Mia a qualsiasi costo - Serie Legacy n.3

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***







1.
 
 
26 giugno 1830 – Londra
 
 
Il Re è morto! Evviva il Re!

 
Ciò che era stato paventato per giorni, forse per mesi, era infine avvenuto.

Le campane di San George’s Chappel risuonavano a lutto, segno che la fine del sovrano era infine giunta.

Non che qualcuno fosse sorpreso, ben inteso. Re Giorgio IV non aveva mai tenuto un comportamento esemplare, o morigerato, nella sua vita.

Ogni suo gesto, ogni sua follia, era stata portata avanti con il massimo impegno, e tutti i suoi vizi lo avevano infine portato alla morte.

Il re si spegneva a sessantasette anni, solo, senza affetti reali, e con la sua stirpe decimata dalle disgrazie e dalla spietata e cieca falce nera.

Osservando dalla finestra della sua stanza il cielo terso, Maximilian Gregory Spencer, terzogenito di Christofer e Kathleen Spencer, sospirò leggermente e si decise infine a uscire.

Indossata una semplice camicia in lino bianco e brache al ginocchio, Max discese quasi trottando le scale principali del palazzo in Grosvenor Square, dirigendosi verso lo studio del padre.

Lì, lo trovò seduto dietro la sua imponente scrivania di quercia intarsiata, lo sguardo perso nel vuoto e l’aria di avere mille pensieri per la testa.

“Padre…” mormorò a mezza voce, dando un paio di colpetti alla porta aperta per farsi notare.

Subito, Christofer sobbalzò leggermente e si volse verso di lui, appuntandosi un sorriso sul volto segnato da qualche ruga.

Poteva anche avere una cinquantina d’anni, ma agli occhi di Max rimaneva un uomo dall’aspetto sano e giovanile.

Fosse per merito della moglie, o per una salute naturalmente forte, ma restava un dato di fatto.

Christofer Spencer non sembrava subire più di tanto i segni del passaggio del tempo.

“Max, buongiorno! Ti hanno destato le campane? E’ un po’ che suonano” dichiarò Christofer, tornando a volgere lo sguardo verso la finestra, quasi volesse scorgere i contorni della cappella di San Giorgio.

Cosa impossibile, da Grosvenor Square.

“Ero desto da un po’, ma non mi ha sorpreso sentirle. Davano il re morente ormai da parecchi giorni” asserì Max con una scrollatina di spalle, appollaiandosi su una delle sedie imbottite dirimpetto alla scrivania. “Ora, che avverrà? Non ha eredi diretti.”

“Con tutta probabilità, se non avverranno colpi di Stato di qualche genere, gli succederà Guglielmo, suo fratello” gli spiegò Christofer, tamburellandosi un dito sul mento con fare pensoso.

“Lo conosci, padre? Com’è?” si interessò Max.

Sapeva che, in linea generale, erano imparentati con la famiglia reale, ma non era una parentela che loro avessero mai sfruttato granché.

Dacché ricordava lui, aveva visto il sovrano solo un paio di volte, durante tutta la sua vita, e unicamente in occasione di uno dei suoi sontuosi banchetti.

“Guglielmo servì nella Royal Navy, in gioventù, anche sotto il comando di Horatio Nelson, durante gli scontri nei caraibi, quando gli Stati Uniti stavano combattendo per la loro indipendenza” asserì Christofer, pensieroso. “Abbandonò il corpo pochi anni dopo, combattendo poi strenuamente le sue battaglie politiche, in barba ai consigli del padre, prima, e del fratello, poi.”

“Se non erro, si divertì anche molto” ironizzò Max, facendo sorridere il padre.

“Tra fratelli, si somigliavano molto, in questo. Pur se va detto che, quando Guglielmo sposò la moglie Adelaide, ebbe maggior fortuna rispetto a Giorgio IV. I due si amano molto, nonostante lui abbia il doppio dell’età di lei” dichiarò Christofer con un sorriso. “Ho avuto il piacere di incontrarla una volta, e posso dire che è una donna assai gradevole.”

“Quindi, pensi che le cose potrebbero migliorare, con lui a reggere la corona?” gli domandò a quel punto Max, da sempre un fervente sostenitore delle Poor Law, leggi promulgate a favore del popolo ma mai risultate efficaci sul piano pratico.

In quanto figlio cadetto, non poteva avere il suo seggio in parlamento come il padre o il fratello Andrew, così aveva deciso di impegnarsi a livello civile al di fuori di esso.

Ormai da un paio d’anni presiedeva ai comizi che si svolgevano durante il periodo delle Sessioni di Parlamento, parlando di fronte alla gente o partecipando a riunioni con i membri della Camera dei Comuni.

Anche grazie al cognato Alexander, da sempre impegnato in tal senso e con forti agganci all’interno dei Whigs, era riuscito a perorare la causa in maniera incisiva quanto diretta.

Come il resto della famiglia, poi, si occupava degli orfanotrofi aperti a Londra e a York o, per quel che riguardava Lizzie, ad Aberdeen.

Agli occhi di molti loro amici, erano considerati degli eccentrici, ma poco importava.

Come Maxwell Chadwick era solito dire in questi casi, ad ascoltare tutto ciò che usciva dalle cloache di certe persone, si poteva rischiare di rimanere soffocati.

Adorava il suocero di Lizzie, perché era una delle persone più sincere e dirette che conosceva.

In lui non c’erano mascheramenti e forse, se non avesse avuto al suo fianco Alexander, avrebbe rischiato di finire più volte nei guai, a causa di questa sua virtù.

Purtroppo, nel mondo della nobiltà, il doppiogioco era all’ordine del giorno, e spesso si doveva accettare anche l’inaccettabile, per ottenere un bene superiore.

Sperava soltanto che, con l’avvento di questo nuovo sovrano, qualcosa potesse cambiare per il popolo.

“Penso che prenderò il cavallo e andrò a fare un giro nei dintorni di Windsor… voglio capire come il popolo ha preso la notizia” dichiarò Max, levandosi in piedi con un movimento fluido delle gambe.

“Stai attento. Un assembramento di persone può causare qualsiasi genere di guai e, anche se sicuramente ci saranno già i bobbies in giro, non vorrei ti succedesse qualcosa” si raccomandò Christofer.

“Presterò la debita attenzione, promesso. Tu prevedi di andare alla Camera, oggi? O la seduta di oggi sarà annullata?”

“Presenzierò di sicuro. Ho idea che il duca di Wellington vorrà parlarci del passaggio di poteri da Giorgio IV al nuovo re, per cui sarà meglio essere in loco, per capire se il Primo Ministro ha già parlato con il prossimo sovrano.”

“Pensi si sia mosso così alla svelta?” esalò sorpreso Max.

Christofer sorrise furbo e asserì: “Ricordati che non stiamo parlando dell’ultimo arrivato, ma di colui che sconfisse Napoleone. Una volpe rimane tale fino alla morte, Max.”

“Non stento a crederlo” assentì il giovane, omaggiando il padre di uno svolazzante inchino, prima di avviarsi verso la porta.

Christofer colse l’occasione per dire con ironia: “Ah, e se ti capitasse di portarmi a casa anche una nuora, non piangerei.”

Max si bloccò a metà di un passo, si volse lentamente per fissarlo male e, storcendo la bocca, bofonchiò: “Come, scusa?”

“Andiamo, Max, hai ventidue anni, e non sei neppure lontanamente interessato a trovarti una ragazza da portare all’altare. I tuoi fratelli sono già debitamente sposati e con prole al seguito, per ciò che riguarda Lizzie, mentre tu snobbi tutti i balli di società e rifuggi le gentildonne come se avessero lo scorbuto, preferendo andartene in giro per Londra a parlare ai comizi.”

“Ma è…”

Interrompendolo, Christofer si levò in piedi e, sorridendogli calorosamente, aggiunse: “Non sto dicendo che non fai bene. Ammiro il tuo interesse per la politica sociale del Paese, ma vorrei anche che pensassi al tuo futuro. Ogni tanto, magari.”

“Se sposassi Sarah o Lorainne, andrebbe bene? Mi stanno simpatiche” buttò lì Max, sapendo bene che la sola idea era folle.

Erano come sorelline, per lui, al pari della sua adorata Lettie, e sapeva benissimo che quelle due pesti lo adoravano al pari dei loro fratelli.

No, non avrebbe mai funzionato.

Christofer rise, scuotendo il capo, e replicò: “Anthony è venuto a patti con il fatto che Violet e Andrew si amano, ma non credo sopporterebbe che tu sposassi una delle sue figlie per mancanza di… stimoli esterni. Ti ucciderebbe, piuttosto. E credo anche le ragazze, se lo sapessero.”

“Onestamente, padre, trovo del tutto assurdo mettermi a caccia come un segugio, se non sento l’esigenza di convolare a nozze con qualcuna.”

“E’ anche vero che, se non ti guardi intorno, non potrà mai venirti questo desiderio” sottolineò il padre, ammiccando.

Con un sospiro esageratamente prolungato, Max borbottò: “Parteciperò al prossimo ballo di lady Crosby, va bene?”

“Perfetto” assentì Christofer, tornando a sedersi.

“Non è colpa mia se, donne come la mamma, sono più uniche che rare” brontolò il giovane.

“Non posso darti torto” annuì il padre, osservando il figlio mentre usciva mogio dal suo studio.

Quando la porta si chiuse alle sue spalle, Christofer perse il sorriso e tornò a volgere lo sguardo verso la missiva che era giunta da York.

Whilelmina, sua madre, stava male, e William gli chiedeva di tornare quanto prima a Green Manor, temendo un potenziale peggioramento prima del loro ritorno.

Gli impegni a Londra erano quanto mai pressanti e, con la morte del re, tante cose sarebbero state messe in discussione.

I partiti erano in subbuglio già da mesi, e i Tories erano divisi tra loro in due fazioni così agli antipodi che, presto o tardi, avrebbero fatto implodere il gruppo su se stesso.

Questo, però, passava in secondo piano, se v’era di mezzo la salute della madre.

Sospirando, Christofer si passò una mano sulla fronte, stanco come poche altre volte era stato e, quando Kathleen entrò nel suo ufficio, ringraziò per l’ennesima volta il cielo per avergli portato una donna come lei.

Alzandosi, la raggiunse nel mezzo della stanza, la avvolse in un abbraccio tenero e, nel baciarle il collo, sussurrò: “Mia madre non si sente bene.”

Lei si irrigidì appena, nel suo abbraccio e, poggiato il capo contro la sua spalla, sussurrò: “E’ grave?”

“William ci consiglia di rientrare quanto prima. Il tono della lettera non era certo ottimista” sospirò lui, posando la fronte sulla sua spalla.

“Faccio avvisare Lizzie, e predisporrò di partire entro domani. Va bene?” lo informò lei, scostandosi per sorridergli.

Lui assentì, le baciò le labbra tenere e mormorò: “Cosa avrei mai fatto, della mia vita, senza di te?”

“Saremmo stati entrambi soli e infelici, temo, e saremmo diventati bizzosi come lupi affamati” ammiccò lei, carezzandogli il torace. “Non pensare a cose del genere, Christofer. Ti fai del male senza motivo.”

“Lo so ma, quando succedono cose simili, mi chiedo sempre se ho fatto abbastanza per voi, o cosa avrei potuto migliorare, o cambiare…”

Azzittendolo con un bacio, la moglie replicò: “Hai fatto il possibile per noi tutti, e nessuno potrebbe mai contestare questa verità.”

“Però, vorrei vedere Max accasato. E’ pretendere troppo? Sono preoccupato per lui.”

Sorridendo divertita, Kathleen asserì: “Da quando Almack’s ha perso smalto, molti giovani nobili sono diventati più restii a trovarsi moglie, come se fino a ora vi fossero stati costretti dalle esigenze di mercato. Amano di più volare di fiore in fiore, piuttosto che fermarsi su uno in particolare. Tuo figlio non fa differenza. Lui ama più che altro affermarsi sul piano sociale, piuttosto che come sciupafemmine. E la cosa non mi dispiace.”

“Oh, non lo metto in dubbio…” sorrise lui, giocherellando con le dita delle mani della moglie. “… ma apprezzerei avere una nuova nuora in famiglia e, possibilmente, qualche nipotino in più.”

Kathleen sollevò le sopracciglia con evidente curiosità e, sorridendo, esalò: “I tre figli di Lizzie non bastano? O quelli di Wendell? E poi, anche Violet ti darà un nipotino entro la fine dell’anno.”

“Lo so, pretendo troppo” sorrise divertito l’uomo, baciando sul naso la moglie. “Ma ammetterai che è bello vederli scorrazzare per casa.”

“Sei un caso senza speranza, Christofer Spencer” gli sorrise divertita Kathleen, scuotendo ironica il capo.

“Mi piace fare sia il nonno che lo zio, che ci posso fare?” scrollò le spalle Christofer, prendendo sottobraccio la moglie per uscire dallo studio. “Andiamo insieme a King’s Street?”

“Sì, sarà meglio. Sicuramente, Lizzie esploderà in uno dei suoi impeti battaglieri, e Alexander avrà bisogno del tuo aiuto per impedirle di saltare sul primo cavallo utile, diretta a spron battuto verso York” ironizzò la moglie, sospirando leggermente.

Christofer rise nonostante tutto, immaginando l’esuberante figlia lanciarsi in una irruente battaglia per poter partire subito verso casa.

Non era strano che Alexander la chiamasse ‘Valchiria’. Quando Elizabeth voleva fare una cosa, esternava la stessa irruenza delle mitiche guerriere.
 
***

Il Castello di Windsor era imponente, dinanzi ai suoi occhi e, all’apparenza, sembrava senza fine.

Come sei i suoi creatori avessero voluto sfidare il Cielo, quasi volendo abbracciarlo, conquistarlo.

Incarnava in tutto e per tutto l’assioma secondo cui il sovrano erano nominato da Dio, e guidava il popolo e i credenti in nome Suo.

Nell’avvicinarsi a dorso di cavallo lungo il viale che conduceva fino ai suoi cancelli, Max pensò che, mai come in quel momento, la cosa gli appariva assurda e priva di senso.

Giorgio IV non gli era mai parso un sovrano guidato dalla mano illuminata dell’Altissimo quanto, piuttosto, dedito a vizi e promiscuità dettate dal demonio.

A ogni buon conto, che vi fosse stato o meno del mistico, nel suo personaggio, ora sarebbe assurto ai cieli grazie alla benedizione dell’Arcivescovo di Canterbury.

Con buona pace dei poveri cristi che, realmente, avevano – e avrebbero in futuro – meritato un simile onore.

Personalmente, aveva sempre trovato sciatta e inutile, la persona del re, e il popolo aveva perso la stima nei suoi confronti molti anni addietro.

Non era un caso se, lungo le strade che Max aveva percorso per giungere nel Berkshire, non aveva trovato donne in lacrime o uomini prostrati dalla sofferenza per la morte del sovrano.

Aveva notato solo una pacata curiosità negli occhi di tutti, mista al dubbio suscitato dal nuovo, quasi sconosciuto sovrano che avrebbe seduto sul trono d’Inghilterra.

Poco si conosceva, del successore, se non che era il fratello del sovrano deceduto e che, per molti anni, era vissuto in Germania con la moglie.

Max sapeva, per bocca del padre, delle qualità di Guglielmo e, se si fosse dimostrato degno di essere supportato, il giovane ben volentieri si sarebbe prestato a seguirlo.

Diversamente, avrebbe continuato la sua personale battaglia per portare sostentamento alle fasce più deboli del popolo, come aveva fatto in quegli ultimi anni.

Un cavallo al trotto, alle sue spalle, rallentò l’andatura al suono roco della voce del suo cavaliere e Max, nel volgersi a mezzo, scrutò con un sorriso l’arrivo di un suo amico di vecchia data.

Samuel Westwood, figlio terzogenito del barone Lawrence di Leeds, era suo amico dai tempi di Eton e, con lui, aveva affrontato il Grand Tour per l’Europa, due anni addietro.

Contrariamente al fratello maggiore, Max e Samuel avevano puntato verso i paesi dell’Est Europa, visitando la mistica città di Praga e la lussureggiante Bucarest.

Nel rientrare, avevano percorso in lungo e in largo la Germania e, dal porto di Amburgo, erano infine tornati a Londra.

Il rientro era stato anticipato anche per evitare che, entrambi, cedessero alle lusinghe di una compagnia magiara diretta verso San Pietroburgo.

Se si fossero accodati a loro – e alle loro suadenti ballerine – chissà quando sarebbero potuti tornare?

Di comune accordo, quindi, Samuel e Max si erano spalleggiati a vicenda per autoconvincersi a non lasciarsi affascinare da quei luoghi lontani e misteriosi.

O dalle grazie ancor più invitanti delle ballerine.

Quando, infine, avevano rimesso piede nell’ameno paese d’origine – e avevano raccontato tutto ai rispettivi fratelli – le risate si erano sprecate.

Le rispettive avventure erano sgusciate fuori dalle bocche di tutti, mettendo in evidenza quanto, rischi simili, erano stati corsi da ognuno di loro, in passato.

Anche, a sorpresa, dallo stesso Andrew che, sorseggiando del Porto invecchiato, aveva confidato al fratello di una bellissima ballerina spagnola incontrata a Roma.

E che, per poco, non l’aveva fatto capitolare.

Naturalmente, di questo, Violet non era a conoscenza, né mai Max si sarebbe permesso di spifferare quel segreto.

Ma era stato felice che il fratello lo avesse reso partecipe di quella sua quasi avventura.

Levata una mano per toccare la tesa della tuba che portava sul capo di capelli bruni e leggermente ondulati, Max salutò Samuel e disse: “Buongiorno, amico mio. Giungi anche tu per notizie fresche?”

“Maximilian… buongiorno a te” esordì il giovane, imitando il suo gesto. “In effetti, ero curioso di sapere qualcosa di più. Pensi che abbiano inviato un paggio, o qualcosa del genere, per informare i curiosi? Dubito che facciano entrare qualcuno a palazzo, or ora.”

“Non saprei davvero. Mio padre è partito di fretta per la Camera dei Lord dove, si spera, riuscirà a scoprire qualcosa di più, ma io ho pensato che valesse la pena di curiosare anche qui.”

Assentendo, Samuel dichiarò: “Mio padre e Percy hanno fatto la stessa cosa. Mio fratello Theodor, invece, è uscito di città per andarsene nel Wessex con la consorte. Gita di piacere, ha detto.”

Max ghignò. Sapeva molto bene che Theodor e Gabrielle, sua moglie, erano una coppia – dai più – definita scandalosa.

Personalmente, li trovava divertenti, nelle loro esternazioni pubbliche del rispettivo amore, ma sapeva bene che il Ton disprezzava una simile esuberanza.

I cinque figli della coppia, comunque, dichiaravano a chiare lettere quanto si amassero, così come le loro frequenti gite fuori porta.

Erano ormai così famose che erano quasi divenute una barzelletta, nel bel mondo, ma né Theodor, né il barone suo padre, se ne curavano molto.

Quest’ultimo possedeva un appannaggio annuale quasi imbarazzante e nessuno, tra i Pari, se lo sarebbe mai inimicato consapevolmente.

V’erano troppi interessi economici di fondo, per rigettare un’amicizia come quella del Barone Lawrence.

Percy, il secondogenito della famiglia, invece, compensava egregiamente la sfrenata vita del primogenito di casa Westwood, conducendo una vita morigerata e dedita solo allo studio.

Samuel, infine, il piccolo di casa – pur se già ventitreenne – viveva serenamente e senza pensare a costruirsi una famiglia, troppo impegnato a godersi la vita.

Non avendo obblighi dinastici, aveva procrastinato all’infinito il compito di trovarsi una compagna adatta alla famiglia, prediligendo le feste e i viaggi, ai giochi di salotto.

“Non gli do torto. Per molti giorni ancora, non si saprà nulla di ufficiale sul suo successore. A meno che Guglielmo non sia già al lavoro col Primo Ministro” ironizzò Max, scrollando le spalle nell’avvicinarsi al cancello principale di palazzo assieme all’amico.

“Questa sì che sarebbe una novità. Se anche il nuovo re passasse un solo giorno al Parlamento, durante tutto il suo regno, sarebbe molto di più rispetto al tempo passato da Giorgio IV assieme a Lord Wellington, o ai suoi predecessori” ghignò in risposta Samuel, assentendo.

“Verissimo” assentì Max.

“Cambiando argomento, …conti di partecipare alla caccia di sabato prossimo, quella organizzata da lord Brunswick? So che le gemelle MacLaurie parteciperanno” lo informò Samuel, sorridendo speranzoso.

Max sorrise divertito per tutta risposta.

Samuel aveva molti pregi ma, se c’era una cosa in cui difettava, era il suo amore smodato per il genere femminile.

I suoi affetti erano più vacui della nebbia mattutina su un lago di montagna, e duravano lo stesso tempo. Un breve battito di ciglia.

Negli anni, la cosa non era affatto migliorata, e il fatto che ora puntasse a una delle due titolate gemelle, non era un buon affare.

Per quanto il nome dei MacLaurie fosse altisonante, Max sapeva bene quanto la loro famiglia vivesse ben al di sopra delle loro possibilità finanziarie.

Se Samuel si fosse invischiato troppo con una delle due, avrebbe rischiato di dover ricorrere a un matrimonio riparatore, e tutte le spese a esso connesse… debiti familiari compresi.

Ma era difficile far capire all’amico quando si ingannava sui suoi sentimenti, questo ormai lo sapeva più che bene.

Ne aveva avuto ampie riprove, nel corso della loro lunga e divertente amicizia.

“No. Torniamo temporaneamente a York, perché mia nonna paterna non si è sentita bene” replicò Max, tornando alle parole dell’amico e sorprendendolo col suo dire.

“Whilelmina? La mia zia Mina? E quando contavi di dirmelo, amico mio?” esalò Samuel, impallidendo leggermente.

L’amico di Max aveva perso prematuramente la madre, pochi anni dopo la sua nascita, e aveva sempre considerato Whilelmina una sorta di madre putativa.

Ogni qualvolta Samuel si era presentato a Green Manor, la nonna di Max si era sempre presa particolare cura di lui e, negli anni, il loro rapporto si era approfondito moltissimo.

Non faceva specie che, ora, Samuel fosse in ansia per lei.

“Sì, scusami. Avrei dovuto saperlo, che avresti voluto conoscere le sue condizioni salute. Se ti va, puoi tornare con noi per vederla” dichiarò spiacente Max, sorridendogli.

“Considerami tuo ospite. Non appena tornerò a casa, preparerò i bagagli e mi presenterò dinanzi a casa tua, domattina” assentì Samuel, determinato. “Al diavolo la caccia. Manderò un messaggio a Bartemius per rifiutare il suo invito. Zia Whilelmina è più importante.”

Max sorrise, a quelle parole e, dentro di sé, sperò che la presenza di Samuel potesse essere un aiuto in più, per la nonna.

Sapeva benissimo che cominciava ad avvicinarsi a un’età pericolosa e che, i ripetuti aborti avuti in gioventù, ne avevano minato la salute, ma sperava fosse solo un falso allarme.

Non voleva doverne piangere la prematura scomparsa.

Inoltre, questo avrebbe tenuto Samuel lontano dalle gonne delle gemelle MacLaurie, a tutto vantaggio dell’amico e della sua famiglia.







Note: ripartiamo con Max e le sue avventure, in uno scenario che ci vede con la morte del re a fare da corollario e la malattia di Whilelmina a preoccuparli principalmente.
Vi anticipo subito che non c'è da preoccuparsi, così non state in ansia fino alla settimana prossima.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
 
2.
 
 
  
 
I cancelli di Green Manor si aprirono dinanzi alla berlina del conte, seguita a breve da due cavalcature, su cui erano issati Max e il suo amico Samuel, oltre alla carrozza con i domestici.

Sulla porta d’ingresso, ritto e imperturbabile, William attese che il mezzo si fermasse, prima di raggiungerlo per aiutare la sorella a discenderne.

Aperta la porta, allungò una mano a Kathleen, esordendo: “Ben tornati. Com’è andato il viaggio?”

“Tutto bene, grazie. Mamma come sta?” domandò subito la donna, scendendo con l’aiuto del fratellastro.

“Molto meglio. Anzi, mi ha sgridato per avervi avvisati del suo mancamento” sorrise sereno William.

Christofer, che aveva ascoltato i due dialogare mentre scendeva sul lato opposto, aggirò la berlina con lo stemma di famiglia stampigliato sulle portiere e asserì: “Mia madre sottostimerà sempre le sue condizioni, pur di non fare preoccupare nessuno. Hai fatto bene a chiamarci, William, stai tranquillo.”

Stringendo la mano al cognato, lui replicò: “Oh, non sono preoccupato per i suoi rimbrotti. Vogliono solo dire che sta meglio, ed era quello che mi auguravo.”

Sulla porta d’ingresso fece la sua comparsa un giovanotto sui diciassette anni, il figlio secondogenito di William e Bridget che, nel vedere gli zii, sorrise spontaneamente e si avvicinò loro.

Kathleen lo abbracciò sentitamente e, nel sorridergli, disse: “Julian, che bello rivederti! Non sapevo che fossi tornato da Aberdeen. Com’è andato il tuo apprendistato al cantiere dei Bradbury?”

“Benissimo, zia. Sono tornato solo da un paio di giorni, in effetti, anche per comunicare ai miei genitori la mia decisione di partire per raggiungere Lord Lucius a New York, ma… beh, nonna Whilelmina ha la precedenza.”

La notizia sorprese non poco Kathleen che, nell’osservare il viso imperscrutabile di Wiliam, comprese subito di non doverne parlare in quel momento.

“Mi parlerai ampiamente dei tuoi progetti più tardi. Ora, però, accompagnami a trovare la nonna, va bene?”

Il giovane assentì e, mentre Max e Samuel si accodavano alla coppia, Christofer rimase indietro assieme al cognato.

Mentre la servitù si apprestava a scaricare bagagli e altro dai carri, e i domestici rientravano in villa per riprendere le loro mansioni all’interno di Green Manor, il conte mormorò: “Cos’è questa storia?”

“E’ nuova anche per me. Quando mi disse, un paio di anni fa, di voler imparare a costruire navi, non mi sembrò una brutta idea. Avevo notato quanto poco gli interessasse la direzione dei fondi della tenuta, ma Julian non si era mai lamentato in tal senso. In tutta onestà, non è mai stato molto loquace. Non come sua sorella, per esempio” asserì William, accennando alla primogenita di diciotto anni.

Christofer sorrise spontaneamente, nel pensare a Deanna.

In effetti, la ragazza aveva una favella che poteva far concorrenza solo a quella di Alexander Chadwick, il marito della sua Lizzie.

Non era una caso, infatti, se Alexander richiedeva sempre la sua presenza, quando giungevano lì in visita.

Si divertivano un mondo, quei due, a parlottare tra di loro.

“Deanna sembra apprezzare la vita nella tenuta, e il suo fidanzato è una brava persona. Sono sicuro che, quando ne avrete bisogno, vi saprà dare una mano” asserì a quel punto il conte, vedendo il cognato assentire.

“Sì, Deanna è naturalmente portata per l’economia e la gestione delle risorse umane e John, oltre a essere un giovane educato, apprezza e sostiene le attività della fidanzata, oltre ad aiutarla in molte questioni finanziarie. Quasi non devo più occuparmi dei libri contabili, grazie a loro. Quando Julian mi disse di voler provare, quindi, accettai. Non dubitai neppure per un attimo da dove gli fosse giunta l’imbeccata…” ironizzò poi William, entrando in villa. “… visto che Violet è un’appassionata, e Julian ha passato un sacco di tempo con lei, negli ultimi anni.”

Curioso, Christofer disse: “Questa mi giunge nuova. Passo davvero troppo tempo fuori casa, se mi perdo queste chicche.”

William rise di quel commento.

“Non lagnarti. Io ci ho messo sei mesi, per scoprirlo. Julian ha un talento infallibile per tenermi nascoste le cose. Forse, si vergognava di trovare interessante la compagnia di una donna, chissà. E’ un’età così strana, la sua.”

“Tutto è possibile. Comunque, Violet ha trovato in Julian un adepto fedele e sincero, a quanto pare, e immagino sia stata sua l’idea di consultare il padre di Lucius, visto che collaborano da un paio d’anni per lo sviluppo di quei nuovi clipper.”

Violet si era imbarazza a morte, quando aveva saputo che Lucius – suo carissimo amico e cugino dei Chadwick – aveva mostrato alcuni suoi schizzi al padre.

Andrew, però, l’aveva incoraggiata ad accettare l’invito che lord Bradbury le aveva rivolto e, per esserle d’appoggio, l’aveva accompagnata in prima persona al cantiere navale.

Le critiche entusiastiche dell’uomo l’avevano letteralmente strabiliata e, quando erano tornati alla villa di Alexander e Lizzie, Violet ancora sorrideva come una bambina il giorno di Natale.

Da quel momento, lord Bradbury l’aveva messa alla prova con richieste ai limiti dell’assurdo, ma Violet vi si era gettata a capofitto con una sicurezza che nessuno aveva mai visto in lei.

Se non quando si era battuta per il diritto di amare Andrew, ovviamente.

Anthony, ogni tanto, tremava ancora al pensiero della figlia, sola nella notte, con l’unica compagnia del suo cavallo, ma ormai era quasi certo che una simile follia non si sarebbe più ripetuta.

A costo di mettere un garzone, notte e giorno, a controllare le stalle.

“Violet ha una mente diabolica non meno del padre, solo che è stemperata dalla sua infinita dolcezza e dall’innata delicatezza femminile” dichiarò William, inchinandosi divertito quando vide comparire quest’ultima da un salottino.

“Parlavate di me?” sorrise la giovane donna, avvicinandosi per abbracciare il suocero. “Ben arrivati. Fortunatamente, il peggio è passato.”

“Cosa le è successo?” si informò il conte, offrendole il braccio per salire la scalinata verso i piani alti.

William si scusò con loro, dovendo raggiungere il capo maggiordomo per un’urgente incombenza e Christofer, nel salutarlo, tornò subito dopo con lo sguardo alla nuora.

Violet risplendeva come sempre, ma Christofer sapeva bene che parte di quella bellezza quasi ultraterrena dipendeva dal primogenito in arrivo.

“Il dottore ha detto che si è trattato di un piccolo collasso. Ora, ha imposto a Whilelmina riposo assoluto e una dieta molto leggera, ma non so se lei la seguirà. Dice di sentirsi in gabbia e di odiare il pesce a priori” lo mise al corrente Violet, sorridendo comprensiva.

“Oh, la seguirà, poco ma sicuro” dichiarò Christofer, determinato.

Andrew giunse di corsa dalle scale superiori proprio in quel momento e, dopo aver salutato il padre, fissò la moglie e borbotto: “Qualcuno ha dimenticato che non dovrebbe essere in piedi, a quest’ora del giorno?”

Il conte fissò il suo erede col dubbio nello sguardo, prima di lanciare un’occhiata curiosa alla nuora che, a sorpresa, arrossì.

“Ero venuto a cercarti in camera, e invece scopro che sei in giro a chiacchierare con mio padre” aggiunse Andrew, grattandosi nervosamente una guancia.

“Hanno imposto anche a te delle restrizioni, cara?” esalò Christofer, non sapendo se ridere o preoccuparsi.

Andrew gli sembrava ragionevolmente in ansia, ma non fuori controllo, perciò…

Annuendo suo malgrado, Violet sorrise spiacente al marito, che si rabbonì un poco e, risalendo le scale con Andrew e Christofer, affermò: “Ho avuto un piccolo… problema, e il dottore mi ha messa a riposo.”

“Beh, terrai compagnia a mia madre, allora. Così, vi lagnerete assieme della vostra prigionia e della cattiveria dei vostri carcerieri” ironizzò il conte, battendole affettuosamente una mano sul braccio.

Lei gli sorrise teneramente, replicando: “Oh, lo so che Andrew e il dottore hanno ragione, ma volevo assolutamente sgranchirmi le gambe. Per questo, tu e William mi avete trovata in giro.”

“La prossima volta dimmelo, e ti accompagnerò io” sottolineò Andrew, standole al fianco.

“Hai i tuoi doveri da svolgere, caro, e non voglio disturbarti ogni qualvolta desidero passeggiare un poco” brontolò per contro Violet.

“E’ mio dovere essere a tua completa disposizione, inoltre devo…” iniziò col dire Andrew, prima di bloccarsi, sorridere e aggiungere spiacente: “Ci ricasco ancora, ogni tanto. Scusa. E’ ovvio che puoi fare come credi ma, se lo desideri, ti accompagnerò. Altrimenti, dillo alla tua cameriera. O al tuo attendente. Ma non andare in giro da sola.”

La moglie gli sorrise divertita, replicando: “Come se in questo palazzo fossi da sola… Andrew…”

“Giusto. Verissimo. Ma mi sentirei più tranquillo.”

“Lo chiederò a Mr Lloyd, allora” acconsentì Violet, menzionando il suo attendente, da poco entrato a far parte della servitù di palazzo.

Andrew lo aveva scelto dopo attentissimi e pressanti colloqui, e solo su consiglio dei suoi amici più fidati, a cui si era rivolto per avvicinare unicamente le persone più giuste.

Alla fine di mesi e mesi di colloqui, Frank Lloyd, di origine gallese e stabilitosi a York quattro anni addietro, era risultato il migliore sulla piazza.

Cresciuto in una lontana fattoria del Galles assieme ad altri sette fratelli, aveva dovuto lottare con le unghie e con i denti per raggiungere l’adolescenza.

In quelle terre impervie e povere, i bambini erano merce rara, poiché la mortalità infantile era elevatissima.

Una volta superato lo scoglio apparentemente più difficile, Frank si era intestardito nel voler imparare a leggere e a scrivere, e non solo coltivare l’arida terra gallese.

I suoi genitori, pur oberati di lavoro con la fattoria, e bisognosi dell’aiuto di tutti i figli sopravvissuti – quattro in totale – avevano accondisceso a che lui studiasse con il pastore della diocesi locale.

Frank aveva perciò diviso le sue giornate tra gli impegni alla fattoria, e quelli in canonica, dimostrando indubbie qualità intellettive.

Il pastore Edwards, che si era occupato della sua istruzione, lo aveva perciò spinto a entrare in seminato, se non altro per affrontare studi più impegnativi, e che valessero la sua intelligenza.

A vent’anni, ne era uscito con un’indubbia cultura, oltre a un enorme desiderio di darsi da fare per ripagare l’impegno del suo pastore e dei genitori, che gli avevano permesso di non lavorare in fattoria.

Così, Frank si era trasferito a York per lavorare nel locale lanificio e, nel frattempo, aveva atteso il momento propizio per un impiego più congeniale al suo intelletto.

La voce di un possibile lavoro presso gli Spencer gli era giunta come manna dal cielo e, sfoderato il suo abito migliore e tutta la sua speranza di riuscire, si era presentato a palazzo.

Quando aveva conosciuto la donna per cui, forse, avrebbe dovuto lavorare, ne era rimasto impressionato, confermando tra sé le voci sulla bellezza della futura contessa Spencer.

Questo, però, non lo aveva messo a disagio, e neppure si era sentito intimidito dall’autentico terzo grado portato avanti dal marito, lord Andrew Spencer, erede del titolo e di Green Manor.

Frank non aveva mai chiesto perché, alla fine, lord Spencer lo avesse scelto ma, da quel momento in poi, per lui si erano aperte le porte di un futuro migliore.

Per lui, e per la sua famiglia.

Discendendo le scale con la sua postura eretta, le larghe spalle ben evidenti sotto la giacca scura, Frank sopraggiunse con un sorriso sul viso e, profondendosi in un inchino, mormorò: “Lord Spencer, bentornato. Vostra madre stava giusto chiedendo di voi.”

“Mr Lloyd, buongiorno. Penso la raggiungerò, allora. A dopo, ragazzi” dichiarò Christofer, allontanandosi e dando una pacca sul braccio al figlio.

“Giusto voi, Frank. Legate un cappio alla caviglia di mia moglie, o dei sonagli, perché non desidero più vederla in giro da sola per il palazzo. Avete carta bianca, scegliete pure il metodo a voi più congeniale, ma non perdetela di vista” asserì Andrew, facendo ridere Violet e sgranare gli occhi all’attendente.

“Con tutto dovuto il rispetto, milord, ma non mi permetterei mai di trattare lady Violet come un cagnolino” esalò Frank, vagamente sgomento.

Andrew, allora, gli sorrise, diede una pacca sulla spalla all’uomo e, nel lanciare un’occhiata intensa alla moglie, aggiunse: “Non costringerò quest’uomo a legarti, mia cara, ma tu sii così cortese da avvisarlo, quando vuoi gironzolare per casa.”

“Lo farò. E ora vattene, o i poveri ospiti che hai lasciato nel tuo studio, faranno la muffa” lo redarguì bonaria Violet. “Io e Mr Lloyd faremo una passeggiata in giardino.”

“Non più di un’ora” sottolineò Andrew, rivolgendosi a Frank.

“Così sarà fatto, milord” assentì l’uomo, guardandolo infine salire lungo le scale a grandi passi.

Violet sospirò e mormorò spiacente: “Lo farò ammattire, prima della fine di questa gravidanza.”

“Sono sicuro che lord Spencer resisterà solo per voi” la tranquillizzò l’uomo, offrendole il braccio per discendere le scale.

“Avrei preferito evitare di disturbare tutti, specialmente ora che Whilelmina non sta bene, ma… beh, si vede che era destino che non stessimo tranquilli e che combinassimo dei guai in coppia.”

“Posso suggerire, al posto di una passeggiata, una sosta al padiglione delle rose?” le domandò a quel punto Frank, estraendo dalla tasca interna della giacca un piccolo libro in brossura. “Ho giusto trovato questo libretto, in biblioteca, e penso potrebbe piacervi.”

Incuriosita, Violet sbirciò il titolo del piccolo penny dreadful e, sorridendo divertita, esalò: “Oh, voi sapete come prendermi, Frank. Il Corsaro Nero e la Nave fantasma. Una storia di mare e di orrore. Dove lo avete scovato?”

“Penso lo abbia acquistato lady Elizabeth, perché me lo ha consigliato lei… accennando neanche troppo velatamente al fatto che avrebbe potuto…”

“… ammansirmi?” ipotizzò Violet, ammiccando.

“Qualcosa del genere” ammise l’uomo, scrollando appena le spalle.

“Purtroppo, mia cognata mi conosce benissimo” sorrise suo malgrado Violet, afferrando il piccolo libretto per curiosarne alcune pagine.

“Ho pensato che il padiglione delle rose fosse il posto migliore per leggerlo, visto che è un luogo fresco, e le panchine di metallo sono più comode di quelle lungo la passeggiata del giardino inglese” le spiegò Frank, sorridendo affabile.

Sorridendo sghemba, Violet asserì ammirata: “Siete qui da pochi mesi, e già conoscete i miei gusti. Andrew ha davvero visto giusto, nell’offrirvi questo lavoro. Spero solo di non essere una compagnia tediosa, per voi.”

“Tutt’altro, milady. Anzi, posso dire di aver imparato molte cose, grazie a voi” scosse il capo l’uomo, aprendo la porta principale per uscire e recarsi in giardino.

Il sole li abbracciò con il suo calore e Violet, nel sorridere all’attendente, dichiarò: “Solo per questo, vi siete guadagnato un encomio, Frank.”

Lui si limitò a ridere e, con passi attenti, la accompagnò lungo le scale fino al padiglione, dove il profumo delle rose in boccio si allargò intorno a loro come un abbraccio.

Violet si accomodò soddisfatta sulla panchina all’ombra del percolato e lì, aperto il libretto, iniziò a leggere con voce sommessa per rendere partecipe anche Frank delle avventure del Corsaro Nero.
 
***

Seduto su un morbido cuscino ai piedi della dormeuse dov’era accomodata Whilelmina, Samuel le sorrise come un cucciolo fedele, mormorando: “Zia Mina, non provare mai più a spaventarmi a questo modo. Devi curarti e pensare alla tua salute, è chiaro?”

La donna, sorridendo al giovane, gli carezzò la chioma ribelle e bionda, asserendo per contro: “Sei un caro ragazzo, ma devi pensare che ho più di settant’anni, ed è normale che abbia qualche acciacco.”

“L’età non conta, zia Mina. Tu sarai sempre splendida, per me” le ritorse contro il giovane, facendo spallucce.

Christofer rise sommessamente, a quel commento e, nel carezzare una spalla della madre, dichiarò: “Con questi complimenti, non morirai mai, maman.”

“Bastasse questo!” rise a sua volta Whilelmina, mentre Georgiana sorrideva all’amica.

Kathleen ammiccò al patrigno, lord Bastian Conroy, e mormorò: “Direi che anche la mamma non morirà mai. Sembra sempre più giovane.”

Bastian le batté una mano sul braccio, asserendo: “Porta bene i suoi anni… e io porto bene i miei, grazie a lei.”

La figliastra gli sorrise con affetto ma, quando la porta del salottino si aprì, tutti si azzittirono per osservare l’entrata in scena di Lizzie e il suo branco.

Rose era in testa al gruppo, splendida nel suo abito di batista azzurro mentre, alle sue spalle, i gemellini Serenity e Arthur si tenevano per mano e avanzavano come militari in marcia.

Dietro di loro, soddisfatta e con i capelli leggermente in disordine, fece infine la sua apparizione Elizabeth e, poco dietro di lei, il marito Alexander.

“Lizzie cara, cos’è mai successo ai tuoi capelli?” sorrise Kathleen, curiosa.

“Sono lieta di trovarvi tutti qui, visto che devo mostrarvi una cosa…” sorrise la giovane, dandosi un colpetto con le dita ad alcuni riccioli ribelli.  “… giusto la mia acconciatura, maman, di cui dovete ringraziare Rose. Non sono bellissimi, così?”

Rose lanciò un autentico sorriso estasiato alla madre e tutti, nessuno escluso, si esibirono in apprezzamenti e complimenti alla bambina.

Non del tutto convinta, però, fu Serenity che, nel lanciare l’ennesima occhiata alla madre, borbottò: “Pende da una parte.”

“Poco importa, tesoro. La crocchia l’ha fatta Rose, perciò va bene” replicò bonaria Lizzie, dando un buffetto sulla testa alla figlia minore.

“I capelli di mamma sono molto sottili, e la crocchia si disfa” sospirò a quel punto Rose, cominciando ad avere dei dubbi sulla sua opera. “Devo guardare bene come fa Lorelai.”

Tutti sorrisero di fronte alla sua determinazione e Samuel, nell’avvicinarsi alla bambina, le baciò una mano asserendo: “Con mani simili, piccola Rose, saprai incantare tutti… e riuscirai anche a domare i capelli meravigliosi di tua madre. Ne sono sicuro.”

Rose arrossì di piacere, a quel commento e Alexander, nel lanciare un’occhiata storta al giovane, disse: “Se non sapessi che è troppo piccola per te, mi preoccuperesti, Sam.”

“Non devi temere nulla da me, Alexander” sorrise malizioso il giovane, prima di lanciare un’occhiata a Max. “Se non vuoi tardare, sarà il caso che noi andiamo, ora.”

“Il comizio, è vero!” esclamò il giovane, balzando in piedi prima di piegarsi verso la nonna, baciarle una guancia e asserire: “Oggi parla Sebastian Builder, e vorrei davvero esserci. E’ uno statista incredibilmente avanti con i tempi.”

“Se avessi saputo che l’ammiravi così tanto, avrei organizzato un incontro con lui” intervenne a quel punto Alexander, sorprendendo il cognato.

Lo conosci?” esalò il giovane, allargandosi in un sorriso.

Alexander lo guardò con aria di sufficienza, come a voler mettere in dubbio le sue doti intellettive dopodiché, serafico, asserì: “Io e Sebastian ci conosciamo benissimo. Di sicuro, sarà lieto di conoscere qualcuno che lo apprezza a questo modo. Vedrò di mettermi in contatto con lui per un incontro, va bene?”

“Alexander, ti adoro. Sapevo che mi piacevi per un motivo” sorrise eccitato Max, prima di notare l’occhiataccia della sorella. “Ehm… che c’è?”

“Scusa, forse non ho capito bene. Tu apprezzi mio marito solo per i suoi agganci?” borbottò Lizzie, piazzando le mani sui fianchi con aria inquisitoria.

“Ah… ma no, Lizzie… che vai a pensare…” ridacchiò Max, afferrando Samuel per un braccio prima di avviarsi verso la porta per uscire. “… Alexander è adorabile per un sacco di buoni motivi…”

“Vorrei ben sperarlo, razza di fifone che non sei altro!” esclamò Elizabeth nell’osservare il fratellino e l’amico scappare a gambe levate dalla stanza.

Tutti risero di quella ritirata strategica e Whilelmina, nel battere una mano su quella del figlio maggiore, asserì: “Forse, con queste risate e questa compagnia, non morirò davvero mai.”

Christofer le sorrise e, nel darle un bacio sulla guancia, sperò di non dover patire un’ansia simile a quella che l’aveva preso durante tutto il viaggio di ritorno, ancora per lungo tempo.

Sapeva che, prima o poi, sarebbe giunto l’inevitabile incontro con la Nera Signora, ma pregò ardentemente che avvenisse il più tardi possibile.






Note: come preannunciato, Whilelmina ha solo avuto un piccolo mancamento e, nonostante tutto, ora sta meglio. Questo consente a tutta la famiglia riunita di essere più serena e dedicarsi alle attività solite. Violet dovrà stare attenta a non esagerare con gli sforzi - coadiuvata dal suo attendente, Frank - la famiglia si prenderà cura di Mina e, per Sam e Max, si aprono le porte per nuove avventure in ambito sociale. Vedremo cosa ne verrà fuori...
C'è stato anche il tempo per scoprire come sono cresciuti i figli di William, e come abbiano intenzione di portare avanti il loro futuro.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
3.
 
 

 
 
Se non fosse stato per l’argomento, tutt’altro che divertente, sarebbe stato uno spasso ammirare gli azzimati nobiluomini di York di passaggio nella piazza centrale della città.

I loro sguardi disgustati, così come le loro espressioni inorridite, facevano da contraltare alla rabbia giustificata del popolo.

Era sempre più frequente, ormai, trovare comizi a ogni angolo di strada, così come operai in sciopero o uomini a braccia incrociate di fronte ai magazzini ove lavoravano.

Da quando i Combination Acts erano passati anche alla Camera dei Lord, divenendo legge dello Stato, il mondo si era quasi ribaltato, per le classi altolocate inglesi.

Non che ai nuovi ricchi andasse meglio, visto che erano le principali vittime - per così dire - degli scioperi.

Era infatti raro che le servitù presso i palazzi dei nobili titolati, si mettessero nettamente contro i loro padroni di una vita.

Molti di loro, infatti, erano nati nelle stesse case in cui avevano prestato servizio.

Quanto agli operai, invece, era fatto assai più comune… e temuto.

Non presso i lanifici Whitmore di York, comunque.

Da quel che Max sapeva – essendo i terreni degli stabilimenti di proprietà degli Spencer – l’attuale proprietario non aveva avuto problemi simili, da quando vi si era stabilito.

Personalmente, non aveva mai incontrato Ferdinand Whitmore ma, da quel che gli aveva detto il padre, sapeva del suo naso per gli affari e della sua attenzione per i particolari.

Anche Myriam e sua madre si erano dichiarate sorprese quando, durante una loro visita – al fine di essere d’aiuto con eventuali feriti – avevano trovato tutto in ordine e sì, pulito.

Visti i precedenti proprietari, che Christofer aveva cacciato a intervalli regolari di due anni – il termine minimo di ogni contratto – ciò aveva sorpreso tutti.

Nessuno di loro sapeva se la causa di un tale ordine fosse da imputare al senso d’onore dell’uomo, o a mero calcolo finanziario, ma tant’era.

I dipendenti dei lanifici Whitmore conducevano una vita al di sopra degli standard dell’epoca, e nessuno sembrava avere lagnanze riguardanti il titolare.

Quando l’ultimo oratore fu sceso dal palco, e le persone iniziarono a disperdersi dalla piazza, Samuel riportò al presente Max e, stiracchiandosi, disse: “Beh, se non altro, questi ultimi sapevano parlare decentemente.”

Max gli sorrise bonario, replicando: “Non tutti possono contare su un grado di studio pari al nostro.”

“Non intendevo dire questo…” sottolineò per contro Samuel, dandogli di gomito. “… quanto, piuttosto, al senso delle loro parole. So benissimo da solo che la stragrande maggioranza di loro non sa né leggere né scrivere.”

“Il che è deplorevole per partito preso” sbuffò Max, avviandosi con calma verso la propria cavalcatura.

“Verissimo, amico mio, ma mi pare che voi Spencer, negli orfanotrofi che avete aperto, stiate facendo la differenza, no?” gli rammentò Samuel, sorridendogli.

“E’ ancora troppo poco, Sam” sospirò il giovane, prima di aggrottare la fronte e borbottare: “Ma che diavolo…?”

Samuel perse di colpo il suo sorriso, nel notare l’ansia sul volto dell’amico e,  seguendone lo sguardo, si accigliò immediatamente e sbottò: “Ma come si permettono!?”

A pochi passi da loro, circondate da tre uomini ben vestiti e a cavallo dei loro destrieri, due fanciulle stavano tentando invano di sfuggire alle attenzioni indesiderate del trio.

Avanzando a spron battuto, seguito a ruota da Samuel, Maximilian si fermò a un passo dalla cavalcatura più vicina e, con tono lapidario quanto gelido, ringhiò: “Lord Pennington, vi prego di scostarvi. State importunando le signorine, con la vostra fastidiosa quanto inopportuna presenza.”

Nell’avvertire una voce alle sue spalle, l’uomo interpellato sorrise al giovane Spencer con aria strafottente ed esclamò: “Oh, ma guarda chi si vede! Il figlioletto di Harford! Non avevo dubbi che saresti venuto ad ascoltare i tuoi sudici amici lustrascarpe!”

Gli altri due uomini risero di quella che, agli occhi di Pennington, avrebbe dovuto essere una battuta, ma che non fece sorridere affatto Max, o Samuel.

Senza dare adito di averlo udito, Maximilian scansò il fianco del cavallo con una gomitata e, oltrepassato quel muro animale, raggiunse infine le due giovani.

Ciò fatto, sorrise brevemente loro e si pose infine tra le fanciulle e i cavalieri, fissandoli con espressione di sfida.

Trattenendo il cavallo indispettito per le redini, Charles Pennington sollevò il frustino per calarlo sul viso di Max, ma Samuel lo bloccò prima che lo toccasse, ringhiando: “Non pensateci neppure, lord Pennington. Non se volete tornare a casa integro.”

“Ha parlato il principino… fate la voce grossa soltanto perché vostro padre è più ricco di Creso, ma non pensate mai di essere migliore di me, per questo” sbottò Pennington, ritirando la mano prima di lanciare un’occhiata sdegnosa a Spencer e, infine, andarsene con i suoi colleghi.

Samuel e Max rimasero in silenzio finché non si furono allontanati, i loro corpi a proteggere le due donzelle da eventuali nuovi tentativi di approccio.

Quando si ritennero soddisfatti, infine, i due si volsero per controllare le condizioni delle ragazze e, sorridendo, Maximilian si esibì in un frivolo inchino, asserendo: “Ed ecco a voi la stupidità maschile, mie signore. Spero non vi siate spaventate troppo.”

“Il vostro tempestivo intervento, ha scongiurato questo pericolo” esordì la più piccola delle due, sorridendo ampiamente e ammiccando coi profondi occhi azzurro cielo.

“Lieti di essere stati d’aiuto, milady…” intervenne allora Samuel, inchinandosi a sua volta.

“Oh… nessuna lady. Non siamo nobili di nascita” sottolineò timidamente la seconda, ben più alta della prima, arrossendo leggermente.

La compagna la fulminò per un attimo con lo sguardo, ma fu lesta ad aggiungere: “Siamo le umili figlie di Ferdinand Whitmore, …forse lo conoscete.”

Max sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa e, assentendo, dichiarò: “Oh, conosco molto bene vostro padre, miss Whitmore, quanto meno di nome, oltre che di fama. Mio padre è in affari con lui. Sono Maximilian Gregory Spencer, lieto di fare finalmente la vostra conoscenza.”

“E’ un onore conoscervi, lord Spencer. Io sono Cynthia, e questa è mia sorella Sophie” asserì la ragazza minuta, esibendosi in una riverenza prima di sorridere a Samuel e aggiungere: “E voi, figlio di Creso?”

Il giovane Westwood scoppiò a ridere, a quel commento e, ammiccando divertito, asserì: “Non ascoltate le panzane di lord Pennington. Io sono Samuel Westwood, molto piacere miss Cynthia e miss Sophie Withmore.”

Sophie si esibì in una riverenza più compita e mormorò un ringraziamento mentre Cynthia, più spregiudicata, dichiarò: “Non so cosa avremmo fatto, senza il vostro fortunoso intervento. E io che pensavo che, qui a York, avremmo trovato compagnia più educata di quella londinese…”

“Non giudicate la nostra ridente cittadina a causa di pochi esemplari” la pregò Max, offrendo galantemente il braccio a Sophie, mentre Samuel si era già premurato di offrirlo a Cynthia. “Non siamo tutti così scelleratamente idioti.”

Cynthia si esibì in un risolino mentre Sophie, limitandosi a un sorriso contenuto, mormorò in risposta: “Sono sicura che Cynthia non intendeva parlare di voi, milord.”

“Oh, no di certo” assentì convinta la sorella, tributando a Samuel un sorriso estasiato.

“Credo che dovremmo fare loro da cavalieri fino al raggiungimento della casa delle gentili fanciulle. Che ne dici, Max? Non sia mai che incontrino ancora qualche scaltro perdigiorno, pronto a guastare la loro giornata” propose a quel punto Samuel, del tutto perso nello sguardo ceruleo di Cynthia.

Tra sé, il giovane Spencer si domandò fuggevolmente se non fosse il caso di strappare Samuel dal braccio dell’affascinante figlia di Whitmore ma, non volendo essere cafone, si limitò a dire: “Naturalmente, amico mio. Mi sembra il minimo.”

Sophie sgranò leggermente gli occhi, di un curioso color azzurro che spaziava verso il color argento e, lanciata un’occhiata al proprio cavaliere, esalò: “Oh, ma… non dovete affatto disturbarvi! Davvero. Io e Cynthia siamo assolutamente certe che non verremo più disturbate da quei cavalieri. Né da nessun altro, se è per questo.”

Ancora, Cynthia lanciò un’occhiata disgustata alla sorella, ma si ritenne in dovere di dire: “Credo che mia sorella abbia ragione. Non penso che quei nobiluomini abbiano ancora memoria di noi, dopotutto.”

“Dissento totalmente” sbottò gentilmente Samuel, scuotendo il capo. “Conoscendo di quale risma siano quegli uomini, che sono tutt’altro che nobili, se non per il sangue che scorre nelle loro vene, mi ritengo in dovere di scortarvi. Maximilian?”

“Naturalmente. Non me la sento di fidarmi appieno della cricca di lord Pennington, perciò vi scorteremo. Avete una carrozza da raggiungere, o siete venute a piedi?”

“Sophie ama camminare” sottolineò Cynthia con un sorrisino tutto fossette.

Max sorrise a una imbarazzatissima Sophie e, ammiccando, mormorò: “Andreste d’accordo con mia sorella maggiore, Elizabeth. Lei ama cavalcare tanto quanto ama passeggiare per la brughiera scozzese.”

Prima ancora che Sophie potesse aprire bocca, Cynthia se ne uscì con una battuta, asserendo: “Personalmente, credo che sia controproducente, per una ragazza, camminare troppo, e troppo spesso. Si rischia di prendere il sole e, Dio non voglia, di mettere su più muscoli di una cameriera, oltre a delle improponibili efelidi sul naso!”

Ciò detto, sorrise simpaticamente alla sorella, che si limitò a un sorriso comprensivo – come se fosse abituata a certe battute – mentre Samuel, ridendo spassosamente, esalò: “Allora, la mia abbronzatura vi sembrerà offensiva, miss Whitmore.”

“Niente affatto, lord Westwood. Voi siete un uomo. Potete abbronzarvi e, anzi, prediligo gli uomini con un po’ di colore sulle gote, perché danno l’idea di non essere rimasti per anni con il naso nei libri, o chiusi dentro un palazzo, senza mai vedere la luce.”

“Molto bene, non rientro nel genere da voi descritto” sottolineò Samuel, facendo ridere sommessamente la sua accompagnatrice.

Maximilian scosse debolmente il capo, già presagendo una prossima cotta dell’amico ma, ciò che lo sorprese, fu Sophie, che sospirò e scosse a sua volta la testa di neri capelli, coperti da una cuffietta di pizzo bianco.

Rallentando un poco l’andatura per concedersi un po’ di privacy dal cicaleggio della coppia che li precedeva sul marciapiede, Max mormorò: “Qualcosa non va, miss Sophie?”

“Oh, no, niente affatto, milord, solo… beh…” replicò la giovane, non sapendo bene come esprimersi.

“Dite pure. Penso di avere le spalle abbastanza robuste per sopportare quasi qualsiasi cosa” si premurò di dirle Max, sorridendole. “Efelidi sul naso comprese.”

Sophie si toccò il proprio, dove Maximilian aveva notato le tanto incriminate efelidi, personalmente trovandole deliziose, sul viso di una ragazza.

Arrossendo un poco, sorrise e mormorò: “Mi preoccupo per il vostro amico. Cynthia tende a essere molto espansiva, come avrete sicuramente notato ma, ben di rado, concede veramente tutta se stessa, ai propri interlocutori. Non mi fraintendete, è una cara ragazza, ma ama essere al centro dell’attenzione, e non vorrei che il vostro amico scambiasse le sue… civetterie per qualcosa che non c’è.”

“Ne terrò debito conto, grazie. E non vi turbate, non penso che vostra sorella sia cattiva. Conosco altre damigelle con altrettanta verve, e non sono affatto cattive ragazze” la rincuorò Max, pensando con un sorriso alla briosa sorella e alle sorelline di Violet.

Sarah e Lorainne erano brio puro, soprattutto se paragonate alla pacata e tranquilla Violet.

Ricordava ancora quando, tre anni addietro, lo avevano perseguitato per settimane, cercando inutilmente di baciarlo per puro dispetto.

A nulla erano valsi i richiami dei genitori; quelle due piccole pesti lo avevano ricorso per tutta la casa della sorella, ad Aberdeen.

E tutto perché Violet si era fidanzata con Andrew.

Dopo aver attraversato il ponte sul fiume Ouse, che divideva in due la cittadina di York, Sophie mormorò: “Ecco, casa nostra è quel palazzo a quattro piani, in mattoni rossi. Potete anche lasciarci qui, davvero. Siamo al sicuro, ora.”

Maximilian si chiese curiosamente come mai Sophie fosse così ansiosa di sbarazzarsi di loro, ma non dovette impiegare molto per scoprirlo.

Incurante della dolce richiesta di Sophie, Samuel tirò diritto, scortando fino alla porta d’ingresso del palazzo la frizzante Cynthia, che sembrava decisa a non lasciarlo andare.

Lì, la giovane prese nella mano destra il battiporta a forma di testa di leone, dopodiché batté un paio di volte contro il portone in quercia.

Neppure tre secondi dopo, un domestico in livrea aprì la porta e, con un inchino, mormorò ossequioso: “Signorina Cynthia, bentornata. Signorina Sophie… siete state accompagnate? Va tutto bene?”

Cynthia sorrise al premuroso e anziano maggiordomo e, poggiandogli una mano sull’avambraccio, asserì: “Non temete, William, questi due nobili signori sono stati così gentili da scortarci fino a casa proprio per evitare che potesse capitarci qualcosa.”

Il volto raggrinzito dell’uomo si rasserenò immediatamente e, nello scostarsi per permettere loro di entrare, dichiarò calorosamente: “Vi ringrazio sentitamente. Mi si spezzerebbe il cuore se succedesse qualcosa alle mie padroncine.”

Sophie lo tributò di un sorriso e uno sguardo carichi di affetto, e così pure Cynthia ma, a interrompere quel momento di tranquillità, pensò una donna sopraggiunta dalle scale principali.

Giungendo quasi trafelata e col volto cinereo quanto preoccupato, la donna si fermò sull’ultimo gradino della scala, osservando William come se attendesse il suo arrivo.

Subito, il maggiordomo la raggiunse e lei, afferrando il suo braccio come se ne andasse della sua vita, esalò: “Oh, cielo, grazie, William! Cosa farei se non ci foste voi?”

“Sempre al vostro servizio, Mrs Whitmore” mormorò l’uomo, accennando un movimento col capo.

La donna si fece scortare dal quartetto e, in quei brevi passi, ammirò con attenzione i due baldi giovani al fianco delle figlie, soppesandoli e apprezzando ciò che vide.

Sfiorandosi poi la fronte col dorso della mano, neanche fosse in procinto di svenire, la donna esordì dicendo: “Scusate se mi vedete così in ansia ma, per un attimo, ho temuto il peggio, quando ho scorto per puro caso le mie figliole giungere accompagnate fino a casa. Vedendovi sane e salve, però, posso tirare un sospiro di sollievo.”

Cynthia fissò la madre con aperta riprovazione e, sorridendo a Samuel, asserì con ironia: “Nostra madre tende sempre a preoccuparsi per noi, come se avessimo ancora cinque anni. Perdonatela. E’ molto apprensiva.”

“Con due figliole così belle, sfido qualsiasi madre a non essere preoccupata almeno un poco” dichiarò baldanzosamente Samuel, sorridendo affascinante a Mrs Whitmore, che si lasciò andare a un sorriso modesto.
Nascosta dalla figura di Samuel, Sophie mormorò: “Per l’appunto…”

Maximilian sorrise appena a quel commento sussurrato e, mentre osservava l’esibizione di Cynthia, contrapposta alle paure della madre, notò come Sophie, invece, trovasse tutto ciò assai esasperante.

Insofferente di fronte a quello spettacolo, osservò spiacente Maximilian e mormorò: “Mi spiace… non ho potuto mettervi in guardia anche da mia madre. Lei e Cynthia si accapigliano spesso, perché hanno idee diametralmente agli antipodi.”

“Ho… notato” si limitò a dire Max, trattenendosi a stento dal ridere.

Non voleva in alcun modo mettere in imbarazzo Sophie.

“L’una vorrebbe molte più libertà di quanto, la seconda, vorrebbe concederle, e questo scatena ansie in quest’ultima, e arrabbiature in mia sorella” sospirò Sophie, come se quello spettacolo fosse all’ordine del giorno.

La danza di civetterie di Cynthia si protrasse a lungo, tanto che Sophie e Max ebbero tutto il tempo di allontanarsi dal quartetto senza essere minimamente notati.

Affacciandosi a una delle finestre che davano sulla strada, Sophie osservò da lontano madre e sorella e mormorò: “E dire che mio padre l’ha redarguita spesse volte. Pare non si renda conto di apparire sciocca, comportandosi così.”

“Mr Whitmore trova che vostra sorella sia un po’… frivola, se mi passate il termine?” indagò cortesemente Max, dubbioso.

Sophie si esibì in uno dei suoi rari sorrisi, smentendo le paure di Maximilian almeno in parte.

“Non fraintendetemi, lord Spencer… mio padre è un uomo molto impegnato a fare il tutto e per tutto, così da dare ogni comodità e agio alla famiglia ma, a causa di questo, è spesso assente da casa. Beh, questo alimenta le ansie di mia madre, quando lui non c’è, perché ha paura di non essere in grado di affrontare due figlie come noi.”

“Così belle da dare ansie alla propria madre” citò Maximilian, vedendola sorridere di nuovo nell’annuire.

“Spesso e volentieri, è solita avere anche dei crolli depressivi, quando mia sorella esagera, perciò non me la sento proprio di dirle qualcosa… anche quando non v’è motivo di essere preoccupati” mormorò Sophie, sorridendo con affetto all’indirizzo della madre.

“Vostra sorella, dunque, soffre la mancanza del padre? Per questo è così esuberante?”

“Cynthia è… Cynthia” tentennò Sophie, non sapendo bene come rispondere.

Preferendo non indagare oltre per non mettere in imbarazzo la ragazza, Max le domandò: “Posso chiedervi se siete state interrotte durante le vostre compere? Forse, potrei offrirmi di accompagnarvi domani, in giro per negozi, per sopperire alla vostra spiacevole avventura.”

Sophie lo guardò con un leggero rossore alle gote e, lappandosi le labbra nervosamente, mormorò: “Beh, ecco… non so se… sicuramente, avrete impegni più pressanti e interessanti, piuttosto che accompagnare due ragazze in giro per negozi o per biblioteche.”

“In questi giorni, mia sorella si trova a Green Manor, e ha dichiarato di voler visitare la biblioteca in cui si è sempre rifornita da ragazzina. Sareste un’ottima compagnia per entrambi, se voleste unirvi a noi. E, naturalmente, vostra sorella sarebbe invitata a sua volta” le propose Maximilian, inventandosi lì per lì una scusa.

In realtà, Elizabeth aveva già una libreria fornitissima, a casa, ma era certo che, chiedendole quel favore, l’avrebbe accontentato volentieri.

Anzi, forse, avrebbe riso fino a scoppiare, sapendo che v’era di mezzo una fanciulla, nel favore che stava per chiederle.

“Beh, se la mettete così, sarei onorata di accompagnare vostra sorella” sussurrò Sophie, arrossendo ancor di più sotto lo sguardo speranzoso di Max.

Volgendo poi lo sguardo in direzione della madre e della sorella, Sophie disse con tono un po’ più sicuro: “Cynthia, lord Spencer ci ha invitate a unirci a sua sorella per una visita per negozi, domani.”

Samuel sorrise grato all’amico e Cynthia, letteralmente raggiante, esalò: “Oh, sarà un autentico piacere, tener compagnia a lady Chadwick. Grazie, lord Spencer. Naturalmente, vi unirete a noi, vero, lord Westwood?”

“Dovessi giungere in ginocchio, miss Whitmore, ma sarò presente” le promise Samuel.

Adelaide Whitmore, la madre delle due ragazze, sgranò gli occhi nel sentir nominare gli Spencer e, guardando sorpresa Maximilian, esalò: “Oh, caro… siete il figlio minore di lord Spencer, per caso?”

“Sì, Mrs Whitmore. Se non erro, voi avete conosciuto mio fratello maggiore, Andrew.”

“Oh, sì, che caro ragazzo. E con una moglie davvero stupenda! So che attendono un figlio. Mi sono ripromessa di regalare a lady Spencer un intero assortimento di sete cinesi, non appena sarà madre, così potrà far confezionare dei nuovissimi abiti per il pargolo” sorrise la donna, già eccitata al solo pensiero.

“Sono sicuro che Violet apprezzerà moltissimo” asserì per pura cortesia Max, preferendo non accennare al fatto che l’amica andava d’accordo con la moda tanto quanto cane e gatto si amavano.
 
***

Sorseggiando del buon Porto, seduti comodamente nel salottino della musica, Max sorrise a Samuel, impegnato ad ascoltare suonare Elizabeth, e chiosò: “Perché ho l’impressione che, da domani, saremo sempre a York?”

Imperturbabile, il giovane si sistemò una ciocca dei morbidi capelli biondi e replicò con una flemma olimpica: “Non so di cosa tu stia parlando.”

Lizzie ammiccò all’indirizzo dell’amico di famiglia e lui, per tutta risposta, rise sommessamente.

Alexander, a quel punto, seduto accanto a Lizzie sullo sgabello del pianoforte, intervenne per un’interpretazione a quattro mani e mormorò: “Cosa non vi siete detti, voi due?”

Procedendo in quella interpretazione perfetta di un brano di Chopin, Elizabeth sorrise melliflua al marito e replicò: “Io e Sam? Ma assolutamente nulla, caro.”

“Posso trovare interessanti anch’io i pettegolezzi, sai? Ogni tanto, con una cadenza non più che mensile, ma talvolta li apprezzo a mia volta” sottolineò il marito, sorridendole furbo.

Lizzie, allora, si appoggiò col capo alla spalla del marito, sempre continuando a suonare e, dolcemente, disse: “Samuel, sii così cortese e parla anche in presenza di Alexander. Terrà la bocca chiusa, promesso.”

“Come desideri, Elizabeth. So che mi posso fidare del tuo discernimento” dichiarò a quel punto Samuel, facendo sgranare gli occhi a Max e ridere Alexander.

“Cioè, no, scusa… perché te l’ha detto Lizzie, ora hai intenzione di parlare di ciò che abbiamo fatto oggi?” esalò Maximilian, fissando l’amico con aria esterrefatta.

Non c’erano davvero speranze, per lui, se ogni donna che vedeva aveva un simile effetto sul suo intelletto.

Senza minimamente scomporsi, Samuel asserì: “Max, dovresti sapere che, quando io ed Elizabeth ci troviamo, spettegoliamo su tutto. Non dovrebbe essere una novità, per te.”

In effetti, questo era vero.

Le rare volte in cui i due si incrociavano, defilavano per un paio d’ore almeno e, ogni volta, Lizzie si faceva raccontare le ultime storie di Londra e dintorni.

Tendenzialmente, sua sorella non era una donna che si occupava molto delle dicerie di corridoio ma, quando vedeva Samuel, scattava in lei questa vena pettegola, e non c’era verso di fermarla.

Quanto poi desse credito alle storie raccontate da Samuel, non era dato sapere, ma tant’era.

Sospirando, Max scosse perciò il capo e borbottò esasperato: “Hai lo stesso autocontrollo di un criceto, quando ricevi ordini da una donna.”

“Non lo nego. Mi piace renderle felici, sempre e comunque” assentì Samuel, sorridendo spontaneamente a Lizzie.

Alexander fece finta di niente – sapeva che non doveva temere nulla da entrambi – e la donna, scrollando leggermente le spalle, celiò: “Non prendertela con Samuel, Max. Lui è solo un adorabile dandy dal cuore generoso e tenerissimo.”

“Vero. Fin troppo generoso, a volte” sospirò Max, pur sorridendo alla sorella.

Era purtroppo una verità assodata; Samuel sapeva essere sciocco e vanesio, quando c’era di mezzo una donna da accontentare nei suoi vezzi, ma Max gli voleva bene lo stesso.

Non avrebbe potuto trovare in tutto il regno un amico altrettanto fidato, su questo ne era sicuro.

Samuel si sarebbe gettato nel fuoco, per lui, o avrebbe preso una pallottola al suo posto, se l’occasione l’avesse richiesto.

Lui era così. Generoso nei sentimenti in maniera fin troppo eccessiva.

Maximilian gli stava così addosso proprio per questo; non voleva che qualcuno si approfittasse della sua ingenuità.

Con un sorriso, perciò, ascoltò il racconto dell’amico e parlò delle due giovani che avevano salvato quel pomeriggio.

Elizabeth assentì per tutto il tempo, si dichiarò disgustata da Pennington al pari di Alexander e, quando sentirono parlare di Mrs Withmore, entrambi sorrisero.

“Non ho avuto il piacere di incontrarla, onestamente, ma so da fonti certe che è una donna assai carina. Un po’ ansiosa, forse, ma molto educata e simpatica.”

“Concordo con te, Elizabeth. L’ho trovata anche molto ospitale e cortese. Niente affatto spiacevole. Sarà un piacere approfondire l'amicizia con la famiglia Withmore” aggiunse Samuel, assentendo.

Maximilian sorrise, di fronte all’entusiasmo manifesto dell’amico ma, dopotutto, anche lui voleva rivedere Sophie e conoscerla meglio.

Che male c’era ad ammetterlo, almeno tra sé e sé? 







Note: facciamo finalmente la conoscenza di due nuovi personaggi; Cynthia e Sophie. Samuel e Max sembrano interessati a conoscerle e se, da una parte, Cynthia sembra altrettanto interessata ad approfondire la cosa, Sophie è più restia a lasciarsi andare.
Che succederà? E, soprattutto, riuscirà Max a tenere Sam fuori dai guai?

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
4.
 
 
 
 
Elizabeth stava sistemandosi il bonnet in seta azzurra sotto lo sguardo ammirato del marito quando, un colpetto alla porta, annunciò l’arrivo di Max.

Alexander andò ad aprire, seguito a ruota da Rose, che teneva per mano il fratellino Arthur e la sorellina Serenity.

“Ciao, zio!” esclamarono in coro i tre, ricevendo per diretta conseguenza un sorriso e un bacio da Max.

Alexander sorrise a sua volta e, nel lasciar entrare il cognato, asserì: “Sei sicuro di voler andare a York con Lizzie da solo? Posso darti una mano, sai?”

“So che sei impegnato con Andrew e papà, perciò accompagnerò volentieri mia sorella in città, non preoccuparti” scosse il capo il giovane, sorridendo alla sorella quando ella si allontanò dalla toeletta, già pronta per partire.

L’abito che aveva scelto le donava molto, facendo risaltare la sua pelle eburnea e i bellissimi capelli biondo castani.

Le gravidanze non l’avevano affatto segnata, rendendola solo un poco più morbida in viso.

Max trovava che fosse splendida.

Schioccando un bacetto ai figli, Lizzie ne depositò uno più serio al marito, dopodiché disse: “Mamma ha detto che penserà ai bambini, ma fai in modo che non la facciano impazzire. E’ già molto impegnata con la nonna, e non vorrei si stancasse troppo.”

“Pensa solo a divertirti e, se trovi qualcosa di interessante per me, portami un regalo” replicò lui, ammiccando divertito.

Lizzie storse il naso, ma rispose al sorriso, borbottando: “Peggio di un bambino.”

“Porterai qualcosa anche a noi, maman?” domandò Rose, sfiorando ammirata l’abito della madre.

Elizabeth le sorrise, annuendo con solennità e la bimba, soddisfatta, disse ai fratellini: “Andiamo a giocare senza litigare così, quando nonna verrà a prenderci, sarà contenta.”

Arthur e Serenity annuirono dopo un ultimo sguardo a mamma e papà e Max, divertito, esalò: “Rose diventerà una donna davvero di polso.”

“Sono molto orgogliosa di lei” sorrise Lizzie, avviandosi verso la porta assieme al fratellino.

Nel richiudersela alle spalle, però, sospirò e si passò una mano sul cuore, esalando: “Non hai idea di quanto abbia spinto, Alexander, perché io uscissi senza i bambini.”

“Sei diventata una mamma chioccia, Lizzie?” ironizzò Max, offrendole il braccio.

Pur storcendo la bocca, borbottò: “Purtroppo, sì. Sono consapevole che possono resistere senza di me, ma sono io ad avere qualche difficoltà ad accettarlo. Mi irrito da sola con me stessa, per questo. Mi trovo molto sciocca, a volte.”

“Non farlo. I bambini ti adorano, ma vogliono molto bene anche al loro papà e agli altri membri della famiglia. Non sono viziati come certi marmocchi di mia conoscenza” la rincuorò Max, prima di bussare alla porta degli appartamenti del fratello e della cognata.

Dopo alcuni attimi, venne ad aprire Andrew, ancora in maniche di camicia e calzoni e, curioso, domandò: “Ehi, ciao, ragazzi. Avevate bisogno?”

“Volevo salutare Lettie e sapere se vuole qualcosa da York” gli spiegò Max, mentre il fratello apriva meglio il battente per mostrare l’interno della stanza.

Violet era stesa a letto, con le gambe sollevate da un paio di cuscini, tutta intenta a leggere un tomo enorme e, all’apparenza, piuttosto antico.

Con ironia, Andrew asserì: “Come vedi, è molto assorta. Ho trovato un modo infallibile per tenerla a letto le ore necessarie, come prescritto dal medico.”

“E cioè?” domandò curiosa Lizzie, salutando con un cenno della mano la cognata, che rispose sorridendo.

“Libri dedicati a Horatio Nelson. Mio marito mi ha davvero gabbata” ironizzò Lettie, chiudendo per un attimo il testo. “Dove andate di bello?”

“Compere qua e là, e un salto alla biblioteca. Desideri qualcosa che non parli di barche e sestanti?” domandò Lizzie, ironica.

“Uhm… Barbablu” disse a sorpresa Violet, sorprendendo tutti.

Andrew rabbrividì al solo pensiero e, scuotendo il capo, esalò: “Tesoro, con tutto il rispetto, ma la storia di un uxoricida non è proprio il massimo, per una donna incinta.”

Persino Elizabeth si mostrò piuttosto perplessa da quella scelta e Max, titubante, mormorò dubbioso: “Lettie, sai che ti voglio bene ma, in tutta onestà, non ti regalerei mai un libro simile.”

“Oh, ma insomma… voglio un po’ di tragedie e di sangue…” brontolò per contro la giovane, passandosi una mano sul ventre leggermente arrotondato.

“La mia sposina violenta” ironizzò Andrew, sospirando. “Che ne dici di qualche dramma germanico? I Nibelunghi, forse?”

Lettie parve pensarci attentamente, prima di assentire con tono rassegnato.

“E va bene, vada per Sigfrido… in fondo, non ho letto tutte le storie di quella saga.”

“Molto bene. E Nibelunghi siano” assentì in fretta Max, preferendo evitare che Lettie cambiasse idea.

Aveva strane voglie, da quando era rimasta incinta, ma avrebbe scoperchiato anche una chiesa, se questo l’avesse resa felice.

Dopo averla salutata con l’impegno di trovarle un libro perfetto per i suoi gusti, i fratelli si diressero dabbasso ed Elizabeth, con un sopracciglio levato per la sorpresa, esalò: “Da lei, non me l’aspettavo. Deve avere davvero voglia di sangue.”

“Spero, non quello di Andrew” gracchiò Max, ansioso.

“Oh, a volte capita. Almeno una volta o due, durante la gravidanza, gli istinti omicidi nei confronti dei mariti, sono naturali” lo rincuorò lei, sorridendo divertita. “Se la gravidanza è difficile, possono diventare anche di più, le occasioni per avere sete di sangue. Ma non pensavo che proprio Lettie avrebbe richiesto un libro simile.”

“Sarà bene che Andrew la coccoli molto, nei prossimi mesi” sospirò Max, terrorizzato all’idea di quello che avrebbe potuto fare la dolce, tenera Lettie, se si fosse lasciata andare ai suoi più bassi istinti.

Forse, si sarebbe limitata a un morso – dopotutto, Violet era buona ed educata – ma tutto poteva essere.

Non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire affrontare una gravidanza dall’inizio alla fine, e le esperienze indirette con Lizzie non erano esaustive.

Inoltre, le sue avventure con le donne si riducevano a pochi, rari flirt e null’altro di cui valesse la pena di parlare.

Davvero ben poco, per capire come si comportasse la mente di una donna gestante.

A ogni buon conto, si fidava di suo fratello, così come di Lettie, perciò sperò di ritrovarli ancora tutti interi, al loro rientro.

Non appena ebbero raggiunto l’atrio, e William li ebbe salutati prima di scortare il suo futuro sostituto verso i piani superiori, Max si avviò assieme alla sorella verso la carrozza che li attendeva.

Samuel era già salito e, quando li vide, li salutò cordialmente, complimentandosi con Lizzie per la sua eleganza sopraffina.

Lei, per tutta risposta, disse: “Samuel, se mettessi un po’ di sale in zucca, saresti un uomo da sposare anche subito.”

Max scoppiò a ridere di gusto – sua sorella non c’era mai andata per il sottile, con le uscite – e Samuel, per nulla offeso, affermò: “Lo dice anche mio padre, e mia nonna dispera che possa salvarmi da me stesso, per questo è felicissima della mia amicizia con Max, perché lui mi tiene fuori dai guai.”

Ciò detto, sorrise grato all’amico che, non sapendo come replicare, si limitò a dire al cocchiere di partire.

A volte, di fronte all’aperta consapevolezza di Samuel dei propri limiti, Max non sapeva come reagire.
 
***
 
Samuel e Cynthia stavano chiacchierando amabilmente dinanzi a una libreria colma di tomi che, nessuno dei due, stava minimamente curiosando con lo sguardo.

La loro attenzione verteva l’uno sull’altra, e così era stato fin da quando la carrozza degli Spencer si era fermata dinanzi alla casa dei Withmore.

Adelaide aveva augurato loro una buona giornata in giro per negozi e, nel rientrare con il fido maggiordomo al fianco, aveva lanciato loro un ultimo sguardo preoccupato.

Elizabeth, allora, aveva preso la parola per meglio conoscere le due ragazze e, quando si erano fermati dalla modista, aveva approfittato della loro presenza per dei consigli pratici.

Il tutto si era svolto nella più totale serenità e, anche se alcune nobildonne avevano beatamente snobbato le giovani Withmore, Lizzie era stata così elegante da non farlo notare alle due ragazze.

Max aveva trovato quel comportamento davvero assurdo – come se, da un titolo nobiliare, potessero dipendere le virtù delle persone – e Samuel era stato più che d’accordo con lui.

A un certo punto, nel sentire una battuta più venefica dell’accettabile, aveva anche adocchiato il gruppo di pettegole per chiedere vendetta, ma Max l’aveva fermato.

Era inutile discutere con persone del genere, perché avrebbero solo ottenuto pettegolezzi gratuiti e battute ancor più crudeli.

La biblioteca era parsa una buona soluzione per evitare altri incontri sgradevoli e, a ben vedere, le cose erano migliorate molto, una volta entrati.

Se si escludeva il fatto che Samuel aveva praticamente monopolizzato Cynthia… e il contrario.

Lizzie restava sempre nelle loro vicinanze, un po’ per sopperire alla mancanza di uno chaperon per le due ospiti, un po’ per controllare Samuel.

Max, da par suo, non aveva bisogno di simili accorgimenti, perché sapeva bene come comportarsi con una donna che non era sua parente.

Anche se, a ben vedere, avrebbe voluto avere un po’ della sfacciataggine dell’amico, in quell’occasione.

Gliene diede comunque la possibilità Sophie, pur se indirettamente.

Seguendola in silenzio come un fido cavaliere, la osservò mentre sfiorava con reverenziale timore le spalline di pelle dei libri, scrutandone i titoli con apprezzamento.

Un paio di volte ne prese in mano uno per sfogliarlo, trovando il pieno plauso – quanto silenzioso – di Maximilian.

Gli piacevano le sue scelte, anche se non comprendeva bene se fosse il caso di dirglielo oppure no.

Non aveva mai avuto la favella del cognato, se non durante i comizi a cui era solito partecipare, e le Stagioni a Londra lo avevano visto solo come tappezzeria e poco altro.

Non si era mai posto il problema di trovarsi una moglie, poiché Lizzie e Andrew erano già sposati, e i pargoli non mancavano, in famiglia.

Certo, l’erede di Andrew non era ancora nato, ma nessuno si preoccupava realmente della discendenza, quanto piuttosto che Violet stesse bene.

Quanto a lui, suo padre aveva accennato alla cosa solo in modo divertito, complice soprattutto il suo passato burrascoso e la decisione ferrea di non pesare a quel modo sui figli.

Sua madre, invece, si era preoccupata non poche volte, e aveva tentato di capire il perché delle sue ritrosie nel trovarsi una donna.

A Max era spiaciuto non darle una motivazione valida, e se n’era uscito semplicemente con un ‘non ho ancora trovato la donna che mi farà fare una follia.’

Non era certo che quella spiegazione fosse piaciuta alla madre, ma non erano più entrati in argomento.

Alla fin fine, però, era vero. Se c’era una cosa che invidiava ai fratelli, erano i loro compagni di vita.

Lizzie si era cacciata in un guaio colossale, pur di non lasciare Alexander da solo, e Andrew si era quasi autodistrutto, pur di non far soffrire Violet.

Tutto era andato a finire bene per entrambi, e lui non poteva che essere felice per loro, ma ammetteva di bramare sentimenti altrettanto forti, per se stesso.

Fino a quel momento, però, non aveva ancora ricevuto una grazia simile.

“Vostra sorella deve volere molto bene a lord Westwood” mormorò a sorpresa Sophie, scuotendo Max dal torpore in cui era caduto.

Seguendo con curiosità lo sguardo della ragazza, Maximilian assentì, replicando: “Tende a essere molto protettiva, sì.”

“Ne riconosco i sintomi” sorrise contrita Sophie, poggiando il libro sui miti arturiani ove l’aveva trovato.

“Voi, con vostra sorella?” intuì Max, vedendola accentuare il suo sorriso acqua e sapone.

Se era vero che Cynthia risultava appariscente e bellissima, anche grazie al viso sapientemente imbellettato e alla sua verve naturale, Max era più colpito dal fascino discreto di Sophie.

Non era molto ciarliera ma colpiva nel segno con semplici, brevi frasi, e i suoi occhi chiari, a metà strada tra l’azzurro e il grigio, sapevano parlare come pochi.

“Forse mi preoccupo troppo, ma ho sempre il timore che possa rimanere colpita dalla persona sbagliata, e lei è così bella che attira naturalmente gli sguardi maschili” spiegò Sophie, arrossendo leggermente nel dirlo. “Inoltre, temo che la sua avventatezza possa far soffrire anche mia madre, e così…”

“Le volete bene, perciò vi preoccupate per lei. Lo trovo encomiabile, anche se correte gli stessi rischi, se posso osare l’ardire” ammise Max, accennando un sorriso.

Era sciocco, ma con lei poteva permettersi qualche sconvenienza in più, poiché non era una lady titolata.

Assurdo, persino triste da ammettere, ma poteva essere più sincero e onesto solo con chi non era della sua stessa estrazione sociale.

Sophie, comunque, parve non credergli perché sollevò una manina inguantata per mascherare una risatina.

Accigliandosi leggermente, Max allora borbottò: “Mi trovate divertente, miss Sophie?”

“Estremamente educato, credetemi, lord Spencer, e anche un tantino esagerato… ma sempre in modo molto galante” replicò Sophie, con tono leggermente ironico.

Oh, e così sapeva anche fare dello spirito.

Tutto molto interessante, tranne quando si era l’oggetto di quella delicata derisione.

Perché tutto si poteva dire di Sophie, tranne che non fosse delicata.

Era come se persino i suoi contorni fossero leggermente sfocati, come se non volesse rendersi ben visibile agli occhi del mondo.

Quasi preferisse passare inosservata, a dispetto della sorella che, invece, era appariscente quanto una rosa rossa in un cespuglio di rose bianche.

E forse, proprio perché Cynthia era così esuberante, Sophie tendeva a essere dimessa, persino timida.

Ma quanto c’era di vero, e quanto il suo comportamento era dettato soltanto dal voler apparire diversa dalla sorella?

Max non comprendeva bene il perché, ma l’idea di scoprirlo lo intrigava.

Quando, però, si riscoprì a essere l’oggetto della curiosità di Elizabeth, arrossì copiosamente.

Anche lei era intrigata, ma dubitava fortemente che lo fosse del libro che teneva tra le mani.
 
***

Kathleen Spencer era sempre stata fiera dei suoi figli, e così Christofer.

Erano sempre andati molto orgogliosi del loro spirito d’unione, dell’affiatamento che c’era tra di loro.

Quella sera, ritrovandosi nel salotto per una piacevole chiacchierata del dopo cena, però, lady Harford si chiese se qualcosa si fosse rotto, tra i suoi figli.

O meglio, se Max non avesse per qualche motivo in antipatia la sorella.

Per tutta la serata, Maximilian era stato sulle sue, ben più che restio a divulgare quanto successo nel pomeriggio.

Al contrario, Samuel era stato ciarliero come sempre e aveva intrattenuto Whilelmina con le sue chiacchiere per tutto il tempo.

Tempo che, invece, Max aveva passato a studiare neppure troppo educatamente il viso apparentemente angelico di Lizzie, seduta accanto al marito.

Ora, dopo un invito neanche troppo velato, Kathleen aveva richiamato all’ovile i figli per essere certa che tutto andasse bene.

Mentre Violet era accomodata accanto al marito, Alexander ed Elizabeth si stavano gingillando accanto al pianoforte, provando alcuni brani a quattro mani.

Max, invece, solitario e ancora un po’ accigliato, se ne stava su una poltrona nei pressi del camino spento con l’aria di uno che non vuole parlare.

Christofer rimase in religioso silenzio, osservando a momenti alterni la moglie e il figlio minore, indeciso se parlare per primo o lasciar fare a Kathleen.

Sapeva quanto la moglie fosse preoccupata per la sua vita sentimentale ma, come si era più volte ripromesso, non avrebbe mai ficcanasato più di quel tanto.

Fu Elizabeth, come al solito, a dare il la alla conversazione.

Mentre eseguiva perfettamente una scala, Lizzie asserì: “Lo sai, maman, che la curiosità uccise il gatto?”

“Senti da che pulpito, tesoro…” ironizzò Kathleen, sorridendo alla figlia, che ridacchiò. “… non sei forse tu che, alcuni anni addietro, ficcasti il naso dove non avresti dovuto, facendo sparare a tuo marito?”

“A onor del vero, non era ancora mio marito. E salvammo ventisette bambini” sottolineò Lizzie, ammiccando ad Alexander.

Andrew rise sommessamente, a quel commento, e replicò: “E ancora circolano storie su te e Alexander, tra i ragazzini dell’orfanotrofio, in cui ormai sei divenuta una Valchiria armata di lancia e spada, e il tuo prode marito è niente meno che Thor sceso in terra a seminare il panico con Mijollnir in pugno.”

A quel punto, Lizzie e Alexander risero di gusto e Christofer, nel sorridere divertito, assentì.

“Sì, questa l’ho sentita anch’io. Ma ne sapevo anche un’altra… se non erro, a un certo punto, entravano in scena anche le amazzoni. O erano i centauri?”

“Le amazzoni, caro” gli rammentò Kathleen, bonaria.

“La verità è sempre molto più banale delle mille congetture che una persona potrà mai inventarsi, senza sapere la realtà dei fatti” motteggiò a quel punto Elizabeth, tornando seria e lanciando un’occhiata significativa al fratello minore, che sospirò.

Violet, a quel punto, sorrise comprensiva all’amico e cognato, e aggiunse: “Siamo in famiglia, Max, e non penso che oggi sia successo nulla di così tragico da meritare un broncio simile.”

“Oh, il broncio è causa mia, Lettie” intervenne Lizzie con aria maliziosa. “Max pensa che la mia testolina stia correndo come un cavallo imbizzarrito, e che me ne esca con teorie complottistiche tra le più variegate.”

“Sei la solita pettegola, Lizzie” brontolò a quel punto Max, prendendo infine la parola.

Lei scrollò le spalle, accennò l’inizio di un brano di Chopin e replicò: “Solo perché mi piace chiarire le cose. Rimuginare serve a poco, fratellino, e ciò che non è successo oggi, non fa morire nessuno.”

Non è successo? In che senso, Lizzie?” esalò sorpreso Christofer.

La donna, allora, lanciò un’altra occhiata al fratello e quest’ultimo, con un sospiro, annuì.

Elizabeth, quindi, staccò le mani dal piano per riporle in grembo e, con naturalezza, disse: “Max ha semplicemente notato che miss Sophie Withmore è una ragazza affascinante quanto intelligente. Punto. Tutto qui.”

Kathleen fece tanto d’occhi per alcuni attimi, forse aspettandosi chissà che cosa, prima di esalare: “Oh, beh… sì, Sophie è molto carina, oltre che assai ben educata. Pensavo l’avessi già conosciuta, caro.”

“No, maman, non ne avevo avuto l’occasione, fino all’altro giorno” rispose Max, vagamente più tranquillo.

Erroneamente, aveva pensato che Lizzie si sarebbe sperticata nei commenti, millantando ipotesi che non esistevano, invece aveva esposto le cose in modo chiaro, semplice, conciso.

Niente affatto da lei.

“Beh, non mi sembra tutto questo dramma, ragazzo” sorrise a quel punto Christofer. “E’ giusto notare certe cose. Sono… salutari.

Rivolgendosi a Lizzie, Violet domandò: “Perché non la inviti qui a Green Manor? E’ un po’ di tempo che non chiacchiero con qualcuno di nuovo, e desidero davvero fare conoscenza con questa fanciulla.”

“Ha anche una sorella. Sarebbe scortese invitare l’una senza l’altra” fece notare Max.

“Oh, meglio ancora, allora” gli sorrise Violet, tutta contenta. “Non prendertela se siamo un po’ curiosi, Max. Vogliamo solo il tuo bene.”

“A te non irritavano le eccessive attenzioni di Andrew?” le ritorse bonariamente contro l’amico.

“Oh, beh… Andrew è un caso senza speranza…” ironizzò Violet, sorridendo poi al marito per addolcire il rimbrotto. “… ma noi non siamo così.”

“Che bello, essere preso come esempio negativo” celiò Andrew.

“Ti amo lo stesso, caro, anche con qualche difettuccio qua e là” ammiccò Lettie, dandogli una pacca sulla spalla.

“E’ confortante saperlo” esalò il marito, scuotendo bonariamente il capo.

Kathleen e Christofer sorrisero divertiti e Max, nel lanciare un’occhiata a Lizzie, si accorse che lei non stava affatto partecipando all’ilarità generale.

Scoprì solo più tardi il perché.

Dopo che tutti si furono ritirati per la notte, e Alexander decise di raggiungere la stanza dei bimbi, Elizabeth bloccò Max prima che sparisse verso le sue stanze.

Tra le ombre del corridoio, la sorella mormorò: “Scusami se ti sono sembrata un’impicciona, oggi pomeriggio. Non volevo metterti di malumore, ma…”

Scuotendo il capo, Max le sorrise e replicò: “Non devi scusarti, Lizzie. Sono io a essere stato prevenuto nei tuoi confronti. Sai come sono…”

“Sì, lo so. E tu non te la prendi mai con me, per una donna” assentì turbata Elizabeth, ansiosa come ben poche volte Max l’aveva vista.

Lappandosi le labbra, la sorella proseguì dicendo: “Non fraintendermi. Non penso che Sophie non sia una ragazza che possa – o debba – incuriosirti, è che mi sembri molto incuriosito da lei, se riesci a capirmi.”

“Ebbene, se anche fosse?” borbottò sospettoso Max.

“Ho dovuto cavare la verità con la forza, ad Andrew e Violet, e guarda cosa si è rischiato. Se mai avrai bisogno di parlare di qualcosa… o di qualcuno, puoi farlo con me. E anche con Andrew, o Lettie. Noi siamo qui per te, fratellino, anche se abbiamo le nostre famiglie, e ti può sembrare che siamo troppo impegnati in altro.”

“Lizzie…” esalò Max, contrito.

Possibile che la sorella si fosse resa conto della sua insana gelosia?

“Anche mamma e papà ascolterebbero volentieri, se tu volessi dire loro qualcosa. Non sono i parrucconi insensibili che certi nostri amici hanno come genitori.”

“Lo so” sorrise appena Max.

“Magari non succederà niente, e non è mai un male ammirare una bella donna e parlare con lei di qualcosa di più del tempo, o dei cappellini alla moda” ironizzò a quel punto Lizzie. “Però, se anche la cosa andasse più in là, vorrei che tu sapessi che, per una battuta, o un consiglio, la nostra porta è sempre aperta.”

Max non disse nulla, si limitò a stringere la sorella in un abbraccio quasi stritolante, cui però Elizabeth si prestò volentieri.

“Mi manchi, sorellona, davvero” mormorò contro la sua chioma profumata, lasciandosi andare per un istante ai ricordi.

Le loro galoppate sfrenate per le colline, i giochi da tavolo in cui lui e Lizzie battagliavano per la vittoria, i combattimenti goliardici in punta di fioretto con Andrew.

Sì, suo fratello e sua sorella si erano creati una vita, come era giusto che fosse, ma non lo avrebbero mai abbandonato.

Era stato sciocco a pensarlo, anche solo a temerlo.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
 
 
5.
 
 
 
 
 
Sono uscito con miss Cynthia per una gita a cavallo. Ho condotto con me Lorelai, la cameriera di Elizabeth, perché faccia da chaperon, così non combinerò guai. Non aspettatemi a cena. Penso desinerò a York.   Samuel
 

Max scrutò per diversi minuti il messaggio scritto in bella grafia dell’amico, non sapendo bene come reagire a esso.

Di per sé, non v’era nulla di sconveniente – Samuel aveva addirittura pensato a uno chaperon, il che era già una novità, per lui – soprattutto se si considerava lo status sociale della signorina in questione.

Per quanto fosse disgustoso ammetterlo, Samuel poteva comportarsi più o meno come voleva, con Cynthia, senza incorrere nel biasimo di nessuno.

Lei non era di nascita nobile e, pur se benestante – molto più di diverse famiglie nobili, tra l’altro – non sarebbe mai stata accettata dalla società come una compagna adatta all’amico.

Sarebbe stata vista come uno svago e nulla più ma, di certo, il Ton non avrebbe mai apprezzato un eventuale matrimonio tra loro.

Pur con tutte le fortune dei Withmore, o il nome altisonante della famiglia di Samuel, Cynthia non sarebbe mai stata accetta nell’alta società.

Era la triste, orribile verità.

Non che Max temesse questo, per l’amico e la giovane Withmore ma, in quei giorni, si era soffermato spesso a pensare a quali ingiustizie vi fossero, sul piano sociale.

Lui si era sempre interessato al divario sociale esistente tra coloro che lavoravano alla mercé delle famiglie nobiliari inglesi, più o meno meritevoli tale titolo, e questi ultimi.

La sua famiglia lo aveva fatto crescere con determinati valori, e questi erano sfociati nel suo impegno sociale sempre più assiduo.

Ma, in quegli ultimi giorni, la sua mente aveva spaziato anche su altri argomenti, e questo l’aveva sgomentato non poco.

Perché pensava all’ingiustizia serpeggiante che v’era nel neonato rapporto tra Samuel e Cynthia?

Era solo per loro due? O c’era dell’altro?

Deanna, primogenita di William e Bridget, lo colpì al fianco col gomito, mormorando: “Sei più pensieroso di un uomo che sta decidendo le sorti del mondo, cugino. Non vorrai che miss Sophie ti veda così accigliato?”

Riscuotendosi da quei pensieri, Max lanciò un sorriso di scuse alla cugina – che si era prestata per quell’uscita imprevista – e replicò: “Ero così ombroso?”

“Alquanto. Paul direbbe che eri più scuro di una giornata di pioggia a novembre” sorrise divertita la giovane, menzionando il fidanzato e futuro marito.

Sorridendo spontaneamente – Paul sapeva essere molto poetico, nelle sue esternazioni – Max asserì: “Ti chiedo venia, cugina. Non volevo apparire così ansioso. Solo, pensavo a Samuel e a quello che potrebbe combinare.”

Deanna levò verso l’alto i chiari occhi d’ambra, retaggio del padre, e ammise: “Quel ragazzo ha la testa ancora attaccata alle spalle solo grazie a Dio, sennò chissà dove l’avrebbe persa. Ma è così buono e gentile che non si può non affezionarsi a lui.”

“Temo tu lo abbia descritto alla perfezione” sospirò Max.

“E’ per questo che Lizzie ha istruito a dovere Lorelai, quando ha saputo della richiesta di Samuel” sorrise furba Deanna, facendo ridere il cugino.

“Cosa si è inventata, mia sorella?” esalò Max, facendo tanto d’occhi.

“Le ha detto di essere i suoi occhi e le sue orecchie, e di essere tanto discreta quanto attenta” gli spiegò Deanna, ammiccando comicamente.

“Samuel non ha speranza di passarla liscia, allora” ironizzò Max, un poco più tranquillo.

Deanna, però, lo gelò dicendo: “Sappi che anch’io ho ricevuto gli stessi ordini.”

Maximilian la fissò con un leggero pallore sulle gote e la cugina, scoppiando a ridere, gli batté affettuosamente una mano sul braccio, asserendo: “Stai tranquillo. Sono sicura che tu non avrai bisogno di essere tenuto d’occhio.”

“Lo spero” gracchiò il giovane, pur non sentendosi molto tranquillo, dopo quell’uscita.

Che stava combinando, Elizabeth? O c’erano di mezzo anche i loro genitori?
 
***

Avendo preferito le campagne alla caotica York, per una passeggiata in calesse, Max diresse i cavalli verso uno dei suoi stradelli preferiti, che costeggiava il fiume con dolci avvallamenti e lunghi rettilinei.

Sorridendo, Deanna disse: “Se osservate più in là, Sophie, potrete vedere i frutteti del terreno di mio padre.”

Assentendo, la giovane sgranò lentamente gli occhi, alla vista dei lunghi e perfetti filari e mormorò: “Sono sterminati. Cosa coltivate, di preciso?”

“Abbiamo mele e pere, ma stiamo provando anche a impiantare dei ciliegi. Sono varietà che provengono dalle Alpi Svizzere, e perciò sono abituate a temperature più rigide. Speriamo che, entro l’anno prossimo, abbiano attecchito correttamente” le spiegò Deanna, mentre Max guidava il calesse con competenza.

“Sarebbe possibile visitarlo? Ho sempre apprezzato tutto ciò che cresce e prospera” sorrise allegra Sophie, illuminando il suo viso di porcellana. “Mio padre è un ottimo imprenditore, ma obiettivamente trovo ben poco affascinanti gli interni di una fabbrica.”

“Non vedo problemi. Paul, il mio futuro marito, dovrebbe già essere alla tenuta per controllare come stanno le piante. Potremmo unirci a lui. Che ne dici, Max?”

“Tutto quello che le signore desiderano” assentì il giovane, scartando verso la tenuta dei Knight.

Anche lui aveva sempre apprezzato andarci, al pari dei fratelli perché, passeggiare in mezzo a quelle distese di piante dai frutti rigogliosi, lo rasserenava.

Non che camminare per i giardini di Green Manor non fosse corroborante, ma ogni tanto era bello scappare di casa e trovarsi comunque in un luogo ameno, protetto.

Durante la fioritura, inoltre, lo spettacolo era meraviglioso.

Era un vero peccato che, in quel momento, le piante fossero solo verdi, e non punteggiate di bianco e rosa.

Sophie lo avrebbe sicuramente…

Bloccandosi nel momento stesso in cui iniziò a concepire quel pensiero, Max lanciò uno sguardo di straforo alle due ragazze, che stavano amabilmente conversando.

Naturalmente, aveva pensato a una cosa del genere solo perché, essendo un gentiluomo, aveva a cuore il benessere delle donzelle che stava accompagnando.

Doveva assolutamente essere questo, il motivo.

Rincuorandosi un poco, dopo questa disamina veloce della situazione, fu grato al caso che, alla tenuta, vi fosse effettivamente presente Paul.

Apprezzava molto il fidanzato della cugina e, sicuramente, avere un uomo al fianco a fargli da spalla, sarebbe stato di estremo aiuto.

Anche perché, quella passeggiata apparentemente tranquilla, lo stava mandando nel panico più nero, e non ne capiva i motivi.

Quando finalmente bloccò i cavalli nei pressi della casa di campagna dei Knight, dove avrebbero abitato Paul e Deanna dopo il loro matrimonio, Max salutò il futuro cugino e aiutò le ragazze a scendere.

Un giovane alto e bruno si avvicinò loro con passo tranquillo e, dopo essersi inchinato formalmente a Sophie, salutò Deanna con un piccolo bacio sulla guancia.

“Sono lieto di vedervi. Avevate bisogno di me?” domandò poi Paul, rivolgendosi a Max.

“La nostra ospite, miss Sophie Withmore, apprezzerebbe vedere il frutteto, se non è un problema. Ne sai più di me, di piante e frutta” gli spiegò Max, scrollando le spalle.

Accennando un sorriso, il giovane replicò: “Ho imparato grazie a William. Comunque, vi farò volentieri da Cicerone. Stavo giusto per andare a controllare se i frutti avevano attecchito correttamente.”

Deanna prese subito sottobraccio Sophie e la accompagnò lungo il sentiero tra i filari, mentre Paul e Max le seguivano con calma.

Era divertente, nonostante il suo leggero panico, vedere Sophie e Deanna andare così d’accordo.

Sembrava quasi che, senza la presenza un po’ ingombrante della sorella, Sophie potesse respirare più agevolmente... e brillare di luce propria.

A volte, era difficile confrontarsi con fratelli così esuberanti, quando si aveva un carattere naturalmente docile e sottomesso.

“La signorina ti interessa in qualche modo?” gli domandò Paul a bassa voce, mentre le ragazze innanzi a loro chiacchieravano amabilmente.

“E’ una piacevole compagnia estiva” si limitò a dire Max.

“Withmore è il Withmore dei lanifici, per caso? Ho notato che non l’hai chiamata lady” domandò ancora Paul.
“Esattamente. Lo conosci?”

“So quello che mi ha detto mio fratello, e cioè che nelle sue fabbriche si lavora, e sodo anche, ma le condizioni sono buone e gli incidenti ridotti all’osso” gli spiegò Paul, vedendo Max annuire.

“E’ quello che so anche io, ma sentirlo confermare da un’altra fonte a parte la mia, mi fa piacere” asserì Max, lanciando un’occhiata di straforo a Sophie.

Sembrava particolarmente ammirata da alcuni rami ritorti di un melo. In effetti, sembravano delle dita scheletriche chiuse ad artiglio.

Chissà, forse era un’appassionata di racconti horror come Lizzie, e apprezzava ambientazioni particolari come quella.

“Le voci che circolano su quei lanifici sono, per la maggiore, positive, pur se si dice che il capo sia quanto mai severo e attento. Dicono che sia il primo ad arrivare in ufficio, e l’ultimo ad andarsene” gli raccontò Paul.

“Un indefesso lavoratore” annuì compiaciuto Max, trovando conferma delle parole di Sophie, circa le abitudini lavorative del padre.

Era dunque vero che, per le sue imprese, si impegnava anima e corpo, ma sembrava altrettanto vero che non lo facesse a discapito della sicurezza, o del benessere dei lavoratori.

Non poteva che plaudire un simile impegno anche se pareva che, per mantenere un tenore di vita soddisfacente per la famiglia, lui dovesse sacrificare molto del suo tempo.

Non era così arrogante da ritenersi in dovere di criticarlo, ma gli era parso che le sue donne sentissero la mancanza del capo famiglia.

“Oh, ma è bellissimo!” esclamò a un certo punto Sophie, strappando Max a quei pensieri.

Prima ancora di capire a cosa – o a chi – si stesse riferendo, Max la vide accucciarsi a terra per prendere in braccio un piccolo welsh corgi dal pelo dorato.

Candy, quasi sicuramente.

Deanna rise nel vedere la sua cagnolina riempire di baci la nuova arrivata.

Nuova arrivata che rise deliziata, accogliendo piena di gioia quelle attenzioni, che le fecero salire un caldo rossore alle gote.

I due uomini si avvicinarono alla coppia e Paul, sorridendo alla compagna, asserì: “Candy ha colpito ancora.”
“Sa istintivamente da chi può trovare coccole” assentì Deanna, carezzando la schiena morbida del cane.

“E’ una lei?” esalò Sophie, stringendosi il cagnolino al collo, prima di baciarlo. “Sei davvero stupenda, Candy! Dolcissima come il tuo nome.”

La cagnolina abbaiò un paio di volte, felice per quei complimenti e quelle coccole e Max, nel fare un grattino sulla nuca a Candy, domandò: “Avete un cane anche voi, miss Sophie? Non ne ho visti, in casa vostra.”

Sospirando, la giovane rimise a terra con rimpianto la corgi e, nell’osservare spiacente Max, mormorò: “Purtroppo, mia madre è allergica al pelo di cane, così non posso tenerne.”

“Siete naturalmente portata per averne, però” asserì Paul, schioccando poi un paio di volte la lingua.

Dopo pochi secondi, un setter irlandese, un pastone dei Pirenei e un altro corgi si avvicinarono al gruppo, giungendo quasi al trotto.

Sophie si illuminò alla sola vista e Max, nel lanciare un’occhiata grata a Paul, sussurrò: “Grazie.”

“E’ evidente che le piacciono. Perché non farla felice, dunque?” si limitò a mormorare il giovane, dando una pacca all’enorme pastore, che gli si strusciò accanto prima di avvicinare la nuova venuta.

Ridendo giocosamente, Sophie si prestò alle attenzioni dei cani con tutta se stessa e, ben presto, si tolse il cappellino e i guanti per essere più libera di giocare con loro.

Deanna la imitò e, invitando Sophie a seguirla verso il vicino stagno, si avviò assieme alla muta di cani in un’atmosfera di gioiosa allegria.

Paul e Max le seguirono a una certa distanza e quest’ultimo, nell’osservare come Sophie apparisse molto più libera e disinibita, asserì: “E’ proprio vero che non conosci mai abbastanza una persona.”

“Che intendi dire?”

“Se vedessi sua sorella, capiresti cosa intendo. Miss Cynthia ha un carattere spumeggiante e tende a prevaricarla, pur se non se ne rende neppure conto, credo” gli spiegò Max, mentre scrutava Sophie lanciare un bastone perché i cani glielo riportassero. “Lei, così, tende a chiudersi, come se il solo tentare di farsi a sua volta notare fosse un processo inutile, o deleterio.”

“Mentre ora, libera dall’ombra della sorella, si comporta in modo più spontaneo, a tuo modo di vedere?” gli domandò Paul.

“Credo di sì.”

“E tutto questo per dire che…” lo punzecchiò il giovane, sorridendo al quasi cugino.

Accigliandosi leggermente, Max borbottò: “Un bel niente. Era solo una constatazione.”

“Una constatazione. Certo. E, se non ti fosse importato nulla della signorina in questione, ti saresti diretto qui, piuttosto che fare una semplice gita per negozi, come qualsiasi altro giovanotto in vena di divertirsi?”

“Stai forse insinuando qualcosa, Paul?” gli ritorse contro Max, irrigidendosi un poco.

“Non sia mai, Maximilian. Non mi sognerei mai di insinuare che la ragazza possa in qualche modo interessarti. Sono a conoscenza della tua idiosincrasia nei confronti delle gentildonne in età da marito” ironizzò il giovane, dandogli una pacca sulla spalla.

Sbuffando leggermente, Max replicò: “Non è… idiosincrasia. E’ che, tendenzialmente, mi annoio molto alla svelta. Non è colpa mia se, le uniche donne interessanti che conosco sono, o già sposate, o ragazze che vedo solo come sorelle, oppure mia madre e mia sorella.”

“Sei cresciuto attorniato da canoni femminili troppo alti, e ora sei nei guai perché nessuna, al di fuori della cerchia delle tue conoscenze più strette, è all’altezza” assentì Paul, prima di lanciare un’occhiata significativa in direzione di Sophie. “O forse no.”

“Voglio sottolineare che la conosco appena, e che è piacevole dialogare con lei” si impuntò Max, arrossendo suo malgrado.

Paul, allora, rise sommessamente, annuì e disse: “Non ti sto mettendo in croce, amico mio. Sei libero di passare il tuo tempo come meglio credi ma penso che, rispetto alle altre donne con cui ti sei intrattenuto in passato, lei sia una bella novità.”

“Solo perché non è nobile?” sbottò Max, già sul chi vive.

“Voglio ricordarti che né io né Deanna, siamo nobili di nascita. Sarei davvero un ipocrita, a farti notare questo” asserì Paul, tornando serio. “La vostra famiglia è solo l’eccezione che conferma la regola secondo cui, di norma, i nobili sono dei boriosi perdigiorno senza un briciolo di assennatezza.”

“Verissimo” annuì Max, sospirando per calmarsi. “Quindi, cosa non avrei notato di così diverso dal solito?”

“E’ vero che lei non è nobile e, proprio per questo, tu ti senti più libero di passare del tempo con lei, senza l’assillo di famiglie interessate e fanciulle in cerca di una dote” gli fece notare Paul.

A ben vedere…

Sophie non l’aveva mai guardato con occhi languidi o maliziosi, e non aveva mai sbattuto il ventaglio in modo da lanciargli messaggi equivoci.

Certo, la conosceva da poco più di una decina di giorni, però si erano già visti quattro volte, e non era mai successo che lei si fosse lanciata in simili espedienti.

Non poteva parlare per Cynthia, che sembrava essere maestra nelle arti seduttive, ma Sophie non sembrava affatto così.

E lui si era ritrovato a parlare con lei di argomenti tutt’altro che consoni, per una chiacchierata con una nobildonna.

Quando mai, nei salotti bene di Londra, si era messo a discorrere di ferri di cavallo, o di problemi economici delle fasce più deboli della popolazione?

Eppure, non solo Sophie lo aveva ascoltato con interesse, ma aveva anche risposto con proprietà, senza mai cercare di svicolare da un argomento per passare a qualcosa di più leggero. O frivolo.

Certo, forse lo aveva fatto solo per cortesia – dubitava che Sophie fosse capace di essere sgarbata con chicchessia – ma aveva notato reale interesse in quei suoi occhi cangianti e bellissimi.

“Non è detto che finirà col piacerti davvero…” terminò di dire Paul, stringendogli una mano sulla spalla. “…ma credo che faccia bene a entrambi, avere una persona con cui passare una bella giornata in santa pace. Se è vero che sua sorella è così soffocante, anche per lei sarà piacevole passare del tempo con qualcuno che non la mette perennemente in ombra.”

“Sante verità” annuì solennemente Max. “Grazie, Paul. Mi hai schiarito un po’ le idee.”

“Sempre pronto a essere d’aiuto, se serve” si limitò a dire Paul. “Che ne dici? Andiamo a divertirci un po’ anche noi?”

“Molto volentieri” assentì Max, strappandosi dal collo il plastron per infilarselo nella tasca del panciotto.

Al diavolo la classe. Per giocare con dei cani in un bel prato fiorito, e con una compagnia divertente, non era necessario essere vestiti come durante un ballo.

Quando poi raggiunse Sophie e si mise a placcare l’enorme Sansone, il pastore dei Pirenei che controllava i confini della tenuta, Max le sorrise complice.

Per tutta risposta, Sophie si arrotolò le maniche del bonnet ed esclamò: “In due riusciremo a placarlo. Ne sono sicura!”

Oh, sì, era davvero piacevole passare una giornata senza grattacapi di alcun tipo.

Se poi, la giornata era passata in compagnia di una ragazza così piacevole, che male c’era?
 
***

Si sentiva fisicamente stanco, ma era anche rilassato come poche altre volte era stato, in tutta onestà.

Samuel, contrariamente al solito, era stato parco di chiacchiere ma, in compenso, i suoi nipoti avevano sopperito alla grande ai suoi silenzi, usandolo da balocco per tutta la sera.

Del tutto in balia di Serenity, Arthur e Rose, Max era finito con l’essere utilizzato come sostitutivo di un tappeto, e niente di ciò che avevano detto Lizzie o Alexander, era valso a salvarlo.

D’altra parte, lui si era divertito molto a giocare con quelle piccole, adorabili pesti, perciò non aveva avuto problemi anche quando, per poco, Arthur non lo aveva soffocato col suo peso sullo sterno.

La serata si era svolta nella più assoluta tranquillità e, grazie a una missiva giunta proprio quel giorno, avevano saputo del pronto ritorno di Myriam e Anthony dall’Isola di Man.

I coniugi si erano presi la libertà di fare una breve crociera e, complice il bel tempo, avevano circumnavigato la Bretagna per poi fermarsi per un breve periodo sulla piccola isola.

Da quello che la missiva aveva detto loro, sarebbero tornati nella seconda decade di luglio.

Sarah e Lorainne, insieme al fratellino Pascal, erano invece andati in villeggiatura coi nonni materni e paterni nei pressi di Bath, e sarebbero tornati all’incirca nello stesso periodo.

Randolf e Savannah, per finire, avevano preferito restare a casa, visto che quest’ultima era ormai prossima al parto.

Nel complesso, tutta la loro famiglia stava vivendo un periodo di assoluta felicità.

“Sembra che ti sia passato sopra un cavallo, eppure non sei pronto per andare a riposare. Cosa ti tiene desto, nipote?” domandò a un certo punto Wendell, uno dei pochi a essere rimasto nel salotto, dopo che tutti i bambini si erano ritirati per la notte.

“In realtà, nulla, zio. Solo, mi stavo godendo gli ultimi istanti insieme alla famiglia, prima di crollare morto sul letto” ironizzò Max, terminando di bere il suo Porto.

Julianne si era già ritirata per la notte assieme ai bambini e, solo l’indomani, sarebbero ridiscesi a York per rientrare a casa.

Non era il caso di svegliare i bimbi, visto che erano già tutti nel mondo dei sogni.

“Di sicuro, questo palazzo sta vivendo una seconda giovinezza, da quando tuo padre ne è diventato il signore” dichiarò Wendell, lanciando un’occhiata significativa al fratello maggiore che, in quel momento, stava terminando una partita a scacchi con Andrew.

“Non stento a crederlo” assentì Max, sapendo almeno in parte come fosse stata l’infanzia per il padre e lo zio.

Era più che sicuro che molto, del loro comune passato, fosse stato edulcorato per non farli soffrire, ma Max rammentava bene la schiena del padre, e non servivano le parole per capire come fosse stato il vecchio Harford.

Il solo fatto che nonna non lo ricordasse mai, nelle sue preghiere serali, era indice di come si fosse comportato anche con lei.

“Ricordo ancora quando tua madre ebbe i tuoi fratelli e te. Fu una gioia immensa, per me. Sentivo che, grazie alla vostra nascita, lo spettro di nostro padre avrebbe potuto finalmente scomparire da queste pareti… e così è stato” mormorò Wendell, carezzando distrattamente la carta da parati dinanzi a lui. “Ora, è davvero bello vivere qui.”

“Già. Infatti, mi sembra sempre così strano, lasciare Green Manor… è come se uscissi da un libro di favole per finire in un regno da incubo” sospirò Max, scuotendo il capo.

Doveva essere davvero stanco, se si metteva a parlare di favole come una bambina.

Wendell gli diede una pacca sulla spalla, asserendo: “Siamo una famiglia molto unita, ed è normale che tu noti le differenze con il resto del mondo. L’importante, è che tu non ti faccia sopraffare da queste differenze, sentendoti ingiustamente in colpa per il privilegio che ti è stato conferito.”

“A volte capita… anche per questo, cerco di darmi da fare, ma capisco cosa vuoi dire” assentì Max.

“La vita ci ha assicurato un tetto sulla testa più robusto di altri, ma ciò non ci deve mai far credere di essere superiori. Tu lo stai dimostrando, perciò pensa a questo, quando ti senti un po’ demoralizzato. Stai facendo la tua parte, per quanto ti è possibile” motteggiò Wendell, sorridendogli.

“Si vedeva così tanto che mi stavo piangendo addosso?” si lagnò Max, abbozzando un sorrisino.

“Un pochino. Diciamo che conosco i miei polli… e Christofer non vuole starti troppo addosso. Mi ha detto di aver insistito molto su un argomento che ti rende un po’ nervoso, così non voleva farti la morale anche su questo” gli confessò Wendell, ammiccando complice.

“Oh” sussurrò sorpreso Max, sorridendo affettuosamente. “Poteva dirmelo anche lui. Non mi sarei offeso. E poi, capisco perché mi ha parlato a quel modo, a Londra. So che il mio rifiuto di prendere moglie preoccupa un po’ sia mamma che papà.”

“Pensaci su finché vuoi. Non è detto che tu debba maritarti giovane” scrollò le spalle Wendell. “William si è sposato a ventisette anni, per esempio, eppure il suo è un matrimonio felice, no?”

“Verissimo” assentì Max, un poco più rasserenato.

Ammiccando, lo zio sussurrò un attimo dopo: “Non è neppure detto che tu debba sposarti.”

Maximilian rimuginò un attimo su quella possibilità, ma non gli piacque per nulla e, scuotendo il capo, asserì: “No, non credo di essere il tipo. Solo, devo pensarci un po’ sopra, visto che non ho avuto la fortuna dei miei fratelli.”

Wendell, allora, ghignò e replicò: “Beh, Lizzie è riuscita a farci venire i capelli bianchi, mentre tuo fratello li ha fatti venire a Anthony. Tu, cosa escogiterai?”

“Vedrò. Spero di essere altrettanto inventivo” ironizzò a quel punto Max, dando una pacca sulla spalla allo zio.

“Grazie, davvero. E’ sempre bello parlare con te.”

“Vale anche per me, Max. Ora, però, vai a nanna. Quei ragazzini ti hanno usato da scendiletto, e immagino che tu abbia più di qualche costola ammaccata.”

“In effetti…” ridacchiò Max, salutando con un cenno lo zio prima di avvicinarsi al fratello e il padre per dare la buonanotte anche a loro.

Una buona notte di sonno gli avrebbe giovato e, forse, il giorno seguente non sarebbe stato percorso da così tanti dubbi.






Note: Max si trova molto bene, in compagnia di Sophie, ma i dubbi su ciò che lo legano - o sembrano legarlo - alla fanciulla, lo angustiano più di quantro avrebbe ritenuto possibile ma, anche grazie a Paul, fa un po' di chiarezza in se stesso.
Samuel, a sua volta, pare veramente preso da Cynthia e, pur avendo adottato alcune precauzioni per non far mettere in ansia l'amico, pare che comunque si preoccupi per lui e per il suo cuore.
Come andrà a finire, per le due coppie? Ai posteri l'ardua sentenza. :)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 
6.
 
 
 
 
 
D’accordo, non doveva preoccuparsi.

Quante altre volte, nel corso della loro salda amicizia, Samuel era uscito senza di lui?

Già, e quante volte gli aveva lasciato un messaggio tanto preoccupante?


Ho trovato la mia ragione di vita, amico carissimo, e non posso pazientare oltre. So già cosa penserai di me e Cynthia, ma non preoccuparti. Troveremo fortuna nei Nuovi Territori delle Americhe.
Chiederemo aiuto e appoggio a Lucius Bradbury, stimatissimo cugino della tua splendida sorella Elizabeth, che avemmo la fortuna di conoscere durante i festeggiamenti del matrimonio di Andrew. So che è già un affermato armatore, e ben collocato nel Maine.
Potrai replicarmi che non occorre andare tanto lontani, ma sto facendo la cosa giusta, lo so, perciò non cercarci.
Volevo solo dirti di non temere per me, anche se so che lo farai, visto che non sono degno del tuo affetto, pur apprezzandolo tantissimo. Parlerò io, con i miei genitori, una volta che avrò raggiunto New York e mi sarò sposato con Cynthia.
Lei la pensa come me, perciò non temere che io l’abbia forzata in alcun modo.
Vuole le stesse cose che voglio io; libertà e felicità, in un mondo dove le distinzioni sociali non esistono, e dove le barriere inutili del Ton non esistono.
Mi farò sentire, ma ti prego! Non tentare di seguirmi!            Il tuo amico Samuel

 
Il fatto che Cynthia fosse d’accordo con lui, nel fuggire da casa e dalla Patria, non deponeva necessariamente a favore di quell’impresa disperata.

Visto e considerato il modo in cui quei due si erano guardati fin dal principio, Max non dubitava che entrambi fossero vittime di una colossale quanto pericolosa sbandata.

Andava poi messo in conto ciò che gli aveva suggerito Sophie, e cioè che la sorella aveva una certa, maniacale tendenza a ricercare le attenzioni degli altri.

Samuel era un mago nel far sentire a proprio agio le persone, specialmente le donne, per cui…

Mettere Cynthia vicino a Samuel era stato come gettare uno stoppino acceso nel mezzo di una sterpaglia secca.

E ora, in un modo o nell’altro, toccava a lui spegnere quell’incendio di proporzioni spropositate.

Se solo avesse accennato la cosa ai Westwood, avrebbe fatto venire un malore alla madre di Samuel, un travaso di bile al padre e…

…beh, con tutta probabilità, il primogenito avrebbe plaudito il suo folle gesto, mentre il secondogenito ne sarebbe rimasto inorridito.

Passandosi una mano tra i morbidi riccioli bruni, Max esalò un’imprecazione a mezza bocca, prima di sentire bussare alla porta della sua stanza.

Poggiato il biglietto che Samuel gli aveva infilato sotto il battente, presumibilmente la notte precedente, Max andò ad aprire e, a sorpresa, si ritrovò a fissare uno dei garzoni di stalla.

“Bobby, che succede? Una delle giumente sta partorendo?” domandò preoccupato Max, ben sapendo che due delle loro cavalle erano a fine termine.

Stropicciando il basco che teneva tra le mani nervose, il giovanotto scosse il capo e borbottò: “No, lord Maximilian, ma… beh, c’è una signorina, giù nelle stalle, e chiede di voi. Pare assai nervosa.”

Strabuzzando gli occhi, più che mai confuso da quella notizia, Maximilian gracchiò: “Una… signorina? Ti ha detto chi è?”

Annuendo in fretta, Bobby mormorò con fare da cospiratore: “Mi ha detto di chiamarsi Sophie Withmore, e mi ha pregato di chiamarvi… in segreto. Dice che è una cosa urgente, e grave…

Sollevando un sopracciglio con evidente ironia, di fronte alla palese ansia del garzone di stalla, Max dichiarò a mezza voce: “Tranquillizzati, Bobby, non l’ho messa incinta.”

“Oh… no, beh, non sono affari miei, milord, ma…” balbettò imbarazzato il ragazzo, mentre Max usciva di gran carriera dalla sua stanza.

Sarebbe stato il colmo se si fosse presentato da suo padre con una donzella incinta di un suo figlio ma, fortunatamente, non era questo il caso.

Per lo meno, non era il problema che dovevano affrontare al momento.

Tra sé, comunque, imprecò e si domandò quando, quei due scellerati, avessero congegnato quel piano, visto e considerato che non erano mai rimasti soli per un momento.

Lorelai gli aveva assicurato di non averli mai persi di vista perciò, come avevano fatto a coordinarsi in modo tale da eludere i loro controlli?

Samuel non finiva mai di sorprenderlo, e non certo in positivo.

Perché il suo amico sviluppava capacità tanto raffinate al solo scopo di cacciarsi nei guai?! Non poteva eccellere in qualcos’altro?

Tallonato da Bobby, Maximilian uscì in fretta da una delle porticine laterali del palazzo e, di corsa, raggiunse la stalla dove si trovavano i loro cavalli.

Appena fuori dallo stallaggio, legata a una staccionata, stava una giumenta grigia con una bella stella bianca nel mezzo della fronte.

Presumibilmente, era di Sophie, a giudicare dalla sella da amazzone che si trovava sull’ampia schiena del bell’animale.

Ringraziato che ebbe Bobby, il quale si dileguò in fretta, Max entrò nel capanno e, alla luce del meriggio che penetrava dalle alte finestre a occidente, intravide la figura di Sophie.

Era abbigliata come un’amazzone, con abiti dal gusto sopraffino e assai costosi.

Nessuno avrebbe detto che non era una lady e, ancora una volta, Max trovò assurda quella maledetta distinzione tra caste.

Le mani, strette intorno al frustino, apparivano nervose ma, quando lei lo udì entrare, lo sguardo che gli lanciò fu sicuro quanto pieno di vigore.

Era spaventata, ma non intimidita dal colossale guaio in cui la sorella e il suo amico si erano cacciati.

“Milord, meno male…” sussurrò lei, avvicinandosi di un passo.

“Miss Sophie… immagino abbiate scoperto tutto” asserì lui, raggiungendola per poi poggiare delicatamente una mano sul braccio della ragazza.

Lei assentì una sola volta, con un gesto secco che lasciò intendere a Max quanto fosse contrariata ma, ciò che uscì dalla sua bocca, lo sorprese.

“In questo momento, vorrei avere sotto mano mia sorella per bastonarla. Non meriterebbe altro” sibilò Sophie.

“Miss Cynthia? Ma è stato Samuel che…” tentennò Max, indeciso se scaricare l’intera colpa sull’amico o dare credito alle parole di fiele della giovane.

“Oh, non metto in dubbio che il vostro amico abbia proposto la fuga, ma l’idea dell’America è sicuramente venuta a mia sorella” sbuffò Sophie, iniziando a passeggiare nervosamente per lo stallaggio.

“Come mai dite questo?”

“Dovete sapere che Cynthia è stata fidanzata con un nobilotto di provincia, circa quattro anni addietro” gli spiegò Sophie, bloccandosi per guardarlo con aria contrita. “Avrebbero dovuto sposarsi, ma lui dirottò le sue attenzioni su una ragazza di nobile lignaggio non appena ne ebbe l’occasione, e lei ne rimase molto ferita.”

“Mi spiace molto…” mormorò Max, non sapendo bene dove volesse andare a parare Sophie.

“Cynthia si ripromise che avrebbe sposato un uomo che non l’avrebbe più fatta sentire inferiore a lui… e in un luogo in cui simili distinzioni non esistevano” specificò la giovane, reclinando colpevole il capo.

“Oh” riuscì a dire soltanto Max, iniziando a capire.

“Per questo, ci troviamo a York. Nostro padre vendette tutto per non rimanere nella città che tanto aveva fatto soffrire Cynthia, e ci trasferimmo al nord per permetterle di vivere più serenamente” terminò di spiegare Sophie, stringendo nervosamente il frustino tra le mani.

A ben vedere, Whitmore era giunto da suo padre giusto tre anni addietro, per acquistare i terreni per i lanifici, pensò Max.

Risollevando il viso, su cui brillavano due autentici pezzi di ghiaccio ribollente, Sophie esalò: “Avrei dovuto immaginare che avrebbe potuto succedere, ma non ho pensato che Cynthia avrebbe lanciato quest’idea a lord Westwood.”

Sospirando, Max scosse il capo e replicò: “Samuel sa cacciarsi da solo nei guai, non crediate il contrario. Miss Cynthia può solo avergli dato una mano, ma non è stata un’idea solo di vostra sorella.”

Sophie non seppe che dire, ma comprese più che bene l’ansia di Maximilian, poiché era simile alla sua.

Quando si era recata nella stanza della sorella, trovando il suo letto integro e il cassettone rovistato confusamente, Sophie aveva compreso subito la gravità della situazione.

Senza dire nulla alla madre, che sarebbe morta di dolore al solo pensiero, era scesa nelle stalle per controllare e, come aveva temuto, non aveva trovato la giumenta della sorella.

Non aveva faticato molto a capire dove cercare notizie di Cynthia.

Come aveva sospettato, aveva trovato il suo biglietto nel cestino del ricamo che usavano entrambe.

La sorella sapeva bene che mai, la madre, avrebbe rovistato lì dentro.

Qualsiasi altro luogo, in casa, non sarebbe stato sicuro dagli occhi di Adelaide Withmore, ma il cestino del ricamo avrebbe protetto il suo segreto fino al momento opportuno.

Il momento in cui la sorella avrebbe finito con il cercarla, immaginando di trovare un suo messaggio proprio lì, nel loro nascondiglio.

Sophie teneva quel bigliettino scritto in fretta nella tasca della sua gonna pantalone, come memento alla propria superficialità nel non comprendere le intenzioni della sorella.

Era stata sciocca a pensare che Cynthia avrebbe preso per quello che era, l’amicizia di Samuel e Maximilian.

Niente più che uno svago estivo di due gentiluomini beneducati e piacevoli.

Invece no, si era lasciata andare al suo desiderio feroce di una vita con un uomo premuroso – e ricco –, in un luogo in cui il suo non essere una lady non avrebbe contato nulla.

A causa di ciò, aveva messo nei guai un gentiluomo come Samuel Westwood, davvero troppo buono e sì, un po’ ingenuo, caduto vittima dei suoi occhi da cerbiatta.

“Dobbiamo fare qualcosa” dichiarò a quel punto Sophie, lanciando alle ortiche qualsiasi istinto di sopravvivenza.

Non sarebbe stata a guardare, stavolta.

Non avrebbe permesso che sua sorella rovinasse la vita di quel bravo giovane, né l’impegno profuso dal padre per farla vivere felice.

Ma, soprattutto, non sarebbe rimasta inerme come sempre a guardare Cynthia, mentre si comportava da dispotica egoista con gli altri.

Aveva sempre sopportato in silenzio che lei fosse la più ammirata, la più stimata, la più coccolata, perché le voleva bene e sapeva che non era cattiva, nel profondo.

Ma ora aveva passato il limite, e non le avrebbe permesso di rovinare a quel modo il buon nome che loro padre aveva dato alla famiglia con il suo duro lavoro.

L’avrebbe ricondotta a casa anche per un orecchio, se necessario.

“Stavo già pensando di partire alla volta del sud, visto che Samuel ha parlato dell’America. Se avessero voluto solo sposarsi, avrei puntato verso Gretna Green ma, stando così le cose, c’è solo un posto dove possono essersi diretti…” iniziò col dire Max, massaggiandosi l’attaccatura del naso con pollice e indice.

“… Southampton, vero?” domandò Sophie, sospirando leggermente.

Assentendo, Maximilian asserì: “E’ l’unico porto da cui partano le navi passeggeri per le Americhe, perciò dirigeranno direttamente lì. Dando per scontato che siano partiti stanotte, dopo la mezzanotte, quando anche la servitù è a letto, hanno circa sedici ore di vantaggio.”

“Purtroppo, Cynthia è una brava amazzone” sospirò Sophie, scuotendo il capo.

“Nessun problema. Viaggerò leggero e, grazie al mio Spartan…” dichiarò Max, lanciando un’occhiata allo stallone nero visibile oltre uno dei box. “… li raggiungerò prima che arrivino a Southampton.”

Sophie, a quel punto, fissò accigliata il giovane lord e replicò: “Viaggeremo. Non vi lascerò andare da solo, visto che la colpa è anche di mia sorella.”

Basito di fronte a quell’offerta inaspettata, Max esalò: “Ah… vi sono grato per la disponibilità, miss Sophie, ma non ho bisogno che mi accompagnate. Inoltre, non sarebbe decoroso per una signorina non maritata…”

Scuotendo una mano con insofferenza, Sophie replicò immediatamente: “Diremo che sono vostra cugina, niente più di questo. Ci fermeremo il meno possibile e, se tutto andrà come deve, li raggiungeremo nel giro di un paio di giorni. Cynthia è brava a cavalcare, ma si stanca in fretta. Io no.”

Maximilian rimuginò in fretta, non sapendo affatto cosa rispondere a quella donna volitiva che si trovava innanzi, e che poco aveva a che fare con la docile fanciulla che aveva visto la prima volta.

Possibile che, ciò che aveva pensato, fosse dunque vero?

Sophie aveva trattenuto dentro di sé il suo brio naturale, perché la sorella l’aveva soffocata per tutto il tempo?
Da come si comportava in quel momento, pareva proprio di sì.

Ugualmente, non poteva permettersi di cacciarla in un guaio simile.

Ton o no, rimaneva pur sempre una fanciulla illibata, e lui non poteva rovinarle la nomea per accontentarla, così come non voleva infangare il nome degli Spencer, combinando un pasticcio simile.

“Sentite, miss Sophie, capisco bene cosa vi spinga…” cominciò quindi col dire Max, sperando di apparire il più contrito e condiscendente possibile. “… ma vi assicuro che non c’è assolutamente la necessità che voi veniate con me.”

“E’ il contrario, milord. Non c’è necessità che voi veniate con me. Posso benissimo partire da sola e raggiungere quella scriteriata di mia sorella, se devo. Solo, con voi sarebbe più semplice… e sicuro” precisò Sophie, sconvolgendo ulteriormente il giovane.

“Vi fidate molto di me, pur conoscendomi così poco. Come potete essere certa che, alla prima occasione utile, io non abusi di voi?” le ritorse contro Maximilian sperando che, spaventandola, ella potesse cambiare idea.

Sophie, per tutta risposta, arrossì ma sorrise, mormorando: “Scusate, lord Maximilian, ma davvero non avete l’aria del molestatore di fanciulle.”

“Potrei essere un lupo travestito da pecora” ritentò lui, contando mentalmente i minuti che stava inutilmente perdendo in quella discussione senza senso.

“E io potrei essere un sicario travestito da docile donzella” replicò Sophie, accennando un risolino. “Davvero, non avete gli occhi cattivi, lord Maximilian. Inoltre, un uomo che gioca coi cani come avete fatto voi l’altro giorno, non può essere cattivo. Gli animali sono grandi lettori di anime, non lo sapete?”

Imprecando mentalmente tra sé – certo che lo sapeva, dannazione a lui! – Max non poté che sospirare afflitto e borbottare: “Sentite, avvisiamo mio padre e sentiamo cosa…”

Interrompendosi un istante dopo aver proferito quelle parole, Maximilian esalò: “E’ partito stamattina con mia madre per recarsi a Leeds, …accidenti...”

Sorridendo vittoriosa, Sophie batté le mani una sola volta e asserì: “Come vedete, non abbiamo scelta. Dobbiamo partire in tutta fretta, prima che il divario tra noi e loro aumenti troppo. Lasceremo un biglietto in cui spiegheremo per filo e per segno ciò che vogliamo fare, così da non fare stare in ansia nessuno.”

“Neppure vostra madre e vostro padre?” replicò scettico Maximilian.

“Beh, per quel che riguarda mia madre, avrà uno svenimento non appena saprà che entrambe le sue figlie non sono a casa, sotto il suo occhio vigile...” ammise Sophie, un po’ preoccupata. “… ma mio padre capirà. O almeno, lo spero.”

“Perché mi date l’impressione di non aver mai dato un grattacapo in vita vostra ai vostri genitori?” sospirò Maximilian, cominciando a capire cosa volesse dire tentare di venire a patti con donne troppo tenaci.

“Perché temo sia vero, più o meno” ammise Sophie. “Ma giuro che non vi darò problemi, e che non dovrete assolutamente preoccuparvi della mia condizione di donna nubile. Papà inorridirebbe, al solo pensiero di approfittarsi di una situazione del genere, e io allo stesso modo.”

Max impiegò qualche istante per comprendere cosa volesse dire la ragazza e, non appena quella frase fece breccia nel suo cervello, arrossì copiosamente.

Reclinando il capo in avanti, la mano pronta a massaggiarsi la nuca, il giovane gracchiò: “Oh, già… dimenticavo anche questo…

“Beh, mi sono premurata di lasciar detto a mio padre che l’idea dell’inseguimento è stata mia, e che voi mi avete solo offerto la vostra protezione.”

Maximilian si irrigidì subito, a quelle parole, ed esalò: “Cosa avete fatto?!”

“Ho dato per scontato il vostro aiuto” dichiarò lei, afferrandolo per una mano per condurlo fuori dalle stalle. “Avrete tutto il tempo di sgridarmi più tardi, ma ora dobbiamo muoverci. La lancetta corre, e noi siamo ancora fermi qui a discutere.”

Preferendo trascinare, piuttosto che essere trascinato, Max sopravanzò Sophie e la condusse in tutta fretta verso una delle porte della servitù e, dopo aver controllato che non vi fosse nessuno nei paraggi, la attirò dentro.

Doveva essere un completo pazzo, per permetterle di fare una cosa simile, ma era più che sicuro che Sophie lo avrebbe tallonato per tutto il tempo, se lui non avesse accondisceso a portarla con sé.

Dio, che pazienza hai avuto, Alexander, pensò tra sé Max, tornando con la memoria a ciò che aveva combinato la sorella a suo tempo.

Peccato che, quel gran guazzabuglio, fosse durato solo poche ore.

In quel caso, anche nella migliore delle ipotesi, sarebbero rimasti impegnati per giorni, e nessuno poteva dire cosa avrebbe potuto succedere.

Dubitava fortemente che Ferdinand Withmore si sarebbe fatto bastare le parole di sua figlia, scritte in fretta su un foglio di pergamena.

Fosse stato lui, avrebbe assoldato i migliori cacciatori per recuperare entrambe le sue bambine… e castigare adeguatamente gli uomini che le avevano disonorate.

Certo, lui stava agendo in maniera incolpevole, solo perché sicuro che Sophie non avrebbe desistito dall’inseguire essa stessa la sorella, ma la faccenda non cambiava di una virgola.

Lui avrebbe interpretato la parte dell’uomo che aveva disonorato una fanciulla illibata.

Il fatto che Sophie non fosse di nobile origine, poco contava.

Sarebbe stata marchiata come una colomba sporca, agli occhi del mondo, pur se ella sembrava non preoccuparsene.

Quando infine ebbero raggiunto il piano superiore, Max si concesse un secondo per fermarsi e, presa Sophie per le spalle, mormorò turbato: “Perché non vi interessa minimamente del vostro futuro, miss Sophie? Non capite che, presto o tardi, la verità salterà fuori? La gente nota certe cose, e una vostra sparizione improvvisa verrebbe notata subito dai vostri amici.”

Sorridendo comprensiva, Sophie si scostò gentilmente da quelle mani premurose e asserì: “Mio padre potrebbe azzittire più o meno qualsiasi pettegolezzo, lord Maximilian. E’ abbastanza ricco da far gola a quasi tutte le famiglie dotate di figli maschi della zona, e poco importerebbe se una delle sue figlie avesse compiuto qualche… scempiaggine nel frattempo. Si può passare sopra a un sacco di cose, se si ha una dote cospicua…”

“Miss Sophie…” mormorò spiacente Maximilian, rattristato dal sentirla così disillusa sul proprio futuro.

“… quello che voglio, è impedire a mia sorella di commettere un errore, oltre a permetterle di far soffrire una persona buona come lord Westwood. Sono stata in silenzio troppe volte, di fronte alle sue intemperanze, e ho sbagliato. Ora è il momento di rimediare” terminò di dire Sophie.

Annuendo una sola volta, Max la prese per mano e mormorò: “Capisco cosa volete dire, e non insisterò oltre. Spero solo che la nostra ricerca abbia un esito veloce e positivo.”

“Lo spero anch’io.”

Lizzie, maledizione, dove sei quando mi servi?, pensò nel frattempo tra sé Maximilian, sperando in un’entrata in scena della sorella.

Palesando la presenza di Sophie a palazzo, tutto il loro strampalato piano sarebbe saltato.

Ma così non avvenne.

La servitù sembrava scomparsa, e così sua sorella, il cognato o i nipotini.

Quasi che il Fato si fosse voltato dall’altra parte per permettergli di combinare quel guaio.

Non potendo contare sulla buona sorte, a Max non restò altro che infilarsi nello studio di suo padre, vergare di suo pugno un messaggio – senza menzionare Sophie – e uscirne in fretta per raggiungere la sua stanza.

Sophie lo seguì in silenzio e, rimanendo sulla porta, lanciò frequenti occhiate al corridoio deserto, mentre Maximilian preparava una sacca da viaggio alla bell’e meglio.

“Avete davvero un palazzo stupendo” si premurò di dire Sophie, a un certo punto.

Nel caricarsi su una spalla la sua sacca da sella, Max la fissò malissimo e borbottò: “Molte grazie… ma continuo a pensare che questa sia tutta una follia.”

“Un pochino, in effetti, ma dalla nostra possiamo dire che entrambi abbiamo la testa ben salda sulle spalle” cercò di ironizzare lei, seguendolo dappresso.

“Se così fosse vero, vi tramortirei seduta stante e me ne andrei via da solo” brontolò Max, pregando in silenzio perché qualcuno li bloccasse.

Era mai possibile che, in un palazzo enorme come Green Manor, non ci fosse proprio nessuno in giro?!

Vero era che, a quell’ora, molta della servitù era impegnata in cucina per preparare la cena, i suoi familiari erano quasi sicuramente nel salotto con Whilelmina e Violet, e gli altri erano impegnati nelle loro faccende.

Inutile sperare che vi fosse qualcuno per i corridoi, visto che quei luoghi erano visitati solo dalla sua famiglia, e le domestiche vi bazzicavano solo la mattina presto, per le pulizie.

Raggiunto che ebbero nuovamente le stalle, Maximilian preferì evitare di dire qualcosa a Bobby – aveva già lasciato un messaggio, per questo – e, dopo aver aiutato Sophie a salire a cavallo, si avviò per recuperare Spartan.

Legata che ebbe la sella, sistemò la sua sacca e, infine, con un sospiro, montò a sua volta a cavallo per avventurarsi in quell’inseguimento imprevisto.

Con un compagno di viaggi tutt’altro che previsto.
 
***

Alexander rilesse per l’ennesima volta il foglio vergato dalla calligrafia veloce e sottile di Maximilian, mentre Elizabeth passeggiava nervosamente per lo studio del padre.

Non rivedere il fratello minore a cena l’aveva un po’ turbata, soprattutto quando avevano scoperto che anche Samuel mancava all’appello.

Per non far preoccupare nonna Whilelmina, Andrew si era inventato lì per lì un viaggio dei due ragazzi per raggiungere dei loro amici nelle vicinanze.

Nel frattempo, però, Alexander, Lizzie e Violet e Mr Lloyd si erano messi a cercare degli indizi di qualche tipo che potessero lasciar intendere le loro reali intenzioni.

Senza nulla trovare, Lizzie aveva infine deciso di avventurarsi nello studio del padre e, come aveva temuto, vi aveva trovato un messaggio del fratello.

A quel punto, lo aveva mostrato al marito che, preoccupato, lo aveva riletto fino allo sfinimento.

 
Samuel è riuscito a cacciarsi in uno dei suoi soliti guai, peccato che stavolta vi sia coinvolta anche una fanciulla illibata. Conto di raggiungere Sam e miss Cynthia Withmore prima del loro arrivo a Southampton, perciò premuratevi di avvertire Mr Withmore che mi impegnerò strenuamente per impedire questa follia.
Avendo quasi sedici ore di vantaggio, a mio parere, dovrei raggiungerli entro tre giorni al massimo, se il tempo reggerà, o se la donzella mostrerà segni di stanchezza. Pregate che sia così.
Nel giro di dieci giorni al massimo, darò notizie alla famiglia del buon esito – spero – della mia missione. Non preoccupatevi per me.                                     Max
 

“Non preoccupatevi per me” ripeté per la terza volta Alexander, lasciando scivolare il foglio sulla scrivania. “Tuo fratello è sempre stato un burlone, ma qui si esagera.”

“Un burlone, e un falso, aggiungerei” dichiarò Lizzie, sollevandosi da terra – dove si era accucciata – tenendo tra indice e medio un lungo, lucente capello nero.

“Ti dai alle pulizie, cara?” domandò Alexander, curioso.

“O le domestiche sono diventate di colpo delle inette, e non credo, oppure mio fratello non era solo, qua dentro.”

“Non potrebbe essere un capello sfuggito a qualche cameriera?”

“Nessuna delle domestiche di Green Manor ha i capelli neri. Sono tutte bionde o castane. Oh, e Magda li ha rossi. Perciò, no, mio caro. Nessuna cameriera” replicò Elizabeth, sorprendendo un poco il marito.

“Non pensavo che avessi controllato sotto le cuffiette di tutte le donne di questo palazzo” ironizzò Alexander, vagamente impressionato.

“Le conosco tutte, è solo questo…” precisò Lizzie. “… e, visto che sta parlando di miss Cynthia Withmore, nel messaggio, la fanciulla che è stazionata qui assieme a Max potrebbe essere sua sorella Sophie.”

“Ma non mi hai detto che è una fanciulla tranquilla e pacata?”

“Le acque chete distruggono i ponti, Alexander” sottolineò Lizzie, gettando a terra il capello con espressione meditabonda. “Comunque, non occorrerà molto, per scoprire se abbiamo ragione. Dobbiamo scendere a York per parlare con Mr Withmore e…”

“… e dobbiamo aspettare tuo padre” precisò Alexander, bloccandola.

“Non possiamo! Sono solo in due, con mille e più strade che conducono a Southampton. Potrebbero non raggiungerli in tempo” esalò Elizabeth, torcendosi le mani per l’ansia. “Ma cosa è mai saltato in mente, a quello sciagurato di Samuel?”

Alexander si fece meditabondo e, in quel mentre, Andrew fece il suo ingresso nello studio, trafelato quando turbato.

“Non vorrei disturbarvi ma, alla porta, c’è Ferdinand Withmore, e sembra piuttosto scuro in viso. Voi sapete perché?”

Lizzie prese in fretta il messaggio di Max per porgerlo al fratello e, mentre questi imprecava vistosamente nel leggere quanto in esso contenuto, la giovane e il marito discesero verso l’atrio di palazzo.

Lì, ritto come una statua e altrettanto granitico nella posa, trovarono Mr Withmore, mentre il capo maggiordomo era impegnato a ritirare la sua tuba e il suo mantello.

Con una veloce riverenza, Elizabeth esordì dicendo: “Mr Withmore, buonasera. Sono Elizabeth Spencer, la figlia del conte. Prego, venite pure con me. Parleremo meglio in uno dei salottini.”

L’uomo assentì e, seguendo la coppia, mormorò soltanto: “Immagino sappiate già il motivo della mia venuta. Non mi sembrate sorpresi dal vedermi qui.”

“Purtroppo sì” annuì Alexander, invitandoli a entrare in un salotto, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Alcuni attimi dopo, giunse di corsa Andrew, che salutò brevemente il loro ospite prima di pregarlo di accomodarsi.

Alexander preparò del whisky per tutti, Elizabeth compresa e quest’ultima, nel ricevere il bicchiere dal marito, asserì: “Vorrei subito dirvi che non dovete temere nulla, per quanto riguarda vostra figlia Sophie. Se c’è un uomo onorevole, questo è Maximilian. Oserei dire lo stesso di Samuel Westwood, se non sapessi ciò che ha appena fatto.”

Annuendo brevemente, Ferdinand accettò il bicchiere panciuto e sorseggiò un istante il liquore ambrato, prima di mormorare: “Se mia figlia si è arrischiata a chiedere l’aiuto di vostro fratello minore, immagino si fidasse di lui. Sophie è sempre stata la più assennata delle mie due figlie… o così ho sempre pensato fino a questo pomeriggio.”

“Forse, non sapeva quando sareste rientrato da lavoro, perciò ha pensato di risolvere in fretta il problema” ipotizzò Andrew, pur se dubbioso.

“A ben vedere, avrei dovuto rientrare domani sera…” ammise Ferdinand, centellinando il whisky con espressione pensierosa. “… perciò forse, lord Spencer, voi avete ragione. Ma perché non chiedere ai domestici?”

“Probabilmente, Sophie non voleva che sapessero il perché…” mormorò Elizabeth, sorridendo comprensiva all’uomo. “… per proteggere il buon nome della famiglia.”

Mr Withmore sorrise appena, a quelle parole.

“Come se mi importasse qualcosa, al momento, del mio nome…”

Elizabeth lanciò un’occhiata al fratello dopodiché, incrociato lo sguardo col marito, dichiarò: “Partirò per raggiungerli, così che la nomea di Sophie sia salva.”

Ferdinand Withmore sgranò gli occhi, a quelle parole, e replicò: “Non se ne parla, lady Chadwick. Se vostro padre fosse qui ora, ve lo vieterebbe sicuramente. Inoltre, mia figlia Sophie è responsabile delle proprie azioni, esattamente come Cynthia. Non è necessario che mettiate a repentaglio la vostra incolumità per loro. Partirò io, e cercherò di aiutare vostro fratello, se potrò.”

Andrew, allora, sorrise benevolo all’uomo, asserendo: “Non credo che resistereste a lungo, viste le tappe serrate che, sicuramente, Maximilian si imporrà durante il viaggio. Quando avete perso la gamba?”

L’uomo si irrigidì appena, a quel commento ed Elizabeth, nel poggiare una mano sull’avambraccio di Mr Withmore, mormorò: “Siamo abituati a riconoscere i segni, anche se voi avete solo una leggera zoppia. E’ successo in fabbrica, forse?”

Lui annuì dopo diversi secondi di cupo silenzio e, nel poggiare una mano sul ginocchio della gamba destra, sussurrò roco: “Avevo dodici anni, e la puleggia di un telaio me la strappò via appena sotto il ginocchio.”

Alexander imprecò a bassa voce e la mano di Elizabeth, ancora sul braccio di Ferdinand, si strinse un poco di più, comprensiva e irritata al tempo stesso.

“Non potete affrontare un simile viaggio, ma noi sì, e lo faremo” dichiarò Andrew. “Nostro padre vi ammira molto, e non avrebbe sottoscritto dei contratti con voi, se non vi apprezzasse come persona. Credetemi sulla parola e lasciate fare a noi.”

Withmore non seppe che dire, di fronte a quella spontanea – quanto inaspettata – offerta di aiuto.

Si era arricchito con il sudore della fronte, riscattandosi da un’infanzia dolorosa grazie alla sua capacità di vedere oltre l’osservabile.

Era stato capace e abile e, poco alla volta, era riuscito a far fruttare le misere sterline pagate dai suoi padroni per poter acquistare il suo primo carretto.

Si era impegnato, aveva piegato la testa più volte di quante avrebbe desiderato fare, aveva venduto le merci degli altri prima di poter vendere le proprie ma, alla fine, era riuscito.

Si era fatto un nome soltanto con le sue sole forze e, anche grazie all’amore di Adelaide, aveva prosperato poco alla volta.

Quando, però, erano nate le sue bambine, si era ritrovato a volere per loro solo il meglio, e questo lo aveva allontanato, lo aveva reso schiavo della stessa fonte del suo potere.

Aveva finito col diventare come le persone che tanto aveva disprezzato in gioventù, persone solo dedite ai soldi e al lavoro.

Certo, lui lo aveva fatto per far vivere negli agi e nel lusso la sua famiglia, ma il risultato era lo stesso.

Rischiava di perdere entrambe le figlie, e di far morire di crepacuore la moglie, per non essere stato abbastanza presente nelle loro vite.

Se la maggiore aveva pensato di poter migliorare se stessa, fuggendo con un lord verso le Americhe, la minore aveva ritenuto come unica possibilità quella di affidarsi a un giovane appena conosciuto, pur di evitare alla sorella un simile gesto.

In entrambi i casi, comunque, nessuna delle due si era rivolta a lui, per risolvere i loro problemi, rendendo evidente la distanza che si era formata tra lui e le sue bambine.

E ora, impossibilitato dalla sua menomazione a correre dietro a entrambe, doveva a sua volta affidarsi ad altri, per proteggerle.

D’altra parte, cosa gli rimaneva da fare, a quel punto?







Note: credevate davvero che sarebbe andato tutto liscio? ;-)
Non con me, temo...
Ora, vedremo come se la saprà cavare Max, se Samuel sarà più veloce di lui, e se gli Spencer interverranno o meno...
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 
 
7.
 
 
 
 
Allacciandosi in fretta lo spencer color cielo, Elizabeth lanciò un’occhiata preoccupata a Rose, che la stava osservando seria e pensierosa in viso.

Tutto si stava svolgendo troppo in fretta, eppure sapeva di non avere tempo per spiegare la situazione ai figli.

I gemellini dormivano già saporitamente, e sarebbe stato assurdo svegliarli nel bel mezzo del loro sonno.

Solo Rose era ancora desta, ma come dirle cosa si apprestava a fare sua madre?

La bimba, però, la sorprese non poco e domandò: “Vai via per lo zio Max?”

Sorridendole, Lizzie le sfiorò il viso con una carezza, assentendo subito dopo.

“Si è cacciato in un guaio, e ha bisogno della mia presenza. Dirai ai piccoli di non piangere? Sarò di ritorno presto, davvero.”

“Penserò io a loro, e poi ci sarà papà” dichiarò Rose, sorridendo al padre, che stava osservando le sue donne con espressione combattuta.

“Brava la mia bambina. Chiedi sempre al papà e a zia Violet, va bene?”

Un quieto bussare disse loro che Wendell era pronto per partire e Lizzie, non avendo altro da dire, si avviò verso la porta.

Alexander, però, la raggiunse per abbracciarla e, al suo orecchio, le disse accorato: “Stai attenta, mia fulgida Silfide, perché non sopporterei di vederti meno che integra al tuo ritorno, sappilo.”

“Non vado in guerra, e a me penserà lo zio” gli sorrise lei, baciandolo su una guancia prima di uscire dalla stanza.

Se fosse rimasta un istante di più, sarebbe scoppiata in lacrime e sarebbe rimasta accanto ai figli.

Ma, vista come si era messa la situazione, non poteva lasciare che Max e Sophie affrontassero da soli quella situazione.

Avevano bisogno di supporto, e che qualcuno tagliasse eventualmente la strada a quei due folli in fuga.

Poiché Anthony e suo padre erano ancora lontani, sarebbe stato assurdo attendere il loro ritorno.

Wendell conosceva più che bene le campagne dello Yorkshire, e lei galoppava meglio di molti uomini.

Avrebbe dato una mano a Max, costasse quello che costasse, e avrebbe salvato il buon nome di Sophie.

Fuori dalla porta, però, non trovò solo Wendell, ma anche Violet che, con un impeto davvero raro per lei, la abbracciò con foga e ansimò disperata: “Trova Max e aiutalo, ti prego! Non voglio che si cacci in un guaio ancora più grande di questo.”

“Lo farò, non temere. So quanto tieni a lui, Lettie.”

“Vorrei venire con te ma, messa come sono messa, sarebbe un autentico suicidio…” sospirò Violet, scrollando le spalle. “… perciò, mi affido a te, sorella. Fai del tuo peggio.”

Scoppiando in una risatina nervosa, Lizzie esalò: “Oh, in questo sono bravissima.”

Wendell sorrise loro e, nell’offrire il braccio alla nipote, dichiarò: “Coraggio, andiamo. Stando a quello che ha detto Bobby, dovrebbero avere solo poche ore di vantaggio su di noi.”

“Sai già che direzione prendere?” gli domandò Elizabeth, scendendo in fretta le scale.

“Ho una mezza idea del percorso che Max può aver preso. Se è gentiluomo come lo conosco, avrà preso delle strade secondarie per non incontrare troppe persone, ma non così piccole e sconnesse da mettere a disagio Sophie sul suo cavallo. Te la senti di passare dai campi e tagliare loro la strada?”

“Affare fatto” assentì Lizzie, prima di veder comparire William nell’atrio.

Spontaneamente, si scostò da Wendell per abbracciarlo e, contro il suo ampio torace, mormorò: “Di’ a mio padre che andrà tutto bene. Non combineremo guai.”

“E da quando, i figli di mio cognato, non ne combinano?” ironizzò lui, baciandole la chioma castana. “Fate attenzione, voi due.”

“Staremo attenti” promise Wendell, dirigendosi assieme a Lizzie verso il portone d’ingresso.
 
***

Avevano appena lasciato la sala comune della taverna dove si erano fermati per la notte, quando apparve evidente a entrambi quanto, quel viaggio, sarebbe stato assurdamente difficile.

Come richiesto da Sophie, avevano fatto passare l’idea che fossero cugini e, dopo aver chiesto due stanze attigue e comunicanti, avevano cenato nella sala insieme agli altri avventori.

Trattandosi di un locale da poco prezzo, le persone presenti si erano rivelate essere di ogni genere e sorta e, alcune, non esattamente gradite agli occhi di Maximilian.

Il pensiero che, pur protetta da un battente di quercia, Sophie potesse trovarsi da sola in una stanza senza di lui, lo aveva inorridito per tutta la durata della cena.

Quando, infine, era stato il momento di salire al piano superiore, Maximilian si era convinto di voler passare l’intera notte sul pavimento, accanto al letto di Sophie.

Ma come dirglielo senza apparire un guardone, o peggio, un molestatore?

Ora, dinanzi alla stanza di Sophie, Max attese paziente che lei aprisse la porta e, quando scrutò all’interno grazie alla candela che teneva in mano, il giovane storse la bocca.

Non era esattamente una camera degna di tale nome, visto che poteva contare su pochissimo spazio, ma almeno sembrava pulita.

Entrato con lei, controllò che la porta di comunicazione con la sua stanza fosse aperta dopodiché, affacciatosi all’unica finestra, si accertò che fosse sicura.

“Temete possano salire con una scala per molestarmi?” domandò Sophie, scrutandolo con una certa ansia.

Era davvero la prima volta che si trovava da sola con un gentiluomo.

Della risma di Maximilian Spencer, poi, la prima volta in assoluto.

L’ansia e la rabbia l’avevano spinta a risalire la collina fino a Green Manor per chiedere l’aiuto dell’unica persona, di sua conoscenza, che avrebbe potuto accompagnarla.

Si era fidata istintivamente di lui ma ora, a mente fredda, poteva davvero dire di conoscerlo abbastanza per affidare al giovane la sua virtù?

Cosa sapeva, di Maximilian, se non quanto aveva visto, e quanto aveva sentito dire di lui in giro?

Certo, nessuno si sarebbe mai permesso di parlare male di uno Spencer, ma questo non voleva necessariamente dire che fosse una garanzia.

In che guaio si era cacciata, tentando di salvare Cynthia e Samuel dal loro personale guaio?

Chiusa accuratamente la finestra, che provvide poi a sbarrare, Max si volse verso di lei e, solo in quel momento, si rese conto di quanto fosse delicata e fragile.

Era alta più o meno come Violet, e la sua carnagione eburnea gli ricordava la Biancaneve delle favole.

Bianca come il latte, rossa come il sangue.

Perché le sue labbra erano naturalmente rosse, e carnose come un frutto maturo, ed era inutile che ci girasse intorno.

Era sufficientemente uomo per notarlo ma, non per questo, si sarebbe lasciato andare ai suoi più bassi istinti.

Doveva badare a lei come avrebbe fatto con Elizabeth, o Lettie. Se si fosse ripetuto questo fino allo sfinimento, forse non avrebbe combinato guai.

“Non dovete temere nulla da me, Sophie… posso chiamarvi per nome?”

Lei abbozzò un sorrisino teso, e assentì.

“Dormirò sul pavimento accanto alla porta, giusto per sicurezza. Vi cambierete per la notte e vi metterete a letto e, solo in quel momento, io tornerò in questa stanza.  Va bene?” le spiegò lui, sorprendendola.

“Ma… ma dormirete in maniera orribile! Non ve lo posso permettere!” esalò lei, facendo tanto d’occhi.

Lui abbozzò un sorriso, replicando: “Non dormirei affatto, a sapervi sola in questa stanza. Penserei alle cose peggiori, e rimarrei desto per tutta la notte. Dormendo lì accanto alla porta, invece, sarò sicuro che voi non correrete alcun rischio.”

Ma non dormirei io, sapendovi lì, pensò tra sé Sophie, prima di sospirare e assentire.

“Promettete che prenderete almeno il materasso del vostro letto? Non potrei mai pensarvi disteso su quelle assi di legno impietosamente dure?” gli propose allora lei, speranzosa.

Neppure a Max piaceva l’idea di sdraiarsi su quel pavimento consunto, perciò acconsentì di buon grado a fare come consigliatogli dalla ragazza.

In fretta, si avviò nella stanzetta accanto e, dopo aver armeggiato con il materasso e le lenzuola, lo trascinò nella stanza di Sophie, gettandolo sul pavimento dinanzi alla porta.

Lì, posò anche il guanciale di piume dopodiché, con un frettoloso inchino, mormorò: “Attenderò il vostro segnale, per tornare.”

Ciò detto, si infilò nuovamente nella camera adiacente e, toltosi che ebbe gli stivali, cominciò a passeggiare nervosamente in lungo e in largo.

Era già stato in compagnia di ragazze che non fosse sua sorella.

Cielo, aveva campeggiato con Lettie, Sarah e Lorainne un sacco di volte!

Già, peccato che lui considerasse quel trio di sorelle come le proprie sorelline, non come le figlie di Anthony e Myriam.

Con Sophie non riusciva a rimanere distaccato come desiderava, e la cosa lo mandava in bestia e lo spaventava al tempo stesso.

Doveva unicamente ricordarsi ciò che suo padre e sua madre gli avevano sempre detto, e ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto.

Già, peccato che si sentisse più nervoso che mai, neanche dovesse recarsi al patibolo o qualcosa di simile.

“Potete venire…” mormorò Sophie all’improvviso, facendolo sobbalzare.

Il suo cuore perse un battito, la salivazione gli andò a zero e, con tutta probabilità, divenne rosso come un peperone.

Dio, sarebbe stata una nottata orribile! Altro che tranquillo all’idea di proteggerla!

Chi avrebbe protetto Sophie da lui?!

Preso un gran respiro, Max si diede un contegno imperiale, tornò nella stanza accanto in camicia e pantaloni – così da non metterla in imbarazzo – e si sdraiò sul materasso.

Sophie, completamente ricoperta dal lenzuolo di cotone grezzo, lo scrutava dal letto con espressione meditabonda, indecisa se parlare o spegnere subito la candela.

Max, però, la sorprese, domandandole: “Come vi sentite, Sophie?”

“Non so se essere più stanca, o più preoccupata” ammise lei, dopo un istante.

“Comprendo entrambe le sensazioni” sospirò il giovane, chiudendo gli occhi e girando le spalle alla porta.

“Siete preoccupato per il vostro amico… posso capirlo bene” assentì Sophie.

Maximilian rise brevemente, in modo secco, e replicò: “Sono molteplici, le mie preoccupazioni.”

“Ve l’ho detto… non dovete essere preoccupato per me e la mia reputazione. Mio padre può…”

Interrompendola con uno schiocco della lingua, Max borbottò: “Dovete credermi un ben misero esemplare di uomo, se pensate che queste rassicurazioni mi bastino.”

“No, io…” tentennò Sophie, sentendosi vagamente in colpa.

Più gentilmente, Max mormorò: “Sono cresciuto con dei valori molto precisi, Sophie, e tra essi ve n’erano alcuni che calzano a pennello con la situazione. Non avrei mai dovuto permettervi di seguirmi, innanzitutto.”

“Vi ho obbligato” sottolineò la ragazza.

Lui ridacchiò, ma disse: “Avrei potuto condurvi con l’inganno nelle stanze di mia sorella, mia madre o mia nonna, e voi vi sareste resa conto della situazione solo troppo tardi. Mi avreste disprezzato, con tutta probabilità, ma ora sareste al sicuro a Green Manor, lontano dagli scandali e dai pericoli della strada.”

Anche quello era vero, considerò suo malgrado Sophie.

Per quanto Maximilian non fosse stato d’accordo con lei nel volerla al suo fianco, in quella spericolata corsa contro il tempo, non aveva agito subdolamente nei suoi confronti.

Avrebbe potuto liberarsi di lei in mille modi diversi, eppure non l’aveva fatto.

Nonostante tutto, nonostante fosse ancora in ansia per la sorella, e preoccupata di non riuscire a raggiungerla, sorrise nel pensare a quanto Maximilian fosse stato onesto con lei.

Poteva anche essere un nobile titolato, e perciò praticamente esentato da qualsiasi critica, per il bel mondo, eppure non aveva cercato di ingannarla.

Non aveva agito alle sue spalle per sbarazzarsi di uno scomodo peso quale lei era e, anzi, ora la stava anche proteggendo da potenziali malintenzionati.

“Cercate di dormire, Maximilian. Domani ci aspetta una tratta molto lunga” mormorò a quel punto Sophie, chiudendo gli occhi.

“Lunga o meno che sia, vi permetterò di riposarvi. Non ho intenzione di rischiare la vostra vita per quell’idiota di Samuel e, con tutto il rispetto, di vostra sorella” precisò Max, sospirando.

Sophie si lasciò andare a un risolino e a un ‘grazie’ e, mentre i rumori soffusi della taverna dabbasso risalivano lungo le scale, i due giovani riuscirono in qualche modo a prendere sonno.
 
***

“Lizzie… Lizzie…” mormorò una voce roca all’orecchio della giovane lady Chadwick.

Riscuotendosi all’improvviso dal sonno pesante che l’aveva presa, Elizabeth aprì gli occhi di colomba per puntarli, insonnoliti, in quelli color cielo dello zio che, sorridendo, le disse: “Buongiorno.”

“Se lo dici tu…” borbottò lei, stiracchiandosi sotto il mantello che aveva utilizzato come coperta e, al tempo stesso, come protezione dagli sguardi curiosi dei pochi avventori della locanda.

Quando erano giunti nei pressi di Doncaster, a notte inoltrata e dopo una stressante quanto rapida discesa verso sud, Elizabeth si era quasi lasciata scivolare a terra dalla sella.

Non era più abituata a simili tratte a cavallo, e fare quasi quaranta miglia a cavallo, di notte, sapendo di dover tenere un’andatura necessariamente celere, non l’aveva aiutata a rilassarsi.

Era preoccupata per Max e per Sophie e, soprattutto, per quello che avrebbe potuto succedere, una volta trovatisi da soli.

Non che dubitasse del fratello – sapeva che era un gentiluomo – ma aveva notato un certo interesse da parte sua per miss Withmore… e non voleva che si cacciasse nei guai.

Gli voleva troppo bene, per volerlo vedere inguaiato con una ragazza che non era sicuro lui volesse e, pur se Mr Withmore era stato chiaro nel sottolineare le colpe della figlia, tutto poteva succedere.

Max avrebbe potuto tranquillamente sobbarcarsi le colpe di un eventuale scandalo, e solo perché era un uomo d’onore.

Inoltre, non conosceva miss Sophie, e non aveva idea se avrebbe approfittato o meno della situazione, buona volontà o meno del padre di essere un uomo degno di tale nome.

Guardandosi un momento intorno, Lizzie notò un paio di matrone impegnate nel sistemare le panche per la colazione, oltre a un oste pronto al bancone della taverna.

Non era molto pratica di luoghi così dozzinali, ma aveva idea che in molti, tra il popolino, facessero colazione con birra e pane secco.

Le cose più umili, al prezzo più basso.

Raddrizzandosi, diede un colpetto al mantello con le mani come a volerlo rassettare e, a bassa voce, mormorò: “Li hai trovati?”

“Ho chiesto all’oste, e mi ha confermato che, ieri notte, un certo Maximilian Campbell si è fermato con la cugina per riposare. Hanno desinato qui e sono saliti al piano superiore per la notte e, tieniti forte, non sono ancora andati via” le spiegò lui, aiutandola a sistemare il colletto del mantello, così da nascondere che stavano confabulando.

“Bene. Prevedibile come da programma” ironizzò Lizzie.

Wendell le sorrise divertito, ammettendo che i ragionamenti della nipote si erano rivelati esatti.

Elizabeth aveva passato gran parte del viaggio a rimuginare sui possibili ragionamenti del fratello, e così si era sperticata in mille e più domande allo zio, molto più esperto di lei della zona.

Dopo aver saputo ciò che le interessava, e aver scartato alcune possibili fermate come inaccettabili, per una signorina illibata, aveva puntato sulla locanda Happy Horse come l’unica possibilità.

Abbastanza fuori città per non attirare troppi sguardi, non troppo altolocata ma neppure una bettola di malaffare.

Insomma, sufficientemente anonima per non trovare dei nobili in libera uscita, ma neppure troppo sudicia da essere inqualificabile.

“E’ stato un po’ banale usare il cognome della mamma, ma mi aspettavo anche questo” ironizzò Elizabeth, scostandosi finalmente dalla panca su cui aveva dormicchiato per un paio d’ore.

Nonostante la mancanza di sonno, appariva desta e pronta a qualsiasi cosa e Wendell, nel sorriderle, non poté che essere fiero di lei.

Immaginava senza problemi quanto le mancassero i figli, e quanto quella cavalcata notturna l’avesse sfiancata per più di un motivo, ma Lizzie non mostrava alcun cedimento.

Era una Spencer fin nel midollo, degna figlia di sua madre e di suo padre.

“Perché non ordini una colazione per quattro persone, zio? Io, intanto, uscirò a prendere una boccata d’aria” propose a quel punto Lizzie.

“Non allontanarti troppo” si premurò di dirle Wendell.

“Solo due passi nel cortile, promesso” ammiccò lei, avviandosi verso la porta.

Wendell la seguì con lo sguardo finché non scomparve oltre il battente dopodiché, avviatosi verso il bancone, si appoggiò al ripiano in legno e attirò l’attenzione dell’oste.

“Può prepararci una colazione per quattro persone?”

“Quattro, messere?” ripeté sorpreso l’uomo, ben sapendo che Wendell era giunto solo con Lizzie al seguito.

“I miei due nipoti sono di sopra e, grazie al cielo, li abbiamo raggiunti in tempo per accompagnarli dalla madre della piccola Sophie” sospirò Wendell, esibendosi in una pantomima degna di un attore di teatro.

“Una disgrazia, messere?” si preoccupò l’oste.

Annuendo con espressione sufficientemente ansiosa, Wendell mormorò: “Una brutta caduta da cavallo. Appena hanno saputo, i miei nipoti sono subito partiti per tornare a Sheffield e, non appena ne siamo stati messi al corrente, ci siamo messi in viaggio per raggiungerli. Nessuna bambina dovrebbe affrontare da sola la possibile perdita della madre.”

“No davvero” scosse il capo con enfasi l’oste.

Una piccola bugia a fin di bene non avrebbe fatto male a nessuno, pensò tra sé Wendell, mentre Elizabeth rientrava all’interno della locanda.

Nello stesso momento, la figura di Sophie comparve al limitare delle scale e, poco dietro di lei, Maximilian chiudeva la fila.

Prima ancora che i due potessero dire qualcosa, Lizzie corse loro incontro e, abbracciando con foga Sophie, esalò: “Oh, meno male, vi abbiamo raggiunto! Avreste dovuto aspettarci!”

Poi, all’orecchio di una sconvolta Sophie, sussurrò: “Reggete il gioco e mostratevi affranta. Vi spiegherò dopo.”

Pur se ancora insonnolita da quella strana nottata, la giovane Withmore assentì e rispose all’abbraccio di Elizabeth, poggiando mesta il capo contro la sua spalla, nonostante fosse molto più alta di quest’ultima.

Wendell, allora, li raggiunse e, sorridendo a mezzo a un basito Maximilian, asserì: “Non appena abbiamo saputo della madre di Sophie, ci siamo messi in viaggio. Sei stato bravo ad accompagnare fino a qui tua cugina.”

“Ah… grazie, zio. Speravo davvero ci avreste raggiunti. Sophie… beh, Sophie avrà sicuramente bisogno di… di sostegno” riuscì a dire in qualche modo Max, ancora troppo stordito dalla presenza dei suoi familiari.

Come diavolo avevano fatto a raggiungerli e, soprattutto, a prevedere le sue mosse?
 
***

Fissando vagamente sconcertato – e sì, intimorito – la sorella, mentre procedevano al passo lungo la via principale di Doncaster, Max esalò: “E hai capito dov’eravamo, solo dalle indicazioni dello zio?”

“Ho soppesato le varie possibilità. Inoltre ti conosco, ragazzino, e so che non avresti mai fatto correre dei rischi a miss Sophie, quindi rimanevano davvero ben poche scelte.”

“E davi per scontato che non mi sarei spinto oltre Doncaster. Come mai?”

“Ho calcolato le ore percorse, considerato che non avresti permesso a una signorina con una sella da amazzone di percorrere un tragitto esageratamente lungo, e la cosa è venuta da sé” terminò di spiegare Lizzie, particolarmente soddisfatta di sé.

Maximilian impallidì leggermente e gracchiò: “Mi fai paura, sorella.”

“Lo so, ne faccio anche ad Alexander, a volte” ironizzò Elizabeth, scoppiando in una risata delicata.

Wendell sorrise a una sorpresa Sophie e, comprensivo, asserì: “Voi state bene, Sophie? E’ andato tutto bene, ieri notte?”

“Oh… oh, sì, lord Spencer. Tutto benissimo. Non abbiamo incontrato disagi lungo il viaggio, e la nottata è trascorsa tranquilla” assentì in fretta Sophie, omettendo il fatto non secondario che Maximilian aveva dormito nella sua stanza.

Quella, era una cosa che avrebbe dovuto rimanere strettamente riservata.

Wendell non domandò oltre e Lizzie, con cupo cipiglio, borbottò: “Ora, voglio sapere il perché di questo colpo di testa. Avresti potuto tranquillamente avvertirci, e saremmo venuti con voi immediatamente.”

Max reclinò colpevole il capo e assentì, ben sapendo di meritarsi quel rimbrotto.

In parte, aveva desiderato compiere da solo quell’impresa per dimostrare di esserne in grado e, in parte, aveva voluto essere d’aiuto a Sophie in prima persona.

Agghiacciante da ammettere, ma non di meno reale.

“Se mi permettete, lady Chadwick…” intervenne Sophie, sorridendo comprensiva.

“… Elizabeth, mia cara. O Lizzie” sottolineò per contro la donna.

“Elizabeth… vostro fratello voleva solo proteggermi da un imbarazzo. Per questo, non vi ha interpellata.”

“Un imbarazzo, eh?” ripeté dubbiosa Lizzie, volgendo lo sguardo verso Max. “E dire che io sono la campionessa degli eventi imbarazzanti. Non mi sarei sconvolta più di quel tanto.”

“Non ci ho pensato” ammise Max, sorridendo sghembo.

Non comprendendo appieno quello scambio di battute, Sophie lanciò uno sguardo dubbioso a lady Chadwick che, per tutta risposta, rise sommessamente.

“Questa sera vi racconterò i miei trascorsi giovanili, ma ora è il caso di accelerare il passo. Abbiamo dei fuggiaschi da recuperare e, per quanto mi ripugni ammetterlo, dovremo dividerci per coprire meglio le strade principali che potrebbero aver percorso.”

Ciò detto, lanciò un’occhiata raggelante al fratello e aggiunse: “Tu ti occuperai di miss Sophie, visto che ti sei preso questo impegno, ma ci ritroveremo ogni sera nella stessa locanda, è chiaro?”

“Limpidissimo, sorella” assentì rapido Max, non volendo subire il peso degli strali di Lizzie.

Era chiaro quanto poco le piacesse la situazione e quanto, probabilmente, lui l’avesse ferita, non interpellandola.

“Zio, qual è la città più appropriata per un rendez-vous?” domandò allora Elizabeth.

“Punterei a Nottingham. Noi ci terremo a ovest, Lizzie, mentre Max e miss Sophie si occuperanno della via a est. Circumnavigheremo Mansfield e ci ritroveremo la sera al Beauty Lake, che si trova nei pressi del Southglade Park.”

“Come mai non Mansfield?” domandò allora Sophie.

Fu Max a rispondere.

“Samuel ha dei parenti in città, e immaginiamo li eviterà come la peste… se è abbastanza intelligente, è ovvio” le spiegò Max, prima di storcere il naso.

“E’ un genio, nel creare guai formato gigante, perciò stai tranquillo che non cadrà in un simile errore” ironizzò con affetto Lizzie, sorridendo poi a Sophie. “Ve la sentite, Sophie?”

“Mia sorella ha parimenti colpe, perciò sì, Elizabeth. Ci rivedremo stasera… e ancora grazie infinite” asserì la ragazza, reclinando riconoscente il capo, negli occhi lo stesso orgoglio che Lizzie aveva scorto nello sguardo del padre.

No, non è una cacciatrice di dote, né una sciocca. E’ solo una ragazza con un gran coraggio, e uno sconfinato affetto per la sorella, pensò tra sé Elizabeth senza dire altro.

Wendell la seguì al galoppo leggero e, a quel punto, a Max e Sophie non restò altro che puntare a est, in direzione di Harworth.

“Temo di non aver fatto una bella impressione a vostra sorella” mormorò spiacente Sophie, accelerando il passo.

“Oh, tutt’altro. Lei ammira le donne coraggiose, visto che lei lo è per prima” replicò Max. “Ad averla delusa sono stato io, visto che mi aveva espressamente detto di coinvolgerla, caso mai avessi avuto bisogno di aiuto.”

“E perché mai si sarebbe sentita in dovere di dirvi una cosa simile?” domandò sorpresa la ragazza.

“Mia sorella è criptica, a volte” mentì spudoratamente Max, ben sapendo, invece, quali fossero state le reali intenzioni di Elizabeth.

Non doveva esserle sfuggito il modo in cui aveva preso in simpatia Sophie, ma forse neppure lei si sarebbe aspettata da parte sua un simile colpo di testa.

Doveva davvero delle scuse alla sorella. L’aveva estromessa proprio quando avrebbe potuto essergli d’aiuto.

Pensarla solo come una moglie e una madre, lo aveva ingannato grandemente.

Rimaneva ancora la spigliata, grintosa, spericolata Lizzie, che da sempre si lanciava in mille e più avventure.

Già, le aveva fatto davvero un torto.







Note: Max si è reso conto di cosa voglia dire essere veramente attratto da una donna, e questo lo spaventa non poco, perché non sarebbe mai aspettato di non avere più il totale controllo su se stesso. Sophie, da parte sua, è più che consapevole della sua presenza, e non sa come comportarsi senza sentirsi sciocca e confusa.
Insomma, stanno andando un po' nel pallone.
Fortunatamente (?) l'arrivo di Lizzie e Wendell potrà dare una mano a entrambi per capire cosa passa loro per la testa... vedremo...

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 
 
8.
 
 
 
 
Passeggiando nervosamente in lungo e in largo nell’ufficio, mentre Kathleen serviva da bere ai coniugi Withmore, Christofer Spencer borbottò: “E io che pensavo che i guai fossero finiti con Lizzie.”

“Prego?” esalò sorpreso Ferdinand, tenendo tra le mani il panciuto bicchiere di whisky.

Kathleen gli sorrise comprensiva e, nell’accomodarsi al fianco di Adelaide per prenderle una mano con fare consolante, asserì: “Nostra figlia è sempre stata la più… indisciplinata tra tutti, Andrew era il più posato, e Maximilian una degna via di mezzo. Di certo, se pensavamo alla fautrice di un disastro, pensavamo a lei… ma, a quanto pare, il nostro ultimogenito non è così inesperto come ci aveva fatto credere.”

“Se penso alle mie bambine, in giro per la campagna inglese, non so davvero che pensare…” sospirò Adelaide, scuotendo la chioma bruna con fare sconvolto.

Quando Christofer e Kathleen erano tornati a casa, erano stati accolti da un preoccupato Andrew che, con tono torvo, aveva spiegato ai genitori ciò che era avvenuto in loro assenza.

Pur se compiaciuti dalla lungimiranza dei gemelli, che avevano mascherato la mancanza di Max e Samuel a Whilelmina, si erano dichiarati sconcertati dalla scelta del loro ultimogenito.

Perché mai imbarcarsi in una simile missione, senza coinvolgere nessun altro?

Pur se erano passati tre giorni dalla partenza di Lizzie e Wendell, Christofer ancora non si capacitava delle scelte di Maximilian.

“Ho tentato di fermare vostra figlia, milord, ma non ha voluto sentire ragioni…” mormorò spiacente Ferdinand. “… e, pur se la ringrazio per la sua cortesia, sono in ansia per lei.”

Christofer sorrise all’uomo e replicò: “Credetemi, Ferdinand… deve ancora nascere l’uomo che può fermare la mia Lizzie. Neppure suo marito ne è in grado, quando si intestardisce veramente.”

“Verissimo” assentì con vigore Kathleen. “Inoltre, Wendell è un ottimo cavallerizzo, oltre che un provetto spadaccino. Elizabeth è più che protetta, e non ho dubbi che avranno già incrociato Maximilian e Sophie, e ora staranno procedendo assieme verso sud.”

“Ma come trovarli, se esistono così tante strade tra qui e Southampton?” sospirò sconsolata Adelaide.

“Maximilian sceglierà solo strade che permettano a miss Sophie di procedere agevolmente, il che riduce drasticamente le scelte” le spiegò Christofer, quando un bussare quieto alla porta lo interruppe di colpo.

Subito dopo, Andrew fece la sua entrata con un foglio pergamenato alla mano e un sorriso sollevato dipinto in volto.

“Buone notizie” esordì, brandendo il foglio come una bandiera. “Zio Wendell ci manda a dire che hanno trovato Max e miss Sophie, e ora stanno procedendo assieme a loro in direzione sud. Per il momento, non sono riusciti a trovare tracce di Samuel e miss Cynthia, pur chiedendo in molte locande lungo le strade seguite. Comunque, non si danno per vinti.”

Ferdinand si concesse un breve scongiuro mentre Adelaide, presa da un accesso di pianto, si asciugò le lacrime con un fazzoletto bordato di pizzo.

Kathleen le batté una mano sulla schiena, cercando di chetarla.

Christofer, a quel punto, asserì risoluto: “Dillo subito a Violet. Sono sicuro che la notizia le darà conforto, visto quanto è stata in ansia in questi giorni. Dopodiché, di’ alla servitù di far preparare una stanza per i nostri ospiti. E’ perfettamente inutile che i coniugi Withmore facciano avanti e indietro da qui a York ogni giorno.”

Ferdinand fissò senza parole il padrone di casa e, scuotendo il capo, replicò: “Non possiamo accettare la vostra ospitalità, milord. Non è proprio il caso che…”

“Mio malgrado, temo che farò valere il mio titolo, in questo caso…” ironizzò Christofer, bloccandolo con un gesto della mano. “…esattamente come feci con mio cognato, tanti anni addietro. Chiedete pure al signor William Knight, l’attendente di mia moglie. Saprà dirvi quanto posso essere dispotico, nell’elargire doni non richiesti.”

Ciò detto, si scusò coi presenti e lasciò lo studio a passo di carica, sicuramente diretto dalla madre per conoscerne le condizioni.

Pur avendo mentito a fin di bene alla donna, era ormai chiaro che tali bugie non avrebbero retto sulle loro stentate gambe ancora a lungo.

Era difficile dissimulare l’ansia, e Whilelmina si era ormai accorta che qualcosa non andava.

Dopo aver osservato il marito allontanarsi, Kathleen sorrise a un comprensibilmente confuso Mr Withmore e asserì: “Dovete sapere che il signor Knight è il mio fratellastro. Non è un mistero per nessuno, qui in casa, pur se non è una notizia che siamo soliti dire in giro. E’ meglio lasciare in pace i morti, per così dire…”

“Oh, cara lady Spencer… vostro padre…” ansò Adelaide, fissando la padrona di casa con sincero sconcerto.

“Non fu un campione di virtù, esattamente e, quando scoprimmo dell’esistenza di William, io e mio fratello Andrew desiderammo conoscerlo. I casi della vita mi divisero dal mio amato Andrew, ma William è sempre rimasto accanto a me, proteggendomi… e subendo ogni tanto gli attacchi di generosità di mio marito” sorrise Kathleen, nel terminare il racconto.

“Vostro marito ha sicuramente dato prova di immensa generosità, accettando come membro della famiglia un… beh, un…” tentennò Adelaide, non sapendo bene cosa dire.

Kathleen le sorrise, annuendo. “Un figlio illegittimo che era anche suo cognato. Potete dirlo, Mrs Withmore. Nessuno di noi si scandalizza. Il peccato lo commise mio padre, non certo William, o sua madre.”

Adelaide lanciò un’occhiata al marito, non sapendo bene se potersi esprimere apertamente o meno ma, lanciando alle ortiche ogni timore, mormorò: “Siete una famiglia di rara gentilezza in ogni caso, specialmente se penso al mio Ferdinand.”

“Cara, ti prego…” mormorò l’uomo, scuotendo il capo.

“Non vi dovete vergognare di nulla, Mr Withmore. Anzi, dovete andare orgoglioso dei successi ottenuti indipendentemente da ciò che vi è accaduto” replicò rigida Kathleen. “Quando abbiamo saputo di voi, Christofer ha apprezzato subito la vostra attenzione sul luogo di lavoro, così come sul controllo delle norme di sicurezza che, ammettiamolo, sono una cosa assolutamente inusitata, nelle fabbriche inglesi.”

Nel dirlo, Kathleen suonò sprezzante e infastidita.

“Cerco di evitare agli altri ciò che successe a me” mormorò contrito Ferdinand.

“E questo ha contato moltissimo, per noi, quando Christofer vi ha dato il benestare per utilizzare i vecchi lanifici sui nostri terreni per ammodernarli” sottolineò la contessa. “So che molti, tra la nobiltà, hanno tradito le vostre aspettative, e capisco perché siate restio ad accettare favori da persone al di fuori della famiglia. Ma vorrei che credeste che noi non giudichiamo nessuno dal proprio retroterra, ma solo dalle azioni compiute.”

Ferdinand assentì lentamente, prima di passarsi una mano sul viso, fattosi improvvisamente stanco e svuotato da ogni forza.

Era così difficile allentare la presa sul proprio destino per qualche attimo, e lasciare che fossero altri a guidare la nave al posto suo!

Kathleen sospirò, mormorando: “Ho visto cose, nelle fabbriche così come negli orfanotrofi, che farebbero impallidire anche gli uomini più forti, e mi ripugna pensare che, molte delle donne che conosco, non si sognano neppure di affrontare l’argomento, così come i loro mariti. Ma tant’è, non possiamo cambiare il mondo in un giorno, o noi soli, vero?”

Adelaide assentì, ora del tutto calma e, stranamente, più serena in viso.

Lady Spencer, allora, la guardò per alcuni istanti prima di domandarle: “Non vi curaste affatto dell’amputazione di vostro marito, quando lo sposaste, vero?”

La donna scosse il capo, mossa da un raro impeto d’orgoglio e, nell’osservare il volto vagamente sorpreso del marito, Adelaide asserì: “Mai, neppure per un istante. Ho sempre apprezzato l’uomo. Inoltre, io lo giudico bellissimo.”

A quel punto, Kathleen sorrise, batté una mano sul braccio di Mrs Withmore e, dopo essersi levata in piedi, disse: “Rimanete pure qui a riposare un poco. Nel frattempo, controllo come stanno procedendo le cose.”

Ciò detto, sfiorò con una mano la spalla di Mr Withmore e uscì silenziosa dallo studio, lasciando sola la coppia.

Adelaide, allora, si lasciò scivolare sulle ginocchia, proprio dinanzi al marito e, prese le sue mani ruvide e robuste tra le proprie, mormorò con tono tremulo: “Sembrano brave persone, vero?”

“Credo di sì” assentì l’uomo, stringendo le mani delicate della moglie.

Era sempre stata così, la sua Adelaide. Facile alle lacrime e ai pensieri catastrofici, ma infinitamente forte quando lui dava segno di cedere.

Si compensavano egregiamente, a ben vedere… anche se, in quel caso, lui era stato manchevole nei confronti delle figlie.

“Avrei dovuto occuparmi maggiormente di loro… restare più a casa” sussurrò Ferdinand, replicando il capo fino a poggiare la fronte contro quella della moglie.

“E io non mi sarei dovuta crogiolare sugli allori. Avrei dovuto rendermi conto che Cynthia non aveva mai superato l’abbandono da parte di lord Percy, eppure non l’ho fatto. E la piccola Sophie si è sobbarcata il peso delle follie della sorella. Ancora una volta.

Non si erano mai dovuti preoccupare per Sophie; era sempre stata assennata e tranquilla, e non aveva mai dato loro un solo grattacapo.

Ma avrebbero dovuto capire che, l’essere costantemente all’ombra dell’esuberante sorella, presto o tardi anche la sua anima pacifica sarebbe esplosa per fare uscire il suo vero Io.

In questo, nel saper riconoscere l’animo umano, Ferdinand era sempre stato manchevole.

Poteva capirne di economia, ma ben poco di cose del genere.

“Confidiamo in lord Maximilian e negli altri. Sapranno trovarli in tempo” sussurrò a quel punto Adelaide, dandogli un bacio delicato sulla guancia.

“Non possiamo fare altro, al momento” assentì con un sospiro l’uomo.
 
***

Quando Andrew entrò nel salotto delle sue stanze private, si fermò un istante prima di sorridere divertito e dichiarare: “Questa, mi mancava all’appello. Sei caduto in basso, cognato. E anche voi, Mr Lloyd. Letteralmente.

Alexander e l’attendente di Violet erano a quattro zampe sul tappeto dell’enorme salotto e, sulle loro schiene, i tre figli di Chadwick sembravano darsi battaglia come in un torneo di quintana.

Lettie, seduta sul divano con un taccuino in mano, pareva tenere i punti di quella immaginaria guerra ma, quando vide sulla porta il marito, perse di colpo il sorriso e mormorò ansiosa: “E’ successo qualcosa?”

Sia Alexander che Mr Lloyd fecero temporaneamente scendere i bambini per poter ascoltare e Rose, dopo aver ringraziato l’attendente, si incamminò verso lo zio per domandare: “E’ la mamma?”

Andrew assentì, sorridendole, e disse loro: “Li hanno trovati. Maximilian e Sophie. Ora procederanno insieme verso sud, sperando di avere altrettanta fortuna coi due fuggiaschi.”

Un sospiro di corale sollievo prese tutti e i gemellini, battendo le mani, urlarono: “Mamma a caccia!”

“Sì, la mamma è a caccia” assentì Rose, raggiungendo i due fratellini per poi aggiungere: “Giochiamo un po’ sui cavallucci? Vi aiuto a dondolare.”

Arthur e Serenity si mostrarono subito entusiasti e Alexander, nel dare un bacio sulla fronte alla sua primogenita, la osservò mentre, come un generale, guidava i fratellini in direzione della nursery, che si trovava in fondo al corridoio.

Libero di parlare quando i bambini non furono più presenti, Alexander si rialzò in piedi e, dopo essersi rassettato i calzoni, domandò al cognato: “Si sa nient’altro?”

“Se con quel ‘nient’altro’, vuoi chiedermi di Sophie, posso solo dirti quello che ha scritto zio Wendell. Li hanno trovati in una locanda e, da quello che hanno saputo dall’oste, si sono spacciati per due cugini” gli spiegò Andrew.

Violet fissò ombrosa il cognato, asserendo: “Stavi per caso mettendo in dubbio la nobiltà d’animo di Max?”

Alexander le sorrise imperturbabile, replicando: “Tesoro, amo quel ragazzo come se fosse mio fratello, ma la carne è debole… da ambo le parti.”

“Oh” esalò sorpresa Lettie, arrossendo appena nel comprendere cosa avesse voluto far intendere il cognato.

Andrew rise nonostante tutto e, nell’osservare Mr Lloyd, gli domandò: “Voi cosa ne pensate, Frank? Riusciranno a raggiungerli?”

“E’ difficile dirlo, milord, perché le variabili in campo sono molteplici. Non conosco le signorine che si accompagnano a lord Maximilian e lord Samuel, ma conosco abbastanza lady Chadwick per dire che non lascerà nulla di intentato, pur di trovarli perciò, penso possano avere qualche chance di farcela.”

Lettie assentì, dichiarando: “Lizzie è un portento, in questo e, pur se mi scoccia ammetterlo, non avrei potuto prendere il suo posto neppure se fossi stata in perfetta salute. Non sono brava quanto lei, a cavallo.”

“Sono sicuro che Max non se ne sia risentito” la rassicurò Andrew. “Anzi, forse, l’essere rabberciato da Lizzie sortirà maggiori effetti che l’essere ripreso da te.”

“Intendi dire che non ne sarei stata in grado?” ribatté la moglie, mettendo un adorabile broncio.

Sia Alexander che Frank sorrisero indulgenti e Andrew, nel ghignare furbo, replicò: “Precisamente, cara. Credo che, al massimo, saresti stata in grado di dargli un buffetto sulla mano, prima di scusargli il suo comportamento irresponsabile.”

Lettie fece per ribattere a tono ma, alla fine, sospirò e disse in un borbottio: “Temo tu abbia ragione.”

Ho ragione” sorrise Andrew, sfiorandole la guancia con una carezza. “Sei troppo buona e, al pari mio con te, sei molto indulgente con lui. Ti saresti sciolta come neve al sole.”

Violet si lasciò andare contro lo schienale del divano, fissò malissimo il marito ma assentì.

“Lo so. Sono un pan di spagna” decretò la donna, facendo ridere sommessamente i tre uomini.
 
***

Stavano galoppando da ore, lungo la strada principale che conduceva a Notthingham, ma Lizzie non aveva ancora aperto bocca.

Quella mattina, quando aveva permesso al fratello di accompagnare in solitudine Sophie, Wendell aveva preferito non dire nulla, sperando che gli parlasse in merito a quella scelta.

Elizabeth, però, era diventata stranamente silenziosa – una rarità, per lei – e a lui non era rimasto altro che attendere che la nipote decidesse di parlare.

Partire così di fretta, senza prima consultarsi con il fratello, gli aveva messo sulle spalle un peso invisibile in più.

Avrebbe difeso a spada tratta i nipoti in ogni caso, ma sapere di essersi mosso senza il suo permesso – permettendo a Lizzie di partire – lo metteva in una strana agitazione.

Certo, Elizabeth era ormai sposata e rispondeva al marito, ma Christofer era pur sempre suo padre e, anche tra cinquant’anni, lui si sarebbe sempre preoccupato per la figlia.

“Stai ragionando così tanto che la tua faccia è simile a una ciliegia, zio” asserì di punto in bianco Lizzie, sorprendendo un poco Wendell.

“Buono a sapersi” ironizzò lui, indicandole una locanda lungo la strada. “Mi fermo un istante per chiedere, così puoi sgranchirti un po’ le gambe, se vuoi.”

“Grazie” assentì lei, accettando di buon grado.

Quando lo zio si fermò, Lizzie si fece aiutare a scendere dalla sella da donna del suo purosangue dopodiché, mentre lo abbeverava nella vicina vasca, Wendell entrò nella locanda.

La brezza era calda e afosa, quel giorno, e si sentiva indolenzita per il viaggio e la privazione di sonno del giorno prima.

Ma non era quello ad angustiarla.

Era il pensiero che suo fratello si fosse sentito in obbligo di non coinvolgerli in quella missione.

Erano stati due fratelli così pessimi, con lui, da averlo costretto a fare tutto da solo?

Certo, lei viveva ad Aberdeen, ed era assente da York per la maggior parte dell’anno, ma aveva dato per scontato che, almeno con Andrew, Max si sarebbe sbilanciato, caso mai gli fosse servito aiuto.

L’aver sposato Lettie, la sua cara, inseparabile Lettie, aveva unito Andrew e Max molto più che in passato, eppure…

… eppure, Max non ci aveva pensato due volte, prima di partire per quella missione, tirandosi dietro una ragazza che neppure conosceva.

Elizabeth sospirò, scuotendo il capo con espressione addolorata, e fu così che Wendell la trovò.

Le mani poggiate sulla sella e il capo chino, mentre i suoi occhi di ghiaccio sondavano la ghiaia del cortile come se vi fossero nascoste le risposte a ogni male.

“Lizzie, vuoi dirmi che succede?” le domandò a quel punto, avvicinandosi alla nipote.

Lei puntò due occhi liquidi sullo zio, cercò di mascherare il suo disappunto ma Wendell fece l’unica cosa che l’avrebbe fatta crollare.

Le carezzò il viso, come soleva fare quando era bambina.

A quel punto, Elizabeth si strinse a lui in un abbraccio affranto e mormorò roca: “Siamo stati davvero due fratelli terribili, io e Andrew, se Max non ha pensato di chiedere il nostro aiuto. In cosa abbiamo sbagliato, zio?”

“Oh, Lizzie… non pensare questo” sussurrò l’uomo, carezzandole la schiena con gentilezza, prima di scostarsi da lei per sorriderle. “Max è semplicemente un uomo adulto, ormai. Tutto qui. E, a quanto pare, la presenza di miss Sophie lo instupidisce più di quanto lui stesso non si renda conto.”

“Come?” esalò lei, sbattendo confusa le palpebre.

“Sono più che sicuro che, se fosse stato solo, vi avrebbe chiamati immediatamente. Avendo alle calcagna quella ragazza, però, il suo cervello gli è venuto meno… con le conseguenze che abbiamo visto tutti” gli spiegò lui, vagamente divertito.

“Tu credi davvero che l’avrebbe fatto?”

“Potrete anche avere vite diverse, ma rimarrete per sempre uniti dal vostro sangue che, per voi, ha sempre contato moltissimo” le ricordò lo zio. “Mi spieghi perché hai lasciato che procedessero da soli, quindi?”

“Visto che non ha ritenuto di doverci interpellare, ho pensato di dimostrargli tutta la mia fiducia, lasciandolo solo con lei. Dici che ho sbagliato, a questo punto?”

“Oh, Maximilian non rischia di saltarle addosso solo perché sono soli… anzi, forse gli servirà come sprone per capire che, se anche si fa piacere una ragazza, non è la fine del mondo” ironizzò Wendell.

“Dici che mio fratello ha paura di impegnarsi?” esalò a quel punto Elizabeth, vagamente divertita.

“Tesoro, ne è decisamente terrorizzato” dichiarò lo zio, indicando poi i cavalli perché potessero ripartire.

Lizzie si ritrovò a sorridere al solo pensiero e, quando fu nuovamente in sella, disse: “Grazie, zio.”

“Di nulla, Lizzie. E non pensare mai più che Max non vi voglia bene. Solo, è un uomo adulto, con dei sani principi e sani appetiti… e questi ultimi possono mandare in tilt anche il migliore di noi” replicò Wendell, facendola ridere mentre riprendevano il cammino.
 
***

Dopo aver scandagliato decine di locande lungo la via, e aver ricevuto solo risposte negative, fu con un certo disagio che Max penetrò entro l’ennesima bettola, a circa una decina di miglia da Notthingham.

Lasciata Sophie all’esterno con l’impegno di comprare un po’ di frutta da un vicino venditore ambulante, Maximilian si diresse velocemente verso il bancone e chiese informazioni.

Si premurò di descrivere con attenzione Samuel e Cynthia, sottolineando più o meno il periodo in cui avrebbero potuto essere passati in loco.

Già pronto ad ascoltare l’ennesimo diniego, fu con somma sorpresa che vide l’oste rimuginare per diversi secondi prima di illuminarsi in viso, ridere un poco e asserire: “Oh, se è la coppia di giovani che ho visto, messere, avrete il vostro bel daffare, per raggiungerli.”

“Come mai? Ditemi” esalò Max, con rinnovata fiducia. Era mai possibile che avessero trovato la pista giusta?

“Da quel che mi è parso di capire, la fanciulla aveva una fretta indiavolata, mentre il giovane con lei cercava di riportarla a più miti consigli, pregandola di riposarsi un poco” gli spiegò l’uomo, ancora sorridente. “Hanno discusso a voce così alta che quasi tutti, qui, hanno udito le loro parole. Pareva che la signorina si aspettasse il diavolo in persona, alla porta, e che fosse più che decisa a non incontrarlo.”

“Temeva che la inseguissimo” assentì amaro Maximilian.

“Così è, messere. Comunque, hanno solo desinato qui e poi sono ripartiti di gran carriera. Mai vista una fanciulla così ardimentosa.”

“Oh, posso immaginarmelo” dichiarò Max, pensando all’altra fanciulla ardimentosa che era in attesa fuori dalla porta.

In questo, le due sorelle si assomigliavano moltissimo.

Estratte un paio di monete, Maximilian pagò l’oste per l’informazione dopodiché, tornato che fu all’esterno, si avvicinò a Sophie, intenta a dare dei pezzi di frutta ai loro cavalli.

Sembrava imperturbabile, con la sua postura diritta, gli occhi volitivi e lo sguardo serio, eppure le sue mani tremavano leggermente, tradendone l’ansia a stento repressa.

Istintivamente, Max fu spinto ad avvicinarsi a lei per abbracciarla e confortarla, ma non lo fece.

Non era né Elizabeth, né Lettie o le sue sorelline.

Era impensabile che lui si comportasse a quel modo con lei.

Eppure, desiderava tanto scacciare quel tremore dal suo corpo!

Scuotendo il capo per l’irritazione, Max si decise infine ad avvicinarla e, rimanendo a un paio di passi da lei, dichiarò: “Abbiamo finalmente notizie. Sono passati da qui, e parevano avere una fretta indiavolata.”

Sophie si illuminò al solo sentire quelle parole e, lanciando alle ortiche qualsiasi precauzione, lasciò cadere i pezzi di frutta a terra e gettò le braccia al collo di Max per la felicità.

Un attimo dopo, però, si scostò al colmo dell’imbarazzo, rossa in viso per la contrizione ed esalò: “Oh, cielo, scusatemi, Maximilian!”

Lui impiegò diversi attimi per riprendersi, attimi in cui il suo cuore fece letteralmente una capriola nel petto prima di tornare a sistemarsi al suo posto originale.

Quando finalmente fu in grado di parlare, gracchiò: “Ah… non è niente, Sophie. Davvero. E’ normale essere eccitati. E’ la prima notizia decente che troviamo, da due giorni a questa parte…”

“Già, ma non dovevo comportarmi come una sciocchina e saltarvi addosso. Ancora le mie scuse” mormorò lei, allontanandosi ulteriormente per poi volgere lo sguardo verso i cavalli.

Decisamente più semplice che continuare a guardare quegli occhi dannatamente attraenti, di quello strano color nocciola punteggiato d’oro.

Perché diamine lady Spender si era impegnata tanto, per farlo nascere così bello?, brontolò tra sé Sophie, avvicinandosi alla sua Lady per montare a cavallo.

Subito, Max le fu vicino per farle scaletta e lei, non potendo farne a meno, montò in groppa e rimase a fissare l’orizzonte nebuloso dinanzi a sé, senza più parlare.

Che avrebbe potuto dire, oltre a scusarsi nuovamente?

Era stata una sciocca a lasciarsi andare a quel momento di gioia sconfinata e, soprattutto, si era comportata come una sciacquetta qualunque di fronte a un bell’uomo.

Era davvero così fatua da non sapersi controllare almeno un po’?

A quanto pareva, avrebbe dovuto imparare un altro poco di self control… o sarebbero stati guai seri per entrambi.

Ma come fare, quando Maximilian la guardava come se fosse l’unica persona presente al mondo?

Forse, se gli avesse dato una botta in testa, avrebbe smesso. Ma non ne avrebbe mai avuto il coraggio… e il desiderio.

Nonostante tutto, nonostante fossero alla ricerca della sorella – e il suo cervello avrebbe dovuto pensare ad altro – era bello sentirsi al centro dell’attenzione di Max.

E, che Dio la punisse pure, finché avesse potuto, ne avrebbe gioito.

Anche se avrebbe pagato caro lo scotto di perderlo, una volta terminata quell’emergenza.






Note: Vediamo come, lungo le varie storyline, i personaggi affrontino ciò che sta accadendo in modi diversi. I coniugi Withmore scoprono come la famiglia Spencer possa essere non solo intraprendente ma anche assai generosa e anticonformista.
Lizzie si domanda se lei ed Andrew siano stati dei pessimi fratelli, per Max, e questo la induce a cedere allo sconforto, ma Wendell le fa capire che il fratellino, ormai, è un uomo, e desidera affrontare da solo i propri demoni... e le donne. ^_^
Max e Sophie, invece, si scontrano contro i loro rispettivi desideri, volendo recitare ruoli diversi da ciò che vorrebbero interpretare, perché convinti di non poter fare altrimenti. Fin quanto durerà questa pantomima? ;-)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
 
 
 
 
 

 
 
9.
 
 
 
 
Sophie stava sistemandosi i capelli in una treccia quando, nel volgere lo sguardo a mezzo, si rese conto di un particolare non da poco.

Sulla schiena della sua compagna di stanza, all’altezza della scapola destra, era presente una vistosa zona di tessuto cicatriziale bianco e vecchio di anni.

Involontario, un sospiro le scaturì dalla gola ed Elizabeth, nel volgersi verso di lei, la fissò curiosa per un istante prima di sorridere appena, comprendendo cosa l’avesse sorpresa.

“Piccolo incidente infantile” mormorò lei, infilandosi la camicia da notte dalla testa.

Piccolo?” esalò Sophie, terminando di allacciarsi la treccia.

Sedendosi sul letto, abbastanza alto da farla sembrare molto più bassa di quanto non fosse, Elizabeth ciondolò coi piedi nel vuoto e asserì: “Stavo giocando con mio fratello Andrew, quando accidentalmente mi fece cadere dalle scale di Green Manor. Le avete viste, perciò sapete quanti scalini ci siano.”

Sophie si coprì la bocca per reprimere un singulto strozzato e la giovane, accentuando il suo sorriso, aggiunse: “Andrew si precipitò giù dalle scale urlando come un pazzo, convintissimo di avermi uccisa, pur se io mi lagnavo per il male e piangevo.”

“Immagino non sia stato un bel momento, per nessuno dei due” assentì Sophie, raggiungendola al letto matrimoniale che avrebbero diviso per quella notte.

Nella camera adiacente, si trovavano Wendell e Max.

“Mi ricucirono la ferita mentre Andrew piangeva come un forsennato, e io mi stringevo come una zecca a mia madre. Papà ci guardò in silenzio per tutto il tempo, terreo in viso e con le braccia strette sul petto” mormorò Elizabeth, infilandosi sotto le coperte per poi sprimacciare il cuscino di piume.

“Picchiò vostro fratello?”

“No” scosse recisamente il capo Lizzie. “Non lo toccò mai. Lo mise in punizione, ovviamente, ma non lo colpì mai, neppure una volta. Scoprimmo solo anni dopo perché.”

Sorridendo mesta alla sua compagna di stanza, Elizabeth terminò di dire: “Il fatto di essere nati con sangue nobile nelle vene, non preclude dal dover vivere una vita d’inferno. Mio padre dovette subire, per anni e anni, gli abusi dei fratelli maggiori e del padre, e così pure nostro zio Wendell. Anche per questo, nostro padre ammira molto il vostro. Sa cosa vuol dire riscattarsi da un passato crudele, anche se ovviamente vostro padre ha passato momenti ben peggiori.”

“Oh… sapete?” esalò Sophie, un po’ sorpresa.

“Abbiamo una discreta esperienza nel campo delle mutilazioni, perché ci siamo occupati per anni dei malanni degli operai nei lanifici della zona, così come negli orfanotrofi, perciò non ci è sfuggita la zoppia di vostro padre, e lui ce l’ha confermato.”

Poi, con un risolino, Elizabeth aggiunse: “E’ stato a questo modo che l’abbiamo fermato, altrimenti si sarebbe fatto carico del viaggio per raggiungervi, sfiancandosi.”

Gli occhi di Sophie si inumidirono di pianto e, con un sospiro, mormorò: “Non volevo che si preoccupasse tanto. Speravo che prendesse per buona la mia scelta, visto che avevo deciso di farmi accompagnare dal figlio di un uomo che lui tiene in grande stima ma, evidentemente, non è bastato.”

Elizabeth rise appena, replicando: “Penso non basterebbe a nessun padre, Sophie. A nessun padre che ama le proprie figlie, per lo meno.”

“Era molto in ansia?” si premurò di domandare Sophie.

“Quanto basta per sapere che, se avesse trovato solo me a Green Manor, mi avrebbe legata a una poltrona e sarebbe partito senza il mio beneplacito” ironizzò Lizzie, facendo sorridere Sophie.

“Credo che non sarebbe mai in grado di farlo, ma immagino che l’avrebbe pensato” assentì Sophie, prima di sospirare afflitta. “Ho fatto un gran pasticcio.”

“No, Sophie. Volete solo molto bene a vostra sorella e ai vostri genitori, e desideravate essere d’aiuto in qualche modo. Conosco benissimo la sensazione e… scusate se ve lo domando, ma…”

“Ditemi…”

Accennando un sorrisino malizioso, Lizzie domandò: “Max ha dormito nella vostra stanza, la vostra prima notte da soli, vero?”

“Come?! Ma no! Lui… beh, lui…” tentennò Sophie, avvampando in viso.

Elizabeth rise sommessamente, chetandola con il gesto di una mano e, tranquilla, aggiunse: “Non vi sto colpevolizzando. Ma mi sembrerebbe strano che non l’avesse fatto. I maschi di casa Spencer sono piuttosto protettivi.”

“Oh” esalò soltanto Sophie, facendo tanto d’occhi.

Tamburellandosi il mento con un dito, Lizzie aggiunse: “Beh, a dirla tutta, anche in casa Phillips e Campbell lo sono, ma sarà perché siamo cresciuti tutti assieme, perciò le abitudini si sono un po’ confuse tra di loro. Comunque, volevo solo chiedervi se devo redarguire in qualche modo mio fratello.”

“No, è stato la quintessenza della cortesia” scosse allora il capo Sophie prima di leggere altro, negli occhi attenti e intelligenti di Elizabeth.

Si poteva pensare molte cose, di Elizabeth Chadwick Spencer, ma non che fosse una sciocca e superficiale nobildonna tutta fronzoli e belletti.

C’era acciaio, nei suoi occhi color delle ali di colomba, e un’attenzione ai particolari che, ben di rado, si poteva scorgere nello sguardo delle persone, uomini o donne che fossero.

E Sophie capì subito cosa non le stava chiedendo.

Sorridendo appena, perciò, la ragazza aggiunse: “Non ho cercato di istigarlo, davvero. Anche se, ovviamente, un giovanotto come vostro fratello non passa inosservato.”

“Come… oh…” ridacchiò imbarazzata Lizzie. “… le mie solite occhiate venefiche. Vi chiedo scusa, Sophie, ma grazie per avermelo detto.”

“Voglio essere onesta con voi, visto l’aiuto che mi state dando, e sarei sciocca e falsa nel dire che vostro fratello non mi affascina. Ma so anche altrettanto bene qual è il mio posto, nella società, e sono già contenta di essere nelle sue grazie come amica. Non ambisco, né ambirò mai a nulla di più” ci tenne a dire Sophie, pur sentendosi male al solo pensiero di essersi sminuita agli occhi della compagna di stanza.

“Non pensate mai, Sophie, che l’avere un titolo nobiliare ci renda superiori a voi, o a chiunque altro” replicò Elizabeth, con l’acciaio nella voce. “Inoltre, vi riterrei sciocca se non trovaste affascinante mio fratello.”

A quel punto, entrambe risero sommessamente e Lizzie, con uno sbadiglio, mormorò: “Vi auguro la buonanotte, Sophie, e non pensate troppo a questi argomenti. Dobbiamo innanzitutto trovare vostra sorella e quel debosciato di Samuel. Al resto, penseremo dopo.”

Sophie si limitò ad assentire e chiuse gli occhi pur sapendo, e anche molto bene, che non esisteva nessun problema in merito alla loro situazione.

Avrebbero trovato Cynthia, l’avrebbero ricondotta a casa per i capelli e, al termine di quella strana estate, con tutta probabilità sia lord Westwood che Maximilian avrebbero impalmato qualche nobildonna.

Era stata sincera, con Elizabeth. Non doveva affatto preoccuparsi che lei si innamorasse di Maximilian.

L’avrebbe impedito con tutta se stessa perché mai, nella vita, si sarebbe ritrovata come la sorella, abbandonata a un passo dalle nozze e solo perché non aveva un lady dinanzi al nome.
 
***

“Davvero non capisco perché dobbiamo fermarci, Samuel…” esordì Cynthia, sistemandosi nervosamente un alamaro del mantello.

La notte era ormai fonda, e le stelle nel cielo splendevano come diamanti, grazie al novilunio.

Tutto era oscurità, attorno a loro, e solo le luci della locanda dinanzi a cui si erano fermati, spezzavano quella coltre buia e inquietante.

Afferrando le redini di entrambi i loro cavalli, Samuel si dimostrò pragmatico quanto ferreo negli intenti e, con una logica senza appello, affermò: “A che pro cadere di sella per la stanchezza, mia diletta, quando possiamo sostare per qualche ora e far riposare le nostre stanche membra, oltre a quelle dei cavalli? Azzoppare uno di essi vorrebbe dire rallentarci. E voi non volete giungere tardi al porto, vero?”

“Niente affatto” sospirò la giovane, accondiscendendo infine a seguirlo all’interno del cortile della locanda.

Lì, un ragazzetto male in arnese balzò in piedi dal rozzo treppiede su cui era rimasto seduto fino a quel momento e, di fretta, li raggiunse.

Sorridendo baldanzoso, esordì dicendo: “Buonasera, lor signori. Lasciate pure a me le cavalcature. Baderò a strigliarli e a dar loro biada e acqua fresca.”

“Molto bene, ragazzo. Per il tuo servizio” sorrise Samuel, lasciando al bimbetto una moneta, che subito quest’ultimo intascò perché nessuno la vedesse.

Diligente, poi, prese le redini e si avviò verso la stalla coi due animali mentre Samuel, offerto il braccio a Cynthia, asserì: “E ora, pensiamo a rifocillarci e a riposare un po’.”

“Se siete sicuro che questo non permetterà ai nostri inseguitori di raggiungerci…” mormorò turbata la giovane, guardandosi intorno pensierosa.

Lord Westwood rise gentilmente delle sue paure e, dandole una pacca affettuosa sul braccio che li univa, replicò: “Ho lasciato detto a Maximilian di non seguirci quando erano da poco passate le undici di sera e, pur se sono convinto che lui non abbia affatto tenuto in considerazione il mio consiglio, abbiamo più di mezza giornata di vantaggio su di lui.”

“Ma io vi rallento” sottolineò Cynthia, lasciando che Samuel aprisse per lei la porta della locanda.

Il brusio all’interno li accolse assieme all’odore di sudore e di birra rancida, ma Samuel non ci fece alcun caso.

Non si era aspettato un albergo d’élite, né una villa nobiliare.

Quanto alla stanza, avrebbe cercato di ottenere il meglio possibile ma, per raggiungere quanto prima Southampton, dovevano tenere in conto di patire qualche disagio in più rispetto a un viaggio come gli altri.

Una volta giunti in America, avrebbe steso tappeti rossi ai piedi di Cynthia, e l’avrebbe fatta vivere nel lusso.

Poteva vantare una rendita più che cospicua, ed era più che certo che, dopo l’iniziale sconcerto, il padre gli avrebbe concesso di poter usufruire della sua eredità.

Anche se lontano mille e mille miglia, e non più in seno alla famiglia.

Sapeva di chiedere molto al padre, comportandosi a quel modo, ma non voleva che Cynthia patisse le critiche del Ton a causa delle origini non nobili.

A lui non interessava che Cynthia non avesse un retroterra vecchio di secoli, o potesse contare su parenti illustri.

Lei lo faceva star bene, e questa era l’unica cosa che contava.

Nel raggiungere il bancone del vivandiere, perciò, si informò sulle camere ancora disponibili e ordinò acqua e vino per entrambi, oltre a del pasticcio di rognone.

Ciò fatto, accompagnò Cynthia a un tavolo d’angolo e lì, sorridendole, le afferrò una mano tenendola nella sua, sussurrando: “Raggiungeremo la nave in tempo e, poco prima di salpare, scriverò a mio padre. Andrà tutto bene, ve lo prometto.”

Cynthia assentì, sorridendogli e, nello stringere a sua volta la mano del giovane, mormorò: “So di potermi fidare di voi, Samuel. Lo avete dimostrato più che ampiamente. Ho solo paura che il vostro amico ci raggiunga, impedendoci di coronare il nostro sogno.”

“Maximilian non metterebbe mai a rischio la propria cavalcatura. Ama troppo il suo Spartan per farlo soffrire e questo mi convince che, pur mettendocela tutta, non ci raggiungerà mai in tempo. Ma, se anche dovesse succedere, lo convincerò della nostra buona fede.”

“E questo gli basterà? Non vorrà salvarvi da un matrimonio senza futuro?”

Samuel rise sommessamente, e replicò con dolcezza: “Mia cara… so bene quanto siate rimasta addolorata dal vostro precedente amore, ma non tutti gli uomini sono così e, soprattutto, non tutti i nobili sono senza cuore. Maximilian capirà, perché ha a cuore la mia felicità, prima di ogni altra cosa.”

Reclinando contrita il viso, Cynthia sussurrò: “Un amico davvero degno di nota. Non so se mia sorella sarebbe disposta ad altrettanta generosità nei miei confronti. Dopotutto, a causa mia, si è dovuta trasferire, abbandonando così tutte le sue amicizie.”

“Se vi ama come io immagino, capirà a sua volta” la rincuorò Samuel, prima di sorridere alla cameriera che aveva portato loro la cena.

Nel servirle un po’ di carne sul modesto piatto di peltro, Samuel aggiunse: “Parlate così perché siete stanca e affamata. Dopo un lauto pasto e un po’ di riposo, non vedrete tutto così nero.”

“Forse avete ragione… e il profumo sembra buono” sorrise appena Cynthia, lanciando un’occhiata spiacente a Samuel, quando lui non la guardò per un attimo.

Avrebbe dovuto farsi perdonare per molti anni a venire, a causa di questo colpo di testa.

E non solo con Samuel, ma con tutta la sua famiglia.
 
***

Mentre cavalcavano di buon passo lungo la strada principale, in quel momento percorsa da un paio di diligenze e un carro di vettovaglie diretto chissà dove, Max domandò: “Mia sorella vi ha tediato con un terzo grado, Sophie? Siete molto silenziosa, stamani.”

“Oh, no, affatto. Abbiamo amabilmente chiacchierato, e mi ha parlato di mio padre. Tutto qui” replicò la giovane, stampandosi in viso un sorriso tranquillo quanto fasullo.

Maximilian rise deliberatamente al suo goffo tentativo di apparire serena e, nell’indicarle una piazzola di sosta, ombreggiata e con tanto di fontanella, ribatté: “So benissimo che mia sorella può diventare peggio di un mastino, quando vuole. Non c’è bisogno che la difendiate.”

Nel rallentare, Sophie tirò le redini della sua giumenta e, non appena furono al riparo dell’enorme carpino che ombreggiava quel luogo di riposo, sospirò.

Era davvero difficile farla in barba ai fratelli Spencer, a quanto pareva, ma lei non voleva affatto diventare terreno di dispute tra Elizabeth e Maximilian.

Doveva già troppo a entrambi, per ripagarli con quella moneta.

Fattasi aiutare a scendere dal giovane, perciò, puntò le mani sui fianchi e disse perentoria: “Chiariamo subito una cosa, perché non voglio che sia motivo di dissidio con lady Elizabeth. Vostra sorella mi ha giustamente chiesto se fosse successo qualcosa, tra di noi, e io sono stata del tutto onesta. Questo, però, non vi deve mettere nella posizione di sgridarla, o che so altro.”

Maximilian la fissò sinceramente stupito e, ancora una volta, si dovette ricredere su di lei.

C’era del fuoco ben sopito dietro una facciata di calma tranquillità, e non era stata solo l’eccezionalità della fuga della sorella, a farlo sorgere come il sole al mattino.

No, Sophie era fuoco, ma sapeva dominarlo con maestria, facendo apparire al mondo solo una facciata di docilità e candore che ingannavano.

In realtà, era una ragazza piena di vigore che, forse, si riteneva troppo energica per essere donna, e quindi mascherava il tutto per non intimidire l’interlocutore.

La sua intelligenza, però, era sempre manifesta, e poco poteva fare – in quel caso – per nasconderla.

I suoi occhi di cielo non riuscivano ad apparire sciocchi, né tanto meno inconsapevoli.

Poteva nascondere il fuoco – forse – ma non il cervello che possedeva.

Sorridendo divertito, Maximilian condusse Spartan e il cavallo di Sophie ad abbeverarsi e, con tono quieto, asserì: “Non sgriderò mia sorella, se è questo che temete, perché non sarebbe Lizzie se non ficcasse il naso dappertutto. Anzi, forse mi sarei preoccupato, se non l’avesse fatto. Da quando ha avuto i gemellini, è cambiata, e pensavo che…”

Interrompendosi, scosse il capo e rise tra sé e Sophie, nell’avvicinarsi, si sedette sul bordo della fontana, domandando: “Pensavate che cosa? Proseguite, per favore.”

“Non so davvero cosa voglia dire essere madre né, tanto meno, madre di tre bambini e perciò non so se, quanto vedo in lei, sia normale, o sia nato da qualche sua paura, ma la vedo diversa.”

“Non avendola conosciuta quando era una fanciulla nubile, non saprei darvi alcun parere, ma credo che essere madre aumenti considerevolmente le responsabilità, anche se al proprio fianco si ha un marito premuroso e attento” mormorò Sophie, giocherellando con la gonna del proprio abito.

Era davvero strano parlare di bambini e famiglia assieme a un uomo celibe e, soprattutto, a un uomo che sapeva mandarla in confusione come Maximilian Spencer.

Ma doveva ricordarsi della promessa che aveva fatto a se stessa.

Solo amicizia, nulla più. Avrebbe ottenuto – e agognato – solo questo, da lui.

Non voleva soffrire le pene dell’inferno perché sapeva che, se si fosse lasciata anche solo uno spiraglio di speranza nel cuore per lui, Maximilian l’avrebbe distrutta.

Era il tipo di giovane uomo che lei avrebbe potuto apprezzare veramente, e perciò deteneva tra le sue mani un immenso potere.

Potere che, posseduto da un nobiluomo quale lui era, poteva portarla davvero allo struggimento perenne.

No, doveva tenere il suo cuore ben al sicuro.

Maximilian, del tutto ignaro della battaglia interiore della giovane, sorrise tra sé, assentendo alle parole di Sophie.

“Sì, Lizzie è fortunata ad avere un marito come Alexander, anche se tutti abbiamo temuto, all’inizio, che il loro amore nato così precipitosamente, avrebbe potuto anche crollare altrettanto velocemente. Così non è stato, e io ne sono lieto.”

“Vostra sorella mi ha accennato a una certa avventura notturna. E’ stato così che si sono conosciuti?”

“E’ stato così che sono convolati a nozze, in pratica” rise Maximilian, raccontandole l’aneddoto dei bimbi rapiti.

Sophie sgranò gli occhi, nel conoscere per intero quell’avventura e, coprendosi la bocca con una mano, esalò: “Oh, cielo! Ha dimostrato davvero coraggio da vendere.”

“Lizzie è sempre stata la più scapestrata, tra noi tre… forse è per questo che, da quando ha i figli, si sta limitando molto. Teme di cacciarsi nei guai, e lasciarli soli” ipotizzò Max, scrollando le spalle.

Sophie rimuginò a lungo sulle parole del giovane, anche dopo essere ripartiti e, tra sé, si convinse che, probabilmente, il giovane aveva ragione.

Trattandosi di una donna così volitiva e forte, trovarsi l’incombenza di tre bambini così piccoli poteva averla messa di fronte all’ansia di perderli, se avesse perdurato nel suo modo di vivere così sopra le righe.

D’altra parte, però, lady Chadwick non le era sembrata una donna dall’atteggiamento vanesio o sconsiderato, tutt’altro.

Ogni altro pensiero su Elizabeth, però, venne spazzato via dal nitrito improvviso del cavallo, che si impennò un attimo dopo quando, a sorpresa, uno scoiattolo attraversò loro la strada.

Distratta da quei pensieri, Sophie non si accorse di aver tenuto molli le redini tra le mani, se non quando fu troppo tardi per afferrarle saldamente e trattenere Lady da quell’attacco di panico.

Max imprecò, a quella vista e, nello sterzare in fretta Spartan per tornare indietro, fece appena in tempo a scorgere il corpo di Sophie sbalzato via dal cavallo.

Fu solo un attimo, ma lui non lo lasciò trascorrere invano.

Senza neppure rendersene conto, si allungò verso di lei, ben deciso a raggiungerla prima che cadesse a terra.

Mentre Lady scalciava l’aria per allontanare l’incolpevole scoiattolo, Max balzava dalla sella per frapporsi tra Sophie e il prato vicino.

Ne seguì un ruzzolone nell’erba, con la gonna pantalone della ragazza irrimediabilmente aggrovigliata alle gambe di Maximilian, mentre le braccia dell’uno parevano il proseguimento dell’altra.

Quando, infine, entrambi riuscirono a fermarsi, emisero parimenti un sospiro di sollievo, prima di capire come fossero combinati.

Max si trovava a pochi millimetri dal viso paonazzo e spaventato di Sophie che, con gli occhi sgranati e il fiato corto, stava scrutando nelle dorate profondità del giovane.

Nessuno dei due parlò, forse per la troppa ansia, forse perché il battere frenetico di entrambi i loro cuori avrebbe comunque azzittito qualsiasi altro rumore.

Max fu solo certo di una cosa, in quel confuso momento; Sophie era viva e vegeta tra le sue braccia, e lui desiderava con tutto se stesso baciarla fino a toglierle il fiato.

Perché, il solo pensiero di vederla distesa sul ciglio della strada, priva di vita perché lui era stato tanto sciocco da non lasciarla a casa quando aveva potuto, lo aveva terrorizzato al punto da farlo quasi impazzire.

Ora, averla lì tra le braccia, calda, forse un po’ spaventata e decisamente frastornata dal ruzzolone, era per lui il premio più bello che Dio avrebbe mai potuto fargli.

“State bene?” riuscì infine a dire con voce roca, ancora incapace di muoversi.

Lei si limitò ad annuire, non avendo il coraggio di aprire bocca e Max, ritenendosi soddisfatto, calò sulla sua bocca e la baciò, lasciando che tutto il resto perdesse d’importanza.

Almeno per un attimo, Samuel, Cynthia, la morte del re, tutto quanto, persero di valore. C’erano solo lui e la bocca di Sophie, morbida e profumata sotto la sua.







Note: Sophie ce la sta mettendo tutta, ma il Fato sta davvero cospirando contro di lei... e Max gli sta dando una bella mano. Come pensate reagirà a questo bacio?

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 
10.
 
 
 
 
Cos’era successo, in nome di Dio?

Cosa diamine era successo, quel pomeriggio quando, per poco, non aveva ucciso se stessa e Maximilian a causa della sua sciocca distrazione?

Perché diavolo si era permessa di perdersi in mille pensieri quando, fin dalla prima lezione di equitazione, le avevano insegnato che non ci si doveva distrarre?

Ora si ritrovava con l’abito stazzonato e impolverato, i capelli in disordine e la consapevolezza che qualcosa di estremamente sbagliato era appena accaduto.

Perché lei, quant’era vero Iddio, non avrebbe mai dovuto permettere a Maximilian di baciarla e, soprattutto, di rispondere a quel bacio, affondando la mano nei suoi riccioli castani.

Il solo pensiero la portò a rabbrividire di vergogna e, contrita, lanciò un’occhiata alla figura ritta e impettita che procedeva dinanzi a lei con il fare della sera.

Entro breve avrebbero raggiunto la locanda che lord Spencer aveva indicato loro come ritrovo e, quando li avessero raggiunti, avrebbero dovuto spiegare il perché delle loro condizioni.

Sempre che, il suo imbarazzo e la sua contrizione, non dicessero anche quello che non voleva venisse ripetuto ad alta voce.

Lei e Maximilian si erano baciati.

Certo, poteva dare la colpa di tutto a quel terrificante ruzzolone nel prato.

Era più che evidente che anche Maximilian si era spaventato alquanto e che, solo grazie alla sua prontezza di spirito, lei non si era ritrovata esanime sul ciglio della strada.

Sicuramente, quel bacio era sintomo del sollievo di essere entrambi vivi e in salute, nonostante i lividi che, con assoluta certezza, sarebbero fioriti sui loro corpi il giorno seguente.

Rincuorata da quella nuova lettura, Sophie si sentì un po’ meglio.

Di certo, Maximilian l’aveva baciata per questo motivo. Era lieto di saperla viva, visto che si era accollato la responsabilità di proteggerla.

E lei aveva risposto perché, a sua volta, era stata felice di saperlo sano e salvo, e non vittima della stupidità che l’aveva portata a non tenere sotto controllo il suo cavallo.

Cavallo che, nello specifico, si era chetato solo grazie alla presenza di Spartan.

Avrebbero dovuto fare santo quel cavallo, per aver impedito che Lady scappasse imbizzarrita per le campagne inglesi.

“Siamo quasi arrivati, Sophie. Entro breve potremo riposarci un poco” esordì Maximilian, voltandosi a mezzo per sorriderle.

Lei assentì, cercando di non arrossire di fronte a quegli occhi ridenti e sì, vagamente compiaciuti e, tenendo ben salde le redini di Lady, borbottò tra sé: “Potrebbe anche evitare di guardarmi così…”

“Dicevate, Sophie?” domandò lui, interrogativo.

“Oh, nulla, nulla. Ringraziavo il cielo che fossimo arrivati. Vorrei sistemare un poco la gonna, visto che si è lacerata in alcuni punti” dichiarò lei, affrettandosi a sorridere lieta.

Così, avrebbe avuto un’ottima scusa per chiudersi in camera per un sacco di tempo, evitando al massimo la sua interazione con Maximilian.

Lui si limitò ad assentire e, quando finalmente raggiunsero il Big Lion, un alberghetto di discrete dimensioni sul ciglio della strada principale, fu con sollievo che poté scendere da Spartan.

A causa della loro fortunosa caduta – e di ciò che ne era seguito – avevano perso almeno mezz’ora di tempo sulla tabella di marcia.

Calmare Lady, dopo aver chetato Sophie, non era stato affatto semplice e, solo grazie al cipiglio di Spartan, la giumenta si era infine decisa a far risalire la sua padrona.

Padrona che, per tutto il resto del viaggio, era apparsa al giovane Spencer assai silenziosa e molto, molto a disagio.

Certo, Maximilian poteva capire perché Sophie non avesse voluto scambiare con lui più di qualche parola, dopo il loro incidente.

Non era una ragazza leggera, tutt’altro, e le implicazioni di quel bacio potevano essere tantissime… o nessuna, del resto.

Ai suoi occhi, però, quell’episodio doveva apparirle come un’infrazione alle regole davvero eccezionale, e che avrebbe potuto comportare disagi non da poco.

Come confortarla, però, senza tornare sull’argomento?

Di sicuro, doveva aver capito perché si era spinto a baciarla senza chiederle il permesso, visto che aveva risposto al bacio per qualche attimo.

Il tutto non era durato più di una decina di secondi, ne era più che certo ma, non essendosi trattato del classico bacio rubato all’ombra di un tendaggio, o di un melo in un giardino, quell’episodio doveva sembrarle un incubo.

Lui, un lord titolato, poteva prendersi più o meno tutte le libertà del mondo, specialmente con donne di ceto sociale inferiore, e nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.

Per contro, lei avrebbe potuto giocarsi la reputazione per molto meno e, se qualcuno li avesse visti distesi sul prato, avvinghiati a causa della caduta e intenti a baciarsi, nulla l’avrebbe salvata dallo scandalo.

Solo lui avrebbe potuto evitarle il peggio, a ben vedere.

E, stranamente, quel pensiero solitamente terrificante, per i suoi standard, non lo spaventò come al solito.

Anzi, per qualche strano motivo, la cosa lo fece sorridere in maniera assai sciocca.

Quando consegnò il cavallo al garzone di stalla e accompagnò infine Sophie all’interno della locanda, non poté così evitare di lanciarle un sorriso incoraggiante.

Non poteva farci nulla; quella situazione lo faceva sentire stranamente euforico, pur se avrebbe dovuto badare più ai sentimenti di Sophie, che ai propri.

Pensò Elizabeth a riportarlo coi piedi per terra perché, non appena li vide entrare, balzò in piedi dalla panca dov’era accomodata e li raggiunse a grandi passi, preoccupata.

Lanciato solo uno sguardo a Max per assicurarsi che stesse bene, Lizzie prese poi Sophie per le spalle ed esalò: “Oh, cara, ma cosa vi è successo?”

“Sono caduta da cavallo, purtroppo, e questo è il risultato” sospirò contrita la ragazza, reclinando il viso.

Anche Wendell si avvicinò e, dopo aver sentito le ultime parole di Sophie e aver lanciato un’occhiata al nipote, disse: “Lizzie, conduci di sopra Sophie e aiutala a sistemarsi un poco. Potrebbe avere delle ferite che non ha notato.”

“Subito, zio” assentì la donna, avvolgendo la vita della ragazza prima di arrampicarsi al piano superiore con una stordita Sophie.

Rimasto col nipote, Wendell lo invitò al loro tavolo – la cena sarebbe stata servita nella mezz’ora successiva – e, dopo aver incrociato le braccia sul ripiano di legno, dichiarò: “Sophie è caduta, ma anche tu non sembri in buono stato. Come mai?”

“Lady si è impennata e, per come stavano andando le cose, Sophie sarebbe sicuramente caduta in strada, fratturandosi l’osso del collo…” sospirò Maximilian, passandosi una mano tra i riccioli castani.

Mettere a voce le sue peggiori paure lo fece tremare, rendendolo pienamente consapevole del pericolo corso.

Era successo tutto in pochi attimi, attimi in cui aveva dovuto agire con rapidità perché le cose non precipitassero e, in seguito, era stato troppo impegnato a pensare al loro bacio, per preoccuparsi d’altro.

Riportare a galla l’incidente di fronte a un pensieroso Wendell, però, lo fece rabbrividire e, tenendosi la testa tra le mani, Max mormorò ansioso: “Maledizione, zio… avrebbe potuto morire dinanzi a me! E allora, cosa avrei potuto dire a suo padre?”

“Ma non è successo, mi pare evidente…” tentò di chetarlo Wendell, soppesando bene le parole.

“L’ho afferrata prima che cadesse dalla sella, e la spinta ci ha fatti ruzzolare in un prato vicino” aggiunse il giovane, non sapendo bene cos’altro dire.

“Ed ecco spiegato il perché dei vostri abiti stazzonati” assentì Wendell, sorridendogli appena.

“C’è dell’altro” mormorò a quel punto Max, risollevando lo sguardo per puntarlo negli occhi cerulei dello zio.

“Ne avevo il sentore” assentì Wendell, sorprendendolo un poco. “Non hai mai quest’aria smarrita, Max, e non poteva essere stata causata solo da un ruzzolone nell’erba. Per quanto esso possa essere stato causato dal Fato, piuttosto che da un errore di valutazione. Ebbene?”

“L’ho baciata. Ci siamo baciati” sottolineò Maximilian, sospirando nel passarsi una mano sul viso stanco.

“L’uso del plurale sta a intendere che lei non ti ha degnamente schiaffeggiato?” ironizzò Wendell, guadagnandosi per diretta conseguenza un’occhiataccia da parte del nipote.

“Esattamente. Ergo?”

Wendell rise sommessamente di fronte all’ansia del nipote e, nello scrutare un attimo le scale – sincerandosi che le due signore non stessero scendendo – asserì subito dopo: “Eravate sovraeccitati dal pericolo, dalla paura e dal sollievo. Penso sia naturale festeggiare.”

“Oh” esalò Max, vagamente deluso.

“Ti aspettavi altro, nipote?”

“Eh? Oh, no, no. Hai… hai ragione. Hai sicuramente ragione” assentì a più riprese Max, scatenando una seconda risata da parte dello zio.

Questa volta, però, Maximilian non poté replicare all’ironia di Wendell perché, nel frattempo, Lizzie e Sophie erano tornate dalla loro personale missione al secondo piano.

Da quel poco che poteva capire, Lizzie aveva prestato una delle sue gonne da equitazione a Sophie, visto che erano notoriamente più lunghe rispetto ai soliti abiti da passeggio.

Questo, le aveva permesso di scendere dabbasso senza attirare occhiate curiose; l’abito, infatti, le copriva degnamente le caviglie, senza apparire sconveniente.

Sedutasi accanto al fratello, mentre Sophie andava ad accomodarsi a fianco di Wendell, Elizabeth disse: “Sophie mi ha detto che hai compiuto un gesto eroico, oggi. Posso solo sperare che tu non abbia battuto la testa, nel farlo? Le ossa si saldano e le ferite si curano, ma una testa rotta è senza recupero.”

Lo disse con ironia ma, nei suoi occhi grigi, Max lesse anche tanta preoccupazione.

Maximilian, allora, le sfiorò una guancia con un bacio, asserendo: “Sto benissimo, davvero. Solo qualche acciacco qua e là.”

“Molto bene… o avrei dovuto sorbirmi le reprimende di Violet, se non ti avessi riportato a casa meno che integro. Ultimamente, è diventata vogliosa di sangue, oltre che ansiosa in modo preoccupante” sospirò Lizzie, scuotendo esasperata il capo. “Neppure io, durante le mie gravidanze, ero così violenta… o tanto nervosa.”

“Va detto che, tendenzialmente, tu sei sempre stata più nevrastenica di lei” sottolineò con ironia Max, portando la sorella a incupirsi.

“Nevrastenica a chi? Prova tu, a portare due bambini nella pancia mentre ti prendono a calci, o ti schiacciano la vescica, portandoti a visitare la latrina più volte di quante non voglio ammettere” brontolò Elizabeth.

Sophie si ritrovò a sorridere di fronte al loro battibecco scherzoso e Wendell, complice, asserì a bassa voce: “Potrebbero fare gli attori in una commedia, che ne dite?”

“Avrebbero grande successo” assentì Sophie.

Lord Spencer annuì a sua volta e, mentre la giovane Withmore tornava a scrutare i due fratelli, Wendell osservò di straforo lei, studiandone il comportamento.

Una qualsiasi cacciatrice di scapoli, avrebbe immediatamente approfittato della situazione, rendendo noto lo scandalo ai parenti più prossimi per ottenerne il maggiore profitto possibile.

Quella ragazza, invece, non solo non si era accomodata vicino a Maximilian, scalzando Elizabeth, ma stava tentando in ogni modo di non attirare l’attenzione.

O era l’attrice più brava del pianeta o, veramente, Sophie Withmore era un’anima pura che, solo per caso, si era ritrovata in una situazione imbarazzante con un suo coetaneo.

Di sicuro, ha colpito Maximilian, o lui non sarebbe andato nel pallone al solo raccontarmelo, pensò tra sé Wendell, mentre rispondeva a un’invettiva della nipote.

Qualcosa c’era, ma non aveva ancora ben chiaro cosa.
 
***

Già sul punto di controllare come stesse la moglie, Andrew vide Frank uscire dal salottino dove, di solito, sapeva trovarsi Violet.

Mentre la porta veniva richiusa, il figlio del conte udì chiaramente la moglie piangere.

Subito preoccupato, Andrew venne però fermato da Frank che, scuotendo il capo, mormorò con fare da cospiratore: “Non vi preoccupate, lord Spencer, va tutto bene.”

Vagamente confuso, Andrew replicò: “Come posso pensare che vada tutto bene, se mia moglie sta piangendo? Ha litigato con sua madre, forse?”

Sarebbe stato assai strano ma, ultimamente, l’umore di Violet era così ballerino che tutto poteva essere.

Scuotendo il capo, però, Frank smentì quella possibilità e disse: “Sta consolando Mrs Withmore.”

“E lo fa… piangendo?” gracchiò Andrew, sempre più confuso.

“Pare che, il solo fatto di potersi rendere utile nel consolare le pene di lady Spencer, la renda più felice e serena. Così, vostra moglie ha inscenato questa crisi di pianto… credo, perché non le va a genio di apparire goffa e gonfia. O così mi è parso di capire.”

Passandosi una mano sul viso con espressione sconvolta, Andrew borbottò: “E Myriam gliel’ha lasciato fare? Piangere può produrre dei problemi al bambino.”

“Oh, lady Phillips mi ha assicurato che il bambino starà benissimo, altrimenti avrei sconsigliato io stesso questo piano per rasserenare la sconsolata Mrs Withmore” sottolineò Frank, tirandosi poi dietro Andrew perché non disturbasse i piani della moglie.

“Per lo meno, ti hanno reso edotto sulle loro intenzioni” sospirò Andrew, scuotendo esasperato il capo.

“Ho insistito un poco, per ottenere un tale risultato” sorrise divertito Frank, scatenando un risolino nel suo padrone.

“Queste signore ci faranno impazzire, prima o poi” dichiarò esasperato Andrew, passandosi una mano tra i capelli.

“E’ un’eventualità possibile, in effetti… ma capisco lady Spencer. Le spiace davvero molto vedere Mrs Withmore così in ansia.”

“E mia moglie farebbe di tutto, per aiutare una persona in difficoltà” chiosò Andrew, annuendo. “Sì, lo so, Frank. E’ un assioma che è nato con lei.”

“Per lo meno, sembra che Mr Withmore se la stia cavando meglio.”

“Oh, sì, quell’uomo è una roccia, e si è intestardito nel voler dare una mano a mio padre in tutto e per tutto, perché vuole ripagarlo dell’ospitalità, oltre che dell’aiuto che Max sta dando per trovare Cynthia” assentì il giovane Spencer, sorridendo. “Credo non sia abituato a ricevere favori gratuiti e disinteressati.”

“Quando si risale la china che ha scelto Mr Withmore, è davvero difficile riceverne.”

“Già, credo anch’io” assentì Andrew, dandogli una pacca sulla spalla. “Vedo se riesco a rendermi utile a mia volta. Tu, perché sei stato scacciato?”

“Le signore avevano bisogno di un po’ di privacy” sorrise appena Frank.

“E chi siamo, noi, per non accontentarle?” celiò Andrew, ridendo nell’allontanarsi.

Forse Violet non aveva la scaltrezza e l’intraprendenza delle sue sorelle, o di Lizzie, ma era geniale e volitiva a modo suo.

Sperò davvero, però, che non ideasse qualcos’altro, per consolare la povera Mrs Withmore o, buon cuore o meno, sarebbe intervenuto.
 
***

Cynthia lesse con ansia mista a eccitazione il biglietto che, alcuni giorni addietro, era stato lasciato per lei alla locanda Il Cervo Bianco, presso Oxford.

Ciò fatto, lo gettò in fretta nel fuoco del camino e, più tranquilla, si diresse verso il tavolo dove, ben presto, Samuel l’avrebbe raggiunta.

Era stata una vera fortuna conoscere lord Westwood, e lasciare che entrasse nella sua vita.

Non avrebbe potuto trovare persona più gentile, generosa e disponibile di lui, sempre pronta a renderla felice o a fare in modo che potesse raggiungere tale stato.

In fondo in fondo, quindi, le spiaceva grandemente averlo cacciato in un simile guaio.

Guaio che, con assoluta certezza, lo avrebbe reso inviso alla sua famiglia quanto a tutti i Withmore, Sophie compresa.

Era più che sicura che la sua docile, tranquilla sorella, avrebbe estratto gli artigli, di fronte a un simile scorno nei confronti della famiglia.

Da un certo punto di vista, Sophie avrebbe dovuto ringraziarla, perché le aveva permesso di emergere dallo stato di continua apatia in cui si ostinava a vivere.

Sempre perfetta, mai un cedimento o un errore. Sophie era sempre stata così, ben decisa ad apparire al meglio per onorare il nome di loro padre.

Come se avesse mai avuto un qualche genere di peso, in seno alla società!

Sbuffando leggermente, Cynthia ripensò a quando, poco prima di essere abbandonata ai piedi dell’altare, aveva sognato di elevarsi dal suo ruolo di commoner.

Sete, broccati e mussole di prima qualità avrebbero abbellito le sue giornate, e tutti sarebbero stati costretti a baciarle la mano, nel salutarla.

Anche coloro che l’avevano sempre vista come un’arrampicatrice sociale.

Questo, lei avrebbe potuto sopportarlo senza problemi…ma l’abbandono, l’insulto di essere stata scartata per un’altra…

Questo era stato il vero incubo, la sua umiliazione più cocente.

Poco aveva importato che il padre avesse cambiato città per impedirle di soffrire ancora, costringendo l’altra sua figlia ad abbandonare amicizie e sicurezze per salvare la primogenita dallo scandalo.

Sophie aveva accettato in silenzio le scelte del padre, perché era vitale, per lei, non scontentarlo mai.

Ma Cynthia sapeva bene che, della sua condizione di sorella invisibile, Sophie dava la colpa unicamente a lei, e non al padre, o alla madre, troppo debole per occuparsi veramente di loro due.

Sua madre era sempre stata orgogliosa dei successi del marito così come della bellezza delle proprie figlie, ma era sempre stata troppo debole di carattere per essere all’altezza del primo, come di stare al passo con le seconde.

Avrebbe quindi pensato da sola al proprio riscatto sociale, senza attendere che il padre le combinasse un matrimonio con qualche mercante di sua conoscenza.

No, lei sapeva cosa voleva, e lo avrebbe ottenuto. A ogni costo.

Sorridendo perciò a Samuel quando lo vide discendere dal piano superiore, lo accolse con una delicata stretta di mano e, insieme, procedettero a cenare.

Avrebbe saputo ripagare anche lui, a tempo debito, per quell’immenso grattacapo che era stata la sua presenza nella vita del giovane lord.
 
***

Mentre apponeva la sua firma sulla lettera che, la mattina seguente, sarebbe partita per raggiungere York, Elizabeth sospirò e, nel chiudere il tutto, sciolse la ceralacca e vi appose il suo sigillo.

“Non vi sentite bene, Elizabeth?” si informò Sophie, avvicinandosi alla donna, accomodata al tavolino da toeletta della stanza che dividevano.

“Oh, no… sono solo ansie di una mamma chioccia” sorrise ironica lady Chadwick. “Ho scritto per avvisare i vostri genitori che state bene.”

“Ve ne sono grata” le sorrise Sophie, accomodandosi sul letto per poi guardarla. “Maximilian pensa che siate in ansia per i vostri bambini perché, in gioventù, siete stata piuttosto… attiva?”

Elizabeth rise di quella scelta gergale e, assentendo, giocherellò con la treccia dei suoi capelli, mormorando: “Forse ha ragione da vendere, dimostrando che il mio fratellino non ha perso l’occhio per i dettagli. Ammetto di non essere venuta solo per aiutare Maximilian, ma anche per aiutare me stessa.”

“Che intendete dire?” si incuriosì Sophie.

“Non voglio arrivare a soffocare i miei bambini con le mie troppe attenzioni, perché sono memore di quel che combinai io alla loro età. Devono fare le loro esperienze, belle o brutte che siano, e io e Alexander dobbiamo solo proteggerli, ma non prevaricarli. Ma è così difficile permettere che corrano anche solo qualche rischio!”

Nel dirlo, le uscì un singhiozzo e Sophie, spontaneamente, la raggiunse per abbracciarla, lasciando che parte del peso delle sue paure si riversasse su di lei.

Lizzie si lasciò andare per qualche attimo, prima di mormorare: “Sarebbe facile piangere sulla spalla di mia madre, ma non vorrei mai darle qualche pensiero, così cerco di mascherare le mie ansie come meglio posso… ma, evidentemente, non sono così brava, se Max le ha notate.”

“Vi vuole molto bene, e credo che le avrebbe notate in ogni caso, indipendentemente dal vostro mascheramento” le sorrise Sophie, asciugandole una lacrima.

Elizabeth le sorrise grata e, nello stringerle un braccio con affetto, mormorò: “Siete davvero una brava ragazza, Sophie.”

“Cerco di fare del mio meglio per essere all’altezza di mio padre” asserì per contro la giovane.

“Ne so qualcosa, di questo genere di traguardo” sorrise divertita Lizzie.

“E lo avete raggiunto?” si informò Sophie, curiosa.

“Dovrei chiederlo al diretto interessato, ma spero di averlo reso orgoglioso.”

A quel punto Sophie sospirò e, reclinando il viso, asserì: “Con questa mia bravata, invece, io lo avrò solo deluso.”

“Sono più che certa che passerà sopra a tutto, quando avrà saputo cosa vi abbia spinta a partire. Era solo molto in ansia per voi, quando l’ho visto io, e dispiaciuto che non abbiate potuto interpellarlo per farvi aiutare” la rincuorò Elizabeth.

“Con tutto quello che ha fatto per noi, mi sarebbe sembrato ingrato scaricargli sulle spalle anche la sconsideratezza di mia sorella…” sottolineò Sophie, con cupo cipiglio. “…e neppure avrei potuto chiedere a mia madre. E’ assai delicata di costituzione, e non ha bisogno di simili sconvolgimenti. Cynthia dovrà rispondere anche di questo.”

“Ogni cosa a tempo debito, Sophie. Non fatevi il sangue cattivo prima di averla ritrovata, e averle parlato con chiarezza” le ricordò lady Chadwick, dandole una pacca sulla spalla. “Avere la mente sgombra da dubbi, aiuta a essere più incisivi.”

Sgombra da dubbi? Allora combinerò un disastro, visto quanto sono confusa, pensò tra sé Sophie, pur annuendo a Elizabeth.

Come avrebbe potuto avere anche solo l’ombra di un pensiero razionale, con il ricordo del bacio che si erano scambiati lei e Maximilian?

Quello, più di ogni altra cosa, sarebbe stato l’ostacolo più significativo da superare, in quella strampalata avventura.







Note: scopriamo come Sophie sia rimasta turbata  dal bacio, e stia tentando il tutto e per tutto per dimenticarlo. Al contrario, Max sembra crogiolarsi nel ricordo, pur se parlare con lo zio ha risvegliato in lui la paura provata nell'attimo in cui aveva temuto di perdere Sophie.
Lizzie è alle prese con i suoi "patemi da mamma", passatemi il termine, e Sophie tenta di aiutarla come può, esattamente come Violet sta tentando di fare a casa con Adelaide.
Cynthia, invece, si sente sempre più in colpa nei confronti di Samuel, ed è ben decisa a ripagarlo per i guai che gli ha creato... ma da chi avrà ricevuto quella misteriosa missiva? Cosa sarà?

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 
11.
 
 
 
 
Era stato bello finché era durato.

Perché era del tutto impossibile che, anche durante l’estate, il tempo rimanesse perennemente soleggiato e stabile.

Non su un’isola come la Gran Bretagna, battuta dai venti caldi e umidi dell’Atlantico, che si contrapponevano a quelli freddi e secchi del Mare del Nord.

Quando si ritrovarono ad approssimarsi a Southampton, le strade ormai battute e le risicate informazioni sui fuggiaschi già nelle loro mani, sul sud dell’Inghilterra si abbatté un temporale davvero eccezionale.

Ciò comportò un rallentamento degli inseguitori e l’utilizzo di pesanti cerate che, però, non impedirono al quartetto di giungere al porto, fradicio e assalito da mille dubbi.

Il maltempo non aiutava mai a vedere le cose sotto la luce più rosea.

L’ultima loro speranza era che, proprio grazie a quel brutto temporale, la nave con a bordo Samuel e Cynthia non avesse preso il largo.

Quando, però, si recarono ai docks e chiesero di un cargo passeggeri diretto nelle Americhe, fu loro risposto che solo un clipper rispondeva a quella descrizione.

Ed era salpato la notte precedente, sul fare della mezzanotte.

Questo mise la parola fine alla loro Cerca.

Non potendo fare altro, il gruppo ormai demoralizzato si rifugiò in una vicina bettola per ripararsi da vento e pioggia, così da riprendersi da quella triste notizia.

Nel togliersi la cerata di dosso, l’orlo della gonna intriso d’acqua e fango, Sophie sospirò sconfitta e, nel lasciarsi crollare su una panca, si coprì il viso per nascondere le lacrime.

Tutto era stato vano. Sua sorella e lord Westwood erano scappati senza che loro potessero far nulla per impedirlo.

Cosa avrebbe detto ai suoi genitori? Come avrebbe giustificato il suo fallimento?

Elizabeth si accomodò al suo fianco, libera anch’essa dalla cerata e, nello sfiorarle una spalla, mormorò: “Non potete prendervi il demerito di quel che è accaduto, Sophie. Sapevamo che poteva succedere.”

“Ma come potrò spiegarlo ai miei genitori? Ho… ho rischiato di rovinare il buon nome della famiglia per riportare a casa mia sorella, così da impedire che lei distruggesse ogni cosa, e non ci sono riuscita. Il disonore cadrà sulle spalle di mio padre, e questo non è giusto” singhiozzò Sophie, poggiando il capo corvino contro la spalla di Elizabeth, che la strinse a sé in un abbraccio consolatorio.

Wendell, in piedi dietro di loro, sospirò spiacente e Max, per l’ennesima volta in quei giorni, desiderò poter consolare a sua volta con un abbraccio la povera Sophie.

Da quel bacio rubato a causa della paura – o dal desiderio portato a galla con violenza, cominciava a credere Max – il giovane Spencer non aveva fatto altro che pensare a Sophie.

Era davvero così spaventoso lasciare a se stesso la possibilità di pensare a una ragazza, soprattutto se così caparbia, intelligente e coraggiosa?

Dopotutto, non c’era nulla di male se, la sua mente e il suo cuore, duellavano un po’ tra loro per avere il sopravvento.

Cosa gli aveva detto Violet, leggendo Sense and Sensibility, una novella che le avevano consigliato in libreria?
Che le due sorelle Dashwood lottavano tra il senso della ragione e l’amore passionale, affrontando i due sentimenti in modo opposto?

Il solo pensarlo lo fece rabbrividire – come si era fatto convincere ad ascoltare una storia così sdolcinata? – ma, a conti fatti, era ciò che stava accadendo a lui.

Quel bacio, tanto bramato quanto giunto in maniera improvvisa, aveva sparigliato le carte in tavola.

Se Sophie, giustamente, era più preoccupata per la sorella, piuttosto che per ciò che era avvenuto tra loro, lui non riusciva a essere altrettanto altruista.

Pur se preoccupato per i fuggiaschi, non riusciva a togliersi dalla mente l’idea che, una fanciulla come Sophie, avrebbe potuto farlo capitolare con estrema facilità, se solo avesse voluto.

Lei era intelligente quanto caparbia, dolce quando lo richiedeva la necessità e testarda se l’esigenza lo imponeva.

Non si era guardata indietro, quando era giunta da lui con quella perentoria richiesta di aiuto, né lo aveva fatto più avanti, quando la stanchezza provata dal viaggio avrebbe potuto farla desistere.

No, c’era nerbo, in lei, e un senso dell’onore che molte nobildonne avrebbero dovuto prendere a esempio.

“Voi non dovete criticare il vostro agire, miss Sophie… solo io devo criticare me stesso” esordì una voce alle loro spalle, sorprendendoli tutti.

Sophie sollevò di scatto il capo dalla spalla di Elizabeth mentre lady Chadwick, senza parole al pari dello zio e del fratello, osservava a occhi sgranati la figura di Samuel Westwood, in piedi a pochi passi da loro.
 
***

Il salottino dove si trovavano in quel momento, era sicuramente più tranquillo della taverna dove avevano trovato Samuel – o meglio, dove Samuel li aveva trovati.

Da quel poco che erano riusciti a comprendere dopo quel fortunoso incontro, avvenuto solo a causa della pioggia – che aveva costretto Samuel a rifugiarsi all’interno della bettola – lui e Cynthia avevano pernottato in quell’albergo.

Avendo preso due stanze separate, Samuel non si era reso conto che, durante la notte, la ragazza era sparita senza lasciare traccia di sé… o quasi.

Ora, nella relativa sicurezza di quella stanza, messa a disposizione per loro dal padrone dell’albergo, Samuel estrasse un foglio vergato a mano e lo porse a Sophie.

Lei, con dita leggermente tremanti, lo aperse e lesse febbrilmente quelle brevi parole, prima di sospirare inorridita ed esalare: “Signore Iddio, non può essere!”

Elizabeth sfiorò un braccio alla ragazza e lei, scrutandola disperata, le passò il foglio, esalando: “Non ho cuore di leggerlo a voi tutti. E’ davvero troppo umiliante.”

Elizabeth lo passò senza guardarlo a Max e, perentoria, prese sottobraccio Sophie per farla sedere su una poltrona, forse temendo un suo possibile svenimento.

Max non attese un solo attimo e, a bassa voce, mormorò quanto scritto in quel foglio pergamenato, comprendendo subito il perché della reazione di Sophie.
 
Solo Dio può comprendere realmente quanto voi, lord Samuel Westwood, apparteniate
a quella cerchia ristretta di uomini che, realmente, rendono onore al proprio nome.

Proprio per questo sono a scusarmi con voi con questa mia che, sicuramente, non potrà
mai appianare il debito che avrò  per sempre nei vostri confronti. 
Sia in termini di
protezione, che di fiducia. 
La vostra, sicuramente, è stata mal riposta, visto il trattamento
che sto per riservarvi, ma vorrei sapeste perché sono giunta a questo increscioso
quanto imperdonabile comportamento. 
Non potendo allontanarmi da sola
dalla mia casa, ho dovuto approfittare del vostro buon cuore per raggiungere
l’uomo che aveva rubato il mio cuore. 
Non lo nominerò perché non desidero che lo odiate,
poiché solo su me deve ricadere il vostro biasimo. 
Sappiate soltanto che mi ama di amor
sincero e si prenderà cura di me come, sono sicura, avreste potuto fare voi, se vi avessi amato.

Mantenete puro il vostro cuore per una donna che lo meriti, e ditele da parte mia che mai donna
sarà più fortunata, nell’avervi. 
Che la buona sorte vi assista, Samuel, e che possiate dimenticarmi
in fretta. 
Dite a mia sorella di perdonarmi, se mai potrà. So di aver fatto del male anche a lei, comportandomi così.                                                                                                                        Cynthia
 
Max non poté non provare un moto di rabbia nei confronti di Cynthia che, pur avendo avuto parole di lode per Samuel, lo aveva anche lasciato in sordina, senza avere il coraggio di affrontarlo.

Oh, sì, ogni cosa scritta in quella lettera era vera, per ciò che riguardava l’amico.

Lui era effettivamente un uomo d’onore, e lo dimostrava il modo cavalleresco in cui aveva trattato la donna che aveva creduto di amare, riamato.

Su Cynthia non sapeva che dire, a quel punto, ma bastavano le lacrime inorridite di Sophie a riassumere tutto ciò che provava.

Rabbia e amarezza estreme.

E un desiderio, via via sempre più grande, di chiedere giusta vendetta per Sophie e il suo amico.

Perché, se vedere Samuel così abbacchiato lo intristiva non poco, scorgere le lacrime di Sophie lo stava portando lentamente sull’orlo della follia.

Quanto avrebbe voluto avere per le mani il fatuo damerino che, evidentemente, aveva cospirato fin dall’inizio con Cynthia per architettare quella fuga!

E quanto avrebbe voluto parlare con quest’ultima per dirle a chiare lettere cosa ne pensava di lei, e quanto era amareggiato dal suo comportamento.

Sophie si era spesa anima e corpo, rischiando la sua vita e la sua reputazione, per salvare da se stessa la sorella… e cosa aveva ottenuto, se non dolore?

Quanto a Samuel, poteva in parte incolpare il suo buon cuore e la sua propensione a cedere di fronte a un bel sorriso femminile, ma nulla giustificava il trattamento subito.

Gettando a terra lo scritto con espressione irritata, Max abbracciò in silenzio l’amico e, stringendolo a sé, mormorò contrito: “Pensiamo solo a tornare a casa, Sam. Solo a questo.”

Lui sorrise mesto, asserendo roco: “Mio padre, stavolta, mi ucciderà.”

“Non diremo nulla a tuo padre. Sarà il nostro segreto” lo rassicurò Maximilian, cercando di soffocare i tremiti dell’amico.

Non avrebbe più permesso a nessuno di ridurlo in quello stato, foss’anche l’ultima cosa che avesse fatto in vita.
 
***

La luna brillava pallida, nel cielo ora sgombro di nubi, e l’aria era satura di odori quanto umida, ma Sophie sembrava non accorgersi dell’umidore sulla pelle.

Max la trovò così, sulla terrazza dell’albergo che scrutava la piazza sottostante.

Era stata silenziosa per tutta la durata della cena, e neppure Samuel era riuscito a scuoterla un poco dall’apatia che era scesa su di lei dalla notizia del tradimento della sorella.

In parte la comprendeva perché, se Andrew o Lizzie si fossero comportati a quel modo, lui si sarebbe sentito devastato.

Però, era anche vero che poteva prendere su di sé le colpe della sorella.

“Fa un po’ fresco, per rimanere fuori la notte” esordì a quel punto Maximilian, avvicinandola e drappeggiandole un mantello sulle spalle.

Lei sobbalzò leggermente e, nell’arrossire per quel gesto galante, reclinò il capo e mormorò: “Vi ringrazio. Non mi ero accorta che l’aria si era fatta così fresca.”

“Può capitare, quando si hanno mille pensieri per la mente” asserì lui, poggiandosi contro il parapetto in metallo della balconata.

Le spalle rivolte alla piazza illuminata da lampioni a olio, Max la scrutò nella sua interezza senza dire nulla, il volto in ombra e perciò intelligibile allo sguardo di Sophie.

Sophie che, ben più che conscia della sua presenza, e del profumo di lui che si espandeva dal mantello, era indecisa se darsela a gambe o scoppiare a ridere di se stessa.

Non era possibile, vero, che si fosse innamorata di lui? Non poteva essere stata così sciocca!

Erano davvero bastati un bacio e la sua galanteria in quei dieci giorni di viaggio, a farla capitolare?

Era dunque così superficiale da cadere preda di un bel faccino guarnito di un nome titolato? Cosa la differenziava, dunque, da sua sorella?

“Non lo fate” disse soltanto Maximilian, sorprendendola, neanche le stesse leggendo nella mente.

“Cosa intendete dire?” mormorò lei, stringendosi nel mantello, come se l’aria della notte fosse, di colpo, divenuta gelida.

“Prendere su di voi le colpe di vostra sorella, o i suoi errori. Voi non siete lei” asserì con tono perentorio il giovane.

“Come potete dirlo? Quanto mi conoscete, per affermarlo con sicurezza?” si lagnò la ragazza, volgendogli le spalle.

Lui allora sospirò vagamente irritato, si scostò dalla balaustra e, nel raggiungerla, poggiò le mani sulle sue spalle per poi sussurrarle all’orecchio: “Una ragazza egoista non piangerebbe per il comportamento della sorella. Una ragazza egoista avrebbe approfittato del mio …scivolone, pretendendo debito pegno.”

Azzittendosi per un attimo, la aggirò e, occhi negli occhi, terminò di dire: “Una ragazza egoista non sarebbe neppure uscita di casa, lasciando la sorella a pagare per i propri errori. Voi non siete lei.”

Ciò detto, le carezzò il viso con il dorso della mano e, in silenzio, se ne tornò dabbasso, lasciandola sola con quelle ultime parole di commiato e i mille dubbi che seppero scatenare.
 
***

“Sei sicura di volerti fermare? Non credi che saremo un bell’impiccio, per lui?” domandò per la centesima volta Max, guadagnandosi un’occhiata venefica da parte della sorella.

“Se lo ripeti ancora una volta, Maximilian Gregory Spencer, giuro che farò di te uno sfilatino e ti farò mangiare dai miei levrieri. E’ chiaro?!” sbottò Lizzie, facendo ghignare nervosamente il fratello e sorridere Wendell.

Samuel si limitò a un sorriso di circostanza, e Sophie a uno ancora meno sentito.

Da quando erano partiti per rientrare a York, gli Spencer avevano tentato il tutto e per tutto, per far riprendere le parti lese di quella sventurata avventura, ma a poco erano servite le loro burle.

Dopo tre giorni di cammino, alla fine, Elizabeth aveva pensato di giocare una carta improvvisata ma che, visto il luogo in cui si trovavano, avrebbe potuto essere quella vincente.

Chesterton sarebbe stato il prossimo paese che avrebbero toccato e, poiché lì risiedeva una vecchia conoscenza di Lizzie, sarebbe valsa la pena di fermarsi.

Soprattutto, pensando a chi avrebbero visitato.

“Andremo a Chesterton e ci fermeremo lì, a costo di farti proseguire a piedi mentre io reggo le redini di Spartan” lo minacciò Elizabeth.

“Spartan non ti darebbe mai retta” la mise in guardia per contro Maximilian.

Lei, però, sogghignò e, facendo gli occhi dolci allo stallone, mormorò: “Chi è l’amore della mamma, eh, Spartan?”

Lo stallone nero scosse il muso enorme, nitrendo allegro e Maximilian, disgustato dal comportamento della sua cavalcatura, borbottò: “Maschio degenere… solo perché ti ha accudito lei durante la nascita, non trovi in te un minimo di autocontrollo per mostrarti superiore a qualche moina?”

Il cavallo lo guardò come se fosse pazzo, e avesse compreso perfettamente quel che Max aveva tentato di dirgli, trovandolo semplicemente assurdo.

Soddisfatta, Elizabeth sollevò il nasino a punta e dichiarò: “Mai sottovalutare certi legami, caro mio.”

Samuel si ritrovò a sorridere un poco, asserendo con tono fiacco: “Mia cognata è l’amore incondizionato del cavallo di mio fratello. Dite che il motivo sia lo stesso, Lizzie?”

“E’ possibilissimo, Samuel. E, quando saremo arrivati a destinazione, potrete chiedere a qualcuno più esperto di me quanto sia importante l’imprinting, sui cuccioli di qualsiasi specie” assentì Lizzie, sorridendo caramente all’amico.

Approfittando della momentanea ripresa di Samuel, Max lanciò un’occhiata a Sophie che, invece, sembrava caparbiamente convinta nel voler rimanere in silenzio fino a York.

Ma perché si ostinava a essere così testarda?!

Sbuffando, tornò a guardare dinanzi a sé e, nel suo animo, cominciò a sperare che l’idea strampalata della sorella potesse avere qualche effetto.

Dopotutto la prima volta, con Sophie, aveva funzionato.

Con quella nuova speranza, Max seguì con maggiore convinzione Lizzie.

Senza esitazione, allora, Elizabeth puntò verso l’esterno di Chesterton fino a raggiungere una bassa casa in mattoni rossi, circondata da un ampio muro di sassi.

Nelle vicinanze, si udirono degli uggiolii di cane, un abbaiare discontinuo e diverse voci umane e Lizzie, ampliando il suo sorriso, dichiarò: “Bene… ci sono.”

“Chi, di grazia?” si informò Samuel.

“Vecchi amici” asserì lei, allungando una mano per suonare la campana posta dinanzi a un cancello chiuso.

Lo scampanio riuscì a sovrastare il rumore prodotto dai cani e, nel giro di un minuto, un giovane alto e robusto si presentò al cancello d’ingresso.

Lì, bloccandosi a metà di un passo, strabuzzò gli occhi, si affrettò ad aprire ed esclamò: “Mi venisse un colpo… lady Lizzie! Lord Wendell! Lord Max!”

Elizabeth si lasciò aiutare a scendere da cavallo dal giovane bruno e, non appena poggiò le scarpine sul selciato, lo abbracciò con forza, esclamando: “Roy Ronson! Che piacere rivederti!”

“Sempre energica, eh, milady?” rise il giovane, scostandosi dalla donna per stringere le mani degli altri Spencer.

Samuel aiutò Sophie a scendere da cavallo e, a quel punto, Roy si avvicinò anche a loro e disse: “Benvenuti alla Golden Dog House, il miglior allevamento di cani da compagnia di tutta l’Inghilterra.”

Sophie e Samuel sbatterono sorpresi le palpebre ed Elizabeth, tutta soddisfatta, dichiarò: “Il mio primo investimento.”

Roy rise della sua uscita così tronfia e, nell’accompagnarli sul retro della grande casa, mise in mostra le gabbie coi cani e il campo di addestramento.

“Lady Lizzie ha pensato che, per gli orfanotrofi, bastassero l’impegno dei genitori e dei loro amici, così ha creduto in noi e ci ha concesso di aprire questa impresa, sovvenzionandola” spiegò loro Roy, scrutando Elizabeth con autentica adorazione.

Lo sguardo di Lizzie si fece dolce, quando Roy cominciò a spiegare come avessero avviato la loro società – composta da ragazzini orfani provenienti da Londra – e Sophie, per tutto il tempo, studiò la donna e le sue reazioni.

Aveva abbracciato con candore puro un ragazzo che, non solo non era un suo pari, ma era anche senza famiglia.

Lei, tutti gli Spencer, erano divenuti la famiglia di quel ragazzo, e anche degli altri giovani che abitavano quella grande casa rossa.

Erano davvero così diversi da lei come credeva, o erano solo sue sciocche fisime, nate nella sua testa soltanto a causa della brutta esperienza passata da Cynthia?

Sophie non seppe rispondersi ma, quando guardò Max prendere in braccio un cucciolo di setter inglese per coccolarlo, lo sperò con tutta se stessa.

“Ecco, Sophie, tenete questo” le consigliò a un certo punto Maximilian, offrendole un piccolo di cocker dal pelo fulvo e le lunghe orecchie.

La ragazza si sciolse al solo incrociare gli occhi scuri del cagnolino e, in un singhiozzo adorante, lo strinse a sé, lasciando che le ultime lacrime di tristezza ne bagnassero il pelo.

Roy non disse nulla, limitandosi a mostrare a un sempre più interessato Samuel le varie razze di cani presenti nell’allevamento.

Lizzie, invece, parve soddisfatta di ciò che vide e Wendell, al suo fianco, mormorò: “Speravi in questo, tesoro?”

“Gli animali sanno aprirci l’animo, e i nostri due amici avevano bisogno di sfogare i loro sentimenti senza, per questo, doverlo fare con noi. Ho pensato che ne valesse la pena. E poi, mi ha fatto piacere vedere come procedevano le cose. Da quando erano nati i gemelli, ero riuscita a venire solo una volta” sospirò Elizabeth, scuotendo contrita il capo.

Battendole una mano sulla spalla, Wendell asserì: “Fai moltissimo per tutti loro, Lizzie. Non pensare di non fare abbastanza. E poi, è tempo che volino da soli e lascino il nido.”

“Mi fai sentire una mamma troppo apprensiva, e non voglio esserlo” brontolò la donna.

“Guardali, e dimmi se non sono orgogliosi di te. Non ti considerano pedante, tutt’altro… e neppure lo faranno mai i tuoi figli, tesoro. Solo, devi abituarti alla loro crescita. Come ho imparato io” la rassicurò lo zio, sorridendole.

“Perciò… non è solo un problema mio?” domandò dubbiosa lei.

“Solo i genitori disattenti, non avranno di questi dubbi, e tu non lo sei di sicuro” le sorrise lui, afferrando subito dopo un piccolo di labrador. “Ecco, credo che ne abbia bisogno anche tu.”

Sorridendo, Lizzie lo prese in braccio e, affondando il viso nel suo morbido pelo dorato, mormorò: “Grazie, zio.”

Fu solo molte ore più tardi, seduti dinanzi alla finestra aperta della stanza offerta loro, che Samuel trovò il coraggio di parlare all’amico.

Pur se il pomeriggio era stato lieto, e la presenza di quegli adorabili cagnolini lo avevano aiutato a riprendersi un poco, la cocente delusione che ancora provava era lì a divorargli l’animo.

Fino a quel momento si era divertito, si era persino preso gioco degli altri, facendo leva sulla sua attitudine a correre dietro alle donne – anche sbagliatissime per lui.

Stavolta, però, lo aveva fatto perché Cynthia lo aveva colpito per la sua spontaneità, per il suo essere diversa dalle altre… e ne era rimasto ferito più che durante una battaglia.

“Quanto mi detesti, da qui all’eternità?” esordì Samuel, lanciando un’occhiata al profilo tranquillo dell’amico.
Max sorrise appena, a quella battuta fiacca, e replicò: “Non potrei mai detestarti, Sam. Picchiarti a sangue, sì, e molto volentieri, ma detestarti? Nah, non ne sarei capace.”

“Dovresti. Merito tutto il tuo biasimo, e anche un po’ di odio. Pur se va detto che, odiando già molto me stesso, non rimarrebbe molto spazio per il tuo, di odio” sottolineò Samuel, scivolando un poco sulla poltrona per poi coprirsi il viso con le mani. “Come potrò mai guardare in viso i tuoi genitori, o zia Mina, dopo questo disastro?”

“Intanto, nonna Whilelmina non sa nulla di tutto questo. Pensa che io e te siamo in viaggio di piacere da qualche parte, anche se avrà cominciato a chiedersi come mai i coniugi Whitmore risiedono a Green Manor” gli spiegò Max, scuotendo una mano con noncuranza. “In secondo luogo, Samuel, tutti possono rimanere ingannati dal proprio cuore… tu hai solo portato alle estreme conseguenze la cosa.”

“E’ dire poco” sospirò il giovane Westwood. “Vorrei tanto essere pragmatico come te, amico mio.”

Max rise, a quelle parole, e asserì: “Oh, credimi. Ora, più che pragmatico, sono molto confuso.”

Sinceramente sorpreso, Samuel lo fissò con estrema attenzione nella penombra della stanza e, complice la luce della luna che penetrava dalle finestre, esalò: “Cavoli, amico… oserei dire che hai ragione. Sembri davvero confuso.”

“Lo sono davvero e, se da una parte conosco il modo per risolvere questa confusione, dall’altra ho il terrore di commettere un errore madornale.”

“So di non averne alcun diritto, ma posso conoscere la causa di tutti questi dubbi?”

A Max non occorse neppure un attimo per ammettere con l’amico che, i suoi pensieri turbati, dipendevano da Sophie.

Per quanto Samuel ne avesse combinate di cotte e di crude, e si fosse infilato in quel ginepraio con stivali e giacca a corollario, era il suo migliore amico e sapeva che, per lui, avrebbe smosso anche il mondo, pur di aiutarlo.

Questo lo portò ancora una volta a detestare il comportamento riprovevole di Cynthia, e a chiedersi come potesse, una simile creatura, essere la sorella di Sophie.

Erano così diverse!

Samuel gli batté una mano sul braccio, interrompendo i suoi pensieri e, sorridendo mesto, asserì: “E’ inutile arrabbiarsi, Max. L’errore l’ho commesso io. Tu non commettere quello di farti il sangue cattivo per una persona che ora non ci turberà più.”

“L’ho sempre detto che hai un animo troppo gentile” sospirò Max, pur ringraziandolo.

“E così, miss Sophie è al centro del tuo cuore impaurito, mi par di capire. Di per sé, è un autentico evento biblico, visto che non ti ho mai sentito dire che apprezzassi questa, o quella dama.”

Storcendo la bocca, Max borbottò: “Mi credi un eunuco?”

“No, solo una persona dai gusti assai difficili… o un fifone matricolato che, al solo pensiero di udire la parola ‘matrimonio’, scappa a gambe levate” ironizzò Samuel, facendo ridere sommessamente l’amico.

“Direi un po’ tutt’e due le cose” ammise dopo alcuni attimi Max, grattandosi nervosamente la nuca.

Ancora adesso, al solo sentire quella parola, veniva scosso da certi tremiti, ma non sapeva esattamente dire se fossero di paura, o di aspettativa.

Era tutto così strano, per lui!

“Miss Sophie, però, sembra sconvolgerti in un modo tutto nuovo, eh?”

“Decisamente, e comincio a credere che non ne verrò a capo molto facilmente.”

“Tutto sta a vedere se la fanciulla è interessata, e quanto sia interessata. Non vi sono altri mezzi per scoprire ciò che cerchi. Anche se non vi è certezza in nulla, come hai potuto constatare” sospirò Samuel, scuotendo il capo per il fastidio.

“Ne verrai fuori, amico mio. Un po’ acciaccato, ma ne verrai fuori.”

Samuel assentì, ma ammise: “Credevo davvero che fosse quella giusta, Maximilian. Lo pensavo con tutto me stesso, e non so se potrò mai affrontare un’altra donna senza chiedermi quanto potrò sbagliarmi su di lei.”

Max non seppe che dirgli, perché il pericolo era reale. Come dargli delle certezze sul futuro, quando lui non ne aveva per se stesso?







Note: per chi non lo ricordasse, Roy Ronson è il bambino che, a suo tempo, Lizzie e Alexander salvarono dai rapitori.
Tornando alla storia, abbiamo avuto una svolta decisiva quanto imprevista. Cynthia ha sfruttato il buon cuore di Samuel per raggiungere l'uomo che la attendeva al porto per partire per l'America, pur se la donna ha tenuto a precisare quanto, l'aver usato lord Westwood, l'abbia fatta sentire male. Sophie, così, si ritrova a dover tornare a mani vuote, e col cuore percorso da un dolore cociente, dovuto dall'amore che teme (?) di provare per Max.
Max, a sua volta, sa di provare qualcosa per lei, ma il comportamento di Cynthia scombussola anche lui. 
Come andrà a finire, per i nostri due uomini e per la donzella che spasima per uno di loro?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 
12.
 
 
 
 
Sarah sbadigliò per la centesima volta, nell’osservare il viso pensieroso e concentrato della sorella maggiore, Lorainne, di un anno più grande di lei.

A causa della morte del re, la Stagione – per quell’anno – era stata annullata, così Lorainne aveva dovuto rinunciare alla sua entrata ufficiale in società.

A ben guardare, però, Sarah non ritenne la sorella troppo in pena per la cosa. Tutt’altro.

Dal matrimonio della loro sorellona Violet, si era messa d’impegno per imparare tutto l’imparabile e, se non fosse stata certa del contrario, avrebbe detto che si fosse presa una cotta per il suo istitutore.

Come altro spiegare la sua infatuazione per lo studio?

Sapeva, però, che non era il caso di Lorainne.

Mr Williamsworth era tutt’altro che un uomo simpatico e, pur se era competente, non le sembrava affatto il suo tipo.

“Non hai ancora finito di scrivere quella lettera?” si lagnò a un certo punto Sarah, scrutando le sei pagine vergate a mano dalla sorella.

Myriam scrutò per un momento le due figlie, già pronta a bloccare qualsiasi battibecco, ma Lorainne non rispose al tono della sorellina, limitandosi a dire: “Amo essere precisa, nelle cose. E questa lettera deve coprire lo spazio di almeno sei mesi di avvenimenti.”

“Violet sarebbe stata meno prolissa, nello scrivere a Lucius” sottolineò Sarah, ironica.

“Lettie è impegnata a tenere compagnia a Mrs Withmore, e questa è una attività che posso svolgere benissimo io” replicò con calma misurata Lorainne, lanciando però uno sguardo minaccioso alla sorella.

Sarah colse la palla al balzo per sogghignare e, baldanzosa, si levò in piedi e disse: “Oh, certo! Tra un po’, Mr Williamsworth non avrà più nulla da insegnarti, tanto sei brava e coscienziosa.”

“Sarah…” la mise in guardia Myriam, poggiando temporaneamente il suo ricamo sulle cosce.

La figlia minore, allora, sbuffò e mugugnò: “Sì, va bene, sto zitta. Torno al mio ruolo di vedetta.”

Ciò detto, si arrampicò sul divanetto di vimini della veranda al secondo piano di Green Manor, dove tutte loro si trovavano, e scrutò l’orizzonte.

Myriam sospirò esasperata e Lorainne, scuotendo il capo, chiosò: “Maschiaccio.”

“Polentona…” le replicò Sarah, acuendo lo sguardo.

“Ragazze…” mormorò Myriam, sperando dentro di sé che Lorainne resistesse ai dispetti della sorellina.

Sembrava che, ultimamente, Sarah puntasse solo a farle perdere il contegno tanto sudato.

“Cavalieri lungo il viale!” esclamò all’improvviso Sarah, sorprendendole.

Mentre Lorainne e Myriam si levavano dalle loro sedie di vimini per accorrere al parapetto, Sarah si sbracciò, urlando: “Bentornati!”

“Sarah, ti prego, un po’ di contegno…” esalò Myriam, chiedendosi per l’ennesima volta se, tutta la grinta e la spregiudicatezza che mancavano a Violet, fossero finite interamente alla terzogenita.

Sarah fece la lingua con espressione sbarazzina e, senza badare ai rimproveri dalla madre, raccolse un po’ le gonne, balzò a terra e corse via per accogliere il ritorno degli eroi.

Lorainne si volse per scrutarla con espressione sconcertata e, nel rivolgersi alla madre, dichiarò: “Vado a cercare Paul, prima che…”

Dall’interno della villa si udì distintamente un ‘Paulll!’ urlato a gran voce e Lorainne, scoppiando a ridere, esalò: “Troppo tardi.”

“Che devo fare con quella ragazza?” sospirò Myriam, seguendo d’appresso la secondogenita che, a sedici anni, si era molto calmata rispetto ai primi anni in cui aveva seguito, in tutto e per tutto, le orme di Sarah.

Ora, Lorainne sembrava intenzionata a prendere più seriamente le cose, soprattutto gli studi, in cui eccelleva con gran profitto.

“Forse, non si può fare nulla, ti pare? Ognuno è quel che è” scrollò le spalle con aria solenne Lorainne, con l’ombra di un risolino ai lati delle labbra.

“Non prendermi in giro, ragazzina... so benissimo che tutti pensate che lei abbia preso da me” brontolò Myriam, pur sorridendo.

“Lo hai detto tu, maman, non certo io” sottolineò la figlia, scrutandola dall’alto del suo metro e settantacinque.

“Lo ha detto anche papà” precisò Myriam prima di scorgere l’oggetto dei suoi pensieri sul lato opposto del corridoio, attirato sicuramente dalle urla della figlia.

Sul suo viso compariva un sorriso tirato, forse così tirato per contenere una risata scrosciante, almeno a giudicare dagli occhi lucidi di Anthony.

Raggiuntolo agli albori delle scale, chiosò: “L’hai sentita?”

“Chi non l’ha sentita?” ridacchiò Anthony, scendendo le scale mentre, dalle varie stanze, gli abitanti – e gli ospiti – di Green Manor si avviavano verso l’uscita per scoprire il perché di tanta agitazione.
 
***

Max non aveva più avuto occasione di parlare in solitudine con Sophie, e non era del tutto sicuro che fosse stato un caso.

Stranamente, non era stato a causa di Lizzie, che aveva temuto potesse mettersi contro di lui per evitare situazioni imbarazzanti o sconvenienti.

Era stata proprio Sophie a evitare il confronto che, da quella notte sulla terrazza, non aveva più scambiato con lui che poche parole.

La cosa lo aveva confuso non poco, poiché aveva pensato che il suo interesse per la ragazza fosse almeno pari a quello che lui credeva lei avesse nei suoi confronti.

Che si fosse così grandemente ingannato?

Che quel bacio non avesse voluto dire proprio nulla, per lei, se non il sollievo di saperlo vivo e vegeto?

Nel guardare Samuel, che tratteneva tra le braccia il cucciolo di labrador che Roy aveva voluto regalargli – aveva promesso una cucciolata di corgie a Lizzie – Max si domandò se si fosse sbagliato a sua volta.

E in maniera così clamorosa.

Green Manor, comunque, non era il luogo ideale per confronti di quel genere, perciò avrebbe atteso qualche giorno che le acque si fossero calmate, e sarebbe tornato all’attacco.

Voleva una spiegazione, o sarebbe impazzito nel trovarla.

A sorpresa – o forse neanche più di tanto – Sarah Phillips fu la prima a uscire di gran carriera dalle porte dell’enorme palazzo degli Spencer.

Subito dopo di lei, in ordine sparso e con andature molto più contenute, giunsero i genitori di Max, Andrew e Violet, la famiglia Phillips e, infine, i coniugi Withmore.

A quella vista, Sophie scese da cavallo prima ancora che un valletto potesse aiutarla e Ferdinand, tenendosi al bastone, la raggiunse per un abbraccio un po’ rude, ma sincero.

Sarah ebbe il buon senso di azzittirsi e, quando il resto dei cavalieri fu sceso, si avvicinò a Samuel per vedere il cucciolo e mormorò: “E’ molto bello, Samuel. E’ vostro?”

“La mia nuova responsabilità. Chissà che non serva a farmi rinsavire” mormorò il giovane.

Mrs Withmore lo fissò con autentica confusione, mista a una preoccupazione sempre crescente e Samuel, nel lasciare a Sarah il cucciolo, si avvicinò alla donna.

Profondendosi in un inchino, asserì: “A voi chiedo umile perdono, Mrs Withmore. Ho ripagato con l’inganno la vostra gentilezza e la vostra amicizia. Pagherò qualsiasi ammenda riterrete opportuna, ve lo giuro.”

La donna non seppe come replicare a quelle parole ma vi pensò il marito che, sempre tenendo Sophie al fianco, domandò rigido: “Che fine avete fatto fare a mia figlia, scellerato?!”

“Padre, no… aspettate” sussurrò Sophie, trattenendolo per il bavero della giacca.

Samuel, però, scosse il capo e disse: “E’ corretto quel che dice vostro padre, miss Sophie. Posso solo dirvi ciò che conosco io, Mr Withmore.”

Ciò detto, gli consegnò la lettera vergata da Cynthia e Ferdinand, nello scorrerla velocemente, levò poi lo sguardo verso un’ansiosa moglie e scosse il capo.

Subito, Myriam e Kathleen si affiancarono a Mrs Withmore mentre Violet, raggiunta da Max, lo abbracciò con calore, mormorando: “Che succede?”

“Lo scoprirai presto” replicò Maximilian, stringendo poi la mano del fratello.

“Credo sia il caso che rientriamo tutti in casa. Non penso che questo sia il posto giusto per affrontare questa situazione, e Mrs Withmore ha bisogno di sedersi” intervenne a quel punto Christofer, lanciando un’occhiata alla moglie e alla ex cognata, che assentirono.

Tutti si dichiararono d’accordo e Sarah, sempre tenendo il cucciolo in braccio, domandò alla sorella: “Tira una brutta aria, che dici?”

“Eccome. Credo che noi e Paul dovremmo defilare alla svelta, prima che le nostre orecchie odano più del necessario” sospirò Lorainne, scuotendo il capo.

Myriam si volse a mezzo, assentendo, e dichiarò: “Niente di più vero. Filate nelle vostre camere fino a nuovo ordine e, Sarah… cosa pensi di fare con quel cucciolo?”

“Me lo ha affidato Samuel!” protestò Sarah, accigliandosi.

Sospirando, la madre allora disse: “Molto bene, allora. Tienilo con te finché Samuel non avrà finito con noi.”

Sarah si ritenne soddisfatta e Paul, nel seguire le sorelle mentre gli adulti si chiudevano in un salotto al pian terreno, borbottò: “I grandi sono davvero strani.”

“Vero” asserirono in coro le due sorelle maggiori.
 
***

Lizzie aveva un desiderio quasi disperato di vedere i suoi figli, ma quell’avventura non era ancora ultimata e, prima di tutto, doveva pensare a Max.

Non si era imbarcata in quella missione per poi lasciare le cose a metà, e aveva promesso completa e totale partecipazione al fratello minore.

Perciò, rimase nel salottino dove i protagonisti della vicenda si riversarono per le ultime, scottanti rivelazioni.

Samuel rimase in piedi, accanto alla poltrona occupata da Max, mentre Sophie andò ad accomodarsi sul divanetto di broccato blu, assieme ai genitori.

Christofer e Kathleen stazionarono accanto al camino spento, mentre Anthony e Myriam affiancarono Elizabeth, Alexander, Wendell e Julianne.

A quel punto, Sophie prese un gran respiro, estratte da una tasca il foglio vergato dalla sorella e, senza dire nulla, lo consegnò al padre mentre, con la mano libera, afferrava quelle tremanti della madre.

Violet, accoccolata su una poltrona con Andrew al fianco, notò subito quel particolare ma non disse nulla, lasciando che fossero i Withmore i protagonisti di quel momento di tensione.

Ferdinand lesse febbrilmente lo scritto, rigirandolo più e più volte come se, a una seconda o terza rilettura, potessero apparire più informazioni, più parole, più spiegazioni.

Ovviamente, nulla avvenne e, quando infine l’uomo passò la lettera alla moglie, i suoi occhi si levarono per incrociare quelli di Samuel Westwood.

Le grigie profondità di Withmore sondarono gli abissi cerulei di Westwood per diversi secondi, prima di domandare con tono accorato: “L’avreste veramente sposata, una volta giunti in America?”

“Naturalmente. Era mio desiderio. Se lei lo avesse voluto, l’avrei chiesta in sposa direttamente a voi, Mr Withmore, ma Cynthia mi disse che, per nulla al mondo, avrebbe desiderato diventare la moglie di un lord, qui in Inghilterra, poiché nessuna nobildonna l’avrebbe presa sul serio” spiegò Samuel con tono piatto.

Il suo volto pareva invecchiato di un decennio, nel corso di quel breve viaggio di ritorno verso Green Manor, e Max se ne stupì non poco.

A quanto pareva, l’amico aveva trovato finalmente la donna capace di spezzargli il cuore, e questa lo aveva calpestato fino a ridurlo a brandelli.

Sperò soltanto che, da un destino così tragico, egli potesse un giorno riprendersi.

Ferdinand assentì una sola volta, meditabondo, mentre il singhiozzo soffuso di Mrs Withmore galleggiava nell’aria come un profumo amaro.

Ancora, Sophie la consolò, avvolgendole le spalle con un braccio e parlandole soffusamente all’orecchio.

Adelaide si lasciò così andare, addossandosi completamente a lei e Violet, con un breve sospiro, scosse debolmente il capo.

“Non avete idea di chi sia l’uomo con cui lei… lei dovesse incontrarsi, vero?” domandò a fatica Ferdinand, stringendo le mani tra loro con fare spasmodico.

Scuotendo contrito il capo biondo castano, Samuel mormorò: “Nessuna idea, mi spiace, ma mi farò carico di qualsiasi spesa voi vorrete affrontare, se desidererete scoprire dove si trova. Assolderò anche il miglior investigatore della Gran Bretagna, se questo potrà anche soltanto aiutarvi a superare questo momento di prostrazione.”

Adelaide lo fissò con autentico stupore, ma fu Ferdinand a parlare, e lo fece con tono lapidario, che non ammetteva repliche.

“Cynthia ha tradito non solo la vostra fiducia, ma anche la nostra, perciò che viva pure la vita come meglio crede. Di una cosa sono sicuro: per me, lei non esiste più.”

“Padre…” esalò sorpresa Sophie, fissandolo sgomenta.

Ferdinand non retrocedette di un passo dalla sua scelta e, fissandola con un sorriso triste, asserì: “Badammo solo alla sua felicità, quando ci trasferimmo qui, non pensando minimamente che tu, perdendo i tuoi affetti e le tue certezze, potessi soffrire. A cosa è valso fare queste differenze, Sophie?”

“Avete solo pensato a renderla felice, e io ero d’accordo con voi, ma non è colpa vostra se…” iniziò col dire la ragazza, ma il padre la azzittì con una carezza sul braccio.

“Non cercare di giustificare un mio torto nei tuoi confronti, Sophie. Avrei potuto agire in altri modi, invece ho scelto la via più breve e più pratica perché, innanzitutto, dovevo pensare ai miei affari.”

“Sono i vostri affari che ci mantengono, padre” sottolineò Sophie, accigliandosi leggermente.

“Ma dovevano passare in secondo piano, per voi due. Ora, purtroppo, non posso fare più nulla, per Cynthia, ma spero che vorrai credermi quando ti dico che, per te, ci sarò sempre, figliola.”

Sophie si coprì la bocca per soffocare un singhiozzo e, annuendo con le lacrime agli occhi, si limitò a fissare il padre con immenso amore.

Non un abbraccio, però, non un cedimento, notò ancora una volta Violet, cominciando a preoccuparsi seriamente.

Quando infine i coniugi Withmore si elevarono dal divano assieme alla figlia, chiesero cortesemente una carrozza per tornare a York, e Christofer non ebbe problemi a concedergliela.

Ciò detto, Ferdinand condusse la sua famiglia nelle stanze occupate in quelle settimane a Green Manor e, di colpo, tutta la tensione fin lì accumulata si sciolse.

Alexander ed Elizabeth si scusarono con i presenti per poter raggiungere i loro figli, e così fece Wendell assieme a sua moglie.

Max, a quel punto, accompagnò fuori Samuel per fargli prendere una boccata d’aria e, quando infine la porta si fu chiusa alle loro spalle, Violet parlò.

“So che non sono affari miei, ma…” esordì lei, attirando l’attenzione dei rimasti. “… temo che la situazione non si sia affatto risolta.”

“Che intendi dire, Lettie?” le domandò il marito, accomodandosi sul bracciolo della sua poltrona.

Giocherellando con le dita di una mano di Andrew, Violet asserì meditabonda: “In questi giorni, ho avuto modo di conoscere molto bene Mrs Withmore, e posso asserire con assoluta certezza che soffre dello stesso problema di cui soffrivo io.”

“Tu soffrivi di qualche problema, cara?” ironizzò Andrew, dandole un bacetto sulla fronte.

Lei sorrise ai suoceri, ai genitori e al marito, prima di aggiungere: “Mrs Withmore soffre per la presenza di eccessivi protettori. La figlia la coccola come se fosse lei la madre, e Mrs Adelaide la figlia, e il marito è abituato a prendere decisioni senza consultarla, dando per scontato che lei sarà d’accordo. Naturalmente, il tutto è fatto perché la amano, non metterei mai in dubbio il contrario, ma questo porterà Mrs Withmore a un lento, quanto inesorabile, prosciugarsi dell’anima.”

“Temi che, per non mettere in ansia i suoi cari, non parlerà di ciò che sente, tesoro?” domandò Kathleen, sgranando leggermente gli occhi.

“Io lo feci per quasi due anni, quando mi resi conto di essermi innamorata di Andrew, e solo per non ferire voi o i miei genitori…” dichiarò Violet e, con un sorriso, scrutò Anthony e Myriam, fermi accanto alla finestra. “… e, da quel che ho capito su Adelaide, lei non parlerà del suo dolore per la perdita della figlia, esattamente per lo stesso motivo. Ma ne morirà. Si consumerà dentro come una candela fino a spegnersi, e solo per non addossare il suo dolore su di loro.”

Kathleen e Myriam si guardarono preoccupate e Andrew, torvo, le domandò: “Ne sei sicura?”

“Oh, ho riconosciuto tutti i sintomi, e credimi, lei li mostra tutti. E’ perfettamente in grado di reggere il peso dell’angoscia del marito e della figlia, ma loro non la reputano in grado di sopportarlo… in buona fede, perché la amano e temono di farle del male, parlando di ciò che ognuno di loro sta patendo, ma è controproducente per tutti, questo silenzio” disse accorata Violet, carezzandosi distrattamente il ventre.

“Pensi che, se le parlassimo io e Kathleen, potrebbe aprirsi un po’?” domandò a quel punto Myriam, sorridendo orgogliosa alla figlia.

“Potreste fare un tentativo, ma credo che il vero scoglio sia Sophie. Dovrebbe essere lei, a parlare con la madre. A cuore aperto, non tentando di nascondere ciò che prova. Credo sia questo che, più di tutto, desidera Adelaide.”

Andrew la strinse a sé in un mezzo abbraccio e, sorridendole, asserì: “Non solo sei un asso nel creare navi dal nulla, ma anche nel vedere ciò che si cela nei cuori delle persone. Mi sento un po’ intimorito da tanta intelligenza, sappilo.”

Violet rise sommessamente, al pari dei presenti e, con tono irriverente, dichiarò: “E non hai ancora scoperto tutto, su di me, mio caro.”

“La cosa si fa intrigante…” sussurrò malizioso Andrew.

“E su questa frase, penso che batterò in ritirata” asserì Anthony, prendendo sottobraccio la moglie, che ghignò divertita.

“Credo che vi seguiremo a ruota, e intanto aiuterò Ferdinand con i preparativi per il rientro a York” disse a sua volta Christofer, prendendo per mano la moglie per uscire dal salottino.

Una volta rimasti soli, Violet lasciò perdere il suo sorriso divertito per guardare con estrema serietà il marito e dirgli: “Penso dovresti parlare con Lizzie di ciò che ha visto durante il viaggio e, solo in seguito, con Max. Credo che lui sia la persona più adatta per parlare con Sophie del problema di Adelaide, ma non vorrei sbagliarmi.”

Andrew levò sorpreso un sopracciglio, domandandole: “Non vuoi essere tu a parlarne con Max?”

Arrossendo un poco, Violet replicò: “Se ho inteso bene, credo che parlerà solo con il fratello, di certe cose…”

“Oh” esalò soltanto il giovane, lasciandosi andare a un mezzo sorriso.

Prevenendo qualsiasi burla potesse escogitare Andrew, Lettie gli batté una mano su un braccio, borbottando: “Non prenderlo in giro. La faccenda è dannatamente seria, Andy.”

“E chi ha parlato?” ironizzò lui, levandosi in piedi e mandandole un bacio con la mano.
Accigliandosi, Violet mugugnò: “Lo sapevo che avresti reagito così…”

“Stai calma, mia bizzosa moglie, e pensa a nostro figlio. Saprò come fare, al momento adatto” le strizzò un occhio lui. “Vuoi che ti mandi Frank per tenerti compagnia, o preferisci tornare in camera?”

“Mandami Frank, per favore. Non voglio rinchiudermi in camera già adesso” acconsentì Violet.

Andrew, allora, tornò indietro, le baciò il capo e sussurrò: “Vedrai che, con l’avanzare della gravidanza, starai un po’ meglio. Lo ha detto anche il dottore. Sarà solo per un paio di mesi ancora.”

“La prossima volta, lo porti in grembo tu” brontolò per contro la moglie.

“Volesse il cielo che potessi farlo, tesoro” ironizzò lui, avviandosi infine verso la porta.

Quando fu fuori, puntò direttamente al piano superiore, in direzione delle stanze di Lizzie e, nel frattempo, si chiese cosa, quel viaggio, avesse veramente voluto dire per il fratello.

Forse, il problema causato dalla fuga di Cynthia Withmore, non era che la punta di un iceberg?
 
***

Seduta sul lettone assieme ai gemelli e a Rose, che si stavano alternando nel raccontarle le mille e più avventure vissute durante la sua assenza, Lizzie sorrideva a momenti alterni ad Alex, in piedi accanto al camino.

Tutto era andato per il meglio, i figli non avevano sofferto la sua mancanza – non più di quel tanto, ecco – e, nonostante qualche crisi di pianto, Alex se l’era cavata egregiamente.

E non soltanto grazie alla presenza dei suoceri, o dei coniugi Phillips.

Alexander aveva saputo dimostrare alla moglie – se mai ve ne fosse stato bisogno – che i ragazzi potevano rimanere anche con lui, e non solo con Lizzie.

Elizabeth non sapeva esattamente per quale recondito motivo, ma la cosa la fece sentire estremamente meglio.

Inoltre, i figli non sembravano avercela con lei per la sua partenza improvvisa e, anzi, si dimostrarono entusiasti nel sentirle narrare le vicende di quel viaggio pieno di incognite.

Quando, però, Andrew fece la sua comparsa, Lizzie fu costretta a dire loro: “Io e lo zio dobbiamo parlare un attimo da soli.”

“Cose da grandi?” domandò Rose, dubbiosa.

“Temo di sì, tesoro. Noiosissime cose da grandi” assentì Lizzie, vedendola sbuffare per diretta conseguenza.

Allungate le mani ai gemellini, i tre scesero dal lettone con un balzo e, senza dire nulla, si diressero verso la vicina nursery, seguiti dagli sguardi divertiti dei tre adulti.

Adulti che tornarono seri non appena la porta dietro i tre bambini si fu chiusa, e Andrew domandò alla sorella: “Lettie mi ha detto di chiedere a te, circa Max e questo viaggio. Che mi puoi dire, prima che io faccia il terzo grado a quello scavezzacollo di nostro fratello?”

Sospirando, Elizabeth strinse le braccia sotto i seni e dichiarò: “Non posso asserirlo con certezza, ma credo che il nostro fratellino si sia preso una cotta per Sophie, anche se non so quanto sia importante e che, nei limiti dello scibile, lei ricambi in qualche modo.”

In qualche… modo?” borbottò Andrew, confuso. “Che intendi?”

“Che mi è difficile capire a fondo Sophie. E’ molto chiusa in se stessa, quasi non volesse far vedere al mondo ciò che prova, perciò capirai bene quanto sia complesso comprendere un’anima così barricata” sospirò Elizabeth, rilasciando le braccia per scrollarle.

“Però, dici che Max…”

“Lui è confuso, Andrew. Quando mai Max è confuso per via di una donna? Se le cose stessero come al solito, lui sarebbe già in sella a Spartan, pronto a fuggire a gambe levate e il più lontano possibile dalla donzella in questione” ironizzò Lizzie, facendo sorridere i due uomini.

“Un vero cuor di leone, con le donne” sottolineò Alex, ammiccando.

“Non sai quanto!” sorrise Andrew. “Ha rifuggito più donne lui, di non so quale altro nobile di mia conoscenza, anche se so per certo che ha avuto le sue brave avventure.”
Elizabeth fissò il gemello con aria piatta, mormorando: “Lasciate le sconcezze per un altro momento.”

“Parla quella che, quando Lettie era ancora illibata, le raccontava delle sue notti di fuoco col marito…” replicò Andrew, facendo scoppiare a ridere Alexander.

“Cos’hai fatto, Lizzie?” esalò Chadwick, fissando la moglie con aperta curiosità.

Lei si limitò a scrollare le spalle, ribattendo serafica: “Niente di così deprecabile come sostiene mio fratello. Le ho solo detto che, quando fosse arrivata al dunque con il mio adorabile gemellino, avrebbe dovuto esigere certe cose, da lui.”

Alexander, allora, levò le mani per chiedere tregua e disse: “Preferisco non addentrarmi oltre, perché sono più curioso di capire questa faccenda di Max. Davvero pensi che sia innamorato della nostra miss Sophie?”

“Pensarlo è una cosa, saperlo è un’altra… io navigo nella prima opzione, ma posso assicurarti che, il Max che ho visto in questi giorni, è stato molto diverso dal solito” assentì Lizzie, prima di aggiungere: “E ora, se mi volete scusare, ho bisogno di parlare con mamma di un paio di cose ‘da donne’. Con – o senza – il vostro permesso…”

Ciò detto, si allontanò con un gran sorriso e Andrew, nell’osservare il cognato, domandò: “Come sta?”

“Meglio di quanto pensassi. Ha solo pianto un po’, ma niente di tragico. E i bambini sono stati contenti di sentire le sue avventure. Nel complesso, direi che ha fatto bene a tutti, questo piccolo cambio di programma dell’ultimo minuto” scrollò le spalle Alexander.

Annuendo, Andrew si avviò quindi per cercare Max ma, sulla porta, si fermò e domandò: “Vieni con me?”

“Meglio se parli da solo, con tuo fratello. Certe cose, è preferibile farle a tu per tu.”

Andrew assentì, ma non riuscì mai nel suo intento. Non subito, per lo meno, e non per primo.
 
***

Gli era parso assai strano che, subito dopo aver accompagnato Samuel nel parco della villa, Max avesse richiesto di parlargli con una certa urgenza.

Christofer, comunque, accettò di buon grado di ascoltare il figlio, anche perché era curioso di sapere qualcosa di più, di quel viaggio così concitato.

Dopo essersi recati nel suo studio, quindi, il capofamiglia si accomodò alla scrivania e pregò il figlio minore di accomodarsi.

Ciò fatto, intrecciò le mani in grembo e disse: “Prego, dimmi pure ciò che ti rode dentro.”

Max storse la bocca, si passò una mano sulla nuca e, dubbioso, replicò: “Perché pensi che mi stia rodendo qualcosa dentro?”

“Perché, dei miei figli, sei sempre stato quello con meno grilli per la testa. Lizzie è sempre stata esagitata e Andrew riflessivo fino allo sfinimento, ma tu sei sempre stato una buona via di mezzo e, al tempo stesso, quello che mi ha sempre dato meno gatte da pelare, per così dire. Ora, invece, scappi di casa con una giovane fanciulla e, quando torni da questo viaggio improvvisato, sembri avere nella testa un intero mondo di domande.”

Vagamente sgomento, Max impallidì e gracchiò: “Ora so da chi ha preso Lizzie…”

Christofer rise sommessamente, e replicò: “Ti vogliamo bene, perciò notiamo le differenze meglio di quanto farebbe un estraneo. Ergo, cosa vorresti dirmi?”

Lappandosi nervosamente le labbra, Max borbottò: “Ti darebbe molta noia se io, un domani, non mi sposassi con una donna di alto lignaggio?”

Aggrottando leggermente la fronte, Christofer esalò: “Matrimonio? Tu, che parli di matrimonio?”

Ironico, il conte guardò fuori dalla finestra per sincerarsi non vi fosse la fine del mondo in atto e Max, con uno sbuffo infastidito, brontolò: “E smettila di prendermi in giro… non sto affatto scherzando.”

“E’ proprio per questo che controllo” celiò Christofer con un sorriso, prima di tornare serio e aggiungere: “Come mai questa precisazione, comunque?”

“Io non sono erede del tuo titolo, perciò non è necessario che io segua espressamente l’esempio dei miei fratelli, ti pare?” tergiversò Max, massaggiandosi nervosamente le cosce con le mani inumidite dall’ansia. “Inoltre, Lettie è incinta, Lizzie ha tre pargoli e perciò la casata è degnamente rappresentata, no?”

Perché era così difficile mettere a parole ciò che pensava? Davvero credeva che il padre lo avrebbe criticato?

O era dell’altro, a spaventarlo? Forse, mettere a voce ciò che provava per Sophie, lo avrebbe reso finalmente reale, non solo un parto della sua immaginazione.

E a quel punto, sarebbe stato in grado di affrontarlo?

Sorridendo comprensivo al figlio minore, Christofer intrecciò le mani sul sottobraccio della scrivania e, con tono suadente, disse: “Mi interessa soltanto che sia una donna degna di te, e che ti ami. Chiunque essa sia.”

“Anche… anche se si trattasse di Sophie Withmore?” riuscì infine a dire Max.

Christofer sgranò leggermente gli occhi, sorpreso, ed esalò: “E’ successo qualcosa durante questo viaggio, per caso? Qualcosa di cui dovrei essere messo a conoscenza?”

Avvampando come un cerino, Max gracchiò: “Ma… ma che ti salta in mente?!”

Rilassandosi un poco, il conte allora disse: “Bene, la tua reazione mi fa capire che non hai disonorato la ragazza, né te stesso, il che mi rende molto orgoglioso di te. Tolto questo problema, dimmi, Max… come mai sei giunto a questa illuminante scoperta?”

“Non riesco a capire se tu ti stai prendendo gioco di me, o se parli sul serio” mugugnò il figlio, passandosi una mano sulla nuca, ormai infradiciata dall’ansia che provava.

“Ti dirò, figliolo… un po’ mi sto divertendo. Visti i precedenti, per una volta che posso essere io, a parlare con uno dei miei figli di futuri matrimoni, mi sto godendo l’attimo con tutto il cuore” sorrise debolmente Christofer.

“Avrei dovuto andare da Andrew, giusto per evitare questo terzo grado…” sbuffò Maximilian, storcendo naso e bocca.

“Oh, lo avresti passato comunque, credimi. Non pensare che Andrew, o Lizzie, non abbiano subito la stessa sorte. Solo, con loro, sono arrivato in ritardo” si limitò a dire Christofer, serafico.

“Che fortuna…” ironizzò Max, facendo ghignare il padre.

“Parlando in termini meno astratti, vi conoscete da quanto, tu e miss Sophie?”

“Un mese, più o meno. Un mese e mezzo” mormorò Max, facendo due rapidi calcoli.

“E suppongo che, durante il viaggio, abbiate colloquiato molto, anche se eravate in presenza di altre persone.”

Arrossendo leggermente, Max disse a mezza voce: “Ci siamo separati, durante il giorno, e io viaggiavo soltanto con Sophie. Ci riunivamo solo la sera, con Lizzi e lo zio.”

Curioso, Christofer allora domandò: “Idea tua?”

“Di Lizzie, per la verità.”

Il conte rise sommessamente, annuendo, e celiò: “Quella ragazza è davvero tremenda.”

“Dici che lo abbia fatto apposta?” esalò Max, ora dubbioso.

“Forse, voleva solo darti una mano perché aveva intuito qualcosa che tu, ancora, non avevi visto. Sai quanto noi maschi sappiamo essere notoriamente ciechi, quando vogliamo” chiosò Christofer, facendo spallucce.

Storcendo la bocca, Max borbottò: “Mi sento un po’ idiota, al momento.”

“Credo che ci siamo passati tutti, a tempo debito” dichiarò comprensivo Christofer. “Ammetterlo, però, non cambia la realtà dei fatti. Credi di conoscere miss Sophie a sufficienza per chiederle la mano… ed essere felice assieme a lei?”

“So cosa vuoi chiedermi. Pensi che sia un periodo di tempo troppo breve, e che io non abbia vagliato a sufficienza la cosa, ma so cosa ho visto, e quel che ho visto mi ha colpito” asserì a quel punto Max, allungando gli avambracci sulle cosce, lo sguardo perso nel vuoto.

“Parlamene” lo esortò a quel punto Christofer.

Max sollevò appena gli occhi per scrutare il padre, non sapendo bene cosa aspettarsi ma, quando scorse solo reale interesse e un profondo, sincero amore, le parole sgorgarono come un fiume.

Senza più avere timore di ciò che aveva dentro di sé, parlò di come gli fosse sembrata Sophie quando aveva chiesto il suo aiuto.

Gli espresse la sua meraviglia di fronte al suo coraggio, al suo fuoco… a ciò che aveva provato nel baciarla, e cosa aveva sentito nello scoprire ciò che aveva fatto sua sorella.

Christofer ascoltò per tutto il tempo in silenzio, senza mai interromperlo, abbeverandosi della spontaneità dei sentimenti del figlio, dell’assoluta trasparenza del suo cuore.

No, non era una semplice sbandata per una bella ragazza, o la possibilità di avere un flirt estivo con qualcuno che, agli albori dell’autunno, avrebbe potuto lasciare senza rimpianti.

Quello che vedeva nello sguardo limpido del figlio era turbamento, era paura, ma era anche desiderio di portare a compimento ciò che voleva per sé.

Non per un capriccio, ma per autentico affetto… amore.

Quando infine Max terminò di parlare, si sorprese non poco. Alle spalle del padre, il cielo aveva iniziato a prendere i colori del tramonto.

Aveva davvero parlato per ore?

A giudicare dalla gola secca che, in quel momento, lo stava insultando per quel trattamento irriguardoso, doveva essere successo esattamente questo.

E, con suo grande imbarazzo, Max si rese conto che, alle sue spalle, poggiata contro la porta e con gli occhi lucidi, si trovava sua madre.

Maman…” gracchiò lui, avvampando.

Lei non disse nulla, si limitò ad avvicinarsi, lo baciò su una guancia e gli carezzò i riccioli castani, meditabonda.

“Direi che la faccenda si può risolvere in un unico modo…” disse finalmente Christofer, levandosi in piedi per sgranchirsi le gambe. “…e cioè, dovrai chiedere la mano di miss Sophie a suo padre.”

“E… e pensi che accetterà?” mormorò timoroso Max.

“Se la fanciulla è interessata a te, immagino di sì. Se non lo è, dovrai accettare il suo diniego da vero gentiluomo, e non tartassarla con ulteriori richieste” sottolineò Christofer, lanciandogli un’occhiata significativa.

Max assentì debolmente, prima di lanciare uno sguardo alla madre, che annuì a sua volta.

“Allora, forse, dovrei andare…” cominciò col dire Max, levandosi in piedi.

“Dovrai attendere domani. La famiglia Withmore è partita due ore addietro per tornare a York” lo mise al corrente lei, spiacente.

La delusione sul volto di Maximilian si fece evidente, tanto che Kathleen gli carezzò una guancia, mormorando: “Vedrai che andrà bene, caro. Non ti disperare.”

“A voi andrebbe bene, però? Sì, insomma, il fatto che non sia una lady e tutto il resto” si informò a quel punto Max, non sapendo bene cosa aspettarsi.

I suoi genitori erano aperti di idee e molto liberali… ma quanto?

Christofer si fermò in prossimità della finestra, la aprì per respirare i profumi della sera ormai imminente e, nel sorridergli da sopra una spalla, dichiarò: “Diventerà lady quando sposerà te. E, onestamente, piuttosto che vedere al tuo fianco donzelle del calibro di lady Conorswell, o lady Fincher, preferirei saperti scapolo a vita.”

Kathleen rise appena, nel pensare alle figlie di certi lord di Londra che, proprio, Christofer non sopportava e Max, rabbrividendo, esalò: “Oddio, preferirei diventare frate, onestamente.”

“Ne sarei più che orgoglioso, credimi” ironizzò Christofer, prima di tornare serio e aggiungere: “E’ chiaro che, se lei accettasse la tua proposta, dovresti essere poi tu a difenderla da eventuali scorni, perché so già che potrebbero esservi. Sei pronto a snudare metaforicamente la spada per lei? Anche più di una volta?”

“Credo che Sophie potrebbe farlo anche da sola, ma so cosa vuoi dire e sì, sarei disposto a farlo anche cento volte, per lei” assentì con vigore Max.

“Allora, per me nulla osta” scrollò le spalle Christofer. “Tesoro, tu che ne pensi?”

“Penso che mi piacerebbe molto avere un’altra figlia, e Sophie mi sembra una ragazza interessante” dichiarò Kathleen, sorridendo al figlio.

Ringalluzzito da quelle parole, Maximilian si sentì decisamente più bendisposto verso il futuro e, dopo aver lasciato lo studio del padre, tornò con passo lesto verso le sue stanze.

Doveva pensare a come affrontare la situazione con Sophie ma, prima di tutto, doveva andare a recuperare Samuel.

Se, per una volta, aveva ascoltato le sue parole, era ancora in giardino a passeggiare in solitudine e, ormai, era il caso di farlo rientrare,  o avrebbe continuato a oltranza fino a morire di fame.
 
***

Trottando giù per le scale esterne di palazzo per raggiungere il camminamento del giardino all’italiana, Max incrociò la strada del fratello e, con un sorriso, disse: “Vieni con me. Vado a recuperare Samuel.”

“Volevo parlare con te di una cosa, perciò ne approfitto” assentì Andrew, notando subito il suo sorriso ilare. “Come mai tanta allegria? E dove sei sparito per ore?”

“Ero a colloquio con papà. Gli stavo esponendo le mie… prospettive future” gli spiegò Max, ridendo sommessamente.

Andrew mangiò subito la foglia e, bloccandolo a un braccio, esalò: “Vuoi sposare miss Sophie, vero?”

“Lizzie ti ha detto qualcosa?” borbottò a quel punto Max, pur non prendendosela troppo. In fondo, gli faceva piacere che la sorella se ne fosse accorta e ne avesse parlato con Andrew.

“Diciamo che ne ho parlato anche con lei e, a parte dirti che mi fa piacere che l’idiosincrasia per il matrimonio ti sia passata…” e nel dirlo, si guadagnò un’occhiataccia. “…vorrei però metterti al corrente di una cosa che ha notato Violet.”

“Lettie? Che ha mai visto di così preoccupante?” esalò sorpreso Max, bloccando i suoi passi.

Andrew si passò una mano sulla nuca, non sapendo bene da dove iniziare, prima di ammettere: “Vedi, secondo lei, dovresti dire a miss Sophie di aprirsi con sua madre. E dovresti farlo prima di chiederle di sposarti.”

“Spiegati meglio.”

“Lettie ha riconosciuto i sintomi, per così dire. Miss Sophie tende a essere fin troppo protettiva nei confronti della madre, e così pure Mr Withmore con sua moglie e lei, per non farli preoccupare, accondiscende a questa sorta di silenzio assenso in ogni suo atteggiamento.”

Aggrottando leggermente la fronte Max gli domandò: “E com’è arrivata a questa deduzione?”

“Mentre voi eravate via, Lettie ha passato molto tempo con Mrs Adelaide e, a parte i primissimi giorni, in seguito ha dimostrato di essere ben più che in grado di contenere gli attacchi di panico, e di essere altresì una donna molto protettiva e comprensiva” asserì Andrew, sorprendendolo un poco.

Andrew proseguì dicendo: “Da quel poco che Lettie ha compreso, Adelaide ha avuto una crisi quando Cynthia è stata abbandonata all’altare e, da quel momento, Sophie e Mr Withmore hanno fatto di tutto per proteggerla da ulteriori dolori… ma non ve n’era bisogno.”

“E questo cosa c’entra, con la mia proposta di matrimonio?”

“Iniziare una nuova esistenza senza aver chiuso i conti con quella precedente, non è mai un buon modo per vivere felici” gli fece notare Andrew.

“Potrebbe dirglielo Violet stessa, o Lizzie. Non credo voglia sentirsi dire certe cose da me” sottolineò Max, cocciuto.

Andrew sorrise appena, replicando: “Max, sono cose che deve fare un marito, invece. Se vuoi davvero che lei diventi tua moglie, devi anche pensare che, certi discorsi, potrà farli solo con te, perché sarai tu l’altra metà del suo cielo.”

Arrossendo un poco, Maximilian mugugnò: “E devo proprio cominciare da un problema così delicato?”

“I migliori non si scelgono il campo di battaglia. Accettano quello che gli destina il Fato” ironizzò Andrew.

“Spiritoso…” sbuffò Max. “… andiamo a recuperare Samuel, prima che faccia le ragnatele, piuttosto.”

“Ci penserai, comunque? Lettie ci tiene molto.”

Sospirando esasperato, Max esalò: “Sai che farei di tutto per tua moglie, perciò sì, lo farò. Ma non tediarmi oltre, adesso.”

“D’accordo” annuì soddisfatto Andrew.

Allungando il passo, quindi, i due giovani si addentrarono nel giardino, dove le lunghe ombre della sera avevano tinto di scuro l’erba e i cespugli odorosi.

In lontananza, l’abbaiare di un cane attirò la loro attenzione, spingendoli a seguire quel suono ma, in prossimità di un bivio, si bloccarono, nascondendosi dietro un pioppo secolare.

Ben visibili lungo la passeggiata, e impegnati in quella che pareva un’allegra conversazione, Samuel e Sarah Phillips, l’ultimogenita dei duchi Thornton, stavano chiacchierando mentre camminavano in compagnia di un piccolo cocker.

“Dici che dovremmo…?” mormorò dubbioso Max, lanciando un’occhiata al fratello.

“Tecnicamente, non stanno facendo nulla di male, e Sarah non è stata ancora presentata in società, avendo ella solo quindici anni, per cui…” tentennò Andrew, memore di ciò che era successo a lui, quando Randolf l’aveva sorpreso a baciare Violet.

Certo, quella volta aveva avuto molto peso la stanchezza di tutti, la meraviglia per quella novità e il gesto in sé.

Se avessero avuto modo di parlare senza tutte quelle variabili, molto probabilmente si sarebbe risparmiato un pugno in faccia, ma tant’era.

Samuel era un amico di famiglia, perciò conosceva bene i figli dei Phillips, e Sarah era naturalmente portata per chiacchierare con tutti, avendo un carattere solare e aperto.

Il fatto che lei tentasse di tirare su di morale il loro comune amico non era cosa strana, ma non era necessariamente detto che fosse quello l’unico motivo.

“Magari dovremmo dirlo a Myriam… sono più cose da donna, no?” tergiversò Maximilian, terrorizzato alla sola idea di parlare con Sarah di certi argomenti.

“Oh, senza alcun dubbio!” assentì vigorosamente Andrew. “Per ora, comunque, non mi pare ci siano pericoli all’orizzonte, e Samuel è davvero troppo provato sentimentalmente per cercare un nuovo flirt, ti pare?”

“No, certo. Infatti, il mio timore viene da Sarah, non da Samuel, anche se è pazzesco il solo pensarlo” gracchiò Max, notando suo malgrado la mano della ragazzina carezzare il braccio dell’amico. “D’accordo, è il momento di fermare qualsiasi cosa sia quello che stiamo guardando.”

“Non è niente, non temere. Solo due amici che chiacchierano” borbottò Andrew, non credendoci del tutto neppure lui.

Erano finiti dalla padella nella brace, con Samuel? Max sperò davvero di no.

E lui, sapeva veramente quello che stava facendo, o stava facendosi prendere dalla smania? Sperò davvero di no.







Note: il capitolo è un po' lungo, ma mi sembrava uno spregio spezzarlo in due, visto che vi avrei lasciato con il dubbio (anche se non ho sciolto tutti i nodi).
Cosa farà Sophie? E Ferdinand? Accetterà la proposta di Max?


 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 
 
13.
 
 
 
 
 
D’accordo, Lizzie e Violet gli avevano detto di controllare che tutto andasse bene, tra Sophie e sua madre, prima di fare qualsiasi cosa, …ma doveva veramente impicciarsi fino a quel punto?

Sì, forse avevano ragione nel dire che, cose del genere, sarebbero state all’ordine del giorno, se loro si fossero sposati, ma doveva cominciare prima ancora di aver detto sì?

Ammesso e non concesso che Sophie accettasse, ovviamente.

Tutte le sue elucubrazioni non sarebbero valse a nulla, se lei avesse detto no per un qualsiasi motivo.

Certo, forse lui avrebbe potuto comunque dirle di rendere sua madre maggiormente partecipe della sua vita, ma con che diritto, poi? E con che spirito, soprattutto?

Era più che sicuro che, di fronte a un suo diniego, avrebbe puntato i piedi, in barba all’essere gentiluomo come sperava invece suo padre.

Quando infine si trovò di fronte alla villa dei Withmore, Max scese da cavallo, prese un gran respiro e legò Spartan alla ringhiera in ferro brunito che circondava la proprietà.

Ciò fatto, salì i pochi gradini per raggiungere il portone intagliato e lì bussò con il battacchio in ottone, attendendo impaziente che venissero ad aprirgli.

Non appena vide il fido capo maggiordomo, sorrise appena e disse: “Buongiorno, Mr Perkins. Spero di non disturbare. Mr e Mrs Withmore sono in casa?”

“Oh, buongiorno lord Spencer. Siete fortunato, perché sono entrambi qui” assentì l’uomo, accogliendolo all’interno.

Una volta che il battente fu chiuso, parte della baldanza dell’uomo si spense e, con un mesto sorriso, il maggiordomo aggiunse: “Mi scuso se troverete la servitù un po’ abbacchiata. La recente partenza di miss Cynthia ci ha lasciati tutti senza parole.”

Posso immaginarlo, pensò irritato tra sé Max, prima di dire a mezza voce: “Lo immagino, ma non dovete preoccuparvene. E’ indice solo del fatto che le volevate tutti molto bene.”

“Oh, sì, milord… come ne vogliamo a miss Sophie” assentì con vigore l’uomo. “E’ così coraggiosa, la poverina. Se non fosse per lei, non so cosa faremmo.”

“Posso immaginarlo” assentì Maximilian.

“Ma mi sto dilungando per nulla. Prego, venite con me. Sono sicuro che i padroni di casa vi accoglieranno subito con piacere.”

Assentendo, Max lo seguì lungo lo scalone principale, illuminato dalle ampie vetrate d’ingresso che si estendevano anche ai piani superiori.

Dopo aver percorso le scale per un piano, il maggiordomo scartò a destra e Maximilian, nel seguirlo, ammirò con piacere i bei tappeti e i pavimenti in parquet di noce.

Non aveva idea se fosse stato Mr Withmore, o la sua signora, a scegliere l’arredamento, ma chiunque avesse arredato quella villa denotava molto gusto.

La bellezza di quel luogo, però, passò in secondo piano quando il maggiordomo bussò alla porta dello studio di Mr Withmore, e Ferdinand disse loro di entrare.

Max deglutì a fatica e, quando vide anche Adelaide presente nella stanza, cercò di calmarsi e di non andare in iperventilazione.

Era quello che voleva, no? Parlare con entrambi di ciò che provava per Sophie. Non voleva assolutamente escludere Adelaide dall’equazione.

Non appena fu solo, quindi, si inchinò a entrambi ed esordì dicendo: “Sono lieto di vedere che siete entrambi in salute. Temevo che, dopo gli eventi appena trascorsi, Mrs Adelaide avrebbe potuto risentirne, ma sono lieto di vedere che mi sbagliavo grandemente.”

Ciò detto, le sorrise e la donna, arrossendo piacevolmente, mormorò: “Oh, siete troppo buono, Maximilian. Come tutti, del resto, nella vostra famiglia. Non potrò mai ringraziare abbastanza vostra madre e tutti gli abitanti di Green Manor per il vostro cordialissimo aiuto. Whilelmina sta bene, vero? Potete dirmi se i suoi problemi di cuore si sono stabilizzati?”

Max accennò un movimento con il capo per ringraziarla dell’ovazione, e dichiarò: “Mia nonna sta molto meglio, e riavere a casa Samuel la aiuta molto. Si vogliono molto bene, e lei lo considera come una sorta di figlio putativo, ma sono sicura che le farebbe piacere riavervi come ospite, anche solo per un tè.”

Adelaide annuì compiaciuta e gli confermò che sarebbe passata in visita.

Ferdinand, con un sorriso, aggiunse: “Non possiamo che essere lieti della notizia. La contessa madre, come tutta la vostra famiglia, del resto, è stata di estremo aiuto per tutti noi. E a voi vanno i miei ringraziamenti per aver protetto Sophie da ogni male.”

“Dovere, Mr Withmore. E, a proposito di Sophie, sono venuto qui per chiedervi formalmente una cosa… anche se so che potrebbe apparirvi un po’ strana, o affrettata” replicò Maximilian, stringendo un poco i guanti nella mano… sudata.

Il padrone di casa si accigliò appena, ma lo lasciò proseguire e Max, schiarendosi la voce, asserì roco: “Desidero prendere in moglie vostra figlia, se me lo consentirete. Da quando ho avuto il piacere di conoscerla – e ho potuto apprezzare anche il suo coraggio e la sua determinazione – mi sono trovato a riconsiderare molte delle mie priorità.”

Con un sorrisino imbarazzato, aggiunse: “Potete chiedere a chiunque mi conosca. Non sono mai stato un giovane propenso a sollazzarmi con il gentil sesso, né ho mai avuto fretta di maritarmi… tutt’altro. Ma, conoscendo vostra figlia, ho capito di essere pronto, e di volere lei al mio fianco.”

Non fu del tutto sicuro che il silenzio dei coniugi Withmore fosse una cosa positiva ma, già il fatto che Ferdinand non lo avesse scacciato a male parole, fu per lui un successo.

Quando finalmente il padrone di casa riuscì a trovare fiato sufficiente nei polmoni per parlare, mormorò dubbioso: “Se state facendo questo per proteggere mia figlia da un qualsiasi potenziale scandalo, io…”

Avvampando violentemente, Max esalò: “Oh…oh, no! Affatto! Non è per questo! O meglio, se fosse necessario perché siete convinto che miss Sophie possa ritenersi rovinata, la sposerei anche per questo… ma non è il motivo che mi spinge a chiederla in moglie.”

Un quieto bussare alla porta prevenne qualsiasi replica di Ferdinand e, quando fece capolino Sophie, tutti si volsero per guardarla con espressioni parimenti sorprese.

Entrando nello studio con passo incerto, Sophie mormorò: “Perkins mi ha appena detto che lord Spencer era giunto qui per parlarvi, e così… beh, ci sono per caso notizie di Cynthia?”

“Giusto te, ragazza. Vieni qui e accomodati, per favore” disse subito Ferdinand muovendo febbrilmente una mano verso la figlia.

Sempre più confusa, Sophie lanciò un’occhiata curiosa al volto ancora paonazzo di Max e un lento, feroce dubbio le si insinuò nel petto, facendola impallidire.

Per quale motivo si trovava lì?

Fu Adelaide a sciogliere il rompicapo e, con un gran sorriso e un agitarsi di ventaglio, asserì: “Tesoro, questo bravo giovane è venuto qui per chiederti in moglie, e …”

La notizia la lasciò così esterrefatta che non poté esimersi dall’esclamare un “che cosa?!” con tono piuttosto irritato, cosa che azzittì subito la madre e fece irrigidire il padre.

Imponendosi un certo contegno, Sophie si rialzò lentamente per affrontare un sorpreso – e sì, vagamente deluso – Maximilian e, dura, dichiarò: “Vi siete permesso di venire qui a illudere mia madre, dopo che ha appena subito uno scorno quasi insopportabile. Siete così insensibile da non rendervene neppure conto?”

“Figliola, modera i toni, per favore. Sei pur sempre alla presenza di un lord” la mise in guardia Ferdinand, più che mai confuso dal suo comportamento.

“Certo, padre, scusatemi. Ma l’accusa non cambia. E’ ovvio che lord Spencer lo stia facendo solo perché si ritiene nell’obbligo di salvarmi da un futuro ben poco roseo, ma io non accetterò mai la carità di chicchessia, né permetterò che mia madre venga messa nella condizione di soffrire ancora a causa di un cosiddetto gentiluomo. Vi ringrazio grandemente, davvero, ma sono costretta a negarmi.”

Sophie morì dentro a ogni parola ma mai, mai nella vita, avrebbe accettato di essere un ripiego… un ripiego nato dalle nobili intenzioni di un giovane dall’animo puro come Maximilian.

Si era ripromessa di pagare di tasca propria, per le sue azioni, e a questo si sarebbe attenuta, anche a costo di rinunciare all’unico uomo che riteneva degno di essere sposato.

Maximilian si accigliò, si erse in tutta la sua altezza e, con un inchino degno di tale nome, si limitò a dire: “Rispettosamente mi ritiro, miss Sophie… ma vi prego di porgere subito delle scuse alla vostra augusta madre, perché non merita la vostra inutile compassione né le vostre discutibili difese.”

Come, prego?” ansimò esterrefatta Sophie.

“La trattate come un fragile oggetto di porcellana, quando è una donna forte e molto dolce, oltre che una madre desiderosa di essere tale. Datele il rispetto che merita, se volete che io rispetti voi e la vostra bizzarra – quanto irrealistica – motivazione nel rifiutarmi” le ritorse contro lui, terminando con un sorriso spavaldo.

“State esagerando… milord” sibilò la giovane, stringendo le mani dinanzi a sé per non prenderlo a ceffoni.

Come si permetteva di dirle come trattare sua madre?!

Lui ignorò bellamente il suo cipiglio e si volse in direzione di Adelaide, sorridendole gentilmente.

“Mi scuso se vi ho turbata e vi porgo i miei saluti, Mrs Withmore. Ci rivedremo domani.”

“Domani?” ripeterono i tre Withmore, ora più che mai sorpresi.

Lui assentì, si diresse verso la porta e rivolto a Ferdinand, disse: “Domani vi porrò la stessa richiesta, e dopodomani ancora, finché vostra figlia non capirà che non sto scherzando… e che non vengo qui per un mio presunto senso di colpa nei suoi confronti. Con permesso…”

Ciò detto, aprì la porta e uscì senza dire altro sapendo bene che, se avesse anche solo lanciato un’occhiata a Sophie, l’avrebbe ingiuriata a male parole.

Davvero lo stava paragonando all’essere ignobile che aveva lasciato Cynthia sull’altare? Era impazzita di colpo?

Scendendo a grandi passi dalle scale, incrociò Perkins sul percorso e, nel battergli una mano sul braccio, disse soltanto: “Ci vediamo domani.”

“Ah… sì, signore. Buona giornata.”

“A voi, Perkins” gli sorrise lui, avviandosi poi di gran carriera verso il portone d’ingresso.

Lì, uscì senza attendere la servitù e, una volta all’esterno, lanciò un’occhiata a Spartan, dichiarando: “Ha inizio la guerra, mio valente spartano. Pronto?”

Il cavallo nitrì orgoglioso e Max, con un agile movimento, balzò in sella e si avviò per tornare a Green Manor, pensando a come meglio approcciare Sophie il giorno seguente.

Al diavolo il ‘gentiluomo’ e i suoi rifiuti. L’avrebbe fatta capitolare, fosse anche l’ultima cosa che faceva in vita!
 
***

Camminando in lungo e in largo per lo studio del padre, mentre i genitori la fissavano parimenti confusi, Sophie sbottò in un poco elegante ‘maledizione!’, prima di guardare spiacente la madre e borbottare: “Mi scuso immensamente per la mia gergalità. Non succederà una seconda volta.”

Adelaide scosse appena il capo e replicò: “Cara, ma perché hai detto di no a lord Maximilian? Mi sembra chiaro che il giovane tiene molto a te, e non è spinto da secondi fini.”

Trattenendosi dall’esplodere in una seconda imprecazione, o in un pianto dirotto – doveva ancora decidere quale gesto la rispecchiasse in quel momento – Sophie si limitò a dire pacata: “E’ evidente che lord Spencer deve essere salvato da se stesso e dal suo senso di cavalleria. E’ chiaro che è stato ben educato, altrimenti non si vorrebbe prendere un simile peso, ma io non glielo permetterò. Ho scelto con la mia coscienza di cacciarmi in questo guaio, e non farò pesare sulla famiglia Spencer questa decisione.”

Ciò detto, si volse per uscire dallo studio e rifugiarsi nella sua stanza per liberarsi dal peso che sentiva sul cuore, ma il padre non glielo consentì.

Bloccandola con una parola, Ferdinand le domandò: “E’ solo questo che pensi di lord Maximilian? Che sia un giovane ben educato ma che, in sostanza, non ti voglia veramente accanto a sé?”

Senza avere la forza – e il coraggio – di volgere lo sguardo, Sophie assentì col capo e uscì un attimo dopo.

Se avesse anche solo tentato di parlare, avrebbe ammesso ogni cosa, avrebbe sobbarcato i genitori del suo desiderio assurdo e si sarebbe resa ridicola.

Lei non era adatta a diventare la moglie di un gentiluomo come Maximilian Spencer!

Nessuna donna degna di lui si sarebbe comportata in modo così dissennato, né lo avrebbe attirato in un potenziale disastro come aveva fatto lei.

No, doveva salvarlo da sé stesso, se lui non ne era in grado.
 
***

Suo padre era rimasto sconcertato dall’esito della sua missione, e così pure la madre ma, più ancora, erano rimasti basiti di fronte al suo piano di conquista.

Non solo non avrebbe ceduto di un passo, ma l’avrebbe bellamente ignorata, concentrando tutti i suoi sforzi sulla madre e il padre di Sophie, per chiarire con loro quanto fossero serie le sue intenzioni.

Le recriminazioni di Sophie non lo avevano minimamente convinto, e neppure il suo apparente contegno.

No, sapeva che il fuoco divampava ancora dentro di lei.

Doveva solo farlo risalire a galla e sentire veramente cosa tratteneva nel cuore, non solo quella risposta di comodo che sapeva di falsità.

Ligio al suo piano, quindi, si presentò presso casa Withmore il giorno seguente, come promesso.

Quando Perkins venne ad aprire, lo salutò con un gran sorriso prima di essere accompagnato nella piccola serra di Mrs Adelaide.

Lì, la donna lo accolse con un sorriso un po’ sorpreso e, nello scusarsi per la sua tenuta da giardinaggio, lo pregò di accomodarsi al tavolino che tenevano nella serra.

Max la pregò di non preoccuparsi e, preso il cesto dalle mani di Adelaide, la aiutò a raccogliere alcune rose in boccio, mormorando: “Anche mia madre scende spesso in giardino per raccogliere di persona le rose. Quando ero più piccolo, la aiutavo sempre io.”

“Lady Kathleen è una donna molto speciale…” assentì Adelaide, afferrando con delicatezza il ramo di una rosa tea. “… e così tutti i componenti della vostra famiglia. Ferdinand ha avuto un passato assai burrascoso con la nobiltà, e non si può certo dire che il figlio di lord Sendringham ci abbia aiutati a cambiare idea sul genere.”

“L’uomo che abbandonò Cynthia?” ipotizzò Max, vedendola annuire.

“Voi, però, ci avete dimostrato che non tutti i nobili sono così, e per Ferdinand è stato importante constatare che stava lavorando per un uomo buono, oltre che per un nobiluomo abile negli affari” sorrise Adelaide, poggiando la rosa nel cesto tenuto tra le mani da Maximilian.

“E voi, Adelaide? Voi cosa pensate?”

La donna arrossì appena, e mormorò: “E’ bello ciò che state tentando di fare, dico davvero, ma non desidero che mia figlia si senta costretta a parlarmi, se non vuole.”

“Dovrebbe darvi più credito” sottolineò Max.

“Forse… e forse no. Non sono esente da difetti, Maximilian, davvero.”

“Chi non lo è?” ironizzò lui. “Io sono sempre stato un coniglio, di fronte alle donne. Rifuggivo le loro attenzioni perché non volevo perdere la mia libertà. Lizzie si è sempre cacciata in guai più grandi di lei, e Andrew era talmente riflessivo da rasentare la paranoia pura, quando ci si metteva d’impegno.”

Adelaide sorrise di fronte a quella descrizione dei tre giovani Spencer, e mormorò: “E come mai ora non vi sentite più… un coniglio?”

Max arrossì un poco, ammettendo: “Apprezzo molto il carattere volitivo di vostra figlia. Vedo un fuoco dentro di lei che arde nascosto, protetto per qualche motivo a me sconosciuto, e mai visibile al resto del mondo. E’ un peccato, perché io trovo quel fuoco assai bello.”

Adelaide sospirò, asserendo: “Temo che il fuoco di cui parlate voi, sia stata io stessa a tacitarlo con la mia viltà.”

“Cosa intendete dire?”

“Sophie si presentò a casa dei Sendringham, quando il figlio del barone rifiutò di sposare Cynthia, per replicare al suo comportamento irriguardoso. Lo fece con una passionalità tale che, lo ammetto, mi stupì di più il fatto che la famiglia non chiamò i gendarmi per scacciarla, piuttosto che vederla tornare con la carrozza dei Sendringham.”

Vagamente sorpreso, Max attese che ella proseguisse, e Adelaide non lo deluse.

“Mi disse con dovizia di particolari tutto ciò che urlò contro ai baroni, si sperticò in insulti che qui non ripeterò e, quando accennò alla carrozza, lo fece in spregio di quel gesto riparatore, concessole dai genitori del figlio indolente” mormorò Adelaide, passandosi una mano sulla fronte umida.

“I baroni Sendringham non erano d’accordo con il comportamento del figlio?” domandò curioso Maximilian.

“Da quel che scoprii in seguito, furono del tutto contrari. Si dichiararono assai delusi dal figlio, ma non poterono nulla, perché egli aveva già ingravidato la giovane nobildonna, e così dovettero cedere all’inganno” asserì Adelaide. “Sophie, però, non credette mai a questa parte della storia, e continuò con l’ingiuriare quella famiglia finché non partimmo. A quel punto, le ordinai di smettere di comportarsi in quel modo, perché la sua cecità mi faceva soffrire.”

“Comprensibile” asserì cauto Max.

“Non so davvero, ma Sophie interpretò il mio appello con fin troppo rigore e, da quel giorno, non espresse più il suo disappunto come aveva fatto dinanzi ai Sendringham. Si barricò dietro la maschera che ancora oggi indossa, pur di proteggermi da quello che, temo, lei crede essere un carattere indisponente, e che mi crea dolore.”

Sospirando, terminò di dire: “Io non ho cuore di farle togliere quella maschera, perché è a causa mia se l’ha indossata” ammise Adelaide, sospirando afflitta.

Dei passi concitati interruppero il loro colloquio e Max, nel sollevare lo sguardo da Adelaide, si ritrovò a sorridere automaticamente, alla vista di Sophie.

Oh, sì, era splendida, anche quando era infuriata con lui per quella che, evidentemente, considerava un’autentica invasione dei propri spazi.

Ecco il fuoco che voleva veder riemergere!

E Sophie si ostinava a tenerlo imbrigliato con tutta se stessa!

Beh, almeno ora sapeva perché, pur se non aveva ancora compreso come farle sciogliere quella maschera di cera che teneva dinanzi al viso.

Rallentando il passo non appena li vide, Sophie strinse le mani tra loro per non mostrare il loro tremore, lanciò un’occhiata preoccupata alla madre e, infine, una neutra al giovane ospite.

Che, ovviamente, appariva bello come sempre, oltre che un tantino soddisfatto di se stesso!

Era lieto di vederle perdere la pazienza?

Con una riverenza da manuale, Sophie esordì dicendo: “Lord Spencer… vedo che avete mantenuto la promessa e siete passato a trovare mia madre. Siete stato molto… cortese.”

“Le cortesie sono il mio pane quotidiano, se non ricordo male le vostre accuse. Come state, Sophie?” replicò lui, mantenendo neutro il suo tono di voce.

“Bene, naturalmente” asserì lei, irrigidendosi impercettibilmente.

Max, allora, sospirò, scosse il capo e, nel fare un baciamano impeccabile ad Adelaide, chiosò: “Vedo che non è ancora giunto il tempo per ritirarmi in buon ordine. Ci rivedremo domani, Mrs Adelaide, e andremo a fare una passeggiata in calesse, va bene?”

“Oh, vi ringrazio molto, Maximilian” esalò sorpresa la donna, mentre Sophie tentava in ogni modo di non esplodere.

“Sarò qui per le tre del pomeriggio, allora” le promise lui, allontanandosi con un inchino per poi approcciarsi a Sophie.

Passandole accanto, mormorò: “Avete parlato con vostra madre?”

“Non so di cosa dovrei parlarle… e comunque, non sono affari vostri” lo redarguì Sophie, lanciandogli un’occhiata venefica.

Contrariamente a quanto aveva sperato, Sophie lo vide sorridere in risposta e celiare in un sussurro: “Siete lì, da qualche parte, e io vi stanerò, Sophie.”

Ciò detto, se ne andò con passo elegante così come era venuto e Sophie, nel seguirlo con lo sguardo, si trattenne dal rincorrerlo per schiaffeggiarlo. O abbracciarlo.

Ancora una volta, le sensazioni provate per il giovane Spencer erano assai diverse e contrastanti… ma in ogni caso travolgenti.

Le servì tutto il suo autocontrollo per non esplodere in un’insolenza verbale degna di tale nome e, quando si volse infine per controllare che la madre stesse bene, notò solo il suo sguardo amorevole e contrito.

“Vi sentite bene, madre? Vi ha turbato in qualche modo?”

“No, cara, non ti preoccupare. Lord Spencer è stato solo estremamente educato e cortese con me, nient’altro. Ma tu, Sophie, non vorresti che dedicasse a te simili attenzioni?”

Preso un gran respiro, Sophie si volse per andarsene e, in un mormorio, asserì: “Non sono la donna adatta a lui. Tutto qui.”

Adelaide sgranò gli occhi, a quelle parole e fece per ribattere ma, prima ancora di poter dire qualcosa, Sophie si chiuse la porta della serra alle spalle e la madre si ritrovò a fissare il battente di vetro senza sapere cosa fare.
 
 
***

Come l’ultima volta in cui vi era stato, Maximilian trovò il lanificio gestito da Mr Withmore in perfetto ordine, oltre che del tutto privo di manovalanza minorile.

Ferdinand Withmore si era sempre rifiutato di assumere bambini nel suo lanificio, preferendo vederli lavorare – se proprio dovevano – nella sua fattoria poco fuori York.

Lì, i bambini si occupavano di capre e pecore, del loro sostentamento così come della loro buona salute. Un lavoro decisamente più nelle loro corde, e assai più sicuro.

Non appena il capomastro lo indirizzò sul fondo del capannone dello stabilimento principale, Max intravvide l’uomo accanto a un macchinario bloccato.

Era evidente che qualcosa non andava, vista la presenza di diversi tecnici all’opera e, da quel che poteva immaginare, Mr Withmore voleva assicurarsi che il tutto si svolgesse per il meglio.

La macchina doveva riprendere a funzionare correttamente e, per esserne sicuro, doveva essere presente in ogni passaggio della riparazione.

Max assentì silenziosamente di fronte a quel comportamento. Denotava enorme rispetto verso i propri lavoratori, oltre che uno scrupolo davvero raro.

Erano tutte qualità che Maximilian apprezzava molto.

Sapeva benissimo quanto, nel Regno, realtà di questo genere fossero rare, e suo padre si batteva da anni in Parlamento perché le cose potessero cambiare.

Alcune battaglie erano state vinte, altre purtroppo rimanevano da combattere – la maggioranza – ma Maximilian sperava davvero che, con gli anni, molte altre barriere sarebbero state abbattute.

Anche con il suo contributo, auspicò.

Perso in quelle mille elucubrazioni, Max non si accorse dello sguardo curioso di Ferdinand Withmore se non quando se lo ritrovò accanto.

Sobbalzando leggermente, il giovane si inchinò e disse: “Scusatemi, Mr Withmore, non volevo disturbarvi sul lavoro.”

“Nessun problema, Maximilian. Quei ragazzi se la sanno cavare anche senza di me che gli alito sul collo come un drago affamato” ironizzò l’uomo, facendolo sorridere. “Avevate bisogno di me?”

“Per la verità, volevo solo avvisarvi che, domani, avrei intenzione di portare vostra moglie in giro per la campagna in calesse” lo mise al corrente Maximilian, sorprendendolo.

“Mia moglie? E anche Sophie, per caso?”

“Non credo che, al momento, voglia vedermi… se non per tagliarmi la gola, temo” rise Maximilian, vedendolo l’uomo sgranare gli occhi per la sorpresa.

“In tutta sincerità, Maximilian, posso chiedervi perché insistete con lei? Non che non mi farebbe piacere vederla maritata con voi, visto che ho ormai compreso quanto onesto e cortese siate. So che non intendete ferirla, o abbandonarla ma…”

“…ma lei non mi vuole… almeno in apparenza” terminò per lui Maximilian, ammiccando.

“Volete dirmi che mia figlia sta ingannando se stessa e tutti noi?” domandò curioso l’uomo, camminando lentamente al suo fianco.

Se non fosse stato per il bastone, difficilmente ci si sarebbe potuti accorgere della disabilità di Mr Withmore.

Maximilian lo ammirava molto anche per questo.

Lui e la sua famiglia avevano sempre vissuto nel lusso e, anche se suo padre aveva pagato a caro prezzo il suo essere figlio di Bartholomew Spencer, non aveva certo vissuto i disagi di Mr Withmore.

Quell’uomo, nato povero e vissuto nell’indigenza, aveva dovuto subire l’amputazione di parte della gamba e, nonostante questo, era riuscito a sopravvivere, a riscattarsi e, infine, a prosperare.

“Non voglio insinuare di conoscere ciò che si cela nel cuore di vostra figlia, ma vorrei che lei comprendesse che ciò che sento per lei è reale. Non è né senso del dovere, né altro” asserì Maximilian, reclinando contrito il capo.

“E mia moglie cosa c’entra in tutto questo vostro piano per… farle aprire gli occhi?”

“Oh, beh, in verità vorrei solo conoscerla meglio” ammise Max, facendo sorridere divertito Ferdinand. “Vivo nella speranza che possa diventare mia suocera, così tento di mettere le mani avanti.”

Mr Withmore scoppiò in una risata divertita e, nel dare una pacca sulla spalla al giovane Spencer, asserì: “Mi piacete, Maximilian, indipendentemente da quello che deciderà di fare mia figlia. Ma non vorrei che mia moglie soffrisse, se il tutto non si risolvesse come voi agognate.”

Max, allora, sorrise dolcemente e asserì: “Se mi permettete di intromettermi, vorrei dirvi di non sottovalutare vostra moglie. E’ una creatura più forte di quanto non pensiate, e sa affrontare anche le vostre paure, credetemi.”

“E voi come potete sostenere questo?” domandò curioso Ferdinand.

“Oh, non lo sostengo io, ma donne molto più intelligenti e acute di me, che hanno visto cose che io ho solo avuto il piacere di confutare” ammise con un risolino Maximilian.

“Perché ho l’impressione che le molte ore passate da mia moglie in compagnia di vostra madre, vostra cognata e le vostre amiche di famiglia, abbiano sortito effetti che io non conosco?” domandò dubbioso l’uomo, grattandosi una guancia.

“Parlate con vostra moglie e, se mi posso permettere, non abbiate paura di farle domande scomode. Noi abbiamo sempre trattato mia cognata Violet con i guanti, perché pensavamo fosse troppo delicata, e ci siamo sempre ingannati. Può sembrare che lo sia, ma non lo è affatto.

Ferdinand rimase in silenzio per diversi secondi, secondi in cui Max temette di essersi spinto troppo oltre ma, quando tornò a scrutare gli occhi di Mr Withmore, seppe di aver centrato il punto.

“Troppa protezione può causare gli stessi danni di una totale mancanza di essa, vero?”

“Temo di sì, signore” assentì Maximilian.

“Ovviamente, essendo parte del problema, difficilmente avrei potuto accorgermene…” sospirò infine Ferdinand, scuotendo il capo. “… ma, vedendoci dall’esterno, le vostre gradevoli signore hanno notato tutto questo.”

“Come vi dicevo, sono molto più intelligenti e scaltre di me, e mi fido del loro giudizio” annuì Max.

“Non si è mai abbastanza vegliardi per non imparare qualcosa, lord Spencer, perciò vi ringrazio per il consiglio” sorrise appena Mr Withmore, allungandogli una mano.

Maximilian gliela strinse e, con un sorriso sghembo, asserì: “Potreste mettere una buona parola per me, con vostra figlia? Sapete, magari potrebbe funzionare.”

Ferdinand allora scoppiò a ridere di gusto e assentì.

A quel punto, lui aveva giocate tutte le sue carte. Doveva solo proseguire nella partita finché anche Sophie non avesse messo le proprie sul piatto.





Note: Per la serie, che la battaglia abbia inizio! Chi vincerà, secondo voi?

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


 
14.
 
 
 
 
 
Le braccia ingombre di libri e il mento poggiato sull’ultimo della pila per reggerli tutti, Lorainne Phillips si bloccò a metà della sua corsa per salutare Maximilian.

Il giovane appariva bellissimo come sempre, anche se vagamente nervoso.

Lorainne ne conosceva i motivi e, se fosse stata un po’ più simile a Violet, avrebbe soprasseduto, ma la sua naturale curiosità la spinse a ficcare il naso.

“Buongiorno, Max. Come stai?”

“Buongiorno a te, Lorainne. Dove te ne vai con tutti quei libri?” le domandò il giovane, curiosando con lo sguardo la sua flessuosa figura.

A sedici anni, Lorainne era già divenuta alta come il padre e, grazie alla sua magrezza, la sua statura risultava più che evidente a tutti.

La ragazza, però, non se ne curava per nulla e, anzi, pareva divertirsi a guardare gli uomini dall’alto al basso.

“Sto salendo da Lettie per una lezione di ingegneria navale…” gli spiegò lei, ammiccando divertita. “… perché, onestamente, voglio capire come faccia del semplice legno a navigare per migliaia di miglia senza gonfiarsi e scoppiare.”

“Vedo che lo studio ti da sempre più soddisfazioni. E’ buona cosa che tu segua questa attitudine, se ti rende così felice” assentì orgoglioso il giovane, dandole una pacca sulla spalla.

Ironica, allora, Lorainne celiò: “Pentito di non avermi sposata a suo tempo?”

Max scoppiò a ridere, di fronte a quel commento, rammentando più che bene le settimane che avevano seguito il rocambolesco fidanzamento di Andrew e Violet.

Sia Lorainne che Sarah lo avevano inseguito per casa Chadwick cercando di dispensargli baci non voluti, il tutto per prenderlo platealmente in giro.

Se, fino a qualche tempo fa, avrebbe visto quasi con favore lo sposare Lorainne o Sarah, pur di evitare certe nobildonne a caccia di marito, ora non la pensava più così.

Adesso che conosceva le pene d’amore, e sapeva cosa desiderava il suo cuore, sapeva anche di non potersi accontentare della semplice amicizia.

Tornando serio, perciò, Max le disse: “Saresti una donna meravigliosa, come sposa e compagna di vita, e non lo dico per scherzare. Chi pensa che l’intelligenza di una donna sia un ostacolo, è solo un idiota.”

Lorainne assentì, tornando seria a sua volta.

“E’ ciò che penso anch’io, perciò degnerò di uno sguardo solo colui che apprezzerà queste mie doti” sottolineò la giovane.

“E fai bene… nel mio piccolo, cercherò di portare a più miti consigli colei che amo, tentando di farle capire una volta per tutte che la voglio per ciò che è, e non per qualche stupido codice d’onore.”

“Allora, ti faccio tutti i miei migliori auguri, Maximilian” gli sorrise lei, dandogli un affettuoso bacetto sulla guancia prima di riprendere la sua corsa lungo le scale.

Max la osservò salire di fretta e, in cuor suo, sperò che Lorainne potesse davvero trovare un uomo così intelligente da apprezzarla.
 
***

Reggendo le redini del calessino con una mano mentre, con l’altra, tamburellava le dita su una coscia, Maximilian domandò con ironia: “In questo momento, quanto mi sta odiando, vostra figlia?”

Ridendo sommessamente, Adelaide si sistemò distrattamente la cuffietta di pizzo bianco prima di dire: “Oh, beh, credo che, se fosse un giovane baldanzoso, vi avrebbe già sfidato a duello.”

Soddisfatto, Max asserì: “Confido che, prima o poi, esploderà come un vulcano, lasciando finalmente andare ciò che ha nel cuore. E’ l’unico modo per conoscere veramente ciò che vuole per sé, e ciò che pensa di me.”

“State giocando una partita pericolosa. Non temete possa arrivare a dirvi cose che, magari, non pensa?”

“E’ un rischio che voglio correre, per vederla ancora come l’ho vista quel giorno, nella stalla, quando venne a cercarmi per chiedere il mio aiuto. Decisa, pronta a tutto, determinata a portare a termine ciò che voleva” le sorrise Max, con ancora nella mente quella scena. “Ora, è solo controllata, spenta… vuota.”

“Temo di sì… anche se sta raggiungendo in fretta la saturazione” convenne Adelaide. “Vi devo ringraziare, comunque.”

“Oh, e di cosa?” si interessò Max.

Adelaide arrossì leggermente e disse: “Per mio marito. Abbiamo parlato molto, ieri sera. Non lo facevamo da tempo e… mi ha detto di ciò di cui avete parlato, e di ciò che prova lui ora. E’ stato bello.”

Sorridendo lieto, Maximilian mormorò: “Tenere tutto dentro non fa bene, così come lo smussare troppi angoli. Si finisce per essere chi non si è realmente, anche se all’esterno si può apparire più… piacevoli. Ognuno deve avere i propri angoli, e la gente ci deve anche sbattere contro, se serve.”

“Mi trovate d’accordo, e io tenterò di essere meno accomodante e più decisa, visto che il risultato del mio silenzio è stato l’allontanamento di coloro che più amo. A volte, fa bene un bel pianto, così come una bella e sonora discussione” assentì Adelaide.

Maximilian ridacchiò, asserendo: “Domandate a mio cognato Alexander, quante volte discute con mia sorella Lizzie. Potrebbe sorprendervi. Eppure, ci sono ben poche coppie che io reputo più innamorate di loro. Forse, solo i miei genitori.”

Adelaide sorrise calorosa, a quelle parole, ammettendo: “I vostri genitori sono davvero una coppia affiatata, come se ne vedono poche, e sono delle persone squisite. Ma siete assolutamente certo che loro non avrebbero problemi, se Sophie accettasse la vostra richiesta? Non mi offenderei di certo, se mi diceste di no, davvero.”

Maximilian esitò un attimo, prima di rispondere. Voleva ponderare bene le parole, prima di esporle.

Quando infine parlò, usò il cuore, perché voleva essere certo che quel problema non sorgesse una seconda volta.

“Non posso negare che fu un dubbio che sorse anche me, Mrs Adelaide, per cui lo posi subito a mio padre, prima di venire da voi con la mia proposta. Perciò, vi ripeterò testualmente ciò che lui disse a me.”

La donna assentì, e lui ripeté le esatte parole del padre, cercando di trasmetterne anche il tono, la profondità, la sincerità.

Quando ebbe terminato, il giovane lanciò un’occhiata dubbia alla donna ma, nei suoi occhi chiari, lesse soltanto ammirazione, oltre a un pizzico di commozione.

Adelaide non chiese altro.
 
***

Erano fuori da ore!

Ma che diamine stava combinando, Maximilian?

Se solo avesse potuto, lo avrebbe preso a schiaffi, per l’insolenza che stava dimostrando!

Stava deliberatamente mettendo a rischio la salute mentale della madre, facendola illudere che la figlia avrebbe potuto in qualche modo diventare una lady, e lei era stanca di permetterglielo!

Non appena fossero tornati a casa, si sarebbe fatta sentire e, per il giorno seguente, lord Spencer avrebbe dovuto trovarsi un’altra attività, oltre a quella di disturbarli con le sue pretese assurde.

Era mai possibile che non capisse che lo stava proteggendo da se stesso, negandosi come stava facendo?

Possibile che non si rendesse davvero conto di cosa avrebbe affrontato, se avesse portato nei salotti bene di Londra una come lei?

Torcendosi le mani, Sophie si sentì rimescolare il sangue al solo pensarlo, ma doveva innanzitutto badare alle apparenze.

Per salvare il buon nome di quello sciocco e vanesio giovane dal cuore troppo generoso, doveva passare sopra al suo amore per lui.

Sospirando, Sophie tornò a guardare fuori dalla finestra per non perdersi il rientro della madre, ben decisa ad affrontare una volta per tutte Maximilian.

Non gli avrebbe permesso di andare oltre, con quella farsa.

Per il suo bene, per quello di sua madre e, Dio non volesse, perché lei non poteva permettersi di credere che, forse, lui la voleva davvero.

Non appena intravide il calesse rientrare, perciò, si catapultò fuori dalle sue stanze ma, nel corridoio, venne bloccata dal padre che, appena uscito dal suo studio, le domandò: “Dove corri, così agitata? Intendi brandire una spada contro quel povero giovane?”

Bloccandosi sui suoi passi, Sophie mormorò compita: “Padre… non vi sapevo a casa. Comunque no, non brandirei mai una spada contro lord Spencer, visto che non ne posseggo una.”

Ferdinand sorrise a mezzo, di fronte al contegno a stento trattenuto della figlia e, in quegli occhi di colomba, scorse quel fuoco che tanto Maximilian gli aveva decantato.

Oh, sì, la sua figliola stava davvero trattenendo una rabbia indicibile, dietro quei modi perfetti, ed era ormai pronta a esplodere ma, di certo, non le avrebbe permesso di farlo dinanzi a lord Spencer.

Era così sovraeccitata e nervosa che, quasi sicuramente, avrebbe detto – e fatto – cose di cui si sarebbe pentita per tutta la vita.

Se c’era una cosa che conosceva bene di Sophie, era che il suo orgoglio era così forte che, mai nella sua esistenza, sarebbe tornata sui suoi passi, pur sbagliati che fossero.

Era perciò necessario, vitale, che le impedisse di commettere un errore fatale.

Si interpose così tra lei e le scale, dicendo: “Vorrei parlare un po’ con te, figliola. Visto che ho delegato un po’ di impegni al mio socio, perché non entri nel mio studio e discorriamo un poco?”

Sophie fece per ribattere, ma si rimangiò ancora la parola e assentì con gesto rassegnato del capo corvino.

Ferdinand le fece cenno di entrare, e così Sophie vide sfumata l’ennesima occasione per allontanare da sé Maximilian.

Mentre, all’esterno, il rumore degli zoccoli del cavallo le dissero che il giovane Spencer stava avviandosi verso casa, Ferdinand si accomodò alla sua scrivania, si massaggiò la gamba dolente e le domandò: “Sophie, posso chiederti come stai, in questi giorni?”

“Oh… bene, padre” mormorò atona, irrigidendosi un po’ sulla poltrona.

In realtà, non passava notte senza che ella inveisse contro la sorella, piangesse per il suo desiderio di dire di sì a Maximilian, e cercasse di trattenere tutti quei sentimenti repressi per non farli pesare sui genitori.

“Sai, ieri ho fatto una chiacchierata con il tuo lord Maximilian…”

“Non è mio” sottolineò acida Sophie, ma il padre non la ascoltò minimamente.

“… e devo dire che ha le idee molto chiare su ciò che vuole, oltre a essere molto umile e gentile.”

Sophie assentì cauta, mormorando: “Lord Spencer è indubbiamente un gentiluomo, di nome e di fatto.”

“E viene da una famiglia altrettanto nobile, di nome e di fatto” aggiunse il padre, meditabondo. “Sai, l’altro giorno ho ricevuto una lettera da lord Sendringham. Lord Patrick Sendringham.”

A quel nome, Sophie si irrigidì ancor di più ma, ancora, non disse nulla, non lasciò trapelare il suo furore represso.

“Voleva sapere di te e Cynthia, per informarsi sulla vostra salute” le spiegò ancora Ferdinand, lanciandole un’occhiata curiosa e indagatrice.

“Il barone è stato molto cortese a chiedere. E ditemi, il figlio e la moglie sono in salute?”

“Il figlio è morto tre mesi addietro, assieme alla compagna, durante un viaggio in nave. Sono stati dati per dispersi al largo di Madera, e dubito proprio che possano essere sopravvissuti” le spiegò lui, sorprendendola non poco.

Perdendo parte del suo livore, mormorò: “Oh, mi spiace. Non ne ero al corrente. Immagino che il barone e sua moglie siano devastati dal dolore.”

Intrecciando le dita in grembo, Ferdinand assentì lentamente, prima di dire: “Il barone chiede molto spesso di voi. Da più di tre anni, a dire la verità.”

Del tutto sconcertata, Sophie esalò: “In… in che senso?”

“Il barone non apprezzò il gesto del figlio di abbandonare Cynthia e, fin da quando ci trasferimmo qui, lui mi chiese di tenerlo sempre informato sulla vostra salute. Era preoccupato per voi, a causa del comportamento irriguardoso del figlio” le spiegò il padre, notando lo sgomento e la contrizione comparire sul viso della figlia.

Sophie cercò di parlare, ma dovette lapparsi le labbra più volte – improvvisamente secche – prima di riuscire a balbettare: “E’ stato molto… molto… cortese.”

“Rimase assai colpito dalle tue parole, dal modo in cui difendesti tua sorella” aggiunse Ferdinand, prima di udire bussare alla porta dello studio. “Entra pure, Adelaide.”

Sophie si riscosse un poco e lanciò un’occhiata alla madre che, con un sorriso, entrò nello studio e si sorprese non poco nel notare il pallore della figlia.

“Oh… caro, le hai detto delle lettere?”

“Era tempo che sapesse. E capisse” assentì Ferdinand.

“Voi sapevate, madre?” esalò la giovane.

“L’ho scoperto ieri sera” le sorrise la donna, andando ad accomodarsi al suo fianco, sul divanetto di broccato color amaranto.

Ferdinand e Adelaide, così, parlarono finalmente a cuore aperto alla figlia che, attimo dopo attimo, sentì sgretolarsi dinanzi al viso la sua maschera fatta di segreti, di ribellioni trattenute, di parole non dette.

Senza accorgersene, le sue mani iniziarono a tremare e, prontamente, quelle di Adelaide si strinsero intorno a quelle della figlia per placarne le ansie.

A quel tocco, però, Sophie sgranò gli occhi, fissò la madre e, senza poterle trattenere, due calde lacrime rotolarono sulle sue gote rosse, mentre la voce ridotta a un sussurro gracidava: “Non sapevo… non volevo…”

“Oh, cara…” mormorò Adelaide, stringendola a sé in un dolce abbraccio.

Scoppiando in un pianto dirotto, Sophie gorgogliò senza più freni il suo desiderio di non vederla più soffrire, di rendere orgoglioso il padre, di non causare a nessuno dei due alcun pensiero, come invece aveva fatto Cynthia.

Disse loro della sua paura, di fronte alla richiesta di Maximilian, e del suo terrore che si trattasse solo di buon cuore, ma non di reale amore.

Ammise anche del loro bacio, e di come si fosse sentita quella notte, sul balcone, nell’udire, per bocca di Max, che lei non era sua sorella, pur sentendosi come Cynthia.

Per tutto il tempo, Adelaide la cullò contro la sua spalla, mentre dolci lacrime le baciavano le guance e Ferdinand, in piedi accanto al divano, carezzava il capo della figlia.

Quando, finalmente, lo scoppio di pianto fu terminato, Sophie levò due occhi roventi di lacrime sul padre e mormorò roca: “Cosa devo fare?”

Lui, però, non rispose e, guardando la moglie, domandò: “Adelaide, cosa pensi debba fare?”

Lei gli sorrise e, nel dare un bacio sulla fronte alla figlia, le chiese: “Cosa vorresti, ora?”

“Maximilian” riuscì a dire Sophie, non trovando altre parole per esprimersi.

“Allora, vallo a prendere” la incoraggiò Adelaide, stringendo le mani sulle sue spalle.

Sophie sbatté le palpebre, lanciò diverse occhiate ai genitori per essere certa di aver capito bene ma, quando non vide altro che amore e orgoglio, capì di non avere scusanti.

Se lo voleva, doveva andare a prenderselo. Era compito suo, adesso, non più di Maximilian.

Lei lo aveva rifiutato per paura.

Paura di non essere alla sua altezza, paura di essere solo un ‘dovere da portare a termine’, quando avrebbe dovuto avere più fiducia in se stessa e in Maximilian.

Lui non l’aveva mai trattata da semplice commoner, ma da pari a pari. Era stata lei a mantenere le distanze, e perciò avrebbe dovuto essere compito suo, ridurle.

Ed era ciò che avrebbe fatto.
 
***

Il tramonto era ormai agli sgoccioli, pronto a lasciare il posto a una serata limpida, che prometteva cieli stellati e un esile spicchio di luna a fare da cornice.

Tutto molto interessante, se Maximilian fosse stato dell’umore giusto.

Samuel, seduto sulla poltrona nella stanza dell’amico, lo fissò dubbioso per diversi secondi, prima di domandargli: “Sei sicuro che perseverare a questo modo ti faccia bene? Mi sembri assai provato.”

Max gli sorrise da sopra una spalla, grato per quelle attenzioni.

Da quando erano tornati, Sam si era fatto assai taciturno e pensieroso e, spesso e volentieri, passava il suo tempo accanto al divanetto ove si accomodava nonna Whilelmina.

Samuel le aveva confessato ogni cosa, ritrovandosi così a sottostare al suo dolce rimbrotto, così come alle sue calde attenzioni.

Di questo, Max era felice, perché desiderava riavere indietro il suo vecchio e scanzonato amico.

Poco gli sarebbe importato, se avesse dovuto ricominciare a tenerlo d’occhio assiduamente e senza sosta.

Rivoleva il suo sorriso e la sua spensieratezza.

“Sarah dice che hai la testa tra le nuvole, e pare che ti abbiano preso a bastonate in testa” ironizzò a quel punto Samuel, scrollando le spalle. “Onestamente, comincio a darle un po’ di credito, anche se ho sempre l’impressione che esageri le cose col solo intento di farmi ridere.”

“Sarah è una burlona fatta e finita” dichiarò Maximilian, ripiegando su una sedia il suo panciotto di seta azzurra.

Sì, era distratto, non poteva negarlo, e anche tentare di far finta che i continui rifiuti di Sophie non gli dessero fastidio, stava cominciando a diventare faticoso.

“Sei sicuro che non finirai col farti del male? Non voglio vederti col cuore sanguinante” mormorò turbato Samuel.

Maximilian si affrettò a raggiungerlo alla poltrona e lì, con un sorriso, replicò: “Sono convinto di essere sulla strada giusta, Sam… solo che è un po’ più tortuosa di quanto avrei immaginato all’inizio.”

“In questo, voi Spencer siete unici” sorrise un poco Samuel. “Tua sorella ha rischiato uno scandalo di proporzioni bibliche – e un buco in testa – per avere il suo uomo, mentre tuo fratello ha vissuto nell’angoscia per anni, prima di dichiararsi a una donna che, a sua volta, lo aveva spasimato in silenzio per la paura di parlare.”

Max assentì, ridacchiando, e ammise: “Poi arrivo io, lo scapolone timoroso della stessa parola ‘matrimonio’, e vado a incapricciarmi di una commoner che, a quanto pare, non mi vuole.”

“Volete complicarvi la vita” annuì Samuel, ridendo sommessamente.

Nel giro di qualche attimo, i due amici stavano ridendo della grossa, come ai vecchi tempi e, se non fosse stato per il delicato bussare alla porta, avrebbero continuato ancora per diversi minuti.

Asciugandosi una lacrima di ilarità, Max andò ad aprire e, nel ritrovarsi davanti Peter, uno dei garzoni di stalla, si stupì non poco… e trovò la cosa decisamente curiosa.

Era stato Peter, diverse settimane addietro, ad avvisarlo della presenza di Sophie nelle stalle di Green Manor… e ora tornava alla sua porta con la stessa espressione preoccupata e tesa.

“Peter… cosa succede?”

“Scusate il disturbo, milord, ma… beh, ecco… la signorina dell’altra volta. Miss Withmore, insomma, lei è… lei è nella stalla. Ancora.”

Quel ‘ancora’, sgorgato dalla sua bocca con tono quasi terrorizzato, fece sorridere divertito Maximilian che, nel dargli una pacca sulla spalla, asserì: “Non ha altre sorelle da recuperare, non temere.”

“Chiede se potete raggiungerla” lo mise infine al corrente il giovane.

Samuel, in piedi accanto a Maximilian, gli sorrise incoraggiante e disse: “Se ti propone di fuggire, dille di no. Non si sa mai.”

Max rise brevemente, annuendo e Sam, nel dargli una spintarella verso l’esterno, asserì: “Ti aspetterò qui, ma vorrò da te notizie fresche, è chiaro?”

“Limpido” annuì Maximilian, uscendo di gran carriera dalla sua stanza e precedendo Peter lungo le scale.

Che diavolo aveva in mente, questa volta, Sophie?
 
***

Che diavolo le era venuto in mente, questa volta?

Non era bastato giocarsi quella carta la prima volta, quando aveva avuto bisogno del suo aiuto, rischiando uno scandalo di proporzioni epiche?

No, l’unica cosa che le era venuta in mente per riparare ai suoi torti, era stata quella di ripetere lo stesso errore che l’aveva portata a innamorarsi di Maximilian.

E dire che si riteneva un tantino più intelligente di così.

Passeggiando nervosamente avanti e indietro per la stalla, mentre i cavalli la seguivano curiosi con lo sguardo dai loro box, Sophie sobbalzò leggermente quando udì la porta di legno aprirsi.

Illuminato dalla fioca luce all’esterno – una lanterna appesa alla parete d’ingresso – il viso di Max appariva solcato di ombre lunghe e profonde, che ne mascheravano i lineamenti.

Impossibile comprenderne l’umore, finché non fosse entrato.

La brezza della sera penetrò dalle sue spalle, portando odore di umidità notturna e di fiori.

Sophie ne inspirò gli aromi e, mentre Max si richiudeva il portone alle spalle, la ragazza si disse che, se il garzone avesse anche solo accennato a quel secondo incontro segreto, sarebbe stata ben più che rovinata.

Ma tant’era, ormai ci si era infilata completamente, in quel guaio, e doveva portare a termine quel piano traballante e insicuro.

Lappandosi perciò le labbra con fare nervoso, Sophie mormorò: “Grazie per essere venuto.”

“Pare che le stalle di Green Manor vi piacciano molto. Ad averlo saputo, vi avrei proposto un tour esplorativo” ironizzò Max, rimanendo a distanza di sicurezza.

Stringendo le mani tra loro per impedire che tremassero, Sophie accennò un sorriso e asserì: “Oh, sono tenute in buon ordine, e i cavalli sono splendidi…”

Spartan nitrì a quel commento e Max, storcendo il naso, borbottò: “Cavallo vanitoso. Gli basta sentire i complimenti di una donna, e non capisce più niente.”

Sophie allargò maggiormente il suo sorriso e, con tono ilare, dichiarò: “Ha ben d’onde di essere orgoglioso… è uno stupendo esemplare.”

“Lo sa, purtroppo, e me lo ricorda costantemente” asserì Max, avvicinandosi al suo cavallo per carezzarne il muso nero e lucido.

Il suo sguardo si addolcì, nell’affondare nelle profondità corvine degli occhi del suo cavallo e, con tono sommesso, Maximilian aggiunse. “Ho amato questo cavallo fin da quando è nato e, se non avessi avuto i miei fratelli, avrei sicuramente avuto lui, al mio fianco.”

“Si vede che gli volete molto bene” annuì Sophie, arrischiandosi ad accarezzarlo a sua volta.

Ora, erano vicinissimi, spalla a spalla, e quasi si sfioravano.

Sophie non faticò a intercettare il suo profumo di maschio, nonostante gli odori penetranti di quel luogo e, nel volgere appena lo sguardo verso di lui, mormorò: “Cynthia non è mai stata una sorella affettuosa, o anche soltanto interessata un poco a me.”

Maximilian assentì, rimanendo in silenzio per lasciarla parlare.

“Nella nostra infanzia, abbiamo conosciuto i patimenti di una vita semplice e con poche risorse. Prima che nostro padre diventasse l’imprenditore di successo che è ora, vivevamo in una casa molto piccola, con ben poche comodità o agi.”

Ciò detto, Sophie prese a carezzare il lungo e muscoloso collo di Spartan, che si piegò in avanti per agevolarla.

Pareva che, il solo coccolare il cavallo, le permettesse di essere più franca, meno timorosa di ciò che voleva dire.

“Cynthia non ha mai apprezzato quella vita, ha sempre voluto di più. Nostro padre si è impegnato per farci vivere al meglio delle sue possibilità, e non era insolito che si privasse egli stesso per farci avere qualcosa in più ogni volta… ma non bastava mai, per Cyn” sospirò Sophie, scuotendo il capo.

Ancora, Maximilian rimase in silenzio. Era vitale che lei facesse pace con il suo passato, se volevano avere la speranza di vivere un futuro sereno assieme.

Il fatto che lei desiderasse parlargli dei suoi trascorsi, era di per sé un successo su molti fronti, perciò intendeva lasciarle tutto lo spazio di cui aveva bisogno.

Gli occhi socchiusi e concentrati sullo sguardo calmo di Spartan, Sophie aggiunse: “Quando gli investimenti di mio padre diedero i suoi frutti, e potemmo comprare una casa lussuosa, abiti eleganti e permetterci qualche domestico, per lei fu come risvegliarsi da un incubo. Ma ancora non bastava e, oserei dire, non sarebbe mai bastato.”

A quel punto, si volse verso Maximilian e terminò di dire: “A me non interessavano i merletti o le stoffe costose… mi bastava sapere che mio padre e mia madre erano in salute, o che i debiti non gravavano più sulle loro spalle, permettendo loro di vivere più sereni. Certo, apprezzavo – e apprezzo – il nostro stile di vita rispetto agli albori, sarei un’ipocrita a negarlo, ma…”

“… ma non è quello che conta, per voi” assentì Maximilian, terminando per lei.

“Esatto.”

“E cosa conta, Sophie?”

“Voi. E molto, anche se ho voluto farvi credere il contrario” mormorò contrita la giovane, reclinando colpevole il viso.

“Come mai avete voluto ingannarmi… e ingannarvi sulle mie reali intenzioni?” le domandò ancora, cercando con tutto se stesso di non toccarla.

Per come si sentiva al momento, se avesse sfiorato una parte qualsiasi di lei, foss’anche solo una guancia, avrebbe perso la battaglia con se stesso e l’avrebbe fatta sua, lì, in quell’istante.

Lui contava molto, per lei. Aveva capito bene e, soprattutto, non si era ingannato sui sentimenti che aveva ipotizzato Sophie provava per lui.

Sophie rialzò lo sguardo, e Max poté finalmente tornare a scorgere quel fuoco, quell’ardore che tanto l’avevano colpito.

“Perché io sono una commoner, una persona qualunque, se paragonata alla vostra famiglia, e voi siete così buono e onorevole che, per non lasciarmi nei guai, vi sareste sacrificato per proteggermi!”

“Tutte baggianate, lo sapete, vero?”

“Cosa? Il fatto che io sia una commoner è una verità assodata, non potete darmi torto” sottolineò lei, storcendo appena il naso.

“Verissimo, e non me ne importa niente” scrollò le spalle lui, vedendola irrigidirsi appena.

“Oh, beh… devo prenderlo come un dato di fatto, visto che vi siete messo in testa di volermi come moglie” brontolò lei, pur sorridendo appena.

“Quanto al credermi così santo e pio, vi smentirò subito. Io ho sempre aborrito la parola ‘matrimonio’ e, se chiedete a mio padre, sono sempre fuggito a gambe levate al solo pensiero perciò, se mi sono spinto a volere voi, è perché lo desideravo veramente.”

“Siete uno di quegli uomini che, di fronte alle attenzioni di una donna, fuggono a gambe levate?” domandò divertita Sophie, coprendosi la bocca per non ridere.

Maximilian lanciò un’occhiata a Spartan, domandando al suo cavallo: “Ehi, amico… quante volte siamo scappati, io e te?”

Come a volergli rispondere, il cavallo nitrì con forza e Sophie, non potendo più trattenersi, scoppiò a ridere di gusto, coinvolgendo così anche Max nella risata.

Con quella risata spontanea si sciolsero i dubbi, le paure, i fraintendimenti l’uno dell’altra, e fu quasi senza accorgersene che Max calò sul viso di Sophie per un bacio lieve, delicato.

Lei non rifuggì dal tocco, piegò indietro il capo e sfiorò il torace di Maximilian con una mano, stringendo appena le dita sul tessuto di lino della sua camicia.

Ansimando, il giovane allora passò un braccio attorno alla sua vita, la strinse a sé e, scostandosi dalle sue labbra infuocate, lasciò scivolare la fronte sulla spalla della giovane.

“Mi sposerete, Sophie?”

“Tornate da me domani, e avrete la vostra risposta” mormorò allora lei, sorridendo, lieta della sua domanda.

Maximilian, però, non accettò minimamente quel responso e, scostandosi immediatamente da lei, la afferrò a una mano e sbottò dicendo: “Oh, no, non se ne parla. Abbiamo già giocato questo gioco, e vi sono rimasto invischiato come un fesso. Adesso andremo da mio padre e vi chiederò di sposarmi dinanzi a lui!”

“Cosa?! Ma Maximilian, vi giuro che la risposta sarà sì. Solo, vorrei farlo dinanzi ai miei genitori” esalò lei, sollevando l’orlo della gonna per meglio correre.

Lui, però, non la ascoltò minimamente e replicò: “I vostri genitori sono già d’accordo. Non ho parlato con loro solo per far irritare voi…”

“Oh, bellissimo progetto, complimenti…” brontolò allora Sophie, pur sapendo che Maximilian aveva agito al meglio, pungolandola nel solo modo che l’avrebbe fatta capitolare.

Lui le sorrise brevemente da sopra la spalla, asserendo: “Ero certo che, se avessi ignorato voi e fatto partecipi solo i vostri genitori del mio assiduo corteggiamento, sareste partita alla carica. Non amate essere messa da parte, ormai l’ho capito.”

“Mi piace essere la protagonista della mia vita. E’ un errore?”

“No, affatto, e lo apprezzo molto, ma molti non sono in grado di farlo, e lasciano che siano sempre gli altri ad agire in vece loro” le ricordò lui, tornando ad accelerare il passo.

“D’accordo, apprezzate il mio modo di fare, ma non c’è bisogno di staccarmi un braccio per dimostrarlo!” gli ricordò lei, facendolo nuovamente scoppiare a ridere.

Nell’aprire una delle porticine laterali, solitamente usate dalla servitù, Maximilian la scortò infine all’interno, incrociò un paio di cameriere sorprese e, infine, si involò verso i piani superiori.

Dopo aver macinato scale su scale, bussò brevemente alla sua stanza e, mentre Samuel sbucava con un punto di domanda fisso sul volto, Max gli disse: “Vieni con me. Sarai il nostro testimone!”

“Ma non ti avevo detto di non scappare con lei?!” protestò Samuel, seguendolo lungo il corridoio prima di volgersi verso Sophie e aggiungere: “Con tutto il rispetto, miss Sophie.”

Lei rise brevemente, esalando: “Visti i precedenti, lo avrei sconsigliato anch’io.”

“Non intendo scappare, ma mettere la signorina di fronte al fatto compiuto… e a mio padre” sottolineò Max, infilando l’ala del palazzo che conduceva allo studio del padre.

“E’ convinto che cambierò ancora idea, se verrà domani a casa mia per parlare nuovamente con i miei genitori” spiegò il tutto Sophie, rivolgendosi a un dubbioso Samuel.

“Posso capirlo, miss Sophie… non avete idea di quanto fosse preoccupato di un vostro perdurare sul fronte del no. Temeva non avrebbe avuto mai la risposta che desiderava” la mise al corrente il giovane, facendo sorgere un certo sorriso orgoglioso sul viso di lei.

“Oh… era così disperato, dite?” si informò Sophie.

“Distrutto, assolutamente distrutto” confermò Samuel, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Max.

“E’ inutile che mi guardi così male, amico…” aggiunse poi Sam, scrollando le spalle. “…perché ho detto il vero. Se non fosse stato perché sono ancora assai provato sentimentalmente, avrei riso delle tue espressioni disperate.”

“Non ti colpisco solo per questo, ricordalo” sottolineò Max, arrestandosi quando finalmente ebbe raggiunto la porta dello studio del padre.

Lì, si volse a mezzo, squadrò Sophie, che ora appariva assai nervosa, e disse: “Ora o mai più. Mi volete?”

Lei si limitò ad annuire e Maximilian, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, bussò.

E decretò la sua fine di scapolo incallito.







Note: Siamo quasi alla fine, ormai. Le cose sembrano più o meno tutte risolte e Max, per evitare ulteriori problemi o cambiamenti dell'ultimo minuto, ha pensato bene di mettere Sophie di fronte all'atto compiuto. Non resta che vedere come andranno a finire le cose per questi due giovani. A presto!

 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


 
 
Epilogo
 
 
 
8/9 settembre 1830 – Londra
 
 
L’incoronazione di un sovrano era un evento a cui mai, prima di quel giorno, avrebbe mai immaginato di poter partecipare. O anche solo di vedere da lontano.

Come moglie di Maximilian Spencer, invece, non solo aveva potuto entrare nell’Abbazia di Westminster come invitata, ma aveva potuto rivolgere i suoi ossequi al re.

Max aveva insistito perché il loro matrimonio si svolgesse prima dell’incoronazione, così da permetterle di partecipare come sua moglie, assieme all’intera famiglia.

Sophie aveva sottolineato quanto la cosa non fosse rilevante, per lei, ma in fondo le aveva fatto piacere che avesse insistito.

E non solo per poter parlare con Guglielmo IV, il loro nuovo sovrano.

Prima di ogni cosa, aveva approvato la fretta del giovane perché, a conti fatti, a sua volta aveva avuto un certo bisogno di mettere nero su bianco il loro rapporto.

Non che non si sarebbe fidata della parola di Maximilian, a quel punto… tutt’altro!

Ma, proprio a causa del fuoco che Max amava tanto in lei, e che lui sapeva risvegliare come pochi, era sorto un indubbio quanto scomodo effetto collaterale tra loro.

Stare lontani era parso subito a entrambi quasi insopportabile.

Pur se entrambi si erano giurati amore eterno a parole, Maximilian aveva preferito non concretizzare coi fatti il loro rapporto, prima del fatidico sì.

Come non apprezzarlo fin nel profondo, per questa sua gentilezza?

Sophie sorrise divertita, nel ripensare ai loro goffi gesti di fronte al vescovo di York, convocato praticamente d’urgenza – e con licenza speciale dell’Arcivescovo di Canterbury – per legarli in matrimonio.

Sposarsi dopo neppure un mese dal loro annunciato fidanzamento aveva dello scandaloso, e in molti avevano pensato a un matrimonio riparatore.

C’era ancora chi le controllava gli abiti, per essere certi che il suo girovita non stesse cambiando anche labilmente, ma ormai erano in pochi a farlo.

Maximilian aveva passato le prime tre settimane del loro frettoloso matrimonio a guardare in malo modo amici e parenti, rei a suo dire di non trattarla con il dovuto rispetto.

Alla fine, perciò, era stata proprio Sophie a dirgli di smettere sottolineando quanto, le sue paure, fossero in gran parte immotivate.

Certo, giungere a Londra – e avere a che fare con la sua cerchia di nobili – era stato un altro affare.

La prima volta che si era recata a teatro, era stato difficile non rispondere a tono ai sottili insulti velati dietro abili giri di parole.

Tra la favella di Alexander Chadwick, però, e l’istinto da mastino di suo padre Maxwell, era comunque riuscita a giungere in fondo alla serata, ricevendo anche il plauso di Elizabeth.

Nei salotti bene della città, invece, a farle da protettore era stato suo suocero che, lasciando al figlio solo il compito di farla ballare, aveva azzittito i più con un solo sguardo raggelante.

Mentre contro uno Spencer, dopotutto, era una cosa che nessuno voleva realmente.

La pendola dell’orologio - che stazionava nel corridoio del primo piano -  incoccò la mezzanotte e Sophie, nello scrutare la strada deserta di Grosvenor Square, sorrise.

Il palazzo in città le era piaciuto subito, così come aveva entusiasmato sua madre, che si era subito lanciata nello studio della disposizione dei mobili e dei complementi d’arredo.

Invero, sia lei che il padre avevano scoperto l’occhio davvero esperto e di buon gusto di Adelaide, pur se ne avevano avuto esempi pratici sotto il naso per tutto quel tempo.

Anche grazie ai buoni uffici di lady Kathleen, la sua inaspettata madre stava in tutta fretta diventando una famosa designer d’interni delle ville nobiliari londinesi.

Nella settimana seguente l’incoronazione, aveva già preso tre appuntamenti in tre ville diverse.

Se mai fosse stato possibile, Sophie avrebbe giurato di vedere suo padre levitare di gioia, al pensiero di un simile apprezzamento nei confronti della moglie.

Due braccia forti la avvolsero alle spalle, facendola sobbalzare e strappandola a quei pensieri e, nel volgersi a mezzo, Sophie mormorò: “Max… che ci fai in piedi?!”

“Potrei chiedere lo stesso a te. Il talamo ti è già venuto a noia?” brontolò lui, trascinandola con sé lontano dalla finestra.

Lei rise piano, scuotendo il capo e, quando tornò a sdraiarsi sull’enorme letto a baldacchino, osservò divertita il marito sbadigliare sonoramente.

Volgendosi a guardarla, il capo poggiato sul guanciale di piume, Max mormorò: “A cosa pensavi? Ti ho chiamata un paio di volte, ma non mi hai udita.”

“Oh, scusa. Stavo ripensando a questa estate, e a come sia cambiata la mia vita grazie a te e alla tua famiglia.”

“Potrei dire lo stesso di te, cara” ammiccò lui, intrecciando le mani dietro la nuca.

Lei sorrise appena e, nell’appoggiare il capo sul suo torace esposto, mormorò: “Ricordi il nostro matrimonio?”

“Come se fosse ieri” assentì lui. “E, a ben vedere, sono passate solo tre settimane circa, quindi ho ancora un ricordo piuttosto fresco.”

“Io ricordo che ero nervosissima” ammise Sophie.

“Tu? Io penso di aver perso vent’anni di vita, in quella chiesa, aspettandoti. Ho pensato le peggio cose per ben venti minuti e…”

“Venti minuti?” ripeté lei, confusa.

Arrossendo leggermente, Max ammise: “Il tempo che ho impiegato da casa tua alla chiesa, comprensivi del tempo che ci ho messo per ripulirmi dal profumo di Spartan e tornare all’altare per aspettarti.”

Sempre più sorpresa, lei si sollevò sulle braccia e, squadrandolo scioccata, esalò: “E cosa saresti venuto a fare, a casa mia, poco prima della mia partenza?!”

“Controllare che non scappassi?” ipotizzò lui, sorridendo contrito.

Sophie non seppe che dire, di quel comportamento, se non mettersi a ridere, dargli un bacio e sussurrare: “Tu sei tutto matto, Maximilian Gregory Spencer.”

“E te ne accorgi solo ora? E’ un po’ tardi per lagnarsi di questo mio difetto, mi pare” ironizzò lui, piegandosi su un lato per spingerla nuovamente sul materasso.

“Non mi sto lamentando, infatti… è molto dolce, a ben pensarci.”

“Non sono dolce” mugugnò lui, chinandosi per baciarle il collo.

Lei lo inarcò leggermente per permettergli un più facile approccio e lui, tra un bacio e l’altro, sussurrò: “Però, eri splendida nel tuo abito di mussolina bianca e ricami dorati. E la tua coroncina di fiori era adorabile.”

Sophie rise sommessamente, mormorando: “Cos’altro ricordi?”

“Davvero vuoi che perda tempo a raccontarti un evento che abbiamo vissuto insieme, quando potrei impiegare in altro modo questa mia bocca volenterosa?” ironizzò Max, scrutandola con i suoi caldi occhi nocciola.

Lei ci pensò solo un  attimo. L’istante seguente lo attirò a sé per un bacio mozzafiato.

Gli avrebbe chiesto ogni particolare dei suoi ricordi più tardi.

Ora, avevano di meglio da fare.







Note: Ed eccoci alla fine della trilogia dedicata ai figli di Christofer e Kathleen. Spero che questo tuffo alternativo nell'Epoca Regency vi abbia divertito e, visto che a molte di voi è piaciuto il personaggio di Lucius Bradbury, posso dirvi che, nel 2018, procederò a postare la sua standalone.
Non vi so dire esattamente il mese, ma sono a buon punto con la bozza, perciò non mi ci vorrebbe molto, per terminarla. Tenete quindi d'occhio la mia bacheca.
Piccola comunicazione di servizio per i seguaci delle Missing Moments sui miei licantropi: ho appena inserito una nuova OS, che trovate nella cartella dedicata ai lupi mannari narrati nella Trilogia della Luna.
Per il momento, vi ringrazio per avermi seguita in questa piccola avventura, con la speranza di ritrovarvi anche nel 2018.
Buon Natale e Buon Anno!

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