegato i miei ultimi dodici anni di esistenza. E fu terribile, terribile davvero ripensare a quanto quella donna mi aveva fatto soffrire. Le urla, la cucina, la solitudine, la stanza del sesso, le tante facce degli uomini che ogni sera giravano per casa, mi fecero andare su tutte le furie nonostante fossero trascorsi tutti quegli anni. Così, senza collegare i muscoli volontari al cervello mi alzai di scatto. Per un momento dimenticai di trovarmi seduta ad un tavolo in compagnia di Castiel e Stefania. Avevo dimenticato tutto ciò che mi circondava; nella mia visuale esistevano solo Teresa e la sua nuova famigliola felice. Anzi non era nuova, quella seduta al tavolo con lei, era la sua prima, unica e vera famiglia. Vederla lì, a pochi metri da me, da quella distanza ravvicinata, mi fece sentire ancora più orfana. 

D'istinto sbattei le mani con violenza sul tavolo, facendo sollevare di qualche millimetro le posate, e con un filo di voce informai il rosso e Stefania: «Ho bisogno di prendere una boccata d'aria. Torno subito!»

La mia sedia nel frattempo era cascata sul pavimento provocando un rumore che fece voltare tutte le persone presenti in sala verso la mia direzione.

Anche lei si voltò. Ci guardammo ma non riuscii a sostenere lo sguardo per più di qualche secondo. Abbassai gli occhi e facendola sembrare, quasi, una fuga mi diressi verso l'uscita del locale a passo svelto. Non sapevo se lei mi avesse riconosciuta; anzi non volevo neanche saperlo. Non la conoscevo abbastanza da indovinare un suo pensiero anche solo con uno sguardo. Tra di noi non c'era, e probabilmente non ci sarebbe mai stata, quella complicità, quella conoscenza, quell'intimità che poteva esserci solo tra mamma e figlia. Un po' lo rimpiansi; perché infondo avrei voluto chiedere, avrei voluto conoscere le sue ragioni, i motivi: cosa l'avesse spinta ad abbandonarmi. Forse solo dopo aver ascoltato tutte le sue ragioni avrei potuto giudicare le sue azioni. Forse anche lei meritava di essere ascoltata. Ma come poteva meritare qualcosa, se, nei suoi pensieri, io: Micaela Rossi, figlia bastarda, non passavo neanche per sbaglio?

«Favorisci?» Castiel, mi distolse dai miei pensieri contorti. Solo grazie alla sua voce ritornai alla realtà.

Mi guardai intorno. Mi trovavo difronte all'entrata del ristorante, un'entrata diversa da quella principale dell'hotel che dava accesso alle camere. Ero, in pieno Gennaio, con addosso solo una maglia sottile di cotone. Fino a quel momento non avevo sentito neanche un briciolo di freddo, ma non appena il rosso si avvicinò, era calato il gelo dentro me; non capii il motivo di quella sensazione.

Schioccò la lingua contro il palato «E poi mi accusano di non essere gentile. Una volta tanto che avevo deciso di compiere un'opera di bene...» aggiunse il rosso brontolando vedendo che non lo avevo degnato neanche di uno sguardo.

Subito, diventò oggetto della mia attenzione. Lo guardai. Tra le mani teneva un pacchetto di sigarette, aperto, verso la mia direzione come se me ne stesse offrendo una. Eppure sapeva che io non fumassi. Senza cercare minimamente di sforzarmi per capire il suo intento o il motivo di quel gesto, accettai prendendo una sigaretta. Non avevo mai fumato e sperai fino all'ultimo di non risultare una bambina ridicola, ai suoi occhi.

Mentre si portò l'accendino di fianco alla bocca per accendere la sua sigaretta, replicai alla battuta di qualche istante prima: «E quindi... Fammi capire; le tue opere di bene consisterebbero nel portare le brave ragazze in cattive strade? Bravo Castiel, mi stupisci ogni giorno di più!» accennai un sorriso.

Con solo una battuta ed un piccolo gesto stupido era riuscito a riportare il buon umore. Lo ringraziai mentalmente.

«Ma io qui non vedo nessuna brava ragazza...» si guardò intorno come per cercare una "brava ragazza" e subito dopo sorrise con quel sorriso, con il sorriso che ogni giorno di più mi faceva perdere la testa; lasciò la frase in sospeso mentre fissava l'entrata del locale. Io mi trovai di spalle alla porta quindi non potei vedere chi fu il soggetto che aveva attirato la sua attenzione. Non ebbi neanche il tempo di provare a voltarmi per sbirciare che, subito Castiel, si avvicinò a me con l'intento di accendere la mia sigaretta. Non sapevo come accenderla, ancor meno in quel momento di confusione. Lo guardai dritto negli occhi quasi impaurita e dispiaciuta; sembrò capire da cosa derivasse la mia preoccupazione. Senza permettermi nessun movimento mi sfilò la sigaretta che avevo portato precedentemente alla bocca, e porgendomi la sua -già accesa- ripeté il meccanismo di accensione anche con la mia. Quello che stava accedendo sembrò un sogno, non perché fosse qualcosa di particolarmente bello o romantico ma perché mi sentii spettatrice di quella scena, quasi come se non fossi legittimata a compiere alcuna azione, come se tutto era già stato programmato ed io non dovevo far altro che guardare.

Proprio quando feci il primo tiro di sigaretta, c'interruppe la voce di un uomo. Mentre lui parlava, partì il mio primo colpo di tosse. Il tabacco mi aveva asciugato e seccato la bocca, già da quell'istante capii che la sigaretta non avrebbe mai fatto al caso mio, neanche in casi di forte stress.

«Castiel, Castiel, Castiel... adesso capisco perché Debrah ha insistito così tanto per venire a trovarci, in Italia. Allora... cosa ci fai a Roma?» il mio cuore si bloccò.

Sebbene fosse passato del tempo riconobbi la sua voce; Marcel, l'unico uomo che si era affezionato a mia madre non solo per il suo corpo; uno dei clienti abituali, uno dei tanti musicisti che quando erano di passaggio grazie al loro tour, venivano a farle visita. Una visita che tra l'altro pagavano profumatamente. Non capii mai cosa potesse fare di così speciale, ma i servizi di Teresa erano abbastanza costosi.

Varie immagini ripercorsero la mia mente. Non odiavo Marcel, anzi era l'unico dei tanti uomini di Teresa che mi stava simpatico. 

Fu allora che decisi di affrontare finalmente la realtà. Mi voltai nella direzione della voce e li vidi. Quella volta con maggior vicinanza, fecero più ribrezzo. Ed io cercai di evitare di squadrarla, cercai di far passare quegli istanti come se nulla fosse accaduto, ma risultò impossibile. E la guardai, ancora...

Gli occhi scuri, i capelli lunghi e ondulati di quel rosso ramato e naturale che aveva un po' scurito con le tante colorazioni, segnavano -purtroppo per lei- la nostra somiglianza. Sebbene non avesse cambiato pettinatura ed i suoi lineamenti fossero rimasti identici ad otto anni prima, sul suo volto s'intravedevano i segni del tempo. Qualche ruga in più, però, le fece soltanto bene; di sicuro da quando aveva abbandonato casa Rossi aveva iniziato a condurre una vita serena e agiata. Lo si capiva dai vestiti che indossava, lo si capiva dalla serenità delle sue espressioni. Indossava una pelliccia, che Dio solo sa quanti animali innocenti avevano ucciso per farla, e degli stivali di pelle nera firmati Dolce & Gabbana. Di sicuro sotto indossava una gonna visti i collant neri che le s'intravedevano dalla lunga pelliccia. Era stata sempre una bella donna, alta e snella, non c'erano dubbi. Ma la bellezza esteriore serviva a poco visto che interiormente aveva dimostrato di non avere niente. 

«Sì, sono a Roma con la mia ragazza, Miki. Micaela Rossi!» Castiel, con tanta sicurezza, spezzò i secondi di silenzio ed i miei tormenti interiori.

Strabuzzai gli occhi. La sigaretta, che maldestramente tenevo tra le dita, cadde sul pavimento marmoreo del marciapiede. Ero incredula. Anzi, ero esterrefatta... Anzi no, ero tutti gli aggettivi più assurdi e meravigliati esistenti al mondo. Dovevo aver capito male. Cosa caspiterina aveva detto? Per quale motivo lo aveva detto?



 

CASTIEL 

Teresa non poteva passarla liscia. Già da quando Marcel fece la sua entrata trionfale avevo previsto ed immaginato la scena. Se non avessi usato quelle frasi e non avessi pronunciato il nome di sua figlia la conversazione sarebbe terminata all'istante, e la "madre a convenienza" l'avrebbe passata ancora una volta liscia. Vero, inizialmente volevo che le due non s'incontrassero proprio sebbene si trovassero nello stesso ristorante, ma dopo aver ragionato capii che non doveva andare per quel verso. Teresa era stata fuori dalla scena per troppo tempo, aveva giocato il ruolo di antagonista da lontano ed era giunto il momento che anche lei sentisse il peso di tutti quegli anni persi, di tutta quella lontananza dalla figlia. Teresa doveva sentirsi in colpa e se -per come mi aveva raccontato Debrah- fino a quel momento non aveva pensato minimamente a Miki, le avrei fatto rimpiangere tanto, più del dovuto. Oramai ero stato tirato in ballo in tutta quella faccenda e avrei giocato per bene il mio ruolo. 

Castiel Black non perdeva mai nessuna partita.



 

MIKI

Intanto nella mia testa governava ancora più caos di pochi minuti prima. Castiel non poteva aver affermato quella cosa perché lo pensava realmente, non poteva aver lasciato Debrah. Avevano litigato, li avevo sentiti. Se si fossero lasciati lui me l'avrebbe detto. Ma cosa pretendevo? Cosa andavo a pensare? Di sicuro mi aveva definita "la sua ragazza" solo per farmi riconoscere da Teresa, per marcare il mio nome e quindi renderle inevitabile l'avvicinamento. Lui non la conosceva, non l'aveva mai vista prima d'allora, eppure sicuramente aveva ricollegato il padre di Debrah a lei. Nella mia testa c'era tanta confusione come del resto capitava spesso, non riuscii in alcun modo a mettere in ordine i pensieri.

E non mi aiutò di certo la voce che mi rivolse la parola: «Ehi... come stai?» disse Teresa con una naturalezza e freddezza da far rabbrividire.

"Come sto? Come sto, mi prendi in giro?!? È questo tutto quello che riesci a dire ad una figlia che hai abbandonato come un rifiuto in mezzo ad una strada? È questo quello che si dice ad una figlia che non vedi da otto anni? Vaffanculo Stronza!"

Sperai di aver sentito male, ma non fu così. Capii di non aver frainteso quella domanda dall'espressione sconvolta che si dipinse sul volto di Castiel. Anche se a parlare era stata Teresa, continuai a guardare lui per tutto il tempo. Non compresi il motivo di tale istinto ma forse non c'era neanche tanto bisogno di capire. Nonostante la situazione surreale che stavo vivendo da qualche mezz'ora, ero serena in un certo senso. Mi sentii fortunata perché il ragazzo dai capelli rossi mi era vicino continuamente; vero, lo faceva in un modo tutto suo, ma nel bene o nel male mi stava difendendo e proteggendo. Probabilmente non avrei mai compreso se lo stesse facendo da amico o qualcosa di più, ma lo stava facendo e quello era l'elemento di maggiore importanza. A volte m'innervosiva, ma davanti a gesti come quelli ogni altro fatto negativo perdeva valore. Io non ero sola; mi sentivo forte se affianco a me ci sarebbe stato lui.

Ancora una volta fui distratta da quella donna. Non contenta della pessima domanda appena formulata si avvicinò a me, oltrepassando quella distanza di sicurezza che una mamma dopo otto anni di lontananza dalla propria figlia dovrebbe mantenere, e mi accarezzò il braccio a malapena sfiorandolo quasi come se fossi una malata o una povera da compatire. Quel gesto m'irritò ancor di più e mi scansai violentemente riprendendomi quella distanza di sicurezza che mi spettava di diritto. 

La riguardai negli occhi con l'illusione che dentro i suoi avrei potuto trovare un po' di me, con l'illusione che dentro quegli occhi oltre al nero avrei potuto trovare un po' di compassione, di frustrazione, di sensi di colpa; ma non c'era nulla. Per me, piccola bastarda, dentro di lei non c'era posto. E lo capii ancor di più quando dall'uscita del locale spuntò una ragazzina che attirò completamente la sua attenzione. Quella ragazzina non era una qualunque. 

Era sua figlia. 

Lo capii sin da subito e non solo perché precedentemente, nel ristorante, l'avevo vista seduta accanto a lei. Mi bastò guardare i suoi occhi per capire tutto. Erano gli stessi occhi, lo stesso sguardo che riservava soltanto a me quando potevo ancora definirla mia madre. Perché solo nel vederla le si era illuminato lo sguardo di felicità e soddisfazione. Teresa, la puttana, era soddisfatta di aver cresciuto una figlia lontano dal male e dal mondo del denaro sporco. Teresa aveva fatto il genitore, aveva cresciuto una figlia per bene, bella e sana. Quella figlia, la sua prima a tutti gli effetti, non indossava minigonne, non doveva fingere di essere un'altra persona, di avere altri genitori perché i suoi genitori erano realmente perfetti come raccontava ai suoi compagni. Poteva vantarsene a scuola, avere la sensazione di essere aspettata da qualcuno all'uscita, poteva giocare e non doveva cucinare tutti i giorni dopo il rientro a casa. Quella figlia non aveva peccati da scontare, non aveva vissuto nelle bugie e di conseguenza non ne raccontava. Valori belli da possedere, vero, peccato però che quella figlia non ero io.

«Flora, vieni qui!» la privilegiata ubbidì alla mamma e si posizionò di fianco a lei, Teresa poi continuò: «lei è tua sorella Miki. Ricordi? Te ne ho parlato qualche volta!»

"Qualche volta". 

Ecco. Io ero proprio quello: qualche volta. Qualche volta ero sua figlia. Qualche volta ero importante e qualche volta non esistevo proprio. Ed infatti con il principio del "qualche volta", per lei non ero esistita per ben otto anni e probabilmente -anzi sicuramente- se per casualità non ci fossimo incontrate in un ristorante, sarei continuata a non esistere per lei.

Per un attimo il mio sguardo cadde su quella bambina di massimo nove anni. Era bella, non c'erano dubbi. Notai sin da subito qualche somiglianza con Debrah che a sua volta somigliava parecchio al padre, Marcel. Gli occhi chiari dovevano essere una caratteristica di famiglia visto che entrambi ne avevano due grandi color del ghiaccio. Flora, poi, aveva dei lunghi capelli lisci e ramati, un misto tra biondi e rossi. L'elemento che però più mi colpì fu la sua espressione. Era spensierata e felice come d'altronde dovrebbero essere tutte le bambine della sua età. Forse era solo un'espressione tipica dei bambini ma per me risultò una novità perché, guardandomi allo specchio da piccola, non l'avevo mai avuto. Io ero diversa da lei, in tutto e per tutto.

«Mi scusi Signora, deve aver sbagliato persona. Mia mamma è morta otto anni fa, era una prostituta, girava nuda per casa e scopava con uomini diversi ogni tre ore. Insomma... non era una signora per bene come lei» nervosa più che mai la derisi, dopo qualche secondo di silenzio.

Nonostante dentro fossi distrutta, fuoriuscì una voce decisa e forte. Mi congratulai con me stessa per quello che avevo appena affermato. Tutti quegli anni di rabbia, di pensieri su ipotetici incontri, infondo mi erano serviti per gestire con saggezza quel momento; saggezza che a Teresa non apparteneva neanche in un briciolo. Non avevo alcuna intenzione di ricucire i rapporti con lei; non dopo la sua presentazione. Non meritava il mio perdono o che le rivolgessi la parola. Nella testa continuavano a rigirare tante domande da porle, ma l'orgoglio vinse sopra ogni cosa.

Marcel, Castiel e Flora restarono da spettatori a quella scena. Non guardai nessuno in faccia, per un momento non riuscii a guardare neanche il rosso. Esisteva solo Teresa e la mia ossessione di trasmetterle tutto l'odio che provavo e che avevo represso in quegli anni. Non ne potei fare a meno. Fu allora che esagerò ancora una volta. Aprì la sua borsa costosa, quanto una macchina di seconda mano, ed infilò le mani per cercare qualcosa e dopo averlo trovato, mi porse un biglietto da visita fucsia con su scritto il suo nome e numero di cellulare. D'istinto e con tutta la rabbia che possedevo in corpo accartocciai quel pezzo di cartoncino e lo gettai sul marciapiede. Per tutto il tempo continuai a guardarla negli occhi con odio, non smisi di trasmettergliene neanche per un attimo.

«Direi che non c'è più niente da fare qui, me ne torno dentro» dissi dopo altri vari secondi di silenzio.

Nonostante i suoni ed i rumori assordanti di una città che non dormiva mai, nello spicchio in cui ci trovavamo noi il silenzio si sentì pesantemente per tutta la frazione di tempo passata lì fuori. Il traffico, le voci dei passanti, i mezzi pubblici, tutti sembravano aver percepito la situazione assurda in cui ci stavamo trovando ed il mondo decise di lasciarci in pace. Pace, come se io conoscessi il significato di quella parola.

Percorsi qualche metro e già sulla soglia della porta del locale, di spalle a tutti i presenti, aggiunsi:

«Ah, Teresa... Io per te devo continuare a non esistere. Non voglio mai più incontrarti... che sia chiaro!» e con quelle parole dure ma -sperai- chiare tornai all'interno del ristorante. 

La differenza di temperatura con l'esterno della struttura mi diede un senso di calma improvvisa. Sospirai e tornai da Stefania che si era ritrovata improvvisamente sola e spaesata.



 

CASTIEL

Qualcuno di davvero potente da lassù mi stava trattenendo dal non fare sceneggiate quella sera. Avevo una voglia irrefrenabile di spaccare la faccia ad una donna, per la prima volta nella mia vita. Sebbene non avessi avuto la migliore educazione durante l'infanzia anch'io ero a conoscenza che le donne non bisognava sfiorarle neanche con un dito, ma quella tizia, Teresa, aveva oltrepassato davvero tutti i limiti. Permettendosi il lusso di sentirsi superiore si era rivolta a Miki con una sfacciataggine e freddezza persino superiore alla mia. Una mamma non doveva, non poteva farlo. Miki apparve forte, ma si percepiva nell'aria quanto in realtà fosse distrutta. Le sue risposte lo testimoniarono. E se lei non era stata abbastanza coraggiosa, di rispondere a modo a quella mala donna, allora dovevo per forza esserlo io.

E lei mi facilitò le cose: «Senti tu... Castiel, giusto?!? Potresti farmi un favore?» m'interpellò dopo essersi assicurata che Miki fosse rientrata definitivamente nel ristorante.

«Non credo» le risposi freddamente. Era anche poco.

«Senti, so' di non esser stata la migliore madre del mondo con lei, ma ora sono cambiata. Credimi!» Cercò di giustificarsi, la troia.

«Senti, a me pare che neanche stasera ti sei comportata da Santa. Credimi!» imitai il suo tono di voce e alcune parole. La figlia preferita ed il baccalà di Marcel facevano da spettatori, esibendosi di tanto in tanto con delle smorfie.

«Faresti meglio a guardare la tua, di mamma, invece di pensare a quella degli altri» non sapendo come rispondere si aggrappò sull'unico punto in cui poteva attaccarmi. Teresa mi conosceva, aveva sentito parlare di me e sapeva anche troppo della mia vita. Ringraziai sarcasticamente Debrah per quello.

Chiusi gli occhi per qualche istante e sospirai pesantemente. Dovetti trattenermi dal bisogno di spaccare qualcosa, qualsiasi cosa che somigliasse alla faccia della presunta madre di Miki. Quella donna era ancora più odiosa dei racconti che avevo letto nel diario segreto. Chiusi le mani a mo' di pugno quando, poi, la mia mente malata andò a pensare Debrah. Era stata lei: pettegola, ficcanaso e gatta morta qual era, aveva spifferato ogni dettaglio, anche il più piccolo, del suo -ormai ex- ragazzo. Ed io povero imbecille mi ero fidato, ancora una volta, di quella perfida ragazza. "Stupido Castiel".

«Se fossi cambiata realmente, avresti fatto in modo d'incontrarla prima. Non avresti aspettato quest'incontro squallido e casuale. Non le avresti parlato con questa faccia di merda fresca e rilassata. Stronza!» le sputai contro un briciolo della rabbia che le donne come lei, mi provocavano. 

Avevo davanti alla faccia la causa del male di Miki. Colei che aveva contribuito a renderla una persona che non era, colei che aveva creato corazze e maschere sul volto di un'innocente creatura. Avevo urlato troppo poco di quanto in realtà meritava.

«Tu non sai niente. Niente. Non puoi permetterti a parlare!» si difese banalmente dalle mie accuse alzando la voce, di rimando.

Sì come no. Invece sapevo più cose di quanto lei avrebbe mai potuto immaginare.

«Marcel» urlai quasi con odio contro quell'uomo, che poco c'entrava, poi continuai in toni più bassi: «porta via da qui la tua puttanella, altrimenti stasera, le andrà a finire male!» strinsi i denti guardandoli di sbieco. 

Il mio cervello non avrebbe sopportato più nulla, anche una piccola battuta fuori luogo avrebbe potuto scatenare il litigio peggiore. Marcel con la saggezza di un uomo, ormai quasi, cinquantenne si diresse verso la sua donna e sussurrandole nell'orecchio la convinse a gettare la spugna. Contro di me non poteva competere, non c'erano dubbi.

«Un giorno, quando la tua ragazza si dispererà di non aver potuto riappacificare con sua madre in tempo, ti pentirai di questa scelta. I sensi di colpa ti uccideranno!» la donna cercava di convincermi, ancora. Dovetti ammettere che era un osso duro. In lei riconobbi la tenacia della figlia.

Continuò: «dovevi prendere un semplice bigliettino da visita, lo stesso che Micaela ha gettato poco fa. Non ti ho chiesto mica soldi!»

Non m'interessò se si trattava di un semplice numero di telefono, quello avevo già intenzione di recuperarlo con le mie forze. La questione era ben più complessa. Teresa doveva soffrire proprio come Miki aveva sofferto. Tutte le mamme che in qualche modo avevano abbandonato i loro figli, meritavano di soffrire, un po' come mia madre Adelaide. Ogni cosa, ogni fatto poteva essere collegato con un altro, e qualche parte profonda del mio "io" voleva a tutti i costi che qualsiasi mamma stronza soffrisse. Teresa era la regina delle mamme stronze, se ci fosse stata una battaglia di stronzaggine lei sarebbe stata la vincitrice. Secondo Debrah, Teresa non aveva mai cercato di ricucire i rapporti con la figlia, il che spiegherebbe il motivo per il quale abitando nella stessa città, le due, non si fossero mai incrociate. 

E allora, se Teresa aveva realmente compreso i suoi errori avrebbe dovuto lottare per rimediare, lottare per riavere Miki nella sua vita. Ed io per capire realmente come stessero le cose, dovetti mettere in scena il ruolo del cattivo.

«Addio. Teresa» risposi semplicemente voltando le spalle ed incamminandomi dalla parte opposta dell'entrata del locale.

Aspettai che i tre se ne andassero per ritornare indietro. Quando scomparvero dalla mia vista m'incamminai verso l'entrata del ristorante. Intravidi il biglietto stropicciato -con il numero di telefono di Teresa- che Miki aveva gettato precedentemente sul marciapiede e lo presi infilandomelo nella tasca dei jeans neri.

Proprio quando oltrepassai la porta in vetro e mi trovai, quindi, dentro il ristorante vibrò il cellulare. Lo presi e con mia sorpresa trovai un messaggio che non mi aspettavo di trovare.

 

Debrah:

Visto?! Quando voglio so essere brava. Sappi che l'ho fatto solo per te

 

Castiel:

Non ti seguo, spiega!

 

Avrei voluto tanto non doverla risentire, non avere più alcun tipo di contatto con lei ma avevo bisogno di capire per poter unire almeno due tasselli di quel puzzle apparentemente senza fine.

La risposta arrivò dopo meno di un minuto.

 

Debrah:

La tua amichetta e la mamma si sono incontrate, SOLO OGGI, dopo otto anni... pensa che coincidenza!!!

 

Era stata lei ad architettare tutto, ogni mio piccolo sospetto risultò fondato. Era vero, avrei dovuto capirlo prima. C'erano state troppe coincidenze. Teresa era riuscita a nascondersi per tutto quel tempo e se solo avesse voluto sarebbe riuscita a farlo anche quella volta. Solo nei film più assurdi ci si riusciva a trovare in un posto comune per coincidenza. Quell'incontro era stato programmato dalla mente diabolica più diabolica di tutti i tempi, ed io in un certo senso ero cascato nella sua rete ancora una volta. E allora? Quale sarebbe stato il suo prossimo passo? Debrah non era tipa da fare favori senza ricevere niente in cambio.

Riuscì a spiazzarmi di nuovo, ovviamente... Maledetta!



 

MIKI

Il giorno dopo mi alzai di buon'ora e dopo essermi vestita in modo più che comodo per le lunghe ore di cammino che avremmo dovuto fare da lì a poche ore, gli occhi mi andarono su un cartoncino fucsia stropicciato e poggiato sul comodino affianco al cellulare, segno che il giorno precedente era stato una condanna per il resto della mia vita. Lo presi e lessi, anche se avevo già immaginato il contenuto. Era destino che in un modo o in un altro dovessi conservare quel numero. Nessuno poteva avere accesso alle stanze, nessuno aveva la chiave, nessuno tranne Castiel. Anche il rosso si era fatto abbindolare da quella donna, si era schierato dalla sua parte come d'altronde tutti gli uomini. Grazie o meno al suo ex mestiere sapeva come accalappiarli, se solo avesse voluto avrebbe potuto far cascare ai suoi piedi tutto il genere maschile. Nonostante quel dato di fatto però, decisi di lasciar passare ed infilai il cartoncino nel portafoglio, seppur convinta di non utilizzarlo mai. 

Ero intenzionata a passare quel giorno nel migliore dei modi evitando qualsiasi tipo di dramma. Mancavano solamente cinque giorni alla fine di quella vacanza e quei momenti non me li avrebbe mai più ridati nessuno. Dovevo smetterla di piangermi addosso, smetterla di attirarmi noie, smetterla di essere negativa. Dovevo vivere, vivere e sorridere. Con quei buoni propositi decisi che fosse giunto il momento d'iniziare la giornata, e quale poteva essere l'inizio migliore?

Sorpassai quella specie di separé, il pezzo di stoffa che mi separava dal lato di stanza di Castiel, e andai dritta a poggiarmi contro il muro della finestra di fianco al suo letto. Iniziai a fissarlo; dormiva ancora. 

Era lui il mio inizio migliore. 

Dormendo appariva quasi dolce. I lineamenti del viso erano rilassati e di conseguenza sembrò più giovane rispetto a come dimostrava da sveglio. La coperta gli copriva quasi tutto il corpo, solo alcuni pezzi di pelle erano scoperti. Il petto era nudo e ciò mi fece immaginare che stesse dormendo con solo i boxer addosso o perlomeno a petto nudo. Avvampai all'istante e d'istinto mi portai entrambe le mani sul volto, coprendolo interamente. Non avevo mai visto Castiel nudo, cosa che invece non avrebbe potuto dire lui di me. Il rosso, infatti, mi aveva vista nuda, anche se per pochi istanti, anche se non aveva avuto il tempo neanche di sfiorarmi. Quei pensieri mi portarono inevitabilmente al pomeriggio prima e la situazione sul mio volto non fece che peggiorare; mi andò completamente in fiamme. Per chi non l'avesse vissuto, per chi non era presente a Roma risultò difficile credere che già nel primo giorno di vacanza erano accaduti tutti quegli avvenimenti. Incredibile ma vero, era successa ogni cosa a poche ore di distanza.

«BUUU!» saltai all'improvviso quando insieme a quella parola sentii dei respiri sul collo ed una risata incrementarsi.

Non era difficile da capire che quel fiato appartenesse a Castiel. Il mio viso prese colore e calore. Nel tempo passato a pensare avevo tenuto le mani sul volto e non avevo visto e né sentito il rosso svegliarsi. Dopo aver preso la giusta distanza di sicurezza per tornare a pensare coerentemente, mi voltai per guardare quanto si stesse divertendo alle mie spalle.

Corrugai le sopracciglia quando vidi che con il dito indice di una mano indicava la mia figura e con l'altra teneva la pancia, come per evitare che gli scoppiasse dalle risate. A detta delle persone che lo conoscevano più o meno bene, Castiel non rideva ormai da anni, o se lo faceva, accadeva solo accennando un sorriso e senza sforzare minimamente i suoi muscoli facciali. Anche appena lo conobbi era così. Per quel motivo in un certo verso, in quel momento, pur sentendomi un fenomeno da baraccone, rimasi lusingata. Quelle risate forse erano riservate soltanto a me; forse quella era la dimostrazione che, infondo, in mia compagnia, Castiel, stava bene.

Quando riuscì finalmente a parlare: «tu... t-tu non ti s-sei vi-sta che faccia hai fatto» riprese a ridere senza smettere ed io strabuzzai gli occhi incredula.

In realtà non capii perché la mia espressione lo aveva fatto ridere così esageratamente; anche perché io, invece, ebbi una reazione totalmente contraria alla sua. Quando mi concentrai sul suo abbigliamento e lo guardai attentamente, molto attentamente, mi accorsi fosse a petto nudo come immaginavo, non in boxer, ma, con pantaloni da tuta a vita bassa che gli cadevano divinamente sull'inguine. Fu inevitabile guardarlo. Avrei avuto voglia di strapparmi il viso, di prendermi a ceffoni ripensando ai miei valori autoimposti in sedici anni di vita. Mi ero giurata di non sbavare -come invece stupidamente stavo facendo- per un uomo, di non far dipendere il mio umore da lui, ma soprattutto di non innamorarmi. Erano i valori fondamentali che mi ero autoimposta sin da bambina per sopravvivere alla vita e soprattutto ai sentimenti, ma stavo finendo per non osservarne neanche mezzo. "Stupida Miki!"

«Quando finirai di prendere in giro la gente a caso, fammi uno squillo!!!» lo liquidai con un modo di dire tipico delle mie parti; mi finsi nervosa e gli voltai le spalle tornando dalla mia parte di stanza. Non avevo alcuna intenzione di farmi accorgere dell'effetto che aveva su di me.

Non appena presi lo zainetto per sistemare gli occorrenti da portare durante la visita guidata che avremmo dovuto iniziare dopo neanche un'ora, squillò il cellulare ma smise subito. Si susseguì un messaggio. Incuriosita presi subito quel mattone e lessi il nome del mittente, sia della chiamata che del messaggio. Era lo stesso per entrambi: "Castiel <3"

 

Da Castiel<3:

Squillo fatto! Ho finito di prendere in giro la gente a caso

 

Con quel messaggio stava facendo riferimento alla battuta che avevo pronunciato qualche minuto prima. La mia era detta in senso metaforico ma lui l'aveva osservata alla lettera, ovviamente. Iniziai a ridere anch'io, senza trattenermi, per la stupidità del mio "amico".

Castiel era la mia unica fonte di felicità, nonostante tutto.

Già alle dieci di mattina tra battibecchi vari eravamo giunti al primo posto da visitare: Piazza Campo de' Fiori, l'unica piazza di Roma a non avere delle chiese nei dintorni. Avevo sempre mostrato un certo interesse verso la provenienza dei nomi dei vari monumenti, e almeno di Roma li conoscevo tutti. Ad esempio, quella piazza pareva avesse preso il nome da Flora, donna amata da Pompeo, il quale aveva costruito nelle vicinanze della piazza, il suo teatro. L'elemento di quel posto che mi aveva da sempre attirato più degli altri era il famoso monumento con raffigurato Giordano Bruno, al centro della piazza. Leggende metropolitane raccontavano che se qualcuno avesse guardato quella statua negli occhi non si sarebbe mai laureato. Ed io per il terrore di un futuro già segnato o forse semplicemente per scaramanzia, guardai solo le spalle di Bruno; Non avrei voluto la stessa vita di mia madre, una donna che si porterà per sempre sulle spalle il peso ed il rimorso di non aver mai concluso il suo ciclo di studi. Scossi il capo quando i miei pensieri si spostarono su Teresa. Lei doveva essere terreno invalicabile almeno per quel giorno. Così mi fissai a guardare la piazza, nuovamente per distogliere i pensieri.

Altro elemento: nella Roma contemporanea Campo de' Fiori era famosa tra i giovani soprattutto nelle ore notturne, per la forte presenza di locali nei dintorni. Non aveva molto senso quella visita guidata visto che sia io che Castiel conoscevamo Roma quasi alla perfezione, ma non potevamo sottrarci alle spiegazioni che la signora Lamberto ci stava dando con passione. Dopo aver terminato il monologo, Stefania, senza farci fermare un attimo, ci fece partire in direzione della successiva tappa da visitare: Piazza Navona. Certo, come primo giorno era parecchio noioso, conoscendo il posto avrei favorito altri monumenti e luoghi da visitare. Dopo circa sette minuti a piedi, giungemmo già sul posto.

Piazza Navona, ai tempi dell'antica Roma, era lo Stadio di Domiziano che fu fatto costruire dall'imperatore nell'ottantacinque. Era lungo duecentosettantasei metri, largo centosei e poteva ospitare trentamila spettatori. Nei mesi d'Estate veniva inondata interamente e si tenevano le cosiddette "battaglie navali". Nell'epoca contemporanea la piazza nei suoi duecentosettantasei metri di lunghezza è contornata da ben tre fontane, tutte rese particolari da delle statue. 

Quel giorno, essendo quasi orario di punta, la piazza era gremita di persone tra turisti, passanti ed artisti di strada. Fui attratta da un uomo anziano che dipingeva, aveva la barba lunga e bianca; grazie anche alla stazza fisica mi venne spontaneo paragonarlo alla figura del mitico Babbo Natale. Ma non fu solo quell'aspetto ad incuriosirmi; faceva i ritratti e non erano caricaturali come spesso si vedeva nei paraggi della piazza. L'anziano signore sedeva su uno sgabello in legno ed era circondato da una decina di quadri, tutti dipinti da lui. Sembravano parecchio belli e suggestivi, da quella distanza. Senza pensarci troppo lasciai la signora Lamberto, ancora intenta nella spiegazione delle caratteristiche storiche della Piazza, e mi precipitai affianco al signore per osservarlo da vicino nel suo lavoro. Mi sentii quasi come Ulisse con le sirene incantatrici. Quell'atmosfera, quei quadri sembrava avessero la bocca e stessero pronunciando il mio nome. Fui ammaliata. L'uomo, tra l'altro, aveva un aspetto protettivo e quindi molto rassicurante m'incantai nel guardarlo dipingere. Non mi accorsi neanche di quanti minuti trascorsero ma a giudicare dalla voce stridula della Lamberto che percepii in lontananza, doveva esser trascorso più del dovuto.

«Ehm ehm... Giotto?!?» m'interruppe Castiel -con un finto colpo di tosse- toccandomi la spalla «se hai finito di far finta di essere intenditrice di arte, vieni! Altrimenti sarò costretto a tappare la bocca, in modo poco piacevole, a quell'oca della Lamberto... Sta urlando da non so quanti minuti e tu non rispondi».

Era vero, non me ne intendevo di arte, ma la passione che quel signore ci metteva mi affascinava parecchio, tanto da isolarmi dal mondo.

«Venite. Sedetevi, faccio un ritratto anche a voi» c'interruppe una voce molto vissuta. Dopo essermi voltata nuovamente in direzione dei dipinti, mi accorsi che quella appena udita era la voce del pittore.

Spinta dalla curiosità mi avvicinai a lui ancor di più e Castiel mi seguì: «Allora... da quanto tempo state insieme? Capitano parecchie coppie da queste parti e mi piace sempre chiedere informazioni sulla loro storia. Non sono impiccione, se è quello che vi state chiedendo, è solo che sono amante dell'amore.»

Divenni rossa quanto un peperone, forse anche più rossa dei capelli di Castiel. Il signore aveva confuso la situazione, ma sembrava stesse facendo un monologo e ne parse anche soddisfatto, così entrambi lo lasciammo finire prima di correggerlo.

«NO-NO-NO!!!» dicemmo ad un tratto in sincrono muovendo entrambi le mani in senso di diniego. Mi voltai verso Castiel per vedere quanto e se anche lui fosse imbarazzato per quell'equivoco, ma non lo sembrò più di tanto. Certo, lui non provava niente di reale per me a differenza della sottoscritta.

«Siamo solo amici» Castiel respirò un attimo davanti a quell'affermazione che sembrava gli stesse pesando, poi continuò «lo fa lei il ritratto. Siediti!» si voltò verso di me pronunciando l'ultima parola.

Ma quanto si poteva essere sbruffoni? E se non avessi avuto abbastanza soldi dietro? E se non avessi voluto fare il ritratto senza chiedere prima il prezzo? E se non volevo farlo e basta? M'infastidii e con braccia conserte guardai Castiel di sbieco, giusto per fargli capire come stavano le cose. Ma lui si comportò come se non esistessi. Mi voltò le spalle, andò avanti a pochi centimetri di distanza dal vecchio pittore e vidi solamente che prendeva il portafogli. Bastò per capire. Voleva regalarmi un ritratto di me stessa, ma perché? Chi gliel'avrebbe spiegato che il più bel regalo sarebbe stato un suo, di ritratto? Senza pensare un secondo di più mi avvicinai velocemente a lui, cercai di opporre resistenza, di dargli i soldi che aveva speso, di protestare, ma non servì. Dopo aver pagato, con nonchalance e continuando ad evitarmi, si diresse nuovamente verso Stefania ed iniziarono a parlare animatamente. Non feci in tempo a muovere i primi passi verso di loro, che subito il pittore mi disse quale posizione assumere per il ritratto.

Dopo circa venti minuti il ritratto era già terminato. Ero troppo curiosa di vederlo. Castiel per tutto il tempo era stato un po' più lontano, ma sempre dietro di me. Stefania, invece, era sparita.

«Psss psss...» il pittore mi fece segno di andare dietro la sua postazione. Feci come mi diceva e con mia gran sorpresa notai che nel dipinto non ero raffigurata solo io; c'era anche Castiel, nella sua tipica posa, nella stessa ed identica posizione che stava assumendo anche in quell'istante. 

Le braccia conserte, l'espressione del volto corrucciata, un atteggiamento spavaldo, erano caratteristiche tipiche del rosso ed il vecchio pittore era riuscito a coglierle tutte come se lo conoscesse da parecchio tempo. Il mio volto era in primo piano ed in lontananza c'era lui con parte di piazza come contorno. Era magnifico, non riuscii neanche a parlare, ad esprimere quanto quel dipinto divenne importante in un solo secondo di esistenza. Non solo mi era stato regalato da una persona a cui tenevo particolarmente, ma era proprio come desideravo. Quel vecchietto con la barba doveva saperla lunga, era saggio, più di quanto dimostrava essere. Senza aggiungere altro, incartò il dipinto ed augurandomi buona fortuna per la vita, mi salutò.


Per arrivare alla tappa successiva ci vollero cinque minuti. Proseguimmo a piedi e per tutto il tragitto strinsi tra le mani, con fierezza, il mio dipinto incartato. Quello di Castiel era stato un piccolo gesto, un piccolo regalo, il primo regalo dopo quasi cinque mesi di conoscenza. 

Sebbene non ne parlassi con nessuno di lui, o meglio di quello che qualche volta accadeva tra noi, mi ero sempre trovata a disagio nel definire la nostra relazione, rapporto o quello che era. Era vero, di lui ne parlavo solo e solamente a me stessa e a volte a Rosalya, ma provavo sempre e comunque disagio anche solamente nel pensarlo. E fui in disagio ancor di più quando di quel quadro, Castiel, non ne volle proprio a che sapere. Appena il vecchio pittore me lo mostrò avevo iniziato a farmi tanti film mentali su un ipotetico litigio del rosso che, seppur avendo dato ordini ben precisi sui soggetti che doveva contenere il dipinto, non era stato ascoltato. E invece... il vuoto. Quell'atteggiamento m'insospettì e più che altro m'indispettì perché, per me, era stato qualcosa d'importante ma evidentemente per lui non aveva lo stesso significato. Davanti a quei pensieri, iniziai a pensare varie possibilità. Forse aveva deciso di pagare il quadro solo per evitare di sentire altre lamentele della Lamberto, forse si sentiva in colpa per quello che aveva provocato la sua ragazza il giorno prima... e forse era già ritornato insieme a lei. Non c'era nessuno scopo romantico in quel gesto, dovevo smetterla d'illudermi. 

«Grazie, comunque» sussurrai ad un certo punto del cammino, nonostante i mille dubbi, sperando che Castiel ne capisse il motivo. Pronunciai quel ringraziamento tenendo il volto basso, non riuscii a guardarlo negli occhi per la troppa emozione.

Mi sentii il volto in fiamme quando poi percepii i suoi occhi su di me. Mi stava guardando ne ero sicura. Non sapevo come comportarmi, come muovermi eppure non ci conoscevamo da un giorno. Quel giorno mi accorsi che in sua presenza, più tempo passava, più lo conoscevo, e più divenivo impacciata. Mi maledii perché significava solo una cosa che, a quei tempi, non ebbi il coraggio di ammettere neanche ai miei pensieri.

Lui incrementò il mio imbarazzo quando -alzai lo sguardo e girando il volto verso la sua direzione- incontrai i suoi occhi grigi che ancora mi fissavano. Accennò un sorriso per rispondere al mio ringraziamento ed accelerò il passo lasciandomi sola, interdetta e con tremila pensieri confusi che si sovrapponevano tra loro.

I miei ennesimi dilemmi furono interrotti quando ci ritrovammo davanti alla meta: il Pantheon. La prima parte della spiegazione di Stefania partì all'esterno della ponente struttura...

«Il Pantheon, dal greco "tempio di tutti gli dei", è un edificio della Roma antica. Fu fondato nel ventisette a.C. da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto. Fu fatto ricostruire dall'imperatore Adriano tra il centoventi e il centoventiquattro d.C., dopo che gli incendi dell'ottanta e del centodieci d.C. avevano danneggiato la costruzione precedente di età augustea. L'edificio, come potete vedere, è composto da una struttura circolare unita a un portico in colonne corinzie -otto frontali e due gruppi di quattro in seconda e terza fila- che sorreggono un frontone. La grande cella circolare, detta rotonda, è cinta da spesse pareti in muratura e da otto grandi piloni su cui è ripartito il peso della caratteristica cupola semisferica in calcestruzzo. La cupola ospita al suo apice un'apertura circolare detta oculo, che permette l'illuminazione dell'ambiente interno. A quasi due millenni dalla sua costruzione, la cupola del Pantheon rimane la più grande cupola del mondo in calcestruzzo non armato. Venite! » si rivolse direttamente a noi, poi continuò «adesso entreremo all'interno della struttura.»

«UHH... Che sballo!» disse Castiel a voce alta con finto entusiasmo tra uno sbadiglio e l'altro. Avevamo visitato ancora poco di Roma, non poteva essere già stanco.

Stefania provò ad ignorarlo per quella volta anche se si notò una nota di delusione trasparire dal suo volto. Ci stava mettendo tutta sé stessa nelle spiegazioni, dovetti ammetterlo.

Calò un gran silenzio e tutti entrammo dentro l'edificio. Stefania continuò a spiegare mantenendo un tono molto più basso per rispettare il luogo di culto. Era molto preparata, finalmente riuscii a capire per quale motivo era stata scelta per quel lavoro. Certo, dall'aspetto si presentava in modo poco professionale, ma quando parlava della storia e dei monumenti romani sembrava trasformarsi. Il brutto anatroccolo diventava un -maestoso e sicuro di sé- cigno quando entrava nel suo mondo; e probabilmente la Roma Antica era il suo habitat naturale. Non conosceva il francese e forse neanche l'inglese, vero, ma restai ugualmente impietrita per la passione che Stefania ci metteva nel suo lavoro. Non era un'avvocatessa, non era una dottoressa eppure dai suoi occhi fuoriusciva tanto orgoglio, quasi come se facesse il lavoro più pagato e importante esistente sulla terra. Restai affascinata nel guardare la gioia e la soddisfazione nei suoi occhi.

Lo stesso non si poteva dire, però, di Castiel che da menefreghista com'era continuava a sbadigliare sgarbatamente senza nascondersi o mettersi la mano davanti alla bocca come sarebbe di educazione. Lo fece, tra l'altro, sotto gli occhi di Stefania che quando -dopo aver finito la sua spiegazione- tornò nel mondo contemporaneo si accorse ancora una volta dei gesti del rosso e andò su tutte le furie. Abbandonò quella posizione disinvolta e sicura di sé che aveva assunto parlando della sua passione, s'irrigidì e strinse le mani a mo' di pugno, segno di forte nervosismo. Fissò per tutto il tempo Castiel che, invece, sbadigliava spalancando ogni secondo di più la bocca e senza neanche avere l'accortezza di piazzarsi le mani davanti. Mi dispiacque per Stefania, così, approfittando della mia vicinanza al rosso gli lanciai una gomitata che andò a finire tra il petto e lo stomaco, un punto molto delicato e quindi doloroso vista la presenza dell'osso.

Saltò all'improvviso: «AHI! Ferma, che diavolo fai?» l'urlo rimbombò per tutta la struttura. Parecchi turisti presenti nel tempio si voltarono nella nostra direzione, ma lui disinvolto li evitò continuandosi a massaggiare la parte lesa.

Per quanto pareva essere muscoloso, risultò molto debole. Arrivai alla conclusione, allora, che fece di proposito ad ingigantire il dolore e la reazione, solo per far innervosire la signorina Lamberto. A volte sembrava un bambino. E come se non bastasse la gomitata, senza rispondergli lo guardai di sbieco e a braccia conserte, poi mi voltai nuovamente verso la signorina Lamberto senza degnarlo di attenzioni. Mi sentii quasi in colpa vista la gentilezza mostratami qualche mezz'ora prima nel regalarmi il quadro, ma doveva capire di star esagerando comportandosi scostumatamente con quella povera signora.

«Ma hai il ciclo, per caso?» insistette lui, alludendo al nervosismo solitamente sintomo mestruale. Nonostante si fosse sbagliato arrossii parecchio per la frase pronunciata ad alta voce. Chiunque avrebbe potuto ascoltare, e per giunta ci trovavamo a pochi metri di distanza dalla nostra guida.

«Vuoi smetterla? Ascolta!» lo rimproverai guardandolo nuovamente negli occhi e mostrando con la mano la signora Lamberto per indicare che avrebbe dovuto ascoltare lei.

Poteva sembrare stupido, ma amavo quei momenti. Amavo la sua lieve immaturità, i suoi scherzi, le sue battute. Amavo quel punzecchiarci senza alcun motivo.

Appena fuori, di nuovo, dall'edificio la signorina Stefania c'informò sbirciando l'orologio:

«Adesso, siccome sono le dodici, vi porterò nella gelateria più...»

«...famosa e antica di Roma, la gelateria Giolitti! Mmm... potrei guadagnare qualche spicciolo facendo la guida turistica. È un lavoro comodo, non si fa una cazzo dalla mattina alla sera, ed in più rimorchierei qualche bella ragazza. Ottimo direi!» si ringalluzzì, il rosso.

"Prevedo Castiel morto tra 3...2...1..."

«BLACK... Non lo ripeterò più! Al prossimo rimprovero laverai i piatti di ogni cliente, dopo cena, per tutta la settimana!» urlò Stefania attirando gli sguardi di tutti i passanti tranne quello del diretto interessato, che invece continuò a guardare il cellulare fregandosene altamente dei rimproveri della nostra guida.

Tra urla e menefreghismi vari, ci trovammo dopo qualche minuto davanti al vetro del bancone della famosa gelateria. Inevitabilmente ricordai i primi giorni di conoscenza con Castiel quando, dopo la punizione, mi aveva offerto un gelato. All'epoca non potevo immaginare quanto quella relazione sarebbe diventata essenziale e nello stesso tempo pericolosa per continuare a vivere.

Scelsi nocciola e amarena. Sapevo non legassero bene tra di loro, quasi nessuno li sceglieva come ipotetici gusti da mettere insieme. Eppure erano i miei gusti preferiti e ogni volta non potevo fare a meno di prenderli. Ciak, il migliore amico di cui ogni giorno sentivo la mancanza, ogni volta scherzava su quel discorso; mi diceva: "sei capace di abbinare mille gonne e mille maglie, ma non sai farlo con un gelato?"

Castiel ordinò entrambi i miei gusti. Non era possibile che anche a lui piacessero insieme quei due. Erano così diversi di sapore tanto da farmi pensare che nessun altro osasse sceglierli in un eventuale cono. 

«Copi il mio gelato?»

«Caso mai sei stata tu a copiarlo, non io. Questi sono i miei gusti preferiti da sempre. Puoi anche chiedere a chi mi conosce bene se non ti fidi. Sarebbe una cosa piuttosto assurda da fare per un gelato, ma se proprio ci tieni...»

Entrambi ci voltammo l'uno nella direzione dell'altra e accennammo un sorriso. Erano passati mesi, ma i gusti non erano cambiati. Ordinò anche per me i suoi stessi gusti, senza bisogno di chiedermi conferma. Per la scintilla che intravidi negli occhi di Castiel fui sicura che, anche lui, davanti al bancone della gelateria Giolitti aveva rivissuto i momenti di quel giorno ormai lontano.



 

ADELAIDE

Visite, ecografie, analisi varie. Ormai la mia vita era basata solamente su quelle tre forme di controllo, se cosi si potevano definire. In poche parole passavo tutti i giorni in ospedale. Salivo e scendevo scale, venivo spedita da un reparto all'altro senza capirne il motivo. Mi sentivo un pacco postale senza vita e senza alcuna ragione. Ma proprio quando ero diretta all'ultimo reparto, prima di poter tornare a casa, mentre salivo altre scale sentii una voce:

«Adelaide?!» la sua voce, in quel momento, mi sembrò quasi una salvezza, come una mano che aiuta a risollevarsi dagli abissi del mare. Ero sprofondata e lui mi aveva salvata già solo pronunciando un nome banale come tanti.

«Isaac...» mi voltai nella sua direzione come se avessi visto Dio.

«Cosa ci fai qui?» mi chiese, senza far trasparire alcuna emozione.

«Potrei farti la stessa domanda, sai?» risposi evitando il discorso.

Non ero mai stata brava a mentire, tantomeno a lui. L'organizzazione del mio finto fidanzamento ne era la prova. Non ero stata in grado di mentire davanti ad Isaac neanche per due giorni, perché già al secondo giorno l'avevo informato che la storia con il ragazzo del quale non ricordavo neanche il nome, fosse finita.

«Basta mentire, Adelaide so tutto!» mi si bloccò il cuore ed in concomitanza il respiro si affannò. Dovetti avanzare verso il muro di quelle scale per poggiarmi e riprendermi.

Isaac mi seguì: «Sapevi che non avresti potuto tenermi all'oscuro da questo. I tuoi amici sono anche miei amici, il tuo dottore è anche il mio dottore».

Aveva ragione. Come ogni santissima volta, avevo calcolato tutto male. Del resto quando c'era lui di mezzo, perdevo il lume della ragione. Se il mio ex marito era nei dintorni o nei discorsi, l'ossigeno non arrivava al cervello, non ragionavo. Ero ancora innamorata di lui, nonostante l'odio; e nonostante mi avesse allontanato da mio figlio, l'amavo ancora. Inutile mentire davanti all'evidenza. Lui aveva voltato pagina, io no. 

Pur avendo estremamente bisogno della sua vicinanza in un momento duro come quello, avevo deciso di non avvertirlo della mia malattia, non volevo...

Perché dovevo risultare, per l'ennesima volta, una donna forte.

«So bene che non vuoi apparire fragile» sembrò che mi stesse leggendo nel pensiero.

Non mi ero mai mostrata debole, neanche dopo aver scoperto i suoi tradimenti. Davanti a lui non era mai scesa neanche una lacrima.

«So bene quanto ti ho ferita in passato. So bene quanto avresti voluto urlarmi contro ma non l'hai mai fatto», continuò a leggermi dentro. Fu incredibile.

Ma quella ormai era acqua passata. Io ero stata di passaggio, come quei posti in cui si prova a vivere solo per lo spirito di avventura, ma dopo un po' di tempo si abbandonano. Isaac era così, visitava molte donne, le frequentava per poco tempo e poi le lasciava.

«Sai come sono fatto, ma credimi tu sei rimasta la donna più importante della mia vita ed ora permettimi di starti accanto. Sapevo avresti avuto delle visite in giornata e sono venuto qui solo per te. Io voglio aiutarti. Devo aiutarti. Non ero mai stato così a lungo con una donna, ti ho voluto bene veramente!» le sue parole stavano andando fuori rotta.

Quelle parole fecero scattare un meccanismo strano dentro al mio corpo, qualcosa che non sarei mai stata in grado di spiegare neanche con una laurea apposita. D'istinto e a scatto, mi allontanai da quella distanza pericolosa e finalmente riuscii a pensare di nuovo con la mia mente. Lui voleva aiutarmi solo per levarsi il peso di avere sensi di colpa. Forse aveva pensato che fosse stato lui, in qualche modo, a farmi ammalare, forse lo impietosivo per come mi ero già ridotta. Ma non avevo bisogno di quel genere di attenzioni, non avevo più bisogno di lui. Avevo ammesso di amarlo ancora, ma il sentimento non era corrisposto ed io non volevo finte attenzioni, finti sentimenti, finti amori. Volevo sincerità, quella sincerità che nella vita mi aveva dato solo una persona: Castiel. Lui mi odiava, mi riempiva di brutte parole, vero, ma tutto quello che provava era pura e sola verità. L'unica persona che volevo accanto per il resto dei miei giorni era lui, non avevo bisogno di un mezzo compagno finto.

Avevo affermato di volere una sua carezza, un suo gesto, ma se lui l'avesse compiuto solo per levarsi i sensi di colpa, non sarebbe servito a niente. In un certo senso ringraziai il destino per aver incrociato il mio cammino con il suo, di nuovo, perché ebbi l'opportunità di vedere quanto quell'uomo facesse schifo. Non aveva detto nulla eppure mi era bastata una semplice battuta per comprendere il soggetto, peggiorato dopo la separazione. Così, nella mia nuova debolezza trovai la forza di reagire. Sotto lo sguardo confuso di quell'uomo e senza bisogno di proferire parola, scappai via da Isaac nella speranza di non doverlo rivedere mai più. 

Finalmente l'odio che provavo nei suoi confronti era riuscito a superare l'amore... finalmente e per la prima volta dopo tanti, troppi, anni riuscii a respirare di nuovo autonomamente. Fu bellissimo.

Fu come rinascere.



 

MIKI

Dopo una breve visita con spiegazione anche a Montecitorio, in due minuti di tragitto ci recammo a Piazza Colonna. Il quadro iniziava ad intralciare un po' il cammino anche se alla fin dei conti era solo un foglio più spesso e quindi molto leggero, così lo misi all'interno del mio zainetto seppure più della metà fuoriusciva da esso. Ci recammo al centro della piazza, difronte alla Colonna di Marco Aurelio e Stefania iniziò la sua spiegazione.

«Piazza Colonna deve il suo nome alla Colonna di Marco Aurelio che qui sorgeva sin dall'antichità, e che dà il nome anche all'omonimo Rione Colonna, di cui la piazza fa parte. Proprio davanti alla colonna, sul lato nord della piazza potete vedere l'entrata di Palazzo Chigi alla cui famiglia appartenne dal 1659 fino al 1916, quando fu acquistato dallo Stato. Venne fatto costruire nel sedicesimo secolo da Pietro Aldobrandini per la sua famiglia; già sede dell'ambasciata dell'impero Astro-Ungarico è oggi sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Alla sinistra di questo potete ammirare, invece palazzo Wedekind, storica sede del quotidiano, che presenta un porticato formato da antichissime colonne ioniche originarie della città etrusca di Veio. Infine, affacciato alla piazza ma anche su Via del Corso, sull'area dove sorgeva il palazzo detto Piombino perché proprietà dei Boncompagni-Ludovisi, oggi sorge il palazzo della galleria Colonna, ora denominata galleria Alberto Sordi.»

Come sempre, ero abbastanza rapita dal racconto. Conoscevo quei posti, e, quella storia l'avevo studiata e sentita mille volte, ma la passione di Stefania aggiungeva magia ad ogni angolo. Amai particolarmente l'espressione del suo volto tanto da fissarla, senza spostare lo sguardo, per tutti i minuti di spiegazione; mi accorsi anche di alcune smorfie che fece dopo aver guardato Castiel. Di sicuro ne aveva combinate una delle sue. 

Così per capire mi voltai esasperata verso di lui che era imperterrito a sbadigliare sgarbatamente mentre giocava al cellulare. Era incorreggibile.

«NOOOOO...» urlò il suo dissenso quando di presunzione gli sequestrai il cellulare. Lo presi di scatto dalle sue mani e lo infilai nello zaino che avevo in spalla, per essere sicura che non se lo sarebbe ripreso.

«Mi mancava una sola mossa per superare il livello 182 di Candy Crush Saga, ed io sapevo quale fare. Sei crudele!» rispose incrociando le braccia e facendo il finto broncio. In quel momento mi ricordò Armin, un nostro compagno di classe, da sempre troppo affezionato a qualsiasi tipo di videogioco.

«Pensa un po' Black: a me invece non ne mancano più mosse. Ho vinto», si avvicinò verso di noi Stefania, sorprendendoci; aveva sempre mantenuto le distanze da noi, sia fisicamente che mentalmente, risultando ancora più fredda della direttrice del Dolce Amoris. Quella volta si era superata.

Castiel la fissò confuso e Stefania continuò il discorso cercando di dare un senso alla frase pronunciata qualche secondo prima: «da stasera laverai i piatti, dopo cena tutti i giorni per una settimana. Bello vincere con un avversario debole, vero?» lo sfidava, ma per quale motivo?

Sebbene non capissi l'origine di quell'astio tra i due, scoppiai a ridere per quella situazione che pian piano stava diventando sempre più assurda. Castiel e Stefania potevano essere paragonati a due personaggi dei cartoni animati: Tom e Jerry; passavano la maggior parte del loro tempo a farsi dispetti. Fino a quel momento era stato Castiel a deriderla sempre, a prevalere, ma Stefania con una sola mossa e in un baleno era passata in vantaggio. Subito immaginai un Castiel con un grembiule da cucina intento a lavare piatti. Così, spontaneamente iniziai a prenderlo in giro modificando una filastrocca e quindi cantandogliela a tono:

«Il bello lavanderino che lava i piattini per i cittadini della città...» mi fermai per ridere, ma subito continuai quella specie di cantilena che mi facevano canticchiare spesso le maestre nei primi anni di scuola: «fai un salto», saltai sotto gli occhi increduli di Castiel. Forse non mi aveva mai vista così allegra... e forse non mi riconobbi neanch'io.

«Fanne un altro», ripetei il salto. Una strana gioia e spensieratezza mai avuta prima pervase ogni cellula del mio corpo, non capii cosa mi stesse accadendo.

«Fai una giravolta», feci un giro su me stessa mentre Castiel, esasperato, poggiò una mano sulla fronte coprendosi gli occhi per qualche secondo.

«Falla un'altra volta», ripetei nuovamente la giravolta;

«guarda in su», guardai il cielo;

«guarda in giù...» all'improvviso mi bloccai per la vergogna, la spensieratezza terminò, guardai i miei piedi cercando di trovare un modo per non canticchiare la strofa mancante, quella che avrei dovuto pronunciare per ultima. Mi zittii in un microsecondo senza staccare gli occhi dalle mie scarpe e tornando seria. Sembrai bipolare persino davanti i miei occhi. Ero riuscita a cambiare la prima strofa, ma quell'ultima proprio no. Avrei dovuto pronunciare "dai un bacio a chi vuoi tu", ma il gioco si stava facendo solo tra me e Castiel, il pensiero di un ipotetico bacio -pur se innocente- mi mise in soggezione, ammutolendomi. Mi diedi della stupida.

«Dai uno schiaffo a chi vuoi tu!» intervenne concludendo la filastrocca Castiel. Mi stupì, ma realmente. Era corso in mio soccorso; aveva compreso il motivo del mio disagio che tra l'altro era, proprio, stato causato da lui. 

Ma come poteva, Castiel Black, fare qualcosa di carino per una persona e poi starsene buono in un angolo? Non era nella sua indole e infatti, avanzò verso di me e con disinvoltura mi mollò un lieve schiaffo sul braccio. "Grazie eh!"

Stefania restò inerme davanti a quel baccano; non solo fece finta di non sentire la mia filastrocca ma continuò ad essere nervosa per tutto il resto del viaggio. Partì in direzione dell'altro monumento da visitare senza avvertirci. Certo, conoscendo entrambi il posto, anche senza la sua guida non avremmo perso l'orientamento, ma essendo -appunto- una guida, avrebbe dovuto restare tale senza farsi coinvolgere da sentimenti personali.

In quattro minuti arrivammo, senza Stefania, alla famosa Fontana di Trevi definita da me stessa la fontana più romantica di Roma. Forse era anche la più famosa e conosciuta dagli stranieri, ma per me restava sempre e solo "la più romantica". La gente di tutto il mondo giungeva ai bordi della fontana, si accomodava sui marmi e gettava qualche spiccio nell'acqua solo per avere maggiori possibilità che il loro desiderio più grande si avverasse. Era favoloso, quel mito. 

Così anch'io da turista, visto che -pur essendo originaria del posto- l'avevo fatto solo qualche volta, cercai due monetine nello zaino e le presi. 

Una monetina la porsi a Castiel ed una la tenni.

Ma vedendo che non decideva a prenderla.. «Ehi, perché non la prendi? Conosci anche tu questa tradizione, no?» non rispose, ma il suo sguardo infastidito valse molto di più. Sebbene quel giorno avessimo trovato la pace, i suoi sbalzi d'umore non mancavano mai.

«Ma dai, su. Avrai anche tu un desiderio irrealizzato, un sogno e...»

«Ferma» poggiò il palmo della sua mano sinistra sotto le dita della mia -dapprima aperta per porgergli la moneta- e le chiuse delicatamente «esprimi un desiderio anche per me... Fai tu al posto mio. Fa' come se avessi accettato!» arrossii per quel nostro piccolo contatto.

Non insistetti, lo lasciai nel suo orgoglio mentre mi accomodai sul bordo della fontana e pensai a quali desideri avrei potuto chiedere. Un desiderio lo avrei espresso per lui ed uno per me. Castiel era un ragazzo troppo orgoglioso, troppo arrogante, non riusciva a fare qualcosa di carino e di diverso dal suo solito. Di certo se avesse accettato educatamente la mia moneta, non sarebbe sembrato un debole, ma lui ragionava in un modo tutto suo. Era cocciuto e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.

Chiusi gli occhi ed espressi il desiderio: "Vorrei che Castiel diventasse la persona più dolce e felice del mondo con la ragazza che deciderà di amare per la vita". Ed anche se dentro di me fui sicura che non sarei stata io, quella ragazza avrebbe meritato di avere un Castiel diverso esclusivamente per lei. E poi.. lui meritava di essere felice con chiunque volesse, di aprire il suo cuore, di smettere di trattenersi indossando la maschera da duro. Con la speranza che quella ragazza non sarebbe stata Debrah lanciai la prima moneta alle mie spalle e quando toccò l'acqua emise un lieve suono. 

Sospirai, riaprii gli occhi e mi ritrovai davanti un Castiel che, di nuovo, giocava al cellulare. Evidentemente era riuscito a riprenderselo dal mio zaino; l'avevo poggiato ingenuamente affianco alla fontana. Non m'impuntai e, stringendo l'altra monetina tra le mani, richiusi gli occhi per esprimere l'altro desiderio: "Vorrei che Adelaide guarisse e trovasse finalmente serenità con suo figlio". Non ebbi neanche un momento di esitazione nel desiderarlo. Lanciai convinta anche quella moneta, lasciando all'acqua torbida ma magica un arduo compito. Lasciai lì tutte le mie speranze per una donna forte che aveva bisogno di avere le sue rivincite in una vita che in pochi anni era stata già troppo crudele con lei. Avevo rinunciato al mio desiderio. C'erano cose più importanti che in quel momento avevano bisogno di attenzione e preghiere, non volevo essere egoista, davanti ad una cosa del genere non avrei mai potuto.


***


Poco dopo si fece viva Stefania. Ci richiamò a lei perché nonostante la sua incazzatura avrebbe dovuto deliziarci, ugualmente, della sua spiegazione. Quella volta non ascoltai, non solo perché la Fontana di Trevi a mio parere aveva una storia tutta sua, qualcosa che andava al di là della storia in se', ma anche perché il Re dei disturbatori per eccellenza mi stuzzicò.

«Scommettiamo...» disse sibilando divenendo serio e bloccandosi, però, quasi subito.

«Scommettiamo cosa?!? Finisci di parlare!» quel suo atteggiamento m'incuriosì.

«NAAA... non lo faresti mai. Non voglio perdere tempo a fare scommesse con te» mi liquidò non solo con le parole, ma anche con un gesto della mano.

«Sei sempre il solito, butti la pietra e nascondi la mano. Hai il coso lì sotto, ma sai usarlo solo a letto... durante la giornata poi te la fifi anche a fare una scommessa. Ammettilo che hai paura di perdere!» per una volta volevo essere io quella che stuzzicava. Forse ci riuscii. Ero curiosa, volevo scoprire cosa avesse in mente.

«E questo linguaggio volgare da dove esce fuori, signorina?» la mia battuta lo divertì, lo testimoniò il sorriso sghembo che gli spuntò ai lati della bocca: «comunque okay, vediamo se hai il coraggio...» continuò.

«Parla!» quella situazione mi stava mettendo parecchia ansia. Non capivo dove volesse andare a parare.

«Scommettiamo che sarai la mia schiava per un mese perché non riuscirai a fare il bagno... qui dentro, stanotte?!?» terminò mostrando la fontana, alle nostre spalle, con il pollice. Non volevo crederci; non potevo assolutamente farlo.

«Un bagno nella Fontana di Trevi? Stanotte? Quando? Come? Cazzo!» sgranai gli occhi incredula, andai in panico e lui ovviamente se ne accorse.

«Sì! Ovviamente dopo il coprifuoco. Dobbiamo uscire di nascosto durante la notte, magari verso le due, altrimenti non ci sarebbe gusto» la situazione proposta dal rosso si stava facendo sempre più assurda e pericolosa.

«Tu verresti anche?» ero impaurita e incuriosita allo stesso tempo. Due armi letali per una come me. Quello dopotutto sarebbe stato un modo per mettersi in gioco, per divertirsi. Non avevo mai fatto scommesse in vita mia, quella -qualora avessi accettato- sarebbe stata un'altra mia prima volta... con lui.

«Certo! Chi mi direbbe che l'hai fatto davvero? Forse la polizia, ma non ci sarebbe gusto» cercò di mettermi paura con l'ultima affermazione, ma non ci riuscì, forse...

«Se vincessi tu, cosa dovrei fare io? Chiarisci meglio il significato di "schiava"...» m'intimorii lievemente pensando ipotetici scenari. Castiel sarebbe stato capace di tutto.

Capì il mio senso d'intimorimento e sghignazzò «non siamo mica in quella porcheria di "Cinquanta Sfumature", quì. Intendo cose normali, divertenti. Ora non mi viene in mente nulla, ma... insomma cose non collegate al sesso, ecco!» apparì quasi a disagio nell'affrontare la seconda parte del discorso, lo accentuò passandosi le dita della mano tra i lunghi capelli.

«Ok e se perdessi tu, io cosa vincerei?» gli chiesi, cercando di capire meglio ed allontanandomi il più possibile da quel discorso quasi a luci rosse che stavamo per affrontare senza volerlo.

«Scegli tu, naturalmente qualcosa collegato a me» sbuffò spazientito di tutte quelle domande, in un momento sembrò persino pentito di avermi proposto quella scommessa. 

Infatti proseguì, «perché continui a fare domande se non accet...»

Ma io lo bloccai prima di rovinare tutto «ACCETTO!» respirai, poi continuai «Sì, voglio farlo!»

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** CAPITOLO 25: Forse ***


Capitolo 25 

Forse






Quel pomeriggio di fine Gennaio, era partito tutto con una frase pronunciata dalla Signora Lamberto che non avrei potuto dimenticare per nulla al mondo: «Da stasera laverai i piatti, dopo cena tutti i giorni per una settimana. Bello vincere con un avversario debole, vero?»

E una delle cose che imparai da quell'episodio fu che Stefania Lamberto manteneva sempre la parola data e se poi i suoi discorsi contenevano "Castiel" e "punizione" nella stessa frase, lo faceva con ancora più piacere.

«Sono stata autorizzata ad accedere in cucina per controllare il lavoro del Signor Black. Venga con me!» furono le parole autoritarie di Stefania. Le pronunciò con una strana emozione negli occhi. Forse era soddisfatta di esser riuscita ad imporre a qualcuno la sua autorità, forse lo era solo perché quell'autorità era riuscita ad imporla ad uno come Castiel... fatto stava che lo sguardo di Stefania faceva tenerezza. A guardarla a primo impatto tutto provocava tranne che quello, vero, ma a me che avevo imparato a sbirciare sotto la sua corazza faceva un altro effetto. In quell'occasione finalmente era riuscita a farsi rispettare e doveva essere un grande risultato vista l'emozione evidente. 

Nella vita privata, sicuramente era una donna sola, nessuno aspettava il suo ritorno a casa dopo il lavoro tranne che molteplici gatti. Aveva un lavoro che effettuava con tanta passione e per lei soddisfacente ma che non veniva apprezzato dal resto del mondo, anzi semmai deriso.

Quando però arrivammo nella famosa cucina interamente bianca dove Castiel avrebbe dovuto scontare la nota punizione, lui non c'era. Quell'espressione di tenerezza sul viso di Stefania scomparve all'istante per essere sostituita da una di pura rabbia e delusione. Istintivamente portai le mani sulle spalle della signora Lamberto come per consolarla, ma lei dovette interpretare diversamente quel gesto visto che si scansò ed anche bruscamente facendomi ricadere a peso morto le mani lungo il mio busto.

«Dove diavolo è il Signor Black?» urlò all'interno di quella stanza bianca ormai quasi vuota, vista l'ora tarda. I presenti si voltarono verso la sua direzione, ma preferirono non rispondere a quella signora paffuta e dai vestiti stravaganti.

Ovviamente dovette infastidirsi maggiormente dal momento che non le venne data la giusta attenzione e decise di ottenere con le sue forze la risposta a quella domanda per lei di fondamentale importanza. Iniziò ad aprire tutte le porte presenti in quella cucina che evidentemente conducevano ad altre stanze adiacenti, ma non vi era nessuna traccia di Castiel. Restai da spettatrice a quella scena, quella volta Castiel se l'era cercata. Non sarebbe stata la fine del mondo se avesse lavato qualche piatto; forse secondo la sua logica avrebbe macchiato la sua reputazione da cattivo ragazzo e non poteva permetterselo cocciuto com'era, ovviamente; o semplicemente non gli andava di obbedire alle regole imposte e aveva ben deciso di andarsi a fare un giro.

Quando però Stefania aprì l'ultima porta, quella che portava direttamente all'esterno della struttura, trovò finalmente il soggetto che aveva portato scompiglio -nell'ultimo quarto d'ora- all'ordine di quell'angolo di hotel. Era comodamente seduto sui gradini adiacenti alla porta d'uscita della cucina e stava fumando una sigaretta tranquillamente. Ci dava le spalle, ma dai suoi gesti rilassati si comprendeva ogni cosa. 

Senza aspettare un minuto di più Stefania scese i gradini e si posizionò davanti alla figura di Castiel, strinse i pugni ed iniziò a sbraitare: «Quale parte di "devi lavare i piatti per punizione" non ti è chiara, eh?» ma non ottenne risposta. 

Avrei tanto voluto vedere l'espressione di Castiel in quel momento, quell'espressione di menefreghismo che avrebbe fatto imbestialire qualsiasi suo interlocutore. Da quella distanza e da quell'angolazione in cui mi trovavo, immobile, potei solamente vedere le sue spalle e visto la fermezza della sua figura, percepii che continuò a fumare come se intorno a lui non ci fosse niente e nessuno oltre lui e la sua sigaretta.

«Io... io non so più come comportarmi con te. Mi dai sui nervi!!!» proseguì Stefania che ovviamente continuava a non ricevere alcuna risposta. Aveva persino abbandonato il suo linguaggio formale dalla rabbia.

Passarono alcuni secondi di silenzio fin quando la signora Lamberto decise di agire d'impeto e strappò con prepotenza la sigaretta dalle mani di Castiel per gettarla sulla strada e pestarla con le sue scarpe strambe. A quel punto riuscì ad attirare l'attenzione del rosso che si alzò e le si posizionò difronte. Finalmente potei vedere il suo volto, la sua espressione non premetteva nulla di buono.

«Ma che cazzo vuoi? Sono qui in vacanza! Davvero hai pensato che io, Castiel Black, potessi lavare degli stupidi piatti per una stupida punizione datami da una stupida guida turistica che non sa neanche parlare la mia lingua?» alzò la voce in un crescendo e dimostrando la sua indiscussa virilità.

«Black, io sto semplicemente svolgendo il mio lavoro. Ti sembra che mi diverti a fare da guida ad uno stupido e presuntuoso moccioso come te?» non l'avevo mai sentita parlare in quei termini.

A quel punto decisi d'intervenire prima che Castiel combinasse guai irreparabili. Le cose si stavano mettendo male. Percorsi velocemente tutta la cucina e mi posizionai sulla porta d'uscita senza scendere i gradini.

«Castiel, laverò i piatti insieme a te così non ti scomoderai più di tanto. Per lei va bene Signorina Lamberto?» guardai di sbieco Castiel e, nello stesso tempo, supplicante Stefania.

«La punizione è per il Signor Black, non tua» rispose con tono fermo.

«Sì, ma l'importante è che laverà quei maledetti piatti o solo o con l'aiuto di qualcuno...» continuai. Non sapevo come poter trovare una scusa accettabile per mettere fine al battibecco di quei due testa calda, le stavo provando tutte.

Dopo cinque minuti buoni, la signorina Lamberto, decise di accettare la mia proposta e Castiel non mi rivolse neanche un sorriso né mi sussurrò un grazie, anzi sembrava persino infastidito dalla mia intromissione. C'era da aspettarselo da uno come lui. Anzi visto il soggetto testardo, mi aspettavo che si sarebbe persino continuato a rifiutare di lavare i piatti seppure avesse due mani in più ad aiutarlo e invece non lo fece fortunatamente.

«Non avevo bisogno di una paladina della giustizia.. me la stavo cavando piuttosto bene» spezzò il silenzio, rimproverandomi. Come non detto. C'era d'aspettarselo.

«Se per bene intendi essere rispedito per direttissima in Francia ed essere sospeso dalla preside, allora sì Castiel, te la stavi cavando piuttosto bene» alzai il tono di voce «Ah e comunque prego, Castiel!» finsi di essere infastidita dalla sua ingratitudine. Approfittai della nostra temporanea pace per stuzzicarlo.

«Da quando hai questo caratterino? L'aria di Roma ti fa bene» ghignò.

Castiel Black aveva appena fatto un complimento alla lì presente Micaela Rossi e lei, da imbecille totale qual era, arrossì senza riuscire a ribattere.

Quindi non risposi e per camuffare il rossore del mio viso lo guardai di sbieco e l'incitai ad entrare per poter finalmente lavare quei benedetti piatti e mettere fine alle lamentele della Signorina Lamberto.

Durante i primi dieci minuti fui concentratissima a sciacquare i piatti e ancora non avevo prestato attenzione al rosso; quando però lo feci mi maledissi. Quell'immagine era paradisiaca ma al tempo stesso ridicola. Castiel aveva legato i suoi lunghi capelli rossi in una specie di chignon disordinato, alcuni ciuffi ricadevano sugli occhi grigi ed ammalianti. Era la prima volta che lo ammiravo concentrarsi realmente su qualcosa e quella volta -sebbene dapprima avesse mostrato riluttanza nel voler "scontare" quella punizione- lo stava facendo ed anche bene. 

Quando voltai la testa verso di lui, lo trovai intento a scrostare una teglia da forno bruciacchiata; istintivamente gli si aggrottò la fronte e la sua bocca mise il broncio nel constatare che nonostante i suoi tentativi dopo qualche minuto lo sporco si ostinava a non voler sparire. Sorrisi per la tenerezza di quella sua espressione; non si direbbe vista la stazza, ma in quel momento somigliava molto ad un piccolo bimbo imbronciato.

«Dai qua..» gli sussurrai sorridendo.

Mi sporsi a prendere la teglia e sussultai quando per un secondo le nostre mani si sfiorarono. Si accorse della mia reazione esplicita e si voltò per guardarmi. Arrossii di colpo, ovviamente, ma subito abbassai il capo in modo da far scivolare sul volto i capelli sciolti e quindi per nascondere l'imbarazzo, ma i miei tentativi furono vani. Nonostante ciò Castiel non disse una parola su quella mia reazione, anzi fu molto bravo a parlare di tutt'altro.

«Siamo nel 2015 e ancora qui non hanno una lavastoviglie... Che palle!» sbuffò

«Ed è qui che si sbaglia Signor Black. La lavastoviglie c'è, ma tu non puoi usufruirne. Altrimenti che punizione sarebbe?» rispose Stefania facendoci sussultare.

Avevo quasi dimenticato la presenza della Signorina Lamberto, rimasta in cucina, con l'autorizzazione dei titolari, per osservare il nostro lavoro. Si trovava a qualche metro di distanza rispetto a noi, era poggiata ad un mobile, teneva le braccia conserte e controllava con un'espressione severa il nostro lavoro.

Stranamente Castiel non rispose alla provocazione di Stefania e continuò ad insaponare i restanti piatti. Ci misi più del dovuto a scrostare la teglia che precedentemente aveva spazientito il rosso, quando ci riuscii tirai un sospiro di sollievo e chiusi gli occhi.

 Li riaprii e trovai Castiel intento a guardarmi con un'espressione indecifrabile; istintivamente corrugai la fronte e lo guardai negli occhi. Mi sentivo stupida, ma dettagli. A quel punto senza accorgermene vidi tutto buio perché le mani di Castiel mi coprivano il viso e quando sentii l'odore fastidioso del sapone per piatti entrarmi nel naso, collegai tutto. Il rosso mi aveva praticamente riempito il volto di schiuma -provocata dal sapone a contatto con l'acqua- e successivamente si stava prendendo la premura di assicurarsi che non mi fosse rimasto neanche un pezzo di pelle scoperta di spuma. Scoppiai a ridere per l'assurdità di quella situazione. Da quando Castiel faceva quegli scherzi infantili?

Da lì la situazione degenerò. Cercai di levare il sapone per poter aprire perlomeno gli occhi, ma quando ci provavo arrivava altra schiuma; così provai a difendermi prelevando del sapone dal mio viso per sporcare Castiel. Non seppi dire se ci riuscii o meno vista l'impossibilità di poter aprire gli occhi, ma quello che potevo dire con sicurezza era che non avevo mai sentito Castiel ridere in quel modo. Aveva la miglior risata che avessi mai sentito, se fosse stato possibile l'avrei registrata e messa volentieri come sveglia mattutina per tutta la vita. Mi sentii lusingata e preziosa in quell'istante. Castiel stava ridendo per e con me. Non facemmo neanche caso ai numerosi e ripetuti rimproveri di Stefania, la cui voce si sentiva in lontananza, quasi ovattata, sicuramente non voleva rischiare di essere colpita dal sapone e aveva preso le giuste distanze.

Dopo un'ora ci trovammo entrambi con i vestiti bagnati, con mezze stoviglie ancora da lavare e con il divieto assoluto, datoci dal titolare, di mettere piede di nuovo in quella cucina. Stefania dovette rassegnarsi nel vedere il sogno della punizione a Castiel infranto. 

Era ormai mezzanotte, tornammo ognuno nelle rispettive stanze -io e Castiel nella nostra stanza e la Signorina Lamberto nella sua- senza aggiungere parola.



 

UNKNOWN POINT OF VIEW

Più giorni passavano, più quella cosa cresceva dentro di me. Non sapevo come definirla e la chiamavo "cosa". Non avevo il coraggio di chiamarla bambino perché alla fin dei conti ancora non lo era. 

Un piccolo errore e una grande passione cieca per il ragazzo sbagliato avevano portato tutto quello scompiglio nella mia vita, perfetta fino a due mesi prima. I miei genitori non l'avrebbero mai accettata quella verità. Loro credevano fossi vergine e che lo sarei stata fino al matrimonio con il mio futuro marito. Erano severi, tanto, troppo forse e non mi sarei mai potuta permettere di comunicare loro quell'amara verità, di deluderli fino a tal punto. Ma dovevo sbrigarmi; ero minorenne, avevo bisogno della firma di un maggiorenne per poter interrompere volontariamente la gravidanza e mancava solamente un mese, trascorso il quale, quel bambino sarebbe rimasto a me. La legge permetteva l'interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gravidanza, trascorsi i quali non si sarebbe potuta più effettuare. Certo, avrei potuto portare a termine la gravidanza e dare il nascituro in adozione, in quel modo la mia anima si sarebbe sporcata di meno, ma per farlo avrei dovuto raccontare ogni cosa ai miei genitori o sarei dovuta scappare, trasferirmi fuori dalla Francia con qualche scusa banale. La mia testa era piena di dubbi, piena di domande e di altrettante eventuali soluzioni al problema; ma non sapevo, non avevo idea di come risolvere quella situazione senza l'aiuto di qualcuno. Nessuno ne era a conoscenza, nessuno, neanche le mie migliori amiche. Non riuscivo a parlarne, temevo che quella terribile novità si espandesse in giro alla velocità della luce. Avevo tentato di dirlo a lui... al padre della "cosa", ma era stato un disastro. 

Tutto nella mia vita era diventato un disastro.

"Com'è strana la vita. Per sedici anni continua a darti tutto, tutta la felicità che i beni materiali possono darti, tutta la popolarità che i soldi possono darti e l'attimo dopo decide di riprendersi tutto, di farti soffrire.

La vita è ingiusta.

Se solo lui rispondesse a quel messaggio... forse potremmo trovare una soluzione, forse potremmo addirittura amarci... amore, il sentimento che stavo iniziando a provare per lui"



 

MIKI

Quando mi ritrovai nel corridoio di quell'hotel alle due di notte, cercai di ricordarmi per quale motivo la mia mente malata avesse accettato quella maledetta scommessa che sicuramente avrebbe portato seri guai. Soddisfazione la chiamavano. Sì, volevo avere la soddisfazione di guardare la faccia di Castiel incredula davanti al mio improvviso coraggio. Ma seriamente sarei riuscita a buttarmi nelle acque della Fontana di Trevi come se nulla fosse? Ci sarebbero stati turisti, passanti... D'altronde Roma era la città che non dormiva mai. E se avessero chiamato le forze dell'ordine? Avrebbero potuto arrestare una minorenne per "utilizzo inappropriato di beni protetti dall'umanità"? Non mi erano già bastati i rimproveri avuti tre ore prima nella cucina di quello stesso hotel?

Ad interrompere le trecento domande che mi stavano torturando fu proprio la fonte dei miei problemi: «Non siamo neanche ancora usciti dall'hotel che tu stai già pensando di ritirarti? Fifona!»

Incrociai le braccia, lo guardai di sbieco e lo superai senza degnarlo di una risposta. Castiel faceva fuoriuscire una parte di me che non pensavo di avere. Era capace di premere tutti i tasti più delicati e più nascosti del mio io; non riuscii mai a capire come, eppure lo faceva ed io ne ero anche lusingata. Masochismo lo chiamavano. Ero masochista; sapevo che il rapporto con Castiel non mi avrebbe portata da nessuna parte o al massimo che mi avrebbe portata all'auto-distruzione eppure non riuscivo a fare a meno di lui, a fare a meno delle sue battute, delle sue scommesse, delle sue piccole attenzioni nascoste. Forse era ancora innamorato di Debrah, forse no ma la verità era che a me neanche importava più. Ero così tanto rapita dalla sua personalità da riuscire a mettere da parte anche quel grande particolare: il suo cuore forse apparteneva ad un'altra persona. Forse con la sottoscritta aveva intenzione di giocare o forse addirittura ero soltanto un mezzo per la vendetta nei confronti della sua ragazza, una sottospecie di punizione per averlo abbandonato e per essere ritornata come se nulla fosse accaduto. Ma la cosa che più mi spaventava in tutta quella storia non era lui e non era neanche la sua carissima Debrah, ma ero solo e soltanto IO. 

Io sarei stata disposta persino ad accettare di essere l'oggetto, il mezzo che avrebbe portato alla soddisfazione del suo desiderio pur di poter stare con lui, pur di vedermi concesse le sue carezze, i suoi baci, le sue attenzioni. Ero stata come ingannata dalla sua magia e lui da bravo stregone qual era, continuava a preparare le sue pozioni magiche per poter prolungare quell'effetto su di me fin quando avrebbe desiderato. Ed infatti eccomi lì, in procinto di dimostrare qualcosa a qualcuno che non ci sarebbe stato per sempre nella mia vita; a qualcuno che sarebbe stato soltanto di passaggio ma che mi avrebbe lasciato ferite non rimarginabili all'interno del mio cuore, della mia mente, della mia persona. Com'ero arrivata a quel punto? In così poco tempo ero riuscita a trasgredire l'unica regola che mi ero auto-imposta prima di trasferirmi in Francia, e non solo... con l'intrusione di Castiel nella mia vita erano entrati a far parte ancora più problemi di quanto ne avessi già, triangoli amorosi che neanche nelle soap-opere erano così complicati; purtroppo però quella era la vita reale, tutto era ingigantito, tutto faceva più male rispetto ai film. Eppure non avrei cambiato nulla degli ultimi cinque mesi, forse.

«Possibile che sei perennemente mestruata?» scossi la testa per uscire dai pensieri che da un bel po' di mesi mi attanagliavano la mente e mi voltai davanti alle sue parole.

«Senti da che pulpito...» risposi con una smorfia e ripresi a camminare.

«Mi spieghi dove stai andando, ragazzina?» riprese lui. Era proprio motivato a farmi perdere le staffe quella notte.

«A fare quello stupido bagno, in quella stupida fontana per poter vincere quella stupida scommessa. Mi sembra ovvio, no?» sbottai. Pensare a ciò che forse rappresentavo per lui, mi aveva fatto innervosire parecchio. Stupida testa che pensava le cose sbagliate nei momenti sbagliati.

Lui sorrise. Possibile che una persona sana di mente davanti ad un'altra fuori dai gangheri poteva avere quelle reazioni? No, ma era di Castiel che stavamo parlando e con lui tutto era possibile.

«Intendevo: non vorrai mica uscire dalla porta principale, vero?» si avvicinò e mi bloccò afferrandomi il polso. Quel contatto bruciò talmente tanto sulla pelle da far arrestare di colpo la camminata veloce che da nervosa avevo intrapreso senza quasi accorgermene.

Mi voltai e lo guardai negli occhi; non avrei dovuto. Le sue pupille grigie stavano studiando ogni centimetro del mio volto per cercare di capire cosa mi fosse preso all'improvviso. Se solo sapesse quanti pensieri girovagavano nella mia mente, se solo sapesse quanta confusione lui stesso mi aveva provocato sin da quel nostro incontro casuale sull'aereo..

Poi accadde tutto in un attimo. La sua grande mano sinistra -che aveva bloccato la mia fuga- chiusa sul polso, scese fino ad arrivare alla mia mano. Intrecciò le sue dita alle mie e fece lo stesso con l'altra mano. Ora eravamo una difronte all'altro. La sua altezza dominava sulla mia, i suoi occhi bruciavano sul mio viso. Si era creato uno di quei momenti; uno dei nostri momenti. E sebbene sapessi che sarebbe stato tutto sbagliato non staccai per un attimo gli occhi dai suoi. Lui sapeva mascherare le sue emozioni e non riuscivo ad intravedere nient'altro che lussuria, e forse in realtà non c'era più niente da vedere e capire... lui non provava nulla per me.

Poi mi sorprese. Staccò la sua mano dalla mia e la portò lentamente sul mio volto. Mi accarezzò la guancia con un tocco leggero, dolce, neanche lontanamente paragonabile a lui e ai suoi soliti modi burberi. Apparve quasi un'altra persona, come se avesse due personalità, come se quella che stava mostrando in quei secondi fosse la personalità che riservava a pochi o addirittura a nessuno.. o forse ero io a volermi illudere di questo.

Avvicinò la sua testa alla mia, mentre il mio cuore perdeva un battito ed io mi ritrovai immobile, in balia dei suoi gesti, succube di lui come capitava sempre quando mostrava quel suo lato così diverso e così tanto vicino a me. Era in momenti come quelli che Castiel confondeva il mio cuore e la mia mente. Mi aveva in pugno; perché in quegli istanti sembrava quasi che gli importasse di me, di noi. Ma esisteva realmente un noi? C'era mai stato? Nella mia testa si formavano sempre più domande, domande che non sarebbero mai state destinate a ricevere risposta. Tuttavia bastò quell'ennesimo gesto inaspettato a svuotarmi nuovamente di ogni pensiero. Quasi come se ne fosse a conoscenza, come se potesse leggermi dentro: posò le sue labbra sulla mia fronte, proprio lì dove quei mille pensieri girovagavano sin dal primo giorno che lo conobbi. Apparve come un gesto protettivo, neanch'io seppi spiegare il motivo di quello che fece, ma subito dopo come se nulla fosse accaduto riprese la mia mano e mi trascinò per la direzione opposta da quella che avevo intrapreso precedentemente.

«Vieni, dobbiamo uscire da una porta secondaria se non vuoi farti beccare prima del previsto»

«Ah quindi è anche già previsto che ci becchino?» risposi allarmata ma senza fermarmi o staccare le sue mani dalle mie. Non ci era mai capitato prima d'allora di avere un contatto per così tanti secondi di seguito. Sembrava patetico, ebbene sì, stavo contando i minuti dal momento in cui aveva legato le nostre mani. Erano trascorsi esattamente tre minuti quando arrivammo all'uscita; e quando decise che quel contatto era durato per troppo tempo, staccò le nostre mani e aprì la porta di sicurezza.

Pregai che a quella porta non ci fosse collegato nessun allarme e strinsi gli occhi per paura, immobilizzandomi. Quando però sentii una risata provenire da fuori la porta, ancora impaurita aprii lentamente gli occhi; prima quello sinistro, poi quello destro.

«Sei davvero impossibile, ragazzina» mi derise smettendo di ridere.

«Guarda che ci passiamo solo due anni, smettila di chiamarmi così. Ragazzino sarai tu» gli feci la linguaccia ed incrociai le braccia.

«Due anni cambiano molto, invece... e poi guarda te» posizionò la mano nella mia direzione per mostrarmi «e guarda me» si mostrò «chi è il maturo tra noi due?» aveva usato la parola "noi". Non intendeva quel tipo di noi, ovvio. Eppure quella parola pronunciata dalla sua voce roca e bassa suonava divinamente. Arrossii di colpo e sperai che non potesse vedermi date le illuminazioni basse dei lampioni.

«Di certo non uno che si fa vedere in giro con i capelli tinti color rosso pomodoro» deridendolo cercai di mascherare l'emozioni che mi aveva procurato qualche istante prima e dopo essermi calmata percorsi l'uscio della porta e mi ritrovai fuori.

M'invase un leggero venticello che mi fece rabbrividire e mi maledissi di non aver indossato vestiti più pesanti. Stranamente Castiel non rispose a quella provocazione e anzi, senza aggiungere altro iniziò a camminare verso la destinazione della nostra scommessa.

«Hai intenzione di proseguire a piedi? Ma sei matto? Hai idea di quanto dista da qui?»

«Sta' zitta e cammina» rispose in modo scontroso, lo stesso tono che utilizzava con il mondo intero, quel tono che con me non usava da un bel po' ormai. Pensavo avessimo superato quella fase ma evidentemente lui non la pensava allo stesso modo.

Quei suoi modi di fare lunatici mi facevano impazzire ogni giorno. Un minuto mostrava il suo lato solare, il minuto dopo quello scontroso e incazzato con il mondo. Era impossibile avere a che fare con lui ed uscirne illesi, eppure da un po' di tempo amavo le situazioni impossibili. Avrei dato qualsiasi cosa per capire il motivo dei suoi continui sbalzi d'umore, gli avrei anche permesso di distruggermi con la sua personalità se solo mi avesse permesso di entrare dentro i suoi pensieri. Ma non sarebbe accaduto mai. Insomma... era di Castiel Black che stavamo parlando.

Il tragitto fu molto silenzioso, nessuno dei due si permise di parlare. Nell'aria si udivano solamente i clacson delle auto che nonostante l'ora tarda continuavano a percorrere le strade caotiche di Roma, e di tanto in tanto qualche sospiro che la mia bocca emetteva dall'ansia. Castiel sembrava tranquillo, come sempre emanava l'aurea di chi è sicuro di sé e di tanto in tanto fumava una sigaretta per impiegare il tempo. 

Come previsto, arrivammo dopo un'ora alla nostra destinazione e le mie gambe, già stanche per il lungo cammino appena compiuto, cominciarono a tremare al sol pensiero di quello che avrei dovuto fare. Iniziai a guardarmi intorno per controllare la zona e assicurarmi che non ci fossero passanti, ovviamente i passanti e i visitatori c'erano eccome.

Mi voltai verso Castiel che già aveva i suoi occhi posati su di me e cercai di trovare le parole adatte per mostrare il mio sconcerto per la scommessa assurda che gli era venuta in mente di propormi, ma non riuscii a fiatare. Pensai ai suoi occhi; dovevano per forza avere un potere sovrannaturale perché altrimenti non si sarebbe spiegato il motivo per il quale appena li guardai attentamente mi rilassai non riuscendo a collegare più i pensieri tra loro. Il primo a spezzare il contatto visivo fu Castiel che si voltò verso la fontana di Trevi e... «Allora lo facciamo questo bagno, oppure no?» si voltò nuovamente e mi rivolse il suo sorriso sghembo.

«Ho altra scelta?» non mi preoccupai di nascondere la preoccupazione e la tensione.

«Sì, di sottostare alle mie dipendenze per un mese intero» sorrise di sbieco, questa volta alzando anche le sopracciglia.

«Vieni con me, almeno? O mi lasci sola?» non avevo nessuna intenzione di mollare dopo un'ora di cammino e poi volevo assolutamente togliere quel sorriso del cavolo dalla bocca del rosso.

«No, no. Penso che mi gusterò la scena...» lasciò la frase in sospeso e iniziò a camminare fino al bordo della fontana «proprio da qui». Concluse sedendosi sulla recinzione che precedeva la fontana ed incrociò le braccia in segno di attesa.

Deglutii rumorosamente e le mani iniziarono a sudarmi; il momento era giunto realmente. Nella mia mente iniziò a ripetersi un mantra per trasmettermi coraggio e riuscire a fare un passo verso quella fontana che da quella notte avrei iniziato ad odiare con tutta me stessa. 

"Se lo fai vincerai e potrai far fare a Castiel quello che vorrai" era il mantra che girava nella mia testa peggio di un disco rotto.

Prima di avanzare decisi di osservare di nuovo il territorio per tentare di accrescere la mia audacia. La fontana di notte era favolosa, non c'erano dubbi. Delle luci gialle risaltavano le statue dei vari Dii ed animali presenti all'interno della vasca. Una serie di luci al bordo della fontana illuminavano l'acqua limpida e altre luci erano poste dove finivano le statue e dove una piccola cascata permetteva all'acqua di riciclarsi.

Ma guardarla non faceva altro che aumentare la mia tensione. Le forze dell'ordine mi avrebbero scoperta fare il bagno lì dentro e avrebbero chiamato zia Kate in Francia che mi avrebbe messo in punizione per il resto della vita o addirittura avrebbero potuto chiamare la direttrice della mia scuola che di conseguenza mi avrebbe sospesa. E se avessi perso l'anno scolastico?

Poi la mia attenzione si spostò su Castiel e bastò quella figura a farmi compiere dei passi avanti. Sembrava quasi che stessi per affrontare una condanna con pena di morte per quante cerimonie stavo facendo. Ma era tutto più forte di me, non avevo mai trasgredito le regole in quel modo così esagerato.

Più passi compivo, più i piedi diventavano pesanti. Più mi avvicinavo alla fontana, più l'ansia s'impossessava del mio corpo. Avevo il respiro pesante e un peso al centro dello stomaco.

Giunta quasi accanto a Castiel mi voltai in tutte le direzioni per sbirciare quanti passanti o visitatori erano presenti in quel momento. Non erano molti, ma non erano neanche pochi. Iniziai a contarli con gli occhi, ma fui interrotta quando arrivai al numero quindici. Qualcuno mi aveva sfilato velocemente il piccolo zainetto che avevo portato sulle spalle fino a quel momento, ma non ebbi il tempo di voltarmi e capire di chi si trattasse perché non sentii più il pavimento marmoreo sotto i piedi; qualcuno mi aveva sollevata e in un battito di ciglia mi ritrovai in acqua senza capire un bel niente.

Ovviamente mi affogai con l'acqua che inevitabilmente mi entrò dentro i polmoni ed iniziai a tossire quando riuscii a levare la testa fuori dalla fontana. Non ero riuscita a togliere neanche le scarpe, avevo tutti i vestiti e i capelli zeppi di acqua. Ero imbestialita ed infreddolita per quel contatto improvviso ed inaspettato con l'acqua gelata.

Mi voltai verso colui che -sebbene al momento del lancio non avessi visto in volto- aveva pensato intelligentemente di buttarmi in acqua prima del dovuto e andai verso la sua direzione. Si trovava seduto sul bordo della fontana e stava tentando di trattenere le risate, ma ci riuscì malamente. Davanti a quell'espressione anche per me fu difficile trattenermi, ma restai seria ugualmente aspettando con ansia il momento in cui avrei avuto e mi sarei gustata la mia rivincita.

Per un attimo pensai che Castiel avesse intenzione di farmi vincere quella scommessa sin dall'inizio, altrimenti non avrebbe avuto senso. Per quale motivo mi aveva gettata in acqua se proprio quello era l'oggetto della scommessa, una scommessa organizzata da lui stesso? Forse lo avrebbe divertito ancor di più la mia vincita e l'eventuale sua perdita? Era tutto contraddittorio con Castiel, ogni situazione era come un puzzle con l'ultimo tassello perennemente mancante.

Scossi la testa per rimandare quei pensieri ad un altro momento e proseguii nella sua direzione cercando di apparire il più innocente possibile e di nascondere le mie intenzioni.

Quando gli fui abbastanza vicino, mi assicurai che non avesse nessun apparecchio elettronico tra le mani, mi alzai facendo fuoriuscire più di metà corpo dall'acqua e, approfittando del basso fondo che mi permetteva maggiore stabilità e forza, iniziai a spingerlo verso l'acqua. Dalla sorpresa pronunciò parole irriconoscibili e perse quasi l'equilibrio, ma non riuscii ad immergerlo totalmente, gli si bagnarono solo le braccia per qualche secondo visto che era seduto sul bordo della Fontana. Ovviamente Castiel era molto più forte di me e, da perfetta stupida accecata dalla sete di vendetta, precedentemente avevo tralasciato pienamente quel fattore. In un micro secondo misi in atto un "piano B" pensato all'istante. Non potendo trascinare Castiel nella fontana per carenza di forza, iniziai a schizzare l'acqua nella sua direzione aiutandomi con entrambi le mani e come se non bastasse ad un certo punto mi misi in posizione orizzontale e, mantenendomi a galla, utilizzai anche i piedi che con il contatto dell'acqua produssero un forte rumore e tanti schizzi. Avrei pagato oro per poter vedere l'espressione del volto di Castiel in quell'istante, peccato che l'enorme quantità di acqua che stavo facendo fuoriuscire dalla fontana mi copriva la visuale. Quando decisi che poteva bastare il teatrino appena messo in atto, smisi di schizzare acqua da tutti i lati e mi accertai del lavoro svolto. Scoppiai a ridere per l'immagine che mi si presentò davanti. La figura di Castiel era quasi completamente bagnata, i capelli fradici gli coprivano gran parte del volto e fungevano da contorno alla smorfia presente sulla sua bocca; stava letteralmente sbuffando. Le braccia conserte e lo sbattere continuato del piede sul pavimento marmoreo di quella piazza, mi fecero intuire che forse quella mia vendetta gli avesse cambiato l'umore per l'ennesima volta in quella giornata. Così tornarono a torturarmi le solite domande nella mia testa. E se si fosse innervosito parecchio e mi avesse lasciata lì, in quella fontana, sola a risolvere i guai che sarebbero inevitabilmente accorsi? E se mi avesse considerata una stupida e patetica ragazzina dopo quel gesto?

E se...

Non ebbi il tempo di pensare oltre perché uno scroscio abbastanza rumoroso di acqua mi distrasse. Mi voltai nella direzione del rumore e non potei credere ai miei occhi: Castiel aveva appena fatto un tuffo nella fontana poco profonda e si stava dirigendo verso di me. Non ero a conoscenza delle sue intenzioni, fatto stava che ora aveva tutt'altra espressione sul volto. L'espressione nervosa aveva lasciato spazio ad un'espressione maliziosa; con lo sguardo rivolto alla sottoscritta e con il suo solito sorrisetto che tanto mi faceva impazzire decretò il mio KO finale.

«Adesso ti faccio vedere io...» lasciò la frase in sospeso e quando fu abbastanza vicino mi sollevò reggendomi dai fianchi e, senza permettere alla mia mente di pensare come divincolarmi dalla sua presa, mi mandò sott'acqua liberandomi i fianchi ma iniziando a trattenermi sott'acqua facendo pressione con le mani sulla mia testa. Era stato lui a cercare un contatto, lui mi aveva stretta a sé, lui era capace di farmi smettere di respirare; non era la mancanza d'ossigeno sott'acqua, ma solo e soltanto Castiel Black, le sue mani e i suoi atteggiamenti contraddittori mi toglievano il respiro ogni secondo di più. Quando decise che la mia visita sotto le acque della Fontana di Trevi poteva concludersi, lasciò libera la mia testa ed io fuoriuscii dall'acqua iniziando a boccheggiare. Forse avevo passato trenta secondi sott'acqua, troppi, considerato il non aver preso aria prima di esser stata immersa.

«Tu... tu... tu sei un deficiente» lo insultai tra un respiro e l'altro. E lui invece di rispondere rise leggermente. Non faceva nient'altro che ridere davanti ai miei insulti quel giorno. Chissà cosa gli stava passando per la testa, non era da lui reagire in quel modo così giocoso.

«Sorridi. È per la stampa!» se ne uscì dopo qualche secondo di silenzio, voltandosi in direzione di alcuni passanti.

Mi voltai per capire meglio quello che intendeva il rosso e mi paralizzai dalla paura e dalla vergogna per la scena che mi si presentò davanti agli occhi. Almeno cinque persone erano intente a scattarci foto e forse girare anche qualche video con i loro cellulari. Certo, non capitava tutti i giorni di vedere due ragazzi scambiare la fontana di Trevi per il mare a quell'ora della notte.

«Mi spieghi come diavolo riesci a fare del sarcasmo in questa situazione assurda? Ci metteremo nei guai se non ci sbrighiamo ad uscire da qui» dissi quasi esasperata. Più minuti passavano e più l'ansia di essere scoperta da Stefania o dalle forze dell'ordine aumentava. 

Ad un tratto tutto il divertimento provocato dallo giocare in acqua, svanì. O meglio.. solo il mio divertimento.

Perché Castiel come risposta preferì utilizzare un gesto. Si spaparanzò in orizzontale sull'acqua senza preoccuparsi dei vestiti e dei capelli ormai zuppi e, chiudendo gli occhi, iniziò a girovagare per tutta la fontana prendendo le sembianze di un morto. Il suo volto apparve rilassato, come se non lo tangesse niente, come se non stavamo disubbidendo alla legge. Restai immobile e sbigottita davanti a quella scena assurda. Intanto, mentre osservavo il rosso girovagare per la fontana, mi assalirono nuovamente le paranoie. E seppur riuscissimo a scampare alle forze dell'ordine ma l'indomani saremmo stati sbattuti in prima pagina di qualche giornale locale? La Signora Lamberto ne sarebbe venuta a conoscenza? Sicuramente i nostri capelli, soprattutto quelli di Castiel, erano inconfondibili.

«Ehi voi due. Uscite subito fuori da lì. Datemi i vostri nominativi. È severamente vietato gettarsi nelle acque della prestigiosissima Fontana di Trevi!» ci urlò contro una voce possente; e subito drizzai il mio corpo e mi misi in piedi lasciando solamente le gambe nell'acqua vista la scarsa profondità del fondo della vasca.

Cercai d'individuare il corpo che aveva emesso quella voce, ma non riuscii a vedere niente sia a causa delle luci che non illuminavano bene tutto lo spazio e sia a causa dei passanti che stavano aumentando sempre di più. Stavamo dando spettacolo, perfetto. A quel punto pensai ci potessero capitare le peggiori cose ed ebbi la certezza che tutte le mie supposizioni e domande sarebbero divenute reali in un battito di ciglia.

Ma feci giusto in tempo d'individuare la figura di un uomo all'interno della divisa da vigile urbano farsi sempre più vicina che sentii subito una grande mano circondare la mia minuta, e trascinarmi fuori da quella maledetta fontana. Mi feci guidare da lui per il semplice motivo di sapere con certezza a chi appartenesse quella mano. Non ero riuscita a guardarlo in faccia, ero pietrificata e sotto stato di shock, ma l'istinto e la familiarità di quel calore e di quei brividi -che al mio corpo riusciva a provocare soltanto lui- mi fecero abbandonare interamente a quella persona che, dopo avermi fatto scavalcare il bordo della fontana, prese il mio zainetto poggiato precedentemente malamente sulla pavimentazione marmorea ed iniziò a correre nella direzione opposta alla figura del vigile, senza lasciare neanche per un secondo la mia mano.

«Dove credete di andare? Venite qui. Non mi sfuggirete, teppisti!» continuava ad urlare il vigile senza essere ascoltato.

A quel punto non seppi come, non seppi il motivo ma bastò vedere la sua figura alta davanti a me, bastò la sua stretta di mano, l'essere guidata con sicurezza verso un nascondiglio per farmi calmare completamente. All'improvviso non temetti più nulla, né i giornali, né Stefania o zia Kate, una probabile sospensione da scuola, una denuncia o addirittura il carcere. Mi sentii protetta come non mi ero mai sentita in sedici anni di vita. Era una sensazione meravigliosa e rabbrividii nonostante lo sforzo immane che stavamo continuando a fare con quella dura e lunga corsa. 

Castiel era diventato il mio posto sicuro.

Il vigile continuava ad inseguirci ma era molto distante da noi e a meno che non avesse una vista sovrannaturale, non avrebbe potuto vedere ogni nostro movimento. Così Castiel -lasciando per un secondo la mia mano- pensò di depistare l'inseguitore strappandosi un bracciale di cuoio che portava al polso e di simularne la perdita gettandolo all'entrata di una viuzza. In quel momento pregai che il vigile si accorgesse di quel piccolo particolare in modo da andare nella direzione opposta rispetto alla nostra effettiva. Riprese la mia mano senza permesso e senza vergogna e ricominciammo a correre; dopo qualche altro secondo all'improvviso Castiel decise di svoltare in una via poco illuminata e minuscola tanto da non poter contenere neanche una piccola macchina. La piccola via si trovava dalla parte opposta e a qualche metro di distanza da dove aveva lasciato cadere il suo bracciale. In tutti quei suoi movimenti non aveva ancora lasciato la mia mano e non lo fece neanche quando si poggiò al muro di pietra di quella via antica, così ci ritrovammo l'uno difronte all'altra, ad una piccola distanza. Potevo sentire il suo respiro accelerato a causa della precedente corsa e lui poteva sentire il mio. Mi sentii avvampare per quel piccolo particolare così intimo e, come accadeva ogni volta, pregai ogni Dio che Castiel non lo notasse.

Mi guardò per un'istante negli occhi con uno sguardo duro, io invece ero pietrificata; subito dopo staccò le nostre mani e si spostò da quella vicinanza pericolosa. Iniziò a camminare verso l'entrata della via, lasciandomi sola, indifesa e con il gelo nel cuore. Chiusi gli occhi e mi poggiai al muro dove un attimo prima c'era stata la sua schiena, la sua figura possente e mi sentii già meno sola. Sapevo di risultare patetica, ma non m'importava più. Erano accadute troppe cose in quei pochi giorni di permanenza a Roma, ero fragile, non riuscivo a sopportare il peso di tutti quegli avvenimenti, da sola. Avevo bisogno di qualcuno o meglio desideravo solo una persona al mio fianco per sopportare tutto; forse risultai egoista a desiderare di voler appesantire Castiel con il mio passato, con le mie paranoie giornaliere ma involontariamente era entrato a far parte di quella storia e ora che c'era dentro non avevo nessuna intenzione di liberarmi da lui. Desideravo la sua presenza e non m'importava se da amico o qualcosa di più. Il problema era sapere se a lui stesse bene o meno la mia vicinanza, la mia amicizia o quello che era. 

Subito mi balenò nella testa che avesse deciso di lasciarmi lì sola e che quindi poco gli importava del mio passato triste e di quella stupida scommessa che mi avrebbe portato inevitabilmente altri guai.

«Ha abboccato come un pesce. Non rischiamo più nessuna multa o il carcere» ghignò ad un certo punto fiero del suo piano.

Non mi aveva abbandonata, era solo andato a controllare se il vigile ci stesse ancora inseguendo o se avesse abboccato alla trappola. Aprii gli occhi e sollevai la testa -che precedentemente avevo poggiato contro il muro- di scatto per la sorpresa. Ero convinta mi avesse lasciata sola; sorrisi involontariamente e sinceramente per la felicità istantanea nell'udire quelle parole e nel saperlo di nuovo accanto a me.

«Allora?!?» si avvicinò sempre più verso la mia figura «Visto che ho perso, cosa mi toccherà fare?» proseguì fino a ritrovarsi a pochi centimetri dal mio volto.

Non avevo idea di cosa inventarmi, non ero brava in quelle cose e poi lui aveva facilitato la mia vincita gettandomi di sua spontanea volontà nella fontana. Avrei tanto voluto chiedergli il motivo; mi si accese una lampadina nella testa in un lampo.

«Per iniziare... Risponderesti ad alcune mie domande?» gli chiesi speranzosa e sorridendo leggermente. Intanto i nostri respiri si unirono data la vicinanza dei nostri volti. Ero imbarazzata, continuava a guardarmi negli occhi ed io di tanto in tanto abbassavo lo sguardo. Era intimidatorio sebbene avesse solo diciotto anni.

«Forse » rispose accennando uno dei suoi sorrisi maliziosi.

La presi come risposta affermativa ed iniziai a mettere in ordine le idee in testa. Avevo tante, troppe domande da porgli ma allo stesso tempo non volevo che lui s'infastidisse per una domanda troppo invasiva o sbagliata.

«Avevi già programmato di far vincere a me la scommessa? Ti divertiva di più, vero?» iniziai.

«Forse » mi rispose semplicemente aumentando il sorrisetto. Mi accontentai di quella risposta e andai avanti.

«Tu e Debrah state ancora insieme?» avevo bisogno di chiarezza, sperai in una sua risposta sincera.

«Forse sìforse no... Chi lo sa» ghignò nuovamente. Aveva voglia di prendermi in giro. Ma stava solo confondendo la mia mente ancora di più. Lasciai cadere lì quella risposta ambigua. Non volevo litigare e tanto meno stare male.

«Ti piace ancora come il primo giorno?»

«Forse» era ovvio che provasse ancora attrazione per lei, altrimenti non avrebbe continuato a fare il suo cagnolino per tutto quel tempo.

«Ed io... Io ti piaccio?» non seppi come e dove trovai il coraggio, ma finalmente riuscii a chiederglielo direttamente e perlopiù guardandolo dritto negli occhi grigi che in quel momento apparvero divertiti per la mia improvvisa sfrontatezza.

L'acqua della fontana doveva contenere qualcosa di strano, qualcosa peggiore del vino tanto da riuscire ad ubriacare, perché in quel momento era proprio in quel modo che mi sentivo. Ubriaca. In un battito di ciglia ero diventata coraggiosa, non avevo paura delle sue reazioni, delle sue risposte. Nel mio sangue circolava quell'audacia e quella sfacciataggine che solo l'ubriachezza dona.

«Ed io invece? Ti piaccio?» mi chiese senza rispondere. 

Mentre parlava, in un battito, poggiò le mani al muro, di lato alla mia testa come per non lasciarmi scappare, come per farmi capire che avrei dovuto rispondere per forza a quella domanda.

Sebbene quella sua vicinanza, quei suoi gesti mi scossero da dentro, cercai di non farlo notare così incrociai le braccia e continuai a non staccare gli occhi dai suoi. Fu difficilissimo per quanto erano belli.

E mi sembrò di tornare indietro nel tempo, ad un mese prima; a quando aveva interrotto la mia cena con Nathaniel con un messaggio... a quando ci eravamo detti quelle mezze verità. Ma la realtà era solo una: un mese prima nessuno dei due aveva avuto il coraggio di ammettere qualcosa, e un mese dopo non era poi cambiato così molto, bagnati fradici d'acqua eravamo ancora troppo orgogliosi per rivelare verità. Mancanza di coraggio ed orgoglio; due sentimenti differenti ma anche piuttosto simili vista l'identica conclusione.

Scossi la testa dopo quel breve flashback e mi decisi a rispondere alla sua domanda scomoda che continuava a girare e rigirare nella mia testa confusa ogni secondo di più: "Ed io... io ti piaccio?" 

«Non ti hanno mai detto che ad una domanda non si risponde con un'altra domanda?» perché se solo lui mi avesse dato un segno, anche uno minuscolo io gli avrei rivelato ogni cosa. Non aveva più senso nascondere cosa la sua presenza provocava al mio cuore.

«Non sono uno a cui piace seguire le regole» sorrise a metà.

«In questo caso, devi!»

«Altrimenti?»

«Dai.. rispondi» lo pregai con voce cantilenante.

«Prima tu. Allora, rispondi... ti piaccio?»

Per non dargliela vinta interamente e per porre fine a quello straziante battibecco che altrimenti sarebbe durato ancora per molto, decisi di fare il suo gioco e risposi con la parola che stava utilizzando come risposta dall'inizio della mia specie d'interrogatorio: «Forse. Ora rispondi tu».

«Forse sì, forse no... Chi lo sa!» e lui che aveva capito il mio gioco, fu ancora più stronzo di me a lasciare maggiori dubbi.

«Bene» risposi convincendomi che quella risposta fosse discreta per quel momento.

«Bene!»

«Mi baceresti in questo momento?» fui ancora più sfacciata, ma ne avevo bisogno. Avevo bisogno di un suo bacio. Quella distanza era troppo poca per il mio cuore, per il mio corpo. Aver avuto un assaggio di lui, due giorni prima in hotel, aveva risvegliato qualcosa che pensavo di non avere. Lo desideravo come non era mai capitato nella mia vita. 

«Forse »

«Fallo, allora!» sebbene non fossi convinta se quel suo forse fosse stato detto in senso positivo, fui presuntuosa per una volta e volli convincermi che anche lui volesse ciò che bramavo io, ogni qualvolta i nostri volti si trovavano a quella misera vicinanza.

E lo fece.

Lasciò le braccia ai lati della mia testa, poggiate al muro di mattoni, ed eliminò del tutto quella piccola distanza dapprima presente tra di noi. Avvicinò il suo capo lentamente e squadrò ogni dettaglio visibile del mio viso, quasi come se volesse ricordare ogni piccolo particolare di quel momento. Mentre io, come capitava spesso in quelle situazioni, restai immobile con gli occhi spalancati e quasi impaurita per l'emozioni che riusciva a provocarmi quel cattivo ragazzo dai capelli rossi. Ero contraddittoria al massimo... sin dai nostri primi incontri, avevo fatto credere a Castiel che io avessi molta esperienza con i ragazzi, avevo fatto credere di non essere vergine, indossavo la mia solita maschera da ragazza facile con chiunque; eppure lui lo aveva capito sin dall'inizio. Non aveva mai creduto che avessi esperienza, nella quotidianità addirittura mi derideva per le bugie che raccontavo in giro sul mio conto; ma quando capitavano quei momenti, nei nostri strani e particolari momenti lui non mi faceva pesare la mia inesperienza, anzi il contrario. Un po' come fece in quell'istante.

Occhi grigi in occhi neri; respiro lento contro respiro accelerato; battito cardiaco nella norma contro battito mancato. Lui era tranquillo ed io agitata. Un ragazzo incazzato ed una ragazza incasinata. Rovina e salvezza. Qualcosa di sbagliato per lui, per il mondo, ma dannatamente giusto per me, per il bene che provocava alla mia anima. Forse era innamorato di un'altra, forse non lo era più. Ma bastarono quelle labbra sottili e morbide a farmi dimenticare di ogni nostra incompatibilità e differenza. Fu un bacio casto ma dolce, in netta contrapposizione con la sua personalità forte, arrogante e passionale. Fu un bacio lento ma bagnato a causa del recente tuffo pazzo fatto nella Fontana di Trevi. Alcuni ciuffi dei suoi capelli rossi gocciolarono sul mio viso già umido, e rabbrividii per quelle gocce che finirono dritte sulle nostre labbra come per volerci risvegliare da quello stato di trance che stavamo avendo; infatti eravamo rimasti attaccati l'uno alle labbra dell'altra senza riuscire a muovere un muscolo, esterrefatti da quella nostra rara dimostrazione d'affetto. 

Quando si separò dalle mie labbra non si allontanò, gettò un lieve sospiro di sollievo, e restò a pochi millimetri dal mio volto e dal mio cuore, mentre i suoi occhi continuavano a fissare la mia bocca. Forse voleva di più ma preferiva non rischiare. Non riuscivo a capirlo, ma rabbrividii per l'ennesima volta quella sera e non per il fatto che fossi fradicia d'acqua -acqua che continuava a scendere inesorabile su tutto il mio corpo- ma per lui; rabbrividii per la sua insicurezza lievemente visibile; aveva quasi abbassato le difese, lo aveva fatto con me. M'illusi che neanche Debrah era riuscita a vedere quel suo lato. Bastò quel nome però, ad accendere una strana sensazione all'interno del mio corpo, mi sentii bruciare, invasa da un nuovo coraggio. 

Castiel era con me quella notte, non con lei; qualcosa doveva pur significare. Lui era mio anche se per solo qualche istante. E se non fossimo stati per strada, in una via antica di Roma, se avessimo avuto maggiore privacy, quella sera gli avrei concesso tutta me stessa. Qualcosa era mutato tra noi, lo percepivo.

Di scatto portai entrambi le mie mani sul suo viso, gli circondai le guance ed eliminando nuovamente quella millimetrica distanza, lo baciai con foga come non avevo mai fatto con nessuno. Lessi stupore nei suoi occhi, ma assecondò il bacio. Quella volta non fu casto, anzi semmai l'esatto opposto. E mi sentii finalmente a casa in quel valzer di lingue che stava avvenendo nelle nostre bocche; nessun imbarazzo, nessun senso di colpa... solo io, lui e le mille farfalle che svolazzavano nel mio stomaco. Chiusi gli occhi e mi godetti quel bacio con tutta me stessa. 

Sapevo di essere un controsenso continuo, di essere una contraddizione e un'incasinata in piena regola. Un attimo prima ero imbarazzata per la vicinanza con il rosso, per i suoi gesti sfacciati e temevo il fatto che lui fosse ancora impegnato con un'altra; un attimo dopo prendevo l'iniziativa e addirittura gli ficcavo la lingua in gola. Ero assurda; ed era ancora più assurdo cosa mi provocava. In alcuni istanti ero talmente tanto egoista e sfacciata dentro di me... da sentirmi quasi, io, la sua ragazza.

Fu lui a porre fine a quel bacio. Staccò le mani da quel muro di mattoni e le posò sul mio busto facendo una lieve pressione per farmi capire che mi sarei dovuta allontanare. Lo assecondai ma dentro di me ogni organo protestava. Ogni parte del mio corpo si era abituata talmente tanto a lui da farmi credere di soffrire della "sindrome da abbandono". Mi sentii letteralmente uno schifo quando potei iniziare di nuovo a contare i centimetri che ci dividevano. Ero improvvisamente vuota; le mille farfalle che poco prima stavano svolazzando nel mio stomaco morirono e si seppellirono automaticamente sole, dopo lo sguardo di sufficienza che mi lanciò Castiel.

«Torniamo in Hotel, ormai abbiamo seminato la polizia» mi voltò le spalle e prese a camminare senza aspettarmi.

"Tutto qui? Cosa ne è stato di poco fa? Del nostro momento? Mi sono appena baciata sola o cosa?" urlai dentro me. Avrei tanto voluto prenderlo a schiaffi. Come poteva gettare nell'immondizia anche quei piccoli momenti speciali?

«Sì, certo!» risposi visibilmente infastidita e m'incamminai dietro di lui. Non poteva far finta di nulla. Era per colpa di quei suoi comportamenti strafottenti se io continuavo a pormi ininterrottamente tutte quelle domande. Perché diavolo doveva rovinare tutto? Ero stanca dei suoi giochi. 

Quella notte avremmo messo ogni cosa in chiaro anche a costo di ferirmi.

«NO!» urlai contro lui furiosa.

A quelle mie parole si bloccò di colpo ma non si voltò, restò di spalle teso quasi come se fosse già a conoscenza di quello che sarebbe accaduto da lì a pochi minuti. Cinquanta centimetri a dividerci fisicamente e anni luce a dividerci mentalmente.

«Non... noi... noi non possiamo continuare così, Castiel. Mi baci, ti dimostri simpatico e... e l'attimo dopo mi tratti con indifferenza e arroganza. Voglio solo sapere perché? Perché Castiel?» risultai disperata e incavolata allo stesso tempo.

«Mi hai chiesto tu di baciarti. Non sembravi così tanto contrariata un minuto fa.»

«Sai che non parlo solo di oggi, Castiel. Io.. io non capisco; se hai una ragazza perché continui a venire anche da me? Perché m'illudi?» quell'ultima frase mi era scappata involontariamente, non volevo dargli soddisfazioni, fargli capire che io ci tenessi ai nostri momenti più del dovuto. Ma ormai quel che era fatto, era fatto.

«Non mi risulta di averti giurato amore eterno. Ci siamo semplicemente baciati un paio di volte. La gente si bacia continuamente e con chiunque... Che diamine!»

Quella frase sarebbe rimasta impressa dentro me per molto tempo. Ero "chiunque" per lui mentre lui per me era "l'unico". Breve storia triste senza alcun lieto fine. D'altronde non eravamo in una favola e per una come me, figlia di nessuno, era impossibile essere considerata la protagonista che dopo tante peripezie avrebbe vissuto il suo "per sempre felice e contenta" con il suo bel principe azzurro. Io ero solo una triste e misera comparsa, la ragazza di passaggio, quella che aveva intenzione di sedurre ma poi finisce lei per essere sedotta e abbandonata.

«La gente si bacia continuamente e con chiunque ma non dovrebbe se è già impegnata in una relazione». Mi finsi ancora intera davanti a lui, mentre dentro ero già in mille pezzi da un po'.

«Mi spieghi cosa vuoi da me? Eh Miki? Quando è capitato ti ho baciata perché mi andava. Sei una bella ragazza, e poi mi pare che tu non ti sei mai tirata indietro in quei momenti, anche se ora fai la moralista del cazzo.. Ed io... Io non sono gay per cui le donne mi fanno sempre un certo effetto, da impegnato o meno. STOP! Fine della storia».

«Se amassi la tua ragazza non guarderesti le altre, non cederesti così facilmente...» Ignorai il fatto che lui mi considerasse bella. Non aveva più importanza ormai. Le restanti frasi avevano annullato quella sua confessione che in un momento di lucidità non avrebbe mai ammesso.

«Incredibile!» rise sarcasticamente «sembra quasi una scenata di gelosia la tua» si voltò finalmente verso me, ma quando vidi la sua espressione rimpiansi la visuale delle sue spalle che salivano e scendevano in respiri accelerati per l'evidente nervosismo. Era visibilmente confuso e forse stava venendo a contatto con la realtà dei miei sentimenti per lui, ma non volevo capisse definitivamente. Non potevo mostrargli cosa provavo, sebbene fossi pronta a dire la verità, non dopo le sue parole. Non potevo più mostrarmi debole davanti ai suoi occhi.

«Ti sbagli! Sono solo leale e odio i tradimenti. Nessuno merita di essere tradito ripetutamente, neanche Debrah anche se non è nella lista delle mie persone preferite».

"Oh no, lei merita eccome di essere tradita". Nonostante le mie menzogne, lui sembrò convincersi.

«Sono io a dover giudicare se lei lo meriti oppure no, non credi?!» Perfetto. Come volevasi dimostrare.

«Ecco spiegato tutto. Sono il mezzo per la tua vendetta nei confronti di Debrah, la vuoi punire per averti abbandonato due anni fa. Ma quei baci, quei cazzo di baci sono stati troppo speciali per esser stati dati per vendetta. Sono una persona in carne ed ossa, ho dei cazzo di sentimenti... Io non sono un manichino, stronzo!» 

Ero furibonda ormai, così mi voltai e m'incamminai dalla direzione opposta a quella che avrebbe portato in hotel. Non volevo doverlo guardare in faccia dopo le sue confessioni, non volevo più mettere la mia dignità sotto i piedi come era già accaduto a causa sua. Gli avevo già rivelato troppo a causa della rabbia. Era palese anche ai muri che avessi una cotta stratosferica per lui. 

Avevo avuto la verità a portata di mano, avevo anche pensato più di una volta che potessi essere semplicemente il mezzo per una vendetta, ma continuavo ad ignorare l'evidenza. Volevo illudermi e lo avevo fatto consapevolmente. Patetica illusa.

«Fai mente locale. Dimentichi troppo facilmente, piccola Miki».

Furono quelle parole a farmi bloccare di colpo e girare nuovamente nella sua direzione. Aveva ragione, ma non l'avrei ammesso neanche in un'altra vita. Il nostro primo bacio. Lui mi aveva baciata prima che tornasse Debrah. Maledizione. E dopo quella sua osservazione si voltò, mettendo le mani nelle tasche anteriori dei suoi jeans ancora fradici d'acqua e s'incamminò verso l'hotel. Scostumato com'era, non aspettò neanche una mia relativa risposta alla sua insinuazione. Era uscito di scena pronunciando una frase ad effetto, un po' come gli attori protagonisti dei film... Ma d'altronde, lo sapevamo entrambi; risposta adatta a quello che mi aveva appena ammesso implicitamente, non esisteva.



 

ADELAIDE

"Tra due settimane dovremo intervenire obbligatoriamente, prima che sia troppo tardi."

Quella mattina, dopo gli ennesimi esami, il medico aveva parlato chiaro e tondo. Avrei dovuto subire un'operazione d'urgenza per cercare di salvare il salvabile. E quelle parole, le parole riferitami senza scrupolo continuavano a girare e rigirare nella mia testa. Mi sentivo come un animale selvatico in un recinto. Sarei stata costretta a raccontare a Castiel ogni cosa nel giro di pochi giorni. Non avevo scampo, era tenuto a sapere; sicuramente l'avrebbe presa molto male, non mi avrebbe parlato ancora chissà per quanto e forse non si sarebbe neanche recato in clinica il giorno dell'operazione, ma non potevo tenergli nascosto un dettaglio del genere. Se tutto fosse andato male, se per un motivo o per un altro fossi finita in coma o se addirittura non fossi sopravvissuta all'operazione avevo il diritto di salutare il mio unico figlio, l'unico che, seppur con modi tutti suoi e abbastanza bruschi, mi era rimasto accanto. Lo avrei stretto a me come non avevo mai fatto. Ed anche se lui mi avesse negato l'abbraccio, avrei insistito fin quando non avrebbe ceduto. Avevo già fatto troppi errori che lo riguardavano e lo ritraevano come vittima, non potevo permettermi di sbagliare ancora. 

Mentre cercavo di prendere sonno, pensai alle giuste frasi da comunicargli una volta tornato dall'Italia. Avevo deciso di parlargli il giorno successivo al suo ritorno e quindi una settimana prima dell'operazione; non c'era più tempo da perdere. Immaginai la scena e non riuscii ad avere buone sensazioni, temevo il peggio dopo quella confessione. Nel nostro rapporto mamma-figlio non avevamo mai avuto molto dialogo; tornavo rare volte a casa, non gli avevo mai mostrato l'affetto che meritava un figlio e mi ritenni responsabile, in parte, del brutto caratteraccio sviluppato da lui negli anni. La sua era quasi un'autodifesa, e sebbene fossi in parte responsabile riuscivo a capirlo, riuscivo ad amarlo da lontano. Non ero mai stata una di quelle mamme che, vedendo il proprio figlio una volta al mese, non lo conosceva o non lo amava; no, io amavo il mio bimbo... a modo mio, ma l'amavo con tutta me stessa. 

Tuttavia anni prima preferivo dimostrare il mio amore solo ad una persona, mio marito, senza che lo meritasse realmente. Castiel era cresciuto da solo, inizialmente sballottato da parenti a causa del lavoro impegnativo che io ed Isaac svolgevamo; poi più gli anni passavano e più il piccolo testone diventava responsabile, così già a dieci anni avevamo deciso di lasciarlo da solo in casa, ma ovviamente sotto la sorveglianza di qualche nostro amico e vicino di casa. Sebbene non glielo avessi mai detto esplicitamente ero sempre stata fiera del piccolo ometto nel tempo poi diventato un grande uomo. Non l'avevo sentito protestare neanche una volta sul fatto che fino all'età di nove anni aveva dovuto girare praticamente tutto il mondo per colpa del lavoro dei suoi genitori. Quando eravamo obbligati a vivere qualche mese in uno Stato, se ne avevamo la possibilità, decidevamo di portare anche Castiel che alloggiava a casa di qualche nostro parente o amico ed in quel periodo riuscivo a passare maggiore tempo con lui. Quando iniziò ad andare a scuola, iniziò ad impuntarsi mostrando la sua volontà nel voler studiare solamente in una scuola come tutti i bambini della sua età, nel suo Stato d'origine. Non poteva cambiare scuola e compagni ogni due mesi, e aveva ragione. Così iniziò a vivere solo e col tempo sviluppò quel carattere che iniziai a temere ogni giorno di più; e lo temetti maggiormente in quel momento che avrei dovuto dirgli la verità sulla mia malattia. Lo conoscevo, ma non avrei mai e poi mai potuto immaginare come avesse potuto accogliere la notizia di una malattia grave della sua mamma, la quale aveva iniziato ad avere quasi ogni giorno vicino da poco meno di un anno. 

L'ignoto, il non poter prevedere la reazione di Castiel e soprattutto una sua eventuale brusca reazione, mi fece paura e continuò a farlo per tutta la notte. 



 

MIKI

«Ditemi che non è vero. Ditemi che non è reale quello che sto pensando; che mi sono immaginata tutto... che quei due in questa foto non siete voi» la mia tortura, la mattina seguente, dopo aver dormito all'incirca tre ore, fu la voce stridula di Stefania che ci mostrava allarmata una foto sfocata di un giornale online. 

Fino all'ultimo, la notte prima, avevo sperato che Stefania avesse un cellulare senza connessione dati, uno di quei mattoni antichi con lo schermo in bianco e nero e invece le mie preghiere non erano state accolte. Avevamo appena concluso la nostra colazione quando, prima di partire per i monumenti da visitare quel giorno, a Stefania venne la brillante idea d'informarsi sui fatti accaduti nella sua città. Non sapevo come rispondere, come scusarmi, cosa inventare e Castiel aveva ben pensato di tenere la bocca chiusa quindi non mi avrebbe aiutata. 

Non ci eravamo più rivolti la parola dopo quel litigio, eravamo tornati in hotel con estremo silenzio e lontani sia con la mente che col cuore. Non ci eravamo augurati né il buongiorno né la buonanotte, niente di niente e faceva male dopo tutte le avventure e disavventure passate insieme, noi due, io e lui soli.

«Cosa... cosa glielo fa pensare, Signorina Lamberto?» cercai di essere il più decisa possibile, prendendo forza dal fatto che la foto non si vedeva molto bene.

«I capelli del ragazzo sono uguali ai capelli di Black ed anche la ragazza sembra somigliare molto a lei, signorina Rossi». Aveva calmato la rabbia della sera prima ritornando a rivolgersi a noi con un tono formale. 

«No, no le assicuro che ieri siamo rimasti chiusi in camera, eravamo esausti dopo la serata in cucina. E poi... ci pensi: se fossimo stati noi due non ci troveremmo qui ora, ma in una stazione di polizia; lì dove si troveranno quei due ragazzi imbecilli in questo preciso istante, magari..»

«Mmm... proverò a fidarmi di voi, per ora. Ma continuerò ad indagare su questo fatto ugualmente!»

«Mi creda, non ne ha bisogno. Ma se indagare la farà stare più tranquilla, faccia pure. A noi non cambia niente.» Mi mostrai il più tranquilla possibile decidendo di essere impassibile sul volere di Stefania d'indagare ulteriormente sulla faccenda. Ciak, il mio ormai ex migliore amico, mi aveva insegnato come mantenere l'impassibilità nei momenti di menzogna. Lo ringraziai mentalmente.

Dopo quelle mie parole, Stefania sembrò pensarci un po' su, ma passato qualche minuto si convinse e annuendo chiuse il discorso. Tirai un sospiro di sollievo sotto lo sguardo quasi divertito di Castiel, ancora seduto intorno al tavolo a braccia conserte che fungeva da spettatore alla scena. Cercava di trattenere il sorriso per fare il duro, fino allora era stato imbronciato a causa del battibecco della notte prima. La parte che avrei dovuto fare io praticamente... Lui aveva detto brutte parole, lui mi aveva definita come suo mezzo per la vendetta nei confronti della sua amata e cara Debrah; lui e solo lui aveva giocato con i miei sentimenti calpestando quel bacio speciale dato tra le vie di Roma.

Trascorso quel breve momento di tensione e timore di esser scoperta per la bravata della notte precedente, partimmo subito per l'itinerario stabilito nel secondo giorno di visita alla città eterna. Quel giorno arrivammo presso la Stazione Termini e dietro quella iniziammo a visitare i primi due posti: la Basilica di Santa Maria Maggiore e Piazza Vittorio Emanuele.

Al di fuori, la Basilica di Santa Maria Maggiore non mi attraeva molto, non era una di quei monumenti antichi -capaci di lasciare a bocca aperta- o particolari. Sembrava una classica chiesa più grande rispetto al solito. Ma una volta visitato l'interno dovetti cambiare opinione; restai esterrefatta. Era splendida. In effetti quella Basilica era molto famosa per i suoi 27 mosaici antichi presenti all'interno della struttura. Pur vivendo a Roma, non l'avevo mai visitata. I mosaici rappresentavano storie del vecchio Testamento e quindi varie figure importanti per la Religione Cattolica. Tra la bellezza dei mosaici e tra l'oro che li circondava, ascoltai la spiegazione della Signora Lamberto con la testa sollevata ammaliata ad osservare quelle opere d'arte.

Quando la spiegazione terminò ci recammo a piazza Vittorio Emanuele, nei tempi antichi famosa per i suoi mercati, oggi circondata sì dai mercati ma anche da murales; il segno dei tempi. Particolare era il giardino, situato proprio al centro della piazza dove era la cosiddetta "Porta Magica", un tempo residenza dell'alchimista Massimiliano Palombara.

Dopo ci avvicinammo al centro storico, nel tragitto e durante tutte le spiegazioni stranamente Castiel era silenzioso e appariva persino interessato alle parole della nostra buffa guida. Che si fosse fatto intimorire dal potere che inevitabilmente deteneva -anche se malamente- la Signorina Lamberto? Che fosse ancora imbronciato per il litigio con la sottoscritta, della notte prima? No, sicuramente no. Non ero così importante per lui, da avercela con me per tutto quel tempo.

Arrivati a destinazione, trovammo il Quirinale, e la Lamberto insistette affinché visitassimo i due musei presenti all'interno.

Poi fu la volta di Piazza Venezia con il suo Altare della Patria, simbolo dell'unità nazionale italiana e di libertà. Quello era da sempre uno dei monumenti più fotografati e visitati della storia a Roma. E come dare torto ai turisti? Era molto particolare per le sue colonne poste al centro dell'attenzione e senz'altro per le sue statue di uomini valorosi incise su pietre, sotto le colonne.

E dopo ancora visitammo i Fori Imperiali, piazze monumentali costruite da vari imperatori sin dagli anni prima di Cristo. 

Per terminare quella seconda giornata: uno dei monumenti più importanti e imponenti di Roma ma anche conosciuto e apprezzato in tutto il mondo; il Colosseo. Era immenso, imponente, ancora recintato da reti arancioni con le scritte "lavori in corso"... insomma proprio come l'avevo lasciato due giorni prima. E tremai appena lo vidi, non perché fossi emozionata come se lo vedessi per la prima volta, ma perché lì, proprio lì avevo passato gran parte della mia infanzia e adolescenza insieme a Ciak. Provai nostalgia per quel ragazzo e quel rapporto che molto probabilmente non avremmo riavuto mai più indietro. Mi sentii un peso al centro dello stomaco nel ricordare la mia casa d'infanzia, lì proprio a pochi metri da quel monumento famoso; lì proprio dove solamente due giorni prima Debrah aveva ben pensato di rovinare un altro aspetto della mia vita italiana; lì proprio dove Teresa mi aveva abbandonata come alcuni padroni insensibili facevano con i loro cani nei mesi d'estate quando, dovendo partire per le agognate vacanze, non potevano più prendersi cura di loro. Ed io ero proprio così che mi sentivo, un cane, bastonato e abbandonato. Fu proprio in quei minuti che mi persi nei miei pensieri ancor più del solito. Stefania aveva iniziato a spiegare la storia dell'imponente monumento ora in fase di ristrutturazione -storia che tra l'altro avevo appreso milioni di volte- ed io pensavo alla mia cara "mamma".

Mamma, che parola grossa per una come lei. Erano sin troppo strane le sensazioni che si stavano susseguendo nel mio cuore ed anche nel mio stomaco. Suonava davvero strano il fatto che entrambe stessimo respirando la stessa aria, entrambe ci trovavamo nello stesso Stato e lo eravamo state da sempre, fin dal suo abbandono. Per tutti quegli anni avevo creduto fosse in qualche tour, sparsa chissà dove in giro per il mondo, con il suo amore e invece non mi ero mai potuta sbagliare più di così. Era rimasta nella sua città, lì, dove faceva la prostituta durante la mia tenera età con l'unica differenza che, con gli anni, come unico lavoro aveva imparato a fare la mamma e la mogliettina perfetta. L'avevo incontrata dopo otto anni ed era schifosamente ricca senza il bisogno di dover alzare neanche un dito. Lei... lei e la sua nuova ed unica vera famiglia facevano schifosamente venire il disgusto per quanto erano perfetti e senza alcun difetto. 

Oh sì... forse un difetto c'era; la sera prima Micaela Rossi aveva intaccato la loro sfera di perfezione, macchiando di un peccato grave l'allegra famigliola. Perché Miki Rossi era un difetto, come una macchia sugli stivali D&G costosi di Teresa. Che peccato! E pensare che anche Castiel -se in futuro avesse sposato o continuato a stare con Debrah- avrebbe potuto iniziare a far parte di quella famiglia, mi fece ancora più ribrezzo. All'improvviso avevo la nausea. Dovevo rimettere tutta quella cattiveria e ingiustizia subita per anni, non riuscivo più a contenermi.



 

CASTIEL

Per l'ennesima volta si era persa nei suoi pensieri. Lo faceva sempre. Ma quella volta ci fu una sola differenza: riuscii a capire perfettamente cosa le stesse passando per la mente. Le altre volte, quando le capitava, cercavo di comprendere i suoi pensieri ma ci riuscivo raramente. 

Miki era quasi come un problema di aritmetica difficile da risolvere, un teorema da scoprire, qualcosa che mi attraeva pericolosamente ma che non ero in grado di ammettere a me stesso, ancora. E più di tutto tenevo alla sua incolumità, volevo che stesse bene anche se potrebbe sembrare un controsenso visto che la maggior parte delle volte ero io a fare del male alla bella ragazza italiana. 

Vero, quel giorno non le avevo ancora rivolto la parola, ero parecchio in collera per quello che era accaduto la notte prima, ma nonostante ciò non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Avevo una strana necessità, che mi logorava le viscere, di sapere ogni suo movimento o espressione del volto, o stato d'animo; a volte quando litigavamo godevo nel saperla così risentita nei miei confronti perché dimostrava di tenerci a me, in qualche modo. 

Come in quel momento; aveva un'espressione triste e pensierosa più del solito, ma quella volta non era colpa mia. Avevo capito ogni cosa visto il luogo in cui ci trovavamo in quel momento. La vicinanza con la sua vecchia casa l'aveva inevitabilmente fatta tornare indietro negli anni, a quando quella stronza di madre che si ritrovava, l'aveva abbandonata come un cane. Stava pensando inevitabilmente al suo passato. E ringraziai il suo diario segreto per avermi fatto venire a conoscenza di molti aspetti del suo passato tortuoso.

Volevo aiutarla, rassicurarla e farle pensare ad altro per il momento. Sapevo bene che in quei giorni avrebbe dovuto incontrare nuovamente la madre, Teresa, ma per il momento non le serviva fasciarsi la testa d'inutili pensieri. Così mi avvicinai pericolosamente a lei, fermandomi ad una distanza il meno compromettente possibile, poggiai entrambe le mani sulle sue spalle mentre era ancora voltata -non la superai per metterci occhi negli occhi- altrimenti non sarei stato in grado di pronunciare quelle parole...

Abbassai il volto per raggiungere l'altezza del suo orecchio e le sussurrai quella promessa che ero intenzionato a mantenere a tutti i costi, in ogni caso, a prescindere da come sarebbero andate le cose tra noi:

«Io ci sarò sempre per te. Ricordalo, Miki!»

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** CAPITOLO 26: A mali estremi, bevi e rimedi ***


Capitolo 26

A mali estremi, bevi e rimedi!







MIKI

"Io ci sarò sempre per te. Ricordalo, Miki!"

Quella frase.

Quella voce. La sua voce aveva pronunciato davvero quella frase.

Quel tono che suonava di promesse.

Per quale motivo aveva dovuto rendere tutto ancora più complicato? Quella notte avevamo litigato per l'ennesima volta. Anche quel giorno -come nei cinque mesi passati- mi aveva derisa, illusa, sotterrata con le sue parole. E alla fine era uscito di scena con quella frase. 

Con otto parole e trentadue lettere aveva di nuovo rapito il mio cuore e inciso su di esso il suo nome. 

Non gli avevo chiesto niente semplicemente l'avevo ignorato realmente, a differenza delle nostre precedenti litigate avevo tirato fuori il coraggio di andare contro il mio cuore. Non mi fidavo di lui. Eppure solo con uno sguardo aveva capito ogni cosa della tempesta in corso all'interno della mia anima. Quel giorno dimostrò di conoscermi meglio di quanto potessi mai immaginare. Aveva capito che, fermi, davanti al Colosseo stessi pensando al mio passato, alla mia infanzia, a quelle immagini che non avrei mai potuto cancellare, ed aveva ben pensato di distrarmi. Per quale motivo lo faceva se non gli importava niente di me? 

Più i giorni passavano e più i dubbi aumentavano. E in quel viaggio a Roma fu tutto amplificato. Insieme trascorrevamo quasi tutte le giornate ed entrambi stavamo scoprendo e subendo i pregi, i difetti dell'altro. Quello poteva esser visto come un bene dalle persone normali, ma per noi forse lo era un po' meno. 

Eravamo un grande punto interrogativo, incertezza, non eravamo né carne e né pesce. Né vino e né acqua. Né aria né terra. Ed il passare quel tempo insieme stava rovinando il briciolo di amicizia che nei mesi si era creata tra noi, tra l'altro l'unica cosa certa, confermata da entrambi e a conoscenza di tutti. Perché bastava la nostra vicinanza a scatenare reazioni istintive nei nostri corpi; bastava che fossimo soli, nella stessa stanza, nello stesso luogo e lui per me diveniva sorgente in un deserto. Indispensabile per sopravvivere era baciarlo, respirare il suo respiro. E purtroppo non era solo attrazione fisica. Ma nonostante quell'aspetto fosse ovvio, i baci, le carezze, gli sguardi, le piccole attenzioni, quelli erano un segreto persino per noi diretti interessati. 

Quella notte, dopo il tuffo nella fontana di Trevi, avevo cercato di strappare dalla bocca di Castiel qualcosa di più, ma fu inutile. Era sempre vago nelle risposte e lunatico nei comportamenti, un mix che mi rendeva solo maggiormente confusa. 

Ma stavo per scoppiare. E lo avrei fatto una volta per tutte. Intorno a me quella volta avrei portato distruzione o liberazione. Erano due le possibilità e per scoprire la risposta avrei dovuto rischiare; ero pronta. Prontissima a prendere o lasciare.

«Perché?» sbottai all'improvviso interrompendo il silenzio, mentre eravamo entrambi sui nostri rispettivi letti.

Era sera, dopo cena e nessuno dei due si era deciso a parlare ancora. Quel pomeriggio, quando lui mi aveva rivolto quella promessa, non avevo risposto ed ero riuscita a non calcolarlo per tutto il resto della serata fino a quel momento, quando scoppiai.

«Perché mi fai questo?» continuai mentre sentii il rumore delle molle del suo letto, segno che l'avesse abbandonato. Non potevo guardarlo a causa di quello stupido séparé piantato per volere della direttrice il giorno del nostro arrivo a Roma.

«Castiel...» lo chiamai non ricevendo alcuna risposta da parte sua. Mi alzai dal letto decisa a voler vedere con i miei occhi cosa stesse facendo. Odiavo quando non ricevevo l'attenzione richiesta, l'odiai soprattutto in quel momento, perché quel discorso stava per divenire di fondamentale importanza per il nostro rapporto futuro.

Quando uscii dal mio lato di stanza e quindi sorpassai quel maledetto separé, mi venne addosso qualcosa o meglio qualcuno, ed era ovvio chi fosse. Non c'era nessuno in quella stanza, oltre noi due. Alzai lo sguardo e li ritrovai. Ritrovai quegli occhi magnetici con il potere di calmare ogni mia tempesta interiore, quegli occhi esprimevano le parole che Castiel non riusciva ad esprimere, o meglio, esprimevano ciò che m'illudevo volessi esprimessero. La riproduzione dei miei pensieri di quei minuti sembrarono quasi giochi di parole, ma con quelli avevo ammesso la verità. Nei suoi occhi ritrovavo la pace ma nello stesso tempo i suoi demoni, la tempesta, i dubbi, le illusioni. Soprattutto le ultime. Ogni volta mi ero illusa che lui provasse qualcosa oltre la semplice amicizia, il semplice divertimento o vendetta. A volte avevo visto la realtà, a volte no, ma la verità era che avrei voluto vedere gli stessi sentimenti provati da me per lui. E se gli occhi, i suoi occhi grigi, non erano stati in grado di darmi certezze, per una volta le parole lo avrebbero fatto al posto loro. Quella volta ero pronta a scoprire la verità. Quella volta ero pronta a raccontare la mia verità. Era giunto il momento della nostra resa dei conti. Quella volta per davvero. 

Il viaggio a Roma, le giornate intere passate accanto a lui mi avevano suscitato un coraggio interiore evidente. Avevo estremamente bisogno di chiarezza, di vedere tutto o bianco o nero. Di sapere una volta per tutte cosa eravamo e chi saremmo potuti diventare. Era ormai certo che non fossi contraria ai sentimenti, o meglio che non fossi contraria a quelle sensazioni che solo lui era in grado di farmi provare. E avevo bisogno che lui sapesse.. che lui parlasse.

«Perché prometti? Dici: "ci sarò sempre per te", quando sai che non potrà essere vero?» iniziai.

«Ora hai anche il potere di predire il futuro? Non sapevo di questa tua dote. Interessante!» mi prese quasi in giro come era solito fare. Ma quella volta non l'avrebbe avuta vinta. Avevo bisogno di sapere, di parlare.

«Castiel, sono seria. Non ne posso più di te che continui ad illudermi»

«Non abbiamo firmato nessun contratto, per cui... se non sopporti ciò che sono quella è l...»

«Adesso basta, cazzo. Smettila!» alzai il tono di voce sorprendendolo «Conosco il tuo gioco. Fai lo stronzo ed il sarcastico per cercare di cambiare un discorso che non vuoi affrontare. Continui a volermi allontanare da te, ma non ci riesci. Ti conosco ormai!»

«Mi spiazzi. In così poco tempo... Sembra quasi tu mi conosca meglio di mia mamma o di Deb-»

Bloccai nuovamente il suo discorso soprattutto per il nome di persona che si stava accingendo a pronunciare. Ero egoista. Volevo non pronunciasse più il suo nome con quel tono di voce. Volevo cancellasse ogni ricordo doloroso o bello di lei. Volevo fosse mio una volta per tutte. Mio, mio, mio. Non m'importava più se avessi dovuto gettare nella spazzatura anni e anni di convinzioni, stereotipi, principi sull'inesistenza dell'amore e soprattutto sull'impossibilità d'innamorarmi o di stare insieme ad una persona. "Non sono stata creata per questo", dicevo. Ma come potevo esserne sicura se non ci avevo mai provato? Avrei dovuto soffrire ma tentare, provare sentimenti, delusioni, cadere, rialzarmi... E solo dopo le mille batoste sarei stata in grado di dire di non essere in grado di provare quel sentimento, o che nessuno si sarebbe potuto innamorare di me. In quel momento non potevo saperlo. Non ci avevo mai provato.

Ed era con Castiel, l'unico ragazzo capace di smuovermi, di farmi uscire dagli schemi, era con lui che avrei potuto, voluto tentare. Avrei potuto vedere finalmente la luce o avrei potuto vedere il buio; solo vivendo lo avrei scoperto. Volevo lui e volevo lo capisse una volta per tutte. Ero stanca delle mezze misure, stanca di nascondere i miei sentimenti, stanca di nascondere la voglia di appartenergli, di essere totalmente sua. E poi... e poi caspita, quanto desideravo che lui fosse mio, mio e di nessun'altra. Non volevo ci fosse più in mezzo nessuna Debrah, Ambra, qualsiasi altro nome o conquista di una sera. Volevo essere io l'unica per lui. Volevo che le sue labbra si toccassero solo nel pronunciare la lettera "M" del mio nome e non sulla "B" o su qualsiasi altra lettera di una donna qualunque.

«Castiel, ferma! Sono pronta» sospirai pronunciando a bassa voce quelle parole. Sembravo una matta evasa dal manicomio. 

Corrugò le sopracciglia «A fare?»

«Sì, sì sono pronta. Posso farcela, me la sento» respirai rumorosamente senza guardarlo. Inspiravo ed espiravo come durante un'attività sportiva. Sembrava quasi mi stesse prendendo un attacco di panico.

«Ehi, ma ci sei? Ce la fai?» passò una mano davanti al mio volto come per volermi svegliare da quello stato di trance. Non poteva sapere per quale motivo improvvisamente stavo avendo quelle reazioni, non gli rivolgevo la parola da parecchie ore ormai e quel mio nuovo comportamento, sicuro non fece passare i suoi dubbi sulla mia sanità mentale.

«Sì-sì-sì» ammisi ansiosa.

E fu inevitabile sentire le mille farfalle nello stomaco che iniziarono a svolazzare felici e libere, finalmente. Da mesi le avevo costrette a restare chiuse in gabbia, da giorni appena spiccavano il volo Castiel continuava ad ucciderle e seppellire con i suoi comportamenti ambigui e rudi. Ma da quel momento non l'avrebbe più potuto fare, sarebbe uscita fuori la verità. Le farfalle sarebbero state libere di volare nel mio stomaco, i brividi sarebbero stati in grado di presentarsi sulla mia pelle senza problemi non appena Castiel si fosse avvicinato a me, non appena mi avesse toccata o baciata. Tutte quelle sensazioni sarebbero state libere insieme ai miei sentimenti.

«Castiel, tu mi... t-tu mi p-pia-piaci. Sì, mi piaci. Molto!» gracchiando sganciai la bomba che tenevo ormai da troppo tempo in corpo. Se non l'avessi lanciata il più presto possibile sarebbe potuta scoppiare da un momento all'altro lasciandomi ferita.

«Che?» spalancò gli occhi e per un attimo credetti gli stessero uscendo dalle orbite. Era sorpreso e forse più che altro incredulo per le mie parole.

«Hai sentito! Tu per me non sei un semplice amico, probabilmente non lo sei mai stato... Io... I-io provo un'attrazione per te. Una gra-grande, incredibile attrazione. E mi piaci, mi piaci per quello che sei. Ma so anche che tu probabilmente non provi e non proverai mai queste cose per me. Lo hai anche detto più di una volta. Però io dovevo dirtelo, non potevo più tenerlo per me. Questi giorni a Roma mi hanno fatto scoppiare, stavo marcendo nei dubbi, nelle insicurezze e marcivo anche tra le tue braccia, sulla tua bocca in quei pochi momenti che mi hai concesso perché cavolo, è difficile starti dietro. Un attimo prima mi baci e l'attimo dopo mi allontani; un attimo prima mi dici di non essere nessuno per te e l'attimo dopo prometti di starmi sempre accanto. Cazzo Castiel, sei peggio di un terremoto, di un tornado, non mi fai mai capire nulla. Eppure più passa il tempo, più mi piaci. Pensa, mi piace persino il tuo carattere di merda, o... o i tuoi capelli lunghi, rossi e orribili. Mi piacciono tutti questi aspetti che ho sempre odiato in una persona solo perché sono tuoi. Tu rendi i difetti, perfetti. E credimi, credimi Castiel, ho provato a farmela passare... Tu non hai idea di quante volte ci ho provato. Ho cercato di convincermi che fosse solo attrazione fisica quella provata nei tuoi confronti, ho provato a reprimerla perché non avrebbe potuto portare da nessuna parte, ma alla fine mi sono accorta di non poterlo fare. Più i giorni passavano, più tu mi allontanavi più io ti volevo. E non era un capriccio. Io ti volevo e ti voglio con ogni fibra del mio corpo. Voglio te, il tuo fisico, il tuo essere ed il tuo carattere. Voglio te per come sei, senza cambiare nulla. Certo, ci sarebbero delle cose da rivedere...» sorrisi e presi fiato ripensando ai suoi continui sbalzi d'umore improvvisi «ma ti vorrei ugualmente anche se non riuscissi a cambiare, vorrei che fossi solo mio e di nessun'altra. Perché caspita, quando sei con un'altra io impazzisco. Per non parlare poi di quella Debrah» mi passai le mani sul volto e tra i capelli esasperata «Dio... quando eri con lei, i-io, io vi avrei strangolati volentieri entrambi. Odiavo il fatto che ti trasformasse, ti annullasse. Tu con lei non eri Castiel, eri Debroh» sorridemmo entrambi per la mia pessima battuta «vabbè era per dire che... eri il suo cagnolino, la sua marionetta, ti gestiva, ti condizionava in base ai suoi modi di pensare ed io non riuscivo proprio a vederti in quelle condizioni. Io voglio che tu sia te stesso e voglio che tu lo sia con me. Sarò anche egoista nel dire queste cose perché sto rovinando una specie di amicizia contando il fatto che, anche se tra di noi andrà male, dovremo ugualmente stare a stretto contatto ancora per un po'... Ma credimi non potevo più trattenermi. La fontana di Trevi e tutti i retroscena, in un solo giorno mi hanno cambiata, mi hanno smossa dalla situazione di stallo su cui mi ero agiata e quindi ora eccomi qui. Mi dichiaro ad una persona a cui non frega e probabilmente non fregherà mai nulla di me; potrei risultare ridicola ma io sto meglio. Sono sollevata. Ora mandami pure a quel paese se vuoi e...» avevo pronunciato quelle ultime frasi tutte d'un fiato e con un linguaggio confuso, mi sentivo quasi stupida.

Bloccò la mia dichiarazione proprio nella parte finale avvicinandosi lentamente e pericolosamente a me. Non c'impiegò più di qualche secondo vista la già nostra vicinanza. Si piegò per arrivare alla mia altezza e senza parlare, mi baciò. Non era mai stato bravo con le parole o forse non aveva voluto esserlo fino ad allora. Spesso usava i gesti per trasmettere i suoi pensieri ed in quel momento ovviamente trasmetteva qualcosa di positivo. Insomma, non mi avrebbe baciata se non fosse stato d'accordo col mio monologo di poco prima, giusto? Ed ero stata pessima, pessima nel dichiararmi. Svolazzavo come le mille farfalle nel mio stomaco da un argomento all'altro senza filo logico, avevo parlato con l'emozione, l'ansia e il sentimento che provavo per quel disastro di ragazzo, e non con la testa. Ero stata completamente sincera per una volta, senza più nascondermi. E stavo bene, tremendamente bene tra le sue braccia. Avevo smesso di sentirmi in colpa, di sentirmi sbagliata, fuori posto. Il mio posto era proprio lì, accanto a lui e nessuno avrebbe potuto più levarmi da quel luogo meraviglioso che erano le sue braccia. E lui, nonostante tutto aveva afferrato quel discorso, aveva compreso la tempesta che mi provocava perché altrimenti non mi avrebbe baciata in quel modo.

Il bacio si fece sempre più intimo quando mi strinse al suo corpo. Sentii le sue mani grandi premere sulla mia schiena come per trasmettermi la sua intenzione di non volermi più lasciare andare. "Io non scappo da nessuna parte" avrei voluto urlargli, ma fui talmente egoista da non voler staccare le labbra dalle sue neanche un secondo per rassicurarlo. E non parlai. Era giusto così.

Non riuscii neanche a tenere gli occhi chiusi, volevo ammirare il suo volto, avrei voluto sigillare con gli occhi ogni attimo di quel momento per poterlo ricordare per sempre. E così fu. Contemplai i suoi occhi socchiusi, il suo naso appuntito schiacciarsi contro il mio per la troppa vicinanza, le nostre bocche che collidevano e provocavano quello schiocco inevitabile, le sue guance leggermente arrossate, l'espressione rilassata del suo volto. Tutto. Memorizzai ogni piccolo particolare come meritava.

Ce ne avevamo messo di tempo, eppure eccoci lì ancora concentrati in qualcosa d'instabile ma che sarebbe potuta divenire certezza con sole poche sillabe. Sarebbe bastato anche solo un accenno di testa, una parola, una frase. Il nostro rapporto necessitava di un ultimo piccolo slancio, gradino, mattone e tutto si sarebbe risolto una volta per tutte o in bene o in male. Ma se l'input iniziale avevo deciso di concederlo io -stremata dai vari avvenimenti- in quell'attimo tutto sarebbe dipeso da lui. Toccava a lui fare la mossa seguente; dare la botta finale.

E quella arrivò.

Si staccò improvvisamente dalla mia figura come gli avevo visto e sentito fare mille altre volte e...

«Scusa, devo andare...» disse semplicemente con tono fermo senza far trapelare emozioni.

Voltandosi prese la sua giacca di pelle nera poggiata su una sedia presente nella stanza. Subito dopo s'incamminò verso la porta senza rivolgermi più alcuno sguardo.

Si fermò sull'uscio e senza voltarsi utilizzò la stessa voce atona di prima per dirmi semplicemente «Buonanotte!»

Poi uscì fuori dalla stanza definitivamente e solo quando chiuse la porta in modo da non poterlo più vedere, mi accorsi di quello che era appena accaduto. Mi aveva lasciata lì, ancora una volta nel dubbio. 

Ero incredula, incapace di muovermi, i primi istanti non fui capace neanche di sbattere le ciglia. Quel comportamento era troppo persino per lui. Non avrebbe dovuto permettersi.  

In quell'occasione aveva esagerato, mi aveva umiliata come mai nessuno si era permesso di fare prima d'allora. Ero così tanto di poco conto per lui da non meritare neanche un rifiuto, una risposta a quei sentimenti rivelati? Avrei tanto voluto rincorrerlo, schiaffeggiarlo, chiedergli spiegazioni, sbatterlo cento volte con la testa al muro in quel corridoio di hotel; ma tutto quello che feci fu restare immobile, incredula dinanzi a quel gesto contraddittorio. Fissai quella porta che solo pochi istanti prima aveva nascosto da me il corpo di quel ragazzo dannato, e mi lasciai cadere sul pavimento insieme alla mia sconfitta. 

Avevo perso. L'avevo perso. Ma come potevo perdere qualcuno che non mi era mai appartenuto? Ancora una volta gli avevo offerto il mio cuore e lui l'aveva calpestato come se fosse un inutile fiore appassito. Ancora una volta mi aveva umiliata. Anche in quell'occasione mi aveva dimostrato di volere un'altra o almeno di non volere me. Davanti a quella convinzione le prime delle mille lacrime mi solcarono il volto, in un pianto liberatorio. E con le lacrime avrei tanto voluto liberarmi anche di lui e di tutti i sentimenti provati fino a quel giorno nei suoi confronti.

Dopo circa trenta minuti trascorsi nel pianto e nella disperazione, improvvisamente cambiai le mie intenzioni. Ero delusa, arrabbiata. Non avrei voluto più trattenerlo, fargli cambiare idea. Volevo solo liberarmi di Castiel, del sapore delle sue labbra, dell'odore della sua pelle, dei brividi provocati dalla sua vicinanza, delle farfalle nello stomaco che mi faceva provare anche solo respirando. Non era giusto, non era lecito provare tutte quelle emozioni non corrisposte. Lui non mi voleva, non provava neanche la minima attrazione nei miei confronti perché... perché altrimenti mi avrebbe sollevata, sbattuta al muro, consumata proprio ora che ne aveva la possibilità; perché io gliel'avrei lasciato fare. Avrei sbagliato visto i risultati, ma l'avrei fatto ugualmente pur sapendo di commettere un errore. E invece no, lui non lo aveva fatto. Mi aveva baciata per compassione, come aveva fatto tutte le altre volte evidentemente. Eppure mi ero illusa, mi ero illusa anche quella volta che il nostro ultimo bacio -nostro fino a pochi minuti prima- significasse qualcosa di diverso, ma lo era stato solo per me, povera stupida. Sicuramente aveva intuito già tempo prima, già prima di me, i miei sentimenti nei suoi confronti e ne aveva approfittato quando gli andava. Si era servito della mia bocca quando aveva sete; di me, della mia persona quando era solo. Faceva schifo quel dolore, quel peso sentito al centro del petto e dello stomaco. 

Più il pianto aumentava, più il dolore cresceva. Non riuscivo a fermarmi, mi sentivo vuota, erano persino sparite quelle mille farfalle sentite nello stomaco fino a poco prima. Come dapprincipio aveva sepolto di nuovo quei poveri insetti; probabilmente però non sarebbero rinate, non per lui, perché io non avevo più intenzione di farmi riavvicinare da lui. Da quel momento sarebbero cambiate molte cose, sarei cambiata io nei suoi confronti. Non ci sarebbe più stata quella Miki che assecondava i suoi capricci o la sua arroganza. Miki sarebbe esistita senza Castiel. Quella volta lo avrei fatto per davvero. Me lo giurai. Nessuno mi avrebbe mai più infranta come era già capitato in passato.

Con quella nuova convinzione mi alzai improvvisamente dal pavimento, afferrai una piccola borsa dalla valigia con alcune monete, indossai il cappotto ed uscii in punta di piedi dalla stanza d'hotel. Era quasi mezzanotte, l'ora del coprifuoco era vicina e probabilmente Stefania quella volta mi avrebbe scoperta, ma non m'importò. Avrei fatto di tutto per farmi espellere da quel liceo, di tutto pur di non dover stare a contatto con lui. Era l'unica soluzione. L'unico modo per tenerlo a distanza era di non rivederlo mai più. Perché vederlo equivaleva a cedere prima o poi ed io non avrei voluto. Non quella volta.

Avevo bisogno di bere, di dimenticare per qualche ora gli avvenimenti recenti, e soprattutto di dimenticare una testa rossa, Castiel. Così iniziai a girovagare per le strade conosciute di Roma in direzione di un locale. Avrei solo dovuto trovare un posto meno conosciuto che mi avesse venduto alcolici. Ero minorenne e i bar con maggior affluenza non vendevano da bere ai minori; ma quelli che guadagnavano poco, quelli avrebbero venduto qualsiasi bevanda anche ad un bambino di dieci anni. Camminai un bel po' di minuti, andai dritta verso quel locale di cui Ciak mi aveva parlato mesi prima, dove -quando aveva voglia di bere- andava lui. Trascorsi altri cinque minuti di cammino, lo trovai.

Il locale, come immaginavo, non si presentava bene. Non aveva neanche un'insegna, un nome. Già dall'esterno si percepiva l'odore acre di fumo e alcol, un misto tra entrambi che rendeva l'aria di quel posto pesante. Appena misi piede all'interno di esso, non potei fare a meno di esprimere il mio disgusto con una smorfia e di tapparmi il naso per qualche secondo. Il locale era semivuoto e composto per la maggior parte da uomini sulla sessantina; era presente solo qualche donna che apparentemente mi sembrò facesse lo stesso ex lavoro di mia madre. Le mura di quel posto erano bianche e presentavano qualche crepa di qua e di là; dello stesso colore era anche la pavimentazione. Non vi era alcun abbellimento, anzi mi stupii e mi chiesi come facesse ad essere ancora in attività. Solitamente posti del genere, sporchi e mal ridotti venivano chiusi da ispettori sanitari. Ma non era compito mio ed ero troppo distrutta emotivamente per pensare anche all'aspetto del locale.

Quindi mi limitai ad osservare superficialmente la parte restante del bar, giusto per poter individuare un posto dove potermi accomodare indisturbata e appena l'individuai, mi andai a sedere. Era uno sgabello, difronte al bancone di legno dove un addetto versava da bere.

«Ehi ragazzina, ti sei persa?» mi domandò subito un uomo dietro al bancone. Probabilmente era il barman di quel posto.

Iniziò a fissarmi con uno strano sguardo sul volto, ma non mi preoccupai neanche di quello. Ero divenuta impassibile persino davanti ai campanelli d'allarme. Quell'uomo avrebbe potuto persino portarmi nel retro del negozio per approfittare di me ed io non me ne sarei accorta, o meglio non sarei stata in grado di oppormi, di difendermi. La mia reazione davanti al rifiuto di Castiel poteva apparire esagerata agli occhi degli altri, ma per me non lo era per niente. Ero fragile sin dalla nascita, a causa del mio passato, ed anche un minimo dolore per me era quadruplicato. Eccolo il motivo per il quale non avrei voluto affezionarmi a nessuno. Ecco perché non avrei voluto andare oltre all'amicizia con uno come il rosso. Ma era accaduto, ed era inutile piangere sul latte versato ormai. Sin da quando avevo deciso di rivelargli i miei sentimenti sapevo di correre il rischio di un'eventuale rifiuto o di una reazione strana da parte sua. Potevano accadere due cose e purtroppo era accaduta la cosa peggiore, la parte negativa e oramai avrei dovuto accettarne le conseguenze.

 I primi giorni avrei sofferto terribilmente, ma quella sera non volevo proprio pensarci. Volevo solo bere alcol fino a stare male, annebbiare la mia mente e non pensarlo. Potevo riuscirci. Dovevo riuscirci. Seppur il mio cuore fosse già stato disintegrato da lui e seppur non avessi potuto più impegnarmi ad eliminare il suo nome da lì, perlomeno avrei potuto farlo con la mia mente perché Castiel avrebbe smesso di essere costantemente presente nella mia testa. Per forza.

«Ti è morto il gatto per caso, ragazzina?»

Adesso basta! Quell'uomo aveva pronunciato quel nomignolo per la seconda volta. Lo stesso nomignolo che utilizzava lo stronzo del rosso dal primo giorno. Quell'appellativo nascondeva tanti avvenimenti, belli e brutti ma anche troppo dolorosi per essere rievocati. Nessuno avrebbe dovuto mai più chiamarmi in quel modo. Nessuno si sarebbe dovuto permettere. Nessuno.

«Smettila. Di. Chiamarmi. Ragazzina.» digrignando i denti e sbattendo le mani sul bancone iniziai a guardarlo fisso negli occhi. In quel momento dovevo avere di sicuro il residuo del trucco intorno agli occhi e le occhiaie scure, dovevo sicuramente avere le sembianze di una ragazza appena uscita da un film horror. Ma non m'importò. In passato, mesi prima non sarei mai e poi mai uscita di casa in quelle condizioni; per fortuna non ero più quella ragazza. Avevo levato qualche maschera, anche più di una e non m'interessava più avere un'immagine perfetta. Quella sera avevo persino indossato abiti diversi, avevo abbandonato i miei tacchi e le mille minigonne per indossare jeans e scarpe da ginnastica. E non me n'ero pentita.

«Ok, ok calma!» gesticolò con le mani come per farmi calmare «cosa posso portarti da bere? Offre la casa». Improvvisamente utilizzò un tono diverso senza essere derisorio o malizioso. Non poteva perdere tempo con una ragazzina problematica e pazza come me. E aveva ragione.

«Qualcosa di forte. Fai tu!» davanti a quelle mie parole mi guardò perplesso, ma acconsentì e si mise all'opera.

Avevo bisogno di qualcosa di potente, forte; di qualcosa che mi facesse dimenticare lo stato di abbandono insistentemente presente da qualche ora sulla mia pelle, sui miei vestiti, nel mio cuore. 

Tutti finivano per abbandonarmi. Ero così pessima?

Ancora purtroppo avevo la mente lucida ed inevitabilmente la mia mente riprodusse il pensiero di un solo nome: Castiel. Quanto era stato contraddittorio neanche riuscii a determinarlo. Un'ora prima prometteva eterna vicinanza ad una ragazza disastrata; un'ora dopo dimostrava abbandono ad una ragazza speranzosa e poi distrutta a causa sua. Volevo dimenticare quelle ultime ore, scordare la forma del suo volto e della sua bocca, il suo colore di capelli e persino il suono della sua voce. Dimenticarmi del suo carattere e dei suoi nomignoli. Scordare i suoi occhi e i suoi problemi, dimenticarmi di lui e dei nostri momenti... o forse no.

"A mali estremi, bevi e rimedi."


 


CASTIEL

Affannavo. Respiravo. Soffocavo. Riprendevo fiato. Mi agitavo.
Era quella la sessione di azioni che il mio corpo si era abituato a compiere mentre qualcuno aveva deciso di dichiararsi proprio quel giorno. E quando arrivai al limite della sopportazione, uscii da quella stanza asfissiante con una banale scusa. Non ne potevo più. La verità, quella verità mi era stata sbattuta in faccia senza alcun preavviso e soprattutto non era nei piani di nessuno che Miki iniziasse a provare quell'interesse nei miei confronti. Non avevo mai fatto qualcosa di buono, ma lei continuava a starmi dietro facendomi sentire la persona più buona e più desiderata. Insisteva a difendermi ed io non volevo; insisteva a provare qualcosa per me ed io non volevo. Non ero il ragazzo giusto per lei, forse non lo era nessuno ma io più di tutti non lo ero. Avevo già tanti, troppi pensieri per la testa, stavo per uscire da una storia finita male e non ero in grado d'iniziarne un'altra. Volevo storie di una notte, ragazze con cui svagarmi e Miki non era la ragazza adatta al genere di persona che cercavo io. Inizialmente pensavo lo fosse, cercavo le sue labbra quando ne avevo bisogno, era perfetta. Ma poi, con il passare dei mesi mi ero accorto che quando la cercavo non avevo un bisogno fisico di labbra; ma semplicemente delle sue labbra, della sua vicinanza. E non andava bene. Per quel motivo appena toccavo le sue labbra, appena la sfioravo, appena percepivo la sua vicinanza scappavo, la lasciavo sola. Sapevo di sbagliare, di ferirla ma ero certo che l'avrei distrutta maggiormente se fossi rimasto. La storia con Debrah aveva segnato cicatrici nel mio cuore duro e non potevano essere risanate da nessuno; nemmeno da lei, nemmeno da Miki.

Eppure quando uscii da quella stanza non ebbi un respiro di sollievo, anzi i pesi si facevano presenti in tutto il corpo, aumentavano ogni secondo di più. Così, d'istinto mi ero voltato ad osservare la porta che nascondeva forse l'unica persona con un affetto reale nei miei confronti. Mi avvicinai sempre più e poggiai le mani su quel masso di legno quando sentii il suo pianto. L'avevo ferita, ma non potevo restare. Non avrei dovuto baciarla, non avrei dovuto illuderla... Eppure lei era così perfetta nella sua speranza, nella sua dichiarazione, nei suoi dubbi; e quando esordì quel discorso sul fatto che io volessi un'altra, non avevo più occhi e testa per nient'altro se non per le sue labbra. Volevo zittirla, farle capire di non essere lei la colpevole, lei andava bene così com'era. Il problema ero solo e soltanto io... Perché se per provare la felicità bisognava accettare la sua controparte, il dolore, allora preferivo un apatico distacco dalle emozioni. Il dolore, il mal d'amore era inciso sulla mia pelle e non volevo doverne provare ancora.

I miei demoni interiori non potevano essere uccisi dalla luce dei suoi occhi. Lei non ci sarebbe riuscita. Ed io non potevo permettermi di spegnerla, di sporcarla, d'invaderla, di distruggerla più di quanto già non lo fosse a causa del suo passato.

"Allora, dove sei? Io sono già qui" recitava il messaggio inciso sullo schermo del mio cellulare. Quel testo aveva distolto la mia attenzione da Miki. Era Debrah. Poco prima, quando ero sul letto, nella stanza, aveva mandato un ulteriore messaggio dov'era riportata la necessità urgente di parlarmi. Avevo acconsentito subito, sembrava seria quando aveva aggiunto si trattasse di Miki. Pensai fosse un qualche discorso collegato a sua madre.

Così decisi di non perdere altro tempo e a malincuore, guardando per l'ultima volta quella porta che all'interno nascondeva Miki, mi allontanai dalla mia ipotetica rovina per andare ad incontrarne un'altra, vecchia e ancora più grande. Ci eravamo dati appuntamento in un locale non di mia conoscenza, ma Debrah sapeva dare talmente bene le indicazioni che riuscii a trovarlo senza problemi. Non era molto distante dal centro di Roma, in una via poco illuminata e frequentata. Il locale non aveva insegne e l'interno era ancor meno curato dell'esterno. Ma non feci molto caso all'aspetto o all'arredamento di quel posto; avevo altre priorità. Subito cercai con gli occhi Debrah e non fu molto difficile trovarla. Era seduta in un tavolo nascosto -com'era sua abitudine in tutti i luoghi pubblici di cui si vergognava- nella stanza adiacente all'entrata del locale. Avremmo potuto parlare indisturbati lì, quello sicuramente. Vista l'ora tarda la stanza era vuota; i pochi clienti rimasti erano accanto al bancone nella stanza principale.

«Ce ne hai messo di tempo ad arrivare...» appena mi vide iniziò lamentandosi del mio evidente ritardo. Ci eravamo dati appuntamento per le undici di sera ed io ero arrivato a mezzanotte.

«invece di lamentarti, piuttosto ringrazia il fatto che io sia venuto. Avrei dovuto darti buca, come minimo!» risposi infastidito, ormai da me avrebbe potuto ricevere solamente quel tono.

«Sai anche tu che non avresti potuto evitare di venire» ribatté lei ovvia e tranquilla.

Non le risposi. Entrambi sapevamo a cosa alludeva e aveva ragione, purtroppo.

«Se non ti dispiace ho già ordinato anche per te. Tra qualche minuto dovrebbero arrivare due birre» concluse, ed io risposi solamente fissandola con un'espressione contrariata, senza aprire bocca. Odiavo che gli altri ordinassero al posto mio. Amavo la birra, ma non era scontato il volerla bere anche quella sera.

Fece cadere il discorso senza aggiungere altro, si schiarì la voce e subito andò dritta al punto. Conosceva la mia tendenza di spazientirmi facilmente davanti ai lunghi giri di parole e per una volta evitò. «Comunque...» si zittì per qualche secondo «quando stavamo insieme non mi sembravi così impiccione, sai Castiel?» non sopportavo la sua voce. 

Mi chiesi com'era stato possibile stare insieme a lei tutto quel tempo. Due anni prima la amavo, ero persino incantato dalla sua voce stridula. Non avevo idea a cosa stesse alludendo con quelle parole e stavo per perdere la pazienza. L'osservai con espressione dura ed anche se di aspetto non era cambiata -restava pur sempre la solita bella ragazza- non mi fece alcun effetto da quella distanza minima. Solamente tre mesi prima rimpiangevo il fatto che mi avesse lasciato per due anni e mezzo, mentre in quel momento ero persino pentito di esser tornato insieme a lei subito dopo il suo ritorno, sebbene ad un certo punto fossi stato costretto.

Un uomo sulla cinquantina irruppe nella stanza e lasciò le due birre sul nostro tavolino.

Il cameriere uscì subito dalla stanza, ma Debrah non proseguì il suo discorso. Attendeva una mia eventuale risposta prima di continuare. Ma io non volevo dargliela vinta, così senza mostrare neanche un minimo di curiosità alle sue parole, iniziai a bere la mia birra. 

Capendo che l'attesa fosse inutile, proseguì: «Fotocopiarsi così, per curiosità, il diario di una ragazzina stupida è davvero da poppanti. Come hai fatto a cadere così in basso, eh Castiel?» rise di me. 

Come lo aveva scoperto? Le volte in cui aveva messo piede in casa mia, potevano essere contate su un palmo di mano; tutte le volte ero stato attento a non farla girovagare per casa.

A meno che...

«Oh no, non assumere quell'espressione perplessa» si finse dispiaciuta «non rovinare questo bel faccino, altrimenti come farà senza di esso Rabanne, per la nostra pubblicità?» aggiunse poi, sfiorandomi il volto.

Tolsi subito in malo modo le sue mani da me e presi le distanze poggiandomi alla sedia scomoda di quel tavolo: «Cosa diamine stai farneticando?» quasi urlai per il nervosismo. 

Odiavo non avere la situazione sotto controllo, odiavo non essere a conoscenza dei suoi discorsi. Non avevo in programma nessuna pubblicità con lei. Con Miki avrei dovuto girare lo spot pubblicitario per il profumo "Ivré", ma ancora nessuno dei due aveva ricevuto la chiamata dalla segretaria di Rabanne per stabilire i dettagli e il giorno delle riprese.

A meno che...

«Ebbene sì, tu convincerai Rabanne a cambiare la modella per la pubblicità del profumo: da Micaela Rossi, alla qui presente Debrah Duval. Fallo ed io non dirò a quella mocciosetta che tu hai una copia del suo diario segreto strappalacrime» incrociò le braccia e sorrise diabolicamente dopo aver proposto il suo ricatto. 

Debrah avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di tentare di sfondare nuovamente nel mondo dello spettacolo, avrei dovuto rendermene conto prima di quel giorno. Infondo era per quel motivo se lei era tornata insieme a me due mesi prima, se lei mi aveva lasciato due anni e mezzo prima. Il successo. Cosa ci sarà di così bello in quello? Io volevo diventare qualcuno nel mondo della musica, vero, per essere ricordato nonostante il passare degli anni, dei secoli, esser ricordato come una persona da stimare, un grande musicista; e quell'aspetto non aveva nulla a che vedere con il motivo di Debrah. Lei lo faceva per ricchezza, avidità ed egocentrismo. Ma io Castiel Black, non potevo ancora una volta cedere ai suoi ricatti, assecondare i suoi piani, non potevo esser reso vittima degli scleri di una pazza. Quella volta avrei trovato un modo per uscirne senza far scoprire a Miki la verità. Dovevo solo pensare a qualcosa, ricevere aiuto da qualcuno. 

Forse avrei fatto solamente un favore a Miki sollevandola dall'ingaggio di modella, a lei non importava niente, ma come avrei potuto convincere Rabanne? Quell'uomo era irremovibile una volta prese le sue decisioni; e lui era apparso talmente entusiasta di me e Miki che neanche il Papa in persona avrebbe potuto fargli mutare idea. 

E se invece Miki avesse scoperto la mia copia del suo diario, come avrebbe reagito? Di sicuro non bene. Avrei tradito la sua fiducia, avrei rischiato di perdere una volta per tutte persino la sua amicizia, avrei perso lei senza più possibilità di remissione. Non potevo rischiare così tanto. Seppur non avessi potuto darle di più in quel rapporto che bramava con tanta voglia, non avrei mai e poi mai permesso a nessuno di allontanarla da me. Esclusi l'eventualità di far scoprire a Miki la verità e pensai ad un'altra possibilità. Poi ad un tratto mi ricordai di un'ulteriore aspetto, quello più importante... Debrah avrebbe vinto a prescindere, i ricatti erano il suo mestiere, il suo punto forte.

«Vedrò cosa posso fare. Ora se permetti sono stanco. Buon...»

Interruppe il mio saluto e «Castiel, Castiel, Castiel... piccolo e tenero Castiel, non ti sembra di dimenticare qualcosa?» cantilenò ed io di rimando digrignai i denti davanti a quel suo tono di voce furbo.

Sapevo saremmo arrivati a quel punto prima o poi, a quel discorso, a quel fatto. A quel segreto. Era inevitabile.

La guardai quasi arreso davanti all'evidenza. Non potevo neanche ribellarmi a quegli appellativi stupidi e a quei toni che stava utilizzando dall'inizio della conversazione. E lei lo sapeva bene.

«Se non tornerai ad essere il mio ragazzo i contenuti di quel video, che tu conosci sicuramente bene ormai, saranno mandati alla prima stazione di Polizia o ai Carabinieri di Parigi, e non credo ti faranno pettinare le bambole quando sarai convocato da loro» deglutii ed ingoiai il boccone amaro.

Le parole che più temevo erano arrivate. Da un mese e mezzo attendevo un ricatto del genere. Da due mesi, ogni essere umano di mia conoscenza si chiedeva il come ed il perché mi facessi trattare come un cane da lei; come facessi a stare insieme a lei. Eccoli lì i motivi. Erano tutti rinchiusi in un video.

«E poi pensa... oggi mi sento buona; se accetterai di soddisfare tutte le mie richieste, Miki riavrà una mamma» spalancai subito gli occhi davanti alle sue parole «farò di tutto per farle riappacificare. Lo sai, ottengo tutto quello che voglio. Sempre».

Iniziai a sudare freddo. Ecco di cosa era capace la manipolatrice Debrah Duval. Scavava le parti profonde di ogni persona e trovato il punto debole, lo utilizzava come arma per ottenere quello che voleva. Così aveva fatto con me. Aveva scavato, trovato e distrutto il mio punto debole: Miki. Dovevo immaginarlo.

Ma ancora non aveva terminato «e soprattutto: dovrai essermi fedele. Non pensare che io sia stupida. So bene cosa accade con quella mocciosa ogni volta che siete insieme. Dal mio ritorno non c'è stata una volta in cui mi hai pensata mentre baciavi lei. Ed io aspettavo il momento giusto per agire. Ed eccolo arrivato» rise di nuovo. Odiavo quella sua risata diabolica e cattiva. 

Non faceva parte della ragazza dagli occhi di ghiaccio, conosciuta tre anni prima. Il volere costantemente fama e soldi l'avevano accecata e trasformata in una macchina da guerra. Ed io, mentre ancora parlava, iniziavo a pensare un modo, un piano per uscirne.

«Ah! Un indizio: più terrai Miki lontana da te, più avrai possibilità di riuscire».

«Sei una lurida stronza» a quel punto non riuscii a trattenermi. La guardai con aria di sfida e in modo duro. Non mi avrebbe mai più tenuto in pugno, non potevo permetterglielo. Non più.

Rise con ancora più gusto; ma non c'era niente da ridere «Io ancora non riesco a concepire come tu abbia fatto ad innamorarti di una come lei, insomma...»

«I-o, io non... io non sono innamorato di nessuno» intervenni scottato da quella sua insinuazione.

«Sì sì come no. Comunque, stavo dicendo: insomma, lei non è niente di speciale. Si veste come le prostitute, molto peggio di me quindi» iniziò a tenere il conto dei suoi punti di vista; «di aspetto è una banale ragazza, non ha nulla di particolare; è bastarda di padre, ha un passato schifoso e neanche la madre vuole sapere nulla di lei. È una poveraccia in tutto e per tutto e tu, invece, sei l'unico che continua a sbavarle dietro. Neanche con me l'hai mai fatto così incessantemente!» terminò con un'espressione e tono di voce disgustato.

Forse aveva visto un altro film. Non era Miki quella descritta nei minimi particolari, non ero io quello che insinuava.

Debrah era malvagia. Più di quanto ricordassi.

Interruppe i miei pensieri una voce maschile in lontananza che via via si faceva sempre più vicina «Dai su vieni con me, ci divertiremo!» 

«Brutto stronzo, non mi sci-toccare» strascicò le parole una voce femminile.

Quella voce...

«Miki» inconsciamente quasi urlai. Mi alzai di scatto dalla sedia facendola cadere sul pavimento.

Cosa ci faceva in quel posto malandato? Per quale motivo sembrava ubriaca? 

Cazzo!

Debrah sussultò per il tonfo improvviso provocato dalla sedia caduta, Miki spalancò gli occhi e restò immobile davanti alla porta, una volta entrata nella stanza secondaria di quel bar. Un uomo, intravisto dietro al bancone appena arrivai nel locale, le stringeva il polso mentre cercava di trascinarla chissà in quale stanza per chissà quale scopo. Rabbrividii al sol pensiero.

«Er..erra proprio da immaginarscielo» rise istericamente una volta individuata la presenza di Debrah accanto a me.

Ebbe la forza di strappare la sua mano dalla presa dell'uomo e di avvicinarsi come una furia verso di me. Mi puntò il dito contro e iniziò ad insultarmi, a modo suo.

«T-tu» il suo indice puntato sfiorava il mio petto «tu s-sei un lurido basc-bastardo. Mi hai bac-ciata e us-usata ancora una volta. S-stronzo p-puttaniere!» parlava a rallentatore e biascicando.

Era ubriaca, non c'erano più dubbi.

Ubriaca, bellissima e incredibilmente sexy nei suoi jeans aderenti e scarpe da ginnastica. Aveva cambiato abbigliamento, le stava benissimo. 

Le donavano persino i capelli spettinati e il trucco colato.

E poi... poi quell'espressione incazzata, mi faceva impazzire ogni secondo di più. 

Era buffa. Buffa e perfetta. Dopo la sua dichiarazione, dopo esser venuto a conoscenza del suo interesse verso di me, risultò difficile trattenermi.

Se solo fossimo stati soli, io e lei...

«E p-poi ttu. S-sei sempre in mezzo alle p-palle, Debbrah dai mille cass-cazzi» avanzò verso Debrah -che invece stava ancora comoda sulla sua sedia senza impaurirsi minimamente- con uno sguardo minaccioso e puntò il suo indice verso lei. Fu difficile trattenere le risate dopo le sue parole e dopo la dimostrazione della sua goffaggine.

Miki; vulnerabile e fragile da ubriaca, forse per la prima volta se stessa. 

Cercava di essere forte, di fare la scontrosa, ma ai miei occhi tutto era tranne quello. I suoi occhi; ero riuscito ad osservarli per poco, emanavano una luce strana quella sera. Forse, quella sera imparai ad apprezzarli realmente, forse addirittura ad adorarli, a leggerli. Occhi neri che nascondevano un mare dentro. Mai visti prima d'allora.

«Sapessi tu quanto sei in mezzo alle palle... Ma tranqui tesoro; uscirai presto di scena, finalmente!» rispose infastidita Debrah sfoderando uno dei suoi sorrisi finti e prendendo le parole di Miki sul serio. Non aveva senso dell'umorismo.

«Ok! Vi lascio s-soli piscioni... pisccionscini-piccioncini. Bye bye!» alzò la mano a mo' di saluto e s'incamminò verso l'uscita del locale, barcollando.

Il barman era rimasto incredulo -confuso e scocciato per la serata conclusasi in bianco- per tutta la scena.

Mentre seguivo con gli occhi Miki, mi voltai verso Debrah: «se hai finito con i tuoi ricatti del cazzo, io andrei» e mostrai col pollice l'uscita del locale dietro di me.

«Certo! Corri pure dalla principessina sul pisello finché puoi. Tanto il vostro tempo sta per scadere..» se non avesse inserito battute di pessimo gusto, non sarebbe stata sé stessa.

«Sempre simpatica come una spina nel culo!» sorrisi falsamente.

«E tu sempre delicato come un ippopotamo», imitò il mio sorriso.

Poi si schiarì la voce e proseguì: «ti do un giorno di tempo per decidere sul da farsi. Sei stato informato su tutto. Mandami un messaggio con scritta la tua risposta. Buonanotte!» aggiunse il saluto sarcasticamente.

«Oh come sei gentile a concedermi TUTTO questo tempo», la derisi.

«Sempre a sua disposizione Signor Black» mi fece l'occhiolino ed io a quel punto non risposi più.

Mi voltai e m'incamminai verso l'uscita del bar per inseguire Miki. Avrebbe potuto combinare guai in quelle condizioni, la testona.

«Miki, Miki... Ehi» corsi verso di lei una volta individuata al di fuori del locale. Le luci dei lampioni offrivano una scarsa illuminazione, ma non fu difficile individuarla vista la sua camminata da ubriaca, lenta e barcollante.

Restai dietro di lei quando nell'udire il suo nome si girò, mi guardò male e cercò di aumentare il passo per distanziarmi. Non rispose, sembrava nervosa. Era comprensibile visto i precedenti di neanche due ore prima in quella stanza d'hotel.

«Ehi Miki, ferma!» la bloccai trattenendola da un braccio, altrimenti non si sarebbe fermata.

«Oh insciomma, ma c-che vuoi? Lasciami in pace! Torna da Debrah» sembrava un'ubriaca disperata. Non spiccicava bene la parola, ma riuscii a comprenderla ugualmente.

«Perché hai bevuto?», non era mai stata quel genere di ragazza.

Come risposta rise sguaiatamente, si liberò dalla mia presa, indicò la mia figura col suo dito indice e voltandosi come se nulla fosse proseguì la sua camminata. Mi aveva fatto capire di essere io la causa della sua ubriachezza. Per la prima volta nella mia vita mi sentii in colpa. Era giusto visto il male recatole.

«Voglio che arrivi sana e salva all'hotel, fermati per piacere», la raggiunsi e cercai di afferrarle nuovamente il polso per fermarla. Visti i suoi sbandamenti improvvisi, una macchina l'avrebbe potuta investire.

«Se... come se a te fregasscie qualcosa di me! E poi io non torno in hotel né s-stanotte, né mai. E s-sce ci tieni a saperlo non tornerò neanche in Francia con te». Cercò di parlare meglio e quasi ci riuscì.

Fui sorpreso della sua convinzione e forza. «Bene. E dove credi di andare?»

«Scemplice. A casa mia...» a quelle parole cambiò direzione ed io la seguii.

«Non credo sia una buona idea, ragiona Miki», cercai di farla ragionare.

«Ah no? E su coscia dovrei ragionare? Su quanto sono s-stronzi tutti i maschi della terra?»

«Non sono tutti stronzi. Non puoi basarti solo su una persona per insinuare questo» mi sembrava quasi di star parlando con una bambina. Come se lei non sapesse come funzionava il mondo. 

«Io mi baso s-su tutti gli uomini con cui ho avuto a che fare fino ad oggi. Tu scei lo stronzo numero DUE nella mia lista» indicò il numero due con le dita. Che tenera!

"Ehi un attimo, tenera? Castiel Black che considera qualcuno tenero? No, non è possibile. La birra deve avermi fatto male".

«Ah sì? E chi è lo stronzo che mi ha battuto?» sorrisi, m'infilai entrambi le mani nelle tasche anteriori dei pantaloni pensando a quel dialogo insensato che stavamo avendo. Lei era giustificata viste le sue condizioni, ma io no. Avevo bevuto una sola birra avrei dovuto essere normale.

«Quello che tutti chiamano padre» disse con evidente sofferenza ed io tornai improvvisamente serio. Non aggiunsi altro, non ci sarebbe stato bisogno.

Trascorsi quindici minuti di cammino lento e silenzioso, Miki decise di parlare. Sembrava essersi ripresa un po'. Forse l'aver pensato a suo padre l'aveva risvegliata dallo stato di trance provocato dall'alcol.

«Sai? Mi picchiava quando tornava a casa ubriaco. Una volta, mi ha persino rotto addosso due bottiglie di birra. Mi sono rimasti dei piccoli segni sul corpo, ma grandi cicatrici nel cuore...» s'interruppe emettendo un grande sospiro e rimandando indietro le lacrime evidenti sui suoi begli occhi grandi. 

Deglutii senza sapere come poter consolare su una storia come la sua. Non ero bravo in quel genere di cose.

«Durante i due anni in cui lui era ancora vivo, eravamo soli, Teresa ci aveva già abbandonati. Lui non tornava mai a casa, ma quando tornava riversava tutta la sua frustrazione su di me. Nonostante il fatto che l'avesse quasi costretta a farla prostituire, Luis... mi-mio p-padre, amava ancora Teresa...» si fermò per qualche secondo per prendere fiato e si sedette sul pavimento sporco di un marciapiede; io la seguii a ruota rapito dalla sua voce rotta, dal suo racconto tremendo. I suoi racconti, le sue parole erano leggermente confusi a causa dell'alcol ancora in circolo nel suo corpo.

«Lui mi diceva sempre che le somigliavo molto, troppo per i suoi gusti e questo secondo Luis era un buon motivo per picchiarmi a sangue. In me vedeva lei; per punire lei, puniva me. Ovviamente mi costringeva a non raccontare a nessuno quello che faceva, mi costringeva a non poter andare all'ospedale e mi medicavo sola. Ero persino diventata brava, nonostante fossi piccola. A nove anni festeggiai quando fu trovato morto per strada. Era il minimo dopo tutto, no?» e fu a quel punto che scoppiò a piangere, inevitabilmente. Si era trattenuta per troppo tempo.

«Qua-quando ero ridotta troppo male a causa dei graffi o tagli, mi assentavo anche una settimana da scuola. Avevo raccontato a tutti di avere le difese immunitarie basse e di beccarmi qualsiasi influenza o virus in giro in quel periodo. Nessuno dubitava delle mie bugie, neanche Ciak.» nel pronunciare quel nome, abbassò il volto ed un sorriso amaro le si formò sul suo bel viso. Le faceva male aver perso anche lui, l'unica persona con cui poter condividere i soli momenti belli della sua infanzia.

«Ed ora guardami...» si mostrò.

Ed io la guardai come mi aveva chiesto di fare. Dio se la guardai... era perfetta nelle sue imperfezioni. Bella da togliere il fiato anche con il trucco colato sul suo viso dolce, e le occhiaie sotto i suoi meravigliosi occhi.

«Sono esattamente come lui» rise amaramente «bevo a causa di sentimenti non corrisposti. Bevo per un ragazzo che non mi vuole, m'intossico di alcol per dimenticarlo esattamente come faceva lui. Lui beveva per esser stato abbandonato dalla donna amata, lei non lo voleva, lui sì. Un po' bizzarro, vero? La storia si ripete. Forse c'è stato il tramando di generazione in generazione o qualcosa del genere. Alle persone normali si tramanda l'eredità e a me la sfiga nelle faccende di cuore, ovvio» terminò ridendo ancora amaramente, e incredula iniziò a muovere la testa orizzontalmente a destra, poi a sinistra a mo' di negazione. Quei collegamenti strani erano la testimonianza dei pensieri annebbiati causati dall'alcol.

Mi sentii chiamato in causa, inevitabilmente. In quel momento avrei tanto voluto rivelarle la verità, ma non potevo. Non dopo i ricatti di Debrah, non potevo trascinarla nei miei guai. Non lo meritava.

E per scolparmi... «Ma no, tu non sei dipendente dall'alcol. Hai bevuto una sola sera e questo non vuol dire che diventerai, per forza maggiore, un'alcolizzata. Io non te lo perme...» bloccò la mia ennesima promessa.

«Sì, certo. Smettila con le false promesse. Ora» mi rimproverò. Pur essendo in quello stato cercava di mettermi a tacere. Glielo lasciai fare.

Dopo un colpò di tosse, continuò: «Comunque... nonostante questo, sai cosa mi rimprovero?» si bloccò ancora una volta per sospirare, raccogliere le mille parole presenti nella sua testa e farle uscire fuori.

Inconsapevolmente stava ancora una volta versando in me la fiducia datami dal primo giorno. Era l'alcol a parlare, mostrando forse la parte più sincera di lei. Quella sera fu una delle poche volte in cui mi ritrovai a ringraziare il cielo per non aver bevuto molto; mi sarei ricordato ogni sua confessione, ogni suo lato, aspetto o sfumatura che avrebbe mostrato. E lo stava facendo con me.

Quando fu pronta a proseguire, lo fece fissando un punto vuoto dall'altra parte della strada: «Il fatto che, pur avendo subito queste violenze anche a causa sua, a causa di una mamma sconsiderata, lei un po' mi manca. Mi manca dall'altro giorno, da quando per puro caso era lì a cenare, nello stesso nostro hotel. Mi manca da otto anni, da quando se n'è andata. Mi manca perché una volta era dolce, era la mamma migliore che potessi desiderare, prima di tutto... prima che iniziasse a prostituirsi. Mi manca semplicemente perché è la mia mamma. E mi sento una stupida, diamine, una stupida perché provo sentimenti contrastanti per lei. La amo infondo, ma più di tutto la odio, la odio per quello che mi ha fatto, perché si è rifatta una vita senza pensarmi, ha fatto un'altra figlia e a lei le dà tutto l'amore che meritavo di ricevere io. Perché l'ha fatto, perché eh Castiel? Me lo spieghi tu? Perché io non capisco... io... Io... Ahhh!» urlò per la frustrazione, rabbia e confusione di quei sentimenti, di quei comportamenti commessi da sua mamma. Poggiò il suo viso sulle mani in segno di disperazione.

E seppur non riuscii a rispondere verbalmente a quelle domande indirette, decisi di agire senza farle sapere niente. Agii in silenzio. Approfittai della sua posizione e dei suoi occhi chiusi per prendere il cellulare e comporre un messaggio senza esser scoperto da lei.

 

A: Debrah

Accetto!

 

Inviai senza pensarci due volte. Aveva promesso di risolvere la situazione tra Miki e Teresa se solo avessi accettato di giocare con le sue regole, così mi aggrappai a quella speranza per avere la forza d'iniziare l'ennesima battaglia. Le parole di Miki mi avevano scombussolato ed era giunto il momento di ricambiare tutto il bene che lei aveva fatto per me.

Da quel momento in poi, dopo aver fatto riappacificare Miki e Teresa, avrei dovuto solamente trovare delle prove che avrebbero potuto scagionarmi da quel dannato video. Le avrei trovate. Fosse stata l'ultima cosa fatta in vita, ne sarei uscito vincitore. Non potevo sottostare ai voleri e capricci di una pazza come Debrah.

«Io n-non... io non volevo farmi vedere da te in queste condizioni. Mio Dio sono patetica, io davvero scu...»

«Sta' zitta e vieni qui» bloccai il fiume di parole uscente dalla sua bocca, mi alzai da quel marciapiede scomodo e mi posizionai davanti alla sua figura togliendo le sue mani ancora poggiate sul viso e poi afferrandole per sollevarla da terra.

Quando fummo finalmente l'una di fronte all'altro la strinsi forte tra le mie braccia. Non riuscivo a pronunciare parole di conforto, non era nella mia indole, il massimo che riuscivo a fare era quello. Sperai le potesse bastare. Averla lì a un centimetro dalla mia pelle, tra le mie braccia, fece aumentare i battiti del mio cuore involontariamente. L'abbraccio finì ed iniziammo a guardarci negli occhi, ma io non potevo cedere, non quella volta. Se lei fosse stata cosciente non mi avrebbe permesso quella vicinanza, e dovevo rispettarla. 

Così mi limitai a sfiorarle gli zigomi con entrambi le mani e subito dopo mi allontanai da quella vicinanza proibita.

«Torniamo in hotel, cerchiamo di evitare almeno un dramma».

 

***

 

MIKI

Delle pesanti fitte alla testa stavano disturbando il mio sonno, cercavo di aprire gli occhi ma quelli erano troppo pesanti e brucianti per poter essere sollevati. Contrapposto a quel piccolo disturbo era il piacevole calore e peso che sentivo sul corpo. Pensandoci, le coperte non erano mai state pesanti e calde in quel modo, come quel giorno. Non ci feci caso e mi girai di lato per posizionarmi maggiormente comoda. Ma dopo essermi voltata, sentii il naso solleticarmi da qualcosa. Ecco, appena trovata la scusante per svegliarmi definitivamente.

Saltai dal letto per lo spavento e il fastidio, pensai a tutte le possibilità plausibili e cercai d'individuare l'oggetto che aveva provocato il mio solletico.

Aprii di scatto gli occhi e accanto a me trovai la risposta a tutti i miei dubbi.

Iniziai ad urlare come una matta e l'oggetto in questione si spaventò, saltando anch'egli dal letto e tappandosi le orecchie. 

«Ma che cazz...» pronunciammo entrambi all'unisono, scombussolati.

Le urla avevano peggiorato il mio dolore di testa e mettendo entrambi le mani ai lati delle tempie, iniziai a massaggiarle per cercare di alleviare le fitte.

Mi sentivo frastornata e confusa. Per quale motivo Castiel stava dormendo nel mio letto e non nel suo? Cos'era successo la sera prima? Avevamo dormito insieme? Ma soprattutto... solo dormito? Avevo ceduto a lui dopo il suo rifiuto? Gli avevo donato la mia verginità? Cavolo!

Cercai di ricordare.

E ricordai solo la mia visita ad un locale che offriva da bere anche ai minorenni.

Mi sforzai e oltre alla mia lunga bevuta di alcolici, ricordai l'uomo antipatico del bar che ci provava spudoratamente con me, ad un certo punto voleva persino portarmi in uno stanzino per "concludere". La testa iniziò a pulsare nuovamente e decisi di rimandare a dopo la ricerca della verità, continuai a massaggiarmi le tempie.

«Aspetta! Dovrei avere una pillola per la sbornia» parlò, tornato in sé, Castiel.

«NO! Io da te non voglio niente!»

«Ah sì? Ieri non sembravi pensarla così», sorrise maliziosamente.

«C-che... C-come?» non riuscivo neanche più a parlare.

"Non mi dire che..."

"Cosa ho combinato ieri? Vuoi vedere che... Oh mio Dio!" 

Spalancai la bocca non appena rievocai ricordi e immagini sfumate relative alla sera precedente. Non ero stata capace a mantenere la promessa fatta a me stessa, neanche da ubriaca. Ero patetica. Avevo ancora una volta aperto il mio cuore ad una persona che non lo meritava. 

Iniziai a picchiarmi sulla testa per rimproverarmi. 

«Non la fare così tragica, ora. Eri solo ubriaca e avevi bisogno di una spalla su cui piangere»

«La fai semplice tu. Avevo... Ho bisogno di una spalla sia nei momenti di ubriachezza e sia nella quotidianità. Qualcuno che ci sia sempre e non solo a convenienza. È palese che tu non sei e non puoi essere quella spalla. Quindi sì, se permetti la faccio tragica perché ho sbagliato totalmente persona. Non avrei dovuto fidarmi e confessarmi con te!» dal mio tono di voce si capiva palesemente la mia irritazione. Stavo di nuovo, per l'ennesimo giorno, perdendo la pazienza verso il rosso. 

Ovviamente Castiel mi guardò serio e pensieroso per qualche secondo e poi distolse lo sguardo spostandolo verso la porta senza degnarmi di una risposta.

«Preparati alle sue urla» disse mostrando la porta. Evidentemente avevano bussato ma non avevo sentito. Ero talmente intontita da sentire persino la voce di Castiel quasi ovattata. Avevo davvero esagerato nel bere la sera prima.

Lo guardai aggrottando la fronte per trasmettere la mia confusione, me ne pentii subito dopo visto il peggioramento del dolore di testa provocato dal movimento brusco.

«Ah giusto, tu russavi come un animale in calore» si ricordò poi sogghignando.

«Che? Come fanno a russare gli animali se sono in calor... Ehi... ma io non russo!» incrociai le braccia fingendomi offesa.

«Rimandiamo le spiegazioni a più tardi» sorrise scherno «fatto sta che la Lamberto ci ha scoperti fuori dalla stanza, ieri notte. Io ti portavo in braccio; ah a proposito... sei pesantuccia e dovresti perdere qualche chilo tra l'altro. Comunque.. mentre cercavo di aprire la porta sbuca lei da non so dove...»

«Insomma volete aprire o devo chiamare i vigili del fuoco?» interruppe il discorso del rosso, Stefania, strillando e bussando alla porta rumorosamente.

Per la confusione misi le mani tra i capelli, disperata. Per quale motivo Castiel la notte prima mi aveva trasportata in braccio? Ma soprattutto perché mi ero fatta sfiorare da lui senza opporre resistenza?

«Mentre dicevi cose senza senso a causa del sonno e dell'intontimento dovuto dall'alcol, ti sei addormentata sulla mia spalla. Per tua informazione eravamo seduti sul marciapiede in mezzo alla strada..» continuò Castiel ignorando Stefania che bussava ininterrottamente. Se avesse proseguito in quel modo, la porta sarebbe caduta.

«Comunque alla fine sono riuscito ad inventare che non eravamo usciti, ma che eravamo sul terrazzo dell'hotel, all'ultimo piano... La befana se l'è bevuta» sogghignò fiero di esser stato convincente per la menzogna raccontata.

«E allora perché dovrebbe rimproverarci ora?» chiesi cercando di fare chiarezza nella mia testa confusa.

«Perché ovviamente il terrazzo è una zona vietata per coloro che alloggiano nell'hotel»

Perfetto. Avevo tutto più chiaro dopo il racconto del rosso. Quell'aspetto però non toglieva il fatto che ce l'avessi con me stessa per la sera precedente. Era bastato un po' di alcol per farmi ricadere nelle braccia più comode ma sbagliate, per me.

Lasciandomi sola nei miei pensieri, Castiel aprì velocemente la porta della stanza. Rivelò una Stefania piuttosto rossa dalla rabbia.

«Cosa stavate facendo voi due, qui, soli? Ci avete impiegato un'ora prima di aprirmi».

«Guardi che non abbiamo chiesto noi di esser messi in camera insieme» disse ovvio Castiel.

«Non è stata una decisione presa da me. Fosse stato per me vi avrei messo in stanze e piani separati... E poi cosa vuoi dire con quella risposta? Quello che ho pensato, è vero? Vi avevo elencato le regole, rimproverati, ma voi state continuando a trasgredirle...»

«No-no-no, noi n-non stavamo facendo niente di quello che pensa. Io stavo semplicemente ancora dormendo e Castiel era nel bagno» dissi velocemente, cercando di giustificare la situazione.

«Va bene, sembra piuttosto sincera signorina Rossi. Mi fiderò di lei anche questa volta» affermò guardandomi di sbieco. Dovevo starle particolarmente simpatica visto che appena inventavo una scusa lei non ritardava a credermi. Buono a sapersi!

«Gra...»

«Ora che anche lei è sveglia, la informo che è severamente vietato l'accesso al pubblico sul terrazzo dell'hotel. La prossima trasgressione, di qualsiasi genere, avrà ripercussioni sull'andamento del vostro anno scolastico corrente. Detto questo, adesso sbrigatevi... dobbiamo partire per il terzo giorno di visita guidata!»

Da quel giorno in poi avrei dovuto prestare maggiore attenzione alle uscite dopo il coprifuoco. Non volevo ripercussioni sul mio anno scolastico.

 

***


Dopo aver fatto una doccia e colazione, partimmo per l'itinerario di quel terzo giorno. 

Come prima tappa giungemmo nell'area di Città del Vaticano. Minuscola città ma ricca di opere d'arte e di storia da raccontare. A mio parere quella era da sempre una delle zone più pacifiche di Roma. Vero, la parte della Basilica era molto affollata, circondata e visitata da turisti, ma nonostante quell'aspetto regalava a chiunque la visitasse, una certa pace interiore. Già, a chiunque tranne che a Castiel evidentemente. Da quando avevamo messo piede in quella città partendo dai Musei Vaticani, non aveva fatto altro che sbadigliare e protestare con smorfie davanti ai racconti di storia e religione della signora Lamberto. Si vedeva lontano un miglio che il ragazzo non fosse di religione cattolica. Come facesse a non restare esterrefatto dalla bellezza degli affreschi coprenti tutte le pareti del museo, restava un mistero. Non bisognava professare per forza la religione cattolica per apprezzare quel posto. Era davvero incredibile. Quelle mura raccontavano secoli e secoli di storia. 

Una volta fuori dai musei vaticani proseguimmo per la Basilica di San Pietro, altro pezzo di storia italiana e di tutto il mondo. Adiacente vi era la piazza omonima della Basilica, da entrambi i lati chiusa da lunghi corridoi coperti e sorretti da colonne che, visti dall'alto con un elicottero, sembravano quasi simboleggiare lunghe braccia. Infatti, quando avevo visitato quella Piazza da piccola -in visita guidata con la scuola elementare- la maestra mi aveva raccontato un aneddoto che mi restò impresso, ma non mi ero mai informata per capire se quello fosse reale oppure no. La maestra mi disse che quei corridoi, formati da tante colonne, erano stati costruiti circolarmente e attaccati alla Basilica appositamente per simboleggiare un abbraccio di Dio rivolto ai fedeli, a tutte le persone visitanti la Piazza. Quello era visto quasi come un simbolo religioso dai credenti, un simbolo per far sentire i fedeli ancora più vicini a Dio e alla religione cattolica.

Dopo aver visitato gli interni della Basilica, bellissima e lussuosa, ricca di oro e anch'essa di affreschi, ci spostammo verso il Tevere per visitare Castel Sant'Angelo. Nato come mausoleo sepolcrale e trasformatosi poi nei secoli in fortezza e in temuta prigione, nei tempi recenti aveva iniziato a conservare, al suo interno, alcune stanze con strumenti di tortura e un museo delle armi. Attraversando il Tevere passando sul Ponte Sant'Angelo giungemmo poi al Campidoglio, sede del Comune di Roma. Ponte Sant'Angelo, in sé, era già uno spettacolo. Sembrava non avere nulla di particolare eppure era un posto molto visitato e magico con i suoi dieci angeli a circondarlo e come sfondo il Tevere a sottostarlo. Negli anni era stato luogo di scene romantiche di film e anche per quel motivo preso d'assalto da molte ragazze della mia età o anche più piccole.

«Tzè che idiozia questi lucchetti. Credono davvero che chiudendo questi cosi e gettando la chiave nel fiume, il loro schifo di amore durerà per sempre?!? Che stupidi!» si lamentò pessimista Castiel. Aveva parlato proprio lui che per amore aveva calpestato il suo carattere forte sotto i piedi, era divenuto schiavo e si era quasi ucciso. Dopo la delusione doveva essere difficile per lui credere di nuovo in quel sentimento, eppure non appena Debrah era tornata, non ci aveva impiegato molto per cadere nuovamente nelle sue grinfie. 

Tra le altre cose, non avevo ancora capito se dopo il suo arrivo a Roma stessero o meno insieme. Non li avevo avvistati neanche una volta insieme, in quei giorni, tranne che per quel piccolo inconveniente nella mia vecchia casa. 

Per quei piccoli particolari non risposi alla sua precedente osservazione sull'amore, ma lo guardai di sbieco e proseguii a camminare senza fermarmi come invece aveva fatto lui.

Castiel dopotutto aveva ragione. Era uno spettacolo brutto da vedere. Ma se non avessero rovinato il panorama del posto, non sarebbe stata un'idea pessima. Quel giorno non vi erano molti lucchetti. Qualche anno prima invece il ponte Sant'Angelo ed il ponte Milvio -dall'altra parte- soprattutto, avevano le ringhiere piene zeppe di lucchetti con impressi i nomi dei presunti innamorati.

Riattraversando il fiume giungemmo sulla terrazza del Gianicolo dove terminammo la giornata di visita guidata; uno dei punti in cui si poteva ammirare al meglio la Capitale. Mi rilassai alla vista silenziosa e panoramica della mia ex città. Vista dall'alto appariva come una terra antica senza segreti o misteri. Dall'alto la città sembrava quasi dormire, per la prima volta. Non si sentivano i clacson delle auto, le urla o le voci di migliaia di turisti, e non si sentiva nemmeno il suono del fischietto del vigile urbano. Era tutto perfetto. Non esistevano né Debrah, né Teresa, né più Ciak e né i mille drammi che da sempre popolavano la mia vita. Persino Stefania restò ammaliata dalla bellezza di quella veduta; a testimoniarlo fu la sua quietezza improvvisa e faccia da ebete rivolta verso la città eterna.

E inevitabilmente lo sguardo si spostò verso l'enigma più contorto della storia: Castiel. Il sole stava calando e i raggi riflettevano sulla capigliatura del rosso, rendendo i suoi capelli quasi dello stesso colore del sole. Persino la luce del sole sembrava inchinarsi davanti a quella personalità forte e lineamenti del viso decisi. I suoi occhi, poi... i suoi occhi anche a distanza s'intravedevano luminosi e particolarmente belli da mozzare il fiato. Per un attimo quasi cedetti alla sensazione di voler vedere ancora meglio, di volermi avvicinare al nemico. Si trovava alla mia destra, a pochi metri di distanza da me. Era stato anche lui rapito dalla bellezza di Roma dall'alto, peccato però per me... la mia attenzione ad un certo punto si era spostata verso tutt'altra visuale. Il volto serio e luminoso di Castiel con sfondo la vista dell'intera Roma erano uno spettacolo irripetibile. 

Roma era ai suoi piedi: un'intera città, inchinatasi a lui, faceva da sfondo alla perfezione della sua figura. Ma se avessi voluto sopravvivere altri tre giorni a Roma, avrei dovuto resistere senza cercarlo, chiamarlo o parlargli in maniera intima. Ce l'avrei fatta quella volta, vero?

-

La stessa sera ero davvero molto stanca, avevo deciso di non mettere piede al di fuori della mia stanza di hotel. E poi... non avrei potuto permettermi sanzioni disciplinari a scuola. Non sarebbe stato complicato, non sarebbe stata la fine del mondo stare dentro per altre tre sere, compresa quella corrente, ce l'avrei fatta.

Improvvisamente e stranamente il suono e la vibrazione di un messaggio mi distolsero dalla possibilità di sonnecchiare.

Presi il cellulare che si trovava sul comodino.

Prima di aprire il contenuto cercai d'interpretare il mittente, ma sullo schermo apparvero solo delle cifre a testimonianza che quel numero non fosse salvato nella mia Rubrica. 

Curiosa e assumendo un'espressione di stupore aprii in fretta il messaggio.

 

Da: 9371689214

Non mi stai simpatica, questo era già chiaro. Se non fossi stata obbligata a scriverti, non lo avrei fatto. Ma devo parlarti urgentemente. Raggiungimi nella stanza n.89, alloggio nel tuo stesso hotel. Non darmi buca...

Debrah Duval!

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** CAPITOLO 27: Il segno del tempo ***



 

Capitolo 27

Il segno del tempo








"Devo parlarti urgentemente. Raggiungimi nella stanza n.89 alloggio nel tuo stesso hotel. Non darmi buca..."

Avevo imparato a memoria quelle parole scritte sullo schermo bianco del mio cellulare. Ero stata ferma, bloccata a leggere e rileggere quelle frasi schiette. Non mi ero mai fidata di lei, ma quella volta l'istinto mi fece percepire qualcosa di diverso. Così senza pensare ulteriormente mi alzai di scatto e superato quel separé ridicolo che la Lamberto aveva posizionato tra il mio letto e quello di Castiel mi accertai che il rosso stesse dormendo e per mia fortuna stava persino russando. L'istinto mi suggeriva di avvicinarmi a lui per accarezzare quel volto privo di difese, fragile mentre sonnecchiava, ma quel poco di ragione che era rimasta mi fece abbandonare in punta di piedi la stanza prima di compiere azioni di cui mi sarei pentita in un secondo momento. 

Chiusi delicatamente la porta alle mie spalle e tirai un sospiro di sollievo. Stavo trattenendo il fiato e non me n'ero neanche resa conto. In realtà di troppe cose perdevo la concezione quando Castiel era nelle vicinanze. E non andava bene. Lui non provava niente per me, non mi voleva o almeno non voleva ciò che cercavo io in lui. Era capace di amare solamente una donna e quella non ero io. Aveva versato tutto l'amore che possedeva in corpo e nell'anima, nelle mani sbagliate, nel cuore sbagliato ma non potevo farci nulla. Non potevo inscenare ancora il ruolo della sua crocerossina, sarebbe stato ridicolo. Avrei dovuto farmene una ragione. Castiel non poteva essere salvato, non da me perlomeno. Dovevo dimenticarlo a tutti i costi. Ce l'avrei fatta prima o poi. 

Scossi la testa per eliminare quei pensieri in quel momento inutili e partii alla ricerca della fantomatica stanza numero 89. Non era molto lontana dalla mia stanza, la numero 93, ci misi davvero poco a trovarla. Quando fui davanti quella porta, fissai attentamente il numero come se fosse la cosa più interessante del mondo. Osservai per parecchio tutte le curve e linee di quei due numeri, non perché ne fossi attratta ma perché cercavo in quelle curve dipinte d'oro il coraggio di bussare a quella porta. Non avevo idea di cosa mi spettasse, avevo provato a pensarle tutte ma conoscendo il soggetto che mi stava aspettando oltre quel masso di legno, in cuor mio sapevo di non poter prevedere le sue mosse, i pensieri loschi che il suo cervello emetteva. 

Avevo le mani sudate e tremanti. 

Come mi capitava sempre nelle occasioni di forte ansia. 

L'ignoto mi metteva paura, angoscia, nervosismo. Non sapevo cosa aspettarmi da quella ragazza maligna e inoltre avevo già provato sulla mia pelle parte della sua cattiveria, del suo odio nei miei confronti. A pensarci bene, in quei mesi, non ero riuscita ad individuare il motivo per il quale le stavo così tanto stretta, antipatica. Insomma, lei era la ragazza dei sogni di Castiel, il ragazzo che mi piaceva; io in un certo senso ero anche legittimata a provare una certa rabbia nei suoi confronti tra l'altro dopo tutto il male provocato allo stesso Castiel, ma lei? Per quale motivo avevo meritato il suo odio? Lei aveva tutto. TUTTO quello che desideravo io. Lei aveva il suo cuore, il suo amore, poteva svegliarsi accanto a lui ogni mattina, osservarlo, contemplarlo nelle sue fragilità che stava attento a tenere nascoste; poteva ammirare le sfumature dei suoi cambi di espressione, poteva abbracciarlo, stringerlo, baciarlo, assaporarlo; poteva curarlo, ascoltarlo, saziarlo. 

Rabbrividii davanti a quella lista immaginaria che la mia mente aveva tirato fuori in un momento poco opportuno.

Ed inebetita, ancora inerme continuando a fissare quella porta venni a contatto con la realtà, con l'evidenza. Debrah aveva lui, aveva tutto e non si rendeva conto della sua fortuna. 

Io invece cosa avevo? Un due di picche, momenti brevi e sporadici vissuti con lui che continuavano a tormentarmi giorno e notte. Perché avevo provato sulla mia pelle cosa significasse sentire le labbra, le braccia di Castiel Black addosso. Quella sensazione non sarei mai riuscita a lavarla, ne ero sicura. Mi sarei portata per sempre dietro il peso dei miei istinti, il peso della sconfitta.

Castiel mi aveva tatuato la sua presenza addosso ed era diventato TUTTO senza neppure esserci.

Io invece cosa ero per lui? La sua ruota di scorta, la sua bambola da tirare fuori nei momenti di noia. Semplicemente niente.

Ero niente per Castiel e mai sarei stata qualcosa. Quindi l'unica a poter provare odio ero io, eppure non ci riuscivo a pieno. Non ancora. 

Non dovetti neanche trovare il coraggio di bussare perché la porta oggetto della mia attenzione -da ormai cinque minuti buoni- si aprì apparentemente sola. Sembrava quasi una scena di un film horror visto che non mi si presentò nessun soggetto davanti al volto.

L'ansia aumentò incredibilmente.

Scacciai i pensieri che mi avevano attanagliato la mente fino ad un secondo prima e facendomi coraggio, ma ancora titubante, ingoiai il groppo formatomisi in gola ed avanzai lentamente sporgendomi dentro la stanza. 

Appena misi piede in quella camera singola, simile alla mia solo poco più piccola, mi pervase l'odore acre di fumo; storsi il naso istintivamente. 

« C'è nessuno? » chiesi in un sussurro.

Non feci neanche in tempo a sbirciare ogni angolo della stanza alla ricerca di Debrah che subito dei suoni e rumori provenienti da un computer attirarono la mia attenzione facendomi destare lo sguardo verso il letto singolo, al centro della stanza, dove era adagiato un computer portatile. 

Partì un filmato. C'era Castiel, ovviamente.

Ed il mio cuore si fermò per qualche istante. 

Non potevo credere ai miei occhi.

Dopo qualche minuto, partì un secondo filmato. C'erano Castiel e Debrah, ovviamente.

Delle fitte lancinanti tra il petto e lo stomaco mi fecero portare entrambe le mani sul cuore, come a volerlo reggere e proteggere per evitare di farlo sprofondare distrutto sul pavimento di quell'hotel maledetto. 

Restai immobile in quella posizione, spettatrice di quelle scene. Avrei tanto voluto chiudere gli occhi e cercare di alleviare il dolore, ma sapevo che non sarebbe servito. Li avrei visti anche ad occhi chiusi, li avrei sentiti anche da sorda. Quelle immagini, quei suoni, quelle voci erano entrati sotto la mia pelle e difficilmente sarebbero usciti. Non riuscii a vedere tutto il video, durava venti minuti era scritto sul timer al di sotto delle immagini. Avevo già visto troppo. Così mi smossi da quella posizione assunta da ormai dieci minuti, sembrava quasi avessi dei mattoni al posto dei piedi ma nonostante la fatica riuscii a precipitarmi velocemente e dolorante su quel letto per stoppare quel video velenoso per il mio cuore. 

Le immagini si fermarono finalmente e nella stanza soggiunse un silenzio tombale. Di Debrah nessuna traccia anche se avevo quella strana sensazione di essere osservata sin da quando era partito il primo filmato. 

Non sapevo come reagire, non avevo idea di cosa avesse architettato quella ragazza. Una brutta sensazione iniziò a radiarsi per tutto il mio corpo e l'ansia aumentò incredibilmente. Iniziai a respirare affannosamente, le mani tremavano e sudavano molto più di prima. Quelle immagini non le avrei mai più dimenticate, soprattutto quelle del secondo video. Certo, entrambi avevano dei contenuti pesanti ma l'ultimo sembrava toccarmi da più vicino anche se non avevo alcun diritto di agire con gelosia, apprensione o altro. Eppure sapevo bene che quel genere di "atti" avvenivano quotidianamente nella vita di Castiel. Ma una cosa era immaginarlo e un'altra era vederlo. Come recitava quel detto? Occhio non vede, cuore non duole. Ecco. Ed era vero; l'avevo provato sulla mia pelle proprio qualche istante prima.

Quel dannato filmato non era recente, da come avevo letto sul display risaliva a quasi tre anni prima, ma nonostante quel particolare sentivo uno strano fastidio partire dai piedi e salire fino alle mani. Avevo un'improvvisa voglia di urlare, scappare e nello stesso tempo menare la ragazza che aveva ritenuto opportuno mettermi al corrente di quei video. 

Avrei vissuto meglio senza sapere.

All'improvviso il rumore provocato dallo sbattere di una porta mi fece voltare in direzione dell'uscita. 

« Ma come? Hai stoppato proprio sul finale? Era coi fiocchi » la voce stridula di Debrah e la sua apparizione mi fecero capire che era stata lei l'artefice di quel rumore. Era entrata in scena a mani conserte e con un'espressione sbeffeggiante in viso. Indossava una minigonna di pelle e dei tacchi a spillo; era truccata perfettamente con neanche un capello fuori posto. Era bella, come lo era sempre stata.

Non le risposi, non volevo dimostrare il mio troppo interesse per il materiale che mi aveva mostrato, non potevo darle ciò che voleva sin da subito. 

« Perfetto! Ora che sai bene cosa contengono quei video possiamo iniziare a parlare di affari ».

Aggrottai la fronte nell'udire quelle parole e l'ansia iniziò di nuovo a circolare e pulsare nel mio corpo come il sangue. A breve avrei scoperto il motivo del suo messaggio mandatomi mezz'ora prima. 

« Non essere così confusa, tesoro! A breve capirai tutto » mi sorrise falsamente e avanzò in direzione del letto dove si sedette e accavallò le gambe con aria sensuale. Imparai a conoscere che quello era un aspetto facente parte del suo DNA. 

Io restai immobile senza muovere un passo e senza battere ciglia. Sembravo come pietrificata, vuota, senza emozioni eppure di emozioni all'interno del mio corpo ce n'erano anche troppe e si sovrastavano tra di loro. Purtroppo era una mia caratteristica di reagire all'ansia in quello strano modo.

« Se non sentissi il tuo respiro affannato da qui, potrei dire tranquillamente di avere davanti una sottospecie di ragazzina imbalsamata... » 

« Smettila di farneticare e va' dritta al punto. Non ho tempo da perdere con te! » sbottai interrompendo finalmente il suo monologo inutile. Il mio stato di trance derivato dall'ansia si era interrotto, per fortuna. Quando accadeva non ero padrona del mio corpo, pensavo, osservavo, reagivo all'interno ma non riuscivo ad esternare. Mi capitava qualcosa d'inspiegabile.

« Ok, eccoti accontentata allora: il mio amato Castiel ha compiuto ben due reati ed io povera e innocente Debrah Duval potrei benissimo denunciarlo. Quei video racchiudono delle prove schiaccianti e sai anche tu che già la situazione di Castiel con la legge non è delle migliori. Verrebbe arrestato, rinchiuso in cella e butterebbero via anche la chiave! » 

E fu davanti a quelle parole che capii quanto quella ragazza fosse meschina, cattiva, senza cuore. Voleva far arrestare il proprio ragazzo o ex -ancora non mi era chiaro il loro status sentimentale- e già quella era una cosa assurda. Quale ragazza sana di mente e innamorata del proprio ragazzo, lo accuserebbe davanti alla legge? Evidentemente Debrah Duval. Solo lei sarebbe stata in grado di compiere un atto del genere. Poi ripensai alle sue parole e aggrottai istintivamente e maggiormente la fronte, confusa. Il primo video era compromettente, non poteva ribattersi niente purtroppo. Ma il secondo? Entrambi parevano essere consenzienti in quello che facevano, era palese. 

Come se leggesse il mio pensiero Debrah continuò il suo discorso assurdo « Oh certo che ero consenziente; eccome se lo ero » si leccò le labbra per enfatizzare ciò che intendeva « E poi... Detto tra donne: Castiel è bravissimo a letto, forse uno dei più bravi secondo la mia "modesta" esperienza. Fa certi lavoretti di lingua ch... »

« NO! Frena, frena » mossi le mani in direzione del suo volto come per fermare il suo racconto. Non avevo nessuna intenzione di ascoltare altro sui loro incontri piccanti, avevo già visto troppo.

« Dimmi per quale motivo sono qui, oppure me ne vado. Sono stanca! » il mio tono di voce era disperato, esausto e non m'importava più di mascherarlo. Ne avevo abbastanza di lei, di Castiel e di tutta quella storia insulsa. 

« Castiel mi stava riprendendo senza che io ne fossi a conoscenza. E come se non bastasse dopo la fine della nostra storia è andato in giro a far vedere i nostri video ad alcuni nostri amici in comune che ovviamente mi hanno subito avvertita. Per non rovinare la mia carriera, il mio nome ho dovuto pagare profumatamente tutte le persone che avevano saputo o visto in qualche modo i contenuti di quei video. Sono ben tre le volte in cui mi ha ripresa. Ti piace ancora come un tempo adesso che hai saputo di cosa è capace Castiel Black? »

E mi crollò il mondo addosso. Era pesante, troppo da riuscirlo a sostenere sola. Sin dal primo giorno avevo difeso Castiel e condannato Debrah per i suoi comportamenti, ma solo perché l'altra faccia della medaglia era ignota fino a lì. E fu in quel momento che tante cose iniziarono ad essere chiare. Tanti tasselli che sembravano essere parti di più puzzle diversi, alla fine si erano rivelati parti centrali di un unico e grande puzzle. Il tentato suicidio, quel disperato bisogno di farla finita, la droga, la gente che iniziava ad evitarlo, tutto era ricollegato a quei dannati video. Per un motivo ancora a me ignoto aveva registrato i suoi atti sessuali con la ragazza che amava e alla fine della storia -forse per ripicca- aveva mal deciso di mostrare i contenuti di quei video a persone scelte a caso. Quelle stesse persone poi avevano iniziato ad evitarlo per quel motivo e a causa di altri. Lui, dapprima popolare e ben voluto da chiunque, si era sentito improvvisamente abbandonato da tutti così aveva pensato di drogarsi così tanto per poi tentare di uccidersi. "Mossa intelligente, i miei complimenti Castiel!"

Nathaniel mi aveva avvertita tante volte, diceva sempre che nulla era come sembrava, che Castiel non era un tipo raccomandabile. Aveva ragione. Forse avrei dovuto fidarmi di lui, di quel viso d'angelo perfetto. Se gli avessi dato ascolto mi sarei salvata, ma ormai era troppo tardi. Castiel mi piaceva più di quanto ero riuscita ad ammettere a me stessa e mai come in quei minuti faceva male. Faceva male aver dato via l'unica parte viva del mio cuore ad una persona del genere. Perché era così; il mio cuore gli apparteneva anche se non ne era a conoscenza, anche se tra noi non c'era stato nient'altro che qualche bacio. Avevo creduto alla sua parte dannata, sofferente e non avevo dubitato di lui neanche una volta. Ero andata contro tutto e tutti per difenderlo, credevo nella sua innocenza ma evidentemente mi sbagliavo. 

Castiel era il diavolo, persino i suoi capelli lo testimoniavano ed io ero caduta in sua tentazione. Ci sarebbe stata una via di ritorno? Forse no. Le fiamme del suo inferno avevano già iniziato a bruciarmi viva. Sarei bruciata all'inferno insieme a lui; forse un po' lo meritavo. Più le fiamme ardevano, più mi bruciavano e più cercavo un appiglio, un misero appiglio che mi facesse credere all'innocenza di Castiel. Quella piccola parte sana di mente che mi era rimasta cercava in tutti i modi, anche quella volta, di difenderlo. 

Perché secondo il mio cuore, la mia anima, la mia testa, lui non poteva essere così cattivo come aveva descritto Debrah poco prima. Lei voleva metterci contro, voleva fare di tutto per allontanarmi da lui. Ci doveva essere un'altra spiegazione, doveva esserci per forza. E con quel briciolo di speranza uscii per un attimo dal caldo e ormai confortante inferno per poter difendere ancora una volta il ragazzo che aveva rubato me stessa senza scrupoli. 

« A dir la verità mi piace ancora di più. Questa storia dà quel tocco in più di... » presi il mento tra pollice e indice e alzai gli occhi al soffitto pensante « Mmm, che so... bad boy dark? Chiarito ciò, puoi dirmi gentilmente cosa c'entro in tutto quest'ambaradan? » le risposi con scherno, con tono di sufficienza, come se a me non toccasse minimamente il suo racconto, incrociai le braccia e la guardai dritta negli occhi senza sentirmi intimorita.

Non seppi neanche come riuscii a mostrarmi a lei con quella freddezza e sicurezza mentre dentro stavo esplodendo per la frustrazione. E c'era solo una spiegazione: Castiel. Il bisogno di proteggerlo era troppo forte tanto da farmi riuscire a mascherare le emozioni. Neanche un'ora prima mi ero autoconvinta di doverla smettere di giocare il ruolo della sua crocerossina e invece eccomi lì di nuovo pronta a difenderlo. Il destino si divertiva a scherzare con me ultimamente ed anche il mio cuore, forse.

Davanti a quella mia reazione Debrah restò sorpresa, infatti sgranò leggermente gli occhi. Si aspettava che piangessi, mi disperassi per la sua rivelazione di un Castiel diverso da come immaginavo. Si sbagliava. Inizialmente non avevo pensato in bene di lui, vero, ma poi ero giunta ad una conclusione alternativa. Ci doveva essere per forza un'altra spiegazione, la versione dei fatti dal punto di vista di Castiel ad esempio e prima o poi l'avrei avuta. Parecchie volte avevo agito d'impulso rovinando molte, troppe situazioni, e quindi mi ero ripromessa di non compiere mai più un errore di quel genere, avevo iniziato ad agire con diplomazia proprio in quella situazione complessa. Per la prima volta fui fiera di me stessa. 

Debrah si ricompose dopo quella mia inaspettata risposta e finalmente mi rese partecipe degli affari: « Bene, allora se non vuoi che io denunci il mio » marcò sull'aggettivo possessivo «ragazzo; e se non vuoi vederlo tra le sbarre, devi iniziare a prendere le distanze da lui. Seriamente questa volta. Non credere che io non sappia cosa è accaduto tra di voi. Ma non m'importa. Ti sei divertita alle mie spalle fino a ieri, ora non capiterà mai più» aggrottai la fronte, ero incredula. Come aveva saputo dei miei precedenti con Castiel? Lui non era così stupido da raccontarle anche quello.

« Parlerai con lui solo il giusto indispensabile e farai tutto quello che ti comanderò io. Per prima cosa rinuncerai all'ingaggio ricevuto per la pubblicità di Rabanne, ti romperai una gamba prima delle riprese se necessario e ovviamente proporrai me come tua sostituta. Semplice, no? »

Senza prendermi del tempo per riflettere alle sue parole esplosi in una valanga d'insulti: « Lo sapevo. Sapevo che c'era qualcosa di sotto. Di Castiel a te non è mai fregato. Tu.. tu non lo hai mai amato, non gli hai mai voluto neanche un po' di bene. Ma certo, perché tu vuoi bene solo a te stessa. E poi è così che si diventa famosi, eh Debrah? Ricattando la gente? Sei la persona più schifosa che io abbia mai visto, sei... sei.. sei malvagia, ma davvero malvagia. Sai cosa fotte a me di quella stupida pubblicità? Ho accettato solo perché il ricav...» mi bloccai sul colpo quando mi resi conto di star rivelando un patto di cui nessuno ne era a conoscenza; solo io e Rabanne. 

« Hai accettato solo per cosa? Mia cara Micaela ti converrà parlare, sai bene di essere in una posizione delicata. Non puoi permetterti il lusso di tenere segreti con me. Altrimenti sai come andrà a finire.. » a lei interessava solo della fama. L'avevo insultata e avevo aperto discorsi ben più gravi e importanti di quello, eppure aveva occhi e orecchie solo per i soldi, la fama e lo spettacolo. Quanto era subdola. 

Stetti in silenzio con lo sguardo incollato alla sua figura. Non mi mettevano paura i suoi ricatti. Avrei trovato un modo per uscirne, dovevo trovarlo. Castiel non poteva finire in carcere. Avrei trovato il modo per rubarle quei video, era l'unico modo per scolparlo. Ma non potevo mettere subito in atto un piano, mi sarebbe servito del tempo. Per il momento avrei solo dovuto agire d'astuzia. Così con un lungo respiro decisi di cambiare repentinamente il mio approccio con quella pazza ragazza.

Sospirai quasi sconfitta prima di parlare. " È l'unico modo, è l'unico modo" continuavo a ripetermi nella testa per infondermi coraggio. Poi le raccontai tutto:

« Demon, il cane di Castiel, ha una brutta malattia non ho capito come si chiama di preciso. Comunque Rabanne me lo ha riferito perché io ero restia ad accettare e così per convincermi, mi ha spiegato la ragione per cui a Castiel serviva urgentemente del denaro. Doveva operare Demon e per farlo aveva bisogno di una somma molto alta di denaro, così ho accettato di fare la pubblicità SOLO per questo motivo e ho deciso di cedere il mio guadagno a lui senza che sapesse niente, ovviamente. Sai com'è fatto Castiel, non avrebbe mai accettato il mio aiuto. Il punto è: credo che Rabanne abbia già dato i soldi a Castiel perché Demon non poteva aspettare molto, quindi non credo accetterà di cambiare il contratto e in più se inscenassi una rottura di gamba o altro chiamerebbe una modella vera come mia sostituta, non si farebbe di certo consigliare da me. Quello stilista è un osso duro, è testardo, irremovibile e... »

« Non mi frega niente del carattere di quel vecchiaccio. Io voglio fare quella pubblicità e la farò. Tu troverai un modo. Usa l'intelligenza e risolvi questa cosa! Quanto alla ricompensa: per questa volta chiuderò un occhio. Se diventerò famosa di nuovo, ne guadagnerò a bizzeffe di soldi » sorrise malvagiamente. Non aveva neanche sprecato una parola per Castiel e Demon. 

Dopo quell'incontro ravvicinato con Debrah entrai maggiormente in confusione. Non riuscivo a capacitarmi di come Castiel si fosse innamorato di lei. Era bella sì, ma solo esteriormente; dentro non aveva nient'altro che cattiveria. Era senza cuore, senza anima, era vuota di ogni tipo di sentimento. 

« Ovviamente a lui non dovrai raccontare nulla di quello che ci siamo dette oggi. Altrimenti la denuncia è assicurata. Al minimo passo falso Castiel è fregato. Ricorda bene queste parole cara e piccola Micaela » continuò a ridere soddisfatta. Era felice di complicare la vita delle persone. 

Mi ero già autoimposta di prendere le distanze da Castiel dopo la mia pessima dichiarazione e dopo il suo rifiuto; sicuramente quel piccolo ricatto mi avrebbe aiutata a mantenere quella promessa. Debrah non poteva immaginare che in realtà, almeno per quell'aspetto mi aveva fatto un favore. 

"Non tutto il male viene per nuocere" mi dissi. Non mi sarei mai perdonata se Castiel fosse finito in carcere a causa mia. Sebbene i fatti commessi fossero illegali, non potevo lasciare che lui trascorresse il resto della sua vita in galera. Mi sarei impegnata per trovare un modo ed uscire da quella situazione come vincitrice, nel frattempo avrei obbedito alle richieste di Debrah. Dopotutto non sembrava così difficile. 

« Va bene. Accetto! Farò tutto quello che vuoi. Ma attenzione: se denuncerai Castiel senza che io te ne abbia dato motivo, anch'io posso rovinarti. Tieni bene in mente queste parole, cara Debrah Duval » le feci l'occhiolino e con un sorriso soddisfatto mi voltai in direzione della porta per uscire finalmente da quella stanza.

E forse lo avevo realmente un modo per rovinarla. 

« Sono di parola, tranquilla cara » marcò sull'ultima parola a mo' di sfottò, come aveva fatto per l'intera conversazione e come io stessa avevo fatto con lei.

« Ah quasi dimenticavo... tua mamma vuole incontrarti e parlare. Mi ha supplicato di convincerti e di portarti da lei. Pensaci e scrivimi quando deciderai. Il mio numero ora ce l'hai. » mi aveva sbattuto la verità in faccia con poco tatto. A lei non importava, a lei nulla la toccava tanto da provocarle compassione o emozioni.

Davanti a quelle parole sgranai gli occhi. Teresa aveva chiesto di me. Di vedermi. Sapevo bene che non avrei dovuto fidarmi di lei, non lo meritava. Eppure c'era una parte di me, la più piccola, che voleva sapere cosa avesse da dirmi. Forse una volta per tutte avrei eliminato ogni dubbio, ogni senso di colpa. Con il passare degli anni ero giunta persino a colpevolizzarmi per la sua fuga. Forse ero una pessima figlia, forse si vergognava di me, pensavo. Ne avevo pensate di possibilità, di verità ma poi le avevo scartate; perché l'unica verità era custodita dalla donna che mi aveva messo al mondo, ed io non la conoscevo così bene da riuscire a capirla.

« Lasciami l'indirizzo. Se deciderò di andarci lo farò sola; non voglio nessuno e tantomeno te. »


 

CASTIEL

La mattina dopo riprendemmo il quarto giorno di quell'insulsa visita guidata con quell'inutile guida di nome Stefania. Visitammo la famosa Via del Corso, Piazza di Spagna con la sua scalinata chilometrica e la fontana della Barcaccia al centro della piazza. Dopo ancora la Chiesa della Trinità dei Monti. Nel pomeriggio invece passammo tutto il tempo a Villa Borghese girovagando tra il Bio-parco, le opere architettoniche e le mostre di arte. Era inutile dire quanto la mia noia crebbe ora dopo ora, ma non poteva dirsi lo stesso di Miki. Guardava la sua città ammaliata, nostalgica, innamorata, le brillavano gli occhi soprattutto in Via del Corso e Piazza di Spagna. Eppure conosceva Roma ancor meglio di me, evidentemente non la stancava mai. 

Capii quanto quella ragazza fosse legata positivamente all'Italia molto più di quanto voleva far credere. 

Io invece quasi mi pentii di aver accettato quel viaggio. Roma mi aveva portato più grattacapi che il resto. A tutta la situazione si era aggiunta anche Miki. Non mi rivolgeva più la parola, neanche uno sguardo per sbaglio. Continuava a fare compere, a dialogare con Stefania mentre io ricevevo solo il suo silenzio. Purtroppo sapevo bene a cosa erano dovuti quei suoi comportamenti. 

Mi aveva confessato di provare una qualche strana attrazione nei miei confronti ed io non avevo reagito come si aspettava, evidentemente. Ma lei non poteva sapere quanto di sbagliato ci fosse nella mia inutile esistenza. Avevo troppi problemi, troppi segreti da nascondere ed io ero troppo complicato per lei. Avevo sbagliato tutto anche con lei. 

Eppure inizialmente il mio istinto suggeriva che Micaela fosse come Ambra; avevo già architettato tutto. Potevamo diventare amici di letto o scopamici, una qualche scemenza del genere e tutto sarebbe finito lì. Invece no, Miki era diventata molto di più. In meno di un anno di conoscenza si era già insinuata inesorabilmente sotto la mia pelle in uno strano modo, senza alcuna etichetta. Non eravamo amici, non eravamo più che amici, non stavamo insieme e non saremmo mai potuti diventare qualcosa di più, fino a quel giorno sembrava anche che le stesse bene; eravamo solo due persone bisognose di sentire la propria vicinanza a vicenda. Io la difendevo, lei mi difendeva; io la baciavo, lei non mi rifiutava e ricambiava il bacio, io la volevo, lei mi voleva. Era un circolo vizioso senza fine ma destinato ad un termine per quegli stupidi ricatti che avevo dovuto accettare per evitare di finire in galera. 

Eppure ero testardo, sembrava continuasse a non importarmi delle conseguenze dei miei gesti, neanche quel giorno, visto che iniziai a stuzzicarla per attirare la sua attenzione. 

Mi avvicinai silenziosamente a lei e strappai un capello dalla sua testa sperando di provocare una reazione. Mi piaceva incredibilmente farla innervosire e poi.. non sopportavo quel silenzio assordante tra noi. Dovevamo litigare, urlarci contro, stuzzicarci; noi eravamo quelli e non un misero silenzio. 

Miki di risposta si portò la mano sulla testa, la massaggiò e si voltò nella mia direzione con gli occhi a due fessure e la fronte aggrottata.

« Ma dico, sei scemo? » urlò.

Io sorrisi, era il minimo che potessi fare davanti alla sua espressione furibonda « avevi un capello bianco, dovresti ringraziarmi » ovviamente non era vero, ma trovai la prima scusa che mi venne in mente. 

« Io. Non ho. I capelli. Bianchi » scandì bene ogni parola, incrociò le braccia e mi guardò dritta negli occhi ancora più nervosa di prima. Sapevo quanto ci tenesse a risultare perfetta e sapevo d'incrementare la sua rabbia, ma era proprio quello il mio intento. 

« OH, sì invece. Se avessi ancora il capello tra le mani ti farei vedere che ho ragione. Ma ops, peccato mi è caduto! » le risposi con nonchalance sollevando le spalle. 

« Stronzo! » alzò il dito medio, mi guardò di sbieco per qualche altro secondo e poi si voltò seguendo Stefania che nel frattempo si era incamminata per entrare in un museo. 

Risultato di quel piccolo battibecco demenziale? Miki era bellissima anche da nervosa. 

Non avevo mai desiderato una ragazza come invece desideravo lei giorno e notte. La notte faticavo persino a prendere sonno sapendo fosse nella mia stessa stanza, a pochi metri da me. Avrei tanto voluto prenderla e sbatterla ad un muro, farle vedere cosa provocava al mio corpo anche solo la sua vicinanza, ma non potevo. Ogni notte, per la prima volta nella mia vita, facevo prevalere la ragione sull'istinto. E facevo bene.

Continuavo a convincermi che bramassi il corpo di Miki in quel modo esagerato solamente per il semplice motivo di non essere riuscito ad averla in tutti i sensi, doveva essere per forza per quello. Non poteva essere altro. Era per provare quel brivido della conquista con una ragazza difficile, mi dicevo. Doveva essere per forza quello il motivo.

Nessuna prima d'allora aveva mai suscitato in me quell'attenzione e importanza. Neanche Debrah. Con la ragazza dagli occhi di ghiaccio era partito tutto per uno scopo, Debrah era un modo per perdere la verginità, per essere il figo della situazione davanti a tutta la scuola. Debrah era la ragazza più bella e desiderata di tutto il liceo e solo io ero riuscito a sedurla, a portarmela a letto. L'amore, quello.. era scattato in un secondo momento. Mentre con Miki, io... Stavo impazzendo, me lo sentivo. A breve sarei uscito fuori di testa a causa sua. Cazzo! 



 

MIKI

"Tua mamma vuole incontrarti e parlare. Mi ha supplicato di convincerti e di portarti da lei."

Avevo riflettuto parecchio su quelle parole. Una parte del mio cuore voleva conoscere le scuse di Teresa, risentire la voce della donna che mi aveva abbandonata otto anni prima; l'altra parte invece voleva proteggersi, restare in hotel e non voler sentire mai più nominare neanche il suo nome. Sapevo che rivederla mi avrebbe fatto del male, sentire le sue scuse insulse ed inutili mi avrebbe fatto soffrire. Continuavo a dirmi che se non mi avesse incontrato per puro caso nel ristorante di quell'hotel, avrebbe continuato a far finta che io non esistessi, come se fossi morta. E forse non sarebbe stato meglio? La mia morte avrebbe fatto comodo a chiunque, la mia vita avrebbe fatto comodo a pochi o addirittura a nessuno. 

Tornare a Roma aveva riaperto tutte le ferite; Roma aveva fatto rinascere la parte tremendamente pessimista di Micaela Rossi e di conseguenza aveva abbassato la mia autostima. Incontrare Teresa ancor di più. 

Eppure in quel momento mi ritrovavo davanti al palazzo di casa sua, davanti alla sua nuova casa. Aveva vinto la parte del mio cuore nostalgica, mi sentii quasi sconfitta. 

Avevo tra le mani un post-it di colore verde con su scritto l'indirizzo. Il bigliettino aveva la calligrafia di Debrah, la figliastra di Teresa. La mia sorellastra. Mi faceva un brutto effetto anche solo pensarlo. Debrah Duval era per davvero una sottospecie di sorellastra. Incredibile. 

Sin dalla partenza dall'hotel fino all'arrivo in quel quartiere continuavo a torturare quel bigliettino, si era stropicciato per le infinite volte in cui lo avevo piegato e arrotolato tra le mie mani sudate. L'inchiostro sul foglio si era persino sbiadito, ma poco importava. Avevo imparato a memoria il luogo in questione viste le infinite volte in cui avevo fissato quel post-it verde; verde il colore della speranza, dicevano. Ma quale speranza? Dove avevo lasciata la mia di speranza? Forse a Parigi o forse addirittura nella mia vecchia casa, molti anni prima. 

In realtà da quell'abitazione non speravo di uscire con la consapevolezza di avere di nuovo una mamma, no. Neanche la volevo più una mamma. A cosa mi sarebbe servita dopo tutto quel tempo? Avevo già imparato a vivere da sola, avevo imparato a soffrire, ad auto-consigliarmi, ogni volta ero caduta e rialzata, ed anche se ammaccata lo avevo fatto in solitudine senza far rumore, senza dover dire grazie a nessuno. Tranne a zia Kate, sulla parte economica ovviamente. Per quanto io debba ringraziare quella donna, però, in realtà non era mai stata una mia guida. Non era stata una seconda mamma, un'amica o altro, era stata semplicemente una zia tutrice legale di una minorenne orfana. Ero stata sola tutto quel tempo, nonostante avessi avuto qualche vicino di casa interessato a me solo per avere un compenso economico che la zia mandava da Parigi. Era triste la mia vita dopotutto, ogni aspetto della mia esistenza era basata sui soldi. La gente mi aiutava, dimostrava interesse solo dopo aver avuto una giusta retribuzione per quel compito. Era questo quello che ero; un maledetto compito, un lavoro, mi sentivo quasi un oggetto a volte, soprattutto un peso. Ed anche per quel motivo avevo imparato a sanarmi senza l'aiuto di nessuno, a leccare via il dolore provocato da ferite esterne ma soprattutto interne, proprio come avrebbe fatto un cucciolo bastardo. Perché in realtà non ero nient'altro che quello. Un essere umano bastardo di padre e bastarda di madre. Non ero nient'altro. 

Incontrando Teresa quel giorno non speravo neanche di chiarire ogni mio dubbio. In realtà non speravo niente. Volevo solo vedere come se la cavasse a fare la mamma, volevo capire se Teresa fosse cambiata realmente come avevo intuito in quei pochi minuti d'incontro qualche giorno prima. 

Mi trovavo nel quartiere Parioli, una delle zone più ricche di Roma. In quel quartiere viveva la gente disgustosamente benestante e lei non poteva che abitare lì, dovevo immaginarlo. Era moglie di un uomo d'affari, proprietario di una catena di ristoranti ed ex musicista, uno come lui non avrebbe potuto vivere altrove. Erano le sei di sera, il sole -essendo pieno inverno- era tramontato da un pezzo, su quelle strade e marciapiedi lussuosi incombeva la notte, un po' come nel mio cuore. Era buio. In quel posto persino le illuminazioni erano diverse rispetto alla Roma dei comuni mortali. Emettevano una luce più forte e i pali erano eleganti. Ogni cosa urlava lusso, persino l'erbetta, le piante, i fiori al di fuori di ogni palazzo. 

Un palazzo di ben dodici piani incombeva su di me. Ero riuscita a contarli tutti mentre cercavo il coraggio di suonare il citofono o anche solo di avvicinarmi. In uno di quegli apparentamenti viveva Teresa e la sua allegra famigliola felice; entusiasmante, pensai. Tre gradini stretti di pietra anticipavano il portone d'entrata enorme. Anche quello urlava lusso da tutte le grade. Era composto da una vetrata abbastanza grande e da grade di ferro dipinte in oro con ghirigori molto elaborati. 

Feci qualche passo e mi fermai proprio sotto il primo gradino. Iniziai a fissare con attenzione la lista di nomi sui citofoni -a destra del portone- e anche quella era in ferro dorato, ovviamente . Da quella distanza non riuscivo a leggere, non possedevo ancora i superpoteri, ma fissai ugualmente il dorato del ferro giusto per sembrare ancor di più un'ossessa, una pazza da rinchiudere. 

Spostai lo sguardo a sinistra, all'interno del palazzo notai ed intravidi un uomo in completo elegante nero con tanto di cravatta, era accanto al portone doveva essere il portiere di condominio. Di male in peggio. 

Mi sentivo come una vecchia barca a vela in balia delle onde. Sarei andata in direzione del vento, non sapevo dove mi avrebbe portata eppure continuavo a seguirlo. Il vento era il mio cuore. Non ero per nulla convinta e per nulla pronta ad incontrare Teresa eppure giacevo lì di fronte casa sua in attesa e alla ricerca del coraggio che mi avrebbe permesso di entrare in quel portone. Ero confusa, abbattuta, ferita, tanti sentimenti che credevo di aver represso stavano di nuovo fuoriuscendo dalla mia anima. 

« Ehi Miki ciao. Devi entrare? La mamma ti starà di sicuro aspettando.. » una voce leggermente familiare mi distolse dai miei pensieri.

Mi voltai nella sua direzione. Gli occhi chiari ed innocenti della bambina mi scrutavano in attesa di una mia risposta.

Era Flora, la figlia di Teresa e Marcel. Cavolo!

« Oh... ecco, i-io... ehm... ciao » sembrava avessi dimenticato come si parlasse l'italiano. 

"Stupida! Ti fai intimidire da una ragazzina di nove anni"

« Su vieni » mi rivolse un sorriso e rispose sicura facendomi segno di entrare. 

Quella forma di odio provata la prima volta nei suoi confronti svanì nel nulla. Mi stupii. Ai miei occhi risultò essere persino matura per la sua età. Più o meno conosceva i precedenti e avrebbe avuto tutto il diritto di detestarmi per quello che pensavo di lei. Invece non lo aveva fatto. Ma dopotutto lei non aveva colpe, non aveva scelto di nascere o di essere figlia di Teresa. 

"Eppure quel briciolo di gelosia restò sempre nei suoi confronti, anche dopo quell'accaduto, perché lei aveva avuto l'infanzia da me tanto desiderata e l'aveva avuta con una mamma, la mia mamma. Ero legittimata, credo".

Il portiere ci aprì gentilmente il portone squadrandomi da capo a piedi, probabilmente non rispecchiavo gli ideali di eleganza di quel palazzo. Forse aveva ragione. Da quando avevo rimesso piede a Roma -quattro giorni prima- avevo quasi cambiato le mie abitudini, avevo iniziato a trascurarmi o a vestirmi normale, dipendeva dai punti di vista. Anche quel giorno, come la sera prima, indossavo una felpa, dei jeans chiari un po' strappati sulle ginocchia e delle Converse. Ero stanca d'indossare quei tacchi scomodissimi e quelle minigonne troppo corte, senza togliere il fatto che ero perennemente raffreddata a causa del mio guardaroba. Ero stanca della mia maschera. Salendo le scale di quel posto, per evitare di pensare chi avrei incontrato da lì a poco, mi promisi che al ritorno in Francia avrei rivoluzionato il mio modo di vestire e quindi avrei cambiato totalmente o quasi tutti i capi dell'armadio. A dire il vero avevo già iniziato a farlo la mattina prima, quando la Signorina Lamberto ci aveva permesso di fare shopping tra i negozi di Via del Corso. Se avessi avuto il vecchio Ciak accanto avrebbe stentato a riconoscermi. 

All'entrata, alla sinistra del portiere vi era un'ascensore ma Flora aveva preferito salire le scale. La ringraziai mentalmente, in quel modo avrei avuto più tempo per metabolizzare ciò che avrei dovuto affrontare. Le scale di quel palazzo erano di marmo beige e i corrimano di ferro dorato, richiamavano le stesse decorazioni del portone d'entrata. Era tutto banale, quasi un cliché oserei dire. Le porte degli appartamenti che man mano superavamo salendo erano tutte uguali, erano anch'esse di ferro ma questa volta nero ed erano decorate. Erano molto alte, superavano di gran lunga i due metri. 

Salimmo ancora e ci fermammo al settimo piano. Avevo contato i piani mentalmente, giusto per deviare i miei pensieri e per evitare di cercare una via di fuga e scappare come una codarda o un'immatura. Prima o poi quella situazione si sarebbe dovuta affrontare, tanto valeva non aspettare ulteriormente. Il confronto con lei era inevitabile.

Inspirai ed espirai rumorosamente quando vidi Flora tirare una chiave dalla tasca del cappotto ed avvicinarsi ad una porta. 

Eccoci. 

Era giunto il momento.

A breve avrei rivisto Teresa.

Avrei avuto delle risposte ai miei dubbi e alle mie domande.

Avrei chiuso con lei e con quella situazione. Per sempre.

Forse. 

Avrei fatto invidia ad un lago per quanto mi stavano sudando le mani. Mi toccai la fronte ed era persino quella sudata. Era un sudore freddo, il sudore del timore, della paura, dell'ansia. Fuori c'erano forse sette gradi ed io sudavo. Ero patetica. 

Quando Flora aprì la porta si voltò verso di me per incoraggiarmi e farmi segno di entrare. Non mi aiutava per nulla la sua commiserazione, anzi il contrario m'innervosì maggiormente. 

Cercai d'ingoiare il groppo in gola e a passi lenti entrai nell'appartamento. Appena misi piede nella casa m'invase un'ondata di calore, segno dei riscaldamenti accesi. Eppure dentro continuavo ad avere freddo. 

Mi si presentò una casa con le mura "stranamente" dorate e i mobili in stile antico. All'entrata ad accoglierci ci fu un enorme tappeto accanto ad una lampada in ferro battuto che illuminava la zona. Non feci in tempo a guardarmi ulteriormente intorno che Flora iniziò a parlare.

L'ansia aumentò insieme ad un improvviso mal di stomaco.

« Mamma sono a casa e oggi ho anche una sorpresa con me » sorrise nella mia direzione.

Ad un tratto la vidi spuntare dalla porta di una stanza: « no Flora, lo sai che oggi non sono in vena di... » si bloccò quando mi vide. 

Ed io feci lo stesso. Ci guardammo negli occhi come non facevamo non da otto ma almeno da dieci anni. Nei suoi occhi vidi i miei. Erano incredibilmente identici ai miei, purtroppo. Perché purtroppo le somigliavo incredibilmente. Chiunque ci avrebbe riconosciute essere mamma e figlia. Una semplice apparenza però, perché io non conoscevo lei e né lei conosceva me. Non sapevo quale fosse il suo film preferito, se le piacesse leggere romanzi, gialli, polizieschi, fantasy o se non le piacesse proprio leggere. Non sapevo quale fosse il suo cibo o gusto di gelato preferiti. Non sapevo niente, dai particolari più stupidi alle cose più importanti. Perché ero troppo piccola per ricordare, per memorizzare anche le sue abitudini. 

Ero troppo piccola quando mi aveva abbandonata.

« Oh Mi-Miki sei venuta... » sgranò gli occhi, sospirò sorpresa ed imbarazzata, riordinò le sue idee e continuò: « Vieni accomodati » cercò di non far trapelare il suo nervosismo, ma non ci riuscì.

La seguii senza proferire parola mentre Flora accennò un saluto sparendo in un'altra stanza. Eravamo rimaste sole. Io e lei. Figlia e mamma; come non accadeva da otto anni. 

Entrammo in una camera con al centro un divano enorme bianco in pelle e davanti a questo si presentava una televisione al plasma parecchio grande. Dietro al divano vi era un tavolo da sei posti rotondo e vicino a questo una vetrina in legno. Non avevo aperto bocca da quando Flora mi aveva beccata davanti al portone immobile come un sasso. L'ansia aveva di nuovo iniziato a giocarmi quel brutto scherzo. Dentro avevo mille emozioni contrastanti e fuori sembravo essere fredda, senza sentimenti. In quell'occasione però fui contenta di dimostrare quello. Teresa non meritava di conoscere i miei veri sentimenti. 

Mi fece segno di accomodarmi sul divano.

« No! » sbottai all'improvviso, Teresa quasi saltò per il mio tono di voce spaventoso « Senti, ora dimmi solo per quale stupido motivo mi hai voluta incontrare dopo otto anni.. Così poi potrò di nuovo sparire dalla tua vita, ma sappi che questa volta sarà per sempre; e per mio volere! » finalmente riuscii a parlare. Fuoriuscì un tono di voce duro e freddo anche se un po' insicuro.

« Ma io non voglio che tu esca di nuovo dalla mia vita, Micaela » scosse la testa e parlò piano, quasi dolcemente. Rabbrividii e sgranai gli occhi. 

Micaela. Mi aveva chiamato col mio nome senza alcun diminutivo come solo lei mi chiamava; come solo lui mi chiamava quando ancora potevamo considerarci una famiglia, quando ancora ero troppo piccola per riuscire a memorizzare, a capire cosa fosse la felicità. 

Era quel suono. Lo stesso tono di voce della mia mammala mia vera mamma, la mamma che avevo fino all'età di quattro anni. All'improvviso sentii il bisogno di piangere partire dallo stomaco, dall'anima; volevo chiudermi in me stessa, mettermi in un angolino e disperarmi in solitudine come avevo sempre fatto. 

Lei non poteva.

Lei non doveva. 

E fu lì che capii.

L'amara verità mi sbatté in faccia violentemente. 

Lei non poteva... non doveva mancarmi, non era previsto, non era giusto. Ed io non potevo accettarlo. Non potevo accettare un sentimento del genere per lei. Lei che non aveva pensato due volte prima di abbandonarmi, che non mi aveva calcolata per otto anni. Vivevamo nella stessa città ma non le era mai passato per la testa di cercarmi. Perché aveva dovuto farlo proprio quando stavo per chiudere con la mia vecchia vita? Quando mi ero trasferita in un altro paese? Perché doveva continuare a rovinarmi la vita?

Eppure nonostante tutte quelle domande girovaganti nella mia testa, la verità restava una.

Teresa mi era mancata. 

La presenza di una vera mamma, la mia vera mamma mi era mancata. Era bastato solo quel tono di voce calmo e dolce per farmene rendere conto. Ogni mia certezza si era tramutata in dubbio improvvisamente, ma io... io non potevo permettere che accadesse proprio a me. Io non avevo bisogno di nessuno né tantomeno di una donna che non aveva fatto nient'altro che ferirmi e dimenticarmi. Forse quelle sensazioni erano dettate dalla suggestione del momento, sì era di sicuro quello il motivo del mio stato d'animo, ma fatto stava che mi sentivo tremendamente instabile. Un attimo prima sostenevo una cosa, l'attimo dopo ne pensavo un'altra. Non ero mai stata confusa come in quegli attimi. 

A distogliermi da quello stato di trance che non seppi da quanto durava, fu una leggera carezza in pieno viso. Non avevo visto nessuno avvicinarsi alla mia figura, ero totalmente assente fino a poco prima. Il mio corpo era in quella casa nel quartiere Parioli di Roma e la mia mente era altrove, in posti sconosciuti e astratti. 

Quando però vidi che quella mano apparteneva a Teresa mi spostai e scacciai violentemente la sua mano: « non toccarmi! » urlai. Non ero più in me stessa, mi sentivo fuori di testa, pazza ancor più del solito. Sentivo la pelle bruciare, proprio lì dove il tocco leggero di mia madre era stato poco prima. Lei era stata delicata, ma aveva fatto male dentro. Non aveva il diritto di oltrepassare la distanza di sicurezza che avevo autoimposto, lei non poteva, non doveva. Non ero pronta a quel tipo di vicinanza e forse non ero pronta neanche ad un dialogo. 

Non avrei dovuto lasciare l'albergo per dirigermi a casa sua. Avevo sbagliato. Maledizione! 

« Miki ascolta » socchiuse gli occhi quasi ferita per la mia reazione «dobbiamo parlare. Non possiamo continuare così. Non più».

Non sembrava la donna fredda e distante che mi aveva parlato solo due giorni prima davanti all'hotel. Anzi sembrava avesse avuto uno sdoppiamento di personalità o qualcosa di simile. Perché mi stava parlando con quel tono di voce? Era il mio debole, oggetto dei miei sogni e dei miei incubi da anni. Era il suono di voce dolce ed armonioso che mi cullava la notte prima di addormentarmi, quando ancora ero troppo piccola per sopportare il suo abbandono e la violenza di un padre ingrato. Quando lei era andata via avevo memorizzato il suono della sua voce, delle sue ninna-nanne, mi addormentavo con i suoi ricordi prima che s'incrementasse il disprezzo verso di lei. Infondo speravo in un suo ritorno e fino all'età di tredici anni mi era bastata quella speranza, poi però crescendo quella speranza si sciolse come sale in acqua. 

« Nulla può continuare se non c'è neanche un inizio. Quindi cosa non dovremmo continuare? Ad ignorarci? Beh fino a cinque secondi fa non mi pare ti pesasse così tanto far finta che io non esistessi » risposi con tono pungente.

Lei sospirò « ci sono cose che non sai Miki. Non è tutto come sembra. »

« Ah no?!? Illuminami, allora » sollevai un sopracciglio. 

« Va bene, ci provo... » sospirò sconfitta, si prese qualche istante poi continuò:

« Marcel aveva promesso di farmi cambiare stile di vita ed io non ci ho pensato due volte di andare con lui visto che avevo scoperto di aspettare una figlia da lui. Sapevo di dover tenere te in considerazione, ma credevo che Luis si sarebbe assunto tutte le responsabilità una volta rimasto solo. Non ho riflettuto abbastanza, lo so, ma amavo Marcel e non Luis. E... » la interruppi pretendendo di prendere la parola. Ero stata in silenzio per otto anni e per otto anni avevo pensato e ripensato alle parole da sputarle in faccia.

« Oh ma sì... pensiamo solo all'amore, infondo una figlia come me non meritava di essere considerata, avrei messo solo i bastoni tra le ruote alla tua nuova famiglia. E poi sì, direi che Luis è stato un ottimo padre; era solo un tossico e un ubriacone cosa vuoi che sia?!? » sorrisi amareggiata e falsamente. Fui quasi tentata di mostrarle le ferite che per colpa sua avevo sulla mia pelle, ma riuscii a trattenermi e lasciai perdere. Lei non meritava di sapere. Avrebbe potuto risparmiarsi il racconto della sua storiella d'amore felice, avrei vissuto anche senza sentire quelle parole uscire dalla sua bocca. 

Aveva scelto l'amore invece che una figlia. Cosa c'era da commentare davanti all'evidenza? 

« Non dire così, Micaela... »

« Hai finito con questi piagnistei o ne hai ancora per molto? » man mano che i minuti passavano quella situazione diveniva sempre più irritante e non riuscii a nasconderlo.

« No, non ho finito di raccontarti la mia versione dei fatti » mi disse quasi sconfitta ed io le feci segno con la testa per permetterle di continuare. 

« Mi è stato impedito di vederti. So che non crederai alle mie parole, so che è difficile credermi, ma per favore abbi fiducia della mamma che ero prima di tutto questo » sembrava disperata dal tono di voce utilizzato.

Ed io risi amaramente « potevi inventarti qualcosa di diverso, di meno banale, saresti stata più credibile ».

Non potevo credere alle sue parole. Non potevo fidarmi di una donna che a parte il nostro legame di sangue era una sconosciuta davanti ai miei occhi. E poi era assurdo ciò che era fuoriuscito dalla sua bocca. Nessuno avrebbe potuto impedirle di cercarmi, insomma... ero perennemente sola, abbandonata a me stessa. 

« Sapevo di andare incontro a questo » mi mostrò con le mani  « quando ho deciso fosse giunto il momento di raccontarti la verità, ma credimi non mento. È l'ultima cosa che farei con te. Hai già sofferto abbastanza per colpa di altri. »

E fu lì che non vidi più niente. Avevo sentito già troppo.

« Tu » le puntai il dito contro « TU. Non permetterti mai più. Non provare a capire, non ci provare neanche a fare la comprensiva del cazzo perché TU non puoi sapere cosa ho passato io. Tu brutta stronza, sei l'ultima persona a poter parlare di sofferenze e colpe. Non puoi neanche lontanamente immaginare quello che ho subito, quello che ho passato per colpa tua. Sì, perché la colpa non è di nessun altro se non tua. Ogni cosa è solo ed unicamente colpa tua. Per due anni dopo la tua fuga d'amore ho subito di tutto e di più. Guarda... » mi sbottonai il giubbotto che portavo e poi alzai la felpa, sembravo una pazza « guarda lurida stronza cosa mi ha fatto il tuo abbandono.. guarda cosa mi ha fatto Luis per colpa tua.. »

Le feci vedere quei segni sotto al seno sinistro, quei segni che in tutti quegli anni ero stata brava a nascondere. Nessuno li aveva visti prima, nessuno ne era a conoscenza e non avrei voluto mostrarli a lei, non avevo bisogno della sua compassione, ma non ero riuscita a trattenermi. Era una ferita profonda ma non troppo grande -un giorno l'avrei coperta con un tatuaggio- da tempo ormai non sentivo alcun fastidio; quella cicatrice ormai era solo un simbolo che nascondeva tutto il dolore interno, quello sofferto nel corso degli anni. 

Perché quella cicatrice era il segno del tempo. Il segno del tempo che passava, delle cose che cambiavano, della vita che peggiorava. "Il tempo guarisce le ferite" dicevano, ma per me non era stato così. Avevo otto anni all'epoca ma ricordavo tutto perfettamente come se non fosse passato neanche un giorno, e lo testimoniò il brivido lungo la schiena formatomisi in quei secondi di pensiero rivolti a quelle scene. Da quando lui mi aveva lasciato quei segni cercavo di non pensarci troppo, cercavo di focalizzare i ricordi ad altri momenti perché non volevo odiare una persona morta. Ma in momenti come quello che stavo vivendo non potevo evitare di pensarlo. Mio padre aveva segnato per sempre il mio tempo, la mia pelle, la mia vita. Era lui l'origine del mio odio verso gli uomini, verso gli affetti in generale. Ma nonostante quel particolare non riuscivo ad affibbiargli tutta la colpa, cosa che invece facevo con la persona in quel momento accanto a me con gli occhi fuori dalle orbite per la ferita mostratole. Lei non sapeva di quelle cicatrici e forse non sapeva neanche del male fisico provocato da mio padre. Ma certo, come poteva esserne a conoscenza se lei non c'era? Lei non c'era mai stata quando avevo avuto bisogno di lei. Lei non esisteva nella mia vita.

« L'uomo che credevi si fosse preso le responsabilità una volta rimasto solo, passava invece il suo tempo ad ubriacarsi e colpevolizzarmi di essere uguale a te. Mi picchiava, mi faceva del male credendo di punire te in quel modo. » 

Lo vedevo. Lo vedevo il dolore sul suo volto una volta scoperta la verità, eppure non m'interessava. Le dissi di tutto il male che Luis mi aveva fatto. Teresa doveva ricevere almeno la metà del dolore che avevo subito io. Le raccontai di quei ricordi ed io mi sentii vuota, senza emozioni. Ma nel rivelarle tutti i dettagli non ebbi la soddisfazione che immaginavo. Non volevo soffrisse, io non ero come Luis. 

« Kate non mi ha detto nulla... » riuscì solo a sussurrare ancora scossa per quello che le avevo mostrato e detto. Sembrava non si fosse neanche accorta di aver parlato ad alta voce. 

« Kate, zia Kate? Cosa c'entra lei adesso? Cosa doveva dirti?!? Appena la conoscevi... » aggrottai la fronte e chiesi cercando di capire. Nel frattempo avevo abbassato la felpa, ricomponendomi. Ero riuscita anche a calmarmi. Nonostante non provassi piacere a farle sentire il mio dolore, mi aveva fatto bene urlare, sfogarmi contro la fonte dei problemi. 

« È quello che stavo cercando di dirti prima » dopo un respiro d'incoraggiamento continuò «ecco, vedi... io... dopo aver saputo della morte di tuo padre ho contattato Kate, le ho rivelato tutte le mie paure, il mio timore nel ripresentarmi davanti alla tua faccia perché volevo farlo.. credimi, ma non sapevo da dove cominciare, come approcciarmi a te così le ho chiesto una mano, ma lei si è rifiutata di aiutarmi e anzi mi ha impedito di vederti. Diceva che tu non volessi più avere a che fare con me, che già avevi sofferto abbastanza, quindi mi ha avvertita che semmai avessi provato ad avvicinarmi a te anche solo da lontano mi avrebbe rovinata. E sai... sai che lei ne è capace, tra l'altro aveva possibilità e prove visto il mio passato discutibile. Nonostante questo, i primi tempi ho insistito, mi sono presentata davanti la nostra vecchia casa con l'intenzione di venirti a parlare o almeno di osservarti da lontano.. mi sentivo sporca ed ero preoccupata per te che già ne avevi viste troppe, ma lei aveva incaricato alcune persone di prendersi cura di te e soprattutto di tenermi lontana da te qualora mi fossi presentata davanti la tua faccia e...»

« No okay, questa storia è già abbastanza assurda fino a qui. Smettila. Non continuare ti prego, basta così! » la bloccai incredula e disgustata per la marea di menzogne fuoriuscite dalla sua bocca.

Quindi era questo quello che era diventata. Da prostituta a bugiarda, di male in peggio; complimenti a lei davvero. 

« Sapevo non mi avresti creduta, è comprensibile che non ti fidi di me. Ma di tua zia Kate ti fidi, giusto?!? Chiamala pure, è giusto che tu sappia la verità ».

Quella sua richiesta mi sorprese. Sentii una fitta tra il cuore e lo stomaco dolorosissima perché mi colpì una strana consapevolezza. E se quei discorsi assurdi non fossero nient'altro che la verità? Una bugiarda non sarebbe arrivata a tanto, non mi avrebbe detto di chiamare per scoprire la verità se non fosse stata sicura dei fatti rivelati. 

E se zia Kate mi avesse mentito per tutti quegli anni, come l'avrei presa? Si aggiunsero altre domande senza risposta che girovagarono senza sosta nella mia mente confusa. 

Ero esausta, senza forze, non ne potevo più di combattere; così decisi di scoprire la verità senza girarci troppo intorno. Presi il cellulare dalla tasca posteriore dei miei jeans e composi il numero di zia Kate. 

Uno squillo, le mani sudate.

Due squilli, l'ansia allo stomaco.

Tre squilli, il cuore in gola.

Quattro squilli « Miki? Ehi come va? Pronta per tornare? » lei rispose tranquilla mentre io sentivo improvvisamente un senso di nausea derivata dalla troppa ansia di quel giorno maledetto.

Volevo parlare ma non avevo voce. Volevo chiederle spiegazioni ma non trovavo il coraggio.

« Miki stai bene? » continuò zia Kate dall'altra parte del telefono probabilmente dopo aver sentito il mio respiro accelerato e rumoroso. 

Guardai il volto di Teresa preoccupato e vidi come il tempo aveva lasciato i segni anche su di lei. Era invecchiata, ma non troppo. Le stava bene qualche ruga in più, le dava un'aria più matura. L'ammirai per la sua bellezza naturale; non si direbbe visto il suo vecchio lavoro ma aveva sempre avuto un'espressione ingenua, dolce, giovanile, un viso da invidiare e continuava a mantenere la stessa espressione anche dopo otto anni.

« Ehi Miki? » zia Kate continuava a chiamarmi, così presi un po' di coraggio, chiusi gli occhi e mi decisi a parlare:

« Dimmi che non è vero... » riuscii a malapena a dire.

« Cosa? Miki vuoi dirmi cosa sta succedendo? » immaginai la sua espressione aggrottata. 

« Ah questo forse dovresti spiegarmelo tu.. » non seppi il motivo, ma in cuor mio a quel punto sentii che Teresa mi aveva raccontato la verità e non riuscii ad evitare un tono di voce duro nei confronti di zia Kate.

Rise non capendo a cosa mi riferivo « Certo che sei incredibile. Non ci vediamo da cinque gior... »

« Sei stata tu ad allontanare Teresa dalla mia vita? » interruppi le sue supposizioni futili andando dritta al punto. 

Ero riuscita a zittirla solo con quella domanda. 

"Chi tace acconsente", dicevano dalle mie parti. 

Dopo circa un minuto sentii un sospiro lungo provenire dall'altra parte del telefono « Chi... chi te l'ha detto? » esitò. Per una delle poche volte nella sua vita, esitò. Da sempre era lei quella sicura, austera, tendeva a mantenere anche nella vita il tipico comportamento da avvocato. 

« In casi come questo non è indispensabile conoscere il peccatore ma basta il peccato, non credi? » la mia era una calma apparente. La calma prima del disastro, la quiete prima della tempesta. Reagivo stranamente in alcune situazioni, al contrario di come ci si aspetterebbe. 

« Teresa, vero? L'hai incontrata lì... ma certo » sussurrò incredula e direi sconfitta.

« Zia ma la smetti? Dimmi cosa cazzo hai fatto in questi otto anni. Dimmelo! » sbottai. L'inizio della mia tempesta era vicino. Non le piaceva che mi rivolgessi in quel modo nei suoi confronti, ma non m'importava. Non più. Ero legittimata ad essere furiosa con lei dopotutto.

« Non è facile come credi, dopo tutti questi anni... Molte volte avrei voluto parlartene, non ho mai trovato il coraggio, non volevo soffrissi... ma in cuor mio sapevo sarebbe arrivato il momento del tuo confronto con lei prima o poi. » 

Tutti sembravano sapere cosa mi avrebbe fatto soffrire e cosa mi avrebbe fatto stare bene. Tutti decidevano al posto mio, ma nessuno trovava il coraggio di parlarmi. Ma qualcuno aveva mai pensato realmente solo e soltanto a me? Qualcuno aveva mai conosciuto la vera me prima di sparare sentenze su cosa fosse giusto per me e cosa invece non lo era? La risposta era negativa, evidentemente. 

« Rispondi a quello che ti ho chiesto senza tergiversare per fav... »

« Sì... » m'interruppe sospirando nuovamente. 

« ... Ma è una storia lunga. Vedi... io non volevo tu soffrissi per colpa sua. Conoscendola ti avrebbe abbandonata nuovamente, non era una degna madre per te. Ed io... ho pensato a te quando ho deciso di non fartela incontrare, ho pensato a proteggerti ma la storia è più complicata di come sembra. Senti.. » si fermò per qualche secondo per respirare, sembrava scombussolata « ne possiamo parlare quando torni? »

Il mondo mi cadde addosso per l'ennesima volta quel giorno. Teresa mi aveva detto la verità. Zia Kate mi aveva mentito per otto dannati anni. Bastava un attimo per distruggere anni e anni di convinzioni, attribuzioni di colpe, odio, rabbia. In un battito di ciglia erano mutati i ruoli. Zia Kate era divenuta l'artefice del mio dolore.

Incredibile ma vero. La mia tutrice legale, l'unica persona rimasta accanto a me era nello stesso tempo la persona che più mi faceva soffrire. Mi aveva tenuta lontana dalla verità senza scrupoli e non era stata capace di rivelarmi tutto quel che c'era dietro. 

Teresa aveva le sue colpe. Mi aveva abbandonata e cercata solo due anni dopo, solo quando era venuta a conoscenza della morte di Luis, il mio donatore di sperma; quando ormai le cicatrici che avrebbero segnato il mio tempo erano ben salde sulla carne. Eppure improvvisamente non riuscii più ad odiarla come avevo continuato a fare per tutto quel tempo. Il mio odio, la mia rabbia si divise tra lei e zia Kate in un breve istante.

Zia Kate. Forse era lei la persona che mi aveva fatto più male di tutte. Perché lei c'era stata. Lei c'era stata quando scoppiavo a piangere al telefono, quando avevo gli incubi la notte. Lei c'era stata quando ancora piccola cercavo mia mamma, quando mi chiedevo dove fosse, se mi stesse pensando. Improvvisamente tutto il quadro mi fu chiaro. Compresi la freddezza di zia Kate in quelle situazioni, non aveva mai speso una parola di consolazione, non mi aveva mai fatto sperare in un suo ritorno, anzi al contrario continuava a dirmi che io non avessi bisogno di una mamma come Teresa. Quando viaggiava continuamente tra Francia e Italia era per assicurarsi che Teresa continuasse a stare lontano da me. Tutto fu più limpido. Finalmente ebbi le idee chiare sui suoi comportamenti. Non era il suo carattere freddo a farla reagire in quel modo davanti alla mia disperazione; quelle sue reazioni erano semplicemente verità nascoste, menzogne, conoscenza di fatti a me ignoti. 

Non sapeva delle cicatrici, del male che Luis, suo fratello, mi aveva fatto eppure conosceva tutto il resto.

« Co... C-come hai potuto? Sei una stronza, bugiarda! » riuscii a pronunciare di getto prima di chiudere la chiamata e lanciare il cellulare con forza che sbatté sul pavimento di quella casa lussuosa. 

Mi portai entrambe le mani sul viso e poi le trascinai fino ai capelli tirandoli in senso di frustrazione. La mia intera vita era stata costruita su una menzogna. Che schifo!

Non avrei voluto sentir parlare di zia Kate almeno per qualche altro giorno. Era una bugiarda. 

Non guardai più Teresa, non vidi se si mosse, non ne avevo più le forze. Mi diressi verso il divano bianco di quella stanza e mi lasciai cadere a peso morto. E morta lo ero un po' per davvero. Morta come lo era la mia anima dopo quelle rivelazioni, dopo tutte quelle emozioni negative. Poggiai i gomiti sulle gambe e mi portai le mani davanti alla faccia.

Ero disperata ed incredula. Stavo di nuovo provando quel dolore, quel senso di smarrimento, di abbandono. E poi c'era il sentimento di odio e poi c'era quella rabbia che sovrastavano tutti gli altri. Tornai indietro negli anni e quella ferita, quella cicatrice si riaprì. 

Era il segno del tempo che trascorreva ma che nello stesso tempo lasciava ancorati al passato, perché per quante maschere avessi potuto indossare, per quanto potessi dire che più nulla mi avrebbe scalfita, mi ritrovavo di nuovo al punto d'inizio. Senza andata e né ritorno, lì bloccata in quel circolo vizioso. Sembrava quasi ci fosse una strana legge che m'imponesse di non poter chiudere le porte con il passato, una legge della natura che mi ordinasse di non poter vivere e ricominciare perché il passato prima o poi si sarebbe ripresentato rivelandomi pezzi mancanti di quel puzzle infinito che era la mia infanzia. 

L'ansia si ripresentò insieme ai respiri scostanti ed affannati come se avessi corso una maratona.

E scoppiai inevitabilmente in lacrime. Era appena iniziata ufficialmente la mia tempesta. Le emozioni che trattenevo nel mio corpo ormai da qualche ora, fuoriuscirono tutte in un colpo insieme alle mie lacrime annunciando un disastro imminente. Ecco perché odiavo reagire in quel modo alle varie situazioni. Trattenevo, trattenevo e poi scoppiavo.

Sentii qualcuno sedersi accanto a me. Sapevo chi fosse ma non avevo più la forza di scacciarla e forse neanche la volontà. Poggiò una mano sulla mia spalla in segno di conforto ed io mi lasciai cullare dalle sue braccia. Con ancora le mani sul volto posai la testa sulle sue di spalle e continuai a piangere, a disperarmi. 

Avevo abbassato tutte le difese, ero appena tornata ad essere una bambina. Mi sentivo patetica. Non dovevo mostrarmi a lei in quelle condizioni, lei mi avrebbe fatto soffrire ancora. Eppure in quei minuti fu quasi rassicurante sentirmi accarezzare i capelli dalla sua mano delicata. 

E fui egoista. Decisi di fermare i pensieri negativi e i problemi, di rimandare ogni cosa, avrei avuto altro tempo per urlarle contro tutto il male che mi aveva provocato. Sebbene non me ne rendessi conto mi era mancato incredibilmente il calore materno, quella rassicurazione che solo una mamma poteva dare. Per tutto quel tempo avevo mentito a me stessa dicendo di stare bene in solitudine. Non era vero. Mi era mancata la sensazione di avere il cuore leggero, spensierato. 

Le carezze di Teresa come l'effetto di un tornado avevano spazzato via ogni dolore, smisi persino di piangere. 

Avevo di nuovo una mamma. Mamma Teresa. La mia mamma era tornata.

In cuor mio sapevo fosse una presenza e stabilità temporanea, ma a me andò bene così. 
 

 

***


La Signorina Lamberto quando le avevo chiesto il permesso di uscire per tre ore -prima di dirigermi a casa di Teresa- mi aveva imposto di tornare in albergo per l'ora di cena. In realtà nei giorni precedenti, prima di aver disobbedito ai suoi ordini quelle ore seriali dovevano essere libere e avremmo potuto sfruttarle come meglio credevamo, ma quella regola era stata eliminata dopo aver distrutto la fiducia di Stefania. A dir la verità io ero la sua preferita, aveva una certa simpatia nei miei confronti forse dovuta al giusto rispetto che le mostravo, ma fatto stava che mi aveva concesso il permesso di uscire con la sola condizione di ritornare in hotel per le ore venti e trenta. Non volevo approfittare della sua disponibilità così dopo aver superato la mia crisi di pianto momentanea, mi alzai da quel divano bianco di casa Duval e mi diressi verso la porta d'uscita.

« Siamo arrivati.. » sentii una voce snervante ma inconfondibile provenire dall'entrata, quando ancora mi trovavo sulla soglia della porta nella stanza in cui mi aveva portata Teresa. 

Bloccai la mia camminata e diventai un pezzo di ghiaccio, persino mia madre lo notò e mi guardò con un'aria di chi la sapeva lunga. Non sapevo cosa sapesse, ma in quel momento sembrava conoscesse i retroscena almeno in parte e non riuscii a capire come e per quale motivo.

« Oh bene, bene. Tutte le sorellastre riunite. Se mi aveste avvertita prima mi sarei preparata per l'occasione » la voce d'oca di Debrah si fece sempre più vicina fino ad essere difronte alla mia figura. Era affiancata da Flora ignara della malvagità della sorella.

Non risposi, la guardai semplicemente di sbieco, incrociai le braccia sullo stomaco ed assunsi un'espressione quasi disgustata fino a quando dietro di lei non spuntò la figura imponente di Castiel che mi fece ricadere le braccia lungo il mio corpo e per la sorpresa strabuzzai gli occhi. 

Cosa ci faceva lui nella casa di Teresa? Ci era già stato altre volte? Mi nascondeva qualcosa? Mille domande si sovrapposero nella mia mente già sovraccaricata. Dovevo abbandonare quella casa all'istante, sentivo che sarebbe bastato poco per farmi riavere una crisi di nervi e non sarebbe stato il caso davanti quel genere di spettatori. 

Guardai Castiel con la coda dell'occhio per qualche istante ed anche lui mi sembrò sorpreso di vedermi lì. Evidentemente nessuno dei due sapeva quanto invece conosceva perfettamente Debrah, la quale si gustò la scena con un'espressione trionfante. Aveva architettato quell'incontro, ovviamente c'era da aspettarselo. Voleva forse dimostrarmi che lei e Castiel stavano effettivamente ed ancora insieme? Che niente e nessuno li avrebbe separati tantomeno io? Bene, ci era riuscita. Perché l'unica spiegazione alla loro presenza in quella casa poteva essere quella. La loro storia proseguiva talmente seriamente da aver ufficializzato la loro relazione persino con i loro genitori. Magari anche Adelaide l'aveva accettata. 

Non seppi dire esattamente quanti minuti passarono -io sembravo essere nuovamente in uno stato di trance- quando Teresa mi smosse con la sua richiesta: « So che è affrettato, ma ti va di restare a cena? »

Era decisamente troppo affrettato.

Aggrottai la fronte e la guardai, si era avvicinata e aveva parlato con tono basso per non farsi sentire dagli altri presenti. Ma arrivati a quel punto poco importava se ci fossero spettatori o meno. Sicuramente il mio volto era inguardabile per il mio pianto esagerato avuto fino a quindici minuti prima, dovevo avere il trucco colato ed un'espressione distrutta eppure non m'importò. Vi erano ben altre cose più pesanti di cui gli altri presenti in quella casa avrebbero dovuto vergognarsi. Debrah stava con Castiel solo per ridiventare famosa e passava il suo tempo a ricattare la gente, Castiel da depravato qual era aveva filmato i suoi atti sessuali e commesso altri reati, era un deficiente già solo per il fatto di stare con una come Debrah, amava una donna superficiale e maligna; Teresa era un ex prostituta che aveva abbandonato la propria figlia per inseguire una vita felice. Flora, la cui unico peccato pareva essere quello di esser nata in una famiglia disastrosa, era l'unica con peccati meno gravi. Quindi un po' di trucco colato ed un'espressione distrutta non erano poi così gravi come potevo ritenere essere fino a qualche tempo prima. Un tempo m'importava troppo del mio aspetto e di come potevano vedermi gli altri, da quel giorno non più.

« No, direi che per oggi può bastare. Ho bisogno di stare sola » le risposi con ancora la voce rotta, forzai un sorriso finto e senza aspettare ulteriore risposta mi diressi verso la porta d'uscita. 

Castiel non mi aveva salutata ed io non avevo salutato lui. Andava bene così. Doveva per forza andare bene così. 

« Ciao Miki, spero ci vedremo presto, magari in occasioni più felici di questa » mi affiancò Flora quando ero quasi alla porta. 

Mi sorprese avvicinandosi troppo, dandomi un bacio sulla guancia e sparendo subito dopo in un'altra stanza. Non ebbi il coraggio e la forza di allontanarla. Era stata delicata, non invadente ed innocente, un atteggiamento tipico di una bambina felice e forse troppo matura per la sua età. Sorprendentemente mi fece piacere quel contatto, iniziavo già a tollerare la sua presenza. 

Quanto a Teresa: non conoscevo ancora i sentimenti nei suoi confronti. Non l'avevo perdonata era impossibile da fare in poche ore. Non potevo cancellare gli anni di solitudine, di dolore, di ferite. Avevo solo iniziato a tollerare la sua presenza. Poco prima mi ero lasciata coccolare dalle sue carezze semplicemente per debolezza, egoismo, necessità. Volevo provare sulla mia pelle cosa significasse avere una mamma. Era una sensazione bellissima, quasi di liberazione ma passato quel momento il peso di quegli anni, il peso dei suoi errori era ritornato a gravare sulle mie spalle. Però in un certo senso ero contenta che lei non mi avesse dimenticata. Aveva fatto degli sforzi per rivedermi anche se a parer mio avrebbe potuto insistere maggiormente. Zia Kate le avrebbe concesso di rientrare nella mia vita se solo avesse insistito di più, ne fui sicura. Ero quasi tentata di rendere partecipe Teresa di quei miei pensieri, ero quasi tentata di chiedere ulteriori spiegazioni, ma per il momento non volevo pensarci. Per quel giorno avevo ottenuto già troppe informazioni e sorprese. 

Poteva bastare così.

« Ci rivedremo? » mi chiese speranzosa Teresa. Quasi mi fece tenerezza. 

Era tutto molto confuso. Stavo provando emozioni inimmaginabili per la donna che non avevo frequentato e vissuto per tutti quegli anni.

« Ti cercherò io quando sarò pronta » accennai un sorriso sincero, mi voltai, feci qualche altro passo ed abbassai la maniglia della porta per uscire finalmente da quell'appartamento che pareva avermi risucchiato tutte le energie.

« Ah Micaela... » avrei potuto sciogliermi per quanto dolce ed incerto era il suo sussurro. 

L'istinto mi suggeriva di voltarmi ed abbracciarla come, seppur lo nascondessi, volevo fare da anni. Ma per fortuna feci vincere la ragione e restai incollata al pavimento come un pezzo di ghiaccio. Non potevo annullare del tutto le distanze, non ancora. Avrei sofferto troppo.

« ... Un'ultima cosa » ero bloccata sulla soglia della porta le davo le spalle e così continuai a fare; non mi voltai per sentire cos'altro aveva da dirmi, non ne avevo più le forze.

« Non allontanare Castiel, non fare il mio stesso errore, lui ci tiene a te più di quello che vuole dimostrare. »

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** AVVISO ***


Avviso




Ciao a tutti,
parto dal fatto che questo non sarà un capitolo nuovo ma solo un avviso importante. Non volevo illudervi, non volevo essere cattiva ma non sapevo come altro contattarvi per dirvi ciò che ho da dire e quindi mi trovo costretta ad usare questo metodo. 

So che siete rimasti in pochi a seguirmi, me ne accorgo dalle visualizzazioni che sono praticamente dimezzate, il che è normale dopo tanti anni, non sono qui per lamentarmi. Ma nonostante questo ho ritenuto leale avvertire su ciò che ho deciso, quei pochi di voi ancora rimasti qui a sostenermi e a seguire la storia. 

Non abbandonerò la storia, anzi non vedo l'ora di portarla a termine.
Ma come ormai tutti sapete ho avviato l'opera di revisione.
Inizialmente avevo deciso di farla in contemporanea alla scrittura dei nuovi capitoli,
ma con il passare dei giorni mi sono resa conto di non riuscire a gestire bene
entrambe le cose. Cioè rischiavo di fare male una delle due cose e non posso permettermelo ora come ora. 
Per fare la revisione ho dovuto rileggere tutti i capitoli e rileggendo mi sono resa conto ancor di più di quanto i capitoli originari, postati dal 2013 in poi, fossero davvero davvero
lontani dalla svolta che vorrei dare alla storia in futuro. 
Alcuni dati o fatti scritti erano surreali e non riesco proprio a lasciarli in quel modo 
mentre scrivo indisturbata i nuovi capitoli. 
Insomma... mi vergogno troppo di come scrivevo un tempo. 
Ora non sono bravissima, ma di sicuro non sono pessima come prima 
e se prima ciò che scrivevo era illegibile, 
ora perlomeno scrivo qualcosa di leggibile. 

Quindi, detto questo vi comunico che ho deciso di fermarmi nella scrittura 
dei nuovi capitoli e di dedicarmi totalmente alla revisione 
fino a quando non finirò di riscrivere quelli illegibili. 

Mi dispiace e chiedo scusa a coloro che mi seguono da tutti questi anni 
e hanno dovuto sorbirsi i miei cambiamenti, le mie pause lunghe, le mie crisi. 
Ma ringraziando il cielo dopo tanti anni ho sviluppato uno spirito di critica 
e credo di esser maturata almeno un minimo, 
quindi non me la sento proprio di revisionare la storia e nello stesso tempo 
di scrivere il seguito lasciando le cose a metà e fatte male.

Avevo anche iniziato a scrivere il capitolo 28 ma 
non ce l'ho fatta a continuarlo. Ormai il mio chiodo fisso
è quello di cambiare e migliorare 
i primi 15 capitoli (più o meno) della storia.

In questo modo, quando terminerò la revisione avrò anche le idee più chiare sul seguito. Questo lavoro non dovrebbe prendermi più di due mesi.
 Ho già pubblicato i primi sette capitoli di Ubriaca d'amore, revisionati. 
Sono fiera del lavoro che sto facendo e se non l'avete già fatto 
vi chiederei per favore di andare a rileggere quei capitoli. 
Credetemi sono totalmente diversi da quelli originari e sicuramente migliori. 
Voglio lasciarvi qualcosa di positivo di me e non ricordi di una che scriveva in modo totalmente infantile senza neppure rileggere.

Pubblicherò un capitolo revisionato a settimana fatta eccezione per la prossima... Che riuscirò a pubblicare il capitolo 8 solo dopo il 25 Febbraio. 

Poco fa ho pubblicato il capitolo 7 revisionato. 
Rileggete, ve ne prego. 

Grazie mille per l'attenzione. Vi chiedo solo un po' di pazienza e supporto.
 
Ci tengo alla vostra opinione. 
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo mio lavoro.

Ripeto: Mi dispiace dovermi fermare di nuovo ma non
posso fare altrimenti. Scusate ancora.

Un bacio, a presto
Blue <3

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** CAPITOLO 28: Il giardino in terrazza ***


RICAPITOLANDO

 

-Debrah raggiunge Castiel a Roma e si scopre che lei è la figlia di Marcel, l'uomo sposato con Teresa, la mamma di Miki. Quindi Miki e Debrah hanno una sorellastra in comune, Flora (figlia di Marcel e Teresa).

 

-Dopo vari ripensamenti Miki decide d'incontrare Teresa, sua mamma, recandosi a casa della donna, per sputarle in faccia una volta per tutte ciò che Miki le ha sempre voluto rimproverare. Ma le cose vanno diversamente. Alla fine Miki viene a sapere che Teresa non è sparita di sua spontanea volontà ma che è stata minacciata da sua zia Kate di starle lontano. Per la maggior parte degli anni, dopo aver saputo della morte di Luis (padre di Miki), Teresa si reca spesso sotto casa di Miki per osservarla, per cercare di parlarle, ma è sempre stata bloccata da qualcuno incaricato da Kate di non farla avvicinare alla ragazza.

 

-A Castiel arriva un messaggio di rimprovero e rabbia -da un numero non presente nella sua rubrica- di aver messo incinta qualcuna. Sarà vero?

 

-Adelaide, la mamma di Castiel, ha un tumore e deve intervenire presto prima che sia troppo tardi. Inizialmente per il timore di come potesse reagire il figlio, chiede a Miki di rivelargli lei quella verità amara, ma poi ci ripensa e decide che parlerà lei stessa al figlio quando rientrerà dal viaggio di Roma. Come la prenderà Castiel?

 

-Miki e Castiel subiscono un ricatto da Debrah per cui: Castiel dovrà tornare insieme a Debrah, Miki dovrà stare lontana da Castiel. Se non rispetteranno i patti Debrah mostrerà dei video compromettenti di Castiel alla polizia. Nè Miki e né Castiel sanno che entrambi sono stati raggirati dalla malvagia Debrah, ognuno prova a stare lontano dall'altro a modo suo, ma non sempre ci riescono. Debrah minaccia Castiel che se non starà lontano da Miki le dirà della copia del diario segreto nascosta nel cassetto della stanza del rosso. Cosa accadrà se Miki lo scoprirà?

 

-Debrah nello stesso ricatto aggiunge anche il desiderio di voler diventare famosa facendo la pubblicità di Rabanne al posto di Miki. Per cui sia a Miki che a Castiel viene obbligato di convincere lo stilista a cambiare i suoi piani. Ci riusciranno?

 

***

 

Note Autrice

 

Ebbene sì, non è un miraggio ma questo è un nuovo capitolo di UBRIACA D'AMORE, TI ODIO!Come avevo promesso sono tornata realmente. Mi piace essere fedele e ciò che prometto, mantengo.

 

E dopo 9 mesi da quando ho annunciato di fermarmi per dar spazio alla revisione della storia, finalmente posso dire di avercela fatta. È stata dura, alcuni capitoli mi hanno fatta penare e vergognare, non pensavo di scrivere così male. (Non che ora scriva bene, ma perlomeno sono migliorata un minimo rispetto a quattro anni fa). Quindi, per chi ha voglia può andare a leggere i capitoli precedenti, finalmente sto iniziando ad essere un po' più fiera del mio lavoro. Vi assicuro che ora è tutt'altra storia. Mi sono trovata costretta a cambiare dialoghi e alcuni aspetti, ovviamente la trama è uguale, non potevo cambiare più di tanto sebbene qualche avvenimento tutt'ora mi stia sulle balls e se tornassi indietro farei andare alcune cose diversamente.

 

Ci tenevo a fare questo spazio autrice prima del capitolo perché ho maggiormente la vostra attenzione.

 

Allora, in questi mesi sono cambiate un po' di cose. Come ho detto più volte sto pubblicando la storia anche su Wattpad e diciamo che lì mi sono resa conto delle realtà leggermente diverse rispetto a EFP. Per questo mi sono ritrovata -ad un certo punto- a dover dividere i capitoli in due parti. I contenuti sono identici a quelli di EFP, ma lì per i modi di lettura e per visione delle cose mi sono ritrovata a dover raddoppiare i capitoli e quindi la storia risulta essere al capitolo 38, mentre qui al 28. Ma non temete sono le stesse e identiche parole di questi capitoli, c'è stato solo un copia e incolla.

 

Per tutti questi motivi da oggi in poi anche i capitoli che pubblicherò qui saranno leggermente più corti, ma pubblicherò ogni 10 giorni. Voglio assolutamente portare a termine questa storia e tenermi stretta quei pochi lettori che mi hanno aspettata per tutto questo tempo.

 

A proposito grazie a tutti voi per la pazienza, grazie per qualche messaggio che in questi mesi mi avete mandato per incoraggiarmi. Siete speciali <3

 

Detto ciò vi lascio finalmente al capitolo. Spero vi piaccia..

 

Fatemi sapere cosa ne pensate di questo mio ritorno, se siete felici, se è stato con il botto o se al contrario non volevate più avere mie notizie xD

 

Buona lettura

 

Blue <3

 

 

*****


Capitolo 28

Il giardino in terrazza

 

 

 

🎶 Ed Sheeran - kiss me 🎶 (consiglio l'ascolto durante il Miki's Pov)

 

***




TERESA

Avevo commesso molti errori nei miei trentacinque anni di vita. Troppi peccati. Poche opere buone e giuste. Forse un giorno sarei stata punita per quello, forse sarei finita all'inferno, forse no, eppure avrei cambiato pochissimi aspetti della mia esistenza. 

Avrei continuato a ringraziare per sempre Dio per avermi donato la possibilità di avere due figlie.

Già... Le mie due figlie; due delle cose migliori che potessi fare nella vita. Avevo messo al mondo due creature meravigliose. L'unico aspetto che avrei con tutta me stessa desiderato cambiare di quei due momenti della mia vita, era l'allontanamento di una di loro. 

Avevo abbandonato Miki, la mia prima figlia, quella piccola e sfortunata bambina dal volto tanto simile al mio ne aveva subite tante d'ingiustizie per colpa mia. Se solo l'avessi portata con me, se solo avessi avuto il coraggio di lasciare suo padre a marcire da solo, senza nessuno, lei sarebbe cresciuta diversamente. Sarebbe cresciuta nell'affetto, nell'amore di una famiglia normale. E invece no. Da stupida illusa ed egoista avevo creduto che -una volta rimasto solo- Luis si sarebbe rimboccato le maniche, avrebbe smesso di assumere droghe; credevo che l'amore per sua figlia avrebbe superato tutto e invece no. Lui si era permesso persino di segnarla, di picchiarla. Maledetto lui e maledetta me che ignara di tutto mi ero impegnata a costruirne un'altra di famiglia lasciando alla deriva la prima. Quello sbaglio sarebbe rimasto per sempre l'unico peso sulla mia coscienza. Miki non meritava di soffrire. Ed avrei dovuto lottare maggiormente quando sua zia non mi permise di rientrare nella sua vita. Invece bloccata dalla paura di esser punita per il mio passato sporco dopo un anno di appostamenti sotto casa della mia bimba, dopo due anni di preghiere telefoniche alla sua tutrice legale, avevo demorso. Non la cercai più. Che enorme sbaglio, fu quello. 

L'esperienza mi aveva insegnato a vivere senza essere divorata dai lupi. 

Ero cresciuta troppo in fretta, da perfetta ingenua avevo creduto nell'amore di un uomo che non ci aveva pensato due volte a vendere il mio corpo, lui... che avrebbe dovuto proteggerci come se fossimo le perle più preziose esistenti al mondo, ma che alla fine si era rivelato essere il peggiore; lui... il lupo cattivo. Si era permesso persino di marchiare il nostro frutto migliore, il frutto del nostro amore. Aveva provocato cicatrici alla mia piccola Micaela, non potevo fare a meno di rimuginarci su dopo esserne venuta a conoscenza. Non l'avrei mai potuto perdonare, neanche qualora fosse vivo, neanche se fosse morto. Da stupida ingenua qual ero ancora dopo esser diventata la prostituta dei ricchi, avevo creduto che andandomene, lasciando a lui la nostra unica figlia e fonte di gioia, lui avrebbe tirato fuori gli attributi e invece... non si era dimostrato nient'altro che un verme. Credevo l'avesse accudita, protetta dal mondo, cresciuta con l'educazione che insieme non eravamo stati capaci di darle. Speravo che finalmente avrebbe smesso di essere dipendente dall'alcol e dalla droga, da quella robaccia che l'aveva rovinato. Sì perché lui non era un mostro prima di quel momento. Aveva iniziato ad abusare di quelle sostanze all'improvviso, era incominciato tutto per gioco, tutto da dei semplici spinelli, da qualche bottiglia di vodka. Le sere, dopo aver messo a letto Micaela, ci divertivamo insieme a bere e fumare, ma era tutto leggero, fatto per divertimento, per rilassarci. Invece lui non si era saputo fermare. 

Aveva perso il lavoro, aveva terminato i soldi che i suoi genitori morti avevano lasciato per lui, per noi; ed invece di reagire, di lottare accettando un qualsiasi altro lavoro, aveva ben pensato di spendere gli ultimi suoi risparmi in altra droga, quella più pesante, quella che uccideva per davvero. 

Da lì il buio. 

Un suo amico politico che veniva a trovarci sporadicamente, iniziò a presentarsi in casa nostra ogni notte, si drogava insieme a Luis e bevevano, bevevano talmente tanto da imperlare tutto il salotto dell'odore forte di alcol. Io stavo sempre in disparte, ad un certo punto iniziai persino a temere che mio marito potesse farmi del male, non era più in sé. I suoi occhi erano cambiati, i suoi comportamenti nei nostri confronti anche. Non mi coccolava più, non dormiva con me, non facevamo più l'amore. Io l'aspettavo nel nostro letto, attendevo con pazienza che mandasse via quel suo amico, ma accadeva solo all'alba. 

Micaela all'epoca aveva solo quattro anni.

Una sera commisi l'errore di restare nel salotto insieme a loro, volevo cercare in qualche modo di svegliare Luis da quel suo stato d'incoscienza solo con la mia presenza, ma non accadde. Anzi... fu lui a farmi entrare nel suo nuovo mondo fatto di perdizione. Partì tutto dai complimenti ricevuti dal suo amico sul mio corpo, dal posare le sue mani viscide sulle mie gambe, dalle parole tranquillizzanti di Luis, dalla proposta d'includere anche il suo amico nel nostro amplesso sessuale. Io mi rifiutai quella maledetta sera e forse mi drogò perché il mattino dopo mi ritrovai sul letto, nella stanza degli ospiti, completamente nuda tra le braccia di un altro che non fosse il mio compagno. Tra le braccia di un vecchio riccone depravato, tra le braccia di qualcuno in cui lo stesso Luis mi aveva spinta. Provai ribrezzo per me stessa, per l'uomo che credevo mi amasse con tutto se stesso.

E fu quando quel presunto amico di famiglia lasciò quella stanza che il mio cuore cadde a pezzi -sulla pavimentazione di quella casa improvvisamente fredda- fece rumore ma nessuno se ne accorse. L'uomo dalla corporatura robusta e dai capelli bianchi sganciò una banconota da 100 a Luis, sull'uscio della porta, per la mia prestazione sessuale. Un amplesso di cui io non ricordavo nulla. 

Perché il mio primo e grande amore mi aveva drogata e venduta per soldi. Perché io restai ferma, inerme senza muovere un dito. Lasciai solo il permesso a delle lacrime di solcare il mio volto stanco, incredulo e deluso. 

Perché quella mattina segnò la fine e l'inizio di tutto. L'inizio del mio lavoro, la fine del mio sogno, della mia illusione di avere una famiglia felice.  

«Abbiamo bisogno di soldi, da oggi verranno a trovarci persone di spessore, gente che conta, tu farai tutto ciò che loro ti chiederanno e alla fine mi pagheranno. Tutto resterà tra le mura di questa casa, nessuno dovrà sapere chi verrà qui e che lavoro farai. Sarà un segreto. E tu farai tutto questo per noi, vero?! Perché tu non vuoi che io muoia, giusto?! Se mi vuoi qui con te, se vuoi che io sopravviva... devi farlo. Ho bisogno delle mie medicine!» mi disse semplicemente per introdurmi a quel nuovo stile di vita che mi avrebbe marchiata in eterno. E lui per medicine intendeva la droga, era diventato un tossicodipendente, ma all'epoca ero troppo ottusa per capirlo. 

Ero ancora troppo ingenua, piccola, troppo stupida e innamorata per accorgermi che quelle sue parole non erano nient'altro che una manipolazione psicologica, parole dette appositamente per indurmi a diventare una prostituta. Quale compagno e padre sano di mente avrebbe fatto una cosa di quelle?

Fu quello uno degli sbagli peggiori della mia vita. Accettare, sottostare ai comandi di un uomo accecato dal bisogno di drogarsi e bere, di un uomo viziato dai suoi genitori benestanti, un uomo che aveva sempre avuto tutto e che non aveva alcuna aspirazione nella vita, alcuna voglia di lavorare. E così aveva ben pensato di far fare a me il lavoro sporco. 

Per quale motivo avevo assecondato la sua folle richiesta? Per amore, o stupidità? Fragilità, o paura della solitudine? Timore di esser sbattuta fuori casa? Probabilmente per un mix tra tutti quei fattori. 

Eppure non ero riuscito a salvarlo... Era quello un altro aspetto che rimproverai a me stessa. Non avevo neanche tentato di salvare la nostra famiglia, avevo semplicemente acconsentito a tutte le sue richieste dando il via, in quel modo, alla rovina di Luis e al crollo del nostro amore. 

Quello, insieme ad altri fattori mi avevano spinta a consigliare Micaela, mia figlia, di non lasciarsi sfuggire Castiel. Lo conobbi quel poco che bastava per inquadrarlo. Era un tipo scontroso, fanatico, a tratti scostumato eppure avevo avuto l'impressione che ci tenesse a Miki più di quanto volesse ammettere. Fare la prostituta, gli anni di esperienza in quel lavoro mi avevano insegnato a conoscere gli uomini in tutte le loro sfaccettature. Conoscevo i loro desideri, le loro paure, le loro fragilità, i loro punti di forza e con il tempo avevo imparato a leggere nei loro occhi e nei loro gesti ogni loro aspetto. Ero diventata furba, e usavo la mia astuzia come forma di difesa. Quel lavoro mi aveva cambiata totalmente. Anche con Castiel avevo agito così come tendevo a fare con i miei clienti per conoscerli. 

-


Una sera prima

La sera prima della visita di Miki a casa mia, fissai un appuntamento per chiacchierare con il ragazzo dai capelli rossi. Volevo capire le sue intenzioni, ricevere conferme dai suoi occhi se le mie percezioni sul loro tipo di rapporto fossero esatte o meno. Sapevo di non avere alcun diritto d'intromettermi nella vita di mia figlia, soprattutto dal momento in cui l'avevo abbandonata, ma avevo tutte le intenzioni di riaverla nella mia quotidianità e avrei cominciato con il conoscere una delle persone che più gli stava a cuore. Una mamma sapeva distinguere i sentimenti di sua figlia, conosceva le sue paure, prevedeva le sue mosse anche solo da piccoli gesti, e anch'io non ero da meno con la mia primogenita. L'avevo seguita in tutti quegli anni, l'avevo vista crescere da lontano senza combattere per riaverla ma la conoscevo ugualmente, e quel dato di fatto non sarebbe potuto mutare, bastava quello per scaldarmi il muscolo cardiaco di speranza.

Debrah, sin da quando era rientrata in Francia aveva tentato di riconquistare Castiel, ma a quanto pareva qualcun'altra aveva preso il suo posto, qualcun'altra aveva riparato il cuore distrutto del tenebroso Castiel. Grazie a Flora dopo aver scoperto che la ragazza tanto temuta e odiata da Debrah fosse Miki, mi ero volutamente fatta raccontare tutti i retroscena su quel triangolo amoroso. Debrah si confidava con Flora, erano migliori amiche e sorelle allo stesso tempo; Debrah a causa della sua personalità per certi versi malvagia, non aveva amici e l'unico modo che aveva per sfogarsi, per confidarsi era farlo con sua sorella minore. Perché la mia piccola Flora, nonostante la sua tenera età, era molto più matura degli altri bambini di nove anni. Era una buona ascoltatrice e le storie d'amore intrecciate erano la sua passione. 

Così dopo aver raccolto abbastanza informazioni non persi tempo, recupererai il numero del rosso dal telefono di Flora, preso a sua volta da Debrah, e gli diedi appuntamento dopo cena in un parco.  

«Cosa cazzo vuoi da me?» fu quello il saluto di Castiel, appena mi raggiunse nel parco poco distante dall'hotel dove alloggiava insieme a Miki.

«Ti sembrano questi i modi per rivolgersi ad una signora?» lo stuzzicai. Non mi avevano infastidita le sue parole, grazie ai racconti di Flora ero già preparata al suo carattere scontroso. 

«Non vedo nessuna Signora qui..» quello sì che fu un insulto, ma lasciai correre. Alzai gli occhi al cielo per qualche secondo e poi feci segno a Castiel di accomodarsi accanto a me, sulla panchina dove ero seduta. 

Lui da testardo e perfetto uomo Alpha mi raggiunse, si posizionò difronte a me, ma senza sedersi sulla panchina, restò in piedi. 

Fissando con sguardo intimidatorio la mia figura attese con impazienza di sapere per quale motivo lo avessi voluto incontrare ed io lo accontentai subito «Che genere di rapporto c'è tra te e mia figlia?»

Corrugò la fronte per quella mia domanda, pensava fossero altre le mie richieste, ma avevo già incaricato qualcun altro di convincere Miki a parlarmi, qualcuna che lei quasi odiava.

«Non vedo perché dovrebbe interessarti..» alzò le spalle con nonchalance e poi infilò le mani nella tasca anteriore dei suoi jeans, prese una sigaretta dal suo pacchetto, l'accese e incominciò a fumare senza degnarmi di una risposta. Mi era sembrato di capire che quello era il suo modo di rispondere a qualsiasi domanda. Replicava sempre in maniera vaga, non lasciando mai intendere il suo punto di vista, innervosendo il suo interlocutore. Ma non demorsi, non ero il tipo. 

«Allora Castiel, mettiamo in chiaro una cosa» mi alzai dalla panchina per guardarlo meglio negli occhi «fin quando non mi darai delle risposte sincere non te ne andrai da questo posto, o se lo farai sappi che ti intaserò il cellulare di messaggi e chiamate fino all'esasperazione. Non sarebbe più semplice rispondere senza perdere tempo? Così tu tornerai alle tue cose ed io alle mie!» terminai con un sorrisetto già vittorioso in partenza. 

«Siamo amici» rispose semplicemente sbuffando. 

«Oh... e da quando gli amici si scambiano baci appassionati e si guardano come se si volessero spogliare?!» l'accusai. Flora era a conoscenza di tutto ciò che la stessa Debrah sapeva e di conseguenza anch'io. 

«Visto che sai già tutto, allora evitiamo il siparietto. Dimmi ciò che devi e facciamola finita», aveva intuito come fossi venuta a conoscenza di quegli accaduti. Intelligente, il ragazzo.

«Quali sono le tue intenzioni con lei? Ha già sofferto tanto, non ha bisogno di un ragazzo come te che le dia il KO finale, lei...» 

«Tu» prese la parola interrompendomi puntandomi l'indice contro, espellendo l'ultima boccata di fumo e gettando la sigaretta sulle piccole pietre di quel parco.  «Sei l'ultima persona che può parlare delle sue sofferenze. E poi, anche se fosse.. è lei a dover decidere sulla propria vita, non puoi farlo al posto suo».

«Ci sono cose che tu non sai...» lasciai la frase in sospeso, non avevo intenzione di raccontare proprio a lui i dettagli della mia vita sofferta «Io non ho nessuna intenzione di decidere al posto suo. Questa tra me e te è solo una chiacchierata che ho sentito il bisogno di fare per metterti in guardia. Ho visto come vi guardate, come lei prende la forza da te. Lo ha fatto anche qualche giorno fa appena mi ha vista uscire dalla porta di quel ristorante, ha guardato te, solo te. Come se tu in qualche modo la potessi salvare, come se guardando te sarebbe stata in grado di non cadere.. Quindi ti chiedo di essere sincero con lei, non mentirle, non ferirla, non illuderla. Non lo merita!» parlai con sincerità e serietà.

«Farle del male non è mai stato nei miei piani. Anzi... sto cercando di allontanarla in tutti i modi da me. Io non sono il ragazzo giusto..» un velo di tristezza gli dipinse gli occhi grigi. Proprio ciò che avrei voluto vedere. Ormai mi era tutto chiaro.

«Lascia decidere a lei chi sia il ragazzo giusto, non puoi farlo al posto suo» quasi ripetei lo stesso concetto che lui stesso cercava d'inculcarmi all'inizio del nostro discorso. 

«Ci sono cose che tu non sai...» spostò lo sguardo altrove «le relazioni non fanno al caso mio, mi è già bastato il disastro combinato con la mia prima ed unica storia. Io... non avrei più niente da dare a Miki, sono vuoto. Lei non mi merita, cazzo!» amareggiato ed irritato, il suo apparì quasi come un dialogo con la sua coscienza. Lo sguardo divenne assente, quasi come se io non esistessi. Non mi avrebbe mai parlato così sinceramente, altrimenti. «Si è persino dichiarata, mi ha sputato in faccia quelle parole così vere e sentite, è stata così sincera, disarmante da portarmi quasi ad odiarla. Le piacciono addirittura i miei difetti, mi accetta per quello che sono nonostante il mio carattere di merda. E la odio perché avrei tanto voluto ricambiare ciò che prova, ma non posso... Non mi è permesso. Perché la sfiga mi perseguita, dannazione!» diede un calcio a dei sassi per la frustrazione. Non sapevo fosse in grado di parlare così tanto. Quelle poche volte in cui avevo avuto modo di sentirlo dialogare aveva quasi sempre risposto con frasi brevi, anche l'inizio della nostra conversazione era stata dettata dalla brevità e invece ad un certo punto era scattata qualcosa in lui da spingerlo a sproloquiare, e lo apprezzai. Perlomeno grazie alla sua sincerità avevo iniziato ad aggiungere qualche tassello in più in quella storia contorta.

«Volere è potere» replicai semplicemente racchiudendo tutto il mio punto di vista. 

Quando udì la mia voce quasi si spaventò; come volevasi dimostrare Castiel aveva perso la cognizione del tempo dimenticandosi della mia presenza, era stato così schietto solo perché era scattato qualcosa nella sua mente da fargli dimenticare momentaneamente del mondo circostante.

«Stai dimostrando di essere di un'incoerenza assurda. Fino ad un secondo fa volevi a tutti i costi tenermi lontano da tua figlia, ora vuoi addirittura infondermi coraggio per dichiararmi a lei.. Si può sapere da che parte stai?!» cercò di non mostrarsi destabilizzato per esser stato ascoltato da qualcuno durante il suo dialogo interiore.

«Voglio solo che mia figlia sia felice; se tu mettessi da parte le tue paure, i tuoi problemi forse potresti essere quello giusto».

«Suona strano detto da una mamma che non ha fatto altro che scappare dalla propria figlia uccidendola senza pensare minimamente al suo bene e alla sua felicità», incassai il colpo in silenzio. 

«Proprio per questo voglio cercare in tutti i modi di non far sbagliare lei, te.. L'esperienza, gli errori mi hanno insegnato a non farne altri, mi hanno portata a divenire ciò che sono adesso. Voglio recuperare il tempo perso, voglio finalmente avere il coraggio di chiedere il perdono di mia figlia. Ormai posso, lei deve sapere la verità. Ora è abbastanza grande da sapere distinguerla» decisi di essere anch'io sincera proprio come lui lo era stato con me pochi istanti prima, anche se involontariamente.

E lui con discrezione non mi chiese il motivo di quella frase, restò semplicemente in un mutismo di cui pochi ne erano capaci. Iniziava già a starmi simpatico, il ragazzo. 

Forse Miki aveva trovato la persona che più di tutti avrebbe potuto riempire il suo cuore di sentimenti; forse Castiel aveva trovato la persona giusta per ricominciare a vivere, perché... "Ci vuole coraggio ad innamorarsi, ma ci vuole ancora più coraggio per tornare indietro e riparare quello che si è rotto".

 



MIKI

La sera stessa dell'incontro con Teresa non cenai, non avevo fame. La simpatia che Stefania nutriva nei miei confronti mi aiutò a convincerla a lasciarmi riposare in stanza dopo essermi inventata un malore. Castiel non era rientrato, aveva cenato a casa Duval. Debrah, da degna cocca della preside, aveva ottenuto il permesso di lasciare libero Castiel. La stessa direttrice aveva telefonato alla signorina Lamberto per comunicarglielo; e quindi io mi ritrovavo sola soletta. Ne avevo bisogno, dopotutto. 

Com'era strana la vita, un attimo prima si poteva essere convinti di essere a conoscenza di tutto sul proprio passato ma poi bastava uno sciocco dialogo con qualcuno per ribaltare le cose. Zia Kate era diventata l'antagonista, mentre Teresa l'eroina che aveva pagato per qualche errore ma che nello stesso tempo era stata sincera; ed io da grande stupida ingenua credevo che i ruoli fossero invertiti fino a quel pomeriggio. Non avevo mai dubitato un secondo sulla mia tutrice legale, lei era la mia unica famiglia rimasta. In tutti quegli anni avevo continuato ad essere convinta che mia madre mi avesse dimenticata, che non mi avesse più cercata, e invece...

Nella mia testa erano tanti i pensieri che trafficavano, ad un certo punto mi sentii addirittura soffocare per la confusione. Necessitavo di aria.

Attesi la visita di Stefania -dopo cena- e, dopo essersi accertata che avessi assunto una pillola di antidolorifico per il mal di testa, mi lasciò nuovamente da sola. Cercai nella valigia un cardigan lungo, aspettai il trascorrere di qualche minuto e poi in punta di piedi lasciai la stanza per dirigermi all'ultimo piano dell'hotel. 

Sia Castiel che la signorina Lamberto -qualche giorno prima- mi avevano incuriosita discutendo sul terrazzo dell'albergo vietato ai clienti. Volevo vedere coi miei occhi cosa ci fosse di così pericoloso lassù. Salii qualche rampa di scale e poi eccomi giunta davanti al famoso portone invalicabile. Era bianco, di ferro molto grosso. Sperai dentro di me che non fosse chiuso a chiave e quando abbassai la maniglia le mie preghiere vennero accolte. La serratura era già stata forzata da qualcun altro. Per un attimo fui tentata dalla paura, ma poi la curiosità prevalse così varcai quella porta senza attendere ancora. 

Appena mi abituai al buio della notte fui accolta da un enorme prato di erba sintetica grande quanto tutto il terrazzo, al centro di questo due chaise longue di ferro arrugginite. Ai lati del prato vi erano dei vasi vuoti di fiori e pieni solo di terra, a testimonianza che quel posto non fosse più curato come magari lo era stato tempo prima. Il terrazzo finiva con delle balaustre non troppo alte; non davano l'idea di essere sicure. Forse quella terrazza era stata chiusa per il pericolo di caduta. 

Mi avvicinai al centro del prato, rapita da quel giardino così vicino al cielo. Sebbene fosse consumato dal tempo e dalla mancanza di cure, non avevo mai visto un posto del genere. E mi piacque incredibilmente. La luna piena illuminava tutto lo spazio, Roma insieme ai suoi monumenti faceva da cornice rendendo quella terrazza ancor più suggestiva. 

Chiusi gli occhi facendomi accarezzare dal venticello fresco tipico di Gennaio e finalmente trovai la pace. Liberai la mente; non esisteva più nessuna mamma sconsiderata come Teresa, nessuna zia Kate bugiarda, nessuna Debrah diabolica affamata di successo, nessun ragazzo contorto incapace di accettare i miei sentimenti...

Per la prima volta dopo mesi, o forse addirittura anni, respirai libera senza alcuna angoscia. Faceva bene quella quiete. 

Ma non durò molto. 

All'improvviso un respiro caldo accanto all'orecchio e un profumo con qualche accenno di menta mi avvolsero completamente facendomi salire il cuore in gola. La pelle del collo si accapponò, segno dell'effetto che solo lui era sempre stato in grado di provocarmi. 

«Come hai fatto a trovarmi?» mi sussurrò con il suo solito tono di voce sensuale.

E non ebbi bisogno di voltarmi, il mio corpo lo aveva già riconosciuto dal respiro, il mio olfatto aveva già avvertito il mio cuore.. ma quello batteva ugualmente per conto suo. Aumentò i suoi battiti come sempre accadeva quando lui era nelle vicinanze, e fui sicura che anche lui se ne accorse del tradimento del mio cuore. Era ingiusto. Non avrei dovuto reagire in quel modo, non dopo tutto ciò che era accaduto, non dopo essermi imposta di allontanarmi da lui, non dopo che stare lontani era necessario per evitare guai. 

Maledetto, maledetto ragazzo dai capelli rossi. E maledetto cuore, sempre pronto ad allearsi come mio avversario. 

«Stavamo giocando a nascondino senza che io lo sapessi?» risposi sfacciatamente mentre ripresi a guardare Roma dall'alto.

E lui ghignò. Dovevo stargli simpatica un minimo. 

«Mi spieghi come facciamo a finire per trovarci sempre, io e te?» si posizionò davanti al mio volto, coprendo la visuale dei monumenti che dall'alto riuscivo a vedere e mi fece quella domanda guardandomi dritta negli occhi.

"Mi spieghi come fai ad uccidermi e salvarmi contemporaneamente sempre, con ogni tuo sguardo?"

«Destino?!» replicai incerta. Quando lui mi guardava divenivo interdetta; incapace d'intendere e volere pendevo dalle sue labbra, vivevo grazie alla sua vicinanza, vedevo grazie ai suoi occhi.

Disapprovò con una smorfia buffa quella mia risposta mentre si mosse per sdraiarsi sul prato finto di quel che una volta era un giardino. Evidentemente non credeva nel destino, ma evitò di sprecare parole filosofiche a riguardo. Posizionò il braccio destro sotto la testa, poi con l'altra mano -nelle tasche anteriori dei suoi jeans immancabilmente neri- andò alla ricerca del suo accendino e prendendo una sigaretta dal suo pacco di Marlboro, dopo essersela accesa, fumò. Guardai stregata ogni suo movimento, era sensuale persino nei gesti quotidiani mentre io ero sempre più cotta di lui. Non doveva andare in quel modo, cavolo!

«Per quanto ancora hai intenzione di fissarmi mangiandomi con gli occhi?» sollevò un angolo della bocca per prendersi gioco di me ed io da stupida qual ero arrossii.

«Non permetterti ad usare quest'arma contro di me ora che sai tutto», allusi al fatto che avessi ammesso di provare interesse verso di lui.

«Altrimenti cosa mi fai?» mi sfidò «E poi perché non dovrei? è carino il modo in cui arrossisci quando ti metto in imbarazzo o quando ti faccio incazzare» alzò nuovamente un angolo di bocca formando quel sorriso che avrei tanto voluto mordere. 

Quindi si era sempre accorto del mio continuo arrossire in sua presenza? A quel punto capii di essere sempre apparsa come una bambina ingenua ai suoi occhi, mentre io ero convinta di sembrare una donna vissuta. Stava facendo cadere ogni mia maschera. Maledizione!

A quel punto non seppi cosa rispondere, così mi limitai a stare in silenzio spostando lo sguardo per tutto il giardino. Era imbarazzante stare in sua compagnia dopo aver rivelato la verità. Lui ormai sapeva quasi tutto sul mio passato, sapeva persino del mio interesse verso di lui che andava aldilà dell'amicizia. Che vergogna!

Ma non ebbi il tempo di rimuginarci ancora perché all'improvviso mi sentii trascinare dai piedi e senza capire come, caddi col sedere sull'erba sintetica. Sapevo già chi fosse il colpevole. Ma quando mi voltai verso di lui intenzionata a rimproverarlo, le parole mi morirono in bocca a causa della nostra vicinanza. 

Per quale motivo stava alternando lo sguardo dai miei occhi alla bocca? Non voleva mica baciarmi, vero? Noi non potevamo, io non potevo permetterlo. Castiel rischiava il carcere e il ricatto di Debrah era stato chiaro. Dovevo allontanarmi, dovevo mettercela tutta per non cedere, dovevo...

Ma lui si avvicinò maggiormente al mio corpo, al mio volto ed io non collegai più la mente ai gesti. 

Ci pensò lui, però ad evitare che accadesse l'irreparabile. 

«Quindi ti piaccio, è così?!» bisbigliò lascivo continuando a guardare la mia bocca invece che i miei occhi. Io restai immobile, ammaliata da ogni linea marcata del suo viso.

A quel punto fu inevitabile non percepire le farfalle nello stomaco, quell'ansia piacevole che solo il suo contatto era capace di trasmettermi. 

«Lo sai... Devi per forza mettermi di nuovo in ridicolo?» cercai di mostrarmi infastidita, ma altro non ero che imbarazzata. 

«No, è solo che mi piace quando lo dici» 

"Come, cosa? Lo hai detto sul serio? Cazzo io ti stupro!" "Coscienza calma, non è il momento di pensare a questi gesti così estremi", incredibile ma vero ero io a dover quietare la parte di me che apparentemente doveva essere la più riflessiva, ma che finiva per essere quella che più mi suggeriva di combinare pasticci. 

«Sì ma non ha senso se l'interesse non è corrisposto», cercai di restare seria nonostante il piccolo e breve scambio di battute con la mia cara amica coscienza. 

«Non ho mai detto questo.»

"Castiel però tu non aiuti a restare seri, eh... Io ce la sto mettendo tutta a non sclerare, a non saltarti addosso, e tu proprio questa sera, proprio mentre sei a pochi millimetri dalla mia bocca, mi dici questo?! Cazzo. Chiamate un'ambulanza, vi prego!"

«Lo hai fatto intuire con i gesti. Non sempre c'è bisogno di parlare per far capire le proprie intenzioni», mi sorpresi di me stessa e dal mio modo di risultare posata nonostante dentro di me stessi per esplodere.

«E allora devi aver capito anche quali sono le mie intenzioni in questo momento..» abbassò il volto lentamente in direzione della mia bocca e decretando l'arresto cardiaco del mio cuore.

"Sono morta? Questo è il paradiso, l'inferno? Qualsiasi cosa sia non svegliatemi.."

«Cas-Castiel, n-no. N-noi non...» incespicai nelle mie stesse parole mentre ero alla ricerca della ragione. Avevo fatto un patto con Debrah, la sua presunta fidanzata, ma lui se ne stava lì come un demone tentatore pronto a farmi peccare. Come sarei potuta uscire da quella situazione?

E quando oltrepassò la mia bocca per posare la sua sul collo, sancì il mio esaurimento. Avvertii tanti brividi cospargermi il corpo dalle gambe fino alla spina dorsale, a finire alla testa. Un brivido di eccitazione peggiorò la mia condizione quando lambì il lobo dell'orecchio con la sua lingua e finì con un piccolo morso. A breve avrei avuto bisogno di un'estintore, stavo per andare a fuoco in tutti i sensi. Maledetto seduttore!

«Hai pensato alla penitenza per la scommessa persa?» mi chiese dopo qualche istante fingendosi innocente, come se non fosse accaduto niente, come se non mi avesse appena stravolto la vita per la millesima volta.

«Ci sto ancora riflettendo..» ed io lo assecondai. Non avrei di certo voluto fare la pesante, non avrei voluto sfociare in una discussione. Quella sera mi sarei presa ciò che sarebbe venuto, nonostante il pericolo di essere scoperta dalla sua ragazza. Non avevo le forze necessarie per allontanarmi dall'inferno di Castiel, non ne avevo la minima intenzione.

«Spero mi sorprenderai», concluse quel breve discorso voltandosi e stendendosi a pancia in su.

Poi con un braccio mi spinse ad avvicinarmi a lui e a posare la testa sul suo petto. Cosa gli era preso? Non era mai stato capace di quei gesti quasi romantici, noi non avevamo mai oltrepassato quella linea sottile. Nonostante fossero tanti gli interrogativi che la mia mente prese a chiedersi, cercai di non ascoltarla per una sera. Avevo bisogno di ascoltare il cuore una volta tanto, e quella notte batté forte, talmente potente da sentirlo uscire fuori dalla gabbia toracica. 

In quella posizione, oltre al mio, potei udire anche il suo di cuore. Anche il suo parve battere velocemente, quasi in sincrono con il mio. Ma preferii restare coi piedi ancorati sull'erba di quel vecchio terrazzo, non permisi alla mia fantasia di volare in posti sconosciuti; perché tanto sapevo che quelli erano solo attimi, l'indomani non ne avremmo parlato, per lui sarebbe stato cosa di poco conto. E nonostante sapessi già il risultato, volli godermi quegli istanti in sua compagnia che sarebbero rimasti per sempre nel petto, custoditi gelosamente come tra i ricordi più preziosi della mia adolescenza.

«Perché continuiamo ad imporci di stare lontani ma alla fine finiamo per stare sempre più vicini?» quella domanda mi uscì come un sussurro con la speranza che finalmente sarei riuscita a capire anche il suo punto di vista. 

Le mie intenzioni, i miei sentimenti ormai erano chiari anche ai muri, ma i suoi? Cos'ero io per lui? Non ero vendetta, ormai quello era sicuro. Non ero né una semplice amica né amica di letto perché altrimenti avrebbe già ottenuto il suo scopo. Ma allora perché continuava ad avere comportamenti contrastanti, mi allontanava, poi mi cercava, poi m'illudeva e distruggeva e un attimo dopo mi faceva volare? 

«Non lo so, ma almeno per questa sera svuota la mente. Non chiedermi nessuna delle domande che sicuramente in questo momento staranno vorticando nella tua testa. Goditi il momento, Miki. Non chiedermi risposte che io non posso darti...»

E allora per una sera osservai i suoi consigli dati quasi con la disperazione di non poter dare risposte, ed in effetti neanch'io volevo fasciarmi la testa come facevo ventiquattro ore su ventiquattro. Svuotai la mente decidendo di godermi quei brevi istanti di pace insieme a lui.

Presi a guardare il cielo. Quella sera -nonostante fossimo in pieno inverno- ci copriva un manto di stelle. Quanto erano belle, quanto era bello lui, quanto eravamo belli noi.. stavamo bene con poco, senza bisogno di estrosità. Era forse quella la vera pace, la vera felicità? Erano sensazioni mai provate prima d'allora.

Non mi coccolò, quello sarebbe stato troppo per lui, ma sarebbe stato troppo anche per noi. Non potevamo valicare un limite, d'altronde noi non eravamo niente. Eravamo destinati ad essere il niente. Lasciò semplicemente la mano affianco ai miei fianchi, sfiorandoli per sbaglio o forse di proposito.. quello non lo avrei mai saputo.

Inaspettatamente una canzone occupò la mia mente, forse perché richiamava in qualche modo le sensazioni di quel momento. Volevo a tutti i costi farla ascoltare anche a lui ed escogitai un sistema per mascherare le mie motivazioni, e lo trovai senza neanche rifletterci troppo.

«Ho pensato ad una penitenza per te, per aver perso la scommessa» sorrisi.

«Uh, bene bene. E qua-» non lo feci finire di parlare

«Adesso. Ma non pensare che con questo finirai. Ho ancora tante cose in mente per te» risi pregustandomi la vittoria di far fare a Castiel qualcosa che lui odia. 

«Tu ami e veneri solo la musica rock mentre l'altra musica ti fa a dir poco schifo, giusto?» cominciai.

«Esatto. Ascoltando altra musica le mie orecchie finirebbero per sanguinare»

«Benissimo. Adesso per penitenza ascolterai un brano pop che a me piace da impazzire e lo ascolterai tutto, senza interruzione e senza fare storie» mi sollevai dal suo petto a malincuore, mettendomi seduta. Poi presi lo smartphone e le cuffie dalla tasca del mio cardigan e avvicinai il tutto davanti al volto di Castiel che mi guardò inorridito.

«Sei crudele. Non puoi farmi questo, ti prego!» unì le mani a mo' di preghiera mentre si sedette anche lui, mettendosi difronte a me. «Cos'è? Roba tipo i One Direction di sto' cazzo o un altro insulto alla musica?» fece una smorfia.

«No, è Ed Sheeran!» affermai con un sorriso a trentadue denti. Dalla soddisfazione di quello che stavo andando a fare per poco non saltai.

Nei mesi passati in banco insieme, spesso avevamo parlato dei nostri gusti musicali e quando parlavo della mia musica preferita rabbrividiva per l'orrore ogni volta. Quella, secondo il suo cervello bacato non era musica. La vera ed unica musica degna di essere definita tale era la musica rock. Io, al contrario suo, amavo ogni tipo di suono.

«Di male in peggio..» commentò. 

Evitai di rispondergli male, srotolai le cuffie annodate, le inserii nel cellulare e dopo aver cercato e selezionato il brano oggetto del mio interesse, porsi il lato sinistro della cuffia a Castiel mentre quello destro lo tenni io. Entrambi lo inserimmo nell'orecchio nello stesso istante ed io premetti play facendo partire il brano "kiss me" di Ed Sheeran. 

Fu incredibile il batticuore di quei minuti, persino le mani presero a sudare. Conoscendo già il significato della canzone ed avendola in qualche modo ricollegata a quella sera, mi agitò. Ma tanto lui non se ne sarebbe accorto, vero? Non avrebbe associato quelle parole a me, a noi, non avrebbe potuto, no? Quasi mi pentii di aver avuto l'idea di fargliela ascoltare per quanto mi sentii repentinamente vulnerabile. 

La voce di uno dei miei cantanti preferiti partì ed io involontariamente presi a canticchiare. Castiel in un primo momento fece delle smorfie abbastanza disgustate, ma quando mi sentì cantare rilassò il volto iniziando a fissarmi attentamente. 

« Settle down with me 

Cover me up 
Cuddle me in 
Lie down with me 
Hold me in your arms 


Your heart's against my chest 
Lips pressed to my neck

I've fallen for your eyes 

But they don't know me yet » sull'ultima frase canticchiata osservai incantata i suoi occhi, e lui se ne accorse. 

"Coprimi, coccolami, stenditi insieme a me, stringimi tra le tue braccia. Il tuo cuore è contro il mio petto, le labbra premute sul mio collo. Mi sono innamorata dei tuoi occhi, ma loro ancora non mi conoscono".

« Kiss me like you wanna be loved 
Wanna be loved 
Wanna be loved 


This feels like I've fallen in love 
Fallen in love 
»

"Baciami come se volessi essere amato; Sembra che io mi sia innamorata".

I minuti della canzone continuarono a scorrere, mentre io e lui non smettevamo un attimo di guardarci. E lo vidi, lo vidi quando il ritornello cantava "kiss me" guardarmi le labbra. Lo percepii sulla mia pelle, nel mio cuore che lui avesse capito il motivo della scelta di quel brano.

E quando il ritornello si ripeté per la seconda volta, tradussi ad alta voce una frase, quella frase in italiano. Sapevo di star giocando scorrettamente, ma lo volevo di nuovo; volevo dannatamente quelle labbra sottili sulle mie senza pensare alle conseguenze.

«Baciami...»

"Come se volessi essere amato da me.." aggiunsi nella mia mente.

E lui non se lo fece ripetere due volte. Comprendendo i miei desideri, si sporse verso di me e finalmente mi baciò. Le cuffie caddero a causa dei nostri movimenti, ma in quel momento poco c'importava del mondo esterno.

Mi baciò sul serio, come se mi amasse, come se volesse essere amato, come se tra noi ci fosse realmente quel qualcosa in più. Sapevo fosse tutta un'illusione, per quei minuti volli illudermi di un noi che non sarebbe mai esistito ma che se fosse esistito avrebbe provocato scintille e fuochi d'artificio. 

Quando approfondì il bacio, fece pressione con le mani per stendermi sull'erba del terrazzo, lui finì sopra di me. Allargai inconsciamente le gambe per permettersi di sistemarsi meglio, e fece pressione con il bacino per farmi percepire quanto stesse apprezzando quel momento anche con un'altra parte del corpo, la più prepotente. 

Fu un bacio umido, passionale, caldo ed invitante, per nulla tenero. Sembrava quasi che mi volesse divorare, farmi sentire di più. Darmi risposte che a voce non era in grado di dare. Fu un bacio dato per bisogno di sfamare la nostra voglia di appartenerci. Non era mai accaduto così rudemente, e mi travolse completamente. Per la prima volta percepii un formicolio provenire dal basso ventre e diffondersi per tutto il corpo, mentre Castiel prese ad oscillare il bacino su e giù per aumentare il piacere di entrambi. 

Eravamo completamente fuori di testa. Eravamo chiusi nella nostra bolla, in un piccolo spazio in cui non poteva entrare nessun altro se non noi. Per quei minuti non esisté nessun altro, mi dedicò tutto sé stesso e se solo avessi voluto, avrei potuto ottenere di più.

Ma non ero pronta, non potevo cedere totalmente. Non potevo concedermi completamente a lui sapendo che appartenesse ad un'altra. E poi avevo a cuore il suo futuro, non avrei dovuto neanche baciarlo o stare a quella vicinanza. Proprio per quel motivo lo bloccai quando percorse il mio corpo sfiorandolo con le dita di una mano, scendendo fino ad accarezzare il mio basso ventre. Quei movimenti accesero un campanello d'allarme, mi risvegliarono da quello stato di trance.

«Dovremmo rientrare, si è fatto tardi..» tirai fuori quella scusa banale con tutte le mie forze, e lui non se lo fece ripetere due volte.

Scoppiò la bolla in cui ci eravamo rinchiusi.

Si alzò bruscamente dal mio corpo, odiava più di tutto essere rifiutato. Lo feriva nell'orgoglio, ormai avevo imparato a conoscerlo nel mio piccolo. 

E senza degnarmi più neanche di uno sguardo, abbandonò quel terrazzo magico sbattendo la porta, lasciando il freddo sulla pelle e nel cuore. 

Ma era giusto così. Doveva essere per forza così.

Eravamo destinati a brevi attimi di felicità condivisa, io e lui. 

 

Il vento soffiava forte ma non potevamo esserci l'uno per l'altra. 

Creati per tenere il corpo dell'altro al caldo, ma destinati ad avere perennemente freddo.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** CAPITOLO 29: La Sirena dai capelli ramati ***


Capitolo 29

La Sirena dai capelli ramati








Canzone del capitolo: 🎶 Ross Copperman - Hunger 🎶

Uno sguardo e non riesco a respirare

Due anime in una sola carne

Quando non sei vicino a me, sono incompleto

lasciami guardare nel tuo cuore tutte le crepe e le parti rotte

Ci sono ombre nella luce, Non c'è bisogno di nasconderle

 

***


CASTIEL

Cosa mi fosse preso quella sera sul terrazzo dell'hotel non ne avevo idea. Miki aveva la capacità di spegnere la mia mente, di non farmi ragionare ogniqualvolta si trovava al mio fianco. Non doveva accadere. Lei non poteva, non ne aveva alcun diritto. Era pericolosa. Come avevo fatto a non pensare alle conseguenze dei miei gesti? Mi ero giurato di starle lontano, maledizione! Se Debrah fosse venuta a conoscenza di quei nostri momenti sarebbe stata la fine. Eppure nonostante il pericolo corso non riuscivo a pentirmi di quell'ora passata vicino alla mia Sirena. 

Sì Sirena. Micaela Rossi altro non era se non una sirena tentatrice, ammaliatrice. I suoi capelli ramati e ondulati non facevano altro che chiamarmi per essere accarezzati. Erano lucenti e morbidi, di quel colore particolare; mi era capitato qualche volta di sfiorarli solo per pochi secondi e non mi era bastato. La sua bocca carnosa poi, era un invito a morderla, baciarla, mangiarla come se fosse il cibo più prelibato. Il suo odore. Il suo cazzo di profumo alla vaniglia al contatto con la sua pelle emetteva un odore mai sentito prima, un qualcosa di afrodisiaco e spietato allo stesso tempo; Perché non lasciava via d'uscita. Per non pensare ai suoi occhi.. I suoi occhi scuri come il cielo notturno brillavano dentro i miei, emettevano una luce abbagliante unicamente quando era io a guardarla. 

Il buio svaniva mentre lei aveva le stelle negli occhi.

Mi parlavano, esprimevano emozioni che preferiva non far fuoriuscire a voce.. D'altronde le era bastato il modo in cui avevo reagito davanti alla sua ammissione di provare qualche specie d'interesse per me per zittirla. Ero stato uno stronzo con lei, ma era necessario. Come potevo definire degli occhi scuri affascinanti? Come diavolo ero finito a pensare tutte quelle cose di lei? Non sapevo cosa mi stesse accadendo, l'aria italiana mi faceva male. Ero sicuro che una volta atterrato nel mio paese avrei riacquistato la solita supremazia e Miki non avrebbe avuto più alcun potere su di me. L'avere solo e soltanto lei a disposizione, l'averla perennemente affianco, nella stessa stanza, mi aveva reso vulnerabile e sempre più voglioso di lei. In Francia mi sarebbe bastato chiamare una delle mie amiche di letto per risolvere il problema e Miki a quel punto sarebbe diventata solo un lontano ricordo. 

Perché se volevo salvarmi il culo dovevo a tutti i costi tenerla distante. Per il suo bene dovevo allontanarla. Debrah era pericolosa così come anch'io lo ero per Miki. 

L'avevo provocata in quella settimana di permanenza a Roma per capire fino a dove sarebbe arrivata senza rivelarmi della sua verginità. Non ero stupido, l'avevo intuito sin da subito che non avesse esperienze, ma avrei preferito che si fidasse a tal punto da confidarsi con me.  Leggere il suo diario segreto era stata solo una conferma ad un aspetto che la mia praticità mi aveva già portato a comprendere. Il modo in cui s'irrigidiva quando le sfioravo la pelle, il suo rossore sulle guance in segno d'imbarazzo, erano stati tutti dei campanelli d'allarme. Anche per quell'aspetto avevo capito di non andar bene per lei. Miki non era come Debrah sebbene all'apparenza volesse dimostrare il contrario. Lei avrebbe avuto bisogno di delicatezza, di qualcuno che potesse darle di più del semplice piacere sessuale. Miki aveva bisogno di essere guarita, necessitava di qualcuno che le potesse riparare il cuore ed io non ne sarei mai stato in grado. Perché io ero anche più rotto e disastrato di lei. E due cuori rotti non potevano andare da nessuna parte insieme. Ci saremmo solo distrutti a vicenda a causa del nostro passato, della nostra mancanza di fiducia nel mondo, per la fonte del nostro vuoto. Come potevano riempirsi a loro volta due insiemi vuoti? 

Quindi altro non avrei dovuto fare se non resistere alla tentazione. Non avrei più ceduto davanti ai richiami della mia Sirena. Ma lei era stata così brava su quel terrazzo. Come le sirene con Ulisse, cantò per indurmi a fermare la mia nave. Sapevo avesse utilizzato quella canzone per provocarmi, per illudermi che noi insieme ce l'avremmo potuta fare, ma si sbagliava. Avevo ceduto per metà con il baciarla, con il sfiorare il suo corpo, però riuscii a fermarmi in tempo prima di...

Ma chi diavolo volevo prendere in giro? Se non fosse stato per lei, che mi bloccò con la sua voce candida, io sarei stato capace di prendermi tutto ciò che aveva da offrire. Avrei preso persino la sua purezza lì su quel vecchio terrazzo di un hotel romano, senza arrivare a pensare che meritasse di più sia come luogo che come persona. Meritava di meglio, ma in quel momento nell'anticamera del cervello non passò nessuno di quei pensieri. Perché ero incapace di resisterle; io non ero Ulisse, non ero un fottuto eroe, sarei rimasto sempre e soltanto uno stupido ragazzo incapace di riflettere prima di combinare casini. Proprio per quel motivo avrei dovuto tenere Miki distante da me e dalla mia follia.

Da quel momento per davvero. Non avrei più ceduto, mi promisi tra me e me mentre ponevo le ultime cose in valigia. Lo avrei fatto per il suo bene.

Eppure nell'attimo in cui mi bloccò dall'andare oltre su quel prato finto, era scattata qualcosa dentro di me, mi sentii offeso, rifiutato, come se non le scaturissi lo stesso effetto che invece lei provocava al mio corpo. Perché Miki era stata in grado di fermarsi in tempo mentre io avevo completamente scollegato il cervello dal resto del corpo? E preferii scappare come il codardo che ero piuttosto di affrontare la verità, ma forse era meglio così. Probabilmente più giocavo il ruolo dell'ottuso più lei si sarebbe allontanata da me, salvandosi.


Da: Debrah

Sono dovuta rientrare a Parigi prima del previsto, ma non cantare vittoria... Ho chi ti controlla ;) quindi tieni quelle mani al loro posto o al massimo muovile sul tuo cazzo mentre pensi a me. Basta che tu stia lontano dalla puttanella.

 


MIKI

Castiel aveva ricominciato ad ignorarmi. Evidentemente aveva assimilato male il rifiuto di non concedermi la sera prima in terrazza. Peggio per lui. Non ero una bambola gonfiabile pronta a sottostare alle sue esigenze. Non ero pronta per fare quel passo, ne valeva del mio orgoglio femminile, del mio pudore. Non potevo concedermi per la prima volta ad un ragazzo impegnato con un'altra donna. Sapevo di aver detto che la mia verginità mi pesasse, di avere tutte le intenzioni per eliminare quella debolezza, ma quei mesi trascorsi a Parigi mi avevano cambiata. Mi ero resa conto di quanto anch'io fossi capace di provare dei sentimenti, delle emozioni; durante quei mesi alcune delle mie maschere erano cadute e tutto mi aveva influenzato, condizionata a mutare il mio modo di vedere alcuni aspetti, compresa la verginità. E quella piccola parte di me era diventata un valore, non solo un peso. Ma quella testa di pomodoro non poteva comprendermi fino in fondo; lui non era a conoscenza della mia verginità, ma anche qualora lo fosse stato fui sicura che non avrebbe capito ugualmente. Non avevamo gli stessi modi di vedere le situazioni. Io stessa avevo cercato di nascondere la mia ingenuità in ambito sessuale mostrandomi sicura di me con tutti compreso lui, avevo sbagliato o forse no ma fatto stava che Castiel non aveva alcun diritto d'innervosirsi per la banalità di essermi rifiutata di andare oltre. 

Così neanch'io gli parlai, feci il suo stesso gioco. Preparammo le valigie nello stesso momento, prima di lasciare l'hotel per il nostro ultimo giorno di visita guidata in giro per la città eterna. 

Quella settimana trascorsa a Roma mi aveva lasciato tanto. Avevo scoperto altre verità sul mio passato che a Parigi non avrei mai saputo. Avevo rivisto Teresa, mia madre, dopo otto anni. Avevo subito un ricatto da parte di una diciassettenne diabolica. 

E poi c'era stato Castiel. Il rosso scorbutico e a tratti gentile, il Castiel passionale e a tratti dolce, il Black lunatico e a tratti sincero. Mi aveva regalato un dipinto creato da un pittore che ci ritraeva. Avevamo riempito la cucina dell'hotel di sapone a causa della nostra battaglia infantile. Avevamo fatto un bagno nella fontana di Trevi insieme senza essere arrestati. Che grande traguardo! Aveva di proposito perso la scommessa ed io come prima penitenza gli avevo chiesto di rispondere a qualche domanda, come secondo sacrificio l'avevo obbligato ad ascoltare una delle mie canzoni preferite che invece lui odiava profondamente. Mi ero ubriacata a causa sua dopo avergli rivelato il mio interesse, dopo avergli rivelato che mi piaceva. Gli avevo confessato la parte più dolorosa del mio passato, gli avevo permesso di entrare sotto la mia corazza, lì dove non avevo mai lasciato entrare nessuno. E poi c'erano stati i nostri momenti; quei momenti magici in cui i nostri corpi si toccavano, le nostre mani si sfioravano e le nostre bocce si desideravano. Inconsciamente, involontariamente in una settimana avevamo aggiunto un altro tassello al nostro rapporto. Un mattone indistruttibile, che aveva chiarito almeno un aspetto del nostro rapporto: non saremmo mai potuti essere amici, non lo eravamo mai stati e non lo saremmo mai diventati. C'era quel qualcosa di più tra noi d'innegabile, ormai. 

Ripensai a tutti quei momenti nostri mentre sistemavo con cura quel ritratto prezioso dentro la valigia per evitare che si rovinasse. Lo avrei incorniciato e appeso nella mia stanza a Parigi, lo avrei custodito con premura come se fosse l'oggetto più prezioso di mia proprietà, ed evidentemente sin da quando lo avevo ricevuto lo era diventato. Anche più importante dei miei abiti firmati, delle scarpe o dei gioielli. 

Dopo aver chiuso momentaneamente il bagaglio presi il cellulare per mandare l'ennesimo messaggio a Ciak. Durante quella settimana non era passato un giorno senza che io gli scrivessi, gli chiedessi come stesse ma non avevo mai ricevuto risposta. Avevo tentato in tutti i modi di salvare il salvabile di quell'amicizia andata a rotoli cinque mesi prima, ma non c'era stato verso. L'unico modo per riavere Ciak sarebbe stato quello di stare insieme a lui come sua ragazza, ma non potevo mentire a me stessa, non potevo mentire a lui. 


A: Ciak

Buongiorno, come va? 

Dobbiamo parlare.

Domani tornerò e non potrai più ignorarmi.


Non feci in tempo a scrivere e inviare il quarto messaggio che la vibrazione del cellulare mi segnò l'arrivo di una decina di sms da parte di un altro mittente. Sapevo già di chi si trattasse. Sorrisi al pensiero del suo imminente interrogatorio quotidiano. Non avevamo smesso un giorno di sentirci, sebbene non le avessi rivelato quasi niente di tutte le vicende accadute. Attendevo di parlarle di persona. 


Da: Rose<3

Buongiorno splendore, com'è il tempo in Italia?  

Qui oggi piove e sono triste. 

Mi manchi :(

Finalmente domani torni e potrò sapere cos'hai combinato di così scandaloso da non avermelo potuto rivelare per telefono.

Spero per il tuo amato pomodoro secco che si sia comportato come si deve, altrimenti vedrà la versione RosalHulk e sono sicura che non gli converrebbe.

Rosal= Rosalya; Hulk= omone gigante verde della Marvel che spacca tutto.

Rosalya+Hulk= RosalHulk (ovviamente in versione rosa e stilosa, con tutina aderente da supereroe)

Miki:

Buongiorno RosalHulk, qui c'è il sole. 

Mi manchi anche tu. 

Per quanto riguarda il soggetto rosso in effetti ci sarebbe da prenderlo a mazzate!

Da: Rose<3

Cosa ha fatto? Dimmi tutto. 

Intanto ho già pensato alla morte migliore per lui:

Lo prendo a padellate in fronte talmente forte da rincoglionirlo. 

Poi stacco gli occhi e li cucino alla coque in padella.

Poi taglio il suo pisello e lo dò in pasto ai pesci d'acquario di Lysandre. 

E quel che resta del suo corpo lo getto nel Senna. Tutti i pesci hanno diritto di mangiare!

Miki:

Ma dai sei troppo crudele ahahah

Ti racconterò tutto al mio ritorno, ora non posso. 

Dobbiamo partire per la visita guidata.

A dopo Hulk!

 

Rosalya aveva idee particolari e tutte originali per vendicarsi dei torti di Castiel. Non le era mai stato simpatico, ancor di più dopo esser venuta a conoscenza dei suoi modi scontrosi e lunatici usati con me. Ma nonostante ciò, non avrebbe mai messo realmente in azione i suoi modelli di omicidio o forse sì... 

 

***

Il quinto ed ultimo giorno di visita guidata previde la visita del quartiere Trionfale, permettendoci di godere di una vista spettacolare su una parte di Roma, e non solo. Ripercorremmo il tragitto compiuto dagli antichi guerrieri romani sull'omonima via Trionfale. Quella strada era infatti, quella sulla quale passavano i condottieri romani rientrando da una battaglia vittoriosa per ricevere gli onori del popolo. Una cosa inusuale da fare in una visita guidata, ma proprio per quel motivo mi entusiasmò. Poi visitammo un'ulteriore chiesa: San Lazzaro in Borgo famosa perché nei tempi antichi, i pellegrini erano obbligati a sostare prima di esser ammessi in città. Inoltre Stefania ci portò all'interno di un parco catalogato come area protetta. Purtroppo però quel giorno non ero attenta come invece era accaduto in tutte le altre visite guidate, per cui persi metà delle spiegazioni scrupolose, dateci dal nostro tutor, o anche più. 

Quando Stefania ci lasciò rilassare sul prato di quel parco immenso, approfittando delle ultime ore di sole, -come capitava spesso- mi persi ad ammirare il ragazzo annoiato e brontolone accanto a me. Mi ero promessa di lasciar perdere, di osservare alla lettera le richieste di Debrah fino a quando avrei trovato un modo per scolpare Castiel e incastrare la vipera, ma il richiamo verso di lui era più forte. 

La fronte corrucciata e l'espressione afflitta a testimonianza della perdita di qualche partita in qualche assurdo gioco, iniziato durante le spiegazioni noiose della Signora Lamberto e proseguito anche nella pausa prima di rientrare in hotel. Alcuni ciuffi di capelli rossi e lunghi che ricadevano sugli occhi grigi, il labbro inferiore tra i denti; tutti quegli aspetti mi fecero perdere la testa. 

Pranzammo in silenzio con dei panini comprati prima di recarci in quel parco, sotto indicazione di Stefania. La nostra guida ci aveva lasciati momentaneamente da soli, andando a pranzare altrove con la scusante di dover rispondere ad una chiamata importante al telefono. Odiavo quel silenzio, quel mutismo dopo ciò che soltanto la sera prima avevamo condiviso. Forse per lui non era stato importante, ma per me sì e non riuscivo proprio a fare finta di nulla. Ero un caso perso.

Lui non aveva alzato neanche per sbaglio lo sguardo dal suo telefono, così ne approfittai per continuare a fissarlo indisturbata convinta che lui non se ne accorgesse. Si era sdraiato tranquillamente sull'erba con la schiena poggiata ad un piccolo muretto di marmo, ed io invece mi trovavo poco distante da lui seduta su quello stesso piccolo muretto, che aveva la funzione di recintare degli alberi dalle forme tonde e graziose. 

«Quando deciderai di smettere è sempre ora...» se ne uscì dal nulla infastidito.  

«Che-»

«Fissarmi. Questo hai fatto» concluse senza alzare lo sguardo da quell'aggeggio che aveva ottenuto la sua totale attenzione. 

Aveva forse degli occhi nascosti accanto alle orecchie? Veniva da un altro pianeta? Come aveva fatto ad accorgersi del mio sguardo puntato su di lui? Nonostante non riuscissi a spiegarmi quell'aspetto, lasciai cadere il discorso. Non gli risposi. In quel momento avevo solo intenzione di distrarlo da quello stupido cellulare, quelle sarebbero state le ultime ore in cui avrei potuto averlo tutto per me, perché quando saremmo tornati a Parigi stare in sua compagnia sarebbe stato più complicato se non impossibile... Da qualche mese aveva sempre alle calcagna Debrah, e dopo il nostro patto fui sicura che lo avrebbe tenuto al guinzaglio ancor di più. Ma allora perché non aveva iniziato a farlo già a Roma? Ci stava forse concedendo gli ultimi giorni? O aveva altro in mente? Scossi la testa davanti a quelle domande. Non era tempo di pensare alla ragazza diabolica, avevo altre prerogative in quell'istante. 

«Facciamo un gioco...» fu quella la prima cosa che mi venne in mente per ricevere la sua attenzione. 

Finalmente, dopo chissà quanti minuti, si scomodò a puntare lo sguardo sulla mia figura ma a quel punto sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto. Mi squadrò dalla testa ai piedi, spogliandomi del maglione e dei jeans aderenti solo con lo sguardo. Improvvisamente mi sentii nuda, in imbarazzo. Quella fu la prima volta che lo fece dopo mesi di conoscenza e non ne seppi capire neanche il motivo. Che avesse frainteso la mia richiesta?

«Hai presente il gioco delle venti domande?» specificai tutto d'un fiato.

«Che cazzata...» fu la prima cosa che gli sentii dire. Non apriva bocca da ore, mi mancava il suo modo di stuzzicarmi continuamente. 

«Facciamo una domanda ciascuno. Si danno risposte secche e schiette» insistei. 

«Sono impegnato in questo momento» rispose agitando il cellulare nella mia direzione. 

«Ci conosciamo da mesi, ma infondo non abbiamo mai parlato sinceramente senza mezzi termini. Possiamo chiedere qualsiasi cosa, anche la più imbarazzante» ero pronta a tutto pur di convincerlo. Mi restavano poche ore da passare a Roma e avrei voluto passarle con lui per collezionare altri ricordi, per portarli con me quando sarebbe tutto finito. 

Avevo semplicemente bisogno di altro tempo con lui, ce n'era stato concesso poco.

«Ho detto di no. Non faccio queste cose da bambini. Non può neanche essere definito gioco questo..»

«Bene, inizio io. Fammi pensare» feci finta di non aver sentito il suo rifiuto e con indice e pollice sul mento -dopo aver battuto le mani per l'entusiasmo- strinsi gli occhi per farmi venire in mente una qualsiasi domanda da porgli. 

«Quanto sei cocciuta» sbuffò scuotendo la testa «Non risponderò alle tue stupide domande!» si voltò e riprese a giocare al suo cellulare, ma io non demorsi. 

«Colore preferito?» gli chiesi allegra e convinta che avrei ottenuto risposta. Non gli sarebbe costato nulla.

«Nero. Il tuo?» esultai mentalmente quando rispose tranquillamente senza però staccare gli occhi dallo schermo dello smartphone «Non pensare di averla avuta vinta, anzi a dirla tutta hai delle pessime tecniche di persuasione, sono solo stato io a cedere di mia volontà. Altrimenti mi faresti venire il mal di testa a furia di straparlare cercando di convincermi».

Sorrisi per il suo modo continuo di brontolare, adoravo il suo broncio. Ai miei occhi appariva quasi come un bambino tenero in quelle occasioni.

«Da qualche mese il rosso.. Un tempo pensavo di odiarlo, invece da un po' mi sono ricreduta» 

"Per te" avrei voluto aggiungere, ma evitai, era già palese il motivo del mio cambio di colore preferito. Ero patetica, ma non potevo farci nulla. Non riuscivo a mentire dell'influenza che aveva su di me e sui miei pensieri. 

«Chi è la persona che più ami al mondo?» gli chiesi spontaneamente. 

Castiel era un tipo che non amava parlare di se stesso, di chi amava, di cosa lo appassionava. Parte del suo passato lo avevo conosciuto grazie ad Adelaide, non di certo grazie a lui. Con la sottoscritta si era sbilanciato solamente il giorno di Natale, quando mi aveva confidato parte delle vicende accadute con Debrah, quando mi aveva consigliato di non innamorarmi, quando un pezzo di cuore lo lasciai nel salotto di casa sua..

«Demon» mi stupì la sua risposta. Un tempo avrebbe risposto "Debrah" probabilmente, ma evidentemente qualcosa era cambiato con il passare dei mesi e forse addirittura degli anni.

«Non Debrah? Mi hai stupito Black. A proposito come sta Demon? Non lo vedo da un po'...» lui non sapeva che io sapevo. Non era a conoscenza che in piccola parte avevo contribuito anch'io a quella rischiosa operazione che avrebbe potuto uccidere il suo amato cane. 

«Non era una domanda a testa? Aspetta il tuo turno, Ariel!»

«Ariel? Ma che...» corrugai la fronte. Cos'era un nuovo nomignolo? O mi aveva scambiato per un'altra ragazza? Chi diavolo si chiamava Ariel oltre alla Sirenetta nonché principessa Disney?

Come se nulla fosse si alzò dal prato, mi raggiunse posizionandosi difronte alla mia figura e abbassandosi all'altezza del mio volto «Sei vergine?» mi chiese sollevando un angolo di bocca e guardandomi dritto negli occhi. 

«Che razza di domande sono queste?» diventai paonazza e lui se ne accorse.

«Hai detto che queste domande sarebbero servite per conoscerci nel profondo, e be', più profondo di questo...»

«Io n-non ho d-detto que-» 

«Guarda che lo so, non c'è bisogno che tu ti nasconda ancora. Non è necessario con me» mi rassicurò, ma io ero totalmente paralizzata. Sapevo che quel gioco mi si sarebbe ritorto contro. Dovevo stare zitta, maledizione!

«Cosa sai?» il mio tono di voce risultò quasi impaurito. 

«Che sei vergine. L'ho capito da un botto!» rispose con nonchalance accomodandosi nuovamente sul prato, ma questa volta difronte a me e poggiando entrambe le braccia sull'erba per reggersi. 

D'istinto abbassai il volto, non riuscii più a sostenere il suo sguardo, non su quell'argomento. 

«Non devi vergognartene, ognuno ha i suoi tempi..»

Era realmente tutto d'un tratto comprensivo?!

Ma non avevo alcuna intenzione di discutere oltre sulla mia verginità, non con lui e non durante l'ultimo giorno di permanenza a Roma. Non volevo che nessuno dei due iniziasse ad essere di cattivo umore. 

«Come sta' Demon?» chiesi nuovamente perché precedentemente -avendoglielo chiesto quando non era il mio turno- non avevo avuto risposta. 

In altre circostanze non avrebbe risposto, quindi ne approfittai.

«Benino» il suo viso divenne improvvisamente preoccupato e cupo, nonostante la sua risposta. Abbassò il volto per un istante. Qualcosa non era andato per il verso giusto, o Demon doveva essere ancora sottoposto all'operazione? Maledissi il non poter sottoporgli ulteriori domande per non far capire della mia conoscenza dei fatti. 

«Cos'hai provato nel rivedere tua madre?» mi chiese rialzando il volto mutando prontamente discorso; non mi aspettavo quel genere di domanda da un menefreghista incallito come lui. 

«Stupore, rabbia, malinconia, angoscia, confusione, nostalgia, amore..» non riuscii a guardarlo negli occhi, lasciai in sospeso la frase sull'ultimo sentimento, non mi andava di specificare il motivo di ogni sensazione sentita. Non ero semplicemente in vena di parlare della mia vita, del mio passato. Mi avrebbe inevitabilmente condizionato di temperamento e non volevo. Non quel giorno.

«Da quanto non ami più Debrah?» passai alla successiva domanda riprendendo a guardarlo in viso e beccandolo a sussultare davanti alla mia richiesta. 

Una domanda scomoda in cambio di un'altra domanda scomoda, era lecito. 

«Non ho mai detto di non amarla, anzi...»

«Abbiamo detto risposte secche e schiette, senza se, senza ma e senza forse Castiel!»

«Da quando mi ha lasciato la prima volta, due anni fa» non si fece problemi a ribattere. 

La franchezza, l'apertura nei miei confronti in tutte quelle risposte non me la sarei mai aspettata. Credevo s'infastidisse per quelle domande, che mi spedisse dritta a quel paese, invece non lo aveva fatto. Era una continua sorpresa. Da Lysandre e da Adelaide avevo sentito dire che Castiel riuscisse a confidarsi solamente con i pochi di cui nutriva fiducia. E se finalmente, dopo cinque mesi, avesse imparato a fidarsi di me? Certo, era riuscito a farlo soltanto quasi sotto costrizione, sotto forma di gioco, ma lo aveva fatto, e quel momento si aggiunse ai sempre più numerosi momenti preziosi trascorsi con lui.  

«E perché sei tornato con lei allora?» davanti a me si stavano aprendo spiragli. Non avrei mai e poi mai immaginato quelle realtà e arrivati a quel punto volevo avere un quadro completo di quella coppia. 

«Avevamo detto una domanda a testa..» cercò di mostrare falsa resistenza.

«Dopo ne farai due di seguito tu» ebbi subito la risposta pronta. Ero estremamente desiderosa della verità e volevo approfittare della temporanea disponibilità di Castiel. Solitamente era ambiguo e di poche parole. L'aria di Roma giovava al suo carattere. 

«Inizialmente pensavo di non aver mai smesso di amarla, poi mi è bastato qualche giorno trascorso insieme per capire che invece la mia non fosse nient'altro che nostalgia dei vecchi tempi, di quando eravamo una vera coppia.. O almeno lo eravamo ai miei occhi» mi spiegò amareggiato ma sincero.

«Cosa c'è stato realmente tra te e Nathaniel?» fu la sua domanda. Non riusciva a mantenere l'attenzione puntata sulla sua vita per più di un minuto di seguito, ma fu già un traguardo ciò che gli strappai di bocca.

«Credevo mi piacesse, è un bellissimo ragazzo. Ho provato a frequentarlo per qualche settimana, ma poi ho capito che non era il ragazzo giusto per me e quindi siamo rimasti amici, credo».

«E chi è il ragazzo giusto per te?»

«Credo di averlo difronte», ammisi schietta ma arrossendo. Non aveva senso nasconderlo dopo essermi dichiarata a lui solamente qualche giorno prima. 

«Credi male. Io non sono il ragazzo giusto per te, Miki» e fece incredibilmente male il modo con il quale lo disse. La convinzione che lessi nel suo sguardo, nelle sue parole mi fece tremare il cuore. Mutò tutte le convinzioni avute fino a pochi istanti prima.

Un passo avanti e due indietro, Castiel e Miki erano anche quello. Un passo avanti nell'essere sinceri l'uno con l'altra; due indietro a causa del rosso, per il suo continuo modo di abbattere ogni speranza.

«Perché?» gli chiesi senza aggiungere altro per non far notare la mia delusione sebbene si leggesse negli occhi. Ma d'altronde cosa mi aspettavo dopo la serata sul terrazzo, che mi giurasse amore eterno? 

Si alzò velocemente restando in piedi con entrambe le mani in tasca e a pochi centimetri dalla mia figura «Litighiamo continuamente, quanto tempo passiamo senza azzannarci, mezz'ora? Non è abbastanza. Siamo incompatibili. Siamo completamente diversi. In più non sono alla ricerca di una storia stabile, preferisco cambiare letto ogni sera. Aggiungici il rapporto complicato con Debrah e la mia storia con lei ancora in sospeso e... Cosa potrei darti Miki? Cosa potresti dare tu a me? Abbiamo entrambi dei passati di merda alle spalle, io non sono in grado né di supportarti né di sopportarti come credo anche tu, quindi...» 

A quel punto mi alzai anch'io e replicai puntandogli il dito contro «Impara a parlare solo per te stesso. Non puoi sapere di cosa sarei in grado di fare io. Non ti ho mai chiesto d'iniziare una storia seria, non ho mai preteso nulla da te, francamente non capisco il tuo discorso. Ho solo detto che tu sei il ragazzo giusto per me, non farne una tragedia ora. Tieniti il rapporto in sospeso con quella troia di Debrah e con tutte le altre, nessuno ti dice di non farlo. Prima o poi troverò un altro stronzo come te, mi piacerà e via.. tu diventerai solo un lontano ricordo. Non ti piaccio, ok, me ne farò una ragione, non sono la tipica ragazza che sta ferma a guardare fin quando il ragazzo dei suoi sogni si accorge finalmente di lei.. Come si suol dire, morto un papa se ne fa un altro. E poi fino a qualche mese fa neanche lo volevo un ragazzo, quindi figuriamoci..», dovevo difendermi in qualche modo ma in realtà finii per incazzarmi sul serio sparando a raffica menzogne su menzogne. Quando terminai avevo il fiato corto tanto dalla foga che impiegai nel vomitargli quelle frasi.

Non sopportavo quel suo continuo trovare giustificazioni. Non gli piacevo? Bene, avrebbe potuto dirlo senza discolparsi cercando scappatoie con discorsi assurdi.

«Benissimo!» sembrò addirittura infastidito dal mio discorso invece di ringraziarmi per averlo definitivamente sollevato da qualcosa che secondo lui poteva essere un peso. 

Dopo la sua risposta mi resi conto di essere pericolosamente vicina al suo corpo. Il dito indice ancora puntato sul suo petto, io con il fiato corto per il discorso acceso appena concluso e lui... 

Be' lui... era semplicemente ed irresistibilmente lui. Alzai il volto per guardarlo negli occhi, vista la sua altezza, mentre lui abbassò lo sguardo per guardare i miei. 

Bum-bum, bum-bum il cuore prese a battere forte intraprendendo la sua corsa verso il cielo. Entrambi sapevamo cosa accadeva quando sorpassavamo la distanza di sicurezza imposta da entrambi per evitare di complicare le cose. Ma ultimamente pareva non importare a nessuno dei due. Ci bastava guardarci negli occhi, respirare il respiro dell'altro per eliminare ogni litigio, promessa o discorso fatto precedentemente, e la stessa cosa accadde quel pomeriggio.

«Maledetto stronzo!» lo maledii per il suo essere così irresistibile, così impossibile, cocciuto e sensuale. 

Fu il turno mio, in quell'incontro ravvicinato, ad accorciare le distanze. In punta di piedi arrivai al suo volto, posizionai entrambi le mani dietro la testa -tra i suoi capelli rossi- e poggiai le labbra sull'angolo della sua bocca senza chiudere gli occhi. Mi piaceva ammirare le sue pupille da quella distanza inesistente. I suoi occhi diventavano i miei e viceversa. Il suo respiro si fondeva col mio diventando un unico soffio caldo. E non esisteva freddo, non esisteva caldo; non esisteva né il fruscio delle foglie tra gli alberi, né gli schiamazzi dei bambini intenti a giocare nel parco. 

Due anime in una sola carne.

Feci per allontanarmi, per non rischiare di svenire a causa dell'alternarsi delle emozioni, ma lui non me lo permise. Con un braccio avvolse la mia schiena spingendola leggermente e facendo aderire completamente il suo corpo al mio. Subito percepii la durezza sul basso ventre. Era eccitato per me. Per me e nessun'altra. 

«Senti quanto non mi piaci, quanto mi fai schifo, quanto non mi attizzi. Lo senti?» respirò sulla mia bocca -per rispondere al mio ragionamento di qualche minuto prima- mentre io rischiai di andare in escandescenza. 

Non mi diede il tempo di replicare che subito si avventò sulla mia bocca togliendomi il respiro. Fu un bacio passionale, invasivo, di quelli che non potevano essere dimenticati facilmente. Non esitai a ricambiare, d'altronde come potevo evadere dal mio inferno preferito? 

Le fiamme del suo inferno bruciando mi guardarono negli occhi confessandomi che anche lui volesse me. E avrei tanto voluto guardare tra le crepe del suo cuore, guarirle per fargli capire che dopotutto io e lui insieme non eravamo poi così male.

Le lingue saettarono facendo mille acrobazie l'una sull'altra. Le nostre bocche si perlustrarono, si esplorarono così a fondo da vergognarsi persino, quasi come se stessero scopando tra loro. Castiel fece scivolare entrambi le sue mani lungo la spina dorsale fino ad arrivare ai miei glutei, li strinse e spinse maggiormente il mio bacino contro il suo. 

E la sentii.. La sentii quell'elettricità tra noi. Più volte ci baciavamo, più ci univamo e più aumentava. Prima o poi saremmo rimasti elettrizzati dalla stessa forza dei nostri corpi. Ma nessuno dei due voleva più scappare nonostante a parole ci fossimo espressi altro.

Non c'importò dei passanti, di chiunque potesse vederci. Eravamo nuovamente nella nostra bolla, cercando quella volta di essere più bravi a non farla scoppiare. 

 

***

Quell'ultima giornata passata a Roma trascorse velocemente, in un battito di ciglia ci trovammo all'aeroporto in procinto di fare il check-in per rientrare in Francia. Il cuore aumentò i suoi battiti quando davanti alle porte, prima dell'imbarco trovai mia madre Teresa. 

«Volevo salutarti...» disse, quando fu davanti a me, imbarazzata. Stranamente era sola, senza alcun cagnolino al seguito e senza Flora. Un po' mi dispiacque; quella bambina aveva iniziato a starmi simpatica, mi avrebbe fatto piacere salutarla. 

Accennai un sorriso come risposta per farle capire che dopotutto la sua presenza lì era ben accetta. 

Dopo avermi osservata per qualche istante, mi sorpassò dirigendosi verso la figura di Castiel. Gli si posizionò difronte e strizzandogli una guancia gli parlò sottovoce per non farsi udire da me. Cosa mi ero persa? Da dove proveniva quella loro confidenza? Il rosso ovviamente le lanciò un'occhiataccia come risposta per poi iniziarsi a massaggiare la guancia. Accennò un "sì" con il volto per replicare al segreto raccontato da Teresa e poi la superò senza neanche salutarla. Il solito scostumato!

 «Cosa mi sono persa?» raggiunsi velocemente mia madre per cercare di fiutare qualcosa in più sulla scena appena assistita. 

«Oh niente di che..» mi liquidò con un cenno delle mani come per accentuare che fosse qualcosa di poca importanza. Ma io non me la bevvi quella menzogna. 

Aggrottai la fronte e incrociai le braccia in attesa di ricevere una spiegazione più esauriente, ma quella non arrivò. Fui però distratta da un colpo di tosse proveniente da Stefania ancora lì in attesa di portare a termine il suo lavoro con noi. Il suo ruolo di guida si era appena concluso.

«Bene, io andrei...» 

«Grazie al cielo non vedrò più la tua faccia e finalmente posso dirti ciò che penso» la interruppe Castiel che si trovava dietro di me.

«Sei stata il peggior tutor della storia dei tutor.. Sei ignorante n-» lo interruppi saltandogli quasi addosso per poter tappare la sua bocca, ma lui continuò imperterrito nonostante la mia mano posizionata sulle labbra morbide. «Non conosci nessuna lingua, conosci appena l'italiano. Ti sembra normale per una guida turistica? Va' a studiare, ne hai bisogno! E poi cazzo... Ma ti guardi mai allo specchio? Somigli ad un divano coi piedi. Impara a vestirti ed inizia ad andare dall'estetista, le scimmie hanno meno peluria di te!» finì i suoi insulti soddisfatto e con un ghigno. 

Che senso aveva essere così cattivo con una povera donna che in una settimana già aveva sopportato troppo da parte sua? Lo maledii in quel momento. 

«Ma ti pareva il caso di essere così cattivo con lei?» lo sgridai quasi come se fosse un bambino, mentre gli tolsi la mano dalla bocca. Gli mollai un buffetto sul braccio e poi mi allontanai di scatto; quella vicinanza per noi era pericolosa, lo sapevamo già. 

«Sono un tipo sincero, non riesco mai a tenere la lingua apposto. Dovresti saperlo bene tu..» emise un ghigno malizioso. Era una frase a doppio senso, la sua, e mi fece irrimediabilmente arrossire. Che stronzo!

Scossi la testa ed evitai di rispondere. Spostai invece lo sguardo sulla Signorina Lamberto che fissava Castiel allibita. Trascorse qualche secondo di quiete ricoperto solo dal brusio delle voci della gente presente nell'aeroporto e dai rumori prodotti dai tanti trolley trascinati, poi la buffa ormai ex guida rispose. 

«Il problema della razza umana è che gli idioti sono assolutamente sicuri, mentre le persone intelligenti sono piene di dubbi, c'insegna Russell. Rifletti su questa frase, Castiel, sii meno scontroso, apprezza le cose semplici e belle, non sentirti superiore a nessuno. Non serve. Buona vita!» al contrario di come fece i cinque giorni passati, non si riscaldò, anzi al contrario restò pacata. L'apprezzai. Quello sì che fu un atteggiamento da donna matura e -contrariamente da ciò che aveva sostenuto Castiel- saggia. 

Il rosso da ragazzo immaturo come pochi, voltò le spalle mentre ancora Stefania stava rispondendo alle sue offese gratuite e si mise in fila per il controllo bagagli. Era odioso quando si metteva. 

Così cercai di rimediare io stessa ai danni provocati dal suo cervello bacato.

«Piacere di averla conosciuta, Signora Lamberto. Grazie per la disponibilità e gentilezza che ci ha mostrato in questi giorni. Mi hanno affascinata molto le sue spiegazioni, in ogni parola si percepisce la passione che ci mette in questo lavoro. Spero di rivederla un giorno» l'adulai e le sorrisi con dolcezza, mi avvicinai a lei e le stampai un bacio sulla guancia. Ero stata sincera in quelle parole, non era stata severa come credevo anzi si era dimostrata anche premurosa nei miei confronti. 

Lei come risposta ai miei gesti e frasi mi strinse a sé sbilanciandosi più di quanto avesse fatto dal nostro arrivo. «A presto Miki!» e con quelle ultime parole si voltò e s'incamminò confondendosi pian piano nelle persone. Un senso di malinconia mi occupò lo stomaco, mi sarebbe mancata quella Signora tanto stramba quanto goffa. Era un personaggio che non poteva in alcun modo passare inosservata tra la folla. Era unica nel suo genere. 

Mia madre aveva osservato quella breve scenetta quasi con divertimento per il comportamento spocchioso di Castiel. Molto matura anche lei.

«Direi che con Castiel non hai pericolo di annoiarti», rise tra le parole. 

«è un caso perso», scossi la testa.

«Ma anche per questo ti piace.» aggiunse.

Maledizione era così prevedibile che mi facesse impazzire per ogni suo aspetto?

«Adesso io vado..» dirottai il discorso, non avevo alcuna intenzione di spettegolare sui ragazzi con una madre che era entrata nuovamente nella mia vita solo da qualche ora. 

«Sì certo» apparve leggermente delusa dalle mie risposte brusche. Non poteva esigere di essere perdonata dall'oggi al domani, necessitavo di tempo per riflettere su tutto. «Ma non sparire. Promettimi che ci sentiremo e rivedremo. Ho bisogno di recuperare il tempo perso, sai già le mie intenzioni, è inutile che io te le ripeta. Ti prego, pensaci Miki!» mi scongiurò con gli occhi lucidi mentre cercava di abbracciarmi, ma io mi scostai irrigidita. 

Ero felice del fatto che si fosse presentata all'aeroporto cogliendomi di sorpresa, ma quello non significava il doverla perdonare all'istante per tutto il male provocatomi. Quello nell'aeroporto era stato solo il primo dei mille gesti che avrebbe dovuto compiere prima di essere assolta dai suoi peccati. Aveva sedici anni da recuperare. 

«Ci proverò», sussurrai sottovoce prima di volgerle le spalle verso i controlli e sparire dalla sua vista e forse anche dalla sua vita. 



 

CASTIEL

Ero un fottuto bugiardo. Uno dei peggiori bugiardi sulla piazza. Mentivo persino a me stesso. Avevo mentito quando mi ritenevo in grado di stare lontano dalla ragazza coi capelli ramati, avevo barato quando ero convinto che lei non avesse alcun potere su di me. Avevo mentito spudoratamente ogni volta, ogni giorno che le facevo credere di non volerla.. Ma alla fine ogni bugia era venuta a galla ed era bastato un solo bacio per mostrarle la verità. 

Quell'ultimo bacio scambiato in un parco qualunque di Roma aveva mutato le cose tra me e lei. Lo sentivo quel cambiamento nel mio corpo, percepivo le sensazioni che la sua vicinanza mi dava. Quel tremolio dei miei organi che solo una ragazza prima di lei era stata in grado di farmi provare era addirittura superiore a quello nutrito per Debrah due anni prima. Cosa mi stava facendo quella Sirena ammaliatrice?

E avevo fatto benissimo a chiamarla Ariel il giorno prima, perché altro non era che quello. Miki non sapeva il significato di quel nomignolo, gliel'avrei rivelato solo a distanza di anni, ma da quel famoso pomeriggio presi a chiamarla come la Sirena della Disney. Le somigliava un po'. Certo, i capelli di Miki erano più chiari, gli occhi più scuri, ma restava pur sempre una Sirena dal corpo sinuoso e dalla personalità tentatrice. 

"Come dite?! Volete sapere com'ero finito per diventare un pappa-molle? Be' questo dovete chiederlo a Miki. Io sono stato solo vittima del suo incantesimo.. Perché credetemi, non mi ritenevo neanch'io in grado di affibbiare nomignoli del genere ad una donna. E ancora all'epoca, quando avevo diciotto anni, non ci arrivavo col mio cervello bacato a pensare quanto già quella cosa fosse pericolosa e di doverla considerare un terribile campanello d'allarme per la mia salute mentale."

E sua madre poi aveva solamente peggiorato le cose. Come le era venuto in mente di farmi promettere in un aeroporto affollato, con Miki a pochi passi, di prendermi cura di sua figlia?  «Promettimi che ti prenderai cura di lei..» aveva detto e preteso. Ma come potevo accudire qualcosa di così unico e raro se non ero in grado neanche di far durare un sorriso sul suo viso tondo e perfetto? Quella sirena dai capelli ramati mi avrebbe condotto alla follia, ne ero già consapevole. 

«Castiel devo parlarti» mi distolse dai miei pensieri la voce di mia madre appena rientrato a casa. 

L'aereo era atterrato a Parigi solamente qualche ora prima. Già iniziavo a sentire la mancanza di quella ragazza disastrata, ma non lo avrei mai ammesso ad alta voce. Perché insomma... avevo pur sempre una reputazione da difendere e Castiel Black malinconico, angosciato, che necessitava della presenza di una ragazza come dell'aria per respirare non poteva di certo esistere. Eppure senza di lei mi sentivo incompleto.

«Ciao anche a te Adelaide, il viaggio è andato bene. Sono ancora vivo, grazie per esserti preoccupata così tanto per me in questi giorni!» la derisi per il suo disinteresse nei miei confronti.

«Non sono in vena del tuo sarcasmo, ora. Ma se... Mi lasciassi spiegare, capiresti tutto» comparì quasi impaurita, stanca e scocciata.

Aveva superato il mio esser ritornato insieme a Debrah ed aveva ripreso a vivere con me nella nostra casa, forse solamente perché la ragazza dagli occhi di ghiaccio non frequentava più assiduamente la mia camera da letto come un tempo. Mamma Adelaide aveva lasciato la compagnia aerea dove lavorava insieme ad Isaac per stabilirsi saldamente a Parigi; quel lavoro non le era mai piaciuto, aveva accettato di svolgere quell'attività solo per amore. Amore.. che parola terribile. E pensare che prima di tutti quegli accaduti ci credevo un minimo. Ma ero soddisfatto di aver aperto gli occhi. Per aver capito che quella parola stava ad indicare solo e soltanto il male. Qualcosa che non avrei voluto mai più provare.

«Va bene parla pure» le comunicai arrendevole. Uno strano senso d'inquietudine s'impossessò del mio stomaco nell'osservarla. Era successo qualcosa? 

«Ciò che sto per dirti è davvero difficile per me..» sospirò «è da giorni, anzi da settimane che cerco il coraggio di parlartene, non è semplice» 

Perché temporeggiava così tanto? Perché il suo volto era così scavato, stanco e dimagrito? Cazzo!

«Sai quanto odio i giri di parole» riuscii a malapena a mormorare angosciato. Non ero per nulla preparato ad acquisire notizie spiacevoli. Mia madre era stata sempre una tipa allegra e vederla in quelle condizioni mi fece già temere il peggio.

«Quando saprai tutto promettimi che cercherai di ragionare, che capirai le mie ragioni per averti rivelato la verità solo a pochi giorni..» era in procinto di piangere ed io di spaccare qualunque cosa mi capitasse a tiro. 

«Hai avuto il coraggio di mentirmi ancora?» mi portai le mani tra i capelli, avrei voluto strapparmeli. Perché la mia vita non poteva essere normale e tranquilla come un normale diciottenne? «A pochi giorni da cosa? Per cosa mancano pochi giorni?» me lo sentivo, mi sentivo che quella verità mi avrebbe per sempre cambiato la vita. 

«Promettimelo e basta Castiel!»

«Come faccio a prometterti qualcosa che non posso prevedere?» l'aria divenne tesa ogni secondo di più.

«Va bene, va bene. Tanto qualunque sarà la tua reazione devi saperlo, quindi te lo dico» trasse sospiri per agguantare un po' di coraggio.

«Direi che sarebbe ora.. Mi sto cacando in mano» come il solito espressi il mio stato d'animo con parole delicate.

Mia madre accennò un sorriso per un breve istante.

Si portò le mani dinanzi al viso disperata, dopo sputò quella crudele verità tutta d'un fiato

«Ho un cancro al fegato».

 

 

 


 

 

 

 



🌈 Note Autrice 🌈


Già, già, già. Quasi tutti i capitoli li termino in bei momenti, vero?

Lo so, perdonatemi. Ma siate contenti per l'aggiornamento fatto prima del previsto🤗

Come la prenderà Castiel questa notizia? Spaccherà l'intera casa o sarà comprensivo?

E quando saprà che anche Miki sapeva della malattia di Adelaide?

Ma soprattutto.. Come andrà l'operazione di Adelaide? Si salverà?

In questo capitolo ho voluto inserire un altro po' di momenti tra Castiel e Miki, che pian piano si stanno avvicinando sempre di più. Finalmente Castiel sta iniziando a fidarsi di lei, ma come abbiamo visto è confuso e abbattuto ancora per colpa di Debrah e per la sua fissazione di non essere abbastanza per Miki. 

A proposito... Debrah Scoprirà di questi momenti intensi tra i due piccioncini? Come finirà la faccenda dei video e della pubblicità con Rabanne? Castiel e Miki riusciranno ad incastrarla?

E Miki? Riuscirà a perdonare definitivamente Teresa? Mentre con Kate cosa accadrà durante il loro confronto?

E Demon? Avrà già subito l'operazione, ci sono speranze per lui o abbandonerà Castiel?

Ci sono ancora tante cose da scoprire, spero che la storia vi stia continuando a piacere, intrigare e incuriosire. 

Io ho finito con le mie domande, giuro che vi lascio in pace ora.


Alla prossima,

All the love💖

Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** CAPITOLO 30: Ho solo bisogno di te ***


Capitolo 30

Ho solo bisogno di te






🎶Evanescence - Bring Me To Life (consiglio l'ascolto durante il Miki's pov)🎶 

 

***


CASTIEL


«Ho un cancro al fegato» mia madre sganciò quella bomba con voce rotta, mentre io mi pietrificai sul posto. 

Cosa stava dicendo? Era un fottuto scherzo? Doveva esserlo. Per forza.

«Che diavolo st-» tartagliai. Non mi uscivano le parole. Ero scioccato.

«Tra due giorni subirò un intervento delicato in cui mi asporteranno la massa tumorale e parte del fegato..» aggiunse Adelaide tenendo il volto basso e singhiozzando tra una parola e l'altra. Le pesava rivelarmi quella verità, si percepiva.

Ma cosa voleva dire? Quanti rischi correva? Maledizione! La vista si offuscò per la sorpresa di quella notizia, il cervello stava per esplodere. 

Perché mi aveva tenuto all'oscuro da tutto? Non avevo neanche il tempo di assorbire l'impatto con il fatto che subito sarebbe stata sottoposta a quella dannata operazione. Cazzo!

Avrei voluto urlare, ma non avevo voce. Avrei voluto strapparmi tutti i capelli dalla testa, ma non avevo la forza. 

Tante angosce, tanti assilli si sovrastarono tra loro, apparirono quasi sconnessi come se stessi perdendo il senno.. o forse era già accaduto senza che lo presentissi. 

Per tutto quel tempo avevo fatto credere a me e agli altri di essere forte. Non era vero. 

Ed eccolo di nuovo lì, in agguato nel mio stomaco e nella mia testa, quel sentimento che si faceva beffa di me: 
la paura

La paura di perdere mia madre; 

la paura di non farcela a perdonare;

la paura di non essere in grado di starle vicino;

la paura di non essere capace di supportarla. 

La paura di restare solo. 

Perché Dio doveva farmi questi torti? Perché per punire me finiva per far soffrire le persone che mi stavano intorno? Fastidioso! Facevo bene a detestarlo. 

Ma quel pomeriggio lo odiai più di ogni altro giorno. Quale Dio permetterebbe ad una giovane donna di ricevere tutto quel male, tutto quel dolore? Non era già bastata la condanna di amare un uomo meschino come Isaac? 

"Prendi me e risparmia lei", iniziai a recitare tra me e me come un mantra.

«In base alle varie visite di controllo che ho dovuto fare, il tumore risulta essere localizzato. Non ha intaccato altri organi. Ma per eliminare definitivamente le cellule potrebbe esserci bisogno della chemioterapia e...»

«Basta, ti prego basta!» mi tappai le orecchie scuotendo la testa con ira. Non riuscivo ad ascoltare una sillaba di più. 

Ad ogni parola sembrava che mi stesse ficcando tanti coltelli nel petto. Non avevo più alcuna intenzione di conoscere quante possibilità ci fossero affinché sopravvivesse e quante invece no. Altrimenti avrei recepito ancora più male quella notizia. 

«Cass, è giusto che tu sappia quante probabilità ho p-» mi si avvicinò dopo aver smesso di piangere, ma io l'allontanai. 

Avevo bisogno di riflettere, di stare da solo, distante da lei. 

«Avresti potuto attendere più giorni per darmi questa bella notizia, sai.. Magari sotto i ferri. Sarebbe stato ancor più d'effetto» schernii la situazione. 

Ma lei non si arrese.  «Non volevo rovinare la tua vacanza a Roma e poi.. Non sapevo come dirtelo. So quanto è difficile per te gestire le cattive notizie.» Poggiò entrambe le mani sui miei avambracci ma io le scacciai senza però metterci potenza. Nonostante i miei modi bruschi non sarei mai stato capace di provocarle del male fisico.

«Con il divorzio da Isaac hai trovato la scusante che sarebbe spettato a lui comunicarmelo, ora questo. Ogni scusa è buona per mentirmi. Sai quanto odio le menzogne, ma non fai altro che dirmene da quando sono piccolo» in un primo momento alzai il tono di voce, ma poi viste le sue condizioni cercai di moderarmi. 

«Lo so hai ragione, lo so... Perdonami m-ma io sono distrutta, capiscimi ti prego» mi supplicò e finì per abbracciarmi. Non lo faceva mai, sapeva quanto odiassi le smancerie.

Eppure in quel momento non ebbi il coraggio di scacciarla. Cercai di mantenere la calma, di non farla sentire ulteriormente in colpa. Dopotutto Adelaide era soltanto una delle migliaia di vittime di quel bastardo. Negli ultimi anni il cancro si stava diffondendo, quasi come un'epidemia, in molti ne erano diagnosticati; in molti non avevano avuto scampo.

Al sol pensiero un nodo nello stomaco mi bloccò il respiro. E se anche mia madre sarebbe divenuta l'ennesima vittima di quello sterminio provocato dal male del secolo?

Davanti a quel pensiero ricambiai l'abbraccio datomi da Adelaide, ma con più forza. La strinsi come se fosse di estrema importanza farlo, come se... se non lo avessi fatto sarebbe potuta scappare via da me. Come se potesse scivolarmi tra le dita da un momento all'altro.

In quell'abbraccio le trasmisi tutto ciò che a parole non ero mai stato bravo a dire. Le volevo bene, nonostante i suoi innumerevoli sbagli, sebbene fossi troppo orgoglioso per dirlo a voce. 

Visto che la superavo di circa dieci centimetri in altezza poggiai il mento sul suo capo e presi ad accarezzarle i capelli color mogano. Rilassò i muscoli, lo percepii e quando lo fece mi venne spontaneo socchiudere gli occhi ed emettere un lungo sospiro. 

Nella mia testa e nel mio cuore si alternarono vari sentimenti contrastanti. Rabbia per le bugie che ancora una volta aveva reputato giusto raccontarmi, amarezza per la vita bastarda che non smetteva un attimo di mettermi sotto esame, ansia per quella situazione assurda, amore per la donna che mi aveva donato la vita. L'unica forma d'amore che ero pronto ad accettare e a credere sussistesse.

Avevo due giorni di tempo per riflettere, e cercare di accettare quella nuova sfida, per smaltire la delusione di esser stato ingannato. Due giorni erano pochi per un tipo orgoglioso come me, ma non potevo abbandonare mia madre in un freddo letto di ospedale, non ero menefreghista fino a quel punto. 

Lei aveva solo me. La storia con quel ragazzetto da quattro soldi Bruno si era conclusa ancor prima di nascere, il matrimonio e i rapporti con Isaac erano ancor più critici; Quindi.. Come potevo rinfacciarle i suoi sbagli in un momento come quello? Sarei stato un mostro se lo avessi fatto.

«Mamma» dopo mesi, forse addirittura anni, la chiamai nuovamente come doveva essere chiamata, l'allontanai dal mio petto poggiando le mani sulle sue spalle e le parlai a parole povere di ciò che mi sentivo di ribadire dopo la sua confessione. «Adesso ho bisogno di stare un po' da solo. Non pensare che sia per le tue bugie, è solo che ho bisogno di accettare queste novità e devo farlo in solitudine. Certo, sono anche furioso perché non smetti mai di mentirmi, ma non è il momento adatto per discuterne. Sappi però che non sei da sola. Io sono con te. Supereremo tutto insieme» non ero bravo ad esprimermi, non lo ero mai stato e lei lo sapeva. Tuttavia per lei feci uno sforzo enorme.

Nonostante non avessi fatto un discorso degno di poeta lei si commosse e mi strinse in un abbraccio di pochi secondi. Poi si staccò, asciugò le poche lacrime presenti sul suo volto, sotto gli occhi arrossati e mi fece segno di andare, che avrebbe compreso il mio bisogno di riflettere. 

Senza farmi pregare salii nella mia camera trasportando la valigia ancora da disfare. Con poco garbo la lanciai da qualche parte sul parquet e mi coricai stremato sul letto. 

Mi mancava Demon, mi mancava terribilmente. In casi di forte stress come quello, passavo ore e ore ad accarezzarlo, solo con lui riuscivo ad accettare qualsiasi realtà e ad andare avanti.

Come sarei sopravvissuto a quella notizia senza di lui, non lo sapevo.

Demon era rinchiuso in una clinica per animali dal giorno prima della mia partenza per Roma. Era stato sottoposto a delle terapie specifiche e costose. Forse, grazie al mio ingaggio per quella pubblicità famosa sarei riuscito a pagargli tutte le cure complete, forse sarebbe guarito. 

Avevo ricevuto una chiamata dalla segretaria della clinica che mi aveva avvertito che l'indomani sarei potuto andare finalmente a vedere come stesse Demon, e per discutere con il dottore che lo avrebbe operato. 

Un pandemonio dietro l'altro in poche parole. La mia vita era un eterno subbuglio.

Provai ad inserire le cuffie nel mio iPod per cercare di calmarmi ascoltando i miei brani preferiti. Passai circa un'ora in quella posizione mentre i Pearl Jam, Pink Floyd, Muse, Foo Fighters, Guns N' Roses, Linkin Park si alternavano nelle mie orecchie. Ma non ci fu verso di liberare la mente, di stare meglio, di riflettere, di accettare la verità dei fatti. 

Lanciai dei fogli pentagrammati -che solitamente usavo per comporre musica- contro il muro per la rabbia, per l'ingiustizia di avere troppe cose da risolvere e di non sentirmi capace di farlo. 

Poi bastò un attimo. 

Una canzone. 

"Bring me to life" degli Evanescence per precisione.

Le prime strofe.

La mente mi condusse a lei e soltanto a lei. 

Era lei, forse, l'unica soluzione?

Solo lei avrebbe potuto abbattere quel muro per davvero?

Effettivamente da qualche mese solo lei aveva avuto la capacità di salvarmi senza chiedere, di riportarmi in vita, di capirmi con uno sguardo e nello stesso tempo di farmi imbestialire. Solo lei mi aveva risvegliato dall'apatia, dal distacco delle emozioni. 

E sapevo quanto fosse sbagliato, sapevo quanto fossi contraddittorio con me stesso ed anche con lei.. Sapevo di aver detto che una volta tornato a Parigi avrei dovuto allontanarla definitivamente.

Ma doveva assolutamente ascoltare quella canzone, solo in quel modo avrebbe compreso appieno le mie sensazioni, i miei bisogni. 

Solo guardandola, respirandola, assaporandola sarei potuto risorgere.

Ascolta Bring me to life degli Evanescence

le scrissi senza aggiungere altro. Il resto lo avrebbe capito da sé. 




 

MIKI
 

Il ritorno in quella che avrei dovuto definire casa, a Parigi fu catastrofico. Non solo zia Kate non si era degnata di farsi trovare, aveva addirittura ben deciso di andare in vacanza con la sua fiamma -passeggera, sperai- comunicandomelo con un post-it più grande del solito attaccato al frigorifero. 


Isaac mi ha fatto una sorpresa. Mi ha vista giù di tono in questi giorni e ha deciso di regalarmi un viaggio di una settimana in Croazia. Al mio ritorno risolveremo ogni cosa, stando un po' lontane avremo entrambe modo di riflettere. 

A presto!


Non sapevo se ridere o piangere per la loro immaturità. Adelaide avrebbe subito un intervento delicato al fegato due giorni dopo e i due adolescenti con il fuoco tra le gambe avevano l'urgenza di fare un viaggio. In Croazia, poi. A loro la vacanza sarebbe servita solo in un ospizio, da nessun'altra parte.

Prima di partire per Roma, prima di scoprire la verità su zia Kate, ero venuta a conoscenza che sia lei che Isaac sapevano della malattia di Adelaide, del giorno fissato per l'operazione.. insomma ogni cosa. Un uomo stato sposato per tanti anni con una persona, avrebbe dovuto nutrire maggior rispetto per quella che fino ad un anno prima definiva l'unico grande amore della sua vita. Ma come potevo qualificare "uomo" un soggetto del genere? In quel momento avrei tanto voluto sputacchiare sul suo naso lungo e sui suoi capelli tinti. 

Per non parlare di zia Kate. Da donna avrebbe dovuto tenere viva un minimo di solidarietà femminile per una moglie tradita e abbandonata. Invece no. La povera Kate era tremendamente in pena per problemi che lei stessa aveva creato anni prima tanto da dover urgentemente partire per staccare la spina. "Altro che staccare... Gliel'attaccherei io la spina su per il sedere, magari una scossa elettrica dove non batte il sole sveglierebbe il suo cervello", fu delicata la mia coscienza in quell'ambito. Ma aveva ragione. Perché se anni prima non mi avesse mentito quel trambusto non sarebbe mai e poi mai accaduto.. ed io probabilmente avrei ancora avuto una madre.  

Percepii la rabbia incrementare -insieme ad un istinto omicida- dalla punta dei piedi fino alle unghie delle mani. 

Poi nella mia visuale entrò una loro piccola foto agganciata con una calamita sul frigo, quando l'avesse aggiunta non ne avevo idea. Comunque non potendo avere tra le mani nessuno dei due finti adolescenti, staccai con ira l'immagine in questione e la ridussi a brandelli senza preoccuparmi di raccogliere i pezzi sparsi per tutto il pavimento della cucina. Anzi, per accentuare il mio odio per entrambi pestai i piedi prima sul punto in cui si trovava il volto di Isaac e poi su quello di zia Kate. Sembravo matta, ma perlomeno placai un minimo i miei nervi. 

Poi con un sorrisetto soddisfatto salii in camera, conservai nell'armadio gli abiti non utilizzati contenuti nelle tante valigie che avevo trasportato fino a Roma e misi a lavare quelli usati. Una donnina di casa perfetta, insomma. 

Quando terminai di mettere in ordine mi destò l'attenzione la vibrazione del cellulare che segnava l'arrivo di un messaggio. Lessi il mittente e per poco non ebbi un mancamento.

Castiel. Quel Castiel. Poco prima in aereo mi punzecchiava dicendomi quanto fosse impaziente di tornare a Parigi per non dover vedere la mia faccia ventiquattro ore su ventiquattro, e invece dopo solo qualche ora di lontananza già mi scriveva. Esultai saltando sul posto un breve istante per quella piccola vincita, ma prima di cantare definitivamente vittoria preferii leggere il testo. Magari voleva semplicemente mandarmi a quel paese una volta per tutte..


Ascolta Bring me to life degli Evanescence


Ma che? Tutto mi sarei aspettata tranne che quel genere di messaggio. A primo acchito quel titolo ebbi l'impressione di non conoscerlo, ovvio la band sì ma non ascoltavo spesso loro brani. 

"Riportami in vita", era la traduzione. Che fosse un messaggio in codice come il mio con il brano fattogli ascoltare sulla terrazza di quell'hotel a Roma? Era diventato una sorta di rito, per noi, comunicare con le parole di una canzone invece di farlo con le parole?

Una morsa allo stomaco di nostalgia per quell'intenso momento trascorso sul terrazzo a Roma mi distrasse per un attimo, ma poi la curiosità di ascoltare le parole di quel brano vinse su tutto. Castiel non era un tipo romantico, espansivo, proprio per quel motivo ogni gesto compiuto da lui valeva quanto mille dichiarazioni. 

Accesi il computer portatile, andai su YouTube alla ricerca della canzone in questione e quando la trovai alzai il volume delle casse per non perdermi neanche una parola. 

Era una canzone rock, ovviamente. Appena iniziarono le prime note la riconobbi. Era famosissima e bellissima quella canzone.

Come fai a vedere dentro i miei occhi come se fossero porte aperte?
arrivando nelle profondità del mio corpo,
dove sto diventando ghiacciato. 
Senza un'anima,
il mio spirito sta dormendo in qualche luogo freddo,
fino a che non la ritroverai e la riporterai a casa.

Avevo capito bene? Dovevo realmente leggere tra le righe? Cosa diavolo voleva trasmettermi? Era stato uno scherzo? Troppi quesiti frullarono nella testa tanto da farla girare. 

Stavo per impazzire, era ufficiale. 

Restai al centro della stanza, immobile, con lo sguardo fisso allo schermo del PC mentre le parole della cantante mi entravano dentro e le immagini scorrevano. Ero frastornata dalla potenza di quel testo, di quei suoni.

Poi... All'improvviso un rumore più forte proveniente dalla finestra attirò la mia attenzione allarmandomi. Era ormai buio fuori e l'essere completamente sola in una villa così grande non mi permetteva di essere chissà quanto tranquilla.

Oltre il vetro sbucò una chioma rossa ed un viso dalla fisionomia identica a quella di Castiel; era giunta forse la fine del mondo o stavo sognando...

Sbatté energicamente i pugni contro il vetro per farsi aprire ed io lo accontentai da automa, senza ancora comprendere se quella fosse realtà o finzione. 

Dopo aver spalancato la finestra il soggetto somigliante incredibilmente al rosso entrò con nonchalance nella camera, invadendo il mio spazio personale. 

«Ce ne hai messo di tempo a sentirmi..» borbottò e poi si tolse di dosso la polvere.

Dalla voce inconfondibile e dal suo modo di muoversi capii di non star sognando. Castiel era realmente nella mia camera ed era entrato in una maniera fuori dal normale. 

«C-Castiel? Cosa ci fai qui? Come hai fatto a salire? Non potevi usare la porta come le persone normali? Dio, mi hai fatto morire!» mi poggiai la mano sul cuore che galoppava ancora sia per lo spavento e sia per la sua apparizione improvvisa. Non era mai stato nella mia stanza, come poteva aver indovinato la posizione esatta della finestra?

«Io non sono un comune mortale. L'entrate banali lasciale usare ai normali», a quel punto non seppi cosa rispondere. Era incorreggibile. «L'ex amicizia con il figlio dei Daniels ha dato finalmente i suoi frutti» ghignò, poi, sollevando un angolo di bocca e mettendo entrambe le mani in tasca. Quel sorriso uccideva tutte, me compresa. «Tengono una scala nel capanno degli attrezzi. La usavo quando il delegato veniva segregato in biblioteca, lunga storia» proseguì spiegando alla precisione come si era arrampicato fin lì.

Io ero allibita per quella sua irruzione inaspettata e nel frattempo sparai la prima cosa che mi passò per la testa, senza farci realmente caso. «Oh sì, mi ha raccontato tutto.»

«Ah giusto dimenticavo quanto tu e Daniels foste amici intimi» marcò l'ultima parola. 

«Mai quanto te con la Daniels» incrociai le braccia al petto alludendo alla sua amicizia di letto con Ambra.

«Noto con piacere che hai ascoltato il mio consiglio.» cambiò discorso indicando il computer che suonava ancora quel brano. Era destabilizzante, il ragazzo.

«Sì, molto bella. La conoscevo già»

«Ovvio che è bella. Io ascolto musica vera, non quel pop commerciale scadente!»

«Ci risiamo» mi schiaffeggiai la fronte, riprendendomi momentaneamente dalla sua presenza.

«Se hai gusti di merda in fatto di musica non è colpa mia» fece spallucce. 

«Non ti darò corda in questo monologo. Dimmi piuttosto perché hai voluto farmela ascoltare..»

«Per fare un favore alle tue orecchie. Non ne potevano più di sanguinare» alluse nuovamente.

«Castiel!» lo rimproverai alzando gli occhi al cielo.

«Ok, ok la smetto» sospirò «L'ho fatto per lo stesso tuo motivo», per la stessa motivazione utilizzata da me a Roma nel fargli ascoltare il brano di Ed Sheeran, intendeva. Ma non poteva essere così.

«La tua era una penitenza, hai perso la scommessa se ricordi e...» farfugliai.

«Intendo per il vero tuo stesso motivo» specificò sorridendo e guardandomi come se la sapesse lunga. 

Che? Aveva sin da subito capito tutto? Ma cos'era un agente segreto? Era astuto, scopriva ogni cosa maledizione!

«Oh!» riuscii solamente a rispondere in un primo momento, arrossendo. Poi mi presi di coraggio, non aveva senso martirizzarmi con mille dubbi. «Da cosa dovrei salvarti? Ma soprattutto.. vuoi davvero essere salvato, da me?» fui schietta. D'altronde odiava gli giri di parole, giusto? Bene, e allora era giunto il momento che anche lui mostrasse le sue carte.

Allungò la linea sottile della sua bocca formando un mezzo sorriso, prese a guardarmi in un modo strano che non compresi ed avanzò a passo lento verso di me. Indietreggiai d'istinto fino ad arrivare a sbattere contro il muro. Lui mi raggiunse, si avvicinò abbassando il capo e restando a pochi centimetri di distanza dal mio viso.

M'intrappolò poggiando entrambe le mani sul muro. «Mi piace la schiettezza che stai mostrando nell'ultimo periodo» mentre sussurrava percepii il fiato caldo sulle mie guance e su quei punti rabbrividii. 

Non gli risposi, mi limitai ad alzare lo sguardo e guardarlo negli occhi; in quegli occhi grigi che avrei tanto voluto mi guardassero con affetto. Quello che vidi però fu tristezza, tormento, smarrimento. Cosa gli era accaduto in quelle poche ore di lontananza da me?

Scostò lo sguardo e abbassò il volto sul mio collo dove prese a baciarmi fino ad arrivare all'orecchio «Conosci i messaggi nascosti dietro ai baci?» mi chiese con voce sensuale mentre io restai attaccata saldamente al muro per timore di cadere a causa delle emozioni che si alternavano nello stomaco e nel cuore. «Desiderio» aggiunse dopo un altro piccolo schiocco di labbra sul mio povero collo divenuto schiavo di quella bocca.

Quindi, se avevo interpretato correttamente le sue parole e i suoi gesti, Castiel continuava a baciarmi il collo perché desiderava me... ME in quel senso. Cazzo! 

Mentre proseguiva a lambirmi il collo e l'orecchio di piccoli baci e morsi, spostò la mano destra sulla zip della felpa che indossavo. Ma appena tentò di aprirla, lo bloccai «I-io n-non.. uhm...» balbettai nervosa posando la mano sul suo polso.

«Shhh, ho solo bisogno di sentire la tua pelle contro la mia» suonò quasi dolce, come se mi stesse chiedendo di fidarmi di lui, come se quel contatto ne valesse della sua sopravvivenza, come se quello fosse il messaggio in codice contenuto nella canzone che aveva voluto farmi ascoltare. 

Sollevò il capo leggermente per potermi guardare negli occhi «Ho solo bisogno di sapere come ci si sente ad averti addosso» e lo vidi. Lo vidi quel cambiamento nel grigio del mare in tempesta dei suoi occhi. Si avvicinò per respirare l'odore che emetteva la mia pelle. «Odori di buono, di pulito, di vaniglia» e chiuse gli occhi.

Dopo essersi esposto così tanto avrebbe potuto fare di me ciò che voleva. Non avrei rifiutato. Ero in balia dei suoi gesti, delle sue mani; totalmente ammaliata dalla sua voce... da lui. 

Si chinò sulla mia bocca e la sfiorò con la sua «Ho solo bisogno di te..» respirò sulle mie labbra ed io completamente soggiogata chiusi gli occhi facendomi trasportare da qualunque cosa sarebbe avvenuta. 

«Wake me up inside. Save me from the nothing I've become» ripeté la strofa della canzone terminata da qualche minuto. Non lo avevo mai sentito parlare in inglese, dannazione quanto era sexy!

Non lo avrei mai reputato capace di quei gesti, di tutte quelle parole che una dietro l'altra mi stava sussurrando. Dentro di me pregai che non si rimangiasse ogni cosa, che non ritornasse indietro dopo quel grande passo verso di me. Era quello l'enorme timore che mi perseguitava ogni volta, ma cercai di non pensarci per non rovinare quegli istanti unici.

Senza aggiungere altro mi cinse i fianchi con le sue mani grandi e mi sollevò. D'istinto allacciai le gambe di lato al suo corpo e le braccia intorno alle sue spalle. Eravamo naso contro naso, alla stessa altezza, occhi contro occhi, bocca contro bocca. 

Inevitabilmente finimmo per baciarci. Ma quella volta fu diverso. In realtà ogni nostro bacio si distingueva dal precedente. Quella volta però fu un bacio bisognoso, voluto e cercato da entrambi nello stesso istante; quasi come se fossimo collegati e riuscissimo a leggerci nel pensiero. Infilò le dita sotto la felpa e mi accarezzò fino a sfiorare il reggiseno. 

Indietreggiò sino al letto dove mi fece cadere senza staccare la bocca dalla mia, lui mi seguì finendo sopra di me. 

S'inginocchiò finendo di sganciare la zip della mia felpa. Sollevai il busto per levarla definitivamente provando però un imbarazzo assurdo. A Roma aveva intravisto molto di più, vero, ma fu un attimo e in quell'attimo non ebbe il tempo di guardarmi approfonditamente mentre quella sera nella mia camera, nel mio letto, i suoi occhi bruciavano incredibilmente sulla parte di pelle esposta. 

Non sapevo ancora fin dove si sarebbe spinto il suo bisogno di me, ma volli fidarmi di lui. Permettendo di sfiorarmi gli affidai la mia ingenuità, la mia purezza; sperai la custodisse al massimo. 

Mi sfiorò con la punta delle dita il torace come se fossi frangibile, talmente fragile da potermi rompere. Nello stesso istante fissò con gli occhi i movimenti della sua mano che saliva e scendeva dal mio collo fino a sotto l'ombelico. Una dolce tortura di cui non facevo capace Castiel Black. 

In quell'ambito l'avevo sempre immaginato passionale, brusco, infuocato ma mai... dolce, apprensivo. Dov'era finito il rosso rubacuori bad boy? Nonostante fu strano ricevere quel tipo di premure da lui, fu tremendamente piacevole. Mi sentii privilegiata, come se nessuna oltre me fosse mai stata degnata di un suo trattamento del genere; auspicai di aver ragione. 

Si accorse persino della piccola cicatrice indelebile che spuntava dal reggiseno. Non chiese spiegazioni, né come me la fossi procurata.. forse visto il sua infallibile intuito addirittura lo immaginava già. Si limitò, invece, a corrugare la fronte e ad abbassarsi fin lì per dare un piccolo bacio su quella ferita che per me altro non era se non il segno del tempo
Fu quello il gesto che decretò la mia sconfitta. Ormai ero andata. Kaputt. Mi ero innamorata di lui. Di lui che senza chiedere niente, senza fare rumore aveva compreso ogni cosa. 
Si era fatto peso del mio dolore nonostante avesse sostenuto più volte di essere troppo rotto per farlo. 
Ed era vero, io non sapevo cosa fosse quel sentimento o se esistesse realmente, ma allora cosa poteva essere se non amore, la felicità interiore provata solo quando lui era con me? Cos'era se non amore il definire lui come il mio posto, la mia casa? Cosa poteva essere se non amore la necessità di volerlo aiutare in ogni occasione? Cos'era se non amore l'accettare che lui stesse con un'altra solo per salvarlo? Mi bastava anche solo un po' del suo cuore, del suo tempo per sopravvivere.

"Castiel, qui oggi, ti sto donando il mio cuore; non calpestarlo ti prego. Ha bisogno di essere riparato e solo tu ne sei capace, non romperlo!" avrei voluto urlare, scongiurarlo, ma ovviamente non lo feci per non espormi più di quando avessi già fatto.

Dopo un breve momento di trance passò a spogliarsi della sua -immancabile- giacca di pelle e poi della t-shirt. Fu il mio turno di sbavare sui suoi addominali allenati e lisci, a quel punto fu più forte di me la smania di toccarlo e lo feci. Accarezzai tutto il suo busto percependo per tutto il tempo un fuoco accendersi sul mio basso ventre. Non ero ancora abituata a quelle sensazioni così struggenti. 

Mentre ancora sfioravo la sua pelle calda lui si spostò di poco per levarmi i leggings. Fermai ogni mio movimento, irrigidendomi e trattenendo il fiato ma permettendogli comunque di eliminare il penultimo strato di vestiti. Poi passò ai suoi jeans. 

Entrambi restammo in intimo. Per la situazione completamente nuova per me, arrossii e avrei tanto voluto nascondermi sotto il letto a causa della vergogna. 

Fu la primissima volta che lo ammiravo con solo i boxer addosso, rendeva ancora meglio svestito. Le gambe lunghe e muscolose testimoniavano il suo continuo esercizio atletico insieme alle spalle possenti e al torace degno di un Dio greco. Cercai di non guardare la protuberanza tra le gambe perché altrimenti avrei avuto bisogno di un'ambulanza, così dopo un breve scanner lungo il suo corpo mi limitai a fissarlo in volto. Ma lui dovette accorgersi della fonte dei miei pensieri visto il ghignò e l'espressione maliziosa che emise. 

Ero frastornata dalla potenza di quei sentimenti e di quelle sensazioni provate inaspettatamente.

Cosa dovevo fare a quel punto? Ero sdraiata sul letto della mia stanza a Parigi e avevo difronte un bel fustacchione di cui probabilmente ero addirittura innamorata. Maledizione, avrei dovuto leggere quelle guide sulle prime volte presenti nei giornalini per teenager, le saltavo sempre concentrandomi invece sugli articoli dei miei artisti preferiti. 

"Okay, niente panico Miki. Inspira. Espira. Inspira. Espira. Brava, così!" pensò di dettarmi qualche regola la mia amica coscienza prima di finire per avere un attacco di panico. 

Castiel dovette comprendere il mio impaccio così prese lui stesso in mano la situazione, ma sorprendendomi. Chinò la testa sul mio stomaco e proprio al centro posò le labbra sottili per baciare quello strato di pelle, poi voltò il capo per poggiarsi e si stese sopra di me. Allargai le gambe per permettergli di stare maggiormente comodo e soprattutto per non morire schiacciata dal suo peso.

«Ma che-» mi venne spontaneo borbottare.

«Te l'ho detto Ariel, volevo solo sentire la tua pelle a contatto con la mia» mi ripeté chiudendo gli occhi e rilassando il volto. 

Di nuovo. Aveva ripetuto quella frase di nuovo. Il cuore mi scalpitò dall'emozione, sperai non lo sentisse.

Rilasciai il fiato che non sapevo neanche di star trattenendo e provai a rilassarmi insieme a lui. Non era facile. La sua testa era sulla mia pancia, le braccia intorno al mio busto, le gambe sul materasso che rasentavano le mie. Una posizione comoda ma del tutto nuova per un'inesperta come me, del tutto difficile per l'emozioni che mi causava.

Castiel Black era sdraiato su di me, eravamo quasi nudi, ma non aveva intenzione di andare oltre. Voleva essere salvato da me -da qualsiasi tormento avesse in quell'istante- solo rilassandosi a contatto con la mia pelle. Stentavo a crederci.

«Che bastardo Santa Claus versione Giotto!» borbottò facendo tremare la parte di pelle del mio stomaco sulla quale era poggiato di guancia.

«Possibile che per ogni persona tu abbia dei soprannomi?» mi uscì spontaneo un risolino sapendo già dove volesse andare a parare. 

Il dipinto che Castiel mi aveva regalato a Roma conteneva non solo la mia figura ma anche il rosso, e lui ovviamente non ne era a conoscenza perché non mi aveva chiesto di mostrarglielo una volta concluso. Lo avevo incorniciato e appeso poco prima che facesse irruzione nella mia stanza e il caso volle che fosse proprio difronte alla sua visuale, quindi lo vide. 

«Gli avevo esplicitamente ordinato di non essere incluso nel dipinto. Dovrei denunciare quel brutto vecchiaccio», brontolò ancora senza però essere realmente infastidito.

«Devo salvarti con il nome Mr. Brontolo in rubrica. Dimentico sempre di cambiarlo» risi di lui per la sua tendenza innata a lamentarsi di ogni aspetto, cosa o persona. 

«Permettiti ed io ti salvo sotto il nome di Ragazzina» replicò pensando di ricattarmi. 

Ma ciò che lui non sapeva era che ormai mi ero affezionata anche a quel nomignolo spesso e volentieri usato per chiamarmi. Lo usava solo con me, per me e quello bastava per farmelo amare. Feci spallucce terminando lì il discorso.

Trascorse qualche minuto in completo silenzio ed io già iniziai ad abituarmi a quel contatto piacevole, così mi permisi di toccare i suoi capelli rossi e vedendo che non mi bloccò continuai ad accarezzarli. 

Non pensai più ad alcun problema, né ad alcun ricatto. Ogni cosa rimase fuori. 

Passammo mezz'ora senza muoverci, in silenzio, all'ascolto dei nostri respiri che vicini si fondevano senza alcuna fatica, con la sensazione della nostra pelle calda ed esposta l'una sull'altro.

«Mia madre tra due giorni dovrà subire un'operazione. Ha il cancro al fegato!» e la nostra bolla, come accadeva ogni volta, scoppiò in un attimo. 

Bloccai la mano intenta ancora a carezzare la sua chioma, trattenni il respiro, m'irrigidii e strinsi gli occhi. Il momento era giunto ancor prima del previsto. Per non aggiungere altre torture mentali avevo evitato di fare previsioni su come l'avrebbe presa una volta venuto a sapere della menzogna. Ma immaginavo, immaginavo che tutto sarebbe mutato, che non mi avrebbe più vista come un tempo.

Adelaide ovviamente era stata costretta a comunicarglielo subito dopo il ritorno da Roma, i tempi stringevano. Ed evidentemente aveva omesso la parte della sua insicurezza e paura di rivelarlo al figlio, la parte in cui poi ero subentrata io. E avrei dovuto capirlo sin da quando aveva fatto incursione nella mia stanza che c'era qualcosa che non andava, era proprio quella la causa del suo tormento intravisto nei suoi occhi inizialmente.

«Perché non dici niente?» si sollevò improvvisamente dal mio corpo lasciandomi nel freddo, freddo che sicuramente non avrebbe più colmato una volta saputa la verità. 

Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, di vedere quel repentino cambiamento di colore, di emozioni che sarebbe avvenuto a breve. 

«Tu lo sapevi...» 

E arrivò. Arrivò quella coltellata dritta al cuore. Il tono di voce deluso. Il letto abbassarsi per poi sollevarsi a causa del suo spostamento. La sua rabbia, la sua delusione. Ma soprattutto la perdita di fiducia nei miei confronti. 

Perché Castiel era anche quello. Dopo le delusioni in amicizia, in amore, in famiglia, in ogni ambito era divenuto poco incline a dare fiducia alle persone. Io soltanto da poco tempo ero riuscita ad abbattere la sua diffidenza, ma eccola lì la sfortuna bastarda che continuava a perseguitarmi. 

«Posso spiegarti tutto..» mi alzai anch'io dal letto senza badare troppo al fatto che fossi in intimo ed esposta.

«Tu» m'indicò «Tu. Stammi lontano. Sei la peggior bugiarda. Sei anche peggio di mia madre. Dio!» si portò le mani ai capelli tirandoli per la frustrazione. 

«Ma vuoi capirlo che una notizia del genere toccava a lei dirtela? Cazzo Castiel per una volta evita di fare l'ottuso», urlai rabbiosa per il suo solito vizio di partire in quinta senza permettere possibilità di spiegazioni. 

«Ah sarei io l'ottuso? E tu invece?» sorrise derisorio «quale parte di: odio chi mente, non ti era chiara? Te l'ho ripetuto mille volte, cazzo, da quando ci conosciamo».

«Era disperata. Era sola. Tua madre mi ha chiamata pensando che io fossi la persona adatta per rivelarti della malattia, perché tu non la parlavi. In realtà in quel periodo anche noi ci eravamo allontanati.. è stato dopo Natale» sapevo di starmi spiegando male, ma ero completamente in panico e qualsiasi parola uscita andava bene pur di cercare di riparare l'irreparabile.

«Il fatto che io sia stato testa di cazzo in quel periodo ha giustificato te a mentirmi quindi, è questo che vuoi dire?» mi spronò incrociando le braccia al petto.

Per un attimo mi persi ad ammirare i muscoli dei bicipiti che flettevano, poi scossi la testa e cercai di tornare ad essere concentrata. Lui in boxer, alzato e incazzato era una combinazione mortale per me, piccola ragazzina indifesa e sola. 

«Non intendevo questo... Solo-» ma non mi permise di concludere.

«No senti, lascia perdere. Ho già sentito abbastanza» alzò nuovamente la voce poi parlò mentre si rivestiva. «Ho sbagliato io a venire qui. Siete tutte uguali. Mia madre, Debrah, tu. Non c'è nessuna differenza. Siete perfette fin quando vi conviene, poi alla prima occasione diventate delle bugiarde di merda!» concluse quel discorso rassegnato ma tremendamente irato.

Si passò le mani tra i capelli dopo aver indossato anche la giacca di pelle, segno di quanto fosse nervoso. Mentre io stavo immobile e rigida come un palo, con le braccia incrociate al petto, infreddolita sia dentro che fuori. Sarei tanto voluta ritornare indietro di qualche minuto nella nostra pace.

«Non ti permetto di paragonarmi a nessuna. Ti chiedo scusa se mentendo ho potuto mancarti di rispetto, ma l'ho fatto per una buona causa. E poi a dirla tutta non dovresti neanche stare qui a piangerti addosso sulle menzogne che gli altri ti raccontano, visto che c'è qualcosa di più grosso in ballo: la vita di Adelaide. Stiamo parlando di una malattia grave, Castiel sveglia! Sta' vicino a tua madre, non abbandonarla. Non lo merita» reagii, sperando di aiutarlo un minimo.

«Grazie per avermi aperto gli occhi. Senza di te non avrei mai capito che mia madre rischia di morire, sai?» si prese gioco di me. «Ora non ho di certo voglia di stare qui ad ascoltare consigli scadenti, quindi vado. Ho già perso troppo tempo dietro alla bambina del cazzo che sei, non sei neanche stata in grado di farmi svuotare le palle..» doveva ferirmi per forza, altrimenti non sarebbe stato soddisfatto «E sai cosa? Cancella tutto di me. Il mio numero, la mia faccia. Finisce tutto qui, non mi servi a niente!»

«M-ma... Ma come ti permetti?! Stupido, stronzo, cogli-» ero incredula, esasperata, per come quella serata da sogno si era appena trasformata in un incubo. 

«Vaffanculo Miki!»

E se ne andò senza neanche farmi concludere i miei insulti. Se ne andò per davvero scendendo le scale velocemente e poi sbattendo la porta d'entrata.

Quel cuore che soltanto un'ora prima gli avevo affidato tacitamente, si sgretolò tra le mie mani.

Non ero stata capace di salvarlo come mi aveva chiesto tramite quel brano, non ero riuscita a riportarlo in vita. 

Avevo fallito. 







 

 

🌈N.A.🌈

BOOOOOOM. La bomba Castiel come immaginavamo è scoppiata. 

Si fiderà di nuovo di Miki? Capirà di aver sbagliato? Perchè ha reagito così male davanti alla verità di Miki più di quando Adelaide gli ha raccontato tutto?

Nonostante questo piccolo particolare sulla sua tendenza di essere una testa calda, è stato o no carino con l'esporsi così tanto verso Miki? Si era aggiunto realmente un altro tassello al loro rapporto, ha ammesso di aver bisogno di lei😍. Vedremo come andrà a finire.

Finalmente si è saputo qualcosa di Demon. Ancora è vivo e vegeto, ma dovrà sottoporsi anche lui ad un'operazione. 🐶

Vogliamo parlare poi dell'ammissione di Miki che ha fatto tra sé e sé? Si sarà davvero innamorata di Castiel, è realmente già amore o è solo un falso allarme dettato dal momento in cui lei finalmente ha visto il rosso diverso nei suoi confronti?

Isaac e Kate credo si siano commentati da soli. E pensate... Il personaggio di Isaac è ispirato ad una persona realmente esistente, quindi molto incoraggiante direi.

Debrah è sparita nel nulla? O si sta preparando al suo gran ritorno? Tenetevi forte!

Credo che con i punti di riflessione io abbia finito per oggi. 

Buon 1 Dicembre,

All the love💖

Blue🦋


P.S. @Lady_Of_Miraculous (utente e lettrice di Wattpad) ha scritto una OS ispirandosi al rapporto tra Castiel e Miki, descritto dal punto di vista di Miki. Mi ha fatto emozionare parecchio. E' troppo bello sapere che c'è qualcuno che addirittura scrive qualcosa ispirandosi a dei personaggi creati da me.

Dateci un'occhiata, non ve ne pentirete. Tra l'altro si collega perfettamente con i pensieri di Miki di questo capitolo e soprattutto con la fine. Quindi se avete un altro po' di tempo e vi fa piacere dedicarlo ai Mikistiel (sì proprio così, anche loro come ogni coppia che si rispetti hanno la loro ship da oggi), il link è questo:


https://www.wattpad.com/660534447-resta-con-me-miki-x-castiel-non-lasciarmi-più


(Se non riuscite a cliccare direttamente da qui, copiate e incollate l'url, oppure troverete la storia nella mia biblioteca di Wattpad, nella lista "Dolce Flirt" s'intitola RESTA CON ME.. Dovreste riuscire a leggerla anche non essendo registrati a Wattpad. Fatemi sapere cosa ne pensate!)

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** CAPITOLO 31: The diary ***


Capitolo 31

The diary







🎶 P!NK - Blow me (one last kiss) 🎶

Occhi in fiamme, e il bruciore derivato da tutte le lacrime.
Ho pianto.

Sono morta standoti dietro.
Faccio un nodo alla corda, cerco di resistere,
Ma non c'è niente da cui afferrarsi, così mi lascio andare

Penso di averne avuto abbastanza di tutto questo. 

Proprio quando pensavo che le cose non potessero andare peggio, 

ho passato una giornata di merda.

Non mi mancheranno tutte le nostre liti

Pagherai per i tuoi peccati, sarai dispiaciuto, mio caro
Tutte le menzogne, verranno a galla!

 

 

***


MIKI

Le ore dopo l'abbandono di Castiel erano state tutte un alternarsi di emozioni contrastanti, come d'altronde accadeva ogni volta. In un primo momento mi ero colpevolizzata pensando che -come aveva sostenuto anche lui- se avessi voluto, avrei potuto cambiare le cose; nelle successive ore però ero giunta alla conclusione che non avevo tutto quel potere. Non avevo alcun diritto di raccontare a Castiel della malattia di Adelaide, in quel modo avrei solamente alimentato la sua ira nei confronti della madre ed io non ero quel genere di persona, non potevo prendere il posto di sua madre. Dopo quella consapevolezza si era sollevato il peso che mi opprimeva il petto sin da quando il ragazzo dai capelli rossi mi aveva detto addio. Poi però passai alla fase finale, quella devastante, quella in cui rimuginai sulle parole tremende che mi aveva urlato in faccia. 

"Ho già perso troppo tempo dietro alla bambina del cazzo che sei, non sei neanche stata in grado di farmi svuotare le palle.. E sai cosa? Cancella tutto di me. Il mio numero, la mia faccia. Finisce tutto qui, non mi servi a niente!"

La sua faccia?! La sua faccia? Come potevo dimenticare i suoi occhi grigi, la sua bocca sottile, le sue smorfie, i suoi capelli, il suo corpo? Se prima del viaggio a Roma sarebbe stato difficile, in quel momento era diventato addirittura impossibile. Obliavo tra i nostri ricordi, tra la sensazione di sentirlo addosso, di sentirlo dentro di me senza neanche esserci mai stato realmente. E non osai immaginare l'emozioni che avrei provato se la parte più potente di lui avesse avuto accesso alla mia più fragile. Di sicuro avrebbe decretato la mia fine. In quelle ore mi ritrovai a ringraziare me stessa per essere stata in grado di fermarlo in tempo nelle occasioni in cui ero ad un piccolo passo dal concedermi completamente alla sua mercé. Perché quello mi avrebbe inevitabilmente legata a lui per sempre. Perché quello mi avrebbe ubriacata completamente, incondizionatamente di ogni sua parte, anche della più primordiale. 

"Insegnami tu a dimenticarti perché io non lo so fare", avrei tanto voluto urlargli contro con la stessa intensità utilizzata da lui, ma non potevo più farlo. Non avevo avuto la possibilità di replicare perché come era solito fare aveva preferito proseguire per la sua strada con le sue convinzioni senza mai voltarsi indietro.  

Avrei volentieri voluto dimenticarlo dopo l'odio sprigionato dalle sue parole. Era bastata una piccola scintilla per scatenare il fuoco del suo inferno. Ed io... Io che ci avevo impiegato mesi per entrare nel suo mondo, io che avrei tanto voluto salvarlo, non meritavo quel trattamento. Grazie ai numerosi momenti trascorsi insieme mi stava pian piano dando accesso al suo regno, quella sera in cui aveva invaso col suo profumo la mia camera mi stava per consegnare la chiave, stava per farmi aprire uno spiraglio della sua porta, ma quella si era chiusa bruscamente solamente mezz'ora dopo. Perché era incapace di ascoltare e più che altro comprendere le ragioni degli altri. Se solo avesse provato a immedesimarsi in me, se solo avesse capito che esistevano altri colori oltre al grigio, altri modi di vedere le cose oltre al suo, allora mi avrebbe capita. Avrebbe cercato di lavare via il dolore insieme a me, e avrebbe trovato conforto tra le mie braccia. 

Aveva preferito scappare ancora, ma io non lo avrei rincorso. Non più. Non quella volta. Anch'io avevo un cuore, anch'io ero stata ferita dai suoi comportamenti, dalle sue parole. Mi aveva usata considerandomi un oggetto del piacere, dei suoi bisogni. Ed io non avevo alcuna intenzione di giustificarlo sebbene sapessi che quei termini erano dettati dalla delusione e rabbia, sebbene sapessi che forse quei pensieri di me non li aveva più. 

E fu inevitabile piangere. Piansi per la consapevolezza che forse il nostro tempo era passato, era stato sprecato dagli innumerevoli litigi. Piansi perché forse aveva ragione lui. Non eravamo capaci di supportarci, consolarci, abbracciarci senza avere dopo delle conseguenze. 

Mi gettai per terra sfinita, di spalle alla porta sbattuta da Castiel solo qualche ora prima. E piansi ancora per il vuoto sentito dentro, per il freddo percepito fuori. La stessa pelle sfiorata con delicatezza precedentemente era ora cosparsa di lividi invisibili ad occhio umano, e visibili solo da colui che il male lo aveva provocato.

Sobbalzai quando udii il campanello del cancello suonare. Mi trascinai fino al citofono con la telecamera incorporata -in alto e di lato alla porta- e quando sullo schermo mi apparve la figura di una persona che conoscevo bene in bianco e nero, pensai di star dormendo e sognando un incubo. 

Debrah Duval a casa mia. Non persi neanche tempo per cercare di capire come sapesse dove abitavo vista l'evidenza del suo essere diabolica nel trovare sempre una soluzione. Riflettei piuttosto sul da farsi. 

Aprirle o non aprirle. La coscienza ribelle mi suggerì di uscire di casa armata di padella e colpirla alle spalle nascondendo poi il cadavere tra i cespugli, ma io -più razionale- optai di aprire semplicemente il cancello, la porta e farla entrare per capire cosa volesse da me a quell'ora di così urgente da portarla a recarsi addirittura nella tana della sua pedina. 

Aveva forse scoperto dei momenti trascorsi con Castiel? Tanto piacere. Castiel avrebbe dovuto pensarci due volte prima di filmare i suoi atti sessuali con quella vipera, avrebbe dovuto pensarci due volte prima di far uso di sostanze stupefacenti e addirittura di venderne a dei bambini di dodici anni. Come gli era venuto in mente e quando era accaduto? Avrei tanto voluto conoscere il nesso cronologico tra l'accaduto del suo tentato suicidio e la sua voglia improvvisa di divenire temporaneamente uno spacciatore. Più volte dopo aver visto quei video nella stanza d'hotel di Debrah, ero stata tentata di fare quelle domande scomode al rosso, purtroppo però mi ero dovuta trattenere, non potevo far sapere a Castiel che conoscevo l'esistenza e il contenuto di quei video. La ragazza dagli occhi di ghiaccio era stata chiara a riguardo. Avrei voluto saperne di più, di quanto tempo Castiel aveva trascorso in quel giro illegale, ma come già detto non potevo e più che altro non dovevo. Non dovevo immischiarmi nella sua vita privata perché ne ero stata chiamata fuori da lui stesso. Non dovevo più tentare di salvarlo. Non spettava a me quel ruolo. Se fosse finito in galera non sarebbe stato di certo a causa mia, ma per i suoi comportamenti sbagliati. Anzi meno lo avrei visto, meno avrei avuto a che fare con lui e più c'erano possibilità di dimenticarlo. In quegli attimi che precedettero l'entrata di Debrah in casa fu la rabbia ad insinuarsi dentro la mia mente, a mente lucida non avrei mai pensato quelle cose.

Asciugai le lacrime prima che arrivasse di fronte a me. Non davo a nessuno la soddisfazione di vedermi piangere, ancor meno a lei.

«Che ci fai qui?» fu la mia brusca accoglienza appena la vidi sulla soglia della porta. 

«Neanch'io sono felice di vederti, sta' tranquilla» incrociò le braccia al petto guardandomi con superiorità dai suoi quindici centimetri di tacco. Indossava dei pantaloni striminziti di pelle, degli stivali, una giacca anch'essa di pelle. Aggressiva anche nell'abbigliamento.

Indossavo un pigiama fucsia di pile con un fiocco di raso al lato sinistro del petto mentre lei era la perfezione in persona, ma non mi feci intimorire da quell'aspetto. Anch'io spesso indossavo capi di vestiario striminziti simili ai suoi, prima di levare la maschera. Dopo i vari conflitti avuti con me stessa avevo finalmente compreso che l'aspetto esteriore contava davvero poco. Chi aveva voluto conoscermi realmente non si era fermato davanti alle apparenze ed al fatto che sembrassi una ragazza facile e superficiale a causa dei miei vestiti, era andato oltre perforando la mia corazza e frequentando la vera Miki, permettendo a me stessa di conoscermi. Certo, quello non sarebbe stato il caso di Debrah perché la sua personalità, il suo essere era tale e quale al suo modo di vestire. Meschina, diabolica, troia. Nel suo caso l'abito faceva perfettamente il monaco. 

«Quindi?!» imitai la sua posa iniziando a pestare impazientemente i piedi sul pavimento marmoreo della soglia. Non mi preoccupai di farle spazio per entrare in casa, al costo di gelare anch'io lì fuori insieme a lei, non avrebbe messo piede dentro nessun mio spazio personale. Aveva avuto già Castiel. Bastava e avanzava. Non avrebbe più ricevuto niente di mio

«Nè tu, né Castiel avete rispettato i patti. Siete stati dei bimbi cattivi!» allungò la bocca in un sorriso disgustosamente malvagio. Aveva un anno in più di me, uno in meno di Castiel, come faceva a comportarsi da donna vissuta perennemente era un mistero. 

Dalle sue parole intuii che anche Castiel era stato ricattato da quella strega. Era pazza. Rabbrividii per il guaio in cui senza volerlo ero finita anch'io. Stava diventando ogni giorno più pericoloso, pauroso. Tuttavia mi limitai a inarcare le sopracciglia e a piegare le labbra in una smorfia disgustata. Non le diedi la soddisfazione di vedermi tentennare. Non le risposi a parole, non meritava alcuna mia reazione. 

«Quindi...» continuò lasciando le parole in sospeso per qualche secondo finché non prese dei fogli bianchi piegati dalla tasca interna del suo giubbotto. Cos'era? «Per cominciare.. Per far capire ad entrambi che faccio sul serio. Questo non è un gioco!» finì seria senza una frase di senso compiuto, ma porgendomi quei maledetti fogli. 

L'ansia si fece subito sentire, avevo una brutta sensazione e non sapevo neanche il motivo. Afferrai quei fogli quasi a rallentatore, con la paura di quello che avrebbero potuto contenere. Solitamente la mente immaginava, faceva ipotesi, quella volta non avevo proprio la minima idea di cosa aspettarmi. Di sicuro sarebbe stata qualcosa riguardante me o Castiel e già quello era soddisfacente per accrescere l'agitazione. 

«Avanti su, aprili!» m'incitò Debrah quasi divertita dalla mia incapacità di nascondere le emozioni. Se dapprima avevo reagito freddamente, riuscendo a mascherare ogni sensazione, in quel momento mi era impossibile farlo. «Non ho intenzione di perdermi la tua faccia per nulla al mondo quando vedrai cosa contengono quei fogli, quindi me ne starò qui buona buona senza disturbare. Sarò ben lieta di darti delucidazioni a riguardo..» schernendomi girò il dito nella piaga. Era brava a torturare le persone, un'altra sua dote nascosta.

Lei m'istigava, mentre io rimasi ammutolita. Sembrava quasi che qualcuno mi avesse incollato la bocca con della colla acrilica. Avrei tanto voluto urlare per la sovrabbondanza di turbamenti provati dentro il mio corpo. La mano sinistra reggeva quei fogli che a prima vista parevano essere una decina, erano leggeri ma in quel momento parvero pesare una tonnellata. 

Avrei voluto strapparli, preferivo non sapere cosa nascondessero. Avevo la sensazione che il contenuto avrebbe mutato ogni cosa. Tuttavia la curiosità e il bisogno continuo d'iniziare ad avere chiarezza ai troppi dubbi che mi assalivano da sempre, mi portarono ad aprire quei dannati fogli.

Il respiro si fece corto, fitte lancinanti mi colpirono lo stomaco. Avvertii il senso di nausea risalirmi. 

Il primo foglio era una foto scattata da un cellulare. Era raffigurato un cassetto con dentro un malloppo di fogli fotocopiati di quello che sembrava essere un quaderno scritto a mano.

Il secondo foglio conteneva anch'esso una foto, ma questa volta si leggeva alla perfezione quel quaderno fotocopiato.  

Non era un quaderno qualsiasi, non era una scrittura a mano qualsiasi.

Quello era il mio diariola mia scrittura

Come aveva fatto a prenderlo e fotocopiarlo? Lo custodivo gelosamente in un cassetto nascosto dell'armadio, nessuno poteva trovarlo. Ma soprattutto.. nessuno doveva leggerlo. Lì, dentro quelle migliaia di parole era racchiusa Miki, la piccola e ingenua ragazzina, le sue paure di bambina, i maltrattamenti subiti, il suo passato, le sue sventure, le sue giornate terribili. Tutto. Debrah aveva toccato il fondo con quel furto. 

Mi sentii violata, nuda. Ebbi freddo non per i due gradi di quella notte di fine Gennaio, non perché ero fuori casa senza essere coperta abbastanza.. Quello fu un freddo diverso, un gelo interiore incolmabile. Uno sgomento mai provato prima, paragonabile solamente alle botte subite da Luis dieci anni prima. 

«Queste fotocopie si trovano nel cassetto inferiore della scrivania nella stanza di Castiel. La chiave è sotto il materasso. Se non mi credi vai a constatare tu stessa!»

Quel nome accostato a quel fatto bastò per rompere definitivamente ciò che era rimasto del mio cuore. Si sbriciolò e cadde sul marmo di quella soglia della porta, nessuno se ne accorse, nessuno era pronto per salvarmi. Solamente una persona era stata in grado di soccorrermi fino a quel momento, ma d'allora non avrebbe più potuto farlo, non ne avrebbe avuto più il diritto. Come aveva potuto tradirmi fino a quel punto? Ero incredula, non potevo credere ad una cosa del genere. 

«Non è vero...» riuscii a malapena a sibilare. 

«Oh, sì che è vero invece. Anzi, facciamo una bella cosa..» era sicura di se stessa, troppo per essersi inventata tutto. «Adesso chiameremo insieme il diretto interessato e glielo chiederemo. Ci sarà da ridere!» le brillarono gli occhi per l'eccitazione. Godeva del male degli altri.

Non terminò neanche il monologo che subito afferrò il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni di pelle, premette sul viva voce e avvio la chiamata. 

Non ebbi il tempo di metabolizzare, di recepire ciò che proprio a me stava accadendo all'improvviso. Rispose al quinto squillo e i pezzi di cuore rimasti ancora nello sterno presero a battere senza sosta. 

«Che cazzo vuoi? Non è momento!» la sua sgarbataggine, la sua voce avevano ancora potere su di me. Il battito aumentò, le mani mi sudarono. Maledetto farabutto di un pomodoro. 

«Oh niente di ché! Non ti disturberò per molto. Sono qui con un'amica» accentuò quell'ultima parola guardandomi e sollevando l'angolo della bocca «e lei vorrebbe tanto ricevere conferma da te. Hai fotocopiato il suo diario cinque mesi fa, vero Castielluccio mio?!» la sua voce divenne stridula, io per poco non caddi per terra sfinita dal dolore.

Era giunto il momento della verità. Se prima avevo potuto concedergli il beneficio del dubbio, da quella risposta tutto sarebbe stato chiarito. O nero o bianco; o carne o pesce. Castiel amava stare al centro. Amava il grigio; preferiva mari e monti piuttosto che prendere posizione.

«Miki?! Porca puttana Debrah, avevamo un patto. Se io avessi rispettato le condizioni, tu non avresti aperto quella fogna di bocca che ti ritrovi. Non sei leale, vaffanculo!» imprecò ed ebbe il coraggio d'incazzarsi invece di fornire una buona spiegazione. 

Ma avevo capito tutto ugualmente. Non avevo bisogno di un disegnino. Era finita. E facevo bene prima di trasferirmi a Parigi a non affezionarmi, a non credere agli uomini, nei sentimenti. Rischiare, mettere in gioco se stessi, aprire il proprio cuore erano la peggior cosa che si potesse mai fare quando si scopriva di esser stati ingannati.

E fece incredibilmente male quella verità. 

Il cuore si sgretolò, ferito, faceva male ad ogni respiro. Castiel non lo aveva riparato, non se n'era preso cura come solo qualche ora prima gli avevo implorato di fare, tacitamente. Aveva fatto tutto il contrario. Traditore! Era tutto vero. Aveva stipulato addirittura un patto per non far rivelare a Debrah la verità. Cosa le aveva promesso? Il suo uccello in cambio di silenzio? Ero talmente disgustata, talmente amareggiata da sentire il bisogno di vomitare ogni nostro attimo. Avrei volentieri persino cancellato la sua faccia dai ricordi. 

«Parli proprio tu di lealtà, Castiel? Noi due stiamo ancora insieme -se non ricordi ti rinfresco io la memoria- ma non ci hai pensato due volte prima di tradirmi con la solita troia che ti ronza sempre intorno!»

«Non dire cazzate...», mi sembrò di assistere ad una consueta lite tra due fidanzati gelosi. Avevo il disgusto, volevo urlare, sbatterli entrambi fuori dalla mia vita, ma tutto ciò che feci fu guardarla allibita e incredula di ciò che avevo appena scoperto.

«Ti sembro scema, forse?! Eri stato avvertito Castiel. Avevi un ultimatum e visto che non sei stato capace di tenertelo tra le gambe, questo è il primo conto che hai dovuto pagare, per farti capire che tutto questo non è un gioco. Quanto sei disposto a perdere ancora per la tua troia?» era brava nel ricattare le persone, sembrava addirittura parecchio più grande della sua età. Aveva imposto anche a lui di starmi lontano?

«Fammi parlare con lei..» sospirò senza replicare alle accuse di Debrah. Lo immaginai intento a strofinarsi il volto per la frustrazione. «Miki, mi senti?! Dobbiamo parlare, non è come sembra. Cioè sì, ho fatto la cazzata ma non ho letto quasi niente. Devi credermi..» apparì affannato, preoccupato, ma lo era davvero? Non lo sapevo più. Non lo conoscevo più. 

Ogni certezza si era tramutata in dubbio.

Volevo piangere, urlare, schiaffeggiare sia lui che la sua amata, ma tutto ciò che feci fu continuare a fissare sbigottita il microfono dello smartphone, il punto dal quale proveniva la voce di Castiel.  

«Il tempo è scaduto», replicò Debrah sul punto di chiudere la chiamata, ma prima che lo facesse sul serio trovai la forza per porre immediatamente fine ad ogni cosa.

«Noi due non abbiamo più niente da dirci!», mi rivolsi a Castiel che trattenne il respiro dall'altra parte della cornetta. La voce mi risultò roca e quasi rotta per lo sforzo immane che stavo facendo di parlare senza scoppiare in lacrime. «Tu mi hai ascoltata quando ti ho chiesto di farlo qualche ora fa?! No. E allora tieni per te ogni teoria. Cancella ogni cosa di me, la mia faccia, la mia bocca, il mio odore, la mia pelle. Cancella ogni nostro momento. Tutto. Io farò lo stesso con te, proprio come mi hai suggerito tu stesso di fare. Sei caduto così in basso, Castiel..» furono le uniche cose che riuscii a dire e seppur con voce tremante sperai di restituirgli un po' di dolore. Sapevo non gli importasse niente di me, ma meritava di soffrire in quell'istante e sperai di esserci riuscita.

«Ora puoi chiudere la conversazione» mi rivolsi direttamente a Debrah alzando il volto su di lei, la trovai con la tipica espressione vittoriosa di chi aveva vinto tutto nella vita. E forse era realmente così.

«No Miki, asp-» non sentimmo terminare la parola pronunciata da Castiel, perché Debrah concluse la chiamata.

«Visto?!» riprese con il fare da donna vissuta. 

«Sì.. Senti, io adesso sono stanca. Mi chiamo fuori da ogni cosa che vi riguarda, hai vinto tu. Io non lo voglio più. Castiel è tutto tuo!» mi squarciò il petto pronunciare quelle sillabe, ma dovevo farlo per il mio bene. «Farò in modo di farti fare quella pubblicità e poi sparirò dalle vostre vite. Buonanotte!» non le diedi il tempo di replicare perché mi voltai di spalle ed entrai dentro casa chiudendo la porta e facendola sparire dalla mia visuale. 

Accartocciai quelle foto incriminanti -che tenevo ancora strette tra le mani tremanti- finendo per creare dieci palle e prendendo a lanciarle dappertutto. Dovevo sfogare in qualche modo la rabbia. Successivamente raccolsi ogni palla di carta, la aprii e la ridussi in mille pezzettini che divennero a loro volta coriandoli. Strappai via la falsità, la menzogna, l'illusione, l'amore, il sapore di un ragazzo che non mi aveva mai meritata, che non mi aveva mai voluta realmente. 

Si era permesso di giudicare me per avergli mentito quando lui aveva fatto decisamente di peggio. Che ipocrita!

Dopo aver terminato il lavoro con quei fogli, salii velocemente le scale e mi rintanai tra le coperte, finalmente avrei potuto dedicarmi alla parte finale dello sfogo. Nessuno avrebbe avuto la soddisfazione di vedermi piangere.

E insieme alle lacrime, la consapevolezza mi sbatté in faccia violentemente.

Castiel mi aveva usata per chissà quale causa. Forse aveva fotocopiato il mio diario per passare il tempo libero, per il gusto di farlo o per leggerlo al posto di un libro con barzellette. Chissà quante risate si era fatto sulle mie sventure. Chissà... Magari poi aveva ben pensato di usare una povera orfana, di farmi credere -anche se in momenti rari- che esistesse la vera felicità, come buona azione per la sua redenzione dagli innumerevoli peccati commessi. Erano tanti i pensieri cattivi vorticanti nella mente, nessuno positivo verso quello che oramai era divenuto uno sconosciuto. 

Credevo di aver imparato a conoscerlo, ma anche quella era stata una dolce bugia. Il Castiel che avevo conosciuto, di cui avevo imparato ad adorare anche i difetti, non sarebbe stato capace di un'azione del genere. E invece.. Proprio lui che odiava le bugie me ne aveva detta una talmente grossa da superarle tutte. Mi aveva mentito per mesi, si era dimostrato interessato alla mia storia, dispiaciuto, aveva addirittura tentato di consolarmi mentre in verità altro non faceva se non pugnalarmi alle spalle. E rideva di me, violava il mio passato, i miei segreti, la mia persona ogni volta rientrato a casa, ogni volta che apriva quel cassetto per leggere le mie pene. 

Nonostante il mio status però dovetti dargli atto di una cosa. Con quell'azione finalmente era uscito vincitore dal suo intento di allontanarmi da lui. 

Pensavo che avessimo costruito un legame speciale, ma all'improvviso ero finita col ritrovarmi da sola con il cuore vuoto e quel filo spezzato in mano.

Perché da quella sera non sarebbero più esistiti Castiel e Miki. Nessun tuffo pazzo nella Fontana di Trevi, nessun dipinto nostro appeso sulla parete, nessun bacio rubato, nessun litigio dopo un abbraccio, nessuna parola dolce sorprendentemente pronunciata da lui. Era finita ogni cosa, sparito ogni bel ricordo. Fino a quel giorno ero stata io a tenere la luce della speranza accesa, non avevo mollato, non avevo permesso a nessuno di distruggerci.. Ma dopo quel tradimento decisi fosse giunto il momento di mollare la presa. Non eravamo stati creati per completarci, viverci, ripararci, ricucirci. Qualcuno da lassù aveva fatto incrociare i nostri cammini solo per metterci alla prova, per vedere fino a che punto ci saremmo distrutti. E ne era uscito un capolavoro disastroso.

Soffiai sulla luce della candela e così come con la cera, ogni mia speranza, ogni nostro momento si sciolse. 

Diventammo trasparenti come l'acqua. Non esistevamo più. 

Perché quella sera lo lasciai andare per davvero, scivolò via come ogni nostro attimo, come cera, cadde da ciò che ormai era divenuto un cuore vuoto. 

Sin dall'inizio della nostra conoscenza, Castiel era stato perennemente sospeso in aria, appeso ad una corda, in procinto di cadere fin quando non giunsi io a reggerlo -sul tetto- propensa a salvarlo. Nei mesi la corda si era affinata e a furia di tirare avevo le nocche bianche, ma non avevo mai osato allentare la presa. Stringevo i denti, gli occhi si arrossavano, il cuore acquisiva sempre più crepe eppure non mollavo. Poi, un capovolgimento di situazione. Castiel sul tetto, io sospesa in aria al suo posto, ma lui non era svelto e pronto ad afferrarmi come invece lo ero stata io per tutto quel tempo; Castiel non ci aveva neanche provato a tirarmi su, al sicuro. 

Non ebbi alcuna via di scampo. Così mi lasciai cadere entrando in un mondo senza di lui.

Addio Castiel!

 


 

CASTIEL

Avrei dovuto immaginarlo che Debrah avesse pronta qualche bomba da far scoppiare. Non era da lei sparire, farsi ingannare. Avrei persino dovuto immaginare il contenuto del pacco bomba, ma da stupido non avevo riflettuto abbastanza. 

O meglio.. avevo pensato solo a trascorrere ogni momento libero in sua compagnia. Facevo bene a chiamarla Ariel, come la Sirena. Quando lei era nei paraggi, o quando era inclusa nei discorsi, non capivo più niente. Divenivo uno stolto. E dei miei innumerevoli errori ne avrei pagato le conseguenze incominciando da quella sera. 

Sapevo bene di aver perso la sua fiducia, così come lei aveva perso la mia. Pari. Solo qualche ora prima della rivelazione di Debrah avevo finito di urlarle contro. Solo qualche ora prima ero tra le sue braccia, con il capo poggiato sul suo stomaco, inutile dire quanto ci stavo bene. Ma... lei sapeva della malattia di mia madre e non me lo aveva rivelato, mi aveva ingannato così come tutte le donne della mia vita. Non si era distinta dalle altre come ci tenevo facesse. E pensare che mi ero quasi convinto di darle la possibilità di guardarmi e leggermi dentro. Per fortuna mi ero fermato in tempo. 

Quella volta, però, sarebbe stato tutto diverso. Quella volta non era stato uno dei nostri innumerevoli battibecchi. Mi aveva detto addio per davvero. Ancora non riuscivo a descrivere l'effetto che mi avrebbe provocato la sua mancanza perenne, era troppo presto per dirlo, ero troppo incazzato anche solo per ammetterlo. Meglio così. Per un po' non avrei avuto altri dilemmi da aggiungere al mio cervello già in procinto di scoppiare. Non sarei finito in galera per l'incapacità di resisterle, per non aver rispettato il patto con quell'arpia di Debrah. Tutto sarebbe filato liscio senza la presenza costante di Miki nella mia quotidianità. Mi portava solo guai quella ragazzina. 

Non sapevo neanche perché cinque mesi prima ero finito per fotocopiare il suo diario segreto. Forse volevo sollevarmi leggendo che qualcuno aveva una vita simile alla mia, mi sentivo meno solo al mondo. Forse semplicemente per passa-tempo. Fatto stava che non avrebbe mai dovuto scoprire quel particolare. Maledetta Debrah e la sua furbizia. 

Che stronza, poi, era stata Miki nel tenere il segreto sulla malattia di Adelaide. Io ero tenuto a saperlo da lei, per lealtà, fiducia, per rispetto del legame che c'era tra di noi. Miki, fino quella sera, per me era l'emblema di persona perfetta. Pura, senza peccati e sfortunata nell'esser finita a scontare quelli degli altri. Sebbene non l'avessi mai ammesso neanche a me stesso, avevo più fiducia in lei che in me stesso. Mi aveva salvato già così tante volte che avevo perso il conto. Ciò che mi aveva colpito sin da subito di lei era quel particolare. Una ragazza dall'aspetto superficiale e da troia ma dal cuore grande e buono non capitava tutti i giorni. Al contrario di tutti gli altri non si era fermata alle apparenze, non aveva creduto alle dicerie sul mio conto per quella dannata violenza, anzi si era addirittura sacrificata per salvare il mio culo. L'avevo apprezzata sebbene non sembrasse, o non lo dessi a vedere. Per tutti quei motivi, una donna di tali valori non poteva cadere così in basso. Per quello non sarebbe stato facile ricominciare da zero, perdonarla. 

Si era insinuata lentamente sotto la mia pelle, nel mio cervello, portandomi per la prima volta -dopo anni- ad avere nuovamente fiducia in qualcuno e dopo neanche un anno mi aveva già tradito. Bastarda. 

Scossi la testa dopo esser sceso dalla moto per evitare di pensarla ulteriormente. Non meritava di padroneggiare i miei pensieri. Io ero padrone di me stesso, e nessuna Sirena avrebbe capovolto o mutato i fatti.  

Il giorno dopo il rientro a Parigi, non tornai a scuola, avevo affari più importanti da sbrigare. Quella mattina avrei potuto rivedere Demon. 

Dopo aver sistemato il casco all'interno del veicolo, entrai inquieto nella clinica veterinaria che mi stava costando un occhio della testa. Ma per Demon quello e altro. 

I muri della struttura erano parecchio colorati. Ogni parete era di colore diverso dall'altro. 

Mi fermai al bancone della reception e chiesi dove avrei potuto trovare Demon. La segretaria mi diede indicazioni e subito la congedai senza perdere ulteriormente tempo. 

Salii una rampa di scale mentre l'ansia mi divorava. L'avrei trovato diverso? O sarebbe stato sempre il caro, vecchio e forte Demon?

Camminai lungo il corridoio e quando trovai il numero della sua stanza entrai, senza aspettare ancora. Non eravamo mai stati così distanti io e lui. 

La scena che mi si presentò davanti però non fu delle migliori, anzi avrei preferito di gran lunga sborsare altri soldi per non dover assistere e vederlo in quelle condizioni. 

La camera in cui si trovava era piccola, ma con tutti i comfort di cui necessitava un cane. Il letto era una specie di poltrona bassa all'apparenza parecchio morbida. 

Demon era deperito più di quanto già non lo fosse l'ultima volta in cui lo avevo visto, aveva perso persino parte del suo pelo nero e lucente, bellissimo, che solitamente lo distingueva dagli altri cani. E come se non bastassero quei punti, sopra gli occhi, gli infermieri avevano attaccato un filo collegato ad una flebo con dentro chissà quale medicinale. Era debilitato ai massimi, il mio cagnone. Maledetto Dio che seguitava a prendersela con le persone più importanti della mia vita! Demon era un fratello, per me, non un cane. E Dio non doveva farmi anche quell'affronto, non doveva neanche minimamente permettersi a provarci. Lo avrei volentieri preso a cazzotti se lo avessi avuto davanti.

Comunque nonostante il suo essere moribondo, appena mi riconobbe cercò di mettersi in piedi, prese a scodinzolare e ad emettere dei strani versi, come ad incitarmi ad avvicinarmi e a coccolarlo. Non era da lui. 

Lo accontentai, perché mancava parecchio anche al sottoscritto, così mi accostai al lato di cuccia  su cui era sdraiato e mi accovacciai su di lui. Avvicinò la parte di testa libera dalla flebo e mi fece le fusa. 

Le fusa? Era diventato un gatto, per caso? La malattia lo aveva decisamente rammollito, tuttavia mi fece sorridere quella sua manifestazione di affetto. Gli ero mancato anch'io. 

«Ehi amico, sei diventato un pappa-molle», sdrammatizzai sui suoi gesti comuni nei gatti e cercai di consolarlo con una leggera pacca sulla schiena. 

Per il resto del tempo trascorso in quella stanza cercai di non parlare ad alta voce con Demon -com'ero abituato a fare-, eravamo in un luogo trafficato e avevo pur sempre una reputazione da mantenere. Dialogare con un cane avrebbe potuto far pensare ad una mancanza di qualche rotella d'ingranaggio del cervello. E non era il mio caso. 

Strano anche solo da pensare, in quello strano giorno dialogammo con gli occhi. Non saprei descrivere a parole il nostro legame speciale, ma era davvero forte. Mi trasmise paura ma anche coraggio. Strano anche solo da immaginare, ma Demon sembrava essere consapevole di ciò che avrebbe dovuto affrontare. Era intelligente, per quel motivo lo avevo amato sin dal primo giorno.

Trascorsi circa mezz'ora in sua compagnia, ma quando sbirciai l'ora dal cellulare mi ricordai di dover andare a parlare con il chirurgo veterinario che lo avrebbe dovuto operare. Salutai Demon con un cenno del capo e, con un'ultima carezza al suo manto rovinato, abbandonai quello spazio che lo avrebbe ospitato ancora per qualche altra settimana. 

Scesi nuovamente in reception e chiesi informazioni sul dottor Bernard, dopo averle ricevute quasi mi misi a correre per l'agitazione. Mi avrebbe comunicato quante possibilità di riuscita dell'intervento ci sarebbero state, era il minimo essere in trepidazione.

Arrivato difronte allo studio indicatomi dalla segretaria, sospirai e cercai di prendere coraggio. Nelle ultime settimane anch'io mi ero rammollito come Demon, ero divenuto troppo suscettibile alle emozioni. Non andava bene. Dovevo tornare ad essere il Castiel Black apatico di sempre.

Bussai alla porta di vetro trasparente e dopo un deciso «Avanti!» abbassai la maniglia, entrai senza proferire parola. 

«Buongiorno Signor Black» la voce del dottore -che avevo già avuto modo di conoscere qualche settimana prima- riempì il silenzio di quello studio. Era seduto dietro la scrivania con il suo camice bianco e i suoi capelli brizzolati. Aveva circa cinquant'anni. 

«Buongiorno», risposi cercando di mantenere la calma.

«Prego, si accomodi» feci come mi disse e mi sedetti di fronte a lui, sulle sedie di vetro e alluminio coordinate con l'ambiente. «Come lei già sa l'iperadrenocorticismo più comunemente chiamata sindrome di Cushing, è una malattia che colpisce le ghiandole surrenali o l'ipofisi. A causa di quest'ultima, Demon dovrà subire un intervento delicato al cervello. In questa settimana abbiamo provveduto a prepararlo somministrandogli dei medicinali appositi per la sua malattia. Adesso è arrivato il momento di procedere con l'operazione. Se per lei va bene, vorremmo fissarla per prossima settimana».

«Certo, va benissimo. Quanto tempo ho a disposizione per portarvi il resto dei soldi?» una delle mie preoccupazioni principali.

«Non me ne voglia ma... entro il giorno dell'operazione dobbiamo avere tutti i soldi!»

Le cure, la permanenza in quella clinica, la fase di preparazione all'operazione mi avevano fatto spendere già tutto l'anticipo concessomi da Rabanne. Non sapevo cos'altro inventarmi per completare il pagamento. Dovevo trovare un modo, all'istante. I problemi nella mia quotidianità non finivano mai, anzi se ne accavallavano sempre di nuovi. Se non avessi provveduto al compenso non avrebbero proseguito con l'operazione di Demon, lo avrebbero lasciato morire, il medico era stato crudele ma schietto. Dannazione! Come avrei risolto quella situazione? Avrei tanto voluto strapparmi i capelli per la frustrazione. 

«Perfetto. Ma... Quante possibilità ci sono affinché Demon la superi?» domandai infine l'aspetto fondamentale, e fingendo di non avere preoccupazioni relative al pagamento. Non avrei di certo pianto come una femminuccia, non ero il tipo. 

«Abbiamo calcolato il sessanta percento di riuscita dell'intervento, ma non si preoccupi. Demon si salverà, è in buone mani. Stia tranquillo!»

 

 

 

 

 

 

 


🌈 Note Autrice 🌈


Hello, oggi parto con il chiedervi scusa se questo capitolo non è scritto chissà quanto bene e perché è più corto rispetto agli altri, ma sono stata sottotono in questa settimana e questo è il massimo che sono riuscita a fare. Spero vi piaccia ugualmente.

Bene, ora veniamo a noi. 

Dopo l'ansia e la tristezza di tutto il capitolo, finalmente una notizia positiva. Demon dovrà subire un intervento, ma ci sono buone probabilità che si salvi. Almeno una gioia xD.

Be' poi.. come già poteva comprendersi dal titolo del capitolo, Miki ha scoperto -grazie alla nostra cara e amata Debrah- delle fotocopie del suo diario segreto fatte da Castiel. Vi è sembrata esagerata la sua reazione o giusta? 

Mentre scrivevo quella parte di capitolo mi sono emozionata, percepivo la stessa ansia, lo stesso dolore di Miki, spero di avervi trasmesso le stesse mie sensazioni. 

Inoltre Miki per essersi sentita tradita e violata ha deciso di allontanarsi definitivamente dal rosso. Ci riuscirà?

Inoltre nel Miki's pov è stato finalmente svelato il contenuto del secondo video che Debrah aveva mostrato a Miki a Roma. Castiel dopo l'abbandono di Debrah era realmente divenuto uno spacciatore? Cosa c'è dietro?

Ci sono ancora tante situazioni da risolvere all'interno della storia, spero che abbiate voglia di scoprirle insieme a me.

Ora vi saluto,

All the love💖

Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** CAPITOLO 32: Da soli, insieme! ***


Capitolo 32

Da soli, insieme!







🎶 Avicii ft. Rita Ora - Lonely Together 🎶

Sei tu e il tuo mondo ed io sono finita nel mezzo,

Ho tolto la lama del coltello e mi fa male solo un po'.

Domani potrei odiare me stessa,
ma stasera sto venendo da te.
Nel fondo di una bottiglia
tu sei il veleno nel vino.

Cerchiamo di restare insieme, da soli..
Un po' meno soli insieme!

***


MIKI

Non avevo mai visto Castiel così disperato. Non lo avevo mai visto piangere. Guardarlo per la prima volta essere talmente distrutto da non importarsene di chi potesse vederlo, annientò anche me. 

Perché sebbene non volessi ammetterlo ero così tanto legata a lui da percepire le stesse sue emozioni. Perché lui aveva rubato il mio cuore senza permesso, lo aveva estirpato dal mio petto iniziando a giocarci a suo piacimento; lo aveva calpestato, riparato, distrutto e poi ricucito. E quando aveva deciso di restituirmelo non era più solo mio, no. Perché quel cuore era diventato di sua proprietà, era diventato la sua casa. Possesso vale titolo, così come nel diritto anche per Castiel valeva la stessa regola. 

Ed anche quel triste giorno avvertii gli identici suoi impulsi. 

Adelaide non ce l'aveva fatta. Il suo cuore non aveva retto e ci aveva lasciati durante l'operazione che avrebbe dovuto salvarla. Era troppo debole, così si erano giustificati i medici. 

La notizia ci era stata data dopo qualche ora d'intrepida attesa nel corridoio dell'ospedale. In quella clinica c'eravamo stati solo io e Castiel. Due ragazzi sin troppo giovani ed inesperti per essere capaci di sopportare quell'ennesima sconfitta che la vita ci aveva riservato, eravamo troppo fragili per tollerare anche quel peso. Due ragazzi abbandonati da tutto e tutti, che necessitavano di una spalla possente su cui piangere ma che in realtà potevano contare solo su loro stessi. 

La vita non dava sconti, non regalava sorrisi, non donava gioie a due come noi. Eravamo stati puniti da qualche entità superiore per chissà quale peccato commesso in un'altra vita; non sapevo neanche cosa pensare più, a quale religione credere. 

Quale Dio permetterebbe ad un ragazzo di soffrire così tanto? Castiel era rotto ed io con lui. 

Cosa aveva fatto di male Adelaide per morire ad una giovane età ed in quel modo così sleale?

Niente. Semplicemente niente. Non le era stata data neanche la possibilità di recuperare gli anni persi con il figlio. Voleva rimediare agli errori fatti a causa di un amore incosciente, ma non le era stato neanche concesso il tempo. Meritava di vivere, meritava di essere felice, meritava di guarire.

E Castiel? Cosa si sarebbe ricordato di sua madre a quel punto? L'ultima conversazione avuta con lei era stata un litigio. Gli sarebbe rimasto il rimorso, a vita, per non averle rivelato neanche una volta quanto bene in realtà le volesse, non le aveva mai dato un bacio, un abbraccio solo per il gusto di farlo. Avrebbe solamente avuto ubicati nella sua memoria le urla, il dolore, le bugie, l'abbandono. Perché? Perché doveva capitare proprio a lui? Non aveva già patito abbastanza da quella vita ingrata?

Ed io? Io, come avrei potuto salvarlo a quel punto? Non ci sarebbe più stata possibilità neanche qualora fossi riuscita a perdonarlo per avermi delusa qualche giorno prima, perché lui dalla perdita di sua madre in poi si sarebbe di nuovo fatto divorare dall'apatia e dal dolore. Proprio quando stava iniziando a guarire, proprio quando stava per salire a galla gli era dovuto capitare qualcosa di terribile capace di farlo affondare definitivamente. Non avrebbe più fatto entrare i colori nella sua vita. Avrebbe navigato nel grigio, nel nero delle acque del suo inferno. Avrebbe remato contro i sentimenti. 

Erano quelli i miei tormenti mentre assistevo inerme alle scene che non avrei mai più dimenticato per il resto dei miei giorni. La camera ardente era stata allestita nel salotto di casa Black, nello stesso salotto in cui io ed Adelaide avevamo complottato contro Debrah qualche mese prima. 

Com'era crudele la vita. Un attimo prima ti ritrovavi a ridere e a vivere con una persona, e l'attimo dopo quella stessa persona non c'era più. 

Adelaide si trovava in una bara di legno scuro, senza vita, con il suo abito più bello. Sembrava una principessa per quanto era perfetta anche da morta. Non ero ancora riuscita ad avvicinarmi, ero rimasta ad una distanza di sicurezza per evitare di crollare anche al di fuori. 

Perché dentro ero distrutta, ma fuori ero riuscita a tenere alta quella maschera che anni e anni di finzione avevano insegnato a proteggermi. Tuttavia quella volta non lo feci per me stessa, per tutelare il mio passato ed il mio cuore -quello non lo avevo già più-. Quella volta lo feci solo ed unicamente per Castiel, perché sebbene percepissi tutto il suo dolore, uno di noi due doveva per forza restare lucido. Perché sebbene lui non volesse essere afferrato da nessuno, io ci avrei provato ugualmente. Non lo avrei lasciato cadere. Dovevo essere forte per lui. Non riuscii ad abbandonarlo come mi ero promessa di fare dopo aver appreso la verità da Debrah. Ci tenevo troppo a lui per fregarmene, per lasciarlo da solo. 

Al costo di uccidermi, sarei affondata anch'io con lui. O tutti e due, o nessuno. 

Entrambi, da soli.. ma insieme!

Una musica assordante mi sconquassò dal sonno ed aprii gli occhi spaventata. 

Mi sollevai col busto e per qualche secondo fui colpita dalle vertigini; avevo il fiato corto, la pelle madida di sudore.

Era stato solo un sogno. Un fottuto incubo. 

Per esserne sicura tastai con mano il materasso del mio letto e mi guardai intorno spaesata. 

Non era reale. Adelaide non era morta, era viva e quel giorno avrebbe dovuto subire l'intervento per l'esportazione del tumore. E se quello appena fatto fosse stato un sogno premonitore?

Scossi la testa per evitare di fare quei pensieri terribili e mi alzai definitivamente dal letto ancora sconvolta. Dio, sembrava così veritiero il dolore percepito nel petto, l'empatia con Castiel, le scene terrificanti. Mi portai le mani tra i capelli e li tirai leggermente, avrei volentieri voluto urlare per la tensione avvertita a causa del sogno e della realtà. Adelaide avrebbe dovuto operarsi dopo qualche ora. 

La visione di quelle immagini riprodotte dalla mia mente nel sogno, mi toccarono talmente nel profondo da farmi compiere immediatamente un gesto che non mi sarei mai aspettata di riuscire ad eseguire.


A: Teresa

Se ti va potresti anche venire a farmi visita qui a Parigi per qualche giorno. 


Presi il cellulare dalla scrivania della mia stanza ed inviai quel testo.

Perché la vita era inaspettata, e ogni attimo andava vissuto come se fosse stato l'ultimo. Prima di mandare quel messaggio a mia madre ero giunta ad una conclusione. Ogni persona meritava una seconda possibilità, a lei non ne avevo mai concesse e forse era giunto il momento di farlo. Se non avesse sprecato anche quella, probabilmente avrebbe potuto far parte di nuovo della mia vita. In quella storia non aveva sbagliato solamente lei, ed era giusto dargliene atto. Finalmente lo avevo capito.

"Non farmene pentire. Ti prego, ti prego, ti prego!" la esortai senza che lei potesse rispondermi realmente. 

Non avrei voluto avere rimpianti, o rimorsi negli anni a seguire. Da quel giorno in poi avrei dato possibilità di spiegare le ragioni dei gesti sbagliati a chiunque, persino a zia Kate. Senza permettere a nessuno di soggiogarmi, quello era ovvio. Dopo aver ascoltato tutte le parti avrei tirato le mie conclusioni. 

Erano quelle le riflessioni che girovagavano nella testa mentre mi affrettavo a prepararmi per recarmi in ospedale da Adelaide. 

Nonostante la situazione complicata con suo figlio le avevo promesso che non l'avrei abbandonata, le starei stata vicina nel giorno più brutto per lei. 

Adelaide aveva bisogno di amore, sicurezza, forza ed io ero pronta a donarle tutta la positività di cui bisognava. 

Il giorno prima ero rientrata a scuola ma avevo comunicato ai professori che mi sarei dovuta assentare nuovamente il giorno seguente. Avevo parecchie lezioni arretrate e novità da apprendere, a quanto pareva. Quando raccontai a Rose tutte le vicende accadute con la testa di rapa rossa, lei non c'impiegò molto per convincere i professori a spostarmi di banco -nonostante quella di stare con Castiel doveva essere una punizione di un anno- e aveva scambiato me con Alexy. Quindi da quel giorno in poi sarei stata compagna di banco con Rose o meglio.. RosalHulk. Castiel ancora non era a conoscenza di quella novità, ma dovetti presumere che gliene sarebbe importato davvero poco. Tornando a Rose... Quella ragazza era una vera e proprio forza della natura, capace di far capitolare chiunque. Ciak, invece non avevo avuto modo di vederlo, si era assentato il giorno del mio ritorno. Erano trascorsi esattamente otto giorni dall'ultima volta in cui lo avevo visto. Dovevo parlare con lui urgentemente. 

Dopo un breve flusso di pensieri dedicati al liceo, tornai a riflettere su quella giornata stressante e decisiva che avrei affrontato a breve.

"Nessuna energia negativa, andrà tutto per il meglio", fu il mio mantra per tutto il tragitto percorso in taxi fino alla clinica oncologica. 

Quel sogno era stato un simbolo contrario. Avrei allungato la vita ad Adelaide, non l'opposto. Non sarebbe morta.

Lei sarebbe sopravvissuta, sarebbe guarita. Non poteva lasciarci. 

Tutti continuavano a dirmi che più avrei pensato negativo e più mi sarei attirata disgrazie, quindi se avessi meditato positivamente tutto sarebbe proseguito per il verso giusto; era questa la teoria corretta da seguire, vero?!

E sapevo che l'indomani mi sarei odiata per questo, ma quel giorno Castiel aveva bisogno di me ed io avevo deciso di esserci nonostante tutto... Nonostante fosse veleno capace di stordire o addirittura uccidere, nonostante non lo avessi ancora perdonato e probabilmente non lo avrei mai fatto, nonostante non glielo dimostrai a parole..

Io ci sarei stata per lui. Perché saremmo stati un po' meno soli, insieme!



 

CASTIEL

Ero stato sbattuto in quella realtà così brutalmente da non riuscire a rendermi conto della gravità della situazione. Non assimilai in tempo la novità, l'eventualità che avrei potuto perdere mia madre da un momento all'altro e da una parte forse era stato meglio così; non ero il tipo da ghermire positivamente le notizie.   

Ed eccomi lì in un corridoio vuoto e bianco d'ospedale davanti alla porta della sua stanza chiusa. I medici le stavano facendo le ultime visite prima dell'operazione, per controllare se fosse ben predisposta e forte abbastanza da sopportarla. 

Non avevo mai amato particolarmente quei luoghi, rievocavano ricordi del mio passato che avrei volentieri soppresso dalla mente ma che puntualmente tornavano ogni qualvolta percepivo l'odore di disinfettante impregnare l'aria. Ma quella volta, a differenza delle altre non potevo permettermi di darmela a gambe levate, dovevo restare. Dovevo farlo per mia madre. 

Affrontare quel luogo, quella situazione in solitudine risultò ancora più difficile. Ero io ad aver allontanato tutti, lo sapevo bene, ero io a comportarmi perennemente da lupo solitario, sapevo anche quello, ma nessuno aveva insistito. Nessuno era stato testardo più del sottoscritto nell'incaponirsi a starmi accanto. Evidentemente era quello che meritavo. Lysandre avrebbe condiviso volentieri il dolore con me, ma proprio quel giorno aveva dovuto accompagnare i suoi genitori in un posto di cui non ricordavo il nome. Mentre Debrah era l'ultima persona che avrei voluto vedere. E poi.. chi altro mi restava?

Miki. 

Già, MikiIl mio più grande punto interrogativo, il mio più grande rimorso. 

Avrei sfidato chiunque a non desistere dopo tutte le volte in cui le avevo provocato del male. Eppure lei c'era stata sempre per me, a prescindere dalle ferite inferte. Perché lei era una forza della natura. Ma forse quella bugia era stata la goccia finale ad averla rotta come l'acqua con il trabocco del vaso. Ero stato avventato ed incosciente a fotocopiare il suo diario segreto, e da quel momento ne avrei pagato le conseguenze. Miki non ci sarebbe più stata per me. Mi aveva detto addio da solo un giorno e già mi sentivo perso senza di lei. Perché non importava cosa fossimo, a me fregava solo di averla accanto, di guardarla sorridere in quei pochi momenti di serenità che la vita le concedeva, di fissare i suoi occhi ma in realtà di finire con lo specchiarmi nella sua anima, dentro le sue iridi. 

E forse era vero il detto: "solo quando perdi una persona, capisci quanto questa è importante per te". Non sapevo ancora cosa rappresentasse per me, quanto in realtà fosse importante per la mia quotidianità, forse il tempo mi avrebbe ravvisato. 

Fatto stava che in un giorno come quello l'unica persona che avrei desiderato al mio fianco era solo e soltanto lei. Senza se e senza ma. Dovevo ammetterlo, senza alcun timore o pippa mentale.

«Adesso può entrare», mi ridestò dai pensieri un dottore che -vista la targhetta sul petto- pareva si chiamasse Jean Richard. 

Non gli risposi, semplicemente lo sorpassai per entrare nella stanza dove avrei dovuto salutare mia madre per l'ultima volta prima dell'intervento. Non avevo dimenticato la tendenza innata di Adelaide di mentirmi, ma quello non era il caso di proseguire con i litigi. La sua salute, la sua vita erano le priorità al momento. 

«Ehi» mi salutò con un sorriso stanco appena mi vide spuntare dalla porta e mi fece segno di avvicinarmi a lei. 

Mi accostai di lato al suo letto e restai immobile. Ero incapace e totalmente impacciato nel ricercare le parole adatte da dire, non sapevo in che modo infonderle forza. Il dialogo era la cosa che avevo sempre odiato nei rapporti sociali. 

«Non ti preoccupare, andrà tutto bene» finì lei per pronunciare la frase che sarebbe toccata a me affermare. Mi conosceva alla perfezione, sapeva che frana fossi in quelle situazioni. 

Il suo sorriso, a differenza dei giorni precedenti, era tornato ad essere nuovamente sereno. Aveva me al suo fianco e quello le bastava per trasmetterle coraggio. Apparì essere senza paura, senza timore della morte. Ciò che l'aveva distrutta in quelle settimane di attesa era il costante chiodo fisso della mia eventuale reazione una volta conosciuta la verità, solo quello. Non la malattia, non le alte possibilità di non superare l'operazione, non il perdere la vita. Temeva che non le sarei stato vicino, e si era sbagliata. Sapevo di essere imprevedibile, ma non mi era neanche una volta sfiorato il pensiero di abbandonarla al suo destino. 

«Nonostante ciò, sappi che... qualunque cosa accada, io ti ho voluto bene veramente e te ne vorrò sempre», gli occhi le divennero lucidi. Una fitta di non sapevo cosa mi colpì allo stomaco. Era ansia, preoccupazione?

«Non dire così, tu ce la farai!» parlai per la prima volta da quando avevo messo piede in quella stanza.

«Fammi finire», mi zittì. «Ho fatto tanti errori nei miei trenta e passa anni di vita..» mi fece sorridere, non amava dire la sua età reale ad alta voce. «E cancellerei ogni cosa se potessi; cancellerei ogni errore che mi ha trascinata a vivere lontana da te. Sei la cosa migliore che potessi fare, ti amo così tanto», mi accarezzò il braccio con dolcezza facendomi rabbrividire, mentre una lacrima le solcò il volto dalla commozione delle parole appena sussurrate.  

Erano anni che non avvertivo un legame così forte con mia madre. 

«E guarda che lo so.. Lo so che sotto quella corazza di arroganza e menefreghismo che hai creato, nascondi ancora un cuore d'oro. Lo hai solo riservato finora per la persona giusta..» le tremò la voce «Ma adesso che è arrivata non credi sia giunto il momento di donarle un po' di-» aveva preso a farneticare di nuovo con le sue fissazioni amorose.

«Non mi sembra il caso di parlarne ora» la bloccai prima di permetterle di dire la fandonia più grande del secolo, risultai a metà tra lo scocciato e l'impacciato, non ne sapevo neanche il motivo. 

«Sì invece.. Castiel, promettimi che sarai felice, che qualsiasi cosa accada tu non l'allontanerai.» 

«Mamma, smettila» avremmo dovuto parlare di me e lei, non di terze persone. 

«Lei è la tua seconda possibilità di riscatto per una vita che ha sempre e solo preteso da te senza darti nulla in cambio. Lei è quella giusta, le mamme capiscono certe cose..» doveva smetterla di guardare film romantici, l'avevano resa troppo melodrammatica.

«Dopo l'operazione ricordami di sequestrarti il telecomando e la tv» replicai facendo riferimento ai troppi film d'amore che guardava. 

«Sei sempre il solito, non mi prendi mai sul serio» sbuffò alzando gli occhi al cielo. «Dammi ascolto per una volta, prima che sia troppo tardi..» insisté con l'intenzione di tornare al precedente argomento. 

«In realtà è già troppo tardi!» affermai quasi con l'amaro in bocca. Quasi.

«Oh no, io credo proprio di no», ammiccò con un sorriso che la sapeva lunga e spostò lo sguardo verso la porta.

Cos'aveva di così interessante da guardare?

Mi voltai nella direzione del suo sguardo e mi fossilizzai sul posto davanti a quella visione. Istintivamente sgranai gli occhi dalla sorpresa.

Lei... Lei era lì.

Non la vedevo da due giorni e appena l'avvistai dovetti ammettere quanto fosse bella. Ma proprio bella, da mozzare il fiato ed infatti persi il respiro solo nell'ammirarla. L'espressione del volto tesa, evidentemente ancora troppo incazzata per perdonarmi. Indossava dei semplici jeans strappati sulle ginocchia, un parka beige pesante e stretto in vita che marcava le sue linee perfette. Da qualche tempo aveva smesso d'indossare i vestiti che la scoprivano più del dovuto e dovetti ammettere che con quei capi maggiormente coprenti avevo ancor più il desiderio di spogliarla e renderla mia una volta per tutte.

"Castiel contieniti. Ricorda che ti ha mentito, ricorda che tu le hai mentito. Ti ha detto addio e tu anche", la vocina che da qualche tempo sentivo nella testa cercò di portarmi sulla dritta via.

Due giorni prima ero stato nella sua stanza, nel suo letto, avevo contemplato ogni angolo della sua pelle esposta, avevo baciato la sua cicatrice per poi abbandonarla dopo la pugnalata alle spalle riservatami. Un giorno prima la sua voce sconcertata mi aveva detto addio per sempre tramite un apparecchio telefonico dopo la mia di pugnalata alle spalle. Avevo fotocopiato il suo diario segreto, Dio quanto ero stato imbecille. 

«Miki, vieni. Entra pure» ci pensò mia madre a levarmi da quella situazione di silenzio imbarazzante. 

«Mi fa piacere che tu sia venuta», continuò la voce di mia madre a riempire quella stanza muta. 

Miki si sistemò dal lato opposto al mio, a dividerci solo il letto con mia madre al centro. «Ti ho avvertita che mi avresti avuta perennemente tra i piedi», fece la linguaccia e l'occhiolino. L'avrei volentieri morsa. Non aveva osato alzare neanche una volta lo sguardo su di me, interagì esclusivamente con mia madre, come se io non esistessi. Fu tremendamente snervante. 

Adelaide sorrise e le afferrò la mano stringendogliela. «Invece apprezziamo molto la tua presenza, vero Castiel?» m'interpellò voltandosi verso il sottoscritto. Sapevo a che gioco stesse giocando. Aveva intuito la nostra tensione, capito che come al solito avevamo discusso e stava facendo in modo di farci interagire. Maledetta lei e la sua fissa continua per le love story dei miei coglioni. 

Mi limitai a risponderle acconsentendo con un cenno della testa senza guardare nessuno negli occhi. Quando però puntai lo sguardo su Miki, lei manifestò totale indifferenza. Non mi stava calcolando proprio. Stava divenendo una seccatura quella condizione.

«Mi dispiace Signori, ma la paziente dev'essere trasportata nella sala operatoria. Vi invitiamo a recarvi nella sala d'attesa» il dottore di cui già avevo dimenticato il nome c'intimò ad uscire dalla stanza. Mi aveva lasciato solo quindici minuti di tempo da trascorrere con lei, maledetto!

Ma prima di allontanarmi definitivamente da quel letto, senza curarmi della presenza di Miki e di altri infermieri, mi chinai sul volto di mia madre e sfiorai la sua fronte con le labbra. Socchiusi per un istante gli occhi e finalmente riuscii a dimostrarle qualcosa:  «Ti voglio bene, mamma», le sussurrai con una dolcezza che non mi era mai appartenuta mentre il cuore prese a battermi velocemente. 

Fui all'altezza di mantenere i pensieri negativi fuori dal mio corpo e dalla mia mente fino a poco prima, ma in quel momento iniziò a sfiorarmi l'evenienza che mia madre avrebbe potuto non farcela a superare l'operazione. La fissai attentamente prima di uscire da quella stanza, come per voler imprimere ogni tratto di lei, per non dimenticarla più. Per ricordarla in ogni caso.

Da anni a causa degli avvenimenti accaduti nel corso della mia vita, avevo smesso di essere ottimista, per cui ogni problema pareva insormontabile, impossibile da superare. La stessa cosa avvenne con la malattia di mia madre, potevo fare il menefreghista e il tranquillo quanto volevo al di fuori, ma dentro di me stavo tremando dal pensiero di non rivederla mai più, dalla fissa che tutto sarebbe andato a rotoli per l'ennesima volta.

Mia madre salutò anche Miki, promettendole che si sarebbero riviste a breve, dopodiché fummo gentilmente allontanati da lei. 

Era giunto il momento. Non ero pronto a lasciarla, ad accettare qualsiasi cosa sarebbe accaduta, e tanto per iniziare non avevo neanche ancora metabolizzato la notizia che mia madre avesse un tumore, una malattia così rischiosa e grave. Cosa le era girato nel cervello quando aveva ritenuto opportuno avvertirmi solo due giorni prima dell'operazione? Maledetta lei e Miki, sua complice. Maledette entrambe!

Un tocco di mano sulla spalla mi distolse dai pensieri. Quando mi accorsi che si trattasse del dottore, mi scostai bruscamente. Nessuno doveva permettersi la confidenza di toccarmi senza neanche conoscermi. Ma chi si credeva di essere? Lo guardai torvo e gli diedi le spalle.

Una volta uscito fuori da quella camera spoglia e deprimente, Miki s'incamminò -senza attendermi- davanti a me. Istintivamente gli occhi caddero sul suo didietro pieno, fu un modo per spostare l'attenzione su qualcosa di decisamente più piacevole. Quella ragazza aveva ogni forma al punto giusto, il suo corpo mi faceva letteralmente impazzire ma questo lei non avrebbe mai dovuto saperlo. Al contrario, sin dai primi giorni di conoscenza per sviarla da quanto la considerassi attizzante, le avevo continuato a dire di non aver niente d'offrire perché troppo piatta davanti. Ovviamente non era vero. 

«Sono venuta solo per tua mamma, che sia chiaro!» si voltò -mentre ancora camminava- con uno sguardo crudele che avrebbe benissimo potuto uccidere. 

«In realtà non sei mai venuta in vita tua», cercai di giocarmela sui doppi sensi. Era un modo per smaltire l'ansia accumulata nel corpo, un modo per evadere, per non pensare che mia madre sarebbe potuta morire da un momento all'altro. Il cuore avrebbe potuto non reggerle, o il tumore sarebbe potuto essere troppo grande per essere esportato. 

"Basta Castiel! Sii positivo per una volta nella vita".

«Ti sembra il momento giusto per fare questo genere di battute squallide?» si fermò giunta nella famosa sala d'attesa con le mani sui fianchi, in posizione di rimprovero. 

La lasciai perdere a quel punto. Non replicai, anzi la sorpassai urtandole una spalla di proposito e mi sedetti su una delle sedie blu libere. Neanche lei riusciva a capirmi fino in fondo. Avevo urgenza di staccare la spina, di non concentrare i miei pensieri sul luogo e sul motivo della mia presenza in quella clinica. Nessuno riusciva a capire i miei bisogni, neanche lei.. Dannata ragazzina!

«Vuoi smetterla? Mi irriti», me ne uscii dopo quindici minuti di silenzio stressante. Si era accomodata a tre posti di distanza dal mio, nella stessa fila, e per tutto il tempo aveva mosso le gambe energicamente su e giù sul pavimento, tipico gesto di chi era particolarmente nervoso. Anch'io lo facevo a volte, ma quel suo tremolio muoveva automaticamente anche me visto che le sedie erano collegate l'una con l'altra e doveva smettere. Subito.

«Se ti dò così fastidio puoi benissimo spostarti!»

«Io mi sono seduto qui per primo, ti levi tu casomai..»

«No»

«Sì»

«No»

«Sì»

«No»

«Ahh.. Che ragazzina irritante!» quasi urlai per la sua testardaggine, ma non mi alzai. Ovviamente non l'avrebbe avuta vinta da parte mia.

«Parlò l'uomo maturo ladro di diari segreti e pettegolo..» mi pareva strano non avesse ancora fatto riferimento a quell'argomento. 

«Senti.. per quanto riguarda quel discorso, io..» sospirai «non so neanche perché io l'abbia fatto. Forse per sentirmi normale davanti ad un passato peggiore dal mio, forse per cur-»

«E... Bla-bla-bla» mi fermò «non mi frega più niente. Te l'ho detto Castiel, è finita. Non ti perdonerò, prima di tutto questo mi fidavo di te», me lo disse voltandosi dal mio lato e guardandomi negli occhi quasi con rassegnazione. 

Il suo sguardo scuro velato di tristezza, amarezza, delusione mi fece percepire strane sensazioni nello stomaco, quasi come se qualcuno mi avesse sferrato una serie di pugni. Ma fu quell'ultima parola che pronunciò a risvegliare il mio orgoglio smisurato..

«Parli proprio tu di fiducia?!» la beffeggiai «Proprio tu che non ci hai pensato due volte prima di nascondermi della malattia di mia madre. Mi hai baciato per giorni, hai riso con me mentre sapevi che c'era qualcuno ad aver bisogno del mio aiuto. Dio... Io-io avevo il diritto di saperlo subito, cazzo!» mi alzai da quelle sedie scomode e presi a camminare avanti e indietro. 

Avevo cercato di controllarmi per tutto il tempo, di non sbottare, di non pensare negativamente ma alla fine la mia vera natura era fuoriuscita anche in quel caso. 

«Non mischiare i due discorsi, Castiel. Non ti azzardare proprio» anche lei apparve disperata. 

E sapevo non fossero discorsi da affrontare in una clinica oncologica, sapevo di dover affrontare una cosa per volta, ma a causa del forte nervosismo e stress non riuscivo quasi mai a collegare il filtro testa-bocca. Fu complice il fatto che in quella piccola sala d'attesa eravamo presenti solo io e lei; si udivano in lontananza solo qualche suono di macchinari vari, porte che si chiudevano o aprivano e un brusio indistinto di voci.

«Io ne parlo invece. Siamo qui e saremo qui ancora per chissà quante ore, quindi tanto vale sfruttarle per chiarire» abbassai i toni tornando ad accomodarmi sulla sedia blu, quella volta accanto a lei. Essendo più ragionevole probabilmente avremmo risolto prima del previsto.

«Forse non sono stata abbastanza chiara..» ma a quanto parve con la sua testardaggine sarebbe stato complicato ugualmente. Si alzò di scatto dopo aver percepito la mia vicinanza, quasi come se fosse rimasta scottata. Fu il suo turno di guardarmi dall'alto. 

Da incazzata era ancora più sexy la ragazzina, dovetti ammetterlo nonostante la delusione nei suoi confronti, o forse.. volevo giocare il ruolo di quello deluso, ma infondo non lo ero poi così tanto. Forse e direi forse.. avevo compreso le ragioni per le quali aveva preferito che a svelarmi la verità fosse mia madre. Non ero così ottuso come davo a vedere, ma non le avrei rivelato neanche quel particolare.

«Io ti ho raccontato quasi tutto sul mio passato fidandomi di te, ti ho raccontato cose che in realtà già sapevi non per mia scelta, tra l'altro. Quel diario è la parte più importante e profonda di me. Leggendolo senza il mio permesso è come se mi avessi violentata, violata. So che non capisci queste mie parole, nessuno può capirle. E ti sembrerò esagerata, una ragazzina come ti diverti sempre a definirmi, ma.. io sono questa per cui se accetti ciò che sono e le mie decisioni, bene, altrimenti fa lo stesso. Non m'importa più!» terminò con il fiato corto e col dito puntato contro di me. 

Decisi di non replicare all'istante, infondo un po' i suoi rimproveri li meritavo. 

Dopo qualche minuto di silenzio in cui nessuno dei due era intenzionato a guardarsi per davvero, decisi di essere sincero per una delle poche volte nella mia vita «E invece ti capisco, sai? Se fossi stata in te avrei fatto di peggio. Anch'io -come hai visto- odio chi mente, i ficcanaso ed io con quel gesto non sono stato del tutto coerente con quelli che sono i miei valori, ma..» lasciai per qualche secondo il discorso in sospeso «se potessi tornare indietro, rifarei tutto e sai perché?» 

Di risposta mi fissò inebetita, giustamente, così proseguii cercando di far comprendere le mie motivazioni. Non ero bravo in quei discorsi, non avevo mai dovuto convincere qualcuno su un mio gesto compiuto. Non mi era mai importato di farlo.

«Perché se non avessi letto il tuo diario, non avrei mai avuto la stessa curiosità di conoscerti nata nei mesi scorsi. Se non avessi letto lì chi è la vera Miki mi sarei allontanato all'istante, non ti avrei mai permesso neanche di essere la mia compagna di banco perché credimi, i modi per farti spostare c'erano eccome.. Dai un'immagine totalmente sbagliata di te stessa, perché indossi queste dannate maschere che ti rendono una ragazza superficiale, facile? Non hai bisogno di nasconderti dietro al tuo passato, le persone che devono vergognarsi per ciò che ti hanno fatto sono altre, non tu. Tu sei molto di più di quelle maschere. Vali molto di più, Ariel. Inizia a mostrare al mondo chi sei!» 

E non seppi neanche da dove fuoriuscirono quelle parole d'incoraggiamento, ma bastarono per acquietare Miki e ne fui più che soddisfatto. Dopotutto ero riuscito a dirle piccola parte di ciò che pensavo da mesi ormai, e fu anche liberatorio in un certo senso. 

Il suo respiro tornò ad essere regolare, si accomodò al suo posto senza fiatare. L'osservai di nascosto per i seguenti dieci minuti e la vidi aggrottare la fronte pensierosa, torturarsi le mani e sbattere nuovamente i piedi su e giù sul linoleum di quella clinica. Bene. Il mio monologo l'aveva spinta a riflettere, a ponderare i pensieri e la versione dei fatti. 

Qualche minuto più tardi d'incomunicabilità, finalmente si decise di replicare. «Ma come?! Se non sono stata neanche in grado di svuotarti le palle, come puoi pensare queste cose di me? Tu.. non pensi davvero ciò che hai detto ora!», sibilò rievocando una delle frasi cattive che solo qualche giorno prima le avevo urlato in faccia. Ero stato uno stronzo.

«Io non penso ciò che ho detto due giorni fa, che è diverso» chiusi quella faccenda con una semplice frase che a lei parve bastare. In quella mezz'ora avevo già espresso più di quanto solitamente ero tendente a dire, e lei lo sapeva bene. 

Dopo un'ora trascorsa tra sala d'attesa e giardino per fumatori, finalmente un'infermiera si decise a venirmi ad informare sui risvolti del dannato intervento che mia madre stava subendo. 

«Lei è il Signor Black, figlio della Signora Perez?» la sua voce senza espressione m'innervosì.

«Sì sono io!»

«Bene. L'operazione richiederà più tempo del previsto. La massa tumorale è più grande di quanto pensavamo, ma la paziente sta reagendo bene. Sua madre è una donna molto forte, stia tranquillo. Appena avrò altre notizie, gliele comunicherò. A dopo!»

Come potevo restare tranquillo una volta saputo che l'intervento era ancora in corso, che durava già da due ore e che sarebbe potuto durare ancora per molto? Sudai freddo per i brutti pensieri che tornarono ad assalirmi. 

«Ehi..» la voce flebile di Miki «hai sentito? Tua madre è forte. Ce la farà, andrà tutto bene!» mi si parò davanti con la sua figura esile, in tutto il suo splendore, e mi diede coraggio nonostante l'avessi delusa un giorno prima e ancora una volta profondamente. 

Non dimostrò la vicinanza con gesti eclatanti, con abbracci o carezze come magari avrebbe fatto se non le avessi mentito, ma apprezzai parecchio le sue parole. Non era obbligata a restare con me per tutto quel tempo, e a dirla tutta non era obbligata neanche a recarsi in clinica, eppure lo aveva fatto e quel particolare le fece accumulare parecchi punti. Era una persona buona, ricca di sentimenti a testimonianza di ciò che le avevo detto di essere poco prima.

Da soli, insieme, in quella giornata così particolare di cui fino all'ultimo ero convinto di trascorrere in solitudine. Perché lei non mi avrebbe abbandonato, dovevo immaginarlo. Lei c'era sempre.

Ed io...

Io non la meritavo, in futuro non saremmo potuti essere niente, probabilmente saremmo stati solo un punto interrogativo, ma non potevo evitare di apprezzare ogni suo tratto caratteriale, dai suoi difetti ai suoi pregi. Miki era una persona speciale, il suo futuro ragazzo sarebbe stato davvero fortunato ad averla. Inevitabilmente quell'ultima osservazione mi generò una sorta di fastidio, ma lo scacciai.  

Passò un'altra mezz'ora tra sospiri, sbuffi e silenzi opprimenti. Purtroppo nonostante avessimo smesso di battibeccare c'era ancora tensione tra di noi e né il luogo, né l'ansia per l'esito dell'operazione di mia madre aiutavano ad alleggerire il tutto.. anzi, semmai lo appesantivano.

Di sottofondo al silenzio snervante di quella sala d'attesa si erano alternati per tutto il tempo dei brani musicali francesi di qualità discutibile. Una lagna assurda. Quasi, quasi era preferibile la musica pop commerciale ascoltata dalla Ariel lì presente. Quasi...

All'improvviso a causa di quello che tutti i comuni mortali chiamerebbero destino, dalle casse fu trasmessa una canzone che proprio non era il caso di riprodurre in quel preciso istante. 

Era un fottuto scherzo, quello? Doveva esserlo per forza. 

Kiss me di quel canta carote Ed Sheerak. Davvero un colpo basso. Bassissimo. Avrei volentieri spento tutte le casse a furia di pugni.

E come potevo, a quel punto, evitare di rievocare gli attimi trascorsi con lei sotto il cielo di Roma, sopra quel prato? 

Senza volerlo accennai un sorriso impercettibile che però pensai bene di nascondere dietro ad uno sbuffo. Lei non avrebbe dovuto sapere che alla fine di quella serata avevo riascoltato quel brano. Non avrebbe dovuto sapere che alla fine quel testo mi era iniziato addirittura a piacere anche.. per il significato dato da Miki, da noi. 

Lei non avrebbe dovuto sapere...

 


MIKI

«Che musica scadente..» come il suo solito dovette lamentarsi, non poteva stare semplicemente in silenzio ed evitare di macchiare uno degli unici momenti speciali che avevamo avuto. No, doveva criticare proprio quel brano. 

"Kiss me" di Ed Sheeran. In effetti era stato un caso bizzarro, un aspetto abbastanza imbarazzante risentire le note di quel brano in una sala d'attesa mentre Adelaide lottava tra la vita e la morte. Tra l'altro io e Castiel eravamo in uno status alquanto complicato, più del solito oserei dire. In guerra aperta per esserci mentiti a vicenda e sotto ricatto da una sua ex. Esilarante.

«Non toccare quella canzone. Non ti permettere proprio» fu inevitabile il mio tono acido. Quel brano era diventato sacro dopo la serata sul giardino in terrazzo a Roma.

«Perché?» 

"Si può essere più imbecilli di così?"

«Ha un significato profondo che tu non potrai mai capire.» 

«E questo chi lo dice?»

«Sei un deficiente, semplice!»

«E tu una ragazzina»

«Coglione»

«Verginella»

«Pomodoro secco»

«Tavola da surf»

«Asino»

«Miss Perfettina di 'sto cazzo»

«Testa di rapa rossa»

«Acida»

«Troglodita»

«Ariel»

«Mr. Brontolone»

«Bellissima»

«Cret-» mi bloccai, dopo quella serie infinita d'insulti scambiati a intermittenza, per la sua ultima affermazione. Avevo di sicuro le orecchie tappate. Avevo di sicuro sentito male «Che?»  

«Sei bellissima!»

 

 

 

 

-

 

 

 

 

🌈N.A.🌈

Piaciuto lo scherzetto d'inizio capitolo? 

Qualcuno ci era cascato realmente? Pensavate che Adelaide fosse morta? Sono curiosa di saperlo.😜

Diciamo che ancora non è detto se vivrà o meno, but.. sono stata cattivella nell'inserire quel sogno già ad inizio capitolo, lo so. Però capita.. è bella la suspense 🙃

E invece la fine del capitolo? Io la adoro. 

Vi sono piaciuti i continui battibecchi tra Castiel e Miki, il modo di reagire di Castiel? 

Ha detto delle belle parole a Miki, vero? Per una volta ha smesso di essere un pallone gonfiato.

Condividete le sue ragioni per aver fotocopiato il diario segreto di Miki e per non essersene pentito?

Ok, adesso è arrivato il momento di salutarvi, 
Buon inizio settimana

All the love💖
Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** CAPITOLO 33: Resta con me ***


Capitolo 33

Resta con me






🎶 Sam Smith - Stay with me (cover by Ed Sheeran) 🎶

Credo sia vero, le storie di una notte non fanno per me.

Ma ho ancora bisogno d'amore perché sono solo un uomo.

Queste notti non vanno mai secondo i piani,

Non voglio che tu vada via

puoi stringere la mia mano?

Oh, vorresti restare con me?

Perché sei tutto ciò di cui ho bisogno.

Questo non è amore, è chiaro

Ma tesoro, resta con me!

 

***

MIKI

«Sei bellissima!» ripeté mentre io pensai di star morendo da un momento all'altro. "Addio amici, è stato bello conoscervi!".

La terra mancò da sotto i piedi, mi sembrava di avere le ali. Castiel Black aveva sussurrato quel complimento -dopo una serie d'insulti affettuosi- come se fosse normale. Ma non era normale. Non per lui, non per noi. Non mi aveva mai detto una parola carina, mai. E farlo proprio in quel momento così delicato per il nostro rapporto, fu davvero scorretto. 

Ciò che la testa di rapa rossa non sapeva era che per quella sua piccola affermazione sarei stata capace di crearmi un intero film mentale, di due ore e mezzo di durata, con tanto di titoli di coda finali. Perché voleva uccidermi? Non gli era bastato ferirmi, pugnalarmi e lasciarmi atterrita al suolo con un cuore neanche più mio? No, perché Castiel Black voleva tutto. Voleva rubare anche la mia anima. Non gli bastava più essere a metà, non gli bastava più il grigio.. Voleva prendersi anche il nero e il bianco. Tutti i colori, le sfaccettature del mio essere. 

«Tu non puoi farmi questo..» finii per pensare ad alta voce e sospirai. Non lo dissi con ira, ma più che altro con un tono di voce sconfitto.

Mi aveva risucchiato tutte le energie, non avevo abbastanza forza per combattere ancora contro di lui. Ormai ero consapevole di esser entrata in un circolo vizioso senza fine, e sapevo anche di essere talmente masochista da voler permanere dentro quel vortice dal nome Castiel Black per tutta la vita. Potevo essere delusa quanto volevo, potevo tenerlo lontano per giorni, addirittura mesi ma tanto sapevo già come sarebbe andata a finire quella storia. 

Io sarei tornata sempre da lui. Sebbene mi dicesse a parole di non volermi, sebbene mi facesse capire che per noi non ci sarebbe stato futuro, che lui non fosse il ragazzo giusto per me.. Io sapevo che infondo neanche lui credeva a ciò che diceva. Perché anch'io vedevo quella luce nei suoi occhi, la stessa luce che m'implorava di restare al suo fianco, di non abbandonarlo, la stessa luce riflessa nei miei di occhi

«Sono solo stato sincero per una delle poche volte nella mia vita», rispose con nonchalance come se stesse confermando di aver appena pranzato con pasta e sugo. 

Poggiò la sua mano sulla mia, eravamo seduti l'uno affianco all'altra e gli risultò facile raggiungerla. Maledetta me che non mi ero spostata precedentemente. 

Una scossa di chissà quale sensazione percorse tutto il mio corpo, e quando giunse alla testa a causa della sua potenza per poco non caddi per terra, lì su quel pavimento d'ospedale. Dopotutto avrei preferito rompermi la testa piuttosto che dovermi allontanare dal suo tocco. 

Ero combattuta e indecisa sul da farsi. Alzarmi e allontanarmi da quella minaccia dolce o restare e morire in battaglia una volta che Castiel mi avrebbe nuovamente pugnalata alle spalle? Non lo avevo ancora perdonato per aver invaso il mio passato, nonostante lo ringraziassi per essersi avvicinato a me a causa di quello. Urlai mentalmente per la confusione provata mentre lui continuava a tenere la mano sopra la mia senza guardarmi. Era seduto dritto, volto a fissare la parete bianca e a pensare chissà cosa. 

«Capisci che io non posso continuare a venirti dietro ogni volta che ne combini una delle tue? Non ne posso più. Cosa potrei scoprire domani? Che ti prostituivi, che hai dei figli? Tu non puoi uscirtene così facendomi per la prima volta un complimento in un momento come questo», vinse la parte insicura di me e mi alzai bruscamente dalla sedia blu di quella sala d'aspetto posizionandomi di fronte a lui. Fui sincera nel rivelargli tutti i miei dubbi, tutte le mie paure, ma ancora non avevo finito. «Non hai risposto neanche una volta alle mie domande, quando ti ho chiesto se ti piacessi o meno, ed ora mi dici che sono bellissima? E lo dici proprio quando la tua ex ragazza mi ricatta, quando scopro altre tue bugie? Stai giocando sporco Castiel!» mi squadrò dal basso allibito come se non credesse che avevo avuto il coraggio di tirare fuori tutti quegli argomenti in contemporanea. 

Entrambi sapevamo che Debrah ci avesse ricattati, ma non avevamo mai osato dircelo ad alta voce. Evidentemente però dovevo avere più attributi di lui se quel discorso non mi risultò difficile tirarlo fuori. Non avevo neanche più il timore di ricevere l'ennesimo suo rifiuto, ne avevo avuti a migliaia, uno in più o uno in meno non avrebbe fatto la differenza. 

Ero diventata immune alle sue offese, avevo fortificato le mie difese. Ma neanche quel giorno sembrò importarsene. 

Neanche lui ebbe più paura di far sapere la sua verità per la prima volta dopo sei mesi. Si sollevò dalla sedia, si posizionò di fronte a me e controbatté l'attacco appena scagliato dalla sottoscritta in quella battaglia senza fine. 

«Cosa vuoi che ti dica, Miki?» avanzò verso di me, mentre io indietreggiai improvvisamente insicura, indifesa «Vuoi che io ammetta che mi piaci?!» andai ad urtare contro un muro e lui poggiò entrambe le mani ai lati della mia testa. Era sempre così che andava a finire «è questo che vuoi, eh Miki? Vuoi una fottuta dichiarazione scontata?» mi canzonò con tutta la serietà del mondo. 

«Figurati... Ormai non ci spero più; è tutto chiaro, anzi chiaris-» non riuscii a terminare che lui sovrappose la sua voce alla mia..

«Sì Miki, mi piaci.. Cazzo se mi piaci. Non riesco a levarti dalla mente e tutto questo è irritante, non abbiamo neanche mai scopato e te ne stai ugualmente lì, nel mio cervello, ventiquattro ore su ventiquattro a farti beffa di me, che dico perennemente di volerti allontanare ma non ci riesco mai.» Il suo fiato caldo sulla mia bocca miscelato a quelle parole furono una botta potente di adrenalina. Era quello l'effetto di trovarsi in paradiso una volta passati a miglior vita?

Io piacevo a Castiel Black, lo aveva appena ammesso. E lo aveva fatto con il suo tipico modo scorbutico, in una clinica oncologica mentre sua madre era sotto operazione a lottare tra la vita e la morte, tempismo perfetto come sempre. 

I suoi occhi erano ardenti, più scuri del solito. Esprimevano sicurezza, nessun dubbio, neanche piccolo. Gli piacevo davvero. La mia bocca si spalancò per la sorpresa, cercai di parlare, di trovare le parole adatte ma non c'erano sillabe appropriate per esprimere la felicità interiore che mi colpì sino all'anima. Maledetto, aveva appena vinto anche quella guerra.

E fu inevitabile sorridere. Sorrisi con gli occhi, sorrisi con il cuore, sorrisi per davvero come forse non avevo mai fatto mai in sedici anni di vita.

«Ti sembro un pagliaccio per caso?!» corrugò le sopracciglia davanti a quella mia reazione mentre quel mio sorriso finì per sfociare in una vera e propria risata.

E lo abbracciai. Fino a quel momento ero riuscita a mantenere le distanze, mostrando la mia vicinanza solo con le parole per quella giornata così delicata per lui e sua madre, ma non potevo più proseguire con quella tattica. Il mio orgoglio era stato sconfitto ancora una volta da quella testa di pomodoro che quando voleva era capace persino di sorprendermi. 

Ricambiò quella mia dimostrazione d'affetto improvvisa e mi strinse forte a sé.

«Sei uno stupido pomodoro brontolone» pronunciai malamente perché la mia testa era affondata nel suo petto, tra le sue braccia.

«E tu sei una stupida ragazzina alla ricerca perenne di certezze», replicò affettuosamente.

«Ed è una cosa brutta volere delle certezze?» gli chiesi quasi con timore, mentre ancora i nostri corpi erano incollati. 

«Io non posso darti certezze Miki, lo sai... Non farmi ripetere sempre la stessa pappardella» emise un sospiro alla fine.

«Me l'hai appena data una certezza in realtà!» mi ostinai. Non volevo ripetesse ciò che già immaginavo stesse vorticando nella sua mente.

Ma lui non colse la mia preghiera, sciolse quell'abbraccio lasciandomi congelare.

«Quello che ho ammesso non cambierà le cose tra noi, Miki. Io non sono il ragazzo giusto per te. Sai di cosa è capace Debrah, poco fa tu stessa hai accennato ai suoi ricatti e a come la situazione sia diventata insostenibile. E poi io, io stesso anche nel caso in cui la situazione si sistemasse, non sarei in grado di darti altro.. Nessuna stabilità, nessuna storiella sul ragazzo che cambia grazie alla persona giusta». Eravamo ancora estremamente vicini sebbene non sentissi più il calore delle sue braccia addosso. Ad un passo di labbra, alla distanza di un bacio ce ne stavamo lì a fissarci con l'odore di disinfettante che faceva da cornice a quell'insolita conversazione.

E provai a entrare nella sua mente, ci provai sul serio ma risultò essere davvero complicato peggio di un problema di matematica. Se non era il ragazzo giusto per me, allora perché mi aveva appena ammesso di piacergli? Non ebbi abbastanza audacia da chiederglielo, tuttavia tentai la fortuna cambiando le carte in tavola.. 

«E se io preferissi stare con il ragazzo sbagliato, se non volessi nessuna stabilità o redenzione cosa mi diresti? Se ti dicessi che ho voglia di bruciarmi, che sono abbastanza grande per decidere per me stessa faresti ancora il testardo?» lo guardai dritta negli occhi con una tale intensità da portarlo a distogliere lo sguardo.

Lo avevo spiazzato, lo avevo sorpreso, di nuovo allo stesso modo della mia dichiarazione nella stanza d'hotel a Roma; solo una cosa mutò da quel giorno: da quell'ospedale non sarebbe potuto fuggire.

«Fa' come ti pare, tanto.. Prima o poi ti stancherai», si mostrò arrendevole e già sicuro di come sarebbero andate le cose.

«Staremo a vedere!» ostentai un sorriso sincero. Anch'io ero serena, sapevo già che non avrei mai potuto dimenticarlo o allontanarlo totalmente da me. 

Dietro quella piccola frase, durante quella mattinata in ospedale, celai mille promesse. La prima e la più importante fu quella di non lasciarlo mai cadere, tentare di salvarlo stringendogli la mano, provando a sconfiggere i suoi demoni insieme. Probabilmente gli sarei stata accanto come più che amica, conoscente o chissà quale altro aggettivo, probabilmente mai come sua ragazza perché quel posto spettava ad un'altra, ma io ci sarei stata ugualmente. Infondo a cosa serviva etichettare un rapporto? Agli occhi degli altri saremmo potuti essere classificati come due estranei in eterno, non m'interessava, bastava solo che lui restasse al mio fianco, che mi guardasse per sempre con quella luce negli occhi, che mi sussurrasse piccoli complimenti, che mi stringesse e mi rendesse sua. Mi bastava quello, averlo per sempre affianco. 

Avremmo bisticciato un'infinità di volte, avremmo avuto una miriade di problemi, gli avrei detto ancora illimitate volte addio, ma non l'avrei mai fatto per davvero. Perché l'ultimo tentativo con lui sarebbe sempre stato il penultimo. 

***

Avevamo pranzato con dei panini comprati e offerti gentilmente da Castiel al bar affianco all'ospedale, mentre ancora nessuno si attentava a comunicarci qualcosa in più sulle condizioni di Adelaide. Furono strazianti quelle ore di attesa. Tentammo di occuparle con i nostri bisticci, con vari discorsi ma il pensiero di entrambi -sebbene non lo dicessimo apertamente- era rivolto a quella povera donna sventurata. Erano passate quattro ore dal suo ultimo sorriso, dal nostro ultimo saluto e pregai, pregai veramente tanto, come non avevo mai fatto in vita mia, affinché Adelaide si salvasse. Sarebbe potuto accadere di tutto e di più in un intervento così lungo ma cercai di essere positiva. 


Da: Teresa

Verrò presto a trovarti, tesoro. Non vedo l'ora di abbracciarti!


Fu la risposta di mia madre e sorrisi appena lessi. L'avevo ricevuta qualche ora prima, ma con tutto il trambusto accaduto avevo dimenticato di controllare il cellulare dopo averlo sentito vibrare un paio di volte. C'era un altro messaggio sullo schermo, ma da parte di Rosalya.


Da: RosalHulk 

Fammi sapere appena hai novità di Adelaide. Non sono preoccupata per Castiel, che sia chiaro. Solo per te e Ady. E... a proposito: NON AZZARDARTI A CEDERE AL FASCINO DI MR. POMODORO SCADUTO, NON MERITA IL TUO PERDONO!!!

Miki:

Ancora non abbiamo novità, ti farò sapere. 

E... Per quanto riguarda l'altra faccenda è troppo tardi. 

RosalHulk:

COSA DIAMINE VUOL DIRE è TROPPO TARDI?!?

Ho sequestrato il cane della preside per farti cambiare di banco, NON GETTARE I MIEI SFORZI NEL CESSO! MICAELA ROSSI alias MISS CAROTINA BALLO DI NATALE, non cedere a lui. E' in un momento delicato, quando passeranno questi giorni tornerà a farti soffrire. 

Miki:

Smettila di usare le lettere maiuscole per mettermi paura. Non funziona con me. 

Cos'è questa storia di Kiki, il cane della preside? Perché io non ne sapevo niente?!

RosalHulk:

Non provare a cambiare discorso. NON FUNZIONA CON ME!

Miki:

Ne riparleremo, ora devo scappare. Bacini

RosalHulk:

MICAELA MISS CAROTINA BALLO DI NATALE ROSSI, TORNA SUBITO QUI, NON ABBIAMO FINITO DI PARLARE!

Se non rispondi subito sarò costretta a prendere a padellate anche te!

Ti conviene iniziare a scappare già da ora!!!

 

Sapevo volesse farmi ridere, sollevandomi il morale, ovviamente aveva detto tutto affettuosamente. Sebbene Castiel non gli stesse realmente simpatico ero al corrente che tifasse per lui, ma preferiva non ammetterlo. Non sapevo nulla sulla storia del rapimento di Kiki, avrei chiesto spiegazioni dopo esser rientrata a scuola. Quella ragazza era incredibile.

Fui distolta dai miei pensieri da un medico che si diresse verso di noi, era lo stesso dottore che qualche ora prima ci aveva informati di come stesse proseguendo l'intervento di Adelaide. 

«Signor Black, sono lieto d'informarla che l'intervento è riuscito perfettamente. Abbiamo avuto delle complicanze per via della grandezza del tumore, ma Adelaide starà bene..»

«Dov'è, posso vederla?» chiese Castiel impazientemente ma tirando un sospiro di sollievo per quella notizia. Sospirai insieme a lui.

«Purtroppo dovrà esser tenuta sotto osservazione per qualche giorno, adesso è stata spostata nella camera di terapia intensiva e non può in alcun modo ricevere visite. Le conviene rientrare a casa e tornare domani per avere nuove informazioni relative al trattamento post-operatorio che dovrà affrontare. In caso di necessità durante la notte la contatteremo noi stessi, stia tranquillo. Adelaide è in buone mani, ci saranno un'infermiera ed un medico anestesista completamente a sua disposizione per tutta la durata della sua permanenza qui. Ha solo bisogno di riposo e tranquillità».

«Lo spero per voi..» mormorò pensieroso e per nulla convinto della risposta del dottore. Anche in quei casi fuoriuscì la sua mancanza di fiducia nei confronti di chiunque.

Jean Richard, il dottore che ci aveva tenuti aggiornati per tutte quelle ore, lasciò cadere il discorso, non rispose a quella provocazione di Castiel; se ne andò lasciandoci qualche dubbio ma nello stesso tempo sollevati per quel responso. 

Adelaide si era salvata. Aveva superato l'operazione di asportazione del tumore. Avrei tanto voluto saltare dalla gioia, ma per non esser considerata pazza o una bambina evitai di farlo. Le mie preghiere erano state accolte, fortunatamente. Certo, avendo avuto un tumore sarebbe dovuta restare costantemente sotto osservazione, ma era viva e quel particolare era sufficiente per essere felici. 

Nonostante mi fossi trattenuta dal saltellare per tutta la clinica, non potei evitare di correre -letteralmente- verso Castiel e stringerlo forte tra le braccia. In quella stretta racchiusi tutte le emozioni provate in quella giornata così intensa. Sollievo, forza, stanchezza, amore, affetto, gratitudine. 

E tremai... Morii e rinacqui. Lo strinsi a me come se fosse l'ultima volta, come se potesse sfuggirmi da un momento all'altro.

Forse lo avevo già perdonato per esser stato così indiscreto a leggere il mio diario, forse... Come sempre non esisteva nessuna certezza tra noi. 

«Be' hai sentito i medici, no? Possiamo andare a casa» parlò pianissimo mentre sciolse l'abbraccio. Perché?! Sarei potuta restare anche una vita intera tra le sue braccia.

«Sì certo, giusto.. Allora a domani. Ciao Castiel!» mi voltai incamminandomi impacciatamente verso l'uscita senza attendere un suo saluto, ero un po' risentita di come mi avesse liquidata. Non sapevo mai come comportarmi in quei momenti con lui, non sapevo se fosse azzardato un bacio sulla guancia, una pacca sulla spalla; non sapevo se fosse insufficiente un cenno di saluto con la mano. 

«Aspetta Miki...» mi corse incontro e quando mi raggiunse parlò «Ti va di restare con me?»

«C-come?! In che senso?» balbettai voltandomi per fissare lo sguardo sul suo volto e poi gettai le parole a raffica una dietro l'altra. Non mi aspettavo quel cambio di rotta, pensavo non ne potesse più di avermi intorno, che si fosse stancato di me. 

«Stanotte. Da me, da te.. non fa differenza», lo scrutai sbigottita come se avesse tre teste. E quella richiesta da dove usciva fuori? Tutte quelle dimostrazioni da parte sua in un giorno nuocevano gravemente alla salute. Ero incredula. 

«Oh... B-be', e-ecco io.. N-non credo sia il caso p-per..» non fui capace neanche di terminare la frase, m'impappinai. Maledizione. Sembrava mi mancasse qualche rotella; un attimo prima ero stata una leonessa e l'attimo dopo mi ero trasformata in una misera pecorella smarrita. Patetica!

«Questo non doveva essere il momento in cui la protagonista accetta e i due piccioncini tornano a casa e scopano come conigli?!» sollevò un angolo di bocca fiero della battuta appena fatta, mentre io mi limitai a fissarlo sbigottita. «Nei libri o nei film è sempre così!» sollevò le spalle, grazie alla sua ultima affermazione capii finalmente cosa intendeva. Leggeva o guardava film d'amore? Avrei volentieri dovuto indagare su quel particolare.

«Nei libri e nei film da quattro soldi probabilmente sì... Ma io non accetterò nessun invito da parte tua, non faremo niente che abbia a che fare con i conigli. Tornerò a casa mia ed io e te ci vedremo domani. Buonanot-» ovviamente non mi permise di concludere il discorso ché da grande scostumato qual era m'interruppe..

«Non per forza bisogna scopare come conigli. Si può anche fare come i cani o i gatti, come preferisci», era palese il suo burlare. Mi fece addirittura ridere quel suo essere così disinibitamente scherzoso. 

«Castiel, smettila. Adesso scappo per davvero.. Buon-» fermò nuovamente il mio saluto. Alzai gli occhi al cielo per l'irritazione. Di quel passo avremmo finito per trascorrere la notte sulla soglia di quella porta d'ospedale.

«Ok, ok» sollevò le mani in alto come per farmi capire di aver terminato con le battute. Oh finalmente! «Non ruberò la tua purezza, Ariel. Stavo solo scherzando, non te l'ho chiesto con secondi fini ma solo perché mi andava di chiedertelo. Sì, ecco... mi farebbe piacere, insomma..» si portò una mano dietro la nuca. Non potevo credere ai miei occhi. Castiel Black era in difficoltà, imbarazzato. Quella scena non l'avrei più dimenticata per il resto dei miei giorni.

«Resta con me, Miki!» persi un battito.. Okay forse più di uno, ma dettagli. 

Con quell'esclamazione non mi stava chiedendo di passare del tempo con lui, mi stava chiedendo di più. Lo capii io, lo sapeva lui. Mi sarei dovuta fidare? O avrebbe continuato a lasciarmi precipitare al suolo dopo avermi procurato le ali per volare?

«E Debrah? I tuoi discorsi di prima sulla redenzione e sulla tua instabilità cerebrale, dove li metti?», incredibile ma vero. Castiel Black mi stava praticamente implorando di passare la notte con lui ed io tentennavo come l'imbecille che ero. Ma la sua ambiguità andava chiarita una volta ogni tanto ed io ero stufa di assecondarlo senza comprendere prima le sue motivazioni.

«Ma perché tutti questi dilemmi mentali? Quando sei con me devi dimenticarti di ogni logica. Viviamo l'attimo, Miki. La vita è una, e fin quando cercherai di dare risposta a tutti i tuoi dubbi, sarà già finita.» lo fissai imbambolata per quanto fu affascinante sentirgli pronunciare quelle frasi degne di un filosofo. 

E quelle parole da dove uscivano fuori? Pareva essere due persone contemporaneamente quando si mostrava a me così profondamente. Negli ultimi giorni aveva tirato fuori parti di lui mai viste prima e di cui nessuno reputai conoscesse; in realtà neanche immaginavo potesse ragionare così bene. Mi stava dimostrando di non essere superficiale o spocchioso come dava a vedere al mondo. Castiel Black era anche capace d'indurre a riflettere, di stupire per il suo modo di pensare. Quante sfaccettature nascondeva ancora quel ragazzo incasinato?

 

***

Dopo mezz'ora dalla nostra disputa mi trovavo sul divano del salotto di casa Black ad ammirare il braccio teso e muscoloso di Castiel mentre reggeva il telefono in mano accanto all'orecchio e ordinava due pizze. Era ora di cena e nessuno dei due aveva intenzione di cucinare dopo quella giornata così intensa. A nessuno dei due era balenata prima l'idea di acquistare qualcosa lungo il tragitto dall'ospedale a casa Black, così aveva rimediato lui appena arrivati. 

"In caso ve lo foste chieste: sì aveva vinto lui. Avevo ceduto al suo fascino e a quella sua insolita voglia di chiacchierare apertamente."

Era insolita per noi quella situazione, come d'altronde ogni cosa accaduta nell'ultimo periodo, ma sembrava quasi che dopo la vacanza a Roma nessuno dei due riuscisse più a stare lontano dall'altro per più di dodici ore di seguito, forse passava anche meno tempo e in un modo o nell'altro uno di noi ricercava la scusante per stare insieme. Non che mi lamentassi, ma dovevo ancora abituarmici. 

«Ed eccoci qui» disse dopo aver chiuso la chiamata e dopo essersi accomodato sul divano sguaiatamente. Si lasciò cadere a peso morto talmente tanto da farmi saltare per qualche millimetro dal tessuto. «Mettiti comoda» m'invitò a levarmi le scarpe, ma io non lo feci. Mi vergognavo profondamente, dovevo assuefarmi a quel gradino in più aggiunto al nostro rapporto e necessitavo di tempo. «Okay, allora faccio io...» lascio la frase in sospeso e si avvicinò a me senza farmi capire le sue intenzioni. 

Si sporse abbassandosi accanto alle caviglie e con due mosse mi tolse le scarpe e poi con una mano trascinò i piedi sul divano, portando a voltarmi anche con il busto. Si sedette nuovamente guidando i miei piedi sulle sue gambe e facendomi immancabilmente avvampare. Quella posizione era davvero troppo intima per due che avrebbero dovuto evitare persino di rivolgersi la parola, per due come noi che si ferivano continuamente, per due come noi che il destino continuava a dividere. Eppure noi sembravamo essere più testardi di lui.. del destino. Più lui ci allontanava e più noi ci avvicinavamo. 

Parve leggermi nel pensiero, mi guardò con un espressione maliziosa e soddisfatta mentre l'angolo della sua bocca si sollevò. 

Più sorrideva in quel modo esclusivo tipico di lui e più m'innamoravo, che bel guaio. 

«Debrah ti ha fatto vedere entrambi i video?» m'irrigidii per quel mutamento brutale di espressione che ebbe e per il discorso spinoso che inevitabilmente prima o poi avremmo dovuto fare. Quel momento era appena giunto.

«Sì» appena appena si udì la mia risposta.

«Okay be'.. Mi spiace, non dev'esser stato un bel vedere. Nonostante ciò credo sia arrivato il momento di spiegarti come sono andate realmente le cose», si leccò il labbro inferiore e guardò dritto davanti a sé come se stesse rievocando quei periodi. Non potei evitare di pensare quando fosse bello, in ogni suo movimento «Io e Debrah ci riprendevamo con la telecamera durante i nostri amplessi, non sempre, ma capitava. Lei ovviamente ne era a conoscenza..» prima di proseguire si voltò un attimo per guardarmi, per vedere la mia reazione. Si accorse del mio irrigidimento, del velo di dolore che meccanicamente poteva esser letto nei miei occhi. 

 L'ansia si fece sentire sin da subito. Mi sentii quasi soffocare. «Lo fai ancora con tutte? Intendo, riprendervi mentre...» deglutii rumorosamente senza avere il coraggio di terminare la frase. 

«No!» quasi urlò come se si fosse appena scottato, «è capitato sempre e solo con lei. Non mi è rimasta la voglia di rifarlo dopo tutto il casino successo. Comunque.. quando lei mi ha lasciato, come ti avranno già riferito, ho litigato anche con il mio ex migliore amico. Pensavo e penso tutt'ora che siano stati a letto insieme. Inoltre lei mi ha mentito per tutto il tempo, stava con tanti uomini e ragazzi mentre la sera veniva a scopare con me. Nathaniel sapeva tutto e me lo ha rivelato solo un mese dopo la sua partenza. Che stronzo che è stato! Mi sono sentito tradito in tutti i sensi, capisci? Lo reputavo un fratello e lei la donna della mia vita. Ho perso entrambi in un colpo solo, a causa delle loro menzogne. Questi fatti ed altri mi hanno spinto ad assumere droghe, prima leggere poi pesanti. La vita mi stava scivolando dalle mani senza che me ne accorgessi..» non riuscii a sbirciare nei suoi occhi perché non mi guardavano, ma dal suo tono di voce notai rassegnazione e solo un briciolo di rabbia nascosta.

Finalmente -dopo cinque mesi- venni a conoscenza del motivo del litigio tra lui e Nathaniel. Avevo sin da sempre immaginato che ci fosse lo zampino di Debrah, ci avrei scommesso. Castiel non era da biasimare, ma nonostante ciò non credetti al fatto che il biondo fosse stato con Debrah in quel senso. Nathaniel non aveva mai avuto un rapporto completo con nessuna donna, o aveva mentito per tutto quel tempo perché una delle sue donne se non l'unica era stata Debrah, magari nello stesso periodo in cui stava insieme a Castiel? Per un attimo tentennai anch'io sulla sua lealtà e compresi a pieno il motivo della fissazione di Castiel -dopo quell'accaduto- sul voler sapere necessariamente la verità in ogni tipo di ambito anche se amara. 

«Salvai quei famosi video sul cellulare e li feci vedere a chiunque conoscesse Debrah. Non lo feci solamente per ripicca, ma anche per giustificarmi.. Per inculcare nella testa degli altri quanto mi ero sentito tradito, quanto fosse troia, ma ovviamente nessuno si è immedesimato in me. Hanno solo pensato di andare a spifferare tutto a Debrah che appena ha saputo, ha subito pensato un modo per vendicarsi, stronza com'è non poteva non farlo ed io ovviamente da rincretinito totale sono caduto nella sua trappola. In quel periodo passavo tutto il tempo a casa, da solo, a bere e drogarmi. Non vado fiero di ciò che ho fatto, ma ormai non si può tornare indietro, no?! Avevo allontanato tutti, solo Lysandre cercava di starmi accanto nonostante tutto, ma io ovviamente non mi feci aiutare neanche da lui. Un giorno mi vennero a suonare dei ragazzini -degli scout mi pare che erano- volevano rifilarmi dei biscotti, me li presi ma al posto dei soldi gli diedi loro un po' di erba da fumare. Gli avevo aperto la porta incazzato e con uno spinello in bocca, dall'odore capirono subito di cosa si trattasse e me ne chiesero un po' perché non avevano abbastanza risparmi per comprarne, credetti fossero dei fumatori assidui.. So che sembra assurda come cosa, ma è andata sul serio in questo modo.. diciamo che io pensavo di aver fatto loro un favore, di aver fatto un'opera di bene. Non mi è mai girato per la testa di diventare uno spacciatore. Quel pomeriggio non sapevo in alcun modo di essere ripreso da uno smartphone nascosto nei vestiti di uno di loro, ma soprattutto non sapevo che quei ragazzini fossero d'accordo con Debrah. Da grande stronza dopo aver avuto altre prove ancora più schiaccianti del video girato insieme a lei, ha aspettato il momento giusto per ricattarmi, per vendicarsi dell'umiliazione arrecatole, e direi che l'ha trovato perfettamente. Il resto della storia lo conosci..» solamente alla fine del racconto riuscì a guardarmi negli occhi. Quanto era bello, Dio! 

Mi aveva appena rivelato una delle sue più grandi sconfitte subite dalla vita, dall'amore. Lo aveva fatto in un momento totalmente inaspettato, ma Castiel era anche quello. Prendere o lasciare. Era una sorpresa continua, e a me piacevano da morire gli eventi imprevedibili. A me piaceva da morire lui. Conservai quel momento come uno dei più importanti in assoluto della nostra storia. 

Gli ingranaggi del cervello andarono a mille dopo aver recepito tutti i dettagli di quella storia. Mi torturai il labbro inferiore con le mani, pensierosa e dopo qualche minuto di silenzio pensai di aver trovato la soluzione almeno per un problema. «Quei ragazzi... Loro sono stati mandati da Debrah?» gli chiesi con fin troppo entusiasmo. Avevo avuto un'idea geniale. 

«Sì e ovviamente li ha pagati, credo.» corrucciò la fronte concentrato intento a capire il motivo di quella mia domanda.

«Potrebbero confermare la tua versione dei fatti? Li riconosceresti se li vedessi nuovamente?» sapevo di aver assunto le sembianze di Peggy, ma dovevo essere sicura prima di proporre il mio piano. Saltai dal divano facendo spaventare anche Castiel, risi per la sua espressione buffa. Mi posizionai all'in piedi di fronte a lui pronta ad iniziare la successiva guerra, ma quella volta avrei avuto il rosso come alleato, non come avversario.

«Credo di sì.. Boh non lo so, forse no. Ero totalmente sballato in quel periodo e conta che adesso saranno cambiati, cresciuti. Sono passati due anni e-» interruppi il flusso delle sue parole con i miei saltelli e battiti di mani. Ero di un'ingegnosità mostruosa, modestia a parte.

«Proviamoci lo stesso. Okay.. Hai detto fossero scout, no? Ci recheremo presso la sede dell'associazione e chiederemo la lista di tutti i nomi dell'anno in cui è accaduto tutto. C'è un gruppo scout per ogni quartiere, non dovrebbe essere difficile trovarli. Se negli archivi non sono presenti le loro foto, li ricercheremo su internet, su Facebook, ovunque. Dopo averli trovati ci recheremo a casa loro e li convinceremo a registrare un video, un audio, comunque una testimonianza da poter usare contro quell'arpia. Quando gliela mostreremo lei dovrà per forza ritirare le sue accuse. Sì, baciami il culo Debrah!» finii con il gettarmi da sola una pacca sul sedere e ridacchiare come una citrulla, Castiel mi seguì. Non mi giudicò, semplicemente rise con me. 

Sapevo di aver cantato vittoria sin troppo presto, che sicuramente ci sarebbero stati degli imprevisti, ma perlomeno grazie alla confessione di Castiel da quella sera avrei avuto una strada da seguire utile per la risoluzione di quel ricatto. Mentre per la pubblicità con Rabanne, be'.. Con lui sarebbe stato più complicato, ma avrei risolto anche quella.

«Calma Sherlock, dimentichi la cosa più importante..» accennò un sorriso ed io mi sciolsi. Accadeva sempre così. «Io non so se ricorderò le loro facce..»

«Ma sì che le ricorderai.. Dopo averli visti, per forza qualcuno di quegli scout ti evocherà inevitabilmente qualche ricordo. Fidati di me!» la risolsi in quel modo. Avevo delle sensazioni positive a riguardo. 

 

***

Dopo aver mangiato la pizza giunta a casa fumante, Castiel mi propose di salire in camera sua, non obiettai lo seguii semplicemente in silenzio. L'energie mi si erano scaricate dopo quella giornata e quell'entusiasmo avuto mezz'ora prima. 

«Tieni» dopo aver aperto un armadio nella sua stanza, mi porse una coperta pesante ed un cuscino, li afferrai guardandolo interdetta. «Puoi usarli per coprirti, al piano di sotto la notte è freddo.» divenne apatico, come se fossi una sua semplice conoscente.

«Dovrei dormire sul divano?» gli chiesi quasi incredula.

«Preferisci dormire per terra? Fa' pure. Se ti piacciono le cose dure..» ghignò per il doppio senso.

Mi ero persa qualche passaggio evidentemente, perché non riuscii a stargli dietro. Apatico e giocoso non erano sinonimi eppure lui in una frase riusciva ad essere in un modo e nell'altra mutava completamente. 

«Castiel, sai cosa volevo dire..» lo ammonii quasi dal tono di voce utilizzato. 

«Cosa?! Vorresti dormire con me forse, ma provi troppa vergogna per chiedermelo esplicitamente?!» sollevò le sopracciglia in contemporanea ad un mezzo sorriso. 

Sbuffai «Lascia perdere Castiel, buonanotte!» mi volsi verso la porta e scesi precipitosamente le scale. Aveva la capacità d'infastidirmi con una sola battuta. 

In realtà non sapevo neanch'io cosa pretendessi da quella nottata. Volevo mantenere le distanze da lui, no? Avevo proposto di aiutarlo ancora una volta per evitare di farlo finire in prigione, avevo accolto con estrema gioia le sue dichiarazioni, ma ciò non voleva dire che lo avessi perdonato. Io ero ancora molto, moltissimo irata con lui per aver sbirciato nel mio passato senza permesso, vero? E allora perché me ne stavo ancora lì infastidita a pretendere che mi stringesse tra le sue braccia per tutta la notte? A volte ero più contraddittoria di lui, mi aveva contagiata. 

Perché allora in ospedale mi aveva chiesto di restare se poi aveva intenzione di concludere la serata in quel modo? Non si era scomodato neanche a prestarmi qualche maglia o qualche pantaloncino, nei libri che leggevo sempre anche il protagonista più scorbutico si premurava di far dormire la ragazza comodamente. Scostumato di un pomodoro!

Mi picchiai sulla fronte per quanto ero diventata una stupida illusa e mi accoccolai sul divano del salotto tra le coperte. Era capiente, avrebbe potuto benissimo contenere due persone. Dopotutto forse l'indomani non mi sarei svegliata col mal di schiena, almeno un lato positivo ci sarebbe stato. 

«Avrei voluto che mi chiedessi di restare», la sua voce mascolina e sensuale all'orecchio per un attimo mi fece sussultare. Era tornato. Il muscolo cardiaco aumentò di dieci battiti. 

«A cuccia, pomodoro!» mi mostrai infastidita sebbene dentro di me stessi facendo le capriole per quella sua entrata imprevista.

Ma lui non si fece intimorire dal mio tono di voce, anzi superò il divano e si piegò all'altezza del mio viso. Era buio ma la luce lieve del camino ancora emetteva qualche fiamma e mi permise d'intravederlo. Si avvicinò sempre di più, mi diede un piccolo e delicato bacio sulla guancia, all'angolo della bocca. Smisi di respirare. Le farfalle si librarono nel mio stomaco a causa di un semplice suo avvicinamento. 

Si issò da terra, si posizionò su di me -sul divano- con tutto il suo corpo; reggendosi con i gomiti sollevò la coperta e se la portò fin sopra la testa finendo per coprire totalmente entrambi. A quel punto vidi tutto buio. Il suo respiro affannato mi riscaldò il viso e mi travolse col suo profumo inebriante alla menta. Che odore buono. 

Poi poggiò le labbra sulle mie, senza avvertire rischiando di provocarmi un arresto cardiaco. Staccai completamente la spina e mi feci travolgere dalla sua passione. Portai le mani tra i suoi capelli e glieli accarezzai mentre la sua lingua si fece spazio nella mia bocca. Chiusi gli occhi, sognai l'impossibile. E mi baciò mentre il mondo coi suoi mille problemi restò fuori. Nessuno avrebbe potuto rovinare quel momento. 

Sfregò la parte inferiore del corpo contro la mia intimità, allontanò la bocca dal mio volto e soffrii subito la perdita del contatto, ma prima che potessi mugolare un richiamo percepii quelle labbra perfette posarsi sul collo e poi sulla gola. La sua pelle era calda, i suoi respiri affannosi un mix mortale per me. 

Dopodiché si sdraiò su un fianco, di lato a me e si fece spazio sotto il maglione per sfiorarmi il petto. Scostò il reggiseno e con le dita fredde mi pizzicò i capezzoli provocandomi una scarica lungo tutto il corpo. Istintivamente inarcai la schiena. Cosa stava accadendo? Stavo sognando o era tutto vero? A giudicare dalle sensazioni però valutai che fosse tutto terribilmente reale. 

Lasciò il maglione sollevato tra il collo e il petto e con la punta delle dita scese dal collo, allo spazio tra i due seni fino al bordo degli jeans. Senza attendere ancora, li sbottonò ed io m'issai per aiutarlo a farli calare fin sotto le gambe. Ero come stregata, ammaliata totalmente del suo tocco leggero, in balia dei suoi gesti. Era completamente buio e mi maledii per non aver potuto ammirare l'espressione assunta da Castiel in quel momento così speciale per me.

Per qualche secondo indugiò sull'orlo delle mutandine, mi carezzò tutta la parte che andava da un fianco all'altro, in attesa di ricevere una mia conferma. Apprezzai quell'indecisione, voleva che fossi totalmente convinta di ciò che stava. Di risposta poggiai la mano sulla sua e l'accompagnai sin dentro i miei slip. Le parole non servivano, sarebbero state superflue, un di più. 

Mi avrebbe provocato dolore? Mi sarebbe piaciuto? Tanti dubbi mi assalirono, ma mai come quel momento ero convinta di voler andare oltre.

Incominciò a muovere le dita intorno alla mia intimità ed il mio cervello andò ufficialmente in tilt, il mio corpo in combustione. Avrei avuto bisogno di un estintore. 

«Non hai mai fatto neanche questo con qualcun altro?» inspirò tra i denti. La sua voce risultò essere più roca del solito, ricoperta dal desiderio. Cavolo quanto era sensuale.

«N-no», ansimai. 

«Cazzo questo rende tutto ancora più eccitante, neanche immagini quanto..» e si avventò sulle mie labbra dando inizio ad un bacio passionale, sembrava quasi mi volesse mangiare la bocca. 

In quel bacio racchiuse desiderio, eccitazione, possessione. Non mi aveva mai baciata con così tanta foga. E quella novità, quella voglia percepita mi fece fuoriuscire dei gemiti dovuti anche alla sua mano che non smise di muoversi neanche un attimo sulla mia intimità.  Su e giù. Su e giù. Ero incapace di emettere pensieri connessi tra loro. Era troppo forte il piacere che cresceva ogni istante di più. Ci sapeva fare, come avevo sempre immaginato. 

La sua erezione premeva sulla mia coscia, la sentivo sebbene ci fossero due strati di tessuto a separarci. Quell'aspetto crebbe la mia frenesia. Quando poi mordicchiò il lobo del mio orecchio, scendendo sino al collo e finendo sulla clavicola, decretò la mia fine. Percepii una forte scossa partire dal basso ventre, arrivare alla punta dei piedi e propagarsi per tutta la schiena. Ansimai ed emisi dei gemiti più rumorosi dei precedenti. In quell'istante raggiunsi l'apice del piacere per la prima volta nella mia vita, incredula, frastornata, sorpresa. Quanta potenza racchiusa in un solo attimo.

Provai un po' di vergogna, ma la scacciai sin da subito per il frastornamento di ciò che era appena accaduto. Perché era accaduto realmente, vero? Mi voltai verso Castiel e notai fosse già intento a fissarmi con un sorrisetto malizioso tra i denti. Si stava mordicchiando il labbro tentando di non ridere per la felicità. Era felice, come lo ero io, lo sapevo. Lo percepii nell'aria, nell'elettricità costante tra i nostri corpi.

«Che c'è?» mi venne spontaneo chiedergli nonostante già sapessi.

«Dovrei deluderti più volte se poi questo è il risultato», ghignò riferendosi a quello che avevo scoperto solamente il giorno prima. 

Con lui non c'era il tempo di provare disagio o imbarazzo, si ripartiva subito all'attacco.

«Non azzardarti proprio a deludermi nuovamente, altrimenti non ti rivolgerò mai più la parola!» lo guardai di sbieco imbronciata anche se probabilmente non mi vide.

«Sai tu come so anch'io che non ci riusciresti mai a resistermi.. Sono troppo attraente!» sghignazzò ed io lo seguii. Umile, il ragazzo.

Quella sera ancor prima di baciarmi sapeva che non l'avrei fermato, mi lesse il pensiero attraverso i gesti. E aveva intuito bene. Non seppi perché glielo lasciai fare proprio dopo aver scoperto della sua menzogna, ma l'aspetto affascinante di quel genere di fatti era proprio quello: l'essere inaspettati. Capitavano e basta, senza una motivazione o giustificazione. 

«Ehm, comunque..» finsi un colpo di tosse imbarazzata «Vuoi che io.. ecco sì, vuoi che io ricambia? Hai capito cosa, no?!» avvampai. Non ero per nulla disinibita come facevo credere a scuola e poi.. in quell'ambito ero totalmente inesperta, alle prime armi, una frana in piena regola. 

«Sai di cosa ho voglia ora? Di una bella dormita. Rivestiti Ariel, altrimenti prendi freddo.»

Lo avevano per caso rapito gli alieni un giorno prima senza che io lo sapessi? No, perché proprio non si spiegava cosa fosse scattato nel cervello di Castiel da un giorno a quella parte. Incredibile ma vero, si era preoccupato per me. Sapeva quanto fossi impacciata e che in realtà non ero poi così tanto convinta di ricambiare il favore e aveva trovato una scusa banale per non farmi sentire in colpa. 

Mi rivestii in silenzio senza scoprirmi e quando finii, mi accoccolai al suo petto, lui poggiò una mano dietro la schiena per stringermi meglio. Quella notte provai sulla pelle, per la prima volta, cosa significasse il termine casa. 

Casa, il posto sicuro dove potersi rifugiare.

Casa, il luogo famigliare dove poter essere se stessi senza sentirsi giudicati.

Casa, l'ambiente caldo e confortante.

Casa, Castiel e le sue braccia. 

«Buonanotte Ariel» bisbigliò dolcemente, come non lo credevo capace. 

«Buonanotte Mr. Pomodoro!»


 

CASTIEL

Quando mi assicurai dormisse, quando il suo respiro divenne regolare, ne approfittai per ammirarla al buio. Le accarezzai le guance tonde e poi passai ai capelli ramati. 

Era rilassante, un gesto che non mi ero mai concesso. 

«Stringi le mie mani per stanotte.. per tutte le altre notti». 

L'implorai nel buio della notte mentre lei era incosciente. Sapevo di essere un codardo, ma solo quando non mi osservava con quegli occhi scuri come la pece ero completamente a mio agio. Quando invece mi scrutava con quello sguardo vispo e indagatore, era capace addirittura di perforare la mia anima. Non sapevo come ci riuscisse, ma conosceva più cose di me di quanto le avessi mai rivelato. Era una strega, una sirenaEra Ariel. Incantava anche solo con un gesto, leggeva la mente. Come un veleno mortale entrava sotto pelle e s'infiltrava talmente in profondità da lasciarti senza via di scampo. Ed io ero già senza via di scampo. Poteva apparire come un difetto, ma a me tutti quegli aspetti stavano iniziando a piacere sul serio.

«Potrei anche iniziare a pensare di avere di nuovo un cuore grazie a te.. Potrei anche iniziare ad abituarmi al profumo di vaniglia dei tuoi capelli. Ma fa' attenzione perché in quel caso non ti libereresti più di me.. Buonanotte piccola Miki!»

 

 

 

 

-

 

 




🎄N.A.🎄

(DA LEGGERE OBBLIGATORIAMENTE CANTICCHIANDO)

Jingle bells, jingle bells 

Jingle all the way,

Oh what fun it is to ride

In a one-horse open sleigh, oh!

Bene, bene. Sono abbastanza elettrizzata per questo capitolo, si nota? Sarà la magia del Natale xD 

Ne sono successe davvero tante e direi che nel rapporto dei nostri MikiStiel si è aggiunto finalmente un altro mattone bello grosso. 

Spero che la mia sorpresa sia stata piacevole, volevo lasciarvi con un bel capitolo prima delle feste, senza tristezza o dilemmi per una volta. 

Ed è accaduto qualcosa di piccante ehm ehm😏. Non so neanche come io abbia fatto a descrivere questo momento, erano anni che non scrivevo di questo genere di accadimenti. Spero di non esser stata volgare😎. 

Castiel ha ammesso di provare qualcosa per Miki, ve lo aspettavate? Io no, ecco ahah.

Finalmente abbiamo scoperto cosa è accaduto dietro a quei famosi video che Debrah ha mostrato a Miki, cosa ne pensate a riguardo? Castiel non è mai stato uno spacciatore, almeno una cosa positiva ahah. 

Pensate che l'idea di Miki sugli scout sia sensata e fattibile? Vedremo cosa combinerà. Quando si mette in testa una cosa non la ferma nessuno, eh?!

ADELAIDE è SALVA, PER ORA. Come ben sapete una malattia come il tumore è difficile da mandare via. Nel prossimo capitolo ne scopriremo di più a riguardo.

E niente, è arrivato il momento di salutarvi. 

Vi auguro un Felice e Sereno Natale🎄🎁🎅🏻

Abbuffatevi che alla dieta ci ripensiamo a Gennaio🤰🏼 

Tanta felicità e tanto amore💖

Ci sentiamo per Capodanno💥

BYE, BYE

Da 

Blue🦋 versione Babba Natale🎅🏻!

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** CAPITOLO 34: L'ennesimo dilemma ***


Capitolo 34

L'ennesimo dilemma





🎶One Direction - Little Things (consiglio l'ascolto durante la prima parte del Miki's pov)🎶

🎶Taylor Swift - Bad Blood (consiglio l'ascolto durante l'ultima parte del primo Miki's pov)🎶

Adesso abbiamo dei problemi 
e non penso che potremo risolverli 
mi hai lasciato un taglio davvero profondo 
e tesoro adesso tra noi non scorre buon sangue

i cerotti non servono per i buchi provocati da pallottole.

 

***

MIKI

Il risveglio la mattina dopo fu traumatico. Ero tremendamente ed immensamente imbarazzata per ciò che avevo permesso a Castiel, ma non pentita. Quello mai. Gli avevo donato parte della mia purezza totalmente consapevole di cosa stavo per fare, ma ciò non toglieva il fatto che per me era stata un'esperienza nuova e da ignorante in quel campo non avevo idea di come ci si dovesse comportare dopo un accaduto del genere. 

Perciò malgrado fossi sveglia da circa trenta minuti preferii mantenere gli occhi chiusi e la stessa posizione assunta durante la notte, con l'unica differenza che le braccia di Castiel non mi cullavano più. Non sapevo se avesse realmente dormito insieme a me per tutta la notte o se ad un certo punto -dopo avermi sentita russare- avesse deciso di porre fine alla nostra conoscenza per sempre. Fatto stava che lui non c'era dietro di me, su quel divano, e percepivo un senso di vuoto addosso incredibile.  

Ero consapevole che l'episodio accaduto sebbene non fosse del tutto paragonabile al sesso, ci avrebbe legati maggiormente l'uno all'altra.. o meglio io mi sarei affezionata ancora di più a luiMentre Castiel.. be' lui restava un mistero. Mi aveva confessato d'interessargli in qualche modo, ma dopo neanche mezz'ora aveva fatto morire ogni speranza di una possibile svolta nel nostro rapporto. Saremmo stati sempre a metà tra l'essere e il non essere, l'ibrido. Ed io persa com'ero avrei accettato persino il dubbio, le sue incertezze. 

«Spegni questo coso o giuro che lo getto nel water!» la voce stizzita di Castiel mi fece sobbalzare dal divano e battere il cuore all'impazzata, non per quanto fosse bello lui o la sua voce, ma per la sua improvvisa apparizione indelicata.

Entrò nel salotto e mi lanciò in malo modo la borsa a tracolla che cadde sulle mie gambe già in posizione per essere aperta. Aveva una buona mira, il brontolone. 

Finalmente riuscii a comprendere il riferimento alle sue parole precedenti. La sera prima, appena arrivata a casa sua, avevo lasciato parka e borsa sull'attaccapanni all'entrata. Nella tracolla vi era il mio smartphone che, come tutte le mattine alle sette in punto, mi svegliava. 

Little things degli One Direction, la suoneria della mia sveglia, risuonava leggermente ovattata nella quiete del salotto di casa Black. Il rosso detestava la musica pop, soprattutto quella commerciale, ormai avevo imparato a conoscere anche quelle piccole cose di lui. Il mio turbamento iniziale scomparve per qualche istante sostituito dalla voglia di torturare Castiel con qualcosa che lui odiava esageratamente. E lo feci.

Aprii lentamente, ma molto lentamente, la cerniera della borsetta e tolsi fuori il cellulare che aveva riprodotto ormai quasi metà canzone. Accennai un sorriso guardando lo schermo perché immaginavo che il rosso sarebbe esploso da lì a poco a causa della mia lentezza.

«Spegni. Muoviti.. tra poco mi sanguineranno le orecchie, è inascoltabile un sonnifero del genere» sbuffò e ovviamente si lamentò, mentre io allargai il sorriso per quanto fosse prevedibile. 

"You never love yourself half as much as I love you.
You'll never treat yourself right darling but I want you to..

If I let you know I'm here for you.. Maybe you'll love yourself like I love you".

Sollevai lo sguardo sul ragazzo dai capelli rossi -quella mattina non avevo avuto ancora l'opportunità di ammirarlo- ma sarebbe stato meglio non farlo. Indossava i suoi inseparabili jeans neri, ma era nudo nella parte superiore. Non indossava una felpa, non indossava nessuna t-shirt o giacca di pelle. Indossava solo la sua pelle e i suoi muscoli. Sebbene avessi avuto già occasione di contemplarlo in quel metro e ottanta di prestanza fisica, non potei evitare di arrossire davanti a quella carne esposta. Era bello, scontato da pensare ma vero. Le linee degli addominali definite da ore sfiancanti in palestra proseguivano fin sotto ai pantaloni formando la famosa V prima della parte proibita. Avevo caldo. Deglutii a vuoto incapace di distogliere lo sguardo da quella parte di corpo. 

"Non ti sei mai amato la metà di quanto ti amo io. 

Non ti tratterai mai bene tesoro, ma io voglio che tu lo faccia..

Se ti faccio sapere che sono qui per te.. magari ti amerai anche tu come io amo te".

Ma io non ero quella che fino a cinque minuti prima si vergognava persino di parlarci? Maledizione! 

Vedendomi in difficoltà e intuendone anche il motivo, Castiel si avvicinò a me -ancora seduta immobile sul divano- spedendo il mio cervello in cortocircuito. Si abbassò alla mia altezza e per un attimo pensai mi stesse per baciare, ma con dei movimenti lenti e senza che me ne rendessi conto mi tolse il cellulare dalle mani spegnendo la sveglia al posto mio. Dopodiché lanciò nuovamente il telefono sul divano, affianco a me e abbandonò la stanza senza aggiungere altro. 

"Buongiorno anche a te Mr. Brontolone"

Non ero riuscita a guardarlo negli occhi neanche per un'istante, ma a giudicare dal suo tono di voce frettoloso e sgarbato avevo intuito fosse di pessimo umore. 

"I'm in love with you and all these little things".

Dopo qualche minuto di riflessione decisi fosse giunto il momento di alzarmi e rientrare a casa per poi correre a scuola, quasi sicuramente avrei ritardato. Mi stiracchiai ringraziando quel divano comodo che per fortuna essendo morbido e spazioso mi evitò i tipici dolori di schiena dovuti ad una notte trascorsa fuori dal letto. Infilai le scarpe, piegai le coperte, diedi un'ultima occhiata al sofà rivivendo ovviamente gli attimi della notte prima, e poi m'incamminai fino alla porta per uscire da quella casa che quella mattina aveva suscitato in me solo ansia. 

Afferrai il cappotto e lo infilai di fretta con l'intenzione di sgattaiolare via senza salutare Castiel. Dopotutto non sembravo più essere la benvenuta in quelle mura. Mi aveva lasciata sola per chissà quante ore e le uniche parole che mi aveva rivolto quella mattina erano state scortesi, quindi.. 

Ma proprio dopo aver poggiato la mano sul pomello della porta, il rumore dei passi delle Timberland e la sua voce roca mi bloccarono da ogni gesto «Vai già via?»

Mi voltai nella sua direzione con la tipica espressione di chi è stato appena colto in fallo e con un sorrisetto da ebete mi giustificai «B-bene e-ecco io.. Ecco sì, io dovrei andare..» mostrai con la mano la porta d'uscita «la scuola mi aspetta», cercai di sorridere normalmente ed eliminare l'imbarazzo provato in quell'istante, non riuscendoci ovviamente. 

La notte stessa lui mi aveva toccata... . Oh mio Dio! 

Sin dal mio risveglio non ero riuscita a mantenere la mente lucida e ad essere disinvolta senza ripensare a quei momenti così intimi trascorsi in un giorno del tutto inaspettato con niente poco di meno che Castiel Black.. lo stesso ragazzo che in quell'istante -sulla soglia di casa sua- mi stava fissando con le sopracciglia corrugate e imbronciato per il mio tentativo di fuga. 

«Nessuno ti ha insegnato che è cattiva educazione svignarsela senza salutare un padrone di casa che è stato così gentile da ospitarti?» sollevò un angolo di bocca. Come poteva essere così disinvolto dopo ciò che avevamo fatto solamente poche ore prima?

«Oh no, i-io non avevo intenzione di andare via subito. S-stavo solo...» misi il cervello in azione tentando di trovare una scusa instantanea da rifilargli «uscendo fuori per prendere una boccata d'aria calda... ehm cioè fresca, sì perché qui dentro fa molto caldo, già..» mi sventolai con la mano e allargai il colletto del maglione per accentuare le parole appena affermate. Ultimamente stavo perdendo colpi; ero sempre stata brava a mentire, ma con lui non ci riuscivo quasi più. 

Castiel di tutta risposta dovette mordersi il labbro per trattenere le risate. Aveva capito tutto, quando voleva sapeva essere anche troppo perspicace «Oh certo capisco.. Comunque ti do' un passaggio» totalmente tranquillo, riusciva a parlarmi senza alcuna vergogna. Ma certo! Lui era esperto in quel genere di cose, aveva sfiorato e visto migliaia di nudità come la mia. Infondo erano tutte uguali, no?!

"No, la tua patata è d'oro" si fece risentire la mia simpatica coscienza. Mancava soltanto lei all'appello. "Ma che?!"

"Sì, è d'oro e soprattutto con le ragnatele. Si ammuffirà se non ti deciderai a darla per una buona volta. Castiel non starà a tua disposizione per una vita intera!" Quale coscienza capace di ragionare razionalmente spingerebbe una ragazza a donare la sua purezza così in fretta? "Una coscienza intelligente come la tua, ad esempio. E poi in fretta? Ma ti senti? Sono passati sei mesi. Sei mesi da quando io mi trattengo dal fare pensieri impuri su un certo ragazzo. E' una tortura, datti una mossa, voglio capire se lui è dotato o meno come tutti dicono".

Scossi la testa per eliminare quella voce insolente dalla mia testa ma Castiel capì che invece con quel gesto avessi risposto a lui, sulla sua offerta di accompagnarmi a scuola. A proposito.. cos'era quella novità? Da quando il rosso era così disponibile verso di me? Qualcosa non quadrava. Poco prima era apparso nervoso, mentre in quell'istante non lo era più. Neanche uno psicologo avrebbe potuto comprendere la sua psicologia, ne ero sicura. 

«Devo passare prima da casa per prendere i libri e darmi una sistemata, ti farei perdere solo tempo inutile. Grazie comunque per l'interessamento..» dopo aver indossato anche la tracolla fissai le mie scarpe per l'impaccio del momento. Non ci riuscivo proprio a fare la disinvolta, a rimanere nella stessa stanza per più di qualche minuto senza collassare davanti alla sua persona. Ero una stupida ragazzina, Castiel faceva bene a definirmi tale. 

«Hai quaranta secondi di tempo per salire sulla moto, altrimenti ti ci farò sedere di forza e ormai sai che ne sono capace!» sollevai di scatto il viso dopo le sue parole. Quell'imposizione mi riportò inevitabilmente indietro nel tempo, di mesi, ad uno dei nostri piccoli battibecchi avuti il primo giorno di scuola, dopo la nostra punizione scontata insieme, quando senza chiedere -dopo il passaggio in moto- mi portò in una gelateria offrendomi persino il gelato. 

Il cuore accelerò di un battito e sul mio volto si dipinse un'espressione nostalgica, non in senso negativo. Castiel se ne accorse e dal sorriso sfacciato che mi rivolse parve rammentare anche lui i nostri primi momenti trascorsi insieme. Quanto tempo era passato, quanto ingenua ero stata ad essere convinta di non poter arrivare mai a provare alcun sentimento. E invece.. era stato talmente semplice innamorarsi di lui e di tutte le sue piccole cose, da farmi tremare sin dentro l'anima. Mi ero innamorata persino dei suoi difetti, dei suoi guai, di ogni piccola sfaccettatura del suo essere che ogni giorno mi stava mostrando gradualmente. 

Anch'io gli piacevo, ma non avrebbe mai provato ad incrementare quella semplice attrazione, avrebbe bloccato qualsiasi possibilità di svolta, perché secondo lui non avrebbe potuto darmi nient'altro, nessun sentimento.. solo guai. Lui avrebbe provato sempre e solo del sincero affetto per me. Niente di più. 

Lui mi avrebbe sempre e solo voluto bene, mentre io lo avrei sempre e solo amato. Che bella differenza.. Che bel guaio!

Portai la mente ad altri pensieri per evitare di fasciarmi la testa con i soliti dilemmi, ma un'altra angoscia mi assalì: non sarei mai riuscita a stare appiccicata su una moto alla schiena possente di Castiel Black. Non dopo gli attimi d'intimità avuti. Dovevo ancora metabolizzare, riflettere sull'accaduto e averlo a stretto contatto non avrebbe di certo aiutato. 

«Tempo scaduto» Castiel -che poco prima aveva aperto la porta di casa e mi stava aspettando sulla veranda senza che neanche me ne accorgessi- mantenne la parola. I quaranta secondi di tempo per salire sulla sua moto erano passati ed io li avevo trascorsi a crogiolarmi nell'insicurezza, stando immobile sul vano della porta, per cui si abbassò all'altezza delle mie gambe e con estrema facilità mi capovolse alzandomi in aria e ritrovandomi a testa in giù -col volto di fronte al suo sedere e con il didietro rivolto al suo bel faccino che avrei preso volentieri a schiaffi una volta toccata nuovamente la terraferma. 

«Sei impazzito? Mettimi subito giù. Ho i piedi per camminare», mi dimenai arrivando a schiaffeggiare addirittura il suo sedere per la disperazione, ma lui di tutta risposta fece tremolare il posteriore come per dire "schiaffeggiami pure, tanto non mi fai niente".

Scoppiò in una vera risata, di quelle che gli avevo sentito fare solo rare volte, di quelle che lasciavano senza fiato per quanto il loro suono fosse divino. Bloccai ogni movimento e cercai d'immaginare il suo volto; gli occhi lucidi, il volto leggermente arrossato, la bocca semiaperta. Una visione! Era in attimi come quello che m'innamoravo sempre più di ogni sua sfumatura; delle risate rare, dei gesti delicati, delle parole speciali e confortanti concesse solo a pochi.

Quando finalmente giungemmo davanti a quella benedetta moto, mi mise giù, toccai coi piedi il marciapiedi e non persi tempo: schiaffeggiai ripetutamente il suo petto ricoperto da un maglione e da una giacca di pelle; ma alla fine risi con lui per la nostra scenetta ridicola appena conclusa.

«Tieni» si schiarì la gola dopo aver smesso di ridacchiare, mi porse un casco diverso dal suo e rosso che non sapevo possedesse. 

«Da quando questo?» chiesi ovviamente da degna impicciona e desiderosa di scoprirlo. Non avrei mai potuto dimenticare il primo viaggio con lui in moto, in cui da perfetto gentiluomo aveva pensato d'indossare l'unico casco disponibile, lasciando me senza niente e attentando per di più alla mia vita a causa dell'alta velocità.  

«Da quando non viaggio più solo..» lasciò la frase in sospeso e s'infilò il casco nero senza aggiungere altro. Lo imitai.

Cosa voleva dire con quella replica? Aveva comprato un casco nuovo da quando -a volte- capitava che mi desse qualche passaggio a casa? Lo aveva acquistato per me, per la mia sicurezza? E non seppi mai se fu o meno un gesto carino nei confronti della sottoscritta, ma con Castiel era così: mai chiedere, leggere sempre tra le righe. 

Il tragitto fino a casa mia fu breve, ma intenso. Per tutto il tempo avevo avvertito sensazioni strane ma piacevoli e per fortuna un minimo d'imbarazzo nato dalla notte prima, scomparve.

«Grazie per il passaggio, allora ci vediamo a scuola?!» gli restituii il casco scendendo agilmente dalla Harley. 

«Devo passare in clinica, in più ho altro da fare quindi..»

«Oh certo, che sciocca!» mi battei una mano in fronte per la dimenticanza «Bene allora ci vediamo presto..» gli diedi le spalle e con la coda dell'occhio, voltando lievemente la testa, terminai il saluto «Ciao Castiel».

«Ehi Ariel.. Dove credi di scappare così in fretta?!» ancora seduto sulla sua moto, senza fare il minimo sforzo, mi tirò a lui facendomi percepire di nuovo il suo profumo. Mi mancava già. 

Si tolse il casco poggiandolo sul sedile, tentò di sistemarsi i capelli con le mani mentre io lo fissavo ammaliata. Esprimeva sensualità e mascolinità in ogni gesto. 

Posò una mano sulla mia guancia e mi guardò dritto negli occhi. La mano era fredda, ma non me ne curai. Esistevano solo i gesti inattesi, fulminei e affettuosi di Castiel, nient'altro. I suoi occhi esprimevano gratitudine, ma per cosa?

«Grazie per esserci stata..» sussurrò come se fosse un segreto di estrema importanza non udibile ad altri tranne che a noi. 

E non ebbi bisogno di chiedergli a cosa si riferisse, sapevo già perfettamente ogni cosa. Mi aveva ringraziata per essergli stata vicina durante uno dei periodi peggiori dei suoi ultimi anni di vita. Avevo da poco scoperto delle fotocopie del mio diario segreto che teneva in un cassetto della sua stanza, ma avevo deciso di esserci ugualmente. Per lui, per sua mamma. Se si fosse trovato al posto mio probabilmente con l'orgoglio lo caratterizzava, non avrebbe mai neanche pensato di esserci in un momento delicato per me.. o forse sì.

«Non d-» non feci in tempo a pronunciare una sillaba dietro l'altra che subito mi acquietò posando le sue labbra sulle mie. Non approfondì il bacio, mi concesse di percepire solo la morbidezza della sua bocca e il calore del respiro misto al profumo che tanto mi faceva impazzire. Fu un momento dolce e raro per un tipo come lui. 

Quando si staccò accennò un sorriso e strizzando un occhio mi salutò. Entrai dentro casa frastornata per l'inatteso contatto appena avuto con Castiel. Non avevo avuto neanche il tempo di riflettere o di sentirmi a disagio, era accaduto tutto d'un tratto, senza preavviso.. come ogni fatto; disarmante. 

_____

Dopo circa mezz'ora nonostante l'intontimento dovuto all'effetto Castiel, ero pronta per affrontare il secondo giorno di scuola dal rientro dalla vacanza in Italia. Con lo zaino in spalla e le cuffie predisposte per essere inserite nel cellulare e riprodurre la mia musica preferita, chiusi a chiave tutte le porte, ma prima di potermi avviare la vibrazione del mio smartphone segnò l'arrivò di un messaggio. Lo lessi.


Questa sera alle 21:00 appuntamento presso l'ufficio di Paco Rabanne per discutere degli ultimi dettagli prima delle riprese. 

Rabanne raccomanda MASSIMA PUNTUALITA'. 

Saluti!


Era Molly, la segretaria di Paco Rabanne. Il piano per far girare la pubblicità a Debrah al posto mio doveva ancora essere ideato e già necessitava di un'attuazione. Cosa mi sarei potuta inventare in meno di ventiquattro ore?

Non feci in tempo ad iniziare a far girare gli ingranaggi nel mio cervello che un colpo di tosse acquisì totalmente la mia attenzione. Issai lo sguardo e mi ritrovai Castiel di fronte, poggiato alla sua moto e con le braccia incrociate. 

«Ma che diavolo...» lo ammirai sorpresa. Che ci faceva ancora lì sotto casa mia, trenta minuti dopo averlo salutato? Mi aveva aspettata?

«Solo per lei e solo per quest'oggi il taxi prevede servizio completo. Prego, salga Signorina», se ne uscì con accento scherzoso mentre io continuavo ad essere incredula. 

Aveva sul serio atteso il mio ritorno per più di mezz'ora al freddo e al gelo in una mattina di Gennaio?

«Mi hai salutata prima e quindi io pensavo che... Scusa se ti ho fatto aspettare così tanto, se me lo avessi detto avrei cercato di fare più veloce e-» farfugliai impacciata e gesticolai. Avevo assunto lo stesso colore dei suoi capelli, ne ero sicura.

«In realtà ero sin dall'inizio intenzionato ad aspettarti, ma se non ti avessi fatto credere il contrario non avrei avuto la scusa per salutarti», fece spallucce. 

Con il termine: "per salutarti", avevo capito bene intendesse: "per baciarti", solo.. non voleva pronunciarlo ad alta voce. Orgoglioso!

«Perché chiedermi un bacio o darmelo direttamente solo per il gusto di farlo sarebbe stato troppo per il tuo povero ego da bad boy, vero?» sollevai le sopracciglia insieme ad un angolo di bocca.

«Esatto!» non ebbe difficoltà ad ammetterlo. Non avevo dubbi. 

Il tragitto casa-scuola fu tranquillo. Avvertii i soliti sfarfallii in tutto il corpo dovuti alla sua vicinanza, ma nonostante ciò filò tutto liscio. Mi permise di reggermi a lui, stringendo il suo busto muscoloso e alla percezione dei suoi addominali mi si accese un fuoco tra le gambe quasi incontenibile. L'assaggio della sera prima aveva risvegliato in me istinti e sensazioni che non pensavo proprio di possedere. Ero divenuta più sensibile al suo tocco, alla sua vicinanza e quello non poteva testimoniare nient'altro che un passo in più verso il suo inferno e un passo in meno dalla razionalità. 

In dieci minuti arrivammo a scuola, in perfetto orario, prima del suono della campanella della prima ora. Il cortile era gremito di studenti, parecchi dei quali si voltarono nella nostra direzione appena udirono il rombo potente della moto di Castiel. Quando fermò la moto levai il casco velocemente, e cercai di scendere disinvolta da quel mezzo nonostante percepissi molteplici occhi puntati addosso. 

Il rosso non mi seguì, non spense la moto visto che avrebbe dovuto ripartire subito, ma levò semplicemente -anche lui- il casco compiendo le stesse mosse di sempre: scompigliarsi i capelli e provocarmi un arresto cardiaco. Lo guardai inebetita e immobile davanti all'Harley Davidson. Risultai essere un'imbecille in piena regola, insomma. 

«Ci sentiamo allora..» la sua voce mi levò dallo stato di trance in cui temevo di morire nel fissarlo.

«Bene sì, certo.. Se tu vuoi, ci sentiamo certo..» misi insieme un ammasso di parole senza senso e per l'imbarazzo abbassai lo sguardo portandomi un ciuffo di capelli sciolti dietro l'orecchio.

Dov'era finita la leonessa che era in me? La notte prima era stata sbranata da qualcuno più agile e potente di lei, addomesticata dal più bravo domatore di tutti i tempi; dipendeva dai punti di vista. 

Fatto stava che avrei dovuto darmi una svegliata alla svelta, non potevo mostrarmi così docile o accondiscendente, inesperta. Altrimenti avrei dimostrato come vere tutte le teorie di Castiel. Io non ero una ragazzina. Ero sicura di quello che provavo e non avrei mollato nonostante la sua ostinazione a volermi allontanare o quasi..

«Buona scuola, Ariel» mi attirò verso sé con un braccio e mi baciò la fronte in un gesto parecchio tenero e del tutto inaspettato da uno della sua portata. Chiusi gli occhi d'istinto e mi lasciai trascinare dalla dolcezza. Non s'importò neanche dei presenti, degli occhi indiscreti. Sapeva bene che Debrah avrebbe potuto vederci, che avrebbe potuto spedirlo direttamente in carcere per la nostra insistente vicinanza, ma a lui non fregava proprio. 

«A dopo Mr. Imprevedibile», poggiai una mano sul suo braccio e lo accarezzai per qualche secondo. Dopo un breve sorriso, mi girai e m'incamminai verso l'entrata senza voltarmi più. Stavamo già rischiando molto con l'esporci perennemente vicini, non potevo peggiorare le cose mostrando gesti più espliciti di quelli. 

«Cos'era quello?» sobbalzai per la voce di Rosalya che improvvisamente mi ritrovai alle spalle. 

«Ciao anche a te amica mia, sto bene grazie e tu?» feci la vaga e la schernii per il suo mancato saluto, mentre entrando dentro scuola mi diressi verso l'armadietto; lei mi seguì. 

«Ci sono cose più importanti di un saluto al momento. Ad esempio: che fine hai fatto ieri? Ti ho tartassata di messaggi ma tu sei sparita nel nulla. Altro esempio: perché Castiel Black ti ha dato un bacio in fronte e sembrava ti stesse mangiando con gli occhi?» quasi non respirò mentre poneva quell'interrogatorio ad alta voce. 

«Abbassa la voce» la intimai «A proposito: Adelaide si è salvata, ha superato l'operazione... e scusa, hai ragione avrei dovuto scriverti; solo che dopo esser arrivata a casa di Cass non ci ho più pensato e-»

«Frena frena frena» mi bloccò dalle spalle mettendosi di fronte a me «Sono felice per Adelaide, merita di stare bene», mi sorrise sinceramente e poi schiarendosi la voce partì di nuovo con la sua inchiesta «Comunque io ero rimasta a: "quella testa di rapa rossa mi ha mentito, non voglio più vederlo, voglio ucciderlo a furia di padellate in testa", cosa è cambiato in un giorno? E cosa vuol dire "dopo esser arrivata a casa sua"?» mi fissò con occhi indagatori e con un'espressione confusa e buffa dipinta in volto, non potei trattenermi dal ridere. 

«In realtà volevo ucciderlo anche una volta arrivata in ospedale, ma poi lui mi ha spiazzata ammettendo di piacergli e di trovarmi bellissima e di non essersi pentito per aver fotocopiato il mio diario segreto, perché grazie a quello ha voluto conoscermi meglio e quindi sì... Diciamo che l'ho perdonato», avevo tante cose da dirle e per il timore di dimenticare qualcosa le spiattellai tutto in faccia con una sola frase. Lei ovviamente reagì strabuzzando gli occhi a causa di tutte quelle informazioni.

«Tu» mi mostrò con il dito indice «Tu piaci a Castiel Black e l'ha persino ammesso per di più dicendo che ti trova bellissima?! La fine del mondo è vicina, prepariamoci. Gli Aztechi hanno avuto sempre ragione», la solita melodrammatica. 

«Aspetta ma non erano i Maya ad aver predetto la fine del mondo?!» la corressi e lei s'irritò. 

«Maya o Aztechi, che differenza fa?! Adesso non tergiversare. Devi dirmi per filo e per segno cosa è accaduto ieri. Subito!»

Per evitare di subire altre inquisizioni le raccontai ogni cosa, citando addirittura alcune frasi dette da Castiel e che non avevo potuto fare a meno d'imparare a memoria. Quando entrammo in classe e ci accomodammo al nostro banco le dissi -in imbarazzo totale- anche cosa era accaduto sul divano di casa Black, le sue reazioni non furono poi così normali.

«Oh Santo Valentino protettore della moda» si alzò di scatto invocando un Santo inesistente e ponendosi entrambe le mani sulla bocca, tutti i compagni di classe presenti si voltarono verso di noi. «Tu... Voi» si abbassò verso di me e per fortuna ebbe l'accortezza di bisbigliare «lui ti ha fatto un ditalino? OH MIO DIO! Non posso crederci. Adesso subitissimamente dovete sposarvi. Organizzo io le nozze, e ovviamente il compito di cucire gli abiti, di fare da damigella, e da wedding planner spetta a me. Ah che felicità, diventerò zia!» pronunciò l'ultima frase issandosi in tutta la sua altezza fiera e felice. 

«Rose, siediti» la incitai tirandola dal braccio con forza. Lei eseguì il mio ordine sorridendo e mostrando tutti i denti. «Non ti sembra leggermente esagerata la tua reazione? Sei assurda!»

«Il mio nome è Rosalya, non assurda» con nonchalance se ne uscì con quella battuta. «E poi dal ditalino al matrimonio, il passo è breve. Non ho esagerato. Fidati di me!»

Quelle sue supposizioni bizzarre furono interrotte dall'entrata in classe del professore di diritto che non perse tempo e appena si accomodò fece l'appello. 

«La Signorina Daniels ha intenzione di farsi bocciare, quest'anno?» giunto al nome di Ambra, chiese direttamente a Nathaniel, che essendo suo fratello avrebbe dovuto conoscere il motivo della sua assenza. Rosalya mi aveva riportato che Ambra non si era più presentata a scuola, neanche durante la mia assenza per la vacanza a Roma. Erano esattamente due settimane che mancava e nessuno ne conosceva il motivo, neanche le sue amiche fidate. Non accedeva ai social, non rispondeva ai messaggi né alle chiamate. Pareva essere scomparsa nel nulla, ma Nathaniel -suo fratello- essendo stato per tutto il tempo tranquillo presunsi sapesse cosa le stesse accadendo, solo... non voleva spifferarlo in giro. 

«E' dovuta partire d'urgenza l'altro ieri. Tornerà presto, non ha intenzione di ripetere l'anno!» rispose infatti il biondo. 

Con lui be'... semplicemente ci eravamo allontanati. Un po' mi dispiacque perdere la sua compagnia, a tratti anche piacevole, ma purtroppo finiva per fraintendere qualsiasi mio gesto o parola e sapendo provasse un interesse diverso dall'amicizia, nei miei confronti, valutai come opzione giusta di limitare qualsiasi contatto con lui. Non volevo ferire nessuno, né tantomeno illudere o avere altri guai e tormenti. Anche Nathaniel aveva una ex storia d'amore irrisolta con Melody, che tra l'altro era ancora innamorata di lui, ed io non avevo alcuna intenzione d'interferire. Era un bellissimo ragazzo, inizialmente avevo provato una sorta di attrazione fisica, ma tutto era andato a scemare e man mano che frequentavo lui avevo finito per innamorarmi di un altro, del mio quasi amico. 

Nath era parecchio intelligente, senza dilemmi e discorsi vari sull'interruzione della nostra conoscenza aveva capito come stessero le cose, si era messo semplicemente da parte. E avevamo terminato il tutto senza rivolgerci più la parola se non per qualche saluto o frase o domanda di circostanza. Era giusto così. 

Il professore prese a spiegare i vari regimi costituzionali fin quando neanche quindici minuti dopo qualcuno l'interruppe entrando in classe.

«Noto che l'influenza del signor Black ha già contagiato anche lei..» il professore si rivolse a Ciak che con una camminata sicura e sensuale raggiunse il suo banco, quello che fino a una settimana prima era anche mio. 

«Ho abbastanza personalità di mio senza aver bisogno di copiare gli altri. Questa mattina ho avuto un servizio fotografico. Sono giustificato, ho portato tutti i certificati necessari in aula delegati», con voce tranquilla smontò completamente la battuta sarcastica del professore. Tipico di lui.

«Bene, allora riprendiamo..» il docente si schiarì la voce e riprese la sua spiegazione.

Mi voltai verso Ciak ed il mio cuore come un aquilone in tempesta si bucherellò a causa del suo sguardo pungente. Mi stava già guardando con risentimento, rimprovero, dolore. Non mi aveva perdonata, probabilmente non lo avrebbe mai fatto. Non lo salutai neanche con un cenno di mano sebbene non lo vedessi da più di una settimana, perché sapevo non avrebbe ricambiato. 

Nella successiva ora il cattivo umore faceva da padrone, proprio quel giorno in cui per la prima volta con Castiel stava andando tutto bene qualcun altro doveva per forza ferirmi. Per Ciak non esistevo più. Cercai comunque di non abbattermi e ricordai di chiedere a Rose spiegazioni su un fatto di estrema importanza.

«Ah ma cos'è quella storia sul rapimento di Kiki?» le chiesi mormorando.

«Oh sì... La preside insiste col portarsi ogni giorno il cane a scuola e sai che Kiki scappa sempre, giusto? Bene, è capitato proprio quella mattina in cui tu sembravi bisognosa di aiuto. Così io stavo cercando una scusa buona per riuscire a farti spostare di banco, perché questo ti avrebbe aiutata a tagliare più facilmente i rapporti con il rosso rubacuori.  La risposta mi è arrivata proprio quando Leigh si è ritrovato Kiki sotto la macchina, è stato un segno del destino. Lui come ogni pomeriggio aveva staccato di lavorare per venire a prendermi, stava per investire il cane, ma per fortuna è riuscito a fermarsi in tempo. Quando sono uscita da scuola, Leigh aveva in grembo questo cagnolino, ignaro che fosse proprio Kiki. Così PUFF la mia mente ingegnosa ha architettato questo piano perfetto», ero incredula davanti al suo racconto. «Ho subito ordinato a Leigh di nascondere il cane in macchina e così ha fatto. Lo abbiamo portato a casa, ho aspettato qualche ora prima di proporre il ricatto alla nostra amata direttrice, giusto per creare maggiore suspense. Poi un'applicazione per camuffare la voce e Leigh sono bastati per una chiamata da cabina telefonica al cellulare della preside, e lei timorosa di non rivedere mai più il suo amato cagnolino ha accettato subito il compromesso. Se avesse voluto riavere Kiki sano e salvo, avrebbe dovuto rimuovere l'obbligo di farti stare nello stesso banco di Castiel per tutto l'anno. Ovviamente non avrebbe neanche dovuto indagare su chi potesse essere stato a ricattarla. Lei ha accettato senza fare una piega ed ora eccoci qui», terminò il racconto con un sorriso finale.

Ero incredula. «E tu hai fatto tutto questo solo per un dannato cambio di posto? E' un reato rapire gli essere umani, Rose!» scossi la testa e mi diedi uno schiaffo in fronte. 

«Sì certo, lo so. Ma ho tentato in altri modi e non c'erano altre possibilità di far cedere la preside. Ringraziami e basta. Ciò che è fatto, è fatto» sollevò le spalle. 

 «Grazie Rose!» risi ancora per l'assurdità di ciò che aveva fatto.


***


Ambra Daniels è incinta!


La vibrazione del mio telefono, un messaggio strano ricevuto da un numero sconosciuto che recitava solo quelle poche parole. Capii finalmente il motivo della sparizione improvvisa di quella ragazza. Ma perché avevano mandato quella notizia proprio a me? Attivai gli ingranaggi del mio cervello per qualche minuto senza trovare alcun collegamento, ma poi dovetti rimandare l'indagine. 

Mi ero promessa di fare una conversazione importante con qualcuno ed era giunto il momento. 

«Dovrei parlarti, possiamo andare in un posto tranquillo?» al suono della campanella che segnava i dieci minuti d'intervallo, mi precipitai subito al banco di Ciak e sospirando ebbi il coraggio di proporgli di chiarire. Non potevo perdere anche lui, non lo avrei accettato. 

Rispose solo con un cenno di testa e mi fece strada fino al cortile. Una volta fuori si accomodò sull'erba, la schiena contro un albero e chiuse gli occhi «Parla!» il tono di voce fermo e distaccato. 

«Durante il cambio di professore della seconda ora ho raccontato la verità a Peggy sul nostro finto fidanzamento, la tua reputazione è salva. Mi sono assunta tutte le colpe!» ed era vero, avevo pensato che l'unico modo per far conoscere a tutti la verità fosse quello di finire sul dolce journal per l'ennesima volta. Odiavo quel giornale, ma restava l'opzione ideale per dimostrare a Ciak quanto ci tenessi alla nostra amicizia, quanto ci tenessi a non perderlo.  

«Brava, vuoi un premio?» aprì gli occhi solo per trucidarmi con lo sguardo e poi li richiuse incrociando anche le braccia.

«Nessun premio. Voglio solo riavere indietro il mio migliore amico..» affranta quasi supplicai dentro di me che tornasse quello di un tempo. Non era mai stato così menefreghista, la Francia lo aveva cambiato. 

«Troppo tardi.. non credi?!»

Potevo comprendere la sua delusione di un amore non corrisposto, ma oltre all'aver acconsentito a creare la farsa del finto fidanzamento io non ritenevo di avere altre colpe. Non avevo i super poteri per scoprire che lui era innamorato di me da molto tempo, non potevo prevedere che una volta giunta a Parigi mi sarei invaghita di un altro ragazzo sotto ai suoi occhi, o che sarei stata scelta da un noto stilista per essere il volto femminile di una nuova fragranza e che gli avrei soffiato il posto da sotto il naso. Con Castiel c'era stata alchimia sul set, con Ciak no. Inutile incolparsi di ciò che non poteva essere controllato, era stato tutto naturale. Il mio errore più grande era stato perlopiù l'avergli tenuto nascosto il mio reale passato, ma quello non sembrava neanche importargli. Pretendeva che ci fidanzassimo sul serio, che m'innamorassi di lui con un semplice bacio, con uno schiocco di dita ma non era accaduto e non sarebbe mai avvenuto, doveva rassegnarsi. 

«Perché è troppo tardi? Perché dai la colpa a me per tutto? Non ho mai voluto giocare con i tuoi sentimenti, all'inizio sei stato tu stesso a propormi di fingere di stare insieme. Ed ora che tutto ciò ti ha ferito, sei pronto a puntare il dito contro Miki. Perché è facile incolparmi. Ma che colpa ne ho io? Non posso innamorarmi a comando e non posso perdere per questo motivo il mio migliore amico. La nostra amicizia non può finire, non può.. capisci?» alzai la voce e terminai con il fiato corto.

«Ma ti senti?! Chiedevo solo un po' meno menefreghismo da parte tua, ma la realtà è che io non sono mai esistito sin da quando sono atterrato a Parigi. Esisteva sempre e solo Pellerossa con i suoi continui sbalzi d'umore. Hai sempre trovato un modo per stargli accanto nonostante lui non ti volesse, mentre io ero lì sempre pronto a consolarti, sempre presente per te.. e tu non mi hai mai visto per davvero. Avrei potuto darti tanto, Miki, più di quanto riceverai mai da uno come Castiel. Ma la scelta è tua!» si sollevò dal prato e mi puntò il dito contro, un po' come aveva fatto perennemente nell'ultimo mese.

«Non si tratta di scelte, non si tratta di essere ciechi. Tu sei sempre stato un amico, il migliore che potessi desiderare, un fratello. Non potrei mai vederti come qualcosa di più, non ti ho mai visto diversamente Ciak..» gli parlai sinceramente, con il cuore in mano, cercando di trasmettergli tutto il mio dispiacere. Nel petto e nello stomaco prevalevano angoscia e malinconia. «Prenditi del tempo, capisco non sia facile accettare di non essere corrisposti. Non rivolgermi la parola per qualche mese, anche per un anno se serve. Stammi lontano per tutto il tempo di cui hai bisogno.. Poi ritorna però, ti aspetterò sempre, sei il mio migliore amico..»

Dopo le mie parole avanzò di qualche passo e con aria più incazzata di qualche minuto prima demolì ogni speranza «Non è necessario prendermi del tempo. La nostra amicizia è finita sin da quando hai lasciato l'Italia, Miki. Non esiste più, fattene una ragione!» e con quel lemma finale mi sorpassò abbandonandomi probabilmente per sempre. 

La nostra amicizia era finita, come un libro senza lieto fine, come una porta sbattuta in faccia, come un vetro infranto. Ero vuota, persa. Ed era così che mi sentivo. Persa. Perché Ciak era l'unico ricordo bello che mi restava degli ultimi otto anni, l'unica persona -oltre quella traditrice di zia Kate- che fino ad allora avevo potuto definire famiglia. Tutti se ne andavano prima o poi e averne la certezza dopo quell'evento, mi fece versare la prima di una lunga serie di lacrime salate. 

Ero sola, ancora una volta e sola sarei rimasta. Sola a leccarmi le ferite, sola a colmare il vuoto ed il freddo. Semplicemente sola. 

Ma poi accadde qualcosa. Qualcuno mi abbracciò di spalle, mi aiutò a rialzarmi, qualcuna che forse poteva essere l'unica speranza per non smettere di credere nella forza dell'amicizia. Qualcuna come Rose. 

Cercò di curarmi ponendo dei cerotti sul mio cuore, bucato a causa dei proiettili sparati da Ciak; ma avrei avuto bisogno di ricucirlo quel muscolo mal ridotto, i cerotti non erano abbastanza.

«Ehi tesoro, va' tutto bene.. Ci sono io con te», quelle parole mi cullarono insieme al suo abbraccio, insieme al suo tocco delicato sui miei capelli. 

Avevo appena ricevuto un addio dal mio passato e accolto un benvenuto dal mio futuro. 



 

CASTIEL

La prima tappa in quella brutta mattinata di Gennaio fu alla clinica privata dove mia madre era stata trasferita in una camera di terapia intensiva dopo l'intervento. Parlai con il dottore che l'avrebbe seguita nel suo percorso riabilitativo. Mi disse che mia madre avrebbe dovuto sottoporsi a più cicli di chemioterapia. La notizia mi destabilizzò leggermente. Immaginavo che sarebbe toccata anche a lei quella terapia, ma averne la certezza era stata tutt'altra cosa.

Con il tempo avrebbe perso i capelli, sarebbe dimagrita, sarebbe stata male ed il suo umore sarebbe peggiorato. Tutti sintomi risaputi, ma descritti con dettaglio dallo stesso medico che le sarebbe stato vicino. 

Aveva bisogno della chemioterapia per eliminare l'eventuali cellule rimaste dopo l'asportazione del tumore, il medico mi assicurò che non le sarebbe accaduto nulla di grave oltre quello già descritto. Ma io non mi fidavo. Come con tutti. 

Dopo aver lasciato la clinica con l'amaro in bocca per non aver potuto vedere neanche quel giorno mia madre, chiamai il veterinario che avrebbe dovuto operare Demon. 

Un guaio dietro l'altro. La mia vita era uno schifo. E poi c'era gente che mi chiedeva persino per quale motivo non sorridessi mai. Come avrei potuto sorridere ad una vita che mi regalava solo poche ore di felicità, mentre tutto il resto rimaneva una continua lotta?

Il chirurgo veterinario mi comunicò che avevo tre giorni di tempo per completare il resto del pagamento. Ero rovinato, sul serio. Dovevo trovare un modo per ottenere un qualche genere di prestito senza infilarmi in altri guai. Ma come?

Strinsi il telefono per la rabbia, e mi accorsi subito del messaggio appena arrivato nella casella degli sms. 

Era di Debrah. Mancava soltanto lei in quel giorno del cazzo iniziato bene e proseguito uno schifo. Lessi velocemente l'ennesimo suo avvertimento. 


Avevo cercato di avvertirti. La prossima mossa sarà la finale. Non vedo l'ora di leggere impresso sulla tua fronte la scritta GAME OVER!

 

Schiantai con forza lo smartphone contro la strada, credendo di smaltire un po' di rabbia ma finendo per scheggiare solamente il vetro del telefono.

Che vita di merda!



 

MIKI

Riprendere il ritmo scolastico non sarebbe stato semplice, non dopo aver provato l'ebrezza di passare una settimana intera a girare per musei e monumenti insieme a Castiel Black, non dopo tutti quei continui problemi che sembravano aumentare e sovrapporsi invece che diminuire. 

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai per quei pensieri appena fatti mentre mi attinsi ad aprire l'armadietto e riporre tutti i libri che non mi sarebbero serviti per studiare a casa. Ma proprio lì sullo scaffale in cui avrei dovuto posare quei mattoni di carta, c'era un foglietto strappato da un quaderno a righe, con su scritto una frase che mi lasciò del tutto perplessa e nello stesso istante mi fece perdere dieci anni di vita. Completava il messaggio ricevuto qualche ora prima da quel numero sconosciuto di cui però a quel punto era prevedibile l'identità. Per poco non caddi sfinita sul pavimento a causa di quello che sarebbe stato l'ennesimo dilemma da affrontare..


Il bambino è di Castiel!

 

 

 

-

 





🎉N.A. 🎉

Lo so, ogni giorno che passa sono sempre più matta. Non è logico pubblicare a quest'ora della notte perché o starete dormendo o festeggiando but...

Ubriaca d'amore a Capodanno, Ubriaca d'amore tutto l'anno. Yeahhh!

Non potevo farmi sfuggire di scrivere questa frase e quindi eccomi qui. 

Non è stato un capitolo felicissimo, lo ammetto e forse è stato un po' troppo incasinato, ma prima o poi i dilemmi vanno affrontati quindi purtroppo era necessario. Avrei preferito iniziare l'anno con avvenimenti leggeri e pucciosi, come ho fatto a Natale, ma non potevo proprio questa volta.

I pov sconosciuti di qualche capitolo fa, e la ragazza con cui Castiel ha fatto quest'errore è proprio Ambra. C'è chi lo aveva già immaginato, chi pensava si trattasse di uno scherzo, ma è tutto vero. Cosa accadrà? E soprattutto dov'è partita Ambra?

Come andrà a finire il ricatto di Debrah? Dappertutto c'è lei xD

Ciak invece si commenta da solo. Non riesce ad accettare di esser stato rifiutato da Miki e pone fine per sempre alla sua amicizia con lei. Sarà vero o si renderà conto e riuscirà ad essergli ancora amico?

Rosalya è perfetta invece. E' la vena simpatica che ci voleva per alleggerire le cose. Vi piace?

Castiel e Miki sono solo Castiel e Miki, ma inevitabilmente anche questa volta la loro pace temporanea finirà. 

Castiel come troverà il resto dei soldi per l'operazione di Demon? 

E la pubblicità di Rabanne, la farà Miki o Debrah?

Le domande invece di diminuire in ogni capitolo aumentano, perfetto direi. 

Ora vi saluto..

Per quest'anno che verrà vi auguro di essere ubriache d'amore, di felicità, di salute e di tanti successi. 

BUON ANNO NUOVO 🎉🥂

Come vi auguro sempre, mangiate e divertitevi che alla dieta e ai problemi ci penseremo in seguito. 

All the love💖

Blue versione fuoco d'artificio🦋💥 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** CAPITOLO 35: Arrivederci Castiel! ***


Capitolo 35

Arrivederci Castiel






🎶 Sia - Helium 🎶

Ci sto provando, ma continuo a cadere giù

Piango, ma non escono fuori lacrime

Sto dando il mio tutto e so che verrà la pace

Non ho mai voluto aver bisogno di qualcuno, ho voluto giocare duro

Credevo che potessi fare tutto da sola..

Ma anche Superwoman alcune volte ha bisogno dell'anima di Superman

Aiutami ad uscire da questo inferno.

Quando ho colpito il terreno

Tu sei tutto quello di cui ho bisogno

E se tu mi lasci andare io fluttuerò verso il sole.

Ma quando la paura arriva, io vado alla deriva verso terra.

 

***

 

MIKI

"La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia".

Gandhi aveva ragione. 

D'altronde... Come potevo attendere che il temporale terminasse se la mia vita continuava ad essere peggio del tempo atmosferico di Londra? Come potevo crogiolarmi nel dolore tutte le volte in cui ero stata messa ad un bivio? Da sempre, le vicende accadute mi avevano posto davanti a due scelte: lasciarmi cadere o agguantare più forza possibile e provare a sconfiggere le negatività. Io avevo sempre scelto la seconda via; la più tortuosa, vero, la più faticosa perché in salita, verissimo, nondimeno proseguivo con determinazione e convinta che una volta giunta in cima il panorama sarebbe stato fantastico. Ancora non avevo raggiunto la fine del percorso, eppure neanche una volta avevo gettato la spugna. La paura di cadere, le tentazioni di gettarmi da quell'altezza spropositata si protraevano, eppure ero sicura che ce l'avrei fatta a superare ogni avversità. 

Allo stesso modo avrei agito quel brutto giorno di fine Gennaio. 

Ambra era incinta.

Il bambino era di Castiel. 

L'urgenza di urlare -in un primo momento- si fece sempre più pressante e fu quando mi resi conto di trovarmi ancora nel corridoio del Dolce Amoris che valutai come scelta ovvia quella di trattenermi. Optai però -in un secondo momento- di scappare da quel liceo a gambe levate, e fu quello che feci. 

Avrei dovuto partecipare all'attività del club di musica quel pomeriggio ma l'idea di stare nella stessa stanza con Debrah per più di due ore non risultava essere una scelta intelligente. Avrei potuto compiere un omicidio, strozzarla e poi gettarla dal terrazzo di quel maledetto liceo, sarebbe morta alla tenera età di diciassette anni, ed io sarei finita in galera. Non potevo rischiare un ergastolo. Per Debrah Duval sarebbe stato sprecato. Scossi la testa e tentai di eliminare del tutto la vena omicida. 

E poi scappai. 

Corsi con tutte le energie trattenute da anni e anni di pigrizia a poltrire sul divano, invece d'iscrivermi ad una qualsiasi attività motoria. 

Dopo essermi allontanata abbastanza da scuola e approfittando di un tratto di strada abbastanza appartato, urlai con tutto il fiato posseduto in corpo. Sembravo una matta appena evasa da un manicomio, ma poco m'importò. Non pronunciai alcuna parola, urlai e basta. Tolsi fuori tutta la frustrazione per quelle situazioni che nel giro di qualche mese mi avevano totalmente risucchiata nel vortice di nome Castiel. 

Urlai per la rabbia, per l'impotenza percepita sino all'ultimo osso del mio corpo per non poter trovare un'appianamento. Perché a tutto c'era una soluzione, vero, ma in quel caso la decisione non poteva spettare a me. 

Urlai per l'incoscienza di quei due babbei per non aver usato le precauzioni necessarie. Quando era capitato? Com'era stato? 

Urlai per me stessa, per quel pizzico di gelosia percepito anche in quel caso. 

Lessi per la milionesima volta quel biglietto che avrebbe inevitabilmente mutato la vita di tutti da quel momento in poi, e continuai ad essere incredula. 

Castiel padre. Lo avrebbe reso più maturo quel ruolo? Si sarebbe assunto ogni responsabilità o il suo carattere sarebbe peggiorato? Tanti interrogativi vorticarono nella mia mente affollata e rabbiosa. Non poteva essere vero, non poteva capitare proprio in quel periodo. Non a me. Non a noi.

E Ambra? Ambra come aveva reagito, invece? Aveva deciso d'interrompere la gravidanza o di assumersi quell'enorme responsabilità di diventare madre? Non la conoscevo così a fondo da prevedere i suoi comportamenti, ma essere genitori a sedici anni avrebbe comportato davvero troppe rinunce per una ragazza apparentemente viziata come lei. 

In un impeto d'ira acuta feci in mille pezzi quel piccolo foglio e lo lanciai al vento con la speranza che potesse riprendersi anche quel segreto. Non avevo mai sognato di possedere i superpoteri, quel giorno però per la prima volta desiderai di essere dotata del potere di tornare indietro nel tempo per permettere a Castiel di non compiere più lo stesso errore. 

Ma quella era la vita vera e non esisteva alcun super-potere in grado di mutare il corso del tempo e l'andamento dei fatti, per cui avrei dovuto accettare ogni cosa come sarebbe arrivata. 

Che bastardo però il destino, che traditrice la vita.. Donava attimi di felicità improvvisa per poi riprenderseli indietro con gli interessi, sostituendoli con attimi dolorosi, sconfortanti, in cui si voleva incolpare chiunque tranne che il reale responsabile. 

Avrei dovuto urlare contro il ragazzo dai capelli rossi, ma lui non c'era.. Lui non c'era mai.

Così urlai al vento, sperando che ovunque Castiel si trovasse, mi avrebbe sentita. Doveva avvertire, sentire, percepire quanto dolore mi stava provocando dentro, giorno dopo giorno, ferita dopo ferita. Non importava quanto forte sarei stata nel superare tutto, ancora una volta; giunti a quel punto importava solamente in che modo sarei arrivata al traguardo. Stremata, distrutta, senza più una briciola di dignità. 

"Castiel mi senti? Sto urlando, di nuovo rotta, ma tu non mi ascolti.

Castiel mi vedi? Sto cadendo al suolo, consumata, ma tu non sei qui pronto ad afferrarmi. 

E allora perché dovrei essere predisposta a proseguire verso la scalata della montagna che mi porterebbe dritta al tuo cuore? A quale pro? Quale prezzo dovrò pagare ancora prima di conquistarti? Non erano gli uomini, un tempo, a corteggiare? Perché quel ruolo ora spetta a me? Dov'è scritto che tu debba stare lì, inerme e spocchioso, stravaccato sul tuo trono fatto di fiamme d'oro, mentre attendi che sia io a fare ogni passo verso di te? Perché invece non c'incontriamo a metà strada.. Ti va? Perché non smetti di ferirmi?

Tu non ci sei mai quando ho bisogno di te. Perché dovrei continuare a giustificarti, perdonarti, farmele passare? Tanto lo so che appena ti perdono, tu mi ferirai di nuovo. 

E allora se mollassi la presa, se per una volta lasciassi a te il lavoro sporco, mi prenderesti o mi lasceresti cadere? Hai due opzioni, due scelte. Prendere o lasciare. 

Credo sia giunto il momento di scambiare i ruoli, Castiel. Io mollo la presa, tu mi afferri. Sei così forte come da totale arrogante ti definisci, o sei un codardo? Sta a te decidere in che ruolo vuoi prendere parte. Sta a te decidere quanto io sia importante nella tua vita. 

Perché per una volta io me ne starò lì ad osservare lo spettacolo dal mio trono fatto di spine.

Ti aspetto Castiel, non deludermi!" 

Rivolsi a lui quei pensieri, quelle decisioni senza che mi potesse ascoltare sul serio. Per tutto il tempo tenni il volto sollevato al cielo, attendendo un angelo che potesse fargli recapitare quel messaggio di totale importanza, ma non c'era nessuno. 

Per Micaela Rossi non c'era mai nessuno. Nè un angelo custode, né qualcuno che si prendesse cura di lei. 

Così in un attimo d'impeto e incoerenza, ripresi la mia corsa verso una meta stabilita dal mio cuore. 

Corsi per l'ultima volta verso di lui. Ma sul serio. Avrei corso l'ultima maratona, pronta a passare il testimone. Gli avrei detto ogni cosa, poi sarebbe spettata a lui la decisione finale. 

Quando giunsi davanti alla sua abitazione, trovai il cancello socchiuso e la moto parcheggiata nel giardino. Era in casa. Inevitabilmente il cuore traditore aumentò i suoi battiti, giusto per rendermi ancor di più le cose complicate. Per un attimo avevo sperato che lui non ci fosse per potergli parlare in seguito in un momento di lucidità, ma il destino -era risaputo- aveva una direzione tutta sua, non andava mai nel verso in cui si desiderava.

«Ti mancavo già? Non riesci più a stare lontana da me per più di qualche ora, ammettilo..», mi stuzzicò. Come se avesse un radar o semplicemente le telecamere in casa, aprì la porta nell'esatto momento in cui salii il primo gradino della veranda. "Che faccia tosta!" aveva persino il coraggio di scherzare dopotutto. "Un attimo! E se lui non sapesse di aver messo incinta una povera ragazza, vittima del suo fascino?"

Lo guardai di sbieco e subito -intuendo che qualcosa non andasse- tornò serio, senza ulteriori battute «Vieni, entra» mi fece segno di accomodarmi nel salotto e a malincuore lo seguii. Non potevo dare spettacolo in giardino, avrei preferito discutere di quelle questioni così delicate senza occhi o orecchie indiscrete. 

Osservai il divano e per un attimo rievocai gli eventi della notte prima, poi scossi la testa per rimuovere i pensieri. Era accaduto tutto in così poco tempo, in così pochi giorni. Debrah aveva previsto di darci il "ben tornato" dopo il ritorno dall'Italia e ci era riuscita perfettamente. 

«A cosa devo la tua visita?» si accomodò sulla poltrona, mentre io restai in piedi, sulle spine. 

«Non hai nulla da dire? Nulla da confessare?» lo spronai tentando di capire se lui sapesse o meno qualcosa. Ma a giudicare dall'espressione confusa che assunse, intuii fosse ignaro di ogni cosa. «Bene.. Debrah ha lasciato il lavoro sporco a me; dovevo immaginarlo!» scossi la testa e risi amareggiata. 

«Cosa c'entra Debrah, ora? Ti ha importunata a scuola? Ti ha minacciata? Stai bene?» si sporse verso di me, guardingo e quasi preoccupato. Mi fece tenerezza quel suo modo di rispondere. Forse un po' mi voleva bene, dopotutto. 

«No, anzi.. Direi che più che altro mi ha aperto gli occhi», non mi feci abbindolare, nonostante avessi adorato quella sua reazione. Non seppi da dove usciva quella mia calma apparente soprattutto dopo la reazione iniziale avuta. Evidentemente urlare e metabolizzare prima di vederlo, mi aveva aiutata. 

«Non girarci intorno!» s'infastidì. Sapevo quanto odiasse il tergiversare, ed ovviamente lo avevo infastidito un po' per quel motivo.

«Oh certo, perché a te non piace girarci intorno. A te piace fare centro. Be' direi che però.. per una volta sarebbe stato meglio tirarlo fuori prima di centrare l'obiettivo; ma ormai ciò che è fatto, è fatto. Non si può avere tutto dalla vita, giusto Castiel?!» allusi al fatto di aver ingravidato Ambra a causa del suo "centro", ma ovviamente lui non poté afferrare il doppio senso. 

Si alzò di scatto dal divano e ponendosi difronte a me, mi scrollò le spalle «Mi spieghi che cazzo stai dicendo? Ti hanno drogata? Hai bevuto?» corrugò le sopracciglia e mi guardò dritto negli occhi per fiutare se stessi realmente bene o meno. Ciò che però lui non comprendeva era che fossi rotta dentro, non fuori. Quel genere di dolori sono invisibili ad occhio umano.

«Tu, piuttosto dovresti dirmi se eri ubriaco o drogato quando hai fatto centro dentro di lei!» tolsi malamente le sue mani dalle spalle e feci un passo indietro. Lui non si mosse, restò ad osservarmi tentando di azionare il cervello, ma era impossibile cercare di far operare un aggeggio che non si possedeva proprio. Perché la sua testa era vuota.

«Non dirmi che...» lasciò il discorso in sospeso per un attimo «Non dirmi che solo perché abbiamo fatto quello che abbiamo fatto, tu ora pensi di avere esclusive su di me. Non pretenderlo Miki, non pensarci proprio. Stai avendo le stesse pretese di Ambra.. Ma io ti reputo più intelligente di lei. Ho fatto centro in talmente tanti buchi da non riuscirli neanche più a contare. Quindi?! Dove sta il problema?» s'irritò. Aveva afferrato concetti del tutto inesatti, mi aveva addirittura quasi offesa e si permise addirittura d'irritarsi. "Che bravo!"

"Che faccia di cazzo!"

Mi avvicinai minacciosa a lui e lo picchiai sul petto, sperai di provocargli almeno la metà della sofferenza che lui stava provocando in me anche solo con la sua vicinanza «Vuoi sapere dov'è il problema, eh Castiel? Vuoi saperlo davvero? C'è che sei un cretino. Hai messo incinta Ambra, brutto coglione senza cervello, troglodita che non sei altro!» finii per sganciare dei veri e propri pugni sul suo torso insieme alla notizia bomba. Anzi, oserei definirla piuttosto: notizia dell'anno. A breve, quasi sicuramente ogni essere umano di Parigi avrebbe appreso quel fatto.

Tutta la collera trattenuta per un'ora esplose lì in un secondo, su di lui. Se la meritava tutta. 

«Cosa vuol dire? Che stai dicendo? Chi te lo ha detto? Non è vero.. N-noi.. Io e Ambra è da Dicembre che non...» lessi panico nei suoi occhi quando li strabuzzò, incredulo. 

«Vuoi un disegnino, Castiel? Sai bene come si fanno i bambini. Non esiste solo il divertimento. Sei stato un incosciente del cazzo a non usare il profilattico. Un totale imbecille!» avevo solo insulti per lui. Non potevo descriverlo con altri aggettivi.

«Io l'ho sempre messo.. Cristo! Vuoi vedere che è stato il 24 Dicembre quando...» stava riflettendo ad alta voce, il suo sguardo si fece assente «Tu eri con quel damerino del cazzo ed io nel vederti con lui... Dio dentro i bagni, io-» sapevo bene purtroppo cosa stava farneticando. Quella sera, al ballo di Natale, io e Rose avevamo sentito persino i versi provenire da quel bagno. 

Di bene in meglio; avevo assistito addirittura al concepimento. Avrei tanto desiderato sbattere la testa contro un muro e dimenticarmi ogni cosa.

«Avevo ricevuto un messaggio prima di partire per Roma, ma... pensavo si trattasse di uno scherzo e.. poi non ci ho più pensato. Dio, che cretino!» si portò le mani sulla testa in segno di disperazione e prese a girare per tutta la stanza. Aveva recepito benissimo la notizia.

«Già, la prima cosa sensata che hai detto oggi: sei un cretino. Il peggior cretino esistente sulla faccia della terra», talmente era scioccato non mi corresse come al suo solito, non m'insultò di risposta. I primi cambiamenti erano tangibili. Nulla sarebbe più stato come un tempo. «Quindi... Pensi sia tutto vero?» per un attimo tentai di credere fosse l'ennesimo giochetto di Debrah, ma forse sarebbe stato meglio non illudersi.

Si voltò verso di me, colpito da un'illuminazione e quasi saltò dalla gioia. Aveva un appiglio diverso a cui aggrapparsi, era legittima la sua reazione. «Devo chiamare Ambra. Devo sapere. Lei.. Forse non è vero, hai ragione sì. Dev'essere l'ennesimo colpo basso di Debrah, per forza!» in un baleno afferrò il telefono poggiato su un mobiletto e compose il numero di Ambra. 

Sebbene non lo diedi a vedere all'esterno, ero preoccupata. Molto. 

Ma Ambra aveva cambiato addirittura numero telefonico. Una voce metallica l'informò che il numero selezionato non era attivo. Di male in peggio. 

«Oggi Nath ha avvertito i professori che Ambra è partita per qualche giorno. Lui deve sapere qualcosa, no? O nel caso in cui non lo sapesse, tanto piacere. Prima o poi verrà a saperlo in un modo o nell'altro, le voci al Dolce Amoris circolano velocemente!» gli diedi uno spunto, l'ultimo aiuto prima di salutarlo e allontanarmi da quella casa.

«Oh sì.. Sebbene mi costi caro chiedere aiuto a lui, è l'unico modo per capirci qualcosa in più. Mi mandi un messaggio, o mi chiami quando saprai qualcosa dopo avergli parlato?» come volevasi dimostrare. Porse ogni genere di fiducia nelle mani della sottoscritta, pronto ad accomodarsi sul suo trono fiammante. Pronto a guardare dall'alto, mentre qualcuno al posto suo faceva il lavoro sporco. Ma evidentemente aveva fatto male i conti, quella volta. Evidentemente aveva bisogno di un paio di chiarimenti.

«Io non chiederò un bel niente a nessuno, Castiel. Questa volta te la sbrigherai da solo. Non m'importa se tu e Nathaniel non vi rivolgete la parola da anni, non m'importa se dici di aver bisogno di me o che mi trovi bellissima. Non attacca più con me!» gesticolai guardandolo torva. 

Dopo le mie parole bloccò la sua camminata e mi rivolse uno sguardo indecifrabile.

«Cosa vuol dire? Mi abbandoni proprio ora, in una situazione del genere? Che ipocrita!» schioccò la lingua al palato.

«Proprio ora? Con te è sempre: un "proprio ora". Continui ad infilarti in guai più grandi di te con le tue stesse mani, continui a pretendere da me, mentre io non ricevo nulla in cambio. Non ti ho mai chiesto niente, ma.. vorrei anch'io sentirmi corteggiata, desiderata, apprezzata. E poi.. appena decido di andare oltre il tuo sbaglio, tu ne commetti un altro. Non ho avuto neanche il tempo di respirare, di accettare ciò che avevi fatto che subito ecco un altro problema.» gli rivolsi frasi sconnesse sperando però che ne avesse ugualmente compreso il significato.

«Perché finiamo sempre per fare il solito discorso, Miki? Sapevi dall'inizio come sarebbero andate le cose, tu stessa hai detto di non voler mollare ciò che c'è tra noi sebbene ti avessi chiesto di farlo. E adesso cosa pretendi? Che ti chieda scusa, per cosa esattamente? Per aver messo incinta una tizia involontariamente quando tu eri andata alla festa con un altro?»

«Ah! Adesso la colpa sarebbe mia per essere andata al ballo con un altro? Volevi essere tu il mio accompagnatore, per caso? No, perché io neanche sapevo fossi interessato all'epoca, sai com'è?! Sei sempre stato un libro aperto..» sollevai braccia e spalle incredula. 

«Ti sembro tipo da invitare una ragazza ad un insulso ballo romantico del cazzo?»

«Non sia mai.. Castiel Black che invita una ragazza ad un ballo?! Mai nella vita!» lo scimmiottai sempre più nervosa. «E quindi, cosa cazzo vuoi esattamente? Perché hai tirato fuori il fatto che io ero con un altro?» provai a capire la sua pretesa nei miei confronti. 

«Stiamo discutendo su una cosa accaduta due mesi fa, incredibile!» aveva sviato il discorso per evitare di rispondere. 

«Sei tu a lanciarmi frecciatine, non è colpa mia!»

«Certo!»

«Certo!» lo imitai. Chiusi ogni tipo di dialogo. Non avevo intenzione di corrergli dietro.  

«Okay, credo ci siamo detti tutto. Adesso io vado..» mi avvicinai alla porta d'uscita, ma lui mi seguì sfiorandomi un braccio. Rabbrividii e sussultai a causa del suo tocco; lui se ne accorse, io me ne accorsi. 

«Non andare... Sai che io da solo sono un disastro. Non puoi decidere di allontanarti così, io- noi.. ecco, possiamo bisticciare o punzecchiarci quanto vuoi, ma... ho sempre bisogno di te!» dopo quelle suppliche chiusi gli occhi per provare a trovare la forza necessaria per fare ciò che avrei dovuto. Dovevo farlo per lui, per noi, per un ipotetico futuro insieme, continuai a ripetermi.

«Hai bisogno di me per necessità, per farmi svolgere un compito. Non perché vuoi stare con me, o perché vuoi prenderti cura di me. E so di sembrare contraddittoria dopo ciò che ti ho detto in ospedale ieri, ma un giorno capirai i motivi di questa mia scelta, lo spero e m'illudo di crederci...» non lo guardai negli occhi, altrimenti sarebbe stata la fine. «Però ora.. sono stanca di dare soltanto. Sono vuota, scarica a furia di stare dietro a te e ai tuoi problemi. Quando ti renderai conto realmente di ciò che hai perso o potresti perdere.. Quando farai un po' di pace dentro e fuori di te, saprai dove trovarmi. Arrivederci Castiel!» mi voltai e senza concedergli possibilità di replica abbandonai quella casa. 

Quella volta nessuno mi avrebbe preso e trascinato di forza a salire su una moto, nessuno avrebbe provocato scintille dentro di me, o sensazioni proibite. E sapevo, sapevo bene di averlo giurato a me stessa un milione di volte di stargli lontano, e sapevo anche che poi non avevo mai mantenuto quella promessa. Ma quella volta avrei fatto sul serio. Qualcosa si era rotto dentro di me. Il filo sottile che ci legava si era affinato ogni giorno di più a causa delle sue menzogne, dei nostri litigi, dei nostri tira e molla. A furia di trainare lui e i suoi mille demoni la corda si era spezzata. E sarebbe spettata a lui la mossa successiva. Imparare a fare il nodo come i marinai o lasciare quella corda spezzata? 

Rientrai a casa con un altro pezzo di cuore graffiato, non si era ancora staccato del tutto, era solamente lesionato. Perché dentro di me covai la speranza che lui avesse letto tra le righe, che grazie al mio allontanamento avrebbe finalmente capito di aver bisogno di me nella sua vita, non come scaccia-guai o problemi, ma come qualcosa di più. E sapevo di averlo messo alla prova in un momento delicato, forse del tutto sbagliato. Ma noi avevamo mai osservato il tempismo? Il nostro tempo era imperfetto, un po' come noi. Due cuori rotti. 

E per una volta io sarei stata a guardare i suoi pasticci da fuori, stando accanto a lui ma in un modo alternativo; in silenzio, lontana fisicamente ma vicina e -sperai- dentro al suo cuore. 


***

«Come puoi pretendere un anticipo su quello che sarà il tuo lavoro tra un mese? Sei fuori di testa!» 

L'orologio digitale elegante e da scrivania segnava le venti e quaranta. 

Ero accomodata su una delle poltrone comode nell'ufficio di Rabanne, mentre lui stava avendo una discussione telefonica piuttosto accesa. Ero leggermente a disagio. Cercai di mostrarmi disinteressata osservando l'ambiente circostante e tentando di non origliare la conversazione, mi fu difficile. Non avevo idea del motivo per il quale -lo stilista- mi avesse permesso di entrare nel suo studio mentre era impegnato in altro. Era forse un motivo in più per mettermi alla prova? Per capire se fossi o meno una ficcanaso? Rabanne non lasciava nulla al caso, ogni sua mossa era studiata nel dettaglio. Anche quella doveva esserlo. 

«Non me ne può importare un cappero del tuo cane, per quanto mi riguarda può morire anche subito!» rare volte lo avevo sentito dialogare con qualcuno in un modo così informale. Doveva conoscere bene il destinatario delle sue maledizioni. Più i minuti passavano e più Rabanne mostrava collera sia nella voce che nell'espressione. Era dal lato opposto della scrivania, difronte a me, leggermente arrossito in volto a causa della rabbia che l'interlocutore gli stava trasmettendo. 

Le parole "cane", "anticipo", "morire", mi fecero drizzare le antenne e sussultai lievemente. Sperai non se ne fosse accorto. Era stata una coincidenza? 

«Posso benissimo sostituirti con Francois, per quanto mi riguarda. Non ci sarebbe abbastanza alchimia, ma non mi lasci altra scelta..» sgranai gli occhi e deglutii rumorosamente. 

Il nome di Ciak e il contesto della frase non potevano essere un ulteriore convergenza. 

«Bene. Era proprio ciò che volevo sentirti dire, arrivederci Black!» Rabanne chiuse la chiamata e lanciò il suo iPhone dall'altro lato della scrivania accompagnato da un sospiro rumoroso.

Cosa? Come? Quando? Perché? Maledizione! Castiel era stato per tutto il tempo l'interlocutore di quella chiamata ed io non avevo prestato la degna attenzione. 

Cercai di non mostrare coinvolgimento alcuno per le parole appena udite uscire dalla bocca rugosa di Rabanne, cercai di tenere a bada la mia curiosità di donna, il mio istinto da paladina e per non commettere passi falsi non emisi neanche un suono. Con la schiena dritta, il volto imperturbabile, fissai lo stilista in attesa che fosse lui a parlare per primo. 

«Finirete mai di farmi penare?!» apparì quasi esausto e si toccò il ponte del naso socchiudendo gli occhi.

«Non so a cosa si stia riferendo», replicai seria e composta. 

«Signorina Mikì, mi vuole far credere che lei non ha ascoltato neanche una parola della conversazione? Le sembro un inetto, per caso?» mi scrutò con un mezzo sorriso. Ma non era esausto e super adirato fino a cinque secondi prima?

«No, cer-» non mi permise di concludere che subito prese parola 

«Vuole sapere cosa mi ha chiesto il suo amico?» storsi il naso davanti a quel termine finale. «Pretende un anticipo di tutta la somma d'incarichi che otterrà in un mese, per operare il suo dannato cane. Le cure sono costate più del previsto per la degenza in una clinica specializzata. Ma cosa vuole che me ne importi?» di pietra e crudele. Ecco cosa era lo stilista. 

«Di che somma si parla oltre al compenso del nostro ingaggio che gli ho già ceduto?»

«Mille euro».

«Gli dica che ha cambiato idea, che ha deciso di anticipare la somma!» 

Non me ne sarei pentita, lo stavo facendo per una buona causa. 

«Per quanto apprezzi la sua temerarietà: lei non si trova nella posizione d'imporre ordini, signorina Mikì.»

«Lei deve solo fare da portavoce. I soldi li anticipo io, me li restituirà una volta concluso l'ingaggio» mi guardò incredulo dopo la mia proposta.

«Di nuovo? Si sta sacrificando di nuovo per lui?» per un attimo abbandonò la serietà che da sempre lo contraddistingueva «Deve volergli davvero bene», constatò. 

«Lo faccio per Demon, non per lui!» mi affrettai ad affermare cercando di convincere anche me stessa. 

Nella carta di credito regalatami da zia Kate, un mese prima, disponevo di quella somma. Non avendo più praticato ore ed ore di shopping terapeutico i soldi erano rimasti lì, inutilizzati. Non ne avevo necessità, le mie priorità erano mutate in Francia. Potevo anche evitare di acquistare un capo costoso e comprarne un altro più economico, ma bello uguale. Per cui feci quell'ultimo sforzo per aiutare un povero cane a sopravvivere da una malattia. Si trattava solamente di anticipare una somma di denaro, perché non avrei dovuto? Non ero crudele, non possedevo un cuore di pietra. Non ancora.

«Che resti tra me e lei, Signor Rabanne!» specificai che Castiel non avrebbe dovuto neanche sospettare della sottoscritta. Non avrebbe mai accettato il mio aiuto. Ed inoltre io stessa non volevo che lo sapesse. Il mio allontanamento avrebbe dovuto percepirlo in tutto e per tutto, a partire dai piccoli aiuti o anche solo dal non sentir pronunciare il mio nome da nessuno. 

Quella volta avrei fatto sul serio, e non scherzavo.

___

Nella settimana successiva avremmo girato il video per la pubblicità del profumo in un piccolo villaggio contenente una spiaggia parecchio suggestiva a due ore da Parigi, precisamente a Varengeville-Sur-Mer. Quel luogo aveva ispirato parecchi artisti come Monet o Braque. 

I volti d'Ivre saremmo stati io e Castiel, senza ombra di dubbio. Avevo provato ad insistere proponendo Debrah, ma lui non si era lasciato scomporre. Quella volta lo avevo fatto per me stessa, non per aiutare Castiel; mi auto-convinsi anche di quel particolare. Volevo a tutti i costi saltare fuori da quella situazione, da quel triangolo amoroso, da quel circolo vizioso, e volevo distaccarmi da quell'insulsa coppia una volta per tutte. 

«Mi tolga un'ultima curiosità e poi la lascio andare..» mi bloccò Rabanne proprio quando stavo per abbandonare quel posto. Il taxi mi stava già attendendo in giardino. «Per quale motivo ha così insistito nel far fare la pubblicità a quella ragazza?»

«Vorrei solo che mi lasciasse vivere la mia vita in pace. Mi ha ricattata se proprio vuole saperla tutta, se lei non otterrà ciò che brama: il successo, rovinerà Castiel. Non ho il cuore duro come a volte mi piace far credere», fui sincera raccontando per sommi capi la verità. Non avevo fatto riferimento alle illegalità commesse dal rosso, non amavo riferire i fatti privati della vita di una terza persona non presente, ancor di più se si trattava di Castiel. 

«Mi lasci il numero di questa ragazza, vedrò cosa posso fare. Lei è una cantante, se non erro, giusto?» 

Forse per una volta avevo sbagliato a giudicare frettolosamente, forse il grande stilista burbero non era poi così cinico come dava a vedere. 

Dopo settimane totali di buio, finalmente riuscii ad intravedere un bagliore di luce infondo al tunnel. Era così semplice la risoluzione di quel grattacapo? Se Rabanne avesse garantito a Debrah un successo assicurato, ma con un ingaggio diverso dalla pubblicità del profumo con Castiel, lei avrebbe accettato senza battere ciglia? Sarebbe stata disposta ad eliminare ogni prova incriminante scolpando Castiel? 

Per il momento non possedevo la risposta a quelle domande, ma sperai di ricevere finalmente una notizia positiva. Debrah non meritava di uscire indenne da quella storia. 

«Sì. Debrah Duval, ecco tutto» gli porsi un foglio dopo aver riportato scrupolosamente ogni numero dal cellulare ad un pezzo di carta. 

«Se non fosse per l'alchimia, la particolarità che mostrate quando siete nella stessa stanza, avrei preso entrambi a calci e vi avrei sostituiti in due secondi. Sono noto al pubblico per la mia impazienza, eppure per voi sono riuscito a fare un'eccezione. Sono stupito da me stesso!» si toccò la barba grigia presente sul suo mento, mentre apparve quasi parlare con se stesso.

In verità, io stessa, ero stupefatta per quel mutamento di comportamento, per la sua improvvisa disponibilità. 

Osservò per un attimo il foglio con sopra il numero di Debrah e poi lo conservò nella sua agenda personale. 

Insieme a quel foglio, lì in quell'ufficio austero, lasciai a Rabanne ogni speranza, una fiducia che non avevo mai affidato a nessun essere umano prima di allora. Era quasi come l'ultima spiaggia prima del mare aperto, l'unica possibilità. Era un uomo intelligente, con parecchie conoscenze in ogni campo. Pregai affinché prendesse quella situazione a cuore, affinché impiegasse tutte le forze per regalare a Debrah il successo e per donare a Castiel la libertà. 

"Tuttavia non potevo ancora sapere che ogni situazione, decisione può sempre finire per ritorcersi contro. Non potevo ancora neanche lontanamente immaginare che la vera libertà, la vera ambizione, il più grande sogno di Castiel fosse un altro. Completamente lontano da me; da noi."

Perché anche Superwoman aveva bisogno dell'anima di Superman per riuscire a sconfiggere il male. Da soli, entrambi, non saremmo stati capaci di volare lontano. Peccato però che non tutti erano così abili da capirlo in tempo tanto da riuscire ad evitare la catastrofe.  

 

 

 

 

-

 



🍬N.A.🍬

La befana vien di notte

con le scarpe tutte rotte,

il vestito alla Castielniana..

Viva viva la Befana!!!

Come potevo perdermi questa bella opportunità di pubblicare anche la notte in cui la Befana viaggia a cavallo della sua scopa a portare il carbone e le caramelle a tutti i bimbi del mondo?!

E infatti eccomi qui. Ho pubblicato anche prima del previsto. DUE CAPITOLI IN UNA SETTIMANA, RAGAZZI! Sono o non sono la Befana migliore dell'anno?

Ok bando alle ciance, Miki ha deciso di smuovere una volta per tutte Castiel: avrà fatto male o avrà fatto bene? (Non giudicate la sua scelta, so che volete vedere insieme i due protagonisti, ma ogni cosa ha il suo senso. Fidatevi di me)

Rabanne ha promesso che si sarebbe impegnato lui stesso per trovare un ruolo per Debrah, ma non per la pubblicità d'ivre. Lo troverà realmente? Debrah si accontenterà?

Poi: FATE ATTENZIONE ALLA FINE DEL CAPITOLO. E non aggiungo altro. 

Adesso scappo, ho tanto carbone da consegnare questa notte😝 e tante caramelle da mangiare🍬

Buonanotte,

All the love💖

Blue versione befana🦋👵🏻

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** CAPITOLO 36: Perdere ***


 

Capitolo 36

Perdere







🎶Zayn ft. Taylor Swift - I Don't Wanna Live Forever🎶

Sono seduta con gli occhi aperti ed ho una solo cosa fissa in mente
Domandandomi se fossi appena stata colpita da un proiettile o perso l'amore della mia vita

Sto impazzendo, sveglia tutta la notte e tutto il giorno
Ti ho dato qualcosa, ma tu non mi hai dato niente
Cosa mi sta succedendo?

E non voglio adattarmi ad ogni situazione
Voglio solo continuare a richiamare il tuo nome finché non torni a casa.

 

***

Una settimana. Sette giorni, centosessantotto ore, diecimilaottocento minuti, seicentoquattromilaottocento secondi. 

Era passato tutto quel tempo dall'ultima volta in cui io e Castiel ci eravamo urlati contro. Li avevo contati tutti; minuto per minuto, secondo per secondo, attimo per attimo. 

Entrambi mantenemmo la parola. Nessuno dei due si avvicinò all'altro, nessuno ebbe notizia di alcun dettaglio della rispettiva quotidianità. Non seppi nulla dell'operazione di Demon, né di come stesse Castiel o di come e con chi passasse le sue giornate; sperai non con Debrah. Non seppi nulla di Ambra. La mia vita dall'oggi al domani divenne semplice, senza alcun problema, ma dannatamente noiosa e vuota. Senza di lui e le sue cazzate ero persa. Io stessa non esistevo senza il suo sguardo addosso, senza la sua vicinanza, senza la sua voce. Ma avevo deciso di allontanarlo per una ragione ben precisa e nonostante la sofferenza credevo ancora fosse stato giusto così. 

Eravamo diventati due estranei. Due estranei che conoscevano a memoria il battito del cuore dell'altro, due estranei che conoscevano i loro rispettivi odori, le abitudini, i vizi, i difetti. Due estranei che si conoscevano meglio di chiunque altro, ma con troppi problemi e orgoglio per avvicinarsi di nuovo. 

Il mio corpo riconosceva quando Castiel era nei paraggi. La pelle rabbrividiva, il cuore sussultava, gli occhi lo cercavano, il respiro accelerava e la mente inevitabilmente rievocava i momenti vissuti insieme. 

Durante quella settimana capitò di scontrarci, privi di parole. Ci guardavamo negli occhi con l'immensa voglia di baciarci, di appartenerci, ma passavamo l'una di fianco all'altro senza neppure salutarci. 

E Debrah per quel motivo divenne la donna più felice esistente al mondo. Ce l'aveva fatta, alla fine, ad allontanarmi da lui. Ogni mattina emetteva un'aura di felicità pura, un sorriso smagliante invidiabile, per cui smise con i ricatti e le belle notizie. Mentre io.. ogni giorno continuavo a sperare, a credere che Castiel finalmente avesse compreso le mie motivazioni per averlo allontanato, che con la nostra separazione uno scossone lo avrebbe indotto a correre da me; che avrebbe percepito così tanto la mia mancanza da non riuscire a resistere, da dovermi cercare per riprendere a respirare, da dovermi parlare per eliminare ogni dubbio, tanto da volermi scuotere, dirmi: "Miki ma che cazzo ti passa per la testa?! Io e te non possiamo più stare lontani". E invece non accadde nulla. Solo il vuoto; il buio più totale.

Lysandre mi aveva addirittura spifferato che Castiel fosse offeso dal mio comportamento, dal mio modo di abbandonarlo davanti al primo momento di difficoltà. Primo. E tutti gli altri guai combinati in cinque mesi e risolti al suo fianco, invece? Li aveva dimenticati? Doveva avere la memoria corta, il ragazzo. Quell'evidenza m'indusse a presupporre che il mio sacrificio non sarebbe servito da lezione. Tanto piacere! Più tempo ci avrebbe impiegato a capire, e più tempo saremmo stati lontani. Perlomeno avrei tenuto la mia dignità stretta. Non avevo stipulato alcun contratto che mi obbligasse a stargli vicino. Non poteva pretendere nulla dalla sottoscritta. Con ciò...

Restavo solo e soltanto io, stupida illusa, che ancora sperava in una sua redenzione. Me l'aveva persino urlato che non sarebbe cambiato per nessuna, né tantomeno per me. E allora? Cosa ci facevo ancora lì impalata, in quel corridoio, a fissarlo da lontano come una maniaca? L'aria di Parigi mi aveva cambiata impiegando una forza distruttiva su di me. Nessun ragazzo aveva mai avuto quel potere su di me. Ero divenuta autolesionista, stupida e dura di comprendonio. Perché solo una ritardata in piena regola poteva sperare di riuscire a modellare un cuore di pietra a mani nude.

«A stasera!» ammiccò Debrah verso Castiel, lo sorpassò ondeggiando eccessivamente le anche ed il sedere e poi scomparve scendendo le scale. 

Quella voce sottile che poteva benissimo arrivare a perforare i timpani per quanto fosse acuta e fastidiosa... Quel tono da perfetta donnaccia di strada, m'irritarono più del dovuto e non potei evitare di fare una smorfia disgustata. L'avrei volentieri strangolata a mani nude; peccato per l'ergastolo. 

Era pomeriggio, le attività dei club si erano appena concluse. Mi ero dovuta sorbire quella voce da oca giuliva di Debrah Duval per due ore. Due ore senza commettere un omicidio. Meritavo un fottuto Nobel per la pace come premio alle mie innate capacità di resistenza. 

«Quanto diavolo ci hai impiegato ad uscire? Sbrigati, gli altri ci stanno aspettando!» Castiel rimproverò Lysandre che uscì mogio mogio dall'aula insonorizzata di musica. 

Stava attendendo lui, non Debrah. Tirai mentalmente un sospiro di sollievo. Eppure lei aveva esplicitamente fatto capire che dovessero incontrarsi quella sera stessa. Cos'avrebbero dovuto fare? La curiosità e la gelosia mi stavano mangiando viva. 

In tutta quella scenetta simpatica io, da genia della lampada qual ero, dopo la fine della lezione avevo ben pensato di appartarmi in un angolo del corridoio -poco distante dalla porta dell'aula di musica- con il cellulare in mano, fingendo di star scrivendo un messaggio di vitale importanza. Dovevo pur avere la dose giornaliera di Castiel in qualche modo, e quello pareva essere l'unica soluzione. Ero patetica lo sapevo bene, ma ero anche innamorata.. E a quel piccolo particolare non c'era rimedio.

«Ti unisci a noi per questa sera, Miki?» sussultai dopo aver udito pronunciare in lontananza il mio nome. Sollevai di scatto la testa dal cellulare. Lysandre mi aveva chiesto di andare da qualche parte con loro, ma dove?

«Stai zitto brutto coglione!» sibilò Castiel, ma riuscii a sentirlo ugualmente. Ovviamente lui non tollerava più la mia presenza, un po' come se lo avessi tradito, un po' come se gli avessi fatto qualche torto. Uno stronzo patentato, insomma!

«Eh?!» mi limitai a rispondere.

«Questa sera suoneremo al "Restaurant à la musique", ti va di venire a sentirci?» 

Il ristorante della famiglia di Debrah. Finalmente, grazie a Lysandre, appresi il luogo dove lei e Castiel si sarebbero incontrati quella notte. Perché suonare proprio lì come ai vecchi tempi? Sapevo ci fosse un motivo di fondo e avrei tanto voluto scoprirlo. 

«Ti farò pentire di essere nato», Castiel proseguì a fare il disturbatore di fondo. C'erano cinquanta centimetri a dividerci, lui non mi guardava; io non lo guardavo. Lysandre sembrò quasi essere imbarazzato per la scostumatezza del suo amico. 

«No, e-ecco io... Io in realtà ho già un impegno», così come il rosso neanch'io ero tanto propensa a passare una serata in sua compagnia. Probabilmente avrei ceduto e gli avrei rivolto nuovamente la parola se fossi stato troppo a contatto con lui, lo meritava ancor meno dopo le ultime sue supposizioni. 

«Il nostro è un appuntamento imperdibile, non suoniamo in pubblico da una vita..» Lysandre cercò di convincermi.

«Sei morto!» la serie di minacce in sottofondo di Castiel contro Lys sembravano non aver fine. Ma io ovviamente lo evitai, non potevo permettermi di rispondergli sebbene volessi riempirlo d'insulti. 

«Se riuscissi a liberarmi, magari... Ci penserò!»

Senza aggiungere altro m'incamminai lasciando dietro i due ragazzi. Dopo la nostra breve conversazione, Castiel incrementò la sua serie infinita di accuse contro Lysandre. Potei udirlo anche dal piano inferiore. Sembrava un bambino. 

***

Rientrata a casa affamata a causa della mensa di scarsa qualità presente al Dolce Amoris, corsi -letteralmente- in cucina per sbranare l'insalata di pollo preparata la sera prima dalla sottoscritta. Petto di pollo arrosto, peperoni, mais, olive, carote, maionese ed il gioco era fatto. Veramente squisita! 

Ma dopo neanche due bocconi per poco non rischiai di morire affogata. Dei passi provenienti dalle scale mi fecero allarmare. Zia Kate doveva ancora rientrare dalla sua vacanza romanticamente vomitevole, dovevo essere sola come lo ero stata per tutta la settimana. I ladri avevano fatto irruzione in casa? Eppure zia Kate aveva installato un ottimo sistema antifurto, a meno che...

«Micaela ben tornata! Com'è andata a scuola oggi?», zia Kate con la sua leggiadria entrò in cucina con la pelle leggermente più scura del solito e con un volto totalmente rilassato. 

Era tornata. Dopo ben due settimane di scappatella romantica aveva deciso di degnarmi della sua presenza. Ma certo! Lei ed il suo amante avevano rincasato già a problemi risolti. Adelaide era stata operata, aveva superato quel momento critico e aveva anche iniziato il primo ciclo di chemioterapia; a breve si sarebbero notati i primi effetti. Ma i due adolescenti innamorati cosa ne potevano sapere? Erano fuggiti dalle difficoltà come dei codardi abbandonando due adolescenti, addossandoci ogni responsabilità. Ed io, nonostante tutto, non lasciai Adelaide da sola. Avevo mantenuto la promessa, appena uscita dalla camera di terapia intensiva mi recai subito a farle visita in clinica; in orari diversi dal figlio per evitare d'incrociarlo in posti dove entrambi potevamo essere vulnerabili. La donna aveva notato ci fosse qualcosa di strano in noi, ma avevo preferito non approfondire, per non farle pesare quegli eventi.

«Micaela?! Mi stai ascoltando?» evidentemente aveva riempito la stanza di parole insulse, ma io persa nei miei pensieri non ne avevo ascoltata neanche una.

«E tu, tu invece hai ascoltato la famosa chiamata di quasi tre settimane fa proveniente da Roma? A me pare di no!» mi riferii alla chiamata rivelatrice delle menzogne rifilatami. 

«Ecco... Per quanto riguarda quel discorso... I-io, lei... Ti aveva abbandonata, temevo potesse essere una cattiva influenza, che potesse nuovamente spezzarti il cuore, è per questo che ho reputato giusto tenerla lontana da te, dopo che lei mi aveva espresso il desiderio di voler tornare nella tua vita. In più...»

«E non hai pensato neanche una volta che sarebbe dovuto toccare a me decidere se la reputassi una reale minaccia? "In più" cosa?» mi alterai, non riuscii a mantenere la calma.

«Senz'altro.. Ma a quei tempi eri troppo piccola, indifesa, sola, fragile.. In più ha ridotto mio fratello al lastrico, gli ha rubato tutti i soldi che poteva, e poi se n'è scappata segnando la morte di Luis.. è colpa sua se ha perso la testa, se ha iniziato a drogarsi e...» 

La bloccai concludendo quella telenovela al posto suo: «Per questo hai assunto un'intera squadra per minacciarla, per allontanarla da me nonostante fosse tornata. Volevi punirla in qualche modo e hai usato me per farlo. Bella storia, complimenti. Potresti pubblicarla su Wattpad o su EFP fan fiction, avresti molti lettori, ne sono sicura!»

«Non siamo in nessuna storia inventata, è la verità», non si lasciò allarmare dalle mie parole.

«Luis ha iniziato a drogarsi prima che lei ci abbandonasse. Quando lei è andata via, lui ha solo aumentato le dosi del doppio, non altro. Infatti: se Luis avesse avuto tutti i soldi che sostieni avesse, Teresa non avrebbe mai avuto bisogno di prostituirsi, ma se l'ha fatto ci sarà un motivo, no?! Questa volta devo dirtelo, hai perso colpi. La settimana di vacanza ti ha rincitrullito, avvocatessa. La tua teoria ha molte lacune», scimmiottai il suo lavoro.

«Non è come dici, posso spiegar-»

«No» scossi la testa energicamente «Non azzardarti neanche a parlare. Io piangevo mentre ero al telefono con te, mi torturavo di domande sul perché mi avesse abbandonata, sul perché non mi avesse più neanche cercata. Ho passato anni a pormi sempre le solite domande in tua presenza e tu... non hai mai, e dico mai, pensato di dirmi la verità. Mai! Cazzo zia, sono passati sette anni. Sette anni di menzogne, vergognati!»

«E no eh! Questo non te lo permetto proprio. Merito anch'io un po' di rispetto. Ti ho cresciuta come se fossi mia figlia, ho fatto qualche errore, è vero, ma ciò non toglie che io ti abbia mentito in buona fede. Non mi sono mai fidata di quella donna, per soldi venderebbe persino l'anima!»

«Non. Parlare. Spettava e spetterà a me cercare di capire le sue intenzioni. Non a te.»

«Sei così ingenua. Hai realmente intenzione di darle una seconda possibilità? Stai attenta Micaela, lo dico per te!»

«Smettila con queste raccomandazioni del cazzo. Tu non hai più nessuna voce in capitolo.»

«Dopo tutto quello che ho fatto... Questo è il ringraziamento..»

«Mi stai rinfacciando ciò che hai fatto per me in questi anni? Sta tranquilla, zietta. Appena avrò dei risparmi da parte, o appena riceverò l'eredità dei nonni, ti ritornerò indietro fino all'ultimo centesimo.»

«Non voglio nulla, non intendevo questo.. I soldi non sono tutto nella vita»

«Ah no? Tu mi hai dimostrato il contrario però. Strano per una che con i soldi si è comprata persone affinché vegliassero sulla mia incolumità e protezione, al posto tuo.»

«Non è così!»

«Tu e i dischi inceppati siete la stessa e identica cosa.»

«Smettila subito, Micaela!» tentò di rimproverarmi.

«Certo la smetto. Ho molto da studiare, vado in camera mia. Discussione terminata, addio!»

Non le permisi neanche di replicare. Mi precipitai in camera chiudendo a chiave la porta; conoscendola sarebbe stata in grado di raggiungermi per continuare quella discussione fino all'indomani. Sapevo di aver esagerato con alcuni termini, ma il nervosismo aveva scollegato il mio filtro tra bocca e cervello.

Alla fine non chiarimmo. Ma d'altronde cosa c'era da risolvere in una situazione già così limpida di per sé? Zia Kate mi aveva mentito per una vita intera, stop. Fine della discussione. Sin da quando mia madre raccontò la verità avevo percepito qualcosa rompersi tra me e Kate. Perché da chiunque mi sarei aspettata un gesto del genere, ma non da lei. Non da lei che ribadiva perennemente l'importanza della verità, della lealtà. Non da lei che aveva assistito a tutte le mie crisi di pianto; perché lei c'era sempre stata, -anche se a volte solo telefonicamente- ad ogni crisi esistenziale che mi colpiva. E allora... Che razza di persona poteva essere una donna che pur avendo la chiave per la risoluzione dei problemi non la proponeva?

Dopo aver avuto quella prova non necessitavo di null'altro. La sua reale natura a distanza di anni si era rivelata. Non aveva pensato a me, povera orfana cresciuta sola e lontana da ogni affetto; Kate aveva ricordato solamente che Luis, suo fratello, fosse stato lasciato da Teresa e per quel motivo si vendicò tenendoci lontane, pensando solo a ferire mia madre. Aggiungendo poi i comportamenti assunti sin dall'entrata in scena di Isaac, ancor di più perse credibilità e la mia fiducia. 

Mai come in quel pomeriggio rimpiansi l'aver acconsentito il trasferimento a Parigi. Non avevo più alcun desiderio di condividere la casa con quella donna. Era caduta dal mio cuore e probabilmente non sarebbe mai più giunta in cima. 
 



CASTIEL

Una settimana. Sette giorni, centosessantotto ore, diecimilaottocento minuti, seicentoquattromilaottocento secondi.

Ero diventato un asso in matematica. Tutti quei giorni, tutte quelle ore ed io ero sempre più irascibile del solito. Conoscevo il motivo, solo che... faticavo ad ammetterlo a me stesso. O meglio.. stavo cercando in tutti i modi di eliminare quel senso di vuoto che solo una persona era stata capace di lasciarmi addosso. 

Non poteva essere vero che io avessi un bisogno così potente di lei, quasi paragonabile a quello sentito per Debrah i primi periodi. Non potevo accettarlo, non dopo soli cinque mesi di conoscenza. Ma Miki era testarda, forte, bellissima, intraprendente e mi aveva stregato completamente. Maledetta!

Malgrado ciò anche lei, come Debrah, aveva reputato opportuno abbandonarmi in uno dei mille momenti catastrofici della mia vita. Avevo riposto tanta fiducia in quella ragazza, in quella testa ricoperta di boccoli ramati, e avevo sbagliato. 

Mi colpii la fronte con un buffetto impiegando tutta la forza per tentare ad eliminarla dai miei pensieri. Mi trovavo proprio vicino casa sua, in quel preciso istante, ed uno sbandamento non era previsto. Non doveva accadere che io cedessi e la cercassi. Tuttavia non potei esimermi dal sollevare il capo e guardare proprio lì, dritto, in direzione della sua camera. La luce era aperta, ma di lei nessuna traccia. Provai quasi un moto di delusione nel perdermi l'occasione di poterla ammirare studiare, o leggere, o semplicemente dormire, ma lo scacciai subito. 

«Allora è vero ciò che si dice in giro...» la voce, che da qualche anno avevo imparato a detestare, catturò la mia attenzione. 

Nathaniel. Finalmente si era degnato di uscire dalla sua gabbia d'oro, o da tutti comunemente chiamata casa. Non gli risposi. Mi ero scomodato a recarmi sino a casa sua per un motivo ben preciso, non per fare conversazione. Quella mattina, a scuola, lo avevo avvertito che sarei passato a casa sua -quello stesso pomeriggio- per chiedergli qualcosa. Aveva semplicemente annuito; sapeva lui, come sapevo anch'io che sarebbe dovuto giungere quel momento prima o poi. Gli si leggeva negli occhi che fosse a conoscenza di tutto, mi stupì però la sua reazione. Il vecchio Nathaniel, il mio ex migliore amico, mi avrebbe sbattuto al muro e riempito di pugni per il caos provocato nella sua famiglia già di per sé inguaiata, ma non lo fece. Il bon ton non permetteva quel genere di audacia.

Anche Nathaniel guardò in direzione della finestra di Miki e «Ti sei innamorato di lei, è così?» non seppi distinguere il tono usato, se fu dispregiativo o canzonatorio. 

Mi mancò il respiro per un attimo. E provai dolore, una fitta, quasi come se mi avessero dato un pugno sullo sterno. Cos'era? Non avrei dovuto avere quella reazione ad una semplice supposizione falsa da parte di un damerino da quattro soldi. 

«Non sono mica come te...» mi limitai a replicare.

«Oh questo puoi dirlo forte.. Se fossi stato come me, non avresti combinato questo genere di cazzate!» corrugai la fronte, non fui più sicuro a quale argomento stesse facendo riferimento. Stava parlando forse di sua sorella? 

«A proposito tu sai se-» ebbi difficoltà a parlargli apertamente. Insomma... Probabilmente avevo contribuito a rovinare per sempre la vita di sua sorella, non era semplice chiedere proprio a lui se avesse sue notizie. «Se.. Ecco.. Se tornerà presto? Dovrei parlarle!» mi schiarii la voce. 

Dio che situazione! Insultai mentalmente la Durex per avermi messo in quella circostanza. Se, per la produzione di profilattici, usassero materiale più resistente il mio amico non avrebbe combinato danni. Perché lo avevo indossato il preservativo durante l'amplesso, cazzo, ma si era forato ed io ovviamente me n'ero reso conto solamente due mesi dopo, a guaio commesso. 

«I miei genitori hanno reputato giusto mandarla in un college svizzero, non è sicuro per lei tornare a Parigi, per ora.» mi parve quasi di star assistendo alla lettura di un necrologio. Non trasparì alcuna emozione né dal suo volto né dalla sua voce. Era una specie di robot umano.

«Quindi tutti sanno che...» anche in quell'occasione fui un disastro con le parole. Era una situazione fottutamente imbarazzante e inusuale per me. Io e Nathaniel non ci rivolgevamo la parola da circa un anno, tranne per il raro caso in cui ci azzuffammo durante il ballo di Natale, e dopo tutto quel tempo passato ad ignorarci, ritrovarmi lì nel giardino di casa sua a discutere con lui sulle sorti di sua sorella fu stranissimo. 

«Ma che domande fai? Certo che tutti lo sanno. Come poteva nasconderlo? Ha sedici anni, aveva bisogno di un'autorizzazione, di una firma», quasi si spazientì. 

«Non so bene come vanno questo genere di cose.. Comunque, in ogni caso, ho deciso di assumermi ogni tipo di responsabilità, è giusto così. Qualora lei decidesse di tenerlo, io pot-»

Fermò il mio divagare: «Castiel, Ambra ha già abortito scorsa settimana. Non devi assumerti nessuna responsabilità, vogliamo solo che tu sparisca dalla sua vita!» 

Apatico più che mai buttò dalla sua bocca quella notizia come se fosse cosa da niente. Avrei voluto scuoterlo per far fuoriuscire qualche emozione, cazzo avevo messo incinta sua sorella, un pugno in pieno viso lo meritavo eccome. L'indifferenza non era concessa in quei casi. Chi diavolo era? E che cosa ne avevano fatto del Nathaniel Daniels conosciuto da una vita?

Senza salutarlo o chiedere altre informazioni gli diedi le spalle e uscii velocemente dal cancello della villa Daniels. Ero incredulo, mi mancava il respiro. Neanch'io riuscivo a capire come mi sentissi dopo quella notizia. Sollevato, ma triste. Una vita che avevo anch'io contribuito a creare era morta, mentre io ero ignaro di tutto ciò. Ambra aveva deciso ogni cosa senza neanche interpellarmi. Certo, non mi sarei aspettato il tappeto rosso, ma perlomeno un avvertimento.. Non eravamo mai stati una coppia, sebbene lei avesse insistito molte volte su quel punto, io non avevo mai avuto la minima intenzione di accasarmi con lei, né con nessun'altra. Tuttavia sarei stato disposto a fare il genitore. Ci avevo riflettuto molto in quella settimana, in seguito alla novità. E dopo aver spaccato un armadio e una lampada per la rabbia, arrivai alla conclusione che non sarei mai stato capace di uccidere o buttare nel cassonetto qualcosa di mio. Anche la "terapia" con Lysandre aveva contribuito a farmi riflettere e giungere a quel punto d'arrivo. 

Non sarebbe stato facile con una mamma come Ambra e un padre come me, ma ci avrei provato a fare il genitore. Ogni azione aveva le sue conseguenze e visto che avevo apprezzato esplicitamente il divertimento sessuale, dovevo apprezzare anche la parte negativa una volta accaduta. Ma oramai non ce ne sarebbe più stato bisogno. Mio figlio era morto. 

Quando passai sul marciapiede di fronte casa di Miki con le mani nelle tasche anteriori dei jeans, sollevai nuovamente lo sguardo. Le avrei voluto dire talmente tante cose da trovarmele in testa tutte insieme in un vortice, lì pronte a devastare intere foreste. Parlare con lei non era la stessa cosa di farlo con Lys. Perché parlare con Miki voleva dire leggere nei suoi occhi le stesse mie emozioni, lei mi ascoltava per davvero. Non sentiva solo le mie parole, ma riusciva a percepire addirittura quel cuore arrugginito che non batteva per qualcuno da un bel po' di tempo ormai. Come ci riuscisse, non lo sapevo.. Ma mai fare domande di cui si ha paura di ricevere risposte. 

Avrei voluto raccontarle che Demon avesse superato l'operazione, che avrei potuto riabbracciarlo dieci giorni dopo. Rabanne dopo avermi liquidato mi aveva richiamato dicendo di aver cambiato idea. Dopo mille torture mentali avevo trovato finalmente il modo per completare il pagamento delle cure per il mio cane. Lo stilista non era poi così crudele come dava a vedere, ne fui contento, perché grazie a lui riuscii a risolvere almeno uno di quei problemi che negli ultimi mesi mi avevano assalito. Dopo quella chiamata provai una gioia che non gustavo da tempo. Avrei ancora potuto fare jogging insieme a Demon, avremmo corso insieme come ogni sera. Avrei potuto accarezzare il suo pelo liscio, funzionava spesso come anti-stress, gli avrei potuto confessare ancora i miei segreti più oscuri perché tanto lui non mi avrebbe mai giudicato. 

Avrei voluto raccontare a Miki che non sarei diventato padre, che Ambra aveva interrotto la gravidanza e che io non mi sentivo poi così tanto sollevato come pensavo. Un mio ipotetico figlio era stato ucciso, non era poi chissà che grande notizia da festeggiare.

Avrei voluto urlarle quanto fosse stupida a pensare che il mio bisogno di lei si chiudeva in una fonte sicura per risolvere i problemi. Avrei voluto invece dirle quanto mi mancasse, lei, come persona. Mi mancava il suo sorriso sincero, quel sorriso che troppe volte le era stato portato via. Mi mancava l'odore della sua pelle morbida che avrei tanto voluto assaggiare. Mi mancavano i suoi capelli color rame al profumo della vaniglia. Mi mancava vederla corrugare la fronte a causa di qualche arrabbiatura. Mi mancava lei, nel suo tutto, nella sua individualità, e non l'avrei mai ammesso ad alta voce. 

Avrei voluto urlare davanti al suo cancello, lì in un quartiere della periferia di Parigi, quanto in realtà probabilmente l'a..... Mi frenai ancor prima di pensare quella parola. Non era vero niente. Un cuore di pietra non poteva provare emozioni. 

Così ancora una volta l'orgoglio e la paura mi mangiarono vivo. Abbassai il volto eliminando totalmente dalla mente l'idea malsana di urlare davvero quelle parole non vere in mezzo ad una strada, sotto la sua finestra. In quel caso sì che sarei finito nei guai. Perché tutti prima o poi se ne vanno e lei non sarebbe stata da meno. Sollevai il cappuccio della felpa, abbassai il volto e scalciando dei sassolini proseguii per la mia strada. 




 

AMBRA

"Se non decidi della tua vita qualcun altro deciderà per te", quanto era vero.. quanto mi rispecchiavano quelle parole. 

Alla fine non ero riuscita a scamparla. Ero stata meno furba dei miei genitori, soprattutto di mia madre. Negli ultimi anni, sin da quando avevo incominciato a godermi la vita, pensavo di esser stata brava a nascondere loro di aver perso la verginità, purtroppo mi sbagliavo. La mia famiglia aveva una sorta di fissazione sul mantenere la purezza fino al matrimonio, solo mio fratello Nathaniel poteva seguire "i loro insegnamenti". Quanto erano ipocriti. Mio padre aveva figli sparsi per il mondo e si permetteva il lusso di rimproverare me. "Non vi permetterò di fare il mio stesso errore", diceva. Quanto era falso. Intanto alla mia età, lui, si era divertito ad impollinare ogni fiore d'Europa; ora pretendeva che io mantenessi la mia purezza per riservarla a qualche riccone che mi avrebbero costretto a sposare. Ma anche no!

Tuttavia la mia disobbedienza l'avevo pagata cara. Per quasi due mesi avevo portato in grembo il figlio di Castiel Black. Ancora rabbrividisco quando ci penso. Castiel, lui... lo conoscevo da una vita. Era il migliore amico di mio fratello, ed il mio sogno proibito di ogni notte. Lo desideravo praticamente sin da quando -all'età di tredici anni- compresi il significato della parola "sesso". La mia prima possibilità di averlo, però, mi si presentò quando Debrah Duval gli aveva spezzato il cuore. Quanto era stato cretino ad innamorarsi di una come lei. Quanto li odiavo quando erano la coppia perfetta, la coppia dell'anno, desiderati, temuti e invidiati da tutto il liceo. Comunque mentre lui giocava a fare il bravo fidanzato, io, avevo ben pensato di tenermi in allenamento con altri bei ragazzoni che di tanto in tanto incontravo in qualche locale. Non avevo perso la mia verginità con Castiel, no, anche se probabilmente glielo feci credere tentando così di farlo innamorare di me. Ma non aveva funzionato. Avevo calcolato male i miei piani. O meglio... Qualche imprevisto aveva scombinato le cose. Miki Rossi. 

Come si poteva competere con lei? Da quando arrivò al Dolce Amoris, Castiel non ebbe più occhi per nessun'altra. Neanche per me che in due anni ero stata la sua scopata preferita. Iniziò a chiamarmi sempre di meno o quando lo faceva si capiva fosse per sfogarsi. Mentre io desideravo lui con tutta me stessa, lui pronunciava il nome di un'altra durante l'amplesso. Fu quel giorno che capii di non avere più speranze con lui, fu quel giorno che però mi fregò completamente. 

Ero rimasta incinta di un ragazzo che mentre sbatteva al muro me desiderava un'altra. Che bel traguardo che avevo raggiunto. Inizialmente ero stata furiosa con lui, passai dall'adorazione profonda all'odio in un battito di ciglia. Ma quando poi ebbi il tempo di riflettere capii che lui non aveva meno colpe di me. C'ero anch'io con Castiel in quel bagno, anch'io avrei potuto rendermi conto che il profilattico fosse bucato, solo io avrei potuto assumere la pillola del giorno dopo. Solo io continuavo ad avere la fissazione per quel ragazzo che mi usava con l'unico scopo del piacere, solo io avevo costruito castelli in aria, solo io da grande illusa potevo sperare che s'innamorasse di me. Era stato chiaro sin dall'inizio che non sarebbe mai accaduto. 

Ma come quasi ogni donna della terra anch'io amavo i romanzi, i ragazzi impossibili. Avevo sbagliato a versare troppe speranze in lui, ma me n'ero accorta tardi, quando già ero su un aereo diretto in Svizzera che mi avrebbe allontanata per sempre dalla Francia, dai miei amici e dalla mia famiglia. 

Famiglia. La stessa mamma che mi aveva scoperto con un test positivo della gravidanza in mano. Quella mattina pensavo di esser sola in casa e invece... Appena uscii dal bagno pronta per gettare quella maledetta prova, lei era lì, davanti alla porta; quasi come se sapesse ogni cosa o probabilmente aveva già capito tutto ancor prima di me. Famiglia. Lo stesso padre che per non avere scandali -nel suo impero- non ci pensò due volte prima di spedirmi in un collegio governato e gestito da suore, insieme ad una sua fidata amica. La sua "amica", si occupò di me fino all'interruzione della gravidanza, poi non la vidi più. Famiglia. Lo stesso fratello che appena seppe cosa mi era accaduto e di chi fosse il figlio, mi prelevò di nascosto il cellulare, cambiò la password di ogni social network, spezzò la sim del mio numero per non avere più contatti con lui. Ed io da grande ingenua pensavo mi avrebbe aiutata, appoggiata, e invece no. Nathaniel era stato anche più crudele dei miei genitori. Che stronzi!

Sarei voluta scappare, evadere da quelle costrizioni e privazioni, ma dove sarei potuta andare senza neanche un soldo, senza neanche un aiuto? Nessuna di quelle che ritenevo essermi amiche si fece viva, nessuna corse fino a casa mia per capire cosa mi fosse accaduto. Ero sola e fragile. Perciò non mi restava che accettare ogni condizione imposta dai miei genitori. E partii per la Svizzera, dicendo definitivamente addio al mio piccolo bambino. 

Quel giorno era stato orribile. Il peggiore della mia vita. Ero stata chiusa in una stanza completamente bianca, senza finestre. Mi avevano somministrato l'anestesia totale e da lì il buio. Quando mi svegliai avevo della stoffa nella parte più delicata del mio corpo per bloccare il sangue dovuto all'aborto. Avevo perso mio figlio. 

Non doveva andare così. Non volevo andasse così. Desideravo portare a termine la gravidanza, dare magari in adozione quel bambino ad una donna meno fortunata di me. Per nessuna ragione al mondo avrei mai pensato di uccidere un bene così prezioso come un nuovo essere umano. Sarebbe potuto diventare dottore un giorno, avrebbe potuto salvare altre vite. O magari sarebbe potuto diventare un avvocato, un astronauta, un maestro, un poliziotto. A suo modo, anche mio figlio avrebbe dato il suo contributo all'umanità, ne ero sicura. 

Peccato però che ormai non potrà farlo più. Peccato però che ormai non c'è più.

***




MIKI

«Daaaaaaai vieni...» la mia migliore amica sapeva come diventare una palla al piede in un microsecondo. 

Pochi minuti prima stavamo chiacchierando tranquillamente sugli ultimi avvenimenti e le parole: "Lysandre mi ha proposto di andare al ristorante di Debrah per ascoltare lui ed il suo gruppo suonare dal vivo, ma io non ho intenzione di andarci", avevano segnato la mia fine. 

«Ti ho detto di no!» quella conversazione proseguiva da dieci minuti buoni e non sembrava accennare a concludersi. 

«Leigh è loro amico ed è stato invitato ancor prima dell'organizzazione del live. Mi aveva proposto di andare, ma-»

«Ma io non avevo nessuna intenzione di mettere piede nel ristorante della vipera, da sola. Adesso che ci sei tu, tutto cambia..» terminai al suo posto la sua recita imitando persino la sua voce. Aveva ripetuto la stessa ed identica pappardella per ben quattro volte, la conoscevo a memoria oramai.

«Che ti costa? Non dovrai parlare con Castiel, non ti accorgerai neanche della sua presenza» da dove prendesse tutte quelle energie, per essere così attiva alle otto di sera, restava un mistero. Era una fonte inesauribile. 

«Ma se canterà e suonerà sul palco.. Come potrei non accorgermi di lui? Il fatto, Rose, è un altro. Io voglio vederlo, ma non posso. Non se devo dargli una lezione. Non posso cedere proprio ora!»

«Ho il mio infallibile spray al peperoncino. Lo metterò nella tua borsetta, ti proteggerà nel caso in cui dovessi restare sola con il lupo», bisbigliò come se mi stesse raccontando un segreto. 

«Non siamo mica nella favola di Cappuccetto rosso, RosalHulk..»

«Era una metafora, secchiona dei miei stivali. Comunque per farti stare ancora più tranquilla porterò una piccola padella tascabile perfetta da inserire in borsetta. Alla prima occasione la tiri fuori e la pasta al pomodoro è servita.» 

«Cos'è questa fissazione per le padelle, ora? Le nomini sempre.»

«Sono utili per cucinare e uccidere. Le padelle come nuovo patrimonio dell'umanità», urlò perforandomi il timpano. 

«Ok, basta così. Grazie per gli sforzi, ma non mi hai convinta. Buonanotte Rose!»

«Non azzardarti a chiudere la chiamata. Non abbiamo mai fatto un'uscita serale, dobbiamo provvedere e provvederemo proprio questa sera. Punto!»

«Sì ma perché proprio in quel locale? Possiamo benissimo andare altrove, in quel caso ci sarei.» cercai di ritrattare la modalità d'uscita.

«Ceeerto! Passo a prenderti per le nove.. Quindi fatti trovare pronta tra un'ora. Ti voglio bene anch'io, ciao».

 

 

 

 

___________________________________________________________________

🌈 N.A. 🌈

Hello, scusate il ritardo ma sto avendo giorni un po' frenetici d'affrontare ed ho finito solo ora di scrivere il capitolo. Spero vi sia piaciuto, perché a me non convince poi chissà quanto (per lo stile della scrittura intendo, ma pazienza)

Direi che questo è stato il capitolo delle rivelazioni. 

Demon si è salvato, qualcuno lo aveva già dato per morto, ma come vedete sono più buona di quanto sembra xD. Non ho approfondito molto sul suo caso perché ne torneremo a parlare in futuro. 

Miki e Castiel si evitano, per quanto durerà ancora? Chi cederà per primo e si avvicinerà? 

Lysandre ha chiesto a Miki di andare ad ascoltare il suo gruppo al ristorante di Debrah. Come mai suonano proprio lì? C'è qualcosa di sotto?

Ma soprattutto: Rosalya porterà Miki in un altro posto come le ha fatto credere? O... 👀

Ultimo punto, ma non meno importante, Ambra. Ha deciso d'interrompere spontaneamente la gravidanza più che altro per un'imposizione dei suoi genitori. Colgo l'occasione per ricordarvi che l'aborto, sebbene appare come una parola terribile, è un diritto previsto dalla legge ed è esercitabile fino al terzo mese di gravidanza. E' argomento parecchio dibattuto e motivo di polemica, quindi non starò qui a farvi la predica. Voglio solo avvisarvi che a prescindere che siate favorevoli alla pratica o meno, è un diritto e come tale va rispettato. 

Ci tenevo -nel mio piccolo- ad affrontare anche quest'argomento reale e delicato nella storia, e spero di non aver toccato la sensibilità di nessuno. 

Ecco, detto tutto. Ora scappo. 

Buona giornata

All the love 💖

Blue 🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** CAPITOLO 37: Drunkers ***


Capitolo 37 

Drunkers
 







🎶Radiohead - Creep (consiglio l'ascolto nella parte finale del capitolo)🎶

 

***

MIKI

Un abito nero lungo fin sopra al ginocchio, stretto fino alla vita e morbido sotto. Stivali alti per tutta la gamba, ma con poco tacco. Capelli lasciati sciolti con boccoli naturali ed un filo di trucco sul viso. Semplice, ma d'effetto. Era quello il mio nuovo motto per il modo di vestire. Non amavo più gli eccessi, l'esagerazione. Non necessitavo più di alcuna maschera. Ero finalmente libera di respirare, di esternare la mia vera natura nascosta in tutti quegli anni. 

Ed ero anche pronta per la prima uscita serale con Rosalya. 

«Dove andiamo?», furono le prime parole spontanee pronunciate una volta entrata nell'auto di Leigh, il ragazzo di Rose. 

Avevo una brutta sensazione. Quella ragazza avrebbe finito per mettermi nei guai, ne ero sicura. Ma le volevo bene talmente tanto da esser pronta a correre qualsiasi rischio. 

«Ciao anche a te, piccola carotina», Rose si limitò a salutarmi, mentre il suo ragazzo -mise in moto l'auto e partì- non era intenzionato a nascondermi la destinazione. Parlò quasi sopra alla sua voce spifferando qualcosa:

«Al concerto dei Drun-» Leigh non fece in tempo a terminare la risposta che gli arrivò uno scappellotto sulla nuca da parte di Rosalya. 

Leigh stava guidando, dannazione. Avrebbe potuto portarci fuoristrada per la sorpresa dello schiaffo ricevuto. Rose fu imprudente. Parecchio.

«Sei un demente, ma uno di quelli peggiori eh. Ti ho ripetuto mille volte di non rivelarle niente, e tu che fai?! Appena entra in macchina le dici tutto? Fortuna che ti amo, altrimenti ti avrei lasciato seduta stante.» Incrociò le braccia al petto e lo uccise con lo sguardo, mentre il poveretto cercò di non perdere il controllo della macchina.

«Va bene, ora.. Qualcuno sarebbe così gentile da informarmi dove stiamo andando realmente?» m'intromisi in quel battibecco di coppia. 

«Leigh va al concerto dei Drunkers, noi andremo in un altro locale sole solette», cercò di essere convincente Rose. Stava mentendo, fu palese. Lo testimoniava il sorrisetto finto presente sul suo volto sin da quando avevo messo piede in auto.

«I Drunkers?!»

«Sì, la band di Cass, Lys, Mathias e Simon. Sarebbe una parola che deriva dall'inglese, ma in un significato tutto suo.» m'informò Leigh. Non conoscevo gli altri due componenti della band, ne avevo solo sentito parlare di sfuggita da Castiel e Lysandre. 

Drunkers. Nome inusuale per una band, ma a mio parere geniale. Ubriachi. Significato derivato dall'inglese. Quel termine avrebbe potuto racchiudere tanti concetti, non solo legati all'alcol. 

Ubriachi di musica, di parole, di suoni, delle persone, degli odori, dei sapori, dei sentimenti. Avrei tanto voluto sapere di cosa fosse ubriaco Castiel. Un giorno lo avrei scoperto, me l'avrebbe rivelato lui stesso.

«Tieni, questa potrebbe esserti utile», la mia amica, dal sedile anteriore, mi porse una piccola padella mono-porzione. L'afferrai osservandola. Quindi... Faceva sul serio quando ne aveva parlato per telefono. Povera me!

«Dove pensi potrei infilarla questa? Ho una pochette, Rose!» cercai di farla ragionare «E poi non dovrebbe servirmi, non stiamo andando al concerto..» sull'ultima parte ebbi dei dubbi. La mia amica aveva architettato qualcosa, lo percepivo.

«Sì certo, ma non puoi sapere che genere di persone rischi d'incontrare per strada» fu sbrigativa nel rifilarmi quella scusa. Tanto avevo già capito le sue intenzioni.. 

«Non mi entra in borsa, Rose!» insistei anche per minare alla sua pazienza. Mi divertiva troppo. 

«Dalle quel cavolo di spray al peperoncino e fatela finita!» risolse Leigh per noi. 

«Nessuno ha chiesto il tuo intervento», lo guardò di sbieco «Le padelle sono più efficienti di uno stupido spray al peperoncino. Parola di RosalHulk!» a quel punto non potei più evitare di scoppiare a ridere vista l'espressione assunta da Leigh dopo le parole della sua ragazza.

«RosalHulk.. Padelle. Tu non sei normale!» rise affettuosamente «Fortuna che ti amo, altrimenti ti avrei lasciato seduta stante» si vendicò Leigh ripetendo le identiche sillabe usate da Rose qualche minuto prima. Che coppia!

«Se non mi credi la posso benissimo provare sulla tua testa», gli mostrò la padella agitandola davanti al volto del ragazzo che di tutta risposta sgranò gli occhi e le chiese perdono. In caso contrario sarebbe stata capace di menarlo con quell'aggeggio, sicuro. 

Nel disagio assoluto, dopo circa quindici minuti, giungemmo dinanzi al "Restaurant à la musique". Alla fine vinse Leigh, misi nella borsetta lo spray al peperoncino, per la padella non pensai sarebbe stato il caso. 

 «Andremo in un locale proprio vicino qui, vieni. Ciao Leigh», baciò a stampo il suo ragazzo, afferrò la mia mano e mi trascinò in una piccola viuzza buia. 

«So camminare, non trascinarmi, rischio di cadere» bofonchiai.

Non mi diede retta, tenendomi ancora per mano mi spinse ad entrare in un locale. Non c'era nessuna insegna, dove diavolo ero finita?

Appena dentro mi si presentò davanti uno stretto corridoio in legno e semi buio. La mia amica mi lasciò la mano, udii i suoi passi allontanarsi accompagnati dallo sbattere di una porta e il girare della chiave in una serratura. Mi stava chiudendo dentro, per caso? Ma che diavolo stava succedendo?

«Rose?!» mi voltai in direzione della porta, non ero più in grado di vedere niente. Quel filtro di luce intravisto precedentemente era scomparso. Divenne tutto completamente buio. 

«Lys, apri questa cazzo di porta. Ti pesto appena riesco ad uscire da qui!» sentii battere contro un masso di legno. 

CastielCastiel era lì. Nella mia stessa stanza, al buio. Cazzo! Deglutii rumorosamente appena udii il suono della sua voce roca. 

"Ok mantieni la calma, Miki. Fai il punto della situazione. Allora: Rosalya ti ha trascinata e chiusa dentro chissà che posto, stessa cosa ha fatto, apparentemente, Lysandre con Castiel. Quindi... Rose e Lys erano d'accordo nel combinare quell'incontro, semplice da intuire." 

Rosalya mi avrebbe sentita appena uscita da lì. Quale parte di: "non voglio in alcun modo entrare in contatto con quella testa di rapa rossa" non le era stata chiara? Maledetta!

Prelevai il cellulare dalla borsa velocemente e chiamai Rosalya. Le avrei urlato contro come se non ci fosse stato un domani. Mi rifiutò la chiamata per ben venti volte. A quel punto pensai di comporre un messaggio autoritario ed inviarlo, magari l'avrei intimorita.


Vieni subito ad aprire la porta e fammi uscire da qui. Hai giocato sporco questa volta, Rose!


«E tu che ci fai qui?» balzai per la sorpresa e per poco lo smartphone non mi cadde dalle mani. Castiel si era avvicinato senza che me ne accorgessi, aveva smesso di battere contro quella che pareva essere una porta.

«Vorrei saperlo anch'io...» avvertii una fitta proveniente dal muscolo cardiaco. Stavo di nuovo parlando con Castiel. Dopo una settimana. 

«Rosalya e Lysandre», sollevò gli occhi al cielo appena giunse alla mia stessa conclusione. 

 

RosalHulk:

Prima parlate, poi vi faremo uscire. Avete bisogno di chiarire. Da una settimana a questa parte siete entrambi diventati insopportabili. Mi ringrazierai. Kiss!

Miki:

Contraddittoria che non sei altro, hai rapito Kiki per permettermi di spostarmi di banco ed ora vuoi che chiariamo?

RosalHulk:

Prima di ieri non avevo capito molte cose! 

Miki:

Che vuol dire? Che stai blaterando?

RosalHulk:

Una piccola chiacchierata con Lys mi ha aperto gli occhi e sarebbe ora che anche voi due li apriste. Adesso vai, non perdere altro tempo. A dopo, ti voglio bene anch'io!

 

«A quanto pare finché non chiariremo non ci faranno uscire da qui», illuminai anche lui del succo del discorso.

«Col cazzo... Tra mezz'ora devo suonare».

«Faremo finta di chiarire e tutto risolto, no?! Davanti agli altri fingeremo di andare d'accordo e poi ognuno per la sua strada..» gli proposi un compromesso anche se controvoglia. 

«D'accordo», acconsentì guardandomi per la prima volta negli occhi. 

«D'accordo!», lo fissai di rimando. «Tra quindici minuti scriverò a Rosalya di farci uscire, così sembrerà che avremo utilizzato questo tempo per chiarire», con un cenno della testa mi fece capire di essere concorde. 

Facendo attenzione al vestito mi lasciai cadere sul parquet di quel posto poggiando la schiena al muro, anch'esso di legno. Castiel fece lo stesso, ma dal lato opposto al mio. Essendo un corridoio non troppo largo eravamo quasi di fronte. Ci dividevano al massimo cinquanta centimetri di distanza. La luce della torcia del mio telefono fece da contorno a quel bel duetto che eravamo io e lui. Avevo paura del buio.

«Spegni quell'aggeggio, mi stai accecando!» da brontolone nato si mise una mano davanti agli occhi per deviare la luce. 

«Ma se neanche è puntata verso di te la luce..» dovevo contraddirlo a tutti i costi, era più forte di me.

Sbuffò e senza aggiungere altro si spostò poco più distante da me. Ne approfittai per guardarlo. Indossava qualcosa di diverso dal solito. Gli jeans neri erano strappati sul ginocchio, come sempre, ma abbinata a quelli aveva una camicia aperta quadrettata nera e gialla con sotto una semplice t-shirt nera. Nonostante la vista fosse adombrata a causa della scarsa illuminazione... Caspita se era bello! 

«Perché ti sei fatta spostare di banco?» dopo qualche minuto di silenzio arrivò quella domanda. L'aspettavo da un po'.

«Perché hai deciso di suonare proprio in quel locale?»

«T'informo che è lo stesso locale in cui sei tu, ora. Comunque non hai risposto alla mia domanda!» Perfetto. Rosalya mi aveva fatto entrare da una porta secondaria del locale di Debrah. Mi fece quasi schifo trovarmi in un posto di proprietà della sua famiglia. 

«Tipico, no?» era nostra tradizione rispondere alle domande con altre domande. 

«Come ti pare..» fece la parte del disinteressato. Bene, non avrebbe ottenuto alcuna spiegazione dalla sottoscritta di quel passo. 

«Che stronzo!» sibilai pur essendo sicura di esser sentita dal diretto interessato. Sembrava quasi fossimo tornati punto e a capo, ai primi giorni, a quando ci odiavamo e trascorrevamo il nostro tempo a bisticciare.

«Non fare la vittima, non ti viene bene», replicò infastidito. 

«Non ho mai giocato a fare la vittima nonostante le tue cazzate ventiquattro ore su ventiquattro», il battito del cuore salì per l'alterazione. 

«Io faccio cazzate, ma tu non hai pensato due volte prima di piantarmi in asso alla prima occasione..»

«Ti ho salvato il culo più volte di quanto tu possa immaginare prima di stancarmi, credimi!» non avrei aggiunto altro, non avrebbe conosciuto la verità, ma in quel momento mi sembrò giusto rispondergli in quel modo. Si credeva di essere il sapientone della situazione, ma si sbagliava. 

«E cosa avresti fatto, Illuminami! Eri tu quella ad avermi promesso il mondo dentro quella clinica del cazzo, e sei sempre stata tu quella che, dopo un giorno, ha ritirato ogni parola data rifilandomi una scusa mediocre.» agitò le mani e poi le strofinò contro i suoi jeans. Tipico gesto nervoso che gli apparteneva. Lo conoscevo bene ormai, pensai quasi amareggiata.

«Ci credevi a quella mia promessa, Castiel? Ti fidavi di me?», avevo bisogno di saperlo.

«Più di quanto io mi sia mai fidato di me stesso, che bella fregatura!» mi s'inumidirono gli occhi per quella risposta.

«E allora dovresti continuare a fidarti.. Capirai solamente quando azionerai il cervello.»

«Io ho già capito, Miki... Sei tu ad essere troppo cieca per accorgertene!» vacillai, cosa intendeva?

«Non mi avresti urlato contro se avessi capito realmente qualcosa..» 

«Non riceverai mai una richiesta di scuse da parte mia o frasi esplicite, sono fatto così», più sincero che mai smontò ogni mia speranza di sentir uscire dalla sua bocca ammissioni. 

«Ciò non toglie che non hai capito un tubo sul motivo del mio allontanamento e-»

Arrestò il mio fiume di parole «Mi manchi, Miki. Nonostante tu sia fastidiosa, mi manchi!» mi zittì. Bastava poco allo stronzo per rubarmi nuovamente il cuore.

Bum-Bum, Bum-bum. Il muscolo cardiaco accelerò la sua corsa per poi fermarsi di colpo. Quelle ammissioni improvvise nuocevano gravemente alla salute.. Un po' come le sigarette, lo zucchero; creava dipendenza, il decesso nei casi estremi. Ed io sarei morta di quel passo.

«Oh be'... Ecco-» il cervello in pappa, il cuore che stava per avere un arresto cardiaco, ero un vero disastro. 

«Un po' contraddittorii entrambi, vero?» sollevò un angolo di bocca.

"E no, non sorridermi così però. Potrei sciogliermi, potrei morire!"

Passò dalla mia parte avvicinandosi e accomodandosi accanto a me, le nostre spalle si toccarono, rabbrividii al sol sfioramento. Quella settimana aveva peggiorato il mio stato. 

«Contraddittorii a dir poco...» sussurrai ancorandomi al grigio dei suoi occhi. La luce leggera li rendeva più scuri, più intimidatori. 

Mi sfiorò la guancia sinistra con la mano, poi scese fino alle labbra, accarezzò anche quelle provocandomi tremolii sin dentro le ossa. Era potente, devastante ciò che mi causava. I suoi occhi seguirono i movimenti della mano, i miei non si spostarono dal suo volto, invece. 

Perché avevamo litigato? Perché ci eravamo allontanati di nuovo? Perché entrambi eravamo così duri di comprendonio? Improvvisamente qualsiasi scusante risultò fallace, ed io dimenticai persino il mio nome. Avrei tanto voluto che quel momento durasse per l'eternità, o anche più...

«Ho bisogno di te. Avrò sempre bisogno di te, Ariel» parlò pianissimo, come se quelle parole dovessero restare celate tra noi, ed evidentemente sarebbe stato realmente così: il nostro segreto.

Lasciò la mano sulla mia guancia, ferma, e sollevò lo sguardo dritto nei miei occhi. Un altro battito mancato, un altro respiro smarrito.

«Per essere il tuo scaccia problemi?», trovai il coraggio di chiedergli. Dovevo essere sicura prima di ricominciare di nuovo a dargli tutta me stessa. 

«No, per respirare!» 

E a me invece lo tolse, il respiro, con quella dichiarazione. 

Castiel aveva bisogno di me per respirare. Per respirare. Lo aveva ammesso, lo aveva fatto per davvero. "Se questo è un sogno non svegliatemi!"

Dopodiché fu un attimo. Si fece sempre più vicino fino a carezzarmi la guancia con il suo fiato, mi guardò per qualche secondo come per avvertirmi delle sue intenzioni. E poi mi baciò. La nostra conversazione migliore, quella senza spazio tra due bocche. 

Come un incendio, un uragano, le nostre lingue si rincorsero bruciandospazzando via ogni dissapore. I nostri muri innalzati per un'intera settimana crollarono, senza chiarire con le parole, ma d'altronde quelle spesso erano superflue. 

Quando staccò la bocca dalla mia mi sorrise, non scappò com'era abituato a fare, non mutò atteggiamento come suo solito. Forse aveva compreso realmente, forse avrei potuto fidarmi di nuovo di lui. 

Inutile aggiungere che centinaia di farfalle si librano nel mio stomaco per farmi innamorare un altro po' di lui. Il cuore a breve sarebbe potuto scoppiare per quanto era pieno d'amore. 

Dopo un paio di minuti trascorsi senza parlare, facendo comunicare i nostri occhi al posto nostro, interruppi il silenzio: «Comunque bel nome "Drunkers", complimenti a chi l'ha scelto». Eravamo ancora seduti con la schiena contro il muro, vicini, sfiorandoci impercettibilmente. 

«Modestamente..» si mostrò vantandosi, facendomi capire che quel nome derivasse dal suo intelletto. «Drinkers non sarebbe stato bene, Ivre ancor peggio. Così... Una vocale cambiata e il nome della band è creato», sollevò le spalle e le braccia. «Mi piace perché può voler dire tutto, come può voler dire niente. Si può essere ubriachi di talmente tante cose... Di alcol, della musica, delle emozioni, sensazioni, di un profumo, di un odore, delle persone..»

Avevo dato anch'io lo stesso significato, poco prima, appena conosciuto il nome della band. 

«E tu... Tu di cosa sei ubriaco, Castiel?» tutto il corpo in fibrillazione per l'attesa della risposa. 

Ma il destino volle che, proprio subito dopo la mia domanda, qualcuno c'interrompesse. Quella risposta sarebbe arrivata a distanza di mesi. Il nostro amico tempismo, sempre presente pronto a prendersi gioco di noi.

«Tra dieci minuti inizia il concerto, venite fuori di lì..» la voce di Lysandre fece distogliere i nostri sguardi ancora incatenati.

Ci alzammo dal parquet e ci dirigemmo verso Lys. Uscimmo dalla porta in cui era entrato Castiel mezz'ora prima, dopo qualche metro fummo stravolti da un forte brusio. Il locale doveva essere pieno.  

«Tutto apposto voi due?» ci chiese, con un sorriso furbo, il ragazzo dai capelli bianchi. Diversamente dagli altri giorni indossava degli abiti comuni, un pantalone ed una camicia neri. Era strano vederlo così, quasi informale per le sue abitudini. 

Castiel gli rispose con un buffetto dietro la nuca come rimprovero per averlo rinchiuso in quella specie di deposito contro la sua volontà. 

«A dopo, Ariel» mi si avvicinò schioccando un piccolo e tenero bacio sull'angolo della bocca, poi si allontanò recandosi sul palco che s'intravedeva dalla mia posizione. I suoi gesti erano così: spontanei e imprevedibili, senza bisogno di spiegazioni.

«Quindi... Il nostro piano ha funzionato, è così?» mi accorsi soltanto in quel momento della presenza di Lysandre alle mie spalle. 

«Tu e Rose siete da rinchiudere in un manicomio, non in una stanza buia, ve lo dico affettuosamente», accennai un sorriso. 

«Questo e altro per i nostri migliori amici. Non ringraziarci...» pronunciò quell'ultima frase allontanandosi, con un sorriso vittorioso, e raggiungendo Castiel sul palco. 

Rimasi sola. Ne approfittai per guardarmi intorno. Il locale era esattamente come l'ultima ed unica volta in cui c'ero stata. Era molto illuminato. Il soffitto era fatto di vetro, così da poter ammirare il cielo. I lampadari a mo' di grappolo. Posto molto suggestivo e fatto interamente in legno dal parquet ai muri, ai soffitti. In un lato appartato vi era un bancone, con degli sgabelli, dove servivano da bere. Ero stata in quel posto la mattina in cui vidi per la prima volta quella strega malefica di nome Debrah Duval. Il giorno di Natale; una giornata da dimenticare quella.

Mentre ancora mi osservavo intorno, all'improvviso, fui privata della vista. Qualcuno mi aveva poggiato delle mani sugli occhi.

«Ti ho trovata finalmente!», quella voce... L'avrei riconosciuta tra un milione. Era impossibile fosse lì. 

«Mamma?!» mi voltai incredula e quando si degnò di levarmi le mani dagli occhi potei ammirarla in tutta la sua bellezza. «O mio Dio! Che ci fai qui?» alzai la voce di troppi decibel, ma stranamente ero incredibilmente felice di vederla. 

Indossava una pelliccia lunga e marrone, degli stivali alti e il suo sorriso sincero. L'accessorio più bello che la distingueva dalle altre donne. Non potei trattenermi, accorciai ogni distanza e l'abbracciai. La strinsi a me sperando di trasmetterle quanto necessitassi di affetto materno. Potei apparire come la contraddittorietà fatta persona, come una dal perdono facile, ma non m'importava. Il mio cuore l'aveva già perdonata a Roma, dentro la sua nuova casa lussuosa, quando venni a conoscenza della verità. Dopotutto anche lei aveva sofferto, si stava guadagnando il perdono ed anch'io meritavo di avere una mamma; a sedici anni suonati, ma pur sempre una mamma.

«Era richiesta la presenza di Marcel per questa sera, così ne ho approfittato per venire a trovarti», sciolse l'abbraccio per guardarmi negli occhi. La scelta migliore che potesse fare quella di recarsi a Parigi. In quei giorni in cui avevo perso ogni certezza, ogni collegamento con il passato, con la mia infanzia, lei sarebbe potuta essere una sorta di ancora per evitare di sprofondare e annegare.

Mi carezzò i capelli ed il viso come solo una mamma sapeva fare ed io abbattei definitivamente ogni muro. «E Flora?», la mia sorellastra restava una compagnia accettabile, iniziava ad importarmi di lei.

«In Italia, è rimasta con la baby sitter.» m'informò. «Quindi ora sei in buoni rapporti con Debrah?»

Non capii il senso di quella supposizione. «In realtà tutto il contrario.. Perché?» sorrisi amaramente. Se solo sapesse tutti i retroscena...

«Strano, è stata lei ad informarmi che ti avrei trovata qui, questa sera, e che avresti gradito la mia sorpresa.» corrugò la fronte cercando di comprendere la psicologia della sua figliastra. Era impossibile capirla, avrei dovuto avvertirla prima o poi. 

Debrah aveva previsto la mia presenza a quel concerto, aveva addirittura stimolato mia madre a recarsi nel locale. Una sola soluzione al grattacapo: aveva architettato qualcuno dei suoi piani da schizofrenica, senza ombra di dubbio. Dovevo stare attenta, tenere gli occhi aperti.

«Oh allora sei viva..» una terza voce si aggiunse al parlottare mio e di Teresa. Rosalya.

«Muta, tu! Dovrei denunciarti per sequestro di persona» la guardai di sbieco, ma alla fine sorrisi. 

«Addirittura?!» s'interpose mia madre. Senza darle spiegazioni feci le presentazioni ufficiali tra le due, e non potei evitare di notare l'espressione sorpresa di Rosalya quando capì chi fosse la donna in mia compagnia. Mia madre, ormai, era quasi famosa tra le persone che conoscevano la mia vera storia. Ed infatti... La fissò come se avesse davanti un'attrice porno. 

«Sta per iniziare», dopo aver esaurito le sillabe per qualche secondo, Rose, riprese a parlare normalmente. 

«Oh andate pure, solo... Un'ultima cosa Miki..» prese la parola mia madre «Dovrei parlarti di qualcosa, quando potremmo parlare tranquillamente?»

Cosa doveva dirmi? La curiosità mi uccideva perennemente.

«Domani? Ti scrivo appena posso magari..»

«Perfetto, a domani allora.» strizzò un occhio, poi si avvicinò per darmi un piccolo bacio sulla fronte «Divertitevi ragazze, buona serata!», e in tutto il suo splendore, mentre si udivano i primi accordi della chitarra elettrica, Teresa fece la sua uscita trionfale. 

«Cazzarola, che femminilità! Farebbe invidia persino a Monica Bellucci», furono i commenti a caldo di Rose. 

«Già..» accordai. Parecchie donne sfiguravano in sua presenza. Non era solo bella esteriormente, fisicamente, ma aveva degli atteggiamenti, delle movenze talmente sensuali da far sentire inferiore chiunque. 

«Andiamo!» senza perdere ulteriore tempo, quando sentimmo la prima canzone partire, mi afferrò la mano e mi trainò fin dentro alla folla. 

«In realtà tu ed io non dovremmo essere qui!», le feci notare ancora un tantino fintamente risentita per esser stata chiusa in una stanza contro la mia volontà, per non aveva mantenuto la parola. Avevamo in programma di visitare un altro bar. Tuttavia, visti gli ultimi cambiamenti, non ero d'idea contraria sull'ascoltare quel concerto. 

«A volte sembri mia nonna..» sbuffò mentre spinse chiunque le intralciava il cammino. «Comunque avete chiarito, no? Questo è l'importante. Nessun dilemma ora!» feci cadere lì il discorso, tanto avrebbe vinto sempre lei. 

Sulle note di un brano rock non di mia conoscenza sia io che Rose cercammo Leigh con gli occhi e sollevandoci sulle punte per avere una maggiore visione della sala. 

«Eccolo, vieni!» la mia amica lo trovò, lo raggiunse con me ancorata al suo braccio facendosi spazio tra la folla. Pestai circa cinquanta piedi durante la sfacchinata, ma quello fu dettaglio di poco conto. 

Eravamo poco distanti dal palco, in quarta fila più o meno. Finalmente dopo il termine della prima canzone, dopo aver preso un minimo di familiarità con il posto, trovai il coraggio di sbirciare la band. 

I miei occhi, quasi come un magnete, cercarono il suo corpo, l'unica persona capace di suscitare in me sensazioni sconosciute. Scrutai solo lui, quasi come se non ci fossero altre tre persone su quel palco, come se lui fosse l'unico. Il centro dell'universo, il centro del mio universo.. ed evidentemente era così. Castiel era al centro, con il microfono retto da un'asta, con una chitarra elettrica legata al collo. Aveva una bandana nera tra i capelli, per evitare che ciuffi ricadessero sugli occhi impedendogli di vedere. La fronte corrugata in testimonianza della sua concentrazione, le lunghe dita della mano destra che sfioravano le corde della chitarra. Era bello, bello da togliere il fiato, inutile che lo ripeta. 

«Mathias è quello che suona la batteria», mi urlò nell'orecchio la mia amica. Spostai per un attimo l'attenzione, a sinistra, sul soggetto indicatomi. Capelli ricci non troppo corti ed occhi verdi fu l'unico aspetto che riuscii ad inquadrare da quella distanza. «Simon è l'altro, quello che suona la seconda chitarra», seguii le indicazioni e puntai lo sguardo a destra, sul quarto componente della band. Capelli disordinati castani e occhi neri, gli unici tratti distinti da quella lontananza. Lysandre, invece, era accomodato su uno sgabello dietro una tastiera; cantava e suonava.

Dopo le delucidazioni Rose sollevò la mia mano e la mosse in sincrono con la sua a ritmo di musica. Non conoscevo quelle cover di band rock, ma non potei evitare di riconoscere la potenza della musica, la bellezza di quegli accordi. Castiel, sebbene avesse il microfono davanti a lui, non aveva ancora cantato; si limitava a produrre suoni con la sua chitarra. I Drunkers erano bravi, parecchio bravi. 

Tra una canzone e l'altra notai qualche ammiccamento e sorrisetto da parte del rosso verso la mia direzione, ma non ne fui sicura, le luci e la distanza potevano ingannare. L'illusione giocava brutti scherzi quando si metteva d'impegno. 

«Se hai voglia di qualcosa da bere mando Leigh, lui è maggiorenne può prendere qualsiasi drink», si staccò dall'abbraccio del ragazzo per chiedermi se volessi qualcosa dal bar. 

«Oh no, no grazie. Magari dopo», le sorrisi. Amavo sbirciare l'effusioni tra Leigh e Rosalya, non erano volgari, tutt'altro... Li trovai addirittura teneri. Tra una canzone e l'altra si scambiavano delle carezze e dei piccoli baci. Avevano appena scalato la mia classifica delle ship aggiudicandosi il primo posto. Meritatissimo. Le altre coppie della lista erano tutte persone dello spettacolo. 

Quando il terzo brano terminò, dopo l'adrenalina e gli applausi, ci fu un attimo di silenzio.

«Adesso la sorpresa della serata: canterà con noi la bellissima Debrah Duval!» la voce euforica di Simon presentò il mio incubo peggiore. Perché, ovvio, non poteva filare tutto liscio. Ormai era sicuro, il mio nome doveva per forza essere scritto in qualche lista nera, da qualche parte nel cielo. Le cattive notizie erano pane quotidiano nella mia vita. 

«Tu lo sapevi?» mi rivolsi a Rose in tono scontroso, non aveva potuto giocarmi quel brutto scherzo. Pregai affinché lei non ne fosse a conoscenza. Non volevo dover perdere anche lei. La sua amicizia era un bene prezioso.

«Ti giuro, io non ne sapevo proprio niente.. Mi dispiace Miki» mi carezzò una spalla per conforto, sapeva quanto fosse difficile, per me, stare nella stessa stanza con quell'arpia, figuriamoci a vederla cantare affianco al rosso... Istinti omicidi vennero a farmi visita, di nuovo. 

«Nessuno ne era a conoscenza.. solo Castiel e Simon a quanto pare», intervenne Leigh. 

Castiel lo sapeva. E furono tante, troppe, le sensazioni negative che invasero il mio povero corpo martoriato. Non avrei tollerato altro male, non potevo farcela.

Debrah Duval fece la sua entrata trionfale atteggiandosi da diva, con una minigonna di pelle viola quasi inesistente per quanto striminzita, un corsetto di pizzo, degli stivali alti quanto il monte Everest, e per finire -dettaglio non trascurabile- un microfono rosa shocking brillantato. Amava mettersi in mostra, amava farsi guardare. Da quando mise piede sul palco tutti ebbero occhi solo per lei, incluse le donne. Maledetta strega.

«Buonasera a tutti» disse con la sua voce fastidiosa, mentre tutti applaudirono «Sono molto emozionata, scusatemi..» fece qualche finta moina, ma il pubblico parve non accorgersene «Perché questa sera, dopo anni, canterò insieme al ragazzo che tanto tempo fa mi ha rubato il cuore. Spero percepiate tutto il mio amore in questi brani. Buon concerto!» Dire di aver voglia di urlarle contro e menarla era un eufemismo, volevo fare molto di più. In quel momento rimpiansi di aver lasciato in macchina la mini padella gentilmente offerta da Rosalya.

Appena terminò con le sue belle fandonie i Drunkers incominciarono subito con gli accordi di una canzone che le mie orecchie avevano imparato a conoscere perfettamente grazie a Castiel. "When I'm Gone" dei 3 Doors Down. Il rosso l'ascoltava spesso, era presente nel suo mp3. 

Debrah cantò la parte iniziale del pezzo, l'euforia dei presenti fu tanta, ma a me la sua voce non piaceva per niente, appariva quasi urlata, strozzata. Forse ero sin troppo di parte per poter giudicare obiettivamente.

Quando, invece, giunse il ritornello il mondo si fermò. Fu finalmente il turno di Castiel. Potenza e perfezione in un'unica frase. La sua voce roca, forte e particolare mi fece tremare. Fui cosparsa di brividi dalla testa ai piedi insieme ad una potente scossa percepita lungo tutta la schiena. Non lo avevo mai sentito cantare prima d'allora, ero all'oscuro di quella sua bravura. Caspita, lui sì che meritava di diventare un cantante professionista. La mia esaltazione però durò poco. 

"Perciò stringimi quando sono qui, correggimi quando sbaglio. Stringimi quando sono spaventato e amami quando me ne sarò andato.. Non ti lascerò mai andare, anche se potessi. Rinuncerei a tutto solo per il tuo bene". 

Nel pronunciare quelle parole in inglese, Castiel, non smise un attimo di guardare Debrah. Stava cantando per lei, quel brano era dedicato a lei. E chissà... Magari era stata addirittura la colonna sonora della loro storia d'amore. Quel "non ti lascerò mai andare" venne cantato da entrambi. Le loro voci insieme si fusero completamente amalgamandosi divinamente. Come potevo competere con quella alchimia? Erano stati insieme per un intero anno, si conoscevano meglio di chiunque altro. 

E sapevo, sapevo che Debrah non amasse realmente Castiel, dopo gli ultimi ricatti ne ero certa. Infatti il mio unico e vero timore restava lui... Lui che scrutava lei come se non avesse mai smesso di amarla, di desiderarla. E se io fossi stata soltanto un ripiego? Un modo per non restare solo. E se, poco prima, avesse cercato di addolcirmi esclusivamente perché aveva compreso i reali sentimenti di Debrah?

«Ehi.. Non torturarti, lei è questo che vuole. Non dargliela vinta», mi strinse la sua mano Rosalya in segno di sostegno vedendomi improvvisamente ferma e dubbiosa, quasi sofferente. 

«Lui la ama ancora...» mi torturai il labbro inferiore. Era difficile d'ammettere ad alta voce, ma sfortunatamente e discustosamente reale. 

Lui amava un'altra, mentre io amavo lui. Il triangolo perfetto. Terza incomoda da invidiare. 

«Ti assicuro che non è così». Sperai avesse ragione Rose, ma continuavo ad avere i miei dubbi. Quella certezza, quella sensazione non voleva abbandonarmi.

Partì la seconda canzone, d'amore ovviamente, un brano che da sempre avevo amato ma che da quel momento avrei odiato. "Creep" dei Radiohead.

"Tu sei proprio come un angelo
la tua pelle mi fa piangere
tu fluttui come una piuma
in un mondo meraviglioso

Tu sei così maledettamente speciale".

Le persone presenti in quel locale si muovevano elettrizzati per quella musica energica, mentre io ero l'unica a restare ferma, immobile. Mi mancava l'aria, non percepii più la terra sotto ai piedi. Mi trovavo in una specie di limbo, in stato di shock, con un principio di attacco di panico pronto per trasformarsi in qualcosa di peggiore. 

Le stava dedicando quella canzone? No... Perché per la prima volta in un'ora ebbi la certezza che stesse guardando me; ma non nel modo in cui avverrebbe in qualsiasi storia, non con amore, sentimenti positivi, no, mi guardò con pietà, impietosito dal mio povero cuore distrutto. Perché lui lo sapeva, sapeva bene quanto dolore stava provocando alla mia povera anima lacerata. 

Occhi rossi, labbra spaccate, ferite brucianti. Ogni dettaglio, ogni battaglia era servita per portarmi ad un passo in più vicina al suo inferno. Le fiamme pronte ad inondare il mio corpo, il respiro bloccato; per quanto tempo ancora sarei stata in grado di combattere, di ricucire il cuore, l'anima?

"Cosa diavolo sto facendo qui? Io non appartengo a questo posto".

«Rose io vado via, non ce la faccio..» le comunicai quasi piangendo. Ero al limite, a breve sarei scoppiata.

«Ti accompagno asp-»

«No, davvero. Tranquilla. Chiamerò un taxi.» e non le diedi il tempo di ribattere che subito mi feci spazio tra la folla per uscire da quel posto maledetto. Non sarei dovuta restare. Non sarei proprio dovuta uscire di casa, perché sapevo -dentro di me- che Rose mi avrebbe portata a quel dannato concerto. Che stupida ero stata, avevo persino ceduto a baciarlo.

"Lei corre fuori dalla porta
lei sta correndo
lei corre..."

Quasi come se fosse stato fatto di proposito mentre Castiel cantava quelle parole io ero in procinto di uscire dalla porta di legno e vetro. Non mi voltai nella direzione del palco, non avrei resistito un attimo di più nel vederli in una sintonia eccessiva, come se gli anni di lontananza, i dispetti, i ricatti, non fossero mai esistiti. Ero giunta al punto finale della sopportazione, anzi avevo appena varcato il limite. 

Le mani sulla maniglia di ferro dorato, la musica si fermò improvvisamente quando ancora la canzone non era giunta alla fine, un attimo di silenzio e poi lui... Lui e la sua voce mi sorpresero.

«My heart's against your chest, your lips pressed in my neck. I'm falling for your eyes, but they don't know me yet. And with this feeling I'll forget, I'm in love now. Kiss me like you wanna be loved, You wanna be loved. This feels like falling in love, Falling in love.. We're falling in love..»

Intonò quella canzone. La prima canzone ascoltata insieme, quando tutto tra noi stava cambiando. Quando su un giardino in terrazza, a Roma, avevamo ammirato insieme le stelle. 

"Il tuo cuore è contro il mio petto, le labbra premute sul mio collo. Mi sono innamorato dei tuoi occhi, ma loro ancora non mi conoscono. E il sentimento che avevo dimenticato, adesso sono innamorato. Baciami come se volessi essere amata. Sembra che io mi sia innamorato.."

Conosceva quel brano sebbene odiasse la mia musica preferita, lo aveva imparato a memoria e lo stava cantando, a cappella, davanti a migliaia di persone. Solo per me

Anche in quel caso avrei dovuto leggere tra le righe? Ma allora perché aveva cantato così intimamente con la sua ex ragazza? Erano quelli due degli interrogativi principali che presero a girovagare nella mia mente, ma per un attimo decisi di fermarli.

Mi voltai invece, verso il palco, incredula ed anche un po' ubriaca di emozioni... 

Ma lui non c'era più!

 

 

 

 

____________________________________________________________________

 

🌈N.A.🌈

LALALALALALALA *canta con l'aureola in testa*

Sì, sono innocente. Non ho concluso questo capitolo in suspense, no? Sono stata brava.

Ok, be' che dire?! Ovviamente Castiel e Miki hanno fatto pace, ma ovviamente si sono presentati altri problemi. 

Debrah... è fastidiosa anche quando è poco presente, lo so. Prima o poi riuscirò a farla uccidere. 

Dietro questo concerto c'è qualcosa di ben più grosso che però si scoprirà quasi alla fine della storia.. già. Quindi tenetelo bene a mente. 

Poi... Cosa dovrà dire Teresa a Miki? Lo scopriremo nel prossimo capitolo. 

Volevo anticiparvi, giusto per mettervi un po' di ansia, che nel prossimo capitolo succederà qualcosa di SORPRENDENTEMENTE SORPRENDENTE😏. 

Ehm, vogliamo parlare anche del Castiel in questo capitolo? Lui è bravo a sorprendere vero? Sa sempre farsi perdonare dopo che combina un'infinità di guai. 

Ok, anche per oggi ho finito con il mio monologo..

Alla prossima

All the love💖

Blue Night🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** CAPITOLO 38: Provare? ***


Capitolo 38

Provare?






🎶Sia - Dressed in Black🎶

La vita mi aveva fatto a pezzi il cuore

Hai preso la mia mano nella tua

Hai iniziato ad abbattere i miei muri

Hai represso le mie paure, mi hai fatto ridere

Poi hai riempito il mio cuore di baci

___

🎶Nathan Sykes ft. Ariana Grande - Over And Over Again🎶

Basta che tu metta il cuore tra le mie mani 
Prometto che non verrà infranto 
Non dimenticheremo mai questo momento 
Perché ti amerò ripetutamente

Sarò tutto ciò di cui hai bisogno.

Uno più uno. Due per la vita!

 

***

CASTIEL

Alcuni dei passanti per la strada della mia vita avevano avuto la presunzione di ritenermi un oggetto inutile, uno di quegli oggetti statici, inservibili, che restano sempre allo stesso posto, in vetrina, lì dove vengono poggiati come soprammobili. Pensavano di gettarmi e riprendermi a proprio piacimento, ma si sbagliavano. Debrah si sbagliava. Quella sera d'inizio Febbraio aveva la convinzione di tenermi in pugno, di potermi ricattare ancora con i suoi giochetti: "si fa tutto ciò che dico io!", ma è sempre stata la convinzione a fottere la gente; compresa lei. 

Mi aveva costretto a cantare insieme a lei, nel suo dannato locale, sempre sotto intimidazione. "Se non lo fai mostrerò quei video alla polizia", avevo imparato quelle provocazioni a memoria ormai. "Se non fingerai sul palco, dandomi le attenzioni che mi avresti dato anni fa, ti rovino". Il suo scopo era far ingelosire Miki, inculcarle in testa che non avrei mai potuto dimenticare il mio primo ed unico amore. Lo avevo capito, conoscevo Debrah e i suoi modi d'agire; eppure lei non conosceva me. La nuova versione di Castiel. Stronzo, perspicace, vendicativo, arrogante, solitario, versione che lei stessa aveva contribuito a creare con le sue menzogne e pretese, ma che non temeva come invece avrebbe dovuto. 

Per tenerla buona l'avevo assecondata durante le prime tre canzoni, ma quando il soggetto di mio interesse fu in procinto di abbandonare la sala anticipai ciò che avrei dovuto fare di lì a poco. Fermare la musica e abbandonare il concerto. Più facile a dirsi che a farsi. Perché... Una parte recondita del mio cervello e forse addirittura del cuore, proprio in quel momento, aveva ritenuto opportuno rievocare i ricordi vissuti a Roma, in compagnia di Ariel, e Sbam: la voce fuoriuscì automaticamente, da sola, senza che volessi realmente. Cantai a cappella il ritornello di quel brano lagnoso di uno dei cantanti che Miki si ostinava perennemente ad ascoltare. Neanche la scienza sarebbe stata in grado di comprendere ciò che mi accadde. 

Quelle parole risuonarono chiare, ero ufficialmente fottuto. "Mi sono innamorato di te" diceva, ed io con lui, sotto lo sguardo sbigottito di Debrah e degli altri miei compagni di band. 

Come avevo potuto scegliere proprio quella parte di canzone? Con quale coraggio lo avevo fatto davanti a centinaia di spettatori? Sembrava una dichiarazione in piena regola. Appunto: sembrava, ma non lo era. 

IO. NON. ERO. INNAMORATO. DI. MIKI. 

Era assurdo anche solo pensarci. Perché le sensazioni che mi suscitava, il tornado percepito nello stomaco dovuto alla sua sola presenza, i pugni sullo sterno avvertiti grazie ai suoi tocchi, alla sua bocca sulla mia pelle, non erano nient'altro che suggestioni. Lei mi piaceva. Punto. Sia fisicamente che mentalmente. Già... Nell'ultimo mese si era aggiunto anche quel piccolissimo particolare: "mi attraeva mentalmente", ed era quello a preoccuparmi maggiormente. Ma al momento non volevo pensarci, avevo altro per la testa. 

Senza badare ai richiami dei ragazzi sul palco e alla voce fastidiosa di Debrah scesi le scale che mi separavano dalla platea ed utilizzai una scorciatoia per riuscire a raggiungere lei  prima che lasciasse quel locale. Conoscevo il posto alla perfezione fortunatamente, perciò fu un gioco da poppanti uscire fuori da una porta secondaria e giungere alle sue spalle. 

«Ti accompagno a casa...» pronunciai a stento e con il fiato corto. Tra le sigarette e le corse non previste avrei perso i polmoni prima o poi. 

Miki sussultò sorpresa appena percepì la mia voce da così vicino. Era ancora voltata verso il palco, con la mano poggiata sul pomello della porta semiaperta. Quando si voltò diedi definitivamente l'estrema unzione ai miei organi respiratori. Ogni parte del mio corpo fu sedotta, abbandonata, uccisa e sepolta dalla Sirena dai capelli ramati. Dio quanto era bella! Gli occhi neri sbarrati, lucidi, la bocca rosa socchiusa per lo stupore. L'avrei baciata volentieri, di nuovo. Cazzo. E non solo...

Mi fotteva il cervello mentre io avrei voluto fottere lei, in tutti i sensi. Che triste storia, quella. Tutta colpa dell'astinenza. Era passato un mese dall'ultima volta in cui avevo fatto un giretto su una donna. Troppo tempo per uno come me abituato ad altri ritmi. 

«Tu? Che... Caspita! Dovresti essere a suonare su quel palco. Che diavolo ci fai qui fuori?» leggermente frastornata uscì fuori rivolgendomi tutta la sua attenzione. 

Avevo in mente un altro genere di "attenzioni" che avrebbe potuto darmi, migliore di quelle e che mi avrebbero reso maggiormente felice, mi accontentai ugualmente. Indossava un abito corto che non lasciava intravedere alcuna forma, e proprio per quel motivo ancor più eccitante. Cazzo! Se non avessi rischiato una denuncia per atti osceni in luogo pubblico l'avrei già sbattuta contro il muro e fatta mia. Perché anche lei mi voleva, lo sapevo bene. Non sarei mica andato contro il suo volere. 

«Mi ero scocciato. Andranno avanti senza di me per stasera, non morirà nessuno!» con nonchalance le rifilai la prima scusa banale venutami in soccorso.

«Sei incredibile!» scosse la testa sorridendo sotto i baffi che non aveva. 

«Allora, vieni?» apparii quasi trepidante di saperla insieme a me, sulla moto. Ed era così.

«Non credo sia una buona idea, "la tua ragazza"...» simboleggiò le virgolette con le dita ed una smorfia «Potrebbe infastidirsi, e tu non vuoi farla incazzare, vero?!» arcuò un sopracciglio.

«In realtà sono più libero di un gabbiano, dovresti saperlo meglio di me».

«Fino a dieci minuti fa sul palco non sembrava!» incrociò le braccia al petto indispettita e mi guardò torva. 

«Uhh qui qualcuno sembra essere gelosa», la canzonai. Mi divertiva vederla perdere le staffe. Quel viso di porcellana le si arrossava in caso di nervosismo, uno spettacolo imperdibile. 

«Io?! Per niente! Era solo un'osservazione la mia..» entrambi sapevamo stesse mentendo. 

«Comunque sono stato costretto ad avere determinati atteggiamenti mentre cantavamo, ma-»

«Non ho voglia di sentire le solite scuse, Castiel. La prossima volta arriverai col dirmi che sei stato costretto ad andarci a letto?! Non mi stupirebbe vista la situazione assurda.. sempre che tu non ci sia già andato a letto con lei», troncò così qualsiasi mia scusante precedente.

«No. Non dire assurdità!»

Con lei andava sempre così, finivamo per battibeccare in ogni occasione. E mi piaceva. Incredibilmente. 

Appena aprì bocca per replicare non glielo permisi. Mi avvicinai sempre più alla sua figura fino ad arrivare a sfiorare il suo corpo con il mio. Indietreggiò sino ad urtare il muro di legno esteriore del locale. D'istinto posai le mani dietro la sua testa, sul muro. Miki era in trappola, tra le mie grinfie. Avrebbe potuto ferirsi, ma poco le importava. Erano tanti i rischi che aveva corso per starmi accanto, troppe le maschere cadute. Ma a lei non interessava. Perché lei era ingorda, avara. Pretendeva ogni giorno qualcosa in più da me, mi legava ogni istante sempre più a lei; non desiderava dividermi con nessuno, mi bramava tutto per sé. Per la prima volta dopo anni quell'aspetto iniziò a farmi meno paura, a darmi meno fastidio. Forse avrei potuto concederle ciò a cui aspirava. Probabilmente ero diventato pazzo, quasi certamente di lei, ma più riflettevo sulle possibilità di cambiamento nel nostro rapporto e più la reputavo come scelta migliore. Ma prima avrei dovuto risolvere delle questioni esterne, poi magari avrei reso partecipe anche lei di quei miei pensieri assurdi. 

«Torna a casa con me..» bisbigliai sensualmente fissando i miei occhi nei suoi. Quando volevo sapevo essere parecchio persuasivo, lo sapevo bene. 

Ma avevo dimenticato un elemento fondamentale: avevo di fronte la donna più seducente e ammaliante che avessi mai incontrato. Mi squadrò ogni tratto di viso con quegli occhi scuri da cerbiatta, la bocca schiusa, il fiato corto. Voleva baciarmi, la mia vicinanza le provocava quella voglia così potente da scombussolarla, così come accadeva a me. 

A quel punto non riuscii a resistere alla tentazione. Mi avventai sulla sua bocca, con bramosia, assaporandola ancora una volta come se fosse la prima. Perché con lei era stato sempre così. Ogni bacio, ogni carezza, ogni attimo era diverso dall'altro. Non mi avrebbe mai stancato. Anzi.. più frequentemente accadevano quegli atti e più incrementava la voglia di possederla. Totalmente. In ogni aspetto. Volevo essere nella sua mente, nel suo cuore, nella sua anima, dentro di lei, su di lei. Ovunque. Ovunque con lei, dovunque in lei

Lei, lei, lei. Le mie giornate erano piene di lei. Il mio pensiero continuo, la mia ossessione costante. Lei e la sua lingua biforcuta; lei e il suo corpo; lei ed il suo profumo; lei. Semplicemente Miki. 

E non seppi descrivere l'emozioni percepite sulla bocca dello stomaco durante quel bacio inconsueto. Sì, era stato diverso; dato con più consapevolezza, non con il solo scopo di avere qualcosa in cambio. Finalmente ero divenuto maggiormente sicuro di cosa volessi da lei. Tutto. Tutta se stessa, ogni giorno. Sempre. Cazzo!

"Sto per stappare lo champagne. Sono commossa. Ce l'hai fatta finalmente". La coscienza interruppe il flusso di pensieri totalmente sinceri. "Dovresti costruire una statua a forma di cervello in mio onore, dico sul serio. Se ora hai capito ciò che hai capito è solo merito mio, modestamente. C'ho impiegato più tempo del previsto, ma finalmente ecco i primi frutti!" "Sì ma non vedi cosa sto facendo in questo momento? Ti sembra il caso d'intervenire?!", cercai di porre un freno alla pazzia del mio cervello. "Oh no, no. La mia è stata una piccola intromissione. Stavo giusto preparando i pop corn e avevo un attimo di tempo libero per parlarti. Ecco, ora sono pronti. Puoi continuare mentre io mi gusterò la scena da qui sopra. Ciao ciao amico, buona scopata!", ma freni non ce n'erano. Era completamente andato. Kaputt. 

«Sei scorretto» farfugliò Miki tra un bacio e l'altro. 

Di cosa stavamo parlando? Dio, quella ragazza mi stava completamente ammattendo. Sarei finito in un ospizio di quel passo. 

Quando lesse confusione nei miei occhi insieme al cipiglio formatomisi in fronte specificò «Sai come sedurmi per ottenere ciò che vuoi», sollevò un angolo di bocca. 

"Non fare così, non uccidermi con quel sorriso da ragazzina innocente. Abbi pietà di me, ti prego!"

«In realtà è a tuo vantaggio ottenere un passaggio per rientrare a casa, tra l'altro dal ragazzo più irresistibile del Dolce Amoris e dei Drunkers..» ammiccai strizzando un occhio. Stavo flirtando con lei come un completo imbecille. 

Non potevo di certo ammettere di essere stato colpito da un incantesimo. Ubriaco

___

MIKI

Era il pomeriggio dopo il concerto, con la mente ero ancora alla sera prima e con il corpo in un bar della periferia di Parigi. Teresa mi aveva dato appuntamento lì, ma era in ritardo. In attesa del suo arrivo mi accomodai ad un tavolo di legno piccolo e tondo. Il locale era accogliente con delle tende a quadri ai lati delle finestre, dei fiori finti colorati posizionati su ogni tavolino. Quel posto metteva il buon umore. 

Soffiai sulla cioccolata calda che avevo ordinato qualche minuto prima e la mente mi portò nuovamente alla sera prima. Castiel. Snervante più di un rebus della settimana enigmistica, aveva insistito per riaccompagnarmi a casa dopo aver fatto gli occhi dolci, per ben tre canzoni, alla sua amata Debrah. Ovviamente aveva vinto lui. Mi aveva persino baciata di sua spontanea volontà per ben due volte, fuori dal locale e poi dopo esser scesa dalla moto davanti casa mia. Erano stati baci diversi, lo percepivo. Ma non avrei saputo definire in che senso. "Niente illusioni", mi ricordò una vocina nella testa, quindi decisi di restare coi piedi per terra. 

Aveva fermato la musica, il concerto, per raggiungermi. Aveva cantato a cappella parole profonde e prive di fraintendimenti, ma nessuno dei due aveva osato chiedere o dare spiegazioni a riguardo. Eppure lo struggimento di domandargli il motivo di quella sua scelta era tanto. Avrei tanto voluto sapere cosa simboleggiasse, cosa, io, significassi per lui. Ma il timore di ricevere l'ennesima delusione mi bloccò. Ed eccoci di nuovo lì, in bilico come sempre, tra il poter essere qualcosa e il non essere. Per quanto sarebbe durata ancora? Per quanto sarei stata in grado di assecondare quella situazione d'incertezza del suo cuore? 

L'indomani saremmo anche partiti per girare la pubblicità del profumo di Rabanne. Giusto quella mattina avevo consegnato a Nathaniel il certificato di assenza giustificata firmato dallo stilista. Non avevo idea di cosa sarebbe accaduto su quel set. Sperai non l'ennesima intromissione di Debrah. L'avrei volentieri affogata in tal caso; o nella sabbia o nell'acqua non faceva differenza.

«Ehi tesoro, perdona il ritardo» la voce frettolosa di mia madre e poi la sua presenza fisica mi distolsero da pensieri omicidi. Si chinò per salutarmi con un bacio sulla guancia.

«Tranquilla», la rassicurai mentre si accomodò di fronte a me. 

«Come stai?»

«Non c'è male...»

«Visto che forte Castiel ieri sera?» mi fece l'occhiolino. 

Ma che cavolo?! Perché il discorso si era subito spostato su di lui?

«Oh be'...», arrossii involontariamente e lei se ne accorse; sorrise di rimando. 

«Era un figo della madonna, puoi dirlo alla tua mamma, tranquilla, non ne farò parola con nessuno» fece l'occhiolino. 

 «Possiamo evitare di parlarne? è imbarazzante» mi coprii il volto. Non avevo alcuna intenzione di discutere sulla questione ragazzi con lei. 

«Una cioccolata calda anche per me», ordinò al cameriere quando si avvicinò, poi mi rivolse nuovamente tutta la sua attenzione «Va bene, torno seria. Allora... Ti ho chiesto d'incontrarci sia per passare un po' di tempo insieme, sia perché vorrei chiederti una cosa..» il suo modo di parlare improvvisamente pacato mi mise ansia. 

Cosa doveva comunicarmi? 

«Dimmi tutto», riuscii a malapena a dire.

«Marcel ha dovuto chiudere il negozio che aveva a Roma», in realtà non sapevo neanche ne avesse uno. Conoscevo pochissimo le persone vicine a mia madre, e a dirla tutta non ero neanche poi così tanto intenzionata ad approfondire la conoscenza con Marcel. Dopotutto era stato lui a portarmi via la mia mamma.

«Oh mi dispiace...» risultai falsa probabilmente, ma poco m'importo.

«Figurati, possiede altre due attività: il ristorante qui a Parigi e lo studio di registrazione. Il punto è un altro quindi, non un problema economico. E' che adesso... non ha più senso restare a Roma. Dovrebbe viaggiare continuamente tra Roma e Parigi, sarebbe massacrante, e non avrebbe più praticamente una famiglia», si bloccò all'improvviso dopo aver pronunciato l'ultima parola e mi guardò quasi con gli occhi sgranati per l'enorme gaffe commessa.

Io non avevo mai avuto una famiglia; di cosa si lamentava lei precisamente?! Di qualche ora di aereo? Di qualche giorno di lontananza? Io ero stata orfana per ben sette anni.

«Capisco», il tono di voce risultò leggermente teso, ma la esortai a proseguire con il suo discorso. Non avevo intenzione di piangermi addosso o rimproverarla. Bevvi un sorso di cioccolata calda mentre a lei consegnarono la sua. 

Si schiarì la voce «Te la faccio breve, ne abbiamo discusso a lungo, valutato tutte le opportunità per Flora, per noi, ed insieme abbiamo deciso di trasferirci qui, a Parigi!»

"Abbiamo valutato tutte le opportunità per Flora. Abbiamo deciso insieme di trasferirci qui", quelle frasi si riprodussero ininterrottamente nella mia testa sin da quando uscirono dalla bocca rossa di Teresa. Aveva valutato le opportunità per sua figlia. E per me, invece? Chi aveva valutato le mie opportunità, le possibilità per un mio ipotetico futuro? Nessuno. Soltanto io, piccola e disgraziata orfana. Ce la misi tutta per non farlo, per evitare, ma in quel momento invidiai Flora con tutto il cuore. Lei aveva due genitori alle sue spalle, due genitori responsabili che le suggerissero la strada giusta da percorrere. Lei aveva mia madre. 

«Sono contenta per voi», cercai di emettere un sorriso sincero, ciò che fuoriuscì fu solo una smorfia. Non avevo idea di cosa mi stesse accadendo. 

«Non ho finito. La cosa che volevo proporti è un'altra..» bevve insieme a me un sorso di cioccolata calda e la suspense crebbe di minuto in minuto. 

«Non tenermi sulle spine, però..» sospirai muovendo gambe e piedi, sù e giù, in sincrono. 

«So che ti sembrerà azzardato vista la nostra ritrovata pace recente, infatti comprenderei un tuo eventuale rifiuto, ma... Ti andrebbe di trasferirti insieme a noi?»

«Eh?» la voce mi uscì strozzata. Tossii e per poco non sputai la bevanda in faccia a Teresa. Maledizione. Ma erano modi quelli per proporre una cosa del genere?

«La casa in vendita che ci piacerebbe acquistare è a dieci minuti dal tuo liceo, dovremmo concludere l'affare in questa settimana. La villa Duval è rimasta a Debrah, così Marcel ha valutato di comprarne un'altra. Ed ecco... Mi farebbe davvero piacere averti in giro per casa. Saremmo io, tu, Marcel e Flora. Sono brave persone, credimi. Ti piacerebbero se decidessi di conoscerle. Comunque ti capirei qualora non avessi voglia di lasciare tua zia da sola, noi potremmo vederci ugualmente nel caso decidessi di rifiutare.. Cioè la casa sarà sempre aperta per t-»

Bloccai quelle parole sconnesse e imbarazzate di Teresa con un sorriso sincero, poggiando una mano sulla sua «Be', ti ringrazio per la proposta. Non me lo sarei mai aspettato, grazie. In realtà io e zia Kate non ci parliamo praticamente più... Mi farebbe soltanto bene allontanarmi da lei dopo tutte le bugie che mi ha rifilato per anni. Nonostante ciò: devo pensarci. Stiamo ricucendo i rapporti da così poco tempo, non saprei se è un bene vivere insieme. Ti farò sapere, okay?», ragionai ad alta voce. 

«Va benissimo. Tra un mese, più o meno, inizieremo il trasloco. Prenditi pure tutto il tempo di cui necessiti. Ti aspetterò sempre a braccia aperte..» mi accarezzò il dorso della mano «Però... Se posso permettermi, anche se andrà a mio sfavore: Kate ti vuole bene. Ti ha praticamente cresciuta, lei c'è stata quando nessun altro c'era. Non dimenticarlo!» i tratti del viso contratti per la preoccupazione. Mi stupì, non mi aspettavo quell'umiltà da parte sua. 

«Apprezzo le tue parole, ma non immischiarti per favore..»

***

Quella stessa sera cenai da sola come d'altronde accadeva sempre più spesso dopo l'ultima discussione con zia Kate. Nè io, né lei eravamo intenzionate a scusarci per le cattive parole, per le menzogne eccessive. Semplicemente ci evitavamo. Pranzavamo e cenevamo in orari in cui l'una sapeva di non trovare l'altra. 

Erano ormai le nove e mezza. Approfittando della solitudine e quiete della mia stanza, dopo aver indossato il mio immancabile pigiama di pile con l'orsacchiotto rosa, mi lasciai cadere poco garbatamente sul letto e dopo essermi coperta fino alla testa iniziai a pensare. 

L'opportunità di andare a vivere insieme a Teresa e la sua vecchia, nuova, famiglia fu la seconda chance offertami da una vita che era stata sempre troppo dura con la sottoscritta. Forse l'entità superiore aveva iniziato a volermi bene. Forse avrei dovuto accettare..

La vibrazione del cellulare - finito per precisione sotto il sedere - scostò l'attenzione dai pensieri. Lo acciuffai e lessi il contenuto del messaggio che mi era arrivato. Era un numero sconosciuto per cui non mi sarebbe stata permessa neanche un'eventuale risposta. 

Guarda la finestra

Ma che diavolo?! Mi sollevai d'istinto facendo scivolare le coperte lungo il busto, aprii la abat-jour e una luce soffusa si diffuse per tutta la stanza. Mi voltai verso la finestra e notai una parola scritta con un pennarello rosso. 

Scena degna di un film horror. Stavo per morire? Quasi sicuramente da un momento all'altro il serial-killer di Halloween sarebbe uscito fuori da qualche angolo nascosto per strangolarmi. Già immaginavo i TG diffondere la notizia: "morta ragazza di 16 anni - Micaela Rossi -, uccisa dal killer più temuto al mondo mentre tentava di mettere ordine tra i suoi pensieri". Che bella fine avrei fatto, degna di un supereroe. 

Restava un'unica domanda: perché mai un killer avrebbe scritto quella parola? 

Provare?

Era il verbo riportato in stampatello sulla parte destra della finestra. Provare un nuovo modo di uccisione? Una nuova arma? Più la mente riproduceva scenari orripilanti e più la paura aumentava. 

Trasalii saltando di circa un metro -sì, atleti olimpionici levatevi proprio- quando udii un rumore, probabilmente di un sasso, provenire dalla tapparella. Per porre fine a quella trepidazione mi avvicinai con cautela e molto lentamente sul luogo del futuro ed ipotetico delitto e...

«Apri, sbrigati. Sto congelando qui fuori!» un tono di voce ovattato proveniente dal lato nascosto del piccolo balcone della mia stanza. 

No, non era un serial-killer. No, non era giunta ancora la mia ora. Anche se... Dipendeva dai punti di vista. C'erano tanti modi per morire, Castiel Black era uno di questi.

Se ne stava lì con le braccia incrociate sul petto, il giubbotto leggero di pelle, una t-shirt bordeaux ed i suoi inseparabili jeans neri. "Allarme rosso, allarme rosso. Il nemico ha attraversato il confine, adesso si trova nella nostra zona".

«Quando la smetterai d'irrompere così nella casa della gente?!», quasi lo rimproverai dopo averlo fatto entrare. 

«Ti correggo: irrompo così solo in casa tua» sollevò lo sguardo languido. 

"Come non detto. Ci avevo visto lungo. Lui è peggio di un serial-killer".

«Di nuovo scala dei Daniels?», cercai di mantenere compostezza nonostante dentro stessi saltando per l'eccitazione di averlo in camera mia, a due passi di distanza.

«Ovvio», sentendosi padrone della situazione si spostò e si poggiò ai lati della finestra, di nuovo chiusa, lì dov'era riportata la frase scritta, molto probabilmente, da lui. «Bel pigiama comunque», che vergogna! Indossavo un pigiama con un enorme orsacchiotto stampato sopra. L'avevo completamente dimenticato. E Castiel doveva prendersi gioco di me, per forza.

«Non vado di certo a dormire mezza nuda.. questo è caldo e comodo», mi giustificai.

«Questo sarà da rivedere un giorno...» a cosa stava alludendo?

Cambiai completamente discorso prima di morire a causa dell'imbarazzo, nonostante la dubbia interpretazione della sua risposta. «Sei stato tu a fare tutto questo? Il messaggio, la parola? Che vuol dire Castiel?», lo tartassai di domande, ma avevo necessità di capire. Era un continuo grattacapo, una continua sorpresa. E a me piaceva sempre di più. 

«Sì, sono qui proprio per questo», sospirò, abbassò il volto risultando improvvisamente a disagio. Cosa mi ero persa?

«Ti ascolto», lo incitai accomodandomi, sul letto, di fronte a lui. 

«Volevo ringraziarti..» finalmente decise di guardarmi negli occhi. Erano limpidi e per la prima volta mi trasmisero qualcosa d'inconfessabile. Tremai per l'intensità di quei secondi nei quali mi possedette senza toccarmi. «Se non fosse stato per te avrei trascorso altri anni a vivere nell'apatia totale, senza muovere un dito, ad accettare qualsiasi cosa come sarebbe venuta.» Si fermò per qualche istante senza però mai staccare gli occhi dai miei, mi trafisse, mi fece per sempre sua. «Invece sei arrivata tu, odiosa come pochi, lingua tagliente come nessuno. Sei stata la prima persona a cercare di aprirmi gli occhi e l'ultima a riuscirci..» si stava sforzando nel tradurre a parole i suoi pensieri, le sue emozioni. Sapevo bene non fosse abituato a quel genere di cose. «Ho capito che avrei dovuto risolvere da solo determinate situazioni prima di poter essere libero, per poter ricominciare, per poter provare...»

«Provare?», senza volerlo ripetei ad alta voce la parola scritta da lui stesso sulla finestra. Sentii il suo sguardo entrarmi dentro fino a raggiungere quel posto segreto chiamato più comunemente: anima. Ero spacciata. Totalmente, incondizionatamente innamorata di lui. 

«Sì. Vuoi provare, Miki?», l'ansia e le dannate farfalle iniziarono a diffondersi per tutto il corpo. Cosa diavolo stava cercando di dirmi? Cosa diavolo dovevo voler provare? 

«Potresti essere un attim-»

Non mi permise di concludere la richiesta di chiarezza che subito mi accontentò decretando per sempre la mia fine.

«Vuoi provare a fare sul serio?» si passò una mano tra i capelli «Sì insomma.. Tu ed io..», la mascella contratta a causa dell'agitazione. Parlava quasi a rallentatore, nell'imbarazzo più totale. Avrei tanto voluto baciarlo dappertutto per quanto risultò essere tenero. «Magari una relazione esclusiva, iniziamo a frequentarci e vediamo come va. Dopotutto quando non mi fai ammattire sto bene con te e-»

«Niente Ambra? Niente Debrah? Nessun'altra? Solo tu ed io...» non potevo credere a ciò che era uscito dalla sua bocca. Stava per accadere realmente a me? 

«Esatto. Solo tu ed io... Solo noi!»

Noi. Quanto era bello quel pronome pronunciato dalla sua voce rocaQuanto era bello lui mentre, impaziente, mordicchiò il labbro inferiore in attesa di risposta. La mia risposta. Per la prima volta dopo sei mesi la palla era balzata dalla mia parte. Avrei dovuto decidere io del nostro destino, della nostra storia, del nostro futuro. "AHHHHHH LA RAGAZZA DI CASTIEL BLACK". Dio, come suonava bene. Dio, quante emozioni si stavano alternando dentro di me. Fuochi d'artificio di sentimenti, di sensazioni esplosero nel mio stomaco. Sarei potuta impazzireDa quella sera ci sarebbe potuto essere un noi. Quante notti avevo sognato invano accadesse, quanti giorni avevo invidiato Debrah o qualsiasi altra donna fortunata di stargli accanto. 

La parte istintiva di me suggerì di gettargli le braccia al collo, baciarlo e dargli la mia risposta affermativa, ma la parte razionale, - quella ferita dai suoi modi lunatici, contraddittori e dai suoi mille problemi che inevitabilmente col tempo avevano investito anche me -, mi suggerì di accertarmi prima di rompermi definitivamente, prima d'illudermi. E così feci. 

Dopo qualche istante di silenzio «E con il ricatto di Debrah come pensi di risolverla? Non credo sarà felice di una nostra eventuale relazione!», le tante delusioni della vita mi avevano spinta ad essere diffidente, quelle poche volte in cui avevo reagito d'istinto mi ero ritrovata ad essere sommersa dai guai fino al collo, perciò era giusto così. Accertarsi prima di cedere.

«Oh sì certo, avevo già intenzione di dirtelo..» afferrò il labbro inferiore tra due dita, pensieroso, poi concluse il discorso «Il tuo piano ha funzionato. Quando mi hai detto di non voler più sapere nulla dei miei guai, in un primo momento, mi sono sentito spiazzato, perso; poi ho reagito. Sebbene con qualche perplessità al riguardo mi sono recato presso la sede nazionale degli scout -che per fortuna è qui a Parigi-, inizialmente erano restii a farmi consultare gli annuari, ma dopo qualche parolaccia delle mie, dopo aver raccontato loro parte della storia, finalmente hanno ceduto impietositi. Mi hanno persino aiutato a sfogliare per fare più veloce.. Destino ha voluto che, dopo circa mezz'ora di ricerche inutili, sia arrivato il presidente dell'associazione, infastidito dalla mia presenza. Il segretario ha raccontato tutta la storia per giustificare l'aiuto datomi, e indovina? Uno dei bambini che Debrah ha mandato da me era proprio il figlio. I genitori quella sera di due anni fa, giorno del video incriminante, si sono accorti che qualcosa non andava nei loro figli, hanno capito fossero sballati e in più hanno trovato i soldi dati da Debrah nelle loro tasche. Così intimiditi da varie punizioni hanno svuotato il sacco e raccontato ogni cosa. Per una volta sono stato fortunato. Mi sono sorbito una paternale per aver dato a dei bambini sostanze stupefacenti, ma poi è finita lì. Così: ho girato un video dove Gerard, -è questo il suo nome- con al suo fianco una foto del figlio, minaccia di recarsi lui stesso dalla polizia a raccontare la verità qualora Debrah facesse uscire fuori una storia del genere. La carriera del presidente verrebbe compromessa perché eventualmente non ritenuto guida idonea per gli scout, se non lo è stato neanche per il figlio; perciò è stato semplice convincerlo a testimoniare. Quindi ecco conclusa questa storia assurda. Non ho neanche faticato più di tanto. Se domani Debrah venisse da me con altre pretese le mostrerei il video e arrivederci. Tutto risolto!»

«Oh sono contenta, finalmente» sorrisi di cuore, ma subito dopo pensai all'altra questione delicata e mi rabbuiai leggermente «E l'altro video? Quello in cui...», non terminai la frase, era intuibile ciò che intendessi.

«Quello che ti ha mostrato è solo parte del video, nel video completo si vede che è lei a piazzare la telecamera e a far partire la registrazione.. Se non è consenso questo, allora non lo sarebbe nulla..»

«Allora non è stata poi così furba come si credeva..» dopotutto aveva solo diciassette anni. Una falla in quel piano, in quel ricatto, doveva per forza esserci e Castiel l'aveva trovata. 

«Inizialmente in realtà c'ero cascato pure io, ma poi ho riflettuto ripensando a quei momenti. Sono andato a scovare il video nel mio pc, per fortuna non li avevo cancellati, ed ecco svelato l'arcano..» distese la bocca in un mezzo sorriso. Era sereno, come forse non lo avevo mai visto. Nessuna ombra sul suo viso, nei suoi occhi, sulla sua bocca. Era semplicemente Castiel, avrei tanto voluto ammirarlo per l'eternità. 

«E Ambra? Il bambino?», per ultima la questione probabilmente più importante di tutte. 

«Ho parlato con Nathaniel, sì l'ho fatto davvero non guardarmi come se fossi un alieno», la bocca distesa in una linea sottile mi fece intuire che non sarebbe stato piacevole ciò che mi avrebbe detto a breve, accentuò il tutto gesticolando con le sue mani grandi. Era perfetto quel ragazzo, notai, nonostante quel peso ancora presente sullo stomaco, sul petto. «I genitori l'hanno scoperta e spedita in Svizzera in un collegio governato da Suore. Ha abortito ancor prima che io sapessi della possibilità di diventare padre.. E sembrerò matto, urlami pure contro se ti farà stare meglio, ma.. non ho gioito dopo averlo saputo. Un mio frutto, un'ipotetica e futura parte di me è morta ancor prima di nascere. Non ha avuto alcuna possibilità, nessuna scelta. Io non ho avuto nessuna voce in capitolo. E scusa ma non mi va di esser felice a riguardo».

Restai pietrificata per un attimo dinanzi a quella sua confessione. Mi spiazzò quella maturità inaspettata. Quelle parole, quelle frasi testimoniarono la presenza di un cuore. Non era ancora tutto perso. Castiel possedeva un muscolo cardiaco, arrugginito magari, assopito forse, ma pur sempre un animo buono. Sfiderei chiunque a diciotto anni ad avere quel tipo di reazione, ad essere addirittura risentito per il mancato avvertimento dalla madre del bambino sulla decisione d'interrompere la gravidanza; chiunque pregherebbe pur di non essere interpellato e invece lui ci soffriva persino. E sapevo, sapevo bene che l'eventuale nascita di suo figlio l'avrebbe inesorabilmente allontanato da un ipotetico noi, ma la mia umanità, bontà, mi spinse addirittura ad essere lusingata da quella confessione. 

Così lentamente mi sollevai dal letto, lo raggiunsi e gli saltai letteralmente addosso. Castiel essendo colto alla sprovvista per poco non cadde, per evitare di finire sul pavimento ci spinse entrambi sul letto. Sobbalzai sul materasso e lui anche, sopra di me. Istintivamente risi. Risi per la leggerezza sentita sul petto, risi per il dono ricevuto, risi dalla felicità, per l'amore crescente percepito nel petto. Solo per lui. Il mio cuore batteva solo per lui.. E, da quel giorno in poi, sarebbe battuto per noi. Solo per noi. Quel noi che avrei custodito con gelosia, protetto da ogni disgrazia. Sarei stata in grado addirittura di diventare una costruttrice.. solo per noi. Avrei costruito, giorno per giorno, mattone per mattone, una casa, poi col tempo un castello. Un enorme castello con l'insegna a caratteri cubitali "NOI". Suonava così bene persino nei miei pensieri, lì dove nessuno aveva mai osato unire un nome con il mio. 

«Sì» dissi semplicemente. Castiel si resse, con le braccia tese, dal materasso per guardarmi bene, corrugò la fronte «Sì» ribaltai la situazione e mi ritrovai sopra di lui. Gli baciai le palpebre che spontaneamente chiuse «Sì», gli baciai le guance più volte «Sì», gli baciai il naso «Sì» passai all'angolo di bocca «Sì. Voglio stare con te», conclusi con un enorme sorriso ed un bacio a stampo sulla bocca. Sembravo matta ma estremamente felice, come mai prima nella vita. 

E lui mi seguì, sorrise a trecentosessanta gradi come non aveva mai fatto in mia presenza. Ed il mio cuore fu sopraffatto di gioia, d'amore, di baci... dei suoi. Era talmente pieno di sentimenti positivi che sarebbe potuto esplodere. 

«Sì», ripeté.

«Che?»

«Avevi dimenticato il settimo "sì" e allora ti ho soccorso», con nonchalance concluse serio per poi riprendere a ridere. Anche il suo cuore stava diventando leggero, lo percepii. Le pietre di cui era ricoperto stavano iniziando a sgretolarsi, lo sentivo. Batteva forte nel petto, non gli era mai accaduto con me. La mia coscienza ballò la Macarena davanti a quella novità.

«Sei uno scemo»

«Che tu adori...» cantilenò. 

"Che io amo...", avrei voluto replicare, ma prima di farlo scappare prematuramente evitai. Tempo al tempo. 

«Non montarti troppo la testa, pomodoro!» gli mollai un buffetto in fronte. 

«Ah comunque», si schiarì la voce cercando di tornare serio «mettiamo in chiaro alcune cose sin dall'inizio», non era facile ascoltarlo vista la posizione. Lui era sotto di me. I capelli sparpagliati sul mio cuscino, gli occhi grigi limpidi, tranquilli e oserei dire quasi emozionati, le mie mani sul suo petto e le sue sulle mie. Faceva caldo. «Non ti sto giurando amore eterno, voglio solo provare a passare del tempo con te, senza pretese. Niente romanticherie, niente cambiamenti o redenzioni; io sono questo e non cambio».

«Sei sempre stato bravo a rovinare tutto» sbuffai e feci per spostarmi dal suo corpo, ma lui non me lo permise. Mi bloccò dai polsi e mi trapassò con lo sguardo. Voleva intimidirmi, per caso?

«Ariel, fa' la brava», si sollevò il necessario per darmi un piccolo bacio sul naso. Come avrei potuto fare la parte dell'irata dopo quel gesto? Maledetto seduttore. 

«Visto che siamo in vena di confessioni... Anch'io dovrei dirti qualcosa», divenni paonazza ancor prima di parlare, lui se ne accorse e mi accarezzò le gote arrossate con tenerezza. Niente romanticherie diceva?! «Io... Ecco, io non ho... Non ho mai avuto altre relazioni prima, quindi... Sono proprio inesperta in campo, non so proprio come si fa, come ci si comporta. Non potrei pretendere nulla anche se volessi. In realtà fino a qualche mese fa odiavo queste cose», abbassai lo sguardo e giocai con la cerniera del suo giubbotto. «Quindi, cioè... cosa fanno le coppie?»

Prima di replicare mi guardò e mi sorrise con dolcezza e comprensione per il mio imbarazzante monologo «Litigano e scopano per tutto il tempo. Tranquilla t'insegnerò io. Abbiamo tutto il tempo del mondo per imparare», finì con un bell'occhiolino. Rassicurante. Davvero molto rassicurante. Avrei dovuto aspettarmi quel tipo di risposta da uno come lui. Nonostante il tono di voce giocoso quelle parole mi provocarono tanti brividi per tutto il corpo. Avrei ricordato quel giorno per sempre.

Ne avremmo viste delle belle.

Miki e Castiel. Noi. Una fusione di due mondi apparentemente opposti, ma infondo incredibilmente simili. Io la sua tela, lui il mio Picasso. Non ci sarebbe stata persona che non se ne sarebbe accorta. Ci saremmo per sempre distinti dal resto del mondo, dalle altre coppie. D'altronde come poteva essere altrimenti in un'accoppiata come la nostra? Ragazzo dai capelli color cremisi e ragazza dai capelli ramati. Coppia insolita, due cuori rotti, due anime infuocate, dannate, segnate. Uno più uno; due per la vita. Avremmo fatto scintille insieme, sarei entrata nel suo Inferno, mi sarei accomodata sul suo trono, al suo fianco, lì dove mi spettava e dove non avrei permesso a nessuno di rubarmi il posto tanto agognato, avrei donato la mia stessa vita per lui. E sapevo, sapevo bene che la strada sarebbe stata tutta in salita, con un tipo testardo e chiuso come Castiel ancor di più, ma ce l'avrei fatta. Ce l'avrei fatta persino a farlo innamorare di me. Parola di Micaela Rossi. 

 

 

 

 

____________________________________________________________________

🌈N.A.🌈

Non ci credete, vero? Be' neanche io in realtà. 

MIKI E CASTIEL SONO UNA COPPIA. Stappiamo lo champagne insieme alla coscienza di Castiel e prepariamo i poppy poppy, ne vedremo delle belle.

Ci hanno impiegato 38 capitoli, ma ce l'hanno fatta. Oddio quanto sono cresciuti, mi viene quasi da piangere 😭

Ecco cosa intendevo con il "sorprendosamente sorprendente" dello scorso capitolo. 

Nel prossimo invece...................................... Avete capito, no? 

Ok, faccio la seria. 

Pubblicità Ivre, i due "piccioncini affermati" partiranno per due giorni con la troupe di Rabanne. Accadrà qualcosa d'interessante? *colpo di tosse*

Teresa ha chiesto a Miki di andare a vivere con lei, Flora e Marcel. Accetterà?

Castiel sembra aver risolto la "questione Debrah" finalmente, ma sarà realmente così?

E poi ci sono loro.... I MikiStiel *.* sono in love per loro. Mi piacciono troppo, giuro. 

Adesso vi saluto, direi che è ora. 

All the love💖

Blue Night🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** CAPITOLO 39: Brucia con me ***


 

Capitolo 39

Brucia con me







🎶Sia - Fire Meets Gasoline (consiglio l'ascolto durante l'ultima parte del capitolo)🎶

Fuoco incontra la benzina 
Sto bruciando vivo 
Riesco a malapena a respirare 
Quando sei qui ad amarmi..

E' pericoloso innamorarsi 
Ma voglio bruciare con te stasera 
Feriscimi 
Stiamo pieni di desiderio 
Il dolore del piacere e del fuoco 
Ardimi  
Soffro per amore, Soffro per noi 
Perché non vieni più vicino.. 

Brucia con me stasera.

 

***

 

MIKI


Felicità, la compiuta esperienza di ogni appagamento; soddisfazione totalegodere, assaporare un'intima felicità.

La definizione di quello stato d'animo sul vocabolario rispecchiava perfettamente il mio umore. Non ero mai stata così appagata in tutta la mia vita. Ero la ragazza di Castiel: da ore non pensavo ad altro, da ore percepivo un brivido lungo tutta la schiena che non accennava ad abbandonarmi. Sorridevo sola; un'espressione da ebete totale ogniqualvolta gli occhi ricadevano sul vetro della finestra."Provare?" quel verbo sarebbe rimasto inciso per l'eternità su quel vetro. Non l'avrei rimosso, no. Era la più bella opera d'arte mai vista prima, superava persino il quadro raffigurante me e lui che custodivo gelosamente, quasi come fosse un santuario, sulle pareti della mia camera. Perché quell'interrogativo avrebbe rappresentato l'inizio della nostra storia. 

Dopo aver mandato il mio cervello totalmente in tilt, Castiel, se ne andò dandomi un piccolo e tenero bacio sulle labbra. Avrei tanto voluto chiedergli di restare, di dormire accanto a me, nel mio letto, ma non ero ancora dotata di abbastanza sfrontatezza per farlo. E probabilmente era stato meglio così. Non volevo correre, non con lui, non con il mio primo amore. Avremmo aggiunto un piccolo tassello per volta, con calma. Senza nessuna fretta. 

10 Febbraio 2015. Durante il mese dell'amore, in prossimità di San Valentino, finalmente Castiel aveva trovato il coraggio di voltare pagina. Con me. Noi due: contraddittori come pochi neanche ci fidavamo di quel sentimento, scettici sulla durata e stabilità di un rapporto, avevamo finito per essere addirittura involontariamente romantici. E contraddittoria soprattutto io che avevo finito per innamorarmi di lui. In sei mesi ogni certezza sui valori e regole di una vita erano perite difronte a quel ragazzo burbero dai capelli rossi. Ogni muro era stato abbattuto, ogni maschera era caduta sfracellandosi in mille pezzi. Se con il resto del mondo ancora celavo parte di me dinanzi a lui, invece, ero semplicemente Micaela. La vera

Mentre Morfeo partì per una vacanza in Antartide pensai di scrivere a Rosalya, per raccontarle della bellissima novità. Se del sonno neanche l'ombra tanto valeva impiegare il tempo in qualcosa di utile. Quella ragazza conosceva quasi ogni cosa di me, ormai. Era la mia spalla destra, il mio punto fisso, l'unica ragazza di cui mi fidassi per davvero. Con la sua simpatia ed eccentricità si era conquistata un pezzetto del mio cuore malridotto. E più i giorni passavano e più le volevo bene, tanto, tantissimo bene. 

 

Miki:

Sono la ragazza di Castiel Black. Ripeto: SONO LA RAGAZZA DI CASTIEL BLACK. CAZZAROLA!!!

RosalHulk:

CHE COOOOOSA?! MI STAI PRENDENDO IN GIRO? COSA CAPPERO MI SONO PERSA? Sono notizie da dare nel cuore della notte? Sono una ragazza sensibile e delicata, io!

Miki:

Pensavo stessi dormendo e leggessi domani mattina, sorry. 

Comunque ho trovato Castiel sul balcone della mia camera, ha scritto sul vetro della finestra "Provare?" e poi mi ha fatto la sua dichiarazione, mi ha detto di essere pronto. NON CI CREDO, CREPO!

RosalHulk:

Mi farete venire un infarto voi due prima o poi. Per mille capperi rossi.. Devo iniziare i preparativi del matrimonio, ordinare 100000 confetti, cucire gli abiti. Vi sembra giusto mettermi così tanta fretta?!

PS Era ora. Voglio i dettagli, non queste frasette striminzite. Sono contentissima. Finalmente il babbuino ha messo la testa apposto, sono commossa. Tutto merito mio e di Lys. 

Miki:

Dovrò passare due giorni con lui, da soli. Dovremo girare la pubblicità del profumo. Oddio che vergogna.. Come mi comporto ora che siamo una coppia?! Aiuto. 

Sì lo so, al mio ritorno ti dirò tutto. Tu e Lys avete commesso un reato, il sequestro di persona per essere precisi.. non so se rendo l'idea.. Altro che merito vostro. 

RosalHulk:

è arrivato il momento di far praticare sport a Giacomina. Aggiungi tanto intimo sexy in valigia, depilati alla perfezione, fai un po' di stretching e VIAAAAAAA.. Pronta a ballare la Macarena. 

Smettila di farti la figa solo perché sei nipote dell'avvocato più famoso di Parigi! 

Miki:

Rose... 

RoalHulk:

Che c'è?! Ho solo dato dei consigli alla tua patata. 

Miki: 

Gentilissima, Giacomina NON ti ringrazia.

RosalHulk:

Acida come la padrona. 

Miki:

Buonanotte Rose, ci vediamo tra due giorni.

RosalHulk:

Pensi di scappare così? Dovrai scrivermi ogni giorno, non sparire. Buonanotte!

 

***

L'esperienza del viaggio a Roma mi aveva insegnato di non partire mai con più di una valigia, così per la piccola permanenza a Varengeville sur mer optai di portare con me solo lo stretto necessario. Incredibile ma vero, riuscii ad infilare ogni abito, accessorio e oggetto personale in un piccolo bagaglio. Dopotutto si trattava di stare fuori casa per due giorni, non stava mica per arrivare la fine del mondo.. 

La partenza per quel comune francese quasi sconosciuto, e abitato solamente da millesettantasette abitanti, fu fissata per le ore dieci dell'undici Febbraio. Stranamente non mi feci attendere, scesi in strada prima del loro arrivo. Molly, la segretaria di Rabanne, mi aveva spiegato ogni cosa telefonicamente in modo da essere preparata ad ogni evenienza. Lo stilista ci avrebbe raggiunti il giorno dopo, per le riprese vere e proprie, mentre io e Castiel avremmo dovuto familiarizzare con il posto recandoci lì un giorno prima insieme a Molly, i fotografi e il cineoperatore. Ero abbastanza scettica su quella scelta, era impossibile ambientarsi in un giorno solo, ma gli esperti in quel campo erano loro, quindi... E poi si trattava solamente di una stupida pubblicità, non riuscivo a darle tutta quella importanza. Fossi stata in Rabanne avrei direttamente registrato in uno studio, avrei poi infilato qualche effetto del mare con Photoshop e via; ma a detta del creativo stilista, in quel modo, ogni aspetto avrebbe perso di credibilità. Contento lui.. 

Dopo poco essermi chiusa il cancello di casa alle spalle un Range Rover nero ed enorme si fermò proprio difronte alla mia figura. I vetri erano oscurati per cui non ero poi così sicura potesse essere Molly. 

«Niente male come primo giorno, eh?!» la voce di Castiel insieme al rumore dell'abbassarsi di un finestrino m'indussero a sorridere apertamente e correre verso di lui. Stava facendo riferimento al nostro primo giorno come coppia. Quell'allusione, il mezzo sorriso sul suo volto e un paio di occhiali da sole scuri sui capelli, furono il colpo letale per i miei ormoni. 

Aprii velocemente la portiera e gli gettai le braccia al collo schioccando un casto bacio sulle labbra. Sperai di non risultare troppo appiccicosa, ma ero troppo felice di vederlo. Avevo bisogno di dimostrarglielo. «Potrei abituarmi a questi viaggi, sai...» replicai alla sua prima frase, mentre dopo aver infilato la valigia nel bagagliaio mi accomodai sul sedile posteriore dell'auto accanto a Castiel. Mi sorrise e afferrò la mia mano portandosela sulle sue gambe. Quei gesti così espliciti davanti a terze persone non erano mai avvenuti tra noi, il nostro rapporto era stato sempre nascosto al resto del mondo; era cambiato tutto così repentinamente da sembrarmi strano, emozionante, esaltante.  

«Il viaggio durerà due ore e venti minuti, una volta arrivati a Varengeville farete delle prove in spiaggia insieme al fotografo e al cameraman. Domani, alle otto in punto, inizieranno le riprese vere e proprie», c'illustrò Molly seria, senza neanche salutare, interrompendo i brevi attimi affettuosi tra me ed il rosso. Era accomodata sul sedile anteriore dell'auto, mentre io e Castiel ci trovavamo dietro di lei. 

«Buongiorno a tutti e.. d'accordo», salutai e le risposi mentre Castiel restò in silenzio, ovviamente. 

L'auto partì e nell'abitacolo calò il silenzio. A fare da guidatore vi era un uomo di mezza età mai incontrato prima di allora. Era stempiato e di corporatura robusta. Il fotografo e il cameraman erano dietro di noi, in un'altra auto. Roteando il corpo e il volto, dal parabrezza, avevo riconosciuto Frank, il fotografo incontrato durante il provino.

Trascorsi cinque minuti Castiel iniziò a carezzare il dorso della mia mano destra, poggiata sulla sua gamba, tante scariche elettriche si diffusero per tutto il corpo. Era incredibile l'effetto che aveva su di me. 

«Demon come sta?», gli chiesi in italiano. Volevo evitare di essere ascoltata dalle altre persone presenti in macchina, sperai mi assecondasse. 

«Perché sono più volte che mi chiedi di lui? Io non ti ho detto niente», stette al mio gioco rispondendo in italiano. La sua voce nella mia lingua originale era ancora più armoniosa, amavo ogni cosa di lui, cavolo. Ogni suo gesto carino nei miei confronti, anche minuscolo, mi faceva scogliere come neve al sole. Ero completamente persa.

«Sei stato evasivo quando ti ho chiesto, quindi ho pensato gli fosse accaduto qualcosa..» inventai la prima scusa banale balzata in mente; lui non doveva sapere del mio aiuto prestato per le cure di Demon. 

«Farò finta di crederti...» mi scrutò facendomi capire che non stesse approfondendo solo perché non ne aveva voglia, non perché se la fosse bevuta. «Ha dovuto subire un intervento d'urgenza, non è con me da qualche settimana. Ma per fortuna l'operazione è andata bene, dovrò andare a riprenderlo quando rientreremo da questo posto sperduto.. E poi tornerà finalmente a casa con me»

Davanti alla sua spiegazione tirai un sospiro di sollievo, Castiel se ne accorse ma non mi chiese spiegazioni. Non avevo notizie di Demon sin da quando anticipai la somma per l'intervento, non riuscii a trattenermi dalla sensazione dell'alleggerirsi percepito nel petto dopo quella notizia.

«Sono contenta», gli sorrisi sinceramente.

«Che palle», sbuffò dopo un po' Castiel. Mr. Brontolone era tornato.

«Facciamo un gioco per ingannare il tempo?» gli chiesi saltellando elettrizzata, avevo qualcosa in mente. 

«Non siamo dei bambini, Miki..» asfaltò il mio entusiasmo. Il suo buonumore era durato cinque minuti. Che guastafeste!

«Faremo un gioco da grandi, giuro», incrociai le dita e lo fissai con occhi dolci cercando di adularlo. Ma stavo avendo a che fare con Castiel Black, dovevo metterlo in conto. 

«Certo, come quel giochino insulso delle venti domande che ti è venuto in mente a Roma?!» una fitta sullo sterno al ricordo del nostro viaggio insieme. Ricordava anche lui ogni cosa. Piansi, dentro di me, come una bambina emozionata. 

«Veramente i-»

«No»

«Volevo-»

«No»

«Potremmo-»

«No!»

«Forse-»

«No»

«Sei intelligente?»

«No...» si bloccò fissandomi sconcertato «Me l'hai combinata, stronzetta!» si avvicinò a me con fare minaccioso e, portando le mani sulla mia pancia, mi solleticò. Mi agitai ridendo a crepapelle come una forsennata. Maledetto!

«Str... Smet... Non ce la fac-», cercai d'indurlo a smettere ma lui continuò imperterrito mantenendo il volto serio e mordendosi il labbro per trattenere una risata. Quanto era carino.

«Mi state facendo venire il mal di testa. Smettetela!» Molly fermò ogni nostro movimento e risata «Vi preferivo da mestruati e imbronciati. Siete impossibili da gestire così», lasciò da parte la sua aria severa, che l'aveva contraddistinta sin da quando l'avevo conosciuta, per  dirci sincera ciò che pensava di noi. 

Castiel rispose a quell'intervento con uno sguardo trucido e una smorfia, mentre io chiesi mille volte scusa ai due adulti accomodati davanti a noi. Prima delle parole di Molly avevo persino dimenticato della loro presenza. Dannazione, Castiel m'intontiva completamente.

Il breve cambio di lingua per non esser ascoltati dagli altri mi portò inevitabilmente indietro nel tempo, a quando io e Ciak, in Italia, usavamo parlare in francese. Persi più di un battito nel ripensarlo. Quegli istanti con lui non sarebbero mai più tornati; non sarebbe mai più tornato lui, il mio migliore amico. E irreparabilmente un velo di tristezza mi adombrò il volto per tutto il seguito del viaggio.

***

Appena arrivammo in quel paese dal nome impronunciabile non avemmo neanche la possibilità di vedere la stanza d'hotel in cui avremmo soggiornato, che subito Molly ci guidò verso la spiaggia per provare le pose della pubblicità, familiarizzare con il posto e con il ruolo. 

La piccola cittadina di Varengeville era situata su un monte che terminava su un promontorio marino. La maggior parte delle abitazioni erano costruite in legno con i tetti appuntiti, per un momento mi sentii quasi di esser finita tra i monti sorridenti di Heidi e, in effetti, quel paese non era poi così distante dall'ambiente di quel cartone animato; l'unica differenza era il promontorio. Al di sotto di Varengeville si trovava il mare, ed una piccola spiaggia con vecchie barche ormeggiate in acqua e sulla sabbia. Comune a dir poco suggestivo, quasi incontaminato. 

In compagnia di Frank e José, quello che scoprii essere il nome del cameraman, ci recammo sull'unica spiaggia di quel posto. Appena la vidi restai sbalordita per quanto fosse bella. S'intravedeva il verde della parte superiore della montagna ed il colore scuro delle rocce, fino ad arrivare al celeste dell'acqua. Adorai quel contrasto di colori tra mare e monti. Sabbia sottile e scogli qua e là spuntavano dal mare e dalla terra facendo vincere, a quella spiaggia, il titolo meritatissimo di uno dei più bei panorami naturali mai visti prima. Il sole infrangeva le piccole onde provocando dei giochi di luce pazzeschi sullo specchio d'acqua. Era ora di pranzo, il sole era alto e perciò più luminoso nonostante fossimo a Febbraio. La battigia deserta, con la sola ed unica presenza di tre bagnarole arrugginite aggiungevano quel tocco in più di vissuto. Nella brezza marina si percepì l'odore di pace, serenità. Potei sembrare matta ma, appena i piedi affondarono in quei granelli dorati, mi sentii quasi di appartenere da sempre a quel posto. Mi era entrato dentro ancor prima di viverlo o conoscerlo. 

José, un ragazzo di colore sulla trentina, c'invitò ad essere noi stessi, di fare come se loro non ci fossero mentre ci puntò la telecamera addosso. Chiusi gli occhi e ripetei quelle frasi tentando di non agitarmi dinanzi alla presenza di quei due uomini e dei loro aggeggi, il rosso mi aiutò parecchio. Durante gli scatti di prova, infatti, Castiel ne approfittò per tenermi ancorata al suo petto, per baciarmi e addirittura accarezzare la parte di pelle scoperta della schiena. L'alchimia era cresciuta a vista d'occhio, e con lei anche noi. Rabanne ci avrebbe riconosciuti a stento l'indomani. 

«Bellissimo questo posto...» respirai quell'aria fresca e pulita chiudendo gli occhi, poggiando la testa sulla spalla di Castiel. 

«Un po' come te» e lui me lo tolse, il respiro. 

Quel complimento velato, il modo dolce e quasi segreto con il quale lo disse, mi fece arrossire, tremare. Solo per lui

Dopo circa mezz'ora i due uomini ci lasciarono liberi, entrammo nell'hotel e poi nelle nostre rispettive stanze. Ad ognuno era stata affidata una camera singola, a spese di Rabanne, ovviamente. L'albergo era interamente in legno, sia all'esterno che all'interno, ad abbellire i muri: la testa di qualche animale imbalsamato appesa al posto dei quadri. Rabbrividii davanti a quella visione quasi macabra. Cervi, uccelli, trovai qualsiasi tipo di animale per i corridoi di quell'hotel fino all'arrivo nella mia stanza. Entrata dentro, per fortuna, non scovai nessuna carcassa, nulla d'inquietante; solo qualche quadro raffigurante scene di caccia. Doveva essere una specie di ritrovo per cacciatori, quello. Dove diavolo ero finita? 

Senza farmi suggestionare mi concentrai su ciò che avrei dovuto fare; una doccia rilassante ed un lungo riposino vista la precedente notte insonne a causa di qualcuno. Prima di procedere con i miei piani sgranocchiai un pacco di cracker che avevo intelligentemente portato in borsa. Molly ci aveva liquidati dicendo che l'ora di pranzo era passata da un pezzo e la cucina dell'hotel non cucinava fuori orario, in più dicendo che in quella cittadina non ci fossero altri locali aperti. Quella donna era parecchio bisbetica. Non le credetti, ma né io e né Castiel avevamo la forza e la voglia di girare tutto il paese alla ricerca di una pizzeria o un ristorante. Così ci eravamo semplicemente salutati, recandoci nelle nostre rispettive stanze e dandoci appuntamento per la cena della sera stessa. Quella almeno aveva deciso di offrircela Rabanne. 

Terminato il bagno rilassante, asciugai i capelli e indossai un abito a maniche lunghe color senape, lungo fino alle ginocchia, stretto in vita e largo sotto. Ed eccomi pronta per la serata. Amavo quel colore e modello di vestito. 

***

Dopo aver cenato nel ristorante dell'hotel che ci ospitava, Castiel, senza chiedere o permettermi di salutare gli altri, afferrò la mia mano e mi trascinò sulla spiaggia a pochi passi dall'albergo. Che modi!

«Chiedere gentilmente di accompagnarti a fare una passeggiata è un optional, giusto?», con la mano libera levai le ballerine restando a piedi nudi.

«Giusto!» si voltò verso di me, con quel sorriso sfacciato caratteristico di lui, facendo del mio cuore una marmellata. «Guarda che meraviglia...» scostò lo sguardo ed io seguii la sua traiettoria. Il panorama che mi si presentò davanti era persino più bello di notte. Ci trovavamo sulla stessa spiaggia in cui avevamo provato centinaia di pose per la Campagna del profumo di Rabanne, ma la magia notturna era del tutto diversa. Il mare era calmo, la luna splendeva sull'acqua sembrando polvere di fata, la quiete era confortante. Si udiva solo lo scrosciare del mare contro la sabbia e gli scogli. Il leggero venticello muoveva il vestito a campana che indossavo, ma non sentii freddo. Le temperature di quel paese erano decisamente più alte di quelle parigine. Varengeville mi aveva letteralmente stregata; aveva conquistato il mio cuore insieme al ragazzo dai capelli rossi affianco a me.

Continuammo a passeggiare per qualche altro metro, amavo la sensazione della sabbia fresca tra i piedi, ma soprattutto amavo trovarmi in quel posto speciale in sua compagnia. Ancora stentavo a credere avesse dato una possibilità proprio a me, che volesse proprio me. Mi sentivo così fortunata... Castiel non lasciava mai entrare nessuno nella sua vita, non mostrava i suoi sentimenti, non era il tipo di appuntamenti romantici o di passeggiate al chiaro di luna. Sapevo stesse facendo uno sforzo e che soprattutto lo stesse facendo con piacere, lo amai ancor di più per quel motivo. 

Quando giungemmo davanti ad una barca depositata sulla sabbia, lasciò la mia mano, senza riflettere ulteriormente entrò dentro sdraiandosi e, ponendo un braccio sotto la testa, chiuse gli occhi. Io restai impalata a guardarlo. 

«Non vieni?», aprì un solo occhio per scrutarmi. 

«Ma possiamo stare qui?», mi guardai intorno titubante. 

«Non stiamo mica rubando..», la faceva facile lui. 

«Non potremmo sederci sulla sabbia direttamente?!»

«La sabbia entra dappertutto, è fastidiosa.»

«La barca è pulita? C'è qualche odore strano?»

Dopo l'ennesima mia domanda insulsa scattò in piedi, spazientito, mi sollevò di peso e mi lasciò cadere dentro la barca, lì dove fino a qualche secondo prima c'era stato il suo corpo. Sistemò la testa sul mio petto, il resto del corpo di lato e le gambe intrecciate alle mie. 

«Quanto sei cocciuta», si portò una mano sugli occhi fingendosi disperato. 

«Senti chi parla...»

«Cosa vorresti dire? Io non sono così snervante», per un attimo sollevò la testa per guardarmi. 

«No, infatti. Sei peggio», sorrisi e lui mi seguì poggiando nuovamente il capo sul mio petto. Gli accarezzai i morbidi capelli color cremisi e lui me lo lasciò fare. Era incredibile quanto ogni cosa potesse cambiare in poco tempo. Qualche mese prima non si sarebbe neanche sognato di lasciarsi accarezzare da me o di avvinghiarsi in una posizione del genere con qualcuno. Lui non era tipo da coccole, me l'aveva ripetuto un miliardo di volte.

«Ho deciso. Questo diventerà il nostro posto!» proclamai solenne, dal nulla, dopo un bel po' di minuti. 

«Cos'è ora questa cosa?», parlò male, aveva ancora la guancia poggiata sul mio petto.  

«Uff.. Devo sempre spiegarti ogni cosa. E menomale che tra noi due sei stato tu quello fidanzato!» sbuffai fintamente infastidita «Solitamente ogni coppia ha il suo posto, un posto speciale e mi piacerebbe che il nostro fosse questo!»

«Debrah non era di certo il tipo e neanche io.. Stavamo a casa mia la maggior parte del tempo a trom...» si bloccò quando si rese conto di star parlando della sua storia con la vipera così tranquillamente davanti a me «Scusa è solo che-»

«Che? è solo che lei era così simile a te da non doverti preoccupare di queste cazzate, è così?» replicai alterando il tono di voce. 

«Comunque va bene. Se un giorno avrò qualcosa d'importante da dirti, o da chiederti, ti porterò qui.. è così che funziona?», tentò di cambiare discorso e per un attimo mi fregò facendo aumentare il battito del mio cuore. 

«Non cercare d'imbambolarmi, non funziona con me», mi mostrai inflessibile. 

«Non lo sto facendo. Non voglio sprecare altro fiato per il mio passato, tutto qui. Lei non è più nessuno, credimi. Ma se tu vuoi continuare a rovinarti la serata parlando di lei.. fa' pure».

Non replicai. Aveva ragione. Dovevo smetterla con quella gelosia o competitività immotivata. Tra noi calò il silenzio, un silenzio confortante riempito solo dai nostri respiri. 

«Qual è il tuo sogno più grande?» me ne uscii dal nulla con quella domanda. Quella sera, quel cielo, quella città, l'ambiente, incrementarono la mia necessità di conoscere qualsiasi cosa di lui. 

«Sei in vena di discorsi profondi stasera», prese atto di quel particolare ad alta voce. 

«Daai.. Rispondi», cantilenai. 

«So che potrà sembrarti un sogno da ragazzino, un qualcosa d'irrealizzabile o stupido, ma quello di sfondare nel mondo della musica è il mio sogno più grande. Sarebbe un riscatto dopo l'infanzia e l'adolescenza di merda vissuta. Suonare e cantare qualcosa di mio, far conoscere al mondo i miei pensieri più profondi, la mia storia, sarebbe davvero figo». Maledissi quella posizione perché mentre parlò con il cuore non potei ammirare i suoi occhi, avrei pagato oro per guardarlo. 

«Non è qualcosa di stupido, anzi.. La prima cosa che ho pensato quando ti ho visto cantare, l'altro giorno, è che meriteresti sul serio di fare questo come mestiere. Sei davvero bravo, Castiel. Ti auguro con tutto il cuore di riuscire a realizzare il tuo sogno.»

«Lo pensi davvero?» sollevò nuovamente la testa e mi guardò attentamente. I suoi occhi brillavano più delle stelle di quel cielo magico. Era felice di ricevere quel complimento, quell'augurio da parte mia.  

«Ti sembro una che mente?!» finii con una smorfia assurda che fece sorridere di nuovo Castiel. Dio, quel sorriso. Mi sarei volentieri vestita da clown ogni santo giorno pur di sentire in ripetizione il suono armonioso della sua risata. Era unica e rara; un po' come lui.. Unico e raro. Anzi, unico e basta.

Dopo un bacio sulla guancia, all'angolo della bocca, si sistemò nuovamente nella stessa posizione di prima, su di me. Stentai quasi a riconoscerlo, era più libero nel mostrarsi a me da quando aveva risolto -apparentemente- la "questione Debrah". 

«E tu? Qual è il tuo sogno più grande?», fu il suo turno di pormi quella domanda. Non avevo valutato potesse chiederlo a me, mi colse impreparata. 

«Essere felice, sempre. Tutti i giorni», senza pensarci più di tanto fu quella banalità ad uscirmi velocemente dalla bocca. E probabilmente era sul serio il mio sogno più grande; vivere la vita spensierata che mi era stata rubata sin dall'infanzia. 

«E adesso... Adesso sei un po' felice, qui con me?», il modo con il quale lo disse, la dolcezza, la speranza e la sensualità insieme, furono un mix mortale per la sottoscritta. 

«Parecchio... Ma non montarti la testa» scherzai «è l'effetto del panorama» romantico avrei voluto aggiungere ma, vista l'allergia di Castiel per quel termine, evitai.

«Certo come no..» un angolo di bocca sollevato, riuscii a vederlo anche da sdraiata, mi rubò per l'ennesima volta un battito. 

___

Passammo mezz'ora, o forse addirittura un'ora, in quella posizione confortante... Pensai addirittura si fosse addormentato. Ma ad un certo punto si fece sentire nuovamente, spiazzandomi come faceva spesso negli ultimi tempi.

«Mi piace sentire il battito del tuo cuore» mormorò, la voce risuonò attutita a causa della strana posizione in cui ancora la sua guancia era schiacciata contro il mio petto «accelera sempre quando ti sono vicino».

Ah ma quindi se n'era accorto... Sperai fino all'ultimo del contrario, ma a quanto pareva le mie preghiere erano state inutili. Non replicai, non serviva negare l'evidenza. 

«Mi piace toccare la tua pelle», s'issò reggendosi con le braccia e, sollevando cautamente il vestito che indossavo, prese ad accarezzarmi l'addome fino a scendere sul basso ventre per poi risalire «rabbrividisce sempre ad ogni mio sfioramento..» con zero autocontrollo, come a farlo apposta, rabbrividii. 

Senza attendere ancora sfilai del tutto il vestito dalla testa e lo lasciai cadere sul legno di quella vecchia barca. Il bisogno di percepire le sue mani su tutto il mio corpo si fece insistente. Restai in slip e reggiseno sotto il suo sguardo infuocato. L'atmosfera si trasformò in un battito di ciglia. 

«Non hai freddo?» sussurrò sovrastandomi. Si posizionò tra le mie gambe ancora completamente vestito, troppo per i miei gusti. Scuotendo la testa e con un sorrisetto che la sapeva lunga gli tolsi la giacca di pelle. «Ah quindi mi stai facendo capire che dobbiamo congelare insieme? Che donnaccia! Hai avuto un cattivo maestro..» mi diede un piccolo bacio sul naso. Stranamente quella sera era lui ad essere di troppe parole, se non lo avessi conosciuto così bene avrei osato pensare fosse agitato. 

Eh no, io non avevo freddo. La barca, per metà coperta, attutiva la brezza che finiva sulla mia pelle. In più sarei stata totalmente incapace di provare qualsiasi altra sensazione all'infuori dell'amore per quel ragazzo. Ciò che sentii quella notte, in quegli attimi fu indescrivibile. Ero fra le sue braccia ed il resto del mondo non esisteva. 
Come se la terra avesse smesso di girare, la luna d'illuminare, il vento di soffiare.. avvertii solo il mio cuore battere, il mio corpo urlare. 

Il desiderio mi dominò senza poterlo controllare. Volevo Castiel con ogni fibra e cellula del mio corpo. Una sensazione stupefacente, inaspettata, imprevista. Mai prima di allora mi ero sentita così viva, eccitata, spaventata per quanto mi annullassi difronte a lui. Sapevo di aver detto di non voler correre, sapevo stessimo insieme da un solo giorno, ma non potei farci nulla. Le sensazioni dentro me divennero irrefrenabili.

Perché lì, su quella spiaggia, in quella notte di Febbraio, sotto il cielo stellato, con la luna riflessa nell'acqua, non ero mai stata più sicura di allora. Ero pronta per il successivo passo, per quello che mi avrebbe legata completamente e per tutta la vita a lui. Me ne resi conto così, all'improvviso. Il nostro futuro era ancora incerto, non ci eravamo giurati amore eterno, avevamo solo deciso di trascorrere del tempo insieme senza condizionamenti o scadenze. Ma non avrei desiderato altra persona, per la mia prima volta, all'infuori di lui. Volevo lui, lui e solo lui. 

Il ragazzo dai capelli rossi, sarebbe stato lui a ricevere la mia purezza. Dentro di me l'avevo già deciso da tempo, dovevo solo rendermene conto.. E la consapevolezza bruciò, come benzina, proprio in quell'istante. D'altronde in sei mesi si era già impossessato del mio cuore e persino della mia anima, mancava solo il mio corpo.. ed io ero talmente tanto autolesionista da volerglielo concedere. Subito.

«Voglio farlo Cass» fissai i miei occhi dentro i suoi, la luce della luna e delle stelle mi permise di ammirare il suo volto sorpreso poco distante dal mio. 

«Non sei costretta. Possiamo aspettare, non c'è fretta..» sul viso gli apparve un'ombra d'insicurezza. Aveva paura al posto mio. Stentai a credere a quel suo lato quasi fragile. Cosa stava accadendo?

Di tutta risposta socchiusi gli occhi e sfiorai il suo busto da sopra la maglietta fino ad arrivare sotto l'ombelico. Sollevai lo sguardo nel suo, sicura, e sbottonai i suoi jeans, ma lui prontamente bloccò la mia mano.

«Sei sicura, Miki?!» respirava già a fatica. Fui contenta di provocargli un certo effetto..

«Sì», ansimai. «Di cosa hai paura?»

«Dopo non si potrà più tornare indietro»

«Non ho nessunissima intenzione di tornare indietro, Castiel..», quasi non riconobbi la mia voce per quanto risultai essere bisognosa di lui, di ogni sua parte.

«Sarà difficile starmi dietro, sopportare i miei sbalzi d'umore, i continui problemi. Sarà un inferno». Per mesi non aveva fatto altro che stuzzicarmi sul voler farmi sua ed ora, che finalmente ero pronta a concedergli me stessa, era lui a tentennare. Incredibile. 

«Non m'importa. Se l'Inferno è con te allora non ho paura.. Voglio scottarmi, ustionarmi, farmi male. Tutto... se è con te!» non avevo mai supplicato così tanto una persona. 

L'audacia inaspettata ed il buio mi permisero di compiere gesti che in altri momenti non mi sarei neanche lontanamente sognata di compiere. Abbassai i suoi jeans insieme ai boxer liberando così la sua erezione. A quel punto non poté fare a meno di reagire. Si spogliò completamente sotto il mio sguardo ardente. Non lo avevo mai visto nudo, in tutto il suo splendore, prima di quella sera. La luce della luna fece brillare i muscoli definiti del suo addome rendendolo quasi sovrumano, una divinità. Le linee scolpite, le gambe toniche, i ciuffi di capelli ribelli sparsi per il viso. Era persino più bello di come avevo immaginato nei miei sogni.

Prese un profilattico dal portafogli, non feci domande, sapevo ne portasse sempre uno con sé anche quando non stavamo insieme, e se lo infilò. Si piegò su di me, inarcai la schiena per permettergli di slacciare il reggiseno e subito baciò i capezzoli lambendoli, poi salì sul collo e finì sulle labbra. Il suo ed il mio sapore si fusero in un bacio ricco di passione, come non era mai accaduto tra noi. Per un attimo provai un po' di vergogna, nessuno mi aveva toccata e baciata come stava facendo lui, ma fu presto sostituita dalla voglia ed eccitazione di essere completamente sua una volta per tutte.

«D'accordo, l'hai voluto tu..» abbassò i miei slip, accompagnandosi con dei baci leggeri sul ventre e sull'interno coscia, facendomi rabbrividire a dismisura; chiuse gli occhi per un attimo, li riaprì fiammanti e finalmente sicuri. Stuzzicò con le dita la mia intimità, poi si posizionò meglio tra le mie gambe «Brucia con me, Ariel!»

E così accadde... 

Sollevò il bacino e, con un colpo dolce, entrò dentro di me. Il respiro si bloccò. Era fortissimo il fastidio ed il bruciore percepito a causa di quella nuova presenza dentro il mio corpo. Chiusi gli occhi, strizzandoli, era indescrivibile il dolore misto al piacere di sentirlo così vicino a me.

«Stai bene, Ariel?» mi chiese apprensivo, col respiro ansante, restando fermo per farmi abituare alla sua protuberanza. 

Feci cenno di sì con la testa nonostante stessi morendo dal dolore, non volevo farlo preoccupare o indurlo a smettere. «Continua» rantolai. 

Restò immobile per un po', mi baciò e tornò a guardarmi. Mi prese il viso tra le mani, mi sorrise, e cominciò a muoversi piano stando attento a non farmi male. Dopo qualche spinta aumentò il movimento senza mai distogliere lo sguardo dal mio, come se volesse accertarsi che stessi realmente bene. Gemetti quando, man mano che mi abituai alla sua presenza, il piacere aumentò. Affondò sempre più dentro di me lasciandomi senza fiato ad ogni colpo. Una strana sensazione, simile a quella percepita sul divano di casa sua, e proveniente dal basso ventre mi fece irrigidire. Una sensazione magnifica. 

Più Castiel proseguiva e più il dolore diminuiva. Lambii il suo collo, poi cercai la sua bocca, la sua lingua; lui me la concesse. La sensazione divenne sempre più forte, salì fino allo stomaco, mentre il ritmo dei suoi movimenti aumentava. Il piacere s'impossessò di ogni parte del mio corpo, chiusi gli occhi e ansimai più forte senza riconoscere la mia voce, lui mi seguì gemendo. 

«Cass... Cass». Ormai non avevo più freni, il dolore era scomparso. Davanti al mio incitamento lui spinse sempre di più. Gli affondai le unghie nella carne, mi strinsi attaccandomi completamente al suo corpo per sentirlo sulla mia pelle, più affondo. Il suo cuore batté forte, in sincrono col mio, riuscii a sentire i suoi battiti. 

«Miki...» ansimò «sei così bella», quegli occhi grigi ora divenuti scuri, per la lussuria, avrebbero potuto benissimo disintegrarmi insieme alla sua voce. Dio, quanto lo amavo. Avrei voluto urlarlo al cielo, al mare, alla luna, a lui, ma non potei. Non potevo farlo, altrimenti sarebbe scappato. Dovetti mordermi la lingua per non replicare con quella parolina magica. Maledetti sentimenti!

Ignaro dei miei tormenti interiori strinse gli occhi mostrandomi un'espressione di puro piacere. La bocca socchiusa, il respiro caldo che si fondeva al mio, i ciuffi di capelli rossi che mi solleticavano il volto. Il suo corpo si univa al mio in un incastro perfetto. Tutto, ogni cosa, urlava erotismo da tutti i pori. Sarei esplosa, mancava poco. Due anime in un solo corpo, bastò pensare quel particolare per delirare. 

«Ti sento così tanto, Dio...» gemette forte, si bloccò un istante, con un solo e deciso colpo affondò fin nella più sconosciuta profondità del mio essere raggiungendo così il piacere estremo. Subito dopo fissò lo sguardo appagato nel mio, fu quello che decretò anche la mia fine e forse l'inizio di tutto. La sensazione persistente sin dal principio nel mio basso ventre crebbe, crebbe e salì fino a diffondersi in ogni fibra del mio corpo esplodendo in un piacere prolungato sconvolgente. Respirai a fatica. Cazzo, quanto era stato intenso e... strano.

Crollò sul mio corpo quasi soffocandomi in un abbraccio che sapeva di felicità. Con ancora il fiato corto per lo sforzo appena compiuto restò dentro di me, senza staccarsi, quasi come se fosse incapace di allontanarsi e uscire dal mio corpo. Ero riuscita a portare un po' di serenità nella sua vita, anche se per brevi attimi, mi sentii benissimo già solo per quell'aspetto. 

L'avevamo fatto sul serio. Castiel Black era ufficialmente la mia prima volta. Stentavo a crederci sebbene fosse accaduto da pochi minuti. Tante sensazioni si alternarono dentro me; dall'incredulità al leggero fastidio percepito nella mia intimità, dalla felicità alle torture mentali. Probabilmente Castiel era abituato a stare con donne molto più esperte di me, io ero stata totalmente impacciata per quasi tutta la prestazione, lo avevo a malapena sfiorato dopo il coraggio iniziale. Non c'era stata la passione che solitamente leggevo tra le righe dei romanzi, l'esperienza era stata sensazionale, il pensiero in sé incredibile, ma la mia goffaggine ed il dolore erano stati d'intralcio.. eccome. Sperai di migliorare nel tempo. Tuttavia non ebbi il coraggio di chiedergli niente. Restai immobile come una statua di sale sotto il peso del suo corpo. 

Quando decise di alzarsi, mi sentii quasi vuota, si tolse il preservativo e lo gettò chissà dove inquinando la spiaggia. Se non fossi stata così impacciata glielo avrei fatto raccogliere con la lingua, lo avrei rimproverato saccentemente come mi capitava spesso di fare, ma quello non mi sembrò il caso. Infilandosi solo i boxer si stese accanto a me; feci per alzarmi anch'io, ma lui mi bloccò «Non rivestirti, ti prego.. Voglio accarezzarti ancora un po'». Ed io chi ero per disobbedirgli? Mi limitai solamente a chiudere gli occhi per cercare di regolarizzare il respiro, con Castiel nei paraggi era quasi impossibile. 

Mi accarezzò le guance, il naso, la bocca, poi passò al braccio e risalì sul collo scendendo fino ai miei seni. Gli occhi grigi osservavano rapiti ogni movimento. Una dolce tortura di cui non facevo capace Castiel Black.  

«Sei così calda... Scotti», constatò. 

«Sono appena tornata dall'Inferno»

«E com'è stato?», l'espressione carica di aspettative. Sapevo cosa mi stesse chiedendo in realtà.

«Bollente, ardente, sconvolgente, doloroso. Mai stato in quel posto?»

«Io ci vivo!»

«Oh be' allora... Se la metti così potrei trasferirmici anch'io. Mi piace quel posto.», cercai di sdrammatizzare il suo tono serio. Sembrò quasi pensieroso.

«Ma se hai appena detto chiaramente che è stato doloroso...»

«Ogni cosa bella ti fa sempre stare male», sospirai.

«Ti farò molto male, Miki... Non lo meriti».

La sua suonò quasi come una promessa. La più dolce, torturante e dolorosa premonizione che avessi mai sentito. 

«E allora non farlo», bisbigliai. Nel mio sussurro racchiusi quasi una supplica.

«Ci proverò, ci proverò..» e lui l'accolse.

 

Noi...

Fuoco e benzinaAltamente distruttivi, e totalmente incapaci di sopravvivere distanti. Devastanti finché indomati. Ardenti finché accesi. Ma si sa che l'acqua è una dolce tentazione persino per il fuoco.

 

 

 

 

 

____________________________________________________________

🌈N.A.🌈

*cento colpi di tosse* 

Hello, non uccidetemi per la frase finale ma piuttosto siate contenti per questo capitoletto a luci rosse 🚨🚨

*suono di campane* *rullo di tamburi* CE L'HANNO FATTA. Quante gioie in questi ultimi due capitoli, vero?! 

Spero di avervi reso felici e di aver reso speciale questo momento così intimo tra loro. Non volevo cadere nel volgare, spero di esser stata delicata per quanto lo si può essere in momenti come questi. 

Allora, tenete conto che per Miki è stata la prima volta perciò non volevo rendere tutto troppo passionale, ho preferito mantenermi calma, basandomi sulla realtà, su come potrebbe essere sul serio la prima volta per una ragazza. I momenti altamente hot arriveranno ;) ;) ;)

San Valentino è alle porte (non solo nella realtà, ma anche nella storia) succederà qualcosa?

Che fine ha fatto Debrah?

Bene, anche per oggi ho finito. Vi saluto

All the love 💖

Blue night🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** CAPITOLO 40: Valentine's day ***




 

Capitolo 40

Valentine's Day







🎶Ellie Goulding - Love Me Like You Do (consiglio l'ascolto durante la parte finale del capitolo)🎶

_

🎶Il titolo di un brano consigliato è all'interno del capitolo. Trovatelo ;)🎶

 

***

Il mattino dopo mi svegliai nella mia camera d'hotel senza capire come ci fossi arrivata. L'ultima scena che ricordavo, della notte prima, erano le labbra di Castiel e lo sfondo del mare. 

La stessa donna che mi aveva truccata al provino entrò nella mia camera permettendosi il lusso di levarmi le coperte dal corpo e facendomi rabbrividire.

"Ma insomma... Che modi!", avrei voluto urlare e colpirla lì dove non prendeva il sole, ma non ebbi la giusta forza per farlo. I muscoli delle gambe e l'interno coscia indolenziti testimoniarono ciò che la notte prima era accaduto sulla spiaggia di quel paesino magico. La mia prima volta; era ancora strano da pensare che fosse accaduto così inaspettatamente. 

«Tra quaranta minuti dev'essere pronta, si alzi e vada a fare una doccia!» 

«Buongiorno anche a lei», sbadigliai infastidita dalla presenza non richiesta. Un po' di privacy sarebbe stata gradita, ma evidentemente Rabanne ed il suo staff non sapevano neanche cosa fosse. La signora, della quale ignoravo del tutto il nome -visto che non si era neanche presentata- si limitò ad incrociare le braccia al petto e a guardarmi di sbieco. 

Lasciai perdere la sua maleducazione e mi fiondai in bagno per fare una doccia. 

Un abito stretto a sirena color vinaccia con il corpetto cosparso di diamanti, fu il vestito cucito personalmente da Rabanne per quell'occasione e che dovetti indossare appena uscita dalla toilette. Nella pubblicità avrei dovuto rappresentare la femme fatale, ed io di fatale non avevo proprio niente. Il pomeriggio prima avevo ricevuto delle indicazioni sulle movenze e pose da assumere, sperai di ricordarle. 

«Non mi è concesso neanche fare colazione?» mi rivolsi alla signora antipatica con un tono acido. 

«Se mangiasse il vestito scoppierebbe..» mi squadrò dalla testa ai piedi quasi schifata. Ma che problemi aveva?

Che cosa diavolo aveva voluto insinuare con quella battuta scadente? Che fossi grassa? 

«So truccarmi e acconciarmi i capelli anche sola, non ho bisogno del tuo aiuto. Saresti così gentile da andartene a fare in culo?» alzai la voce e per poco non la tolsi fuori a suon di pedate. Evitai di rivolgermi a lei con tono formale, non ne valeva la pena.

Okay, l'influenza di Castiel iniziava a farsi sentire, ma non ne potevo già più di quella make-up artist con la puzza sotto il naso. Non avrei concesso più a nessuno d'insultarmi, o di guardarmi con fare altezzoso. 

«Mi sarebbe piaciuto farmelo mettere in culo dal ragazzo rosso, peccato io sia stata affidata a te. E dubito che tu sia in grado di fare il mio lavoro, ma in ogni caso non potrei abbandonare questa stanza, conosci Rabanne.. Quindi: prima ti accomodi e prima finiremo questa pagliacciata!» smise anche lei di usare il tono formale, con nonchalance tirò fuori tutte quelle belle parole, mentre l'istinto di romperle in testa i quadri appesi sui muri si fece insistente. 

«Ragazzo rosso?» sperai di non aver sentito bene. 

«Sì, Castiel Black.. Il ragazzo che deve registrare la pubblicità con te, hai presente?»

«Cosa c'entra lui con te, scusa?» volevo vederci chiaro. La gelosia arrivò fino alle unghie delle mani, a breve non avrei risposto delle mie azioni, me lo sentivo. 

«Ci siamo divertiti a nostro tempo», sorrise maliziosa e sollevò gli occhi al cielo sognante. Immaginai perfettamente chi stesse bramando nella sua mente lurida. Aveva all'incirca quarant'anni e Castiel diciotto. "Dio, ti prego dammi la forza per non ucciderla."

«Senti», mi avvicinai minacciosa alla sua figura e le presi il volto tra le mani per farmi guardare dritta negli occhi. Poco m'importò della nostra differenza d'eta, portavo rispetto solo a chi ne portava a me. «Parlerò una volta sola: non osare più avvicinarti a lui. Il passato è passato, ciò che è successo, è successo, ma Castiel Black ora è il mio ragazzo; il ragazzo di Micaela Rossi, ficcatelo bene nella tua testolina vuota, okay?!» le sorrisi fintamente «Adesso possiamo proseguire. Fa' il tuo lavoro!» mi allontanai da lei e mi accomodai sulla sedia dove avrebbe dovuto truccarmi e acconciare i capelli. Lei si posizionò dietro di me senza più fiatare e prese a sistemarmi. Non rispose alla mia minaccia, ma a giudicare dai suoi occhi sgranati recepì il mio messaggio forte e chiaro. 

In quei pochi giorni di relazione con Castiel non mi ero mai chiesta quante donne avesse avuto, quante esperienze avesse collezionato, ma a quel punto iniziai a chiedermelo. Dopotutto, però, il passato non poteva essere cambiato, andava solamente accettato. Ma non potei evitare di sentire le viscere contrarsi, il fastidio e la gelosia bruciarmi sulla pelle. Avrei tanto voluto essere l'unica, così come lui lo era stato per me. 

Quando la malata di sesso terminò il suo lavoro mi ammirai allo specchio, dovetti ammettere che fece un buon lavoro. Trucco leggero per dare vistosità maggiore alle labbra pitturate con un rossetto rosso scuro, dello stesso colore dell'abito che indossavo. I capelli legati lateralmente ricadevano ondulati sulla mia spalla destra; aveva optato per un semi raccolto, probabilmente consigliato da Rabanne stesso. Abbandonai la mia stanza senza neppure salutarla, o ringraziarla; era stata pagata per quel lavoro ed era addirittura stata a letto col mio ragazzo, ovviamente quando ancora non stavamo insieme, quindi il mio saluto proprio non lo meritava. 

«Non sapevo ti piacessero le donne mature..» fu l'unica cosa che dissi a Castiel appena lo incontrai nella hall dell'albergo. 

Lui, prima di rispondermi, mi fissò intensamente dalla testa ai piedi facendo bruciare la mia pelle, trattenne il respiro, e poi lo rilasciò quando mi guardò nuovamente negli occhi. «E' capitato un momento della mia vita in cui non facevo molte differenze, andava bene tutto», alzò l'angolo della bocca e poi si avvicinò al mio orecchio «Il rosso ti sta così bene addosso...» il suo respiro mi solleticò la zona superiore del collo ed inevitabilmente sussultai. 

E fui sicura che quella frase avesse un doppio senso. Il rosso del vestito ed il rosso dei suoi capelli sulla mia pelle. La sua bocca ovunque, sui miei seni, sul mio addome, tra le mie gambe, ed i suoi capelli rossi - un contrasto con la mia pelle chiara - che mi solleticavano provocando brividi e piacere lungo tutto il corpo. Quei pensieri piacquero alla mia intimità. «Stai pensando ciò che penso io?» rigirò il coltello nella piaga con quella domanda retorica insieme alla sua voce roca che tanto mi faceva impazzire. 

"Datti una calmata Micaela, siete in luogo pubblico", ogni tanto la mia coscienza faceva il lavoro per cui era stata creata. 

«Seguitemi!» la voce di Molly davanti a noi mi ridestò dai pensieri, per fortuna. 

Ci portò in spiaggia, accanto a degli scogli. Il sole era ancora basso per via dell'ora. Ci trovavamo dalla parte opposta al pezzo di spiaggia che, la notte prima, era stata spettatrice della mia prima esperienza sessuale; nonostante ciò non potei fare a meno di arrossire e trasalire al pensiero di quel momento, era inevitabile. Castiel se ne accorse, infatti si voltò verso me e strizzò l'occhio insieme al suo sorriso seducente. 

Era stato allestito un vero e proprio set cinematografico sulla sabbia. Intorno a dove ci fece posizionare Molly vidi tanti macchinari e arnesi di cui non conoscevo i nomi o l'esistenza prima di allora. Accanto alle telecamere una sedia vuota con scritto "Rabanne" spiccò tra le altre cose. Un telo bianco retto da dei ferri per creare la luce giusta. Oltre al fotografo e al cameraman vi erano altri uomini e donne, ognuno con in mano qualche aggeggio. "Caspita, che ansia!"

Frank, il fotografo, prima dell'arrivo dello stilista ci scattò qualche foto con la boccetta del profumo tra le mani, con Castiel alle mie spalle. Ci fece assumere le stesse ed identiche pose che ci aveva indicato il giorno prima, durante le prove. 

«Pronti per lo spot?» un Rabanne sorridente e vestito con un completo di lino bianco ci affiancò appena Frank finì il suo lavoro «è finalmente arrivato il grande giorno», strofinò le mani «Adesso vi dico cosa voglio da voi».

Io e Castiel annuimmo. Lo stilista parlò all'incirca per dieci minuti, ci spiegò ogni cosa alla perfezione. Quando concluse sospirai nervosa, non sarei mai stata in grado di rispettare le sue aspettative. Mi sentivo così nervosa..

«Ehi, calma. Andrà tutto bene. Respira», Castiel mi trasmise coraggio, mi abbracciò poggiando la testa sulla mia e accarezzandomi la schiena. Mi calmò. 

«Mikì, in acqua», mi ordinò Rabanne interrompendo il momento di serenità che il rosso era stato così bravo a creare. 

A malincuore mi staccai da Castiel e mi feci coraggio per entrare in acqua. Solo un matto come Paco avrebbe potuto far fare una pubblicità del genere in pieno inverno. Toccai l'acqua coi piedi e per fortuna non era eccessivamente fredda. Infilai le gambe, fino al busto, dentro l'acqua e trattenni il respiro. Il momento fatidico era arrivato, il cameraman a pochi centimetri da me aveva già azionato la telecamera. Mi voltai verso la spiaggia e chiamai Castiel con dei gesti, così come avrebbe fatto una sirena, con i palmi rivolti verso l'alto e le braccia che si muovevano alternate. 

Il rosso, come da copione, iniziò a camminare lentamente, con fare sensuale, verso di me. Indossava un papillon aperto, e una camicia bianca sbottonata di qualche bottone all'interno di pantaloni neri stretti ed eleganti. Pareva esser appena uscito da una rivista di moda ed effettivamente.. a breve sarebbe stato così. Quando mi raggiunse, mi sollevò tra le sue braccia e mi baciò con tanto di lingua. Quell'ultima parte non era tra le richieste di Rabanne, ma era risaputo... Castiel Black non amava ricevere ordini e non sarebbe mai stato capace di rispettare un copione. Non rifiutai il bacio, anzi, fui maggiormente istigata a proseguire perché non fummo interrotti. A quanto pareva lo stilista aveva apprezzato quel colpo di scena. Poi, il rosso, staccò le labbra dalle mie e trascinò entrambi sulla riva del mare. Qualcuno degli addetti, con un macchinario apposito, fece fuoriuscire del fumo per creare un effetto scenico. 

Lui sopra di me ed io sotto di lui. Dimenticai totalmente del mondo circostante, dimenticai che ci trovassimo su un set davanti ad altre dieci persone e con una telecamera alle calcagna. Castiel posò delicatamente le mani sotto le mie spalle e ci fece rotolare tra la sabbia per qualche centimetro, così come ci aveva indicato di fare lo stilista. Mi sentii un arancino o una cotoletta in fase di panatura per via della sabbia che si appiccicò al corpo, ma dettagli. Giunti al traguardo trovammo la boccetta di profumo Ivre, posizionata sulla sabbia, il rosso l'afferrò disinvolto e la mostrò alla telecamera. 

Infine, all'unisono, pronunciammo «Ivre, the new fragrance by Paco Rabanne», il fumo prodotto ancora da quell'aggeggio collegato chissà dove indicò il termine delle riprese. La telecamera venne abbassata, i volti di tutti erano soddisfatti.

«WOW! E questa affinità da dove sbuca fuori?» applaudì lo stilista mentre ci raggiunse. Noi restammo immobili, incapaci di staccare i nostri corpi, o forse solamente poco volenterosi per farlo. «Nel giro di un mese siete cambiati così tanto.. Non c'era solo alchimia, c'era fuoco, passione, desiderio. E non c'è stato bisogno neanche di rigirare le riprese due volte. Siete stati una sorpresa.. è stato un piacere lavorare con voi, nonostante tutto. Bravi!» si congratulò con noi e, senza attendere la nostra eventuale risposta, voltò le spalle lasciandoci soli. Gli addetti ai lavori iniziarono a smontare e raccogliere ogni cosa sparsa per la spiaggia. 

Ce l'avevamo fatta sul serio. 

«Grazie..» sussurrai senza fiato ancora sotto il corpo del mio ragazzo. Di risposta lui si limitò a sorridermi e a terminare quell'avventura con un bacio a stampo sulle mie labbra. 

Era stato lui a guidare i giochi durante tutti quei minuti. Aveva un talento naturale nello stare davanti ad una telecamera, era stato totalmente disinvolto. Dopo averlo ammirato anche in quell'ambito non ebbi più dubbi, il suo futuro sarebbe stato quello: il mondo dello spettacolo. Non come modello, ma come cantante. Non temeva il pubblico, le telecamere, o le persone di potere. Era perfetto, al contrario di ciò che si potrebbe immaginare nel vederlo a primo acchito. 

Quella mattina scoprii un'altra delle mille doti di Castiel Black. E ne restai irrimediabilmente stregata...

***

14 Febbraio 2015

Una camelia rossa sul davanzale della finestra fu la prima cosa che vidi al risveglio dal mio sonnellino pomeridiano. Era proprio lì, sotto al verbo scritto con la sua calligrafia che - da quattro giorni - aveva dato inizio a tutto. Ancora assonnata, e con la mente del tutto scollegata, mi alzai levando di colpo le coperte dal mio corpo. Rabbrividii per il freddo che mi colpì a causa della mancanza di calore del piumone, ma non ci badai tanto; avevo fretta di scoprire come ci fosse finito lì quel fiore. 

Chasing Cars

Era scritto su un bigliettino rosso legato al gambo della camelia. Corrugai la fronte e mentalmente feci la traduzione di quelle due parole. Inseguendo macchine; cosa diavolo significava? 

In un secondo momento sollevai gli occhi sulla finestra e confrontai le due calligrafie. Erano identiche. La consapevolezza di aver capito chi fosse l'artefice di quel bel pensiero mi arrivò dritta al cuore, con una fitta. Sapeva sorprendermi e confondermi, solo lui poteva essere capace di un tale controsenso. Così, senza perdere ulteriormente tempo, chiesi direttamente spiegazioni all'interessato. 

Miki:

A cosa devo questo gesto galante? Grazie, comunque. Ho apprezzato molto. 

PS Chasing cars?

Castiel:

Da questo posto sto guardando le macchine inseguirsi in attesa che la bella addormentata si dia una svegliata e mi raggiunga.

PS Sleeping At Last

Miki:

Quale posto? 

PS Dormire finalmente?! Mi stai facendo ammattire!

Castiel:

Dal primo giorno ti ho detto che non sarebbe stato facile.. Vuoi già arrenderti?

PS Non so bene come dire...

Miki:

Dimmi dove diavolo devo raggiungerti e falla finita!

Castiel:

In un giardino dove esplode la vita

Miki:

Sei ubriaco per caso?

Castiel:

Probabile, ma non è questo il punto. 

Se ascoltassi buona musica avresti già capito!

Miki:

Cosa caspita c'entra la musica ora?

Castiel:

Parc Floral De Paris

Miki:

Ma non è chiuso a quest'ora?

Castiel:

Per noi no

Miki: 

Mi farai arrestare un giorno di questi

Castiel:

Lo so

Miki:

Incoraggiante

Castiel:

Sbrigati invece di perdere tempo, non aspetterò in eterno!

Miki:

I veri gentiluomini aspetterebbero la loro dama sotto casa, per ore, e non direttamente al luogo dell'appuntamento. 

Castiel:

Non ho mai detto di essere un galantuomo, infatti.

PS Sbrigati!

 

Sbuffai ed evitai di rispondere al suo ultimo messaggio perché altrimenti mi sarei innervosita sul serio. Era assurdamente misterioso ed io lo amavo anche per quello. Giorni prima mi aveva detto chiaramente che non avrebbe voluto festeggiare San Valentino perché la reputava un'evenienza inutile, oltre che schifosamente romantica, ed io non avevo protestato; sapevo quanto fosse prevenuto verso quel tipo di cose. E invece... proprio il 14 Febbraio aveva organizzato qualcosa per noi, per stare insieme. Stava facendo dei gran passi avanti. 

Indossai di fretta e furia un paio di jeans, un maglione, le converse rosa e chiamai un taxi; di certo non avrei chiesto un passaggio a zia Kate, non ci rivolgevamo la parola quasi più. L'auto gialla arrivò all'incirca dieci minuti dopo, scesi velocemente e rischiai di fare le scale di sedere invece che con i piedi. Maledetto il mio ragazzo che m'invitava all'ultimo minuto a fare una passeggiata romantica. "Ah no, dimenticavo: passeggiata normale; romantica non esiste". Davanti ai miei stessi pensieri sollevai gli occhi al cielo. Prima o poi sarei riuscita a far cambiare idea a quella rapa rossa, non era possibile dover a tutti i costi privarsi di pronunciare ogni parola che avesse anche solo un'assonanza con l'amore. 

Entrata nel taxi diedi l'indirizzo al signore robusto sorridente che mi avrebbe accompagnato davanti al parco floreale di Parigi, e finalmente tirai un sospiro di sollievo. Avevo fatto tutto di corsa per evitare di rendere impaziente Castiel. 

«Signorina, lo sa che il parco chiude alle diciassette? Adesso sono le nove», il tassista mi osservò dallo specchietto retrovisore.

«Oh certamente, le ho dato quell'indirizzo come punto di riferimento. Non devo recarmi lì dentro», finii con una risata nervosa. Dannazione; in quel momento avrei volentieri riempito di schiaffi e pugni il bel fisico scolpito di Castiel.  

Dovetti divenire rossa in viso perché l'autista non mi guardò convinto, ma fortunatamente non proseguì il discorso. 

Quaranta minuti - e dieci messaggi di Castiel - dopo giunsi a destinazione. Continuava a scrivermi dove fossi e che fine avessi fatto, ma non gli risposi volutamente. Se non avesse deciso una meta così distante e, per di più, se si fosse scomodato a venirmi a prendere lui stesso sotto casa, di sicuro non ci avrei impiegato tutto quel tempo ad arrivare a quel benedetto parco. Con la moto e la guida spericolata del rosso avrei evitato i dieci minuti di traffico. Quindi era solo e soltanto dovuto a lui il mio ritardo. Ben gli stava aspettare! 

Dopo aver pagato profumatamente il tassista, e dopo aver aspettato che andasse via, afferrai il cellulare e chiamai Castiel; visto che di lui non si vedeva neanche l'ombra.

«Mi spieghi come faccio ad entrare qui dentro?», non gli diedi neanche il tempo di rispondere che subito mi accanii contro di lui. Sapevo di aver parlato con eccessivo nervosismo, ma non potevo fare altrimenti.  

«Seguimi», qualcuno mi toccò la spalla, la sua voce per metà nell'apparecchio telefonico e per metà dal vivo mi fece sobbalzare.

Mi aveva trovata. Lui mi avrebbe trovata sempre.

Prese a camminare davanti a me ed io lo seguii. I capelli sciolti, il giubbotto di pelle su quelle spalle larghe, il suo fondoschiena dentro quei pantaloni stretti. Caspita, a breve avrei dovuto chiamare il centodiciotto per quanto mi fece sentir male la sua perfezione. 

Camminammo sul marciapiede per qualche metro, poi svoltò a sinistra abbassandosi per entrare in quello che sarebbe dovuto essere il parco floreale di Parigi. Una rete verde tagliata circolarmente da un lato gli permise di posare i piedi sul verde prato, e di accedere illegalmente in quel posto. Non lo seguii.

«Non possiamo entrare. Qualcuno scoprirà che la rete è tagliata; ci arresteranno, faremo la fine che avremmo già dovuto fare per quel bagno nella fontana di Trevi. Non ci vedr-», andai in panico, ma fui prontamente interrotta dal rosso. 

Mi afferrò la mano e quasi mi trascinò fin dentro il parco. Fui svelta ad abbassare il capo ed il corpo, altrimenti sarei finita morta impigliata nella rete. Morta era un'esagerazione ma, in ogni caso, i capelli o i vestiti che indossavo si sarebbero impigliati se non avessi prestato attenzione. Dannato Castiel e i suoi modi burberi!

«Non sono mica scemo..» accompagnò le parole ai suoi movimenti; prese il pezzo mancante della rete e richiuse il buco con del ferro filato dello stesso colore della rete. Tornò come nuova, come se non fosse mai stata tagliata da qualcuno. 

Non fiatai, non servivano parole a quel punto. Aveva studiato quell'entrata alla perfezione, per non esser scoperto. 

«Vengo qui da qualche anno, quando ho voglia di stare solo, quando ho bisogno d'ispirazione per scrivere o comporre. Questo è...»

«Un giardino dove esplode la vita», conclusi al posto suo ripetendo le parole scritte da lui stesso un'ora prima per messaggio. 

«Già», mi sorrise. Il suo sorriso sarebbe dovuto divenire illegale in 159 paesi; avrebbe potuto provocare l'arresto cardiaco. 

Iniziai a guardarmi intorno e ciò che vidi mi sbalordì completamente. Tantissimi fiori dai colori sgargianti erano protagonisti di quel prato, sembrava avesse vita propria. Delle luci di piccoli lampioni mi permisero di ammirare quello spettacolo che di giorno doveva essere ancor più luminoso. Camminammo lungo una stradina di ghiaia, mano nella mano, fino ad arrivare ai lati di un piccolo laghetto artificiale dentro al quale vi erano delle oche. Fu lì che Castiel voltò. La riva del lago era totalmente cosparsa di erbetta verde e, prima dell'acqua, vi era uno spazio; lì intravidi una chitarra e una coperta abbastanza grande stesa. 

«If I lay here, If I just lay here.. Would you lie with me and just forget the world?» canticchiò all'improvviso quella domanda con una melodia che mi era vagamente familiare.

"Se mi stendessi qui, se solo mi stendessi qui.. ti stenderesti con me e dimenticheresti il mondo?"

«è una richiesta velata, la tua?»

«Be' dipende da cosa intendi», non fece in tempo neanche a finire di parlare che subito mi afferrò dalle mani e mi scaraventò su quella coperta, su di lui. 

«Ah quindi era una pretesa.. non una richiesta», mi ressi dal suo petto per poterlo guardare in volto. Eravamo così vicini, non ci eravamo ancora baciati quel giorno e la voglia di lui si fece sentire. 

«Non credo ti dispiaccia stare su questo bellissimo manzo scolpito», virgolettò con le dita le ultime parole. 

«Ma che...» corrugai la fronte cercando di capire.

«Quando sono venuto per portarti la camelia stavi sognando me che ti cavalcavo, evidentemente, e hai pronunciato testuali parole insieme ad altre che non ripeto per pudore. Sai, sono un ragazzo di una certa sensibilità..»

«Oh mio Dio!» avvampai e mi coprii il viso totalmente imbarazzata. «Non è vero... Stai scherzando» mugugnai con le mani davanti alla bocca, gli occhi spalancati «Dimmi che non è vero..» finii per sdraiarmi completamente su Castiel con il volto nascosto nel suo petto. Non ricordavo di aver sognato nulla di simile e quel genere di sogni dovevano esser ricordati per forza, vero? 

«Sì che è vero.. è verissimo. Addirittura gemevi», scoppiò in una fragorosa risata per la mia reazione. Sarei voluta scomparire all'istante. 

«Perché la camelia rossa?» con ancora il viso sotterrato su di lui gli chiesi quella mia curiosità. Dovevo per forza cambiare discorso in qualche modo.

«Non può esserci una spiegazione per tutto..»

«Sì, invece» sollevai il volto tornato del colorito naturale.

«Non puoi costringermi a parlare.. La mia bocca è cucita», fece segno con le mani di avere un ago tra le mani e di cucirsi la bocca. Simpatico. 

«Sì, invece..»

«Sai bene che odio chi pretende di darmi ordini», quasi si alterò. Quant'era suscettibile!

«Sai bene di aver perso una scommessa a Roma, quindici giorni fa, e di doverne pagare pegno», sollevai un angolo di bocca furbamente. 

«Speravo te ne fossi dimenticata..» mi scrutò tentando di capire cosa avessi in mente. 

«Oh, invece no... Aspettavo solo il momento giusto per colpire».

«Quindi?!»

«Risponderai a tutto ciò che ti chiederò e farai ciò che vorrò.»

«Per quanto tempo? E in che cosa consiste?», sembrò essere quasi allarmato.

«Inizia ora.. Tempo da definire.» Restai seria «Perché le camelie rosse?»

Sbuffò prima di rispondere «Per il loro significato e perché qualcun altro ha già pensato di farti trovare mille rose rosse per tutta la stanza. Volevo essere originale, contenta?!» cantilenò volendo farmi intendere d'importarsi poco di ciò che stava dicendo. Era quasi disgustato quando si riferì alle rose regalatami da Ciak, che tenero!

«Contentissima», sorrisi mostrando tutti i denti «Dove sono le macchine che avevi detto di star guardando mentre mi aspettavi?» mi guardai intorno cercando di trovare un punto dal quale si vedesse la strada principale. 

«Nelle nostre teste», replicò tranquillo come se fosse normale la sua risposta. Ma non lo era per niente.

«Ma che cosa cavolo...» ero confusa. Tantissimo confusa. Sarei diventata matta a furia di star dietro alle sue frasi dai significati nascosti. 

Ma lui, senza badare al mio sbigottimento, si sollevò da terra - facendo drizzare anche me - e, senza alzarsi del tutto, si sporse per afferrare la chitarra. La posizionò tra le sue braccia ed iniziò a pizzicare le corde producendo una melodia rilassante e leggermente familiare. 

Non lo avevo mai visto suonare da così vicino, non lo avevo mai ammirato suonare con una chitarra acustica, dai suoni troppo dolci in contrapposizione con la sua personalità aggressiva. 

I ciuffi color cremisi gli ricadevano sugli occhi, la fronte aggrottata per la concentrazione, lo sguardo basso sullo strumento, le braccia flesse e le gambe incrociate, lo sfondo del lago con riflesso il cielo stellato, il prato, i fiori... Tutto ciò mi fece sentire quasi spettatrice di un sogno ad occhi aperti. Il mio primo San Valentino; non avrei potuto chiedere di meglio. 

Ad un certo punto accompagnò la melodia con la sua voce, mille dei miei battiti annegarono nel lago del parco floreale di Parigi. Stava canticchiando la musica della frase inglese pronunciata da lui stesso appena giunti in quel posto. E fu lì che ricollegai ogni cosa. Tutti i tasselli di frasi citate da lui in quelle ore, apparentemente disconnesse tra loro, si unirono formando un grande ed unico puzzle. 

"Non so bene come dire quello che provo... Quelle tre parole vengono dette troppo spesso, non sono abbastanza

Dimentica quello che ci è stato detto, mostrami un giardino dove esplode la vita.

Sprechiamo del tempo inseguendo le macchine che stanno nelle nostre teste..

Tutto quello che sono, tutto quello che sono sempre stato è qui nei tuoi occhi perfetti, che sono tutto quello che posso vedere. Non so dove, sono confuso anche sul come.. so solo che queste cose non cambieranno mai per noi".

Ringraziai mentalmente la mia fissazione per i cantanti inglesi che mi permise di comprendere parte del testo cantato da Castiel. Per tutta la sera mi aveva dedicato quella canzone in modo celato, non avrei potuto desiderare nessun regalo migliore per quel giorno speciale. Ormai dialogare tramite i nostri brani preferiti era divenuto automatico, quasi la regola fondamentale del nostro rapporto. Perché né io e né lui eravamo poi così bravi a confessarci qualcosa, quello era l'unico modo che conoscevamo per farlo senza troppo disagio. 

Voleva suggerirmi di lasciare il passato alle spalle; di aiutare lui a farlo. Voleva dirmi di essere confuso, di provare qualcosa di strano per me, che non sapesse come fosse accaduto. Sentire quelle parole uscire dalla sua bocca mi fece volare, il cuore batté velocemente sembrò quasi uscirmi dal petto, le mani tremarono, le farfalle tornarono a farmi compagnia. Erano tante le emozioni che quel singolare ragazzo dai capelli rossi mi fece provare, sensazioni mai percepite prima e dalle quali non avrei mai voluto allontanarmi. 

Quando terminò di strimpellare quel brano gli diedi appena il tempo di poggiare la chitarra a lato della coperta che subito mi precipitai su di lui gettandogli le braccia dietro al collo. Senza più dilemmi, o pensieri, mi fiondai sulle sue labbra e lo baciai delicatamente. Finalmente potevo farlo, finalmente Castiel era mio. Mio sul serio. Il mio ragazzo. Davanti al mio gesto così naturale sentii il suo cuore aumentare i battiti: era un suono magico, dolce, un suono cullato dal vento freddo invernale. Ma io, come mi capitava spesso quando ero in sua compagnia, non percepivo il gelo; grazie alla sua vicinanza annullavo ogni cosa. 

Il mio cuore a mille, sentivo battere i due muscoli all'unisono mentre le nostre labbra si mossero armoniosamente l'una con l'altra. La sua mano sfiorò la mia guancia bollente, la mia sfiorò il suo fianco, poi la schiena, percepii il calore del suo corpo. Tremai per quanto fosse bollente; il mio inferno personale. Era bello sentire le nostre labbra giocare; era fantastico sentire le nostre lingue sfiorarsi gentilmente... tutto in quegli istanti era dannatamente perfetto. 

Senza staccare le nostre labbra lo sentii armeggiare alle mie spalle, quando avvertii la coperta sulla testa ed un senso di calore confortante intorno al corpo capii. Ci aveva chiusi nel plaid enorme che aveva portato per noi. Si creò la nostra bolla, lasciammo il mondo fuori. 

«Chasing Cars, cover degli Sleeping At Last», il suo fiato sulla mia bocca, sul mio viso «la canzone originale è del 2006, degli Snow Patrol. Quando l'ascolterai pensa a noi, a questa sera...» il tono di voce sensuale mi fece desiderare di più. Non lo vedevo a causa del buio totale, ma quell'aspetto fu ancor più elettrizzante. Finalmente compresi il significato dei suoi messaggi e seppi il titolo del brano che aveva appena suonato davanti a me, per me

Non risposi a parole, ero completamente inebetita dal suo profumo che in quello spazio ristretto  m'invase tutti i sensi. Mi avventai, invece, nuovamente sulla sua bocca; come se ne fossi dipendente. Ma in quel caso il bacio si trasformò in qualcosa di più passionale, bisognoso. Castiel, da qualche giorno, mi aveva permesso di scoprire un nuovo mondo: un mondo di piacere fisico e di appagamento totale, un mondo di connessione assoluta tra i nostri corpi; ed io ero desiderosa d'imparare, di scoprire di più. 

«Spogliaci», sussurrò con la voce rotta dal desiderio. Le sue mani erano impegnate a reggere la coperta, in quel caso sarebbe spettato a me il ruolo principale. Ero su di lui, sulle sue gambe, il suo membro mi desiderava così come io desideravo lui. 

Non mi feci ripetere quell'ordine due volte. Gli tolsi la giacca lentamente e la maglietta; quando gli sfiorai l'addome nudo inspirò rumorosamente. Poi passai al mio cappotto e al maglione. Non provai vergogna perché lui non poteva osservarmi visto il buio provocato dalla coperta, fu quello a darmi l'input finale per slacciare anche il reggiseno. Castiel si abbassò sui miei seni e li lambì entrambi, sospirai togliendo l'aria che non sapevo neanche di star trattenendo. Fu quasi una liberazione. 

«Continua», m'incitò scorrendo la lingua dai seni al collo e alternandosi con dei baci. Chiusi gli occhi per un attimo, la mia intimità pulsante, scariche elettriche lungo tutto il corpo. 

Slacciai entrambi i pantaloni, mi sollevai per toglierli insieme agli slip e così fece anche lui. Con fretta prese i vestiti tolti, li appallottolò e li gettò fuori dalla coperta, senza guardare dove. Per un attimo sorrisi; dentro di me sperai vivamente non fossero finiti nel lago, sarebbe stato un bel problema. Approfittai di quel breve attimo di luce per ammirare il suo fisico tonico, sarei stata anche intere giornate ad ammirarlo senza annoiarmi mai.. Quasi come fosse un quadro di Van Gogh. 

Ci coprì nuovamente e divenne tutto completamente scuro. 

«A te l'onore..» mi porse il profilattico, non mi ero accorta neanche che l'avesse recuperato dai pantaloni. 

«Cos... No! Io n-non...» andai in panico.

«Ehi, calma piccola Ariel», posò le mani sul mio volto scoprendoci le teste e mi guardò come forse non aveva mai fatto. Dio... Stavo per svenire.

Piccola Ariel. Quell'aggettivo accompagnato al nomignolo che usava spesso per chiamarmi mi fece terminare i battiti a disposizione. Morta e sepolta.

«Ci sono io qui con te, ti dirò come fare», mi rassicurò con un tenero bacio sulla fronte. Le farfalle dallo stomaco emigrarono dritte nel mio cuore. Quel ragazzo era capace di farmi provare sensazioni che pensavo non esistessero sulla terra. 

Con le mani tremanti aprii la bustina e presi il preservativo, lo abbassai sulla sua virilità, e mi bloccai indecisa sul da farsi. Castiel mi soccorse posando la mano sulla mia e, accompagnandomi, scendemmo il latice lungo tutta la sua intimità. Era la prima volta che sfioravo la parte più prominente di lui. Tirai un sospiro di sollievo e lui mi sorrise. 

«Visto?! Era così difficile?!» 

Feci segno di no con la testa e a quel punto mi sentii nuovamente a disagio. Cosa diavolo dovevo fare dopo?

«Adesso, ecco i-io n-non credo di essere brava a...» mi portai un ciuffo di capelli dietro l'orecchio e abbassai il volto arrossito. 

«Ehi...» mi posò due dita sotto il mento sollevandomi il viso. «Ti guiderò io, okay?» mi carezzò una guancia «Dopotutto.. Siamo qui per imparare, no?» e lo vidi nonostante il buio, la mia mente lo riprodusse nitidamente. Lo vidi quel suo sorriso omicida, tenero e sensuale al tempo stesso. Capace di uccidere, annientare. 

Dopodiché posando le mani sui miei fianchi, trasportando la coperta con sé, mi sollevò lentamente e senza fretta mi condusse fino ad entrare dentro di lui. Il fastidio fu lieve rispetto alla prima volta, scomparve dopo un breve attimo. Da quella posizione lo sentivo più a fondo, quasi fino allo stomaco. Fu una sensazione nuova e incredibile. 

«Quando vuoi inizia a muoverti, piano, senza fretta» le sue parole mi rasserenarono «Fammi dimenticare il resto del mondo...», fece riferimento a quel brano. Involontariamente sapeva essere romantico con quelle frasi, spesso estrapolate dalle canzoni, ma non gliel'avrei mai detto; altrimenti avrebbe smesso. Ed io amavo il suo modo, ogni suo modo. 

Iniziai ad ondeggiare su di lui, prima piano e poi intensificando il ritmo. Ansimammo e gememmo insieme. Mi accese e si dissolse, lo accesi e mi dissolsi. Lì, sul bordo del paradiso mi fece precipitare tra gli abissi accendendo il mio cuore in fiamme. Caddi nel suo inferno. Quando persi la lucidità prese a muoversi lui sotto di me, decise lui il ritmo. La testa girava, non riuscii più a distinguere i nostri corpi, i nostri ansimi, i nostri respiri, i nostri battiti. Diventammo un'unica persona. Mi sentii legata totalmente a lui come neanche la prima volta era accaduto.

Perché lui divenne la luce, la notte. Il colore del mio sangue. La cura al dolore. Veleno e antidoto. Lui... L'unico che avrei mai voluto toccare. L'unico che avrei mai voluto amare e possedere totalmente. 

"Seguimi al buio
Lasciati portare oltre i nostri satelliti

Ora... Puoi vedere il mondo che hai portato alla vita

Così, amami come sai fare solo tu..
Cosa stai aspettando?"

 

 

 

 






_________________________________________________

❤️N.A.❤️

BUON SAN VALENTINOOOO... 💘

Come Castiel e Miki anche il mio tempismo è perfetto. Pubblico il capitolo dedicato alla festa degli innamorati un giorno dopo. Che brava che sono🤛🏻

Ok, veniamo a noi. Sto fangirlando da sola per i MikiStiel, cioè... Ma quanto sono belli?! Non potevo non dedicare un altro capitolo all'inizio della loro love story, senza altri rompi balls. Probabilmente nel prossimo capitolo accadrà qualcosa, qualcosa... Ho già detto qualcosa? Ma godiamoci questi momenti va.. Io li adoro, so di esser di parte but... Sono troppo teneri. Punto. 

Ho volutamente evitato di riportare all'inizio uno dei brani consigliati per il capitolo perché volevo farvi uscire pazzi come Miki xD ho adorato questa parte. Fatemi sapere se anche a voi è piaciuta, se conoscevate la canzone e se avevate capito sin da subito. 

Adesso vi saluto,

All the love💖

Blue night🦋 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** CAPITOLO 41: Perdonami ***


 

Capitolo 41

Perdonami







🎶Imagine Dragons - Bad Liar🎶

Fidati di me, tesoro 
È stato un anno senza amore 
Sono un uomo di tre paure 
Integrità, fede e lacrime di coccodrillo 
Fidati di me, tesoro, fidati di me, tesoro

Quindi guardami negli occhi, dimmi cosa vedi 
Un paradiso perfetto, uno strappo alle cuciture 
Vorrei poter fuggire, non voglio fingere 
Vorrei poterlo cancellare, far credere al tuo cuore...

Ma sono un pessimo bugiardo, cattivo bugiardo 
Ora sai, sei libera di andare

Tutti i miei sogni non hanno mai significato nulla? 
La felicità giace in un anello di diamanti? 


***


MIKI

«Ehi Teresa, ho pensato molto alla tua proposta... Sebbene l'idea di allontanarmi da Kate sia allettante, non me la sento di venire a vivere con te e la tua nuova famiglia. Verrò a trovarti spesso volentieri, anzi mi fa molto piacere che saremo vicine, ma oltre a questo non riesco. Spero potrai comprendere la mia decisione.. A presto!» quella mattina, prima di recarmi a scuola, lasciai quel messaggio vocale nella segreteria di mia madre. 

Ci avevo riflettuto parecchio sul da farsi, in alcuni momenti avevo addirittura pensato fosse una buona idea andare a vivere insieme a lei, ma alla fine mi ero ritrovata a decidere l'opposto. Non ero pronta ad essere catapultata totalmente nella sua vita, nella sua famiglia. Avevo bisogno dei miei spazi, di mantenere le distanze così come lo era stato per tutti quegli anni. Preferivo ricucire i rapporti con lei un po' per volta, senza correre, senza alcuna fretta. Dovevo ancora metabolizzare di avere di nuovo una mamma, di non essere sola al mondo, e vivere addirittura insieme a lei sarebbe stato troppo. Ma non la giudicai per la sua proposta, anzi, mi fece piacere riceverla perché ciò dimostrava che ci tenesse davvero a riavermi nella sua vita. 

***

I giorni seguenti, a scuola, sembravamo essere diventati una celebrità. Castiel ogni mattina passava da casa a prendermi con la sua Harley e insieme ci recavamo a scuola. Sin da quando varcavamo i cancelli, ogni persona nel raggio di un chilometro si voltava per guardarci e la situazione non mi piaceva affatto, mentre Castiel - come suo solito - non ci faceva troppo caso. Non avevo idea del perché generassimo scalpore: probabilmente a causa della quantità immane di articoli del dolce journal in cui eravamo stati protagonisti nel corso dei mesi. Forse i vari alunni si chiedevano il motivo per il quale alla fine avessi scelto lui  tra Ciak e Nathaniel. Nessuno poteva sapere che il mio cuore l'avesse già scelto ancor prima di me sin da quando - per casualità o fatalità che dir si voglia - mise piede in quell'aeroporto di Roma, su quell'aereo per Parigi. 

Anche quella mattina, con il sorriso sulle labbra, intrecciò le nostre mani in un gesto spontaneo, e insieme percorremmo il corridoio del Dolce Amoris sotto l'occhio attento di centinaia di studenti. 

«Uff non sopporto tutti questi occhi puntati addosso», mi lamentai. 

«Lo ripeti ogni mattina, dovresti esserti abituata dopo due settimane..»

«E tu ogni mattina non mi sei d'aiuto!» lo guardai di sbieco fingendo un broncio.

«Cosa dovrei fare? Spiaccicare al muro tutti, uno per uno? Sarebbe l'unico modo che conosco, ma tu mi hai esplicitamente vietato di farlo», alzò le spalle come per dirmi di non avere il potere di fare nient'altro. Poi bloccò la mia camminata, impalandosi davanti a me, si abbassò per darmi un casto bacio sulle labbra. Anche quell'aspetto era cambiato in lui; riusciva a sbilanciarsi pure in pubblico. Non gli importava di avere spettatori, di mostrare al mondo che ci fosse qualcosa in più di una semplice amicizia tra noi. 

«Lascia stare», una volta giunti al mio armadietto, allentai la presa della sua mano e mi affrettai a prelevare i libri che mi sarebbero serviti per la prima ora.

«Allora, scegli il modello che più ti piace: ne ho abbozzati tre», all'improvviso fummo travolti dall'energia di Rosalya che mi portò davanti agli occhi tre bozze colorate di abiti da sposa. Che vergogna!

Arrossii all'istante, mentre Castiel sollevò un sopracciglio e trattenne a stento una risata. Era poggiato a braccia incrociate e con una spalla ad un armadietto chiuso. Il giubbotto di pelle e i jeans neri marcavano perfettamente le sue linee, sebbene nudo stesse ancora meglio... Persino in quell'attimo avrei avuto bisogno di una doccia gelata per placare i miei spiriti bollenti. Cavolo, ero proprio cotta! Lo trovavo irresistibile e bellissimo anche in un momento di totale imbarazzo, dove persino lui stava ingegnando qualcosa per deridermi. 

«Posso scegliere io l'abito al posto suo?» l'espressione divertita e per nulla seria, gli occhi grigi puntati su di me. Se non avessi amato infinitamente la sua faccia gliel'avrei rovinata a furia di schiaffi. 

«No! Lo sposo non può vedere la sposa prima del matrimonio, porta sfortuna!» Rose replicò portandosi i fogli sul petto per nasconderli. 

«Chi si sposa?» ci raggiunse Alexy. Ci mancava anche lui. Da quando c'erano stati quegli spostamenti di banco in classe, ingegnati da Rosalya, Alexy era entrato a far parte della cerchia ristretta degli amici di Castiel. Era strano vederli vicini: erano l'uno l'opposto dell'altro, ma con il passare dei giorni avevano legato sul serio.  

«I MikiStiel», replicò Rosalya, ovviamente, con eccessiva enfasi.

«Ma che?!» corrugò la fronte Castiel. 

«I vostri nomi uniti, il vostro tag sui social. Ah, a proposito: siete la ship più in tendenza del liceo» sorrise ampiamente Rose «Grazie a me!»

«Che cosa hai fatto questa volta?» le chiesi partendo già sconfitta. Immaginavo ne avesse combinata una delle sue. 

«Oh nulla... Ho solo creato la vostra pagina ufficiale su Instagram, Twitter e Facebook. Grazie alla pubblicità con Rabanne, a breve avrete persino l'account verificato, quello dei vip per intenderci. Mi sto preoccupando di raccontare ai vostri fan ogni cosa romantica che accade tra voi. A proposito: grazie Miki per i dettagli. Pubblico vostre foto ecc.. Sapete come vanno queste cose, no?!»

«No!» rispondemmo all'unisono, io e Castiel, allarmati. «Sai che avresti dovuto chiedere un nostro consenso prima di tutto questo, vero?!» Nè io e né Castiel amavamo passare il nostro tempo sui social, per cui non ci eravamo accorti di tutti quei movimenti. Ma, Rosalya, non si scompose minimamente e neanche Alexy. 

«Ah ecco allora di quale abito da sposa parlavi.. Ho già votato nel sondaggio per quello rosa. Starebbe d'incanto a Miki». Non avevo dubbi. Alexy era un migliore amico degno di Rose; ad entrambi mancava qualche rotella, entrambi erano disagiati. 

«Sul serio?! Ohhh è anche il mio preferito!» sollevò al cielo gli occhi sognanti, la sua amica. 

«Qualcuno sarebbe così gentile da informarci di cosa state confabulando? Quale sondaggio?» cercai di farmi sentire durante le loro chiacchiere, ma a quanto parve era inutile. Castiel restò immobile totalmente sconcertato per quei discorsi, indeciso se: darsela a gambe levate, o se sbattersi la testa contro gli armadietti. 

«Anche quello color avorio era carino, ero in lotta tra i due. Se avessi potuto li avrei votati entrambi».

«Sì hai ragione.. Ma potrei anche cucirli entrambi, eh! Ci sta un cambio d'abito dopo la cerimonia, per il ristorante», Rosalya si portò pollice e indice sul mento, pensante. 

«Smettetela tutti e due. Ora!» alzai la voce e mi guardarono con gli occhi sgranati. Gettai un sospiro di sollievo, finalmente ero riuscita ad ottenere la loro attenzione. «Spiegatemi cosa diavolo sta succedendo, grazie!»

«Ho creato un sondaggio e ho chiesto di votare per un ipotetico abito da sposa. Ma tranquilla: ho già avvertito che comunque l'ultima parola spetterà a te. Però ti consiglio di dar retta alla voce dei tuoi fan, non puoi deluderli. Hanno già votato diecimila persone; sta vincendo l'abito avorio al momento».

«Diecimila voti?» ero incredula. 

«Sì certo, di cosa ti stupisci? Sono pochissimi se messi in confronto ai centomila iscritti della pagina», rispose Alexy.

«Centomila in totale su tutti e tre i social?»

«No! Centomila su Instagram, Cinquantamila su Facebook, e Ottantamila su Twitter», puntualizzò la mia cara amica.

«Cristo santo!» la delicatezza di Castiel si fece sentire dopo tutti quei minuti di mutismo. 

«Quindi non potremmo cancellarle queste pagine?» chiesi, io, parlando sottovoce e guadagnandomi due occhiate omicide da parte di Rosalya ed Alexy. 

«Sei pazza? Hai il follow di Rabanne, a breve riceverai quello di Harry Styles e tu vuoi cancellarla?» alzò la voce, Rose.

«Che? Sul serio?» appena sentii quel nome persi un battito, la voce uscì strozzata, mi guadagnai un'occhiata infastidita di Castiel. "Eh ma... Harry è Harry!"

«Sì, era la mia sorpresa per le nozze!» 

"Oddio, oddio, oddio... Tutti avrebbero dovuto avere un'amica come lei".

«C-come hai fatto?» a quel punto mostrai maggiore attenzione per quell'argomento.

«Tramite Rabanne, ovvio. Chiederà un favore ad un paio di persone e arriveranno facilmente anche a lui. Grazie a questi vip influenti sui social, molti dei loro fan inizieranno a seguirvi, arriveremo al milione tranquillamente. A breve guadagnerete dei soldi veri grazie a questa pagina, e voi vorreste cancellarla?!» 

«Sì ma.. Io il suo follow avrei preferito guadagnarlo, non elemosinarlo...» brontolai.

«Non vorrei fare il guastafeste, ora, ma non ci sarà nessun matrimonio!» precisò Castiel, perspicace e leggermente scocciato dal mio cambio di visione. 

«Certo, ci avevo già pensato. Avete cinque anni di tempo per litigare, lasciarvi, rimettervi insieme e sposarvi. Tutto calcolato», quel dialogo assurdo terminò con l'occhiolino finale di Rosalya. 

Dopo quella breve chiacchierata avevo più chiaro il motivo per il quale ogni persona a scuola, da settimane, non faceva altro che fissarci ritenendoci appartenenti a chissà quale Olimpo. Era stata tutta colpa di Rose. Che brava amica!

***

CASTIEL

Alla fine ci era riuscita quella sirena. Ci era riuscita a catturarmi, ingabbiarmi, e più i giorni passavano e meno capacità avevo di liberarmi. D'altronde non volevo; stavo talmente bene con lei da desiderare di tenerla con me per tutta la vita. Inizialmente avevo il timore che, una volta avuto il suo corpo, non l'avrei più guardata con gli stessi occhi, avevo la perenne paura di sporcare la sua aurea di purezza con i miei demoni, i miei peccati, avevo l'angoscia di potermi facilmente stancare anche di lei... Perché dopo Debrah mi stancavo di tutte. E invece non era accaduto. Più entravo dentro il suo corpo e più fame avevo. Di lei; solo di lei. 

«A cosa stai pensando?» mi chiese scrutandomi con quegli occhioni scuri. 

«A niente», mi limitai a replicare. Ma lei lo sapeva, sapeva stesse avvenendo una lotta interna nel mio cervello. Mi capitava spesso. Stentavo a credere mi fosse stato concesso di essere felice di nuovo, stavo sull'attenti con il timore che prima o poi sarebbe potuto accadere qualcosa che me la portasse via. Cosa avevo fatto per meritarla? L'avevo ferita più volte di quante ero stato nel suo corpo. Perché il sesso era l'unico modo per guarirmi, l'unico gesto che conoscevo per chiederle scusa, persino per i guai che ancora non avevo combinato.  

«Ehi, smettila di pensare ancora quelle cose insulse», mi leggeva persino nel pensiero quella sirena ammaliatrice, o forse avrei dovuto chiamarla strega? Che canto dolce il suo, prima o poi avrei dovuto scrivere una canzone su di lei. 

«Non sto pensando a niente, ho detto!» ribadii quasi nervoso. Più di una volta le avevo confessato qualcosa sui miei timori, non le avevo rivelato ogni cosa che la mia mente incasinata pensava, ma già accennare per me era un grande traguardo. 

Era passato esattamente un mese dalla mia proposta singolare d'iniziare una relazione con lei. Erano stati i trenta giorni più tranquilli degli ultimi anni della mia vita. Miki era la medicina per acquietare i mille dubbi che ancora mi assalivano, non avrei potuto chiedere di meglio. Sperai solo di non combinare casini, di non rovinare tutto come il mio solito. Da giorni avevo quella stupida sensazione, il presentimento che tutto si stesse per rovinare... Forse perché ancora non avevo avuto modo di chiarire con Debrah. 

Con lei era stato tutto diverso... Non vivevo con quella tensione, con la sensazione di non essere abbastanza. A Debrah non dovevo dimostrare di poter essere dolce, romantico. A Debrah andava più che bene il mio lato selvaggio, scontroso, a lei importava di me solo sotto le lenzuola. Mentre con Miki... con lei era cambiata ogni cosa, ogni modo di vedere una relazione. Mi sembrava quasi di non aver mai avuto nessuno prima di lei, il che non era un aspetto del tutto positivo perché, cazzo, somigliavo ad un lattante. Mi stavo abituando alle carezze post sesso, a tenerla per mano in pubblico, a gestire il mio lato strafottente; pian piano stavo iniziando a prendermi cura di lei, ma avevo comunque la costante sensazione di non essere abbastanza. Cazzo, che tortura!

«Credo di conoscere giusto un modo per spegnere la tua mente iperattiva...» si morse un labbro prima di salire a cavalcioni sulle mie gambe. Nuda. Cazzo!

Come capitava spesso nell'ultimo mese, anche quel pomeriggio - dopo aver studiato insieme, a casa mia - eravamo passati ad un altro tipo di approccio molto più efficace dell'apprendimento sui libri: il sesso. Avevamo già concluso il primo round, in quel momento io le stavo accarezzando i boccoli ramati mentre lei sfiorava il mio addome. Erano incredibilmente rilassanti quegli attimi, peccato durassero poco. Non che mi lamentassi ma presto, appena Miki salì su di me mostrandomi il suo corpo fantastico a portata di mano, dimenticai il mio lato pacifico. D'altronde, modestamente, stava avendo un ottimo maestro e con il passare dei giorni era divenuta maggiormente sicura di sé e capace addirittura di prendere l'iniziativa. Più sesso facevamo e più pareva avere voglia; la mia partner ideale. 

L'aspetto disarmante, ciò che mi rendeva privo di difese, erano i suoi atteggiamenti. Nei gesti quasi totalmente disinibita, nell'espressione ancora una ragazzina. La mia ragazzina. Come in quel momento: nei movimenti grande provocatrice, mentre in volto mostrava un lieve rossore sulle guance. Adoravo la sua inesperienza, la sua vergogna. Sapevo pensasse che fosse un aspetto negativo per me, quello, ma non era vero. Perché la sua contraddittorietà, la sua inesperienza, la sua voglia di apprendere, mi eccitavano ancor di più. Però non gliel'avrei mai rivelato, altrimenti sarebbe stata meno spontanea a mostrami quei suoi lati. 

«Vediamo cosa sai fare, ragazzina» sollevai leggermente il busto per sussurrarle nell'orecchio. 

Di risposta mi sorrise provocante e, ponendo entrambi le mani sul torace, mi spinse con veemenza sul materasso. E quell'energia da dove usciva fuori? 

Dopodiché afferrò il mio membro con sicurezza e lo posizionò sulla sua intimità, come se fosse il suo giocattolo del piacere, ed iniziò a strusciarsi su di me. Trattenni il respiro per un attimo. 

«E questo? Da dove lo hai imparato?» ansimando riuscii a malapena a pronunciare. Mi aveva colto di sorpresa. 

«A quanto pare non sono poi così tanto ragazzina...» si abbassò per mordermi il labbro inferiore, poi poggiò la fronte sulla mia senza mai fermare il movimento del bacino. 

Le mosse lente, dolci e supplizianti; il respiro caldo e ansante, la bocca rosa e carnosa tra i denti, i capelli dal buon profumo della vaniglia, la sua pelle odorante di sesso, di me... Cazzo, non sarei durato molto di quel passo. Era strepitosa la mia Ariel. 

«Dove hai imparato?» ripetei cercando di distrarmi con quella domanda, sebbene stupida, ma non potevo rischiare di fare una figuraccia proprio con lei. Non mi era mai successo durante le prestazioni.. E quello non era neanche un vero e proprio amplesso; il mio pisello era tra le sue gambe, ma non dentro di lei. Cazzo, non potevo permettermi di fare una tale cattiva impressione e durare per cinque minuti. "Fa' finta di star facendo una doccia gelata, Castiel! Datti un contegno". Inspirai ed espirai chiudendo gli occhi. 

«Ho fatto un po' di pratica per essere alla tua altezza».

"Che. Cosa. Cazzo. Aveva. Fatto? Con chi?" non mi aspettavo quel tipo di risposta. E quello bastò per placare i bollenti spiriti, le sue parole fecero più effetto di una doccia fredda. 

«Puoi ripetere?!» bloccai i suoi movimenti e lei mi guardò sconcertata. Mi doveva delle spiegazioni. Subito.

«Geloso?» sollevò un angolo di bocca. Non era momento di giocare, doveva parlare. All'istante!

«Mi hai tradito e me lo riveli così?! Cazzo Miki, sei anche peggio di-» e lì mi fermai da solo, prima di combinare guai irreparabili, ma forse il danno era già fatto. 

«Sono anche peggio di chi? Di Debrah?» si allontanò immediatamente dal mio corpo facendomi percepire istantaneamente la sua mancanza «Quando la smetterai di paragonarmi a lei, eh Castiel?» si alzò dal letto senza far caso alla sua nudità, senza più guardarmi in faccia, corse alla ricerca dei vestiti sparsi sul pavimento. «A questo punto devo pensare che ci paragoni anche in altri ambiti.. è così? Chi scopa meglio?» si voltò verso me dopo aver indossato l'intimo «Rispondi Castiel! Chi scopa meglio tra me e lei?» era furiosa, mentre io restai disteso sul materasso, immobile, come un babbeo a seguire i suoi movimenti con gli occhi. 

«I-io non intendevo questo. Stavamo parlando di altro, non cercare di cambiare discorso!» tentai di essere, quanto meno, fermo nelle mie convinzioni. Non volevo paragonarle, mi ero solamente espresso male. Lei sapeva quanto fossi impedito nei discorsi, avrebbe potuto comprendermi invece d'insinuare. E poi non aveva ancora risposto alle mie domande.

«Secondo te sarei in grado di tradirti? Dopo tutto ciò che ho fatto, dopo tutto ciò che ti ho perdonato... ti tradirei?» finì di vestirsi impedendo così di bearmi della sua perfetta fisicità. Forse avevo esagerato, avrei dovuto contare fino a dieci prima di accusarla. «Smettila di pensare che io sia come lei, che io possa abbandonarti così come ha fatto lei. Smetti proprio di pensarla, cazzo! E' snervante dovermi sentire perennemente in competizione con lei. Io non sono Debrah, Castiel», agitò le mani e per la frustrazione se le portò tra i capelli, sulla testa. 

«Non la penso, non ti paragono a lei... è solo difficile per me fidarmi delle persone, lo sai.. E tu non mi hai aiutato per niente con quella battuta», mi alzai anch'io dal letto raggiungendola, ma appena le posai le mani sulle braccia si scostò. 

«Quindi la colpa sarebbe mia per aver fatto una stupida battuta, certo. Prevedibile», rise amaramente scuotendo la testa. «Vuoi sapere come ho fatto pratica? Ho letto degli stupidi articoli su internet; volevo essere degna di te vista la tua enorme lista di ragazze. Per una volta volevo essere io a sorprendere te, ma a quanto pare non va mai bene niente. Io sarò sempre meno delle altre. Che cretina sono stata!» finì pronunciando delusa, le s'inumidirono persino gli occhi, mentre io percepii uno strano senso di soffocamento. Non sapevo cosa mi stesse prendendo, ma non riuscivo a esternare ciò che pensavo realmente. Avrei voluto scuoterla, spiattellarle in faccia ciò che solo lei era capace di provocare al mio corpo e alla mia mente. Avrei dovuto continuare a sforzarmi come avevo fatto fino a quel giorno per piacerle, ma non era facile esternare quei pensieri. Mi dispiacque infinitamente di aver dubitato di un'anima bella come la sua. 

«Non devi sentirti inferiore alle altre..» le parole uscirono quasi soffocate. E sapevo, sapevo ci restò male per l'unica misera frase riuscita a pronunciare. Dovevo aggiungere altro, ma le parole mi restarono lì, ferme in gola. 

«Vaffanculo Castiel!» mi diede le spalle e subito dopo abbandonò quella casa.

Avevo rovinato tutto. Avevo rovinato i suoi sforzi, avevo frantumato la sua sicurezza. Come mi capitava spesso, anche in quell'occasione riuscii a distruggerla subito dopo averle ricucito piccoli pezzi di cicatrice. E con me sarebbe stato sempre così.. una lotta continua a causa della mia incapacità di fiducia nei confronti del mondo, a causa della mia incapacità di dialogare. Ero un fottuto disastro. Lei aveva bisogno di stare bene, di essere serena, aveva bisogno di qualcuno che le desse sicurezze, stabilità e forse quel qualcuno non sarei mai potuto essere io. Sulle spalle di Miki gravava un passato disastroso, perciò necessitava di avere a fianco una persona meno tormentata di me, qualcuno che potesse renderla felice sul serio ogni giorno, e non per brevi attimi come invece riuscivo appena appena ad offrirle io. Ci avrei provato ugualmente, sebbene sapessi di fallire ancor prima d'iniziare a combattere. Non mi sarei arreso come spesso tendevo a fare in ogni cosa. Perché Miki ne valeva la pena. Sarei uscito sconfitto da quella battaglia, ero certo di quel particolare, ma perlomeno avrei perso a testa alta. Lei ne sarebbe sempre valsa la pena.

***

«Ti credevo più furbo, sai?» 

Inaspettatamente Debrah, la sera stessa del litigio con Miki, aveva deciso di passare da casa mia giusto per torturarmi un altro po'. Coincidenza? Sinceramente iniziavo a pensare di avere delle telecamere nascoste dentro casa, lei sarebbe stata capace anche di quello. 

«Io invece credo tu mi abbia sottovalutato», non m'intimorivano più i suoi ricatti. Sapevo come difendermi. 

«Non credo», sorrise meschina incrociando le braccia e posizionandosi davanti al camino nel salotto. «I patti tra noi erano altri e non: giocare a fare il fidanzato della bella Miki», la sua voce era irritante non sapevo neanche come avessi fatto a trovarla sensuale in altri tempi. Come avessi fatto ad amarla restava un mistero.

«Lei non è un gioco. E non metterla più tra me e te, hai già esagerato abbastanza», il minimo che potessi fare era difendere la mia Ariel. Aveva ricevuto sin troppi insulti senza neppure meritarli. 

«Fino a prova contraria sei tu ad usarla per vendetta, per farmi ingelosire», sul suo volto si formò un mezzo sorriso a dimostrazione di non essere per nulla intimorita o infastidita dal mio assumere le difese di Miki.

«Ma che stai dicendo? Sei pazza!»

«Io sarò anche pazza, ma tu hai la memoria corta.. Il che è ancora più grave in alcuni casi». Odiavo quel continuo suo tergiversare senza mai giungere al nocciolo della questione. 

«Smettila! Non puoi più ricattarmi, non puoi più usare quei video contro di me. Ho le prove di ciò che hai architettato per incastrarmi». Stavo odiando la donna che più di tutti pensavo mi capisse, sostenesse. Stavo odiando la donna che non era mai esistita realmente, perché Debrah.. la mia Debrah, era stato solo frutto della mia immaginazione. La mia mente la dipingeva così come desideravo averla, ma nella realtà era sempre stata come si stava mostrando in quei mesi. Una persona cattiva, meschina, egoista, senza cuore. Io non potevo aver amato una donna del genere.

«Video? E chi ha parlato di video? Ah a proposito.. devo ammettere che siete stati ingegnosi, tu e la tua puttanella, a ricercare quegli escamotage direttamente nell'associazione degli scout. Sai essere intelligente quando vuoi, peccato che alla fin dei conti basti una ragazza carina per rammollirti», finse dispiacere. Aveva una voce da oca eccessivamente fastidiosa e vezzeggiata. Come poteva la gente acquistare degli album per ascoltarla restava anche quello un mistero.

«Tu... Tu lo sapevi? Come hai fatto?» a quel punto mi convinsi non stesse agendo da sola nel suo piano di rovinarmi la vita. Mi rifiutavo di credere che una sola ragazza potesse avere occhi dappertutto. Stava ricevendo l'aiuto di qualcuno, una persona squilibrata come lei, ma pur sempre una seconda persona che le facilitasse alcuni movimenti, che le spifferasse alcune informazioni. Se si fosse trattato di un uomo l'avrei strangolato a mani nude volentieri.

«Ho le mie conoscenze».

«Non importa, mi hai evitato l'inutile discorso che avevo intenzione di farti. Meglio così!» cercai di non farmi vedere da lei debole, ma ero stato spiacevolmente colpito dalla sua conoscenza del mio asso nella manica. 

«Già... Risparmia le energie e allena la mente per un discorso da fare alla tua nuova ragazza, devi essere convincente questa volta; non come il tuo solito».

«Che cazzo stai blaterando?» stavo perdendo la pazienza, ma sul serio. Detestavo le frasi a metà, i discorsi senza fine, e lei lo sapeva perciò aveva deciso di martirizzarmi un altro po'. 

«Oh niente di che! La sera del concerto ti ricorda qualcosa?»

"Cazzo, avevo completamente dimenticato quell'accaduto!" un lampo riaccese tutti i ricordi.

«Sai perché l'ho fatto...»

«Sì io sì, ma lei non lo sa. Crederà solo a quello che sentirà fuoriuscire da qui dentro», scosse il suo cellulare, davanti la mia faccia, ridendo compiaciuta. Tentai di afferrarlo per pestarlo sotto i piedi eliminando così quelle prove, ma lei fu più svelta di me e subito allontanò quell'aggeggio dalla mia portata.

Quella sera mi aveva registrato. Non poteva essere vero. Ero stato così stupido, Dio. Mi sarei volentieri strappato i capelli dalla testa, uno ad uno, per l'eccessiva frustrazione che provai contro me stesso. Sapevo sempre rovinare ogni cosa bella, non meritavo Miki.

«Perché vuoi farmi questo, Debrah? Non ti è bastato distruggermi due anni fa? Perché non la smetti di torturarmi e ci lasci in pace? Io voglio lei, mettitelo in testa. Niente mi farà cambiare idea, neanche i tuoi ricatti del cazzo!» a quel punto non ci vidi più. Le urlai contro come rare volte avevo fatto.

«Tu non cambierai idea, ma lei sì dopo ciò che ascolterà!»

«Cosa vuoi in cambio?» barattare era l'unico modo per avere Miki un altro po' di tempo con me. Non ero pronto a lasciarla andare così presto. Non volevo che la verità le venisse raccontata dalla stronza di Debrah.

«Partirai con me!» sorrise.

«Che... Dove?» doveva essere sul serio una squilibrata qualora, quella, la ritenesse una soluzione possibile.

«Saprai tutto a tempo debito. Dovrai accettare alla cieca, senza saperne i dettagli», parlò con nonchalance, come se stesse proponendo di andare a prendere un caffè insieme.

«Di quanti giorni si tratta?» 

«Non si tratta di giorni, Castiel.. è per sempre!» e mi sentii il mondo cadere addosso. Non avrei mai potuto.

«Non puoi costringermi Debrah... In questo modo la perderò in ogni caso..» non avevo quasi più parole. 

«Era questo il mio intento, infatti. Vivila in questi mesi con il costante rimorso di ciò che hai fatto, con la costante paura di poterla perdere da un momento all'altro. Ogni azione ha le sue conseguenze, Cass!» 

«Perché mi fai questo?» ero incredulo, sul serio. Quella proposta le aveva superate tutte. Ci odiava talmente tanto da voler forzare ad ogni costo la nostra separazione. 

«O con me, o con nessuno. Ricordi?!»

Quella stupida promessa. Ricordava ancora quella stupida promessa fatta due anni prima. Avrei tanto voluto rimangiarmi le parole, riavvolgere il nastro, tornare indietro nel tempo, ma non era possibile. Amarla era stata la mia condanna, una pena di morte. Ed ora non sarei più potuto tornare indietro. Ci eravamo giurati che qualunque cosa fosse accaduta, prima o poi, saremmo ritornati insieme. E così sarebbe stato, anche se in un modo del tutto inaspettato. Io non l'amavo più. 

«Le cose sono cambiate adesso..»

«Per te, ma non per me!» si avviò verso la porta per abbandonare quella casa che avrei tanto voluto bruciare per la rabbia «Da oggi, fino a quando non sarà il momento di partire, non m'intrometterò più nella vostra storiella patetica», una smorfia disgustata alla fine «Divertiti con lei ma non innamorarti, Castiel. Non ho intenzione di sorbirmi la tua depressione, poi. E ricorda: l'orologio fa tic-tac!» concluse con un occhiolino. «Sempre se sarai in grado di non farla scappare prima... Visti gli ultimi avvenimenti non credo durerete più di qualche altro giorno. Vi lascerete senza il mio intervento, ed io guarderò lo spettacolo dall'alto», sorrise diabolica. In qualche modo a me sconosciuto conosceva tutti i retroscena del mio rapporto con Miki. Avrei dovuto controllare casa da capo a piedi per capire se ci fossero o meno delle cimici. Ero stato innamorato di una pazza, non mi sarei stupito più di nulla. 

«Non ho intenzione di accettare; non so neanche che tipo di viaggio andrei a fare. Non posso!» volutamente evitai di replicare sul discorso del mio futuro con Miki, si era già intromessa abbastanza tra noi.

«Oh, ma lo farai a tempo debito. Ti conosco troppo bene, non rinunceresti mai ad una proposta del genere.. Neanche per amore».

E se ne andò scomparendo dietro la porta, senza aggiungere altro. Portandosi con sé persino la mia anima, se ne andò. Tutti i miei sforzi per controbattere ai suoi ricatti, per evitare il carcere, erano stati vani. Perlomeno con la prigione non avrei spezzato il cuore di Miki, l'avrei ferita ugualmente ma in modo minore rispetto a quello che le avrei provocato in quell'occasione, in quel modo. Ero stato un completo deficiente la sera del concerto. Dovevo immaginare stesse architettando altro, qualcosa di ancora più grave, qualcosa di letale. 

Per l'ennesima volta, a causa sua, mi sentii impotente. Un burattino nelle sue mani. 

Nel tempo che mi restava a disposizione avrei trovato il coraggio di dire a Miki ciò che era successo prima di quel concerto, ancor prima di essere rinchiuso in quella stanza con lei. Glielo dovevo, almeno quello. L'avrei persa ugualmente, ma tanto valeva perderla a testa alta, rivelandole io stesso del torto fatto. In quel mese avevo totalmente dimenticato cosa fosse accaduto in quel bagno, all'epoca ero ancora in collera con lei per avermi abbandonato.. Sapevo non fosse una giustificazione plausibile, ma la mia mente in quell'istante non aveva riflettuto abbastanza da evitare il danno. Non stavamo ancora insieme, ma il nostro rapporto era già su un gradino superiore, era già accaduto qualcosa, e non mi avrebbe perdonato l'ennesimo sbaglio. Ne aveva già perdonate tante, ad ogni cosa c'era un limite. Ed io lo avevo superato. Non mi avrebbe creduto, non si sarebbe fidata più di me. 

Castiel: Perdonami...

Miki: No!

Castiel: Vuoi lasciarmi?

Miki: No!

Castiel: 

Domani verresti con me in un posto? Questa volta ti passerei a prendere sotto casa, farò lo sforzo di essere un galantuomo per una sera.

Miki: No!

Castiel: Mi sto irritando!

Miki: Gratta che ti passa!

Castiel: Acida

Miki: Coglione

Castiel: Permalosa

Miki: Ignorante

Castiel: Bellissima

Miki: Non attacca più questa.. Cambia modalità di rimorchio.

Castiel: 

Resta con me, Miki... Oggi e sempre. Ho bisogno di te, qualunque cosa accada. Sono uno stronzo, incapace di saper distinguere chi ci tiene sul serio a me, chi potrebbe tradirmi oppure no. Non ho mai dubitato della tua innocenza, mi sono solo fatto suggestionare dai pensieri negativi. Sei un'anima buona, Ariel, ed io ho bisogno di te per sentirmi meno sporco, per sentirmi migliore. Non potrò cambiare mai, ma quando sono con te mi sento bene e non voglio smettere di sentirmi così. Non ora. Non ancora.

Miki: Adesso va già meglio, ma potresti migliorare iniziando ad essere più positivo. Non pensare al fatto che tra noi potrebbe finire, vivi l'attimo senza condizionamenti. Ricordi? Sei stato tu stesso a suggerirmelo. 

Castiel: D'accordo, ci proverò

Miki: Quello di domani dovrei considerarlo il nostro primo ed ufficiale appuntamento?

Castiel: Accetti?

Miki: Solo se prometti di farmi stare bene

Castiel: 

Lo prometto.. E sì sarà il nostro primo vero appuntamento.

Miki: Wow devo correre a scriverlo ai miei fan!

Castiel: 

Sul serio ti sei fissata con quella cosa stupida dei social solo perché riceverai un follow del bambolotto dai capelli ricci?

Miki: Modera i toni quando parli di lui. Dal follow al matrimonio il passo è breve. Sarà lui il mio sposo, è per lui che Rosalya sta cucendo il vestito. Tanto.. Tu non hai intenzione di sposarmi, no? :P 

Castiel: Smettila!

Miki: Sei geloso per caso?

Castiel: NO!

Miki: Perché non riesci ad ammettere di essere geloso?

Castiel: Perché non lo sono!

Miki: Sì certo, hai paura ad ammetterlo perché altrimenti dovresti confessare di tenerci a me più di quanto tu voglia dimostrare. Ti leggo nel pensiero ormai, Black! Non puoi avere segreti con me.

Castiel: Sei irritante quanto ti ci metti eh!

Miki: Questa è una tacita ammissione di ciò che ho scritto prima, per caso?

A che ora domani?

Castiel: 

No!

Alle 20

Miki: Perfetto, non c'è bisogno che tu aggiunga altro :P Buonanotte Mr. Brontolone

Castiel: Buonanotte Ariel

-

Avrei solo dovuto imparare a lasciarla andare un po' per volta, ma prima giurai a me stesso di farle vivere dei momenti indimenticabili. Oltre al dolore avrebbe dovuto ricordare soprattutto la felicità che anche solo la presenza dell'altro suscitava in noi. Avrebbe dovuto ricordarsi di me, di quel ragazzo matto dai capelli rossi incapace di cambiare e capace solo di combinare guai, con un sorriso sul volto. Avrebbe dovuto ricordarsi di me come quel ragazzo cocciuto incapace di ammettere qualsiasi cosa per orgoglio, per il terrore di far battere di nuovo il proprio cuore; ma avrebbe dovuto farlo con un sorriso sulle labbra, con quel sorriso sincero appartenente solo a lei, quel sorriso ingenuo capace di scaldare persino il cuore di ghiaccio ad un ragazzo apatico come me. Per quanto possibile avrei annientato le sue lacrime ancor prima di provocargliele, sperai bastasse per non farmi odiare completamente da lei.  

Per noi dal tempismo perfetto: l'arcobaleno prima della tempesta, con la speranza che poi, la tormenta, sarebbe stata meno devastante.

 

 

 

 

 

 

_______________________________________________________________

🌈N.A.🌈

Non uccidetemi. Sapevo amaste la pace respirata negli ultimi capitoli, ma stiamo per arrivare al nocciolo della questione, al round finale della storia, non potevo non inserire l'ultimo ostacolo per i MikiStiel (ancora velato ma non spiegato apertamente). Ce la faranno o si lasceranno? 

Il capitolo è iniziato nel disagio più totale di Rosalya ahahah, a voi i commenti su quante gliene vengono in mente. 

Miki, prevedibilmente, ha deciso di non trasferirsi a casa di Teresa. 

E poi loro... Un inizio di POV bollente quello di Castiel, che poi però si è concluso in un litigio della coppia. Il loro primo e vero litigio da fidanzati, sono emozionata. 

Dopo ancora BOOOOOOOM.... Non ha bisogno neanche di presentazioni.. Negli ultimi capitoli si è fatto solo un breve riferimento a lei, ma eccola fare la vera e propria comparsa ufficiale con tanto di botto finale. Debrah ha classe, non c'è niente da fare. L'antagonista per eccellenza, sono fiera di lei.

Sarà sul serio come pensa Castiel? Agisce da sola o ha qualche specie d'aiuto? Come fa a sapere sempre tutto?

Di cosa si tratterà questa partenza di cui Debrah è sicura che Castiel accetterà ad occhi chiusi la destinazione? 

E cosa avrà combinato questa volta Castiel che Miki non potrebbe mai e poi mai perdonargli?

Un po' di pepe ci voleva, e l'unica in grado di versarlo non poteva che essere lei.

Nel pov di Castiel spero di avervi fatto percepire tutti i suoi dubbi, le sue paure, insicurezze, è pessimista in tutto e per tutto. Ho sempre un leggero timore quando racconto la storia dal suo punto di vista, perché temo di non dimostrare bene ciò che la sua mente contorta pensa. Spero di avervi fatto calare nei suoi sentimenti, un minimo. 

Adesso vi saluto, 

All the love💖

Blue Night🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** CAPITOLO 42: Promesse ***


Capitolo 42


Promesse







🎶Selena Gomez - Good For You🎶

Ora tu dici che ho un tocco così buono,

Faccio in modo che tu non voglia mai andartene

Indosserò quell'abito che ti piace, attillato

Mi sistemerò i capelli in modo veramente, veramente carino

E la mia pelle sarà a ritmo sincopato, come il battito del tuo cuore

Perché voglio solo essere bella per te.

Lascia che ti mostri quanto sono orgogliosa di essere tua

Lascio questo abito stropicciarsi sul pavimento..

E ancora voglio solo essere bella per te!

-

🎶Zara Larsson ft. MNEK - Never Forget You (parte finale capitolo)🎶

***

MIKI

Più volte, in quelle ventiquattro ore, avevo implorato Castiel di rivelare il posto in cui mi avrebbe portata quella sera, ma non si era scomodato a rispondermi. Eravamo al telefono da quasi mezz'ora, lo avevo supplicato in ogni modo possibile; era stato irremovibile. 

«Dimmi almeno come vestirmi. Casual, sportiva, elegante, gl-», m'interruppe.

«Ti sta bene qualsiasi cosa, fai tu!»

«È una specie di complimento il tuo?» 

«No, è solo la verità».

«Grazie, credo..» era strano ricevere frasi positive da Castiel. Era passato un mese, eppure non ero ancora abituata a quel suo modo velato di fare apprezzamenti. «Però non vorrei sembrare fuori luogo in un abito poco appropriato nel posto misterioso in cui mi porterai..»

«Tu non saresti mai fuori luogo», sganciò quella bomba con nonchalance, come se quei complimenti fossero di ordinaria amministrazione per lui. 

"Oh. Mio. Dio. Ho bisogno di una bombola di ossigeno. Ora!" 

Il suo tono di voce sensuale al telefono era capace di uccidere sul colpo. Ed io ero rimasta stecchita come una lucertola uccisa da un'insetticida. Immagine schifosa, ma adatta all'occasione. 

«Oh...» risposi semplicemente come la demente che ero. Bastava la sua voce per farmi dimenticare persino il mio nome; ormai ero un caso da ricovero. 

«Adesso potremmo chiudere la chiamata? Dovrei fare una doccia, a meno che tu non ti voglia unire a me... Preferirei la tua presenza in carne ed ossa, ma sono uno che si accontenta; un po' di sesso telefonico non fa mai male». Che gran stronzetto! Sapeva di avere un certo effetto su di me e ne approfittava per scherzarci su. 

«Be'...»

"Ma ti decidi a dire una frase sensata o ti stai impegnando appositamente per sembrare un pesce lesso affetto da balbuzia?!" riecco la mia coscienza; era da un po' di tempo che non interveniva in momenti poco consoni. "I pesci lessi non parlano, quindi non possono esser colpiti da balbuzia".

"Gne-gne-gne, signorina so tutto io, ti sei accorta - almeno - che il tuo ragazzo ha chiuso la chiamata, o hai intenzione di tenere il cellulare all'orecchio per sport?" che vocina fastidiosa, peccato fosse la mia. "Quando? Cosa dici?" 

«Cass?!» chiesi titubante; non rispose nessuno. 

"Visto?! Donna di poca fede! Per fortuna ci ho pensato io a rispondere al suo saluto, senza che te ne accorgessi.."

Diedi poca retta alla mia amata vocina interiore e mi decisi finalmente a prepararmi per l'appuntamento di quella sera. Mancava un'ora. Cavolo! Avevo esagerato con le suppliche telefoniche. 

Dopo un'ora esatta ero pulita, profumata e pronta per la mia prima uscita ufficiale come ragazza di Castiel Black. Visto il soggetto particolare non ero poi così sicura che mi avrebbe portata a cenare in un qualsiasi locale, come le persone normali. Avevo giusto il sospetto che saremmo andati altrove. Per cui scelsi un abbigliamento elegante, ma comodo, più o meno adatto a qualsiasi posto. Avevo indossato un abito nero - lungo fino al ginocchio - interamente di pizzo con le maniche a trequarti, con scollatura a barchetta contornata da dei fiori beige. Ai piedi infilai dei tacchi poco alti, in modo da riuscire a camminare ovunque e senza torture. Lasciai i capelli sciolti con i boccoli naturali, sapevo li preferisse in quel modo. Sperai mi trovasse carina. Mai prima d'allora mi ero agghindata per piacere a qualcuno, un tempo mi attillavo per piacere a me stessa; in pochissimi mesi le cose erano decisamente cambiate. Volevo essere bella soltanto per lui.

Alle venti in punto mi arrivò un messaggio. 

Mr. Pomodoro Brontolone: Hai 40 secondi di tempo per uscire da quella casa!

Miki: Altrimenti?

Mr. Pomodoro Brontolone: Faccio irruzione nella tua stanza, sollevo quel bel vestito nero che indossi e ti sc... contro il muro. 

Miki: Come fai a sapere cosa indosso?

Comunque c'è mia zia in casa, non lo faresti!

Mr. Pomodoro Brontolone: Non chiedere cose di cui sai che la risposta potrebbe turbarti.

Non sfidarmi. E... i 40 secondi sono già passati da un pezzo.

Miki: Non aspettavo altro...

Appena inviai l'ultimo messaggio, però, avevo sceso le scale che separavano la mia camera dall'ingresso ed ero già fuori casa. Avevo volutamente giocato con gli ormoni e la fantasia di Castiel, un po' come a lui piaceva fare con me. Fu una piccola vendetta femminile, meritatissima. 

«Allora.. dicevamo?!» gli sussurrai provocante all'orecchio. Nei momenti in cui la vergogna spariva diventavo brava in quel genere di cose.

«Che stronza sei diventata..» bisbigliò come se fosse un segreto. Si voltò verso di me, mi afferrò dal bacino e mi baciò togliendomi il respiro. Dio.. quelle labbra, quel respiro; ero succube di ogni parte del suo corpo, di lui. 

«Ho imparato dal migliore», sorrisi affannata dal suo assalimento. «E questa da dove salta fuori?» mi riferii alla macchina sulla quale era poggiato di schiena. Evento del secolo: per una sera si era separato dalla sua Harley. 

«Me l'ha prestata un amico», accennò un sorriso sollevando un angolo di bocca. Era un auto sportiva a due posti, nera e lucidissima: un'Audi, per la precisione. Doveva essere benestante il fantomatico amico. 

«Ti decidi a salire o devo caricarti sulle spalle?». Sempre la stessa storia; impaziente sin dalla nascita.

«Ho le gambe, ce la faccio benissimo da sola, ma grazie del pensiero», non rispose a quella mia battuta acida. Con il sorriso sulle labbra, raggiunse il posto guida, aprì lo sportello e si accomodò sul sedile. Non facendo caso ai suoi gesti mancati da gentiluomo entrai anch'io in auto, e partimmo per chissà dove. 

«Dove mi porti di bello?» gli chiesi facendo la finta tonta. Sapevo non mi avrebbe svelato la destinazione. 

«Dobbiamo sul serio riaprire il discorso?!» alzò gli occhi al cielo e sospirò. Sapevo di essere pesante con la mia eccessiva curiosità, ma doveva sopportarmi. Dopotutto gli piacevo, no?! Quindi avrebbe dovuto accettare i pregi e i difetti, un po' come facevo io con i suoi.

«Quale discorso?» proseguii nella mia impresa. 

«Va bene, facciamo un bel gioco».

«Sììììì... Adoro i giochi», battei le mani felice. Sembravo una bambina, ma poco m'importò. Con Castiel potevo essere me stessa.

«Lo so bene, per questo te ne propongo uno», si morse il labbro per non ridere. Cosa aveva in mente? «Il gioco del silenzio: fin quando arriveremo al posto in questione non dovrai parlare».

«Ehi.. Ma così non vale. È un gioco conveniente solo per te», m'imbronciai, corrugai la fronte e incrociai le braccia al petto. 

«Comincia da ora. 3... 2... 1... Via!» ignorò la mia protesta. 

«Non ho accettato di partecipare», brontolai facendogli notare l'evidenza. 

«Ma se partecipassi potresti vincere una qualsiasi domanda da farmi. Non mi farei sfuggire quest'opportunità», cercò di convincermi. Be', in effetti... Rare volte rispondeva alle mille domande che gli facevo.

«Risponderai a qualsiasi domanda?» avevo giusto pronto un quesito sulla punta della lingua.

«Certamente, ma solo una».

«Okay, allora accetto!» la mia curiosità vinse sull'orgoglio. Dannazione! Quel ragazzo sapeva bene come contrattare. 

Visto che non potei torturarlo a parole, passai il resto del viaggio ad ammirarlo senza farmene accorgere. Era vestito totalmente in nero. Per l'occasione si era sforzato d'indossare una camicia sopra ai suoi inseparabili jeans e perlomeno aveva evitato di mettersi addosso quelli strappati. Sebbene troppo scuro per i miei gusti, quel colore contrastava alla perfezione col colore dei suoi capelli. Come sempre, senza neanche sforzarsi troppo, sembrò un modello appena uscito da una rivista.

Quel gioco – intelligente secondo Castiel – durò all'incirca venti minuti, per tutto il tragitto mancante. Quando parcheggiò accanto al marciapiede del luogo misterioso dell'appuntamento, come mi aspettavo, non trovai alcun ristorante ad attendermi. 

«Hai vinto», mi sorrise Castiel scendendo dall'auto. Lo seguii; non attesi che mi aprisse lo sportello, sapevo non avrebbe mai compiuto quei gesti da gentiluomo e a me andava anche bene così. 

Mi ritrovai difronte ad una casa apparentemente abbandonata, visto il buio totale sia nel giardino che all'interno dell'abitazione. Capii si trattasse di una piccola villetta, comune a tutte le altre; non riuscii a distinguerne nient'altro. Eravamo in aperta campagna, senza nessun altro alloggio nei dintorni. Dio, che paura!

«Mi hai portata qui per uccidermi e poi nascondere il cadavere?!» gli chiesi come da copione. Ogni protagonista dei libri faceva spesso quella domanda in momenti simili, ed io da totale beota avevo fatto sì che si ripetesse quel cliché. 

«Vieni con me», Castiel afferrò la mia mano e mi guidò nel giardino di quell'abitazione. Oh bene! Non era stato neanche così tanto gentile da smentire la mia supposizione. 

Accese la torcia del suo cellulare illuminando l'erba del prato leggermente alta. Maledissi la mia mente per avermi indicato d'indossare i tacchi che affondarono leggermente nella terra - sebbene bassi non risultarono essere il massimo della comodità -, mentre l'erbetta mi solleticò le caviglie scoperte. Ci fermammo nel bel mezzo del giardino sul retro della casa, dalla parte opposta alla strada dalla quale eravamo giunti. Restai interdetta per quella scelta di ambientazione. 

«Ehm... Posto molto caratteristico?!» doveva essere un'affermazione, ma risuonò piuttosto come una domanda. Caspita, non sapevo mai quando fosse il momento di restare in silenzio. Dovevo apprezzare gli sforzi di Castiel, era la prima volta che portava fuori qualcuno all'infuori di Debrah. Non era abituato a quel genere di cose, non-

«Alza la testa, scimmietta». Castiel bloccò i miei pensieri trastullanti e feci come mi diceva.

"Ehi un attimo... Mi ha chiamato scimmietta?!" 

Ma quel nuovo nomignolo fu presto accantonato, in un lato remoto del mio cervello, per la visione che si presentò davanti ai miei occhi. La torcia del cellulare del rosso stava illuminando un albero che, intorno al tronco, aveva una scala a chiocciola. La percorsi con lo sguardo fino ad arrivare in cima dove, tra i rami e le foglie, giaceva una piccola casetta sull'albero. Una luce fioca fuoriusciva dalle piccole finestrelle aperte, quella casa sì che sembrava essere abitata. Avevo sempre sognato una casa sull'albero, mi capitava spesso di scriverlo sul diario segreto. Quel piccolo pensiero mi fece intuire tutto. 

«Oh mio Dio! Oddio... Cass, è tutto vero? Oh mio Dio!» saltellai – agitando scoordinatamente le braccia – dimenticando di avere i tacchi ai piedi, facendo quindi maggiore fatica rispetto al solito, ma per fortuna non caddi. Per concludere la mia performance da persona insana da rinchiudere in un manicomio, gettai le braccia al collo di Castiel e legai le gambe intorno alla sua vita. Per fortuna riuscì a reggere il mio peso stringendomi a sé, ponendo le mani sotto al sedere. L'abito che indossavo si sollevò troppo, ma ormai per quel genere di cose non provavo più vergogna: Castiel conosceva il mio corpo meglio di me. 

Più che scimmietta in quell'attimo assomigliai ad un koala. Ma ero troppo felice per pensare di contenere la mia gioia. «Tu lo sapevi... Lo avevi letto sul diario, vero?» mostrai tutti i denti in un sorriso smagliante, mi s'inumidirono persino gli occhi tanto dalla contentezza di poter finalmente passare del tempo in una vera casa sull'albero. Alla vista di molti sarei potuta sembrare infantile, ma sapevo che invece Castiel non mi avrebbe più giudicata, quindi.. Al diavolo gli altri!

«Te l'avevo detto di non guardare solo i lati negativi della mia sbirciatina nel tuo diario..» non lo feci finire di parlare che subito lo baciai per tutto il viso. Ero totalmente incapace di frenare l'allegria che mi aveva colpita. «Saliamo?» mi propose e, senza farmi toccare terra, s'incamminò salendo tutti i gradini che ci avrebbero dato accesso a quella piccola casetta. Sperai di non ucciderlo con il mio peso. «Eccoci arrivati», mi fece scendere una volta giunti dinanzi alla piccola porticina. La casetta era alta quanto me, interamente in legno, Castiel dovette abbassarsi per entrarci. 

Una volta dentro finalmente non dovetti più sforzare gli occhi perché il luogo era abbastanza illuminato. Mi guardai intorno senza perdere alcun particolare, imprimendo ogni cosa nella memoria: a destra vi era un letto singolo con un piumone blu, a sinistra un piccolo forno per cucinare e, accanto a questo, un tavolino senza sedie con sotto un tappeto anch'esso blu. Sui muri, accanto al letto, notai qualche quadro con poster di band rock che non conoscevo. In quei pochi metri quadri c'era giusto l'essenziale per vivere qualche ora lontano dal mondo. Era perfetta. Mi tolsi il cappotto che indossavo e lo poggiai sul letto.

«È di tuo gradimento?» mi scrutò titubante accendendo una stufetta per riscaldare l'ambiente. Aveva appena realizzato uno dei miei sogni più grandi ed aveva anche dei dubbi a riguardo?!

«E me lo chiedi con quella faccia? Sono senza parole perché è... È fantastica. Non mi aspettavo questo tipo di appuntamento, davvero grazie!» mi avvicinai a lui trovando la scusa per baciarlo ancora. Mi avrebbe dovuto sopportare in eterno perché non sarei mai stata in grado di allontanarmi da lui, vivevo in simbiosi. «È tua?»

«È stato un regalo dei miei nonni materni quando avevo cinque anni. La casa buia che hai visto prima era la loro; siamo a Chantilly, a mezz'ora da Parigi», non chiesi ulteriori spiegazioni perché avevo giusto l'impressione che quello, per lui, fosse un altro argomento delicato. Supposi che i suoi nonni fossero morti visto il suo discorso al passato. 

«Quindi... Questo è un altro dei tuoi posti segreti?»

«Da oggi non è più segreto, lo condividerò con te», mi sorrise. «Il che non pensare mi dispiaccia, eh. Altrimenti non ti ci avrei portata». Si avviò verso il piccolo forno ed infilò una pizza per riscaldarla. «Sarà un nuovo modo per fare sesso.. Su un albero non ho mai provato», si voltò per bearmi di quel sorriso da stronzo appartenente solo a lui.

«Pensi sempre a quello..» replicai fintamente infastidita per i suoi pensieri sconci. 

«Perché?! Vorresti farmi credere che, appena hai visto quel letto, non ci hai immaginati lì sopra?» mi stuzzicò indicando il letto. «Non fingerti puritana, so bene che non lo sei per niente», si avvicinò maggiormente a me e morse il lobo del mio orecchio. 

«Al primo appuntamento è vietato fare sesso», mi schiarii la voce senza allontanarmi da quella dolce tortura. 

«E chi lo dice?» sussurrò facendomi rabbrividire a causa del suo respiro sul collo. 

«È una regola generale delle donne», mi affrettai a trovare una scusa banale. 

«Non credi che, io e te, siamo già ben oltre il primo appuntamento?» con le punta delle dita mi sfiorò le braccia provocandomi tanti brividi al suo passaggio. 

«Già, il nostro amico tempismo...» mi si spezzò la voce.

«Imperfetto», concluse al posto mio posizionandosi difronte a me. Percorse con le mani e con gli occhi tutto il mio corpo fino ad arrivare all'orlo del vestito che indossavo. Lo sollevò lentamente fermandosi all'altezza dei miei slip, mi sfiorò l'intimità da sopra il tessuto «Anche tu mi desideri, lo sapevo», mi morse il labbro inferiore ansimando. Continuò a stuzzicarmi senza mai oltrepassare gli slip, ma dopo qualche istante fummo interrotti dal suono di una campanella «Salvata in calcio d'angolo dal timer», allontanò le mani per andare a togliere la pizza dal forno. Lo seguii. «Una pizza congelata per il primo appuntamento non sarà il massimo, ma in questo caso dovremo accontentarci. In questo posto, di caldo, non avrei potuto preparare nient'altro», si toccò la nuca dopo aver posato la pizza, in un piatto, sul tavolino. 

«Non preoccuparti, per me va benissimo così. Hai già fatto troppo», gli sorrisi rassicurante. Mi accomodai sul tappeto e divisi a metà la pizza quattro stagioni, mentre Castiel ne infornò un'altra margherita. Per fortuna nei supermercati francesi vendevano delle pizze italiane congelate che non erano poi così tanto disgustose. Certo in Italia avevo mangiato qualcosa di decisamente più buono, ma ci si accontentava in caso di necessità.

L'uno difronte all'altra, seduti in posizioni simili alle usanze giapponesi, mangiammo in silenzio le nostre pizze. Ogni tanto beccai Castiel osservarmi languidamente, ma sorvolai su quel particolare. Era incredibile la velocità con la quale mi ero abituata a noi, al suo carattere; in un mese era svanita quasi del tutto l'imbarazzo iniziale. Avevo la sensazione di stare insieme a lui da sempre. Ero a mio agio in sua compagnia, qualsiasi luogo per me andava bene finché c'era lui al mio fianco.

«Adesso posso farti la domanda, visto che ho vinto il gioco del silenzio?» trepidavo. Sin da quando me l'aveva proposto avevo avuto in mente una richiesta specifica: una domanda che gli avevo già sottoposto, ma a cui per fatalità non era riuscito a rispondere. 

«Prima spogliati, dopo potrai farmi tutte le domande che vuoi...» la mia intimità pulsò davanti a quella sua specie di ordine. Da un mese ero diventata incontentabile, incontenibile, parecchio simile a lui. Eravamo perfettamente compatibili come mai avrei pensato. 

«Non sarebbe meglio se mi spogliassi tu?!» preferivo di gran lunga le sue mani sul mio corpo. 

«Per questa sera no! Voglio guardarti», gli occhi brillarono di lussuria. Lì, seduto e trepidante mi parve essere ancora più bello, irresistibile. Ed io chi ero per togliere quel luccichio dai suoi occhi? Quindi decisi di accontentarlo, mi alzai in piedi, ingoiai un groppo di saliva e tolsi lentamente le scarpe. Solo il tavolo a dividerci. L'attesa del piacere poteva esser percepita persino nell'aria. Sfiorai lentamente il mio corpo sopra il vestito e, giunta all'orlo, lo sollevai togliendolo dalla testa; lo lasciai cadere, lasciai che si stropicciasse sul pavimento. Rimasi in intimo. Sia il reggiseno che gli slip erano di pizzo nero trasparente, coordinati al vestito. Stavo migliorando persino nel vestire l'intimo. La settimana prima, sotto indicazione di Rosalya, avevo fatto un po' di shopping. Volevo essere bella per lui, soltanto per lui. Volevo dimostrargli quanto fossi orgogliosa di essere sua e l'avrei fatto proprio quella sera, durante il nostro primo appuntamento. 

Con solo quell'abbigliamento provocante e poco coprente addosso mi sedetti sul tavolino, davanti a lui. I suoi occhi si scurirono. Mi accarezzò con lo sguardo, coprendo così ogni lembo di pelle scoperta, facendomi sentire perfetta, protetta, nel posto giusto. Perché Castiel aveva anche quel potere: era capace di farmi sentire speciale, di farmi sentire bellissima senza neanche parlare. Mi bastava leggere il desiderio nei suoi occhi per sentirmi meravigliosa. 

«Adesso posso farti quella domanda?» portai i capelli da un lato civettuola. 

«Certamente, e sarò lieto di rispondere.. Sempre se non mi farai venire un infarto prima», si sbottonò i primi bottoni della camicia. Aveva caldo per caso?

«Tempo fa - prima del famoso concerto - ti avevo chiesto una cosa, ma siamo stati interrotti da Lysandre..» non seppi spiegarmi il motivo, appena nominai il concerto s'irrigidì leggermente. «Ed ecco.. Visto che poi non mi hai più risposto vorrei chiedertelo ora», mi presi qualche secondo di tempo prima di proseguire. «Avevamo parlato dei vari significati di "Drunkers", di tutto ciò che può rendere la gente ubriaca oltre all'alcol, a me invece interesserebbe conoscere la tua...» una strana ansia mi assalì lo stomaco, perciò tardai ad arrivare dritta al punto «A te... Cos'è che ti rende ubriaco?» lo fissai attentamente assorbendo ogni movimento, ogni reazione che ebbe. In un primo momento trasalì, non si aspettava quella domanda, poi chiuse gli occhi, si spostò un ciuffo di capelli, strofinò le mani sui suoi jeans neri e si alzò dal tappeto presentandosi in tutta la sua maestosità. Era più alto della casetta, perciò non riuscì a stare totalmente in piedi. Dopodiché prese le mie mani e fece alzare anche me.

Eravamo l'una difronte all'altro in quella casa minuscola - forse infantile per due ragazzi adolescenti - ma che da quel giorno sarebbe diventata il nostro nido. Non potevo chiedere niente di più. Pian piano qualcuno da lassù mi stava restituendo quella felicità che non avevo mai potuto provare. Finalmente capii il significato di quel termine agognato da tutti gli esseri umani. E mi sentii completa. Io, lui e la casetta sull'albero. La nostra bolla di sapone si era trasformata in qualcosa di più sicuro, impenetrabile.

«Sei tu... Tu m'intontisci completamente», chiuse nuovamente gli occhi per infondersi coraggio. Non era abituato ad esternare i suoi pensieri, le sue emozioni. Poggiai una mano sul suo cuore e la lasciai lì, il battito a ritmo sincopato mi emozionò. Batteva in quel modo per me, soltanto per me. Per nessun'altra. «Tu... con il tuo fare da ragazzina, a tratti disinibita. Tu... con il tuo profumo, i tuoi capelli, la tua pelle, il tuo tocco, la tua voce. Tu... con la tua cocciutaggine e forza, con il tuo ottimismo travolgente, con i tuoi film mentali. Sei entrata nella mia vita e l'hai incasinata ancora di più. Prima stavo bene da solo, mentre ora...» lasciò la frase in sospeso e prese ad accarezzarmi il viso. Ed io pensai di esser morta. Non poteva aver detto quelle frasi sul serio, non potevano essere rivolte alla sottoscritta. Stavo sognando, assicurato!

«Tu mi ubriachi. Completamente!» 

Il sangue mi ribollì nelle vene, le mani mi sudarono, tante scosse si diffusero per tutto il corpo. Come sarei sopravvissuta a quella dichiarazione del tutto inaspettata?

E, senza darmi il tempo di razionalizzare su quelle parole che mai nessuno - prima di quel giorno - mi aveva sussurrato con una tale intensità, mi sollevò di peso portandomi dritta sul letto dove mi lasciò cadere. Da quel momento non capii più niente: grovigli di lenzuola e vestiti stropicciati sparsi per quella piccola casetta, ansimi poco casti riempirono quel luogo immacolato e infantile. Era divenuta abitudine per noi, ma quella notte fu più speciale del solito. Ci ubriacammo insieme: dei nostri sapori, dei nostri odori, della nostra pelle, dei nostri corpi uniti. Mi sussurrò più volte di essere ubriaco di me, ed io feci lo stesso con lui. Divenne il nostro modo per dirci di provare qualcosa aldilà del semplice piacere. Lui non mi amava, era semplicemente ubriaco di me. Avrei tanto voluto piangere tra le sue braccia per l'emozione, ma riuscii a contenermi facendo sfuggire solamente una lacrima traditrice sul mio volto. Asciugò quella goccia con un bacio, mentre nel mio stomaco si liberò un intero sciame d'api. Era diventato dolce il mio Castiel, a tratti addirittura romantico, ma lui non l'avrebbe mai saputo. I suoi erano atteggiamenti spontanei dovuti a quel cuore che, grazie al calore dell'amore che gli stavo donando, pian piano stava sciogliendo il ghiaccio intorno al quale era stato prigioniero negli ultimi anni.

Quella sera facemmo un passo avanti, si costruì un altro mattone spesso nel nostro rapporto. Lo percepivo. Stava affidando tutti i suoi sentimenti nelle mie mani, ed io li avrei accolti come se fossero il dono più prezioso al mondo. Perché non c'era regalo più grande di amare ed essere ricambiati. 

«Sei felice?» mi chiese, ancora ansimando, mentre si sdraiò accanto a me. 

Feci cenno di sì con la testa «Come non lo sono mai stata in vita mia!» affermai sicura. Ed era vero.

La sera prima, antecedentemente al mio acconsentire per quell'appuntamento, gli chiesi di rendermi felice. Non aveva infranto la promessa, anzi aveva addirittura superato le aspettative.

***

«Grazie per la bellissima serata», mi sporsi per salutarlo, prima di scendere dall'auto. Non avrei mai voluto porre fine a quelle ore di pace e serenità vissute in sua compagnia. 

«Grazie a te», mi baciò sul naso, poi aprì lo sportello e scese dall'auto. Feci lo stesso. Voleva salutarmi per bene, non chiedevo altro. 

«Abbiamo troppi posti segreti, ne dobbiamo scegliere uno ufficiale. Non possiamo averne tanti», uscii dal nulla con quel dilemma, una volta che fui davanti a lui. 

«E chi lo dice che non possiamo averne più di uno?»

«I libri!» borbottai ovvia.

«Quando smetterai di paragonarci ai tuoi dannati libri? Sei irritante!»

«Non è vero. Mi vuoi bene anche per questi miei aspetti», gli feci la linguaccia.

«Se lo dici tu...» era quasi esasperato.

«Quindi?! Quale posto scegliamo? Il parco floreale di Parigi, la spiaggia di Varengeville, o la casa sull'albero a Chantilly?» stavo solo perdendo tempo, non volevo porre fine a quella splendida serata. Avevo il timore di svegliarmi il giorno dopo e trovare ogni attimo felice svanito nel nulla.

«Tutti!»

«La fai facile tu...»

«Sei tu a renderla complicata. Ogni posto ci ricorderà qualcosa, ed è speciale per aspetti diversi», fece spallucce. 

«Allora promettimi che torneremo in tutti e tre i posti, che niente e nessuno potrà mai rubarci la felicità provata in ognuno di questi luoghi..» riposi ogni speranza in lui.

«Te lo prometto!» ma non mi guardò negli occhi quando lo promise. Qualcosa non andava. Cosa stava accadendo?

-

UNKNOWN POV

«Quella ragazzina pagherà per avermelo portato via!» urlò sibilando Debrah. Saltai sul posto per la sua entrata improvvisa. «Tu. Mi servi tu per la seconda parte del piano. Devo dividerli. Castiel deve odiarla prima della nostra partenza!» mi corse incontro e mi scosse dalle spalle. I suoi occhi di ghiaccio erano fuori dalle orbite. Sembrava quasi una pazza prossima ad essere rinchiusa in manicomio. 

«Perché non li lasciamo in pace almeno fino alla partenza? Tu stessa avevi deciso così..» tentai di ritrattare e maledissi il giorno in cui mi convinse ad aiutarla nel suo piano folle. 

«Lei si sta portando via il suo cuore.. Il suo cuore, capisci? L'ho visto.. l'ho visto negli occhi di Castiel. Non aveva mai guardato una persona come guarda lei; neanche me. Ed io non posso permetterlo, non questo. Avrebbe potuto divertirsi, scoparsela un'infinità di volte, ma il suo cuore no. Non avrebbe dovuto osare così tanto. Lui mi appartiene». Quelle frasi sconnesse, le mani tra i capelli arruffati, l'espressione del volto allarmato. Era quasi impaurita, oserei dire fragile. 

«Tu lo ami? Ami Castiel?» la guardai negli occhi quasi implorandola di dirmi la verità. 

«Sì... È successo dopo, a Dicembre, quando sono tornata. Mentre stavamo insieme non lo amavo sul serio: mi faceva stare bene, provavo una specie di affetto per lui, ma tutto finiva lì. È accaduto tutto dopo aver percepito il pericolo di perderlo a causa di quella poveraccia», per la prima volta fu sincera con me, o forse addirittura – prima di allora - non era mai stata così leale in vita sua. 

«Allora fallo innamorare di nuovo di te. Deve vedere del buono, deve partire con te di sua spontanea volontà e non sotto ricatto..» avevo tentato altre volte di farle mutare metodo di approccio, non mi aveva mai dato ascolto, ma pensai che quella sarebbe stata la volta giusta. Quella notte sembrava essere più ragionevole.

«N-no. Qui i piani sono io a dettarli!» tentennò per un attimo. 

«Prova a diventare sua amica, usa la tattica della musica. Conosci i suoi gusti, sai molte più cose di lui, e delle sue preferenze rispetto a Miki. Avete tante cose in comune. Scusati per tutto ciò che gli hai fatto passare, ma fallo sul serio. Devono essere scuse sentite, vere..» continuai.

«E tu allora farai innamorare Miki di te!»

«Non credo sia possibile questo..» un'amara verità, ma pur sempre giusto dirla.

«Perché?»

«Castiel ancora non è innamorato di Miki, stravede per lei... sì, ma non la ama. In più voi avete un passato. Sarà facile - per te - indurlo in tentazione, farlo confondere, riaccendere quella fiamma, proprio ora che è così vulnerabile in tema di sentimenti. Mentre Miki... Lei è già innamorata di Castiel, per me non ha mai provato niente», ero rassegnato da quel punto di vista, ormai. 

«Non puoi esserne certo! E poi.. voglio che tu ci prova. Devi farlo, altrimenti sai a cosa vai incontro», la sua vena da manipolatrice non svaniva mai, neanche nei momenti di fragilità. 

«In certi momenti penso che non cambierebbe ugualmente nulla, anche se lui sapesse...»

«Vuoi o no vendicarti?».

«Sì, ma...»

«Tu sai perché lo fai.. E non è solo per Castiel!»

«Sì, vero!»

«Bene. Io sedurrò Castiel, tu Miki», si era convinta. Mi scappò un sorrisetto dalle labbra, Debrah mi seguì. 

«Perfetto!» dopotutto la ragazza dai capelli ramati mi piaceva, non sarebbe stato un vero e proprio sacrificio quello di sedurla. Sperai solo di esserne capace.

«Adesso passiamo al piano...»

-

MIKI

«Promettimi una cosa, Miki», intrecciò le nostre mani e si mise di nuovo difronte a me, per guardarmi dritto negli occhi. 

«Cosa?» lo scrutai incuriosita. Non riuscivo mai ad intuire cosa potesse chiedermi. 

«Qualunque cosa accada, prometti che non mi dimenticherai mai.. Che non dimenticherai mai questa sera e tutti i momenti felici vissuti insieme», il modo sincero con il quale lo pretese mi destabilizzò. I suoi occhi mi trafissero, mi disarmarono. Cosa stava cercando di dirmi?

«C-che... Cosa vuol dire Castiel?» gli accarezzai il viso cercando invano di calmarlo. D'un tratto parve essere nervoso, rigido, pensieroso, non riuscivo a capirne il motivo. La serata insieme era stata spettacolare.

«Niente, solo... Prometti che, nell'odio, ti ricorderai anche di questo», mi prese il viso tra le mani e mi baciò trasmettendomi tante sensazioni contrastanti, d'istinto chiusi gli occhi. «Perché tu sarai sempre al mio fianco, ti ricorderò, ti porterò con me.. qualunque cosa accada», mi respirò sulla bocca ammaliandomi totalmente. Mai e poi mai mi sarei aspettata quel genere di parole da un ragazzo che aveva paura di legarsi a qualsiasi persona che non fosse la sua ex. Mi stupì per la seconda volta in poche ore. Lasciai sfuggirmi tanti sospiri quella sera, lì sul marciapiede di fronte casa mia, mi abbandonarono svariati battiti di cuore. Persi all'incirca trent'anni di vita. Ma Castiel era anche quello: sorpresa inaspettata, un vortice di emozioni contrastanti, un uragano, un demone dalle ali per metà bianche e per metà nere. E non potei che rispondere affermativamente alla sua supplica. Non avevo altra scelta.

«Te lo prometto!»

Flashforward

E se tornassi indietro, se sapessi come sarebbe andata a finire parte della storia, non muterei ugualmente risposta. Perché sin dal primo giorno sapevo a cosa stessi andando incontro, sapevo che lo avrei amato fino alla morte, senza termini né condizioni. A distanza di anni tutto sembra a posto, ma io continuo a chiedermi ininterrottamente: cosa potrebbe succedere se tornassimo a combattere? Perché lui era tutto per me. E il tempo non avrebbe mai potuto cambiare granché, avrebbe solo cicatrizzato le ferite preparandole a nuove pugnalate, lo avrei amato ugualmente, o addirittura maggiormente. Con un'unica differenza: le ferite del corpo con il tempo guariscono, le ferite interne inflitte nell'anima con il tempo ti cambiano.

Con un sussurro incerto chiedo una domanda, già conosco la risposta, ma vorrei tanto poter esser contraddetta dal diretto interessato: «Pensi che potrò mai toglierti dalla mente?» ma lui non risponde. Lui non risponde mai.. perché lui non c'è. 

Alcune storie cadono semplicemente nel vuoto, nonostante gli sforzi, i conflitti, i potenti sentimenti; la nostra, probabilmente, era destinata ad essere una di quelle. 

 

 

 

 

 

_______________________________________________________________________

🌈N.A.🌈

Salve, oggi invece di riflettere sul capitolo, invece di fare la disagiata nella nota autrice, vorrei parlarvi di una cosa accaduta su Wattpad che mi ha delusa parecchio. Quindi voi lettori di EFP non c'entrate nulla, ma ci tengo ugualmente ad avvertirvi dell'accaduto. Qualcuno si è divertito a segnalare la mia storia come inappropriata a causa delle scene spinte degli ultimi capitoli. Per questo motivo sono stata tolta dalle varie classifiche importanti, tipo: teen-fiction, fan-fiction, storie d'amore, romantico. Nelle poche classifiche in cui sono rimasta sono balzata agli ultimi posti. Ora, ragioniamo un secondo: mi è capitato di leggere storie con scene davvero davvero pesanti, talmente hot da fare un baffo a Rocco Siffredi, - senza che queste siano consigliate a solo pubblico adulto - eppure quelle storie sono da una vita tra i primi posti di tutte le classifiche. Hanno milioni e milioni di visualizzazioni... Per cui: solo la mia storia ledeva i puritani di Wattpad? Parliamoci chiaro: la mia storia non ha neanche chissà quante visualizzazioni, l'unico modo per farla crescere erano quelle benedette classifiche, perché la rendeva maggiormente visibile ad un pubblico più vasto... Quindi, chi è così cattivo da impedirmi persino questo? Cosa entra nelle loro tasche segnalandomi? Non voglio pensare siano stati guidati dall'invidia, perché non credo di suscitarne. La mia scrittura è banale, la mia storia è soltanto un'altra delle tante storie, non ha niente di speciale. Ma anche se fosse?! Se una persona fosse brava a scrivere, se stesse facendo un buon lavoro con la propria storia, a voi cosa cambia? Dovreste essere felici dei successi degli altri, non dovreste tarpargli le ali ancor prima di trasformarsi in farfalla. Quindi devo pensare che tutto ciò sia stato fatto per cattiveria. Esistono ancora persone così malvagie? 

E' inutile che io vi dica come mi sono sentita appena ho notato ciò che è accaduto, è inutile dirvi quanto io mi senta profondamente delusa da tutto ciò. Sto dando tutta me stessa in questa storia, che può piacere o non piacere, vorrei soltanto sentirmi libera di scrivere le scene che voglio. Vorrei proprio conoscerli questi puritani che un bel giorno si sono svegliati e hanno ben deciso di mettermi i bastoni tra le ruote. Mi rivolgo a voi, belle personcine: Wattpad è un posto dove le storie dovrebbero essere libere di vivere, dove gli autori dovrebbero essere liberi di esprimere la propria creatività. Non siamo all'epoca dei regimi totalitari, che Dio ce ne scansi, in cui alcuni libri erano banditi. Ed io non ho mica scritto la nuova versione di Cinquanta Sfumature (non ne sarei neanche capace, tra l'altro).. Per qualche piccola scena spinta è accaduto tutto questo, non vi vergognate un po'? Perché invece di nascondervi non commentate, non scrivete ciò che non vi garba di una storia?! Credetemi, ad un'autrice giova più una critica costruttiva che una segnalazione immeritata.

Inoltre.. Se una scena lede la vostra sensibilità semplicemente non leggetela. Non martirizzate un'autrice per così poco. TREAT PEOPLE WITH KINDNESS!

Bene, direi che ho già dato sin troppa importanza a queste persone.. Quindi la finisco qui. Per questo capitolo non me la sento di aggiungere altro nello spazio autrice. Spero capiate, ma aspetto ugualmente di leggere nei commenti le vostre supposizioni sul misterioso POV, e gli scleri per i MikiStiel. Quindi fatevi avanti, mi aiuterebbe molto in questo momento così sconfortante. Ne approfitto solo per ringraziare, invece, quelle poche ma buone lettrici che mi seguono costantemente e che sclerano insieme a me per i MikiStiel. E' grazie a voi se ancora non mi sono arresa, se lotto ogni giorno e faccio i salti mortali per pubblicare. Spero di continuare a regalarvi tante emozioni.
Vi voglio bene 😘

All the love, come sempre

Blue incazzata nera Night🦋

 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** CAPITOLO 43: Che ne è di noi? ***


Capitolo 43

Che ne è di noi?





🎶P!nk - What About Us (Secondo POV Miki)🎶

🎶P!nk - Just Give Me a Reason (Parte finale secondo POV Miki)🎶

🎶Paralyzed - NF (Castiel)🎶

Quando sono diventato cosí insensibile?

Quand'è che ho perso me stesso?

Sono paralizzato; ho paura di vivere, ma ho anche paura di morire.

E se la vita è dolore allora ho sepolto la mia tanto tempo fa, ma è ancora viva.

Tutte le parole che escono dalla mia lingua sembra vengano da qualcun altro

Sono paralizzato. Dove sono le mie emozioni? Non sento più nulla.

Sono in una scatola, ma sono io che mi sono rinchiuso dentro

Qualcuno mi porti un po' d'ossigeno in più..

***

MIKI

Il valore delle cose non sta nel tempo in cui esse durano, ma nell'intensità con cui vengono vissute. Per questo esistono momenti indimenticabili, cose inspiegabili e persone incomparabili. Castiel era uno di quelli. Il tempo trascorso con lui, per quanto scorreva veloce, sembrava essere formato da piccoli e brevi attimi. Senza quasi accorgermene giunse la primavera: Aprile. Da due mesi ero la ragazza di Castiel Black. Ne erano accadute di cose in quei giorni.. avvenimenti positivi e negativi. In qualche occasione avevamo discusso ma, nonostante ciò, nessuno dei due aveva mai osato abbandonare l'altro. Riuscivamo a litigare e far pace alla velocità della luce: a volte dopo qualche ora, altre volte dopo un solo giorno. Non andavamo mai oltre; il giorno successivo qualcuno dei due si avvicinava nuovamente all'altro con una scusa banale, finivamo per far pace in un modo poco casto e tutto nostro. Marzo era stato un mese intenso per noi, soprattutto per Castiel: quasi ogni sera, lui e la sua band si esibivano in locali notturni di Parigi e dintorni. Dopo il successo riscosso nei concerti organizzati nel locale della famiglia Duval, i Drunkers erano riusciti ad ottenere ingaggi anche altrove. Ed io ero parecchio felice di quel risultato, perché sapevo bene quanto la musica fosse importante per il mio ragazzo. Durante alcune serate riuscii a sostenerlo dal vivo, ad essere presente tra il pubblico, insieme a Rose. Avevo iniziato persino a simpatizzare e a riconoscere facilmente brani delle band rock suonate nei loro live. Durante quel mese, poi, ci fu la cena per il lancio ufficiale ed internazionale della campagna "Ivre", alla quale dovetti partecipare nonostante avessi reso noto il mio dissenso a prender parte a qualcosa del genere. Dal quindici Marzo in poi la mia faccia era stata piazzata tra una pubblicità e l'altra di quasi tutte le reti televisive internazionali; avevo persino ricevuto qualche messaggio di ex compagni di scuola italiani che, improvvisamente interessati a conquistare la mia amicizia, mi chiedevano spiegazioni sul mio lavoro. Nei primi giorni di Aprile, Teresa concluse definitivamente il trasloco divenendo anche lei ufficialmente una Parigina. Ci sentivamo telefonicamente quasi ogni giorno, ma non mi ero ancora scomodata a visitare la sua nuova casa. Le promisi di farlo presto. 

Tra tutti quegli accadimenti vari io e Castiel trovavamo ugualmente il modo per costruirci i nostri attimi, la nostra bolla. Benedetti erano gli istanti, i millimetri, e le ombre delle piccole cose. Non pretendevamo il mondo, il "per sempre insieme", ci bastavano solo quelle poche certezze che ci assicurassero un altro giorno trascorso l'uno accanto all'altra. Stavamo bene con poco: io, lui e il nostro affetto; nel mio caso amore, nel suo caso... Ancora non sapevo bene cosa provasse. Diceva di essere ubriaco di me e ciò era un buon segno, giusto?!

Ultimo fatto - di quell'elenco -, ma non meno importante: Aprile era il mese del mio compleanno, non lo avevo mai festeggiato. Quando Rose scoprì quel piccolo particolare iniziò con un'organizzazione alquanto sopra gli schemi, ed io le volevo bene ugualmente accettando la sua eccentricità.

«Dobbiamo assolutamente rimediare», batté le mani ripetutamente mentre ci accingevamo ad entrare in classe per la prima ora di lezione. «Come puoi non aver mai festeggiato il compleanno?! In che mondo vivevi prima d'incontrarmi? Che orribiltà!» 

«Orribiltà?! Nuova parola del Rosabolario?» da quando la frequentavo la sua mente sovraffollata aveva partorito tante brutte parole inesistenti. «Cenavo con Ciak e dopo cena mangiavamo il gelato o un dolce. Non so se questo possa esser considerata festa, ma era una tradizione per noi..» non aggiunsi altro a causa di un nodo in gola improvviso dovuto alla nostalgia nel ricordare i numerosi compleanni trascorsi in compagnia del mio migliore amico. Giorni che non sarebbero più ritornati. 

«No, direi di no. Non è da considerare festa. Dobbiamo rimediare.. assolutamente!» ripeté la stessa frase di qualche minuto prima. «Ti organizzerò una festa a sorpresa», saltellò mentre prese gli ultimi libri dal suo armadietto.

«Ehm», finsi un colpo di tosse. «Non vorrei dover essere proprio io la guastafeste, ma... i compleanni a sorpresa vengono chiamati tali perché la festeggiata non dovrebbe essere a conoscenza di nulla», risi per la sua gaffe. 

«Oh certamente, che sbadata!» si colpì in fronte. «Non organizzerò nessuna festa a sorpresa. Non ho mica tempo da perdere con queste sciocchezze», sorrise falsamente, ma la lasciai concludere «Ho dei vestiti da cucire e da ingegnare per il tuo matrimonio, il che è molto più importante ed urgente di un diciassettesimo compleanno», sventolò le mani davanti al mio volto per accentuare la sua esclamazione. Voleva come cancellare il lapsus commesso pochi secondi prima, peccato non si potesse fare realmente.

«D'accordo, meglio così», l'accordai per non rattristarla.

«Miki posso parlarti?» Ciak. Il tono della sua voce che pronunciava il mio nome pareva essere quasi un miraggio, come acqua in un deserto. Erano mesi che non si degnava neanche di rivolgermi un saluto, fu strana quella sua entrata improvvisa.

«Certo che...» Rosalya replicò al posto mio lasciando la risposta in sospeso per qualche istante «NO! Smamma!» gli fece cenno con le mani per allontanarlo, ma lui non accennò ad andarsene. Apprezzavo quel senso di protezione della mia amica nei miei confronti, ma avevo già ferito Ciak in più occasioni; non gli avrei voltato le spalle una volta tanto che mi aveva chiesto di parlare. Mi mancava. 

«Stanno per iniziare le lezioni ora, magari dopo scuola?» intervenni beccandomi un'occhiata omicida di Rose. Provava una forte antipatia nei confronti di Ciak e non si faceva problemi a mostrarlo anche a lui stesso. 

«Perché invece non entriamo alla seconda ora? In Italia lo facevamo sempre..» mi rispose in Italiano rinvangando, così, i vecchi tempi. Come avrei potuto rifiutare quella sua splendida richiesta?

«Rose, se i prof dovessero chiederti qualcosa, potresti dire che entrerò alla seconda ora perché sto poco bene?» mi rivolsi alla mia amica in francese. 

«Intendi sul serio andare a parlare con questo babbuino?! Ti ha fatto stare male per mesi, Miki...» si agitò «Fa' attenzione», ma alla fine cedette. Sapeva bene che non le avrei dato ascolto nonostante le ramanzine. Mi salutò con un bacio sulla guancia ed entrò in classe. 

«Poco protettiva la tua amica: se avesse potuto mi avrebbe ucciso», Ciak sorrise portandosi una mano dietro la nuca. 

«Un tempo eri tu ad occupare quel ruolo..» non potei evitare di replicare con una nota di nostalgia. Iniziammo a camminare senza meta per i corridoi della scuola.

«Non è del tutto colpa mia se non sono più io ad occupare quel posto», una nota di rimprovero nella sua voce. 

«Quindi.. Sarei stata io ad indurti a invaghirti di me?» salimmo le scale che ci avrebbero dato accesso al terrazzo della scuola; lì non ci avrebbe visto nessun professore. L'aria divenne tesa sin da subito.

«No, non sei stata tu! Come non è colpa mia.. Non volevo innamorarmi proprio di te, non si comandano queste cose; accadono e basta», mi guardò negli occhi sincero. Non mi stava rimproverando nulla, per fortuna. «Ciò che sto cercando di dirti è che... Entrambi abbiamo sbagliato qualcosa: tu per il tuo menefreghismo, per la tua ingenuità di continuare a raccontarmi i tuoi inciuci con il pellerossa senza pensare che mi avresti ferito, per le tue omissioni sul passato, ed io per l'eccessiva rabbia nei tuoi confronti, per il continuo incolparti di qualunque cosa, per esser stato impulsivo a voler chiudere del tutto i rapporti con te, per esser stato avventato a proporti quella falsa relazione. Tu non avresti dovuto accettare, ma io non avrei dovuto proporla; dovevo immaginare che quella sarebbe stata l'ultima goccia per la rottura del nostro rapporto già fragile a causa dei vari accaduti». Concluse quel riepilogo di colpe proprio dinanzi alla porta socchiusa del terrazzo. Quelle parole non parvero neanche uscire dalla sua bocca; ormai ero abituata a ricevere soltanto accuse da lui.

«Mi fa piacere che tu l'abbia ammesso. Hai ragione, siamo stati un totale disastro negli ultimi mesi», evidentemente aveva ripreso a ragionare con la sua testa, aveva ritrovato la ragione, glielo riconobbi. 

«Siamo ancora in tempo per recuperare, no?!» mi sorrise come non gli vedevo fare da troppo tempo, come non gli avevo mai visto fare a Parigi. Mi sciolse il cuore: il mio migliore amico stava per ritornare. Non ero capace di resistergli, avevo bisogno di accorciare le distanze, di abbattere quei muri.

«Mi sei mancato Ciak», mi fiondai tra le sue braccia stringendolo senza permettergli neanche di respirare. Inevitabilmente una lacrima solitaria mi solcò il viso; era nostalgia, era affetto, gioia. Finalmente la vita aveva deciso di regalarmi qualche gioia: Castiel, Ciak, Rosalya, mia madre. Ero circondata da persone che ogni giorno si preoccupavano di mostrarmi del bene, di donarmi un pizzico di quella felicità sempre ricercata ma mai avuta. Il mio migliore amico era il tassello mancante per chiudere il cerchio, l'unico rimpianto che in quei giorni di tranquillità mi martirizzava, e dal momento in cui  - persino lui - aveva voluto chiarire con la sottoscritta mi sarei potuta definire la persona più felice al mondo.

Ricambiò l'abbraccio con un bacio in fronte finale, eliminando definitivamente il grosso peso percepito sullo stomaco fino a quell'istante. Sollievo, ecco cosa predominava più di tutto dentro di me. Una sensazione bellissima. Non necessitavo neanche di tempo per perdonargli il prolungato silenzio di quei mesi, sperai fosse lo stesso per lui. 

«Anche tu mi sei mancata», sussurrò come se fosse un segreto. Avrei voluto volentieri scoppiare a piangere, ma riuscii a trattenermi. «Si sta avvicinando il giorno del tuo compleanno e questo mi ha aperto gli occhi. Lo abbiamo sempre festeggiato insieme e - proprio quest'anno - non potevo permettere al mio orgoglio di prevalere», poggiò entrambi le mani sulle mie spalle e mi guardò dritto negli occhi. «Ho meditato parecchio in questi giorni in cui ho preferito evitarti, è stato un bene che io l'abbia fatto. Avevo bisogno di tempo per smaltire la delusione, per comprendere che tra noi non ci sarebbe mai stato niente oltre l'amicizia. E se sono qui oggi è perché ormai mi sono rassegnato: ho accettato la tua relazione con Castiel, ho capito che prima o poi mi disinnamorerò di te... Perché la nostra amicizia è più importante di tutto il resto», si fermò qualche istante per riprendere il respiro. «Diamoci un'altra possibilità, Miki. Ricominciamo da Settembre, da quando sono scappato - come un codardo - con la mia Vespa», a quel punto afferrò le mie mani e le strinse. Sapevo fosse sincero, finalmente era ritornato ad essere il Ciak lasciato in Italia: senza gelosia, rancore, risentimento. Lo leggevo nei suoi occhi chiari che stava dicendo la verità. «Vuoi essere la mia migliore amica?» terminò con un sorriso sghembo e piegando il collo verso sinistra. 

«E me lo chiedi anche?!» replicai semplicemente iniziando a ridere e saltandogli addosso a mo' di koala. Ora potevo farlo senza che lui pensasse a secondi fini, nonostante fosse invaghito ancora, sapevo ci fosse rassegnazione da parte sua; non avrebbe più tentato di abbordarmi. 

Non sapevo se quella nostra pace sarebbe stata definitiva, se la nostra amicizia sarebbe ritornata ad essere quella di un tempo, ma.. meglio l'ennesima cantonata di un rimpianto.

Con me ancora su di lui - tra le sue braccia - spinse la porta socchiusa uscendo sulla terrazza del liceo. «Dove mi porti? Vuoi buttarmi di sotto? Già non mi sopporti più dopo pochi secondi di tregua?!» scherzai ma, diversamente dal solito, non rispose. Anzi, dopo aver avanzato per qualche altro centimetro, si bloccò divenendo una statua di sale. Guardò dritto davanti a sé con gli occhi sgranati e il volto improvvisamente arrossato. Roteai lo sguardo anch'io e ciò che vidi pietrificò anche me. Scesi dal suo corpo incredula, tentando di non giungere a conclusioni avventate. 

Ma cosa diamine ci facevano Castiel e Debrah, lì su quel terrazzo - di nuovo insieme -, da soli e lontani da occhi indiscreti? Perché ridevano? E perché avevo la sensazione di esser spettatrice di un video - in replay - risalente a due anni prima? La loro complicità, compatibilità, il loro vissuto, il loro legame forte, la loro storia; mi uccisero per l'ennesima volta. Ma lui stava con me, voleva soltanto me... non più lei, giusto?

"Solo il tempo ti darà le risposte che stai cercando, e te le darà quando avrai dimenticato persino le domande".

-

CASTIEL

Quella mattina d'inizio Aprile, ancor prima di metter piede all'interno dell'infernale gabbia di matti che era il Dolce Amoris, mi arrivò un messaggio del tutto inaspettato. Pensavo si fosse arresa, pensavo mi avesse concesso realmente altro tempo da trascorrere con la mia - ancor per poco - Miki. E invece.. mi ero sbagliato di nuovo su di lei. M'ingannava sempre.


Da: Debrah

Le cose non funzionano senza te, è un dato di fatto.

Non posso stare senza te, è un dato di fatto. 

Se mi abbandonerai, camminerò dietro te. 

Puoi perdonarmi di nuovo? Non avevo intenzione di ferirti.

Poi tu guardi me, sei silenziosamente spezzato. Darei qualsiasi cosa ora per uccidere quelle parole per te. Ogni volta che dico qualcosa me ne pento. Non voglio perderti.. Ma in qualche modo io so che tu non mi lascerai mai, perché tu sei fatto per me. In qualche modo ti farò vedere che io non posso vivere questa vita senza te al mio fianco. Quindi rimani con me, guarda nei miei occhi. Sto urlando dentro che mi dispiace.

Ti aspetto dove ascoltavamo la musica insieme.


Mi aveva mandato più messaggi scrivendo la traduzione francese di due brani di band rock che piacevano ad entrambi. Mi stava chiedendo scusa e, nello stesso tempo, tentava di farmi capire che non potessimo stare divisi. L'ultimo messaggio diceva che mi stava aspettando e solo io potevo sapere dove: sul terrazzo del nostro liceo. 

E... Non seppi spiegare cosa pensò esattamente la mia mente in quell'istante, ma la raggiunsi senza neanche avvertire Miki. Per la prima volta dopo mesi, quel giorno - stranamente - arrivammo a scuola divisi. Dovetti accompagnare mia madre ad una seduta di chemio e arrivai a scuola con qualche minuto di anticipo. Debrah parve essere a conoscenza di ogni mio spostamento; lei sapeva sempre tutto.

«Oh.. allora non hai perso così tanti colpi come pensavo», fu la prima battuta che disse non appena mi vide varcare la soglia. Sul suo volto trovai un sorriso sincero che non vedevo da anni, mi sorprese. Era poggiata alla balaustra di ferro al centro del terrazzo: gli anfibi neri ai piedi, una gonna nera corta a pieghe, una camicia rossa a quadri aperta con sotto una semplice canotta nera scollata. Era a dir poco provocante. Il suo corpo, le sue curve, le sue forme erano sempre stati il mio punto debole. Peccato però... da ormai otto mesi - da Settembre duemilaquattordici, per l'esattezza - non lo erano più. 

La mia ossessione, il mio punto debole, le mie perversioni erano dirottate verso tutt'altra persona. La mia Ariel.

«Devo ammetterlo: ottima tattica di abbordaggio i Foo Fighters e gli Evanescence. Non i loro brani migliori, ma direi appropriati al tuo stato d'animo, credo», la raggiunsi a passo lento con il sorriso tipico da stronzo come accessorio, con le mani nelle tasche anteriori dei jeans.

«Esatto. Non avevo dubbi, sapevo avresti indovinato al primo colpo», batté le dita sulla ringhiera. Il suo nervosismo sembrò crescere a causa della mia vicinanza, ma non ne fui sicuro. Mi confondeva.

«Walking after you e Forgive me.. Cosa stai cercando di dirmi Debrah?» la scrutai senza abbassare lo sguardo, sebbene per un attimo mi persi nell'azzurro dei suoi occhi.

«Ammetto di esser stata tremenda in questi mesi, non ti ho lasciato respirare neanche un attimo. Avevi già sofferto a causa mia, non avrei dovuto calcare la mano ancor di più; ma... Mi sono sentita minacciata dalla presenza costante di un'altra ragazza al tuo fianco, al mio ritorno non mi aspettavo di trovarti invaghito proprio di lei. Ero convinta di poter tornare insieme a te, di avere maggiore possibilità. Sapevo di dover faticare prima di ottenere nuovamente la tua fiducia, ma non così tanto. Ecco, diciamo che... Mi sono sentita sopraffatta da tante emozioni, ero confusa, delusa e.. tutto è sfociato in quei ricatti e piani ridicoli», sollevò le spalle, poi si portò le mani tra i lunghi capelli castani e lisci. Era così diversa da Miki, così tanto da... spiazzarmi. «Mi dispiace!» parve essere sincera, quasi dispiaciuta. Non avevo mai notato quella fragilità, quella dolcezza in lei. Per quella peculiarità si avvicinò alla mia Miki... Dio, che disordine mentale!

«Non credi sia troppo tardi per rendertene conto?» nonostante il mio intontimento momentaneo, per fortuna, agii istintivamente in difesa mostrandomi addirittura contrariato e diffidente dalle sue ammissioni. 

«Non troppo, se fossi pronta a ritirare ogni ricatto..» quelle parole per poco non m'indussero a vomitare la colazione ingerita un'ora prima. Diceva sul serio?

«Ho acconsentito ad incontrarti, ma questo non cambia nulla. Quindi non pensare che io sia disposto a bermi ancora le tue balle. Ora dici questo, domani ti alzerai con la luna storta e cambierai di nuovo idea... O magari, proprio in questo momento, la tua mente malata sta già tramando qualcosa alle mie spalle». Il cervello era funzionante al novanta percento. Quel dieci percento restante era ammaliato, di nuovo, da quella maledetta arpia. Non dovevo. Non potevo. 

«Dammi del tempo Castiel. Ti chiedo solo questo.. Non escludermi dalla tua vita dopo tutto ciò che siamo stati. Permettimi di dimostrarti che sono ancora la persona conosciuta tre anni fa. Lasciami esserti amica almeno..» figurò un'elemosinante, mi fece quasi pena. 

«Come potrei farlo? Come posso fidarmi di nuovo di te? Intendi farlo perché così, dopo aver abbassato la guardia, potrai raccontare tutto a Miki?» Inutile. La coscienza e la testa agirono contro di lei; furono l'autodifesa per quel briciolo di cuore ancora in suo possesso. Prima o poi me lo sarei ripreso. 

«NO! Nessun ricatto, Castiel. Nessun giochetto. Non più.. mi sono stancata di fare la cattiva. Voglio che tu stia accanto a me di tua spontanea volontà, che tu decida di partire con me senza costrizioni».

«Ancora con questa partenza..»

«A Giugno.. è questo il mese fissato per la partenza. Dopo il concerto del club di musica a fine anno scolastico. Vedi?! Ti ho detto persino questo.»

«Stai parlando di qualcosa d'inesistente. Per quanto mi riguarda questa partenza è astratta: non conosco la meta, il motivo del viaggio, in più non acconsentirò mai più a fare qualcosa con te.. quindi il problema non si pone!» dal tono di voce parvi essere tenace, ma in realtà - dentro di me - non lo ero per niente.

«Sarà qualcosa di vantaggioso per entrambi, credimi. Avrai davanti te due strade, starà a te la scelta di quale prendere», la sua tranquillità e convinzione mi agitarono. 

«Come posso pensare che tu non ti stia inventando queste parole a caso? Non mi fido di te, non posso farlo!» a quel punto lesse la confusione nei miei occhi, posò una mano sulla mia guancia. Lì dove la notte prima c'era stata la bocca di Miki. Persi un battito a quel pensiero e mi risvegliai dallo stato di trance momentaneo. Mi allontanai di scatto dal contatto di Debrah. Non potevo fare un torto del genere a Miki, non lo meritava. 

«Ti sto dicendo la verità. Lo giuro sulla vita di Flora!» accennai un sorriso davanti all'ultima supplica e mi rilassai visibilmente. Durante la nostra storia, per mostrare la lealtà di un'ammissione, usavamo spesso giurare sulle persone o cose che avevamo di più caro. Le credetti. Sapevo ci tenesse parecchio alla sua sorellastra: era la sua unica amica, la sua unica sorella. Il suo unico punto debole.

«Perché allora? Perché lo fai proprio ora?» non riuscii a spiegarmi cosa l'avesse spinta a ragionare, a farle mutare visione e pensiero all'improvviso, in poco tempo. Non era mai stata una ragazza dall'animo buono. Da quella gentilezza, da quel cambio repentino, avrebbe avuto un tornaconto. Ne ero sicuro. 

«Perché...» deglutì, come se quello che stava per dire le stesse costando l'intera vita «Non posso restare a guardare mentre tu t'innamori di un'altra. O di me o di nessuno, Castiel. Ricordalo!» quello che ebbe bisogno di deglutire, a quel punto, fui io. Lei mi conosceva bene. Solo Debrah aveva avuto occasione di ammirare la versione migliore del sottoscritto. 

Fu per questo che, quando ammise quel particolare, percepii le gambe divenire gelatina. Per poco non caddi sul pavimento, devastato. Sgranai gli occhi ed annaspai in cerca di aria. Io non sarei dovuto arrivare a tanto, non avrei dovuto permettere ad un'altra donna di avere così tanto potere. Com'era potuto accadere? Io mi ero già inn... Dio, era assurdo anche solo da pensare. Non poteva essere vero, Debrah si era sbagliata. Sì. Non potevano esserci altre spiegazioni. Lei non mi conosceva più così bene come riteneva. 

«Io non ho più un cuore. Non potrebbe mai accadere di nuovo, neanche con te!» quelle frasi suonarono più false di una canzone rock strimpellata da una band commerciale da quattro soldi. Volevo convincere me stesso, ma soprattutto lei.

«Di quanto tempo hai bisogno per perdonarmi?» finse di credermi chiedendomi altro. Risi per quella sua abitudine; per un attimo mi squadrò stranita, poi capì.

«Hai ancora la fissazione di voler quantificare ogni cosa?» la mia mente bastarda rievocò gli attimi felici della nostra relazione. Le immagini, le scene scorsero davanti agli occhi come se fossero un film. Quella strega era stata parecchio importante per me.

«Oh be'...» si unì a me, sorrise anche lei. Quanto tempo era passato dalla nostra armonia...

"Il tempo passa, eppure nessuno vorrebbe fermarlo, nell'illusione che il domani sia migliore dell'oggi."

Quando smisi finalmente di fantasticare guardai nuovamente Debrah, notai stesse fissando un punto dietro di me, mi voltai e ciò che vidi furono: l'ombra di Miki scappare giù per le scale, un Ciak immobile difronte alla porta del terrazzo. Tempismo perfetto, come sempre. 

Il tempo era anche un giocatore avido che vinceva senza barare, a ogni colpo.

-

MIKI

Ci avevo provato. Ce l'avevo messa tutta a tentare di non scappare come avrebbero fatto i codardi, i fragili di cuore, gli incapaci di affrontare le situazioni a testa alta. Ma alla fine quell'audacia non era bastata. Lo avevo sentito forte e chiaro. Castiel non sarebbe stato in grado d'innamorarsi di nuovo, lo aveva rivelato proprio a colei che il suo cuore lo aveva rubato tempo prima e, a quanto parve, non glielo aveva mai restituito. Era stata crudele Debrah; non per i suoi piani insulsi, quanto per aver negato a qualsiasi ragazza - che sarebbe stata accanto al suo ragazzo dopo di lei - di avere un'altra possibilità. Aveva piegato quel muscolo cardiaco così prezioso per me, lo aveva reso glaciale, incapace di provare qualsiasi tipo di sentimento. E allora che ne sarebbe stato di noi? Di quelle risposte trovate dopo mesi di dubbi, di quelle promesse, dei nostri momenti. Cos'ero stata io per tutto quel tempo? Cosa ne sarebbe stato di quel lieto fine letto solo tra i libri, visto solo nei film, al quale - da patetica illusa - avevo iniziato ad ambire? Avevo forse corso troppo con la fantasia?! Quello sicuramente; era un mio difetto. Ma allora perché diceva di essere ubriaco di me? Cosa significava per lui? Tutte quelle domande si sovrapposero nella mente durante la corsa che mi portò dritta nella toilette delle ragazze. Mi chiusi a chiave in uno dei tre bagni disponibili, mi sedetti sul water poggiando i gomiti sulle gambe e, portandomi le mani sul volto, sospirai frustrata. 

Quando avrei smesso di sentirmi il terzo incomodo tra loro? Quando l'avrebbe dimenticata realmente? Quando avrei finalmente avuto la soddisfazione e l'occasione di sferrarle un bel calcio in culo spedendola per direttissima nel Polo Nord? Sarebbe stata perfetta nella sua trasformazione in statua di ghiaccio, non avrebbe più avuto il privilegio di aprir bocca. Un mondo senza Debrah sarebbe stato decisamente migliore. Ma non era lei ad avere tutte le colpe, anche Castiel aveva le sue. Non era stato capace di crearsi una vita senza di lei e quella a subirne le conseguenze sarei stata io.

A breve sarebbe suonata la campanella della seconda ora, sarei dovuta entrare in aula, ma non avevo voglia di sorbirmi gli interrogativi della classe intera, non volevo che qualcuno mi scattasse una foto e la mandasse a Peggy - permettendole di creare un altro dei suoi scoop fasulli. Ero sulla bocca di tutti, venivo giudicata da chiunque visti gli accaduti di quell'anno, ed era snervante. Il dolce journal - data la presenza di volti noti all'interno del nostro liceo - da qualche mese veniva pubblicato anche online dove, i fan di Ciak, Castiel o addirittura miei, potevano aggiornarsi di qualsiasi notizia di gossip. Avevo addirittura contribuito ad incrementarne il successo di quella rivista. Tutta colpa di quella dannata pubblicità. Rabanne mi aveva rovinato la vita.

«Miki?!»

Castiel. 

Come mi aveva trovata? Cosa voleva ancora? Forse.. Spiattellarmi in faccia che avesse intenzione di tornare insieme alla sua strega preferita?

«Non puoi entrare. Se lo venisse a sapere la preside verresti sospeso!» gli risposi infastidita, non ero in vena di battibeccare con lui. 

Le porte non erano lunghe fino al pavimento per cui lo potei vedere - dalle scarpe fino alle caviglie - avvicinarsi e fermarsi proprio davanti al bagno in cui ero rinchiusa. 

«Quel confetto gonfiato non saprà nulla», il solito Castiel. Aveva sempre una parola buona per chiunque. 

«Se glielo dirò io lo saprà eccome».

«Non faresti mai un torto del genere al tuo ragazzo», bisbigliò nonostante fossimo completamente soli. 

«Mio solo quando conviene a lui!» non mi avrebbe imbambolata con la sua voce suadente.

«Non è come dici..»

«Allora com'è Castiel? Vuoi spiegarmelo tu?» alzai il tono di voce fissando il masso di legno bianco sul punto in cui pensai si trovasse il viso del rosso. 

«Cos'hai sentito?» 

«Ah.. c'era dell'altro da sentire oltre al fatto che non amerai mai nessuna all'infuori di Debrah? Te l'ho sentito dire miliardi di volte, Castiel, sono stanca!»

«Non è una novità Miki, ti ho sempre detto che non sarebbe stato facile starmi dietro!» si permise il lusso anche d'irritarsi. Che stronzo!

«Sempre le solite frasi...» era sfiancante sentirgli di nuovo ripetere le stesse e identiche parole di qualche mese prima. «Allora questi mesi insieme non hanno significato nulla per te? Sono io ad essermi inventata tutto, sono stata la sola a provare quelle sensazioni? Mi sono inventata persino le parole che mi hai detto? Che ne è allora di noi? Quei discorsi, quelle tue promesse, non credo siano cose da dire ogni giorno alla prima che passa per strada..»

«Appunto per questo non avresti dovuto dubitare..» lo immaginai passarsi le mani tra i capelli, era strano discutere senza poterlo vedere in viso. «Non mi fido più di Debrah, penso stia tramando qualcosa, perciò ho preferito dimostrare indifferenza nei tuoi confronti». "Oh... Ora sì che tutto inizia ad avere un senso". «Io... Non credo di riuscire a tornare ad essere quello di un tempo, questo è vero.. non ho più nulla da donare: mi sento vuoto, paralizzato. Ho la paura costante di vivere, ma anche di morire. Non riesco a spiegarlo a parole Miki, ma devi credermi.. Io ci tengo realmente a te!» lo sentii sospirare e fu una tortura non poter ammirare la sua espressione; si stava aprendo a me, ancora una volta. «Provo davvero ciò che ti ho detto in questi mesi, ma ci sono dei momenti in cui mi perdo, mi sento confuso, e penso di non poter essere in grado di darti niente oltre quello che ti ho già dato... Nonostante ciò in quegli attimi di smarrimento, dove mi rinchiudo in una scatola, continuo a ritenere che tu sia l'unica in grado di donarmi l'ossigeno necessario per non soffocare».

Di nuovo quel pessimismo, quelle torture, quelle allegorie capaci di togliermi e restituirmi allo stesso tempo, subito dopo, più battiti. Senza rifletterci, scattai la serratura facendogli intuire che - quando avesse voluto - avrebbe potuto spalancare la porta di quello spazio ristretto e raggiungermi. Lui lo fece subito. M'inchiodò al muro e, ad una distanza millimetrica dalla mia bocca, sussurrò penetrandomi con lo sguardo: «Sono ubriaco di te, Miki.. Solo di te», e mi baciò offuscando completamente qualsiasi pensiero. 

Era così bello poter ammirare di nuovo i suoi occhi, i suoi capelli assurdi; poterlo baciare, toccare. Ogni tensione, in un battito di ciglia, svanì. Sparì persino Debrah ed ogni mia competizione, insicurezza, gelosia nei suoi confronti. Perché le sue braccia, il suo respiro, la sua presenza, erano medicina per qualsiasi male.

«Cosa ci facevi con Ciak sul tetto della scuola?» si ricordò di chiedermi dopo essersi allontanato dalla mia bocca.

«Mi ha chiesto di ricominciare da capo la nostra amicizia», sollevai le spalle.

«Prima ci farò due chiacchiere, poi si vedrà se potrete o meno ricominciare ad essere amici», corrugò la fronte e m'impose autorevole.

«Non devi dirgli un bel niente. Sono abbastanza grande e responsabile per decidere da sola con chi passare il mio tempo». Semplice e coincisa. Non avrei lasciato decidere lui in quell'occasione.

«Se solo si azzarda ad avvicinarsi più del dovuto alla tua bocca o a sfiorarti in modi fraintendibili è un ragazzo morto!»

«Geloso, Black?» lo schernii accennando un sorriso.

«No, e lo sai!» ribadì convinto.

«E allora perché non dovrebbe avvicinarsi?» tentai di portarlo al limite per indurlo ad ammettere di essere geloso. Era palese che lo fosse, non riuscivo a capire perché volesse a tutti i costi nasconderlo. 

«Perché tu stai con me; solo io posso baciarti, toccarti e tutto il resto», concluse sbrigativo riprendendo a baciarmi intensamente, a sfiorarmi la schiena e poi il sedere. «A quanto pare ci toccherà rimandare a più tardi questa perlustrazione», aggiunse dopo aver udito il suono della campanella. Il rosso, finalmente, aveva iniziato ad acquisire buone abitudini scolastiche per evitare di perdere un altro anno e per avere al più presto il diploma: entrava quasi sempre in orario o, quando non ne poteva fare a meno, un'ora dopo con tanto di giustifica, aveva persino alzato la media dei voti a sette. Il sesso come forma di ricompensa all'impegno scolastico e allo studio serio stava iniziando a dare i suoi frutti. Esatto, avevo metodi di approccio efficienti per aiutarlo ad ottenere buoni risultati. 

Quando si accinse ad aprire la porta per abbandonare il bagno, lo bloccai dal polso. C'era ancora una cosa che mi stava a cuore dirgli: «T'insegno io..» corrugò la fronte dinanzi a quella mia affermazione.

«A fare che?»

«Ad amare. Lascia che io t'insegni ad amare di nuovo, Castiel..» lo scongiurai sussurrando. Gli occhi lucidi, il fiato corto, il cuore che batteva all'impazzata; necessitavo che me lo consentisse come dell'aria per respirare. 

«Tu.. saresti capace di farlo?» tentennò come immaginavo. 

«Credo di sì, potremmo provarci insieme», contrattare fu l'ultima spiaggia. 

«Non ne sono più capace, te l'ho detto.. Non voglio ferirti più di quanto non abbia già fatto in questi mesi. Sono un disastro, lo sai», fissò pensieroso le mattonelle del muro, non mi guardò negli occhi. Quella strana conversazione stava avvenendo nel posto meno romantico esistente al mondo, eppure quei minuti li avrei ricordati per sempre. Fu uno di quei dialoghi capaci di smuovere intere montagne, capace di generare tempesta ma nello stesso istante anche  l'arcobaleno e il sole. 

«Non mi feriresti. Sono io a volerci provare, senza nessuna scadenza, senza alcuna strana profezia. Apri il tuo cuore, non privarti di emozioni solo perché pensi di non essere in grado di poterle provare. Non essere pessimista, non sentirti paralizzato, non rinchiuderti in te stesso. Lasciami entrare Castiel..»

"È nelle stelle.. Sei scritto nelle cicatrici del mio cuore. Non sei distrutto, solo piegato. Posso insegnarti ad amare di nuovo. Niente è cosi brutto come sembra. Dammi un motivo, basterà poco.. 

Fin dall'inizio eri un ladro, hai rubato il mio cuore, ed io la tua vittima consenziente. Ti ho lasciato vedere ogni parte di me, anche quella meno bella; con ogni tocco mi hai aggiustata, ora lascia fare a me. Ti prometto che non ti ferirò come altri hanno fatto. Non sarò un ladro, come tu sei stato per me; non sarai la mia vittima, come io sono stata la tua. Sarò una benefattrice, la custode di un tesoro in grado di preservare la ricchezza più grande: il tuo cuore. 

Dammi un motivo, solo uno, ed io sarò capace di farlo". 

«Insegnami Miki.»

Solo per te. Solo con te. Grazie amore mio. 

 

 

 


_______________________________________________________________________

🌈N.A.🌈

WOW CHE MAGONE SULLO STOMACO. L'ultima parte mi ha emozionato tanto scriverla.

Comunque hello, vi chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione ma è stata una settimana piena di alti e bassi, non ce l'ho fatta proprio a terminare prima. Spero che il capitolo non abbia risentito del mio umore, se fa schifo o per qualsiasi errore, dimenticanza, non esitate a commentare. Accetto ogni tipo di critica costruttiva. 

Vi ringrazio per i commenti e messaggi privati carini che mi avete scritto. Mi avete mostrato tantissimo supporto per il discorso "segnalazioni" e per la storia in sé. Non mi aspettavo di leggere che ciò che scrivo è fonte di così tante emozioni dentro ogni lettore, mi rende davvero fiera del lavoro svolto finora e motivata a fare di meglio. Grazie. La fase di "incazzatura" è passata, preferisco dedicarmi alla scrittura e rendere felice chi mi segue. Grazie ancora di tutto. 

Ok, ora veniamo a noi. Capitolo ricco di fraintendimenti, intromissioni, dubbi, incertezze.. Del tutto diverso dagli ultimi pacati e tranquilli, ma almeno ha un lieto finale puccioso. 

Ciak e Debrah sono sinceri? O è proprio Ciak colui che sta tramando alle spalle dei Mikistiel?

Giustificate e condividete lo stordimento di Castiel nel relazionarsi con questa versione docile di Debrah? 

Vi è piaciuta l'ultima parte del capitolo riguardante Castiel e Miki? Io sto fangirlando da sola davanti al PC.

So che i mesi stanno scorrendo velocemente nella ff, ma purtroppo non posso far accadere diversamente a causa di ciò che ho in mente per il seguito della storia. Conto, comunque, di scrivere delle OS sui mesi mancanti e non descritti. Non avverrà ora, ma in futuro vorrei tanto riuscire a pubblicare qualcosa extra. 

Ora vi saluto, Buona giornata

All the love💖

Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** CAPITOLO 44: Tutta colpa di Gossip Girl ***


Capitolo 44

Tutta colpa di Gossip Girl






🎶Andy Grammer - Don't Give Up On Me🎶

 

***


MIKI

Tutte le mattine ero solita recarmi in un bar nei pressi della scuola. Iniziai a farlo da quando Castiel ritardava per accompagnare Adelaide alle sedute di chemioterapia. Mi piaceva accomodarmi su uno sgabello, dietro uno di quei banconi che affacciavano in strada, per ammirare il panorama della città più romantica al mondo. Mi facevano compagnia un croissant ed una cioccolata calda, a nessuno delle mie conoscenze era concesso interrompermi - neanche a Rose o a Ciak. Tutti sapevano fosse divenuto un momento sacro per la sottoscritta, necessitavo di un po' di quiete e - visto che a casa mia o in altri sprazzi di giornata non mi era concesso stare sola - avevo bisogno di ritagliarmi quei quindici minuti ogni mattina. I muri del locale erano sui toni del viola; l'arredamento in stile moderno, accogliente a suo modo. La sosta al bar, quindi, era entrata a far parte della mia routine quotidiana. Ma quel giorno di metà Aprile qualcosa andò storto. 

«Questa mattina qualcuno ha già fatto al posto tuo», m'informò la voce gentile della cassiera a cui ogni giorno pagavo il mio ordine. 

«Che?» mi accigliai senza comprendere bene cosa intendesse.

 «Lui», ammiccò in direzione di una chioma bionda che conoscevo parecchio bene. «Ha pagato la tua colazione». Ringraziai la ragazza per le delucidazioni e mi andai ad accomodare al solito posto. Nathaniel sedeva proprio accanto allo sgabello che occupavo ogni mattina. Anche lui, pur non rivolgendoci di frequente la parola, conosceva le mie abitudini; era un ottimo osservatore. 

«A cosa devo questo gesto gentile? Grazie, comunque», ruppi il ghiaccio stando sulla difensiva. Non m'impressionavano più i modi galanti, tantomeno i suoi.

«Ti osservo da un po' di mattine pensando sempre che da un momento all'altro sarebbe sbucato Black da qualche parte e invece... I giorni passano e tu resti sempre sola, quindi ho pensato: perché no?! Potremmo fare colazione insieme invece che divisi. Anche a me piace questo posto, è tranquillo!» mi sorrise cordialmente. Quella facciata falsa da bravo ragazzo non attaccava più con me, non potevo farci nulla.

«A me piace stare sola in realtà».

«È un modo gentile per dirmi di levarmi dai piedi?»

«Oh no, no. Per oggi resta».

«Solo per oggi?»

«Solo per oggi!» gli sorrisi mentre la cameriera ci portò le tazze ed i croissant. Amavo essere chiara e sincera con chiunque per evitare fraintendimenti come - tra l'altro - quelli già accaduti in passato con lui. 

«Allora... Tu e Castiel fate sul serio a quanto pare»

«Vuoi realmente chiacchierare di questo?» scettica sgranai leggermente gli occhi.

«Perché, cosa c'è di male?» 

«C'è davvero bisogno che te lo spiega?»

«Il passato è passato, Miki. Non porto rancore né per mia sorella e né per me».

«Oh a proposito.. lei come sta?» tagliai corto. Non avevo intenzione di discutere con lui, proprio su quegli argomenti così spigolosi, dopo così tanti mesi di silenzio. 

«Non lo so, non parliamo più da quando è partita.»

«Ah... Mi dispiace!»

«Se l'è cercata!». Perché non si smuoveva? Perché era sempre così freddo? Pareva quasi che la situazione non lo ledesse minimamente; come se di sua sorella non gli importasse realmente. Grazie a quel breve botta e risposta capii cosa intendesse Castiel quando mi disse di esser rimasto spiacevolmente colpito dall'atteggiamento di Nathaniel: sua sorella aveva da poco perso un figlio, aveva mutato completamente il suo modo di vivere, non parlava più con nessuno della sua famiglia e lui aveva classificato quella situazione come una banale questione di karma. Incredibile. E, in quell'attimo, ricordai anche il motivo per il quale - qualche mese prima - ritenni opportuno allontanarmi da lui, quando capii che non era il ragazzo giusto per me. Preferivo avere gente sincera accanto e lui non era nulla di tutto ciò. 

«Come puoi essere così tranquillo? Stiamo parlando di tua sorella, non di una qualsiasi conoscente». Come sempre le parole fuoriuscirono dalla mia bocca prima che potessi riflettere. 

«Essere la ragazza di Castiel non ti dà il diritto di mettere bocca su queste faccende». Il mio status sentimentale sembrava quasi lo irritasse. 

«Cosa c'entra adesso Castiel? Non avevo intenzione d'impicciarmi della tua vita, mi ha solo infastidita il tuo modo di parlare.. Tutto qui!» replicai stizzita incrociando le braccia al petto. Non avevo neanche più fame. Dall'ira avrei volentieri versato la mia cioccolata calda in testa al biondo, magari con il calore gli si sarebbe sciolto il cervello ed avrebbe iniziato a ragionare meglio.

«Lui è sempre presente, anche quando non sembra..» in seguito a quella risposta criptica abbassò il capo e, dopo aver soffiato nella sua tazza, bevve un sorso di caffè. 

«Che..»

«In tutte le situazioni, in tutti i discorsi.. mi perseguita con il senso di colpa.»

Cosa intendeva? La mente iniziò ad elaborare tanti dati, a congiungere fatti ed il risultato finale non fu quello che mi aspettavo. «Sei andato a letto con Debrah?» quella domanda, uscita dalla mia bocca senza preavviso, parve essere quasi un segno del destino. Quel suo continuo richiamare Castiel in qualsiasi discorso, quelle sue frasi insolite, mi avevano indotto a concludere supposizioni mai neanche lontanamente pensate fino a quell'istante. Ritenevo di conoscere la risposta di quel quesito, ma a quanto parve mi sbagliavo. 

«Chi te lo ha detto?» si drizzò sullo sgabello come se avesse appena ricevuto una scarica elettrica, si guardò intorno - impaurito - per assicurarsi che nessun alunno del nostro liceo fosse accanto a noi e potesse aver sentito. 

«Io pensavo che tu fossi...» sgranai gli occhi dinanzi a quella rivelazione, deglutii a vuoto. Ero incredula. «Hai tradito sul serio l'amicizia di Castiel? Castiel ha avuto ragione per tutto questo tempo? Oh mio Dio!» involontariamente alzai di qualche decibel il tono di voce e Nathaniel posò una mano sulla mia bocca per zittirmi. 

«Shh! Non arrivare a conclusioni affrettate», bisbigliò avvicinandosi al mio volto per farsi sentire solamente dalla sottoscritta, «è successo prima della partenza di Debrah, due anni e mezzo fa, quando lei e Castiel non si parlavano già più; quando lui non rivolgeva la parola neanche a me. Ero imbestialito con lui per aver subito dubitato della mia lealtà, per non avermi lasciato spiegare, così ho deciso di dargli un motivo vero per avercela a morte con me. Ma non ce l'ho fatta fino alla fine, era come un fratello per me. Non avrei mai potuto tradirlo fino in fondo.. Quindi: non c'è stato un atto completo, capisci cosa intendo...» arrossì sulla parte finale; Nathaniel era un ragazzo tutto d'un pezzo, inibito, non erano da lui quei discorsi espliciti. «Comunque ti ho offerto la colazione con l'intento di chiacchierare un po' con te, di discorsi leggeri, tentando di ricucire un minimo il nostro rapporto. Quindi se non ti dispiace.. preferirei parlare di altro», si mise comodo poggiandosi allo schienale dello sgabello e accennò un sorriso di circostanza mostrandosi leggermente irrigidito per quella conversazione spinosa. 

«Certamente», mi limitai a rispondergli e mangiai tutto il croissant - ormai freddo - restando in silenzio. In realtà non riuscivo a comprendere quel suo cambio repentino di opinione: a Gennaio, di comune accordo - per evitare inutili disagi e dispiaceri - avevamo pensato di mantenere la nostra conoscenza su un piano prettamente scolastico. Cos'era cambiato in pochi mesi? Ci eravamo sempre e solo limitati al saluto, cosa lo aveva spinto a riavvicinarsi nuovamente a me? Più i giorni passavano e più Nathaniel Daniels restava un mistero. 

«Allora.. Stai preparando il brano da portare al concerto di fine anno? So che canterai da solista»,  mi sorprese quella sua conoscenza dei dettagli.

«Come lo sai? Non sei più il segretario delegato...»

«Non ufficialmente. La direttrice ha avuto bisogno di me e già dopo qualche giorno di revoca dall'incarico mi ha supplicato di aiutarla con i documenti dei club, con l'organizzazione degli eventi di beneficenza: quello del club di musica è tra questi. Quindi ho la lista di tutti coloro che si esibiranno il 14 Giugno, tra tutti i nomi è spiccato il tuo per varie ragioni.»

«Tutto è bene quel che finisce bene, allora... Sono contenta che alla fine la preside abbia capito di esser persa senza il tuo aiuto», sorrisi evitando gli altri argomenti. 

«Già... Ma quindi?! Quale brano hai scelto?» 

Perché era così insistente?

«In realtà sono ancora confusa. Vorrei tanto chiedere aiuto a Castiel, solo che... ultimamente è parecchio impegnato; tra l'altro sono sicura che mi consiglierebbe prevalentemente brani rock e non sarei a mio agio con quelli. Quindi: non ne ho idea!» abbassai lo sguardo, feci spallucce e terminai di bere la mia cioccolata calda.

«Oh certamente, ricordo benissimo la denigrazione di Castiel per tutti i tipi di musica al di fuori di quella rock. Non cambia mai», rise e scosse la testa perdendosi in chissà quali ricordi. Avrei tanto voluto conoscerli quando erano amici, avevo sentito dire che fossero incredibili insieme. «Posso darti io una mano, se vuoi. Sono aperto a qualsiasi genere musicale e, modestamente, sono un buon intenditore», mi fece un occhiolino e sorrise di nuovo. In momenti come quello tornava ad essere un ragazzo della sua età, era spontaneo ed era piacevole stare in sua compagnia. Ma non sapevo ancora riconoscere quale fosse la sua vera personalità. 

«Be'... grazie per l'interesse, ma io non credo che-» m'interruppe.

«Non mangio le belle ragazze, per ora. Stai tranquilla». Stava per caso flirtando con me? Non lo avevo mai visto così sfacciato, sembrava essere addirittura un'altra persona. 

«N-no i-io-», non sapevo come altro rifiutare. Castiel non sarebbe stato felice di quel presunto aiuto da parte del suo nemico, preferivo evitare altre tensioni tra noi. 

«Facciamo Sabato pomeriggio, dopo il tuo compleanno. Passo io da casa tua», non mi lasciò possibilità di replica: si alzò dallo sgabello e si mise lo zaino su una spalla. «Mi ha fatto piacere chiacchierare con te, ora devo scappare. A dopo, buona giornata!» e, subito dopo avermi salutata con un cenno della mano, abbandonò il bar. 

***

«Dimmi che non è vero!» Rosalya sbatté il mio armadietto, appena aperto con l'intenzione di recuperare i libri utili per la prima ora di lezione, senza permettermi neanche di sbirciarvi dentro e anzi per poco non rischiò di chiudermi le dita. 

«Buongiorno anche a te, raggio di sole», la salutai tranquilla. Non ci eravamo neanche viste e già, secondo lei, avevo combinato guai. Impossibile. 

«Buongiorno un cappero, pensavo ci dicessimo tutto», voltandomi le spalle incrociò le braccia rabbiosa. 

«Ma io ti dico tutto!» replicai stizzita. 

«Tutto tranne che tradisci Castiel, a quanto pare», sibilò incazzata ancor più di prima.

«Ma che cazzo dici Rose? Non scherzare su queste cose, sai che non lo farei mai!» l'afferrai dal braccio e mi avvicinai a lei guardandola dritta negli occhi. 

«E allora come giustifichi questo?» mi mise davanti agli occhi, col suo smartphone, una pagina internet. Si trovava sul sito online del dolce journal: una foto ritraeva me e Nathaniel, nel bar in cui mi recavo ogni mattina, mentre lui poneva una mano sulla mia bocca per zittirmi. Effettivamente quel gesto poteva essere facilmente frainteso per una carezza, ma in realtà non lo era. Per niente. Poi, in un'altra foto che ci ritraeva più vicini sembrava quasi ci stessimo per baciare. Cazzo. Sotto alla foto una didascalia. 


Avvistati: la piccola Miki e Nathaniel Daniels in atteggiamenti intimi. Sarà un ritorno al passato per il bel tenebroso Black? Diversa dama, stesso cavaliere, identiche corna. Consiglio a tutti una nuova tinta capelli; a quanto pare le ragazze preferiscono i biondi.


In un attimo mi sentii d'esser stata catapultata nel mondo newyorkese di Gossip Girl. Peggy diventava sempre più spietata: non le importava se le notizie fossero reali o meno, le bastava uno scoop qualsiasi riguardante qualcuno della sua lista d'oro per pubblicarlo e poter divenire così ancor più popolare. La giornalista, da quando aveva aperto quella sezione online del dolce journal, scopiazzava i modi di scrittura e di agire della misteriosa autrice di scoop dell'Upper East Side di New York, tutti gli studenti ne erano eccitati perché si sentivano parte di una serie televisiva. Già... Tutti tranne me. 

«Non è vero nulla, è stato tutto frainteso. Lui mi tappava la bocca perché non voleva far sentire agli altri che... E poi nell'altra foto mi stava solo dicendo com'erano andate le cose e-» andai in panico mostrandomi confusionaria ai massimi.

«Tesoro io ti credo. Ma ti consiglio di usare parole più sensate per quando dovrai raccontarlo a Castiel», Rosalya mi poggiò entrambe le mani sulle spalle per mostrarmi la sua vicinanza. 

Castiel. Il sol pensare a quel nome mi fece sussultare. Mi avrebbe creduta? Era così fragile quel ragazzo, così suscettibile quando si trattava di tradimenti, così irritabile se si parlava di Nathaniel. Senza volerlo - ancora una volta - ero riuscita ad infilarmi in guai più grossi di me, proprio quando la mia vita aveva preso la piega giusta, proprio dopo aver potuto assaporare il significato della felicità. Pregai affinché il mio ragazzo, per una volta, si mostrasse comprensivo; sperai fino all'ultimo che Castiel mi credesse senza giungere a conclusioni affrettate, ma in cuor mio sapevo già come sarebbe andata a finire quella storia. 

Ne ebbi la conferma quando udii in lontananza un brusio di voci e vidi un gruppo di persone indistinte unirsi a cerchio incitando qualcuno a fare a botte. Restai immobile, impietrita, per la scena che stavo immaginando, ma che non sarei mai stata felice di vedere. Rosalya agì al posto mio. Mi afferrò dal braccio e mi trascinò fino alla folla di studenti che acclamavano i due lottatori improvvisati; mi feci spazio tra le persone e, avuta una chiara visuale della scena, fu ancor più orripilante la scena che mi si presentò davanti. 

Castiel era infuriato: era a cavalcioni sul corpo esile di Nathaniel, gli urlava contro frasi sconnesse, gli reggeva il capo dal colletto della camicia, mentre con l'altra mano sferrava dei pugni sulla sua guancia. Il biondo perdeva sangue dal labbro, mentre Castiel dal sopracciglio. Dio, che orrore! 

«Come hai potuto anche con lei? Come? Lei era così pulita, così sincera, così mia! Lei aveva scelto me. ME!» urlò in faccia al povero Nathaniel. «Non dovevi sporcarla. Non dovevi permetterti di usarla per le nostre vendette del cazzo. Lei doveva starne fuori, cazzo!» ed in contemporanea alla frase finale colpì il pavimento con un pugno. Fu lì che decisi di farmi coraggio per l'amore provato nei confronti di quel ragazzo. 

«Cass», mi accovacciai su di lui abbracciandolo di spalle. Sperai non mi togliesse, sarebbe stata un'umiliazione troppo grande da sopportare. Socchiusi gli occhi pregando affinché non accadesse. E non accadde. In un primo momento s'irrigidì, poi si lasciò abbracciare allentando la presa su Nathaniel. «Vieni con me.. andiamo via. Devo parlarti!» ci alzammo in contemporanea, Rosalya mi suggerì di far allontanare Castiel da quel punto, che a Nathaniel ci avrebbe pensato lei, così strinsi la mano del rosso e m'incamminai verso i bagni maschili. Perlomeno se ci avesse beccato qualcuno avrei preso io una punizione al posto suo, per essere in un posto vietato: alle donne non era concesso entrare nel bagno degli uomini e viceversa. Ma non sapevo dove altro andare, dove altro portarlo per ripulire le piccole ferite presenti sul suo volto. Se lo avessi accompagnato in infermeria avrebbero chiesto cosa fosse accaduto, inevitabilmente tutti i professori avrebbero saputo i dettagli ed il rosso avrebbe rischiato la sospensione. Non era il caso.

Castiel per fortuna non fece domande, semplicemente mi seguì; dopo la sfuriata contro Nathaniel parve cadere in stato di trance, mi aspettavo tante urla anche contro di me e invece non mi guardò neanche. Dentro il bagno trovammo solo un ragazzo che, grazie ad un'occhiata di sbieco del rosso, pensò bene di uscire e lasciarci soli. Senza dire una parola recuperai dei fazzoletti dal mio zaino, l'imbevvi di acqua e mi sollevai sulle punte per ripulire il volto del mio - forse ancora per poco - ragazzo. In un primo momento non si scostò, ma dopo qualche secondo mi strappò il fazzoletto di mano e lo gettò contro il muro. Chiusi gli occhi per prepararmi mentalmente ad una serie d'insulti che non tardarono ad arrivare. 

«Era questo il tuo intento, quindi? Vendicarti di me in un modo che sapevi mi avrebbe distrutto; ti faccio i miei complimenti: ci sei riuscita alla grande!»

«Non mi concedi neanche il beneficio del dubbio? Pensi sia tutto vero? E perché ritieni che tutti vogliano vendicarsi di te? Esiste il perdono, Castiel, cosa che a quanto pare tu non sai neanche dove sta di casa!» prima delle sue insinuazioni avevo provato ad essere razionale, a non andare in panico, ma dopo non fu facile mantenere la calma: infatti mi alterai all'istante.

«Ci sono delle foto come prove, mi avevi detto di essere sola in quel bar e invece... Mi hai mentito per vederti con lui. Se non ci fosse stato qualcosa da nascondere me l'avresti detto tranquillamente», continuò ad avere i paraocchi.

«Ho saputo che lui si trovava lì soltanto dopo averti mandato quei messaggi, non ci eravamo dati appuntamento. Credimi Castiel, io e Nathaniel non ci rivolgevamo la parola da Gennaio», mi lagnai tentando di farlo ragionare. «Chi ti ha mostrato quelle foto? Tu non controlli mai quel sito..» aveva un senso la mia domanda, ma ovviamente lui capì altro.

«Ah l'importante per te è questo, quindi... Se io non avessi guardato quello stupido sito il problema non si sarebbe posto, giusto? Tu avresti continuato ad agire alle mie spalle ed io avrei finito per...» si fermò appena si accorse di star rivelando troppo e sgranò gli occhi, poi si passò le mani sul volto. 

«Avresti finito per...?»

"Fa' che sia: avrei finito per innamorarmi di te. Fa' che sia questo, ti prego!" supplicai invano una divinità superiore. Ma Castiel non lo avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura. 

«Non è importante ora. Il punto è un altro: se Debrah non mi avesse mostrato quelle foto tu non mi avresti mai rivelato della tresca tra te e quel damerino del cazzo», senza volerlo si lasciò sfuggire il nome della persona che aveva provocato tutto. 

«Debrah.. Ma certo. Dovevo immaginarlo sin dall'inizio. Che scema sono stata!», risi amaramente soprappensiero. Sentii il bisogno di strapparmi i capelli. Voleva dividerci, il suo unico intento continuava ad essere quello.

«Quando la smetterai d'incolpare lei?! Tu eri dentro quel cazzo di bar a sbaciucchiarti con un altro, non lei!»

«Io non sbaciucchio proprio nessuno! E poi.. ora hai anche il coraggio di difenderla?! Se tu sei in queste condizioni, se non riesci a fidarti più di nessuno, è soltanto colpa sua. Quando lo capirai?»

«Infatti.. L'unica eccezione sei stata tu e guarda dove ci troviamo», mostrò l'ambiente circostante con le mani, poi - nervoso - iniziò a girovagare per tutta la stanza. 

«Vuoi capirlo che non c'è stato niente tra me e Nathaniel? Mi ha offerto la colazione, ma non avevamo programmato d'incontrarci. Ficcatelo in quella dannata testa di rapa rossa che ti ritrovi!» alzai la voce, era snervante litigare con lui. Dovevo ripetere le stesse e identiche frasi fino allo sfinimento per essere considerata. 

«Come potrei crederti? Come potrei pensare che il tuo non è stato un piano per vendicarti di tutti i torti che da Settembre ti ho fatto?» si fermò al centro della stanza, corrugò la fronte e mi guardò titubante. Nei suoi occhi lessi incertezza, vulnerabilità; da sempre aveva avuto a che fare con gente bugiarda, diabolica, era restio a riporre fiducia nel prossimo e - alla prima occasione - la perdeva completamente. 

«Ascoltami Castiel», mi avvicinai cautamente e presi il suo volto tra le mani per poterlo guardare dritto negli occhi; non si scostò. Sospirai per racimolare un po' di forza e - tentando di non sbraitare - cercai di ragionare a dovere. «Nelle foto scattate da Peggy: Nathaniel mi aveva appena rivelato di esser stato con Debrah, due anni e mezzo fa, dopo che tu hai scoperto della sua imminente partenza. Voleva darti una scusa reale per avercela con lui, ma non ce l'ha fatta ad avere un rapporto completo con la tua ex perché era troppo legato a te. Ora.. non so quale sia la verità su quella storia, non c'ero ancora in questa scuola e non posso saperlo, ma una cosa è certa: Nathaniel nelle foto non mi stava accarezzando, non si stava avvicinando per baciarmi. Si era avvicinato per rivelarmi ciò che ti ho appena detto e mi stava solo zittendo per evitare che qualcuno sentisse la mia reazione. Tutto qui, credimi!» lo supplicai sia con le parole che con lo sguardo. 

«Quindi... Non avete una relazione alle mie spalle?» non gli importò neanche dei dubbi finalmente placati sulla presunta storia tra Nathaniel e Debrah, in quel momento gli importava solamente di me, della nostra storia. Gli fui grata, finalmente riuscii a percepire quanto anche lui ci tenesse a noi. 

«No! Castiel non potrei mai farti una cosa del genere», negai con convinzione scuotendo persino la testa.

«Perché, chi te lo vieta?» Dio, gli avrei sbattuto volentieri mille volte la testa contro il muro per quanto era cocciuto. Non ce la faceva proprio a capire come stavano le cose. 

«Me stessa lo vieta, perché io ti...»"amo", ero quasi sul punto di dire, ma per fortuna riuscii a fermarmi in tempo: «Sei troppo importante per me Castiel, non potrei mai tradirti. Ci ho messo una vita a convincerti di stare insieme, di darci una possibilità, non sono così scema da buttare tutto all'aria proprio ora. In più ho occhi solo per te. Al mio fianco non riuscirei mai a vedere nessun altro che non sia tu», fu una dichiarazione in piena regola. Gli parlai con il cuore in mano sperando di convincerlo fino in fondo. 

«Dici sul serio?» mi scrutò attentamente tentando di leggermi negli occhi. Era da sempre una sua dote nascosta quella di cogliere l'emozioni racchiuse nelle mie pupille scure; sperai fosse a causa della nostra complicità, che non riuscisse a farlo anche con le altre. 

Quella mattina trovò altro nei miei occhi, non il solito affetto o devozione nei suoi confronti. Quella mattina trovò amore. E lo vidi, lo vidi sussultare per quel sentimento celato a parole ma non più nello sguardo. Forse riuscì ad intravederlo persino lui perché non più anoressico delle emozioni. Forse il suo sentimento finalmente riusciva ad avvicinarsi maggiormente al mio, forse soltanto per questo fu capace di credermi, di non dubitare di me. E non ci fu bisogno di sprecare fiato, Castiel aveva già ricevuto le sue risposte. 

«Vale lo stesso per me», replicò dopo quella che mi sembrò un'eternità. Accorciò del tutto le distanze e mi strinse tra le sue braccia. Mi sentii benissimo, mi sembrò di volare; potei sentire persino il battito accelerato del suo cuore. Batteva per me, solo per  me. «Al mio fianco non riuscirei più a vedere nessun'altra che non sia tu», e tutta la tensione si sciolse definitivamente. Sapevo benissimo cosa stava cercando di dirmi: pian piano aveva reciso ogni legame con Debrah. Parlavano ancora ogni tanto, ma nulla di più; si era ripreso quel pezzo di cuore da sempre rimasto a lei. O almeno credevo...

---

Quel giorno decidemmo - di comune accordo - di non recarci a lezione. Dopo che la piccola ferita sul sopracciglio finì di sanguinare e dopo averla ripulita per bene con dell'acqua, decidemmo di sgattaiolare fuori scuola da un'uscita secondaria di sicurezza. Rosalya mi scrisse che nessuno dei professori si accorse di quella piccola rissa nei corridoi, per cui né Castiel e né Nathaniel avrebbero rischiato di essere sospesi o puniti. Tirai un sospiro di sollievo davanti a quella notizia e decisi di svuotare la mente per dedicarmi totalmente a quella mattinata di primavera in compagnia del mio ragazzo. Diventava sempre più difficile passare del tempo con lui, tra impegni scolastici e concerti, riuscivamo a passare delle ore insieme - senza dei libri come intralcio - soltanto la sera; per cui mi ritenni davvero fortunata a poter marinare la scuola per stare con lui. Facendo attenzione a non esser visti, una volta indossato il casco, montai in sella alla sua moto e partimmo per chissà quale destinazione. Castiel era imprevedibile: durante ogni appuntamento finiva per portarmi in posti mai visti prima. E, senza volerlo, le sue mete avevano tutte un aspetto romantico. 

Ogni ostilità, ogni angoscia sembrava esser svanita nel nulla. Verso le dieci giungemmo nei pressi della Tour Eiffel, parcheggiammo la moto e scendemmo - mano nella mano - lungo una stradina che portava al fianco del fiume Senna. Mi aveva portata lungo la riva di uno dei canali più famosi al mondo, un'altra meta spettacolare da aggiungere alla lista. Quel ragazzo era incredibilmente sorprendente ed io lo amavo da impazzire. 

Vidi molti turisti, ma anche gente del posto, salire su dei battelli per una gita panoramica di Parigi con vista dal fiume. Ed io, prima di quel giorno, non sapevo neanche dell'esistenza di quell'attrazione turistica.. Che brava parigina!

«Aspettami qui», Castiel mollò la presa della mia mano, mi salutò con un bacio sulla guancia e sparì. Restai impalata ad aspettarlo mentre ammirai il posto, non ero mai stata così vicina alla Senna; l'avevo sempre guardata da una distanza di sicurezza. 

Quel mattino di metà Aprile era soleggiato, una di quelle giornate fatte apposta per essere trascorse all'aperto, da una parte fu un bene quel piccolo imprevisto avuto a scuola: se non fosse accaduto ciò che invece era accaduto non avrei mai avuto un'intera mattinata libera da trascorrere a zonzo con il mio ragazzo, non avrei mai ammirato la riva della Senna da così vicino. Da quella minima distanza si poteva aver sentore dei tipici odori dei fiumi, le immagini del verde mista a quelle dei monumenti parigini - che si potevano vedere in lontananza - estasiavano. Parigi era bella, un aggettivo che non le faceva neanche onore. 

«Vieni con me», Castiel mi risvegliò dai pensieri quasi spaventandomi. Camminai dietro a lui fino ad arrivare proprio dinanzi all'entrata di un battello. Lì mi bloccai. 

«Ma che stai facendo? Dobbiamo fare il biglietto prima di entrare», la mia natura innata da perfetta osservatrice delle leggi si fece risentire. 

«E questi cosa sono, genia?!» sorridendo mi sventolò davanti al viso due biglietti per una mini crociera di un'ora sul Bateaux Parisiens. Aprii e chiusi gli occhi più velocemente rispetto al solito a causa dell'incredulità di ciò che stavo vedendo, fui sicura di aver assunto un'espressione da totale ebete. Ma... Non mi aspettavo quel cambio repentino di giornata, quella sua tranquillità improvvisa, pareva essere un altro ragazzo rispetto a quello che stava facendo a botte  - solamente un'ora prima - nei corridoi del Dolce Amoris. «Se non ti dai una mossa partiranno senza di noi», mi redarguì scherzando. Replicai con un sorriso più smagliante del solito e, per evitare ogni rischio, mi misi in fila per entrare nell'imbarcazione. Sapeva sempre come sorprendermi quel mattacchione.

Ci accomodammo nelle ultime file, l'una difronte all'altro, occupando i posti al piano superiore, all'aperto. Il battello partì quando tutti i paganti riuscirono a salire a bordo. 

Fu incantevole l'alternarsi di colori, fu affascinante ammirare i vari monumenti scorrermi a fianco, il vento tra i capelli, l'odore della natura così diverso da quello della città a cui ero abituata. Il profumo degli alberi e dell'acqua si alternava a quello di Castiel, fu un mix mortale per la sottoscritta. Il verde della vegetazione a riva della Senna, il grigio ed il bianco delle strutture storiche: un intercalare notevole di colorazioni capaci di lasciare semplicemente a bocca aperta. Restai ammaliata da ogni cosa. Che bel regalo!

«Allora.. Ti piace?» indossò un paio di occhiali Ray-Ban per ripararsi dal sole, poggiando la nuca sul bordo superiore del sedile ed incrociando le braccia al petto si stravaccò sulla poltrona. Le gambe distese, talmente erano lunghe, andarono a finire sotto il mio sedile. 

«Sì, è meraviglioso», replicai sognante facendo riferimento più a lui che al panorama. Certo, Parigi vista dal fiume era straordinaria, ma Castiel con Parigi e la Senna alle spalle lo erano ancora di più. «Grazie di tutto», aggiunsi. Quelle tre parole racchiudevano più significati: lo ringraziai per tutte le idee fantastiche che in così pochi mesi di frequentazione si era fatto venire in mente, per tutti i luoghi che grazie a lui avevo visitato, lo ringraziai per avermi concesso più fiducia di quanto avesse mai dato a qualsiasi altra persona; lo ringraziai per essere semplicemente lui. Non se ne rendeva conto, ma era il fidanzato perfetto. Sperai che quegli istanti durassero per l'eternità.

«Mi piace sorprenderti», buttò lì quella frase come se nulla fosse, incurante di cosa provocava al mio povero cuore. 

«Le pensi di notte tutte queste destinazioni?» tentai invano di domare i capelli che, a causa del venticello provocato dal movimento del battello, svolazzavano per conto loro finendo nei posti più improbabili del mio viso.

«In realtà c'è un vero e proprio studio dietro: ricerco e valuto i luoghi ideali in base alle nostre possibilità. Google è un ottimo alleato in questi casi. Ho in serbo ancora tante mete per te, mia madame», simulò un mezzo inchino con il busto, mi fuoriuscì un risolino di felicità dinanzi alle sue parole. Era così bello sentirlo parlare di noi... Si stava impegnando davvero tanto in quella relazione, stava mutando persino gli atteggiamenti bruschi e menefreghisti tipici di lui, era una soddisfazione continua. Era più dolce, cercava di esprimere al meglio le sue emozioni, era presente, era persino meno bipolare rispetto ai mesi precedenti.

«A me basta stare con te, lo sai», ci tenni a precisare. Non stavo insieme a lui per le sorprese, per i posti visitati, ma solo e soltanto per lui, per il ragazzo straordinario che era, per quella che diventavo quando stavo in sua compagnia. 

Poggiò i gomiti sulle gambe, mi prese le mani tra le sue e si sporse per sussurrarmi «Lo so, è anche questo a spingermi a fare sempre di più. Perché tu non pretendi nulla da me, non vuoi nulla in cambio: solo me!»

«Solo te..» ripetei stregata dalla sua bocca. Avevo tanto voglia di baciarlo, non era ancora accaduto quel giorno.

«Solo te!» si sollevò gli occhiali sui capelli, scoprendo gli occhi, permettendomi di ammirare il grigio luminoso dei suoi diamanti. Alla luce del sole sembravano essere ancora più chiari. «Stiamo per passare sotto il Pont Marie, la leggenda narra che: le promesse fatte sotto questo ponte, se suggellate da un bacio, siano sacre».

«Davvero?» non conoscevo quella storia, ma a giudicare dalla serietà di Castiel doveva essere vera.

«Davvero. Comincia tu». Autoritario e affascinante al tempo stesso, ammirarlo alla luce del sole - con il vento tra i capelli color cremisi - fu ancora più struggente per il mio povero organo palpitante. «Ora!»

Mi trovavo di spalle al ponte, per cui mi voltai qualche secondo per guardarlo. Era composto da cinque arcate, tutte diverse tra loro. Non ne avevo mai sentito parlare prima di allora.

«Prometto di non mentirti, di parlarti sempre di qualsiasi problema               

«Prometto di non mentirti, di parlarti sempre di qualsiasi problema. Prometto di non tradirti. Prometto di non dimenticare mai nessun momento, bello o brutto che sia, passato insieme. Prometto che qualunque cosa accada resterai sempre nel mio cuore», feci un riepilogo di promesse nuove e già fatte. Avevo letto nei suoi occhi quanto fosse importante per lui, per la sua serenità, in più ero sul serio convinta di mantenere la parola. Conclusi quelle frasi sporgendomi verso di lui e schioccando un bacio sulle sue labbra. 

«Okay, è il mio turno», sospirò, si sgranchì le dita delle mani e - con tutta la serietà del mondo - iniziò: «Prometto di proteggerti sempre, di stare al tuo fianco anche da lontano, anche quando mi allontanerai. Prometto di non dimenticarti mai, qualunque cosa accada; ricorderò ogni cosa di te, di noi. Prometto di essere fedele alle promesse anche quando mi odierai», finì con un bacio a stampo sulla mia bocca. 

La sua promessa mi lasciò una malinconia strana sulla bocca dello stomaco; le sue parole sembrarono quasi essere una premonizione, come se già sapesse che in futuro sarebbe accaduto qualcosa che ci avrebbe allontanati definitivamente. Da totale fifona qual ero decisi di evitare domande, non volevo peggiorare la tragicità di quel giorno già così difficile ed instabile per noi. Da totale illusa qual ero pensai avesse detto quelle parole semplicemente per il suo carattere pessimista. Ma forse non era così.

Cercai di sorridere per mostrarmi serena davanti a lui, ma non fui sicura di esser riuscita nell'intento. Infatti, vedendomi stranita, si preoccupò: «Ehi, vieni qui», mi fece cenno di accomodarmi sulle sue gambe; lo assecondai. Avevo bisogno delle sue carezze, di sentirmi al sicuro tra le sue braccia, nonostante tutto. Quando fui su di lui poggiai la testa sulla sua spalla e nascosi il volto nell'incavo del suo collo; il mio respiro su quella parte di pelle sensibile lo fece rabbrividire. Mi accarezzò i capelli, sfiorò le braccia fino ad arrivare alle mani, prese a giocherellare con le dita: sembrò essere sul punto di rivelare qualcosa, ma alla fine non disse niente. 

Il silenzio. 

Qualcuno un giorno disse: "in un bacio saprai tutto ciò che è stato taciuto". E allora, per valutare se Pablo Neruda avesse detto giusto o sbagliato, decisi di fare mio quell'insegnamento. Affiancai il mio viso a quello di Castiel e lo baciai. Fu lui ad approfondire quello sfregamento di labbra, fu lui a smentire le mie certezze. Perché in quel tocco percepii passione, possesso, sentimento, orgoglio; nei suoi occhi lessi senso di colpa, pentimento. Probabilmente ero stata semplicemente suggestionata dai miei soliti film mentali, probabilmente non si sarebbe avverata nessuna delle mie premonizioni, evidentemente sarebbe stato meglio così. 

Ma sarei stata pronta a tutto. Avrei lottato per lui, per noi, fino a quando il mio cuore avrebbe cessato di battere. Avrei trovato sempre un modo per arrivare a lui, per entrare nel suo mondo. Anche quando si sarebbe chiuso in sé, quando non avrebbe permesso a nessuno di oltrepassare quel muro, io ce l'avrei fatta ugualmente. Avrei allungato le mani nel buio in attesa di percepire le sue dita sfiorare le mie, perché nessuna battaglia poteva esser vinta in solitudine. Perché sapevo che lui ce l'avrebbe fatta, avrebbe vinto ogni guerra contro se stesso, contro i suoi demoni, le sue paure, le sue torture. Perché io l'avrei aiutato a combattere. Avrei creduto in lui anche quando gli altri non lo avrebbero fatto. 

Se solo non mi avesse abbandonata...

 

 

 

 

_____________________________________________________

🌈N.A.🌈

TARADADAAAAAAAN... Lascio a voi ogni supposizione di tutto ciò.

Nathaniel. 

Mikistiel. 

Debrah. 

Oggi sarò telegrafica. Infatti questa nota autrice sarà decisamente breve rispetto alle altre. 

Tenete bene a mente questa breve gita sul battello, più che altro il luogo ^.^

Ultima cosa (che non c'entra nulla con la storia): consiglio la visione del film "A un metro da te", è uscito oggi al cinema e già solo il trailer mi emoziona. Il brano consigliato per questo capitolo è proprio la colonna sonora del film. Credo possa trasmettere tanti bei messaggi questa storia. Fatemi sapere cosa ne pensate :)

Buona serata

All the love💖

Blue Night🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** CAPITOLO 45: Il compleanno di Miki ***


Capitolo 45 

Il compleanno di Miki






🎶Civil Wars - Poison & Wine🎶

Tu sai solo quello che io voglio che tu sappia

io so tutto quello che tu non vuoi che io sappia.

La tua bocca è veleno, la tua bocca è vino

Io non ti amo, ma lo farò sempre.

Desidero che tu mi tenga mentre mi giro di spalle.

Meno do, più ricevo

Le tue mani possono guarire, le tue mani possono ferire.

Non ho scelta, ma scelgo ancora te..

Lo farò sempre!

-

🎶Aerosmith - I Don't Want To Miss A Thing (fine capitolo)🎶

 

***


CASTIEL

Mai e poi mai avrei immaginato che quella ragazzina dai capelli ramati, incontrata su un aereo per Parigi, avrebbe potuto sconvolgermi la vita fino a quel punto. Micaela Rossi: un nome italiano come tanti, una ragazza unica come poche o addirittura nessuna. Avevo perso completamente la testa per lei, ma quel particolare non lo avrebbe mai saputo. Ero un vile, ammetterlo davanti a lei mi sarebbe costato troppo. Tuttavia... Sorprenderla era diventato il mio scopo principale, totalmente invaghito dell'espressione dei suoi occhi gioiosi e dall'arricciarsi della sua bocca, ogni giorno non facevo altro che immergermi a capofitto nella nostra relazione. La portavo in posti che sapevo l'avrebbero lasciata a bocca aperta; in sua compagnia era fuoriuscita una parte di me che ero ignaro di possedere: tenerezza, tranquillità, affetto. Erano stati d'animo che negli anni avevo imparato bene a nascondere mentre con lei mi veniva spontaneo mostrarli. Aveva un talento naturale nel calmarmi, nel rendermi migliore. Io stesso più volte le avevo ribadito che non sarei riuscito a cambiare, probabilmente mi sbagliavo. Significava tanto il fatto che mi avesse spinto a fidarmi di lei; avevo dubitato sin da subito delle sue intenzioni ed era riuscita a farmi mutare idea senza neanche accorgermene. Se n'era conquistata un po' alla volta, senza far rumore si era insinuata lentamente dentro di me guadagnandosi il mio rispetto, la mia adorazione. Era dappertutto: nella testa, nel cuore, nel mio corpo.. in ogni parte. 

Più riuscivo a renderla felice e meno sensi di colpa avevo: volevo a tutti i costi lavare via il male che lei non sapeva le avessi fatto, ma che prima o poi avrebbe scoperto. Ero consapevole che a breve l'avrei persa definitivamente, per cui avevo deciso di godermi quegli ultimi mesi al massimo. Non mi ero torturato sul futuro, non avevo riflettuto sulla mia vita dopo di lei, volevo continuare a recitare la parte dell'ignorante. Quella maschera fungeva da autodifesa anteriormente alla distruzione finale. 

«Cosa vuoi?» la voce irritante di Ciak mi distolse dai pensieri. «Avresti potuto propormi di vederci direttamente tu.. siamo vicini di banco, non ha senso mandare i tuoi scagnozzi». Avevo semplicemente chiesto ad Alexy di convincere il bambolotto a raggiungermi nel cortile durante l'intervallo, nient'altro. Lui ne stava facendo una questione di Stato. 

«Zitto e ascolta ciò che ho da dirti», già spazientito mi poggiai ad un albero ed accesi la terza sigaretta della giornata. Avevo iniziato a contarle - ed anche a fumarne di meno - perché Miki mi aveva chiesto di farlo. Voleva smettessi di fumare, ma non ero sicuro di poter realizzare quel suo desiderio.

«Intendi uccidere anche me per essermi avvicinato alla tua Miki?» mi schernì mantenendo una distanza di sicurezza. Come molti altri, anche lui, temeva i miei scatti d'ira soprattutto dopo l'ultima rissa di qualche giorno prima. 

Non riuscivo a spiegarmi perché ma, appena qualche ragazzo che non fosse Alexy o Lysandre nominava Miki, sentivo un forte fastidio tra il petto e lo stomaco. 

«Per adesso no», gettai fuori il fumo dalla bocca.

«Le cose potrebbero cambiare?»

«Dipende...»

«Da cosa?»

«Dalle tue intenzioni». Più chiedeva e meno tollerante divenivo.  

«Capisco..» ma vista l'espressione del suo volto dimostrò di non aver capito un bel niente. 

«Ken, io parlo una volta sola!» quasi lo minacciai. Era parecchio somigliante a quel bambolotto inquietante senza pene, per cui gli avevo affibbiato quel soprannome. Ero un genio.

«In realtà non hai ancora detto nulla». Non mi temeva come credevo, da una parte ne fui sollevato. Era snervante esser guardato perennemente come un mostro a tre teste.

«Non sei simpatico», replicai spegnendo la sigaretta coi piedi e lasciandola sulla ghiaia. Se mi avesse visto Miki mi avrebbe accusato di essere un cafone irrispettoso della natura; sorrisi al pensiero della sua versione da miss perfettina, adoravo anche quella di lei.

«Non era mia intenzione esserlo. Perché ridi?» Stava cercando d'imitarmi per caso?

«Smettila!» la mia pazienza aveva appena raggiunto il limite massimo di sopportazione. 

«Altrimenti?» mi sfidò. Ken - il bambolotto di Barbie - mi stava sfidando. Incredibile!

Per rendere chiari i fatti gli diedi una dimostrazione pratica: lo afferrai dal colletto della maglia e rabbioso mi avvicinai al suo volto. «Perché ti sei avvicinato di nuovo a lei? Perché proprio ora? Rispondi!» subito dopo lo spinsi mollando la presa, per poco non perse l'equilibrio. 

«Lei è la mia migliore amica da praticamente una vita. Lo è sempre stata e non voglio perderla per una piccola divergenza di pensiero», alzò la voce anche lui.

«E tu chiami piccola divergenza di pensiero un sentimento non corrisposto?» mi dimostrai scettico.

«Mi sto già disinnamorando di lei, ho avuto solo bisogno di tempo prima di convincermi ed iniziare a farlo. 
Non è facile non amarla, dovresti saperlo..»

«Esiste un modo per non farlo?» mi lasciai sfuggire senza volerlo, sperai non comprendesse il mio riferimento. Dannazione!

«Allora è vero...» sgranò gli occhi in un primo momento, poi sorrise: «Alla fine ci è riuscita veramente.. Che stronzetta!» si picchiò in fronte e scosse la testa quasi divertito, non sembrava neanche essere sofferente o innamorato di lei. Cos'era cambiato in così poco tempo? Probabilmente voleva solo ingannarmi. «Com'è amarla ed essere ricambiato?»

Quella domanda mi spiazzò. Completamente. Per un attimo vidi tutto sfocato e l'organo situato al centro del petto tremò. 

«Lei non... Ed io non...» balbettai senza riuscire a dare una reale risposta. Poi tornai in me stesso: «Vuoi adularla, soggiogarla, indurla a farle capire che tu, a differenza mia, sei la persona giusta per lei, è così? Stai inscenando il ruolo dell'amico solo per questo motivo, vero?! Non sono stupido, Ciak!»

«Questa volta ti sbagli. Sono tornato per essere suo amico, nulla di più. Il tempo mi darà ragione».

«Non ti credo!» 

«Non devo darti nessuna spiegazione, sarà lei a valutare se le mie intenzioni sono sincere o meno!»

«Certamente, ma: non toccarla, non baciarla, non farla soffrire, non mentirle».

«Da che pulpito...»

«Risparmia le frasi fatte per un'altra occasione. Sappi solo che, appena noterò un atteggiamento sospetto, interverrò e sarai costretto ad emigrare al Polo Nord; ti renderò la vita impossibile».

«Affare fatto», sorridente mi porse la mano. Non sembrò essere atterrito dalle mie minacce. 

Fissai di sbieco la sua mano tesa verso di me ed evitai di stringergliela: mai e poi mai avrei fraternizzato con il nemico. Lo guardai negli occhi con sfida, un'ultima volta, e rientrai dentro scuola lasciandolo alle sue convinzioni.

***

MIKI

Ogni mattina, al suono della sveglia, mi voltavo verso la finestra della mia camera per ricevere un risveglio meno traumatico e, sorridendo, fissavo le lettere scritte da Castiel il giorno in cui tutto ebbe inizio. Quella mattina però notai qualcosa di diverso; mi alzai di scatto dal letto e raggiunsi il vetro della finestra dove si era aggiunta un'altra frase: 

Buon Compleanno Ragazzina🎈 

La calligrafia era la stessa, la testa di rapa anche. Leggere quel nomignolo, che non utilizzava più frequentemente, mi fece aumentare di parecchio i battiti del cuore. Di quel passo però avrebbe finito per riempire tutto il vetro di frasi e zia Kate mi avrebbe definitivamente diseredato prima dei diciotto anni; non che mi dispiacesse, ma diventare una barbona non era tra le mie aspirazioni.  

Sbirciai il balcone della mia camera sperando di trovare Castiel nascosto da qualche parte, ma non c'era. Restai leggermente delusa, avrei tanto voluto abbracciarlo dopo l'ennesimo suo gesto romantico, ma tornando a fissare quella scritta, dopo un breve istante mi si stampò nuovamente un sorriso sul volto. Si era ricordato del mio compleanno e, per l'occasione, si era addirittura superato aggiungendo un colore in più alla sua tavolozza: il rosso; solitamente per scrivere, scarabocchiare o disegnare utilizzava solo e soltanto il nero. Invece quella volta, accanto agli auguri, aveva disegnato un piccolo palloncino rosso con dentro le nostre iniziali. Caspita... Sarei volentieri rimasta a fissare per tutto il giorno quell'opera d'arte. 

Recuperai il cellulare dalla scrivania e scattai una foto alla finestra per mandarla a Castiel, ma appena aprii la chat notai un suo messaggio risalente a qualche ora prima; doveva averlo mandato proprio mentre si trovava sul balcone di casa mia.

Sei bellissima mentre dormi 

Agli occhi di molti quella frase sarebbe potuta apparire banale, ma non ai miei. Perché sapevo quanto impegno ci fosse da parte sua dietro a quelle parole, quanto fosse difficile per lui esporre i pensieri o i sentimenti. Ed era inutile ripetere quanto mi avesse resa felice ancor prima d'iniziare la giornata. Lo amavo con tutto il cuore e prima o poi sarei riuscita a urlarglielo in volto senza farlo scappare.

Buon compleanno a me!

***

Il pomeriggio di quello stesso giorno ero stata sbattuta letteralmente fuori casa dalla mia carissima amica Rosalya che mi mandò alla boutique di Leigh, il suo ragazzo, per ritirare l'abito di una sua cliente. 

«La cliente ci ha chiesto di farti indossare l'abito», disse tutto d'un fiato Leigh una volta giunta al suo negozio. Nè lui e né la sua ragazza sapevano mentire, ma non m'impuntai. Finsi di esserci cascata e corsi in camerino a cambiarmi. 

L'abito era a campana, celeste e di seta, con una rete di strass argento che ricopriva tutto il corpetto. Rispetto agli altri vestiti aveva una differenza: tasche anteriori ottime per tenere il cellulare. Era comodissimo. A differenza di come immaginavo, quel colore non faceva a pugni con i miei capelli ramati.

«Perfetta!» Leigh fece un segno di apprezzamento appena uscita fuori dal camerino. «Mi hanno anche chiesto di truccarti. Vieni!» Quale cliente potrebbe volere che qualcun altro si agghindasse con il proprio abito? Secondo la logica di Rosalya e Leigh avrei dovuto credere a quella messinscena. Non fiatai per evitare di rovinare i loro sforzi, dopotutto erano stati carini ad organizzare ogni cosa. Così mi lasciai truccare da Leigh, sapevo di essere in buone mani, aveva partecipato a vari corsi di make-up artist. Optò per un ombretto celeste identico al vestito, mascara nero e rossetto bronzo. Approvai le sue scelte. I capelli me li lasciò cadere - liberi e naturali - sulle spalle. «La cliente sarà soddisfatta», sorrise sornione continuando la recita. Incredibile. 

-

«Sorpresa!» urlarono tante voci sovrapposte appena aprii la porta di casa. Sussultai per lo spavento e dopo poco iniziai a ridere come un'ebete. Già mi aspettavo che la mia migliore amica avesse organizzato una piccola festa per il mio diciassettesimo compleanno, solo.. non attendevo quel numero spropositato di persone dentro casa mia. Sperai vivamente che zia Kate fosse stata avvertita da qualcuno perché altrimenti sarebbe stata la fine. Sbirciando qua e là contai all'incirca cento persone, caspita. Vidi volti noti, altri un po' meno. Erano tutti lì per me o meglio.. per cibo e bevande gratis.

«Visto?! Mi sono superata questa volta», urlò Rose venendomi incontro e abbracciandomi. Partì una musica da discoteca e quasi tutti i presenti iniziarono a ballare senza più badare a me. «La cliente che ha ordinato questo favoloso abito era Kate, tua zia», strizzò un occhio mentre io sospirai. Quindi aveva acconsentito a farsi demolire la casa da adolescenti adrenalinici? Bene, però c'era da dire che fosse parecchio autolesionista. «Sta facendo di tutto per farsi perdonare da te..»

«Rose.. non ora. Fammi godere questa bellissima festa che hai organizzato con tanto amore», mostrai la casa addobbata. L'entrata spaziosa era stata riempita da festoni e palloncini di vario colore, il salotto era divenuto un bar improvvisato dove venivano servite bevande di tutti i tipi, la cucina invece adoperata per il rinfresco. 

«Per una volta mi tocca darti ragione», sollevò le mani in segno di resa. «Ah e... Prima che tu ti preoccupa: ho chiuso tutte le stanze da letto a chiave, tolto gli oggetti di valore e fragili. Sono o non sono la migliore amica del mondo?» urlò eccitata durante l'ultima frase. 

«Certo che lo sei.. Grazie mille Rose», l'abbracciai ridendo per la sua travolgente energia. 

«Buon compleanno!» urlarono le voci in coro di Alexy, Armin, Lysandre e Ciak alle mie spalle. Mi voltai verso di loro e li ringraziai. 

«Sei meravigliosa», mi sussurrò Ciak all'orecchio dopo un bacio sulla guancia. 

«Ottima scelta di abito», Alexy batté il cinque a Rose complimentandosi con lei. 

«Tenga mia bella donzella, questo è per lei da parte di tutti noi», Lysandre mi porse un pacco fucsia brillantato di media grandezza. Lo afferrai e lo scossi per cercare di capire cosa ci fosse dentro. 

«Grazie, non dovevate... E grazie a tutti per essere venuti», li guardai uno per uno con un sorriso grato. Era diventato il mio miglior compleanno di sempre ancor prima d'iniziare. Anche se... Mancava Castiel. Non era stato invitato? Non si era presentato? Non lo avevo ancora visto; mille dubbi mi tartassarono come sempre.

 «Aprilo!» m'incitò Rose. Feci come m'indicava sotto lo sguardo dei miei amici: slacciai l'enorme fiocco di seta e poi scartai il pacco. Dentro trovai una macchina fotografica rosa, per poco non saltellai dalla gioia. Erano stati così generosi, così premurosi; mi s'inumidirono gli occhi per l'emozione. Oh mio Dio! Da parecchio desideravo un aggeggio simile, ma per una cosa o per un'altra non l'avevo mai comprata. Rose e Ciak lo sapevano bene.

«Oh cavolo! Grazie mille.. è meravigliosa. Grazie a tutti, davvero», ringraziai infinite volte gli artefici di quella sorpresa meravigliosa e abbracciai tutti e cinque uno per uno. Subito dopo Rosalya mi strappò dalle mani il regalo per andarlo a conservare - a detta sua - in un posto sicuro. Alexy, Armin e Lysandre mi liquidarono con la scusa di aver fame e si precipitarono al buffet in cucina. Restai sola con Ciak.

«Balla con me». Mi poggiò la mano sulla schiena e mi tirò lievemente a sé, non potei rifiutare; dopotutto eravamo di nuovo amici. Iniziai a dondolarmi quasi impacciatamente. «Rosalya con questa festa estrosa ha appena battuto tutt'e cinque le torte alla nocciola preparate con le mie manine laboriose, vero?» mi chiese spiritoso. Dall'età di undici anni in poi si era fatto insegnare dalla mamma a preparare la torta di compleanno con crema alla nocciola, la mia preferita, da quell'anno me la preparò ogni anno fino al mio sedicesimo compleanno. «Ha battuto anche i miei splendidi regali originali?» mi domandò ancora, speranzoso. Ogni anno mi regalava qualche prodotto officiale degli One Direction, la mia band preferita. Grazie ai suoi doni avevo di tutto: dalle t-shirt alle tazze, dai CD ai cartonati. Lo adoravo; era sempre capace di strapparmi un sorriso persino nei momenti più tristi. E risi - anche durante quella serata felice - per i tanti ricordi che mi suscitò con una semplice domanda, per la gioia di averlo ancora lì con me dopo tutti quegli anni. 

«Tu sei insuperabile», posai la fronte sulla sua spalla. 

«Disturbo?!»

Le farfalle nello stomaco si svegliarono. Reagivano solo alla presenza di qualcuno in particolare e, quel qualcuno, era proprio dietro di me in quel preciso istante. Caspita, non lo vedevo da esattamente otto ore e mi mancava tremendamente. Mi voltai verso di lui, come una falena attratta dalla luce, e mi precipitai tra le sue braccia. Socchiusi gli occhi, respirai il suo profumo, mi strinsi a lui e mi sentii completa. Il mio amore era lì in tutto il suo splendore. Splendore era una parola grossa visto l'abbigliamento completamente nero, ma lui aveva la capacità di risplendere anche con quel colore così scuro. «Pensavo non venissi», sollevai il capo per guardarlo negli occhi. Era favoloso.

«In realtà sono qui dall'inizio», una briciola di fastidio nella voce. «Ho aiutato la tua amica rompipalle a sistemare qui», guardò i festoni e i palloncini per accentuare cosa intendesse.

«Ehm.. Allora io vado, ci vediamo in giro». Ciak - leggermente a disagio - pensò bene di lasciarci soli. Lo salutai con un cenno della mano e gli sorrisi. 

«Se ti levassi dalle palle senza farti più vedere mi faresti un gran favore, invece». Il solito Castiel colpì con la sua delicatezza. Lo rimproverai con lo sguardo. 

«Ti piacerebbe..» Ciak replicò facendo l'occhiolino e si allontanò verso il salotto. 

Restammo soli io e Castiel.

«Sul serio hai aiutato Rose? Non ti facevo il tipo», gli mostrai un sorriso che la sapeva lunga.

 «Già... Eh, che ci puoi fare?! Tiri fuori il peggio di me», sollevò le spalle e poi mi cinse i fianchi. 

«Oh.. speravo di tirare fuori il meglio di te, non il contrario», posai le mani intorno al suo collo. 

«Anche.. Diciamo entrambi. Mi confondi», bisbigliò sull'ultima parte e, avvicinandosi ad un palmo di naso, respirò sulla mia bocca. D'istinto chiusi gli occhi e, quasi come se fossimo stati programmati apposta per quel contatto, lo baciai. Portai le dita tra i suoi capelli morbidi, sentii subito l'istinto di proseguire, di approfondire, ma dovetti contenermi. Ero alla mia festa di compleanno, non potevo abbandonarla così presto. «Il celeste ti dona particolarmente. Certo.. mai come il rosso sulla pelle nuda, ma direi che può andare bene anche questo», da eterno stronzo qual era sollevò un angolo di bocca alludendo ad una cosa in particolare. 

«Sì siete belli, meravigliosi e tutto quanto, ma ora ho bisogno di rubare la tua ragazza per tutta la serata. Siete imbarazzanti insieme.. Bleah!», una smorfia disgustata che rappresentava al meglio le sue parole. «Sareste capaci di scopare anche qui.. Sì che voglio dei nipotini, ma ancora sono troppo giovane. Ciao Castiel, grazie per essere passato. Baci e abbracci!» Rosalya concluse il suo monologo quando già mi aveva distaccata dal corpo di Castiel e si era incamminata trascinandomi verso chissà dove lasciando il rosso da solo. 

Passammo tutta la serata a bere, ballare e mangiare. Qualsiasi pettegolezzo, scoop, problema o ragazzo, restò fuori dai nostri discorsi e dai nostri radar. In qualche occasione sia Ciak che Castiel avevano provato ad avvicinarsi a me, ma lei - in un modo o nell'altro - proibì ad entrambi di raggiungermi. Diceva che almeno per una sera dovessi pensare solo e soltanto a me stessa, senza alcun dramma o dilemma.. e aveva ragione. Qualche drink bevuto in più mi fece sentire la testa leggera, ma senza ubriacarmi. Stavo semplicemente bene, anzi benissimo. Insieme ad altri invitati, mai visti prima di quella sera, giocammo a qualcuno di quei soliti giochi che si usava fare durante le feste liceali, a dir la verità mi divertii parecchio. Prima di allora ero stata prevenuta su quel genere di cose e avevo sbagliato ad esserlo. Fu il compleanno migliore di sempre; Ciak aveva ragione: qualcuno lo aveva battuto, qualcun altro era stato migliore di lui, e forse non solo sul tema festeggiamento...

***

«Castiel mi ha chiesto di darti questo», Rose mi porse un foglietto rosso piegato, lo presi «Non stancarti troppo, buonanotte!» infine, ammiccando per la raccomandazione a doppio senso, mi salutò con un bacio sulla guancia e chiudendosi la porta di casa alle spalle mi lasciò completamente sola. 

La sveglia costosa appesa alla parete di casa Rossi segnava le tre del mattino, era stata una bella serata dopotutto. Il giorno dopo ci avrei impiegato una vita a pulire tutto quel chiasso, ma perlomeno lo avrei fatto per una buona ragione: era stato il miglior compleanno della mia vita. Potevo sembrare ripetitiva, ma ero ancora elettrizzata e su di giri. Certo, avevo festeggiato con persone di cui prima di quella sera non ne conoscevo neanche l'esistenza, ma oltre agli sconosciuti c'erano stati i miei amici, il mio amore. Non avrei potuto chiedere di meglio. 

Mi guardai intorno alla ricerca di Castiel, ma lui non c'era. Era andato via lasciandomi solo quel bigliettino - dello stesso colore dei suoi capelli - e senza salutarmi, mentre speravo restasse a dormire con me. Non era mai successo, pensavo fossimo pronti per passare allo step successivo, ma a quanto pareva lui non era ancora pronto. Sbuffando, senza nascondere la mia delusione, aprii quel foglietto e lessi ad alta voce la frase scritta con la calligrafia che avevo imparato a riconoscere tra mille: «Chi cerca trova.»

"E rieccoci, la vena misteriosa di Castiel colpisce ancora!", ma sulla base di cosa avrei dovuto tentare di trovare qualcosa? La confusione iniziò ad invadermi la mente, mi guardai intorno alla ricerca d'indizi. Avrei trovato lui e magari nudo sul mio letto? Iniziai a scaldarmi leggermente, la fine adatta a quella splendida serata non poteva che essere quella: me e lui aggrovigliati tra le lenzuola. Sospirai trasognante e presi a girovagare per tutto il salotto senza ottenere risultati. Stavo per arrendermi quando sentii una vibrazione provenire dalla piccola tasca anteriore dell'abito che indossavo: il cellulare segnava l'arrivo di un messaggio. Lo lessi, era da parte di Castiel.

Per quanto adori ammirare l'impazienza e la confusione sul tuo volto, oggi mi sento buono, ho deciso di darti un piccolo aiuto. 

"Se bacerai il principe entro tre giorni rimarrai umana. Ma se non ce la farai sarai mia... per sempre!"

Non era andato via, mi stava osservando da chissà quale angolo della casa o addirittura del giardino. Quel ragazzo era imprevedibile. Cercai di contenermi dal saltellare per casa; forse dopo aver vinto la caccia al tesoro lo avrei potuto abbracciare e...

Scossi la testa, dovevo a tutti i costi evitare distrazioni. Più velocemente sarei riuscita a vincere trovando tutti gli indizi e prima lo avrei stretto tra le mie braccia. 

Riflettei sul messaggio ricevuto. L'indizio era una frase già sentita da qualche parte, ma l'emozione e la trepidazione non mi aiutarono a concentrarmi come avrei dovuto. Così chiesi un ulteriore indizio a Castiel. 

Miki: Un altro indizio? 

Castiel: No, ti ho già aiutata troppo!

Miki: Se mi aiutassi ancora potresti ricavarne dei benefici...

Castiel: Che genere di benefici?

Miki: Quelli che la tua mente perversa ha già immaginato 

Castiel: Sei scorretta!

Miki: Mi hai insegnato tu ad esserlo e, come vedi, apprendo piuttosto in fretta

Castiel: Ursula

L'indizio. Ursula era l'indizio. Ma certo! La famosa frase che Ursula diceva ad Ariel nel cartone de La Sirenetta. Da piccola lo avevo guardato un miliardo di volte, avrei dovuto indovinare subito. Ma perché aveva scelto proprio quella frase? Con Castiel nulla era lasciato al caso. Pensai di chiederlo direttamente a lui, ma rimandai ad un secondo momento. 

Riflettei sulla stanza in cui avrebbe potuto esserci molta acqua, visto il tema del cartone Disney in questione, e salii le scale recandomi davanti al bagno principale. Proprio di fronte alla porta, sul pavimento, trovai una bolla di vetro con dentro acqua ed un pesciolino rosso. Corrugai la fronte e m'inginocchiai, afferrando tra le mani il contenitore. Osservai dentro l'acqua e - oltre ad un po' di sabbia e qualche piantina finta - sul fondale notai un piccolo contenitore di plastica. Senza rifletterci un attimo in più infilai una mano, cercando di non colpire il pesce, e tirai fuori dalla bolla la scatolina: era trasparente e all'interno di questa vidi un sacchetto argentato. Con ancora le dita bagnate schiusi entrambi i contenitori e dal sacchetto fuoriuscì un altro foglietto rosso. Lo aprii e lessi:


Flounder ci sarà anche quando io non potrò più esserci

 Ariel.. perché sei tu!


Cosa diavolo voleva dire? Flounder era l'amico pesce della sirenetta, ma perché quella frase? Perché era sempre così pessimista, così sicuro che non ci sarebbe stato un futuro per noi? Sarei voluta entrare nella sua mente per poter finalmente metter fine ai miei dubbi, per indurlo a cambiare idea, per illuminarlo. Strinsi a pugno le mani per la frustrazione, percepii subito la presenza di qualcosa all'interno del sacchetto che distolse i pensieri; lo capovolsi e sul palmo della mano mi cadde un ciondolo d'argento a forma di Sirena insieme ad un foglietto più piccolo dei precedenti. 

"I Don't Want To Miss A Thing", c'era scritto. 

"Di te non voglio perdermi niente", era la traduzione letterale della frase e per poco non ebbi un mancamento. Perché Castiel era questo: inferno e paradiso al tempo stesso. Un minuto gioia e l'altro minuto dolore, un'ora amore e quella dopo odio; frasi a metà, parole non dette, significati nascosti, ma anche tortura, frustrazione, passione.. E a me andava benissimo così. 

Dopo aver poggiato sul pavimento la bolla di vetro con il pesce mi sollevai, camminando avanti e indietro analizzai la frase; torturai quel piccolo ciondolo a Sirena per l'ansia. L'unica cosa che mi venne in mente furono gli album fotografici che zia Kate aveva conservato nel salotto: se di me non si fosse voluto perdere niente, oltre al diario - che tra l'altro aveva già letto senza il mio consenso - avrebbe potuto guardare quelle poche foto dei ricordi della mia infanzia. Quando Kate veniva a farmi visita in Italia mi scattava sempre qualche fotografia che poi conservava in un album tutto mio. Castiel conosceva anche quei particolari, ovviamente. Scesi nuovamente le scale e mi fiondai sul tappeto del salotto, spalancai il mobiletto dove sapevo ci fosse l'album e, quando trovai l'oggetto di mio interesse, lo aprii. In una pagina, accanto ad una me sorridente all'età di quindici anni, scorsi un altro ciondolo: una nota musicale, una chitarra ed un plettro uniti da un unico aggancio, vicino a questo un altro foglietto rosso; entrambi erano stati fermati da un po' di scotch per evitare di farli cadere. Li tirai via felice di esser in vantaggio in quella specie di caccia al tesoro. 

"Avrei tanto voluto incontrarti tre anni fa, quando ancora ero in tempo per essere salvato... Ma ora che finalmente sei qui non voglio perdermi neanche una cosa di te.

Ivre" 


Di nuovo quel pessimismo misto a speranza, mi avrebbe fatta impazzire prima o poi. Senza fasciarmi di nuovo la testa corsi nel posto in cui ero sicura di trovare l'oggetto nascosto. Percorsi per l'ennesima volta le scale e quella volta entrai dentro il bagno principale dove, sulla mensola accanto allo specchio, sapevo di trovare il profumo della pubblicità. Ne avevo conservato una boccetta; era il nostro primo ricordo. Quella semplice bottiglia, quella fragranza fatale, racchiudeva così tante avventure da rendermi ubriaca già soltanto nel sentirne l'odore. Il gala, il provino a cui non avevo intenzione di partecipare, le foto, le braccia di Castiel che mi stringevano quando ancora non stavamo insieme, la nostra prima volta sulla spiaggia di quel paese sperduto, la pubblicità. Gran parte della nostra storia era nata grazie a quel profumo, grazie ad un burbero stilista. 

Una volta in bagno, proprio accanto alla boccetta trovai un piccolo pacchetto quadrato color argento, chiuso da un nastro di seta color cremisi, lo slacciai e lo aprii. All'interno c'era un ciondolo con due calici incatenati, sapevo benissimo cosa rappresentavano. Il bigliettino all'interno della scatolina me lo confermò:

 Il bigliettino all'interno della scatolina me lo confermò:

"Ubriaco di te, di noi". 

Emisi un piccolo urlo - che affievolii posizionandomi la mano sinistra davanti alla bocca - a causa delle molteplici sensazioni sovrastanti dentro di me. Guardai i tre ciondoli nel palmo della mano destra e, ad ognuno, riuscii ad affibbiargli un significato; erano bellissimi. Li contemplai fin quando non sentii vibrare il cellulare nella tasca del mio vestito.


Brava! E adesso goditi la ricompensa... Lì dove tutto è iniziato!


Recitava il messaggio di Castiel. Ero quasi giunta alla fine. La nostra storia aveva avuto inizio in un posto in particolare, in un modo originale: la mia stanza. Spalancai la porta del bagno e corsi dritta alla finestra che dava accesso al balcone della mia camera, ma appena varcai la soglia ed accesi la luce restai pietrificata. Castiel era lì, in un metro e ottanta di statuaria bellezza, ad aspettarmi. Sapevo di essere patetica, probabilmente mi sarei già dovuta abituare alla sua presenza dopo tutti quei mesi, ma ogni volta che i suoi occhi incontravano i miei scatenava un terremoto dentro di me. E quella sera non fu un'eccezione: le mani mi sudarono, tutto il corpo fu travolto da valanghe di stilettate, un calore mi riempì le vene facendo affluire velocemente il sangue al cuore. Deglutii rumorosamente per quelle miriadi di emozioni e mi avvicinai a passo di lumaca alla sua figura. Sembrava un Dio nel suo look total black. 

«Trovato», bisbigliai senza riuscire a guardarlo negli occhi. All'inizio di quella caccia al tesoro ero partita motivata, con l'intenzione di consumarlo una volta trovato, mentre al termine avevo finito per essere addirittura emozionata ed impacciata. 

«Mi troverai sempre», replicò sussurrando e avvicinandosi a me. Senza aggiungere altro, afferrò delicatamente la mano chiusa in cui tenevo i ciondoli e aprendomi il pugno rubò quello con la Sirena. «Tu sei Ariel, però io non sono il principe. Scapperai da me prima o poi, ma concedimi qualche altro mese..» Senza chiederglielo mi spiegò lui stesso il significato della frase scritta nel primo indizio.

«Perché continui a parlare in questo modo? M'inquieti!»

Non rispose, si limitò a recuperare un bracciale d'argento dalla sua tasca, ad aprirlo e ad infilare il primo ciondolo. Lo fissai rapita. Il suo primo regalo per me. Ero senza parole.

«Non fare domande, non oggi». Poi prese il ciondolo con la nota musicale ed infilò anche quello nel bracciale. «Questo sono io: musica, uno spartito e una chitarra», qualche secondo di pausa prima di continuare «tu sei quella canzone che non riuscirò mai a scrivere».

Una fitta tra cuore e stomaco dopo l'ultima frase. Sapevo mi avesse detto di non fare domande, ma fu più forte di me: «Perché?»

«Non chiedermelo, non questa sera».

Inspirai ed espirai, dovevo contare fino a dieci prima di giungere a conclusioni affrettate. Castiel aveva bisogno di tempo e di premure; era stato ferito troppe volte, mi ripetei nella mente come un mantra. Era l'unico modo che avevo per evitare di rovinare quella serata perfetta. Le sue allusioni, quelle parole sotto forma di pugnale non mi facevano paura. Io lo avrei guarito, ce l'avrei fatta prima o poi. 

Infilò anche l'ultimo ciondolo - quello con i calici - all'interno del bracciale e si avvicinò ancor di più a me. Con estrema delicatezza chiuse il sottile strato d'argento intorno al mio polso e tenne la mano sollevata per ammirarlo, feci lo stesso anch'io. 

«Ho ottimi gusti», ammiccò riferendosi per metà a me e per metà al bracciale. Sorrisi mentre una piccola lacrima scese dal mio occhio sinistro; non avrei voluto accadesse, ma non potei evitarlo. Una lacrima per quel regalo così speciale ed originale, tre lacrime per le sensazioni negative scatenate dalle sue frasi ambigue, cinque lacrime perché Castiel era una persona straordinaria, sette lacrime perché iniziavo ad avere la certezza che l'avrei perso prima o poi, nove lacrime perché ero incapace di lasciarlo andare.. E alla fine piansi. 

-

CASTIEL

Quella notte le asciugai le lacrime con i miei baci, la guarii nell'unico modo che conoscevo. Ero stato capace di ferirla di nuovo senza neanche volerlo, ma ormai il pessimismo era una parte di me e purtroppo avevo finito per coinvolgere anche lei. Avrei tanto voluto essere capace di lasciarla andare prima di annientare la sua bellezza d'animo, ma non ci riuscii. Ero troppo egoista per farlo. 

Quella notte le baciai le cicatrici provocate dal padre tanto tempo prima, entrai dentro di lei in un modo diverso, più intimo, più appagante e micidiale.

Perché non si trattò soltanto di sesso... Lo sapevo, lo percepivo. Il suo tocco mi cosparse di brividi tutto il corpo, la sua voce rotta dal desiderio attutì il male della mia anima. I nostri corpi si unirono insieme alle nostre anime, fu una fusione tra nero e grigio. La sua anima era già stata sporcata da un passato travagliato, probabilmente necessitava di una persona che l'aiutasse a purificarla; io non ero quello più adatto, ma lei aveva scelto me.. Ed io chi ero per rifiutare un'anima così bella come la sua? Sperai di essere all'altezza delle sue aspettative. Avrei voluto esserlo. 

Quella notte fu la prima notte che dormimmo insieme, nello stesso letto. Restai sveglio solo per sentirla respirare piano, per vederla sorridere mentre dormiva. Almeno nei sogni non rischiavo di ferirla; avrei voluto indugiare e restare in quel momento di totale serenità per sempre. D'altronde.. ogni attimo trascorso con lei era un attimo che avrei custodito gelosamente. Non volevo chiudere gli occhi, non volevo addormentarmi perché mi sarebbe mancata. E non avrei voluto perdere niente, perché una volta lontana avrei continuato a respirare solo grazie a quegli istanti vissuti insieme.  

Steso vicino a lei, sentii il suo cuore battere forte e mi chiesi cosa stesse sognando.. magari un noi in un mondo ideale, un noi senza fine. Non avrei dovuto essere così pessimista proprio il giorno del suo compleanno, ma l'ultima cosa che volevo era illuderla. Con quegli avvertimenti celati la stavo intimando di correre ai ripari, munirsi di un ottimo scudo per la guerra imminente. Lei sarebbe stata la persona a ferirsi più gravemente, e tutto a causa mia. Ero un dannato e sarei rimasto tale, senza possibilità di redenzione. 

Poi, evitando di bendarmi ancora la testa di quei pensieri, le baciai gli occhi chiusi e ringraziai qualsiasi entità sovrumana per aver portato la ragazza dai capelli ramati ad incrociare la mia strada. Non mi volli perdere neanche un sospiro, un minimo movimento. Quella notte la tenni stretta tra le mie braccia per udire ancor meglio i nostri cuori vicini. Stavo diventando un pappa molle, proprio io.. un tempo criticavo i babbei che facevano pensieri simili, ma con lei accanto non ragionavo, non ero più in me e non m'importava più di niente. 

La maledizione del canto di una Sirena continuava a tormentare il mio cuore stregato dal suo sentimento, pretendeva di essere amata ed io non ero più sicuro di poter resistere a lungo.

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________________

🌈N.A.🌈

Scusatemi mille volte per il ritardo della pubblicazione, ma sto avendo giorni pieni e ricchi di studio.. in più non sono in eccellente forma fisica, quindi le cose si sono accavallate e ho ritardato. 

Mi duole avvertirvi, già da ora, che il prossimo capitolo riuscirò a pubblicarlo tra 15 giorni più o meno. Spero di riuscire prima, ma non garantisco nulla. Purtroppo lo studio mi chiama e quindi.. Prima il dovere, poi il piacere. Però prometto di farmi perdonare con doppi aggiornamenti quando questo periodo di fuoco sarà passato. SCUSATEMI GIA' DA ORA.

Bene, adesso veniamo a noi: il compleanno di Miki. TANTI AUGURI A LEI🎉 

Vi è piaciuta la sorpresa di Castiel? Spero di sì perché ci ho messo un po' a farmela venire in mente xD 

So di non essermi soffermata molto sulla festa in sé, ma ho preferito spostare l'attenzione sui Mikistiel piuttosto che su una semplice e banale festa di compleanno (non volermene Rose 😘) che trovate spesso e facilmente in qualsiasi libro. 

Ciak invece... Sarà sincero? 👀

Per questo capitolo possiamo tirare un sospiro di sollievo, non ci sono stati né Debrah e né Nathaniel. Ma nel prossimo capitolo....................................... 👀

Ho trovato una canzone adattissima ai MIKISTIEL e sono elettrizzata. E' la prima, quella dei civil wars. Adoro. 

Ora vi saluto,

Buonanotte🌜

All the love💖

Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** CAPITOLO 46: Un manto di stelle ***


Capitolo 46
Un manto di stelle





🎶Sam Smith - Writing's On The Wall🎶

Un milione di schegge di vetro 
Mi perseguitano dal mio passato 
Mentre le stelle cominciano ad ammassarsi 
E la luce inizia a svanire 
Quando ogni speranza inizia ad andare in mille pezzi 
So che non avrò paura

Se io rischio tutto 
Potresti interrompere la mia caduta?

Come vivo? Come faccio a respirare? 
Quando non sei qui con me mi manca il fiato 
Voglio sentire l'amore correre attraverso il mio sangue

Per te devo rischiare tutto, perché è scritto sui muri.


***


MIKI

Rousseau scriveva: "prima di essere felici bisogna capire cosa s'intende per felicità", io lo avevo capito a diciassette anni; né troppo tardi e né troppo presto forse. Felicità era... Essere stretta da calde e possenti braccia, ricevere carezze dalla persona più importante per te, dormire insieme, baciarlo, ammirarlo di nascosto. Felicità era lui: capelli lisci color cremisi sparsi sul cuscino bianco del mio letto, il suo profumo speziato alla menta misto all'odore di noi, occhi chiusi e lineamenti virili rilassati, bocca sottile, petto nudo e fisico scolpito. Avrei pagato qualsiasi cifra per avere quel risveglio ogni mattina durante tutta la vita. Quel giorno me lo sarei ricordata per sempre e non solo perché fu la prima notte in cui dormimmo insieme, ma perché quei momenti sarebbero stati rari. Non sapevo come fosse possibile; solitamente felicità era sinonimo di un posto, di un evento o di uno stato d'animo, mentre la mia felicità era una persona in carne ed ossa, con due occhi grigi penetranti e dei capelli che non passavano inosservati. La mia felicità aveva un nome: Castiel Black. Grazie a lui scoprii il vero significato di parecchi sentimenti, ne scovai addirittura l'esistenza di alcuni, e senza di lui non sarebbe mai più stata la stessa cosa. Avrei perso tutto.

«Buongiorno Ariel», aprì prima un occhio e poi l'altro facendo capitombolare il mio povero cuore. «Da quant'è che mi fissi?» sollevò un angolo di bocca quando mi scoprì arrossire, poi accarezzò dolcemente la mia guancia. La sua voce era ancora più rauca d'appena sveglio, le farfalle nel mio stomaco fecero le acrobazie.

«Ecco io... M-mi sono appena svegliata», replicai imbarazzata per esser stata appena colta in fallo. Lo stavo fissando da mezz'ora.

«Certamente», fece finta di credermi. «A proposito: calci come un mulo mentre dormi. La prossima volta che dormiremo nello stesso letto, metteremo delle barriere divisorie prima che tu mi distrugga la terza gamba», si sollevò e in un baleno fu sopra di me. 

«L'hai chiamato davvero terza gamba?!» finsi una smorfia schifata «Sei disgustoso», afferrai il cuscino - sul quale fino a qualche secondo prima era poggiato - e glielo spiaccicai sul viso. «E per la cronaca: io non calcio come un mulo!» Lo spinsi fino a farlo cadere di schiena sul materasso e, salendo a cavalcioni su di lui, lo baciai. Gettai il cuscino sul pavimento, poi strinsi Castiel a me più che potevo con il timore che sarebbe potuto scappare a breve. Infilai il viso tra i suoi capelli, accanto al collo e, socchiudendo gli occhi, respirai il suo profumo.  

«Mi soffochi così», improvvisò un colpo di tosse per fingere di avere mancanza d'aria. "Che melodrammatico!" Alzai gli occhi al cielo ed allentai la stretta senza scendere dal suo corpo, stavo così bene su di lui da volerci restare per tutta la vita. 

«Sono felice», mormorai all'improvviso accanto al suo orecchio.

«Di cosa?»

«Qui. Ora. Con te... Sono felice», sollevai il capo per guardarlo in volto «Vorrei fosse sempre così», terminai con una punta di malinconia nella voce. Le frasi, il suo pessimismo degli ultimi giorni, avevano fatto sorgere dei dubbi persino a me che solitamente infondevo forza e coraggio.

Lui non replicò a parole, ma con i gesti. Fu il suo turno di stringermi, lo fece per infondermi conforto, mi accoccolai sul suo petto e mi lasciai cullare dal battito irregolare del suo cuore: pulsava in quel modo per me e di conseguenza il mio rincorse il suo, batterono insieme all'impazzata a causa della vicinanza dell'altro. 

«Mi soffochi così», ad un certo punto imitai la sua voce con tanto di colpo di tosse finale riportando la conversazione a qualche minuto prima. 

«Pappagalla», m'insultò affettuosamente. 

«Pomodoro»

«Carota»

«Brontolo»

«Eolo»

«Ma che cavolo...?»

«Non stavamo elencando i nomi dei Sette nani?! Comunque non interrompere questo gioco, mi piace!» fece finta di essere contrariato.

«Non so se dovrei meravigliarmi di più della tua cultura sui cartoni Disney o perché classifichi degli insulti come gioco...»

«Sono un ragazzo dalle mille risorse», sorrise furbamente «Continua!»

«Okay... Ariel!»

«Ehi, ma quella sei tu!»

«Le somigli più tu in realtà», feci la linguaccia.

«Io sarei una fottuta principessina?» incredulo delle mie supposizioni si mostrò con il dito indice.

«Dal colore e dalla lunghezza dei capelli sì, somigli decisamente ad Ariel... La tua virilità ne sta risentendo?» lo stuzzicai trattenendo una risata. 

«Lascia che ti dimostri quanto», appena terminata la frase oscillò il bacino sotto di me, mi sfiorò il seno da sopra la maglietta e la parte inferiore del suo corpo si risvegliò permettendomi di percepire la sua durezza crescente. Tornai seria all'istante, l'aria si riempì di tensione sessuale mutando all'istante. «Non hai caldo?» m'incitò a spogliarmi in una richiesta velata ed io lo accontentai. Come sempre avevo voglia di lui, ormai non me ne vergognavo più. 

Sentii formicolare i polpastrelli per il desiderio di toccarlo, mentre le nostre lingue si unirono in un bacio lussurioso. Portai entrambe le mani dietro la sua nuca, la sensazione piacevole di sentire le dita tra i suoi capelli morbidi fu una tortura; cresceva incessante il bisogno di possederlo completamente. Con gesti veloci fece sparire i suoi boxer, restammo nudi per la centesima volta in due mesi. Ma ogni volta era come la prima o addirittura decisamente migliore. 

Castiel assaporò ogni parte di me: i miei seni, la mia bocca, il mio collo, la mia intimità. Dopo aver lambito l'interno coscia, risalì fino alla cicatrice sotto al seno - quella provocata dal mostro di mio padre - e la baciò con cura. Non se ne dimenticava mai, in ogni nostro momento intimo voleva farmi capire che a lui piacessi ugualmente, seppure marchiata. Più lui la baciava e più io guarivo dal mio passato. Castiel mi faceva bene fin dentro l'anima. Dopo un ultimo bacio fissò gli occhi sul mio volto e, senza distogliere lo sguardo, entrò dentro di me con la parte più imponente di lui. Un brivido percorse tutto il corpo, inarcai d'istinto la schiena. 

«Mi fai impazzire ogni giorno di più», pronunciò a fatica man mano che aumentava le spinte, mi fece morire e rinascere al tempo stesso. Alcuni ciuffi gli ricaddero davanti agli occhi rendendolo ancora più sensuale. Il torso nudo e lucido di sudore, i muscoli guizzanti delle braccia in tensione per lo sforzo, lo resero irresistibile davanti ai miei occhi. Ansimai, il cuore mi batté fin dentro le costole nell'ammirare tanta perfezione. 

Accompagnò i movimenti del bacino con la mano: scese dal collo ai seni, dall'ombelico all'interno coscia, fino alla mia intimità; la stuzzicò facendo esplodere il mio piacere all'istante. Lui mi seguì subito dopo.

«Sono ubriaco di te».

"Ed io ti amo Castiel!"

***

Dopo aver fatto colazione, Castiel mi aiutò a pulire e sistemare il disordine lasciato dagli invitati alla mia festa. C'impiegammo tutta la mattinata, ma già solo la sua presenza rese meno stancante e noioso mettere in ordine la casa. Verso l'ora di pranzo dovette andare via perché aveva appuntamento con gli altri ragazzi della band per le prove. Lo salutai a malincuore.

Dopo pranzo avevo tutta l'intenzione di rilassarmi guardando una serie tv in televisione, ma qualcuno decise bene di scombussolare i miei piani. Il campanello suonò e con poca lena trascinai i piedi fino all'entrata; non aspettavo nessuno. Zia Kate sarebbe rientrata a sera inoltrata, Rosalya era alla boutique di Leigh, Ciak era sul set di un servizio fotografico; non c'era nessun altro oltre loro che si sarebbe scomodato a farmi visita in quell'ora poco opportuna. 

«Cosa ci fai qui?» strabuzzai gli occhi nel ritrovarmi Nathaniel davanti alla porta di casa.

«Memoria corta?!»

«Che?! No, solo... Non pensavo che saresti venuto dopo-» fui sorpresa della sua sfacciataggine e ciò mi rese balbuziente.

«Intendi dopo che il tuo ragazzo mi ha aggredito senza motivo? Non ho paura di lui!» Non lo lasciai entrare, restammo sull'uscio della porta. Non avevo apprezzato il suo modo d'interagire; non che il mio fosse stato dei migliori, ma stavo solo cercando di evitare una catastrofe tra lui e Castiel. 

«Sì, ma non mi sembra il caso che tu stia qui. Sceglierò da sola il brano da portare al concerto di Giugno. Grazie per esserti offerto, non è necessario il tuo aiuto», lo liquidai con l'intenzione di sbattergli il masso di legno in faccia.

«È per lui che non vuoi che io stia qui, non è vero?! Temi una sua possibile scenata, ti ha vietato di parlarmi, ti fai comandare a bacchetta da lui. Non ti facevo così...» Parlava senza sapere niente, come tutti d'altronde.

«Così come?»

«Così debole».

«Va' via Nathaniel!» iniziai a spazientirmi. Non avevo nessuna intenzione di farmi giudicare proprio da lui: l'essere (im)perfetto.

«La verità fa sempre male», sul suo viso si dipinse un sorriso sfacciato. Cosa ne era stato del Nathaniel timido conosciuto mesi prima?

«Ho detto va' via!» urlai. Non m'interessò di risultare scostumata, non mi piaceva per niente quel Nathaniel.

«Sto solo cercando di aprirti gli occhi Miki, lui non è chi sembra». Ancora con quella storia.

«Ah siamo tornati al punto di partenza? A quando lo definivi un mostro per qualcosa di falso?» sorrisi amareggiata ricordando quel lontano Settembre di un anno prima. «Ma c'è una novità, Nathaniel: io non sono più quella di un tempo. Mi fido di Castiel, so chi è, conosco le sue paure, le sue ansie, il suo pessimismo e so anche quanto ci tiene a me.. Quindi le tue parole non hanno più alcun effetto su di me», lo guardai dritto negli occhi quasi trucidandolo con lo sguardo.

«Non sai tutto, credimi».

«Quindi era questo il tuo intento? Quello di tentare di riavvicinarti a me solo per parlarmi male di lui?»

«Mi sono riavvicinato a te perché ci tengo ad esserci nella tua vita».

«Ah sì... Da quando?» risultai essere dura, ma non ne potevo più di gente che entrava ed usciva dalla mia vita a proprio piacimento senza importarsi delle mie volontà.

«Da sempre! E non metterti sulla difensiva con me, non sono io il tuo nemico», mi sorrise in un modo che non capii. «Detto ciò... questa è la lista di brani che penso possano essere adatti a te», mi porse un foglio scritto a mano. 

«Ma se non mi hai mai sentito cantare e non conosci i miei gusti musicali...» mi mostrai scettica.

«Questo lo dici tu», strizzò l'occhio facendomi intimorire ed intendere di poter essere un possibile stalker. 

«Come... Quando... Che?!» tartagliai mentre osservavo la lista di brani datami da Nathaniel. Conteneva parecchie canzoni che io stessa avevo valutato d'interpretare durante il concerto di fine anno. Ero incredula, come poteva conoscermi così bene?

«Hai avuto modo di rispondere da sola alle tue insinuazioni precedenti».

«Be'...» persi del tutto le parole.

«Adesso devo scappare, è stato così orrendo chiacchierare con me?» piegò la testa di lato attendendo una mia risposta.

«Non è questo il punto...»

«Ciao Miki», chinandosi schioccò un bacio sulla mia guancia e, chiudendosi la porta di casa alle spalle, se ne andò senza concedermi possibilità di replica. 

Fu strana quella conversazione; le risposte di Nathaniel parevano avere un doppio fine, non era più il ragazzo ingenuo e perfetto conosciuto sette mesi prima. Sembrava quasi essere la brutta copia di Castiel, stava forse cercando di somigliargli? Mi lasciò completamente sbigottita e, con la lista di brani consigliati in mano, restai davanti alla porta chiusa fino a quando non suonò nuovamente il campanello. Aprii ancora in stato di trance e davanti agli occhi mi si presentò il volto rabbioso di Castiel. Perfetto, Mr. Lunatico era tornato. Non doveva essere alle prove della band?

«Perché quel damerino del cazzo è uscito dal tuo cancello? Cosa ci faceva qui?» spostò lo sguardo ovunque, dalla cucina al salotto, cercando tracce di qualsiasi tipo ma senza trovare niente. Si erano incontrati; il solito tempismo fortunato della mia storia.

 «Cosa gli hai fatto?» Mi venne spontaneo chiedergli con il timore di un'altra ipotetica lite imminente tra i due, ma ovviamente Castiel intese un altro significato in quelle parole.

«È questo a preoccuparti? Temi che gli abbia rovinato il suo faccino perfetto? Scusa se non sono biondo con gli occhi dorati come lui...»

«Castiel, ti prego, non iniziare con questi discorsi assurdi. Non ho mai voluto nessuno oltre te, dovresti saperlo», ribadii quasi stanca di dover ripetere mille volte lo stesso discorso. Le ore di tranquillità trascorse quella stessa mattina insieme a lui sembrarono già essere solo un lontano e dolce ricordo.

«E allora perché ti preoccupa cosa gli abbia potuto fare?» Era alla continua ricerca di certezze, qualche mese prima mi avrebbe suscitato persino tenerezza, ma ormai doveva smetterla. Più volte ci eravamo scambiati promesse, più volte avevo tentato di mostrargli quanto ci tenessi a lui. Doveva iniziare a fidarsi di me, altrimenti sarebbe stata la fine. 

«Per te, cretino... Tu mi preoccupi. Non voglio che tu finisca nei guai per delle cavolate», alzai leggermente la voce e gesticolai puntandogli il dito contro. 

Gli venne spontaneo fissarmi la mano e fu a quel punto che vide il foglio che ancora reggevo tra le dita. Avrei tanto voluto lanciarlo e pestarlo sotto i piedi, farlo sparire in qualche modo, ma ormai era troppo tardi. 

«Cos'è questo?» me lo strappò dalle mani e lo aprì riconoscendo sin da subito la calligrafia di Nathaniel. Erano stati migliori amici per tutta l'infanzia e adolescenza, avevano imparato a scrivere insieme, era scontato che l'avrebbe conosciuta anche tra tante. «Ti ha dedicato delle canzoni d'amore?» sgranò gli occhi, strinse il foglio nel suo palmo riducendolo piccolo quanto una pallina di ping-pong. Se avesse avuto Nathaniel davanti fui sicura che lo avrebbe ridotto uno straccio, per fortuna era andato via. 

«Mi ha solamente consigliato dei brani da poter cantare al concerto di fine anno», mi giustificai subito prima che la sua mente potesse creare falsi scenari. Ma trovò il modo per prendersela ugualmente con la sottoscritta.

«Hai chiesto aiuto a lui e non a me...» non era una domanda, aveva già tirato le sue conclusioni. Che testone!

«Io non ho chiesto aiuto proprio a nessuno, lui si è offerto di aiutarmi perché a differenza tua sosteneva di essere aperto a qualsiasi genere musicale», il mio risultò essere quasi un rimprovero, ma non era quella la mia intenzione. 

«Ah certo, la colpa adesso è mia perché non ascolto quelle lagne», sorrise amaramente scuotendo la testa.

«Non intendevo dire questo, solo-»

M'interruppe: «Sei prevenuta come tutti gli altri. Pensate che io non sappia andare oltre le mie vedute, i miei pensieri. Pensi che io sia bravo solo nel mio». Non stava più facendo riferimento solo alla musica e questo m'incupì parecchio. 

«Stai dicendo queste cose proprio a me, non ci credo...» lo guardai triste, ancora una volta stava dimostrando di aver compreso poco della mia essenza «Ti ho aiutato, ti sono venuta dietro per mesi accontentandomi delle briciole, mi sono fatta andar bene persino la tua confusione, baciavi me e poi stavi con Debrah. Ho acconsentito ad iniziare una relazione con te senza sapere dove potesse portare nonostante tu non credessi più nelle relazioni e nell'amore... Ho sempre avuto fiducia in te, ho sempre avuto la certezza che potessi andare oltre le tue fissazioni, oltre le tue barriere e l'ho sempre fatto in silenzio, ma cercando di fartelo capire ugualmente con i gesti. E adesso vieni qui puntandomi il dito contro per delle stupide canzoni? Ti rendi conto di quello che dici almeno?!» parlai in fretta e furia, sperai di essermi fatta capire ugualmente.

«Stai cercando di spostare l'attenzione su altro per prenderti la ragione. Non hai a che fare con un poppante, certi giochetti li capisco eccome», portò le mani dentro le tasche anteriori dei suoi jeans.

«Ma ti senti quando parli?»

«Sì e mi sentirò ancor meglio quando uscirò da questa casa!» lo sguardo truce «Questa lista l'ha fatta il "chiuso a qualsiasi altro genere musicale al di fuori del rock"» mi lanciò sul busto un foglio scritto da lui, non riuscii ad afferrarlo in tempo e cadde sul pavimento. «Sono scappato dalla sala prove per venire a portartela, ma a quanto pare sarebbe stato meglio non venire proprio. Goditi il tuo momento... Ciao Miki!» senza darmi possibilità di replica si voltò di spalle e sparì oltre la porta d'entrata. 

Avevamo litigato nuovamente per la sua gelosia e mancanza di fiducia nei miei confronti. Qualcosa non andava e non poteva più essere risolta con un semplice contatto fisico, avevamo bisogno di parlare seriamente e Castiel doveva iniziare a prendere sul serio le mie parole. Io non ero Debrah, non lo avrei mai ferito, non gli avrei mai voltato le spalle, non lo avrei mai abbandonato e doveva ficcarselo in quella testa di rapa rossa che si trovava. 

Cercando d'ingoiare la delusione percepita in tutto il corpo, mi abbassai e presi il foglio scritto da Castiel, lo aprii e trovai una lista di dieci brani che secondo lui sarebbero stati adatti alla mia voce. Erano tutti brani pop di cantanti che odiava; si era sforzato per me senza che glielo chiedessi. Mi sentii immediatamente in colpa per esser stata prevenuta nei suoi confronti. Avrei tanto voluto stringerlo a me in quel momento. 

***

Più volte in quel pomeriggio fui tentata di raggiungere Castiel per chiarire, ma conoscendolo piuttosto bene preferii far passare più ore per fargli smaltire la collera. 

Alle nove di sera ero sotto casa sua, davanti al cancello, camminando avanti e indietro alla ricerca di coraggio per entrare e chiedergli di perdonarmi. Non ero abituata a farlo, solitamente era sempre lui a sbagliare. Certo, anche in quel caso si era dimostrato essere prevenuto nei miei confronti, ma anch'io avevo fatto la mia parte. Mentre ancora rimuginavo sul da farsi fui distratta dalla vibrazione del mio cellulare, lo afferrai e lessi il messaggio. Era proprio da parte di Castiel. 

Stai consumando il marciapiede a furia di camminarci avanti e indietro.

Mi aveva vista, maledizione! Dov'era nascosto? Mi guardai intorno alla ricerca della sua folta chioma, non passava mai inosservata, ma non riuscii a vedere niente. Un altro messaggio da parte sua mi aiutò a comprendere dove potesse essere. 

"Counting Stars", mi scrisseEra un brano dei OneRepublic che qualche volta avevamo ascoltato insieme. Adoravo le sue risposte criptiche contenenti più messaggi nascosti e adoravo ancor di più indovinare cosa volesse intendere. 

Sollevai il capo verso il cielo pieno di stelle e proprio sul tetto di casa Black notai una sagoma, non poteva che essere lui. Cosa ci faceva lì sopra? Non c'era mai fine alle sue stranezze e particolarità, ma erano anche quelle a farmi innamorare ogni giorno sempre più di lui; peccato che non lo avrebbe mai saputo. 

Miki: Come dovrei raggiungerti?

Castiel: Con i piedi?

Miki: Smettila di fare lo spocchioso

Castiel: E tu di farmi ammattire

Miki: Devo andarmene? Stai cercando di farmi capire questo?

Castiel: C'è una scala sul retro del giardino

Sospirai leggermente rilassata dal fatto che non volesse mandarmi via e tentai di raggiungere il retro della casa semi-illuminata con la torcia dello smartphone attiva. Quando trovai la scala in questione la fissai inorridita per quanto sottile e traballante. 

«Te la reggo io», mi spaventò la voce di Castiel. Si trovava sul tetto con le mani su entrambi l'estremità della scala. Conservai il cellulare in tasca e percorsi la scalinata più tranquilla rispetto a prima. Quando finalmente giunsi sul tetto, Castiel poggiò le mani sul mio bacino per reggermi. Una volta in piedi sulle tegole ci trovammo l'una di fronte all'altro. 

 «Allora...» iniziai senza riuscire a formulare una frase di senso compiuto. I suoi occhi, il suo volto con dietro un letto di stelle, mi ridussero il cervello in pappa ed il cuore in gelatina. 

«Allora?!» ripeté mormorando. La sua voce sensuale mi accapponò la pelle. 

«Scusa!» biascicammo all'unisono. Scoppiammo a ridere per il nostro solito amico tempismo. Poi mi afferrò la mano e lentamente mi guidò sul punto in cui era seduto prima del mio arrivo. Ci accomodammo l'uno a fianco all'altra in silenzio. 

«Inizia tu», m'incoraggiò a parlare per spiegargli le mie ragioni. 

«Cosa stavi facendo?» gli chiesi vedendo la chitarra accanto a lui ed un quaderno chiuso.

«Niente di che», lo vidi irrigidirsi alla mia domanda. Lasciai correre, non volevo peggiorare la situazione già delicata di suo con la mia eccessiva curiosità. 

«Sono stata affrettata a giudicarti per via della musica e... Grazie per i brani consigliati, sono davvero belli», non lo guardai negli occhi, fissai invece il cielo illuminato dalle stelle. Era immenso, buio e bellissimo visto dall'alto della villa Black. 

«Già... Hai sbagliato a pensare che quel damerino da quattro soldi potesse avere gusti musicali migliori dei miei.» Il solito esagerato. 

«Non ho pensato questo», ribadii.

«Oh sì invece, il messaggio mi è arrivato forte e chiaro.»

«Castiel dobbiamo parlare a proposito di questo, non è possibile che per qualsiasi cosa tu dubiti subito di me», cercai di mantenere la calma, con le urla non avremmo risolto niente.

«Non l'ho fatto...»

«Sii serio», gli urtai la spalla e sollevai nuovamente gli occhi al cielo. Sperai di non tornare punto e a capo in quei discorsi.

«Lo sono», si sdraiò con le mani dietro la testa a mo' di cuscino. «Ho un modo di pormi sbagliato, ma non sei tu quella che temo», roteò il volto nella mia direzione. Stranamente non era agitato.

«E allora chi temi?» fu scontato chiedergli. 

«Me stesso!» per qualche istante non aggiunse altro, poi terminò «Temo il momento in cui mi dirai addio, temo la mia reazione. E ogni volta che litighiamo penso che quel momento possa essere arrivato; per cui dico cose per ferire o faccio lo stronzo per prevenire», parlò con calma rivelandosi in tutta la sua fragilità. Corrugai la fronte, riflettei ed immagazzinai la rivelazione. Non mi aspettavo quella sincerità totale. «Perché prevenire è meglio che curare, no?!» sollevò braccia e spalle. «E ciò non vuol dire che io non mi fidi di te, è solo colpa della mia testa che in quei momenti è annebbiata».

«Va bene», mi presi un attimo di tempo prima di rispondere. «Comunque non credo possa essere mai possibile quello che hai detto», sospirai e poi lo guardai negli occhi sperando di risultare maggiormente convincente «Non potrei mai dirti addio».

«Non ne sono così sicuro...» interruppe la connessione tra i nostri occhi e spostò lo sguardo sul cielo. Mi stava nascondendo qualcosa, non era necessario un genio per capirlo, sperai fosse qualcosa di poco conto e perdonabile.

«Invece io dico che sai essere un bravo fidanzato quando t'impegni», sorrisi rievocando tutti i momenti in cui, in quei pochi mesi, era riuscito a sorprendermi. Non avevo più alcuna intenzione di fasciarmi la testa con i problemi.

«Sul serio?»

«Sul serio».

E preferii non aggiungere altro, a volte le parole risultavano essere superflue. Mi trascinai fino a lui e mi sdraiai poggiando la testa sul suo petto. Il muscolo cardiaco gli batteva regolarmente nella gabbia toracica, fui soggiogata da quel suono. Lui era lì: vivo, bellissimo e mio. Completamente. Non m'importò di nient'altro. Posò il braccio destro sul mio fianco e prese ad accarezzarmi. Insieme, in silenzio, ascoltammo i rumori della notte.

«Everything that kills me makes me feel alive. Everything that drowns me makes me wanna fly.» Dopo qualche minuto di silenzio Castiel bisbigliò in inglese parte di quel brano di cui, solamente mezz'ora prima, mi aveva mandato il titolo per messaggio.

"Ogni cosa che mi uccide mi rende vivo. Ogni cosa che mi soffoca m'invoglia a volare", sapevo ci fosse un significato nascosto dietro quel titolo. Ma cosa lo uccideva e, nello stesso tempo, lo rendeva vivo? Cosa lo soffocava e, nello stesso tempo, gli permetteva di volare?

«La relazione che avevo con Debrah era malata. Stavamo insieme ventiquattr'ore su ventiquattro, appena ci siamo messi insieme praticamente già convivevamo; lei non aveva regole ed io vivevo solo. Eravamo piccoli - per cui ci sembrava qualcosa di figo e fuori dall'ordinario - ancora non capivo quanto potesse essere sbagliato. Non uscivamo, ci divertivamo soltanto a letto», udii la sua voce ancora più profonda e roca a causa della posizione in cui ero; vibrò nella cassa toracica e rabbrividii sia per quel particolare che per il racconto. Ancora una volta aveva scelto me per confidarsi. Non m'infastidii del suo parlare di un'altra donna, in quel caso era diverso il motivo per il quale lo stava facendo. «Il primo anno andò tutto bene, mi sembrava di essere in un sogno, di aver trovato l'amore della mia vita. Compensava persino la mancanza dei miei genitori. Evidentemente però tutta quella perfezione era solo nella mia testa... Il resto lo sai. Quando ho scoperto delle sue menzogne mi sono visto improvvisamente solo, avevo perso tutti. Ho iniziato a drogarmi e a bere per dimenticare, fino ad arrivare quasi a morire per delle stupide pasticche», riassunse gli eventi principali che già conoscevo. Gli carezzai il petto coperto da una sottile t-shirt nera e restai in silenzio, in attesa di capire dove volesse andare a parare con il suo discorso. «Ed è per questo se, con te, ho cercato di fare le cose con calma. Ho evitato di dormire, di passare troppo tempo in tua compagnia. Posso sembrare matto, ma non voglio più dipendere totalmente da una persona com'è accaduto con lei. Non voglio più arrivare a toccare il fondo com'è capitato in quel periodo della mia vita», lo sentii sospirare frustrato dopo quelle parole. 

La storia con Debrah lo aveva segnato per sempre, avrei dovuto rassegnarmi davanti a quel dato di fatto. «Ed è per questo che non riesci più ad amare...» seppi di star toccando un argomento delicato per lui, ma avevo bisogno di capire quanto e se fossi riuscita a smuoverlo in quel mese. Ci eravamo promessi che ci avrebbe provato e che io lo avrei aiutato. 

«In realtà dopo che... Non so più se - quello provato per Debrah - fosse amore», mi alzai di scatto davanti a quella rivelazione, il cuore minacciò di uscirmi dalla gabbia toracica. Guardai Castiel con gli occhi sgranati. Lo aveva detto sul serio? Se n'era già pentito? Cosa voleva dire esattamente? Dio, la lingua fremeva per quanto avrei voluto tartassarlo di domande. «Cosa ho fatto?» mi guardò tranquillo. Era talmente in vena di essere sincero da non riuscire a pesare le parole. 

«Hai detto che tu... C-cioè che Debrah... Che tu non-» gesticolai agitata. Perfetto, non ero più in grado di concludere un discorso. Mi portai le mani tra i capelli e li scompigliai. 

«Calma Miki», sorrise teneramente restando coricato. Cavolo, lo avrei voluto baciare e uccidere contemporaneamente. Come potevo restare calma davanti a quella rivelazione velata? 

«Hai detto che Debrah... e che tu n-» fu lui a bloccarmi. Si mise seduto e mi tappò la bocca con la mano per prendere la parola.

«Ho detto che probabilmente non amavo Debrah come pensavo e che a questo punto non so neanche cosa possa significare amare una persona, però...» fermò quella rivelazione proprio sul punto più importante per me, mi guardò negli occhi leggendomi l'anima e, senza levare la mano dalla bocca, proseguì sorridendo «tu stai facendo un ottimo lavoro!» Fece riferimento alla promessa che stringemmo entrambi poco tempo prima: io avrei provato ad insegnargli ad amare e lui me l'avrebbe lasciato fare. Non aggiunse altro, mantenne quell'aria misteriosa e criptica che da sempre lo aveva contraddistinto ed io - seppure con un velo di delusione - mi sforzai di farmi andare bene quella risposta.

Quando finalmente si decise a levarmi la mano dalla bocca si avvicinò per baciarmi, lo fece senza chiedere il permesso; sapeva benissimo di poter fare ciò che voleva di me. Fu un bacio speciale, di un significato profondo, che racchiudeva un sentimento ancora troppo acerbo per essere svelato... Castiel preferì celarlo nell'avvolgente manto di stelle luminoso. Sperai piovesse, sperai cadesse il cielo, per scoprirlo e poi riportarlo alla luce del sole.


-

Il giorno dopo


Durante l'ora di arte il professore ebbe la brillante idea di farci dipingere ed io, totalmente negata e maldestra, finii per macchiarmi i vestiti e le mani. Alla fine della lezione, mentre ancora il professore che avremmo avuto nell'ora successiva doveva giungere in classe, mi precipitai in bagno per cercare di ripulirmi. Risultò impossibile: con l'acqua finii per macchiare ancor di più la camicetta. Maledii l'insegnante nella mia mente e, sbuffando, spalancai la porta del bagno per uscire e rientrare in aula con una chiazza enorme e bicolore sul seno. Ma prima d'incamminarmi una voce - che conoscevo bene - proveniente dai bagni maschili attirò la mia attenzione. C'era solo un muro a dividere le due porte, per cui sporsi la testa e sbirciai senza correre il rischio di esser vista.

«Mi sei mancato...» affermò tra un bacio e l'altro.  

«Non possiamo più continuare a vederci di nascosto, dobbiamo dirlo a tutti».

Totalmente sbalordita da quello a cui avevo appena assistito, mi tappai la bocca per non urlare e restai immobile con i piedi incollati sul pavimento. 

 

 

 

 



_____________________________________________________________________________________________

🌈N.A.🌈

LALALALALALALALALAAAAAAAAA... Cos'avrà visto Miki? Chi erano i due che si scambiavano effusioni? Diamo il via alle supposizioni. Sono curiosa di conoscere i costi pensieri. Fatevi avanti.

E invece Nathaniel?! Perché è cambiato così tanto nei suoi comportamenti?

E poi i Mikistiel che litigano e fanno pace. Castiel e le sue rivelazioni già quasi svelate negli altri capitoli. Non so proprio come spostare l'attenzione su altro, quando mi metto a scrivere di loro non la smetto più e finisco per fare un intero capitolo sui loro momenti😆, spero non vi dispiaccia😜

E spero, inoltre, che non vi siate stancati di leggere della loro routine o della storia in generale. 

Vi chiedo perdono per l'enorme ritardo, mi farò perdonare. 

Poi vorrei condividere con voi una piccola gioia: la storia è arrivata settima nella categoria Teen-fiction/ Fan-Fiction del concorso "Nuovi Talenti 2019" organizzato da alcune ragazze su Wattpad. C'erano 25 storie partecipanti in totale, so di non essere sul podio, ma resta pur sempre una piccola soddisfazione. Quindi sono già felice del risultato ottenuto, venivano giudicati solo i primi capitoli quindi è una gratificazione doppia perché, pur avendoli revisionati, sono ancora parecchio dubbiosa sulle prime parti. 

Ora vi saluto, 

Buona serata

Blue🦋 


P.S Colgo l'occasione per mostrare la mia vicinanza al popolo francese (e non solo) per l'incendio avvenuto a Parigi, nella Cattedrale di Notre-Dame: patrimonio dell'intera umanità. Sono catastrofi terribili che non dovrebbero mai accadere, perdite che non dovrebbero mai avvenire. Sono davvero dispiaciuta💔

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** CAPITOLO 47: Una cena catastrofica ***


Capitolo 47

Una cena catastrofica







🎶The Chainsmokers ft. Daya - Don't Let Me Down (cover by Conor Maynard)🎶

Bloccata, allungando le braccia, chiamo il tuo nome

Ho bisogno di te adesso, ma tu non ci sei. 

Penso di star perdendo la testa, spero tu ci sarai quando ne avrò più bisogno.

Quindi non mi deludere.

Pensavo fossi dalla mia parte, ma adesso non c'è nessuno al mio fianco. 

-

🎶Jess Glynne - Take Me Home (fine capitolo)🎶


***


Alexy e Ciak. 

E chi lo avrebbe mai detto? Ciak stava baciando un ragazzo davanti al bagno degli uomini. Da quando provava attrazione per qualcuno del suo stesso sesso? Non che avessi qualcosa in contrario, ma fino ad un mese prima sosteneva di essere innamorato di me ed io fino a prova contraria ero donna a tutti gli effetti; stavo iniziando ad avere un po' troppa confusione in testa. 

«Miki?» 

Beccata! Ciak mi aveva vista.

«Oh cazzo, cazzo, cazzo!» agitai le mani, voltai le spalle alla coppia improbabile e corsi in direzione della mia classe. 

Non lo feci per rabbia, ma più che altro per vergogna, per esser stata scoperta a sbirciare qualcosa che non avrei dovuto vedere. Spettava a Ciak parlarmi di quell'aspetto delicato del suo essere, non avrei dovuto scoprirlo in quel modo. 

"Maledetta curiosità, maledetta me!"

«Dove scappi?» fui trattenuta dalle spalle dal mio amico, lo riconobbi dalla voce. «Te ne avrei parlato a breve, spero tu non ti sia arrabbiata con me», si posizionò a pochi centimetri dal mio volto con uno sguardo pieno di vergogna in viso. 

 «Se non sei ancora pronto a farlo, è giusto rimandare il discorso. Non sentirti obbligato solo perché vi ho visti. Posso aspettare, anzi scusa per la mia eccessiva curiosità. Mi mette sempre nei guai questo mio lato», verso la fine del discorso scossi la testa e mi portai una mano in fronte. 

 «No, sono pronto a parlartene. Davvero, questione di giorni e te l'avrei detto io stesso. Voglio che tu sia la prima a saperlo», dal suo sguardo capii fosse sincero. Mi limitai a sorridergli per incoraggiarlo «Potremmo andare a parlare in una zona più tranquilla?»

«Ora? Non possiamo. Dobbiamo rientrare in classe, il professore sarà già arrivato, anzi siamo già in ritardo... Magari do-» poggiò una mano sulla mia bocca e prese parola. 

«Ho già chiesto ad Alexy di dire al professore che sto poco bene e che tu mi hai accompagnato in infermeria», sorrise da gran marpione qual era. Era un genio nell'inventare alibi, in Italia lo faceva sempre. 

«Va bene, andiamo!» sospirai e accettai di farmi guidare da lui in un posto più tranquillo. 

Mi portò sul terrazzo della scuola, teatro di parecchi avvenimenti in quei mesi di permanenza nel Dolce Amoris. 

«Allora...» poggiò la schiena alla balaustra e si sedette sul pavimento bianco della terrazza, lo imitai. «Sono bisessuale!» lo sussurrò mantenendo lo sguardo fisso sui suoi jeans blu, senza riuscire a guardarmi negli occhi. Gli poggiai una mano sulla spalla per infondergli coraggio, subito dopo continuò con la sua dichiarazione: «L'ho scoperto mentre tu eri in vacanza con Castiel a Roma», si fermò nuovamente per qualche secondo. «Inizialmente negavo questo mio lato, al tuo ritorno - quando io e te abbiamo avuto l'ennesimo litigio - ero ancora confuso. Da una parte c'erano i sentimenti nei tuoi confronti e dall'altra l'attrazione provata per Alexy; è la prima volta che mi accade. Un giorno mi ha invitato a casa sua per studiare insieme e conoscerci meglio, visto che avremmo dovuto condividere il banco per l'intero anno scolastico, così ho acconsentito. Mi stava simpatico, dopotutto. Mentre stavamo risolvendo degli esercizi di matematica, si è avvicinato con la scusa di dover copiare qualcosa dal mio quaderno e mi ha baciato. In un primo momento sono rimasto sbigottito, sono scappato da casa sua. Ma i giorni passavano ed io non potevo fare a meno di ripensare a quel bacio, a scuola ho iniziato a guardare Alexy sotto altri occhi, come guardavo qualsiasi altra donna... Lì ho capito. C'ho messo un mese intero ad accettare questo mio lato, in realtà ancora stento a crederci, ma è così... Mi piacciono sia gli uomini che le donne!» disse l'ultima frase guardandomi finalmente negli occhi. «Alexy l'ha capito prima di me, è un ragazzo sensibile. E lui mi piace... Mi piace un ragazzo. Non ci credo!» strofinò entrambi i palmi sul suo viso, torturandosi. 

«Non è una cosa strana o fuori dal normale, Ciak» afferrai la sua mano e gliela strinsi «non hai bisogno di mettere l'etichette su chi sei o su chi ti piace, io ti voglio bene da etero, da gay o bisessuale. Non m'importa chi amerai o chi ti piace, mi basta solo sapere che la nostra amicizia non cambierà, che torneremo quelli di un tempo».

«Vorrei tanto che anche i miei genitori la pensassero come te...» abbassò il viso sconsolato. 

«Non condividono chi sei?»

«In realtà non lo sanno, ma immagino già come la pensano. In Italia in molti hanno una concezione arretrata per questo genere di cose, lo sai bene.»

Dovetti dargli ragione. Purtroppo parte della vecchia generazione italiana aveva delle vedute antiquate e ristrette in temi come l'omosessualità, per fortuna però i ragazzi della nostra età nascevano con una mentalità più aperta, quindi si parlava solamente di una fetta della popolazione. 

«Non dirglielo fin quando non sarai pronto, non sei obbligato a raccontare loro la tua vita privata».

«Sì, ma prima o poi dovrò farlo...» lessi timore nei suoi occhi verdi. 

«Quel giorno ci sarò io con te!» lo incoraggiai.

«Lo faresti davvero?»

«Certo!» gli sorrisi rassicurante. 

«Torneresti in Italia con me solamente per dire questa cosa ai miei?» si stupì.

«Sia per questo che per passare del tempo con il mio migliore amico».

La nostra amicizia era cambiata rispetto ad un anno prima, ma nonostante ciò non sarei mai stata in grado di abbandonarlo proprio in un momento delicato come quello.

«Non ti merito...» abbassò il volto nuovamente.

«Se è per questo neanch'io» poggiai il capo sulla sua spalla. 

In quei mesi ci eravamo provocati del male a vicenda, ognuno di noi aveva commesso degli errori, ma non c'era bisogno di addossarsi tutte le colpe.

«Non avrei dovuto pensare e dirti tutte quelle cattiverie. Non sei cambiata, anzi Parigi ti ha addirittura migliorata», mi parlò con il cuore come forse non faceva più da tempo. 

«Grazie, ma non pensiamoci più. È acqua passata».

«Ti voglio bene Miki», mi schioccò un bacio sulla fronte.

«Anch'io Ciak, anch'io» e chiusi gli occhi. 

Durante quella mattina lo sentii nuovamente vicino al mio cuore. Quel segreto condiviso ci riportò indietro di anni, a quando entrambi eravamo dei semplici migliori amici adolescenti. Sentii il cuore leggero e sperai di continuare a provare ancora quella dolce sensazione in sua presenza. Forse sarebbe stata proprio la nuova direzione del suo orientamento a salvare la nostra amicizia perché bene o male, nonostante nei giorni passati ci fossimo già detti di gettare i rancori alle spalle, mi era risultato impossibile non pensare che Ciak provasse un sentimento diverso dal mio ogniqualvolta chiacchieravamo o ci confrontavamo.  

***

Quello stesso pomeriggio decisi finalmente di fare visita a mia madre, si era trasferita nella sua nuova casa a Parigi da quasi due mesi ed io non avevo ancora avuto il coraggio di andarla a trovare. Le avevo detto di non aver avuto del tempo disponibile per via della mole di studio elevata, ma quella era stata solamente una scusante e anche lei lo sapeva bene. Non avevo semplicemente avuto abbastanza audacia per vedere coi miei occhi il luogo in cui si era creata una nuova vita ed una nuova famiglia che non comprendesse la sottoscritta. Perché avrei potuto ricucire i rapporti con lei, avrei potuto perdonarle tutti gli sbagli, ma non avrei mai potuto dimenticare gli anni peggiori della mia vita, gli anni in cui necessitavo di una mamma, di una guida, ma non avevo avuto nessuno. Perché avrei nutrito sempre quel pizzico d'invidia per Flora, la mia sorellastra, che aveva avuto il privilegio di avere la nostra mamma al suo fianco per tutta l'infanzia e che l'avrebbe continuata ad avere anche in futuro. Privilegio che io non avrei mai più potuto ricevere come dono.

Mentre i soliti pensieri non facevano altro che continuare a vorticare nella mente, dopo aver trascorso all'incirca cinque minuti a fissare i ghirigori incisi sulla porta d'entrata, mi decisi finalmente a suonare il campanello di quell'enorme casa color ocra. 

Il volto ed il fisico minuto di Flora spuntarono dal masso di legno: «Miki sei arrivata finalmente», saltellò battendo le mani. Non ebbi il suo stesso entusiasmo nel vederla, mi limitai a salutarla con un cenno della mano ed un sorriso di circostanza. Era simpatica e carina, ma essendo sorella di Debrah - nonché sua migliore confidente - avrei dovuto aspettarmi di tutto da parte sua. 

«Mikiii...» strillò Teresa appena mi vide sulla soglia della porta «Vieni, entra».

Con entrambi le mani nelle tasche del cappotto mi addentrai nella fantomatica casa della nuova famiglia di mia madre. Varcata l'entrata, sin da subito percepii un senso di oppressione sul petto decisamente peggiore della prima volta in cui visitai la sua casa di Roma. Probabilmente ebbi quella reazione perché la casa di Parigi sarebbe potuta essere anche mia, perché se solo avessi voluto avrei potuto condividere quell'ambiente con loro.
Ma io non ero capace di entrare a far parte di una famiglia, quando ne avevo avuta una ero sin troppo piccola per ricordare. 

Lo stile dell'arredamento notai fosse moderno e colorato, i pavimenti in parquet chiaro e i muri totalmente bianchi. Non riuscii ad osservare nient'altro perché Teresa e Flora mi guidarono subito fino al salotto. Una volta lì mi guardai intorno: una libreria enorme e bianca con libri di vario genere occupava un'intera parete, un divano color panna, dall'altro lato, con accanto un televisore parecchio grande e, al centro della stanza, un tavolo rettangolare di marmo con sei sedie attorno. Di quella stanza mi colpì particolarmente il lampadario, era situato al centro della stanza, con tre plafoniere pendenti di vetro colorato arancione e verde. 

Mi accomodai sul divano chiaro senza aver spiccicato neanche una parola dal mio arrivo. Teresa si sedette accanto a me e tentò di spezzare il ghiaccio con qualche frase di circostanza, mentre Flora si precipitò in cucina con la scusa di andare a prendere un succo d'arancia da offrirmi. 

«Allora, ho saputo che tu e Castiel...» Non terminò la frase preferendo utilizzare i gesti per farsi intendere: strizzò l'occhio destro e con il gomito urtò il mio braccio per tre volte di fila. Per un attimo mi ricordò Rosalya. 

«Ehm... Sì, stiamo insieme», imbarazzata mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 

«Sono felice per voi», mi sorrise sincera. 

Avrei voluto ribattere con: "ho rubato il ragazzo alla tua amata figliastra, la quale da quel giorno continua a minacciarmi e a rendermi la vita impossibile, non dovresti essere poi così tanto felice per me", ma evitai di farlo. 

«Ecco», Flora rientrò nella stanza porgendomi il succo d'arancia. La ringraziai. 

Non sapevo spiegarmi il motivo, ma chiacchierare da vicino con Teresa stava risultando essere più difficile del previsto. Durante i primi giorni di riavvicinamento non era stato poi così tanto complicato, ma più il tempo passava e più riflettevo sulle differenze con la nostra precedente famiglia e non riuscii ad evitare di essere diffidente e fredda. 

«Come vi trovate in Francia?» chiesi ad entrambe, facendo uno sforzo, tentando di trovare un'argomentazione non troppo seria da affrontare. 

«Benissimo! Sono vicina a Debrah ora, non potrei chiedere di meglio», rispose esaltata Flora. 

«Già... Che grande privilegio quello di abitare nella stessa città di Debrah!» il tono di voce uscì canzonatorio, non riuscii a tenere la lingua a freno. 

«So dei vostri dissapori, ma non è una cattiva ragazza». Teresa tentò di difenderla, ma senza avere successo.

«Certamente, è una ragazza d'oro. Credo che col tempo potremmo diventare migliori amiche», mostrai un sorriso falso a trentadue denti. Preferii continuare sulla strada della sdrammatizzazione invece d'infastidirmi. 

 «Flora fai vedere a Miki i disegni che hai fatto. Vai a prenderli, le piaceranno di sicuro». 

Voleva restare sola con me, persino una bambina lo avrebbe capito. Flora non fece i capricci, eseguì il consiglio imposto da sua madre e ci lasciò sole. 

«Debrah mi ha promesso di non darti più fastidio, sta facendo il contrario?» Teresa si rivolse a me con un tono apprensivo che non mi aspettavo. 

«A me personalmente no, ma non mi fido di lei. Ho sempre la sensazione che stia tramando qualcosa», fui sincera. 

Avevo qualche sospetto da quando aveva ripreso a gironzolare intorno a Castiel fingendosi sua amica, era parecchio strano che si fosse arresa dal farmi la guerra proprio da quando io ed il rosso eravamo diventati ufficialmente una coppia. Qualcosa non tornava.

«Ha promesso a suo padre che, fin quando non partirà di nuovo, si comporterà bene», mi assicurò Teresa. 

"Quindi a breve sarebbe sparita dalla circolazione? Che sollievo!"

«Sì, come se lei si facesse intimidire da una banale raccomandazione del padre...»

«Ha i suoi interessi per farlo».

«Cioè?» m'interessai a quell'argomento.

«Ha intenzione di rientrare nel panorama musicale e per farlo ha bisogno di alcuni agganci che solo il padre è capace di fornirle. A Giugno è fissata la partenza per gli Stati Uniti ma, se nel frattempo si metterà nei guai o ti farà qualche torto, Marcel le ha intimato che cancellerà ogni cosa. A quando pare ha avuto un'idea innovativa che ai discografici piace, spero tanto che questa sia la volta buona, sarebbe capace di vendere anima e corpo pur di sfondare nel mondo della musica».

"L'ha già fatto", avrei voluto rispondere, ma lasciai stare. «Quale idea?» chiesi invece. 

Pian piano stavo unendo i pezzi mancanti del puzzle, stavo iniziando a capire per quale motivo Debrah si fosse messa da parte. Non era stata colta da un impeto improvviso di umanità, ma lo aveva fatto semplicemente per un suo tornaconto personale, per una richiesta del padre. 

«Ha intenzione di abbandonare l'egocentrismo per dividere il palco con altri musicisti», mia madre mi guardò stranita per l'improvviso interesse verso il futuro di Debrah. Ma più andavo a fondo in quella storia e meno mi convinceva. 

«Chi sono questi musicisti?» continuai con l'interrogatorio con una strana ansia sullo stomaco. 

«Non ne ho idea», sollevò le spalle. 

Mi rilassai all'istante, perché se si fosse trattato di qualcuno di sua o nostra conoscenza lo avrebbe saputo anche mia madre, giusto?

«Sarà bello vivere senza Debrah», sdrammatizzai sospirando e, poggiandomi allo schienale del divano, già più serena rispetto a qualche minuto prima. 

«E con Kate invece come va?» cambiò completamente discorso.

«Ci scambiamo solamente qualche parola di circostanza visto che viviamo sotto lo stesso tetto, ma per fortuna è spesso in viaggio per lavoro o quando è qui preferisce stare con il suo fidanzatino», scrollai le spalle a testimonianza del mio scarso interesse per la continua assenza di Kate.

«Non credi sia giusto darle un'altra possibilità?» insisté. 

Ogni volta che avevamo una conversazione finiva per consigliarmi un rappacificamento con lei. Doveva smetterla di fare da paciere.

«Non credi sia giusto farti gli affari tuoi?» risultai essere scortese, ma sapevo benissimo decidere da sola sulla mia vita.

«Lei ha fatto tanto per te, Miki, riflettici bene!» 

«Eccomi qui!» Flora arrivò saltellando, canticchiando e si sedette accanto a me. Mi salvò in calcio d'angolo, l'amai in quel preciso istante. 

Passai la successiva mezz'ora in compagnia di quella bambina parecchio simile a Debrah dall'aspetto, ma che per il resto pareva essere totalmente il suo opposto: era socievole, sorridente, simpatica. Mi mostrò i disegni colorati, parlammo dei suoi cartoni e film preferiti, persino dei cantanti, mentre Teresa andò a preparare la cena. Poteva essere avventato o eccessivo da affermare, ma quel pomeriggio mi affezionai un po' di più alla ragazzina dagli occhi di ghiaccio e fui maggiormente consapevole di avere realmente una sorella. Una sorella in comune con la mia peggiore nemica. 

Dopo aver ricevuto un messaggio da parte di Castiel che mi comunicava di esser appena arrivato fuori casa e che mi aspettava per riaccompagnarmi a casa, mi recai in cucina - grazie alle indicazioni di Flora - per salutare mia madre. Era situata in una stanza abbastanza piccola, non conteneva neanche il tavolo. I mobili erano di un arancione lucido davvero carino sebbene troppo sgargiante, le finestre con delle tende bianche a fiori verdi. Sul frigorifero erano appiccicate delle calamite di varie città d'Europa. Era tutto coordinato nei colori. 

«Io vado...» mostrai con il pollice la finestra alle mie spalle. 

«Di già? Pensavo ti fermassi per cena», bloccò il taglio di una patata per voltarsi e guardarmi in volto. 

«Ehm... No, fuori c'è Castiel che mi aspetta».

«Oh, ma allora è questo il problema? Mangerà anche lui insieme a noi», riprese a tagliare il tubero pensando di aver risolto il dilemma. 

«Che? No, no, no!» scossi testa e mani energicamente. Quella non sarebbe stata per nulla una buona idea.

«Debrah non c'è, non temere», mi rassicurò pensando che il mio unico problema fosse Debrah. 

«Non è questo, è solo che...» non sapevo come altro dirglielo. 

«Cosa?» Teresa lasciò il suo lavoro per rivolgere tutta l'attenzione su di me. 

«Non vorrei affrettare le cose, ecco. Ci siamo ritrovate dopo tanto tempo, non condividiamo un pranzo o una cena insieme da anni e-» ma non mi permise di concludere il discorso che si precipitò alla porta d'entrata.

«Abbiamo già perso troppo tempo, non ne sprechiamo altro!»

E con quella semplice ma efficace frase mi acquietò, si precipitò fuori casa per invitare Castiel ad entrare. Forse non sarebbe stata una pessima idea restare a cena, sarebbe stata un'ottima occasione per conoscere meglio anche Marcel, dopotutto non doveva essere un cattivo uomo. 

«Entra... vieni!» sentii mormorare Teresa e dopo qualche secondo la vidi rientrare accompagnata da Castiel. 

Nel ritrovarmelo davanti, il mio cuore fece una capriola, l'effetto era sempre lo stesso. Non importava se lo avessi visto solamente qualche ora prima o se stessimo insieme ormai da più mesi, Castiel mi suscitava sempre forti emozioni. Era come la cioccolata, l'alcol, la nicotina: creava dipendenza. Più ne avevo a disposizione e più ne sentivo il bisogno di averne. 

«Ehi», accennò un sorriso, si avvicinò a me e, abbassandosi alla mia altezza, mi baciò sulle labbra. «Sei sicura di voler restare? Se non te la senti possiamo andare altrove», mi domandò premuroso. Ebbi l'istinto di stringerlo e sbaciucchiarlo per tutto il viso, ma dovetti contenermi visto il luogo in cui ci trovavamo.

«Voglio fare una prova... Vediamo come va. A te invece scoccia restare qui con me?» sollevai il capo per guardarlo in quegli occhi grigi meravigliosi. 

«No, ma solo ad una condizione». Cosa diavolo aveva pensato la sua testa? «Stanotte dormirai fuori con me!» 

«Fuori dove?» mi allarmai, a volte le sue idee erano bizzarre e soprattutto illegali. 

«Non ti è ancora concesso sapere», emise quel ghigno che un tempo m'innervosiva, ma che coi mesi avevo imparato ad amare. 

«Per caso hai intenzione di farmi diventare una barbona?»

«No, ma saresti bella anche con la barba», liquidò la mia curiosità con una delle sue battute imbecilli ma allo stesso tempo dolci. A quel punto risi, non potei fare altrimenti. 

«Che carini!» sussultai nel sentire la voce di Teresa alle spalle. Pensavo fosse andata a preparare la cena e invece stava origliando la mia conversazione con Castiel. Che vergogna!

«Nessuno ti ha mai insegnato che è cattiva educazione origliare le conversazioni altrui?» Castiel si rivolse a lei in un tono un po' troppo scontroso, parve quasi avessero confidenza. 

«Affermò il ragazzo erudito», mia madre ribatté con lo stesso tono del rosso. Finirono per ghignare entrambi. Cosa mi ero persa? Li fissai confusa alternando lo sguardo da uno all'altro. «Vado a preparare la cena, fate come se foste a casa vostra... Ma vedete di non farmi diventare nonna, ancora sono troppo giovane», e ridacchiando ci lasciò impietriti sulla soglia di casa. Sbattei le palpebre velocemente, per un attimo pensai di star sognando. Teresa era la versione matura e adulta di Rosalya, com'era possibile?

«Vi conoscevate già tu e Teresa? Cioè avete avuto modo di chiacchierare in altre occasioni?» gli chiesi curiosa, mentre lo guidai fino al salotto dove trovammo Flora intenta a giocare con le bambole. 

«Probabile», replicò vago guardandosi intorno. 

***

Più volte chiesi a mia madre se potessi essere di aiuto in cucina o nell'apparecchiare la tavola, ma lei mi aveva liquidata indicandomi di stare con Castiel e di giocare con Flora, che per lei era già un regalo avermi lì. Dopo quasi un'ora ci chiamò per accomodarci a tavola, nel frattempo arrivò anche Marcel. Mi presentai a lui visto che lo avevo conosciuto quando ero solamente una bambina, mentre quella sera di tre mesi prima a Roma - quando incontrai dopo otto anni Teresa con la sua nuova famiglia - viste le circostanze non avevo di certo pensato di porgergli la mano per fare la sua conoscenza. Era alto e di corporatura robusta. Capelli castani e occhi color del ghiaccio, lo rendevano parecchio somigliante a sua figlia Debrah, già quell'aspetto bastava per farmelo odiare anche se nell'apparenza non sembrava essere cattivo.

«Spero che la cena sia di vostro gradimento», Teresa si accomodò sorridente accanto al suo compagno. Nei suoi occhi lessi emozione, completezza, estrema felicità; la stessa che leggevo da piccola, quando ancora potevo urlare al mondo di esser parte di una famiglia.

Mi sedetti accanto a Castiel, mentre Flora si accomodò di fronte a me e vicino a Teresa, invece Marcel era a capotavola. Mangiammo pollo impanato con patate al forno e dovetti ammettere che Teresa era un'ottima cuoca. A metà cena sentii aprirsi la porta di casa, tutti si voltarono verso l'entrata, dalla quale apparve Debrah in tutta la sua volgarità. Indossava una minigonna striminzita nera senza collant, un top viola sin troppo scollato ed un giubbotto di pelle nero. 

«C'è una cena di famiglia in corso e nessuno ha pensato d'invitarmi? Che cafoni che siete! Fortuna che ho una sorella chiacchierona», ci guardò con il sorriso diabolico di chi aveva qualcosa in mente e si accomodò dall'altro capo della tavola, di fronte a suo padre, tra me e Flora. Castiel s'irrigidì, non tardò a cercare la mia mano per stringerla e portarla sulla sua gamba. Apprezzai quel gesto.

Flora le aveva spifferato la nostra presenza in casa sua e Debrah ovviamente si era precipitata lì con chissà quale scopo, non poteva perdersi un'occasione simile. 

«Nulla di programmato, è stato un invito improvvisato», si giustificò Teresa. 

«Oh certamente!» replicò Debrah beffante.

«Sono otto anni che non ceno con mia figlia, se permetti posso invitare chi voglio a casa mia!»

Mia madre scattò subito sulla difensiva, neanche lei tollerava gli atteggiamenti di Debrah. Ne fui contenta.

«Nella casa pagata con i soldoni di mio padre, vorresti dire...»

«Debrah!» la rimproverò il padre alzando la voce «Non rivolgerti alla mia compagna in questo modo!» 

Io, Castiel e Flora preferimmo osservare la scena da spettatori, non sarebbe stato opportuno che intervenissimo. 

«Altrimenti cosa mi fai?» la ragazza incrociò le braccia al petto «Minacci tua figlia di non farle fare carriera? Non credo ti convenga, ci perderesti anche tu», lo fissò con sguardo di superiorità. «Davvero credevi che mi sarei fatta intimidire dai tuoi ricatti falsi? Sai anche tu quanto sia vantaggiosa l'offerta che ti ho proposto. Non puoi rifiutare».

«Non è né il momento e né il luogo per discutere di questo», ribatté Marcel. 

«Non c'è altro da discutere, infatti. Dentro di te hai già accettato la mia proposta». 

Marcel non replicò dando implicitamente ragione alla figlia. Quel breve discorso si concluse e Debrah ne uscì vincitrice. Quella ragazza riusciva ad ammutolire persino gli adulti, ed a ricattarli a sua volta. Era inarrestabile. 

«Gradisci un po' di pollo?» le chiese Teresa, dopo qualche secondo, per spezzare la tensione. 

«No, grazie. Non amo prendere le briciole degli altri», si voltò verso di me guardandomi insistentemente. Sapevo fosse un discorso a doppio senso, il suo. «O tutto o niente. Ed io preferisco tutto», poi spostò lo sguardo su Castiel fissandolo con possessione e brama. Strinsi con forza la gamba del rosso: lui era mio e non più di Debrah. Lui non voleva lei, la detestava, cercai di auto-convincermi. «Hai avuto parecchio tempo a disposizione, è ora di farla finita con i tuoi giochetti, non credi?» Castiel le rivolse uno sguardo truce, l'avrebbe uccisa a mani nude se avesse potuto. 

Improvvisamente, quasi come un film, rividi e risentii tutti gli avvertimenti e le frasi pessimiste di Castiel degli ultimi mesi. Era tutto collegato? Il terrore imminente di perderlo invase ogni organo del mio corpo. L'ansia risalì dallo stomaco arrivando dritta al cuore. Mi sarei potuta rompere con poco. "Non farmi questo, Cass... Non deludermi. Ti prego!"

«Farla finita con cosa?» mi rivolsi a Castiel cercando di mantenere un minimo di controllo. Avrei voluto capire di più sulle parole di Debrah. Castiel mi doveva delle spiegazioni. 

«Oh lo scoprirai presto, molto presto!» mi rispose Debrah al posto di Castiel, mentre il rosso restò immobile e muto a fissare di sbieco la ragazza malvagia. 

Non capii cosa stesse accadendo, ma una cosa era sicura: quei due mi stavano nascondendo qualcosa, qualcosa che non mi sarebbe piaciuta per niente. Così provai ad insistere.

«Cass», lo pregai con lo sguardo di parlare, ma lui evitò il mio sguardo. Mi sentii morire. Non rispose con le parole, quelle non servivano neanche. Il suo comportamento urlava forte e chiaro. 

I segreti tra noi non erano ancora finiti, stava per verificarsi una catastrofe, una di quelle che mi avrebbe distrutto il cuore in mille pezzi. Le mani iniziarono a tremare, trattenni a stento le lacrime. Quei mesi trascorsi in pace senza drammi eccessivi, quei giorni di felicità, erano destinati ad avere una fine. E quella fine era vicina. Ormai ne ero convinta.

«Gradite un po' di macedonia?» s'intromise Teresa per stemperare quell'aria pesante di risposte non date. Spostai lo sguardo verso quella donna, in cerca di un appiglio per evitare di fare una scenata proprio durante la prima cena con mia madre dopo otto anni, lei stessa mi sorrise compassionevole. 

«Sì, grazie!» rispose quell'arpia di Debrah sorridendo vittoriosa. Aveva appena innescato una bomba e attendeva trepidante le prime ferite, le mie.

Teresa ritenne opportuno riempire tutti i bicchieri di macedonia sebbene nessuno, oltre Debrah, le avesse risposto di gradirla. Tutti i commensali fissarono i movimenti di Teresa, nessuno fiatò. Ne mangiai metà bicchiere per educazione, ogni boccone rappresentò una lama affilata che mi uccideva lentamente, non perché non fosse saporita ma per la circostanza. Più i minuti passavano e più la mia mente elaborava possibili scenari: Castiel che mi tradiva con Debrah, Castiel che continuava a stare con lei nonostante stesse con me, Castiel che sarebbe partito con Debrah per avere maggiori possibilità di sfondare nel mondo della musica. Non mi veniva in mente altro, non esisteva più nulla di bello. 

Il parco floreale di Parigi, il giardino in terrazza a Roma, il tetto di casa Black, la casa sull'albero, la barca sul mare, il battello sulla Senna, le promesse, le frasi scritte sulla finestra della mia camera, non esisteva più niente. Ogni ricordo divenne sbiadito, annebbiato dal fumo nero dell'anima di Castiel. Forse avevo sbagliato tutto, forse mi ero fidata sin troppo di lui, di lui che mi aveva sempre avvertito di non possedere più un cuore, di non essere più capace di provare sentimenti forti. E mi ero fidata troppo persino di me stessa, perché in realtà non ero capace d'insegnare ad amare. D'altronde come potevo esserlo se non ero mai stata amata da nessuno? E poi... Cos'era l'amore? A cosa serviva se non era stato in grado neanche di salvare, di redimere? In quel momento avrei voluto urlare tante di quelle parole che anche loro finirono per divenire confuse e apparentemente prive di senso, ogni sillaba si perse tra il fumo dei demoni interiori di Castiel. Non li aveva sconfitti, non ce l'aveva fatta, il mio amore non era stato abbastanza. 

Avrei voluto urlare contro Debrah di riprendersi quel ragazzo, ma avrei voluto urlare anche contro Castiel di restare, di non abbandonarmi, di non lasciarmi cadere. Tanta confusione, troppa, finì per ammutolirmi ed immobilizzarmi. Ero accomodata a tavola di casa Duval, ma in realtà non ero lì. Anch'io mi ero persa nel fumo dell'anima di Castiel. Sperai di trovare una via d'uscita prima di soffocare.

«Due sorelle che stanno con lo stesso ragazzo, non dovrebbe essere contro le leggi etiche?» Debrah, dopo aver svuotato il suo bicchiere, fece scoppiare la prima bomba. Sussultai e d'istinto tolsi la mano da quella di Castiel. Non mi ero neanche resa conto di avergliela stretta per tutto quel tempo. 

I miei film mentali quindi erano reali? E lui perché stava inscenando la parte del vegetale? Perché non reagiva mettendo a tacere Debrah? Perché non si decideva a portarmi via da quella casa? Tanti interrogativi, troppi per essere capace di reggerli tutti in un colpo solo. 

Continuai nel mio mutismo, nella mia apatia, avrei voluto urlare, scappare, ma non ero più capace di farlo.

«Adesso basta!» Teresa sbatté le mani sul tavolo attirando l'attenzione di tutti. «Questi non sono discorsi da fare durante una cena davanti a due genitori e ad una bambina. Quella che non osserva alcuna regola sei tu, solo tu. Mi hai stancata con i tuoi giochetti. So tutto, Debrah. Tutto. Da quanto ricatti mia figlia? Da quanto invece Castiel? Sei un essere spregevole, una donnaccia che ha bisogno d'ingegnare stratagemmi per riprendersi un ragazzo. Cosa vedi quando ti specchi la mattina? Come pretendi di avere successo, di conquistare il cuore delle persone, se tu per prima non ne possiedi uno? Sei ipocrita e malvagia, una ragazza che non meriterebbe neanche di stare seduta qui a tavola con noi. Se non fosse per tuo padre ti avrei già sbattuta fuori a calci!» mia madre sputò contro Debrah tutto il veleno che stava trattenendo da chissà quanto tempo. Si alzò dalla sedia e le parlò avvicinandosi al suo viso, mi tolse praticamente le parole di bocca. Avrei tanto voluto urlarle io quelle frasi, ma avevo evitato di farlo per via del contesto in cui mi trovavo e per via della mia temporanea instabilità mentale.

«Vuoi insegnarmi tu come conquistare un ragazzo o come imparare a vivere? Di sicuro una prostituta è esperta in questo genere di cose!» 

E, dopo la risposta di Debrah, Teresa perse completamente la ragione. Le mollò uno schiaffo in pieno viso lasciandole addirittura l'impronta delle dita sulla guancia. Debrah, di risposta, strattonò i capelli a mia madre. Lo sbigottimento fu generale. Flora, vista la situazione critica, preferì alzarsi da tavola e correre nella sua stanza; decisione saggia. Marcel e Castiel fissarono le due donne con gli occhi sgranati. Dopo un breve attimo di realizzazione dell'accaduto, entrambi si alzarono per allontanare le due. Marcel attirò a sé Teresa, mentre Castiel afferrò i polsi di Debrah.  

Un impeto di gelosia e mi alzai anch'io, avvicinandomi al mio ragazzo. Gli cinsi i fianchi e appoggiai il viso sulla sua schiena. Istantaneamente mollò Debrah, poggiò la mano sulla mia e socchiuse gli occhi. La ragazza diabolica per una volta dimostrò di possedere un briciolo d'intelligenza: gettò temporaneamente le armi, lasciandoci soli e recandosi nella camera di Flora. Teresa scappò in cucina per placare i bollenti spiriti, con tutta quella rabbia repressa avrebbe potuto benissimo commettere un omicidio. Nel salotto restammo solo io e Castiel. 

«Riportami a casa», sussurrai all'orecchio del rosso. 

Castiel sapeva bene che la mia non fosse una richiesta letterale, perché casa era ovunque fosse lui. E non importava se fosse tra le fiamme dell'inferno, lui per me sarebbe sempre stato paradiso. Fuoco e ghiaccio, amore e odio, passione e rabbia. Un ibrido. Il mio, il nostro.

«Sì, ma dobbiamo parlare», sospirò quasi sofferente. 

«Lo so». 

Ma in realtà non sapevo più se fossi pronta o meno a conoscere la verità. Ero disposta a far scoppiare definitivamente la nostra bolla? 

Rabbia, amore, confusione. Strade che non avrebbero portato da nessuna parte. Sapevo ci fosse un posto migliore, perché lui mi ci portava sempre. Tutto era cominciato con una fiducia tradita, una mano da stringere al volo prima di cadere nel vuoto ed urtare il terreno. Ed in quel momento, più delle altre occasioni, avevo bisogno che lui mi rassicurasse dicendomi che mi avrebbe trattenuta di nuovo senza lasciarmi cadere. Se avessi perso il controllo, se avessi perso nuovamente la speranza, se mi fossi ferita lungo la strada, lui mi avrebbe riportato a casa? Si sarebbe preso cura di un'anima in pena? Avrebbe fatto tutto ciò che già io avevo fatto per lui?

Lo avrei scoperto a breve. 

«Mamma, noi andiamo...» mi fermai accanto alla porta della cucina per avvertire Teresa.

«Tesoro vieni qui», mi fece cenno di avvicinarmi a lei e lo feci. «Mi dispiace per come sia andata a finire la cena, ma-» fermai le sue scuse. 

«Non sei tu a doverti scusare, anzi, grazie per avergliele cantate e suonate al posto mio», strizzai l'occhio cercando di sdrammatizzare, lei sorrise. 

«Erano anni che trattenevo la maggior parte di quelle parole sulla punta della lingua, non mi è mai piaciuta come ragazza. Mi stupisco sempre che sia figlia di Marcel, lui è così buono», emise un sospiro. 

«Immagino non sia facile avere Debrah come figliastra, ti compatisco», accennai un sorriso. 

«Grazie. Comunque... Castiel ci tiene a te, qualunque cosa abbia fatto sono sicura ci sia una spiegazione ragionevole», lei a sua volta tentò di rassicurarmi con quelle parole e, per finire, con un abbraccio. «Ti voglio bene!» mi bisbigliò nell'orecchio destro. «Casa mia sarà sempre aperta per te, ricordalo. Per sostegno, per una spalla su cui piangere o gioire, sappi che mi troverai sempre qui. Non scappo più da nessuna parte», quello fu il suo saluto speciale, mi scaldò il cuore. Necessitavo di parole confortanti come dell'ossigeno per respirare e lei lo aveva capito già solo guardandomi negli occhi. Forse non era troppo tardi per riavere una famiglia. La ringraziai con una pacca sulla spalla, non ero in grado di fare dei gran discorsi visti gli eventi accaduti, ma sapevo che avrebbe compreso ugualmente il mio stato d'animo. 

«A presto mamma!»

-

«Vuoi ancora dormire con me?» mi chiese Castiel appena fuori casa Duval. 

Me lo chiese con l'espressione di un piccolo animaletto ferito, mi disarmò completamente. Non lo avevo mai visto così vulnerabile. A tutto c'era una spiegazione, forse non era ancora tutto perso.

«Sì», risposi semplicemente. 

E sapevo di star sbagliando, sapevo che, prima di dare la mia disponibilità, avrei dovuto chiedergli spiegazioni sulle frasi di Debrah e sul suo comportamento accondiscendente, ma immaginavo già che quella verità avrebbe scombussolato nuovamente ogni cosa, perciò preferii godermi gli ultimi attimi di felicità.

Lo schianto ormai era inevitabile, nel mentre perlomeno mi sarei goduta il panorama. 

D'altronde... Quando esiste la prospettiva di ricevere uno schiaffo, il vero masochista porge la guancia.

 

 

 

 



_____________________________________________________________________

🌈N.A.🌈

Hello, ultimamente non sto rispettando per nulla i giorni di pubblicazione, mi dispiace tanto. Tra una cosa e l'altra sto avendo davvero poco tempo per scrivere. Ma ce la farò ad aggiornare di nuovo regolarmente, promesso🤞🏻 

CIAK BISESSUALE. Era proprio lui a sbaciucchiarsi nel bagno con Alexy. Sorpresi? 😏

Io aspettavo questo momento dall'inizio della storia più o meno, cioè da tantissimi anni. Ci tenevo, nel mio piccolo, ad affrontare quest'altro argomento. 

👩‍❤️‍👩LOVE IS LOVE👨‍❤️‍👨; non importa chi si ama, l'importante è amare sempre e incondizionatamente. Chi ama le persone del suo stesso sesso non provoca del male a nessuno, quindi lasciamoli liberi di scegliere della loro vita. Non condannateli, non insultateli, trattateli normalmente com'è giusto che sia. Una persona non dev'esser giudicata in base al suo orientamento sessuale. Quindi STOP alle etichette e SPAZIO alla libertà d'amare💕 

Ok, chiudo questa breve parentesi.

Prepariamoci tanti fazzoletti per i prossimi capitoli😭. Spero di riuscire a scriverli, non so per quale motivo ma ultimamente le emozioni che sento nei vari capitoli sono amplificate; forse mi sono affezionata troppo ai personaggi. Il che è un bene da una parte.

In più stiamo per scoprire cosa ha fatto Castiel nel bagno prima del famoso concerto, non aggiungo altro🤐. 

Sarà Castiel a raccontare la verità a Miki o sarà troppo codardo per farlo e lo saprà in un altro modo, tramite un'altra persona?

Debrah ha dato il meglio di sé in questo capitolo, ma è arrivata super Terry a fermarla. Finalmente qualcuno gliele ha cantate come si deve :D 

Non so voi, ma io ho amato sia Teresa che Ciak in questo capitolo. Me la canto e me la suono da sola, lo so xD

Ok, adesso chiudo questo gigantesco angolo autrice e vi saluto, alla prossima...

All the love💖

Blue Night🦋

 

P.S. Sono emotivamente instabile perché ho visto il film Avengers - EndGame al cinema. Caspita, che amarezza!

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** CAPITOLO 48: Solo per una notte ***


Capitolo 48

Solo per una notte







🎶Ed Sheeran - I'm a Mess (Castiel's POV)🎶

🎶Miley Cyrus - Wrecking Ball (Miki's POV)🎶

***

Avrei voluto essere capace di fermarli così com'erano, certi momenti. Come quegli aquiloni che restano sospesi per lunghissimi istanti nel cielo e sembra che nessun vento, nessuna tempesta riesca a portarli via. Presto o tardi si scopre che i momenti realmente importanti della vita non sono quelli programmati come i compleanni, il matrimonio o il diploma. Perché i veri attimi, quelli indelebili e scolpiti per sempre nella nostra memoria, giungono alla porta senza essere annunciati. La mia adolescenza fu ricca di quei momenti, di una persona in particolare. Peccato però, quegli attimi fugaci di felicità erano stati spazzati via da un tornado distruttivo che portava il suo nome. 

Varengeville-sur-mer: la pubblicità del profumo, la nostra prima volta, quello che - sebbene troppo distante da Parigi - oramai era divenuto il nostro posto speciale. Fu lì che mi portò Castiel quell'ultima sera, lo capii solamente dopo esser quasi giunti a destinazione. Con la moto, grazie alla velocità spropositata della guida del rosso, arrivammo con un'ora di anticipo rispetto al tempo stabilito da google. Infatti in occasione della pubblicità avevamo viaggiato per due ore e venti, mentre con la Harley Davidson solamente un'ora e mezza. Giunsi in quel piccolo paesino caratteristico con i capelli elettrizzati a causa della paura per l'alta velocità, perlomeno ero ancora viva. 

Parcheggiò proprio di fronte alla spiaggia che sarebbe per sempre rimasta impressa nel mio cuore e, ancor prima di scendere dalla moto, al ricordo di quella notte di Febbraio persi più di un battito. 

«Alla fine mi ci hai riportato sul serio qui

«Alla fine mi ci hai riportato sul serio qui...» notai sbigottita. 

Mi tolsi il casco che indossavo, scesi dalla moto ed iniziai a guardarmi intorno girando su me stessa. Tutto era rimasto come lo avevo lasciato mesi prima: il mare, le case dai tetti aguzzati, il contrasto del panorama tra il verde ed il blu. Era notte, la luce soffusa dei lampioni rese il tutto un po' più romantico. 

«Era una promessa, no?» mi affiancò, strinse la mia mano destra e mi guidò verso la spiaggia, in direzione della nostra barca. 

«Che se avessi dovuto dirmi qualcosa d'importante, bella o brutta, mi avresti portata qui...» rinvangai quel discorso e uno strano senso d'inquietudine mi seccò la bocca. 

«Nel nostro posto speciale», concluse lui per me. 

«Avevi detto di non credere in queste cose».

«Avevo, appunto!» marcò il verbo imperfetto. 

«Cosa vuol dire?» gli chiesi spiegazioni come al mio solito. 

«Grazie a te ho iniziato a credere in molte cose, Miki».

A quella sua affermazione bloccai di colpo la mia camminata, lui fece lo stesso, poi si voltò verso di me e si parò ad un palmo di naso. Nonostante la brezza marina tipica delle ore notturne, mi mancò il respiro... Lo aveva rubato Castiel insieme al mio cuore, maledetto ladro!

«Tipo?» bisbigliai dopo qualche minuto di parole silenziose e sguardi intensi. Non ci eravamo spostati, eravamo ancora faccia contro faccia. 

«In molte cose!» 

Mantenne la sua aria di mistero, senza sforzarsi di spiegare. Non avevo dubbi!

In parte offesa da quella risposta criptica, dando le spalle a Castiel, ripresi a camminare verso la barca. Non aggiunsi altro fin quando, convinta di essere sul punto esatto in cui era depositata due mesi prima, non la trovai. Il destino stava per premunire delle conclusioni tragiche a quella serata e la mancanza della barca sulla spiaggia di Varengeville ne era la testimonianza. 

«Non c'è più», gli feci notare voltandomi verso la sua figura. 

«Impossibile!» si guardò intorno, poi camminò per qualche metro pensando fosse stata spostata o che mi fossi sbagliata io sulla locazione, ma neanche lui la trovò.

«Il proprietario l'avrà spostata o sarà in mare...» sollevai le spalle e poi mi accomodai proprio sulla parte di sabbia in cui, prima di essere tolta, si trovava la barca. 

«Ogni cosa prima o poi svanisce, finisce», bisbigliò tra sé e sé, ma riuscii a sentirlo ugualmente. 

Sapevo stesse facendo riferimento anche ad altro e quella volta non avrei fatto finta di non aver udito, perché quella volta avrebbe dovuto spiegarmi ogni cosa. 

«Cos'hai combinato Cass? Non credi sia arrivata l'ora di raccontarmi tutto?» Quelle domande fuoriuscirono timorose dalla mia bocca.

S'inginocchiò sulla sabbia, poggiò entrambe le mani sulle mie gambe e si avvicinò al mio volto. «Te lo dirò, ma non ora».

«Ho aspettato anche troppo, sono mesi che-»

«Shhh...» mi sfiorò le labbra col dito indice per zittirmi, dovetti socchiudere gli occhi davanti a quel contatto delicato e deglutii. «Concedimi una sola notte. L'ultima notte e poi saprai tutto», posò un delicato bacio all'angolo della bocca e attese una mia risposta. 

Ormai era chiaro avesse fatto qualcosa di grave. Così mi ritrovai in bilico tra il voler conoscere tutta la verità all'istante e l'attendere qualche ora in più per vivermi un'ultima notte Castiel. La mente era offuscata da mille dubbi, mille ansie e tormenti. Cos'avrei dovuto fare?

«Fai l'amore con me», sgranai gli occhi e smisi di respirare. 

La sua richiesta giunse come un sussurro, con il fiato mi solleticò la guancia e mi vestì di brividi. Lo aveva detto sul serio. Aveva utilizzato la parola "amore" per descrivere un ipotetico rapporto tra di noi, non lo aveva mai fatto. 

«Ma tu n-non...»

«Insegnami tu, anche se solo per una notte, infondo l'avevi promesso». 

Nonostante il buio riuscii a leggere speranza in quegli occhi simili al color della nebbia. Giocava scorrettamente, come d'altronde aveva sempre fatto. Suppose che io fossi già innamorata di lui, non lo aveva detto esplicitamente ma s'intuiva ugualmente. 

«M-ma... M-ma io non-» bloccò il mio balbettio con un bacio a stampo.

«Fallo e basta Ariel!» 

E quelle furono le sue ultime parole. 

Mi spinse delicatamente a sdraiarmi sulla sabbia ed io lo feci, non m'importò dei granelli sottili che sarebbero inevitabilmente finiti tra i capelli, non mi fregò di sporcarmi o di essere in mezzo al nulla su una spiaggia pubblica, non m'importò neanche dei segreti, della verità che pendeva sulla mia testa come una ghigliottina. In quel momento esistevamo soltanto noi: io, lui ed i miei sentimenti. 

Perché quella notte avrei sfidato persino l'impossibile pur di trasmettergli tutto l'amore nutrito per lui. Mi avrebbe sentita sin dentro le ossa, grazie all'alchimia dei nostri battiti, dei nostri respiri, dei nostri corpi, avrebbe provato lo stesso mio sentimento.

Era pronto a concedermi il suo amore per una notte ed io me lo sarei preso. Per la prima volta, per un'ultima notte, avrei indossato una calzamaglia nera e avrei rubato il suo cuore. D'altronde lui possedeva il mio da molto tempo, era uno scambio equo il nostro.

-


CASTIEL

"Ed ora... Scaldami con la tua pelle, guariscimi con i tuoi baci. Fammi sentire tutta quella voglia che hai di vivermi, poi cancella l'incertezza e la paura che ho di perderti".

La verità incombeva su di noi, la fine era vicina, per cui tentai di godermi ogni attimo che mi restava. A poche ore dal suo addio volli donarmi completamente a lei. Mi chiese di volare, ci provai ugualmente sebbene non lo sapessi fare. Quella notte mi strinse forte perché non voleva lasciarmi andare. Nascosti da tutto e persino da noi, con i corpi tra la sabbia, la seguii nello splendore della sua purezza. 

Quel vuoto percepito dentro di me non scomparve, anzi addirittura riuscì a danneggiare persino lei... Bella e rovinata. Ero un disastro, dentro e fuori. Era ferita ancor prima d'iniziare, ma non si arrese ugualmente. Mi carezzò con le sue dita affusolate riuscendo a domare la parte buia del mio essere. Poté vedere le fiamme dentro i miei occhi, ero finalmente pronto a sentire il suo amore bruciare intensamente. 

Perché forse potevo essere un bugiardo, ma per quella notte ero pronto ad innamorarmi di lei. Soltanto per una notte, poi l'avrei lasciata andare. E lei me lo concesse... i suoi sentimenti arrivarono dritti sin nello stomaco, nella mia anima. Mi abbandonai completamente a lei nello stesso luogo in cui Miki mi aveva donato la sua purezza. Avevo scelto quel posto simbolico proprio per quel motivo, ma non l'avrebbe mai saputo. Non ero bravo ad esternare le mie emozioni, mentre lei al contrario era esperta nel comprendermi. Sperai immaginasse i miei pensieri anche in quell'occasione. 

Quell'ultima sera lasciai a lei le redini della situazione, riuscì a sedurmi con poco. Mi bastò ammirare il suo busto nudo, scorgere i seni nascosti da ciocche di capelli ramati, per impazzire. Ed eccola lì la mia Sirena, sedeva su di me in tutto il suo splendore. Si prese cura di ogni parte del mio corpo, si preoccupò di spogliarmi completamente prima di lambire ogni angolo di pelle con i suoi baci. La sua bocca carnosa su di me e le mani tra i capelli mi ubriacarono totalmente della sua essenza. Impressi nella mente ogni gesto e movimento, ogni segno particolare del suo corpo, sperando di non dimenticarla mai. 

Lei stessa fece in modo di essere ricordata per sempre, anche con i capelli bianchi e la memoria sbiadita, perché niente e nessuno avrebbe più potuto cancellare quelle sensazioni incredibili. 

Quando entrai dentro di lei capii di non avere più alcuna via di scampo. Ormai ero andato. Kaputt. All'epoca non riuscii ad ammetterlo a me stesso, ma accadde proprio in quell'istante, su quella spiaggia di un paese sperduto della Francia, su quel plaid ricoperto di stelle. Quelle strane ed intense sensazioni percepite al centro del petto e sullo stomaco non potevano essere confuse. Quella ragazzina era riuscita a conquistarmi sul serio, senza pretese e con dolcezza, si era insinuata sotto pelle ed era stata capace di giungere fin dentro le ossa. Fu capace persino di farmi rabbrividire con il suo tocco delicato e quasi impercettibile, mi spaventai di quel potere e di quell'effetto sortito. La sentivo dappertutto, ovunque c'era la sua presenza imponente. 

Peccato però che durò soltanto una notte.

***


MIKI

Dopo gli attimi di passione ci rivestimmo con il sottofondo del mare, c'era solamente quel panorama mozzafiato a farci da cornice. Non era ancora tempo di rientrare a casa, Castiel mi aveva chiesto un'intera notte da passare insieme ed io gliel'avrei concessa, nonostante iniziassi a percepire freddo sulla pelle. Mi fece segno di sdraiarmi sulla sabbia, sopra alla coperta che aveva portato, subito dopo mi raggiunse facendomi da scudo con il suo corpo; si sdraiò sopra di me cercando di non soffocarmi. Mi riscaldai all'istante. Per qualche ora mi lasciai cullare dal suo profumo e dal suo respiro regolare che, da qualche mese, erano diventati il mio odore ed il mio suono preferito. 

Ma, come accadeva spesso tra di noi, anche quel momento di pace terminò con un risveglio brusco.

«Sono stato a letto con Debrah!» sputò quella verità tutta d'un fiato ed io smisi di respirare. 

Risposi con il silenzio, con l'immobilità. Rimasi sotto il peso del suo corpo, sebbene sentissi il bisogno improvviso di scappare lontana da lui. Strinsi gli occhi e sperai, attendendo una sua spiegazione, che non fosse stato insieme a lei proprio nel periodo della nostra frequentazione. 

«Nel bagno del suo locale, prima del concerto, prima che io e te chiarissimo...»

Fu come ricevere una pugnalata, la sua rivelazione mi uccise in un modo crudele: strappandomi il cuore dal petto. Restai inerme, mentre la prima lacrima di una lunga serie mi rigò il volto. Persino quella mi provocò dolore. Quella goccia graffiò la mia guancia, quasi come fosse una lama affilata, mi lasciò il segno. 

I minuti che seguirono la scoperta della verità furono un supplizio, un dolce e mortale supplizio. Quasi come se mi trovassi in una sala cinematografica, mi passò davanti agli occhi ogni nostro attimo di felicità: in bianco e nero, sfumato, sbiadito, annebbiato, sporcato dalle sue bugie. 

Si era arreso a lei proprio quando io stessa avevo ceduto a lui; l'amico tempismo si prese gioco di me per l'ennesima volta. Gli avevo donato parte della mia ingenuità, della mia purezza, solamente pochi giorni prima di quel concerto. All'epoca non eravamo ancora andati fino in fondo, ma era stata pur sempre la mia prima esperienza intima. Non stavamo ancora insieme, ma ci eravamo già scambiati delle promesse velate, ci eravamo perdonati a vicenda, avevamo condiviso dei momenti privati e delicati l'uno al fianco dell'altra. Quando Adelaide si trovava tra la vita e la morte, quando Demon necessitava di contributi economici per guarire, con lui non c'era Debrah; c'ero io. 

Nel pensare a quei particolari, a causa di un impeto di rabbia acuta, mi alzai di scatto spingendo e facendo cadere Castiel sulla sabbia umida. «Perché?» la mia richiesta di spiegazioni fu disperata. Pochi giorni dopo il concerto mi aveva chiesto di provarci, di metterci insieme, non si era sentito neanche un po' sporco? «Cos'è... Hai avuto bisogno di tastare entrambe le mercanzie prima di decidere tra una delle due? O prima di propormi una relazione esclusiva avevi bisogno di rifare un giro sulla giostra dell'adolescenza?»

«No!» urlò e, scattando in piedi anche lui, si posizionò di fronte al mio volto. La tentazione di schiaffeggiarlo e sputarlo fu forte. 

«E allora cosa, Castiel?»

«Volevo che la smettesse di metterti sempre in mezzo». 

«Uhh, che carino... Ti sei sacrificato per me!» risi incredula ed amareggiata.

«Volevo dimostrarle che non eri così importante, l'ho fatto per te, per noi...»

«Che tenero, l'hai fatto per noi... Mi hai preso per una cretina o cosa?! Se non ti fosse piaciuto, se non l'avessi desiderata sul serio, il tuo pisello non si sarebbe mosso. Dì le cose come stanno almeno e falla finita. Stai risultando soltanto ridicolo negando l'evidenza», lo schernii, non m'importò di star utilizzando un linguaggio scurrile che non mi apparteneva. 

Era appena terminata la fase di commiserazione ed iniziata quella di arrabbiatura acuta.

«Mi sono sforzato...» 

Davanti a quella sua risposta stupida mi misi a ridere, non per il divertimento ma per la rabbia. Nonostante fossi scettica nel credere alle sue affermazioni, tralasciai quell'argomento per concentrarmi sui pezzi di quella storia insulsa che continuavano a non essere chiari. 

«E dopo tutti questi tuoi sforzi, pochi giorni dopo, mi chiedi di diventare la tua ragazza? Noi non ci siamo più nascosti, Castiel... Lei ci vedeva baciare o camminare mano nella mano, non credi avrebbe sospettato un minimo dei tuoi sentimenti per me?! Sempre se di sentimenti si può parlare, ovvio. Non mi stai dicendo tutto, è palese. Cos'altro c'è da sapere?»

«Le ho parlato e ha capito, le ho detto che non l'avrei mai potuta dimenticare e...»

«Debrah che si fa ammaliare da due frasi buttate lì, Debrah che comprende la situazione e non tenta di vendicarsi o di riaverti, conosciamo la stessa persona o ne esistono due?»

«Ho sbagliato, okay? L'errore peggiore che potessi fare, ma non si può più tornare indietro ormai... Anzi dovresti essere sollevata che sia stato io a parlartene».

Pretendeva di avere parte di ragione persino in un'occasione di quella portata. Non potevo credere alle mie orecchie.

«In realtà lo stai facendo solamente perché Debrah ha minacciato di raccontarmi tutto», specificai.

«Sì, ma...» lo frenai. 

«Quante volte ci sei stato? Dimmi la verità!»

«Solo quella volta».

«Non ti credo...»

«Perché?»

"Che faccia tosta!" 

«Hai persino il coraggio di chiedermelo?»

«Lo giuro su quello che ho di più caro al mondo, è successo solo quella sera», alzò la voce per poi passarsi le mani tra i capelli. 

Era disperato, frustrato, ma non poteva immaginare quanto lo fossi io: delusa così brutalmente dalla prima ed unica persona che avevo amato. 

«Non so neanche se uno come te sia capace di tenerci realmente a qualcuno, sai solo ferire chi ti sta vicino, altrimenti ci penseresti due volte prima di distruggere...» lo fissai con uno sguardo smarrito e parlai con una nuova consapevolezza, quella della verità. 

Prima di quella sera ogni suo gesto, parola o immagine, veniva visto dalla sottoscritta come una foto scattata e ritoccata di cui non s'intuivano i difetti... eppure erano sempre stati lì, sotto il naso. Ed io li avevo finalmente trovati. Castiel smise di essere affascinante per la sua aria misteriosa, iniziò a provocarmi solamente rabbia. 

«Hai ragione, per la maggior parte delle volte è così, ma ora ti sbagli», lui era convintissimo delle sue insulse affermazioni, ma io non più.

«Illuminami allora».

«Sei tu. Tu sei la persona a cui tengo di più in questo mondo. Quindi vedi che c'è qualcuno di cui m'importa realmente? Non è mia madre, non è Debrah, sei solo tu... E resterai tu, qualunque cosa accada. Non pensavo fosse possibile e invece è successo...» si avvicinò lentamente tentando di sfiorarmi le braccia, ma io mi scostai. 

Non volevo su di me quelle stesse mani che avevano toccato Debrah, non più. Non dopo averlo saputo.

«Continua la frase. Cosa dici ti sia successo Castiel?» gli chiesi con voce flebile. 

Stava per dire quello che immaginavo?

Nonostante volessi mantenere le distanze, nonostante non sapevo se stesse mentendo o meno, ero interessata ad ascoltare quel discorso fino alla fine. Non mi sarebbe più capitata occasione di sentire un Castiel così propenso alle rivelazioni.

«Perché ti sei allontanata?» Spostò l'attenzione su altro.

«Sei un codardo! Non sei capace di terminare un discorso, di ammettere qualcosa...»

«E tu perché ti allontani quando ti tocco? Hai paura di cedere e di doverla smettere con questa farsa dell'essere incazzata con me?»

«Sarebbe una farsa la mia delusione? Stai scherzando, spero. Non solo stai giocando con i miei sentimenti... non ti rendi neanche conto delle assurdità che dici.»

Dopo quelle parole, d'istinto, sfiorai quei ciondoli del bracciale regalatomi per il mio compleanno. Da quel giorno lo avevo custodito gelosamente - come facevo con ogni cosa che mi ricollegava a lui - lo portavo sempre legato al polso, non me ne separavo mai. Il significato di quel bracciale lo ricordavo bene, forse lui un po' meno. Per tutti quei mesi aveva scritto frasi con troppa leggerezza, aveva sussurrato promesse con troppa superficialità, da grande menzognere qual era. Non mi fidavo più di lui, di fronte a quell'evidenza mi sfuggì l'ennesima lacrima di quella sera. 

Era ubriaco di me e di noi, lo diceva continuamente, ma prima o poi la sbornia era destinata ad avere una fine... E la nostra era appena terminata. Restavano da smaltire solamente gli effetti dei postumi, poi sarebbe passato alla successiva bottiglia. Alla successiva ragazza.

«Perdonami...» all'improvviso rientrò a contatto con la realtà, dopo aver abbassato anche lui lo sguardo sul mio bracciale, «sai come sono fatto quando mi si nega qualcosa...»

«In verità non so più nulla», abbassai il volto per non doverlo guardare negli occhi. 

Faceva male osservarlo senza sapere più chi fosse. Era un traditore o una persona leale? Aveva sul serio voluto proteggermi con quel gesto di concedersi alla sua ex? La mente ed il cuore si ritrovarono a combattere per la milionesima volta senza riuscire a proclamare un vincitore. 

«In questo periodo è fuoriuscita la mia parte migliore grazie a te. Io sono quello che tu hai conosciuto Miki», mi sollevò il volto ponendo indice e pollice sotto il mento. Tentò di convincermi, però non sarebbe stato semplice. 

Lo fissai per qualche secondo, ma subito dopo mi allontanai da quel contatto pericoloso. Non dovevo assolutamente permettergli di soggiogarmi. 

«Mi fidavo di te, sul serio. Nonostante la gelosia che ogni tanto fuoriusciva, io mi fidavo... Non dovevi farmi una cosa del genere», scossi la testa ancora incredula. «Sei stato con lei dopo pochi giorni dalla nostra prima esperienza intima. Non avevi ceduto neanche a Dicembre, quando tra noi non c'era niente ed invece lo hai fatto ora. Qual è il senso di tutto questo? Come posso continuare a fidarmi di te?» mi sfogai proseguendo senza guardarlo, puntando lo sguardo nel vuoto. 

«Ciò che provo con te non l'ho mai provato con nessun'altra».

Era un ottimo attore, dovetti ammetterlo. 

«Sì, certo... E magari hai detto le stesse cose anche a lei. Non attacca più con me, Cass!» lo guardai di sbieco senza essere timorosa del suo fascino. «Ora dimmi tutta la verità: perché Debrah non ci ha più disturbati in questi mesi? Cos'è accaduto in quel bagno oltre a quello che mi hai già detto? Voglio saperlo, ne ho il diritto!» incrociai le braccia al petto in attesa di risposta.

«Nulla, sei solo sconvolta per ciò che è accaduto, in più ora fai fatica a fidarti di me e vedi il male in ogni cosa», si giustificò riuscendoci malamente.

«Hai ragione, è soltanto colpa mia. Sono una stupida», dandogli le spalle mi voltai verso il mare. Dietro quella mia ammissione si nascondeva molto di più. «Ora... Ho bisogno di stare un po' per conto mio, non aspettarmi. Torna a casa da solo». 

Quelle semplici frasi racchiusero un significato più profondo, lo capì persino lui, ma non avevo ancora il coraggio e la forza di ammetterlo ad alta voce. 

«Dove vai? Io... Non riesco, non posso tornare a casa da solo», percepii la sua voce rotta, ma probabilmente anche quella fu illusione; non mi voltai. Castiel non piangeva per nessuno.

«Conosci la strada» e m'incamminai per la mia, di strada.

«No... Non andartene, ti prego!» affranto mi afferrò il polso per fermarmi, non mi girai per guardarlo in viso.

«Cosa vuoi ancora?»

«Te!»

«Avresti dovuto pensarci prima, non credi?»

«Ci ho pensato constantemente. Perché pensi che ti abbia scritto o detto tutte quelle cose sul nostro eventuale addio? Sapevo già che mi avresti lasciato una volta conosciuta la verità».

"Parte della verità", avrei voluto aggiungere. Non mi aveva raccontato tutto, era palese. 

«E allora lasciami andare, dovresti essere già preparato».

«Non ci riesco... Ora che sta accadendo realmente, non ci riesco.» 

Avvilito, angosciato, pentito, fuoriuscirono tutti quegli stati d'animo dalla sua voce.

La pelle del mio polso bruciò tra le sue dita, non perché lo stesse stringendo, ma perché sapevo già che quel nostro contatto sarebbe stato l'ultimo. 

«Se mi raccontassi come sono andate realmente le cose, forse...» lo misi alla prova per l'ultima volta, ma fallì miseramente. Era solo un bugiardo, probabilmente persino tutti i piagnistei di quella mezz'ora erano stati finti. Perché davanti a quella richiesta mollò improvvisamente il mio braccio, come se scottasse. «Ecco, come immaginavo», risi tristemente davanti a quella sua replica tacita e scossi il capo ormai totalmente disincantata. «Non seguirmi Castiel. Ciao!» e me ne andai. Quella volta per davvero.

Corsi per tutta la spiaggia perdendomi nel buio, allontanandomi dal male. Avrei tanto voluto sparire per davvero, affogare nell'acqua gelida. Il dolore che percepii al centro del petto era disumano, troppo forte e straziante. Castiel non aveva avuto il coraggio di raccontarmi tutto, pensavo di essere più importante per lui ma, evidentemente, anche quella era stata una mia illusione. Non sapevo cosa mi stesse nascondendo, presto lo avrei scoperto, probabilmente Debrah sarebbe stata lieta d'informarmi. 

Era stato dentro di lei e pochi giorni dopo dentro di me, quella verità mi provocò un forte senso di nausea e disgusto. Il suo non era stato un vero e proprio tradimento visto che all'epoca non stavamo insieme, ma per me lo era ugualmente. Perché gli avevo già concesso me stessa, gli avevo donato il mio cuore e lui lo aveva calpestato invece di custodirlo. Se davvero ci avesse tenuto a me avrebbe trovato una soluzione diversa dal prostituirsi per quella strega che non aspettava altro da mesi. Lui che tanto si professava furbo era cascato nei tranelli di Debrah; voleva dividerci, voleva averlo tutto per sé e finalmente ci era riuscita. Metabolizzando quei dati di fatto esternai parte di dolore percepito fin dentro l'anima e fu inevitabile piangere. 

Giunta alla fine della spiaggia salii su quegli scogli che mesi prima avevo tanto ammirato in lontananza. Mi sedetti sul masso più in alto e abbassai lo sguardo, sotto di me vi era un precipizio. Era realtà e metafora al tempo stesso; in quel momento così delicato mi trovavo proprio sull'orlo di un precipizio. L'amore d'altronde era anche quello: coraggio di cogliere il fiore di un sentimento sul bordo di una voragine. Ed io non sapevo più se fossi abbastanza audace. 

Ci eravamo baciati ed ero caduta sotto il suo incantesimo, mi ero innamorata di lui ed avevo fatto di tutto per guarirlo. Sin dall'inizio della nostra storia avevo mostrato più forza rispetto a lui. Come una palla da demolizione avevo provato a distruggere i suoi muri, quei muri che innalzava da anni con chiunque. Inizialmente aveva posto resistenza anche con me, poi pian piano ero riuscita ad avvicinarmi al suo cuore. Stavo proprio per oltrepassare il muro quando decise di distruggermi senza pietà, senza avvertire, lasciando cadere sul mio corpo le macerie di quei mattoni che io stessa avevo provato ad annientare. Non volevo iniziare una guerra, volevo solamente demolire quella corazza per poter essere felice insieme a lui. E invece avevo finito solamente per lacerare ed incatenare il mio cuore al suo. 

Distruzione, fu tutto quello che riuscii a scorgere intorno e dentro di me. Nient'altro. 

Insieme avevamo volato in alto ma, giunti vicino al sole, mi aveva lasciata bruciare da sola. Mi ero rannicchiata tra le fiamme in attesa di salvezza, invece ero finita per cadere sul terreno seminando cenere; quella della nostra storia. Attesi un suo ritorno, una sua discesa, ma lui non ritornò al suolo. Preferì restare senza di me. Scelse di lasciarmi andare piuttosto che tendermi la mano e svelare ogni bugia. Evidentemente non ero poi così importante per lui come sosteneva.

"Non dire mai che sono stata io ad andarmene, ti vorrò sempre, ma non posso più vivere nelle tue menzogne. Solo quando il battito del cuore supererà le ombre del tuo passato il nostro amore potrà trionfare sul destino".

Ero abituata a rialzarmi a furia di cadere, ma quella volta lo avrei fatto voltando anch'io le spalle.

-


CASTIEL 

Miki aveva ragione, c'era altro da sapere, ma io ero stato troppo codardo per raccontarle ogni cosa dal preambolo. L'avrebbe fatto Debrah, probabilmente il giorno dopo, sarebbe stato meglio così. Preferivo ricordare la ragazza dai capelli ramati con rabbia, amore ed un briciolo di speranza negli occhi, non ero ancora pronto all'odio che inevitabilmente avrebbe nutrito per me una volta conosciuta tutta la verità. Perché non mi avrebbe creduto; avrei potuto giustificarmi fino allo sfinimento, ma non mi avrebbe più neanche considerato. 

E forse era persino giusto così, era giunto il momento di lasciarla andare. Mi preparavo da giorni a quell'evenienza, ma una volta arrivata non ero capace di dirle addio sul serio. I mesi trascorsi insieme a lei li avrei custoditi gelosamente in un cassetto del mio cuore gelido. La parte di muscolo che ormai le apparteneva era viva, rovente, ma ciò non bastava. Perché lei meritava e pretendeva tutto. Avrei dovuto donarle ogni parte di me, non solo uno spicchio, in quei mesi non era stato possibile a causa dei segreti che mi tormentavano. Presto li avrebbe conosciuti, ma una volta libero dalle catene del passato sarebbe stata lei a non volermi più accanto. 

Puttana la vita, mi toglieva sempre tutto l'attimo dopo avermi offerto quel minimo di felicità e stabilità indispensabile per vivere. 

La sua risata, i suoi occhi, il suo ottimismo, la sua intelligenza, il suo corpo, la sua testardaggine, la sua forza, tutto... Mi sarebbe mancato ogni aspetto di lei. Gli occhi erano lo specchio della sua anima: un tunnel buio, ma con una porticina in fondo che dava accesso ad un enorme giardino di fiori colorati tanto simile al parco floreale di Parigi. Proprio perché parecchio simile a lei mi ci trovavo così bene in quel posto. La sua anima era nera a causa del passato ma - grazie ad anni di esperienza, temerarietà e solitudine - aveva imparato a rialzarsi dopo ogni caduta, aveva persino imparato a vedere attraverso il buio. Pian piano e con le proprie forze era giunta davanti a quella porta chiusa, l'aveva spalancata con la sua inesauribile energia e non l'aveva più richiusa. 

Miki era anche pura ed ingenua, aveva concesso persino a me d'entrare dentro il suo cuore. Senza meritarlo avevo accettato quel regalo, ma non ero stato poi così bravo a custodirlo: lo avevo riparato, danneggiato e distrutto subito dopo. Ero un disastro e, nonostante ciò, lei mi aveva reso migliore per quanto era possibile con uno come me.

Ariel: così bella e cocciuta, così minuta e piccola, ma con un grande coraggio dentro di sé. Da quella ragazzina avevo imparato molto, col tempo persino a volerle bene e forse qualcosa di più... peccato però che non l'avrebbe mai saputo.

Da quella notte in poi non sarei mai più ritornato a casa, avevo smarrito la mia strada. Non avrei mai più sorriso, avevo perso la mia felicità. Da quella notte in poi non avrei mai più respirato, avevo perso il mio ossigeno

"Chissà se un giorno, guardando negli occhi di chi ti avrà dopo di me cercherai qualcosa che mi appartiene". 

Io sarei stato incapace di farlo...

Perché da quella notte in poi non avrei mai più amato, avevo perso la mia Ariel.

 

 

 

 

 

 

___________________________________________________________________________________________


😭N.A.😭

💔S.O.S.💔 DOPO QUESTO CAPITOLO HO BISOGNO DI 10 BOMBOLE D'OSSIGENO. HELPATEMI, PLEASE! Ho pianto mentre lo scrivevo, sentivo e sento un'alveare nello stomaco. Quindi spero sia all'altezza, perché sono parecchio instabile emotivamente right now. 

Detto ciò: è giunto il fatidico momento che Castiel temeva da praticamente due mesi. 

CASTIEL HA AMMESSO QUASI (il quasi c'è sempre con lui OBV) ESPLICITAMENTE DI ESSERE INNAMORATO DI MIKI, mi fa così strano dirlo... CASPITERINA.

Miki riuscirà sul serio a camminare per la sua strada?

Cos'altro c'è da sapere su quel fatidico momento magico (si fa per dire) vissuto da Castiel e Debrah?

Lo scopriremo nel prossimo capitolo 😵 (non so come riuscirò a scriverlo, sarà una tortura). 

Ora vi saluto, 

All the love💖

Blue🦋 versione fazzoletto ambulante😭

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** CAPITOLO 49: Impossibile ***


Capitolo 49

Impossibile







🎶Adele - Set Fire to the Rain🎶

🎶James Arthur - Impossible🎶

 

***


MIKI

Un anno prima da quell'accaduto qualcuno mi disse di fare attenzione all'amore. Ed io ci avevo provato, ci avevo provato sul serio, ma avevo finito per innamorarmi proprio di colui che mi suggerì di non farlo. Una contraddizione pericolosa ma attraente che portava il suo nome. "L'amore fa male", diceva. E aveva ragione. 

Lui era forte e con il cuore di ghiaccio; io ero debole e con il cuore ammaccato. Era già destinata a finire male la nostra storia, eppure avevo avuto ugualmente il coraggio di credere in noi. Incurante dei suoi avvertimenti, delle sue parole, avevo dimenticato quanto male potesse fare un cuore calpestato da Castiel Black. Già, lui: la mia illusione, il mio errore, la mia distruzione. 

Quella notte in cui tutto finì non mi rincorse, non m'implorò di non abbandonarlo, se ne andò senza fatica. Dopo qualche minuto dalla nostra separazione udii in lontananza il rombo della Harley Davidson e lo vidi. Lo vidi, sotto la luce fioca dei lampioni, indossare il casco e andarsene senza mai voltarsi indietro. Non si curò di me, non si preoccupò della mia incolumità. Io non avrei mai neanche lontanamente pensato di abbandonarlo in piena notte ed in mezzo al nulla, neanche se me l'avesse chiesto lui stesso, invece Castiel ci era riuscito senza alcuno sforzo. Stava lì la nostra differenza: io lo amavo e avrei fatto qualsiasi cosa per lui, anche calpestare la mia dignità. Invece lui... Non sapevo quali sentimenti nutrisse per me e probabilmente non lo avrei mai scoperto. Mi ero illusa potessi insegnargli ad amare di nuovo, ma era surreale anche solo un'eventuale ipotesiAvevo sperato in qualcosa d'impossibile.

Eppure il mio cuore restò ugualmente innamorato di lui. Quando la mia vita era buia e mi sentivo sfinita era bastato un suo bacio per salvarmi e condannarmi allo stesso tempo. Le mie mani erano forti, ma le ginocchia erano decisamente troppo deboli per stare tra le sue braccia senza cadergli ai piedi. E lo feci, mi abbandonai completamente a lui, strisciai al suo fianco, commettendo l'errore più grave di tutta la mia vita. Perché c'era un lato di lui che non avevo mai compreso e che avevo invece sottovalutato. Tutte le cose che diceva non erano mai vere; ogni gioco fatto, lo aveva sempre vinto. Persino con me ci era riuscito alla fine, aveva vinto e aveva giocato senza che me ne accorgessi. Era un abile giocatore, lo stronzo. 

Avevo provato a dare fuoco alla pioggia per difenderci ma, mentre cadeva, mi bruciai sempre di più... E piansi, piansi perché lei continuava ad urlare il suo nome. Alla fine, dopo averlo reclamato, lo attirò a sé rubandolo per sempre. Provai ad afferrarlo, attirarlo a me, riuscii a sfiorarlo soltanto. Da lì capii che non ci fosse più niente da fare. Avrei voluto urlare, fare qualsiasi cosa per riaverlo indietro, ma ero solamente benzina... E si sapeva: la benzina senza il suo fuoco non era così potente e devastante come tutti narravano. Ero fragile, trasparente. 

Io senza di lui ero niente.

Debrah aveva già vinto e trionfò definitivamente quando abbandonai ogni briciolo di fiducia rimasta in lui. Quando venni a conoscenza di tutta la verità, il mondo mi crollò addosso. Da quella sera avrebbe potuto tenerselo tutto per sé, perché Castiel non sarebbe stato più affar mio. Non era più la mia persona, il mio amore. Era diventato un estraneo. Scivolò dal mio cuore in un attimo; ogni aspetto positivo di noi, di lui, riuscì a sparire in soli pochi minuti di registrazione ricevuti per messaggio. Era giunta la fine: la mia, la sua, la nostra.

-

Due mesi prima


CASTIEL 

Mi trovavo nel bagno del locale appartenente alla famiglia Duval quando Debrah, spregiudicata come poche, pensò bene di raggiungermi per pretendere prestazioni sessuali dal sottoscritto. 

«Cosa vuoi Debrah?»

«Te. Sempre... Lo sai.»

«Tempo scaduto. Hai avuto la tua occasione, ma non l'hai saputa sfruttare. Ora lasciami in pace, abbiamo le prove prima del concerto».

«Lasciami provare su di te, canterò meglio. Come ai vecchi tempi, ricordi? Lo facevamo sempre, proprio qui sopra!» picchiettò le mani sul ripiano in marmo ai lati del lavandino e mi si avvicinò lentamente. 

«Smettila, ho detto no!» iniziai a spazientirmi.

«È per la tua nuova puttanella, è così? Ti piace così tanto? Non posso crederci!» scosse il capo con un'espressione disgustata sul viso. 

«Non inserirla in ogni discorso che facciamo. Sei pesante!» sbuffai sollevando gli occhi al cielo. 

«Rispondi Castiel: Ti piace?»

«Non in quel senso. È una bella ragazza, ma tutto finisce lì». 

Non potevo dirle la verità. Sapevo cosa stavo facendo, credetti di avere tutto sotto controllo. 

«Perché non mi guardi negli occhi quando lo dici?» 

Non la ricordavo così assillante.

«Non sei più nessuno per me. Il fatto che canteremo insieme questa sera non cambia le cose tra noi, quindi non hai il diritto di chiedermi un bel niente!» 

«Non ti credo».

«Non m'importa, dormirò lo stesso stanotte!»

Fu in quel preciso istante che avviò la registrazione, non me ne accorsi. Mise le mani nella tasca posteriore della gonna striminzita e premette quel maledetto tasto del suo cellulare. Quel semplice gesto avrebbe trascinato la mia vita nuovamente alla deriva, ma io all'epoca non ne avevo ancora idea. 

«Cos'è lei per te? Rispondi!» alzò la voce. Non la sopportavo quando iniziava a fare la melodrammatica.

«Niente. Lei non è un cazzo di niente per me, così come non lo sei tu. Nessuno ha più potere su di me, nessuno può condizionarmi e nessuno deve permettersi di avere pretese su di me. Voglio stare solo. Non ho più un cuore, non ho più nulla da dare. A causa tua non sarò mai capace di voltare pagina: o con te o con nessuno, ricordi? Sei soddisfatta ora che conosci la verità?» dissi quelle parole urlando furioso e senza trattenermi. 

Ero ancora furioso con Miki, mi aveva abbandonato senza battere ciglio. Non ci aveva riflettuto due volte prima di fuggire dopo aver scoperto che Ambra fosse incinta, non aveva mantenuto la promessa di starmi accanto nei momenti di bisogno. Perché tutti se ne andavano prima o poi, tutti erano dei bugiardi, ogni cosa finiva e lei non era diversa dalle altre. Dovevo farmene una ragione. 

«Non sono ancora pienamente soddisfatta», con lo sguardo languido si leccò il labbro inferiore. 

La sua dote naturale di sensualità non aveva più alcun effetto su di me, ma lei continuava a non capirlo. 

«Cosa vuoi?» 

«Voglio te. Te l'ho già detto!» si avvicinò accarezzandomi il dorso. 

«Non chiedermelo così...» d'istinto mi si appesantì il respiro decretando un ribaltamento di situazione. Mi stavo eccitando con così poco?

«E come allora?» mi guardò da sotto le ciglia lunghe «O con me o con nessuno?! Mostrami che è realmente così! Dimostrami che lei non è nessuno per te», con la sicurezza che le era sempre appartenuta prese ad accarezzarmi la bocca, non riuscii a scostarmi. 

«E poi mi lascerai in pace?»

«Devi essere convincente prima», parlò a rallentatore ad un centimetro dalla mia bocca, seducente più che mai.

«Lo sono sempre stato», risposi a fatica.

«Voglio di più!»

«In che senso?»

«Qualcosa che coinvolga anche lei, qualcosa che possano vedere tutti, qualcosa che la faccia soffrire...» accennò un sorriso malvagio. 

«Perché vuoi che la ferisca?»

«Perché se t'importasse davvero di lei non lo faresti... Ti conosco. Quindi, questo è l'unico modo che hai a disposizione per dimostrarmi la verità: ci tieni o no a lei? Se troverai un piano convincente lascerò stare entrambi. Niente più ricatti, nessun tranello...»

«Dov'è la fregatura? Cosa ci guadagni tu?»

«Fare soffrire Micaela Rossi è un premio già abbastanza consolatorio. Ha osato mettere le mani su qualcosa di mio, ha osato sfidarmi ed è giusto che ne paghi le conseguenze». 

E a quel punto risi, risi insieme a lei. Una mossa sbagliatissima perché avrei dovuto difendere Miki, ma non potevo far saltare in aria tutto il piano. La libertà era un premio troppo prezioso, non era il caso rischiare di perderlo per così poco. Se non avessi agito non sarei mai stato sprigionato da quella ragazza pazza, mi avrebbe perseguitato fino alla morte ed io iniziavo ad essere esausto dei suoi giochetti. 

«Allora senti questa: inizierò una relazione esclusiva con lei, la farò innamorare di me e sul più bello la lascerò dicendole di non esser ancora riuscito a dimenticare te. È abbastanza convincente questo per te?»

Fui esagerato nel proporle un piano di quella portata, ma la mia testa era annebbiata e non riuscii ad immaginare niente di meglio in quell'istante.

«Hai il coraggio di farlo sul serio?» rise diabolicamente, già pronta a godersi lo spettacolo. 

«Certamente! Lei non è niente per me».

Più lo ripetevo e più cercavo di auto convincermi che fosse realmente così.

«D'accordo, affare fatto!» mi strinse la mano, senza rifletterci ulteriormente e mi attirò a sé, il seno urtò contro il mio petto. «E adesso dimostrami quanto sei migliorato in anni di pratiche sessuali... Ho sentito parlare molto bene di questo», portò le mani sulla patta dei jeans e strinse proprio su quel punto, ansimando. «Pare sia cresciuto in questi anni, è così?»

Per un attimo strinsi gli occhi, inspirai ed espirai. Dovevo farlo per Miki, dovevo farlo per me, per non essere più assillato e ricattato da quella donna malata, mi ripetei nella mente. 

Riaprii gli occhi più determinato che mai: «Inizia ad urlare!»


***


MIKI

Non gli era bastato il tradimento fisico, no. I gesti, i fatti non erano stati sufficienti, doveva uccidere anche con le parole per appagarsi. Grazie a quella registrazione compresi un bel po' di aspetti, ad esempio il motivo per il quale Castiel mi avesse chiesto così improvvisamente d'iniziare una relazione con lui. Per gioco, per dimostrare di non tenerci a me. 

Tradita dentro e fuori, fu così che mi sentii. Nella fiducia, nella dignità, nel corpo, nell'anima. "Lei non è niente per me", Castiel ripeté più volte in quella registrazione, ma come potevo credergli? Come potevo anche solo ipotizzare che mi avesse mentito per tutti quei mesi? Ero stata sul serio soltanto un gioco, una prova per dimostrare qualcosa alla sua ex ragazza? Perché era stato così crudele? Le loro parole fecero male, mi entrarono fin dentro le ossa condannandomi all'immobilità temporanea. Recepii ogni sillaba come un proiettile, alla fine ci erano riusciti ad uccidermi. Il rosso ancora una volta aveva giocato sporco, ancora una volta aveva lasciato prevalere i demoni, la parte buia della sua anima. Ancora una volta, per l'ultima volta, si approfittò dei miei sentimenti, della mia fragilità senza averne il diritto. Io non meritavo quel dolore. Avevo giustificato già sin troppe volte i suoi comportamenti, gli avevo concesso il mio aiuto senza che ne fosse degno, avevo calpestato me stessa ed i miei valori per lui. Non l'avrei più fatto, non avrei mai più commesso errori, non avrei mai più donato me stessa a qualcun altro. Non avrei mai potuto perdonare Castiel Black per quel colpo così basso. 

Nonostante ciò, il tempo trascorso insieme a lui sarebbe rimasto indelebile nei ricordi e non mi sarei mai pentita di avergli concesso il mio cuore. Nell'arco di due mesi il mio cuore si era nuovamente spezzato, ma grazie a lui ero stata felice per la prima volta in tutta la mia vita e per quel motivo non avrei mai smesso di ringraziarlo. 

Ogni cicatrice era di nuovo aperta, spalancata e pronta a ricevere nuove ferite. Eppure non potevo lamentarmi, sapevo bene che prima o poi sarebbe arrivato quel momento, sapevo bene che quello fosse il prezzo da pagare per aver remato contro all'impossibile. Dovevo immaginare che sarebbe andata così. Ero stata una stupida ragazzina, mi ero illusa dell'inverosimile possibilità che lui potesse realmente affezionarsi a me, sbagliandomi totalmente. 

Impossibile: io e lui insieme lo eravamo; la nostra storia lo era; che lui mi amasse lo era. Avevo creduto nelle favole, nei romanzi, in quelle storie dove il cattivo ragazzo s'innamorava sempre della protagonista ingenua. Avevo sbagliato per l'ennesima volta, ma quella volta sarebbe stata l'ultima; lo giurai a me stessa. 

 

A: Debrah

 Adesso puoi urlarlo al mondo: Castiel è tuo. Hai vinto! Sei stata perennemente in vantaggio e l'hai sempre saputo. Abbi cura di lui. Non tradirlo ma amalo, perché lui probabilmente ti ama ancora con tutto il cuore.

 

Cinque mesi di battaglia con quella ragazza, di cui solo due in vantaggio. Come uniforme avevo indossato promesse vuote: le false promesse di Castiel, della vincita. Ero scesa in campo passando momentaneamente in vantaggio, pensando per un attimo da totale stupida di poter addirittura vincere, ma a fine partita mi ritrovai ad avere nient'altro che cuore e fiducia spezzati. Avevo perso. Ero stata soggiogata da quei due calcolatori e l'unica scelta restava di accettare i risultati, senza proteste.  

E così feci. Piansi durante le due ore di viaggio in taxi che mi portò nuovamente a Parigi, a casa. Piansi durante la notte e la settimana seguente. Non andai a scuola inventandomi un'influenza ed un virus intestinale. Neanche zia Kate sospettò delle mie bugie, nessuno seppe la verità per un'intera settimana. Rosalya e Ciak insistettero per venire a trovarmi, ma liquidai entrambi dicendo loro di essere contagiosa. Non ebbi il coraggio di raccontare la verità perché altrimenti, se lo avessi detto ad alta voce, tutto sarebbe divenuto reale. Fino a quel momento ogni cosa era rimasta nella mia testa, pareva quasi la proiezione di uno dei miei film mentali immaginari. 

La negazione; su uno di quei giornalini settimanali per adolescenti avevo letto che quella fosse la prima fase tipica da attraversare dopo un tradimento o la fine di una relazione. Ed io l'avevo attraversata chiudendo fuori il mondo dalla mia stanza. Non volli né vedere e né sentire nessuno, io e la solitudine stavamo così bene insieme...

Ad una settimana esatta dall'accaduto, trovai il coraggio di guardarmi allo specchio: un aspetto orribile, gli occhi arrossati e gonfi, furono i risultati dopo quei giorni passati in isolamento e totale distacco dal mondo; ben mi stava. 

«Mi hai preso per scema?» il pomeriggio quelle furono le prime parole di Rosalya dopo aver fatto irruzione nella mia camera buia spalancando la porta. Non si preoccupò neanche di salutarmi. 

Si guardò intorno e corse alla finestra per aprire la saracinesca e far entrare un po' di luce, ma la bloccai con un urlo prima di farglielo fare. Non ero ancora pronta per rivedere la sua scrittura spiaccicata su quel vetro, lì per prendersi gioco di me. Da una settimana non avevo avuto il coraggio di scostare le tende e spesso tenevo le persiane abbassate. La luce mi dava fastidio, scorgere il colore rosso dell'inchiostro su quel vetro ancor di più. Con immensa fatica le sollevavo solamente di notte permettendo, così, ai lampioni situati in strada di filtrare la luce nella mia stanza. Per molti poteva essere considerato stupido, ma avevo paura del buio e necessitavo di un filo di luce per addormentarmi. L'inchiostro rosso in quei casi era invisibile, quindi mi andava benissimo come sistemazione notturna. Nessun ricordo, nessuna paura.

«Vuoi dirmi cosa sta succedendo? Tu non sei malata!» notò la mia amica, accomodandosi sul mio letto e accendendo la piccola abat-jour sul comodino. 

«Sono malatissima, altro che no...» tossii più forte che potevo e quasi mi affogai con la mia stessa saliva. «Lasciami riposare», mi voltai dall'altro lato del letto dando le spalle a Rose. 

«Quindi non stai vedendo neanche Castiel in questi giorni?»

Il suo nome. Quel nome che da esattamente sette giorni avevo cercato di non pronunciare ad alta voce. Evitavo persino di pensare al suo tradimento, alla verità, a quelle voci e quegli ansimi che misero fine alla registrazione ricevuta per messaggio. E quel nome pronunciato ingenuamente da Rosalya fu come un lampo a ciel sereno. Mi riportò alla realtà, sulla terra ferma, davanti a quella evidenza che avevo negato per forse troppi giorni. Castiel mi aveva tradita, si era messo insieme a me per gioco, aveva stipulato un patto con Debrah. Doveva farmi innamorare e lasciare subito dopo, per dimostrarle che io ero il niente per lui. Ma evidentemente qualcosa era andato per il verso sbagliato, non sapevo ancora cosa e non avevo intenzione di scoprirlo. Era stata Debrah ad innescare la bomba, a sollecitare Castiel di raccontarmi la verità e non riuscivo a comprenderne il senso o forse ero troppo accecata per capirlo. Probabilmente aveva anticipato i fatti perché lo rivoleva tutto per sé. Semplice e coinciso, il messaggio. Niente di complicato. 

«Terra chiama Miki», Rose mi saltò letteralmente addosso agitando una mano di fronte al volto per risvegliarmi dallo stato di trance. Ma io non ne volli a che sapere. «Castiel mi ha chiesto di te, di dove fossi», dopo qualche minuto riuscì finalmente ad attirare la mia attenzione. 

Mi alzai di scatto lasciando cadere Rosalya sul materasso, dovette reggersi dalla trapunta per non cadere faccia sul pavimento. Quella scena accompagnata dall'espressione del suo volto mi fece sorridere. Il primo sorriso dopo sette giorni. 

«Lui n-on...» e scoppiai a piangere subito dopo, senza riuscire ad aggiungere altro. 

Da perfetta instabile mentale, un secondo prima ridevo e quello dopo piangevo, ormai ero da rinchiudere in un manicomio. Ma rividi il nostro ritratto, rilessi quelle parole indelebili scritte sulla finestra, percepii il suo profumo nell'aria e fu inevitabile ricordarlo. Era stato nella mia stanza sin troppe volte per riuscire a scacciare il suo odore, la sua presenza e, in realtà, non sapevo neanche se volessi sopprimerlo. Non avevo avuto abbastanza forza nemmeno per cambiare le lenzuola del letto, erano rimaste le stesse dall'ultima volta in cui eravamo stati insieme lì sopra. Quello era un modo per tenerlo ancora un po' con me, per immaginare una verità diversa e migliore. Durante quei giorni vissuti in isolamento, più volte avevo stretto tra le mie braccia il cuscino, avevo chiuso gli occhi ed immaginato Castiel tra le mie braccia, nel mio letto. Sapevo fosse sbagliato, da suicida, ma soltanto lui avrebbe potuto colmare il vuoto ed il dolore percepito al centro del petto. Soltanto lui avrebbe potuto riaccendermi, perché senza di lui ero spenta ed inutile. Ma lui, il fuoco, si era fatto tentare da lei, l'acqua, e mi aveva abbandonata... Eppure tutto continuava ad essere impossibile nella mia testa. Il Castiel conosciuto durante quei due mesi mi era parso così vero, così genuino e felice, da non riuscire neanche lontanamente a pensare che la nostra storia fosse stata tutta finzione. Lo leggevo nei suoi occhi, lo percepivo sulla pelle: noi non eravamo finzione. Eravamo veri o era stata solo una mia illusione?

«Ehi», Rosalya mi stava abbracciando da chissà quanti minuti ed io me ne accorsi solamente quando parlò vicino al mio orecchio. «Non devi raccontarmi per forza tutto adesso, abbiamo tempo. Durante i vostri primi giorni di assenza, avevamo pensato che tu e Castiel foste partiti per una vacanza romantica segreta. Poi... Quando lui è tornato senza di te, riapparendo come il rompipalle di mesi fa, abbiamo capito ci fosse qualcosa che non andava. E abbiamo avuto la conferma oggi, che mi ha chiesto di te. Era preoccupato e non aveva tue notizie da esattamente una settimana», mi raccontò.  

«Non è così, non ha neanche provato a chiamarmi...»

Ed era vero. Da giorni vivevo a metà, guardavo continuamente il cellulare in attesa di una sua chiamata o messaggio, ma niente. Da una parte avrei voluto che s'interessasse a me, dall'altra avrei voluto che mi lasciasse in pace. Ero combattuta, sebbene lui aveva già deciso per entrambi: non ero degna neanche di una sua chiamata. A volte mi svegliavo vicino alla porta, in attesa di riavere indietro il cuore che mi aveva rubato, in attesa di lui. E lo cercavo, lo cercavo continuamente malgrado avessi già capito che tra noi era finita. Guardavo la finestra della mia stanza con la speranza di veder spuntare una chioma color cremisi da essa prima o poi, ma non era successo. Castiel non mi pensava, non aveva avuto problemi del mio stesso genere. Durante i giorni di assenza a scuola quasi sicuramente era stato impegnato con Debrah, se l'era spassata con lei. E sinceramente era incomprensibile quel suo chiedere di me dopo il periodo di menefreghismo acuto. Erano forse stati i sensi di colpa a lacerarlo? Non me ne facevo niente di quelli. Avevo bisogno di certezze, amore, lealtà e lui non era così generoso da offrirli a chiunque. 

Da piccola credevo nella magia; da grande avevo smesso di farlo, ma avevo iniziato a credere in qualcosa di ancora più astratto: l'impossibile. Decisamente peggiore. Porre tutta la propria fiducia in un solo essere umano era da pazzi, io lo ero stata. E ne stavo subendo le conseguenze. Avevo creduto in lui che, come un illusionista, m'invaghì delle sue bugie per poi sparire nel buio della notte senza nessuna giustificazione. Aveva dato per scontato che non volessi ascoltare le sue giustificazioni, ma si sbagliava. Avrei preferito delle parole al silenzio, anche scuse sciocche sarebbero state migliori del mutismo che invece si ostinava a mantenere. Non sopportavo l'oblio: quella sensazione di sentirsi vuota, a metà tra il credere una cosa e pensarne un'altra, ma era proprio quello lo stato in cui mi trovavo. 

Alla fine trovai il coraggio di raccontare a Rosalya tutti gli avvenimenti accaduti, tutte le scoperte fatte e lei di risposta divenne una statua di sale.

«Non posso crederci...» fu il suo primo commento accompagnato dallo stupore nel suo sguardo. «Dev'esserci una spiegazione a tutto questo. Dev'esserci per forza...» 

Si prese qualche attimo di tempo per metabolizzare i fatti ascoltati, subito dopo mi abbracciò. Ed io mi lasciai cullare dalle braccia esili dell'unica amica realmente sincera che mi era rimasta accanto senza pretendere alcun tornaconto personale. Rosalya era speciale.


***


CASTIEL

Quando quella notte Debrah ricevette il messaggio da parte di Miki c'ero anch'io con lei. Prima di ripartire da Varengeville-sur-mer le avevo chiesto d'inviare la fatidica registrazione a Miki senza farla attendere ulteriormente e, al mio rientro, trovai la ragazza dagli occhi di ghiaccio ad aspettarmi sulla veranda di casa mia. Era giusto far conoscere subito a Miki la verità che io stesso a voce non avevo avuto il coraggio di raccontarle. Debrah ovviamente non ci aveva pensato due volte prima di farlo.

Miki mi aveva lasciato andare definitivamente, le dichiarava il via libera. Un senso d'inquietudine mi assalì lo stomaco, non ero pronto a separarmi da lei, non lo sarei mai stato. 

Approfittai della visita in bagno di quella strega per recuperare il suo cellulare dalla borsa e rispondere a quel messaggio al suo posto, per poi cancellare le prove. 

 

A: Miki 

Da: Debrah

Non è così. Lui probabilmente è innamorato, ma non di me.

 

***

Miki non era stata un gioco. Non lo era mai stata. Sin da quando il vento le sferzò i capelli ramati sul viso, sin da quando i suoi occhi scuri invasero i miei sogni ed i miei incubi, sin da quando il rosa delle sue labbra carnose mi fece impazzire, sapevo di esser spacciato. La mia sirena. Quanto era bella Ariel, talmente tanto perfetta da non sembrare neanche reale. Ma lo sentivo, lo percepivo... lei era vera a tal punto da farmi tremare quando mi era vicina. Soltanto per lei. Aveva risvegliato la parte docile del mio essere insieme ad una speranza che non sapevo neanche esistesse. Possedevo ancora un cuore, ma non batteva sempre. Palpitava solamente in sua presenza e da quando se n'era andata si era ghiacciato di nuovo; da quel giorno respiravo a fatica, sopravvivevo senza vivere realmente. Incredibile ma vero, era accaduto proprio a me.

E non potevo dare la colpa a nessun altro se non a me stesso per quel ribaltamento di situazione. Era scappata perché ero un disastro, ero capace solamente di ferire chiunque mi stesse accanto. Non avevo riflettuto a sufficienza prima di cedere alla mia ex, non mi ero dimostrato abbastanza determinato da resistere ai suoi ricatti. Avevo scelto la via più semplice per risolvere i problemi, perdendo di conseguenza ciò che di più caro avevo. Ogni cosa ha il suo prezzo ed io avevo pagato il mio. 

I primi giorni senza Miki furono vuoti, opprimenti, devastanti. Non ebbi neanche il coraggio di tornare a scuola, non ero ancora pronto per incontrarla. Se l'avessi fatto avrei avuto l'istinto di correre e stringerla tra le braccia, ma non sarebbe stato rispettoso nei suoi confronti, quindi optai per restare rintanato a casa in compagnia di Demon, uno spartito e la mia chitarra. In quei tre giorni scrissi parecchio, proprio io - che mi ero posto il divieto di scrivere canzoni per qualsiasi donna - alla fine dovetti fare un'eccezione per lei... La mia eccezione. 

Il cellulare era perennemente al mio fianco; lo afferrai innumerevoli volte pronto per comporre il suo numero e chiamarla o inviarle un messaggio, ma alla fine non riuscii a farlo. Non ero preparato per quel genere di occasioni, non sapevo come ci si dovesse comportare, quale fosse il giusto modo per chiedere scusa. Sperai che un giorno potesse perdonarmi. 

Il quarto giorno mi presentai fuori scuola, motivato più che mai a prendere parte alle lezioni, ma alla fine non ebbi il coraggio di entrare. Scappai a tutto gas appena intravidi il gruppetto di persone che solitamente frequentava Miki. Ero diventato un rincitrullito. Non potevo farmi condizionare la vita da una donna, non era da me, eppure era quello che stava accadendo. La ragazza dai capelli ramati si era impossessata della mia anima, del mio respiro, del mio corpo, di tutta la mia vita. Era ingorda, la stronza. 

Il quinto giorno finalmente, in nome del vecchio Castiel Black, riuscii a mettere piede nel Dolce Amoris. Non potevo farmi intimidire da una ragazzina. L'avrei evitata senza rivolgerle la parola, un tempo ero parecchio bravo in quel gioco, non era impossibile. Perché a distanza di mesi era diventato tutto così complicato? Perché proprio lei era dovuta diventare il centro del mio mondo? Non potevo accettarlo, non se volevo continuare a vivere dignitosamente. Avevo sempre criticato i babbei totalmente dipendenti da una donna ed io non potevo di certo diventare uno di loro. Dovevo smetterla. Ma bastò uno sguardo di troppo in direzione del suo banco per capire che lei non ci fosse, fu sufficiente una domanda della professoressa di lettere indirizzata a Rosalya per allarmarmi: Miki era malata, era vero? Da quanti giorni non frequentava le lezioni? Fu in quell'occasione che misi da parte l'orgoglio e mi precipitai dalla sua amica per saperne di più. 

Da quel giorno in poi, ogni notte, salii di nascosto sul piccolo balcone che dava accesso alla sua camera per assicurarmi che stesse bene. Aveva paura del buio, per quel motivo e per mia fortuna, non chiudeva mai le saracinesche. Il letto era poco distante dalla finestra, per cui riuscii a intravedere la sua figura nonostante il buio. Era inquieta mentre dormiva, cambiava posizione almeno cento volte a notte. Sapevo di essere un trasgressore della legge, di poter apparire come un criminale o addirittura un maniaco agli occhi di molti, ma dovevo vederla. Necessitavo della mia dose quotidiana di Micaela Rossi per essere in grado di sopravvivere. Non respiravamo la stessa aria da troppi giorni, non mi sarei mai potuto abituare al suo addio, proprio noi che avevamo condiviso tutto. Sapevo di risultare contraddittorio, un giorno prima mi assentavo da scuola per non correre il rischio d'incontrarla e l'attimo dopo mi trovavo sul balcone della sua stanza per avere la possibilità di ammirarla da lontano. 

Sapevo fosse distrutta, sapevo stesse trascorrendo dei giorni orribili a causa mia. Non era malata, non aveva alcun virus o influenza, perché il suo male era interno, invisibile, non poteva esser visto ad occhio nudo. Le fui accanto celatamente, nell'unico modo che mi era possibile, perché volevo dividesse con me il peso della sua sofferenza. Avrei tanto voluto abbracciarla, sdraiarmi al suo fianco e respirare l'odore di vaniglia dei suoi capelli, ma non potevo. Se avesse saputo dove mi trovassi sicuramente mi avrebbe mandato via, ed io non volevo correre quel rischio. Stavo così bene a guardarla in silenzio. 

Chissà se percepiva la mia presenza come io percepivo ovunque la sua. Chissà se era rimasto il mio odore sul suo cuscino, chissà se abbracciava quel masso di piume immaginando me; io lo facevo. Chissà se, guardando i luoghi in cui eravamo stati insieme, mi avrebbe ricordato. Io l'avrei fatto. Per tutta la vita. 

In casa mia non respiravo a causa dei ricordi: il divano, il letto, la cucina, il tetto. Qualunque cosa mi ricordava lei, ovunque mi trovassi, mi sembrava ancora di sentirla mugolare il mio nome. Soffocavo stando chiuso in quelle quattro mura, rischiavo perennemente di esser sepolto tra le reminiscenze della nostra storia e non dormivo da chissà quante notti, per cui preferii stare accanto a Miki di nascosto, a sua insaputa. 

Dopo dieci giorni di assenza ritornò a scuola. Quando la vidi restai pietrificato, sorpreso. Non sapevo che sarebbe ritornata proprio quella mattina. Era così diverso osservarla da sveglia, viva e alla luce del sole, tanto che la trovai ancora più bella, nonostante le occhiaie e lo sguardo spento. Le mancavano il sorriso e la felicità. Quella serenità che leggevo perennemente nei suoi occhi quando stavo al suo fianco era sparita. Era apatica, spenta, senza alcuna voglia di vivere, senza sentimenti. Quasi come un robot girovagò per i corridoi del Dolce Amoris fino al suo armadietto. Non si guardò intorno, non mi cercò tra la folla. Perché? Perché io non riuscivo a fare lo stesso? Era stata tutta colpa mia, ormai mi odiava, non avrei neanche dovuto pormi domande di quel genere. Mi maledissi un'infinità di volte per quella situazione, per aver contribuito a distruggere quella ragazza così forte. 

-


MIKI

Il mio cuore riprese a battere nell'esatto momento in cui misi piede nel Dolce Amoris. Fu in quell'occasione che ebbi la prova di essere ancora viva. Le mani tremanti, il cuore in gola, i brividi sulla pelle, furono i tipici segnali di pericolo che mi fecero fremere come non mi accadeva da dieci giorni. 

Perché lui era lì. 

Gli occhi grigi tanto agognati e temuti erano proprio davanti a me. Ci guardammo intensamente, separati solamente da studenti intenti a correre nelle loro rispettive classi e ignari della lotta che stava avvenendo tra di noi. Lo fissai con rabbia, delusione, smarrimento e amore. Già, quello purtroppo ancora non ero riuscita a mandarlo via. Castiel era scivolato dal mio cuore, malgrado ciò il mio amore persisteva, era duraturo e difficile da scacciare. Avrei tanto voluto esser capace di fare una magia per guarire da quel veleno così potente, ma non esisteva niente. Nessuna cura, nessuna difesa, nessun antidoto. Contro di lui ero indifesa e nuda, mi avrebbe posseduta per sempre senza neppure esserci fisicamente.

"Perché mi hai fatto questo? Perché mi odi così tanto da volermi uccidere? Perché dici che non sono niente per te, ma ho la percezione che non sia vero? Perché temi così tanto il giudizio di Debrah? Perché non riesci a staccarti da lei? La ami ancora?", gli chiesi in silenzio sperando capisse da solo di dovermi delle risposte. 

Ricambiò lo sguardo, mi fissò in modo diverso. Afflitto ed indeciso sul da farsi: il suo cuore gli suggerì di venirmi a parlare e magari addirittura di abbracciarmi, mentre la sua mente gli rammentò che i tipi duri come lui non chiedevano mai scusa. Avvenne una lotta dentro di lui, in quei pochi secondi di connessione tra i nostri sguardi, ma lasciò vincere l'orgoglio. 

I suoi occhi però non furono d'accordo. Fissò con cura ogni angolo del mio corpo per imprimermi tra i suoi ricordi ed io mi sentii trafitta, fragile, spogliata dai vestiti e dalle emozioni che soltanto lui era stato capace di donarmi. Quella connessione fu breve, mi abbandonò entrando in classe da gran vigliacco qual era sempre stato. Non si smentiva mai, non aveva avuto il coraggio di essere sincero fino in fondo, di spiegarsi. Ma evidentemente non c'era nient'altro da spiegare, aveva già detto tutto in quella registrazione. Ero il niente per lui.

Mi lasciò andare.

Percepivo ancora le sue mani sfiorarmi il corpo, i suoi occhi bruciarmi la pelle ma, così come faceva il sole in un tramonto, non mi scaldò più. Come il rosso che pian piano svaniva dal cielo, non mi appartenne più. Svanì in un istante e con lui, in un secondo, anche il mondo. 

Restai sola precipitando nel buio. Trasparente

 

 

 

 

 

 

 

_________________________________________________________________________________________

🌈N.A.🌈

Hello, come sempre pubblico in ritardo di qualche giorno. 

Oggi sarò breve perché sono triste, quindi vi lascio subito in pace. 

Questa parte di storia mi sta davvero portando via vent'anni di vita, non scherzo. So che apparentemente non accade quasi nulla in questo capitolo, ma avevo bisogno di farne uno così dove prevalgono i pensieri ed i sentimenti invece dei dialoghi e fatti. Spero di non avervi annoiati e confuso più del necessario. 

Vi aspettavate quella conversazione tra Castiel e Debrah? E le parole di Castiel? Perché teme così tanto la sua ex? 

Perché è stata proprio Debrah ad interrompere il "gioco" della relazione tra i Mikistiel?

Domande finite... Vi saluto

All the love💖

Blue🦋 

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** CAPITOLO 50: Il concerto di fine anno ***


*Prima di proseguire con il capitolo volevo scusarmi con tutto il popolo di EFP se sono sparita per tutto questo tempo. Purtroppo, oltre a tutto quello che potrete leggere (se vi va) nelle note autrice, ho avuto problemi con il PC per cui ho potuto scrivere solamente dal cellulare e pubblicare su Wattpad. Ho cercato più di una volta ad entrare per pubblicare anche qui dallo smartphone, ma non ci sono mai riuscita. Perdonatemi. La cosa positiva è che sono già pronti altri due capitoli che pubblicherò nei prossimi giorni, che spero abbiate ancora voglia di leggere. Grazie e scusatemi ancora.* 

 

Capitolo 50

Il concerto di fine anno






🎶Ed Sheeran - Photograph🎶

"Amare può far male, amare può ferirti a volte.

Teniamo questo amore in una fotografia
Dove i nostri occhi non si chiuderanno mai,
Dove i nostri cuori non sono mai stati spezzati
E il tempo è perennemente congelato.

Così puoi tenermi
All'interno della tasca dei jeans strappati
Tenendomi vicino fino a quando i nostri occhi non si rincontreranno.
Non sarai mai sola, aspetta che io ritorni a casa

Quando sono lontano, mi ricorderò come mi hai baciato.

E tienimi all'interno della collana che hai comprato quando avevi sedici anni
Accanto al battito del tuo cuore, dove dovrei essere,
Conservala nel profondo della tua anima.

All'interno di queste pagine semplicemente tienimi
E non ti lascerò mai andare...

Aspetta che io torna a casa!"

***

Era finalmente giunto il grande giorno: il concerto di fine anno. Quella sera ci sarebbe stato lo spettacolo del club di musica e quindi anche la mia esibizione. Avrei cantato da sola davanti a tutta la scuola e ad altre centinaia di persone provenienti da chissà dove. La preside, durante tutto il mese precedente, ci aveva incitati a spargere voce su quella serata speciale; i suoi collaboratori ci avevano consegnato dei volantini da distribuire e affiggere per tutta la città. 

Così accadde. 

Per il concerto era prevista la presenza di mille persone.
Mille meno uno: Castiel. 
La sua band si sarebbe dovuta esibire come ospite d'onore, ma ci sarebbero stati tutti tranne lui. 

C'era chi diceva avesse lasciato la città temporaneamente, chi diceva avesse deciso di diplomarsi privatamente. Se ne dicevano molte di cose sul suo conto, ma non c'era nulla di certo. Non indagai, non chiesi niente a sua madre né lei mi disse qualcosa in più. Lysandre aveva cercato più volte di parlarmi di lui, ma trovai sempre il modo per evadere da quei discorsi dolorosi. Persino sul volto sempre pacato del poeta intravedevo un briciolo di delusione quando si faceva riferimento al rosso; evidentemente non approvava la sua decisione, qualunque essa fosse stata. Castiel era sparito nel nulla, come se la sua presenza a Parigi e la frequenza al Dolce Amoris fossero solo una leggenda fittizia. 

Come se avessi immaginato le sue mani sul mio corpo, le sue frasi, il suo profumo, le infinite emozioni che solo la sua presenza mi provocava. Come se non fosse mai esistito nulla tra di noi, come se avessi sognato e la mia mente avesse immaginato la sua persona. Persino il mio amore era sparito, si era assopito insieme alle ferite che la sua assenza mi aveva suscitato inizialmente. Ormai non provavo neanche quello: il dolore. Avevo imparato a conviverci quotidianamente, tanto da non sentirlo neanche più. Cosa mi era accaduto? Avevo semplicemente accettato la verità, l'evidenza che per troppi mesi avevo negato. 

Debrah era sparita così come lui. Coincidenza? Non proprio. Avevo una mia teoria a riguardo, ma preferii nasconderla nella parte più remota della mente. La ragazza dagli occhi di ghiaccio aveva rinunciato ad essere l'ospite d'onore del concerto di fine anno per qualcosa di più grosso. Pareva avesse trovato un modo per fare successo nel mondo della musica. 

«Pronta, Miki? Tocca a te!» la voce di Rosalya mi riscosse dai pensieri pericolosi, per fortuna. 

La mia migliore amica era stata scelta come costumista della serata ed era dietro le quinte insieme a tutti gli alunni che si sarebbero dovuti esibire. 

«Adesso è il turno di una voce femminile iscritta al club di musica da un anno. Facciamo un grande applauso a Micaela Rossi...» la voce della preside riecheggiò sin dietro le quinte. 

Inspirai, chiusi gli occhi e mi feci coraggio. Salii sul palco e una volta al centro li riaprii. 

Il cortile era stato addobbato perfettamente per l'occasione: gli alberi erano stati riempiti di luci gialle, tra un lampione e l'altro erano stati appesi dei festoni con su scritti tutti gli artisti che si sarebbero dovuti esibire quella sera. Ogni nome era a caratteri cubitali e illuminato da altre luci. Quando intravidi anche il mio fui assalita dall'ansia. Sarei stata capace di cantare?

Poi abbassai gli occhi sulla folla, ogni sguardo era puntato sulla mia esile figura tremante. Rilasciai il respiro appena la base musicale suonò per tutto il cortile del Dolce Amoris. Era giunto il momento che avevo atteso per tutto l'anno. La mia mente inevitabilmente pensò a Castiel. Durante l'esibizione avrebbe dovuto accompagnarmi con la chitarra, ma per ovvie ragioni non sarebbe stato così. D'istinto mi voltai a destra, lì - dove ci sarebbe dovuto essere uno sgabello con sopra la sua figura prestante - c'era invece soltanto uno spazio vuoto. 

Ero sola. Come lo ero già da più di un mese. Lui mi aveva abbandonata. 

Con quella realizzazione e con tutto il dolore iniziai a cantare sprigionando la sofferenza di quegli ultimi giorni. 

Avevo scelto la canzone giusta. 

-

Anonymous POV

Photograph di Ed Sheeran. Quel brano che le avevo consigliato quando già sapevo come sarebbero andate le cose. Non ero un veggente o una qualche specie di stregone, semplicemente ero realista e forse anche un po' pessimista: niente dura per sempre. 

Quando Miki iniziò a cantare ogni parola mi arrivò dritta al cuore, quella ferraglia arrugginita ancora era capace di battere per qualcuno. Anzi... Solo per lei.

Indossavo una felpa nera con cappuccio per non farmi riconoscere; non volevo mi vedesse e si sconcentrasse. Mi posizionai di lato al palco per poterla osservare meglio.
Era così bella. Un vestito rosa, corto e pieno di lustrini risaltava la sua figura che, nell'ultimo anno, mi aveva fatto impazzire. I capelli ramati, ondulati e più lunghi del solito; non li stava tagliando come usava fare ogni mese. Le stavano bene. 
Appena partì la musica una voce dolce, ammaliante, stregò il pubblico. Nessuno fiatava, tutti pendevano dalle sue labbra. Il cuore tremò nuovamente, una scarica elettrica mi attraversò ogni parte del corpo. Ero estremamente geloso, come mai ero stato. Tutta colpa della nostra vicinanza, ciò che solo lei era stata capace di farmi sentire. E se mi avesse già dimenticato? Se stesse frequentando un altro? 

Quei pensieri mi portarono a fare ciò che mi ero imposto di evitare. Il piano iniziale era quello di ascoltarla cantare e di sparire nuovamente nel buio, nell'ignoto, ma le cose andarono diversamente. 

Dovevo assolutamente parlarle.

-

Miki

La musica terminò ed io riaprii gli occhi. Per un attimo di secondo sperai d'incontrare lo sguardo di Castiel, ma sapevo non sarebbe potuto mai accadere. Si trovava dall'altra parte del mondo con l'unico amore della sua vita e probabilmente mi aveva persino già dimenticata. Per lui ero stata soltanto una mosca, un premio, una delle sue tante conquiste, un altro cuore spezzato. L'ennesima Ambra. 

Scesi dal palco con il cuore pesante, di nuovo infranto. Non sentii neanche i complimenti di Rosalya, gli abbracci e le strette di mano dei miei compagni di classe e professori. Volevo solo rinchiudermi in una delle tante aule scolastiche per rimpiangere ciò che avevo perso. Perchè lui non sarebbe mai più tornato ed egoisticamente si era portato con sé ogni parte migliore di me. Che farabutto quella testa di rapa rossa! 
Quel brano aveva riaperto le mille ferite procurate dallo Stronzo per eccellenza. Non avrei dovuto cantarla. Stupida Miki!

Con la testa china e sconfitta, mi feci spazio tra la gente, m'incamminai verso il retro della scuola per chiudermi un po' nella mia solitudine. 

E poi fu un attimo. 

Una ventata di profumo, del suo profumo, ed il mondo smise di girare. Le luci si spensero, ci fu una sorte di blackout globale. La terra non girò più intorno al sole, tutte le teorie scientifiche vennero stravolte, smentite. I mari non s'infransero più sugli scogli, il vento cessò di far volare le foglie, di farle cadere sull'asfalto. Ed io smisi di respirare. Il mio universo smise di esistere, mi annullai dinanzi al mio amore. Sì, il mio amore. Perché oltre ad essere incazzata ero ancora innamorata di Castiel Black, mi bastò percepire la sua presenza alle spalle per rendermene conto. 

«Sei stata forte su quel palco. Brava!»

La sua voce. La sua calda e sensuale voce; avrei tanto voluto strapparmi i capelli per le molteplici sensazioni devastanti che sentii in quel momento dentro di me. 

Involontariamente una lacrima solitaria cadde sulla guancia sinistra, si asciugò subito dopo grazie al venticello fresco di una delle ultime serate primaverili di Parigi. Non ero emozionata per le parole che mi rivolse, era solo l'effetto Black a giocarmi brutti scherzi. 

Lui era lì. Stavo sognando o stava accadendo sul serio?

Nonostante il brusio della gente che ci circondava, udii il suo passo inconfondibile avvicinarsi. La mia coscienza urlò di scappare, di allontanarmi da un'ipotetica vicinanza pericolosa, il mio cuore caparbio invece mi costrinse a restare ferma e immobile. 

«Perdonami», sussurrò con la bocca a pochi centimetri dal mio orecchio. 

Mi si accapponò la pelle, chiusi gli occhi e riuscii malapena a respirare. 

Perdonarlo? E come? Perché avrei dovuto perdonare chi era scappato come un codardo senza neanche chiedere scusa a tempo debito, senza neanche provare a riconquistare la mia fiducia? Avrei dovuto perdonarlo per poi ricevere nuovamente lo stesso dolore? No, grazie!

Notandomi indifferente poggiò delicatamente una mano sulla mia spalla e continuò: «Potremmo andare a parlare in una parte più tranquilla? Vorrei spiegarti alcune cose».

«No!» a quel punto scattai. Il suo tocco m'infastidì, così mi scrollai «Io e te non dobbiamo proprio dirci niente. Sparisci, come sei già stato bravo a fare e lasciami in pace». 

«Se anche tu avessi un'aspirazione nella vita capiresti.»

«Certo Castiel», risi amaramente «perché tu sai tutto di me, giusto?»

«Tra te e la musica, ho scelto la musica. Non sono così ipocrita per affermare il contrario. L'avresti fatto anche tu al posto mio!»

«Non...» lasciai la frase in sospeso, respirai affannosamente e finalmente riuscii a voltarmi guardando in faccia quel ragazzo che, nove mesi prima, aveva rubato per sempre il mio cuore. Lo scrutai con disprezzo ed iniziai a vomitare con le parole tutta la rabbia, il dolore, racchiusi in corpo a causa sua: «Non permetterti a parlare di me. Tu non sai un cazzo di quello che avrei potuto fare al posto tuo. Non sono una schifosa come te. E, tra l'altro, non so che cazzo di fine hai fatto. Sei sparito e basta!»

«Tu mi hai lasciato, non stavamo più insieme, non ero tenuto ad avvertirti.»

Che gran faccia tosta!

«Bene, e allora adesso cosa cazzo vuoi da me, precisamente?» Non gliela diedi vinta. Non potevo mostrarmi debole dinanzi a lui.

«Complimentarmi con te per la performance, sei diventata brava. Hai scelto il brano più adatto.»

Era impassibile, calmo, i suoi occhi non lasciavano trapelare nessun tipo di emozione. 

«Senza i tuoi complimenti sarei sopravvissuta ugualmente, ma grazie lo stesso!»

«Sei diventata più acida in questi mesi...» mi schernì. 

«Solo con chi lo merita».

«Ed io lo merito?»

«Più di tutti!»

«Perché?»

«Non me lo stai chiedendo realmente...» Stavo per avere una crisi isterica. Il suo menefreghismo m'innervosì alle stelle. 

«In realtà sì!»

«Sei diventato più scemo in questi mesi.» Ed io lo ripagai con la sua stessa moneta. 

«Grazie!»

«Non c'è di che!»

«Parlami...»

«Non hai provato più a parlarmi dopo quella notte, mi hai ignorata per qualche giorno e poi sei sparito nel nulla. Cosa vuoi che ti dica ora?»

«Ed io cos'avrei dovuto dirti?»

«Cosa provavi, avresti potuto farmi capire tutto, ogni cosa, con le parole o gesti, io ti avrei ascoltato seppur delusa, ma non hai fatto niente di tutto ciò. Nulla. E vuoi sapere perché? Perché tu non provavi niente nei miei confronti e non hai reputato importante giustificarti, scolparti o darmi qualche tipo di spiegazione. Ti sei divertito a mie spese con la tua streghetta del cuore e poi sei sparito. Bravo, è così che si fa con chi ti dona il suo cuore!» Per un attimo persi il controllo. 

«Tu non sai cosa provo...»

«E dimmelo, Castiel. Dimmelo!» urlai quasi disperata.

«Io... Ora come ora non potrebbe cambiare nulla», vacillò per un istante.

«Certo, come immaginavo», abbassai il capo ancora una volta delusa dal ragazzo dai capelli color fuoco e dal cuore di ghiaccio. Ma d'altronde cosa mi sarei dovuta aspettare? Lui non aveva mai provato un sentimento nei miei confronti, semplicemente forse solo un po' di affetto, nulla di più. Continuavo ad essere solo e soltanto io la stupida illusa che sperava in un suo cambiamento. «Adesso devo andare, Rosa e gli altri mi aspettano. Addio, Castiel!» 

Gli voltai le spalle delusa, com'ero sempre stata abituata a fare. 

«Io e Debrah stiamo incidendo un disco in Inghilterra. Per farlo ho dovuto rinunciare a te, credo tu possa immaginare il motivo...»

«No Castiel, io il motivo non lo immagino più. Una semplice ragazza pazza non può avere tutto questo potere su di te e sulle persone che ti circondano. L'unico artefice del tuo destino sei tu, non Debrah, non io, non tua madre. Sei tu a voler sempre far ricadere la colpa su di lei perché ti fa comodo, tanto è da sempre Debrah la cattiva della storia. La usi per giustificarti, per nasconderti, per avere una strada facile. Tu saresti stato in grado di sfondare nel mondo della musica anche senza di lei, avresti faticato maggiormente forse, ma ce l'avresti potuta fare. Hai scelto lei perché sei dipendente, sei ancora drogato di quell'arpia e nessuno può competere», accennai un sorriso rassegnato insieme ad un'altra lacrima traditrice che mi spuntò sul volto. 

Castiel osservò quella lacrima con l'intento di volerla asciugare, ma non lo fece. 

Quei mesi senza di lui mi avevano portato a delle conclusioni ben precise. Ci avevo visto giusto, forse per la prima volta dopo mesi riuscii ad essere razionale per davvero. 

Castiel era finito di nuovo a letto con Debrah solo perché lui lo voleva, non per proteggermi o altro. Castiel mi aveva lasciata andare solo perché evidentemente non ero abbastanza importante per lui. Avrebbe potuto conciliare musica e amore se solo avesse voluto. Punto. Fine della favola. Castiel e Miki non esistevano più. 

«Wait for me to come home...» rispose qualche minuto dopo la mia sfuriata.

Era il Re delle frasi ad effetto nei momenti meno opportuni e non si smentì neanche in quell'occasione. 

«È troppo tardi», replicai semplicemente tentando di restare impassibile. 

«Non è mai troppo tardi.»

«Questa volta lo è. Non potrei mai più fidarmi di te!» Fui schietta. 

«Hai scelto la canzone che ti avevo consigliato. Sceglieresti sempre me, anche tu lo sai.» 

Per lui quello era un gioco, per caso? No, perché non era divertente per niente. 

«Non stiamo giocando, Castiel. Non si tratta di una gara, di una canzone, questa è la vita vera!» mi spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 

«Lo so bene. Ma sai perché ti ho consigliato quel brano?»

«Perché si addiceva alle mie corde.»

«Non solo.»

«Non m'importa saperlo», finsi disinteresse.

Quale altra spiegazione ci sarebbe potuta essere?

«Miki...»

«Coglione»

«Unica»

«Puttaniere»

«Acida come la panna andata a male, ma pur sempre bellissima»

«Ruffiano scadente»

«Sirena»

«Granchio»

«Che mi abbia...»

«Ma non è un aggettivo, un nomignolo... Non sai nean-», mi bloccò.

«Continua», m'incitò.

«Ignorante»

«Fatto»

«Stupido»

«Innamorare».

Ed il cuore si fermò. 

Mi presi qualche secondo di tempo per collegare ogni parola pronunciata dalla sua voce sensuale.

Ed il respiro si bloccò. 

Avevo capito bene? Aveva davvero usato il nostro giochino degli insulti per trovare il coraggio di dire ciò che avevo sempre sognato uscisse dalla sua bocca, dal suo cuore? 

"Miki, unica Sirena bellissima che mi abbia fatto innamorare".

E gli occhi fuoriuscirono dalle orbite.

Anche quella volta giocò scorrettamente. Da codardo qual era, confessò quella presunta verità alle mie spalle ed in un momento del tutto inadatto, inaspettato. 

«Non l'hai fatto sul serio...» mi voltai sorpresa e nuovamente verso di lui.

Ci divideva un metro di distanza, era buio e nella penombra intravidi la sua espressione facciale in totale disagio. Una novità per me. Quindi aveva detto per davvero? E allora perché faticavo a crederlo? 

«L'hai detto solo perché vorresti portarmi a letto. Perché vuoi avermi sotto controllo», continuai. 

«Non è così, lo sai anche tu che non userei mai questo tipo di stratagemma per portare a letto le ragazze.»

«Infatti lo faresti per portare a letto me, non le altre. Sai che questo è il mio punto debole». Non mi fidavo di lui. Non più.

«Non voglio fare sesso con te, non ora. Non sono così stupido.»

«E allora perché hai detto quello che hai detto?» m'impappinai nelle parole. 

«Per spiegarti il motivo della scelta di quella canzone.»

M'innervosii nuovamente. Come faceva ad essere così calmo e pacato? Non era da Castiel quel comportamento. 

«L'ho scelta io, non tu. Avevi fatto una lista ed io ho scelto quella che più mi piaceva e sapevo cantare. Fine!»

Sospirò prima di replicare «Sei più ottusa di me quando ti ci metti», accennò un sorriso «Ogni brano di quella lista era un messaggio per te!»

«In ogni caso non vuol dire ciò che hai confessato pochi minuti fa, dice tutt'altro, probabilmente non l'hai neanche ascolta-», m'interruppe.

«So di averti ferita, ma ricordati di me fin quando sarò via e aspettami per tornare a casa».

Ed eccolo lì il significato reale di quel brano che, ancor prima di essere pronunciato, si disperse tra i prati ed il vialetto del nostro liceo. Liberò quella verità con troppa leggerezza, come se fosse la cosa da fare più facile al mondo. Ma non lo era e lui lo sapeva bene. 

Mi stava chiedendo di non innamorarmi di nessun altro, di aspettarlo, di ricordarmi di ogni istante vissuto insieme. Sarei stata capace di farlo? Ma soprattutto: Volevo farlo?

«Non ti ho ancora perdonato e non so se riuscirò mai a farlo», non volevo dargli soddisfazioni o sicurezze, non le meritava.

«Neanch'io!»

Stronzo!

«E tu per cosa dovresti perdonarmi, sentiamo?!»

«Sei l'unica canzone che riuscirò a scrivere».

«C-che significa?» mi lasciò interdetta. 

Non aveva mai smesso di parlare a codici, ma in fondo era anche quell'aspetto a renderlo affascinante ai miei occhi. 

«Un giorno lo capirai.»

«Adesso sparirai di nuovo?» Gli chiesi pur conoscendo già la risposta.

«Devo».

«Certamente», risposi sarcasticamente e mi voltai nuovamente pronta ad andarmene. 

«Aspetta», afferrò prontamente la mia mano.

La pelle bruciò al contatto, chiusi gli occhi beandomi del suo tocco. Sarebbe stato inutile fuggire o mentire a me stessa, i sentimenti per Castiel erano ancora vivi più che mai.

Si avvicinò cautamente alla mia figura e si mise di fronte: occhi negli occhi, respiro contro respiro, più minuti passavo in sua compagnia e più percepivo le mura di difesa crollare. Non era giusto. Non dovevo permetterglielo, ne andava della mia dignità. Non mi avrebbe scelta, non sarebbe rimasto al mio fianco, lo aveva appena ammesso sfacciatamente. E allora cosa ci facevo ancora lì impalata? 

«Non fasciarti la testa come tuo solito, per favore. Solo per un minuto», m'implorò.

«Un mese fa mi avevi chiesto una sola notte ed ecco in che stato siamo. Perché dovrei ascoltarti?» Rabbrividii davanti al ricordo di quella serata orribile. Dei giorni seguenti. 

«Tutto ha un senso, fidati di me», posò le sue grandi mani sul mio viso. 

Il mio cuore perse un battito, o forse dieci. I nostri sguardi s'incatenarono, divenni sua prigioniera. 

Il fiato corto testimoniò la mia incapacità di resistergli, lui lo capì subito e sorrise fiero. Maledetto!

«Prometti che mi aspetterai?» 

«Prometti che ritornerai?»

Sapevo odiasse le risposte con altre domande. 

«Rispondi prima tu.»

«Ma anche no!» 

«È la tua risposta?»

«No!»

«Perfetto», rise. 

Senza aggiungere altro accorciò definitivamente le distanze e poggiò le sue labbra sulle mie. Non approfondì il bacio, restò fermo, incollato alla mia bocca per molti secondi. Non riuscii a contarli, ero totalmente stordita dal suo profumo, da lui. Non pensai neanche un attimo ad allontanarmi, non volevo. 

Quando si staccò non perse altro tempo, mi strinse a lui in una stretta che significò molto. Mi chiese scusa in silenzio, senza proferire parola, promise che sarei per sempre stata una parte di lui. 

Inspirammo insieme l'uno il profumo dell'altra sperando restasse impregnato nelle nostre radici finché ne avremmo avuto memoria. 

Non l'avevo perdonato, ma lo avrei amato ugualmente in silenzio e da lontano, non c'erano altre spiegazioni plausibili. 

Sciolse di malavoglia quell'abbraccio e subito dopo abbassò lo sguardo osservando le nostre mani unite in una stretta. «Presto sentirai parlare di me», le baciò «E anche di te», strizzò un occhio. 

Non chiesi spiegazioni, sapevo non me l'avrebbe date. Mi accontentai di quei minuti di tranquillità e pace dopo mesi di sofferenze. 

Mi fece fare un giro su me stessa, poi mi sollevò i capelli e legò qualcosa intorno al collo. Abbassai lo sguardo sul petto, vidi un medaglione apribile, lo presi tra le mani e lo aprii. Su un lato era incisa una frase che attirò sin da subito la mia attenzione, ancor più della foto che ci ritraeva nell'altro ovale. Come faceva a sapere che avrei scelto quella canzone?

«Mi è andata a culo, lo ammetto», sollevando le spalle rispose ai miei dubbi. «Sarei entrato di nascosto nella tua stanza e l'avrei lasciata sul tuo cuscino, ma alla fine ci siamo incontrati ed ho preferito dartela così», non riuscì a guardarmi mentre confessava. 

Entrambi sapevamo che non ci eravamo incontrati per caso, che lui stesso mi aveva cercata, ma non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ormai lo conoscevo bene.

Non potei far altro che sorridere. 
"Wait for me to come home", la frase incisa sulla collana accanto alla nostra foto. Una promessa, uno dei versi della mia prima esibizione in pubblico, una richiesta d'amore; Castiel era diventato un romantico incallito. 

Lo ringraziai in silenzio, guardandolo fisso negli occhi. In quei momenti per noi le parole erano superflue, ci capivamo con uno sguardo. 

«Sarai sempre con me, Ariel...»

E, dopo un ultimo bacio sulla fronte, si disperse nel buio dell'ultima serata primaverile prima dell'Estate. 

Quella sera sarebbe rimasta impressa nella mia mente e nel mio cuore per tutta la vita. 

Quella fu l'ultima volta in cui vidi Castiel. 

 

______________________________________

💔Note Autrice💔 (abbastanza lunghe)

Salve, so di esser sparita per troppi giorni, otto mesi con esattezza, ma purtroppo ho avuto un crollo emotivo non indifferente e non ce l'ho fatta proprio a continuare la storia. Adesso sono ritornata per restare e portare finalmente a termine la storia. 

"Non mi so neanche spiegare come sia potuto accadere, se ci sia una qualche specie di entità superiore ad avermi voluta avvertire prima della catastrofe ma, proprio dopo poche ore dalla pubblicazione del capitolo 59, il mio Castiel mi ha abbandonata o meglio: sono stata io ad averlo abbandonato, ho dovuto farlo per forza maggiore. La nostra relazione proseguiva da ben 10 anni, è stata molto intensa, tossica, morbosa, con parecchie disavventure, intralci, problemi eppure eravamo sempre riusciti a superare ogni cosa, ma a quanto pare non questa volta. Questa volta sono stata ferita nell'orgoglio da mille bugie ed inganni. Sembrerà strano da dire, ma dietro Castiel e Miki c'era almeno un po' di me e lui. Quindi capirete come mi sia potuta sentire, per un bel po' di giorni non ho avuto neanche il coraggio di aprire Wattpad e sarà difficile continuare a scrivere una storia del genere, ma voglio farlo. Devo essere forte. Questa storia è frutto del mio amore, della mia passione, dei miei sacrifici; c'è tutta me stessa qui dentro e devo riuscire a concluderla per me stessa. Lo farò solo per me e per voi, pochi e fedeli lettori che avete avuto il coraggio di seguirmi in queste infinite pagine. 

Non entrerò nei particolari di tutta la vicenda di ciò che mi è accaduto nella vita reale, ma caspita... sembra quasi uno stupido scherzo del destino: Castiel e Miki si separano definitivamente così come la mia storia finisce. Ancora stento a crederci che sia andata realmente così ed è difficile abituarsi all'assenza di una persona che era una presenza costante nella mia quotidianità. Ma ce la farò ad andare avanti, promesso." 

Questo è ciò che scrivevo circa due mesi fa... In questi giorni c'è stata una svolta, un ritorno di fiamma (?), ancora una volta e per l'ultima volta ho voluto dare fiducia al mio Castiel. Sbaglierò? Non lo so... Solo il tempo saprà darmi risposte. Mi ha supplicata per mesi e mesi di tornare insieme a lui, tanti gesti romantici che non aveva mai fatto per me, per farmi capire di essere essenziale nella sua vita; inizialmente non mi son lasciata soggiogare, poi è arrivato un giorno - in cui non so spiegare bene cosa sia successo - e improvvisamente, forse perché l'ho visto più sincero del solito, ho deciso di dargli questa possibilità. Mi sta dimostrando di essere cambiato, non so se sarà o meno abbastanza perché probabilmente sono io ad essere cambiata nei confronti dell'amore e della vita in generale. Quando ci accadono delle cose brutte, che ci feriscono nel profondo, muta la nostra personalità ed io me ne sto rendendo conto proprio in questo periodo in cui ho dato una svolta alla mia vita. E non parlo solo in amore. Frequento l'università di Giurisprudenza e sono ormai fuori corso, nell'ultimo anno non sono riuscita a superare neanche un esame, avevo perso tutta la motivazione... Perché non avevo più quella voglia di cambiare il mondo, perché sapevo fosse una guerra già persa in partenza. La botta finale è stato ciò che è accaduto a Maggio. Un mese fa, però, è scattato qualcosa nella mia testa. Mi sono rimboccata le maniche e mi sono buttata a capofitto nello studio senza pensare, senza alcuna distrazione perché io questa laurea voglio prenderla a tutti i costi. Pochi giorni fa ho ottenuto i primi risultati, ho superato finalmente un esame. Uno di quegli esami che mi avevano bloccato e difficili. Potrà sembrarvi niente, ma per me è già tanto. Adesso me ne mancano davvero pochi per concludere gli studi e non vedo l'ora di finire, anche se non so più bene cosa vorrò fare del mio futuro. Spero comunque di riuscire a mantenere questa motivazione e voglia di fare. 

Ecco, questo è il motivo della mia assenza. So che potrebbe non interessare a nessuno, ma io ci tenevo ad essere leale fino in fondo con voi. 

Faccio un ultimo appello e chiudo: "Miracolous che fine hai fatto? Ho tanto bisogno di sentirti, di sapere che stai bene. Sono preoccupata per te. Se ci sei batti un colpo❤️!"

Adesso vi saluto, giuro che non sparirò mai più per tutto questo tempo. 

A presto💖

All the love🌈

Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** CAPITOLO 51: Nuovi incontri ***


Capitolo 51

Nuovi incontri







🎶Lewis Capaldi ~ Someone You Loved🎶 

***

💔Un anno dopo💔

Gli anni che fuggono, inarrestabilmente, ci portano via una cosa dietro l'altra. A me il tempo aveva portato via l'amore e niente sarebbe stato più come prima senza di lui. Sapevo bene accadessero cose peggiori nella vita, nel mondo, ma senza di lui mi sentivo vuota, come se tutto avesse smesso di avere un senso; il mio mondo aveva smesso di avere senso. Quello era stato il prezzo da pagare per essermi lasciata andare troppo velocemente con chi non lo meritava.

L'anno scolastico passò lentamente. Accanto a me non c'era più nessuno con cui battibeccare, con cui sorridere, nessuno a cui passare i compiti svolti. Mi mancavano terribilmente quei capelli color cremisi, quegli occhi grigi particolari, mi mancava lui che si distingueva sempre tra la folla. Ogni giorno mi voltavo verso il suo banco: era vuoto. Leggere il nome scritto con la sua calligrafia riempiva quel senso di vuoto con la nostalgia. Tremenda anche quella. Si faceva sentire fin dentro le ossa, perforava ogni organo del corpo, sino a togliere il respiro. 

Rosalya cercò di starmi vicina in tutti i modi, ma io non ero una ragazza facile da consolare.

Cominciai a non parlare più di me, a non raccontare ciò che mi succedeva. Evitai di specificare cosa m'impedisse di ridere, di andare avanti e di essere felice. Invece preferii ascoltare frammenti di vita, amori andati a male come una scatola di cioccolatini d'estate. Ascoltai, consigliai, ascoltai. Adoravo immergermi nel dolore degli altri, tuffarmi in storie diverse e non perchè fossi una persona buona, ma perché nessuno avrebbe potuto comprendere il mio stato d'animo. Quindi evitai semplicemente di sprecare fiato. Perché non ero ancora in grado di affrontare il mio dolore, semplicemente perché affogando nel dolore degli altri il mio faceva un po' meno male.

Mi stavo quasi abituando ad essere qualcuno che lui amava, peccato però fosse stata solo una farsa la sua. 

La vita senza Castiel era semplice, forse anche troppo. Dopo mesi dalla sua ennesima scomparizione mi abituai a vivere nuovamente senza di lui, a sentirne parlare senza scoppiare in lacrime, ad avere sempre sue notizie senza scrivergli o averci a che fare. Mi abituai persino a vedere il suo volto ovunque; non perché lo cercassi tra la gente, ma perché la sua faccia era letteralmente dappertutto. Sui muri della città, della scuola, sui giornali, alla tv, su Internet, in qualsiasi posto mi recassi c'era lui. I suoi occhi che mi ricordavano quanto fosse stato bello guardarlo, la sua bocca che mi ricordava quanto fosse stato bello baciarlo, i suoi capelli che mi ricordavano quanto fosse stato bello toccarlo, il suo fisico prestante che mi ricordava quanto fosse stato bello averlo. Probabilmente una parte di me sarebbe sempre stata innamorata di lui, ma per noi non c'era più possibilità. Nessun lieto fine. Ogni volta che il mio sguardo si posava su una sua foto m'imponevo di ricordare il male che mi aveva fatto persino la sera del concerto di fine anno. Non si era sforzato di darmi spiegazioni, dopo aver riacceso il meccanismo del mio cuore, era sparito così come aveva detto. Era stato di parola almeno una volta nella sua vita. 

Drunkers erano diventati famosi nella loro formazione iniziale, solo Lysandre aveva deciso di tirarsene fuori. Di tanto in tanto componeva musica e parole di qualche brano inviandole a Castiel per una revisione, ma il suo lavoro terminava lì. Sosteneva di avere altre ambizioni nella vita, invece di diventare una rockstar, sebbene ancora neanche lui sapesse quali. 

Nel giro di un anno scoppiò il fenomeno Black. Divenne l'idolo delle ragazzine. Riuscì a fare carriera nel mondo della musica senza Debrah, non perchè avesse deciso finalmente di tirar fuori gli attributi, quindi non per merito suo, ma a causa di una grossa lite avuta coi manager. La vena da prima donna della Bratz non era andata a scemare con il tempo, anzi si era ingigantita ancor di più e quando i manager ne avevano abbastanza la misero fuori dai giochi. Sperai però avesse smesso con le sue vendette, che se ne fosse fatta una ragione. Rabanne le aveva trovato un lavoro stabile come modella presso una casa di moda molto nota, quindi non avrebbe avuto motivo d'inscenare i suoi soliti piani subdoli. Tutto era andato come voleva, Castiel non era nè suo nè mio. Avevo avuto tutte quelle informazioni da Teresa, mia madre, che lavorava in casa Duval come spia sebbene io non le avessi chiesto di farlo. I rapporti con lei si ricucirono del tutto, riuscimmo ad instaurare quel legame madre-figlia da sempre sognato. Parecchie volte avevo pensato di trasferirmi da lei, ma ero stata bloccata da un'eventuale convivenza con Debrah neanche lontanamente tollerabile. Di tanto in tanto tornava a Parigi per passare del tempo con sua sorella Flora, in quei casi il rischio di averci a che fare sarebbe stato troppo alto. Quindi preferii sacrificare la vita familiare. Ogni fibra del mio corpo odiava quella ragazza, niente avrebbe mai potuto farmi mutare idea.

«Ehi, scusa... Ti è caduto questo», un tocco delicato mi sfiorò il braccio distogliendomi dai pensieri. 

Mi voltai verso la voce udita e due occhi verdi mi scrutarono destabilizzandomi. Cavolo se erano belli. Feci per dire qualcosa, ma non fuoriuscì neanche una sillaba. Spalancai solamente la bocca restando impalata sul marciapiede. 

«Scusa non è tuo? Mi sembra di averlo visto cadere dalla tua borsa», continuò il ragazzo.

Davanti alle sue parole corrugai la fronte ed abbassai lo sguardo sull'oggetto che mi stava mostrando. Un bracciale. Quel bracciale. Il bracciale di Castiel, quello regalatomi il giorno del mio diciassettesimo compleanno. Sapevo bene di essere una demente totale avendolo conservato, ma rappresentava una sorta di porta fortuna, averlo sempre dietro mi diffondeva uno strano senso di protezione e sicurezza. 

«S-sì, scusa tu e grazie per avermelo restituito», afferrai il bracciale, lo riposizionai all'interno della tasca esteriore della borsa preoccupandomi di chiudere bene la cerniera e mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 

Quel ragazzo mi stava facendo sentire in uno strano senso di soggezione. Non lo avevo mai visto prima. Capelli ricci e mori gli cadevano sulla fronte sfiorando e coprendo in parte gli occhi verdi meravigliosi. Era un po' più alto di me e magro. Somigliava al mio cantante preferito, probabilmente era per quel motivo che mi sentivo strana in sua presenza.

«È molto carino, il bracciale, intendo, anche se un po' infantile forse» e con quell'affermazione perse punti. 

Nessuno doveva azzardarsi a parlare di quel bracciale. Non più.

«Nessuno ha chiesto il tuo parere», risposi acida.

«Oh oh», sollevò le mani in segno di resa «abbiamo iniziato col piede sbagliato. Ricominciamo. Mi presento: piacere, mi chiamo Javier», mi porse la mano ma io non la strinsi. 

«Miki, piacere di averti conosciuto, ma ho da fare adesso. Ci si vede, ciao!» chiusi il discorso in fretta e quasi impappinandomi nelle parole.

Guardai dritta verso la mia meta e, senza voltarmi indietro, andai per la mia strada. Non potevo permettermi distrazioni, del genere maschile soprattutto. Dopo Castiel non riuscii più a farmi avvicinare da nessun ragazzo, ero diventata ingestibile, insopportabile, scettica nei confronti dell'amore, peggio di com'ero prima di atterrare a Parigi. Il rosso mi aveva cambiata, plasmata a suo piacimento. Purtroppo involontariamente avevo assunto aspetti del suo carattere irascibile, anche Rosalya stentava a sopportarmi. Gli unici ragazzi da cui mi lasciavo avvicinare erano Lysandre, Alexy e Ciak. Da quando quest'ultimo aveva ufficializzato la sua relazione con Alexy era tornato ad essere il mio migliore amico, la stessa persona di anni prima; proseguì nel suo lavoro come modello per Rabanne, ma aveva smesso di assumere quegli atteggiamenti spavaldi e superficiali. Chiacchierare con Lysandre invece era rilassante, fungeva quasi da psicologo. Continuava ad essere amico di Castiel a distanza, ma la cosa non mi disturbava visto che il rosso non era più rientrato in città. Spesso invitava sia Lysandre che Adelaide ai vari concerti in giro per il mondo, mentre con Isaac non aveva più alcun tipo di rapporto. Stessa cosa per me e Kate. Dopo aver speso un intero capitale per arredare la villa di Parigi, non ci viveva quasi più. Quando non era fuori città per lavoro passava tutto il tempo a casa del suo amato avendo così maggiore privacy. In poche parole vivevo grossomodo da sola. Il che non era un problema visto che avevo passato quasi tutta la vita in solitudine. La relazione con Isaac proseguiva a gonfie vele, ero felice per loro. Perlomeno non avevano rivoluzionato mezzo mondo a vuoto, ma per amore. Nonostante le menzogne raccontatemi per una vita intera, meritava anche Kate la sua spensieratezza e felicità. 

Negli ultimi giorni mi ritrovavo spesso a navigare oltreoceano tra i mille pensieri della testa, tutti approdavano nel porto di nome Castiel Black. Non ero ancora guarita e chissà se ci sarei mai riuscita. Non ero giunta ad una rassegnazione. Debrah non era più tra i piedi, non poteva essere un ostacolo alla sua carriera, non aveva bisogno di lei per poter far conoscere la sua musica e allora perché non era mai tornato da me? 

"Perché può avere una ragazza ogni sera, non ti pensa più. Tu non esisti per lui", la cara amica coscienza tentò di riportarmi sulla dritta via. 

E ci riuscì. M'imposi di non richiamare alla mente mai più nessun ricordo, nessun aspetto, nessun pensiero legato al rosso. Non meritava di controllare il mio umore, la mia mente, la mia vita anche a chilometri di distanza, dopo essere sparito per oltre trecento-sessantacinque giorni e non essersi mai interessato di come stessi. 

***
Giugno 2016

Durante quell'anno erano cambiate molte cose, io ero cambiata. Avevo rivoluzionato il mio modo di vivere, non solo nel vestiario, ma anche nello stile di vita. Usavo vestire capi più comodi, ma sempre di buon gusto. Avevo lasciato crescere i capelli che in quel periodo arrivavano a metà schiena, usavo portarli sempre ondulati. E poi cambiamento fondamentale: avevo deciso di mantenermi da sola, non mi andava più di essere assistita da Kate, rifiutai anche l'aiuto economico di mia madre. Trovai un lavoro serale come cameriera in un locale. Spesso lavoravo fino a tarda notte, per cui ero pagata bene. Faceva quasi ridere, nessun membro della famiglia Rossi aveva mai praticato quel mestiere prima d'allora, per Zia Kate era vergognoso. Sosteneva non ne avessi bisogno. Io ero semplicemente stanca di ricevere soldi da chi mi aveva mentito per anni, era già tanto se non avevo lasciato la casa per trasferirmi altrove. Sapevo di essere esagerata, ma grazie a Kate ero cresciuta senza una mamma, tra le menzogne e gente pagata per volermi bene. Non sarei mai riuscita a perdonarla, non del tutto. E poi, a differenza di Teresa, lei non ci aveva neanche provato a farsi perdonare. Mai un "scusa" era fuoriuscito dalla sua bocca, anzi sosteneva di aver fatto tutto per il mio bene, che era necessario per una crescita sana. Che stronzata! 

«Vai a prendere una bottiglia di vodka nel magazzino, è terminata», m'impose il proprietario del locale dove lavoravo. 

Era un uomo sulla sessantina ben piazzato, dai capelli brizzolati e la barba curata. Marc era una brava persona, nonostante non lo conoscessi bene ancora. Lavoravo nel suo locale da quattro mesi, non avevo mai avuto problemi con lui. Pagava puntualmente e non era mischiato in affari loschi, era una persona onesta.

Il Saloon Western Bar, frequentato da gente di ogni età, era un locale rustico, interamente in legno scuro. Una volta entrati dava l'idea di essere catapultati nel lontano West; infatti Marc era un grandissimo fan dei film antichi ambientati in quell'epoca. Il bancone era enorme, grande quanto tutta la lunghezza del locale, con una vetrina assortita di liquori di tutti i tipi, i distributori di birra incorporati a questo e degli sgabelli dall'altro lato per permettere ai clienti di sedersi. Tutti i tavoli erano rotondi, alcuni erano posizionati su un soppalco con tanto di ringhiera in legno intorno. Sulle pareti erano appese varie pergamene con la scritta "Wanted", con disegnati volti di persone immaginarie e poi quadri raffiguranti scene di film western, mentre pistole finte e ruote di carro erano appese lungo il muro del bancone. 

Io stessa, così come le altre cameriere, avevamo una divisa particolare che richiamava quel mondo. Pantaloni di pelle marrone con tanto di frange sulle tasche, camicia beige legata con un nodo in vita, foulard rosso, treccine e cappello da cowgirl. 

Dopo esser rientrata dal magazzino e aver sostituito le bottiglie vuote di vodka con le nuove «Oh chi si rivede», venne verso di me un volto conosciuto: Javier. «Il destino pare essere dalla nostra parte», proseguì ammiccando. 

Stava flirtando con me per caso? Perché non ci sarebbe riuscito.

«Che fortuna!» esclamai sarcasticamente con tanto di sorriso finto. «Cosa ci fai da queste parti?»

Perché gli avevo fatto quella domanda?

«Vorrei bere come tutte le persone normali», mostrò dei ragazzi poco lontani da lui che brindavano la fine della scuola con dei boccali di birra.

«Giusto. Allora... Posso offrirti qualcosa?» tentai di addolcire i toni, probabilmente mi riuscì male. 

«Sex on the beach», ammiccò nuovamente marcando così il doppio senso. Io arrossii appena.

Ci conoscevamo di vista e solo da un giorno, ma era comunque così sfacciato da fare battute a duplice interpretazione. 

«Il cocktail volentieri», specificai con tanto di smorfia e mi voltai per preparare l'alcolico. 

Avevo seguito dei corsi per barman consigliatami direttamente da Marc, avevo imparato in fretta malgrado sapessi di non essere bravissima. Non era il mestiere della vita, avrei lavorato in quel locale solo fino alla fine del liceo. 

«Stai bene con la divisa da lavoro», tentò di spezzare il ghiaccio che si era creato.

«Lo so», ed io non glielo lasciai fare. 

«Sei stata ferita in amore, lo leggo nei tuoi occhi, negli atteggiamenti da perenne mestruata», notò Javier mentre proseguivo nella preparazione del suo cocktail. 

«Sei anche psicologo oltre ad essere rompipalle?»

Ci avevo provato ad essere più cordiale con gli esseri umani di sesso maschile, ma con Javier non mi riusciva. Era capace di premere alcuni tasti dolenti del mio cuore, come se in realtà mi conoscesse.

«Ci sei andata vicina...»

«Che vuol dire?»

«Non posso dirtelo»

«Tanto piacere»

«Se te lo dico, prometti di non ridere?»

«Fa un po' come ti pare, non ho tutta la sera da perdere», alzai leggermente i toni e sbattei il bicchiere sul bancone facendo fuoriuscire di poco il contenuto. Lui mi guardò sorridendo, sembrava quasi felice che lo trattassi male... O forse era semplicemente fiero di aver supposto giusto sul motivo della mia irascibilità. 

«Sto per laurearmi in sessuologia»

«Quindi?» 

Laurea un po' fuori dall'ordinario che avrebbe potuto spiegare la sua personalità in apparenza così particolare. 

«Le persone ridono di me quando lo dico», abbassò lo sguardo sul bicchiere per non farsi notare dispiaciuto da quell'argomento, alcune ciocche dei capelli coprirono i suoi occhi verdi. Mi fece tenerezza, quasi.

«È un lavoro come tanti, non ci dovrebbe essere niente da ridere. Se esiste vuol dire che serve a qualcuno e di conseguenza qualcuno deve pur farlo, no?»

«Ti ringrazio, non tutti la pensano come te», d'un tratto mi guardò dritto negli occhi e per un attimo di secondo il mio cuore aumentò di un battito. 

«Mi dispiace. Comunque adesso devo lavorare», dissi per liquidarlo. Non mi andava di averlo più attorno.

«Certo, non ti rubo altro tempo. Prima che tu vada, me lo dai il tuo numero?»

«Per fare cosa?» la voce allarmata mi salì di tono.

«Per scriverti, conoscerti e magari un giorno chiederti di uscire...» bevve con la cannuccia un sorso di cocktail mentre mi guardava di sottecchi, divenni paonazza. 

Come si era azzardato a chiedermi una cosa del genere? Che sfacciato. Aveva di gran lunga sorpassato la soglia. Non lo conoscevo, in genere faticavo a fidarmi di qualcuno e in più lui sarebbe stato l'ultimo uomo a cui avrei concesso qualcosa di mio. Aveva l'aria di chi seduceva per poi abbandonare, un po' come... 

«Ma anche no!!!» quasi urlai dopo esser giunta a quelle conclusioni.

«Perché? Qual è il tuo problema? Sei fidanzata? A me non sembra proprio!» corrugò la fronte osservandomi. 

Maglia verde smeraldo così come i suoi occhi limpidi, jeans chiari in contrasto con i capelli scomposti, ricci e scuri; quel ragazzo era un pericolo per la sottoscritta. Era bello, molto bello e proprio per quel motivo avrei dovuto tenerlo a debita distanza. Non avrei fatto lo stesso errore per due volte consecutive.

«E invece sì, sono super impegnata!»

Tutti sapevano bene quanto fossi attratta dai casi umani e lui aveva l'aria di essere proprio uno di quelli.

«E come si chiama questo fantomatico fidanzato?» mi scrutò sorridendo appena. 

Entrambi sapevamo che stessi mentendo. Non mi riusciva per niente bene raccontare fandonie, dannazione!

«Cosa t'interessa?» 

«Non credo tu sia fidanzata, tutto qui e p-» lo interruppi.

«Castiel!» se avessi potuto mi sarei cucita volentieri la bocca dopo quell'uscita da Oscar. 

Brava Miki, tra tutti i nomi presenti nel mondo proprio quello dovevi pronunciare. 

«Cognome?»

«Sei un poliziotto oltre ad essere sessuologo, psicologo e rompipalle?»

«Potrebbe essere, ma che ti costa rispondere? Alla fi-» lo bloccai nuovamente. 

«Black. Castiel Black.»

D'istinto chiusi gli occhi e dei brividi si cosparsero per tutto il corpo. La mia mente geniale non aveva saputo partorire una frottola migliore. Stupida Miki!

Una risata mi distolse dai pensieri e riaprii le palpebre, una ad una. 

«Chi, il cantante? Sapevo stessi mentendo, ma non a questi livelli.»

A quel punto corrugai la fronte. Ma come si permetteva? In fondo quella era solo una mezza bugia, io con Castiel ero stata sul serio. 

«Cosa vorresti dire? Lui è davvero il mio ragazzo!» replicai quasi offesa. 

"Tempo verbale sbagliato", ribattè nella testa giustamente la mia cara coscienza.

«E allora la mia ragazza è Gigi Hadid.»

Continuavo a non capire il paragone, ma non gli chiesi ulteriori spiegazioni. Quel tipo mi aveva già abbastanza importunata e scombussolata. 

«Auguri!»

«Dai... Sii seria, è il tipo della tua band preferita? Sei sua fan?»

«Ma che cazzo vuoi da me precisamente? Sei ubriaco forse? Quanti bicchierini ti ha versato la mia collega prima del mio cocktail?»

«Vedi che lo fai di proposito? I Drunkers, sì parlo proprio di loro. Castiel è il tuo membro preferito? D'altronde non posso biasimarti, lo amano tutti!»

E poi iniziai a collegare. Maledizione! Da quel momento in poi nessuno mi avrebbe più creduto a chiunque avessi parlato di lui come un mio ipotetico fidanzato. Era una celebrità, non sarebbe mai stato con una come me. 

«Io non sono tutti. Abbiamo pubblicizzato un profumo insieme, cerca tu stesso su Internet se non ci credi. Ivrè.» quella pubblicità, per una volta nella vita, mi tornò utile. O forse no...

«Questo comunque non testimonia la vostra ipotetica storia, potresti essere una modella come tante».

«Non mi paragonare alle altre!» strinsi le mani intorno ai lati del bancone. Le nocche divennero bianche. 

Non avevo più nessuna intenzione di dare spiegazioni ad un estraneo. Lui non mi conosceva, non sapeva nulla di noi. Non ero tenuta a giustificarmi con nessuno.

«Wow! Sei persino gelosa. Allora non ti farà piacere scoprire che nel suo cuore c'è sempre stata solo una ragazza. A lei dedica ogni canzone, ad ogni concerto pronuncia il suo nome con la speranza di vederla tra la folla», mi stuzzicò nel tentativo d'infastidirmi. Ci riuscì. 

Il cuore mi uscì fuori dal petto per quanto iniziò a battere più forte del solito. No, non mi era ancora passata. A distanza di un anno ero ancora innamorata del playboy da strapazzo. Ebbi la conferma in quell'istante. 

«Debrah?», mi venne spontaneo chiedergli quasi disperata. 

«Duval? No, macchè... Loro sono stati insieme anni e anni fa. È acqua passata.» 

Perché Javier conosceva tutti quegli aspetti di Castiel? Dovevo ancora abituarmi al fatto che la vita privata del rosso fosse ormai di dominio pubblico. Già, tutta... Tranne quel minuscolo pezzo di adolescenza trascorso con me. 

Quindi aveva una nuova ragazza. Si era innamorato di lei? L'aveva portata nel nostro posto segreto? Le aveva chiesto di "provare" a stare insieme scrivendolo sul vetro della sua camera? Iniziai a torturarmi con mille domande che girarono nella testa.
Stavo per esplodere.

«Pare si chiami Ariel

«E?»

Ed il cuore smise di battere all'improvviso. 

«Sì, come la Sirena Disney. Si è fatto anche un tatuaggio per lei. Dev'essere proprio cotto, chissà chi è.»

«Boh, chissà...» risposi distrattamente.

Il respiro si affannò. 

«Ha scritto anche una canzone che porta il suo nome: Ariel. Ma tu non eri sua fan? Devo dirti proprio tutto io?»

«Sì, lo sapevo. Comunque adesso devo andare a servire dei tavoli... A presto!»

E scappai senza neanche ascoltare quello che Javier diceva. Mi tolsi il grembiule, lo lasciai sul bancone e corsi in bagno. Una volta lì mi chiusi a chiave. Poggiai la schiena contro il muro tiepido e mi lasciai cadere fino a sedermi a terra. Avevo bisogno di riflettere un attimo, di stare sola. 

Castiel aveva un'altra ragazza e le aveva affibbiato il mio stesso nomignolo? O forse parlava della sottoscritta nelle sue canzoni e nei concerti? Impossibile!

Per risolvere il mistero bastava prendere un cellulare e digitare su Google il nome del brano, avrei subito dopo trovato il testo. E allora cosa stavo aspettando per farlo? Che mi passasse quella maledetta paura. Temevo potesse essere felice con un'altra, che fosse riuscito ad andare avanti con la propria vita sentimentale, mentre io ancora stavo pensando a lui. 

Chiusi gli occhi e poggiai la testa sul muro freddo di quel bagno lurido. 

Era snervante; in ogni parola, in ogni frase della mia quotidianità c'era una lettera del suo nome. Ad ogni fine discorso compariva sempre lui: Castiel. Un gioco senza fine il nostro.

Nessun pensiero, nessuna azione era stata abbastanza per farlo restare. Neppure la mia anima, il mio corpo, le mie viscere lo erano stati. 

Fui una stupida quando pensai che il mio cuore colmo di battiti potesse essere sorretto, protetto dalle sue mani incerte. Perché era partito tutto per il verso sbagliato, ogni persona che conoscevo mi aveva avvertita di lasciar perdere, ma io -cocciuta com'ero- avevo proseguito per la mia strada terminando la corsa con una caduta estenuante sull'asfalto.

Tutti mi dicevano che di amore avrei sofferto per qualche mese, che prima o poi mi sarebbe passata, ma allora perché dopo un anno ero ancora lì a pensarlo, a soffrire e a rimuginarci sopra? 

Davanti a chi lo conosceva fingevo di star bene, volevo gli riferissero che la vita senza di lui era migliore per me, ma per quanto tempo sarei stata ancora in grado di proseguire con quella farsa? 

Tutti mi dicevano che d'amore non si muore, ma allora perché io sentivo di star perendo ogni giorno un po' di più? 

Stavo cadendo e quella volta temevo non ci fosse nessuno pronto a risollevarmi. Anzi, sarebbe stato sicuramente così. Mi piaceva come mi aiutava a scappare dai brutti pensieri, solo lui ci riusciva. Ma quel "tutto o niente", quel modo viscerale di amarci mi aveva portato a non poterlo più vivere. 

Probabilmente avevo bisogno di qualcosa di nuovo per riuscire a dimenticare, di qualcuno da conoscere, guarire, avere, solo per ricordare cosa si provasse. Facile a dirsi, ma non sarebbe stato lo stesso con un altro ragazzo.

Perchè, da quando lui non c'era, il giorno scorreva fino a diventare notte. A volte, quando la mancanza faceva troppo male, chiudevo gli occhi provando ad immaginarlo, cadevo tra le sue braccia e mi facevo cullare dal suono melodioso della sua voce. E l'avrei fatto di nuovo, per l'ultima notte fino all'alba, quando l'avrei lasciato andare per sempre. 


 



 

🌈N.A.🌈

Non uccidetemi per questo scorrere veloce del tempo nella storia, accadrà ancora. Ma quando avverrà quello che ho in testa da anni sarà bellissimo e più intenso, fidatevi di me😉

Cosa ne pensate di Javier? Pensate possa entrare nella vita di Miki?

Sono vicina a tutte le persone che stanno attraversando un brutto periodo per via di questa nuova epidemia diffusa in tutta Italia💔 
Siamo un popolo forte, supereremo anche questa💪
Spero di allietare un po' le vostre giornate, promettendo di mettercela tutta per aggiornare il più presto possibile✌

Adesso vi saluto,
All the love💖
Blue💝

Ritorna all'indice


Capitolo 57
*** CAPITOLO 52: Lasciarla andare ***


Capitolo 52

Lasciarla andare








🎶Marco Mengoni ~ Ti ho voluto bene veramente🎶

🎶Passenger ~ Let her go🎶

-

Castiel

"Il primo a scusarsi è il più coraggioso, il primo a perdonare è il più forte, il primo a dimenticare è il più felice". Castiel Black non apparteneva a nessuna di quelle tre grandi categorie. 

Io ero quello che scappava da tutto e da chiunque: dai problemi, dal perdono, dalla felicità. 

Fuggire era da sempre stata la mia specialità, messa in pratica nei momenti più sbagliati e con le persone sbagliate. Una di quelle era stata Miki: l'unica persona realmente capace di sopportarmi, di amarmi e accettarmi così com'ero. Lei c'era stata sempre per me, nonostante non la meritassi, nonostante le avessi procurato più cicatrici di quanto già ne avesse. Ariel era una ragazza bisognosa d'amore, d'affetto, di sicurezze; aspetti che probabilmente io non sarei mai stato in grado di darle. Anzi, quasi sicuramente. Il fatto che un'altra donna si era intromessa tra noi fu un'accelerazione dei tempi, perché la saperazione tra me e Miki sarebbe avvenuta a prescindere prima o poi.
Ineluttabile come la morte, la nostra storia d'amore era destinata a perire dinanzi agli eventi, ancor prima di nascere del tutto.

Così decisi di partire per un lungo viaggio, lontano dagli errori e dagli sbagli commessi. Trovai l'occasione giusta con l'offerta di Debrah, che accettai senza guardarmi indietro. Avevo già complicato abbastanza l'esistenza alla ragazza dai capelli ramati e soltanto se mi fossi allontanato da lei avrebbe trovato la forza di rifarsi una vita senza il pensiero di avere me tra i piedi. Oltretutto si aggiunse la possibilità imminente di sfondare nel mondo della musica e non ci pensai due volte ad accettare ciò che Debrah mi promise. 

Mi recai in luoghi fino a quel momento a me sconosciuti per non doverla rivedere, per cercare di dimenticare quelli visitati insieme. Mi sforzai di farlo soprattutto per evitare rimorsi e sensi di colpa nei suoi confronti. Più mi allontanavo e più sentivo di star bene. Era un benessere apparente, anche se inizialmente non potevo immaginarlo, ma stavo meglio ed era ciò che contava maggiormente. 

A New York ero un omino minuscolo se paragonato alla maestosità di quella città: appena sollevavo il capo ero sovrastato da enormi grattacieli illuminati dalle luci degli appartamenti o uffici, ma dentro di me restava comunque il buio. La statua della libertà si ergeva maestosa sulla città, eppure - una volta vista - non mi provocò nessuna emozione come tutti invece sostenevano. Durante quell'inverno nevicò molto, mi piaceva passeggiare nei parchi lasciandomi accarezzare i capelli dalla neve: sembrava quasi lo stesse facendo lei. Avevo deciso di cambiare look, o meglio: il mio manager decise al posto mio per un taglio netto e nero, il mio colore naturale. Chissà se a lei sarei piaciuto. Non avrebbe più potuto chiamarmi "pomodoro rosso". Sorrisi nostalgico e mi persi tra i ricordi dei mille battibecchi, in quel periodo mi accadeva spesso. 

Insieme al resto della band, avevo affittato una casa a Los Angeles, anzi una vera e propria villa. 
A volte accendevo un fuoco e per il freddo pensavo a lei. Se mi fosse stata accanto l'avrei potuta stringere a me, avremmo fatto l'amore su quel grande tappeto davanti il camino.
Quella degli angeli era la città in cui soggiornavo maggiormente, ma non sentivo mia quell'abitazione: era vuota, spoglia, senza calore, mancava lei. Da un po' di tempo a quella parte viaggiavo molto, grazie al primo tour mondiale ebbi l'occasione di visitare parecchie città e nazioni; eppure in nessun luogo mi sentivo a casa. Perché nessun posto aveva il suo profumo, la sua risata, il suo modo di fare. Perché nessun luogo era lei.

La vedevo quando mi addormentavo, ma non riuscivo mai a toccarla, a tenerla stretta. Così, insonne, fissavo il soffitto nell'oscurità, avevo perennemente quella sensazione di vuoto nel cuore; perché l'amore giunse lentamente ma sparì in fretta. 

Una mattina, sognando ad occhi aperti sul ponte di un traghetto ad Amsterdam, credetti di vedere un suo riflesso dentro il fiume Amstel. Ripensai a quel giorno in cui la portai sulla Senna: i raggi del sole le illuminavano il viso, facevano splendere i capelli ramati, gli occhi le diventavano dorati, di un colore sovrannaturale, quasi... una dea. 

Una notte ammirai la laguna di Venezia da un molo: le luci dei lampioni antichi si specchiavano nell'acqua scura apparendo lontane. Come lei... Miki aveva osato entrare in un'anima nera, ne era uscita ustionata. L'avevo avvertita, ma era talmente cocciuta da non ascoltare mai. Nonostante alcuni ricordi non fossero dei migliori, mi sentivo felice di approdare in Italia; un posto che le apparteneva. In fondo fu proprio da quella nazione che partì tutto. 

Più mete contavo, più i giorni ed i mesi scorrevano, più la barba mi cresceva, meno parlavo. Mi capitava di odiare la strada perché, anche se mi era difficile ammetterlo ad alta voce, mi mancava casa.

Avrei voluto ci fosse lei in quegli istanti. Perché le volevo bene veramente e non esisteva un luogo dove non mi tornasse in mente. Avrei voluto averla veramente e non sentirmi dire da Lysandre che non potevo più farci niente. Avrei trovato molte risposte se avessi chiesto a lei, probabilmente se non fossi scappato avrebbe potuto perdonarmi. Era quello il chiodo fisso, mi torturava per giornate intere da quando Miki era così lontana da far paura. Distante dagli occhi, ma non dal cuore. Quello mai. 

"Il viaggio cambia l'uomo", dicevano. Era vero. E, nonostante il punto di partenza potesse sembrare lontano essendo in viaggio da anni, il richiamo continuava ad essere forte. Il suo. Quella maledetta sirena ammaliatrice non smetteva un attimo di torturare i miei pensieri. Era ovunque, persino nelle ossa. 

La vera meta non era un posto, ma quello che si provava. E non ci sarebbe stata una data di arrivo, una destinazione precisa, era qualcosa di astratto. Quando avrei avuto meno confusione in testa, quando mi sarei rassegnato, quando avrei raggiunto una maturazione interiore, probabilmente avrei concluso quel viaggio. 

Miki si era diplomata con il massimo dei voti, ma non sapeva ancora cosa fare del suo futuro. Mia madre mi teneva costantemente aggiornato sulla vita di Miki e ogni volta che mi parlava di lei tentavo di mostrarmi disinteressato o quanto meno indifferente, ma dentro di me sentivo tutt'altro. Ci sarei tanto voluto essere il giorno del suo diploma... avremmo festeggiato in un modo tutto nostro, l'avrei portata in un altro dei posti inesplorati della Francia, mi avrebbe sorriso con gli occhi e con il cuore. Perché alla mia Miki bastava poco per essere felice. Le bastavo io.

Spesso mi capitavano dei momenti di pentimento, fantasticando su cosa saremmo potuti essere se non fossi fuggito, scacciavo quei fastidiosi sensi di colpa con il sesso senza impegno. Ragazze totalmente diverse da lei, non dovevano avere nulla che poteva farmi ricordare anche un solo insulso dettaglio della ragazza dai capelli ramati. Il sesso era il mio scacciapensieri, niente di più. Nessuna mi piaceva e non rivedevo nessuna per più di due volte. Erano le mie regole. 
E poi c'erano giorni in cui non mi bastava neanche quello, perché per poter stare meglio dovevo scrivere, far vivere il ricordo di ciò che io ero stato con lei. Quelli erano i momenti peggiori: mi mancava talmente tanto da non riuscire a respirare, da percepire la testa vuota ed il cuore pieno di lei. Non se n'era mai andata realmente, la sentivo sempre dentro di me. 

Era un dolore muto, di quelli che non potevano essere spiegati a parole, di quelli sordi che nessuno sapeva ascoltare. Davanti agli altri mi mostravo come lo stesso Castiel di sempre; il caos regnava solo dentro di me. Trascorsi ormai seicento giorni dalla nostra separazione totale, mi ero abituato a vivere con una costante angoscia interiore e la continua assenza della persona più importante della mia vita. Sembrava quasi assurdo che uno come me facesse quel genere di pensieri, ma non potevo negare l'importanza che Miki aveva avuto per me. Era stata fondamentale per una maturazione interiore, mi aveva aiutato ad essere razionale, a distaccarmi dal falso ideale di donna da cui ero attratto, a migliorare il mio carattere ed il modo di rapportarmi con il prossimo, o meglio... Solo con lei
Soltanto lei conosceva quel lato quasi dolce della mia personalità, mentre con gli altri continuavo ad essere il solito scorbutico di sempre. Solo con lei ridevo per davvero.

~

Era piena estate quando Lysandre decise finalmente di raggiungermi in tour a Barcellona. In quel momento ci trovavamo nel camerino, qualche ora prima del concerto. Lui era l'unico amico leale che mi restava e sperai di riuscire a mantenere almeno quell'amicizia nel tempo, visto che ero solito rovinare tutto. 
Stavamo riflettendo su quanto fosse stato assurdo quel passaggio repentino dall'anonimato al successo assoluto. Infatti accadde tutto all'improvviso: proposta di Debrah, partenza per New York, incisione primo disco, litigio di Debrah con i manager, formazione dei Drunkers senza di lei, incisione e uscita album, primo posto in classifica, tour europeo nei palazzetti, secondo album, record di vendite, tour mondiale. Era accaduto tutto in soli due anni e sperai continuasse per tutta la vita. Spesso ero dovuto scendere a compromessi per poter proseguire la carriera, ma comporre brani, far conoscere le mie canzoni, sentire il calore e le urla della gente scatenata ai concerti grazie alla mia musica non avevano prezzo. Mi andava bene qualsiasi cosa pur di continuare a vivere il sogno di una vita. Riuscii a mettere in pratica, quantomeno coi manager, alcuni insegnamenti di Miki che furono fondamentali per riuscire a sopravvivere in quel mondo. Un esempio pratico che funse da lezione fu proprio la vicenda di Debrah: pretendeva percentuali di guadagno maggiori agli altri, di metter bocca su qualsiasi decisione dei manager, di dirigere ogni aspetto della nostra carriera. Durò solamente per cinque mesi, alla fine neanche il padre la volle più tra i piedi. Da quell'accaduto imparai molto. Spesso i manager ci avevano chiesto di cantare pezzi di altri generi musicali, ma ci eravamo sempre rifiutati. 
Suonavo, scrivevo e cantavo solo i pezzi che avevano l'autorizzazione di tutti i componenti della band. Gli altri aspetti potevano essere scelti a loro piacimento, mentre sulla musica non si transigeva. Era l'unica cosa su cui non lasciavo decidere nessun altro. I miei collaboratori me lo consentirono dopo una piccola discussione ma da lì andammo sempre d'amore e d'accordo. 

《Che strano esserci diplomati distanti...》Riflettei ad alta voce.

Lysandre era seduto su una sedia, a gambe accavallate e composto come il suo solito, mentre io stravaccato sul divano e con la testa rivolta verso il soffitto. 

《Che strano che tu ti sia diplomato!》
Che gran senso dell'umorismo... Scossi la testa e sorrisi.

《Non è stato per niente faticoso》sollevai le spalle. 

Da ragazzo responsabile qual ero avevo optato per concludere l'ultimo anno di liceo con l'aiuto di una scuola privata a pagamento; la fama mi aveva facilitato abbastanza il lavoro.

《Non avevo dubbi, trovi sempre il modo di farla franca imbrogliando. È una tua dote.》

《Non ho imbrogliato, ho solo avuto un piccolo aiutino grazie al mio fascino irresistibile》mossi i capelli sensualmente e inarcai le sopracciglia.

Lysandre scoppiò a ridere《Sì, certo! Comunque ci sei mancato. Il Dolce Amoris non era più lo stesso senza le tue risse》

《Solo per questo?》misi il broncio.

《E anche per i tuoi triangoli amorosi.》

《Noto con piacere che sei diventato più simpatico da quando non ci vediamo.》Ghignai《Sono mancato proprio a tutti?》Nel porre quella domanda ritornai serio e mi agitai. Conoscevamo entrambi bene il motivo. 

《Credo proprio di sì》

Comprese cosa volessi intendere tra le righe, ma non aggiunse altro come invece speravo. Ero talmente orgoglioso da non voler arrivare a chiedere io stesso cosa realmente m'interessava sapere, o meglio... Di chi! 

Presi la chitarra ed iniziai a strimpellare per riscaldarmi un po' visto l'imminente concerto. 

Dopo un breve silenzio allietato dai suoni della mia Gibson:《E... Come sta?》sganciai all'improvviso quella domanda. 

In quell'occasione fui costretto a mettere da parte l'orribile carattere che mi ritrovavo, la necessità di sapere era maggiore. Le informazioni di mia madre non bastavano più, dovevo conoscere qualcosa nel dettaglio. 

Lysandre capì al volo, senza necessità di specificare il soggetto della frase, mi conosceva bene e sapeva che sarei scoppiato da un momento all'altro.《In due anni non mi hai mai chiesto di lei. Cos'è cambiato ora?》mi scrutò con i suoi occhi eterocromatici. 

《Potrei dover fare un concerto a Parigi...》stoppai la musica. 

《Potresti?》

《Devo. Ho cercato di evitare quella città a lungo consigliando come meta ideale qualsiasi altro posto della Francia, ma adesso è diventato impossibile poterlo fare》Sospirai. 

《In ogni caso non è detto che incontreresti lei, visto che - quasi sicuramente - ripartirete la notte stessa dopo il live.》 

《Mi conosco, non riuscirei a starle lontano...》Fu quasi come pensare ad alta voce.

《Non credo proprio la vedrai in fila insieme alle fan scatenate, anzi... Quasi sicuramente quella sera farà di tutto per evitare il luogo del concerto, arriverebbe persino a cambiare Regione pur di starti lontano.》

Le facevo così schifo? Le frasi di Lysandre mi colpirono, ma non lo diedi a vedere. 

《Sono io che non riuscirei ad evitare lei...》sussurrai. Non era facile ammettere la verità.

Evidenza pericolosa, quella. Se solo me lo fossi messo in testa, sarei stato capace d'inseguirla in tutte le Regioni della Francia pur di riuscire a vederla.

《Incontrarla, rincorrerla a che pro? Per poi abbandonarla di nuovo?》 

《Non riesco a sapermi nella stessa sua città senza poterle parlare, guardare o toccare. È più forte di me. Ho bisogno di lei.》D'istinto mi portai la mano sull'avambraccio sinistro, lì dov'era incisa con inchiostro indelebile. 

Lysandre seguì i miei gesti, ma preferì evitare di chiedermi spiegazioni. Proseguì invece con il sottopormi ad un esame di coscienza:《E quando lei aveva bisogno di te dov'eri?》Non aveva mai usato quei toni accusatori nei miei confronti, quella fu la prima volta che lo fece. 

《Perché mi accusi parlando al passato? Conosco bene gli errori commessi, non ho bisogno che tu li sottolinei》Stavo per terminare la pazienza. 

Ma lui cosa intendeva insinuare nel suo discorso? Lei non aveva più bisogno di me? D'altronde erano passati due anni, cosa mi aspettavo? 

《Miki sta meglio senza di te, avevi ragione quando utilizzavi questa scusa per scappare dai tuoi sentimenti. Dopo gli sforzi fatti non puoi rovinare tutto proprio ora!》Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso, lui aveva sempre sostenuto la nostra storia e creduto ai miei sentimenti per Miki. Cos'era cambiato?

《Che bell'amico del cazzo! Dovresti sostenermi, non andarmi contro.》Sbottai, poggiando in malo modo la chitarra sullo spazio vuoto del divano, non ne potevo più di essere additato a causa del passato. 

《Sto cercando di farti ragionare, non puoi farle questo, dovresti ancora sapere com'è fatta.》

《Tu invece hai imparato a conoscerla bene in questo periodo, probabilmente più di me...》lo accusai con una punta di gelosia nella voce. 

Dentro di me si stava formando uno strano sospetto che non avrei mai voluto avere. 

Lui c'era stato per lei, io no. L'aveva sostenuta, ascoltata e ci sarei dovuto essere io al posto suo. Quell'evidenza, da anni sotto il mio naso, fu come un lampo a ciel sereno. E se...

《Siamo diventati degli ottimi amici, lo sai. Ed è per questo che sono...》

《C'è qualcosa tra di voi?》lo interruppi bruscamente con quella domanda secca e per poco non mi fiondai su di lui.

《Che? Sei impazzito?》sgranò gli occhi, non si aspettava una supposizione del genere da parte mia e neanch'io... 

《Non ti farei mai una cosa del genere. Come fai anche solo a pensarlo?》Era incredulo.

《Abitudine...》con un mezzo sorriso amaro allusi a Debrah e Nathaniel, ma subito dopo scossi la testa per scacciare quella storia dalla mia testa. Era acqua passata.

Lysandre non mi avrebbe mai tradito. 

《In realtà... c'è una cosa che dovresti sapere.》 

Entrambi esitammo davanti a quelle parole; mi si accorciò il fiato, dinanzi agli occhi mi si presentarono gli scenari più tremendi. Allora avevo ragione? Tra lui e Miki c'era sul serio qualcosa? 

《Sputa il rospo. Veloce!》senza guardarlo negli occhi, d'un solo fiato lo esortai a parlare.

《Prometti di non dare di matto?》

Una scossa mi attraversò tutto il corpo, dai piedi fino alla testa. 

《Sbrigati, cazzo!》urlai. Avevo un terribile presentimento. 

E se per la seconda volta mi fosse accaduta la stessa ed identica storia? Tradito da Debrah e Nathaniel; Tradito da Miki e Lysandre. Deglutii rumorosamente rimanendo fisso sul divano nero di quel maledetto camerino. Sudai freddo, avrei voluto urlare per la frustrazione. 

《Si sta vedendo con un altro...》

E finalmente arrivò quella verità, affilata come un coltello si conficcò nelle mie carni e non uscì mai più. Avrei dovuto tirare un respiro di sollievo perché perlomeno Lys non aveva dimostrato di essere un traditore, ma non ci riuscii. Niente sarebbe stato più lo stesso da quel momento in poi. La mia idea di Miki non lo sarebbe stata. 

Strinsi nervosamente le mani in due pugni, avrei tanto voluto colpire qualcosa.

La mia Ariel si stava frequentando con un altro ragazzo. Non l'aveva mai fatto, non dopo di noi.

E m'immobilizzai. Fissai un punto vuoto della stanza per un tempo infinito, mentre le parole del mio amico si ripetevano ad oltranza nella mia testa. Avrei voluto parlare, sbraitare, chiedere spiegazioni su chi fosse, se fosse o meno un bravo ragazzo, se lei fosse già innamorata di lui, ma dalla mia bocca uscì solo fiato senza alcun suono. 

Perché stavo avendo quella reazione? Io stesso l'avevo lasciata andare per darle la possibilità di trovare una persona migliore del sottoscritto: ero una frana nelle relazioni amorose. Quando decidemmo di fare sul serio, in pochi mesi erano state più le volte in cui l'avevo ferita che il resto. Meritava un uomo capace di ricucire le sue ferite, di accudirla e soprattutto di esserci nel momento del bisogno, mentre io non ero nient'altro che un disastro in quelle cose. 

«Chi è? Lo conosco?» Trascorsi parecchi minuti di meditazione, una volta esser riuscito a parlare, cercai di mostrarmi impassibile.

《Non credo, è più grande di noi. Si è laureato quest'anno.》

Un acculturato. Di sicuro era un saputello del cazzo, di bene in meglio. 

《Stanno insieme da molto?》Fu più forte di me, dopo averlo saputo dovevo conoscere ogni dettaglio. 

《Lei ha acconsentito ad uscirci dopo una corte spietata durata quasi un anno. Si frequentano da un mese.》 

"Un mese? È già troppo!" 

《Come si chiama? È un bravo ragazzo?》più che un ex ragazzo geloso sembravo un padre alle prese con le prime storielle della propria figlia. Ridicolo!

《Javier, credo di sì. Sembra un tipo a posto.》Lys sospirò davanti a quell'interrogatorio ma, pazientemente, mi diede tutte le risposte di cui necessitavo. 

Javier: che nome del cazzo! Nulla, non andava bene proprio nulla di quel figlio di papà da strapazzo. Non potevano stare insieme. Loro... Non dovevano. 

Da quel breve colloquio durato solamente un'ora appresi che si erano conosciuti nel bar dove lavorava Miki, per il loro primo appuntamento ufficiale lui l'aveva invitata a cena in un ristorante di lusso, mentre il primo bacio se lo scambiarono al cinema, una settimana dopo. Tentai di sorvolare sul fatto che le labbra di Miki avevano sfiorato quelle di un altro ragazzo dopo di me, ma ci riuscii solo durante la prima mezz'ora da quella notizia. Poi sbottai. 

《Che storiella banale del cazzo!》mi alzai di scatto dal divano ed iniziai a camminare avanti e indietro frettolosamente per tutta la stanza.《Lei merita di più!》mi passai nervosamente le mani tremanti tra i capelli.

Assimilai quella notizia nel migliore dei modi, insomma.

《E chi sarebbe questa persona che la merita? Sentiamo!》Lysandre incrociò le braccia e le portò sul petto, mi squadrò con sguardo duro. 

《Nessuno... Non la merita nessuno. Lei è troppo per chiunque》ressi il suo sguardo e replicai con sicurezza. Dicevo sul serio.

《Non ti capisco proprio, Castiel. Ci sto provando, credimi, ma non ci riesco. Sei stato tu ad allontanarla sempre di più con i tuoi atteggiamenti scostanti e le tue azioni da donnaiolo, adesso mi spieghi perché questa reazione?》tentò di rimproverarmi con i suoi modi pacati, di farmi capire quanto fossi contraddittorio e quanto stessi sbagliando. 

《Io...》partii alla ricerca delle parole adatte fermandomi al centro della stanza.《Non lo so!》sbuffai arrendendomi. 

Se avessi avuto un sacco da boxe con sopra il volto di quel Javier del cazzo, l'avrei colpito volentieri fino a perdere le forze. 

《Pendeva dalle tue labbra anche quando l'hai tradita... Se solo avessi reagito in modo diverso, ti avrebbe perdonato con il passare dei mesi. E adesso non puoi pretendere che ti stia dietro anche durante la vita da sesso, alcol e rock'n'roll》non era presente nessun risentimento nella sua voce, stava cercando solamente di farmi ragionare. Io non fiatai, il suo discorso purtroppo quadrava.《Ti ha aspettato in silenzio per due lunghi anni, credi non si sappia in giro la vita che fai? Di quante ragazze, famose e non, ti sei portato a letto? Credi che lei non l'abbia saputo? Ormai la tua vita privata vale molti soldi e qualsiasi scoop, vero o falso che sia, è spiattellato su ogni rivista di gossip del mondo.》Verso la fine del discorso si agitò, picchiettando le dita sulla sedia e muovendo su e giù il piede destro.

E fu come aprire gli occhi in un battito di ciglia, prima d'allora non avevo mai pensato a quell'aspetto. Non ero solito leggere giornali o social network, di quella merda se ne occupavano i miei manager. Come si era sentita Miki nel sapere che uscivo con molte ragazze quasi ogni sera? Sicuramente non bene, ancor meno sapendo che attendeva un mio ritorno.

Lysandre proseguì con la sua ramanzina, notando che aveva tutta la mia attenzione《Se ci tieni a lei, lasciala perdere.》Si alzò dalla sedia, mi raggiunse e poggiò le mani sulle mie spalle,《non rovinarle anche questo precario stato di serenità. Anche lei merita di essere felice.》Per finire mi guardò dritto negli occhi e, quasi come se volesse farmi il lavaggio del cervello, mi scosse:《È  giunta l'ora di lasciarla andare!》Rabbrividii. 

Dovevo lasciarla andare...

Riflettei su quelle frasi dure, ma giuste. Non aveva senso sconvolgere nuovamente la vita di Miki per qualcosa d'incerto, per un mio capriccio. Avevo già contribuito a farle del male, bastava e avanzava quello. Proprio per quel motivo fu difficile ingoiare un boccone amaro come quello. 

Dopo essermi mostrato collaborativo e per nulla scosso da quelle rivelazioni, proseguii a chiacchierare con Lysandre fin quando non venni chiamato dai miei compagni di band. Dovetti salutarlo e dargli appuntamento a dopo il concerto. Quella sera ci saremmo esibiti al Camp Nou di Barcellona. Era tutto pronto.

Prima di raggiungere gli altri mi presi del tempo per metabolizzare le parole del mio migliore amico.

Ero stato così egoista da pensare che Miki non avrebbe mai voltato pagina, che mi avrebbe aspettato per un tempo infinito. Che stupido! Ed io invece: sarei mai stato capace di tornare da lei per rimanere?

Visto che la risposta a quel quesito non importava più a nessuno, non mi torturai. Miki stava con un altro. La mia Miki... Quella ragazza così pura da non esser mai stata sfiorata da nessun altro che non fossi io; come potevo rassegnarmi all'idea che un altro uomo avrebbe potuto dormire nel suo letto? Nel nostro letto. Lì dove altre mani avrebbero sfiorato quella pelle chiara ed imperfetta, segnata dalla sua infanzia terribile. Gli aveva già raccontato la storia della sua vita? Aveva pianto, sorriso e urlato con lui così come faceva con me? Probabilmente solo un'anima dannata come la mia avrebbe potuto comprendere a pieno un dolore così grande come quello patito dalla mia Miki. Sì, perché avrebbe potuto baciare, toccare, dormire con un'infinità di ragazzi, ma nel bene e nel male sarebbe stata mia per sempre.

La mia Ariel...

La ragazzina cocciuta e bellissima da un mese aveva un nuovo ragazzo. Era cresciuta anche lei. Più la mia mente ripeteva quelle verità, più mi sembravano insulse. 

Anch'io ero finito in altri letti, tra altre gambe, ma mai in altre braccia; le mie non erano state nient'altro che avventure. Mentre Miki non era come me, non si concedeva a tutti soltanto per il gusto di farlo o per avere uno scacciapensieri, se lo faceva era per amore o infatuazione. Fu quell'evidenza ad allarmarmi, non ero ancora pronto a lasciarla andare definitivamente. Da sempre sostenevo che lei avesse bisogno di altro, di una persona migliore, ma un conto era la teoria ed un altro la pratica. Quando ciò a cui auspicai divenne realtà, avrei tanto voluto non lo fosse, avrei preferito strapparmi i capelli uno ad uno perchè il dolore fisico era nulla se paragonato al rimorso che avrei avuto durante la vita intera per essermela lasciata scappare. 

Lei... Così candida, bella, unica e proibita. Cosa aveva trovato di così speciale in quel ragazzo tanto da concedergli ciò che solo a me aveva donato? Lo amava? E lui ricambiava? Era migliore di me? Ma soprattutto: lei pensava lo fosse?

Totalmente invaso dalle domande sentii l'impellente necessità di portare le mille emozioni su foglio, lo facevo sempre quando i pensieri si affollavano esageratamente nella mente e mi capitava soprattutto quando, tra i pochi neuroni rimasti, girovagava indisturbata una certa Ariel. 

E quindi scrissi. 

Scrissi di lei che per l'ennesima volta mi aveva fottuto il cervello e stregato persino quel cuore di pietra che mi ritrovavo. Scrissi di lei come una sirena bellissima ed innocente capace d'ingannare persino il più furbo dei marinai. Ce l'aveva fatta alla fine: si era impossessata del mio cuore rendendomi suo prigioniero per sempre. Scrissi di lei come l'unica donna capace di ferirmi, manipolarmi, superando persino Debrah.

"Hai bisogno della luce solo quando si sta spegnendo.
Ti manca il sole solo quando inizia a nevicare.
Ti rendi conto di essere arrivato in alto solo quando ti senti giù.
Ti rendi conto di amarla solo quando la lasci andare."

Venne fuori l'ennesima canzone struggente dedicata a lei. Due anni prima sostenevo fosse l'unica su cui non avrei mai composto; in poco tempo però Ariel si trasformò nell'unica canzone che sarei mai riuscito a scrivere.

Non andava più bene, dovevo reagire. 

La mia mente pensava solo a lei, le mie mani scrivevano indisturbate ciò che il cervello comandava. Ed il mio cuore? Anche quello era completamente ed incondizionatamente suo. Quella maledetta sirena mi aveva dannato l'anima ancor più di quanto già non fosse per conto suo. 

Non andava più bene, dovevo reagire.

Quella notte, quando salii sul palco davanti a migliaia di persone, cantai con una consapevolezza diversa, con un dolore nuovo e destinato a finire nel più breve tempo possibile.

Se lei era riuscita a dimenticarmi, ad iniziare un nuovo capitolo della sua vita, l'avrei fatto anch'io. 
Non potevo continuare a vivere in quelle condizioni, avrei agito per salvare quel briciolo di sanità mentale che mi era rimasta.

Sapevo che persino la mia mente non ne poteva più di essere così contorta e contraddittoria, ma quella volta ero deciso sul serio a porre fine all'agonia che era stata presente già per troppo tempo dentro di me. Non potevo permettere ad una stupida ragazzina di controllarmi, di distruggermi. 

Sarei tornato a Parigi, avrei visto con i miei stessi occhi la felicità nei suoi e l'avrei dimenticata per sempre. 
Piano infallibile, ma i risultati non furono quelli sperati.

Nonostante tutto se avessi potuto le avrei regalato la luna ed anche le stelle; peccato, però, che lei pretendesse il mondo intero. 





 

***
🌈N.A.🌈

Questo è il sistema scolastico francese, qualora vi siate chiesti come mai Miki si è diplomata a 18 anni ^

Questo è il sistema scolastico francese, qualora vi siate chiesti come mai Miki si è diplomata a 18 anni ^.^

E adesso veniamo a noi.

Se questo capitolo vi ha lasciato ancor più punti interrogativi di quanti ne avevate su Castiel, allora ho raggiunto l'obiettivo 😅 
Perché lui è così: Prendere o lasciare. 

So di essere di parte, ma io lo amo sempre di più nel suo essere contorto❤

Javier/Miki/Castiel. Nuovo triangolo amoroso in vista? 
Debrah è davvero fuori dai giochi?
Cosa accadrà durante il concerto di Parigi? 

Dal prossimo capitolo in poi le cose si faranno più interessanti, questi ultimi due dovevo farli per forza così, quasi introspettivi. Sopratutto questo di Castiel. Spero che, nonostante ciò, vi sia piaciuto ugualmente. 

Detto ciò: Come state? Come state passando questi giorni di quarantena? Spero bene💪e soprattutto spero che questo periodo passi il più velocemente possibile. 
So che è dura, ma non mollate. 
Insieme e uniti ce la faremo🌈  

Alla prossima,
Stay safe at home💞 
All The Love💖
Blue💙 

Ritorna all'indice


Capitolo 58
*** CAPITOLO 53: Dovunque ***


 *Ho creato una playlist su Spotify contenente tutti i brani che rappresentano i Mikistiel, ogni parte della storia e che aggiornerò ad ogni capitolo. Se vi va di ascoltarla o dare un'occhiata vi lascio il link:

Mikistiel (Ubriaca d'amore, ti odio!)

https://open.spotify.com/playlist/67MzWudHr4Rfdvl9UUqVM0?si=rhu0uVn5RNamL-ZP8KQHug

-

 

Capitolo 53

Dovunque



🎶Ed Sheeran ~ Happier🎶 

🎶Niall Horan - Everywhere🎶

"Entri nella stanza ed io divento silenzioso
Incontro il tuo sguardo e non batto ciglio
Sembra che il mondo ci abbia chiusi su un'isola
Un'isola senza onde

Ho provato e provato a dimenticarti
Provo e provo a cancellarti
Ma tu non sparisci

Sembra che ogni volta che giro l'angolo, tu sia proprio lì
Oltre le mie spalle, sei ovunque
Giuro che è difficile pensare, è difficile respirare quando tu sei nell'aria
Ho provato a scappare, ma tu sei ovunque io vado
Quando penso di essere solo
Con il mio cuore sotto controllo
Perché amarti non è giusto?
Tu sei ovunque

Il pavimento sotto i miei piedi è un po' più freddo
Vedo il tuo viso in persone che non conosco
Sembra che il mondo stia girando in slow motion
E io sono bloccato in un solo posto

Tu sei ovunque
Ovunque io vada
Ma adesso non sei ancora qui"

 

***

Castiel

A volte può essere un'immagine. Una di quelle incise nella mente, una di quelle che hai sempre dentro la testa anche se col tempo speri si sbiadisca, una di quelle che il dolore si può sentire sulla pelle, così forte quasi da graffiarla. A volte può essere un odore, uno di quelli che mentre cammini per strada pensando al casino di tutta la tua fottuta esistenza ti ferma. Uno di quegli odori, profumi, aromi che ti entra dentro e ti riempie. Uno di quelli che è capace di scuoterti sfiorandoti anche solo per un secondo. Oppure può essere una frase. E beh... Le frasi sono parole non dette, lasciate in eredità al vento. 

Quante parole pronunciate senza valore, quante promesse fatte e non mantenute, e quanto, quanto amore a senso unico era stato sprecato. Io avevo sprecato il suo. 

Ma il bello dei ricordi è proprio questo: quando sfiorano quella piccola parte di felicità che ancora ti è rimasta dentro, riescono a farti quasi sorridere per quei lunghi, lunghissimi cinque secondi. 

A me succedeva spesso dopo aver conosciuto lei.

La sera prima del concerto dei Drunkers a Parigi, vagai per le strade della mia città natale verso una meta suggerita da Lysandre: il Saloon Western Bar, nonché il locale dove lavorava Miki. D'accordo... Avevo costretto il mio amico a rivelarmi l'indirizzo, promettendogli solennemente che non avrei inscenato una rissa nel caso in cui l'avessi vista in compagnia del suo nuovo ragazzo. Se fosse stato per Lys, mi avrebbe volentieri legato ad una sedia fino al giorno dopo per evitare di complicare ancor più le cose. 

Camminai con andatura lenta le mani in tasca, scalciando dei sassi e fischiettando per stemperare la tensione. Mi ero promesso di lasciar andare Miki e l'avrei fatto dopo aver visto con i miei stessi occhi la felicità nei suoi. 

Una volta giunto sul posto, mi poggiai ad una macchina parcheggiata difronte al locale e mi accesi una sigaretta; per evitare di rovinare la voce - sotto indicazione dei vocal coach - stavo fumando sempre meno ma, nelle occasioni di forte stress come quella, necessitavo ancora di una dose di nicotina. Dopo circa cinque minuti dal mio arrivo vidi parcheggiare un Audi, proprio davanti al locale; alla guida si trovava un ragazzo e dal lato passeggero una ragazza. La mia. Lui le aprì lo sportello e la fece scendere, io probabilmente non l'avrei mai fatto. Non era da me. Un forte senso di fastidio si fece sentire per tutto il corpo; avrei tanto voluto pestare quel tipo troppo pappa-molle per i miei gusti. 

"Molto educato e gentile, vorresti dire", mi punzecchiò la coscienza del cazzo. 

Quando le mani della ragazza afferrarono quelle dello stronzo, sentii un colpo secco al centro del petto. Era lei. Cercai di avvicinarmi senza farmi vedere e per mimetizzarmi approfittai della scarsa illuminazione e della gran quantità di auto parcheggiate in quella zona. 

E così la vidi. La vidi in tutto il suo splendore: i capelli ramati, più lunghi di come li ricordavo, ma sempre naturalmente ondulati come piacevano a me. La vidi nonostante la luce fioca dei lampioni, la vidi stringere tra le braccia il corpo di un altro che non era il mio. Fu una sensazione terribile, opprimente, faticai a respirare. Fu peggio di ricevere un pugno al centro dello stomaco. Mi sforzai a restare fermo, immobile, mentre la ragazza che amavo baciava un altro ragazzo che non fossi io. Strinsi le mani a pugno lungo i fianchi, serrai gli occhi, inspirai ed espirai tentando di calmarmi. Sognai di pestare a sangue quel tipo, pensai a tutti i metodi di tortura per farlo soffrire. Avrei tanto voluto correre fin lì per separarli, per cancellare dalla faccia della terra quel coglione, ma non potevo farlo. Lo avevo promesso a Lysandre. 

Per sbollire la rabbia mi concentrai su Miki. Non era cambiata poi tanto. Era bellissima, forse ancor più di come appariva nei miei sogni. I lineamenti dolci, l'espressione serena nonostante ne avesse passate tante, riusciva a spiazzare e conquistare chiunque e persino un tipo burbero come me. La mia Ariel era perfetta. 

Aveva infranto il nostro patto. L'ultima volta che ci eravamo visti le avevo chiesto di aspettarmi regalandole una collana con dentro la nostra foto, ma lei non l'avevo fatto. Non mi aveva aspettato per tornare a casa, anzi probabilmente aveva addirittura gettato nell'immondizia quel pensierino insieme alla mia richiesta, alla mia speranza. 

"Lei non ha mai accettato la tua richiesta. Non ti ha mai promesso che ti avrebbe aspettato", mi ricordò una fastidiosa vocina nella mia testa. Dovetti darle ragione. Maledizione!

Fui richiamato alla realtà quando vidi il tipo di Miki sussurrarle qualcosa all'orecchio per farla ridere e lei lo fece. Dio se lo fece. Fu capace persino d'illuminare la notte con quel sorriso... Quel sorriso così potente e addirittura in grado di migliorare le mie giornate più buie. Quel sorriso giunto fino alla mia anima dannata da qualche mese stava curando qualcun altro che non ero io. Javier: così si chiamava il coglione che l'aveva corteggiata per un anno intero. Era lui il ragazzo fottutamente fortunato che avrebbe ricevuto l'amore della piccola Miki, l'amore che non ero stato capace di accettare. Ma lui... Lui lo meritava quel sorriso? Egoisticamente pensai di no, ma una scossa lungo la colonna vertebrale che si espanse in tutto il corpo mi suggerì il contrario. Li osservai, sembrava avessero complicità. Ridevano più di quanto l'avessimo fatto noi e sembravano felici, ma lo erano per davvero? 

Nessuno l'avrebbe ferita come avevo fatto io, vero, ma nessuno l'avrebbe amata come me. Amore: quel sentimento che da troppo tempo mi ostinavo a reprimere e che era giunto alla massima capacità di sopportazione prima di esplodere. Probabilmente finalmente sarei stato in grado di donarle ciò che due anni prima mi aveva supplicato di provare ad offrirle, ma a chi importava ormai? 

Quella sera, ad un certo punto, mi sembrò avesse lo sguardo posato su di me, parve che i nostri occhi si scontrarono prima che lei entrasse in quel locale. Il muscolo non più ghiacciato al centro del petto smise di pompare, sgranai gli occhi e rimasi senza fiato. L'osservai con la bocca schiusa, come un cretino totale. E lei tremò nonostante il caldo, nonostante fosse nelle braccia di un altro. Non mi aveva dimenticato. Poi, come se fossi solo un misero frutto della sua immaginazione, scosse la testa e tornò a prestare attenzione al suo ragazzo. Una morsa al centro dello stomaco per la delusione. Probabilmente immaginai tutto, ma fu un attimo... La mente ed il cuore nero si ricoprirono di ricordi soltanto nostri, ricordi che nessuno dei due avrebbe mai più vissuto con nessun altro. Ne eravamo consapevoli entrambi. Era un dato di fatto.

C'erano ancora quei ricordi che soffiavano sulla polvere che pensavo si fosse posata sui demoni interiori e in quel preciso momento sentii qualcosa dentro di me spezzarsi. Ancora e ancora, e poi di nuovo quel dolore. Dio quel dolore... sembrava avere vita propria per le urla che provocava. Quel dolore a cui avrei voluto oppormi così tanto da diventarne parte integrante, ma col quale avrei finito per convivere tutta la vita. Perché quello succedeva a chi era costretto a combattere per troppo tempo, a chi non si arrendeva mai. E alla fine diventò ciò che stavo cercando di sconfiggere. L'amore. 

Chi l'avrebbe mai detto? Castiel Black innamorato. Quel verbo faceva ridere anche se posto a fianco al mio nome soltanto per sbaglio. Come diavolo ci ero arrivato a quel punto? 

E mentre le seghe mentali proseguivano ad oltranza nella mia testa, lei entrò nel bar stringendo tra le dita le mani del suo nuovo ragazzo e scomparendo dalla mia vista. Sembrò un sogno, uno di quelli che da due anni a quella parte facevo spesso, quasi tutte le notti. E come una dolce e piacevole illusione, se ne andò velocemente. Non l'avrei più rivista.

Quella notte ritornai a casa con il cuore più pesante di prima, la mente annebbiata di ciò che eravamo stati, il rimorso di non aver fatto abbastanza per trattenerla ed il rimpianto per ciò che saremmo potuti essere. No, non ero in grado di lasciarla andare. Non ancora. 

Seduto in un angolo della mia vecchia camera, ogni cosa mi ricordò lei. Il letto, il pavimento, il tappeto, i muri, la scrivania. Ad un certo punto presi a pugni il cuscino perché non conservava più il suo profumo. Dio... quell'odore di vaniglia mi aveva fatto impazzire per un anno intero. A distanza di due anni ne ricordavo a malapena la fragranza. Dannazione! Mi portai le mani tra i capelli e urlai per la disperazione. Perché quella morsa al centro del petto si ostinava a restare anche dopo aver visto la verità coi miei stessi occhi? 

Lei. Stava. Con. Un. Altro. Di quali altre dimostrazioni avrei avuto bisogno per rassegnarmi? Ma io non ci riuscivo. Non ci riuscivo proprio a vivere senza di lei. Era passato sin troppo tempo. 

Io avevo bisogno di lei.

Ne avevo talmente bisogno da non riuscire a respirare. Mi mancava l'ossigeno. 

Bevvi una, due, tre bottiglie di rum per cercare di colmare quell'assenza, per evitare di correre a casa sua e farla mia in tutti i modi possibili ed immaginabili. Ma lei restò anche in quel caso, anche coi capogiri. Era davanti agli occhi, nella mente e nel cuore che si faceva beffa di me. Quello era il prezzo da pagare per averla fatta soffrire. Meritavo tutta quell'agonia.

E dopo aver svuotato tutte quelle bottiglie, dissi a me stesso: "Sei più felice, non è così?"

No che non lo ero! Quel poco di felicità e spensieratezza ero riuscito ad averli soltanto con lei molto tempo prima. Come potevo rassegnarmi davanti a quel dato di fatto? Come potevo non odiarmi per averla ferita, per averla lasciata scappare? Ero stato un coglione. Il peggiore coglione della storia. 

I miei amici sostenevano che anch'io sarei stato felice prima o poi, ma non credevo molto a quelle supposizioni. Nel frattempo e fino ad allora avrei sorriso falsamente per nascondere la verità: io ero più felice con lei.

Quella notte non dormii. Infilai un paio di guantoni e riversai tutta la rabbia su un sacco da boxe. Immaginai il volto pulito di Javier, a tutti i modi per sporcarlo e sfigurarlo. Perché se lei non avesse scoperto il meglio, probabilmente sarebbe tornata da me. Ero egoista, lo sapevo. L'essere più spregevole che potesse esistere. 

Tutti dicevano: "se la ami, lasciala andare", ma io non ero di quell'avviso. Perché se la ami fai di tutto per non lasciarla andare. 

"E tu cos'hai fatto, Castiel?" m'interrogò la mia coscienza. L'avevo lasciata andare temporaneamente. La volevo di nuovo con me. 

Nel cuore della notte presi gli spartiti contenenti tutte le canzoni e ne cambiai una; chiamai il resto dei componenti della band per avvertirli e per poco non mi mandarono uno scagnozzo per farmi uccidere. Nonostante li avessi interpellati a quell'ora, si mostrarono accondiscendenti e acconsentirono a quello che avevo in mente. Loro... si fidavano di me più di quanto io stesso mi fidassi delle mie capacità e reazioni. 

"Nessuno ti ha ferito come ho fatto io, ma nessuno ha bisogno di te come me. 

So che ci sono altri che ti meritano, ma continuo ad essere ubriaco di te."


-

Miki

Javier mi piaceva, ma non era Castiel. Per un anno intero avevo rifiutato di lasciarmi andare con lui per via di quel dato di fatto. Più mi sforzavo a non pensare al rosso e più lui mi si presentava davanti. Ma bastarono un paio di titoli scritti a caratteri cubitali sui vari giornali o social per farmi cambiare idea: Castiel il playboy, Castiel colpisce ancora, Castiel in compagnia di due sorelle modelle, Castiel il donnaiolo che entra ed esce da hotel o case di donne dello spettacolo. Non c'era giorno in cui non mi svegliavo con notizie di quel genere. E faceva male, sarebbe stato inutile sostenere il contrario, ma furono proprio quegli articoli ad aprirmi gli occhi definitivamente: lui mi aveva dimenticata. E avrei dovuto farlo anch'io. Ad ogni costo.

Così provai a guardare con altri occhi qualsiasi ragazzo mi stesse vicino e Javier attirò maggiormente la mia attenzione. Capii non fosse un donnaiolo, che non fosse così scemo come si era presentato il primo giorno in cui ci eravamo conosciuti. In quell'occasione voleva soltanto fare colpo su di me e aveva adottato un metodo che poi capì non funzionare. Durante il resto dell'anno mi riempì di attenzioni, aveva occhi solo per me. Con lui non esisteva nessuna ex ragazza pazza, nessun patto o ricatto, nessuna anima nera, cuore di pietra, arroganza o superiorità. Era un ragazzo semplice e desideroso di donare affetto. Proprio ciò che necessitavo. Avevo bisogno di serenità, di avere un rapporto sano senza nessun vortice improvviso in grado di lasciarmi svenuta sull'asfalto. E Javier era il ragazzo perfetto. 

Da quel giorno in poi divenni una persona nuova, perfino i miei amici rimasero stupiti di quei miglioramenti. Mi chiusi in casa a studiare per il mio futuro. Insieme a Rosalya, feci domanda per entrare all'Università della moda di Parigi; era una delle migliori al mondo. Lei avrebbe preso il ramo del design ed io del business. Mi sarebbe piaciuto lavorare in una rivista di moda e magari un giorno gestirne una tutta mia. Zia Kate sosteneva dovessi seguire le sue orme ed iscrivermi alla facoltà di legge, ma non faceva per me. Non mi feci condizionare da nessuno. Fui fiera di me stessa quando terminai il portfolio: quello sarebbe stato il mio bigliettino da visita.

Tornai a sorridere, ad essere serena e soprattutto: non parlai mai più di Castiel. Obbligai qualsiasi persona che lo conosceva o che aveva sue notizie a non nominarlo mai più in mia presenza. Decisi volutamente di non raccontare neanche a Javier sui miei trascorsi con la superstar che tanto venerava. Ancora era convinto che anch'io fossi una sua ammiratrice dopo l'episodio di due anni prima; spesso capitava che lui cantasse le sue canzoni, ma in un modo o in un altro riuscivo a cavarmela senza pensare al rosso come il mio primo amore. Non soffrivo più per Castiel, mi ero semplicemente rassegnata all'evidenza. E così vissi meglio. 

Poi ci fu un giorno in cui i ricordi riaffiorarono in superficie giocandomi brutti scherzi. Lo vidi nell'oscurità della notte davanti al locale in cui lavoravo. Io abbracciavo Javier e Castiel mi guardava sconcertato. Probabilmente non ero così forte quanto mi piaceva sostenere, ma ogni tanto il cuore mi tradiva ricominciando a battere più del dovuto. Non potevo permetterlo. Quella stessa sera scossi la testa e cancellai quegli occhi grigi, sostituendoli con un paio verdi che mi fissavano affettuosamente. Ci riuscii. 

***

22 Luglio 2017

Quel Sabato Javier mi chiese d'uscire, era il nostro quinto appuntamento. Non stavamo ancora insieme ufficialmente, ma ci stavamo frequentando da due mesi. Entrambi volevamo fare le cose con calma. 

Per quella sera mi chiese d'indossare un abbigliamento casual, così optai per una salopette a pantaloncino verde. Mi truccai leggermente e legai i capelli in una crocchia, visto il caldo afoso che percepii sin dentro casa. 

Quando Javier suonò al citofono ero pronta; mi disse di aspettarlo dentro casa. Una volta dentro tirò dalla tasca dei suoi jeans una benda nera. Cosa aveva intenzione di fare? Per i giochi erotici non ero ancora pronta. Lo guardai sospettosa incrociando le braccia al petto. 

«Non ho intenzione di rapirti o stuprarti, tranquilla» sorrise di sbieco provando a tranquillizzarmi, ma non ci riuscì. «Devo solo metterla sui tuoi occhi per non farti capire dove andremo», mi spiegò guardandomi con quegli occhi verdi profondi che mi avevano colpito sin dal nostro primo incontro.  

«Va bene, fai pure» titubante lo invitai a proseguire con il bendaggio. 

Percepii uno strano senso d'inquietudine sin dentro le viscere, avevo un brutto presentimento. Legò la benda lentamente e con dolcezza, facendo attenzione a non tirare o sciogliere i capelli. Sospirai quando finì. 

«Vieni con me», sussurrò poggiandomi le mani sulle spalle e mettendosi dietro di me, avvertendomi a voce quando c'era un gradino da scendere. 

Uscimmo da casa molto lentamente, ma alla fine ci riuscii senza inciampare o cadere. L'aria era calda, troppo per essere già sera. 

Una volta seduta in macchina potei tirare finalmente un respiro di sollievo. 

«Perché non me l'hai messa direttamente qui la benda?» gli chiesi indicando la macchina. Sarebbe stato tutto molto più semplice. 

«In realtà... Non ci ho pensato», lo immaginai a sfregarsi la nuca. Era un gesto che faceva spesso.

La sbadataggine era un aspetto del suo carattere che mi faceva tenerezza. Sorrisi davanti alla sua confessione. Era anche molto sincero, forse troppo. Spesso non rifletteva abbastanza, non badava al fatto che con le sue risposte secche e schiette avrebbe potuto spiazzare chi gli stava intorno, ma pian piano mi stavo abituando a lui e a conoscerlo meglio.  

Un rumore sordo mi distolse dai pensieri. Il rombo dell'auto segnò la partenza per quella meta a me ignota. Fu una sensazione strana essere costretta a dover fare affidamento solamente sull'udito. Tutti i suoni sembrarono amplificarsi, restai piacevolmente sorpresa da quell'esperienza alternativa. I rumori ed i suoni della città di Parigi non erano mai stati così affascinanti e fastidiosi al tempo stesso. Mi sentii confusa ma libera. Mi sporsi leggermente verso il finestrino abbassato, l'aria calda mi colpì il viso. 

«Sono sicuro che resterai stupita questa sera», nella voce percepii emozione e felicità che trasmise anche a me. Gli sorrisi cercando la sua mano e quando la trovai gliela strinsi. 

Javier non era tipo da uscite originali o stravaganti e, da quando ci frequentavamo, il massimo che era riuscito ad organizzare erano le cene in ristoranti stellati accompagnate da mazzi di fiori ed il cinema con tanto di M&M's e popcorn. Finiva lì. Non che mi lamentassi o pretendessi altro, ma... Niente giochi, frasi scritte sui vetri, cacce al tesoro, parchi floreali, giardini in terrazza, case sull'albero o spiagge mozzafiato. L'altro ragazzo sarebbe stato difficile da superare, oserei dire impossibile. Scossi impercettibilmente la testa non appena i pensieri vagarono dove non potevano più permettersi di andare e tornai a concentrarmi su Javier. Quella fu la prima volta in cui mi stupì, in cui decise di sforzarsi per uscire fuori dall'ordinario. Non avevo idea di dove fossimo diretti: probabilmente ad una cena in una location particolare; non sapevo cos'altro aspettarmi. 

«Quanto manca?» gli chiesi per la milionesima volta.

«Non molto», rispose carezzandomi una gamba. 

Durante tutto il tragitto mi sentii confusa, persi la cognizione del tempo oltre che del luogo. Trascorse all'incirca mezz'ora e ad un certo punto iniziai ad agitarmi sul sedile: la benda mi provocò un forte prurito, percepii il fondoschiena indolenzito appiattirsi. Quando m'informò che fossimo giunti a destinazione tirai un respiro di sollievo. Finalmente. 

«Non levartela», mi ammonì, scendendo dalla macchina, non appena vide portarmi le mani sulla benda. Ero impaziente. 

«Dove siamo?» gli domandai muovendo la testa inutilmente, quasi come se volessi guardarmi intorno. Niente. Non vedevo proprio niente. Tutto buio. Sentii solamente lo stridere delle gomme sull'asfalto, quasi sicuramente dovevamo trovarci in un parcheggio sotterraneo con le pavimentazioni in linoleum.

 Quale razza di ristorante avrebbe avuto dei parcheggi del genere? Probabilmente era un locale situato all'interno di un centro commerciale. Maledizione! Se Javier non si fosse dato una mossa, la curiosità mi avrebbe uccisa viva. 

Subito dopo, quasi come se avesse il potere di leggermi nella mente, aprì lo sportello del passeggero e stringendomi le mani mi aiutò a scendere dall'auto. Mi pervase una ventata di aria cocente. «Ti prometto che a breve capirai tutto», bisbigliò nell'orecchio per poi afferrare le mani e trascinarmi presso la misteriosa meta. «Siamo in leggero ritardo, accelera il passo» e di conseguenza aumentò la velocità. Per poco non caddi di faccia sul linoleum. 

"Se non avessi questa maledetta benda sugli occhi ti mangeresti la polvere delle mie scarpe per quanto camminerei veloce, babbeo!" 

Per fortuna avevo indosso delle zeppe abbastanza comode, altrimenti quella serata sarebbe proseguita in pronto soccorso. 

Dei suoni acuti provenienti sicuramente da alcuni fischietti mi fecero saltare di qualche centimetro da terra. Javier rise. Dove diavolo ero finita? Ad una partita di calcio? Essendo temporaneamente impossibilitata a disporre della vista, ogni suono era di conseguenza amplificato e mi coglieva di sorpresa. Mi maledissi per l'incapacità di scegliere ragazzi normali con cui avere relazioni. E poi... Per quale motivo avevo acconsentito a farmi bendare? 

«Sto iniziando ad innervosirmi. Voglio tornare a casa!» sbuffai e incrociai le braccia al petto fermando di colpo la mia corsa. Erano cinque minuti buoni che proseguivamo la nostra falcata; Javier avrebbe dovuto rendersi conto prima del tragitto da percorrere con una ragazza bendata a fianco. 

«Proprio ora che siamo quasi arrivati all'entrata?» percepii un tono di delusione nella voce del mio quasi ragazzo. 

Mi dispiacque e mi pentii all'istante per quel mio comportamento infantile visto che non avevo fatto altro che lamentarmi. Doveva tenerci molto alla riuscita di quella sorpresa, ed io chi ero per rovinargliela? Così, dopo un respiro d'incoraggiamento: «D'accordo, muoviamoci però!» 

Javier mi diede un casto bacio a fior di labbra, afferrò nuovamente le mie mani e proseguì la camminata per qualche metro, poi si fermò senza avvertire facendomi sbattere contro le sue spalle. «Entrata VIP», gli disse a qualcuno che doveva essere alla porta del ristorante. Lo sentii bisbigliare qualcosa con chissà chi, ma subito dopo riprese a trascinarmi disorientandomi ancora di più. Salutai per educazione quando passammo accanto a degli uomini che discutevano tra di loro, poi iniziai a sentire una musica farsi sempre più vicina man mano che ci avvicinavamo alla nostra meta. Mi sorprese un brusio in lontananza; troppo elevato per essere in un ristorante. Sembravano quasi urla. Mi aveva portata sul serio ad una partita di calcio? Io odiavo il calcio. 

«Dove siamo?» gli chiesi per l'ennesima volta in quella serata. 

«Siamo arrivati!» si era avvicinato per avvertirmi. 

L'istante dopo sentii l'aprirsi di due porte, la musica sempre più forte, più vicina. Javier si posizionò alle mie spalle, mi guidò per qualche altro metro, ci fermammo e portò le mani sulla benda. 

Era giunto il momento di capire finalmente il motivo di tanto sgomento. Il cuore accelerò la sua corsa. 

«Pronta?» feci cenno di assenso con il capo ed inghiottii un groppo di saliva. 

Quando venni liberata faticai a focalizzare il posto in cui mi trovavo; era tutto buio. Strizzai gli occhi, aprii e chiusi velocemente le palpebre e poco dopo riuscii ad avere una visione parziale del luogo. Davanti a me si ergeva un palcoscenico rettangolare enorme con tanto di passerella e luci in ogni angolo, una batteria, tante chitarre in fila, un pianoforte e un'asta con microfono al centro. Mi voltai in tutte le direzioni per guardarmi intorno e c'era gente ovunque, intrattenuta dalle casse che riproducevano brani di ogni tipo. Noi eravamo proprio ai lati della passerella. La struttura era all'aperto e a forma ovale, faceva impressione se vista dalla prospettiva in cui ero io in quel momento. Mi sentii un puntino minuscolo se messa a confronto ad un posto maestoso con capienza di centomila persone come quello. E non ebbi più dubbi: ci trovavamo allo Stade de France. Era lo stadio più grande di tutta la Francia. 

«Siamo arrivati giusto in tempo», Javier mi affiancò entusiasta mentre intravidi delle ombre salire sul palco. «Te la saresti mai aspettata quest'uscita?» 

Corrugai la fronte e non risposi. 

Cos'avrei dovuto dire se non avevo neanche idea di cosa stessimo facendo in uno stadio gigantesco come quello? 

«Ho preso di proposito questi posti, sono i migliori. Spero ti godrai questa serata. Te la meriti!» mi lasciò un bacio sulla fronte e socchiusi gli occhi per quel contatto piacevole. Effettivamente quelli erano i posti della fila Vip, la prima per giunta. Dovevano aver avuto un costo eccessivo. Ma perché l'aveva fatto? 

Appena mi decisi ad aprir bocca per renderlo partecipe dei miei pensieri, fui distratta dal suono della batteria che testimoniò l'inizio di quello che intuii sarebbe stato un concerto. Un istante dopo fece ingresso il cantante, tutte le luci si puntarono su di lui, le fan iniziarono ad urlare il suo nome.

Ed io per poco non svenni. 

Come poteva essere vero? Perché stava accadendo proprio a me? 

Il cuore mi uscì dal petto e risalì fin dentro le orecchie, prese a battere velocemente come non faceva più da qualche anno. 

Castiel era proprio lì, a pochi metri da me, in tutto il suo splendore. 

Iniziò a cantare e mi s'inumidirono gli occhi, le lacrime minacciavano di fuoriuscire. Pensavo di averle terminate da un bel po', ma invece eccole nuovamente lì... Ritornavano e scendevano solo per lui. La sua voce. 

La sua fottutissima voce. Cazzo. Non sentivo dal vivo quel suono rauco e sensuale da troppo tempo. Mille pensieri e sensazioni si sovrapposero tra loro. Avrei voluto urlare, rompere qualsiasi cosa, picchiare qualcuno. Non era giusto. Perché stava accadendo? Perché mi trovavo ad un suo concerto?

Tutto il corpo fu scosso da brividi, era il suo modo di reagire a chi lo aveva venerato. 

La sua presenza mi tolse il fiato, perché Castiel era stato capace di rubarmi persino quello. 

Le gambe mi cedettero, dovetti sedermi sulla sedia dietro di me per non rischiare di cadere. Javier non si rese conto della mia reazione, era stato totalmente stregato dal carisma del ragazzo che stava cantando su quel maledetto palco da non calcolarmi più. Amava quella musica. Ma se solo avesse saputo la verità...

Il mio amico tempismo tornò a bussare alla porta                    

Il mio amico tempismo tornò a bussare alla porta. Avrei tanto voluto strapparmi i capelli uno ad uno dalla disperazione. Perché doveva per forza riapparire proprio quando stavo iniziando a vivere meglio?  

Indossava dei jeans sdruciti ed una canotta nera con sopra una camicia a quadri aperta. I suoi capelli erano corti, ma non troppo, alcuni ciuffi ribelli gli ricadevano sulla fronte. Il color cremisi della capigliatura che l'aveva da sempre distinto dal resto del mondo era scomparso, ma era bellissimo anche con il suo colore naturale. Anzi... Il nero risaltava ancor di più quegli occhi grigi che mi avevano affascinata sin dal primo giorno. 

Quando Javier si voltò nella mia direzione mi sforzai a fingermi felice di quella sorpresa, sebbene in realtà volessi strozzarlo per aver contribuito a riaprire le cicatrici provenienti dal passato. Mi alzai in piedi, gli diedi un bacio a fior di labbra e mostrai un sorriso finto, me la cavai con poco. Non mi conosceva bene, non era ancora capace di leggermi dentro e al momento mi andava bene così. 

Ad un tratto mi sentii richiamare da una forza sovrannaturale ed inspiegabile che mi costrinse a puntare lo sguardo davanti a me. Avrei tanto voluto scomparire sotto terra quando i miei occhi si scontrarono con i suoi strabuzzati dalla sorpresa. Ovviamente non si aspettava di vedermi lì al suo concerto, proprio in prima fila tra l'altro. Non mi sorrise, al contrario interruppe subito il contatto visivo voltandosi e allontanandosi più che poteva da quella zona. M'invase un moto di delusione e i battiti del cuore diminuirono improvvisamente. Ma cosa pretendevo? Che fermasse la musica, scendesse dal palco per abbracciarmi e baciarmi? Noi non eravamo più niente, tentai d'imprimere nella mente quel dato di fatto.

Era passato molto tempo, la sua infatuazione nei miei confronti era terminata alla velocità della luce così com'era iniziata. E anch'io... Non provavo più quell'amore viscerale: quel dolore incontrollabile dovuto alla perdita si era assopito nel tempo. E allora perché me ne stavo lì ferita nell'orgoglio per non esser stata minimamente considerata dal mio ex? Probabilmente quando si trattava di lui mi sarebbe per sempre rimasto l'amaro in bocca; non avevamo mai chiarito sul serio le nostre posizioni e pensieri in merito ai comportamenti dell'altro. Ci eravamo solo urlati contro, accusati e non eravamo mai riusciti a goderci a pieno la nostra storia. Sapevo che Castiel avesse tanto da dare se solo si fosse donato un po' di più...

Scossi la testa e chiusi gli occhi per qualche istante; dovevo smettere di fasciarmi la testa sul passato. Non aveva senso rimuginarci sopra a distanza di anni. Mi sarei comportata da donna matura quale stavo diventando, mi sarei sforzata ad ascoltarlo cantare, indossando una delle mie tante maschere. Un tempo mi riusciva bene. Così riaprii gli occhi con una convinzione diversa: avrei messo da parte i sentimenti, si trattava solamente di poche ore, poi la mia vita sarebbe tornata alla normalità, alla semplicità. 

E durante la prima mezz'ora mi riuscì bene: strinsi la mano di Javier, mi sforzai di non concentrarmi troppo sul cantante guardando altrove quando era troppo vicino. E lo stesso fece Castiel. Come se non ci fossimo mai conosciuti. Come se la nostra storia fosse stata solamente un'illusione... una dolce, straordinaria illusione. Mi andava bene così. Doveva per forza. 

Notai tantissime ragazze cantare a squarciagola le sue canzoni. In molte indossavano delle bandane con sopra i volti dei componenti della band, altre con la scritta "The Drunkers" a caratteri cubitali e altre ancora con solo il nome ed il volto di Castiel. Come avevo fatto a non rendermene conto prima? Era diventato l'idolo di milioni di ragazze ed io me ne resi completamente conto soltanto in quel momento. Covai dentro di me un po' di gelosia, ma tentai di spazzarla via subito; tutto ciò che avevo da sempre apprezzato in lui era bramato da altre migliaia di persone e quel dato di fatto mi spiazzò completamente. 

Intratteneva il pubblico come se fosse da sempre una sua dote naturale; su quel palco fu carismatico, sicuro di sé e persino simpatico, per niente paragonabile al ragazzo burbero, arrogante e poco loquace che avevo imparato a conoscere qualche anno prima. Feci fatica a riconoscerlo. Sicuramente aveva dovuto lavorare molto per migliorare quell'aspetto del suo carattere. Brillava di luce propria: con la sua personalità fu capace di riempire il palco. Non potei fare a meno di guardarlo con ammirazione. Ero fiera di lui e di come, nonostante tutto, fosse riuscito a realizzare il suo sogno più grande. Probabilmente risultai stupida o troppo buona nell'avere quei pensieri sulla persona che mi aveva pugnalata più di chiunque altro, visto che - tra l'altro - il successo era stato una delle tante cose ad aver contribuito alla nostra separazione, ma non m'interessava. Non più. Perché vederlo su quel palco, così perfetto e maturo, schermì qualche piccola ferita.  

E se - come direbbe Confucio - le stelle sono buchi nel cielo da cui filtra la luce dell'infinito, Castiel era diventato una di quelle. Brillava sotto la luce dei riflettori per la sua bravura e perfezione. Anche i suoi difetti divennero pregi. Si trasformò in un essere perfetto tra le mille imperfezioni del mondo. 

«Stasera finalmente potrò cantare questo brano alla persona per cui l'ho scritto, peccato stia qui con un altro...» palesò con un sorriso sfacciato distogliendomi dai pensieri che - guarda caso - erano pur sempre indirizzati su di lui. 

No, non era cambiato in fondo. Castiel continuava pur sempre ad avere il suo carattere, ne aveva solamente migliorato i contorni. Si sentì supportato da quasi tutta la folla di ragazzine che continuavano ad urlare ad ogni sillaba pronunciata da lui. 

"Aveva l'oceano negli occhi, l'anima in tempesta, il cuore un continuo maremoto e la mente un immenso abisso di tesori". Era l'esatta rappresentazione di Castiel. Un tornado in persona. L'autrice di quella frase non avrebbe potuto trovare parole migliori per descriverlo. 

«L'ho conosciuta un paio di anni fa, insieme ne abbiamo passate tante. Questa è per lei, per ringraziarla. Perché è l'unico modo che conosco per dirle come mi sento. Spero vi piaccia».

Istintivamente mi portai una mano sul petto, lì dove continuava ad esserci lui. Lì... l'unico muscolo in grado di non mentire dinanzi all'evidenza. Stava parlando di me? Durante tutti quegli anni avevo deciso volutamente di non ascoltare le sue canzoni, per non avere delusione o speranza, ma quella sera non sarei più potuta scappare. Quando Javier le riproduceva in mia presenza, potevo infilare gli auricolari al mio telefono e ascoltare tutt'altra musica, ma in quell'occasione non sarebbe stato possibile. 

«Siamo fortunatissimi ad essere qui questa sera!» Javier urlò nel mio orecchio con entusiasmo. «C'è anche la sua musa, ti rendi conto? Non era mai andata ai suoi concerti», reagì da fan accanito qual era. Gli sorrisi di rimando con tanto di occhiolino, ma in realtà avrei voluto strozzarlo con le mie stesse mani. 

Non sapevo più come comportarmi: sarei tanto voluta fuggire a gambe levate lontana da entrambi e dal mondo. Ma bastarono le prime note di quella canzone ad incollarmi sulla sedia della zona vip nello Stade De France di Parigi. A differenza dei precedenti brani suonati durante il concerto, quello era più dolce. Castiel si sedette al pianoforte per cantarla. Era in inglese, lenta e melodiosa. Improvvisamente ripensai ad ogni nostro battibecco nato a causa dei gusti musicali differenti: per lui esisteva solo la musica rock. Eppure il brano che stava suonando era palesemente un "pop smielato", come l'avrebbe definito lui stesso. Mi balenò nella mente che l'avesse fatto per me. Eravamo lontani, ma quelle frasi mi arrivarono dritte al cuore.

"Era una notte di primavera quando mi rubò il cuore.
Su quella spiaggia buia, piena di segreti e parole non dette, lei era la luce.
Sedeva sopra di me nuda, i capelli ramati e svolazzanti, gli occhi luccicanti,
mi stregò come una sirena ammaliatrice."

Melodia dolce e voce rauca ma soave: non avrei mai neanche lontanamente immaginato di poter associare quegli aggettivi a Castiel. E invece con lui non si finiva mai d'imparare. 

Il brano era palesemente scritto per me. Non avevo più dubbi. Una lacrima solitaria mi rigò il volto davanti a quella realizzazione. Ero... emozionata, estasiata, arrabbiata. Mille sensazioni, sia positive che negative, si mescolarono e si sparsero tra il cuore, lo stomaco e la testa. Non capivo più nulla. 

"La mia Ariel, esiste solo lei per me.
La mia Ariel, voglio solo lei per me.
E ora che non è più con me, mi manca.
Non vivo. 
Non dormo."

Poggiai istintivamente le dita sul tatuaggio che mi ero regalata al compimento della maggiore età e serrai per qualche secondo gli occhi. Poi li riaprii: come potevo credergli? Perché non mi aveva cercata per tutto quel tempo? Una seconda ed una terza lacrima si unirono alla prima rovinando definitivamente quel poco trucco che avevo sul viso. "La mia Ariel", aveva detto facendomi rabbrividire, nonostante ci fossero trenta gradi fuori. La sua Ariel. Sua. Probabilmente per l'eternità. 

"Mi perdo dentro mille corpi sperando di dimenticarla, ma lei è sempre lì. 

Mi hanno detto che sta uscendo con un altro, non ci credevo, ma l'ho visto con i miei stessi occhi: era felice!"

Lui... mi aveva vista? Quando aveva scritto quella canzone? La quarta goccia scese dall'occhio destro facendomi sprofondare nuovamente nell'oblio. Non potevo. Non dovevo. Non di nuovo. Non per lui. 

"Lei voleva solo volare.

Io l'ho lasciata affogare.

Nessuno ti ha ferito come ho fatto io, 

ma nessuno ha bisogno di te come me. 

So che ci sono altri che ti meritano, ma continuo ad essere ubriaco di te."

Quei versi brevi e coincisi mi fecero tremare il muscolo cardiaco per l'ennesima volta in quella serata. Le ultime frasi erano rivolte direttamente a me e si voltò dal mio lato per cantarle. Eravamo distanti, ma sembrò quasi che ci stessimo sfiorando la pelle con lo sguardo. Ed io mi sentii sfiorare il cuore. Di nuovo. Dannato farabutto!

Asciugai la quinta goccia strofinando con forza un fazzoletto sulle guance arrossate. Era ancora ubriaco di me. Aveva bisogno di me. Quelle frasi non sarebbero mai più uscite dalla mia testa, mi avrebbero perseguitato fino all'ultimo respiro, lo sapevo già. 

"So di aver sbagliato a lasciarti andare,
ma tu per favore non andartene per sempre.
Ed anche se l'hai già fatto ti aspetterò comunque.                                               

Perché so che nulla potrà mai cancellare quello che siamo stati."

E quella fu la fine. La mia. Scoppiai definitivamente a piangere senza un briciolo di dignità, senza badare a Javier che mi guardò incredulo strabuzzando gli occhi. Non piangevo mai. Pensavo di aver terminato le lacrime due anni prima ed invece eccole ancora lì: copiose e fastidiose come non mai. Perché a causa di Castiel ogni patto stretto con me stessa veniva sciolto. Appena si trovava nelle vicinanze ogni mia difesa, ogni muro vacillava per poi crollare.

Avevo provato a dimenticarlo, a cancellarlo da ogni singola parte di me, ma - proprio quando mi sembrava di esserci riuscita - lui ritornava sempre. Era ovunque: nei ricordi, nell'aria, oltre le mie spalle, nei volti della gente, nei luoghi visitati insieme ed anche in quelli sconosciuti. 

Più pensavo di avere il cuore sotto controllo e più Castiel interferiva ovunque io andassi. Si era persino intrufolato nella mente del mio quasi ragazzo indicando se stesso come perfetto quinto appuntamento. 

Era come se il mondo girasse velocemente, mentre io restavo ferma e ancorata ad un solo posto: il suo. Accanto a lui. Dovunque.

 

 

 

_________

🌈N.A.🌈

Hello, sono ritornati i miei orari improbabili di pubblicazione. Perché la notte non è fatta per dormire, si sa 😇

Comunque bando alle ciance: mi ha emozionata molto scrivere questo capitolo e spero sia piaciuto anche a voi. Spero vi abbia trasmesso le mie stesse emozioni. Il prossimo sarà scoppiettante. Preparatevi😏

Javier capirà qualcosa dopo la reazione di Miki alla canzone dedicata a lei da Castiel?

Castiel riuscirà a non correre dalla sua Ariel prima di ripartire? 

Nel prossimo capitolo sarà spiegato il motivo della scelta del titolo che ha la storia. Non vedo l'ora 😍

Prima di salutarvi volevo ringraziare Susy per le sue dritte e correzioni degli errori e soprattutto della punteggiatura dei vari capitoli. Usando un parolone: è diventata la mia editor ufficiale. Grazie mille per il parere sincero che cerchi di darmi in ogni parte della storia. Vale molto per me. Ti sono grata. T.V.B. ❤️

Alla prossima,

Stay safe at home🏡

Buonanotte😴

All the Love💖

Blue🦋 

Ritorna all'indice


Capitolo 59
*** CAPITOLO 54: Ubriaca d'amore, ti odio! ***


Capitolo 54

Ubriaca d'amore, ti odio!

https://open.spotify.com/playlist/67MzWudHr4Rfdvl9UUqVM0?si=rhu0uVn5RNamL-ZP8KQHug

🎶Sam Smith - Too Good At Goodbyes (prima parte capitolo)🎶

So che pensi che io sia senza cuore

so che pensi che io sia freddo

Ma sto solo proteggendo la mia innocenza

sto solo proteggendo la mia anima.

Non ti permetterò mai di avvicinarti a me

anche se per me significhi tanto

Perché ogni volta che ti apro il mio cuore, soffro quindi non mi avvicinerò mai troppo a te anche quando io significherò tanto per te

in caso tu dovessi andartene e lasciarmi nello schifo

E ogni volta che mi ferirai, meno piangerò
e ogni volta che te ne andrai, più velocemente le lacrime si asciugheranno
e ogni volta che te ne andrai, ti amerò di meno
tesoro non abbiamo nessuna possibilità, è triste ma è vero

Sono troppo bravo a dire addio

-

🎶Pia Mia - Bitter Love (seconda parte capitolo)🎶

***

L'amore è come un'altalena: ti spingi da solo, vai piano e sei al sicuro, ma in ogni momento potrebbe arrivare qualcuno alle tue spalle capace di spingerti più forte. Così arrivi in alto e sei felice, ma rischi costantemente di cadere.  

Negli ultimi anni avevo vissuto proprio su un'altalena, alternando momenti di solitudine e sicurezza privi di amore ed attimi di felicità tormentata grazie a quel magico sentimento. Non sapevo quale fosse il periodo migliore; probabilmente nessuno dei due. Se avessi potuto scegliere, avrei sicuramente preferito una vita anoressica di emozioni o quantomeno con sentimenti sani, ma evidentemente il mio cuore doveva pensarla diversamente, viste le molteplici situazioni in cui mi trovavo perennemente. 

Quando il concerto della mitica band di Castiel terminò, Javier non mi fece domande. Si limitò a scrutarmi sforzandosi di capire cosa nascondessi dentro di me, quale fosse la mia storia, il mio passato. Sapevo bene fosse giunto il momento di rivelargli un bel po' di cose, ma non mi andava di farlo subito dopo la serata intensa appena trascorsa. Non dopo aver pienamente realizzato che il mio ex ragazzo era diventato una rockstar. Era assurdo anche solo da pensare. 

Mi sentivo strana, vuota. Avevo lasciato ogni emozione ed energia sotto quel palco, in quello stadio. Castiel mi aveva spiazzata per l'ennesima volta anche a distanza di tempo. Di tanto, troppo, tempo. 

Dopo la mia reazione al brano dedicatomi da Castiel, persino il mio quasi ragazzo perse l'adrenalina che l'aveva accompagnato per tutta la serata. Preferì non indagare, ma comprese anche lui che qualcosa non andava e che probabilmente l'anno prima non scherzavo quando avevo accennato qualcosa sulla mia storia con Castiel. Apprezzai il suo essere discreto, che mi convinse ancor di più sulla sua bontà d'animo. 

Il viaggio di ritorno fu silenzioso, ognuno prestò attenzione ai propri pensieri senza far trapelare nulla. Gli fui grata anche per quello. Era palesemente turbato e teso, reazioni in netta contrapposizione alla felicità e tranquillità avuti durante la prima parte della serata, ma come potevo biasimarlo? Aveva speso mille euro con l'intenzione di passare una serata indimenticabile in mia compagnia, ma dalla quale aveva ottenuto solo un'amara verità che avrei dovuto raccontargli io stessa molto prima e senza attendere che lo scoprisse in quel modo. Nonostante ciò, non sbottò. Probabilmente dovette contare fino a centomila per evitare di farlo. Javier aveva un autocontrollo da far invidia; non potei fare a meno di paragonarlo a Castiel: lui non avrebbe mai avuto quel genere di reazione. Lui... sarebbe esploso, sarebbe salito su quel palco per spaccare il volto del tizio che aveva osato dedicare una canzone alla sua ragazza e avrebbe urlato fin quando non gli avessi dato esaustive spiegazioni. Sorrisi nostalgica a quei pensieri e subito dopo scossi la testa per eliminarlo dalla mente. Non dovevo rimuginarci su. 

«Domani parleremo di tutto», quando Javier fermò l'auto davanti al cancello di casa Rossi, lo salutai con un bacio a fior di labbra. «Perdonami se non l'ho fatto prima», bisbigliai senza riuscire a guardarlo negli occhi. 

«Avrai avuto le tue ragioni per non averlo fatto prima», mi sollevò il mento con due dita e sorrise cercando di trasmettermi serenità. Non ci riuscì ovviamente. 

Mi sentivo colpevole. Ci conoscevamo da un anno ed io gli avevo rivelato poco e niente della mia vita: non l'avevo mai lasciato entrare nella mia camera, non conosceva la mia storia, il mio passato e neanche i miei amici. Che razza di problemi avevo? Donavo tutto a chi non meritava, a chi sapevo potesse ferirmi, mentre allontanavo chi era realmente interessato a me, chi avrebbe sul serio potuto farmi stare bene. 

Quando scesi dall'auto riuscii a sollevare appena gli angoli della bocca, cercando di rassicurare Javier, gli feci un cenno di saluto e subito dopo entrai in casa con l'umore sotto i piedi. 

Avevo rivisto Castiel. Era acclamato da migliaia di ragazzine urlanti, cantava pezzi di vita vissuta con me, tutti erano a conoscenza dei suoi pensieri più intimi da ormai due anni ed io - la diretta interessata - ne avevo avuto pieno apprendimento soltanto quella notte. Non avevo idea di come potessi continuare a vivere spensierata, dopo aver avuto piena consapevolezza di quelle verità. 

Senza pensarci troppo, mi tolsi le scarpe lanciandole in un angolo a caso e andai dritta verso la vetrina di liquori che zia Kate teneva in soggiorno per le occasioni speciali o per se stessa. Spostai il dito indice su ogni bottiglia e quando arrivai a ciò che m'interessava l'afferrai tra le mani. Vodka alla fragola. Una bottiglia intera. Mi aspettava una lunga notte. 

Così la stappai: l'odore pungente del contenuto alcolico mi colpì subito l'olfatto. Iniziai a bere senza badarci troppo, con la speranza di dimenticare per sempre gli avvenimenti di quella serata. Una sensazione di calore mi colpì la bocca che, quando ingoiai il liquido, si espanse insieme al bruciore fino allo stomaco. Il sapore di fragola addolcì leggermente quel sentore acre, rendendo quasi piacevole la bevuta. 

Avrei tanto voluto cancellare dalla mente il volto da angelo del male di Castiel Black, ma sapevo che per quello non sarebbe bastato neanche scolarsi l'intera vetrina di liquori. Avevo lottato tanto contro il mio cuore durante quegli anni, ma era stata sufficiente la sua voce per mettere in discussione di nuovo ogni cosa. Avevo lavorato tanto su me stessa, sul mio carattere, sulle mie reazioni, ma era bastata la sua presenza a pochi metri da me per farmi vacillare nuovamente. Buttai giù un altro sorso di vodka ed il cuore bruciò insieme al corpo. 

Salii le scale barcollando, mi sembrò di esser il personaggio di uno dei videogiochi tanto amati da Armin; i gradini si muovevano. Una volta entrata nella mia stanza, afferrai con fatica il cellulare che si trovava nella tasca posteriore della salopette che indossavo e, senza rifletterci abbastanza, aprii l'applicazione YouTube: scrissi sulla barra di ricerca il titolo del brano di Castiel  dedicato alla sottoscritta e cliccai per ascoltarlo. Quando partì il video, il cuore per poco non mi schizzò fuori dal petto: c'era Castiel in tutto il suo splendore, seduto accanto ad un pianoforte bianco, in una stanza completamente nera. Grazie alla voce limpida e la melodia dolce, le parole mi entrarono dentro finendo per generare un cortocircuito. 

Bevvi un altro sorso di vodka e sospirai. I capelli neri e lisci gli ricadevano sulla fronte aggrottata per la concentrazione, le dita accarezzavano i tasti bianchi del pianoforte; quanto avrei voluto essere al posto di quel pianoforte... Davanti a quel pensiero sbagliato sussultai e mi picchiettai la testa. I primi effetti dell'alcol si stavano già facendo sentire. 

Stavo bevendo per dimenticarlo e mentre lo facevo stavo guardando un suo video su YouTube che lo ritraeva in tutto il suo splendore. Ero la contraddizione in persona.

Un attimo dopo ci fu un primo piano sui suoi occhi grigi e il cellulare rischiò di cadermi dalle mani tremanti. Non poteva sortirmi quell'effetto dopo due anni. Io... Io non ero più innamorata di lui o perlomeno non come un tempo. E allora perché continuavo a sentirmi un'adolescente alle prese con la sua prima cotta? Sbuffai mentre le dita agirono per conto loro, posandosi delicatamente sullo schermo, come per voler carezzare il volto del ragazzo maledetto.

«Sono molto sexy in questo video, vero?» una voce roca sussurrò a pochi millimetri dal mio orecchio. 

Era la stessa voce che stavo ascoltando cantare da oltre tre minuti. La stessa e identica voce che mi aveva torturato per anni, che mi aveva fatto battere all'impazzata il muscolo cardiaco. 

Un attimo. 

Cosa?

Mi voltai di scatto e quella volta il cellulare cadde per davvero sul parquet, riuscii a salvare solamente la bottiglia, ma al momento non era quello il mio pensiero principale. Avevo ben altro a cui far caso.

Sgranai gli occhi e dischiusi la bocca per la sorpresa. Non poteva essere reale. Lui... Lui sarebbe dovuto partire l'istante successivo al termine del concerto e non aveva proprio nulla da fare a casa di una sua ex fiamma. 

Serrai gli occhi e subito dopo li strizzai. La Vodka aveva iniziato a giocare brutti scherzi: non era mia abitudine bere, per cui potevo benissimo avere delle visioni surreali come mi stava accedendo in quel preciso momento. Eppure quando riaprii le palpebre Castiel era ancora lì: i capelli neri, gli occhi grigi dal taglio perfetto, la bocca allungata nel suo tipico sorriso da stronzo, le spalle larghe e l'addome scolpito accentuati da una maglia nera a maniche corte stretta e dalla quale fuoriuscivano vari tatuaggi marchiati sulla sua pelle abbronzata, le gambe lunghe nei suoi immancabili jeans neri sdruciti sulle ginocchia. 

Era talmente bello d'apparire come un sogno, ma era così reale da sembrare per davvero nella mia camera.

Poi spostai lo sguardo sulla finestra dietro di lui: era aperta e ai lati della balaustra sul piccolo balcone era poggiata una scala. Quindi...

«Tu... T-tu sei qui?» fu la prima cosa che mi venne spontaneo chiedergli quasi temendo una sua eventuale risposta. 

Prima di uscire non avevo chiuso la persiana, per cui la possibilità che Castiel si trovasse per davvero nella mia stanza non era del tutto assurda. Non sapevo cos'avrei preferito, se volere che si trattasse d'immaginazione o che lui fosse realmente lì, ma al momento non capivo più nulla. La testa leggera e confusa non fu d'aiuto. 

«Dove altro dovrei essere?» fece per avvicinarsi, ma io di conseguenza indietreggiai di qualche passo. 

«Con una delle tue tante ragazze, magari...» mi venne spontaneo evidenziare, ma ancora stentavo a crederci che lui fosse lì sul serio. 

«La mia ultima ragazza sei stata tu», mi fissò immobile.

«Rassicurante...» mi si formò sul volto un sorriso amaro. 

«Dico la verità: le altre sono state solo un passatempo!» lo disse con una tale sincerità capace di spiazzare chiunque ed una tranquillità in grado d'innervosire anche il più pacato tra gli esseri umani. 

Era piombato in camera mia, fresco come una rosa, dopo due anni di totale silenzio e assenza, si era azzardato persino a parlare, ad usare frasi carine come se non ci vedessimo da un giorno. Che rabbia! Desiderai spaccargli in testa la bottiglia di vodka semivuota che ancora reggevo tra le mani, ma non lo feci perché altrimenti sarebbe stato uno spreco di liquore. 

Quante notti avevo sperato e sognato che entrasse nella mia stanza con quella maledetta scala rubata ai vicini, quante notti avevo finito per crogiolarmi nella mia disperazione ed illusione, ma lui non arrivava mai... E alla fine aveva deciso di farlo quando ormai era troppo tardi, quando per noi non c'era neanche un briciolo di speranza. Perché io avevo perso la mia ed entrambi sapevamo che la sottoscritta era sempre stata quella ad averne abbastanza per entrambi. E la speranza era tutto in un rapporto malato come il nostro. 

«Miki, per favore... Ascolta», fece per aggiungere altro, ma lo bloccai. Non ero per nulla al mondo intenzionata ad ascoltare le sue fandonie. 

«Tu - brutto coglione - che diritto pretendi di avere presentandoti qui, a distanza di anni, infrangendo la legge e... me?!?» parlai a raffica, senza filtri a causa dell'alcol che circolava nelle mie vene e ne fui contenta. 

«Ti è piaciuto il concerto?» ignorò le mie parole. La sua scostumatezza non aveva mai avuto limiti e continuava a non averne anche a distanza di anni. 

«No! Sei stato troppo spavaldo per i miei gusti», mentii. 

Ma come potevo dirgli la verità? Come potevo dirgli che aveva risvegliato il mio cuore assopito da quando se n'era andato? Castiel non avrebbe mai più ricevuto certezze da parte mia, lo giurai a me stessa. 

«Ti aspettavo da molto tempo, sai?» abbassò il volto fissando i suoi piedi. «Stupidamente, da due anni a questa parte, ad ogni concerto ho il vizio di cercarti tra la folla. Ma tu non ci sei mai...»

«Ah, io non ci sono mai?» mi mostrai e risi di gusto. «E tu invece dove sei stato per tutto questo tempo? Pensavi che ti avrei rincorso come un cagnolino quando sei scomparso nel nulla? Ti sbagliavi, Castiel. Avevo anch'io dei sentimenti, delle emozioni, un cuore e tu li hai calpestati tutti».

Vederlo, ascoltarlo, incrementò una forte rabbia repressa già racchiusa dentro di me e che iniziò a fuoriuscire proprio in quel momento. Grazie allo stupore nel rivederlo stavo persino riacquistando la lucidità persa a causa della bevuta solitaria iniziata quasi mezz'ora prima. 

«La vita è fatta di scelte. Pensi che io non avrei preferito restare? Perché non ti sei mai chiesta se ci fosse altro dietro alla mia fuga?» gesticolò iniziando a perdere la pazienza. 

Per un attimo riflettei alle sue domande, ma passarono subito in secondo piano. Non mi sarei lasciata abbindolare. Non più. 

«Sei venuto qui per ricevere compassione? No, perché nel caso ci tengo ad informarti: Micaela Rossi è l'ultima persona da cui ne riceverai», mossi la mano libera in aria come se stessi formando una striscia immaginaria. 

«Sono venuto qui perché non riesco a starti lontano sapendoti nella mia stessa città. Ho già resistito abbastanza dopo...» si bloccò improvvisamente sviando il discorso. «Volevo vedere come te la cavi, come stai e-» a quel punto fui io a fermarlo. Non ero più disposta ad ascoltare le sue falsità.

«Sei rimasto il solito stronzo egoista di due anni fa», risi incredula e senza divertimento «ma ti avverto: io non sono più quella Miki. Non sono più la tua Ariel. Quella ingenua, stupida e dolce fanciulla che ricordi non c'è più!» sputai con disprezzo quelle ultime frasi. 

La ragazza col cuore infranto del concerto di poche ore prima era stata sostituita dalla ragazza cattiva e aggressiva. Non gli avrei permesso di distruggermi. Non un'altra volta. E l'alcol mi aiutò nel mio intento.

«Tu credi? Pensi sul serio che quella ragazza non ci sia più?» tentò di avvicinarsi allungando una mano per accarezzarmi il viso, ma io lo scacciai spingendolo malamente. Cercai di non dar peso alle scosse che si sparsero in tutto il corpo, ma dall'espressione sorpresa ed intontita del suo volto intuii le avesse percepite anche lui. Non ci sfioravamo da due anni. «Comunque ho detto che volevo sapere come stai. Gli egoisti non farebbero queste domande».

«Ti stai arrampicando sugli specchi, noto solo questo», bevvi un altro sorso di vodka. «Sto benissimo, non vedi?» mi misi in una posa da modella sfoggiando un sorriso falso e sollevando in alto la bottiglia. 

«Quindi è così che vuoi dimostrarmi di stare bene e di essere diventata una ragazza forte? Bevendo?» indicò il liquore che reggevo tra le mani. Parve quasi deluso di trovarmi in quello stato, ma non m'importava. 

«Non sono tenuta a dimostrare proprio niente a nessuno, tantomeno a te», sbattei rumorosamente la bottiglia sulla scrivania e la lasciai lì «Quando ci saresti dovuto essere, non c'eri. E adesso cosa pretendi? Che io ti salti addosso per avermi scritto e dedicato una canzone? No, Castiel non funziona così», nella mia mente il discorso filava liscio, sperai anche al di fuori. «Tu...» gli puntai un dito contro avvicinandomi a lui leggermente «Tu non hai idea di quello che ho dovuto subire l'ultimo anno di liceo. Nessuno lo sa. Le occhiatacce dell'intera scuola, gli articoli di Peggy, la storia di Nathaniel e De-»

«Aspetta, aspetta» fermò per un momento il mio monologo. «Quale storia di Nathaniel e Debrah?» corrugò la fronte sforzandosi di ricordare. 

«Tu... Non sai niente?» avevo sempre dato per scontato che qualcuno dei suoi amici gliene avesse parlato, ma evidentemente mi sbagliavo. 

«Di quando parli? Di che periodo?» si spostò un ciuffo di capelli. 

Era bellissimo. Fisicamente più maturo di come l'avevo lasciato, con i lineamenti del viso marcati, il corpo più tonico e muscoloso. Doveva allenarsi molto. 

«Miki?» mi richiamò notandomi assorta nei miei pensieri. 

E che pensieri... 

Scossi la testa e gli diedi totale attenzione. Non dovevo lasciarmi affascinare dalla sua presenza. 

«Ehm sì... Qu-Quando noi due, ecco...» mostrai entrambi «Quando Debrah sembrava conoscere tutti i nostri spostamenti, in realtà era vero perché ci faceva seguire», sospirai nel rievocare quei fatti che avevo cercato totalmente di eliminare dalla mia testa.

«Da chi?» s'irrigidì. 

Ripensai alla rivelazione di molto tempo prima, a come in fondo ci ero rimasta male. 

«Da Nathaniel. Lui e Debrah erano... Dei soci in affari loschi?!? Non so come potrei definirli, ma è andata così: Nathaniel voleva vendicarsi di te per aver contribuito a creare scandalo nell'alta società. Qualcuno ha scoperto di Ambra e del bambino, pian piano la voce si è sparsa per tutta Parigi e non solo. Non so per quale motivo un bambino o un aborto possono essere considerati uno scandalo ai tempi d'oggi, ma è realmente successo. Si è saputo anche dell'eccessiva severità del padre, di quando chiudeva Nathaniel per mesi nella biblioteca, dei numerosi figli del signor Daniels. Per questo motivo è uscito dal giro perdendo molti clienti e alla fine, insieme a tutta la famiglia, si è dovuto trasferire a New York per poter iniziare una nuova vita. Lì avevano dei parenti altrettanto ricchi, quindi credo si siano fatti aiutare. Qui non riuscivano più a vivere nella totale emarginazione dei loro grandi amici e colleghi, non avevano più possibilità di carriera. Non venivano invitati a nessun evento rilevante. Così a Dicembre 2016 sparirono definitivamente da Parigi. Di loro non si hanno più tracce né notizie», finii il racconto quasi dispiaciuta. 

«Vedo che ti manca il tuo amato damerino e vedo anche che sei bene informata sui fatti. Non ti è bastato essere pedinata per sei mesi? Sei persino dispiaciuta per tutta questa storia? Perché Miki? Perché sei stata capace di perdonare lui e non me?» strinse le mani a pugno e mi guardò insistentemente, curioso di conoscere la risposta a quei quesiti. 

Non sembrò essere sorpreso o impressionato dal mio racconto, probabilmente sapeva già ogni cosa. Ma certo, Debrah era stata con lui durante la metà di quell'anno. E allora perché aveva preteso da me un racconto dettagliato di tutta la vicenda? Quel ragazzo era un continuo rompicapo, maledetto!

 «Se lo sapevi già, allora perché hai voluto ulteriori spiegazioni da me su questa storia?»

«Volevo avere la certezza che stessimo parlando della stessa cosa: con quei due si rischia di ricevere sempre sorprese», si riferì a Nate e Debrah. «Non hai ancora risposto alle domande che ti ho fatto poco fa», mi ricordò intrepido. 

«Bene! Vuoi davvero sapere perché ho perdonato Nate? Ti accontento subito». Castiel storse il naso sentendo chiamare con un diminutivo il suo acerrimo nemico. Ignorai quanto fosse tenero nell'inscenare la parte del ragazzo geloso, mi poggiai ai lati della scrivania, incrociai le braccia al petto e socchiusi gli occhi per un attimo sospirando prima di riprendere a parlare. «Tanto per cominciare, è venuto lui stesso da me per ammettere la verità. Nathaniel non ha dimostrato di essere un codardo: è venuto a scusarsi e a dirmi addio prima di partire per sempre. Mi ha detto tante belle parole, che non sto qui a dirti e che potrebbero anche essere false... ma perlomeno lui ha avuto la decenza di raccontarmi tutto per filo e per segno. Tu invece cos'hai fatto? Una misera canzone con frasette ad effetto dopo due anni? Due anni e un mese, Castiel. Ti rendi conto quanti cazzo di giorni sono passati da quando sei andato via?» mi passai le mani sul volto esausta, poi conclusi «Tu non hai idea di cos'hai lasciato qui», mi portai una mano sul petto, lì dove ci sarebbe dovuto essere un cuore e dove invece ormai c'era un buco enorme: il vuoto che aveva lasciato. Ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di uscire. Non potevo permettermelo. Non davanti a lui. 

Dopo le mie parole non fiatò, si limitò a scrutarmi con sguardo attento cercando di leggermi dentro, per capire se fossero rimasti sentimenti positivi per lui. E no, non era rimasto un bel niente. Non mi ero fatta incantare dalle sue canzoni, dalle sue parole. Se lo avessi fatto avrei dimostrato di essere una stupida.

«E poi... proprio tu che piagnucolavi per esser stato lasciato ed ingannato da Debrah, hai fatto il suo stesso sbaglio. Ti sei comportato allo stesso modo con me, se non peggio. Non ti fai schifo neanche un po' quando la mattina ti guardi allo specchio?» mi stavo sfogando per bene. Stavo tirando fuori tutte le pene subite a causa della sua assenza. «Che cosa sono stata per te?» gli chiesi quasi disperata.

«Tutto. Tu sei stata e continui ad essere tutto per me. Due anni fa, un anno fa, oggi e nel futuro. Resterai per sempre e solo tu, Ariel». Accorciò le distanze venendomi quasi vicino, gli occhi limpidi sprigionarono tanta autenticità. 

A quel punto rischiai sul serio di piangere e buttarmi sul parquet disperata. Aveva appena detto frasi che gli avrei sempre voluto sentir dire. Non ero abituata a leggere onestà tra il grigio delle sue iridi. Non tentò neanche di difendersi dalle mie accuse, perchè entrambi sapevamo che avevo le mie ragioni per aver utilizzato quelle parole dure. 

Da quella distanza potei sentire il suo profumo inconfondibile. Ivrè. Usava ancora la nostra fragranza. Fu come una ventata d'aria pulita, come tornare a respirare dopo anni di apnea.

La mia rabbia, la mia delusione per un attimo traballarono. 

Poi mi ripresi: «Vattene! Non sono nelle condizioni di continuare ad avere discussioni con te. Sono u-» il singhiozzo mi bloccò dal terminare la frase.

«Non ho capito l'ultima parola, puoi ripetere?» sollevò la bocca da un lato formando quel mezzo sorriso che mi aveva fatto impazzire sin dai primi tempi. Non si arrendeva facilmente.

"Oddio! Come avrei potuto resistergli in quelle condizioni?"

«Ubriaca», mi limitai a specificare solo l'ultima parola. Non avevo voglia di parlare.

«D'amore»

Che? Cosa c'entrava? Perché doveva spiazzarmi in quel modo? Io non ero più... 

«Ti odio!» mi diressi verso di lui per gettargli dei pugni in pieno petto e punirlo per la sua battuta fuori luogo. 

Quella notte mi sentivo coraggiosa, talmente tanto da non temere la sua vicinanza. Che sciocca!

«Mhm... "Ubriaca d'amore, ti odio!" Mi piace. Potrei usarlo in qualche modo», si resse il mento con due dita, strizzò gli occhi e la fronte pensieroso, unì le ultime battute che ci eravamo scambiati formando una frase. 

«Sembra il titolo di un libro», riflettei ad alta voce indietreggiando un minimo. 

Non potevo stargli accanto. 

«Sì, brava. Perché non ne scrivi uno?»

«Chi, io? E perché dovrei farlo, scusa?»

Amavo leggere, ma scrivere? Non ne ero capace. Mi rimproverai mentalmente per aver anche solo considerato sul serio quell'assurda richiesta di Castiel. 

«Una storia come la nostra merita di essere raccontata».

«Certo, se sei tipo d'adorare le storie senza lieto fine». 

Mi erano mancate le sue frasi ad effetto, quelle capaci di togliere il fiato, ma non lo diedi a vedere. Mi mostrai totalmente indifferente e persino acida nei suoi confronti. Complimenti a me!

«Sei ancora convinta che la nostra sarà una storia senza lieto fine?»

Con quelle parole mi provocò una morsa al centro del petto. Di nuovo. Maledetto seduttore!

Dovetti ingoiare un enorme groppo di saliva per recitare e mostrarmi ancora indifferente «Lo è stata: hai sbagliato tempo verbale. E poi... Cosa pretendi che io mi aspetti? Tu sparirai di nuovo, ti farai vivo tra due anni e a quel punto avrai una decina di figli sparsi per il mondo con tre modelle, quattro cantanti e due attrici. Io farò un lavoro normale, mi sposerò con un uomo normale e avrò due figli. Fine della storia.»

«Caspita... Forse dovresti sul serio considerare di fare la scrittrice da grande: quanto a immaginazione e pessimismo non ti batte nessuno.»

Da grande? Mi considerava ancora una ragazzina nonostante avessimo solo due anni di differenza d'età?

«Ho imparato dal peggiore insegnante della storia», feci chiaro riferimento a lui. Era proprio a causa sua se da qualche periodo ero diventata una persona negativa. 

«Noto con piacere che la lingua tagliente non l'hai ancora persa», sorrise sornione. 

«Noto con dispiacere che la faccia da coglione non l'hai ancora persa», incrociai le braccia al petto e lo guardai torva. «In più quel titolo non va per niente bene. La parola "amore" tra noi due non è mai neanche lontanamente esistita. Ti piaceva così tanto ripeterlo ad ogni occasione d'aver convinto anche me, col tempo, che l'amore non esiste. Quindi un titolo adatto - a qualsiasi cosa tu abbia in mente - potrebbe essere: Ubriaca, ti odio!» parlai lentamente e biascicando, come stavo facendo da circa tutta la serata a causa dell'alcol. 

Non pensavo realmente quelle parole, ma avevo un bisogno disperato di ferirlo e non badai troppo a quello che dissi. L'amore invece esisteva. L'avevo provato sulla mia stessa pelle molti anni prima, ma lui era stato così bravo a spegnerlo che di quel sentimento ormai non restavano nient'altro che ceneri. 

«Sei diventata cinica», mi guardò stranito per un breve attimo, poi si riprese: «ma io non la penso come te».

«Piacere al cazzo!»

Cosa poteva importarmi ormai del suo giudizio? Un bel niente. Probabilmente risultai volgare, senza cuore, ma quella era la Miki che Castiel in primis aveva contribuito a modellare e cambiare. 

Lui rise per quella mia risposta e subito dopo prese a girovagare per la stanza guardandosi intorno. 

Eravamo passati dall'urlarci contro al battibeccare affettuosamente. Mi era persino tornato il buon umore. Diedi colpa all'alcol, ma dentro di me sapevo bene non fosse quella la reale causa del mio repentino sbalzo. 

«Tutto è rimasto come lo avevo lasciato», lo seguii con lo sguardo e in quel momento si trovava proprio davanti al ritratto che mi aveva regalato lui stesso a Roma; lì si trovava appesa anche la collana contenente una nostra foto e quella frase... 

Mi maledissi per averli lasciati alla visibilità di chiunque. Javier non era ancora stato nella mia camera, per cui non avevo fatto troppo caso agli oggetti appesi. 

«In realtà sto unendo tutte le cianfrusaglie per fare un falò», mormorai a disagio per esser stata colta in fallo. 

Lui di risposta inarcò un sopracciglio e sorrise divertito dalla mia scusa banale; evidentemente non ero stata convincente.

«Non mi hai aspettato per...» sussurrò con sguardo nostalgico lasciando la frase in sospeso e richiudendo la collana.

"Aspettami per tornare a casa", diceva la frase in inglese estrapolata da un brano di uno tra i miei cantanti preferiti e che Castiel aveva fatto incidere su un lato del medaglione contenente una nostra foto. 

«Ogni tua parola non è legge. Non sei mica Dio».
Si voltò di scatto verso di me, meravigliato per la mia arrogante determinazione. Di risposta gli rivolsi un mezzo sorriso.

Mi complimentai per come gli stavo tenendo testa. Se quelli fossero sempre stati i risultati, avrei dovuto bere spesso. 

Continuò la sua perlustrazione giungendo alla finestra: due anni e mezzo prima era stata marchiata per sempre con un pennarello indelebile e la sua calligrafia. Non avevo avuto il coraggio di cancellare neanche quelle parole. 

 «Il tuo ragazzo cosa pensa di tutto questo?» indicò la finestra e il muro. 

«Niente che ti riguardi!»

«Quando la smetterai di essere sfuggente?»

«E tu invece quando la smetterai di fuggire?» trasalì davanti alla mia domanda. 

«Il nostro tempismo è stato sempre pessimo» colpevole, per un attimo abbassò il capo. 

«Cosa intendi dire?»

«Se ti dicessi di esser pronto a rimanere, tu torneresti con me?»

Persi mille battiti davanti alla sua richiesta «No!» ma replicai senza neanche pensare. 

«Non te l'ho chiesto realmente infatti», si difese. 

«Okay, ho perso il filo. Di cosa stiamo parlando esattamente?» mi toccai la testa dopo un leggero capogiro e chiusi gli occhi.

«Stai bene?» si precipitò al mio fianco e posò entrambe le mani sulle mie braccia. Il contatto mi bruciò la pelle. 

No che non stavo bene. Per niente. Mi aveva fatto intendere velatamente di esser pronto a riprendere una relazione con la sottoscritta e subito dopo aveva detto il contrario. Castiel mi faceva girare la testa ancor più dell'alcol. 

«Non deve interessarti», apparii quasi una bimba per come misi il broncio. 

«La mia dolce e tenera ragazzina», sorrise e mi scompigliò i capelli. 

Rischiai di morire sul posto «Non sono né dolce né tenera», ma non lo diedi a vedere.

«Oh sì invece...» lo sguardo puntato sui miei capelli.

 Perché?

Subito dopo capii le sue intenzioni: sotto il mio sguardo inebetito,  s'impegnò a sciogliere lo chignon togliendo uno ad uno i ferretti. Quando finì passò le dita tra le ciocche ramate, mentre io lo lasciavo fare ammaliata da quella visione e coccolata dal suo tocco raramente dolce. Stentavo ancora a credere che lui fosse lì e non all'after-party organizzato dalla sua crew dopo ogni concerto. E soprattutto: che non fosse tra le grinfie di qualche supermodella dalle gambe chilometriche. 
Per una sera, dopo anni, aveva preferito me al resto del mondo.
La sua Ariel. 

«Così va meglio», i miei capelli ricaddero sciolti sulle spalle, sul petto, ai lati del viso e un sorriso soddisfatto si dipinse sul suo volto. «Stai benissimo con i capelli lunghi».

Castiel Black mi aveva appena fatto un complimento sentito. Caspita, che soddisfazione! Mi gongolai.

«Anche a te stanno bene i tuoi», mi lasciai sfuggire di conseguenza. Avevo abbassato la guardia troppo velocemente. Non dovevo. Non se volevo restare viva. «Insomma... Non male», tentai di rimediare contenendomi.

«Ah sì? Pensavo li preferissi prima», scrollò le spalle e si mise le mani in tasca. 

Ci trovavamo al centro della stanza, una situazione surreale se vista dall'esterno, ci studiavamo a vicenda impacciati. Era trascorso molto tempo dal nostro ultimo incontro, per cui avevamo necessità di capire se l'altro fosse cambiato o meno.  

«Sei cambiata...» si lasciò sfuggire involontariamente dando voce ai miei pensieri. 

«Lo so», lo guardai senza stupore. 

Ero cambiata e ne avevo la piena consapevolezza. Ero più cinica e meno ingenua; più realista e meno sognatrice; più sicura e meno rotta. Dentro di me portavo ancora molte cicatrici a causa sua, ma ero diventata brava a nasconderle. Non si poteva dire lo stesso di lui. Quella sera ebbi quasi la percezione che i ruoli si fossero ribaltati tra noi: Castiel non aveva più certezza dei miei sentimenti nei suoi confronti, stavo frequentando un altro ragazzo e quel dato di fatto lo struggeva, le mie risposte e domande erano taglienti, lo spiazzavano. Tutte evidenze - quelle - che due anni prima avevo vissuto io stessa in prima persona a causa sua. 

«Quindi...» riprese a girovagare per la mia camera, le mani unite dietro la schiena «hai un nuovo ragazzo», non mi guardò negli occhi quando lo disse.

«Già...» e non aggiunsi altro. 

«Si comporta bene?» bloccò per un istante la sua escursione per scrutarmi dopo quella domanda.

«Più di chiunque altro!» 

Il suo respiro si fermò. Colpito e affondato, Castiel!

Corrugò la fronte e mi si parò davanti: «Ah sì? Buon per lui!» sapevo si stesse trattenendo per non mostrare il fastidio che ancora provava nel sapermi tra le braccia di un altro. 

«E anche per me! Lui è... Bello, romantico, gentile, fedele, intelligente, disponibile, perfetto. Sì, lui è perfetto», marcai l'elenco dei pregi di Javier appositamente per infastidire Castiel. 

Prevedibilmente, inspirò bruscamente e strinse le mani in due pugni: «La perfezione non esiste e qualora esistesse, annoierebbe», si sforzò di parlare pacatamente.

«Oh no, credimi che se lo conoscessi, inizieresti a pensare il contrario», gli sorrisi per provocarlo.  

«Non sono gay!» seccato, dischiuse la bocca. 

«Javier è talmente perfetto che potresti diventarlo per lui».

Sì, ero diventata una stronza patentata. Dopotutto avevo imparato dal migliore. 

«So cosa stai cercando di fare, Miki» accennò un sorriso furbo «Vuoi provocarmi per avere una mia reazione, per illuderti di avermi in pugno», prese a girarmi intorno «ma con me non funziona così...» si fermò alle mie spalle e avvicinandosi all'orecchio sussurrò: «l'allieva non supera il maestro. Non con me!» Ed una scia di brividi mi scese lungo il collo, dove accidentalmente era finito il suo fiato caldo.  

«E la vuoi sapere la differenza tra noi due, Castiel?» mi voltai per guardarlo in volto, poi mi avvicinai al suo orecchio «Io sono una donna». Lentamente portai la bocca a qualche millimetro dalla sua, lessi stupore nelle sue iridi grigie «Con lui mi sembra di vivere in una favola» e, dopo averlo guardato dritto negli occhi, mi allontanai.

Di risposta poggiò le mani sulle mie braccia per non permettermi di scappare da quella vicinanza scottante «Tu dici? Eppure sono convinto che sceglieresti sempre la follia piuttosto che la favola». 

Follia: Castiel.

"Non farti soggiogare da lui e dalle sue frasi ad effetto. Non farti soggiogare da lui e dalla sua bellezza", ripetei nella mente quasi come un mantra. Non dovevo cedere. Non potevo. 

«La convinzione fotte la gente, non lo sapevi?» trattenni un sorriso. 

«Se fossi tu a fottermi, non m'importerebbe. E poi, a dir la verità... mi piacerebbe essere fottuto da te. In tutti i sensi!» ghignò spavaldo. 

Quella volgarità fuori luogo mi spiazzò tanto da farmi arrossire leggermente, ma non avrei dovuto sorprendermi: stavo pur sempre parlando con Castiel Black. 

«Di quelle ne hai già abbastanza tutti i giorni, non serve anche la mia collaborazione». Non mi lasciai intimidire dalla sua sfacciataggine come invece avrei fatto un tempo e feci chiaro riferimento alle molteplici conquiste di cui ogni giorno si poteva leggere sui giornali.

«Nessuna è te. Nessuna lo è mai stata», replicò tornando serio e guardandomi intensamente.  

Per non lasciarmi stregare dalle sue parole apparentemente sincere, dovetti appellarmi a tutte le entità spirituali delle ex ragazze ferite. 

«Non m'incanti più, rockstar». 

Quella verità mi fece rabbrividire. Non avrei mai pensato potesse arrivare quel momento. 

«Vorrei solo che mi credessi, nient'altro». Strinse leggermente le mie braccia, dove ancora erano posate le sue mani. 

Subito dopo, quasi come se fosse stato richiamato da una forza superiore, il suo sguardo cadde sull'avambraccio scoperto ed il mio sul suo. 

Persi l'ennesimo battito a causa di quel farabutto. Non mi ero accorta di quel piccolo, grande dettaglio. Come poteva essere vero?

«Quando l'hai fatto?» pronunciammo all'unisono, sollevando la testa di scatto. 

Sentii le guance avvampare, il suo respiro caldo sul viso. Socchiusi gli occhi beandomi di lui, senza badare al dolore inflittomi due anni prima. 

«I-io...» abbassai lo sguardo sul suo tatuaggio e istintivamente ne sfiorai i contorni; un fremito mi attraversò tutto il corpo raggiungendo il basso ventre. «Tu?» Non seppi neanche cosa gli stavo chiedendo precisamente. Oltre alla ragione, avevo perso anche il filo del discorso. 

 «Cosa?» parve confuso anche lui. Poi spostò lo sguardo sull'avambraccio - sul punto che ancora stavo sfiorando - ed ebbe un'illuminazione: «Ah... Questo!» posò la mano sulla mia e per un attimo pensai di svenire. 

Quel contatto... Mi sembrò di prendere fuoco, mi sembrò di star bruciando tra le fiamme del suo Inferno. Nell'Inferno della sua anima. 

«L'anno scorso: il giorno del tuo compleanno», sussurrò con nonchalance come se non mi avesse appena colpito il petto. 

«Anch'io», replicai con voce strozzata e faticando persino a respirare. 

Stavo sognando o era solamente l'ennesimo scherzo del destino? Come poteva essere reale?

Sul suo braccio destro aveva tatuato una bottiglia a forma di cuore, dalla quale fuoriusciva un liquido fiammante color cremisi. 

Al centro della bottiglia era dipinta una lettera












Al centro della bottiglia era dipinta una lettera. Ne lambii i contorni lentamente e, con la mano di Castiel ancora sulla mia, sussurrai «A...» involontariamente. 

E se...

«Come Ariel», confermò i miei sospetti. «Come te», aggiunse dolcemente avvicinandosi al mio viso e facendomi tremare il muscolo cardiaco. Una ciocca di capelli mi ricadde sulla fronte, lui si premurò di portarla dietro l'orecchio.

Sarei dovuta fuggire finché ero in tempo, eppure il mio corpo, il mio cuore, la mia mente stavano così bene in sua presenza come non facevano da anni... Ero totalmente stregata dal suo essere, da non capire più se mi trovassi o meno in uno dei miei sogni su Castiel, uno di quei sogni che sporadicamente mi capitava di fare. 

Poggiò la fronte sulla mia, il suo sguardo cadde sul tatuaggio. Sul mio. Non c'era nessuna iniziale all'interno della bottiglia a forma di cuore rovesciata, ma soltanto dei pezzi rotti, dai quali fuoriusciva lo stesso liquido rosso del suo. Non c'era bisogno di specificare: soltanto una persona era stata capace di rubarmi il cuore. Lo aveva usato, strizzato e gettato, spezzandolo per sempre. 

Ne tracciò i contorni, imitando i miei movimenti di pochi secondi prima, lasciando dei brividi evidenti dove il suo tocco sfiorava la mia pelle

Ne tracciò i contorni, imitando i miei movimenti di pochi secondi prima, lasciando dei brividi evidenti dove il suo tocco sfiorava la mia pelle. Tentai d'ingoiare un grosso groppo di saliva senza riuscirci. Mi aveva soggiogata di nuovo. Gli erano bastate soltanto poche ore per rifarlo. 

Il suo tatuaggio era al braccio destro ed il mio al sinistro. Se per strada avessimo passeggiato mano nella mano, i due cuori si sarebbero uniti formando un unico e contorto significato. Soltanto il suo cuore fiammeggiante sarebbe stato in grado di riparare il mio distrutto da lui stesso. Ci completavamo. 

Come potevo oppormi al segno del destino? Nè la mia mente né un bravo ragazzo come Javier sarebbero riusciti a disinnamorarmi dal cattivo ragazzo. Ed io chi ero per obiettare? Non avevo più forze né abbastanza sanità mentale per farlo.

«Ti ho ferita così tanto?!» le sue iridi grigie si scontrarono con le mie scure, provocando uno tsunami devastante dentro di me. 

Non risposi. La sua dopotutto non era una vera e propria domanda, ma una realizzazione della distruzione provocata con le sue azioni. 

«Mi dispiace», serrò gli occhi.

E finalmente arrivò. Arrivarono quelle famose parole che attendevo da troppo tempo, ma che non sarebbe mai stato superfluo riceverle. Le scuse furono sincere, lo percepii dal suo tono di voce quasi strozzato. Castiel non aveva mai pronunciato quelle sillabe, non con quell'intensità. Non utilizzò frasi composte e mi arrivarono dritte al cuore proprio per quel motivo. La sua semplicità nel parlare era da sempre stata disarmante, pronunciava frasi ad effetto nel momento più sbagliato ma anche, allo stesso tempo, più giusto che potesse esistere. Era semplicemente Castiel Black ed io lo adoravo anche per quello. 

«Posso baciarti, Miki?» poggiò le mani intorno alle mie gote, ustionandomi.

Scoprire che aveva fatto un tatuaggio per me, il giorno del mio compleanno, aveva sciolto un po' di ghiaccio che contornava il mio cuore. E i miei sentimenti deposero momentaneamente le armature della battaglia. Ero esausta di lottare persino contro me stessa, contro quell'emozioni che soltanto lui era capace di provocarmi: «Da quando in qua si chiede?»

Così, senza sprecare parole inutilmente, posò le labbra sottili sulle mie carnose. Le sue ciglia mi solleticarono le palpebre chiuse, il suo respiro si confuse con il mio, i nasi si sfiorarono e le nostre lingue finalmente ci cibarono. Mi sentii come una fenice che risorgeva dalle ceneri; da quelle ceneri dentro le quali lui stesso mi aveva gettata molto tempo prima.

 Gremita da tante emozioni che si sovrastavano tra loro: dai sensi di colpa alla totale liberazione, dalla felicità alla rabbia, dall'odio all'amore. Percepii di poter scoppiare da un momento all'altro; la prima lacrima di una lunga serie inumidì le nostre ciglia e morì sulle nostre bocche. 

Neanche l'alcol era stato capace di stordirmi come invece era riuscito a fare lui con sin troppa facilità.

Mi ubriacava anche Castiel sì, ma d'amore. Di quel sentimento che mi ostinavo a celare dietro l'indifferenza e le brutte parole. E l'odiai, ce la misi tutta per odiarlo, ma finii solamente per innamorarmi ancora di più... Di lui che pretendeva tutto e s'impossessava di ogni piccola cellula del mio essere senza neanche chiedere. Mi sembrò d'impazzire. Non ne avevo mai abbastanza. Sentivo il bruciore sin dentro le vene e lo amavo ancora, di nuovo, incondizionatamente... lo amavo attraverso il dolore, attraverso l'odio.

Avevo bevuto tutto di lui: mi aveva ubriacata tre anni prima, lo aveva rifatto a distanza di tempo e continuavo a non averne mai abbastanza del suo amore amaro e proibito. Ero paralizzata dal terrore che potesse ferirmi di nuovo, eppure era così buono da non permettermi di controllarmi, di fermarmi in tempo. Aveva quella magia dentro di sé in grado di ammaliare chiunque. Più provavo a scappare, ad oppormi e più ci ricadevo. Che senso aveva negare ancora la verità? 

Ubriaca d'amore, lo odiavo!

«Se fosse stato per me, non ti avrei mai lasciata andare», si staccò dalle mie labbra, allontanandosi leggermente per poi asciugare quelle lacrime che lui stesso era stato tanto bravo a far nascere. 

«E perché l'hai fatto allora?»

Non aveva mai risposto realmente a quella domanda. Sperai lo facesse quella sera, mentre si prendeva cura di me. 

«Perché dovevo farlo». 

La delusione mi colpì in pieno petto. Aveva replicato esattamente come aveva sempre fatto. Senza nessuna novità. 

«Non mi basta più questa risposta, Castiel...» Scacciai malamente le sue mani e mi allontanai da lui. Finiva sempre così.

«Io... Non posso dirtelo», parve in difficoltà improvvisa. Non ne capii il motivo. 

«Sono passati due anni. Perché sei ancora in queste condizioni?»

«Tu non capisci»

«Spiegamelo allora»

«Debrah era-»

Bastò quel nome per farmi ribollire nuovamente di rabbia. Eccola di nuovo lì - la bella Bratz dagli occhi di ghiaccio - che incombeva ancora sulle nostre teste. Perché dovevamo trovarci sempre punto e a capo?

«Non continuare, ho già capito tutto. Sei sempre il solito coglione». 

Non avevo nessuna intenzione di sorbirmi altre storielle su ricatti, piani diabolici, video compromettenti di un'ex ragazza pazza. Eravamo cresciuti, non serviva più nascondersi. Pretendevo la verità, altrimenti sarebbe benissimo potuto uscire dalla finestra così com'era entrato. Ormai ero abituata a ricevere ricorrenti delusioni da lui, una in più non mi avrebbe di certo uccisa. 

«Non è una giustificazione la mia, dico sul serio. Debrah è pazza, lo è sempre stata.»

«Su questo non ci piove»

«Dovevo proteggerti e non dai soli ricatti, ma da qualcosa di più serio», il suo sguardo non mentiva. Non quella volta. O almeno credevo...

«Che?»

E da dove usciva fuori quella storia? Dovevo credergli?

«Non avrei mai voluto dirtelo, ma tu non mi lasci altra scelta. Voglio che tu sappia che qualsiasi cosa l'ho sempre fatta per il tuo bene, perché ti... Perché ci tengo a te».

Per un attimo sembrò stesse per dire altro, ma provai a concentrarmi sul discorso in sé invece d'illudermi a vuoto. 

«Cos'altro c'è da sapere su di lei?»
 

***

Il mattino dopo mi svegliai con un mal di testa allucinante, c'impiegai dieci minuti buoni a sollevare il busto dal materasso. La vista offuscata, capogiri e la testa pulsante furono le prove della sbornia avuta la notte prima. Immagini di Castiel nella mia stanza mi portarono ad avere dei brividi lungo tutta la schiena. Io ci ero ricascata e lui era scomparso di nuovo. Perché doveva finire sempre così con lui? Ero stupida. Completamente, incondizionatamente stupida. 

Quando finalmente riuscii ad alzarmi definitivamente per porre inizio alla mia giornata, fui attratta da un oggetto poggiato su un lato del letto: il ritratto regalatomi da Castiel durante il viaggio a Roma molti anni prima. Su una parte di foglio rimasto vuoto, trovai delle frasi scritte con una calligrafia indimenticabile. La sua. Dovetti chiudere e aprire ripetutamente le palpebre per focalizzare e leggere bene. Il mio stupido cuore si esibì in un triplo salto carpiato:

"Lei non voleva la favola, voleva la follia." 

Cit. Ubriaca d'amore, ti odio!

 






_________

🌈N.A.🌈

Ehm... Siete ancora vive? Perché io no! Caspita, quanto mi erano mancati... Piango infinitamente😭

Spero che anche questo capitolo vi abbia trasmesso le mie stesse emozioni. 

Avete avuto anche voi la percezione del mutamento di ruolo tra Castiel e Miki? Vi piace questa nuova versione di Miki?

E ovviamente dove c'è Castiel non può che esserci anche Debrah. Nel prossimo capitolo finalmente si capirà ogni cosa, sarà svelato l'ultimo segreto su di lei e... su Castiel. Questa volta sarà qualcosa di più serio e scioccante, non credo ve l'immaginiate 😈

Vi aspettavate che tempo fa era proprio Nathaniel a complottare con Debrah? Su questa storia vorrei fare un flashback, vedrò se riuscirò ad inserirlo da qualche parte, per far comprendere bene le svolte e perché alla fine il piano è fallito. 

Cos'accadrà tra Castiel, Miki e Javier? 

E invece dei tatuaggi dei Mikistiel e del titolo cosa ne pensate? A me batte il cuore forte❤️

Adesso vi saluto, 

#ReadTogether📚

#IoRestoACasaConEFP🏡📖

Buon fine settimana

All the love💖

Blue🦋
 

Ritorna all'indice


Capitolo 60
*** CAPITOLO 55: L'ultimo segreto ***


Capitolo 55


L'ultimo segreto





🎶James Arthur - Can I Be Him🎶

Sei entrata nella stanza 
E il mio cuore è stato rubato 
Lei mi ha portato indietro nel tempo a quando ero integro 
Ora sei tutto quello che voglio 
E io lo sapevo fin dal primo momento 
perché una luce si è accesa quando ho sentito quella canzone 
E voglio che tu la canti di nuovo

Giuro che ogni parola che tu canti 
L'hai scritta per me. 

Potrei essere quello di cui parli in tutte le tue storie 
Posso essere lui

Ho sentito che c'era qualcuno ma so che non ti merita 
Se tu fossi mia non permetterei a nessuno di farti del male 
Voglio asciugare quelle lacrime, baciare quelle labbra 
E' tutto quello a cui ho pensato

Posso essere quello giusto. 

 ______________________

🎶Halsey - Without me🎶 

Ti ho trovato quando il tuo cuore era infranto
ho riempito la tua tazza finché non è traboccata
ci ho messo così tanto per tenerti vicino
avevo paura di lasciarti solo

Ho detto che ti avrei afferrato se fossi caduto
E poi ti ho tirato su, ti ho rimesso in piedi
solo perchè tu potessi approfittarti di me

Dimmi, come ci si sente seduto lassù?
Ti senti così in alto, ma troppo lontano per afferrarmi
sai che sono io quella che ti ha messo lassù
Nel nome del cielo, ti senti mai solo?
Pensando che potresti vivere senza di me

Ho dato al nostro amore un centinaio di tentativi
scappando dai demoni della tua mente
poi ho preso i tuoi e li ho fatti miei
non me ne sono accorta perché il mio amore era cieco

_____

*Nel lontanissimo Capitolo 22, Castiel minaccia Debrah di raccontare a tutti il suo "piccolo segreto"... è finalmente giunto il momento di scoprirlo insieme*


***

 

"So che ci sono altri che ti meritano, ma nessuno ha bisogno di te come me.

E mentre ti aspetto continuerò ad essere ubriaco di te."

Erano trascorsi anni, ma il difetto di Castiel restava sempre lo stesso: quello splendido e pericoloso vizio d'imbrattare la mia stanza ed in contemporanea il mio cuore. Da totale menefreghista e spaccone qual era, non si era preoccupato di rovinare e tingere - con il suo immancabile pennarello nero - anche l'altro vetro della finestra nella mia camera. 

Quelle scritte con una calligrafia perfetta e priva di sbavature, erano frasi estrapolate dalla sua canzone, frasi che non avrei mai più dimenticato e che - da quel giorno in poi - mi avrebbero schernita ogni momento, ogni volta che il mio sguardo sarebbe caduto su quella finestra. 

Avevo baciato Castiel mentre stavo frequentando un altro ragazzo. Sebbene non potessi ancora considerare Javier come il mio fidanzato, quello era stato un tradimento in piena regola ed io odiavo i tradimenti. I sensi di colpa iniziarono a torturarmi; peccato avessi incominciato a sentirli soltanto il giorno dopo. Se solo avessi utilizzato un po' più la ragione, la sera prima avrei potuto evitare quel bacio. Dannazione!

Cosa sarebbe successo a quel punto? Come si sarebbe comportato Castiel dopo la sua intrusione nella mia stanza? Ed io? Cos'avrei fatto con Javier? Avrei tanto voluto saper rispondere a quei quesiti che presero a vorticare ininterrottamente nella mente, ma non potevo. 

Castiel era imprevedibile, non sarei mai neanche lontanamente riuscita a prevedere la mossa successiva. Non conoscevo i suoi piani, non sapevo se avesse o meno lasciato già Parigi. L'unica cosa certa era che non mi sarei lasciata abbattere, non più. L'abbandono era stato una costante nei miei diciannove anni di vita. Nessuno restava con me e lui non era l'eccezione, anzi mi aveva dato prova di essere il più bravo a fuggire. 

Avevo dato centinaia di possibilità alla nostra storia e lui le aveva bruciate tutte. Avevo lottato per anni con i demoni della sua anima, li avevo fatti miei, mi ero sporcata e dannata a causa sua, ma non era servito a niente, perché era andato via di nuovo e per tanto, troppo tempo. In quei due anni di lontananza avevo aperto gli occhi, i miei sentimenti si erano assopiti, il mio cuore si era raffreddato diventando quasi di ghiaccio. Non avrei più amato nessun altro con la stessa intensità e distruzione; non avrei mai più rischiato di perdere me stessa per qualcun altro; non mi sarei più fidata di nessuno ciecamente; non mi sarei più affidata totalmente ad un altro essere umano. Faceva male quell'apparente insensibilità, ma era la miglior arma di difesa che potessi avere. 

Neanche la sua incursione nella mia stanza era riuscita a smuovermi. Avevo provato mille emozioni in quegli istanti, vero, ma non erano state sufficienti a convincermi sulla sincerità di Castiel. 

Il racconto dell'orribile segreto di Debrah, le sue frasi che accendevano nuovamente speranza su un ipotetico "noi" e poi lui... semplicemente, complicato Castiel. Tutti quegli aspetti mi avevano turbata in quantità eccessiva, tanto da farmi subentrare in uno status di caos mentale non indifferente. Non riuscii più a distinguere ciò che era giusto da ciò che era sbagliato, la verità dalla finzione, l'odio dall'amore. 

Rassegnandomi al fatto che avrei trascorso quella giornata in totale stato di trance, mi lasciai cadere sguaiatamente sul letto e sperando di riuscire a mettere ordine nella testa, ripensai alla notte assurda appena trascorsa. 

___

La notte prima

A breve avrei scoperto la verità: quel segreto di Debrah sempre sospettato, ma mai rivelato. Non avevo idea neanche su come mi sentissi a riguardo. 

«Cos'altro c'è da sapere su di lei?» deglutii nonostante la mancanza di salivazione per la forte agitazione. 

Avevo un bruttissimo presentimento. Doveva essere qualcosa di sconvolgente, qualcosa che finalmente avrebbe rivelato e collegato tutti i pezzi mancanti sulla relazione malata di Castiel e Debrah. Da quel momento in poi sarebbe cambiato tutto e avevo quasi paura di scoprire la verità. 

«Non prendere per matto anche me, ma lei è capace di uccidere. Uccidere sul serio», mi scrutò attentamente per capire se fosse il caso di aggiungere altro. 

Perché si capiva ci fosse dell'altro. Aveva utilizzato il verbo "uccidere"; la situazione si presentava più grave di quella che immaginavo. Maledizione!

«Sul serio?»

Avrei tanto voluto smentisse, che soffrissi improvvisamente di problemi all'udito. 

«Sul serio!» 

Ma ovviamente ci sentivo bene; dovevo rimandare le spese per l'acquisto dell'apparecchio uditivo ad un altro momento. Debrah aveva ucciso qualcuno o era stata vittima di un tentato omicidio che l'aveva resa la psicopatica che tutti conoscevano? O era addirittura lei la carnefice? Quelle ipotesi mi fecero rabbrividire. 

Scrutai attentamente Castiel e il suo volto era serio. Quindi non stava scherzando... Per poco gli occhi non mi uscirono fuori dalle orbite.

«E perché non è mai stata rinchiusa in una clinica psichiatrica, o peggio, in carcere?» fu la prima reazione dopo aver metabolizzato per bene la notizia. 

«Potrei finire anch'io nei guai, se decidessi di raccontare tutto», abbassò il capo sospirando pesantemente. 

«C-cosa intendi?» strinsi gli occhi per paura di conoscere la risposta.

«Non farmelo dire... Ho sempre cercato di tenerti fuori da tutto questo. Fidati di me, non chiedermi troppo».

"Signori e signore ed ecco a voi... il vecchio Castiel!" Era sempre in agguato, pronto a lanciare la pietra per poi nascondere la mano. Ma che razza di atteggiamento era quello? Coglione!

«Ho bisogno di sapere» insistei, quasi infastidendomi.

«Io non...» sbuffò portandosi le mani sul volto e poi sui capelli ormai neri. 

«O parli o te ne vai», incrociai le braccia al petto, corrugai la fronte e picchiettai il piede destro sul pavimento. Sorrise per un attimo nel vedermi così motivata a conoscere la verità una volta per tutte. «Non mi vanno più bene le risposte a metà. Non dopo due anni. Comportiamoci da adulti, Castiel!» anche lui concordò con me, ma si prese del tempo prima di sganciare l'ennesima bomba sulla sua ex ragazza. 

Si poggiò ai lati della scrivania, rispettando la distanza di sicurezza che avevo imposto poco prima e si strofinò le mani sulle gambe. Era un suo tipico gesto di nervosismo.

Cos'aveva potuto fare di così orribile?

«Ecco...» sospirò di nuovo «Debrah ha mandato in coma una ragazza», non lasciò neanche per un attimo il mio sguardo mentre mi rivelava quell'orribile segreto. «L'ha picchiata con delle spranghe di ferro!»

"Cazzo, cazzo, cazzo", mi sudarono le mani, mentre immaginai gli scenari più terrificanti. 

«Quando? Come? Perché? Lei... la ragazza si è salvata?» riuscii a chiedergli entrando in panico totale. 

Immaginavo qualcosa di terribile, ma non a quei livelli. Come aveva potuto osare fino a quel punto? 

«Le ha rovinato la vita per sempre» Castiel prese a giocherellare con i fili degli jeans sdruciti, lo sguardo assente e la mente altrove «Era una ragazza che veniva spesso a sentirci cantare al locale del padre di Debrah. Aveva qualche anno più di noi, era orfana e viveva da sola in una casa malridotta. Si chiamava Mary. Spesso si avvicinava a me, probabilmente le piacevo. Eravamo in sintonia su molti argomenti e con il passare dei mesi iniziai a considerarla un'amica. Spesso mi chiedeva di bere una birra insieme, io accettavo con troppo entusiasmo per i gusti della mia ex. Non c'era nient'altro tra noi, credimi, ma Debrah odiava che io ridessi con le altre, che legassi con un'altra e che dessi attenzioni a qualcun'altra che non fosse lei. "O con me o con nessuna", diceva. Assurdo, vero? Sembra un vero e proprio paradosso, considerando che mesi più tardi ho scoperto del suo tradimento con una miriade di ragazzi...» alzò di scatto la testa e prese a guardarmi dritto negli occhi. «Una sera Debrah mi diede appuntamento in una casa abbandonata fuori Parigi. Non avevo idea di come conoscesse quella zona malfamata, ma ci andai ugualmente senza fare troppe domande; mi fidavo di lei ed ero ancora troppo stupido per capire. Quando arrivai lì, trovai quella povera ragazza stesa in un mare di sangue. Era quasi morta. Era troppo tardi.»

«L-lei è...» 

Non trovai le parole adatte per esprimere il mio sgomento, perché in realtà non c'erano frasi da poter utilizzare per quel fattaccio. Sperai di essere oggetto di qualche scherzo o candid camera, ma più i minuti passavano e più quella storia prendeva forma grazie ai racconti di Castiel. Era tutto reale, purtroppo.  

«Debrah aveva pagato dei ragazzini per attirare Mary e portarla in quella casa; dopodiché la legarono e massacrarono di botte. Probabilmente usarono dei coltelli oltre alle spranghe di ferro, perché aveva dei tagli in più parti del corpo. Io la trovai già senza conoscenza, non vidi nessuno picchiarla. Non conosco tutti i particolari del massacro», serrò gli occhi e sbuffò prima di continuare. Fu difficile per lui confessare, probabilmente ero la prima persona a cui stava raccontando tutto. «Senza perdere tempo, corsi alla cabina telefonica più vicina per chiamare i soccorsi e poi me ne andai... Sono scappato. Fuggito. Capisci che razza di uomo mi sono dimostrato in quell'occasione?» 

Raccontò quell'ultima parte con un dolore cupo, che gli proveniva da dentro, come se stesse rivivendo quei momenti agghiaccianti. Dal suo tono di voce percepii che si riteneva ancora colpevole, nonostante fossero passati molti anni dall'episodio.

«Tu non hai colpe, Castiel. Quella cattiva e pazza resta soltanto una...» tentai di rassicurarlo.

Ma lui in quel momento non era lì. 

Era stato risucchiato totalmente dal passato, da quell'orribile segreto che l'avrebbe torturato per tutta la vita. 

«Mary è stata in coma per due settimane. Era da sola, abbandonata, in un freddo letto d'ospedale e senza nessuno che piangesse per lei, nemmeno uno a sperare che si svegliasse. E quando l'ha fatto... quando si è svegliata non camminava più: a causa di una lesione al midollo spinale è diventata paraplegica. L-lei... è finita sulla sedie a rotelle per colpa mia, capisci che orrore? Perché non le sono stato abbastanza lontano, perché non sapevo di avere una fidanzata psicopatica...» mi guardò con gli occhi assenti e fermi, ancorati a quella notte di molti anni prima. 

Pensava realmente quelle parole. Si colpevolizzava come se fosse stato lui stesso a ridurla in quelle condizioni. Avrei tanto voluto convincerlo del contrario, aiutarlo, ma purtroppo mi sentivo impotente. 

Debrah aveva provocato dei danni permanenti ad una ragazza e l'aveva fatto solo per un suo capriccio, per qualcosa d'infondato. Dentro di me crebbe il disgusto e l'odio per quell'arpia psicopatica. Meritava di marcire in carcere per quel gesto, perché nessuno aveva indagato a dovere?

Nella mente risuonò un campanello d'allarme che mi fece smettere di respirare: al posto di quella ragazza ci sarei potuta essere io. In fondo cosa glielo impediva? Aveva pestato a sangue una ragazza solamente per essere entrata in sintonia con il suo ex fidanzato; con me avrebbe fatto molto peggio, perché avevo avuto addirittura una relazione con il soggetto della sua ossessione ma - nonostante quell'evidenza - lei non mi faceva paura.

«L'unica cosa da fare sarebbe stata una denuncia a Debrah, nient'altro. Non potevi prevedere che fosse pazza e non potevi precluderti le amicizie femminili. Come fai anche solo a pensarlo?» corrugai la fronte.

«Ero troppo innamorato di lei per denunciarla».

Davanti a quell'ammissione, mi si raggelò il sangue e un brivido mi percorse tutta la schiena. Castiel innamorato ed incredibilmente devoto: un dolce e invitante binomio. Peccato però che quell'amore non era destinato a me. 

«Oh beh...»

Non sapevo cos'altro rispondere, ero completamente spiazzata da quella rivelazione. Come si poteva proteggere una ragazza del genere?

«Ci sono state indagini sul caso?» continuai per comprendere meglio la situazione. 

«Le forze dell'ordine hanno chiuso il caso come rapina a mano armata finita male. Debrah ha comprato il silenzio di Mary, approfittando di lei perché sapeva avesse gravi problemi economici. Così fu la vittima stessa ad inventarsi una versione dei fatti tutta sua». 

Castiel non parve entusiasta del termine di quella storia ed io non potevo che concordare con lui: Debrah meritava di pagare, necessitava di cure appropriate per la sua malattia psicologica ed era pericolosa, se lasciata a piede libero. Più volte avevo avuto il sospetto che fosse una ragazza problematica, ma non avrei mai immaginato che lo fosse fino a quei livelli. Lei era malata, malata sul serio. Per un attimo ripensai a tutte le occasioni in cui aveva avuto occasione di farmi del male; erano state molte, ma per me aveva optato per un dolore diverso: quello psicologico. Mi ritenni fortunata di essere ancora viva. 

«Ricordo ancora le parole esatte che mi rivolse quel giorno: "sarei in grado di uccidere per te. Voglio che tu sia solo mio, che i tuoi occhi venerino solo me. Sarai mio per sempre. O con me o con nessuna, Castiel". Dopo quel fatto non la volli vedere per tre giorni, ma in un certo senso mi lusingava la sua devozione».

All'interno di una normale coppia quelle frasi sarebbero state molto romantiche, ma una volta conosciute tutte le sfaccettature della vicenda risultarono inquietanti.  

«E allora perché poi ti ha lasciato scomparendo per due anni?» proseguii con la mia indagine.

Qualcosa non tornava. 

«Questo tuttora non lo so, ma ci sono cose che è meglio non chiedersi con lei», rispose sinceramente. «Adesso invece riesci a capire il mio vero timore in tutti questi anni? Perché cercavo di allontanarti, il motivo di quella scommessa, perché cercavo di tenerla buona?» lo sguardo in trepida attesa. 

«Forse...» a causa di forti capogiri dovetti sedermi sul letto. 

Mi sentivo confusa per quelle rivelazioni assurde e il residuo d'alcol ancora in circolo nel mio sangue non fu di certo d'aiuto. La conoscenza di quella verità cambiava tutte le carte in tavola. Castiel non era più il cattivo della storia e voleva sul serio proteggermi; utilizzava perennemente quella scusante per scolparsi dai vari guai che combinava, ma avevo scoperto che diceva sul serio. Dio che situazione! Mi portai la mano sinistra sulla fronte e serrai le palpebre sotto lo sguardo attento di Castiel. Avere di nuovo i suoi occhi grigi puntati sulla mia figura mi suscitò emozioni contrastanti: completezza e ansia al tempo stesso. 

«Sin dai primi giorni del suo ritorno a Parigi, quando io e te non eravamo niente, lei ha iniziato a dirmi quelle parole: "o con me o con nessuna". Inizialmente non ci davo troppo peso, perché provavo una semplice attrazione nei tuoi confronti e-» lo bloccai. 

«E adesso cosa provi per me, Castiel?» mi s'inumidirono le mani a causa dell'ansia, le parole mi uscirono sole di bocca, senza che io volessi. Non ebbi il coraggio di sollevare lo sguardo verso di lui. 

«Non credo t'importi più...» la voce malinconica e roca. 

Rischiai un infarto istantaneo. 

«Giusto!» mi morsi la lingua sforzandomi di non fare nuovamente quella stupida domanda, di non fare rivelazioni di cui il giorno dopo mi sarei pentita. 

Non dovevo dargli dimostrazioni, lui non doveva avere certezze su di me. Non più. 

«Stavo dicendo...» riprese parola schiarendosi la voce «Inizialmente non ci facevo troppo caso perché io non ti piacevo. Invece ti piaceva il damerino, poi un mese dopo ti sei ostinata a portare avanti una finta relazione con Ciak, quindi non pensai ai comportamenti allarmanti di Debrah e mi  lasciai trascinare nei bei ricordi del passato», si passò una mano tra i capelli neri arruffati ed io per poco non morii sul posto. «Poi qualcosa è cambiato!» alzò di scatto lo sguardo su di me, mi fissò intensamente ed il mio cuore batté all'impazzata.

Sapevo bene cosa volesse dire con quell'ultima frase, ma lo lasciai parlare perché sarebbe stato bello sentirlo discorrere: lo faceva raramente.

«Il nostro rapporto è cambiato durante il viaggio a Roma e Debrah se n'è accorta. Da quando ha iniziato a ricattarci ho capito ci fosse qualcosa che non andava, qualcosa di molto simile e paragonabile alla storia di Mary. Così ho cercato di allontanarti da me in tutti i modi, ma tu tornavi sempre. Io stesso tornavo sempre... Non sono riuscito a starti lontano e probabilmente non l'ho mai voluto realmente. Speravo che Debrah fosse cresciuta, che non fosse più quella ragazzina di anni prima e invece mi sbagliavo. Cazzo quanto mi sbagliavo!» digrignò i denti mentre la sua mente portava a galla ricordi del passato. «Quando mi ha proposto di partire insieme a lei... Anzi, quando mi ha costretto a partire insieme a lei...» indugiò nel continuare. 

«Lei... cosa?» con il cuore in gola, lo esortai a proseguire.

«Ha minacciato di farti del male e che questa volta non si sarebbe limitata ad usare una spranga di ferro, che avrebbe fatto di più», si passò le mani sul volto, ancora evidentemente scosso dall'ennesimo ricatto della sua ex ragazza. «Mi sentivo impotente. Volevo proteggerti, ma sapevo di non poterlo fare totalmente. Debrah era pazza e avrebbe trovato un modo e un momento qualsiasi per colpire. L'ultimo mese della nostra relazione stavo impazzendo: vivevo costantemente in bilico, sulle spine e con il costante timore di perderti. Perderti per davvero. Alla fine sono arrivato alla conclusione che l'unico modo per prevenire il peggio era spingerti ad odiarmi... e mi è uscito bene, vero?» sul suo volto pulito si dipinse un sorriso amaro. «La scelta non è mai stata tra te e la musica, ma tra salvarti la vita o...»

"lasciarti morire", conclusi nella mia mente quello che Castiel non aveva avuto il coraggio di dire ad alta voce. 

Ero scioccata. Totalmente e completamente scioccata. Debrah avrebbe potuto farmi del male, attentare alla mia vita, senza che io ne fossi a conoscenza. In che diavolo di storia mi ero infiltrata? Sembravo la protagonista di una fottuta serie TV. 

Non potevo credere alle mie orecchie. In quel preciso istante ogni pezzo di puzzle mancante venne ritrovato e completato. Una volta per tutte ogni cosa ebbe senso: il carattere lunatico di Castiel, le sue frasi pessimiste, la perenne malinconia nei suoi occhi, il suo morboso attaccamento a Debrah e la sua paura assurda sulle azioni che avrebbe potuto commettere. Come avevo potuto non accorgermene prima? Lui non l'amava, la temeva. Aveva cercato di tenerla sotto scacco durante i mesi della nostra relazione e con la finta scommessa aveva recuperato un po' di tempo prezioso da trascorrere con me. Perché lui era me che voleva, non lei. Solo me. Cazzo!

«Io...» aprii e chiusi gli occhi ad intermittenza, incapace di far fuoriuscire parole in grado di descrivere i sentimenti provati in quell'istante «Perché non mi hai detto subito tutto? Avremmo cercato insieme una soluzione, noi...»

«Sono stato un codardo. Non avevo il coraggio di dirti che ho quasi ucciso una persona», abbassò nuovamente lo sguardo, sospirando. 

«Ancora? Tu non hai fatto un bel niente, Castiel.»

«Sì, invece! E come se non bastasse non ho avuto il coraggio di portarla in ospedale, di farle visita, di raccontarle com'erano andate realmente le cose».

«Perché non hai mai denunciato il fatto alle forze dell'ordine?» ripetei quella domanda per la seconda volta, sperando in una risposta più esaustiva della precedente. 

Un'azione del genere andava denunciata. Una ragazza pericolosa come lei andava rinchiusa in un centro psichiatrico in grado di estrapolarle dalla mente tutto quell'odio, quel complesso d'inferiorità ed insicurezza che la spingeva a compiere quei gesti così estremi. 

«Credevo di amare ancora Debrah, non le avrei mai fatto del male. Non gliene avrei mai fatto, neanche dopo la scoperta del tradimento e dopo la sua partenza. Piuttosto di accusarla, avrei preferito drogarmi e bere fino a non ricordare nemmeno il mio nome».

«Quindi...» sgranai gli occhi per l'ennesima scoperta di quella sera. 

«Dopo la sua partenza, ho fatto abuso di sostanze stupefacenti e di alcol anche per la storia di Mary, esatto. Mi sentivo in colpa per non aver fatto abbastanza. Non ero poi così pazzo come mi dipingevano i miei, vedi? Avevo i miei motivi per fare ciò che facevo. Non è una giustificazione, ma di sicuro è una motivazione più comprensibile», attraversò la stanza per raggiungermi sul letto e sedersi accanto a me. 

I pensieri per un attimo volarono in territori proibiti, ma tentai di scacciarli e mi concentrai sulle parole di Castiel che continuò a spiegare quell'assurda vicenda. 

«Come ti ho detto poco fa, ho scoperto che ha pagato profumatamente Mary per farla tacere su quella storia, per evitare lo scandalo di una denuncia agli esordi della sua carriera. Per cui - tra l'altro - io con un'eventuale denuncia avrei potuto fare ben poco. Le ho pensate tutte quando ha minacciato di farti del male, ma non c'erano altre soluzioni oltre all'inevitabile conclusione di allontanarmi da te...» nella sua voce percepii tanta malinconia che trasmise anche a me. 

«Non l'avresti potuta denunciare per le minacce fatte a me? Magari avresti potuto registrarla...»

«Qualora avessi deciso di farlo, Mary aveva l'ordine d'incolpare me per il suo incidente e sai bene anche tu che non avrei potuto permettermi altre denunce».

«Mio Dio!» digrignai i denti esasperata. 

Debrah non aveva tralasciato nulla. Era sin troppo intelligente e astuta per essere catalogata come una semplice pazza. 

«Adesso mi credi?» voltò la testa nella mia direzione ed io viceversa feci lo stesso. 

«Sì!» risposi senza esitare. 

Ed era la verità. 

«Mi perdoni per tutto il male che ti ho provocato?» mi prese il volto tra le mani e le guance mi andarono a fuoco. 

«No!» replicai secca e sincera. 

«Ancora?» lasciò cadere le mani sulle sue gambe, allontanandosi da me deluso. 

«Cosa ti aspettavi?» schioccai la lingua sul palato «Che dopo avermi raccontato tutta la verità ti avrei permesso di entrare di nuovo nelle mie mutandine? Che magicamente avrei dimenticato questi due anni di assenza? Non funziona così, mi dispiace. C'è un tempo per tutto, tu hai superato e sprecato il tuo. Sei arrivato troppo tardi, Castiel.»

Ero sconcertata per le rivelazioni inaspettate, ma avevo ancora le idee chiare sull'argomento "Castiel". Ero terribilmente dispiaciuta per quello che aveva dovuto subire e gli ero grata per avermi protetta anche a mia insaputa, ma era ingiusto tacere per due anni per poi riapparire magicamente con quelle verità disarmanti. Il tempo era continuato a scorrere, il dolore continuava a bruciare. E poi... mi aveva tenuta all'oscuro di tutto, precludendomi da ogni possibilità di difesa in un eventuale agguato alla mia vita. Avrebbe dovuto parlarmene molto tempo prima, avevo il diritto di conoscere la verità. E se Debrah avesse deciso di farmi visita quando i Drunkers l'avevano mollata, come avrei potuto difendermi senza avere la benché minima idea di ciò che stava accadendo alle mie spalle? Sarei finita in un letto d'ospedale o ancora peggio in una bara. Castiel era stato poco riflessivo e aveva giocato con la mia vita, ma decisi di non rivelargli quelle riflessioni perché non mi andava di sostenere l'ennesima discussione con lui. 

«Perché ho la sensazione che tu stia dicendo una marea di cazzate?» lo sguardo ed il sorriso sprezzante testimoniarono la sua ripresa. 

Aveva finito di sentirsi un ragazzino colpevole per aver contribuito alla rovina di una giovane ragazza infatuata di lui. Di lui non c'era più traccia. Invidiai il suo talento innato di cambiare umore alla velocità della luce. 

«Cazzi tuoi. Puoi pensare ciò che vuoi», incrociai le braccia al petto ancora pensierosa e scioccata.

«Miki...» la voce roca ridotta ad un sussurro sensuale. 

«Castiel...» lo imitai guardandolo dritto negli occhi e commettendo l'errore più grave della mia vita. 

«Non starò via per molto», continuò, cambiando totalmente argomento. 

Mi sarei ammattita a furia di stargli dietro. 

«Buon per te».

Le risposte secche e acide ormai facevano parte del mio DNA, erano il mio scudo contro il mondo. Dentro di me vorticavano maree di emozioni, ma non lo diedi a vedere. 

«Ho intenzione di ritornare», lo sguardo profondo e sincero.

«E me lo stai dicendo perché...» 

Lasciai la frase in sospeso, con la speranza che lui la concludesse al posto mio. 

«Voglio stare con te», le labbra gli si aprirono in un mezzo sorriso. 

La bocca mi si schiuse per lo shock e gli occhi per poco non mi uscirono dalle orbite. La sua sincerità disarmava e uccideva. 

«C-con m-me i-in che senso?» sibilai a stento, percependo i battiti del cuore sin dentro le orecchie. 

«Vorrei frequentarti», replicò semplicemente, senza mostrare emozioni. 

"Che?"

«Dimentichi che adesso ho un ragazzo!»

Fuori mostrai di essere forte, ma dentro di me stavo fremendo.

«Per caso... ho specificato quale tipo di rapporto desidero avere con te?»

«N-no ma...» 

Riuscì a mettermi in difficoltà. Maledizione!

«Niente ma», si prese del tempo prima di proseguire «adesso che Debrah è fuori dai giochi, vorrei poter fare tutto con calma, godermi ogni attimo senza nessuna ansia o aspettativa, senza obblighi o etichette».

Le sue parole generarono un moto di delusione dentro di me, ma ce la misi tutta a non farglielo notare. 

«Cosa ti fa pensare che Debrah sia fuori dai giochi?» mi venne spontaneo chiedergli prima di proseguire con l'altra parte del discorso. 

«Lo è!» pareva essere sicuro. 

Non indagai, non mi andava più di concentrare tutte le attenzioni sulla ragazza dagli occhi di ghiaccio, era già stata parte integrante del discorso per troppo tempo.

«Quindi mi stai proponendo di essere scopamici? Sei serio?»

«Non ho detto questo. Solo...»

«Penso sia meglio che tu te ne vada, Castiel. Ho bevuto troppo, sono stanca e ho bisogno di riposare.»

Con quale coraggio era arrivato a chiedermi una cosa del genere solamente dopo qualche ora dal suo ritorno? Sempre se poteva essere definito tale... Non conoscevo le sue intenzioni, non mi fidavo di lui e in più non avevo espresso alcun desiderio di voler iniziare un qualsiasi tipo di rapporto con lui. Non mi andava più bene che mi desse per scontata, come se fosse ovvio che io provassi ancora dei sentimenti verso di lui, come se pendessi dalle sue labbra. 

«Basterebbe solo che evitassimo di essere fotografati, per non correre il rischio che Debrah scopra il nostro rapporto».

Uno stronzo egoista, ecco cos'era! 

Mi stava proponendo d'iniziare una relazione segreta, in pratica. Perse molti punti anche solo per aver pensato che io potessi acconsentire ad una baggianata di quella portata. 

«Uno: non c'è nessun "noi" da due anni, ormai. Due: non ho acconsentito a riprendere una qualsiasi frequentazione con te e in più, terzo dettaglio fondamentale: sto con un altro», austera, lo rimisi in riga con quell'elenco. 

«Un altro... di cui non sei innamorata».

«Disse il grande esperto in materia», lo derisi.

«Lo sono diventato due a-» da perfetto codardo qual era, preferì cambiare discorso invece di terminare la frase «alcune cose si percepiscono».

«Vedermi di sfuggita ad un concerto non ti dà il diritto di giudicare i sentimenti che provo verso un'altra persona».

«Non sto giudicando, sto semplicemente evidenziando una verità», allargò la bocca in un sorriso.

E anch'io mi lasciai sfuggire un sorriso, sciogliendomi un po'. Era incredibile come volesse avere ragione in qualsiasi occasione, sebbene anche lui sapeva di non averne. 

«Sei incredibile», scossi la testa ancora sorridendo. 

«E tu bellissima», si fece eludere. 

Bloccai di colpo ogni azione e arrossii. Quel semplice complimento fatto da lui diventava il più bello al mondo, lo diceva con un'intensità sconvolgente. 

«Posso ancora diventare quello giusto», proseguì spiazzandomi. 

Era passato dall'impormi un'eventuale relazione segreta all'essere insicuro e dolce. Probabilmente aveva intuito non fosse più semplice imbambolarmi. 

«Non è questione di essere giusto o sbagliato...»

«E di cosa allora?»

«Ne abbiamo parlato poco meno di un'ora fa»

«Non ho intenzione di fuggire, non questa volta. Non più», parve sincero.

«Non mi fido abbastanza per crederti», sospirai pesantemente.

Purtroppo era la verità.  

«Passerò l'intera vita a farti ricredere, se necessario»

Che esagerazione! E chissà perché non gli credetti neanche un po'.

«Come ci si sente a stare lassù?»

«Lassù?» perplesso, corrugò la fronte. 

«Sul trono»

«Stai bene? Sei influenzata e stai delirando?» portò la mano sulla mia fronte e scottava, ma non per la febbre o l'alcol. 

«Mai stata meglio», gli sorrisi e poggiai la mano sulla sua per toglierla dalla fronte. Era bello percepire il suo calore. «Intendevo: come ci si sente a stare lassù, sul trono che io stessa ho contribuito a creare? Ti ho sempre fatto sentire speciale e importante, hai sempre ricevuto certezze dalla sottoscritta. Come ti sei sentito ad essere un Re?» scoppiò a ridere davanti al mio paragone, ma non mi lasciai influenzare e terminai il discorso «E come ci si sente adesso, senza più certezze da parte mia? Come ci si sente a non poterti più approfittare di me?»

«Uno schifo» e tornò ad essere serio «ma non ho mai voluto approfittarmi di te».

«Ah no?» lo schernii, ma non aggiunsi altro. 

Non avevo intenzione di passare per la vittima, per la ragazza debole della storia. 

«No!»

«Allora prima di agire, d'ora in avanti, ricorda ciò che ti ho detto ed evita di giocare a fare la parte di quello sicuro delle intenzioni altrui. Tu non sai niente di quello che vorrei!» gli puntai il dito contro. 

Lui di risposta abbassò il volto e mordicchiò il mio indice che gli stava sfiorando la maglia. Corrugai la fronte e tentai di trattenere le risate, ma non ci riuscii. 

«Sei un cretino», gli dissi tra una risata e l'altra lanciandogli uno scappellotto dietro la nuca. «Io stavo parlando seriamente», strinsi le braccia al petto. 

«Anch'io», con un sorrisetto poco rassicurante si avvicinò pericolosamente al mio volto «stavo parlando», mi afferrò il mento tra le dita «molto seriamente», i suoi occhi ricaddero sulle mie labbra «che più seri non si può», soffiò sulla bocca «e non ho nessunissima intenzione di ascoltare altre cazzate» e alla fine poggiò le sue labbra sulle mie.

Non mi ritrassi, non ne avevo le forze. Il cuore mi tradì esibendosi in una doppia capriola, lo stomaco si cosparse di farfalle colorate. Solo con lui avvertivo emozioni così forti ed era bello riprovarle. 

«Visto?» poggiò la fronte sulla mia. 

Il suo respiro caldo mi solleticò le guance e la bocca, socchiusi gli occhi per quella piacevole sensazione. Con lui stavo ancora bene, anche troppo. Non avrei potuto nascondere quel particolare. 

«Cosa?» gli chiesi spiegazioni ingenuamente. 

«Che esisterà per sempre "un noi". Non può essere cancellato quello che siamo stati», mi carezzò la guancia sinistra con il pollice e le nocche della mano chiusa.

«Diventare una rockstar ti ha rammollito», ridacchiai, sdrammatizzando per non far troppo caso ai brividi che mi stava provocando con la sua vicinanza. 

«Potrei darti ragione su questo», si unì a me. 

Quando sorrideva ampiamente gli si formava una fossetta sulla guancia sinistra: era raro vederla e proprio per quel motivo un evento eccezionale e poi... mi facevano impazzire quelle labbra sottili, che facevano da contorno ad una dentatura bianca e perfetta. Tutti quegli aspetti decretarono la mia fine; non potei resistere dinanzi a quella visione, dovetti farlo: portai due dita sul suo labbro inferiore e lo carezzai fino ad arrivare ai lati del viso, dove sfiorai la fossetta. Lui socchiuse gli occhi. 

Quando mi resi conto del gesto appena compiuto mormorai un: «Scusa» e provai ad allontanarmi imbarazzata. 

«No», mi strinse lievemente il polso e riportò la mano sulle sue labbra. 

Incoraggiata da lui stesso, a quel punto passai a contornare ogni linea del suo volto: iniziai dalle sopracciglia, poi passai agli occhi, al naso e di nuovo alla bocca, per ultimo risalii fino ai capelli morbidi. Lui mi osservò immobile e quasi sopraffatto dal mio tocco. Sapevo di aver oltrepassato la linea sottile della distanza di sicurezza, ma non riuscii a fermarmi. 

«Forse mi sei mancato un po'», ammisi ad alta voce, frantumando un altro mattoncino del mio cuore di pietra. 

«Anche tu», sorrise dolcemente «ma togli "un po' e forse", poi aggiungi: "talmente tanto da togliermi il respiro"» mi sfiorò il braccio, proprio lì dov'era disegnato un cuore distrutto. 

"Mi sei mancata talmente tanto da togliermi il respiro", ma in realtà fu lui a lasciarmi senza fiato. 

Non avevo idea di come fossimo passati dal discutere sul tentato omicidio di Debrah nei confronti di Mary, all'accarezzarci e chiacchierare affettuosamente, ma - nonostante tutto - desiderai che quegli ultimi istanti non finissero mai. 

Sapevo di essere contraddittoria, probabilmente mi aveva contagiata il vecchio Castiel, ma ero stanca di pensare alle conseguenze e sul mondo al di fuori dalla mia stanza: a quello ci avrei pensato il giorno dopo.

Ad un certo punto si sporse in avanti per abbracciarmi, mi attirò a sé con talmente tanta forza che non riuscii a reggermi e finii per scivolare su di lui; entrambi cademmo sul letto. Probabilmente era ciò che aveva intenzione di fare sin dal principio, ma non mi spostai perché - sebbene volessi negarlo - quello in fondo era sempre stato il mio posto: tra le sue braccia. Allungai una mano verso il suo capo e gli lisciai i capelli con le dita. Ero ammaliata dalla sua folta capigliatura nera. 

«Non voglio andarmene», mi strinse ancor di più, facendomi mancare il respiro. 

«Allora non andartene». 

Eh già... avevo perso le ultime rotelle del cervello. 

«Vuoi che io resti?» mi guardò stralunato. 

«Solo se ti va», feci spallucce come meglio mi riusciva, visto che ero prigioniera tra le sue braccia.

«Quanto ad ambiguità hai preso il mio posto e mi hai superato di mille punti. Questo lo sai, sì?» mi scompigliò i capelli. 

«Quindi stai ammettendo che qualche anno fa era impossibile avere a che fare con te?» 

«Probabile», allungò un angolo della bocca in un mezzo sorriso. 

Ero sbalordita. Il vecchio Castiel non avrebbe mai riconosciuto i suoi difetti.

Quella notte restò lì con me, senza chiedere o pretendere nulla. Ci coccolammo a vicenda, avvinghiati l'uno all'altra e con le gambe intrecciate, come se avessimo il timore che qualcuno dei due sarebbe potuto scappare da un momento all'altro. E in fondo entrambi sapevamo che sarebbe accaduto molto presto. 

Castiel era cambiato, bastarono quelle poche ore trascorse in sua compagnia per farmene rendere conto pienamente e - purtroppo per me - acquisì ancora più fascino di prima. Probabilmente gli aveva giovato dividere con qualcuno il peso del segreto di Debrah e, qualsiasi fosse stato il motivo, quella trasformazione era davvero evidente. Sorrideva senza farsi problemi, chiacchierava con piacere, riusciva ad esternare con maggiore facilità i suoi pensieri e sentimenti, la nuvoletta nera che lo seguiva perennemente era quasi scomparsa. Non avrei mai neanche lontanamente pensato a quegli aspetti su di Castiel, ma avevo avuto modo di vedere quel miglioramento con i miei stessi occhi e fu meraviglioso. Egoisticamente sperai mostrasse solamente a me quella trasformazione. 

Così come una crisalide si trasforma in farfalla, Castiel da ragazzo era diventato uomo. Così com'erano spariti i suoi capelli rossi, era sparita anche quella piccola parte infantile e cupa ancora rimasta in lui. 

E se gli avessi dato un'altra possibilità? Mi spaventai dinanzi a quel pensiero, perché non dovevo ricascarci. Non potevo. 

Com'era strana la vita: bastavano pochi attimi, pochi anni per stravolgere completamente le idee di una persona e per cambiarla. Io ad esempio - qualche tempo prima - avrei pagato oro pur di avere un Castiel come si era mostrato a me quella sera, ma a distanza di anni non era più la mia priorità. Perché la mia priorità ero io: il benessere fisico, un cuore integro, la sanità mentale; tutti aspetti che, con a fianco il ragazzo dagli ex capelli rossi, avrei perso. 

Non gli avrei permesso di sconvolgermi nuovamente la vita... però intanto quella notte mi addormentai tra le sue braccia. Le braccia del nemico. 

Il giorno dopo ci restai persino male quando non lo trovai nel mio letto, al mio fianco. Del suo passaggio erano rimaste solamente le frasi scritte sul vetro e sul ritratto fatto a Roma; se non fosse stato per quelle, avrei pensato di essermi sognata la sua intrusione nella mia stanza. 

Il mio letto profumava di lui, della sua fragranza e la mia pelle bruciava ancora a causa del recente contatto. Afferrai il cuscino e sprofondai con tutto il volto in quel tessuto morbido: la stoffa era impregnata del profumo di Castiel. I brividi che si cosparsero per tutto il corpo testimoniarono la mia totale indifferenza verso quel ragazzo. 

No, non provavo più nulla per lui

Ero ipocrita fino al midollo, sì. 

 

Castiel

È incredibile come un mondo pieno di persone possa sembrare deserto se anche solo una di loro ti manca. A me mancava lei e me ne resi pienamente conto solamente quando ebbi il privilegio di rivederla. 

Vivere senza di lei era come vivere a metà, come se mi mancasse la metà di me stesso. Sembra sciocco da dire, ma perderla mi aveva reso una persona migliore, mi aveva cambiato. Avevo imparato a far esplodere tutto il dolore nella scrittura delle canzoni, piuttosto che sui volti delle persone pestandoli a sangue. Implicitamente volevo diventare migliore per essere il ragazzo che Miki meritava. Tutto il mio mondo vorticava intorno a lei, ormai. 

Le avevo persino rivelato il segreto che mi aveva torturato per anni e che non avevo mai avuto il coraggio di raccontare: ero colpevole di aver rovinato la vita ad una ragazza. Se solo avessi avuto più accortezza nel rapportarmi con Mary, se solo avessi smascherato prima Debrah, se solo non fossi stato ossessionato da lei, se solo avessi accompagnato Mary in ospedale, magari avrei avuto meno traumi adolescenziali e non mi sarei mai avvicinato ad una ragazza come Debrah; magari Mary camminerebbe ancora e non avrei il rimorso costante di non aver fatto abbastanza per aiutarla. Purtroppo però, la vita era una sola e non poteva esserci possibilità di ritorno o di rivivere alcuni momenti senza sbagliare. Si poteva solamente imparare dagli errori e tentare di non commetterli più. Io avevo imparato dai miei. 

Non avrei mai più represso i sentimenti, avrei vissuto senza timore e con la speranza che Debrah avesse deciso di lasciarmi andare una volta per tutte. Non aveva mai più provato a contattarmi, probabilmente - psicopatica com'era - in quell'anno aveva continuato a seguire ogni mio spostamento e sapeva che Miki stava con un altro; probabilmente se avessi anche solo provato ad iniziare una qualsiasi frequentazione con la ragazza dai capelli ramati, Debrah avrebbe trovato il modo di torturarci di nuovo, ma quella volta sarei stato pronto a rischiare. 

Perché vivere una vita senza Miki non era più ipotizzabile. L'avevo capito dopo averla vista al concerto, l'avevo capito dopo esser scappato dall'after party solo per rivederla. Finalmente avevo compreso come dovessi fare per non vivere più con quel costante peso sul petto, con il rimorso di ciò che sarebbe potuto essere: avrei dovuto riconquistarla, non rinunciare a lei. Non l'avrei lasciata tra le braccia di un altro. Non più. 

Sapevo meritasse di meglio di un ragazzo disastrato, ma io sarei diventato quel meglio. Solo per lei. 

Perché essere in qualunque parte del mondo senza Miki era come svegliarsi con solo metà cielo azzurro. Mi sentivo metà uomo, come se stessi camminando con una scarpa sola. Avevo solo mezzo cuore senza lei, quel cuore che soltanto Miki era stata capace di far battere e che subito dopo aveva lasciato allo sbaraglio. Non volevo più provare quelle sensazioni negative. 

Più volte ce l'avevo messa tutta per non pensarla, ma avevo finito sempre per rimuginarci maggiormente e a torturarmi per averla lasciata andare, per non essermi impegnato e aver trovato un'alternativa. Ero semplicemente perso senza di lei. 

Mi mancava tutto ciò che facevamo e quel tutto sarebbe ritornato; lo promisi a me stesso, lo promisi a lei mentre sonnecchiava beatamente tra le mie braccia. Dio che sensazione averla di nuovo con me... Fu come tornare a respirare dopo minuti di apnea sott'acqua, come bere dopo giorni di sete, come uscire all'aria aperta dopo mesi di clausura forzata in casa; fu come tornare a vivere per davvero dopo anni di sopravvivenza. 

All'alba di quella mattina, mi svegliai di soprassalto a causa della vibrazione incessante del mio telefono: lo avevo ignorato per tutta la notte e a quel punto non potevo più farlo. 

Era Marcel, il mio manager. Conoscevo bene il motivo della sua insistenza: la notte prima, sarei dovuto salire su un aereo diretto nel Regno Unito insieme agli altri componenti della band, ma non ce l'avevo fatta. Non ero riuscito a lasciare il Paese senza averla prima incontrata, non dopo le emozioni provate su quel palco grazie a lei. 

Quando - dopo essermi alzato dal letto - mi voltai verso di lei per salutarla, restai impietrito davanti a quella visione che mi catapultò indietro nel tempo: a due anni prima, per esattezza. Miki dormiva teneramente stesa su un lato, con le braccia sotto la testa e sopra il cuscino, l'espressione del volto rilassata e la bocca distesa in un lieve sorriso; la salopette che indossava le si era leggermente allargata sul davanti, lasciando intravedere il pizzo bianco del reggiseno. Era bellissima e il mio amico lì sotto concordava. 

Scossi la testa per eliminare quei pensieri e sfruttai i pochi secondi che mi erano rimasti con lei per qualcosa di utile: afferrai il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e scattai qualche foto alla bellissima sirena dai capelli ramati. Era un modo per portarla con me durante l'ultimo mese di tour. 

«Tornerò presto, piccola Miki» le schioccai un bacio sulla fronte ed uscii dalla porta di casa Rossi.

Infine sparii nella nebbia di quella mattinata estiva e piovosa di Parigi. 

Ma sarei ritornato da lei. Quella volta per rimanere. 

 

 

 



________

🌈N.A.🌈


Boooooom... Eccomi qui! (con qualche giorno di ritardo) Un'altra bomba è scoppiata💣🔥

Vi aspettavate tutto questo dietro alla "sottomissione" di Castiel verso Debrah?

Che lei fosse pazza, è risaputo. Ma fino a questi livelli? 

Debrah ha davvero fatto tutto da sola o c'è qualcuno dietro di lei?

Pensate che sia capace di far del male a Miki?

Lo scopriremo solo leggendo 📖🤓

A parte questo, adoro come i ruoli di Castiel e Miki si siano invertiti: lei ambigua, scostante, acida, timorosa di provare ancora qualcosa nei suoi confronti e lui più sereno, tranquillo, meno pauroso di esternare l'emozioni. Spero vi stia piacendo questo ribaltamento. Come finirà?

Vi raccomando: continuate a stare a casa🏡 la fase 2 di questa pandemia è quella più importante. 

Leggete, guardate film o serie tv, cantate, ballate, fate attività fisica, MANGIATE e uscite solamente per necessità. Fate i bravi!

Continuiamo ad essere forti🇮🇹

#IoRestoACasaConEFP📚

A presto,

All the love💖

Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 61
*** CAPITOLO 56: Sai che... ***



Capitolo 56

Sai che...







🎶Niall Horan ft. Julia Michaels - What A Time🎶

Ho un pò di nausea e le mie mani stanno tremando
immagino di aver bisogno di te accanto
la mia gola si sta seccando e il mio cuore batte forte
non sono più al tuo fianco, ma
ci penso ogni tanto
voglio ancora ricordarlo

Penso a quella notte nel parco, si stava facendo buio
e siamo stati svegli per ore
che bei tempi
ti stringevi al mio corpo come se lo volessi per sempre
che bei tempi
per te e me

So che non l'abbiamo finita come avremmo dovuto
e adesso diventiamo un pò nervosi
mi chiedo se la mia mente lasci fuori tutte
le parti negative
so che non avevamo senso noi due
ma ammetto di pensarci ogni tanto
oh no voglio ancora ricordarlo

che bugia per te e per me!

________________________________

🎶Marco Mengoni - Sai che🎶

***

Miki

 

In un libro, una volta lessi che per essere felici bisognava trovare l'amore. Presi una matita e sottolineai quella frase più volte, cerchiando la parola "felici". Leggendo quelle righe, passai molto tempo a fantasticare e nutrire la speranza che qualcuno, un giorno, avrebbe posto fine al mio dolore; qualcuno che mi avrebbe accettata per com'ero: con gli occhi bassi ed un sorriso vuoto perennemente stampato sul volto; che mi volesse accanto nonostante i miei silenzi, i miei sospiri, i miei momenti bui; qualcuno che non scappasse dalle mie paure, che mi aiutasse ad affrontarle invece. Solo dopo anni, mentre sistemavo i miei vecchi libri in un cassetto, mi ritrovai quel romanzo fra le mani: le pagine stropicciate perché lette troppe volte, le parole un po' sbiadite, la matita ancora in mezzo come segnalibro per quella frase. Solo allora, dopo tutti i miei sbagli, dopo essermi procurata troppe ferite, dopo aver finito le lacrime ed essermi mangiucchiata tutte le unghie per la paura... Solo dopo essermi persa nel buio, da sola, col cuore che minacciava di rompermi la gabbia toracica, ho saputo interpretare nel modo corretto quella frase. Ho sempre creduto che per essere felice, qualcuno dovesse amarmi. Ma con l'esperienza ho imparato che dovevo essere io stessa quella persona.

E non sapevo se ci fossi riuscita o meno, ma con gli anni ero diventata una persona migliore. Quello sì. 

Qualche giorno dopo la visita di Castiel nella mia stanza, decisi fosse giunto il momento di raccontare a Javier tutta la verità o quasi... Dalla sera del concerto avevo ignorato i suoi innumerevoli messaggi e le molteplici chiamate, mentre non ero riuscita a fare lo stesso con Castiel. 

Ebbene sì, al contrario di ogni aspettativa e previsione, per la prima volta nella sua vita non era sparito nel nulla, risucchiato dal buco dell'ozono. Sin da quando era atterrato nel Regno Unito, aveva scelto di sua spontanea volontà di tenermi costantemente aggiornata sulle sue giornate da rockstar, con tanto di foto allegate: grazie a lui, nella galleria avevo una collezione di paesaggi europei e stadi adibiti ai suoi concerti. Era una piacevole novità avere quella versione di Castiel ed ero stata ben lieta di rispondere ad ogni suo messaggio. 

Ci fu un giorno, però, in cui non potei rispondergli tempestivamente perché mi trovavo in uno dei miei bar preferiti di Parigi a fare colazione con Javier. Al mio quasi ragazzo raccontai per grandi linee della mia storia travagliata con il suo cantante preferito e quasi non credette alle sue orecchie: ero io la famosa musa che ispirava le sue canzoni. Dio mio... la venerazione che provava nei confronti di Castiel era davvero esagerata. 

«Me lo farai conoscere?» quasi mi supplicò mentre addentava il suo croissant ai frutti di bosco. 

Certo, tutto mi sarei aspettata tranne che avesse una reazione del genere, ma da un lato fui sollevata di aver evitato una lite. 

«Se ci sarà occasione», accettai con scarso entusiasmo. 

«Vi sentite ancora? Siete rimasti in buoni rapporti? Hai il suo numero?» mi assalì come un giornalista alla ricerca di scoop.

E no, non mi stava sottoponendo un interrogatorio a causa della gelosia. Nel mio racconto avevo volontariamente tralasciato il fatto che io e Castiel ci stessimo sentendo, che fosse venuto nella mia camera dopo il concerto e che mi avesse persino baciata, ma a quel punto - vista la sua reazione - probabilmente invece di urlare e ingelosirsi, si sarebbe congratulato con me. Non ero per nulla abituata ad un tipo tranquillo come lui. 

«No», mentii, sorseggiando il mio Té alla vaniglia. 

«E perché?» bevve il suo caffè e continuò a scrutarmi da sotto le ciglia lunghe. 

 «Vuoi saperlo così poi potrai vantartene sul tuo profilo twitter?» mi scaldai. 

Non ne potevo più della sua pacatezza e del suo continuo impicciarsi. 

«N-no, io... Ascolta», si fermò un attimo per mettere insieme i pensieri, poi scostò un ciuffo ribelle di capelli che gli era caduto sugli occhi e poggiò le mani sulle mie: «mi fido di te, Miki. Adesso sto cercando di sdrammatizzare, concentrandomi su fattori quasi frivoli, perché non mi piace essere geloso. Ho imparato a conoscerti in questi anni e non potrei mai dubitare della tua lealtà. Sapevo ci fosse qualcosa dietro alle tue lacrime del concerto, dietro ai tuoi silenzi e alle omissioni sulle tue precedenti relazioni, ma ho preferito aspettare. Ho aspettato che fossi pronta a parlarne e sono contento che questo momento sia arrivato», si sporse verso di me e mi lasciò un bacio sul naso per poi accomodarsi di nuovo sul divanetto del bar. 

D'accordo, probabilmente non avrei dovuto lamentarmi della sua reazione perché, dopo quelle ultime parole, mi sentii incredibilmente colpevole. Lui si fidava di me, ma io meritavo quella fiducia? Non proprio, visto che soltanto pochi giorni prima le mie labbra avevano sfiorato quelle di un altro e non avevo nutrito neanche rimpianto o troppi sensi di colpa. Io avevo baciato Castiel perché volevo farlo; stavo sentendo Castiel perché mi andava di farlo. Fine della storia. 

«Grazie», gli sorrisi imbarazzata senza riuscire ad aggiungere altro. 

Cos'altro avrei dovuto dirgli? Che non meritavo le sue nobili parole perché ero soltanto una sporca traditrice e lurida bugiarda? Maledizione! Quando al centro della storia c'era Castiel, sapevo solo ficcarmi continuamente nei guai con le mie stesse mani.

«Quindi dovrò lottare contro una rockstar per conquistare il tuo cuore...» fissando un punto vuoto, constatò quasi incredulo. 

Effettivamente una verità di quella portata non doveva essere facile da digerire. Fortuna che non avevo neanche minimamente accennato a tutti i ricatti e piani di Debrah, altrimenti la storia sarebbe stata ancora più scioccante. 

«Non c'è più niente tra me e lui», curvai le labbra all'insù. 

"Sì, credici!"

«Dalle sue canzoni non si direbbe», inarcò le sopracciglia. 

Fui sul punto di replicare con una delle mie frottole inventate al momento, ma venni salvata in calcio d'angolo da qualcuno che si accomodò di fianco a me, sul divanetto di pelle rossa.

«Sapevo di trovarti qui», mia madre mi salutò schioccandomi un tenero bacio sulla fronte. 

Non ero mai stata così felice di vederla come in quel momento. 

«Mamma!» esclamai con sin troppo entusiasmo.

«E tu devi essere Javier», sorrise al ragazzo moro seduto di fronte a noi e gli porse la mano per presentarsi «sono Teresa, la mamma di Miki» e alla fine guardò me di sottecchi. 

Cosa voleva?

«Piacere mio, Signora Rossi», cordiale, Javier strinse la mano destra di mia madre. 

Non poteva sapere della gaffe appena commessa sul cognome. 

«Duval. Chiamami pure signora Duval», forzò un sorriso. 

Non potei evitare di notare che non chiese a Javier di chiamarla per nome, bensì che continuasse a farlo per cognome, mentre aveva fatto così con tutti i miei amici. Preferiva Castiel tra i due, non lo aveva mai nascosto. 

«Oh... mi scusi», Javier posò lo sguardo su di me per un attimo, aggrottando la fronte. 

Potei quasi vedere girare gli ingranaggi del suo cervello. Come biasimarlo? Avevo omesso di essere la sorellastra della famosa Debrah Duval.  

«Figurati», mia madre lo scusò con un gesto della mano. 

«Duval come il manager Marcel Duval, nonché padre di Debrah Duval?» 

E rieccoci. 

«Sì, lui è il mio compagno», accontentò la curiosità del mio irritante quasi ragazzo. 

«Miki, sei accerchiata da persone famose, che fortuna!» si esaltò. 

«Magari non tutti sono ossessionati dai vip come lo sei tu», feci una smorfia e lo guardai di sbieco.

Era diventato davvero pesante con quella storia di essere adorante nei confronti di chiunque girasse intorno ai Drunkers e soprattutto a Castiel Black. 

Mia madre subito dopo per stemperare la tensione, ordinò un caffè e prese a parlare con Javier al posto mio; lo riempì di domande per conoscerlo meglio e lui rispose a tutte educatamente. D'altronde era il ragazzo perfetto da presentare ai genitori, no? E allora per quale diavolo di motivo continuavo ad essere infelice?

«Perché in uno di questi giorni non venite a cena da me?» 

Teresa se ne uscì con quell'assurda richiesta e per poco non sputai il Tè in faccia a Javier. Cosa diamine le diceva il cervello? Più volte le avevo detto che con lui avrei voluto fare le cose con calma e lei stessa mi aveva suggerito di farlo. 

«No!»

«Sì, volentieri!» io e Javier rispondemmo all'unisono. 

Peccato che il contenuto delle risposte fu completamente diverso. Cosa ne era stato del "facciamo tutto con calma senza bruciare le tappe"? A quanto pareva l'estate faceva male a tutti quelli che conoscevo. 

«Non credo sarebbe il caso», proseguii, guardando di sbieco Javier e sperando intuisse il mio disagio. 

«Sarà una cena informale. Non ci sarà neanche Marcel», insistette Teresa. 

La incenerii con lo sguardo e subito dopo incrociai le braccia al petto. 

«Va bene venerdì sera per le venti?» proseguì imperterrita, ignorando le mie occhiatacce. 

«No, per niente!» 

«Certamente, ci saremo. Grazie mille per l'invito, signora Duval» rispose il coglione di Javier. 

Perché entrambi avevano deciso d'ignorarmi? Non contava il mio pensiero? Bene, allora a quella cena sarebbe stata superflua anche la mia presenza e il mio quasi ragazzo sarebbe benissimo potuto andarci da solo.

«Vaffanculo», sibilai a denti stretti, ma nessuno mi sentì perché troppo impegnati a confabulare.

Trascorso qualche altro minuto a chiacchierare con Javier, mentre io facevo da spettatrice alla scenetta, Teresa si alzò per andare via a causa di alcuni impegni. Salutò Javier con una stretta di mano e me con un bacio sulla guancia accompagnato da una strana occhiata. 

Stava tramando qualcosa, ormai ne ero sicura, ma non mi era dato sapere cosa fosse.  

Quello stesso giorno pranzai a casa di Javier. Viveva da solo in un piccolo trilocale nel centro di Parigi. Era la prima volta che ci entravo, ma non feci per nulla caso all'arredamento perché troppo impegnata a litigare con il proprietario. I nostri patti erano altri, non di presentarci alle rispettive famiglie a pochi mesi dall'inizio della nostra frequentazione. 

«Mon chéri, hai ragione, ma io sto bene con te e non vedo il motivo per il quale non possiamo fare questo passo. Sarà solo per questa volta... tua madre è stata così gentile», sollevò le spalle. 

«Entrambi avremmo dovuto essere d'accordo, non solo tu», sbuffai nervosa «e so bene come vanno queste cose, poi entra a far parte delle abitudini e addio».

«Chiama tua madre e dille che non si fa nulla», ad un certo punto si esasperò persino lui. «Non voglio costringerti a fare una cosa che non ti va», sospirò abbattuto. 

Quasi mi dispiacque di vederlo così offeso. 

«Lascia perdere!» Cedetti.

 Alla fine sarebbe stata solo una cena... Sperai di non pentirmene. 

E chiudemmo il discorso, senza più riaprirlo. 

***

Casa di Javier si trovava vicino al parco floreale di Parigi. Più volte mi aveva invitata a visitarlo insieme a lui, ma avevo sempre rifiutato educatamente trovando una scusa banale inventata sul momento. Quel parco racchiudeva alcuni dei tantissimi momenti preziosi della mia prima e unica storia d'amore; era uno dei posti preferiti di Castiel, un luogo speciale che aveva ispirato la scrittura delle sue prime canzoni. Era un luogo intoccabile, soltanto mio e suo, e non mi andava di entrarci con qualcun altro. In realtà, da quando la nostra storia era giunta al capolinea, non avevo neanche avuto il coraggio di andarci da sola. Più volte mi ero ritrovata davanti a quell'entrata, ma non avevo mai osato oltrepassare il cancello. Temevo di essere assalita dai bei ricordi e di volerne vivere altri; temevo che - una volta lì - lui mi mancasse talmente tanto da indurmi a corrergli dietro; temevo di perdere quel poco di stabilità mentale ritrovata dopo molti sforzi; temevo di percepire emozioni indesiderate per qualcuno che non le meritava. 

Così erano trascorsi due anni: quando passavo davanti quel parco, puntavo lo sguardo dritto davanti a me, mi sforzavo di non curiosare all'interno, di non controllare se la rete dalla quale entrava Castiel fosse stata riparata o se ci fosse ancora quel famoso passaggio segreto che conoscevamo solo io e lui e che usavamo per intrufolarci di notte, dopo l'orario di chiusura. 

Ma quel pomeriggio di fine Giugno qualcosa cambiò. Dopo aver salutato Javier ed esser uscita da casa sua, percepii l'imminente bisogno di entrare in quel parco. Ero ancora adirata per l'irruzione di mia madre in quel bar, per il comportamento di Javier, per l'imminente cena a casa Duval e avevo l'estremo bisogno di pensare ad altro. 

Così ci entrai. 

Il tempo pareva essersi fermato: ogni cosa era come l'avevo lasciata parecchi anni prima. Ero completamente circondata dalla natura; dai prati verdi accuditi con cura, dagli alberi maestosi e dalle piante in fiore dai colori più sgargianti. C'erano molte varietà rare di fiori, introvabili in qualsiasi altra parte del mondo. Osservai ogni angolo con gli occhi stupiti di una bambina, mentre i piedi e le gambe camminavano per conto loro, come se riuscissero a comunicare direttamente con il mio cuore, anziché col cervello, perché - senza rendermene conto - mi ritrovai proprio lì, davanti quel lago.  

Individuai il punto preciso in cui, quasi ogni settimana, per cinque mesi, mi accoccolavo su di Castiel e lo fissavo ammaliata mentre suonava, scriveva o scarabocchiava qualche spartito e mi ci sedetti. Non mi aveva mai permesso di leggere il contenuto di quelle pagine e a distanza di anni avrei tanto voluto non esser stata così obbediente. Probabilmente grazie a quel quaderno avrei compreso meglio il vortice di emozioni che lo tormentava continuamente e forse avrei addirittura avuto conferma di quanto volesse bene alla sottoscritta, ma ormai era troppo tardi per rimuginarci sopra. 

Poggiai una mano sul lato in cui era solito sedersi Castiel e sorrisi nostalgica. Quasi amaramente riflettei e giunsi alla conclusione che probabilmente ormai aveva trovato un nuovo posto d'ispirazione per la sua scrittura, che si trovava in chissà quale altra parte del mondo, in una città qualsiasi in cui non avrei mai messo piede. Eravamo lontani, conducevamo stili di vita differenti, non avremmo mai e poi mai potuto riprendere un qualsiasi tipo di rapporto. Cosa diavolo avremmo potuto dirci? Sapevo così poche cose su di lui... sulla sua vita da rockstar, sulle sue nuove abitudini e vizi. Era ancora lunatico, strafottente, ma allo stesso tempo inconsapevolmente dolce? Beveva sempre quantità spropositate di caffè? Fumava ancora un pacco di sigarette al giorno o aveva dovuto smettere per non rischiare di rovinare le corde vocali? Dormiva sempre dal lato destro del letto? E da chi era occupato il lato sinistro? Quell'ultimo interrogativo fu la goccia che fece traboccare qualche lacrima dai miei occhi scuri. 

Mi ero promessa di non piangere più per lui e invece eccomi di nuovo lì: patetica fino al midollo, a struggermi sempre per la stessa storia, per la stessa persona. E che persona...

Così poco bravo a dialogare, ma così imprevedibile e divino nella scrittura di canzoni. Lui comunicava così: con la musica. Chissà in quante notti insonni aveva raggiunto quel parco per cercare di sollevarsi dai guai; chissà quante volte era stato seduto proprio lì, dove in quel momento mi trovavo io; chissà quante parole aveva scritto la sua penna, quanti calli aveva ai lati delle dita, quanti significati nascosti e parole proibite contenevano quegli spartiti; chissà quante volte i suoi magnifici occhi grigi avevano fissato il lago contornato dal verde... Quello stesso lago che in quell'istante soltanto le mie iridi erano in grado di ammirare, perché lui era lontano e probabilmente non avrebbe mai più visto quel paradiso. Ma chissà perché - ad un certo punto - mi guardai intorno, come se fossi alla ricerca di qualcosa o meglio... di qualcuno, ma quel qualcuno non c'era. Era dall'altra parte del mondo. 

Avvertii un pò di nausea, le mani tremarono. Immaginai di avere lui accanto, così come accadeva qualche tempo prima: le sue dita affusolate che carezzavano le corde sottili della chitarra, la fronte aggrottata per la concentrazione, le labbra arrossate dai miei continui baci. Era bello, bello per davvero; di una bellezza particolare e disarmante. Poi la gola si seccò e il cuore batté forte davanti alla realizzazione di non poter più essere al suo fianco per davvero, eppure ci pensai ugualmente... Ero masochista, volevo ancora ricordarlo. 

E lo feci.

Erano bei tempi quelli in cui c'intrufolavamo di nascosto in quel parco, quando lo guardavo comporre musica e strimpellare con la chitarra, dove ci rotolavamo tra le coperte, facevamo l'amore entrando nella nostra bolla, nascosti dal mondo, si stringeva al mio corpo come se lo volesse per sempre. Avrei dato tutto pur di poter tornare indietro nel tempo, anche solo per un istante, anche solo per rivivere sulla pelle la sensazione di amare ed essere amati. Perché Castiel, a suo modo, mi aveva amata.

E per una volta, quasi come per rendergli omaggio, decisi di seguire il suo esempio: aprii la borsa a tracolla che avevo poggiato sul prato, presi il quaderno che mi portavo sempre dietro e che usavo come una sorta di diario segreto, afferrai una penna e iniziai a scrivere. 

Ma quella volta ad un destinatario diverso...

"Ciao Castiel,

sai che sono tornata a rivedere quel posto in cui andavamo insieme? Sicuramente ti starai chiedendo quale, perché io e te abbiamo visitato tanti luoghi. Però sono sicura che quest'ultimo in particolare, tra tutti, occupa un posto speciale nel tuo cuore. Adesso sono seduta proprio nel punto in cui - anni fa - hai scritto le tue prime canzoni; lì dove ci sdraiavamo per ammirare le stelle e chiacchierare. Sai che tremavo ogniqualvolta canticchiavi una strofa romantica? Ero così emozionata e felice che temevo potesse uscirmi il cuore dal petto. In questo posto magico sto rievocando tanti momenti straordinari, che per fortuna il tempo non è riuscito a rubare. Ricordi quando pioveva col sole? Quando per non bagnarci ci coprimmo con la coperta che stendevi sempre sul prato e continuammo a baciarci fino a consumarci. Era bello sentire il cuore leggero e allietato dalla tua musica, dalla tua voce, da te... Sono sicura che non sarei più capace di provare quell'emozioni con nessun altro. E invece con te? Ci riuscirei ancora con te? Me lo chiedo spesso da quando sei riapparso nella mia vita, ma ad oggi non so darmi una risposta. Sono confusa, Castiel. Ho la mente caotica, il cuore agitato e lo stomaco in subbuglio. Da quando sei ritornato non faccio altro che rimuginare sulla nostra storia, su quello che siamo stati. Io volevo te, tu volevi me, ma non siamo stati capaci di trattenerci. Perché abbiamo lasciato che gli altri subentrassero nella nostra relazione? Il nostro amore non era abbastanza forte per sopravvivere nonostante gli intralci? Eppure eravamo felici con poco, per noi non aveva importanza né come né il luogo. Bastavano i nostri occhi, i nostri corpi per sentirci i più ricchi del mondo. Non ci serviva fare i giganti e giurarsi il per sempre, ma in un modo o in un altro lo speravamo celatamente. Io lo speravo sul serio... Speravo davvero di avere il mio lieto fine con il principe oscuro dai capelli rossi, poi però ci siamo fatti del male e ogni cosa bella mi è stata portata via. Sai che in tutto questo tempo ho cercato un modo per dimenticare? Dimenticare di volerti ancora bene, poi ho capito che non ci sono regole da seguire per lasciare scorrere e inoltre di colpo si è insinuato in me il dubbio... Perché c'è il mio volerti bene che è ancora più grande di me. Pensavo di averla superata, ma in realtà l'avevo soltanto accantonata. La verità è che non si può dimenticare un sentimento così potente e devastante. Dopo aver capito quanto fosse inutile lottare, ho preferito rifugiarmi in un luogo apparentemente lontano dal mondo dove sembra infinito anche un solo secondo. Perché il tempo da solo non basta per cancellarti. E non basterà mai. Credo che tu mi abbia odiata, a volte. Io l'ho fatto. Con tutto il mio cuore. Ti ho maledetto e ho pregato per riuscire a dimenticarti. Ho cercato di entrare nell'ordine d'idea che tutto prima o poi finisce e anche le nostre chiacchierate notturne, i nostri battibecchi, il nostro giochino degli insulti. Ma non è servito. Ho pianto, ho supplicato Dio di farmi perdere la memoria, ho sofferto e ho fatto di tutto per starti lontana, ho persino iniziato a frequentare un altro ragazzo... Ciononostante pare che un'entità superiore abbia deciso al posto mio e abbia cospirato contro di me ed i miei buoni propositi. 

Ci sono persone che fanno di tutto per stare insieme e non ci riescono. Noi due abbiamo fatto di tutto per stare lontani, ma niente. Non è più possibile. 

Ci ho provato, ma ho fallito. Così mi sono arresa e dopo un'infinità di tempo finalmente ho raggiunto un posto per poterti sentire accanto a me: il parco floreale di Parigi. Avevi già capito, vero?  Non ci sono più venuta con nessuno dopo di te, neanche da sola, ho avuto il coraggio di metterci piede soltanto oggi. E chissà perché l'ho fatto... A volte è meglio non farsi troppe domande. Eppure, ora che sono qui, sembra mancarmi ugualmente qualcosa. Non c'è più quella sensazione di gioia serena, ricordi com'era? I fiori si specchiavano nell'acqua del lago, tutto splendeva e il mio cuore era colmo. Sappiamo entrambi che a mancare sia il dettaglio più importante: noi... Tu! Sai, adesso vorrei voltarmi per trovarti alle mie spalle con la tua solita aria arrogante, con le mani nelle tasche dei tuoi inseparabili jeans neri sdruciti sulle ginocchia, con la giacca di pelle e il sorrisetto sghembo, nonché il mio accessorio preferito. L'ho appena fatto: mi sono voltata, ma tu non ci sei. Tornerai davvero come mi hai promesso una notte di qualche settimana fa? 

Solo il tempo potrà darmi ogni risposta. 

E io aspetterò.

A presto (spero)

Per sempre tua, Ariel"

Asciugai la lacrima solitaria scesa sulla guancia e, appena smisi di scrivere, recuperai il cellulare dalla borsa per mandare un messaggio al destinatario di quella lettera.


A: Castiel 

Sai che - Marco Mengoni


Non aggiunsi altro. Quel brano avrebbe parlato da sé.  

Probabilmente non avrebbe mai letto quelle pagine di diario dedicate a lui e di conseguenza non avrebbe mai potuto afferrare il vero significato della canzone o meglio... il senso che le davo io, ma pazienza; non ero ancora pronta a sbarazzarmi delle mie barriere. 

Dopo quattro minuti, il trillo del telefono segnò l'arrivo della risposta al mio messaggio criptico. Ripresi a chiacchierare con Castiel che mi tenne compagnia per tutto il viaggio di ritorno a casa. 

Castiel: Dove sei?

Miki: In quello che un tempo era il tuo posto preferito.

Castiel: Lo è tutt'ora!

Miki: Ah sì? Pensavo che adesso avessi dei posti d'ispirazione da rockstar. 

Castiel: Sei sola? P.S. smettila

Miki: Forse P.S. di fare cosa?

Castiel: Non giocare con il fuoco

Miki: Altrimenti?

Castiel: Ti brucerai

Miki: Non ho paura di scottarmi, dovresti saperlo. 

Castiel: Lo so

Miki: Quindi dov'ero?

Castiel: Parc Floral 

Miki: Wow

Castiel: Cosa? 

Miki: Non pensavo avresti capito subito.

Castiel: Io ho soltanto un posto preferito da quando ero un moccioso, non sono mica come te.

Miki: Come me, cosa?

Castiel: Ogni luogo che hai visitato è diventato il tuo posto preferito. 

Miki: Non è vero 

Castiel: Sì, invece

Miki: NO!

Castiel: Sì 

Miki: NO

Castiel: Sì 

Miki: Vaffanculo 

Castiel: Bellissima

Miki: Non iniziare

Castiel: A fare cosa?

Miki: A flirtare con me. Non attacca

Castiel: Sei sicura?

Miki: Ovvio!

Castiel: Ti faresti sedurre da me solo se avessi un paio di occhi verdi e dei capelli mori e ricci, giusto?

Miki: Antipatico geloso

Castiel: Non lo sono

Miki: Lo sei...

Castiel: Il tuo ragazzo sa che ci stiamo risentendo?

Miki: Noi non ci stiamo risentendo. 

Castiel: E allora cosa stiamo facendo in questo preciso momento? 

Miki: Noi ci stiamo sentendo. Sentirsi: due conoscenti che hanno delle cose da dirsi e si scambiano qualche messaggio di rado. Risentirsi: parlare assiduamente, chiamarsi. Vuol dire che si ha intenzione di riprendere ad avere una qualche tipo di relazione con l'altra persona. 

Castiel: Appunto. Io mi sto risentendo con te!

Miki: Non è così e lo sai anche tu. Entrambi vediamo altre persone. 

Castiel: Io non vedo proprio nessuno. 

Miki: Con chi credi di avere a che fare, Castiel? Non sono stupida.
Sei diventato un cantante internazionale,
sei ogni giorno in un paese diverso,
sei single da anni e le ragazze fanno a gara per venire a letto con te.
Come potrei pensare che tu le rifiuti? 

Castiel: Hai letto qualche articolo sulle mie scappatelle da quando sono partito tre settimane fa?

Miki: Questo non dimostra nulla.
Puoi anche farle entrare di nascosto nel tuo hotel, senza che nessuno se ne accorga. 

Castiel: Non funziona così, non nel mio caso. Non faccio sesso da prima che atterrassi a Parigi.

Miki: L'hai fatto sull'aereo? :O

Castiel: Tralasciamo i dettagli... L'importante è che tu capisca ciò che voglio dire.

Miki: Possiamo cambiare discorso? Grazie.

Castiel: Non ora. Voglio stare con te, Miki.

Miki: Non lo stai dicendo sul serio...

Castiel: Mai stato così serio come in questo momento. 

Miki: Io però non voglio stare con te.

Castiel: Ti manco?

Miki: Cosa c'entra? Comunque NO!

Castiel: Adesso ho la prova che anche tu vuoi stare con me. Perfetto :)

Miki: Ma da dove? 

Che diavolo dici?

Castiel: Chiamasi psicologia inversa

Miki: In realtà quella è tutt'altra cosa, ma che te lo dico a fare...

Castiel: Tanto ho ragione io

Miki: Non è così. Comunque adesso devo andare... Ciao Castiel

Castiel: Scappa, scappa pure dalla verità... tanto non riuscirai a farlo a lungo. 

Ciao Ariel :P

 

***

La stessa sera, quando ero convinta che le sorprese della giornata fossero finite, ci pensò la mia migliore amica a farmi perdere altri dieci anni di vita. Poco prima mi aveva scritto in un messaggio che sarebbe passata da casa mia per una novità scioccante. Quindici minuti dopo suonò il campanello senza interruzione, diffondendo il rumore fastidioso per tutta la casa. Corsi ad aprire sapendo che, se non l'avessi fatto subito, avrebbe finito per farmi diventare sorda. 

«Sempre delicata tu, eh?» 

Non ebbi il tempo di vedere la figura di Rosalya visto che mi venne sbattuto un foglio in pieno viso. L'afferrai per non farlo cadere, ma non riuscii a leggerne il contenuto perché la ragazza davanti a me attirò la mia attenzione: sbatté la porta d'entrata e, saltellando, emise dei piccoli urli. Che fosse matta lo sapevo ormai da anni, ma cos'era successo di così entusiasmante da farla sentire al settimo cielo? 

«Leggi, leggi, leggi. Sbrigati!» mi portò nuovamente il foglio davanti al viso e batté le mani. 

Con un'aria totalmente inebetita feci come mi ordinò Rose e, quando lessi il contenuto di quell'invito, mi sentii mancare. Stava scherzando? 

«Che?» dischiusi la bocca, incapace di aggiungere altro. 

«Hai letto?» riprese a saltellare fino a raggiungere il salotto, dove si accomodò sulla poltrona. 

«Cos'è, uno dei tuoi soliti scherzetti?»

«Ma che razza di reazione è mai questa? Dovresti essere felice per me e invece sembra ti sia morto il gatto...» s'imbronciò. 

«Certo che sono contenta per te, ma... non ti sembra un po' prematuro?»

«No che non lo è! Io e Leigh stiamo insieme da sei anni», gesticolò ovvia.

Come se fosse questione di ordinaria amministrazione decidere di sposarsi a diciannove anni e ancor prima d'iniziare l'università. 

Ebbene sì: Rosalya e Leigh avevano deciso di sposarsi e quello che stringevo tra le mani era l'invito alle loro nozze. Assurdo, vero?

«E cosa ne sarà del tuo sogno di diventare una stilista?»

«Una donna sposata non può anche lavorare?» s'infastidì. 

Sapevo di non star reagendo alla notizia come avrebbe dovuto fare una migliore amica, ma ero solo preoccupata per lei. 

«Certo che sì, ma tu devi ancora iniziare l'università» sospirai, mi sedetti accanto a lei e poggiai le mani sulle sue. «Da come ho letto, la data è fissata per il 24 Dicembre di quest'anno. A Settembre inizieremo l'università e sai anche tu che dovremo alternarci tra studio e stage. Sarà un periodo stressante e impegnativo, come puoi organizzare anche un matrimonio? Il tuo matrimonio...» 

Anche se sapevo che con lei non sarebbe stato facile, tentai di farla ragionare. 

«Ho sempre sognato di sposarmi a Natale, sotto la neve» alzò gli occhi sognanti verso il soffitto «Ho chiesto io a Leigh di sposarmi, visto che lui non si decideva a farlo. Ho comprato un anello al posto suo, così ho evitato il rischio che non mi piacesse, poi sono tornata al suo negozio per lavorare, ho messo la scatolina vicino alla cassa insieme ad un bigliettino con scritto: "O mi sposi o ti cancello". Ovviamente dopo aver letto quella bella minaccia, è corso da me per infilarmi l'anello al dito. Ci siamo baciati e subito dopo ci siamo dati da fare con fiki fiki», scoppiai a ridere per quel racconto così assurdo quanto veritiero. 

A Rosalya non era mai piaciuto seguire gli stereotipi tradizionali e non avevo dubbi sul fatto che anche la sua proposta di matrimonio sarebbe stata inconsueta. Solo... non poteva aspettare qualche altro anno?

«Penso sia meglio farlo adesso piuttosto che aspettare la fine dell'università, perché una volta sposata potrò dedicarmi totalmente allo studio, sarò più tranquilla e in più avrò Leigh sempre con me. Volevo andare a vivere con lui, sentivo l'estremo bisogno di passare alla fase successiva, di crescere e lo sai già che i nostri genitori non ci avrebbero permesso di andare a convivere senza matrimonio. Due giorni fa mi sono svegliata con quest'idea martellante nella testa e alla fine l'ho messa in pratica. Ho tutto sotto controllo. Sogno questo momento da quando sono nata, ho un'agenda piena di numeri e idee. A Natale mi sposo!» strillò nel pronunciare l'ultima frase. 

Sembrava sul serio avere tutto sotto controllo, per cui alla fine della sua spiegazione mi rilassai e mi concessi un gridolino insieme a lei. 

L'abbracciai forte e le sussurrai all'orecchio: «Congratulazioni, amica mia!»

«Ovviamente tu sarai la mia testimone», mi lasciò un'infinità di baci sulla guancia e poi riprese a stringermi tra le sue braccia. 

«Certo che sì».

«Non era una domanda».

Risi. Rosalya era incorreggibile ed io l'adoravo anche per quello. Era unica. 

«Castiel sarà il testimone di Leigh», strinse gli occhi e si morse il labbro nel rivelare quella notizia bomba senza alcun preavviso. 

Era da immaginarselo. Mi finsi per nulla scossa da quella novità, ma il cuore mi tradì; il sorriso si cancellò dal volto e mi pietrificai. 

«In fondo vi siete già visti, no?» continuò «Tra qualche settimana ci sarà una cena con i nostri genitori, parenti, damigelle e testimoni», elencò con calma.

Ed io diventai ufficialmente una statua di sale. Ci volle quasi un minuto per riprendermi e riuscire a replicare.

«Quindi... durante questa cena ci sarà anche lui?» le domandai stupidamente.

«Tu che dici?» 

Ovvio.

«Io... Non riesco a ragionare lucidamente quando sono vicina a lui».

«Ed è una cosa negativa?»

«E me lo chiedi? Sto frequentando un altro, Castiel è sparito per anni e ormai non dovrebbe più farmi quest'effetto. Javier è quello giusto!» tentai di auto convincermi. 

«La rockstar è uno "stronzone" e su questo non ci piove, ma sembra quasi usi Javier come arma di difesa dai sentimenti che ancora provi per Castiel... Tutto ciò non va bene, perché menti sia a te stessa che agli altri e rischi di ferire tutti».

La sua considerazione mi spiazzò. 

«È assurdo! Come potrei provare ancora dei sentimenti per lui dopo esserci persi per tutti questi anni? Dopo tutto quello che è accaduto e dopo esser riuscita ad interessarmi ad un altro ragazzo?»

«Si ama intensamente e veramente una volta sola».

«Vedi? Lui ha amato quella pazza di Debrah, non c'è spazio per nessun'altra. Perché dovrei continuare a farmi del male?»

 «Non ha mai amato Debrah realmente, era solo ossessionato da lei».

 «E tu come fai ad esserne certa?»

Emise un verso di frustrazione prima di rispondere:  «a volte meriteresti una padellata in testa per quanto sei dura di comprendonio...» sussultai a causa di uno scappellotto che mi mollò dietro la nuca. «Lui ama te. Solo e soltanto te», scandì bene parola per parola. 

"Lui ama te" e le farfalle colorate presero a svolazzare nel mio stomaco, quasi come se le avesse pronunciate lui quelle paroline magiche. 

 «Io...»

 «Tu niente. È stato sul punto di dirtelo più di una volta, non negarlo. Dopo il concerto è corso da te invece di sbattersi qualche modella all'after party. Sono passati anni, è scomparso, ma ora sai perché l'ha fatto. Lui adesso è ritornato da te. In fondo non era quello che desideravi?»

 «Non mi fido abbastanza di lui e sono confusa, non so cosa voglio né cosa provo. Stop. Fine della discussione. Non mi va di continuare a parlare di lui».

«Come vuoi...»

Rose non sembrò poi così convinta delle mie parole, però non mi andava di proseguire quella conversazione e lasciai cadere lì il discorso. 

«Comunque se sei così convinta di voler continuare a frequentare Javier, porta anche lui al matrimonio e alla cena della promessa», forzò un sorriso. 

«Oh grazie, certo. Così finalmente lo conoscerete».

Fu gentile ad invitare Javier, sebbene fosse del tutto scettica sulla mia scelta. 

«Allora...» mi stampai un sorriso sul volto, tentando di lasciar da parte la tensione «Cos'hai in mente per queste nozze sotto la neve?»

Gli occhi di Rosalya s'illuminarono davanti a quella domanda; iniziò ad elencarmi tutti i dettagli del suo matrimonio imminente e fu grazie a questi che capii quanto ci tenesse a sposare Leigh. 

Continuavo a pensare che avesse corso troppo, ma in fondo chi ero io per giudicare? Ogni persona ha i suoi tempi, i suoi sogni e aspirazioni, non siamo tutti uguali. Rose era convinta di aver trovato la sua anima gemella, l'uomo della sua vita, lo diceva continuamente quando ci capitava di parlarne. Quindi se fosse stata felice lei, lo sarei stata anch'io. 

La mia amica lasciò casa Rossi un'ora dopo. Restai completamente sola con i miei pensieri. C'erano giorni in cui mi pesava particolarmente vivere in solitudine e quella sera era uno di quei momenti. Il rapporto con zia Kate si era sgretolato del tutto e, nonostante i sacrifici di una vita per costruire e arredare una villa come quella, aveva preferito lasciarla a me pur di non vedermi. Era andata a convivere con Isaac fino a data da destinarsi, che tradotto nel gergo comune sarebbe stato: fino a quando non mi sarei levata dalle palle. 

Avevo ritrovato una mamma e perso una zia; la zia che - a suo modo - mi aveva permesso di avere un tetto sopra la testa e di crescere. La vita mi aveva insegnato che ci sarebbe sempre stato un prezzo da pagare per essere felici, per vedere realizzato ogni nostro desiderio e io avevo già pagato il mio senza neppure raggiungere la spensieratezza. 

Non feci in tempo a riempire la mente di ulteriori riflessioni deprimenti perché fui distratta dalla vibrazione del telefono. 

Era Castiel. E mi stava chiamando. Merda!

Chiusi per un breve istante gli occhi, inspirai ed espirai, poi decisi di rispondere con le mani tremanti e sudaticce. Maledetto ex pomodoro rosso e al brutto effetto che mi faceva!

«Che vuoi?»

"Bel modo di rispondere, complimenti Miki!"

«Sono felice anch'io di sentirti, piccola Miki», ridacchiò. 

Piccola Miki. Tum-tum tum-tum. 

La sua voce roca e sensuale sarebbe stata da catalogare tra le cose più illegali in assoluto.

E inevitabilmente il cuore batté più forte di quanto avrebbe dovuto.  

«Perché mi hai chiamata?» 

"Acidità, portami via".

«Avevo voglia di sentirti», bisbigliò. 

Probabilmente non era solo nella stanza. 

«Oh...» 

«Volevo darti la buonanotte».

«Oh...»

Era proprio intenzionato a farmi perdere la testa... A quanto parve però mi fece perdere la capacità di pronunciare frasi sensate. 

«Prima hai detto che due persone devono chiamarsi per "risentirsi"; quindi ho provveduto e a partire da questo preciso istante è ufficiale: noi ci stiamo risentendo!» proclamò ufficialmente come se stesse annunciando un premio in tv.

«Non funziona così... Noi n-» non riuscii a terminare la frase.

«Non ti sono mancato in queste ore?» continuò imperterrito. 

«No!»

«Anche tu mi sei mancata» replicò ignorandomi. 

Lo immaginai accennare un sorriso e mi sciolsi senza darlo a vedere. 

«Sei diventato sordo?»

«Solo con i bugiardi». 

Sempre con una risposta tagliente pronta. 

«Io non sono una bugiarda!»

«Oh, ma guarda...» temporeggiò prima di proseguire «ti sei sentita chiamare in causa solo perché colpevole», ghignò. 

Risposi con una pernacchia. Ben gli stava!

«Ti hanno aggiornata sulla novità?» proseguì. 

Che si stesse riferendo al matrimonio di Leigh e Rose? Avevano già avvertito anche lui?

Fischiettai la tipica base nuziale, che solitamente veniva suonata durante l'entrata della sposa in chiesa, per capire se anche lui sapesse. D'accordo, non mi stavo comportando come una persona che non aveva alcuna voglia di sentire l'interlocutore... 

«Quindi suppongo di sì, ti hanno già allietata di questa notizia incredibile», finse di essere emozionato «Quei due sono matti», lo immaginai scuotere la testa «completamente andati».

«Si amano», mi lasciai sfuggire quasi sulla difensiva. 

«Non per questo devono rovinarsi la vita a vent'anni...»

Non avevamo mai discusso sull'argomento del matrimonio, durante la nostra relazione mi sembrava assurdo farlo, ma ero proprio curiosa di conoscere la sua opinione a riguardo. Ero sicura che non mi sarebbe piaciuta per niente. 

«Rovinarsi la vita? Scherzi? Hanno solo anticipato di qualche anno quello che avrebbero comunque fatto!»

«Il matrimonio cambia la coppia: si entra in un ciclo di abitudini noiose, si diventa vecchi dentro e apatici, il fuoco della passione si spegne... e poi inevitabilmente arrivano i figli. La fine di tutto».

«Se ami sul serio, con il matrimonio dovresti diventare l'uomo più felice del mondo perché hai tutta per te e per sempre la donna della tua vita»

«Esiste la convivenza».

«Con quella non entreresti lo stesso nel "ciclo di abitudini noiose"?» imitai la sua voce.

«Nella convivenza non hai etichette, vincoli o obblighi. E qualora non si andasse più d'accordo, ci si lascerebbe senza divorzi, guerre giudiziarie e drammi».

«E menomale che la pessimista ero diventata io...»

«Su questo lo sono. Non credo nella chiesa e non amo quella pagliacciata della festa, dei cinquecento invitati, dei sorrisi finti e degli abiti eleganti.»

«Quindi sei contro il matrimonio», evidenziai. 

«Forse solo per il momento», ci rifletté un attimo prima di rispondere. 

«Cosa vuol dire?»

«Che potrebbe sempre arrivare qualcuno a farmi cambiare idea...» lasciò la frase in sospeso per qualche secondo «La ragione passa in secondo piano quando si ama. Per rendere felice l'altra persona potrei arrivare a sacrificare i miei ideali, purché si faccia qualcosa di contenuto, senza quelle cazzate smielate e inutili. Preferirei qualcosa di più intimo, ecco». 

Per una ragione a me sconosciuta il cuore aumentò i suoi battiti. Pensavo che Castiel non avesse mai riflettuto sull'eventualità di sposarsi e invece mi sbagliavo: aveva le idee sin troppo chiare. 

«E cosa ne sarebbe poi del "ciclo di abitudini noiose"?» ripetei per la seconda volta nel giro di qualche minuto. 

Quella frase mi aveva colpita. 

«Si potrebbe sempre stipulare un patto di sangue con l'altra persona, stabilendo regole ferree per non cadere mai nell'ordinario o roba del genere», disse con nonchalance, come se fosse da persona normale quel suo punto di vista. 

«Hai una mente contorta, signor Castiel Black», schioccai la lingua al palato e scossi la testa, sorridendo. 

«Lo so, ma tu non sei da meno. Mi hai fatto quest'interrogatorio perché intendi prendere spunto dalla tua amica e chiedermi di sposarti?» cercò di restare serio, ma alla fine ridacchiò. 

«Che? NO!» risposi allarmata e quasi urlando. Che razza di reazione era quella? Che problemi avevo? «Volevo solo capire perché sei così scettico sul matrimonio di Leigh e Rose, se anche tu stesso hai detto di poter fare uno strappo alla regola per la persona giusta. Loro si amano, qual è il problema?»

Qualche ora prima io stessa mi ero dimostrata contraria alla loro unione prematura, ma solo perché ero preoccupata per il futuro accademico e lavorativo di Rosalya. Leigh - invece - era di qualche anno più grande della mia amica, aveva già un lavoro stabile e aveva terminato gli studi, per lui sarebbe stato meno complicato sposarsi, quindi Castiel non aveva nulla di cui preoccuparsi. 

«Sono solo troppo giovani».

La sua risposta criptica non mi convinse per nulla, ma non indagai. 

«Però dopotutto è un bene che si sposino», riprese a parlare «così potrò attuare il mio piano per riconquistarti», diresse il discorso verso un punto che non mi piaceva per niente. 

«Credici...»

«Oh sì che ci riuscirò», il suo tono di voce emanò sicurezza. 

«Non penso proprio», mi ostinai a controbattere. 

«Facciamo una scommessa?»

Una scossa mi percorse tutto il corpo. 

«Dopotutto quello che è accaduto, non ti è ancora passata la voglia di scommettere?»

«Hai paura di perdere, per caso?»

«Io vinco sempre». 

Convinta fuori, tremendamente insicura dentro. In che guaio mi stavo infilando?

«Accetti, quindi?»

«Sto avendo un déjà vu», mi presi del tempo prima di dargli una risposta definitiva.

E nella mente riemersero immagini dei giorni trascorsi a Roma in sua compagnia e in particolare: il bagno nella Fontana di Trevi. Quella scommessa che per poco non ci aveva fatti arrestare. 

«Probabilmente anch'io». 

Restò vago, ma sapevo benissimo che anche lui stesse rivivendo quei momenti spensierati nella sua mente. Sapevo benissimo che in quell'istante un brivido gli percorse la schiena, che stava rimpiangendo di non esser stato meno scorbutico e scostante... Perché quei giorni, quegli anni non sarebbero mai più potuti ritornare. 

«Miki?» mi richiamò. 

«Sì, sono qui. In che cosa consisterebbe questa scommessa?»

«Entro il 24 Dicembre, il giorno del matrimonio dei nostri carissimi amici, tu cederai e verrai a letto con me. Se vinco io, lascerai all'istante Javier e ti metterai con me. Se perdo, per non esser riuscito a riconquistarti, gestirai tu il nostro rapporto: lascerò la nostra storia nelle tue mani» sussurrò verso la fine, suscitandomi dei brividi lungo il corpo.

Eravamo cresciuti e di conseguenza anche le nostre scommesse avrebbero riguardato qualcosa di più serio, di più pericoloso per la nostra sanità mentale.  

«Se per assurdità perdessi, vorresti davvero obbligarmi a mettermi con te?»

«Sei sicura che sarebbe un obbligo?»

"Colpita e affondata, Miki".

Non risposi. Era meglio per entrambi. 

«Già temi la sconfitta?» mi pungolò. 

«Per niente! Quando ci vedremo, ci sarà anche Javier insieme a me», ingoiai un grosso groppo di saliva.

Per un attimo ripensai alla frase di Rosalya: "usi Javier come arma di difesa dai sentimenti che ancora provi per Castiel". Era vero? Scossi la testa per non pensarci e tornai a dedicarmi alla voce dall'altra parte della cornetta. 

«Hai deciso di portarti il cagnolino appresso? Bene, le cose si fanno sempre più interessanti». 

Non sembrò scoraggiarsi, anzi il contrario. 

«Non ringalluzzirti troppo: vincerò io!»

«Ne sei convinta?»

"No".

«Sì. Preparati a perdere, rockstar. Accetto la scommessa!»

E in fondo sapevo già che mi sarei pentita di quella scelta.








 

___________

🌈N.A.🌈

Hello beautiful people, chiedo scusa per il ritardo (come accade sempre, ma ormai siete abituate xD e lo so che mi perdonerete ❤️)

In questo capitolo sono tornati in scena alcuni personaggi e hanno portato con sé delle notizie bomba: Rosalya si sposaaaaaaaaaaa👰🏼 a soli 19 anni 😵 e si è comprata l'anello da sola💍 per poi obbligare -quasi- il fidanzato a chiederle di sposarla. Prendete esempio se non riuscite più ad aspettare che il vostro lui vi faccia la proposta 😏 

Ovviamente con Rose non poteva essere tutto normale xD LA AMO! 

E poi Teresa😍: avrà qualcosa in mente per questa cena a cui ha invitato Miki e Javier? Io dico di sì 😉

Vi aspettavate che Javier prendesse con tanta filosofia il fatto che Miki gli avesse nascosto della relazione con il suo cantante preferito? Vi sembra una reazione normale? 👀

E poi ci sono i Mikistiel 💑 tanti cuori per loro💖💖💖

Mi sono particolarmente emozionata a scrivere la parte in cui Miki visita il parco floreale di Parigi. Spero vi susciti le stesse sensazioni ❤️

Castiel ha organizzato una nuova scommessa, gli piacciono proprio eh... ma questa volta sarà a luci rosse🔥🔞 e credo sarà anche la più importante della sua vita❣️Preparatevi 😏

P.S Ehm... non dimenticatevi mai di Debrah.

Adesso vi saluto

Quando uscite di casa non dimenticate di indossare la mascherina😷 e di disinfettare spesso le mani 💦👐

Buona Fase Due e buon fine settimana❣️

All The Love💖

Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 62
*** CAPITOLO 57: Tutte le stelle ***


*Visto che negli ultimi capitoli si sta facendo molte volte riferimento al Parco Floreale di Parigi, vi consiglio di rileggere (se vi va) il capitolo 40 "Valentine's Day", dove - a metà capitolo - si trova la prima volta in cui Castiel porta lì Miki. Penso sia bello rivivere e ricordare insieme a loro alcuni tra i momenti più belli della loro storia❤️*

Capitolo 57

Tutte le stelle

🎶Ava Max - Sweet But Psycho🎶 (Debrah's POV)

   

🎶Ed Sheeran - All Of The Stars🎶 (second part of Miki's POV)

 

***

Debrah

"Il tuo cervello è come l'isola di Peter Pan: non c'è!"

"Sai cosa ti starebbe bene addosso? Un camion";

"Ti auguro di vivere come un fiore: baciato dal sole, cullato dal vento, pisciato dai cani";

"Tesoro, datti meno arie che non sei un ventilatore";

"Ti devo proprio ringraziare... Appena ti ho visto mi è passato il singhiozzo".

Erano alcune tra le frasi magiche che spesso utilizzavo per allontanare la gente o per farmi catalogare come la cattiva di turno. Non insultavo le persone: semplicemente le descrivevo. Odiavo tutto e tutti senza alcun apparente motivo. Castiel, Flora e un tempo anche mio padre erano gli unici esseri umani che mi si potevano avvicinare senza essere sbranati dalla mia aggressività. 

Da qualche parte in giro su internet, una volta avevo letto: "un uomo moderatamente cattivo crede sempre di essere buono", ma a quanto pareva non conoscevano me. Io ero stata da sempre l'eccezione che non confermava la regola: non avevo mai neanche lontanamente pensato di essere una brava persona, anzi sapevo di essere cattiva e a me andava bene così. Vincevo ogni battaglia, nessuno m'intralciava la strada, tutti mi temevano e sottostavano ai miei ordini. E poi... i cattivi sono da sempre più affascinanti. Ed io lo ero. 

Da molti ero stata catalogata come pazza, ma nessuno sapeva quanto di vero potesse esserci dietro quella parola o meglio: a nessuno importava cosa ci fosse. Neppure uno si era fermato un attimo a riflettere prima di additarmi; neanche uno si era chiesto cosa potesse esserci in tutta quella malvagità. A chiunque bastava avere la cattiva della storia alla quale affibbiare ogni colpa e stop. Fine. Ma cosa c'era realmente nei meandri del mio cervello? Ero l'unica a chiedermelo. I dottori lo chiamavano disturbo antisociale di personalità*, come se un solo termine potesse racchiudere tutte le sfaccettature del mio "io". 

Non era così. 

Debrah Duval era molto di più. Non ero frutto dell'amore, ero invece figlia di due genitori che volevano tutto tranne la mia nascita. Quando mi concepirono, frequentavano ancora il liceo. Erano giovani e per nulla inclini ad assumersi le responsabilità della loro bravata. Mia madre infatti avrebbe voluto interrompere la gravidanza, ma il fato volle che si rivolse al medico una settimana dopo il limite consentito dalla legge per abortire. Da quel giorno le tentò tutte pur di perdermi: si buttò dalle scale, si tirò perennemente pugni contro la pancia, si diede al sesso sfrenato, fece lo sciopero della fame; eppure - nonostante gli sforzi - per Carla non ci fu verso di abortire spontaneamente. Perché Debrah Duval era destinata a nascere e vivere, per portare un po' di terrore nella vita di chiunque le intralciasse la strada. Una volta nata, mia madre mi mise dentro un cesto e mi lasciò davanti casa di mio padre, come se fossi un animale. Mi crebbero i nonni paterni, senza dimostrare mai un briciolo di affetto, mentre Marcel era troppo impegnato ad inseguire i suoi sogni nel mondo della musica per accorgersi di avere una figlia. Impiegai una vita intera a cercare di ottenere sue attenzioni: mi appassionai alla musica che piaceva a lui, presi lezioni di canto e provai a sfondare nel mondo dello spettacolo in tutti i modi per poter avere mio padre come manager e trascorrere finalmente del tempo con lui. 

Poi arrivò Castiel, il mio lasciapassare per entrare nelle grazie di Marcel. Quando si conobbero, andarono subito d'accordo grazie alla loro passione comune. Inizialmente lo sfruttai, poi divenne l'unica persona in grado di farmi provare delle vere emozioni. Non l'avevo scelto, accadde e basta. Percepivo empatia verso di lui, un attaccamento che andava ben oltre l'amore. Credevo fermamente che fossimo destinati a stare insieme per sempre ed ero stata capace di commettere atti gravissimi contro altre persone per allontanare chiunque si avvicinava al mio uomo. Alla fine però quel mio disturbo rovinò tutto, perché cominciai a tradirlo. Facevo ogni cosa istintivamente, soddisfacendo i bisogni momentanei e senza riuscire a riflettere abbastanza prima di commettere errori. Trovavo una giustificazione per tutto. Io ero perfetta. Non sbagliavo mai. I colpevoli erano gli altri. 

Riuscii a mollare la presa solamente quando ricevetti considerazione da mio padre: notate le mie doti, mi fece diventare una cantante professionista e per un periodo accantonai l'ossessione nei confronti del ragazzo dagli occhi grigi. L'anno vissuto insieme a Marcel fu il più bello della mia vita: finalmente sfiorai la sensazione di appartenere ad una famiglia. Poi però trovò degli artisti più interessanti di sua figlia e mi lasciò allo sbaraglio. Di nuovo. Soffrii come un cane. 

Avevo bisogno di qualcuno che mi leccasse le ferite, che mi facesse sentire importante e così, improvvisamente, sentii la necessità di ritornare alle origini, dal mio Castiel. Lo feci, ma una volta atterrata a Parigi lui non pendeva più dalle mie labbra. Lui mi stava dimenticando. Con lui c'era Micaela Rossi, il mio nuovo bersaglio. Non riuscii facilmente a soggiogarla, manipolarla, ricattarla. Quello che provava per Castiel era qualcosa di autentico e genuino. Persino lui si fece ammaliare da quella ragazzina. Faticai più del previsto per riuscire a metterla fuori dai giochi, ma alla fine raggiunsi il mio obiettivo: Castiel era di nuovo mio e Miki soffrì da sola per la perdita del suo unico amore. Per un anno tutto andò come programmato, tornai alla ribalta insieme ai Drunkers, fino a quando il mio paparino non decise di buttarmi nuovamente fuori dai giochi. Da quel giorno lo odiai ed iniziai ad escogitare un piano per vendicarmi. Tagliai i ponti anche con Flora, mia sorella, perché al contrario mio aveva ricevuto l'amore di nostro padre. La invidiavo: lei era bella, innocente e ingenua; doti che non mi erano mai potute appartenere. 

Non m'importava più di nessuno, ormai. Avrebbero dovuto soffrire tutti. Nessuno escluso. Marcel sarebbe rimasto solo, senza le persone che amava, come lo ero io da tutta la vita.

Per non uscire definitivamente dal mondo dello spettacolo; mi accontentai di un lavoro da modella, a quel punto e per il momento mi bastava che Castiel continuasse a restare lontano da Miki e che io potessi tenere la situazione sotto controllo. Alla fine ritornava sempre lui ad essere la mia ossessione, l'unica persona ad aver nutrito un reale affetto nei miei confronti; non avrei mai consentito che s'innamorasse di un'altra donna. Lui non doveva essere felice con nessuna al di fuori di me. Io non gliel'avrei permesso. 

In caso contrario avrei dovuto adottare le maniere forti: con mamma e figlie fuori dai giochi, Castiel e Marcel sarebbero stati miei. Per l'eternità. 

____________

Miki

«Questo è mio. L'ho visto prima io!» Ciak si fiondò su un costume da bagno dalle fantasie improbabili e colori sgargianti. 

«No, è mio! Sta benissimo col colore dei miei occhi», ribatté Alexy civettuolo, sbattendo velocemente le palpebre.

«Non adottare questa tecnica con me! Sai quanto mi fanno impazzire i tuoi occhi...» Ciak si lamentò piagnucolando.

«Appunto!» ma Alexy non volle sentire ragioni: con tanto di pernacchia, si appropriò del costume conteso, entrando nel camerino per provarselo. 

Osservai la scena in silenzio, alternando lo sguardo - per metà divertito e per metà sbalordito -tra i due. 

Andare a fare shopping con Alexy e Ciak richiedeva un elevato consumo di energie persino per un amante degli acquisti come me. Avevano la stessa taglia e gli stessi gusti ma, orgogliosi ed originali com'erano, non avevano alcuna intenzione di comprare indumenti identici, per cui litigavano perennemente su chi dovesse acquistare cosa e così via; a me toccava l'arduo compito di farli riappacificare. 

«Lo amo», Ciak sorrise rassegnato verso il camerino, dentro al quale si trovava il suo ragazzo ufficiale da ormai ben due anni. «Però non glielo dire... mi ha fatto incazzare», mise il broncio e incrociò le braccia al petto. 

«Siete la mia coppia preferita», mi avvicinai a lui per abbracciarlo «però non lo dire a Rose, altrimenti mi uccide», bisbigliai nel suo orecchio «lei è convinta che la mia ship preferita siano i Roseleigh, ma in realtà siete voi due», gli confessai. 

«Com'è che ci chiamate?» mi chiese ridacchiando. 

«Aleciak!» battei le mani, saltellando. 

«Somiglia ad una marca di biscotti», intervenne Alexy che uscì dal camerino a torso nudo e con solo il costume addosso. 

Beh... lo portava divinamente. Quel ragazzo era nato per indossare indumenti con colori sgargianti e in più quel costume si abbinava perfettamente ai suoi occhi e al colore dei capelli: li aveva tinti neri con qualche sfumatura celeste qua e là. 

«Ti vieto severamente di fare pensieri zozzi sul mio ragazzo», Ciak mi posò una mano davanti agli occhi, occultandomi la vista dalla bella presenza di Alexy. 

«Amore, puoi stare tranquillo... Lei mi guarderebbe solo se avessi il corpo ricoperto di tatuaggi, i capelli rossi e una chitarra in mano», mi schernì Alexy, riferendosi a Castiel. 

«Smettetela!» guardai di sottecchi entrambi, mentre riuscii a levarmi la mano di Ciak dal volto. «Ormai sto con un altro ragazzo», come sempre uscì quasi come una giustificazione.

«Chi? Il sessuologo che ancora non ha osato inzuppare il biscotto? Già questa la dice lunga sul suo conto», scherzò Alexy.

«Oh, a proposito... tu e Castiel: siete voi la mia ship preferita!» s'intromise Ciak, ignorando del tutto il breve riferimento a Javier.

«Eravamo, caso mai... E poi proprio tu? Hai cercato di separarci per un anno intero», mi venne spontaneo replicare. 

«Mikistiel tutta la vita!» Alexy saltellò fin dentro il camerino per rivestirsi «Lo prendo, comunque», si riferì al costume. 

«Ottima scelta!» concordai sotto lo sguardo corrucciato di Ciak. 

«Ero solo confuso su quello che provavo per te e sull'attrazione verso il mio stesso sesso», ripeté il mio amico per la milionesima volta dall'accaduto. 

«Lo so questo, ma tu e Castiel vi siete sempre odiati, a prescindere...»

Probabilmente era per una sorta di protezione nei miei confronti ma, Ciak e Castiel, facevano scintille se lasciati nella stessa stanza; e non nel senso malizioso del termine. 

«Ho cambiato idea su di lui, però non dirglielo...» palesò, guardando altrove.

«Mi sono persa qualcosa?» corrugai la fronte, disorientata. 

Non capivo. Fino ad un mese prima aveva continuato a dire che lo detestava, cos'era cambiato improvvisamente?

«Allora», venimmo interrotti da Alexy che, uscito dal camerino, poggiò le braccia sulle spalle di entrambi «andiamo a fare merenda?» guardò sia me che Ciak, sorridendo e mostrando la sua dentatura perfetta. 

«Mi piacerebbe, ma oggi passo. Questa sera devo cenare con Javier a casa Duval», liquidai la sua offerta con scarso entusiasmo. 

Esatto, il grande giorno era arrivato, ma avrei di gran lunga preferito trascorrere il mio tempo con loro piuttosto che ad una cena non voluta. 

«Ancora è presto. Devi venire assolutamente con noi!» fu la volta di Ciak. 

Alexy pagò il costume ed uscimmo dal negozio. 

«Vorrei fare un bagno rilassante per distendere i nervi, prima della tortura, quindi c'impiegherò più del previsto a prepararmi».

I due innamorati si scambiarono un'occhiata strana che non capii. 

«Tutto okay?»

«Sì, certo. Devi solo venire con noi, perché sì!»

Perché insistevano così tanto? Non avevano il desiderio di rimanere da soli? Se fossi stata con Castiel, avrei... Ops! Se fossi stata con Javier, dopo un'uscita in compagnia, avrei preferito passare del tempo da sola con lui. Maledetto Castiel, sempre al centro dei pensieri!

«D'accordo... ma resterò poco».

«Va bene», sospirarono entusiasti per avermi convinta. 

Era così fondamentale la mia presenza?

Durante il tragitto che ci avrebbe condotti al bar preferito di Alexy, fu proprio lui a proporre qualcosa: «Prima, con quei discorsi sulle ship, mi avete fatto venire nostalgia dei bei vecchi tempi», sospirò e alzò gli occhi al cielo, pensieroso. «E se facessimo una rimpatriata di classe? Mi occupo io di contattare gli altri, basta solo che voi mi diciate di essere d'accordo», guardò me in particolare. Tutti conoscevamo il motivo. 

«Non credo riuscirebbero a venire tutti...» mi mostrai titubante. 

«Se ti riferisci a Castiel, lui ver-» Alexy stava per rivelare qualcosa che, a quanto pareva, io non ero tenuta a sapere e venne bloccato giusto in tempo da Ciak, che gli tappò la bocca e gli diede uno scappellotto sulla nuca. 

Ridacchiai per l'espressione colpevole assunta da Alexy. 

«Cosa mi state nascondendo, voi due? Dovrei essere sorda, muta e cieca per non accorgermene...» li scrutai con sguardo indagatore. 

«Noi? Niente!» risposero all'unisono, sollevando le mani a livello del volto e scuotendole. 

«Fingerò di credervi», mi arresi. 

Non avevo alcuna voglia d'iniziare un'indagine infinita. Non oggi. Non ne avevo il tempo. 

«Allora a quando la rimpatriata?» mi richiese Ciak.

«Cosa vorreste organizzare? Magari chiediamo prima a Rose», sollevai le spalle. 

«In realtà... Lysandre, Rosalya e Armin ne sono già a conoscenza», m'informo Alexy.

«Ma quest'idea non ti era venuta in mente poco fa?»

Qualcosa non quadrava. 

«Ehm...» Alexy si grattò la nuca. 

«Strano! Perché Rosalya non mi ha detto niente?» continuai imperterrita. 

Solitamente non riusciva a tenere per sé alcun segreto, quindi figuriamoci un evento come quello... Lei adorava le feste. 

«Verrebbero anche le ex seguaci di Ambra? E Iris, Kim, Melody, Violet?» mi feci assalire dall'ansia. 

Negli anni, la nostra non era mai stata una classe unita, quasi non ci parlavamo gli uni con gli altri e alcuni compagni non mi avevano lasciato un bel ricordo di loro. Avevo finito il liceo da un anno ormai e oltre alla cerchia ristretta di amici (Ciak, Alexy, Armin, Rosalya, Lysandre e Castiel), non avevo più sentito nessuno. Ci eravamo persi di vista.  

«Miki, fattelo dire: sei pallosa. Basta fasciarti la testa con dubbi e domande!»

Non ero più sicura che Ciak si stesse riferendo alla rimpatriata di classe. 

«Finalmente siamo arrivati», ad Alexy brillarono gli occhi per la gioia. «Ho una fame da lupi». 

Quando mai...

Ecco, quel ragazzo era il tipico esempio di chi poteva mangiare a bizzeffe senza mai ingrassare. Beato lui!

«Comunque ci sarò per la rimpatriata, basta che non mi lascerete da sola con chi non ho mai sopportato...» 

Mi riferii in particolare alle oche e seguaci di Ambra. 

«Oh, sta' tranquilla... non avrai bisogno di noi. Quella sera neanche ti accorgerai dei presenti», Alexy si sedette ad un tavolino e ammiccò nella mia direzione, facendomi corrugare la fronte. Cosa stava insinuando? «Avrai occhi solo per qu-» un calcio allo stinco da parte di Ciak lo indusse ad ammutolirsi. 

«Adesso capisco perché tu e Rosalya siete sempre andati d'amore e d'accordo: siete entrambi troppo pettegoli e incapaci di tenere la bocca chiusa», Ciak sbuffò stizzito. 

A quel punto fui sicura che a breve avrei trascorso un'altra serata memorabile, ma dovevo ancora capire se nel senso positivo o negativo del termine. 

Passai mezz'ora nel bar con Ciak e Alexy, fin quando arrivò il taxi che avevo chiamato e li salutai per rientrare a casa. Ero stanca. Sentirli battibeccare per tutto il pomeriggio era davvero estenuante psicologicamente. Quei due erano incredibilmente simili e dimostravano il loro amore in quel modo particolare, per loro era normale e bello, ma per chi stava intorno alla coppia non lo era per niente. 

Una volta rientrata finalmente a casa, salii velocemente le scale. Ero in ritardo e dovetti dire addio al bagno rilassante, così optai di fare una doccia veloce e di sistemarmi in fretta e furia per la cena di quella sera. Giunta difronte alla mia camera, però, dovetti nuovamente cambiare i miei piani: fui distratta da un foglio sigillato e appeso con un filo dorato alla maniglia della porta chiusa. 

Lo sfilai titubante e quando lo aprii mi ritrovai davanti il testo del brano "All of the stars" di Ed Sheeran, scritto a mano da una calligrafia inconfondibile: quella di Castiel. Come ci era finito lì quel foglio e per quale motivo aveva deciso di trascrivere una canzone che lui odiava? 

Con la fronte aggrottata e invasa da pensieri contorti, lessi la traduzione in italiano di quel brano.

"E' solo un'altra notte
e sto fissando la luna.
Ho visto una stella cadente
e ho pensato a te.
Ho cantato una ninna nanna
dalla riva del fiume e sapevo che
se tu fossi stata qui,
l'avrei cantata per te.
Tu sei dall'altra parte
mentre l'orizzonte si divide in due.

Sono lontano miglia dal vederti,
ma io posso vedere le stelle
dall'America.
Mi chiedo: le vedi anche tu?"

L'ultima volta che eravamo riusciti a sentirci, mi aveva detto di essere a Los Angeles, proprio in America. Ci dividevano novemilaottanta chilometri, eppure guardavamo lo stesso cielo. 

"Quindi apri i tuoi occhi e guarda
il modo in cui i nostri orizzonti si incontrano
E tutte le luci ti guideranno
nella notte con me.
E so che queste cicatrici sanguineranno,
ma entrambi nostri cuori credono
che tutte queste stelle ci guideranno a casa."

Sperava sul serio che ricordassimo ancora la strada che ci avrebbe riportato dai nostri cuori? Evidentemente sì. Ed io... io lo speravo?

"Io posso sentire il tuo cuore
nel ritmo della radio.
Stanno suonando 'Chasing Cars'
e ho pensato a noi,
indietro nel tempo,
in cui tu eri stesa accanto a me...
Quando ho guardato verso di te e mi sono ubriacato"

Stava ripensando alla prima volta in cui mi aveva chiesto di raggiungerlo nel Parc Floral, il giorno di San Valentino. Allora anche per lui quello era stato un giorno importante... Mi aveva portata nel suo posto segreto, nel suo posto preferito e mi aveva fatto ammattire proprio con la canzone "Chasing Cars". Aveva pensato anche lui ai giorni trascorsi insieme, a quel brano dedicatomi sotto le stelle. Quella sera si era ubriacato di me? Dopo quella rivelazione, venni colpita da una fitta in pieno petto. 

"Così ho preso la tua mano,
ho fatto ritorno nelle strade londinesi che conoscevo.
Tutto ciò ha portato di nuovo a te
Quindi puoi vedere le stelle oltre Parigi?
Tu sei la canzone al ritmo della quale sta battendo il mio cuore".


Aveva cambiato qualche parola di quella canzone per renderla ancora più adatta a noi, alla nostra storia. Era un brano di Ed Sheeran scritto appositamente per il film: "colpa delle stelle", ma in quel momento, da quella sera gli avrei dato un significato diverso. Quel film, insieme a quella canzone, mi avevano fatta piangere fiumi di lacrime, Castiel lo sapeva bene e aveva ben deciso di peggiorare ancor di più la situazione, dedicandolo a noi.

E come se non bastasse, sotto al testo tradotto in italiano, c'era un messaggio per me:

Premi play prima di aprire la porta.

Si riferiva alla canzone. Per quale motivo avrei dovuto ascoltarla proprio in quel preciso istante?

Il foglio non conteneva alcuna firma, ma in fondo a cosa sarebbe servita? Avrei riconosciuto quella calligrafia tra mille. 

Senza perdere tempo ulteriormente, afferrai il cellulare e, con il cuore in gola, feci partire quel brano: la voce dolce di uno tra i miei cantanti preferiti in assoluto, si diffuse per tutto il corridoio. Subito dopo, con le mani tremanti, sudaticce e con il cuore scalpitante, abbassai la maniglia della porta e restai sbalordita per ciò che trovai davanti agli occhi.   

La mia stanza era illuminata da lucine dorate, appese sui muri insieme a tantissime foto: di me e Castiel, solo mie, solo sue; foto di paesaggi visitati insieme o dei quali ci eravamo promessi che ci saremmo andati un giorno. C'erano tutti: il battello sulla Senna, la casa sull'albero, Roma e la fontana di Trevi, Varengeville sur mer e la sua spiaggia, il parco floreale di Parigi, il Dolce Amoris, il locale di Marcel Duval. Dio... quanti ricordi. 

Sovrastata da mille emozioni, scoppiai a piangere come purtroppo mi capitava di frequente nell'ultimo periodo. Mi avvicinai ad ogni foto e ripercorsi pian piano tutta la nostra storia; ogni attimo era stato fondamentale, persino quelli passati a litigare. 

Tra le parole importanti pronunciate da Ed Sheeran e quella vista spettacolare, rischiai sul serio di svenire. Non riuscii neanche a capacitarmi di come mi stessi sentendo; le emozioni erano davvero troppe e devastanti per un corpo esile come il mio. Così, senza staccare gli occhi dal mio passato, mi precipitai sul letto. 

Una volta seduta sul materasso, proprio a fianco alle mie gambe percepii qualcosa: abbassai lo sguardo e trovai una tazza con stampato sopra un mappamondo, un ragazzo, una ragazza e un cuore di fianco a loro             

Una volta seduta sul materasso, proprio a fianco alle mie gambe percepii qualcosa: abbassai lo sguardo e trovai una tazza con stampato sopra un mappamondo, un ragazzo, una ragazza e un cuore di fianco a loro. Sotto il disegno, una frase: "There is no distance between us". 

"Non ci sono distanze tra noi" e restai completamente interdetta. 

Stava cercando di farmi innamorare nuovamente di lui anche a distanza? Ci stava riuscendo? Dov'era? Aveva incaricato qualcuno dei nostri amici di entrare dentro casa e sconvolgermi nuovamente la vita? Quando si trattava di Castiel, le domande che ...

Stava cercando di farmi innamorare nuovamente di lui anche a distanza? Ci stava riuscendo? Dov'era? Aveva incaricato qualcuno dei nostri amici di entrare dentro casa e sconvolgermi nuovamente la vita? Quando si trattava di Castiel, le domande che girovagavano nella mia mente, aumentavano sempre di più. 

E come se non bastasse, quella dannata tazza non era vuota: conteneva quel che all'apparenza sembrava essere una lettera. Curiosa e trepidante più che mai, l'aprii, restando totalmente sbigottita. Era matto? 

Stavo stringendo tra le mani due biglietti per il concerto di Ed Sheeran che si sarebbe tenuto il mese dopo. Caspita... non sapevo se piangere, ridere o urlare. Castiel era stato capace di stupirmi ancora, per l'ennesima volta. Insieme a quella bellissima sorpresa, trovai anche un piccolo foglio con sopra scritto:

"Sarei disposto a fare un enorme sacrificio per accompagnarti al concerto del tuo secondo cantante preferito (nella classifica si trova dopo il sottoscritto, ovvio) ma la scelta sta a te: il secondo biglietto dallo a chiunque tu voglia accanto quella sera. Non sentirti obbligata di chiederlo a me.

PS Alza gli occhi e guarda il modo con in cui i nostri orizzonti s'incontrano. Ora sono distante miglia dal vederti, ma sto ammirando le stelle dell'America. Brillano come te. Riesci a vederle anche tu?" 

Sollevai lo sguardo: i nostri orizzonti s'incontravano proprio dinanzi a me, grazie ai nostri ricordi, alle foto che avrebbero congelato quegli istanti per sempre. E vedevo anche le stelle, sì: quelle lucine dorate sparse per tutta la camera che fungevano da manto stellato. Avevo il cielo nella stanza, composto da attimi indimenticabili miei e di Castiel. Grazie a lui. Con lui. Per sempre. Niente e nessuno avrebbe potuto cancellare quello che eravamo stati. Dietro quel gesto mi stava chiedendo di tenerlo nel mio cuore, di non lasciarlo andare, d'imprimere i nostri attimi nella memoria, nell'anima, nelle ossa, in tutto il corpo, nonostante tutto. Ed io gli avrei dato ascolto. Per l'ennesima volta. 

Non solo aveva contribuito a realizzare uno dei miei sogni, mi aveva persino lasciata libera di scegliere chiunque avessi voluto portare a quel concerto. Quel ragazzaccio temuto da tutti gli studenti del Dolce Amoris, non esisteva più: era stato sostituito da una versione più matura e razionale di se stesso. Stentavo a riconoscerlo in quegli atteggiamenti. 

D'altronde... I gesti del cuore sono come le stelle: si mostrano piccoli, ma in realtà sono più grandi del sole. E cos'era quello, se non un gesto del cuore per dimostrarmi di avere un intero mondo da donarmi? Un amore incondizionato, un cielo infinito pieno di stelle. 

Cos'avrei fatto alla fine? Sarei stata capace di andare a quel concerto senza il mio protagonista delle strofe di tante canzoni?

Per tenere intatta la sanità mentale decisi di rimandare la risposta a quel quesito ad un momento successivo. Avevo una cena a cui pensare e sarebbe stata proprio quella sera. Maledetta me e il giorno che mi ero fatta abbindolare dall'espressione sconsolata di Javier... Non ero ancora pronta a presentarlo a parte della mia famiglia né avrei voluto conoscere la sua e l'azione di Castiel aveva causato ancor più scompiglio nella mia testa. 

Quando un'ora più tardi mi ritrovai davanti casa Duval, dentro di me era ancora in atto una tempesta interiore. Non scrissi a Castiel per ringraziarlo di quella sorpresa; dovevo prima mettere ordine tra i pensieri e soltanto dopo sarei stata in grado di sentirlo. 

«Hai intenzione di suonare o devo farlo io?» Javier mi risvegliò dallo stato di trance. 

Suonai il campanello e subito dopo mi ritrovai davanti una Flora sorridente e splendida più che mai. 

«Miki», mi saltò al collo «siete arrivati», ci accolse con entusiasmo. 

Ebbene sì, i suoi occhioni vispi erano riusciti a conquistare anche me. Flora era una ragazzina speciale e particolarmente sensibile; niente a che vedere con la sorella maggiore. Non riuscivamo a vederci spesso, ma ci sentivamo assiduamente ormai da qualche mese. Avevo imparato persino a tenere a bada la gelosia nei suoi confronti: in fondo era mia sorella. Quando mi fermavo a rifletterci appariva ancora strano, visto che fino a qualche anno prima odiavo tutti i componenti della famiglia Duval, compresa mia madre, ma col tempo ero maturata e avevo impresso sulla mia pelle che essere orgogliosi non portava a nulla di buono. 

«Ragazzi, cosa ci fate lì impalati? Entrate!» Teresa c'incitò ad entrare.

Una volta dentro casa, mi guardai intorno: tutto era come lo avevo lasciato l'ultima volta. Per un'istante rievocai alla mente la cena catastrofica di qualche anno prima, quella che - insieme a Debrah - aveva contribuito a porre fine alla mia storia con Castiel. Scossi la testa, imponendomi di non pensare al passato e rivolsi invece tutta la mia attenzione ai presenti in sala. 

Mia madre, dopo i convenevoli, fece accomodare Javier e Flora nel salotto, mentre invitò me a raggiungerla in cucina per aiutarla con gli ultimi preparativi per la cena. La seguii in silenzio. 

«Ti va di preparare l'insalata?» mi sorrise. 

Acconsentii e mi fiondai subito a prendere l'occorrente per preparare quel piatto di contorno.

«Allora...» allungò le vocali. 

Quell'incipit non mi convinse per nulla. 

«Cosa?» iniziai a tagliuzzare l'insalata, dopo averla sciacquata per bene. 

«Notato qualcosa di strano oggi nella tua camera?» fischiettò mentre infornava le cotolette di pollo. 

Corrugai la fronte e restai col coltello a mezz'aria. 

"Vuoi vedere che..."

«Sei stata tu?» la voce flebile. 

«A fare cosa?» fece la finta tonta. 

«Ti stai sentendo con Castiel, mamma?» mi uscì quasi come un rimprovero. 

«La mia era una domanda innocente», mi diede le spalle e prese a lavare i pomodori, ridacchiando. 

«Mamma», posai le mani sulle sue spalle, incitandola a voltarsi e guardarmi negli occhi. 

«Che c'è?» si morse il labbro per contenere il risolino «Ok, va bene. Mi arrendo», sollevò le braccia in segno di resa «sono solo stata la direttrice dei lavori... Tutte le idee erano di Castiel. Mi ha spedito un pacco con le foto, i biglietti del concerto, i fogli, la tazza. Insomma... tutto l'occorrente e le indicazioni per la sorpresa. Poi ho coinvolto i vostri amici, affinché riuscisse tutto alla perfezione: Rosalya e Lysandre hanno pensato a sistemare la stanza, mentre Ciak e Alexy ti hanno tenuta impegnata per tutto il pomeriggio», terminò con un sorriso a trentadue denti ed io sgranai gli occhi e rimasi a bocca aperta. 

Aveva coinvolto proprio tutti... Non sapevo se esserne contenta o meno. Era riuscito a soggiogare persino il suo acerrimo nemico Ciak. Incredibile. Finalmente collegai ogni cosa: le occhiate e le parole a metà del mio migliore amico e di Alexy durante quel pomeriggio, l'insistenza a non rientrare a casa, Rosalya che si fece sentire poco e niente in quei giorni, proprio per evitare che le sfuggisse qualcosa. Caspita... Erano stati bravi a nascondermi ogni cosa.

«Perché proprio oggi?» chiesi con la bocca asciutta. «Perché hai proposto questa maledetta cena, se persino tu preferisci che io stia con Castiel?» alzai il tono di voce, sperando di non esser sentita da Javier «Perché vi ostinate tutti a stare dalla sua parte? Me ne ha combinate di ogni in questi anni e a nessuno sembra importare... Tutti si fanno affascinare da lui. Non è giusto!» sbuffai rumorosamente e in un baleno, infastidita più che mai, finii di preparare l'insalata. 

«Tesoro...» Teresa si avvicinò, ponendo le mani sulle mie braccia «perdonami, ma voglio solo il tuo bene», iniziò ad accarezzarmi, cercando di tranquillizzarmi. «So che hai sofferto molto a causa sua, ma so anche che senza di lui non vivresti per davvero. Sto solo cercando di velocizzare i tempi per qualcosa che accadrà prima o poi», poggiò le mani sulle mie guance «Non ho nulla contro Javier, credimi, ma so che lui non fa per te. Hai mai pensato al motivo per il quale non riesci a farlo entrare realmente nella tua vita? Pensi sia a causa delle ferite inflitte dal tuo precedente amore? Non è del tutto così. Ovviamente sei tu a dover scegliere, la vita è tua, ma con l'invito a cena vorrei solo aiutarti a riflettere su determinate cose a cui da sola non arriveresti a pensare: riesci a dimenticarti di Castiel, quando sei con Javier? Riesci a mettere in secondo piano un gesto di Castiel, facendo un passo importante con Javier come quello di presentarlo alla tua famiglia?» mi guardò fissa e dritta negli occhi per tutto il discorso, come se volesse leggermi dentro. 

«Io...» restai senza parole dopo quella spiegazione e ogni astio nei suoi confronti svanì. 

«Quando l'altro giorno ho invitato qui a casa i tuoi amici e ho chiesto loro un aiuto, quando ognuno ha espresso il proprio parere su te e Castiel, Lysandre mi ha stupita con una citazione di un autore italiano, che non ho potuto fare a meno di cercare su internet e impararla a memoria: "si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s'era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa perché, pur essendosi saputa sempre, mai s'era potuta riconoscere così", non è bellissima? Penso racchiuda tanto», sospirò e sollevò gli occhi al cielo con aria sognante. «Lui, grazie a te, ha conosciuto dei lati di sé che non sapeva di avere; tu con lui sei cresciuta, maturata, sei diventata più forte, hai provato dei sentimenti nuovi: hai conosciuto te stessa per davvero e per la prima volta», mi spiegò il senso che aveva dato a quella citazione. 

Ed io mi smarrii nelle sue parole. Non tentai neanche di ribattere; non era necessario. La mente si offuscò completamente.  

«Non sforzarti di cercare risposte: quando saranno pronte, verranno loro stesse da te», socchiuse gli occhi e si alzò sulle punte per lasciarmi un bacio sulla fronte. 

Aveva ragione. 

La sua dolcezza e delicatezza mi sciolse il cuore. Quella sera fu una delle poche volte in cui mi resi conto davvero quanto mi fosse mancato un rapporto come quello tra mamma e figlia e su quanto fossi stata fortunata ad averlo ritrovato. Funse da psicologa, consigliera, amica e mamma. Eh già... finalmente anch'io, povera orfana bastarda, potevo urlare al mondo di aver riavuto indietro mia madre. 

«Ti voglio bene, mamma» la strinsi forte tra le braccia, socchiusi gli occhi e mi beai del suo profumo gradevole. 

La ringraziai tacitamente per essere ritornata. Si era dimostrata paziente e testarda, amorevole e determinata, aveva rispettato i miei tempi e pian piano si era insinuata nuovamente nel mio cuore, riempiendolo di amore materno. Il passato doloroso ormai era stato calpestato e sostituito dalla dolcezza, delicatezza e affetto che soltanto una vera mamma era capace di trasmettere. Lei ci sarebbe stata per sempre. Non sarebbe mai più scappata da me.

«Anch'io, piccola mia» replicò con voce commossa, mentre dal suo occhio sinistro cadde una lacrima di gioia che mi bagnò la fronte. 

Erano passati esattamente nove anni dall'ultima volta che pronunciai quelle quattro paroline magiche, unite nella stessa frase e rivolte alla mia mamma. 

Da quella sera in poi avrei dovuto ripeterle più spesso. 

_____

Dopo la breve scena commovente che mi vide protagonista insieme a Teresa, ogni buon proposito per quella cena venne spazzato via da Javier e dalla sua totale incapacità di trattenersi dalle uscite infelici. 

Per iniziare, come antipasto, Teresa aveva preparato un'insalata di pollo squisita e l'avevo appena assaggiata, quando per poco non la sputai nel piatto grazie al mio meraviglioso quasi ragazzo. Di quel passo sarebbe rimasto per sempre un "quasi"

«Non è proprio qui, ad una cene di queste, che la tua storia con Castiel è finita?»

«Chi te l'ha detto?» 

Per poco non gli saltai addosso per riempirlo di pugni. Come si permetteva a parlare di quell'argomento senza sapere nulla?

«Non ha importanza», continuò a parlare con tono piatto.

Ancora più snervante. 

«Oh sì che ce l'ha invece...» contai fino a dieci per evitare di commettere un omicidio. 

«Ho fatto delle ricerche su internet e ho scovato un vecchio blog che raccontava passo per passo la vostra storia fino alla fine. Mi pare si chiamasse"Dolce Journal" o sbaglio?» si voltò, inarcando il sopracciglio destro con presunzione. 

Incredibile, ma vero: quello stupido giornale riusciva a perseguitarmi anche a distanza di anni. La cara e vecchia Peggy, oltre a rovinare la vita degli studenti all'interno della scuola con le copie fisiche del giornale, aveva ben pensato di creare un blog online perché quello sarebbe esistito per sempre. Quando Castiel divenne un cantante professionista, sfruttò la sua fama e la nostra storia per essere conosciuta dal mondo del giornalismo, a cui aspirava sin da piccola. Non conoscevo i dettagli, perché in quel periodo ero troppo depressa per stare dietro a quel genere di cose, non avevo mai letto i contenuti di quel sito e fino a quella sera ne avevo completamente dimenticato l'esistenza. 

«Perché l'hai fatto proprio ora? Non bastava quello che ti avevo raccontato?»

«A quanto pare no!» intervenne Flora, incenerendo con lo sguardo Javier, mentre stringeva la forchetta tra le dita. 

Che volesse cavare i suoi occhi con le posate? Probabilmente mi avrebbe fatto un favore. 

«A quanto pare, ho fatto bene», mi sorrise tranquillo «Mi dispiace doverne parlare proprio qui, ma ho scoperto tutto oggi pomeriggio e sono ancora un po' scosso», si giustificò, pensando di motivare la sua maleducazione.

«Se non fossi così tanto educata, ti toglierei volentieri di casa a calci in culo», con mio stupore, Flora mi rubò le parole di bocca. «Che impressione pensi di dare, arrivando qui e mancando di rispetto alla tua ragazza davanti alla sua famiglia? Non dovresti azzardarti a parlare di una cosa così delicata con spettatrici intorno e inoltre ci sono modi e modi di affrontare un argomento!» sibilò a denti stretti e divenendo rossa per la rabbia. 

Mi stava difendendo e proteggendo, come solo una sorella sarebbe in grado di fare. E lei aveva solo dodici anni. Sin da quando l'avevo vista per la prima volta, aveva sempre dimostrato di essere più matura della sua età e non mancò occasione per mostrare un esempio pratico anche durante quella cena. 

Mia madre non intervenne, conoscendola, doveva essere totalmente d'accordo con il punto di vista di Flora. 

«Dovete scusarmi...» Javier si alzò improvvisamente in piedi, cambiando registro, fece un inchino e baciò i palmi delle mani a tutte «è solo che... nel salotto, tra le foto di famiglia, ce n'è una di Miki e Castiel e mi sono sentito sotto pressione. Non potrei mai superare una persona come lui, lo stimo davvero tanto», tornò a sedersi. 

Sembrava un attore.

«Una foto mia e di Castiel?» ignorai completamente il discorso di Javier, rivolgendomi invece a mia madre. 

«Ehm...» si grattò la fronte con il dito indice e mi guardò con un'espressione colpevole. «Ho dimenticato di toglierla, scusatemi», sorseggiando dell'acqua, nascose il viso dietro al bicchiere.

Ovviamente non aveva potuto dimenticare di levare la foto, perché la mia storia con Castiel era finita ben due anni prima ed io non l'avevo mai vista le volte in cui ero stata a casa Duval. I discorsi fatti prima della cena, mi fecero supporre che invece l'avesse lasciata in bella vista appositamente per quella sera, proprio per infastidire Javier e avere una sua reazione. 

«Chiarito ciò: ora possiamo mangiare come le persone normali? Grazie!» guardai i presenti e li pregai di far cadere lì il discorso. 

Fortunatamente mi diedero ascolto e riprendemmo a cenare in silenzio. Un silenzio di tomba: si udirono solamente le posate sbattere contro la ceramica dei piatti, le bocche masticare e sorseggiare qualche bevanda. 

Con Javier avrei chiarito in un secondo momento, farlo davanti a terze persone non mi sembrava il caso. La sua reazione di poco prima mi stupì, solitamente si distingueva quanto ad educazione e buone maniere e non avrei mai pensato potesse assumere quegli atteggiamenti durante la nostra prima cena importante, per giunta voluta da lui a tutti i costi, ma probabilmente era vero che non si finisce mai di conoscere una persona. 

«I tuoi genitori cosa fanno? Di dove sono?» Teresa, dopo aver portato in tavola le cotolette e l'insalata, spezzò il silenzio e le fui grata. 

«Sono di Parigi ed entrambi avvocati», Javier replicò sbrigativamente, quasi sulle spine. 

Perché?

Iniziammo a mangiare in una sorta di mutismo generale e, trascorso qualche altro minuto, mia madre riprese il discorso sui genitori di Javier. 

«Oh... allora conosceranno di sicuro Kate Rossi, la zia di Miki».

Non aveva mai fatto appello a zia Kate e se aveva deciso di giocare quella carta, voleva dire che la situazione per lei era grave sul serio. Javier non era riuscito a conquistarla, ormai era chiaro. Come darle torto dopo quelle scenette da oscar?

«Certo, i miei sono da una vita in guerra contro di lei...» prima di continuare, rifletté un attimo sulle parole più giuste da usare «Alla fine riesce sempre lei ad avere i clienti più importanti. Non so come faccia, ma ha stoffa per quel lavoro. Non la batte nessuno!»

Peccato che solo per quello...

«Sì, lei è la migliore», Teresa sorrise forzatamente «Volete un po' di torta alle mele? L'ho sfornata poco prima che arrivaste», si alzò, guardandomi con apprensione. 

Decise di portare la conversazione su un altro piano proprio per il mio bene, perché notò malinconia nei miei occhi. Mi accadeva spesso quando i discorsi slittavano su zia Kate: le volevo ancora bene e mi mancava, dopotutto. Teresa aveva imparato a leggermi dentro, come solo una mamma saprebbe fare e ringraziai mentalmente quel viaggio a Roma di molti anni prima, senza il quale non l'avrei mai ritrovata. Grazie a Teresa, pian piano ero riuscita a metter ordine dentro di me, a colmare quei vuoti, a curare quelle ferite dell'infanzia che soltanto l'amore materno sarebbe stato in grado di sanare e che per fortuna ormai erano solo un brutto ricordo. 

«Come va con Karl?» mi ricordai di chiedere a Flora, una volta che nostra madre andò in cucina a prendere la torta. 

Karl Smith era la prima cotta di Flora. Era un ragazzo di due anni più grande di lei e a detta sua bellissimo, ma io non avevo avuto ancora l'onore di vederlo. 

«Ieri l'ho incontrato al parco e mi ha sorriso», il suo sguardo, che per tutta la sera era stato spento, s'illuminò e sorrise imbarazzata. 

«Dovresti trovare il coraggio per chiedergli di uscire», la incitai. 

Erano dei semplici conoscenti ma, in base ai racconti di Flora, sarebbero potuti diventare molto di più. 

«Mi vergogno troppo. Lui è... così bello e così popolare. Ha un sacco di ragazze che gli girano intorno», arrossì di colpo. 

«Ma nessuna è te», le feci l'occhiolino. 

«Sei troppo gentile...» 

«Se la cosa andrà avanti, ricorda di fare sesso protetto», Javier se ne uscì improvvisamente con quella battuta infelice ed io sgranai occhi e bocca, sbalordita. 

«Ma sei scemo? Flora è una bambina ancora!» alzai la voce di qualche tono. 

Cosa diavolo si era fumato quella sera prima di passare a prendermi? Non era più in lui. 

«Spesso i bambini sono più attivi dei giovani adulti», ribatté, strizzando un occhio. 

Era una frecciatina diretta a me, quella? 

«Per cosa sono più attivi?» mia madre rientrò nella sala da pranzo con la torta di mele e quella domanda scomoda.

«Javier mi ha consigliato di fare sesso protetto», Flora rispose con nonchalance, probabilmente con l'intento di mettere Javier in imbarazzo.  

«Ecco io...» si portò una mano dietro la nuca ed evitò di proseguire la frase. 

Con mia madre si sottrasse dal fare il gradasso, per fortuna. 

«Immagino tu sia particolarmente sensibile sull'argomento, visto il tuo mestiere, ma preferirei discuterne io stessa con mia figlia e possibilmente non a tavola in presenza di un estraneo», mia madre lo asfaltò definitivamente e lui non fiatò più fino alla conclusione della cena. Tirai un sospiro di sollievo. 

Una volta aver finito di mangiare la torta di mele, proposi a mia madre di aiutarla a sparecchiare e lavare i piatti, ma rifiutò. Probabilmente lo fece per levarsi dalle scatole Javier prima del previsto, infatti decisi di cogliere i segnali e lasciare casa Duval. La piccola parte malvagia dentro di me, avrebbe voluto fargliela pagare per non avermi ascoltata e restare un altro po', ma vinse il lato buono. Tanto aveva già imparato la lezione: di sicuro Javier non sarebbe più stato invitato a casa Duval. 

«Scegli bene, bambina mia», bisbigliò nell'orecchio, quando mi abbracciò per salutarmi. 

«E tu non farti venire più in mente queste strane idee», mi riferii alla pessima serata appena trascorsa a causa della sua stupida pensata. «A presto, mamma», la strinsi a me e poi passai a Flora.

«Mandalo a cacare», fu il suo suggerimento. 

«E tu invita Karl ad uscire», le diedi un bacio sulla guancia e le scompigliai i capelli. 

Entrambe strinsero la mano di Javier per salutarlo e subito dopo uscimmo fuori per rientrare a casa.

Quella cena era stata voluta fortemente da mia mamma per aiutarmi ad aprire gli occhi e a schiarire le idee, ma servì solo a confondermi ancora di più: Javier non era mai stato così scostumato o impulsivo; quelle erano caratteristiche che appartenevano a Castiel.  

«Perché hai avuto quel comportamento?» andai dritta al punto, quando accese i motori dell'auto e partì. 

«Dormi da me stanotte?» finse di non aver sentito la mia domanda. 

«Non ci penso proprio! Hai fatto il coglione davanti alla mia famiglia e pensi davvero che adesso io abbia voglia di dormire con te?» nervosa, tamburellai le mani sulle gambe. 

«Il problema è che tu non hai mai la voglia di me...» sussurrò piano, mentre guardava la strada davanti a sé. 

«Quindi il punto è questo... Ti sei stancato di aspettare», risi amaramente e sbuffai. 

Io e Javier non eravamo mai andati oltre la seconda base. Ci eravamo palpati e ogni volta avevo trovato una scusante per evitare di approfondire o passare alla fase successiva. Ero bloccata da quando...

«Mi pare che con Castiel tu non ti sia fatta poi così tanti problemi...» 

Ovviamente dovette cadere in basso anche in privato, non gli era bastata la cena di merda appena passata.

«Smettila di parlare sempre di lui. Non puoi permetterti di giudicare solo perché hai letto quattro parole su quello stupido blog. Mi hai stufato!» incrociai le braccia al petto e lo trafissi con gli occhi. 

Se non fosse stato così tardi e le strade non fossero state così buie e deserte, sarei volentieri scesa dalla macchina e rientrata a casa a piedi. 

«Io non ti piaccio abbastanza», ripeté. 

«Tu mi piaci, ma non me la sento di venire a letto con te. Non ancora. Penso sia presto, così come lo era per la cena con la mia famiglia e infatti si è visto com'è andata a finire... Avevo ragione?» cercai di farlo ragionare. 

«Forse...»

E non fiatammo fino all'arrivo a casa; per fortuna casa Duval non distava molto dalla mia. 

«Dammi tempo, Javier. Non è facile ricominciare», gli sfiorai l'avambraccio e lui spense la macchina, poi si voltò verso di me. 

«D'accordo», abbassò il viso «Scusa se sono stato un coglione a cena, non so cosa mi sia preso...» mi carezzò una guancia. «Stai facendo fuoriuscire il lato geloso e possessivo che è in me. Non mi era mai accaduto e devo imparare a gestirlo», i suoi occhi verdi mi fissarono sinceri ed io non potei che sciogliermi dinanzi alla sua bellezza. «Mi farò perdonare», mi diede un tenero bacio a stampo sulle labbra e mi salutò.

Scesi dall'auto e il mio primo pensiero, dopo quell'assurda serata, fu rivolto ad un altro ragazzo. La mia àncora di salvezza nei momenti peggiori. Quel dato di fatto avrebbe dovuto farmi riflettere parecchio, ma per quella sera lasciai perdere. 


A: Castiel

Solo nell'oscurità puoi vedere le stelle. Io le vedo grazie a te.


Stavo sbagliando di grosso e fui sicura che sarei finita all'inferno a causa sua... 

Lui: l'angelo perfetto per il mio inferno. 

 

 

 

***

Disturbo antisociale di personalità

(di cui abbiamo scoperto essere affetta Debrah)

*I pazienti possono esprimere il loro disprezzo per gli altri e per la legge, distruggendo proprietà, molestando gli altri o rubando. Essi possono ingannare, sfruttare, raggirare o manipolare le persone per ottenere ciò che vogliono (p. es., il denaro, il potere, il sesso).

Questi pazienti sono impulsivi. Di conseguenza, essi possono improvvisamente cambiare lavoro, case o relazioni. Essi possono accelerare quando si guida e guidare in stato di ebbrezza, causando talvolta incidenti. Sono particolarmente soggetti a fare abuso di sostanze stupefacenti. 

Questi pazienti sono spesso facilmente provocabili e fisicamente aggressivi; possono dare inizio a liti o maltrattare. Nei rapporti sessuali, possono essere irresponsabili e sfruttare il loro partner e non essere in grado di rimanere monogami.

Il rimorso per le azioni è scarso. I pazienti con disturbo antisociale di personalità possono razionalizzare le loro azioni accusando altri delle loro sofferenze (p. es., se lo meritavano). Essi sono determinati nel maltrattare e nel fare ciò che pensano sia meglio per se stessi ad ogni costo. Questi pazienti mancano di empatia verso gli altri e possono essere sprezzanti o indifferenti ai sentimenti, ai diritti e alla sofferenza degli altri. Tendono ad avere un'alta opinione di se stessi e possono essere molto supponenti, sicuri di sé, o arroganti. Essi possono essere affascinanti, volubili, e verbalmente superficiali nelle loro azioni per ottenere ciò che vogliono.*

_________

✊🏿N.A.✊🏿

In questo capitolo finalmente abbiamo avuto modo di scavare in parte nel profondo dell'anima oscura di Debrah e si è capito il motivo dei suoi gesti passati. Sopra vi ho lasciato una breve spiegazione del problema che ha, così potrete avere tutto più chiaro. Vi aspettavate soffrisse di questi disturbi? Avete cambiato opinione su di lei?

Cosa ne pensate degli Aleciak? Nome di ship orribile, lo so, but... LOVE IS LOVE 🌈

Finora non ho dato molto spazio agli amici di Miki e Castiel, perché ho preferito concentrarmi sulla loro relazione, ma credo proprio che da qui in poi si vedranno spesso anche gli altri. Spero abbiate modo di rivalutare Ciak. So che in passato a molte di voi non stava simpatico per via della sua intromissione tra i Mikistiel, ma avrete modo di ricredervi in futuro. Promesso😉

E questa rimpatriata di classe? *colpo di tosse*

E Castiel? Quei gesti? Chi vorrebbe un/a ragazzo/a come lui che se ne esca all'improvviso con queste sorprese alzi la mano🖐🏿

E poi... Teresa e Miki? Sono totally in love per loro. Miki ha ritrovato sua mamma ❤️ dopo anni sta riuscendo a fidarsi di nuovo di lei. E Teresa lo merita, lo pensate anche voi?

L'atteggiamento odioso e assurdo di Javier ha un senso. Vedrete!

Detto ciò vorrei fare un breve accenno a qualcosa che sta accadendo in questi giorni e che mi sta molto a cuore

⬇️⬇️⬇️

Vorrei esprimere anche qui la mia solidarietà al movimento #BlackLivesMatter. Se ancora non l'avete fatto, ci sono delle petizioni da poter firmare sul sito change.org contro chi ancora oggi compie atti di razzismo verso delle persone indifese ed innocenti. Uniti, possiamo fare la differenza. Io posso soltanto immaginare cosa questi poveri esseri umani sono costretti a sopportare ogni giorno, solo perché hanno il colore della pelle più scura degli altri. Ma loro non sono diversi. Nel mondo, seppure nella nostra diversità, siamo tutti uguali. Siamo tutti degli esseri umani e da tali abbiamo diritto di essere rispettati. Senza distinzioni. Spero vivamente che tutto si risolverà senza più spargimento di sangue.

A presto👋🏿

All the love 🤝

Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 63
*** CAPITOLO 58: Di nome Ariel ***


Capitolo 58

Di nome Ariel




🎶James Arthur ft. Anne Marie - Rewrite The Stars🎶

   

________

Teresa

"Mamma, sei sempre stata dentro ad ogni soffio di vita che mi circonda. Come potrei non perdonarti?" 

Erano le parole pronunciate dalla mia primogenita una sera di molti anni prima e le portavo dentro al mio cuore ogni giorno. Mi aveva perdonata e da quell'istante smisi di essere triste. Ogni momento trascorso con mia figlia era un dono, non avrei più sprecato neanche un respiro, avrei ringraziato infinitamente Dio per ogni cosa bella ricevuta. 

La vita mi aveva concesso una seconda possibilità sia nell'ambito lavorativo che affettivo: avevo ritrovato l'amore di una figlia e non solo... Da qualche periodo gestivo il locale del mio compagno e mi piaceva farlo. Spesso gli capitava di essere fuori città per via del suo lavoro da manager, così aveva optato per farmi gestire il suo ristorante. Era un'immensa responsabilità, vista la varietà che offriva, ma sperai d'ingranare con il passare del tempo. Restaurant à la musique era un ristorante di giorno, mentre di sera si trasformava in un locale notturno per musicisti esordienti, talent scout e appassionati di musica. Avevo chiesto più volte a Miki di aiutarmi, ma lei aveva sempre rifiutato per via di Debrah Duval, perché non voleva avere niente a che fare con quella ragazza tremenda né tantomeno con il suo cognome. Come darle torto? Le aveva rubato quel poco di felicità conquistata con tanta fatica e, nonostante fosse trascorso molto tempo, continuava a temere un suo ritorno; eppure noi non avevamo sue tracce da più di un anno... 

Quel pomeriggio d'inizio Agosto, quando stavo per oltrepassare la soglia di casa per recarmi al locale di Marcel, per poco non scivolai calpestando un foglio. Lo presi titubante e lessi. 

"Respira finché puoi. Ridi finché riesci. 

Poi riderò io. Sul vostro cadavere".

 

***

Miki

Era la sera della rimpatriata di classe, quando trovai sul letto qualcosa che mi rubò il fiato, il cuore e l'anima per l'ennesima volta nel giro di qualche settimana. 

Un cartoncino plastificato con stampati sopra la terra e il cielo. Nel cielo brillavano le stelle, rappresentate simbolicamente da Swarosky luccicanti. 

Mi mancò il respiro quando lessi.

Tra le mani reggevo il certificato di una stella             

Tra le mani reggevo il certificato di una stella. Una stella di nome Ariel. 

Sul cartoncino erano riportate le coordinate per cercarla nel cielo, precisamente nella costellazione di Orione. 

La data del battesimo era la mia data di nascita. Dio... il cuore rischiò di uscirmi fuori dal petto e per quanto scalpitò, sarebbe stato capace di arrivare fino alla luna e ritornare in un batter d'occhio. 

Alla fine del foglio, una frase: 

"Quando mi perderò, la tua luce mi guiderà nella notte. I nostri orizzonti si rincontreranno. Wait for me to come home

Ubriaca d'amore"

Non c'era alcun dubbio sull'artefice di quell'ennesimo gesto. 

Castiel mi aveva donato una stella. Letteralmente. 

Perché una settimana prima non gli era bastato portarmi il cielo nella stanza, no: per sentirsi realmente appagato aveva dovuto addurre me stessa tra le comete. Aveva dovuto per forza trasformare il mio cuore in polvere di stelle per compiacersi a pieno, per assicurarsi che io fossi ancora sotto suo incantesimo. E lo odiai per quello. Dio, se lo odiai...

Ingoiai un groppo di saliva e, con gli occhi sgranati, continuai a perlustrare quel cartoncino. S'inumidì con il sudore delle mani, mentre rilessi un'infinità di volte quelle frasi. A distanza di anni, mi aveva chiesto di aspettarlo. Di nuovo. 

"Dio, donami la forza per non cadere nella sua trappola", perché ce la stavo mettendo tutta ad essere scostante e fredda, ma non ero sicura che sarei riuscita a resistere per molto tempo ancora. 

Castiel non aveva più timore di mostrare le sue emozioni e sebbene non mi avesse ancora detto la parolina magica esplicitamente, i suoi sentimenti si percepivano forti e chiari anche a distanza di chilometri. Io invece avevo paura. Tanta, fottuitissima paura. Temevo potesse ferirmi, prendersi gioco di me e più di tutto, che potesse abbandonarmi. Di nuovo. Non avrei retto un cuore rotto per la seconda volta. 

Non era Javier a frenarmi: lui era una sorta di scudo per me, una presenza che mi assicurava protezione da un sentimento devastante come quello che avrei potuto provare per la rockstar. Non mi fidavo abbastanza di Castiel, nonostante quei gesti, nonostante l'importanza dietro a quelle azioni. 

Probabilmente, se fosse stato con me, in quell'istante avrei finito per abbracciarlo così forte fino a spezzare entrambi nell'impeto dell'emozioni provate per lui. Nonostante tutto. Ma non potevo lasciarmi soggiogare così facilmente, ne andava della mia incolumità. 

Fui distratta da quei pensieri a causa della vibrazione del mio cellulare. Era un messaggio. 


Da: Castiel

La stella Ariel nella costellazione di Orione: la più luminosa e visibile in tutto il mondo. 

Un giorno te la mostrerò. 


Le gambe divennero di gelatina a causa di quell'ultima frase. Lui sarebbe ritornato. 

E di cosa mi stupivo? A breve ci sarebbe stata la festa per la promessa di matrimonio di Rose e Leigh; la sua presenza era obbligatoria. 

Socchiusi gli occhi e tentai di riacquistare un po' di calma interiore. Inspirai ed espirai lentamente, ma i miei buoni propositi furono mandati all'aria per colpa dello stesso ragazzo, che mi mandò un ulteriore messaggio: 

Perché mi stai ignorando?

Un altro suo aspetto? La sincerità disarmante. Non temeva niente e nessuno, neanche di ricevere un due di picche. 

Miki: Mi spiazzi...

Castiel: Non erano le smancerie quelle che volevi?

Miki: Voglio solo che tu sia te stesso. 

Castiel: Lo sono sempre stato!

Miki: è che... non sono abituata a vedere questo tuo lato così esplicito e... romantico(?)

Castiel: Certo, tu adesso sei abituata ad altro... Ritieni che James sia meglio di me? Bene, stai con lui!

Che cazzata! Io non sono romantico

Miki: E no, non sia mai... Quella parola è un oltraggio

Chi è James?

Castiel: Il tuo ragazzo!!!!!

Miki: Si chiama Javier

Castiel: Lo chiamo come mi pare e piace!!!!!

Miki: Qualcuno qui è geloso, per caso? 

Castiel: Sì, cazzo. Lo sono!!!!!!!

Miki: Oh...

La smetti con tutti questi punti esclamativi? Sono snervanti.

Castiel: Che c'è? Sono geloso e incazzato. Questo è il mio modo per fartelo capire!!!!!!!

Miki: è la prima volta che lo ammetti. Sei tenero.

Castiel: Non sono tenero!!! 

Sarebbe ora che entrambi ammettessimo un bel po' di cose.

Miki: Ad esempio?

Castiel: Preferirei non parlarne dietro ad uno stupido schermo. 

Miki: Al momento non è possibile farlo in altri modi.

Castiel: Chissà...

Miki: Cosa?

E non rispose più. Castiel era degno di essere inserito nel Guinness dei primati tra i rompicapi più faticosi di tutti i tempi, su quello non c'erano dubbi. 

***

La mia scelta per la serata: vestito color verde smeraldo brillantato, monospalla, aderente e lungo fino al ginocchio, abbinato a dei sandali con il tacco dello stesso colore dell'abito e dorati sulle cinghie così come gioielli e accessori. Per il trucco avevo prediletto un ombretto dorato e rossetto bordeaux, mentre i capelli li avevo lasciati sciolti e ondulati naturalmente. 

Le Balajo era il locale notturno scelto da Rose per la fantasmagorica rimpatriata di classe. Non ero sicura della sua scelta perché, vista la musica assordante, lì dentro non avremmo potuto chiacchierare molto tra di noi. 

L'orologio del mio smartphone segnava le ventitré quando io, Rose, Ciak e Alexy scendemmo dal taxi davanti il locale. Dietro di noi si fermò l'altro taxi dal quale scesero Lysandre, Armin, Violet e Iris. Eravamo tutti intenzionati a bere alcolici fino a stordirci, per cui nessuno si era accollato la responsabilità di guidare e di dover rimanere sobrio. 

Nonostante l'impegno di Ciak e Alexy di effettuare il giro di telefonate per invitare tutta la classe ad incontrarsi, alla fine erano riusciti a convincerne solamente metà. Alcuni erano impossibilitati ad esserci per varie ragioni: Kim, la sportiva della classe, si era trasferita a Chicago per giocare in una squadra di basket professionistica; le due seguaci di Ambra avevano aperto insieme un profilo instagram che aveva fruttato parecchio denaro e a quel punto ovviamente non sarebbero mai uscite in compagnia di poveri plebei come noi; Melody, dopo il diploma, aveva raggiunto Nathaniel in una città che non ci era data sapere. Per un attimo ricordai episodi in cui mi ritrovai a dover bisticciare con lei per via del biondo e della gelosia nei suoi confronti. Che tempi assurdi erano quelli... Ero stata coinvolta involontariamente in un triangolo amoroso per via della breve infatuazione nutrita nei confronti di Nathaniel e che fortunatamente durò poco. Fui contenta si fossero ritrovati, quei due: Dio li fa e poi li accoppia. L'unica persona della quale avrei desiderato avere maggiori notizie, invece, era Ambra. Non avevamo mai avuto una conversazione civile, ma ero una delle poche persone ad esser venuta a conoscenza di tutto il male che era stata costretta a subire per via dell'aborto forzato; se avessi avuto il suo numero di telefono o un qualsiasi altro recapito, l'avrei chiamata. Sul serio. 

E poi c'era Castiel... Quella sera aveva un concerto e non sarebbe potuto ritornare in tempo a Parigi. Un po' mi dispiacque. 

Dopo aver salutato tutti i miei ex compagni di classe presenti, ci mettemmo in fila per entrare dentro il locale. Sopra le nostre teste si stagliò un'insegna a neon enorme, gialla e luminosa con sopra scritto il nome della discoteca in corsivo, mentre le facciate - porta compresa - erano in legno rosso. 

Una volta dentro, mi persi ad ammirare quel luogo vintage e allo stesso tempo elegante. La sala era preceduta da un ampio corridoio pieno di specchi e appena misi piede nella stanza fui sopraffatta dall'eccentricità del posto. Il bancone del bar era cosparso di piccoli specchi rettangolari e le luci, riflettendosi, li facevano sembrare rossi. La pista da ballo era abbastanza grande, al centro esatto pendeva dal soffitto un'enorme palla stroboscopica, ai lati si trovavano dei divani in pelle rossa e dei tavolini di vetro e legno, mentre nello spazio tra un tavolo e l'altro si ergevano dei lampioni che emanavano una luce rossa soffusa, regalando così un'atmosfera intima. Rimasi affascinata da quei giochi di luce. 

Il colore prevalente era il rosso; inutile sottolineare chi o cosa mi avesse fatto venire in mente quel particolare

Il colore prevalente era il rosso; inutile sottolineare chi o cosa mi avesse fatto venire in mente quel particolare. Riuscii a percepire la sua presenza. Ero pazza. Completamente andata. 

Occupammo due tavoli vicini e al contrario di come avevo ipotizzato, la musica non era assordante e riuscii a scambiare qualche parola con tutti i presenti. 

«Il colore dell'abito che indossi sta benissimo con quello dei tuoi capelli», si complimentò con me Ciak e concordarono con lui anche Rose e Alexy. 

«Quando ti vedrà C-» Alexy venne interrotto e non poté concludere la frase. 

Ciak sovrappose la voce del suo ragazzo: «persino i camerieri impazziranno, quando ti vedranno», sorrise sornione e con la voce evidenziò la parola "cameriere". 

«Stasera voglio ubriacarmi», s'intromise Rosalya urlando, alzandosi in piedi e attirando l'attenzione dei miei compagni «e tu lo farai con me», m'indicò, strattonando la manica del povero vestito che indossavo. 

La mia amica indossava un vestito simile al mio, ma argentato e pieno di paillettes, che faceva pendant con il colore dei suoi capelli; poteva benissimo esser scambiata per una piccola pallina stroboscopica. 

«Parole sagge», Alexy salì con i piedi sul divanetto per farsi sentire e vedere da tutti «la mia amica si sposa», strillò, mentre partì un applauso generale dai tavoli vicini. Oddio. «Femminucce e maschietti, attenzione: la sua figa a breve non sarà più disponibile», batté il cinque a Rose ed io avrei tanto voluto sprofondare sottoterra per la vergogna «perciò datevi da fare entro stanotte», prese la sua mano e le fece fare una giravolta. Lei lo assecondò, mettendosi in posa in tutto il suo splendore. 

Lysandre osservò la scena, contrariato. 

«Non siamo al suo addio al nubilato, amore» Ciak tentò di ridimensionare l'esuberanza del suo ragazzo, strattonando i suoi jeans e invitandolo a sedersi, ma ovviamente non andò così. 

«Cameriere», Alexy strepitò «ci porti cinque giri l'uno di shot. Siamo in otto», strizzò un occhio e ammiccò verso il cameriere di bella presenza «Che muscoli!» alzò entrambi i pollici in segno di apprezzamento. 

Stava flirtando con lui davanti al suo ragazzo? Di male in peggio. 

Violet e Iris ridacchiarono per i modi singolari di Alexy di attirare l'attenzione, mentre Lysandre e Armin continuarono a guardarlo di sbieco. 

«Non ti basto io?» cominciò Ciak, offeso. 

«Certo che sì», Alexy finalmente scese dal divanetto e si accomodò accanto al suo ragazzo, poggiando un braccio sulla sua spalla. 

Non avevo nessunissima intenzione di sorbirmi un altro dei loro battibecchi, così mi alzai e mi diressi al tavolino a fianco, occupato dal resto della mia ex classe. 

«Posso?» chiesi a Violet se potessi accomodarmi vicino a lei. 

«Certo», mi sorrise timidamente. 

Notai non fosse cambiata molto. Fisicamente era cresciuta, i lineamenti del viso apparvero più maturi, portava capelli lunghi e neri con delle sfumature viola sulle punte, ma caratterialmente probabilmente era rimasta la solita e piccola timida ragazza del Dolce Amoris. Tra un giro di shot e l'altro mi aggiornò sulla sua vita dopo il liceo. Frequentava l'accademia delle belle arti a Parigi; era sempre stata appassionata di arte e fui sicura che quella sarebbe stata la strada giusta per lei. Poi mi diede la notizia più belle di tutte: l'ex ragazzo era finito in prigione per lo stupro nei suoi confronti di molti anni prima e lei era riuscita a superarla, non aveva più quell'attaccamento morboso nei suoi confronti o quel senso di protezione estremo. Dopo esser stata sotto cura di psicologi esperti, poteva definirsi finalmente una donna libera. Non aveva ancora avuto il coraggio d'intraprendere una nuova storia d'amore o di approcciarsi con il sesso opposto, ma per quello ci sarebbe stato del tempo. 

Quella sera intravidi delle occhiate strane tra lei e Lysandre. Probabilmente era la mia natura da Cupido a giocarmi brutti scherzi, ma cominciai a pensare che sarebbero stati veramente bene insieme. Anche Lys era tornato sulla piazza da circa sei mesi ormai: era single; lui e la sua ragazza storica avevano deciso di lasciarsi di comune accordo, senza drammi, perché tra loro si era spento il fuoco della passione e dell'amore. 

Così non ci pensai due volte prima di lanciare la freccia dell'amore su Violet e Lysandre.

«Anche Lysandre è un appassionato di arte», mi schiarii la gola e alzai il tono di voce per farmi sentire da lui, che si trovava difronte a noi «potreste visitare insieme qualche mostra in un giorno di questi, che ne pensate?» guardai entrambi e mi parve d'intravedere le guance di Violet arrossire «vi fareste compagnia, visto che entrambi visitate i musei sempre da soli, perché nessuno dei vostri amici è interessato ad accompagnarvi», sorrisi sornione e Lys mi scrutò tra il corrucciato e il divertito. 

Probabilmente aveva già compreso il mio intento; era un ragazzo parecchio furbo e intelligente. 

«Beh, non sembra una cattiva idea», mi assecondò «Tu cosa ne pensi?» si rivolse a Violet. 

Ci avevo visto giusto: avevano bisogno solo di una spinta ed io gliel'avevo appena data. Lui e Violet erano vicini di casa e si conoscevano sin dalla prima infanzia, non si erano mai persi di vista, ma non avevano mai avuto occasione di approfondire la loro conoscenza. Lysandre - per un paio di anni - durante la prima fase dell'adolescenza e anteriormente al suo fidanzamento, aveva avuto una cotta per Violet, ma non si era mai dichiarato perché temeva un rifiuto della ragazza timida. 

«Mi farebbe piacere», Violet acconsentì, abbassando subito dopo il volto sul bicchiere vuoto davanti a lei. 

Lysandre sorrise di rimando e l'osservò teneramente. Che carini!

«Bene», attirai la loro attenzione «allora vi lascio mettervi d'accordo su quale mostra visitare, l'orario, il giorno e tutto quanto...» dissi sbrigativa, sollevandomi dal divano e trascinando con me Armin, che aveva assistito svogliatamente a tutta la scena e che era impegnato a giocare con il suo smartphone. 

«Vieni con me. Sbrigati!» sibilai a denti stretti verso Armin. 

«Che vuoi? Sono impegnato», sbuffò e mi uccise con lo sguardo per aver contribuito a fargli perdere la battaglia a Clash Royale.  

«Sono contenta anch'io di vederti», lo guardai di sbieco. 

Non eravamo mai andati particolarmente d'accordo, si notava?

«Io no!» non fece mistero. 

«Neanch'io, ma dovevo assolutamente lasciare Violet e Lysandre da soli e tu eri un intralcio», gli spiegai, tentando di mantenere la calma, dopo esserci allontanati dalla nuova e ipotetica coppia. 

«Nella vita amorosa sei più incasinata di Bridget Jones e ti permetti anche il lusso di creare nuove coppie?»

«Apprezzo il paragone perché adoro quei film, ma nessuno ti ha chiesto d'intrometterti nella mia vita privata!» m'inviperii. 

Eravamo in piedi, ai lati dei due tavoli occupati dalla nostra classe e probabilmente - nonostante la musica - avevamo attirato l'attenzione di molti. 

«Infatti non m'interessa una beata cippa delle tue patetiche storielle, ma hai contribuito a farmi perdere una battaglia importante e adesso devi pagare!» anche lui alzò i toni. 

Che esagerato!

«Okay, okay ragazzi», Alexy poggiò il braccio sulle spalle del fratello, allontanandolo da me «Siamo qui per divertirci, ricordate?» al mio fianco si piazzò Rosalya, che mi trascinò fino al tavolo in cui mi ero accomodata ad inizio serata. 

Mi sedetti tra Iris e Rose, dopo il breve scontro con il Nerd e mi calmai solo grazie al terzo shot della serata: rum e pera. 

«Ti ammiro, sai? Nella vita ne hai affrontate tante, ma non hai mai perso la forza di rialzarti e sorridere», Iris mi sfiorò un braccio e mi spiazzò con quell'apprezzamento improvviso. 

Non avevamo mai instaurato un legame forte come quello di un'amicizia, ma non mi dispiaceva chiacchierare con lei. Era l'unica ragazza della classe, oltre Rosalya, con cui ero riuscita a scambiare qualche battuta piacevole nel corso degli anni. Anche con Violet mi era capitato di dialogare, ma la sua eccessiva timidezza mi aveva tenuta sempre distante. 

«Ti ringrazio», arrossii. 

Non ero abituata a ricevere quel tipo di complimenti. 

«Sono io a doverti ringraziare», accennò un sorriso sincero e vedendo la mia espressione confusa, mi spiegò: «è grazie a te se Violet ha deciso di reagire nei confronti del suo ex ragazzo. Se non fossi arrivata tu, avrebbero incolpato qualcun altro e nessuno avrebbe mosso un piede per sbloccare questa situazione. All'epoca, nessuno aveva il coraggio di spronarla per farsi raccontare la verità, si ostinava ad allontanare e contraddire tutti... Persino io e lei - da sempre amiche - ci eravamo distaccate, perché avevo capito che qualcosa non andava», s'incupì. 

«L'importante è che adesso sia tutto passato», la rassicurai, poggiando una mano sulla sua. 

Probabilmente rivedere la sua ex classe, aveva riaperto ferite non ancora del tutto rimarginate e aveva rievocato fatti, immagini e pensieri per nulla dimenticati. Era insolito chiacchierare di quegli aspetti così seri in una discoteca, ma era proprio l'imprevedibilità a classificare alcuni momenti come i più belli. 

Violet e Iris si completavano a vicenda: Iris era estroversa, logorroica e compensava tutte le parole non dette della timida e silenziosa Violet. Non avevo idea di come fossero riuscite a diventare migliori amiche, vista la loro totale diversità, ma fui contenta per loro. 

L'amicizia è il dono più bello e speciale che la vita possa donare. L'amico asciuga le lacrime e raccoglie i cocci che l'amore ha sparso per strada, spezzando cuori. L'amico è una costante, anche quando a parole allontaniamo chiunque. Perché il vero amico torna sempre, anche dopo una lite burrascosa o essersi giurati di non parlarsi più. Io avevo appreso il valore reale dell'amicizia grazie a Ciak e Rosalya. 

Perché, nonostante tutto, loro ci sarebbero sempre stati. 

Quella sera scoprii in Iris una compagnia piacevole, probabilmente perché parlava così tanto e veloce da riuscire a non farmi pensare nient'altro. Frequentava l'università di botanica a Parigi e in un anno aveva già analizzato cento piante, contribuito a creare incroci di ben venti specie floreali e salvato cinquanta alberi malati. Era fidanzata platonicamente con l'assistente di biologia, peccato però che lui neanche sapeva chi fosse Iris... Era una materia che avrebbe dovuto frequentare a Settembre e di cui Jade Bernard, così si chiamava, avrebbe insegnato la parte pratica della materia. Ci scambiammo i nuovi numeri di telefono e mi disse che mi avrebbe tenuta aggiornata; per nessuna ragione al mondo mi sarei voluta perdere le svolte di quella love story. 

La futura biologa smise di parlare quando il cameriere ci portò il quarto giro di shot; questa volta con Tequila. Brindai con Ciak e Rose, subito dopo mandai giù il liquore e, come voleva la tradizione, mordicchiai il limone. 

«Inizio a vedere doppio», Rose rise sguaiatamente ed io la seguii. 

«Siete delle ragazzine», ci schernì Alexy.

Bloccai all'improvviso ogni azione per il nomignolo usato dal mio amico e inevitabilmente la mente rievocò quella persona. 

 «Lui dov'è?» me ne uscii senza specificare il soggetto. Non ce n'era bisogno «promette sempre, ma non mantiene mai», accennai un sorriso amaro «fa le sue apparizioni ad effetto, ti rapisce con i suoi gesti, ti seduce con il suo fascino e poi ti abbandona», evidenziai, fissando i bicchierini vuoti. 

Visti i discorsi a doppio senso tra Alexy e Ciak di qualche giorno prima, mi ero illusa stupidamente che sarebbe ritornato per quella sera, ma lui non c'era. Non c'era mai. Sulla base di cosa mi sarei dovuta fidare nuovamente di lui? Perché avrei dovuto lasciare un ragazzo sempre presente e affettuoso come Javier per gettarmi nel vuoto senza la certezza di avere un paracadute? Era per quel motivo che non riuscivo ad apprezzare a pieno le sorprese di Castiel. Lui non mi dava sicurezze. 

«La sbronza spesso può sfociare in sproloqui depressi», dopo qualche secondo di silenzio, Ciak se ne uscì con quella cazzata, ridendo nervosamente. 

«Adesso dovremmo andare a ballare» Rosalya attirò la mia attenzione «faremmo scintille», mi diede una gomitata. 

«Comincia ad andare», la liquidai «vado a prendere un altro drink e poi ti raggiungo», mi alzai dal divano e mi diressi verso il bancone senza voltarmi indietro, nonostante sentii qualcuno pronunciare il mio nome. 

Ordinai un cocktail di nome Capiroska e mentre attendevo l'ordine davanti al bancone, mi guardai intorno. Poco più lontano notai Lysandre seduto su uno sgabello, concentrato a gustare quello che mi parve un Gin Tonic. 

«La compagnia di Violet non era piacevole?» gli chiesi dopo averlo raggiunto. 

«Non è di molte parole», bevve un sorso del suo cocktail. «In più avevo bisogno di starmene un po' da solo». 

«Oh... allora vado via», feci per andarmene, ma le sue dita si posarono sul mio avambraccio, fermandomi. 

«No, tu resta», i suoi occhi eterocromatici mi fissarono sinceri, così mi sedetti sullo sgabello accanto a lui. 

«Come stai?» mi chiese. 

«Benissimo», sorrisi falsamente e ovviamente lui se ne accorse. 

«Intendo sul serio... Puoi parlare con me».

«Hai sentito anche tu, vero?» mi riferii al flusso di coscienza di qualche minuto prima. 

Fece segno di assenso con la testa «Sei confusa, delusa e diffidente, è comprensibile».

Lysandre aveva sempre una parola di conforto per tutti, a prescindere se condividesse o meno le scelte o le opinioni altrui; adoravo quella sua peculiarità caratteriale. Non era da tutti. 

«Già», sospirai. 

Un istante dopo il barman mi portò il drink ed iniziai subito a gustarlo: era alla fragola, dolce e super alcolico; tutto quello di cui avevo bisogno in quel momento. 

«Voi due siete come il fuoco e la benzina, la calamita e il ferro: insieme totalmente devastanti, ma incapaci di sopravvivere a distanza», pronunciò lentamente e con nonchalance.

E quelle parole da dove diavolo saltavano fuori? Percepii degli artigli avvinghiarsi intorno al mio cuore per l'intensità distruttiva di quelle frasi. 

«Hai mai pensato di diventare scrittore? Non intendo di testi musicali, ma di un'opera vera e propria. Saresti molto bravo». 

Lo pensavo sul serio. Più volte aveva dato prova di avere molta dimestichezza con la lingua francese, con le frasi ad effetto e figure retoriche. 

«In effetti... vorrei scrivere un libro», mi rivelò.

In quel preciso istante ricevetti la notizia migliore della giornata. 

«Su cosa?» mordicchiai la cannuccia del mio cocktail e lo scrutai curiosa. 

«Su un amore ubriaco», bevve l'ultimo sorso del suo drink. 

E una fitta lancinante mi trivellò il cuore fino ad arrivare allo stomaco. 

Non poteva essere una coincidenza. Chi mai avrebbe definito un amore "ubriaco"? 

«Hai già un'idea?» gli chiesi ansante, dopo essermi ripresa dallo shock iniziale. 

«Certamente», recuperò dalla giacca il suo inseparabile taccuino e lesse «Vorrei iniziare così: "più volte si erano imposti di stare lontani, ma tutte le volte avevano violato quella promessa. Erano come la calamita e il ferro, il fuoco e la benzina. L'uno pendeva dalle labbra dell'altro e ardevano per i sentimenti che si ostinavano a reprimere. Avrebbero finito per perire davanti a quell'amore contrastante e troppo forte? O sarebbero sopravvissuti? Il loro amore rendeva ubriachi, stordiva anche a distanza... Era un sentimento senza barriere né tempo. Era un amore indelebile come l'inchiostro, come quelle lettere, quei diari segreti antichi che qualcuno ritrova in soffitta dopo anni, magari decenni o addirittura centenni... E il loro amore sarebbe stato così. Tutti, anche i più cinici, avrebbero riconosciuto e percepito la presenza di quell'amore ubriaco per molto tempo ancora". Ti piace?» Rabbrividii per la sua voce cavernosa. 

«Caspita...» 

Un enorme peso mi oppresse il petto. 

Non avevo più dubbi sulla sua bravura nella scrittura, ma non potei fare a meno di pensare al fatto che poco prima aveva paragonato proprio me e Castiel al fuoco e alla benzina, così come aveva fatto con i due protagonisti del suo romanzo. Semplici coincidenze?

E se... Scossi la testa. Non aveva senso fasciarmi la testa. 

«Potresti aver trovato la tua strada», gli sorrisi, incoraggiandolo. 

Lysandre non aveva ancora deciso cosa fare della sua vita, si lasciava ispirare quotidianamente: un giorno dipingeva, un altro scribacchiava spartiti e l'altro ancora si dedicava alla scrittura di romanzi. Era stravagante e imprevedibile come tutti gli artisti. E lui lo era a tutti gli effetti, anche se ancora poco famoso. 

«Sono stato ispirato bene», replicò con un sorriso ambiguo. 

«Come saranno i tuoi personaggi?» indagai. 

«Caparbi e passionali», non si espose più di tanto. 

Capii non volesse rivelarmi nient'altro e quindi non insistetti. 

Finii di bere il drink, lui ne ordinò un altro per sé e nell'attesa mi stupì: «Quei due erano un continuo litigare, un continuo tenersi testa; battibeccavano senza mai risparmiarsi e si distruggevano a vicenda. Ma, sebbene non volessero ammetterlo, si amavano tanto. Erano strani quei due, sì, a vederli sembravano matti. Di pazzia ne avevano tanta, infatti: così tanta da odiarsi. Erano in un'eterna lotta tra odio e amore. Parole fatte di odio e occhi, cuore, anima fatti d'amore. Erano così: "non ti voglio, ma se te ne vai vengo con te!"» pronunciò quelle frasi con una tale interpretazione da farmi accapponare la pelle. Di nuovo. 

Mi rispecchiavano così tanto... Il cuore inevitabilmente tamburellò scalpitante nel petto. 

«Stai cercando di dirmi qualcosa?» gli chiesi senza guardarlo in volto. 

«A buon intenditore, poche parole» strizzando un occhio, si alzò dallo sgabello e mi lasciò sola con i miei pensieri rumorosi. 

___

Chiacchierare con Lysandre aveva giovato al mio umore. E in seguito ad un'infinità di chiamate ai miei migliori amici e dopo esser diventata una giraffa in miniatura a furia di stendere il collo per individuare in che punto della sala stessero ballando, li trovai e li raggiunsi. 

Il dj diede inizio alla serata, gran parte dei presenti si diressero in pista, ed inevitabilmente la musica venne alzata di volume divenendo assordante. 

Parlare a quel punto non serviva, perché non ci saremmo capiti. 

Alexy e Ciak si palparono e baciarono in modi poco casti, senza far caso a noi e al posto in cui ci trovavamo. Cercammo di consigliare loro di appartarsi, ma i tentativi furono vani. Ad un certo punto però fortunatamente sparirono. 

Due cocktail più tardi, io e Rosalya ci scatenammo a ballare totalmente disinibite e sotto lo sguardo vigile di Lysandre, che aveva il compito di sorvegliare la futura sposina, per conto del fratello. 

Di comune accordo, imitammo l'uno le mosse dell'altra: sollevandoci i lunghi capelli con le mani e ancheggiando, ci abbassammo fino a sfiorare il pavimento di vetro con il sedere, poi di nuovo su e ripetemmo più volte quel movimento. I nostri cervelli erano completamente andati, partiti per un viaggio di sola andata sulla luna. Chissà se da lassù avrei potuto intravedere la stella di nome Ariel...

Una presenza alle mie spalle interruppe i miei dilemmi di vitale importanza. Due mani mi cinsero i fianchi e una ventata di profumo maschile mi annebbiò ancor di più la testa. 

Cercai subito lo sguardo di Rosalya, ma non lo trovai più. Era sparita in un battito di ciglia. Era scappata chissà dove. Dannazione! Chi diavolo c'era dietro di me?

«Non ti sembra di aver sculettato già troppo per questa sera?» rabbrividii a causa del respiro caldo sul collo. Era piacevole. 

Socchiusi gli occhi e per colpa dell'alcol eccessivo ingerito, mi mostrai una persona totalmente diversa di quella che ero: non seppi per quale assurdo motivo, ma stranamente non riuscii a pensare alle conseguenze o ai pericoli. Portai le mani dietro la nuca del ragazzo e ripetei la mossa fatta precedentemente con Rose, ma urtando il fisico asciutto dell'ipotetico sconosciuto. I suoi capelli erano corti e morbidi. Si trovava alle mie spalle, quindi non avevo ancora avuto modo di guardarlo in volto. 

«Cosa stai facendo, Miki?» ansimò e il suo naso mi sfiorò la pelle sotto l'orecchio. 

«Come conosci il mio nome?» biascicai e tentai di voltarmi, ma la presa salda sui miei fianchi me lo impedì. 

«Hai bevuto così tanto da non riuscire a riconoscermi... Interessante!» sentii nuovamente quella voce ruvida e familiare nell'orecchio. Subito dopo mi mordicchiò il collo. «Balla con me», mi sollevò i capelli con una mano «senza voltarti», il suo fiato caldo finì dietro la nuca, dove mi lasciò un bacio. 

Fui inebriata da quel profumo; stregata da quel respiro; ammaliata da quella voce sensuale; rapita da quelle labbra che continuarono a lambirmi il collo. Non riuscivo a connettere il cervello, a catalogare qualsiasi cosa stessi facendo come sbagliata. Perché mi sentivo al mio posto. A casa. E già quell'aspetto avrebbe dovuto insospettirmi, ma ero troppo ubriaca anche solo per riuscire a pensare di farlo. 

«Questo vestito sfiora alla perfezione le tue curve», la sua voce era arrochita dal desiderio di me. Di avermi tutta per sé. «Ma staresti ancora meglio senza...» il respiro mi si arrestò. La testa mi vorticò pericolosamente.

Spostò le mani sul mio ventre e si plasmò perfettamente al mio corpo, come se fossimo stati creati l'uno per l'altra. Non c'erano più distanze tra noi. 
La parte anteriore del suo fisico combaciò irreprensibilmente con il mio posteriore. Le sue braccia robuste m'incitarono a muovermi e lo feci. Come se non potessi far altro che osservare i suoi comandamenti. Era lui il mio Dio. Non esisteva nient'altro. 

Il mio basso ventre pulsò e si risvegliò dopo un lungo letargo durato anni. 

Ero vittima di un incantesimo, non c'erano altre spiegazioni. 

Mentre ballavamo lentamente, lasciai cadere la testa all'indietro, sulle sue spalle «Non aprire gli occhi», m'impose. Ed io obbedii. 

Ero estasiata dalla sua essenza. 

I nostri bacini ancheggiarono all'unisono, a ritmo di musica, come se stessero aspettando di fare quei movimenti insieme da una vita. Fui meravigliata da quella sintonia che riuscii ad avere con uno sconosciuto. Non mi era mai capitato. Neanche con...

«Questa potrebbe essere la volta buona per dimenticare una persona...» mi lasciai sfuggire ingenuamente. 

La presa si fece ancora più salda dopo la mia frase. 

«A volte dimenticare non è la soluzione giusta».

«Il destino ci ha allontanati, non credo ci sia più speranza per noi».

Perché lo stavo raccontando ad uno sconosciuto? A lui sarebbe dovuto interessare solamente di entrare nelle mie mutandine. 

«La speranza è l'ultima a morire».

Mi stava gettando tra le braccia di un altro, invece di sedurmi e tentare di portarmi in un bagno squallido del locale per farmi sua e permettermi di dimenticare Castiel. Perché?

«E cosa dovrei fare, allora?» quasi mi spazientii. 

«Riscrivere le stelle».

Lo disse con una tale convinzione da farmi pensare - per un attimo - che lo sconosciuto potesse essere Castiel, ma non era realmente così. Era ancora in tour con i Drunkers 

«Lui su una stella ci ha scritto il mio nome o meglio... nomignolo», lo dissi quasi seccata «mi ha comprato una stella. Letteralmente».

Ero ancora incredula, perché quei gesti così espliciti e sdolcinati non erano da Castiel. 

«Ed è un male?» 

«Per me sì, perché non voglio illudermi che sia cambiato», sospirai pesantemente «mi ha stupita più di una volta con gesti eclatanti e favolosi, per cui non riesco a sbilanciarmi. Penso che la sua sia diventata più che altro una sfida», parlai molto lentamente e trascinando le parole. «Come ti chiami?» spostai l'attenzione su altro. 

«James», sembrò rifletterci un attimo prima di rispondermi. 

Non ricordava neanche come si chiamava? Non ci badai molto, perché distratta dal suo nome e scoppiai a ridere. 

«Che c'è?» mi chiese spiegazioni. 

«Ehm... è lo stesso nome che Castiel ha dato al mio quasi ragazzo, ma lui in realtà si chiama Javier.»

«Questo fantomatico Castiel dev'essere un bel tipo». 

«Lo è», confermai «ma lascia che io veda se anche tu lo sei», gli proposi sfacciatamente di farsi vedere in volto e di non restare alle mie spalle. 

«Anni fa mi avresti già riconosciuto da un pezzo», ad un tratto la sua voce parve quasi amareggiata; le sue mani bruciarono sui miei fianchi. 

«Ma io non conosco nessun James...» sottolineai, corrugando la fronte. 

Provai a rievocare alla mente tutti i ragazzi conosciuti durante il lavoro di cameriera nel Saloon Western Bar, eppure di James non trovai alcuna traccia. 

«Anni fa non avresti avuto bisogno di guardarmi, perché avresti percepito la mia presenza anche a metri di distanza; non avresti avuto bisogno di credere ad un nome inventato sul momento, perché avresti riconosciuto il mio profumo, la mia voce... Quella voce che non fa altro che urlare il tuo nome da anni; quelle mani che ti hanno fatto gemere di piacere un'infinità di volte. Allora è vero che non provi più niente per me, Miki?» sibilò alterato accanto al mio orecchio. 

Ci bloccammo al centro della pista, mentre percepii un forte senso di nausea risalirmi dallo stomaco. 

«Io...» ansimai per la potenza e il significato nascosto dietro quelle sillabe.

«Non sono più nei tuoi sogni?» sussurrò al mio orecchio, sfiorandolo volutamente con le labbra ed io socchiusi gli occhi «Non stringi più il cuscino tra le braccia, piangendo, perché ti manco talmente tanto da toglierti il respiro?» mi strinse a sé, morse il lobo del mio orecchio e mi strappò il respiro sul serio. «Non affondi più la testa nel cuscino, sperando di percepire ancora il mio odore?» ficcò il naso tra i miei capelli ed inspirò il mio profumo. 

Mi accesi sotto il suo tocco e restai inerme, in attesa di spegnermi in balia delle onde, di lui. 

Voleva uccidermi una volta per tutte, non c'erano altre spiegazioni.

E mi diede il colpo finale: «io non riesco a voltare pagina, invece...» gli occhi mi si velarono di lacrime. 

Avevo capito tutto. 

«Non sono così bravo come te!» quasi mi accusò. «Potresti insegnarmi come fare, però», mi sfiorò il collo con il dito indice «insegnami a non cercarti tra la gente», la sua voce sensuale mi stava facendo impazzire, arrivando a toccarmi ovunque. 

Fin sotto i vestiti; fin sotto la pelle; fin dentro le ossa.

«Insegnami a non saperti riconoscere», partì a carezzarmi le spalle «a non cercarti tra le stelle», scese lungo le braccia «a non scrivere di te» e arrivò alle mani «insegnami a non desiderarti fino a stare male», infine tornò indietro e, dal collo, con quelle mani grandi, lambì tutta la parte centrale della schiena. Boccheggiai senza fiato.

Non poteva essere reale. Stavo di sicuro delirando per via di tutto l'alcol ingerito. 

"Non è reale", mi ripetei nella mente come un mantra. 

Strinsi gli occhi, inspirai, espirai e per un attimo tutto svanì. 

Ma lui...

Alla fine pronunciò una frase che mi annientò definitivamente; una frase capace di spostare intere montagne, in grado di generare maremoti, capace di formare tornado, in grado di compiere miracoli, capace di risvegliare da qualsiasi stato di trance. 

«Mentre ti ostini ad ubriacarti per allontanarti da me e dalla verità con degli stupidi drink, io mi avvicino sempre di più al coma etilico, ma non di alcol: di te!»

E lo riconobbi. 

 

 

 

 

 

 

____________________________________

🌠N.A.🌠

Riuscite a respirare ancora? Perché io no. 😩

L'avete riconosciuto? 

Ma che domande sono?! xD 😇

E invece chi sarà mai l'artefice della minaccia fatta a Teresa? Anche questa è difficile da indovinare, vero?  😈

In questo capitolo abbiamo rivisto un po' di ex compagni di classe di Miki e mi ha fatto piacere raccontare di loro💖

Lysandre e Violet nuova coppia? Sì o no? 💑

Nei prossimi capitoli ne vedremo delle belle. Non vi annoierete, ve lo prometto. 

Vi chiedo scusa se non sto riuscendo a pubblicare prima, ma ho un sacco di esami universitari da fare in questo periodo. 

In bocca al lupo ai maturandi che in questi giorni sono impegnati a sostenere quest'esame di Stato insolito 📚📖📝 

Forza e coraggio💪🏻

Alla prossima🌈

All the love💖

Blue 🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 64
*** CAPITOLO 59: Paradiso apparente ***


Capitolo 59

Paradiso apparente





🎶Julia Michaels - Heaven 🎶

🎶Kina ft. Snow - Get You The Moon🎶

🎶Lewis Capaldi - Hold Me While You Wait🎶

   

***

Flora

Mi mancava mia sorella Debrah. Da un giorno all'altro aveva deciso di non parlarmi più. La mamma diceva che se lei non ci avesse cercati sarebbe stato più sicuro per noi, perché Debrah era pazza e non aveva voluto l'aiuto di nessuno per guarire. Con me si era sempre comportata bene, fin quando non mi aveva bloccata dappertutto: sui social, WhatsApp, chiamate e messaggi. Mi sentivo in colpa, pensavo di averle fatto qualche torto, ma io non le avevo mentito, non l'avevo tradita. L'unico errore era stato quello di volerle bene, di amarla come solo una sorella poteva fare. Lei invece mi odiava, solo perché ero stata più fortunata ad avere l'affetto di suo padre. Non ero stupida; avevo capito fosse quello il suo problema. Vedevo come ci guardava quando ancora frequentava casa nostra: il suo sguardo era pieno d'invidia, risentimento, voglioso di strapparmi dall'amore familiare.

E poi era arrivata Miki, la dolce e amorevole sorella che non avevo mai avuto. L'opposto di Debrah: era buona senza avere secondi fini e non aveva paura di mostrarmi affetto. Lei mi voleva bene per davvero. Durante i primi tempi si era dimostrata diffidente nei miei confronti, ma poi col passare dei mesi iniziavamo a chiacchierare per messaggi, chiamate o videochiamate. Dopo aver legato virtualmente, ci frequentammo anche di persona e da quel momento non ci separammo più. Il rapporto con lei era nato gradualmente, la fiducia era cresciuta con il passare degli anni, stessa cosa per l'affetto. Negli ultimi periodi mi aveva fatto arrabbiare perché stava insieme ad un ragazzo che non la meritava, mentre io preferivo Castiel per lei. Era un tipo diffidente, scontroso, ma in fondo - quando e con chi voleva - incredibilmente dolce; un po' come il tartufo gelato: duro fuori, ma con un cuore morbido dentro.

-

Come tutte le sere dopo cena indossavo il pigiama, mi sdraiavo sul mio letto morbido e davo una sbirciatina ai social, in attesa di addormentarmi. Però quella notte fu diverso: dopo aver aperto facebook, non riuscii più a dormire, perché ciò che trovai mi tolse il sonno per parecchi giorni.

Qualcuno aveva creato una pagina pubblica, aveva pubblicato delle foto pornografiche e, come se non bastasse, l'avevano inviate per messaggio privato a tutti i miei contatti. In quella pagina c'erano foto della mia mamma, di quando faceva quel mestiere... Come didascalia, sotto ad ogni immagine, avevano scritto che presto sarei diventata come lei. 

Scorrendo, trovai dei fotomontaggi con il mio volto: ero completamente nuda, insieme a delle persone che non conoscevo e molto più grandi di me. Stavo... Stavo facendo qualcosa che solo nei film d'amore mi era capitato di vedere. 

"Buon sangue non mente", avevano scritto come sottotitolo. 

Nei commenti c'erano numeri di cellulare, richieste particolari di servizi, gente che chiedeva quanto costassi... 

Io avevo un prezzo. La mia purezza lo aveva. Ma io ero soltanto una bambina. 

Mi sentii sporca, in disagio, esposta. 

Senza neanche accorgermene, mi coprii le parti sensibili con le braccia; come se fossi nuda, alla mercé di uomini schifosi; come se fossi io l'artefice di quelle scene, ma io non avevo fatto niente. In realtà ero nella mia stanza, vestita e da sola. Per fortuna. 

Quello che accadde mi segnò nel profondo, non ebbi neanche la forza di chiamare la mamma, di segnalare quella pagina o chiedere di eliminarla. Non avevo idea di chi potesse odiarmi a tal punto da farmi così tanto male. Non esisteva solo il dolore fisico, quello psicologico era ancora più orribile. Ed era quello che stavo provando io: un dispiacere mai assaggiato prima, come quello descritto nei libri che leggeva spesso mia sorella Miki. 

Sentii un male terribile al cuore. Iniziai a tremare e piangere. Quello che stava accadendo era molto più grande di me. Io ero soltanto una bambina. Ero figlia di un noto manager e la notizia avrebbe fatto il giro del mondo. Tutti, da quel momento in poi, mi avrebbero tartassata per quel fattaccio; mi avrebbero additata, insultata e definita come qualcuno che non ero.

 Sapevo già che la mia vita, da quella notte in poi, sarebbe mutata. E probabilmente era proprio quello lo scopo di chi mi aveva infangata, farmi conoscere il dolore, il male, macchiare la mia infanzia così com'era stata la sua...

Avrei tanto voluto scomparire nel buio della notte, annegare. 

Avrei tanto voluto morire. 

______

Miki

Castiel era lì. Non era ad un concerto in America, non era a flirtare con qualsiasi altra ragazza. Lui era lì con me. Per me. 

Era lui il misterioso sconosciuto alle mie spalle, che mi aveva sortito quelle sensazioni così potenti e devastanti da spiazzarmi. 

Era lui ad avermi sfiorato, ustionandomi ogni lembo di pelle. 

Era lui ad avermi sconquassato ogni cellula del corpo. Per l'ennesima volta.

Era lui quella sera. Era lui da tre anni. 

Bastarono quei dati di fatto per risvegliarmi dallo stato di trance dovuto all'alcol, per riuscire a voltarmi nella sua direzione e finalmente guardarlo negli occhi. 

E lo vidi. 

T-shirt nera, jeans sdruciti sulle ginocchia, occhi grigi adombrati dal fastidio, capelli rossi per via dell'illuminazione di quel locale. Per un attimo mi sembrò di tornare indietro nel tempo: Castiel era tornato ad essere il ragazzo di diciotto anni dai capelli rossi, taciturno e perennemente imbronciato. 

Allungai una mano per sfiorargli il volto, per capire se fosse reale, ma lui la scostò bruscamente.

«Torna a sognare il tuo James», ringhiò. 

E senza permettermi di contemplarlo un minuto di più, mi diede le spalle e sparì tra la folla di danzatori improvvisati del Balajo

Restai lì impalata, immobile nel bel mezzo della pista, ripensando ai minuti appena passati. Dovetti contare fino a dieci prima di riuscire a riflettere lucidamente. L'alcol in circolo nel corpo continuava a giocarmi brutti scherzi. 

Castiel mi aveva abbandonata di nuovo. Non lo avevo riconosciuto sùbito e si era imbronciato da totale brontolone qual era. Ma io come avevo potuto non percepire la sua presenza alle mie spalle? Era la prima volta che mi capitava. Ero solita respirare il suo profumo ovunque, intravedere il suo volto in quello degli altri, trovare sempre qualcosa che mi ricollegasse a lui, anche quando non c'era. Mi sentii quasi in colpa per il mio comportamento: in fondo le stava tentando tutte pur di rendermi felice e riconquistarmi. Ed io come lo avevo ringraziato? Con lamentele e colpi bassi. Che imbecille ero stata! Non avevo neppure apprezzato gli sforzi compiuti. Mi ero comportata da totale stronza e, siccome io sapevo bene cosa volesse significare avere a che fare con quel genere di persona, avrei dovuto rimediare all'istante. 

Così, colta da un improvviso e nuovo stato d'incoscienza, partii alla sua ricerca. Non poteva apparire e scomparire a suo piacimento; avrei preferito che mi urlasse contro invece d'impiegare il tempo a scappare. 

Girovagai tra la folla in pista, ma di lui nessuna traccia. Passai dal bancone del bar e non riuscii a vederlo neppure lì. Tornai sconfitta al tavolo in cui dovevano esserci i miei ex compagni di classe, per crogiolarmi nel dispiacere. 

«Brutto coglione, cosa vuol dire che l'hai lasciata da sola in pista? Io l'ho affidata a te e tu la lasci sola? Ma che razza di uomo sei?» 

Una Rosalya adirata e ubriaca stava rimproverando un Castiel del tutto immune alle sue ramanzine. Era stravaccato sul divanetto rosso, proprio sul punto in cui fino a qualche ora prima ero stata seduta io stessa. Erano insieme a Ciak ed Alexy, mentre non avevo idea di dove fossero finiti gli altri. 

Mi nascosi in un punto strategico, dietro ad un pilastro, proprio vicino al tavolo dove si trovavano i miei amici ed origliai stralci di conversazione. La curiosità e l'istinto da detective non mi abbandonavano neanche da ubriaca. 

«Valla a riprendere!» urlò imperativa Rose. 

«Neanche morto», Castiel ribatté allo stesso modo. 

«Mi spieghi che diavolo ti prende? In queste settimane hai tartassato tutti con quelle sorprese ed ora che sei riuscito ad esserci di persona, mandi tutto a rotoli così?» la mia amica tentò la via pacifica per comprendere la mente contorta del mio ex. 

«Non sono affari tuoi», incrociò le braccia al petto «tu piuttosto pensa a Leigh», la guardò truce «non credi di trascurarlo un po' troppo?» 

«Te l'ha detto lui?» Rose si fece improvvisamente seria. 

«Chiamalo!»

Come se fosse stata punta da un'ape sul sedere, Rosalya si alzò dal divanetto e si diresse preoccupata verso la toilette. 

«Erano anni che non eri così mestruato», osservò Alexy. 

«Che ti prende?» proseguì Ciak.

«Non sono affari vostri», Castiel replicò aggressivo. 

«Valla a riprendere», gli consigliò Alexy, ignorando la scostumatezza dell'amico. 

«è ubriaca, confusa e arrabbiata. Ha sempre voluto solo te, è esagerato mostrarsi così tanto geloso solo perché lei pensava di star ballando con un altro... Sta cercando di dimenticarti, non riesce a fidarsi di te, puoi forse biasimarla dopo tutto il male che le hai fatto?» terminò il discorso Ciak.  

Erano una coppia di ottimi motivatori; peccato che Castiel, quanto a cocciutaggine, era persino peggio di un mulo. 

«Potreste andare a limonare in pista e lasciarmi in pace? Grazie!» la rockstar sbuffò. 

Era un dato di fatto: la verità faceva male.

«Okay, va bene, togliamo il disturbo», Alexy, esasperato, afferrò la mano di Ciak, si alzarono entrambi dal divano rosso «ma poi, quando capirai che avevamo ragione, non venire a lamentarti con noi» e se ne andarono senza aggiungere altro. 

«Vieni fuori di lì», Castiel, subito dopo, pronunciò quelle parole ad alta voce per farsi sentire, ma non stava guardando nella mia direzione. 

Quindi... con chi stava parlando? Non c'era nessuno vicino a lui. 

«Devo trascinarti via con la forza?» continuò. 

Per un attimo rievocai i momenti in cui Castiel, quando litigavamo, mi trascinava con prepotenza sulla sua Harley Davidson, dopo avermi caricata a testa in giù sulle sue spalle. E inevitabilmente il cuore perse più di un battito. 

«Beccata!» la sua voce risuonò nel mio orecchio ad una distanza ravvicinata. 

Non l'avevo visto raggiungermi. 

«Cosa vuoi?»

«Sei tu ad esserti nascosta dietro un pilastro per poter origliare una conversazione a cui non eri stata invitata. Quindi, cosa vuoi tu?»

«Sei tu ad essere dolce e romantico a distanza ed un coglione arrogante da vicino. Cosa vuoi ora?»

«Non sono né dolce né romantico. Sei tu a non avermi riconosciuto, a non volermi più e a non apprezzare un cazzo», disse esplicito. 

«Io ho apprezzato tutto», mi difesi «ma non è colpa mia se non riesco a fidarmi abbastanza di uno come te!»

«Uno come me... Come?» corrugò la fronte. 

«Donnaiolo, contraddittorio, arrogante, bugiardo, scostante. Devo continuare?»

«Capisco, tu preferisci le persone a modo: i laureati, quelli che non ti baciano fino a consumarti, perché altrimenti qualcuno potrebbe pensare male di loro o quelli che conoscono il sesso solo sui libri. Almeno riesce a soddisfarti in privato o hai bisogno di concludere da sola?» finì con un mezzo sorriso provocatorio. 

«Come ti permetti?» chiusi le mani a pugno. 

La sbronza mi era ufficialmente passata. Avrei tanto voluto schiaffeggiarlo o... baciarlo; dipendeva dai punti di vista. 

«Tanto è risaputo che sono sempre i cattivi ragazzi a vincere», scrollò le spalle e s'incamminò verso i tavoli, per poi sedersi nuovamente sul divanetto.

«Cosa ci sarebbe da vincere?» lo raggiunsi e mi accomodai difronte a lui. 

«Ti diverti proprio a farmi dire cose che non vorrei, eh?»

«Castiel», pronunciai il suo nome, esasperata. 

«Ariel...» fissò i suoi occhi nei miei, decretando la mia fine. 

Quelle iridi grigie erano sempre state il mio punto debole. Erano vivi, ardenti, mi sfidavano, emanavano parole che a voce non potevano essere espresse. Mi spogliò, come con le mani non gli era permesso fare; mi possedette, come con il corpo non gli era concesso fare. 

Tentai d'ingoiare un grosso groppo di saliva, ma non ci riuscii. Tremai per la potenza del suo sguardo; fremetti per i desideri che non avrei dovuto provare. 

«Andiamo a ballare», mi porse il palmo della mano destra. 

La sua non era una domanda. 

Risultò impossibile seguirci: un attimo prima litigavamo, l'attimo dopo comunicavamo con gli occhi e m'invitava a ballare. Forse era il discorso di Ciak ed Alexy ad aver funzionato?

«Prima voglio bere», gli comunicai, sporgendomi verso gli ultimi due shot che non avevo bevuto precedentemente. 

«Non pensi di aver bevuto già abbastanza per questa sera?» mi bloccò dal polso. 

«Oh mio Dio... C'è Castiel Black», una voce acuta e strillante c'interruppe. 

Mi voltai e notai due ragazze con espressione sorpresa, le mani sulla bocca e sul punto di piangere, che guardavano adoranti il ragazzo difronte a me. Immediatamente fui catapultata nella realtà: Castiel era una rockstar, il sex symbol del momento. Non mi ero ancora abituata alla sua notorietà. 

Le ragazze saltellarono fino a raggiungerlo e per poco non caddero sulle sue gambe, lui mollò il mio polso - che ancora stava stringendo - e, sorridente, abbracciò le sue fan. Una punta di gelosia si sparse per tutto il corpo, infastidendomi. Iniziarono a scambiarsi battute, a scattarsi selfie. Mi sentii il "quarto incomodo", così pensai bene di lasciarli da soli. 

Mi diressi al bancone del bar e ordinai un Midori Lemon, un drink più leggero rispetto agli altri bevuti un'ora prima, perché altrimenti avrei finito per stare male sul serio. 

Mentre sorseggiavo il liquido verde, notai Rosalya in compagnia di Lysandre; li raggiunsi. 

«Tutto okay?» poggiai una mano sulla spalla della mia amica e lei sussultò. 

«è entrata in paranoia per via del mio amico stronzo», mi rispose Lys al posto suo. 

Non serviva specificare chi fosse "l'amico stronzo".

«Ha ragione, invece...» Rose sospirò e si poggiò con i gomiti sul bancone, reggendosi il volto. «E se per lui fossi solo un'abitudine? E se non mi amasse più? E se arrivasse a tradirmi?» guardò un punto vuoto davanti a lei ed entrò in una bolla di paranoia, nella quale racchiuse tutti i dubbi sul suo ragazzo. 

«Rose...» mi avvicinai di nuovo a lei con l'intento di riportarla sulla retta via, ma lei si scostò, prendendo la parola. 

«Io sono... esagerata, eccentrica, sempre su di giri, estroversa. Lui è... riservato, solitario, poco incline al dialogo. Ho amato sin da subito questa nostra differenza, perché riusciamo a compensarci. Lui è la quiete ed io sono la tempesta. E se invece capisse che è stanco di avere un uragano intorno? Se capisse di volere una persona tranquilla a fianco per la vita?» sbuffò, afflitta. 

«Ehi, non dire così» la abbracciai «Tu sei una ragazza meravigliosa, non potrebbe mai desiderare nessun'altra. Ha scelto te, altrimenti non ti avrebbe chiesto di sposarlo», la consolai, evidenziando la verità che per lei al momento era adombrata dalle varie ansie. 

«Ma se l'ha quasi costretto...» evidenziò la voce sfottente di Castiel, che entrò in scena dal nulla. 

«Nessuno ha chiesto il tuo intervento», lo uccisi con lo sguardo. 

«Perché sei scappata?», proseguì, ignorando i miei commenti. 

«E tu perché non sei chiuso in un bagno a fare baldoria con le tue fan?»

«Eri gelosa», constatò ridendo. 

«Siamo ritornati agli albori?» Lysandre alternò lo sguardo tra me e Castiel, accennando un sorriso. 

«Niente che non possa essere risolto con un ballo», la rockstar replicò con convinzione. 

Ma che diavole di risposte erano quelle? 

«Andate a ballare, allora, e lasciatemi in pace», sbottò Rose. 

«Ora hai bisogno di me. Voglio starti vicina.»

Ed era la verità. Avrei voluto farla ridere, sostenerla, come lei aveva sempre fatto con me. Rosalya trovava perennemente il modo di essere allegra, energica, contagiando chiunque, e vederla in quelle condizioni mi preoccupò molto. 

«Un ottimo modo per aiutarmi sarebbe muovere il culo in pista», mi fece segno con le mani di allontanarmi da lì. 

Probabilmente lo diceva per levarsi Castiel di torno. 

«Andate. Ci penso io a lei», s'intromise Lysandre, accarezzando la chioma chiara della mia migliore amica. 

La scrutò con premura e attenzione, come se fosse il diamante più prezioso al mondo. E lei, di rimando, gli sorrise imbarazzata e grata. Quando mai Rose era in imbarazzo? Evidentemente le capitava solo con il fratello del suo futuro marito...

Per un attimo, la mia vena da Cupido fece strane congetture su un'ipotetica love story tra Rosalya e Lysandre. Stavo iniziando ad avere una strana ossessione per quel ragazzo, visto che cercavo di accasarlo con chiunque. Eppure... quell'ultima coppia appena generata, mi suscitò un interesse particolare. E se... No! Scossi la testa e tentai di focalizzare la mente su Leigh, anche se... c'era qualcosa che stonava. 

Con ancora la mente in subbuglio, afferrai il braccio di Castiel e lo trascinai in pista, in un punto nascosto, dove la musica non era del tutto assordante e avremmo potuto parlare. 

«L'ho fatto solo per la mia migliore amica», chiarii prima che iniziasse con le sue battute da playboy incallito. 

«Certo, come no...» 

Non mi credeva. 

«Sai qualcosa di Leigh che noi non sappiamo?» arrivai dritta al punto, fissandolo fermamente. 

«Tipo?» accennò un sorriso provocatorio. 

«Vuole sposare Rose o ha altro per la testa?»

E con "altro" intendevo: donne, divertimento o semplicemente nessuna intenzione di maritarsi, un po' come il suo amico lì presente. 

«Leigh è a posto, perché non lo chiedi alla tua amica, invece, se ha "altro" per la testa?»

Cosa diavolo intendeva?

«Ma se ha quasi obbligato Leigh a sposarla...»

«C'è chi desidera sposarsi, sperando di riaccendere la passione o per evitare altri spiacevoli inconvenienti», parlò come se fosse a conoscenza di un particolare di cui io ero del tutto all'oscuro.

Rosalya amava Leigh più di ogni altra cosa al mondo, anche più della moda, e quella sera si era dimostrata eccessivamente paranoica proprio per quel motivo. La teoria di Castiel era assurda. E poi... prima del matrimonio capitava a tutti di avere dei ripensamenti, no? Avevo sentito parlare chiunque della crisi prematrimoniale. 

«Rose ama Leigh», dissi con voce inflessibile, incrociando le braccia al petto. 

E lo credevo fermamente. 

«Lo spero per lui», replicò freddamente, come se le sorti del suo amico non gli interessassero realmente. 

«Insensibile che non sei altro...» lo schiaffeggiai sul dorso «Hai proprio un cuore di pietra», sbuffai e lo guardai di sbieco. 

Lui, di risposta, afferrò la mia mano e se la portò sul petto. Cosa stava cercando di fare?

«Secondo te, le pietre vanno così veloci?» 

Il cuore gli scalpitò sotto le mie dita sottili e di conseguenza mi accadde la stessa cosa: il petto si alzò e si abbassò a ritmo con il suo. 

Mi portai la mano libera sopra il seno sinistro e Castiel imitò i miei movimenti; ci trovammo con le mani intrecciate sui nostri rispettivi cuori. 

Sollevammo la testa nello stesso istante, i nostri occhi s'incatenarono: grigio contro nero, chiaro contro scuro, anima peccatrice contro anima pura, inferno contro paradiso. Chi avrebbe vinto?

Dicono che i bravi ragazzi vadano in Paradiso, ma i cattivi ragazzi portano il Paradiso ai tuoi piedi. Qual era la scelta migliore? Decisamente l'Inferno. 

Innamorarmi di lui era stato come cadere in disgrazia. Lui era tutti i peccati racchiusi in una sola persona. Il suo tocco era stravolgente, capace di far fiorire la Primavera e ancor più devastante dell'effetto della pioggia; più affascinante del cadere delle foglie e ancor più impetuoso delle onde. Era tutte le Stagioni messe insieme. 

«Tu sei il motivo per cui sono ancora qui», pronunciò con intensità. 

Poi sciolse le nostre mani e portò le sue sui miei fianchi. Mi attirò a sé, i nostri corpi si sfiorarono ed io chiusi gli occhi. Avrei potuto allontanarmi, ma non volevo. Non in quel momento. 

«Te la dedico», sussurrò nel mio orecchio. 

Stava facendo riferimento al brano che il Dj aveva appena inserito alla console. Era una musica lenta a differenza delle precedenti, appositamente per le coppie. Ogni persona intorno a noi si avvinghiò al proprio partner ed iniziarono a muoversi a ritmo. Noi li seguimmo. 

Poi partì il testo della canzone inglese:

"Mi hai dato una spalla quando ne avevo bisogno;
mi hai mostrato amore quando non lo sentivo;
mi hai aiutato a combattere quando mi stavo arrendendo e mi hai fatto ridere quando stavo impazzendo."

Altri messaggi tra le righe; altre parole mai sussurrate per timore di rivelare troppo. Il gioco tra me e Castiel era già ricominciato senza che me ne accorgessi. 

«Se potessi, ti darei la luna», intonò parte del ritornello. 

«No grazie, mi bastano le stelle», sdrammatizzai «E poi... quella non si può comprare», mi uscì spontaneamente. 

Matto com'era, non mi sarei stupita se avesse trovato uno stratagemma per donarmi la luna sul serio.

«Darei la mia vita per te», disse seriamente. 

E mi bloccai. 

«Queste parole sono troppo importanti...» 

«Come te».

Deglutii. Percepii un tepore straziante allo stomaco che si dilaniò fino all'organo palpitante. 

Io ero troppo importante per lui. Stavo iniziando a capirlo grazie agli ultimi gesti, ma sentirselo dire era tutt'altra cosa...

Posai il capo sulla sua spalla, portai le braccia intorno al suo busto, stringendolo in un abbraccio ed inspirai il suo profumo. Mi sentii a casa. Mi sentii al sicuro. Come un marinaio che ritornava sulla terraferma dopo anni di navigazione. 

«Porti ancora lo stesso profumo», evidenziai, piacevolmente colpita. 

«Adesso lo riconosci?» mi punzecchiò di nuovo per l'episodio avvenuto un'ora prima. 

«Sempre!»

Al dopo ci avrei pensato in un altro momento. Perché, quando ero con lui, il resto non contava. 

«E allora...»

Bloccai un'eventuale ed ennesimo battibecco tra di noi. 

«Shh... Non ora», quasi lo supplicai. 

Non ero ancora pronta a scoppiare la nostra bolla. 

«Hai ragione». 

Mi diede un bacio tra i capelli, subito dopo poggiò il mento sulla mia testa e lo immaginai socchiudere gli occhi. Le sue mani finirono al confine del fondoschiena, ma fortunatamente non andò oltre; fu discreto per una delle poche volte nella sua vita. 

«Anche tu hai sempre lo stesso profumo», sospirò. 

«Ed è un male?»

«Atroce».

«Perché?»

«Le troppe domande nuocciono alla salute». 

Ed ecco ritornato il Castiel che odiava dare troppe risposte, un po' mi era mancato. 

«Come fai nelle interviste, allora? Suppongo tu ne debba fare a bizzeffe», m'incuriosii e sollevai il capo per guardarlo negli occhi. 

Non riuscivo a figurarmi un Castiel accomodante. E infatti...

«Non ne concedo. Lascio sempre il piacere ai manager o ai ragazzi della band», disse risoluto.

Ridacchiai di risposta. 

«Stai ridendo di me?» si corrucciò come un bimbo. 

«Probabile. Quindi?» lo sfidai. 

«Lascia James», mutò del tutto rotta, sferrandomi un colpo basso. 

«Si chiama Javier», la voce tremante. 

«Questa sera ti senti impegnata?» continuò il martirio. 

«Io non ti ho mai chiesto di lasciare Debrah», mi difesi. 

Quel nome pendé sopra le nostre teste, come per ricordarci della sua esistenza. 

«La storia con lei era del tutto diversa e più importante», si giustificò. 

Stavamo continuando a muoverci lentamente a ritmo di musica, guardandoci negli occhi, ma l'atmosfera si fece tesa. 

«Tu non puoi sapere a che livello d'importanza sia la mia relazione con Javier. Gli ho presentato mia madre». 

Mi salvaguardai, con quel dato di fatto che avevo tanto odiato e che alla fine mi servì come arma. 

«So tutto!» percepii un briciolo di fastidio nella sua voce. 

Ma certo, si sentiva spesso con mia madre e sicuramente lei era stata ben lieta d'informarlo del fiasco della serata. 

«Bene e adesso cosa vuoi?»

«Te», replicò con sincerità disarmante.

«Perché dovrei lasciare un porto sicuro per avventurarmi nel mare dell'incertezza?» 

Finalmente riuscii a porgli la domanda che vorticava nella mia testa da un mese ormai.

Tentai di non dar peso al cuore che inevitabilmente preferiva Castiel a tutti gli altri.  

«Perché con lui non sei felice».

Risposta secca, capace di uccidere. 

«Con te invece lo sarei?» bisbigliai flebile. 

Ero masochista.

«Lo siamo già stati, nonostante tutto», il suono vibrante della sua voce fu un supplizio per me. 

Nonostante tutto: le bugie, i ricatti, le scommesse alle mie spalle. 

«A-anche tu lo eri?» mormorai con voce quasi rotta. 

Eri felice con me?

Dentro di me era in corso una tempesta di emozioni positive e negative che avrebbero finito per distruggermi. Lo sapevo già. 

«Sì, molto!» nessun dubbio nel suo sguardo, nella voce. 

Non lo aveva mai ammesso. Più volte gli avevo confessato della mia felicità in determinati momenti insieme, ma lui non aveva mai replicato. 

«Ma questa volta cambierebbero molte cose...» coraggioso, si avvicinò pericolosamente al mio volto «Nessun segreto, niente bugie; ti donerei tutto me stesso», penetrante, soffiò sulla mia bocca. 

Dischiusi le palpebre e le labbra, ammaliata da quelle promesse allettanti e dal suo carisma. Come potevo resistergli? Nessuna preghiera o supplica sarebbe stata in grado di proteggermi dalla tentazione. 

Aveva manifestato a parole quello che sognavo di sentirgli dire da anni, ma potevo realmente fidarmi di lui?

«Lo dici perché vuoi vincere la scommessa?» espressi a voce parte dei miei tormenti, guardandolo dritto negli occhi.

Ci lessi divertimento, sfida, scherno, desiderio.

Si spostò a lato del mio volto «No», mordicchiò il lobo del mio orecchio, provocandomi vari brividi «oppure sì. Chissà...» lambì il collo fino al mento e mi lasciò un bacio all'angolo della bocca. 

Mi stava torturando; stava giocando con me. E invece di scappare a gambe levate, ne restai affascinata.

All'improvviso, percepii altre dita stringermi l'avambraccio: «Venite con me!» mi voltai e trovai il viso corrucciato e concentrato di Ciak, che teneva con una mano me e con l'altra Castiel. Quest'ultimo si allontanò sùbito. 

«Cosa vuoi?» lo strattonò dalle spalle e gli tolse le dita dal mio avambraccio.

«Salvarvi il culo», incurante dei modi bruschi di Castiel, Ciak mostrò qualcosa alle nostre spalle.

Ci voltammo e trovammo tre uomini sulla cinquantina intenti a scattarci foto, senza neppure nascondersi.

«Chi sono?» fissai con occhi sgranati Ciak e Castiel.

«Cazzo!» Castiel imprecò e si passò una mano tra i capelli.

«Paparazzi», il mio migliore amico si degnò a rispondere.

Per la seconda volta nel corso della serata, quella verità mi venne sbattuta dritta in volto: Castiel era una rockstar di fama mondiale. 

«Cosa fac-»

Non feci in tempo a formulare quella domanda che venni trascinata lontano dalla pista da Castiel seguito da Ciak. Ci guidò in una stanza buia, nella quale riuscii a distinguere solo una porta di ferro. Sùbito dopo mi ritrovai all'aria aperta, senza capire nient'altro. 

«Torno sùbito», Ciak ci avvertì prima di allontanarsi da noi, quasi correndo. 

Castiel si poggiò al muro di mattoni acanto alla porta d'emergenza, si passò entrambe le mani tra i capelli, sbuffò e afferrò il telefono per chiamare qualcuno. La sua espressione mutò completamente rispetto a quando ci trovavamo in pista; sembrava preoccupato, adirato, esausto. Ma perché tormentarsi così tanto per dei paparazzi? Era risaputo che la parte peggiore del suo mestiere fosse non poter avere più una vita privata senza che tutto il mondo ne sapesse qualcosa. 

«Gli stronzi non hanno rispettato gli accordi», Castiel sbraitò al telefono con chissà chi. 

Restai spettatrice della scena, ignara di cosa diavolo stesse succedendo sul serio. 

«Io non posso farmi vedere con-» si bloccò alzando il volto nella mia direzione, la sua espressione tesa mi angosciò. 

«Li avevamo pagati affinché mi lasciassero in pace almeno per stasera. Cazzo!» sferrò un pugno contro il muro. 

Mi avvicinai a lui preoccupata, però mi fermai non appena udii la risposta successiva data all'interlocutore. 

«Debrah non deve-» non finì la frase. Poggiò la fronte sui mattoni, socchiuse gli occhi ed inspirò bruscamente. 

Lui e la sua ex si sentivano ancora? Mi aveva mentito?

«D'accordo, fai tu. Aspetto tue notizie», chiuse la chiamata e conservò il telefono nella tasca posteriore dei suoi jeans. Restò nella stessa posizione assunta precedentemente. 

«Cosa vuol dire?» gli chiesi spiegazioni. 

«Niente, è tutto sotto controllo», sospirò senza guardarmi negli occhi. 

Eravamo soli, sul retro del locale, in una viuzza vuota con solo i cassonetti della spazzatura - a qualche metro di distanza - a farci da spettatore. 

«Castiel», lo ammonii con la voce. 

«Miki», finalmente decise di degnarmi del suo sguardo. Si girò nella mia direzione, senza accorciare le distanze. Ci divideva un metro. 

«Nessun segreto e niente bugie», ripetei le parole che lui stesso mi aveva promesso pochi minuti prima. 

Di risposta, sollevò il capo e fissò il cielo. 

«Ti ho vista, sai...» corrugai la fronte senza capire cosa intendesse «Sei la più luminosa tra tutte», mi sorrise come solo lui sapeva fare «devo fartela vedere un giorno di questi», mi guardò e accorciò lo spazio tra di noi «così potrai finalmente capire come ti vedo io». 

Stava facendo riferimento alla stella di nome Ariel. Dio...

Giunse difronte a me, a qualche centimetro di distanza e mi carezzò le guance. Il mio povero cuore fu ingabbiato di nuovo da quel cattivo ragazzo; provò a scalpitare, scappare, ma ormai non c'era via di scampo. 

«Non voglio che ti accada nulla», continuò con ancora il palmo poggiato sulla mia gote «sei così preziosa e fragile...» le sue iridi grigie trasmisero totale venerazione nei miei confronti. «Con me accanto sei in costante pericolo, ma sono incapace di rinunciare nuovamente a te», parlò come se fosse sicuro che alla fine avrei scelto lui, come se l'avessi già scelto. «Farò di tutto per proteggerti».

Soffiò quella promessa a fior di labbra e la suggellò con un bacio a stampo. La sua bocca sottile, le dita affusolate sulle mie guance, il respiro caldo, ciuffi di capelli neri che mi solleticarono la fronte ed il suo profumo furono un mix paradisiaco talmente potente e peccaminoso da farmi precipitare dritta all'inferno. Era lì il mio posto.

Poi, un finto colpo di tosse mi fece tornare alla realtà. Spinsi Castiel e mi allontanai da lui. Come avevo potuto cedere così facilmente? Maledizione! La sua vicinanza non mi permetteva di ragionare lucidamente e, da quel momento in poi, avrei dovuto prestare maggiore attenzione. 

Davanti a noi si trovavano i miei compagni di classe. Avevano assistito alla scena? Che vergogna... Tutti sapevano mi stessi frequentando con un altro ragazzo. Cosa sarei apparsa agli occhi degli altri?

«Quei fotografi hanno perseguitato tutti noi, ci hanno tartassato di domande e alla fine siamo dovuti uscire dal locale», prese parola Ciak per spezzare il ghiaccio creatosi per la scena a cui avevano appena assistito. 

«I proprietari del Balajo hanno chiamato e pagato dei paparazzi, appena ti hanno visto arrivare, a quanto pare per questione di pubblicità al locale», continuò Lysandre. 

«Cazzo, non sarei dovuto venire», imprecò Castiel, sbuffando. 

S'intromise Rosalya: «Sareste così gentili da spiegarci perché vi state allarmando così tanto per qualche foto? Non penso sia la prima volta che i fotografi ti seguono», alla fine della frase guardò direttamente Castiel. «L'unica che dovrebbe sbraitare in questo momento è Miki; sta frequentando una persona e non credo che a lui piacerà vederla in determinati atteggiamenti con un altro...» espresse le sue perplessità ed evidenziò qualcosa che fino a quel momento non avevo minimamente considerato. 

Merda! Javier avrebbe visto quelle foto, mentre gli avevo assicurato che Castiel non ci sarebbe stato quella sera. Mi sentii viscida come un verme. Durante la permanenza nel locale, non avevo riflettuto neanche un attimo sui risvolti che avrebbe potuto avere quella storia, non avevo pensato a Javier, mentre mi strusciavo tranquilla contro Castiel. Ero una persona orribile. Avevo tradito il mio quasi ragazzo con il cuore, con la testa e con le labbra. Proprio io che sapevo cosa significasse essere dalla parte della persona tradita. Senza badarci più di tanto, avevo violato i principi e valori di una vita. Stupida Miki!

«Da oggi in poi, quando mi vedrai, dovrai starmi lontano», sibilai dura nei confronti di Castiel. Parlai a bassa voce, facendo in modo che mi sentisse solo lui. 

Roteò di scatto il viso, corrugò la fronte e mi scrutò sorpreso, spaesato, dubbioso. 

«Cosa stai dicendo?» si avvicinò maggiormente a me «Non è possibile, lo sai meglio di me», allungò il braccio per accarezzarmi, ma io mi scostai prontamente. «Dici sul serio...» spalancò occhi e bocca per la scoperta. 

«Non sono una traditrice e non mi va di macchiarmi di un peccato per qualcosa che non cambierà mai», fui esplicita nel rivelargli le mie ragioni. In quel modo non ci sarebbero potuti essere fraintendimenti. «Siamo sempre punto e a capo: fai un gesto bello, mi fai capire che non riusciresti a vivere senza di me, ci riavviciniamo e sùbito dopo accade qualcosa che porta ad allontanarci; o meglio... entra in gioco Debrah insieme alle bugie, loschi piani e complotti», provai a mostrarmi calma «il nostro è un circolo vizioso senza fine, ma io adesso sono cresciuta e ho bisogno di stabilità, serenità. Non esistono solo la passione, la follia, l'imprevedibilità. Sono stanca, Castiel... Stanca davvero», sospirai e serrai gli occhi per trovare il coraggio di allontanarmi da lui. «Ti ringrazio degli sforzi fatti finora per rendermi felice e riconquistarmi», gli sorrisi stanca «custodirò per sempre questo tuo lato inedito. Grazie, Castiel...» mi sollevai sulle punte e gli lasciai un bacio sull'angolo della bocca. L'ultimo. 

Lo guardai per un'ultima volta, imprimendo nella mente ogni pezzo del suo volto mascolino  dai tratti decisi. I suoi occhi si velarono di tristezza, disperazione e m'implorarono di non lasciarlo andare di nuovo, ma non potevo commettere sempre gli stessi errori. Dentro di me avevo sperato che qualcosa fosse cambiata negli anni, però gli accadimenti degli ultimi minuti mi avevano risvegliata dall'illusione: Debrah sarebbe sempre stata in mezzo a noi, in un modo malato e contorto, Castiel non l'aveva ancora lasciata andare. Non avevo ben capito di cosa avesse discusso con il suo manager al telefono, ma non ero neanche sicura di volerlo scoprire. Per troppo tempo ogni cosa era girata intorno a quella ragazza; non ne potevo più. Non avrei retto altri ricatti, pianti disperati e ansie. Era giunto il momento di urlare "basta". 

Castiel non replicò, probabilmente provava così tante emozioni insieme da non riuscire a trasformarle in parole. Sebbene fosse migliorato negli anni, aveva ancora qualche difficoltà ad esternare i pensieri. 

Gli sorrisi comprensiva, dopodiché mi allontanai da lui: gli lasciai il mio cuore per ricordo; gli lasciai la Miki che solo lui aveva avuto il privilegio di conoscere; gli lasciai la nostra storia nelle sue mani. 

C'era un silenzio assordante, percepii gli occhi dei presenti puntati su di me. Nessuno osò fiatare. 

Senza badare troppo al clima pesante, mandai un messaggio a Javier, chiedendogli di venirmi a prendere. Cercai di auto-convincermi che fosse la cosa giusta da fare. 

Mi avvicinai ai miei ex compagni di classe e mi scusai al posto di Castiel per il fine serata rovinato, promisi loro che mi sarei impegnata io stessa a riorganizzare una rimpatriata al più presto e in un locale più tranquillo, poi li salutai. 

Loro: vittime innocenti dei danni che io e Castiel eravamo in grado di provocare ogniqualvolta stavamo insieme nello stesso luogo. D'altronde... cosa ci si può aspettare dal fuoco e dalla benzina, se non perenne distruzione?

«Torno con te», Ciak e Rosalya dissero all'unisono. 

«No, sta venendo Javier. Devo parlare con lui».

Compresero le mie intenzioni e mi abbracciarono per infondermi coraggio. 

Raggiunsi l'entrata principale del locale e attesi l'arrivo del mio quasi ragazzo. Cercai di riordinare i pensieri ma, tra la quantità eccessiva di alcol ingerita e tra gli avvenimenti inaspettati accaduti, ciò che ottenni fu solo maggiore confusione. 

«Pensavo di poter essere abbastanza».

Nonostante i trenta gradi centigradi di quella serata estiva di Parigi, la sua voce alle spalle mi fece rabbrividire. 

Castiel non mi aveva lasciata andare... stava lottando per me, come non aveva mai osato fare. Quel dettaglio per poco non mi spinse a piangere disperata, sdraiandomi come una barbona sul marciapiede. Perché doveva essere tutto così difficile?

«Non ti basto io? Quello che siamo sempre stati?» proseguì con la tortura. 

«Non si tratta di questo... Sono i contorni», ebbi il coraggio di replicare. 

Più che contorni era una pizza intera: Debrah era sempre stata la parte centrale della nostra storia. Tutto accadeva in base a lei, alle sue mosse, ai suoi piani diabolici. 

«Non c'è più niente tra me e lei. Non ci sentiamo né la vedo da quando è stata sbattuta fuori dal gruppo, un anno fa», percepii la sua voce alle mie spalle, meno distante di prima. 

«E allora perché hai parlato di lei al telefono? Perché hai avuto quella reazione alla vista dei paparazzi?» mi voltai di scatto, ma sarebbe stato meglio non averlo fatto. «Non sono né scema né sor-» le parole mi morirono in gola. 

Il mio naso urtò il suo mento. Eravamo terribilmente vicini. 

«Sono solo preoccupato per te», bisbigliò lentamente, poi ansimò; il suo respiro caldo mi solleticò il volto. «Perché non lo capisci?» la voce penetrante arrivò fin dentro le ossa. 

«Cos'altro ci sarebbe da capire?» 

«Io... Io ti...» sgranò gli occhi e scosse impercettibilmente la testa, mutando così i piani «Stringimi mentre lo aspetti».

E senza attendere alcun consenso, mi strinse a sé. Perché lui era così: si prendeva tutto senza chiedere, senza lasciare niente agli altri. S'impossessò di ogni lembo di pelle, di ogni organo e cellula, senza neanche esser più la sua ragazza. 

La frase appena sussurrata era un assurdo controsenso: pretendeva di essere abbracciato mentre attendevo un altro, il mio futuro. Passato, presente e futuro si mescolarono talmente bene da non farmeli distinguere più. Cosa volevo esattamente? Stabilità senza amore o una tempesta devastante di passione quotidiana ricca di sentimenti? Inferno rovente o Paradiso apparente? Eppure ero quasi sicura che Castiel fosse capace di concedermeli entrambi.

«Prima mi hai parlato di sbagli... Ecco, io voglio essere il tuo», nessuna traccia di esitazione nella voce «Lasciami essere l'errore più bello della tua vita, Ariel», portò entrambe le mani sulle mie guance «Per sempre», mi guardò dritto negli occhi, mi permise di leggergli dentro verità mai rivelate. 

Il mio cuore raggiunse il milione di battiti al minuto. Porca paletta, quante sensazioni in pochissimi secondi, quanti messaggi nascosti... Mi appellai alle entità superiori per chiedere di lasciarmi un briciolo di raziocinio, prima di commettere errori irreparabili. 

L'errore più bello della mia vita. Per sempre. 

Significava sbagliare insieme, essere l'uno l'errore dell'altra, ma non per una notte sola: voleva lo fossimo per una vita intera. 

«Miki?» 

Una terza voce scoppiò la bolla che si era creata nuovamente tra me e Castiel. 

Javier. Javier era lì. 

 

 

 

 

 

___________________

🌈N.A.🌈

Quello che ha subìto Flora viene comunemente chiamato: "Revenge Porn". E' qualcosa di orribile, fatto spesso a danno di ragazzine innocenti per vendetta, perché magari decidono di lasciare il proprio ragazzo o per altre ragioni; in molte purtroppo arrivano a provocarsi del male fisico, dopo aver subìto un torto del genere, perché non sopportano la vergogna o perché non vengono credute. Nel mio piccolo ci tenevo ad affrontare questo argomento, per sensibilizzarlo e perché credo se ne parli davvero troppo poco, oggi. Voglio sperare che prima o poi sparirà questo tipo di malvagità, che gli uomini che lo provocano mettano un po' di sale in zucca. 

Qualcuno ha idea di chi, invece, lo abbia fatto nei confronti di Flora? Un nome a caso xD

E invece i Mikistiel? Castiel è tornatoooooooo 😉

Scommetto che nessuno l'aveva notato😏

Nel prossimo capitolo capiremo meglio cosa intendeva Castiel quando ha detto quelle parole a Miki sul retro del locale. 

Miki riuscirà a stare lontana da Castiel come ha detto di voler fare?

Leigh-Rosalya-Lysandre: altro triangolo amoroso in arrivo? V'incuriosisce? Cosa sa Castiel che noi non sappiamo? 🔥

Poi, in questi giorni avevo un po' di nostalgia dei Mikistiel e sono andata a rileggere alcuni capitoli passati della storia; mi sono accorta di alcuni errori da correggere e della punteggiatura obbrobriosa, per cui quando la storia finirà farò un'ulteriore revisione. Se dovesse capitare di rileggere anche a voi, non vi spaventate🤓

Alla prossima

All The Love💖

Blue🦋

Ritorna all'indice


Capitolo 65
*** CAPITOLO 60: Sorelle ***


Capitolo 60

Sorelle




🎶 Coldplay - Fix you 🎶

Quando provi a fare del tuo meglio ma non ci riesci

Quando prendi quel che vuoi ma non quello di cui hai bisogno

Quando ti senti così stanco ma non puoi dormire

Torna indietro

E le lacrime iniziano a scorrere sul tuo viso.

Quando perdi qualcosa che non puoi riavere

Quando ami qualcuno ma va tutto in fumo

Potrebbe andare peggio?

Quando sei troppo innamorata per lasciar perdere

Ma se non provi non lo saprai mai

Che importanza hai

Le lacrime scorrono sul tuo viso e sul mio...

Ti prometto che imparerò dai miei errori

Le luci ti guideranno a casa

E infuocheranno le tue ossa

E io cercherò di consolarti

***

 

Il poeta dai capelli argentei non aveva mai alimentato a dovere il suo cuore. Era stato coinvolto in storie lunghe, prive di sentimento e di quella passione travolgente, di quell'amore folle che tanto gli piaceva osannare nei suoi scritti. Eppure avrebbe voluto sfamare quell'increscioso bisogno di appartenere a qualcuno, quello straziante desiderio di percepire emozioni forti. 

Aveva sempre invidiato e allo stesso tempo compatito suo fratello, perché lui aveva tutto e neppure se ne rendeva conto. Leigh era talmente assuefatto dai sentimenti che Rosalya nutriva per lui da non farci neanche più caso. E invece Lysandre vedeva. Iniziò a scrutare nel dettaglio quella ragazza dai capelli tanto simili ai suoi, la osservò donarsi completamente a chi non la guardava per davvero, la scrutò disilludersi, fortificarsi, credere in un sentimento ormai spento a causa dello scorrere inesorabile del tempo e finì per invaghirsene ogni giorno un po' di più. Non voleva accadesse e fece di tutto per celare quell'infatuazione da occhi indiscreti: per lui il rispetto, la fedeltà e l'amore fraterno erano più importanti di qualsiasi altra cosa e non avrebbe mai potuto tradire suo fratello in quel modo così vile. Cercò, quindi, a tutti i costi di nascondere al mondo e a se stesso l'interesse fiutato nei confronti di Rosalya, regina di ghiaccio esteriormente e dea Venere interiormente. Quella ragazza era un essere speciale. Come aveva potuto essere cieco e sordo a tal punto da accorgersi così tardi di quell'attrazione nei suoi riguardi? 

«Mi riaccompagni a casa?» gli aveva sussurrato con voce melodiosa, dopo aver sonnecchiato sulla sua spalla. 

E fu in quel momento che percepì qualcosa risvegliarsi dentro di lui: le emozioni. Quel turbinio di sensazioni gli ricordarono di essere ancora vivo; peccato fosse proibito provarle verso quella ragazza. Il fratello gli aveva chiesto di tenerla d'occhio, perché sapeva quanto fosse pericolosa da ubriaca, ma Leigh non aveva idea di quanto fosse ancora più rischioso affidarla a lui. 

Quella sera, dopo il fiasco della rimpatriata di classe, la riaccompagnò a casa in taxi con una consapevolezza in più: Rosalya era tutto quello che aveva sempre desiderato. L'aveva avuta sotto il naso per dieci anni e non se n'era mai reso pienamente conto. E si sentiva colpevole. Era stato proprio lui a presentarla al fratello, a gettarla tra le sue braccia. All'epoca, era solamente un ragazzino spaventato dall'eccessiva vitalità della ragazza dai capelli argentei e aveva preferito allontanarla piuttosto che considerare un'ipotetica storia con lei, perché qualcosa tra loro c'era stata ancor prima che si mettesse con Leigh. Entrambi custodivano quel segreto come fosse la cosa più preziosa e allo stesso tempo più terribile al mondo. Nessuno ne era a conoscenza; neanche Castiel e Miki, i due loro più cari amici. Ma Lysandre ricordava quella notte così nitidamente da sembrargli esser accaduta soltanto il giorno prima. 

Quella sera pioveva a dirotto; Lysandre e Rosalya avevano dodici anni, frequentavano la stessa scuola e classe, erano usciti insieme ai loro compagni per la cena di fine anno scolastico. Stavano attendendo l'arrivo dei loro genitori, quando lei se ne uscì con una battuta del tutto fuori luogo: "ho sempre sognato di dare il primo bacio sotto la pioggia". E non gli diede neanche il tempo di metabolizzare che lei si fiondò su di lui e, strappando l'ombrello dalle mani del futuro poeta, lo baciò. Le loro teste s'inondarono d'acqua, i vestiti s'inzupparono, ma quello era l'ultimo problema, perché Rosalya, la sua amichetta d'infanzia, lo stava baciando. Era il primo bacio per entrambi. Quel dato di fatto lo destabilizzò, così come le labbra morbide e il profumo dolce della ragazza. Non fu un semplice bacio, no, quello fu "IL BACIO", il migliore della sua vita. Nessun'altra sarebbe stata capace di superarla. Perché Rosalya era troppo, l'eccesso in tutto: estroversa, espansiva, caparbia, impertinente, esplosiva. Sarebbe stata pericolosa per un tipo taciturno come lui ed era per questo che aveva cercato di allontanarla dal primo istante, perché quel bacio gli era piaciuto talmente tanto d'arrivare a sognarlo ogni notte, da quando accadde. Rosalya, con dei semplici gesti, aveva smussato gli angoli spigolosi del suo carattere, rendendolo più avvicinabile, meno solitario, meno apatico e più... umano. Ma non voleva permettere a nessuno di premere quei tasti, così la allontanò. 

E il tempo di un battito di ciglia... lei si sarebbe dovuta sposare con suo fratello. Suo fratello, perdindirindina. Com'erano arrivati a quel punto? Durante quell'ultimo periodo, avevano trascorso più istanti insieme e non avrebbe mai creduto che lei fosse in grado di fargli provare ancora quelle stesse sensazioni di dieci anni prima, senza neppure sfiorarlo. Il loro divenne un amore platonico, di quelli talmente belli e speciali d'apparire impossibili da realizzare. E lo era sul serio impossibile... Perché era bastata la sua vicinanza per riaffiorare il ricordo di quei sentimenti celati da anni, ma Lysandre non avrebbe ceduto, perché aveva dei principi ben saldi e una dignità da preservare. Lui voleva bene a suo fratello e, nonostante fosse convinto che stesse con Rose per abitudine e non per amore, non spettava di certo al poeta rivelarglielo. Non trascorreva un solo giorno senza sperare che Leigh lasciasse Rosalya o il contrario, ma non voleva essere lui la causa della loro rottura. Desiderava che capissero di non amarsi più. Di certo, Lysandre era la persona meno adatta a sentenziare su quel sentimento tanto complesso quanto interessante, eppure, tra il fratello e la sua futura cognata, aveva sempre percepito della semplice abitudine allo stare insieme e del genuino affetto tra due persone. Non passione, non amore o struggimento. Ma chi era lui per giudicare?  

Quella notte maledetta scesero insieme dal taxi e Lysandre, da galantuomo incallito qual era, aveva intenzione di accertarsi che Rosalya entrasse sana e salva dentro la sua abitazione e andarsene, ma le cose andarono diversamente... 

 «Entri?» gli chiese lei, guardandolo in un modo capace di uccidere chiunque, da sotto le lunghe ciglia chiare. 

Avrebbe dovuto rispondere negativamente, risalire sull'auto gialla e tornarsene a casa, ma non fu quello che fece. 


______________________


Miki

Il tempismo non era mai stato il mio forte, soprattutto da quando Castiel era entrato nella mia vita. 

«Castiel Black», il mio attuale quasi ragazzo si avvicinò verso di noi con andatura lenta. 

Non esultò come immaginavo avesse fatto una volta avuto il suo idolo davanti agli occhi. Il suo comportamento risultò strano, in netta contrapposizione agli atteggiamenti dei mesi passati. Qualcosa non andava, ma non capivo cosa. Aveva già visto quelle foto?

«Avrei preferito incontrarti in circostanze diverse, ma sono contento sia finalmente arrivato questo momento», la voce atona, gli occhi persi nel vuoto; non sembrava neanche di aver davanti Javier. «La tua musica è davvero bella, ma gradirei che trovassi una nuova musa per le tue canzoni». 

"Oh... dritto al punto".

«Tu devi essere James», Castiel ignorò le sue frasi, si voltò e fissò gli occhi in quelli di Javier; l'espressione del viso non prometteva nulla di buono. 

«Javier Perez», lo corresse, porgendogli la mano per presentarsi. 

Castiel guardò di sbieco la mano di Javier e non la strinse. Tipico. 

«Javier, prima ti togli dal cazzo e meglio è...» gli sorrise con nonchalance. 

«Cass...» lo redarguii. 

«Mi avevi detto che questa sera lui non ci sarebbe stato», Javier mi ammonì, fissandomi scontroso. 

«Lei non ne sapeva nulla, infatti», s'intromise Castiel. 

«Nessuno ha chiesto il tuo intervento», replicò il mio quasi ragazzo. 

Restai impalata a fare da spettatrice allo scontro tra i due e ad alternare lo sguardo prima su uno e poi sull'altro. Come sarei uscita fuori da quella situazione imbarazzante?

«Ti sto solo illuminando», ribatté spocchioso Castiel. 

«Preferisco il buio».

«Oh... ti piacciono le corna in testa, potevi dirlo prima ed avrei provveduto subito», la rockstar ammiccò verso di me. 

Cosa diavolo stava dicendo? Feci per intervenire, ma fui battuta sul tempo. 

«A rendermi cornuto, siete già stati bravi entrambi», rispose stizzito Javier.  

«Hai visto le foto?» a quel punto intervenni. 

«La domanda dovrebbe essere un'altra: chi non le ha viste? Hanno già fatto il giro del mondo!» Castiel specificò, con superbia. 

«Restane fuori, Castiel» lo guardai di sbieco. 

Stava facendo di tutto per infastidire Javier. La situazione era già critica di per sé, non necessitavo di certo del suo zampino.

«Siamo già fuori, non vedi?» mostrò l'ambiente in cui ci trovavamo. 

«Che cretino...» mi portai una mano sulla fronte, incredula della stupidità inappropriata di Castiel in momenti seri come quello. 

«Solo per te», inarcò le labbra, provocatorio. 

Stava flirtando con me, davanti al ragazzo che frequentavo da qualche mese. Castiel non sarebbe mai cambiato, in fondo, e un po' mi rassicurò quel fatto. Lo guardai, sorridendo come un'ebete. 

«Disturbo?» Javier finse un colpo di tosse per attirare la nostra attenzione. 

«Sì, dovresti andartene tipo... ora!» rispose Castiel strafottente. 

«Ehi», lo schiaffeggiai sul braccio per incitarlo a smettere di essere irrispettoso nei confronti di Javier. 

«Sto dicendo semplicemente la verità e... Ehi, mi hai fatto male», si massaggiò la zona lesa, fingendo di provare dolore «dovresti darmi un bacino per aiutarmi a guarire e per essere perdonata», improvvisò un'espressione penosa. 

«Smettila Castiel, torna serio. Ora devo parlare con Javier», cercai di eliminare il sorriso sincero che mi spuntò sul volto per via della stupidità simpatica del vecchio Castiel. 

«Certamente, dopo mi manderesti a casa, a cuccia, come se fossi il tuo cagnolino fedele, così tu torneresti a sbaciucchiarti indisturbata con il tuo ex...» sibilò a denti stretti. 

«Ottima osservazione», lo schernì Castiel. 

«Non è così, Javier...» mi scolpai malamente. «Hai visto le foto, quindi?» ripetei per la seconda volta nel giro di pochi minuti. 

«Il problema principale è questo per te? Non sprechi neanche tempo a giustificarti, a tranquillizzarmi...» gli occhi verdi si scurirono, mi guardò come non aveva mai fatto. 

Javier era sempre stato un tipo pacato, tentava di risolvere tutto con la calma, ma quella sera, a quanto pareva, le cose sarebbero andate diversamente. 

«Non serve che lei si giustifichi con te, Fido», il disturbatore seriale Black continuò. 

«Ho bisogno di parlare da sola con Javier», comunicai a Castiel, seria. 

Mi scrutò per un attimo, poi si allontanò sbuffando e sollevando gli occhi al cielo, ma senza proferire parola; si poggiò al muro del locale e si accese una sigaretta. Non mi degnò più neanche di un'occhiata, mentre io non fui capace di distogliere lo sguardo dalla sua figura. Sebbene mi costasse molto ammetterlo, Castiel mi aveva sedotta di nuovo. 

Mi sforzai di voltarmi verso Javier per recuperare un po' di sanità.  

«Imbarazzante...» fece una smorfia disgustata «stai sbavando per lui, davanti a me», scosse la testa con l'intenzione di eliminare ciò a cui aveva appena assistito. 

«Non stavo sbavando, non l'ho mai fatto per nessuno!» mi difesi, aumentando la voce di un tono. Ovviamente non credevo neanch'io a ciò che stavo dicendo. «Comunque, tornando a noi...» mi schiarii la voce, «sarei ipocrita, se ti dicessi che quello che hai visto in foto non è reale», m'incoraggiai a dire la verità, era la cosa migliore da fare «Castiel è...» tentai di trovare le parole adatte, ma non ci riuscii. 

«Affascinante, spavaldo, imprevedibile. Lui è stato il tuo primo amore, lo capisco», tornò ad essere ragionevole «ed è anche un componente della mia band preferita, per mia sfortuna», ridacchiò «pur essendo etero, stento anch'io a resistergli», sospirò «ammetto che battibeccare con lui è... eccitante», terminò con un mezzo sorriso e sbirciò nella direzione di Castiel. 

Nella mia mente si proiettò un cortometraggio di un'ipotetica tresca tra Castiel e Javier. 

«Okay, questo è troppo da immaginare...» mi portai le mani davanti al viso e scossi la testa. «Possiamo tornare a parlare di noi due? Grazie!» poggiando la mano sul suo avambraccio destro, attirai nuovamente la sua attenzione. 

«Hai ragione, scusa. Ho questa tendenza innata a sdrammatizzare e sminuire sempre le cose, lo sai...» mi sorrise. 

Probabilmente, pochi minuti prima, si era sentito in dovere di mostrarsi forte davanti al nemico e aveva deciso di tirare fuori gli artigli, mentre con soltanto me davanti sapeva di poter abbassare le difese. Eppure, quel cambio repentino di umore, m'insospettì parecchio. 

«Mi dispiace che tu lo abbia saputo in questo modo...» mi riferii allo strano rapporto rinato tra me e Castiel. 

«Tranquilla, in fondo non è stato un vero e proprio tradimento; noi non stiamo ancora del tutto insieme, no?» 

Fu comprensivo, anche troppo per i miei gusti. Fu quasi snervante la sua gentilezza. 

«Sì, ma...» 

Non mi diede il tempo di proseguire che prese di nuovo parola «a proposito di questo, è da un po' che vorrei chiedertelo: vuoi metterti con me, Miki?» si avvicinò al mio volto e fissò i suoi occhi verdi lucenti nei miei «ormai sono mesi che ci frequentiamo, anni che ci conosciamo, credo siamo pronti a fare il passo successivo», mi carezzò le guance, lasciandomi totalmente inebetita. 

Quale ragazzo sano di mente avrebbe chiesto ad una ragazza di stare insieme, dopo aver visto delle foto che la ritraevano in atteggiamenti intimi con un altro? A quanto pareva solo Javier. 

Istintivamente, roteai il capo in direzione di Castiel. Era ancora lì. Aveva terminato di fumare la sua sigaretta e se ne stava immobile, con le mani in tasca, un piede poggiato al muro e il capo rivolto verso il cielo ad osservare le stelle; magari era alla ricerca di quella che portava il nome Ariel... Ad un tratto, come per magia, percepì una forza superiore attrarlo e fu proprio il mio sguardo che trovò. Ci guardammo con intensità, come se non esistesse nessun altro al di fuori di noi, come se non fossimo davanti ad un locale notturno con altri soggetti a fare da spettatori, come se non avessi appena ricevuto una proposta di fidanzamento, come se non fossero trascorsi anni di lontananza sulle nostre teste, sui nostri cuori. 

Era sul serio la serenità e la noia di una storia qualsiasi, quella che volevo?

«Io...» ce la misi tutta a cercare le parole adatte, ma senza risultati. 

La suoneria del telefono nella mia pochette mi fece sussultare, ma non riuscii a muovere alcun muscolo del corpo per afferrarlo e rispondere a chiunque mi stesse chiamando. 

«Lo ami ancora?» la voce appena udibile di Javier mi fece voltare di scatto verso di lui, interrompendo il gioco di sguardi con Castiel. 

Quella domanda mi ustionò lo sterno e la mente. Perché non c'erano risposte adatte per il sentimento particolare che ancora mi legava a Castiel. 

«Io...» ripetei per l'ennesima volta nel giro di pochi secondi. 

«Dobbiamo andare», la voce allarmata di Castiel e le sue mani intorno al mio polso, mi fecero sussultare. 

«Che dici? Dove?»

«Flora è scomparsa», disse d'un fiato, mentre posava il telefono nella tasca posteriore dei suoi jeans. 

«Stai scherzando?»

Ero incredula. 

«Ti sembro il tipo che scherza su queste cose?»

Effettivamente... L'espressione tesa del suo volto mi convinse che stesse dicendo la verità. E a quel punto entrai in panico. Flora non era solita uscire di notte, non era una ragazza ribelle, per cui doveva esserci per forza qualcosa che non andava. 

«Teresa ha provato a chiamare te prima di avvertire me, ma tu eri troppo impegnata per rispondere», terminò infastidito.

«Vengo con voi!» s'impicciò Javier. 

«NO!» urlammo all'unisono io e Castiel. 

Javier non insistette, mi salutò con un bacio sulla guancia, mi rassicurò che avremmo ripreso il discorso interrotto da Castiel in un altro momento e si dileguò nel buio, sconfitto. 

«Andiamo!» la rockstar, senza mollare la presa del polso, mi trascinò fino ad una Range Rover nera e mi aprì lo sportello «sali!» mi fece cenno, mentre lui si accomodò dal lato guida. 

Una volta dentro l'auto, cercai di raccogliere le idee per capire cosa diavolo stesse accadendo e Castiel mi aiutò nell'intento. 

«Dove andiamo?» gli chiesi.

«Per ora a casa Duval, per capire meglio come poterci muovere», mise in moto e partì. 

«D'accordo... Potresti spiegarmi qualcosa in più?» 

Conoscevo così pochi dettagli e c'erano così tante cose importanti in ballo che avrei potuto impazzire. 

«Teresa si è svegliata assetata e, mentre si recava in cucina per andare a bere, ha notato la luce accesa della cameretta di Flora. L'ha raggiunta per spegnerla, pensando si fosse addormentata, ma ha trovato solo un letto vuoto e il computer aperto su una pagina facebook che deve aver creato qualcuno, caricando dei fotomontaggi porno raffiguranti Flora, Teresa e altri uomini; hanno anche scritto delle frasi cattive e hanno inserito il numero telefonico di Flora per... diciamo "prenotare le sue prestazioni". Teresa ha trovato anche lo smartphone con oltre cinquanta chiamate perse di numeri diversi, probabilmente di porci che chiedevano quanto costasse... Quindi Flora è fuggita senza niente, non possiamo rintracciarla in alcun modo...» 

Castiel parlò velocemente, come non aveva mai fatto e non ebbi il tempo di assimilare tutte quelle informazioni, così entrai in panico. 

Quel racconto mi fece rabbrividire. Non potevo neanche lontanamente immaginare come doveva essersi sentita Flora, dopo quel colpo così basso. Chi mai avrebbe potuto architettare un piano così subdolo per fare del male ad una dolce e innocente bambina? Un nome prese improvvisamente a vorticare nella mia testa e non se ne andò più. Debrah. Lei non se ne sarebbe mai andata. Ogni cosa tornava imprescindibilmente a quella ragazza folle. Era ritornata all'attacco, ne ero quasi certa, ma quella volta non ero io il suo obiettivo.

«Pensi sia scappata, non che l'abbiano rapita?»

A quel punto nulla era da escludere. Con Debrah di mezzo, doveva esser presa in considerazione qualsiasi cosa, anche la più assurda. 

«Sì, altrimenti lei...» si bloccò improvvisamente. 

«So che è stata Debrah, puoi dirlo ad alta voce... non mi spavento», pronunciai, esausta. 

Perché la mia vita doveva girare sempre intorno a lei? Ero stanca di rientrare perennemente in quel circolo vizioso con sopra riportato il suo nome. 

«Come fai a saperlo?» prima di parlare, ebbe un attimo di tentennamento. 

Doveva sapere qualcosa che io ignoravo. 

«Chi altro potrebbe voler male a Flora? Siamo diventate amiche e mi avrebbe avvertita di eventuali nemici a scuola o altro... L'unica persona che la odia da qualche tempo è proprio Debrah. Il modo crudele di agire è il suo, quindi non può essere una semplice coincidenza...» 

Dovetti giungere a quelle conclusioni, a malincuore. 

«Hai avuto la giusta intuizione, purtroppo», strinse il volante tra le mani e corrugò la fronte, mentre restava concentrato sulla strada. 

«Cosa sai che io non so?» 

Apparve quasi come uno scioglilingua, ma non mi preoccupai di cercare parole migliori per spiegarmi. L'ansia si era impossessata di ogni cellula del mio corpo; temevo che potesse esser accaduto qualcosa di brutto a Flora, la mia sorellina... Sì, ormai la consideravo tale. Le volevo bene, era una delle due persone più importanti della mia famiglia. Era la sorella migliore che potessi desiderare. 

«Avevo promesso che non ti avrei raccontato nulla, ma ormai...» temporeggiò dal rivelarmi ogni cosa. 

«A chi lo avevi promesso? Parla!» m'imposi, impaziente. 

«Ieri Teresa ha trovato un biglietto sotto la porta; io invece oggi. Per questo motivo ero titubante sul venire o meno al locale e, quando i paparazzi ci hanno fotografato, ho avuto quella reazione».

Tutto tornava... 

Qualche ora prima, avevo avuto una reazione esagerata ed ero stata impulsiva. Avrei dovuto immaginare che dietro alla reazione esagerata di Castiel alla vista dei paparazzi, doveva per forza esserci qualche piano insulso di Debrah. Castiel non aveva colpe. Nonostante compresi il suo atteggiamento e la sua preoccupazione, decisi di non farglielo presente. Sarebbe stato meglio per tutti. 

«Che genere di biglietto?» mi concentrai su quello.

«Tieni», sospirò, dalla tasca posteriore dei jeans afferrò un foglietto bianco stropicciato e me lo porse.  

Lo lisciai e lo aprii per leggerlo. 

"Non avresti dovuto abbandonarmi. Non saresti dovuto ritornare. Se ti avvicinerai ancora a lei, ne pagherà le conseguenze. O con me o con nessuno, ricordi Mary?"

Mary era l'amica di Castiel che Debrah aveva quasi ucciso. Lo aveva minacciato che mi avrebbe fatto fare la stessa fine. Non avevo idea di come dovessi sentirmi a riguardo. La mia vita era in pericolo ma non ero impaurita, probabilmente perché, dopo la rivelazione di Castiel di qualche mese prima, avevo già metabolizzato quell'eventualità.

«Quello di mia madre, invece?»

«Non hai nient'altro da dire al riguardo?» mi guardò di sottecchi, preoccupato, riferendosi alle minacce della sua ex. 

«Pensavi che sarei scappata, una volta letto il messaggio?»

«No, ma...» 

Bloccai qualsiasi cosa stesse per dire «Non mi fa paura, Castiel. Penso solo che dovrebbe essere rinchiusa in carcere o in qualche centro per essere curata e spero di riuscire nel mio intento», esposi il mio punto di vista con pacatezza. Mi stupii persino io di me stessa. 

«Sei una ragazza coraggiosa, Miki», portò una mano sulla mia gamba sinistra e me la carezzo per qualche istante, poi la riportò sul volante. «Sul biglietto per tua mamma c'era scritto qualcosa del tipo: "Respira finché puoi. Ridi finché riesci. Poi riderò io. Sul vostro cadavere", romantico, vero?» sdrammatizzò, per stemperare la tensione. 

«Dio mio!» portai le mani davanti al volto e le sfregai per la frustrazione. 

Come si poteva arrivare a tanto? Non eravamo noi la causa delle sue sconfitte, ma lei stessa. Lei aveva allontanato Castiel, e la sua famiglia per via di atteggiamenti disturbati; io, mia mamma e Flora non avevamo neanche minimamente partecipato alla generazione di quelle catastrofi.  

«Potremmo denunciarla per minaccia di morte o qualcosa del genere?» chiesi a Castiel, dopo qualche minuto di silenzio passato a riflettere. 

«Si può fare, ma se ne uscirebbe con una multa e non l'arresterebbero senza prove. I bigliettini non sono abbastanza». 

Castiel sembrava sicuro di quello che stava dicendo, probabilmente aveva già pensato d'incastrarla in qualche modo, ma non aveva mai trovato il modo per farlo. 

«Se provassimo che c'è lei dietro la pagina infamante di Facebook, forse potremmo riuscirci». 

«Questo sì», Castiel, con un cenno del capo, concordò con me. 

«Bene, allora prima pensiamo a trovare Flora». 

La priorità era quella piccola ragazza indifesa e pura, poi, una volta accertati del suo benessere, avremmo pensato al resto. 

«Visto che ormai la conosci meglio di me, dove andresti in un momento come questo, se avessi bisogno di evadere dai problemi e se fossi in lei?» mi chiese per incentivarmi a ragionare. 

«Il suo posto preferito è un parco giochi vicino casa», fiduciosa, alzai lievemente il tono di voce. 

«Perfetto. Andiamoci!»

Presi il telefono dalla pochette e chiamai mia madre per avvertirla, mi rispose al secondo squillo. La sua voce era agitata, afflitta, tremante. Le comunicai dov'eravamo diretti e mi disse che lei avrebbe raggiunto un altro posto in cui Flora usava andare solitamente. 

«La troveremo, mamma. Sta' tranquilla, non può esserle accaduto nulla di brutto» e con quelle parole provai a rassicurare anche me. 

Teresa mi ringraziò per l'aiuto e subito dopo chiudemmo la chiamata. 

Osservai la strada scorrere dietro il finestrino, assorta nei pensieri e sospirai. Fino a quel momento, avevo cercato di essere forte, di sostenere e rasserenare mia madre, ma in realtà non ero poi così sicura dell'esito che avrebbe portato quella ricerca. 

«E se Debrah l'avesse rapita? Se le avesse fatto del male?» la voce mi s'incrinò, verso la fine. Abbassai il volto e sfregai le mani sudaticce sulle gambe.

Castiel parcheggiò l'auto nei pressi del parco, spense i motori, si tolse la cintura di sicurezza e roteò il busto nella mia direzione. 

«Ehi», con pollice e indice sotto il mento, mi sollevò il viso. 

I miei occhi neri si scontrarono con i suoi grigi, che mi tranquillizzarono all'istante. I ruoli s'invertirono; solitamente ero io a dover tranquillizzare lui per i mille guai causati dalla sua ex. 

«La troveremo», mi sfiorò dolcemente la guancia «se l'avesse rapita o altro, avrebbe agito diversamente», mi calmò con la sua voce carezzevole e sicura. 

Poggiai la mano destra sulla sua, che si trovava ancora sulla mia guancia e accennai un sorriso. 

«Muoviamoci, allora», sciolsi quello strano intreccio di mani e aprii la portiera, scendendo dall'auto. 

Castiel mi seguì. 

Entrammo nel parco giochi. Non era molto grande, per cui non ci avremmo impiegato tanto a setacciarlo per cercare Flora. Appena misi piede sul viottolo di pietre, fui circondata dal verde dei prati che ricoprivano tutta la grandezza del parco. Sul lato sinistro si trovavano i giochi per i bambini, come altalene e scivoli di ogni tipo, mentre sul lato destro c'era una pista di skateboard; più in là, un labirinto ed una stradina che portava ad uno spazio verde con panchine di legno ed un chiosco per le bevande che ovviamente, a quell'ora della notte, era chiuso. 

«Da dove iniziamo?» chiesi spaesata, guardandomi intorno. 

L'assenza di passanti e il buio, a causa dei pochi lampioni sparsi qua e là, non ci avrebbero aiutati per nulla nella ricerca. Erano ormai le tre di notte e un parco vuoto non era di certo tra i posti più raccomandabili in cui stare. 

«Vieni con me», Castiel mi strinse la mano e mi guidò verso le panchine alla fine del parco. 

Chiamammo Flora a squarciagola e Castiel accese la torcia del telefono per vedere meglio, ma non c'era traccia di lei. 

«E se Debrah l'avesse rapita per davvero?» ripetei, tremando al sol pensiero. «E se le avesse già fatto del male?» iniziai a singhiozzare. 

Non riuscivo proprio a mantenere la calma, sapendo Flora in pericolo da qualche parte. Non potevo accettare di perdere una sorella, né la mia famiglia poteva esser squarciata così, dopo aver atteso una vita intera per averne una.

«Ariel», la voce rassicurante di Castiel mi scaldò il cuore «calmati», portò entrambi le mani ai lati del mio viso «ci sono io qui con te», fissò gli occhi nei miei e mi persi nella sua nebbia grigia. 

«Non dovrei essere così pessimista, lo so», mi scusai per i piagnistei a cui era stato costretto ad assistere ed abbassai il volto. 

Non ero abituata a piangermi addosso, a mostrarmi indifesa e non avrei dovuto farlo neanche in quell'occasione. Dovevo essere forte. Per me; per mia madre; per Flora. 

«Non fingerti forte, non serve. Non con me», mi sollevò nuovamente il volto per potermi guardare «Sfogati. Non è facile avere a che fare con una pazza, determinata a ferire te e la tua famiglia», il suo sguardo, all'improvviso, divenne assente. «E pensare che questa è tutta colpa mia...» digrignò i denti, sciolse il contatto con la mia pelle e strinse le mani a pugno lungo il busto. 

Si stava colpevolizzando per qualcosa che non dipendeva da lui. Non del tutto. Debrah era intenzionata a farci del male solo perché era lei a volerlo. 

«Tu non hai colpe, Cass» allungai una mano verso di lui, ma la lasciai a mezz'aria perché s'incamminò verso i giochi del parco, lasciandomi indietro. 

Lo seguii senza proferire parola. 

Dopo qualche secondo, fermò la sua falcata, si girò verso di me e per poco non sbattei contro il suo addome. «Non permetterò che lei vi faccia del male, non questa volta».

E nel buio della notte suggellò quell'ultima promessa. Mi comunicò con solennità le sue intenzioni ed io non potei far altro che pendere dalle sue labbra per l'ennesima volta. Mi fidai nuovamente di lui e finalmente riuscii a placare i miei tormenti interiori. 

Avremmo trovato Flora; Debrah non ci avrebbe fatto del male; Debrah sarebbe stata punita dalla legge per i molteplici reati commessi sin da quando era piccola; sarei tornata a vivere la mia vita senza di lei, come se lei non fosse mai esistita. Chiusi gli occhi, inspirai, espirai ed impressi il futuro nella mente. 

Giungemmo nei pressi dei giochi per bambini e squadrammo ogni angolo con la speranza d'intravedere una dolce ragazzina dagli occhi di ghiaccio spuntare da qualche parte. 

«Gr-» ero sul punto di ringraziare Castiel per la vicinanza mostratami in quelle ultime ore, ma qualcuno me lo impedì. 

«Miki», la voce e le braccia di Flora mi strinsero con calore, facendomi quasi saltare per la gioia. 

Riaprii le palpebre e, nonostante il buio pesto, riconobbi gli occhi chiari della mia sorellina. Lei era lì. Non era stata rapita, non l'avevano uccisa e di primo acchito non le avevano storto neanche un capello. La mia piccola e innocente Flora...

«Sei qui», dopo un attimo di stordimento iniziale, la strinsi talmente forte tra le braccia che rischiò il soffocamento. «Stai bene», la squadrai, la girai e voltai come fosse una bambola, per assicurarmi che fosse incolume, «sei tutta intera» e infine mi lasciai sfuggire delle lacrime liberatorie. Lei mi seguì, piangendo e allacciandomi le braccia al collo. 

Castiel si fece da parte, andandosi ad accomodare su una panchina poco più lontana e si accese una sigaretta. Un'altra. Non aveva smesso? Avrei dovuto redarguirlo, non appena la situazione di Flora si fosse sistemata. 

«Non avrei voluto farvi preoccupare», singhiozzò. «Avevo solo bisogno di allontanarmi da casa, dalla tecnologia, da...» Flora non riuscì a concludere la frase a causa del pianto disperato e liberatorio che la colpì. 

«Stai tranquilla, è tutto a posto», le carezzai il capo e le diedi un bacio tra i capelli profumati alla camomilla «risolveremo ogni cosa insieme», tentai di tranquillizzarla «adesso ci sono io qui con te». 

Lasciai che si sfogasse tra le mie braccia e, quando il pianto si placò, l'allontanai leggermente per poterle asciugare le lacrime dal volto. Debrah non avrebbe avuto la soddisfazione di aver annientato psicologicamente sue sorella. Lei non avrebbe vinto. Non quella volta. 

Afferrai il cellulare dalla pochette per avvertire mia madre e tranquillizzarla, ma non rispose. Così optai per mandarle un messaggio: "Flora è con me. L'abbiamo ritrovata. Torna a casa, tra poco ti raggiungiamo". Quello fu il messaggio più bello che avessi mai inviato.  

«Sai tutto quello che è successo?» quando me lo chiese, non riuscì a guardarmi negli occhi. 

Quasi come se fosse realmente colpevole, come se si vergognasse. 

Feci un cenno di assenso e non aggiunsi altro. Quella giornata era già stata abbastanza traumatica per lei, non necessitava di altre informazioni sconvolgenti. Avremmo affrontato il problema in un secondo momento. 

«Io...» si coprì il volto, imbarazzata «non ho mai fatto quelle cose», proseguì con voce tremante. 

«Non ho mai dubitato di questo, piccola», le carezzai la guancia arrossata e umida dalle lacrime versate fino a pochi minuti prima. 

«E come farò a convincere gli altri della mia innocenza?»

«Non hai bisogno di convincere nessuno. Le persone intelligenti, capiranno da sole il tarocco che c'è dietro e non faranno mai più neanche un breve accenno alla storia, mentre gli ignoranti... be', lasciamoli pure marcire nella loro stupidità. A cosa ti serve avere intorno gente inetta? Prima li elimini dalla tua vita, meglio è per tutti», le consigliai, sdrammatizzando e sorridendole. 

«Chi può avermi fatto questo?» 

Implorò risposte che non ero certa di poterle dare senza arrecarle ulteriori ferite. 

«Qualcuno che non ha mai meritato il tuo bene...»

Avrebbe dovuto scoprirlo da sola. Per quel giorno aveva già sofferto abbastanza. 

Poteva essere che non sospettava neanche un po' della colpevolezza di Debrah? Era davvero così ingenua da non rendersi conto dell'invidia suscitata in lei?

«Una sorella non potrebbe mai fare una cosa del genere...» ragionò. 

Quindi aveva delle perplessità sul conto di Debrah. Perfetto. 

«Purtroppo devo correggerti: delle sorelle amorevoli come noi, non farebbero mai una cosa del genere, mentre...» lasciai la frase in sospeso, proprio per farle comprendere, a poco a poco, la verità dei fatti. 

«Ho sempre avuto dei sospetti su di lei», mi rivelò senza bisogno di specificare il nome, «ma ho sempre voluto darle fiducia e l'ho fatto fino ad oggi, commettendo l'errore più grande», per un attimo, il suo viso si adombrò. «Adesso però, per fortuna ho te...» sorrise tristemente, scosse la testa per scacciare la delusione provata per Debrah, ricacciò indietro le lacrime e mi abbracciò. «Ti voglio bene, sorellona», poggiò la testa sulla mia spalla e per poco non scoppiai a piangere per la commozione. 

Flora era una ragazza forte, più di molte sue coetanee e di altre anche più grandi di lei. Era matura, nonostante fosse scappata dai problemi per qualche ora. Ed eccola lì, a discutere sulle avversità della vita e sui colpi bassi sferrataci dalle persone a noi care. 

Ero orgogliosa di essere sua sorella. 

Ero così fortunata ad averla conosciuta, trovata... Da quel giorno in poi, dopo averla quasi persa e aver lottato per ritrovarla, avrei dato più valore ad ogni momento trascorso con lei e con la mamma. 

«Ti voglio bene anch'io, sorellina», le scompigliai i capelli affettuosamente «ma la prossima volta guai a te, se non mi avverti», mi riferii a quello che le era accaduto. 

Se mi avesse chiamata, di sicuro mi sarei precipitata da lei e non sarebbe scappata nel cuore della notte, facendo venire diecimila infarti a tutti i suoi cari.

«Lo so, mi dispiace di avervi fatto preoccupare, ma volevo lasciarti godere la serata con Castiel», replicò dispiaciuta. 

«Tu sapevi che sarebbe venuto?»

«Ovvio», mi guardò con espressione furba «secondo i nostri piani, lascerai presto Javier». 

Nonostante la loro continua fissazione a volermi vedere a tutti i costi con Castiel, fui contenta per il cambio positivo d'umore di Flora. 

«A proposito...» mi avvicinai alla panchina in cui ancora era stravaccato Castiel e trascinai con me anche mia sorella «Grazie Castiel», mi rivolsi direttamente a lui «Grazie per il supporto e l'aiuto», divenni paonazza, ma ringraziarlo era il minimo che potessi fare «senza di te, non ce l'avrei fatta», gli sorrisi calorosamente. 

Quelle parole fuoriuscirono dal profondo del cuore ed erano veramente sentite. Senza l'aiuto di Castiel, sarei sprofondata a causa dell'ansia, disperazione e paura. In quelle ultime ore, lui era stato il mio pilastro, la mia ancora. 

«Non ringraziarmi», si alzò e mi si parò davanti in un metro e ottanta di bellezza. «Tu hai fatto molto di più per me», poggiò una mano sulla mia spalla libera e la pelle bruciò. «Non dimenticherò mai la tua vicinanza nei momenti più brutti della mia vita. Tu ci sei sempre stata, anche quando non lo meritavo e considera questo come un modo per sdebitarmi o ringraziarti di tutto il bene che mi hai donato in passato», spostò la mano sul mio petto, in direzione del mio cuore, per sentirne i battiti «E poi... Tu ricordi perché lo facevi? Perché mi aiutavi, nonostante ci parlassimo a stento per via dei mille problemi?» 

Cosa stava cercando di dirmi? Rievocai alla mente tutte le volte in cui lo avevo sostenuto: l'operazione di Demon, la malattia di Adelaide, i ricatti di Debrah. Mai una volta avevo tentennato o avevo valutato l'opzione di non supportarlo, e lo avevo fatto perché i sentimenti per lui superavano qualsiasi nostro diverbio. Perché io lo amavo. Avrei fatto di tutto per lui; così come aveva fatto Castiel per me, per ritrovare mia sorella. Sgranai gli occhi dinanzi a quella realizzazione. Quindi lui potrebbe...

Flora assistette felice a quella scena, le mancavano solamente i pop corn per essere considerata una spettatrice perfetta.  

«La risposta è dentro di te da molto tempo. Devi solo trovare il coraggio di farla uscire fuori», infierì mia sorella, sussurrandomi all'orecchio e ridacchiando. 

Fui sollevata a vederla così tranquilla, probabilmente le mie rassicurazioni avevano sortito in lei l'effetto sperato. 

«Certo, ma adesso non è momento... Abbiamo cose più importanti a cui pensare», risposi con una scusante sia a Castiel che a Flora «come riportare questa marmocchia a casa e far chiudere quel profilo falso». 

Condivisero il mio pensiero e si allontanarono entrambi da me, pronti per rientrare a casa. 

«Dimmi, Marcel», udii a stento la voce di Castiel, mentre giungemmo alla sua auto. 

Al momento, ero troppo sollevata per curarmi di qualsiasi altra cosa, per cui non ascoltai la sua conversazione al telefono. Non mi sarebbe interessato neanche se avesse avuto ulteriori informazioni su Debrah. Avevo altre priorità. Proseguii a rassicurare Flora; che avremmo eliminato ogni traccia di quella pagina Facebook fasulla e che avrei provveduto io stessa a comprarle un nuovo numero telefonico, così non avrebbe più ricevuto chiamate sconosciute e indesiderate. L'avrei accudita, protetta e tutelata come se fosse il bene più prezioso e fragile al mondo. E lo era... la mia sorellina. 

«Miki...» la voce preoccupata di Castiel mi fece voltare di scatto nella sua direzione. 

Il cellulare gli cadde di mano, atterrando sul prato verde, mentre i suoi occhi si sgranarono e lo sguardo gli divenne ansioso. Fu come avere un déjà-vu. Fu come tornare a poche ore prima. 

«Mi dispiace», si fiondò su di me e mi strinse forte tra le sue braccia. 

Il mio cuore inevitabilmente aumentò i suoi battiti, sia per la vicinanza a lui sia per l'ansia di scoprire la novità che lo aveva spaventato così tanto. 

«Che succede?» mi allarmai all'istante. 

«Io...» sussurrò incerto, vicino al mio orecchio. Sembrava non volesse farsi sentire da Flora. «Tua mamma ha avuto un grave incidente», bisbigliò lentamente, come per voler alleggerire il peso di quella notizia. 

Ma non ci riuscì, perché quella bomba mi sconquassò il petto. 

Mia madre aveva avuto un incidente. Un grave incidente. Fui terrorizzata dalla presenza di quell'aggettivo nella frase.  

E il mondo si fermò. 

«C-come? C-osa s-stai dicendo?» mi allontanai di scatto da lui, incredula. 

Non poteva accadere tutto a noi. Non ora. Non dopo esserci ritrovate. 

«Cos'è successo?» anche Flora, di conseguenza, si agitò. 

Castiel si prese del tempo prima di darci delle spiegazioni reali, strinse gli occhi, si passò una mano tra i capelli ed infine ci uccise con le parole. 

«Teresa, mentre attraversava la strada, è stata investita da un'auto in corsa».

 

 

 

______________

 

🌈N.A.🌈

BOOOM... Che ritorno esplosivo dopo un mese di silenzio, eh? 

Volevo scusarmi per non aver potuto aggiornare prima, ma gli esami universitari mi stanno tenendo occupata tutto il tempo :( 

Però mi farò perdonare. Il prossimo capitolo, riuscirò a pubblicarlo tra circa 10 giorni. 

Ora veniamo a noi. 

Lysandre :) io lo amo, voi? Vi aspettavate tutto questo tormento dentro di lui? Cosa sarà successo tra lui e Rosalya, una volta dentro casa di lei?

Castiel e Javier si sono finalmente conosciuti ahah, ma non è finita qui. Ci saranno altre scintille fra loro🔥

Javier: è normale la sua reazione contraddittoria? Pensateci. 

Flora per fortuna sta bene <3 credo sia normale la sua reazione. 

L'incidente che ha avuto Teresa, è davvero così grave? 

So che in questo capitolo ci sono stati pochissimi momenti Mikistiel, ma torneranno presto 💖

Adesso vi saluto. 

Alla prossima

All The Love💖

Blue :3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 66
*** CAPITOLO 61: A qualunque costo ***


Capitolo 61


A qualunque costo




🎶Little Mix ft. Jason Derulo - Secret Love Song (prima parte capitolo)🎶 

   🎶Dean Lewis - Waves🎶

   🎶Zoe Wees - Control🎶

   

 

***

La stilista dai capelli argentei era una forza della natura: vulcanica come poche, iperattiva sin dalla nascita, irrequieta anche da grande; nessuno era in grado di starle dietro neanche in amore. La sua personalità prorompente li aveva fatti scappare tutti, persino quelli simili a lei. Per via del suo carattere, da molti definito pazzoide, aveva dovuto rinunciare a creare la sua cerchia di amici, perché fuggivano prima che potesse affezionarsi realmente a loro. Non aveva mai considerato l'opzione di moderare un po' i suoi modi; lei non sarebbe cambiata per nessuno, anche a costo di rimanere sola. Dopo una delle tante sue azioni apparentemente inspiegabili, neppure il suo conoscente d'infanzia, Lysandre, le era rimasto a fianco. Lo aveva baciato durante una notte di pioggia, fuori da un locale, ma nessuno ne sarebbe mai venuto a conoscenza e nessuno, neanche il poeta, sapeva il reale motivo di quel gesto avventato. Soltanto lei. 

Lysandre era la sua prima cotta.

Sin da quando lo conobbe per la prima volta, vide qualcosa di speciale in lui, qualcosa che potesse combaciare perfettamente con lei. Perché anche Lysandre era bizzarro: si tingeva i capelli d'argento, vestiva abiti di altri tempi, utilizzava un linguaggio ricercato nel parlare e tentava in tutti i modi di adeguarsi al mondo presente. Così aveva iniziato ad osservarlo di nascosto e ad ideare abiti nel suo stile, per lui. A casa, dentro il cassetto segreto della scrivania, conservava gelosamente centinaia di schizzetti raffiguranti il poeta nei vestiti più improbabili, ma che su di lui sarebbero stati una meraviglia. 

Più anni passavano, più Rose s'invaghiva di lui, più loro si allontanavano. Lysandre innalzò un muro tra di loro, non lasciandola avvicinare, e completò quella costruzione quando le presentò suo fratello Leigh. Iniziò a frequentare Leigh per scatenare in Lysandre un sentimento di gelosia che, se fosse stata fortunata, lo avrebbe spinto a rivelare l'infatuazione nutrita per lei, ma ciò non accadde. Trascorsero giorni, mesi e poi anni, Rosalya si affezionò a Leigh per davvero, Leigh s'invaghì di Rose e divennero inseparabili. Lysandre capì di esser sempre stato innamorato di Rosalya, ma era troppo tardi e troppo rischioso confessare i suoi sentimenti. Quindi tentò a tutti i costi di trasformare il suo amore in qualcosa di platonico, utile per i suoi scritti e, per i primi anni, il suo piano funzionò alla perfezione, poi però qualcosa andò storto. 

Lysandre e Rosalya iniziarono a trascorrere del tempo insieme, facendo risalire a galla quei sentimenti per troppo tempo sepolti. Si amarono di nascosto, toccandosi con gli sguardi, baciandosi con gli occhi, ma entrambi sapevano che quello, prima o poi, si sarebbe trasformato in qualcosa di molto pericoloso per il futuro, perché non sarebbe più bastato. 

Rosalya tentò il tutto e per tutto chiedendo a Leigh di sposarla, sperando che l'infatuazione provata per il poeta svanisse una volta per tutte. In fondo quello che era accaduto tra loro poteva benissimo essere frutto della sua immaginazione stravagante e non essere reale, visto che Lysandre non le aveva mai confessato di piacergli. Perché era sicura che sarebbe bastata una semplice parola del poeta per incitarla a lasciare il mondo di finta felicità che si era auto-creata e fuggire con lui. Se fosse stato necessario, pur di stare con Lysandre avrebbe vissuto anche sotto i ponti. 

Se solo lui l'avesse amata allo stesso modo... 

Ma alla fine bastò una notte come tante altre, un drink di troppo e un passo in più per portare alla luce la verità. 

«Pensi che dovrei sposare tuo fratello?» gli chiese di proposito, tentando di scatenare qualcosa in lui.

Si trovavano su due poltrone nel salotto di casa Martins, l'uno difronte all'altra. 

«Probabilmente...» replicò senza rivelare emozioni. «Lo ami?»

«Gli sono grata e lo adoro perché è l'unico ad essermi stato vicino in ogni occasione, anche durante i miei attimi di pazzia, non ha mai pensato fossi stramba. Eppure... sembra mancare qualcosa». 

Nonostante l'alcol che le circolava in corpo, non aveva ancora il coraggio di ammettere cosa effettivamente mancasse. 

«Cosa?» la scrutò incuriosito coi suoi occhi eterocromatici ed il volto di lei divenne paonazzo. 

Temeva quella domanda da parte sua, ma aveva sperato fino all'ultimo che non la facesse. 

Sospirò prima di rispondere, tentando di racimolare un po' di coraggio: «Temo di non esser mai stata innamorata per davvero, non di lui»

Le sembrò di essersi liberata di un peso superiore ad una tonnellata. Avrebbe voluto aggiungere ben altro, urlare i suoi sentimenti per Lysandre, ma temeva d'incorrere in un suo rifiuto o di aver frainteso le cose. Non aveva mai avuto altri ragazzi al di fuori di Leigh, era cresciuta e si era crogiolata nell'affetto che soltanto lui era stato così premuroso da darle, era diventata ragazza e poi donna insieme a lui e non conosceva nient'altro su quel sentimento tanto bello quanto spinoso. Non sapeva riconoscerlo né capirlo. 

«In amore, chi non dubita e non teme, non ama», Lysandre se ne uscì con uno dei tanti aforismi che tanto gli piaceva adattare ad ogni discorso. 

«Al momento, delle tue citazioni non me ne faccio un bel niente», Rosalya si alzò di scatto dalla poltrona e, impaziente, iniziò a girovagare per il salotto. 

«Non sono uno stolto, so bene cosa stai cercando di dirmi, ma non posso fare un tale screzio a mio fratello...» 

Rosalya bloccò improvvisamente la sua falcata; non si aspettava quelle parole da parte del misterioso e distaccato poeta. 

«Cosa provi?» la domanda schietta e bisbigliata giunse assordante alle orecchie del poeta. 

«Non ha importanza». 

Non poteva di certo rivelarle che era diventata tutto il suo mondo, che non passava notte senza che rinvangasse quel bacio bagnato ricevuto da lei molti anni prima, che non rimpiangesse di averle presentato suo fratello. In quella storia... c'era tanto da rischiare, troppo da perdere e non era pronto a farlo. Probabilmente non lo sarebbe mai stato. 

«Importa a me...» cocciuta come poche, insisté. 

Lysandre si alzò pacatamente dalla poltrona e raggiunse Rosalya, le si parò davanti e le tolse il fiato con le mille peculiarità del suo volto. 

«Ti amo come si amano certe cose oscure, in segreto, tra le ombre e l'anima», pronunciò inaspettatamente, con una tale intensità capace di perforare il petto.

Si dichiarò a lei citando il diciottesimo sonetto di Pablo Neruda, come solo un amante della letteratura sapeva fare. Le si avvicinò maggiormente per ammirare al meglio la bellezza del suo giovane volto e l'accarezzò con premura, come se tra le mani stesse reggendo un diamante prezioso. E Rosalya, in realtà, era questo: una bellissima creatura fragile e speciale. 

«Sono anni che ti ammiro da lontano, ti venero e dedico ogni testo, ma ciò non cambierà le cose tra noi. Il mio amore per te è destinato ad essere platonico. Non ho intenzione di essere l'amante disgraziato che dividerà te e mio fratello. Non ho intenzione di scappare con te. Io resto e mi metterò da parte, è meglio così per tutti».

Finì per spezzarle il cuore con una delicatezza che poteva appartenere soltanto a lui, andando alla ricerca delle giuste parole da pronunciare per ridurre l'impatto violento dell'atterraggio, ma persino Lysandre - che di amore narrava ogni giorno - non aveva idea di quali frasi potessero arrecare meno danni. 

«E non importa cosa provo io, invece?» gli occhioni dorati di Rose divennero opachi, spenti. 

«Hai già deciso tutto quando gli hai chiesto di sposarti... Ormai è troppo tardi per tornare indietro», Lysandre pronunciò rassegnato. 

«Non è mai troppo tardi». 

«Per noi, invece, sì» bisbigliò quelle ultime parole a pochi millimetri dalla bocca carnosa di Rosalya. 

«Lys...» sussurrò, fissando le labbra del poeta. 

Non aveva mai desiderato baciare qualcuno come in quell'istante. 

«Rose...» sibilò lui, cercando di fermare in tempo l'imminente catastrofe. 

Ma non ci riuscì. Per la prima volta nella sua vita, invece che la ragione, mise davanti il cuore; per la prima volta nella sua vita, invece che gli altri, mise davanti se stesso. 

E l'imprescindibile avvenne. 

Le loro labbra si unirono in un bacio disperato, ricco di parole mai dette e promesse infrante. Erano anni che tentavano di evitare l'inevitabile, ma alla fine nessuno dei due riuscì a contenersi. Ad entrambi parve di tornare indietro di decenni, al loro primo ed unico bacio, a quei sentimenti acerbi: lui provò ad immaginare di non averle mai presentato suo fratello; lei tentò d'illudersi che Lysandre non l'avrebbe mai rifiutata. Ma durante quella notte, a distanza di anni, entrambi portavano sulle spalle una consapevolezza in più: l'amore muto, l'amore segreto, l'amore impossibile nutrito l'uno per l'altra e viceversa. Nessuno sapeva e nessuno avrebbe mai dovuto sapere. Tanto... non sarebbe accaduto nuovamente. Si concessero quella leggerezza, dopo una lotta contro loro stessi e i sentimenti, contro il tempo e gli errori e dopo esser precipitati al suolo, stremati. 

La salutò per l'ultima volta, promettendole che non avrebbero mai più ripreso quell'argomento spinoso, che non l'avrebbe ferita o illusa, che non si sarebbe mai più avvicinato pericolosamente a lei come in quel momento. 

«Addio Rose...»

Con la grazia di un angelo, così come l'aveva elevata fin sopra il cielo, la fece precipitare sottoterra alla velocità di un battito d'ali. 

E se ne andò, svanendo dietro la porta di legno color ciliegio, portando via con sé due cuori spezzati ed un unico amore. 

***

La rockstar dagli indimenticabili capelli color cremisi, ormai neri, non aveva mai neanche lontanamente sognato di poter aprire il suo cuore ad una donna diversa da Debrah, né aveva mai immaginato di farlo in una maniera totalmente fuori dai soliti schemi. Pensava di essere contrario alle smancerie, alle sorprese, ai regali, alle frasi da diabete e invece... Per la sua Miki avrebbe fatto di tutto, anche cambiare, andando contro gli ideali di una vita intera. Per lei aveva già fatto di tutto e, se avesse potuto, avrebbe fatto molto di più. Come si soleva dire, le avrebbe volentieri portato il mondo ai suoi piedi, ma aveva preferito portare lei sopra il mondo: nel cielo, tra le stelle. Sebbene non avrebbe mai rivelato quel particolare a nessuno, quel gesto così disgustosamente romantico quanto bello, non era stato fatto solo con l'intenzione di stupire Miki, ma anche e soprattutto per lui. La stella Ariel lo avrebbe seguito ovunque, quando sarebbe stato lontano da casa, quando si sarebbe sentito perso o smarrito, ricordandogli perennemente da dove proveniva, ritrovando per lui la dritta via.

Lei c'era stata quando nessun altro aveva osato esserci. Ed era stata proprio la sua perseveranza a spingerlo a volere qualcosa in più da lei. Non era stato il suo corpo mozzafiato o i colori particolari del suo viso e dei suoi capelli, no, perché quelli erano tratti che tutti potevano vedere, apprezzare e avere. La sua Ariel aveva visto qualcosa in lui che nessuna prima di allora era stata capace di ravvisare: era stata paziente, amorevole, dolce e con la sua purezza lo aveva conquistato. 

Miki si era da sempre presentata al mondo indossando una maschera di superficialità, finta perfezione e distacco, ma con Castiel non ci era mai riuscita totalmente ed era proprio quello l'aspetto che aveva incuriosito il ragazzo, spingendolo a sbirciare sotto quella corazza ramata e finendo per restarci intrappolato. 

Lui era testardo, arrogante, menefreghista, affascinante, ammaliante e la infastidiva a tal punto da spingerlo ad odiarlo e amarlo allo stesso tempo. Erano una continua contraddizione, quei due, e lo erano stati fino alla fine. 

Si giurarono amore eterno da un letto d'ospedale: quel luogo anonimo, che per molti rappresentava infelicità, a loro aveva sempre portato fortuna e sperarono accadesse ancora una volta. Per l'ultima volta. Occhi negli occhi, entrambi lessero nello specchio dell'anima dell'altro e, nello stesso istante, rivissero la loro travagliata, intensa, lunga storia d'amore. Sempre insieme. Per l'eternità. A qualunque costo. Fin quando gli occhi di uno non videro il buio e il filo invisibile, che li aveva tenuti legati inesorabilmente per anni, si spezzò. 

___________

Miki

La vita, per qualche strana ragione, è imprevedibile. Ciò ci affascina e a volte ci porta dei bellissimi giorni di sole, ma non è sempre così. Dovremmo esser capaci di prevedere gli eventi e distinguerli sin da subito per non cadere in trappole per topi che mai avremmo potuto immaginare di calpestare. Dovremmo sempre trovare un attimo di tempo per sussurrare alle persone a cui teniamo: "ti voglio bene", perché ciò che può accadere nella vita è inaspettato, oggi puoi dirlo, domani chissà... 

Negli ultimi anni, mi era capitato di dire a mia madre che le volessi bene ma, probabilmente, quelle volte non erano state abbastanza. Avevo sprecato l'intera mia breve esistenza nutrendo rancore verso le persone sbagliate e Teresa era stata una di quelle. Il tempo trascorso insieme non era stato abbastanza, non ancora, e mai avrei accettato di perderla così presto. Quant'era bastarda la vita e soprattutto quanto lo era chi ci governava da lassù... mi aveva permesso di assaggiare dei brevi attimi di felicità familiare, per poi riprendersi tutto indietro con gli interessi. Cos'erano due brevi miseri anni dinanzi a mezzo secolo? Un chicco di riso, forse, e così pochi erano stati gli attimi trascorsi con mia madre. Meritavamo di meglio, dopo sedici anni di sofferenze; meritavamo di più, dopo esserci ritrovate. E poi, lei era così giovane... meritava di donare amore e riceverne ancora tanto, perché ne aveva già subite molte di ingiustizie, ne aveva affrontate tante di disgrazie. 

Mi trovavo nella sala d'attesa di un ospedale come tanti quando, fissando i muri bianchi difronte a me, riflettei sul senso della mia vita. Mia madre si trovava in una delle stanze anonime a fianco, a lottare tra la vita e la morte: una macchina l'aveva investita, provocandole delle gravi lesioni che avrebbero potuto ucciderla, ma che sperai non l'avesse fatto. 

Mi sentii in procinto di affondare verso una via di non ritorno. Non avrei sopportato l'ennesimo colpo basso, l'ennesimo schiaffo della vita.

Flora singhiozzava disperatamente, sdraiata su due sedie e con il volto nascosto nell'orlo del mio vestito che ormai indossavo da ventiquattro ore. Quella nottata sembrò interminabile. Era iniziato tutto da una semplice rimpatriata di classe, proseguita con delle foto scattate dai paparazzi e pubblicate ovunque, che ritraevano me in compagnia della rockstar del momento, viste anche dalla sua ex ragazza pazza che successivamente aveva ben pensato d'infamare mia sorella su Facebook, prevedendo la sua fuga da casa e la ricerca disperata di una madre che non l'aveva trovata nel suo letto, con conseguenza l'incarico a qualcuno d'investire Teresa e magari ucciderla. Ogni fatto era concatenato ad un altro e creava quella fitta rete di distruzione architettata da Debrah. L'ultima da attaccare sarei stata io, ma poco m'importava al momento.

Castiel era poggiato al muro, poco distante dalle sedie su cui ci trovavamo io e Flora. Non mi aveva lasciata un attimo e apprezzai infinitamente la sua vicinanza. Era l'unico spiraglio di luce che intravedevo tra gli abissi in cui stavo sprofondando. 

«è tutta colpa mia...» dalla voce di Flora trasparve tutto il suo dolore ed il senso di colpa che sentiva. 

«Non è così», le ripetei per la milionesima volta. 

«Sì, invece...» sollevò il capo e mi guardò dritta negli occhi «se non fossi scappata, lei non sarebbe uscita per cercarmi in piena notte e non sarebbe morta... Come farò senza di lei, Miki? Dimmelo!» alzò lievemente la voce. 

Lo sguardo di Flora era smarrito, impaurito, avvilito. Avrei tanto voluto donarle conforto, ma non ne fui capace. Le sue paure erano anche le mie. Come sarei sopravvissuta alla perdita di mia madre per la seconda volta?

«Teresa è forte, non morirà», una mano familiare si poggiò sulla mia spalla e un'altra su quella di Flora. 

Castiel, senza troppe cerimonie, arrivò dritto a ciò che ci serviva sentir dire. Era sempre stato di poche parole, ma bastavano quelle per infondere sollievo e coraggio. Lo guardai e, con un sorriso sincero, espressi tutta la mia gratitudine nei suoi confronti. Senza di lui non ce l'avrei fatta. Non quella volta.

Presi a carezzare i capelli morbidi e lisci della mia sorellina con l'intento di calmarla e, dopo un po', ci riuscii. Poggiò il capo sulle mie gambe e finalmente si addormentò; aveva trascorso una notte insonne, immersa in mille emozioni devastanti, doveva essere sicuramente esausta. 

«Marcel dovrebbe essere qui tra massimo un'ora», mi comunicò Castiel, dopo aver posato il telefono nella tasca posteriore dei suoi jeans. 

Il compagno di mia madre si trovava ad Amsterdam, quando aveva ricevuto la terribile notizia dell'incidente di Teresa. Prese il primo aereo disponibile per rientrare a Parigi e starle vicino. Non conoscevo bene Marcel ma, viste le varie vicende dei loro dodici anni di relazione, supposi l'amasse tanto. Doveva sentirsi distrutto. Il nostro era un dolore simile, ma allo stesso tempo diverso, come l'amore provato da entrambi per lei. 

«Vuoi un caffè?» il volto perfetto di Castiel entrò nella mia visuale. 

Feci un segno di assenso con il capo «Grazie».

«Vieni con me», mi porse la mano. 

«Non posso», mostrai Flora. «Potresti portarmelo tu qui, se non è un problema...»

«Se ti spostassi piano, dovresti riuscire a rialzarti senza svegliarla», insisté.

«Lascia stare, non voglio nessun caffè», m'indispettii. 

Non avevo alcuna intenzione di lasciare da sola Flora. 

«Lo dicevo per te... Ti farebbe bene prendere un po' d'aria», si avvicinò e sfiorò i miei capelli. 

Non aveva mai insistito così tanto una persona per qualcosa né aveva mai avuto così tanta pazienza. Stava facendo uno sforzo enorme per me. Soltanto per me. 

«Forse...»

Non avevo idea di come reagire a quella sua bontà, a quella preoccupazione e protezione nei miei confronti. Non l'aveva mai fatto così apertamente. 

«Hai bisogno di sfogarti, di farlo con qualcuno che possa capirti. Ed io sono qui». 

Allargò le braccia, in attesa dell'altra metà per completarsi. E la sua... ero io.

«Finora hai finto di stare bene, ma so che non è così», continuò. «Flora sta riposando e qui nessuno le farà del male, stai tranquilla», allungò le labbra in quel mezzo sorriso tipico di lui.

Non potevo mostrarmi debole davanti a Flora, perciò fino a quel momento ero stata costretta a mantenere una tranquillità apparente che in realtà dentro di me non avevo, e Castiel lo capì perfettamente. 

Alternai lo sguardo da Flora a Castiel, indecisa sul da farsi. 

«C'è l'infermiera della reception proprio qui difronte, le ho già chiesto di vegliare su Flora per qualche minuto». 

E quella specificazione bastò per convincermi definitivamente. 

Senza proferire parola, mi alzai lentamente dalla sedia, ressi la testa di Flora, posizionai la mia pochette vuota sulla sedia e sotto il capo di mia sorella a mo' di cuscino.  

«Andiamo», sospirai, guardando Castiel. 

Al di fuori della struttura ospedaliera, dentro ad un giardino, si trovava un piccolo chiosco in legno, aperto ventiquattro ore al giorno. Ci recammo lì. Castiel mi offrì il famigerato caffè e, una volta bevuto, ci poggiammo ad un albero. 

Chiusi gli occhi, respirai l'aria fresca delle prime ore del mattino e mi calmai, ma subito dopo riaprii le palpebre ed annaspai. 

La rockstar da strapazzo si trovava difronte a me, a qualche millimetro dal mio volto, mi accerchiò, poggiando le mani al tronco dell'albero.  

«Non ti lascerò mai più sola», bisbigliò quella dolce promessa, soffiando sul mio collo. 

«Dici sul serio?»  

Visti i precedenti, stentai a credergli. In fondo non sapevo neanche per quanto tempo sarebbe rimasto a Parigi, quindi non poteva permettersi il lusso di fare promesse come quelle.

«Sul serio!» fissò il grigio delle sue iridi nelle mie. 

«Sarei un gran peso per una rockstar come te», mi mostrai ancora scettica.

«Ho qualche mese di pausa a disposizione e se me lo consentirai, vorrei trascorrere ogni istante con te». 

La voce roca e quella novità mi fecero aumentare i battiti del cuore. Quindi non sarebbe ripartito nell'imminente...

«Lo dici per farmi cedere ai fini della scommessa o sul serio?»

«Entrambi!»

«Stronzo».

«Bellissima».

«Fai con tutte questo giochino per farle cascare ai tuo piedi?»

«In realtà, cascano ai miei piedi solo con il sentir pronunciare il mio nome», sorrise sensualmente e scherzoso. 

«Ah giusto, avevo dimenticato che sei diventato un sex-symbol», lo schernii. 

«Per te, però, non lo sono...» constatò, curioso della mia risposta. 

«Un simbolo sessuale? Beh, probabilmente dopo Harry Styles, Jamie Dornan, Chris Hemsworth, Can Yaman», numerai con le dita. 

«Can Yaman?» aggrottò la fronte.

«Sì, è un attore turco laureato in legge e con un fisico da far...» Castiel mi tappò la bocca senza permettermi di concludere il mio discorso. 

«Io sono meglio di tutti e quattro messi insieme», disse serio ed io risi con ancora la sua mano sulla mia bocca, poi gliela morsi e la tolse, scuotendola per il dolore. «Ahi!» proseguì, fingendosi morente; concluso il teatrino si schiarì la voce «Dicevo: io sono meglio di tutti, perché sono l'unico capace a sopportarti», concluse con un sorriso derisorio. 

Lo picchiettai sul petto e lo spinsi per farlo allontanare, ma ciò che ottenni fu l'effetto contrario: si avvicinò maggiormente a me, tornando serio. 

Piegò di lato lievemente il capo e mi sussurrò nuovamente nell'orecchio: «Volevo solamente farti distrarre per qualche minuto, sono stato bravo?» portò la mano destra sulla mia guancia e cominciò a carezzarmi. 

«Grazie», feci cenno di assenso con la testa. 

«è bello quello che stai facendo...» aggiunse dopo qualche minuto di silenzio «cerchi di mostrarti forte e serena davanti a Flora per non farle pesare la situazione e per non farla sentire in colpa più di quanto lei si senta già; le stai facendo da genitore e sorella, senza esserne tenuta, senza mostrare un minimo di rancore o gelosia per un'infanzia vissuta nell'agio da lei e nella solitudine da te. Sei una persona pura e speciale come nessuna, Miki», terminò quei complimenti con un bacio sulla stessa guancia che fino ad un'istante prima aveva carezzato. 

Fu dolce come mai gli era appartenuto esserlo. Fu sincero ed espansivo come poche volte era stato. 

Nemmeno uno prima di lui aveva notato quei dettagli di me, mai nessuno mi aveva detto quelle parole. Castiel era il primo. Era l'unico e lo sarebbe sempre stato. 

«Pensi che io sia una brava sorella?» gli chiesi, non avendo alcun metro di paragone. 

«E me lo chiedi? Prima ti ho quasi dovuto costringere ad allontanarti da lei, in più sei scappata dal tuo ipotetico nuovo e quasi ex ragazzo soltanto per cercarla», fece una smorfia disgustata, quando si riferì a Javier «Devo continuare?»

«Non voglio che lei cresca nella solitudine e nella sofferenza come...» l'espressione del volto mi si adombrò, i cattivi pensieri presero di nuovo il sopravvento e non riuscii a concludere il discorso. 

«Ehi», Castiel pose entrambe le mani sulle mie guance «comunque vadano le cose, sono sicuro che farai un ottimo lavoro». 

Mentre bisbigliava quelle rassicurazioni, i suoi occhi erano limpidi, chiari e quella luce riuscì ad entrarmi fin dentro l'anima, rasserenandomi. 

«Mia madre morirà?» l'ansia mi assalì lo stomaco. 

Era quella la tortura principale del momento e finalmente riuscii ad esternare la mia paura più grande, sperando di ricevere una risposta confortante. 

Mi sentii fragile e piccola, alla continua ricerca di sicurezze. 

«No, ne sono sicuro. Teresa è una donna forte, ne ha affrontate tante e supererà anche questa», la sicurezza nella sua voce e nel suo sguardo riuscì quasi a convincere anche me.

«Grazie di tutto», gli ripetei di nuovo. 

Non ero abituata a ricevere del bene, tantomeno da lui. 

«Non ringraziarmi, non devi», con entrambi i pollici mi carezzo le gote.

«Sì, invece. Hai fatto tanto per me e non ti ho mai visto fare niente del genere per nessuno...» ragionai tra me e me, esternando i miei pensieri. 

«Giusto», fece un cenno di assenso con il capo «e perché sto facendo questo secondo te?» 

«Perché vuoi farti perdonare?» supposi. 

«Se non m'importasse di te, vorrei farmi perdonare?»

«Non credo», corrugai la fronte. 

«E quindi?»

Mi sembrò di essere ritornata a scuola, ad un'interrogazione di matematica, quando il professore mi dava degli indizi per poter ragionare e giungere alla soluzione, ma io - da gran scienziata del secolo - non ci arrivavo quasi mai. E Castiel, invece, cosa stava cercando di dirmi?

«T'importa di me?» dissi poco convinta. 

Ma quello in fondo non era risaputo? Altrimenti non sarebbe ritornato da me.

«Non solo...» 

Alzai gli occhi al cielo «Non puoi semplicemente dirmi direttamente cosa intendi, senza farmi ammattire?» sbuffai ed incrociai le braccia al petto. 

«Questa volta non è così semplice...»

«Con te non lo è mai!» specificai.

Rise dinanzi alla verità, mostrandomi la sua dentatura perfetta e permettendomi di udire il suono melodioso della sua voce, poi abbassò spontaneamente il capo per qualche istante, alcune ciocche di capelli neri gli finirono sugli occhi e, quando tornò alla posizione precedente, gliele scostai. 

«Ariel...» si avvicinò pericolosamente al mio volto. 

Il mio tocco gli infuse coraggio. 

«Cass...» poggiai entrambe le mani sul suo petto. 

Sui miei palmi riecheggiò il battito del suo cuore, che aumentò improvvisamente. Sollevai la nuca e lo guardai dritto negli occhi, dove trovai un mare calmo. 

Fu un attimo e le nostre bocche si ritrovarono come avevano fatto mille altre volte in passato e come non avrebbero mai dimenticato. Perché anche quelle si appartenevano. Fu un bacio riconciliante, rassicurante, dolce e allo stesso tempo abbastanza potente da sciogliere il ghiaccio che fino a quel momento avevo avuto nel cuore. 

Dentro di me, quella notte, era in corso una tempesta ma, proprio quando stavo per perdere il controllo, intravidi una luce nell'oscurità; ne sentii il calore nelle mani, nel cuore, nell'anima. Era lui. Fu lui a salvarmi, ad afferrarmi prima di cadere nell'oblio, tra le onde della mia vita in tempesta. S'invertirono i ruoli che erano stati scritti per noi sin dal principio. 

«Hai deciso con chi andare a quel concerto?» se ne uscì con quella domanda, mentre i nostri nasi ancora si sfioravano. 

Si riferì ai biglietti per il concerto di Ed Sheeran che si sarebbe tenuto a breve. 

«Non credo ci andrò, viste le circostanze. Penso sia il caso di restituirteli, potresti venderli e-» mi tappò la bocca per farmi smettere di farneticare. 

«Non pensarci nemmeno. Sono tuoi e puoi farne ciò che vuoi», tolse la mano dalla mia bocca. «Ero solo curioso di sapere con chi avessi deciso di andarci... Tutto qui!» abbassò lo sguardo per un breve istante. 

«Castiel curioso?» sollevai le sopracciglia, incredula. 

Poco tempo dopo avrei scoperto che non si trattava di semplice curiosità, ma che si nascondeva ben altro dietro la sua domanda. 

«Che c'è, non posso essere curioso?» s'imbronciò come un bimbo.

«Non lo sei mai stato...» alzai ed abbassai le spalle. 

«C'è sempre una prima volta», gli si formò un sorriso furbo sulle labbra. 

«E c'è sempre anche una seconda volta?»

La stanchezza mi stava facendo delirare, ma lui sembrò capirmi. 

«Ciò che potrebbe sembrare una seconda volta, in realtà è la prima...»

«Per tutto?»

«Per tutto!» mi assicurò, forse immaginando a cosa mi riferissi o forse no. 

Parlammo in codice, come se qualcuno potesse sentirci, come se ciò che intendevamo fosse qualcosa di estremamente pericoloso da confessare ad alta voce, e probabilmente lo era. 

L'intero discorso portava ad un'unica conclusione, ma fui talmente intimorita dalla possibile verità da non riuscire ad ammetterlo neanche tra me e me. 

«Rientriamo?» gli chiesi, non sapendo più cosa aggiungere, sentendomi in totale disagio e con un'imminente crisi di nervi in arrivo. 

Avevo tentato a tutti i costi di essere spensierata per un paio di minuti, ma il mio chiodo fisso, i miei pensieri, le mie paure e preoccupazioni erano ancorate ad una sala operatoria a qualche metro da me. 

«Facciamo una scommessa?» non calcolò minimamente la mia richiesta. 

«Un'altra?»

«Questa sarà diversa».

«In che senso?» mi accigliai. 

Castiel era un continuo mistero. 

«Per infonderti speranza e perché sono convinto che andrà tutto bene. Diciamo che è più una sorta di promessa... Quindi: se tua mamma si salvasse, usciresti con me?»

«Ti sembra il caso di scommettere su queste cose?» mi alterai.

«Più che altro è una "promessa di buon auspicio"» accennò un sorriso sincero. 

Stava solamente cercando di trasmettermi positività. Non aveva cattive intenzioni. Lo capii dal suo sguardo, dai suoi gesti e dal suo sorriso. Dovevo smetterla di essere sempre sulla difensiva con lui. 

«Accetto, grazie», gli sorrisi di rimando, poggiando una mano sulla sua spalla, poi lo sorpassai per rientrare nella struttura ospedaliera e lui mi seguì. 

Appena dentro, corsi a chiedere aggiornamenti sulle condizioni di mia madre e le infermiere mi comunicarono che a breve avrei potuto parlare con la dottoressa primaria del reparto. Sperai in buone notizie. 

Raggiunsi Flora nella sala d'attesa, che si era svegliata dal sonnellino ed apparve leggermente intontita. Mi sedetti alla sua sinistra. 

«Vuoi qualcosa da bere o mangiare?» le chiese Castiel, accomodandosi alla sua destra. 

Flora scosse il capo energicamente in segno di diniego. Aveva lo stomaco chiuso, la capivo. 

«La mamma come sta?» chiese con voce tremante, dopo un paio di minuti di silenzio. 

«A breve dovr-»

«Papà...» fui interrotta dall'urlo di Flora che si alzò velocemente dalla sedia e corse in direzione di qualcuno, saltandogli letteralmente addosso e arrampicandosi a mo' di koala, per poi scoppiare a piangere tra le braccia forti dell'uomo. 

Marcel Duval, il creatore di un angelo come Flora e di un diavolo come Debrah, era proprio davanti a me. Gli occhi chiari stanchi, la barba incolta, i capelli castani scompigliati e l'espressione del viso stravolta testimoniavano un viaggio appena compiuto in agonia. Senza mostrare alcun senso di fastidio, strinse la sua piccola figlia tra le braccia e le sussurrò parole di conforto. 

Quando Flora si calmò, Marcel venne verso me e Castiel. 

«Lei...» l'uomo si bloccò, non riuscendo neanche a pronunciare il nome di mia madre «I medici mi hanno detto di attendere per gli aggiornamenti sul suo stato di salute», la voce oscillante. «Perché c'impiegano così tanto?» 

Stava cercando di contenersi per amore di sua figlia, ma lo capii dai suoi occhi che necessitava di sfogarsi. Pensai di chiedere a Flora di andare a fare una passeggiata, così da consentire a Marcel di metabolizzare ogni cosa e riprendersi, ma Castiel anticipò le mie mosse, portando lui stesso fuori mia sorella. 

Io e Marcel restammo soli. 

Si sedette ad una sedia di distanza dalla mia, poggiò i gomiti sulle gambe, si coprì il volto con le mani e sospirò. Non sapevo come consolarlo, lo avevo incontrato al massimo cinque volte negli ultimi anni e quindi lo conoscevo davvero poco. Spettava più a Castiel stargli vicino, visto che era il suo manager, ma aveva preferito lasciare a me il duro lavoro. 

«L'ho lasciata sola per troppi mesi...» la voce mi giunse ovattata per via della posizione in cui Marcel si trovava. «Ma io l'ho fatto per lei, per noi. Volevo fosse fiera di me, di avere un marito che non le facesse mancare niente, ma ho dimenticato le due cose fondamentali: il tempo e la vicinanza. A volte è breve il tempo che ci è concesso e dovremmo passarlo con le persone che amiamo, senza trascurarle o abbandonarle», non si preoccupò di spostare le mani per farsi sentire meglio. 

Probabilmente quello era un dialogo che avrebbe intrapreso con la sua coscienza. 

«Non ha alcuna colpa», ripetei anche a lui. 

Perché in quella storia si sentivano tutti colpevoli? 

«è stata mia figlia Debrah ad investirla, con chi altro dovrei prendermela?» sollevò e roteò il capo per guardarmi ed io mi pietrificai. «L'ha fatto per me, per attirare la mia attenzione, perché io non sono in grado di volerle bene», i suoi occhi celesti erano inumiditi dalle lacrime trattenute. 

Marcel sapeva più di quanto immaginassi, forse anche più di me e Castiel o di chiunque altro. Rimasi sorpresa da quelle parole e dovetti metabolizzare per qualche secondo prima di aprire bocca. 

«C-come può essere sicuro sia stata lei?» gli chiesi balbettando. 

«Mi aveva avvertito che l'avrebbe fatto, ma io non le ho dato ascolto, commettendo l'errore più grande della mia vita», nervoso, si toccò la barba incolta. «Non l'ho mai amata per davvero come dovrebbe fare un padre con sua figlia. Ho sempre preferito prendere le distanze da lei, perché temevo il suo modo sbagliato di mostrarmi affetto. A tre anni spezzava il collo alle bambole, a cinque anni ha tentato di affogare sua madre con la corda per saltare, a nove anni ha ucciso il gatto perché riceveva più attenzioni di lei. Pensavo fossero eventi sporadici, dovuti alla solitudine e poi all'abbandono della madre, ma così non era. Ho scoperto della sua malattia quand'era già troppo grande per convincerla a curarsi e più anni passavano, più l'allontanavo, più lei diventava malvagia.»

«M-malattia?»

Ero incredula. 

«Debrah ha il gene MAO-A, il cosiddetto "gene del serial killer" che, se avesse vissuto in un ambiente confortevole e amorevole, non avrebbe dovuto causare conseguenze, ma così non è stato. Successivamente abbiamo scoperto che soffre anche del disturbo antisociale di personalità e, sommato al primo, diventa una bomba ad orologeria».

«E perché allora l'ha abbandonata, pur sapendo che prima o poi sarebbe scoppiata? Non le è mai passato per la testa che sarebbero potute andare di mezzo persone innocenti?» mi alzai di scatto dalla sedia e gesticolai. 

Grazie a quella spiegazione dettagliata, s'invertirono ancora una volta i ruoli. Debrah divenne un po' meno cattiva, mentre Marcel era colpevole: di non aver accudito una figlia bisognosa d'amore forse più di chiunque altro, di non averla tutelata e non aver mosso un dito per evitare i disastri causati alle persone. 

«Io...» fissò il vuoto alla ricerca delle parole adatte per giustificare l'aver abbandonato una figlia, ma sapevamo entrambi che non ne avrebbe trovate di frasi da copione, perché non ce n'erano. 

«Signor Duval, lei ama mia madre?»

«Più di me stesso».

«E Flora?»

«Anche!»

Dopo aver ottenuto quelle risposte, inspirai, chiusi gli occhi, mi presi un minuto per riordinare i pensieri e dissi ciò che mai mi sarei sognata di dire: 

«Mi fa piacere. Allora faccia qualcosa per fermare sua figlia, prima che faccia del male a qualcun altro...» cercai di ragionare, mettendo da parte la rabbia e il dolore «La prigione o un centro psichiatrico la rovinerebbero del tutto; credo che solo lei, con il suo aiuto e la sua presenza, sia in grado di salvarla».

Nel corso degli anni, avevo valutato mille modi per torturare Debrah o architettare piani per incastrarla e farla arrestare ma, dopo esser venuta a conoscenza di tutta la versione dei fatti, mi resi conto che quella ragazza non era altro che una semplice vittima. Vittima del fato. 

Chiunque si sarebbe potuto trovare al suo posto, anche io stessa. Un gene malvagio, genitori assenti e anaffettivi, un disturbo della personalità ed il gioco era fatto.  

«Ci proverò», Marcel concluse il discorso con una semplice parola che non mi convinse per nulla. 

«Marcel», la voce di Castiel c'interruppe e mi provocò un brivido lungo la schiena. Lo stesso effetto di anni prima. «Flora chiede di te; dice che nel chiosco fuori l'ospedale vendono il tuo cornetto preferito... Ti sta aspettando», alternò lo sguardo da me a Marcel. 

«Okay, vado. Mi farà bene un po' d'aria», si alzò dalla sedia e prima d'incamminarsi, si voltò nella mia direzione «Grazie per la chiacchierata», strizzò un occhio, poi raggiunse Castiel «Chiamami, quando arriverà il medico» e uscì dalla stanza. 

«Tutto okay? Sembri sconvolta», Castiel mi si avvicinò preoccupato. 

«Sapevi qualcosa dei disturbi di personalità di cui è affetta Debrah?» fissai il vuoto. 

«Lo supponevo», mi rivelò. 

«E non hai mai fatto nulla per indagare a riguardo ed evitare di mettere a rischio tutti?» lo sottoposi allo stesso quesito posto a Marcel poco prima. 

«Non spettava a me», quasi s'indispettì della mia domanda. 

«è stata la tua storia più lunga ed importante, certo che spettava anche a te!»

«Ti correggo: tu sei stata la mia storia più importante!» 

E il cuore fece "crack". 

«I familiari della Signora Teresa Duval?» udii la voce della dottoressa chiamarmi. 

L'inquietudine e la preoccupazione si ripresentarono più forti che mai. Era giunto il momento di scoprire le sorti di mia madre. 

Restai impalata senza più capacità di parlare, coi piedi incollati sul linoleum. Castiel, con un solo sguardo, comprese lo stato di trance in cui ero entrata e rispose al posto mio, mi afferrò la mano e mi trascinò verso una Signora di bella presenza e con il camice bianco. 

«Salve, sono la Dottoressa Bernard», mi porse la mano, ma non fui capace di afferrare neanche quella e Castiel mi sostituì persino in quel gesto banale «sto seguendo il caso di sua madre», guardò direttamente me. 

Fino ad allora avevo cercato in tutti i modi di distrarmi, di non riflettere troppo sull'accaduto per evitare di crollare, di non pensare che mia madre fosse rinchiusa in una di quelle stanze, ma ormai era giunto il momento di venire a conoscenza della verità, era troppo tardi per scappare o evadere ancora. 

«Abbiamo fatto il possibile...» 

E quando sentii quelle quattro parole per poco non caddi sul pavimento.

«Abbiamo fatto il possibile per limitare i danni e le conseguenze ma, a causa dell'incidente, sua madre ha riportato una lesione spinale con conseguente mutamento delle funzioni motorie degli arti inferiori», ci spiegò scientificamente. «Non posso garantire che tornerà a camminare in futuro, ma non è neanche escluso. La sua vita, da oggi, cambierà radicalmente. Dovrete starle vicino, sarà un periodo delicato per lei. Necessiterà di assistenza fisica e psicologica, il nostro ospedale vi fornirà tutto ciò di cui avrete bisogno», la dottoressa cercò d'infondermi coraggio con parole drammatiche ma anche speranzose. «Potrete vederla domani, quando si risveglierà. Torni a casa a riposare», una lacrima mi solcò il volto per la rassegnazione e nello stesso tempo disperazione. «Forza!» mi sfiorò il braccio e si congedò con un sorriso, lasciandomi sola in tutte le mie paure ed insicurezze.

Teresa era viva, ma parte di lei non lo era più. Non sapevo se esser felice per quella notizia o distrutta per il cambiamento che, da quel momento in poi, mia madre avrebbe dovuto inevitabilmente affrontare. Le sue gambe avevano smesso di funzionare a causa di qualcosa che poteva esser sicuramente evitato. Sperai che Marcel avrebbe tentato di riallacciare i rapporti con sua figlia e che insieme sarebbero usciti dal tunnel infernale delle sindromi mentali, altrimenti avrei dovuto agire io stessa interpellando la legge. 

Ero combattuta, in balia tra l'essere furiosa e comprensiva nei confronti di Debrah; tra la gioia e lo sconforto per le condizioni di mia madre; tra la rabbia e la commiserazione per Marcel. Ero stanca e avrei tanto desiderato risvegliarmi da quell'incubo. Perché ero sicura: il peggio doveva ancora arrivare. 

Delle mani familiari mi cinsero i fianchi, distogliendomi dalla confusione dei miei pensieri sul futuro imminente. 

«Puoi contare su di me», la voce calma e rassicurante di Castiel mi solleticò il collo. «Insieme supereremo ogni cosa», schioccò le labbra sulla mia guancia accaldata «Te lo prometto!» si spostò ai confini della bocca e mi lasciò un bacio anche lì. 

Non era solito indugiare sui baci, ma in quell'occasione decise di farlo per me. Soltanto per me. Avrebbe atteso un mio segnale e nel frattempo mi avrebbe aspettata per giorni, mesi o addirittura anni, mostrandomi tutta la sua vicinanza sia nei momenti belli che in quelli brutti. 

Castiel, con quei semplici gesti quotidiani, mi stava donando il suo cuore ed io sarei stata ben lieta di accettarlo. Avrei dovuto stroncare ogni tipo di relazione iniziata con Javier, me ne convinsi proprio in una sala d'attesa d'ospedale: posto inusuale, ma con una particolare magia per noi due. Da gran capricciosa qual ero, avevo fatto di tutto per negare l'evidenza, per mostrarmi indifferente al suo carisma, ma già dal secondo nostro sguardo avevo smarrito la ragione. Perché la rockstar era talmente luminosa da oscurare l'intera popolazione mondiale. Nessuno poteva osare competere con lui, era una battaglia persa già in partenza. 

Perché con lui a fianco sarei persino stata in grado di scalare il mondo senza alcuna fatica. Con lui a fianco ero sicura che ce l'avrei fatta. Sempre insieme. A qualunque costo. 

 

 





_______________

🌈N.A.🌈

Hello, so di avervi detto che avrei pubblicato senza ritardi, ma purtroppo ho avuto vari pensieri per la testa e, in molti di questi giorni, non sono riuscita a scrivere neanche una parola. Poi - tanto per cambiare - il mio PC ha fatto i capricci, facendomi perdere ancor più tempo. Spero in periodi migliori 💪🏻 ma vi avverto che sono sfigata come Miki e vi ho detto tutto. 

Abbiamo già trovato il nome della ship per Rosalya e Lysandre? Come potremmo chiamarli? RoLys? RosLys? LysRos? LyRos? Suggeritemi voi, perché sono una frana in questo 🙊 

Quello di questo capitolo, sarà stato il loro ultimo bacio? 💏

E i Mikistiel ce la stanno facendo per davvero? Ricordiamoci che c'è una scommessa in corso, i biglietti per un concerto 😏 ancora Javier che ronza intorno a Miki e... DEBRAH :) 

Debrah ha il gene del serial killer xD ci mancava anche questa ahah

Cosa significano le ultime righe della parte narrata in terza persona? Cosa accadrà? 👀

E poi Teresa ❤️❤️❤️... ci è andata di mezzo anche lei, povera. 

Comunque *si schiarisce la gola* vi svelo un segreto: a questo punto della storia, Teresa sarebbe dovuta morire, but durante la scrittura del capitolo ho avuto modo di parlare con una lettrice della storia che sta passando un periodo delicato per via di una brutta malattia che ha colpito sua madre, così ho deciso di rimescolare le carte e cambiare le sorti di questa povera donna, per infondere coraggio a questa mia cara amica e lettrice fedele della storia. Teresa soffrirà, anche sua madre soffrirà, entrambe passeranno dei periodi terribili, ma sono sicura che andrà tutto bene. L'amore può salvare; la vicinanza alle persone care può farlo. In bocca al lupo per tutto, mia cara amica❤️

Colgo l'occasione, visto che nello scorso capitolo non l'ho fatto, per mostrare la mia vicinanza e solidarietà alla popolazione di Beirut💥🙏🏻 Non esistono parole adatte per questo 2020 catastrofico in tutto e per tutto. Speriamo sempre in giorni migliori💪🏻

Adesso vi saluto

A presto (spero prestissimo🤞🏻)

Quando uscite di casa, ricordate d'indossare la mascherina😷

All The Love💖

Blue🦋

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2165845