Così diceva mia madre

di Sgarro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La sera ventosa ***
Capitolo 2: *** Colpi d'arma da fuoco ***
Capitolo 3: *** Quel bambino esile ***
Capitolo 4: *** La Famiglia Sugar ***
Capitolo 5: *** Il Lavoro Dignitoso ***
Capitolo 6: *** In Trappola ***
Capitolo 7: *** Il Primo Giorno in Fattoria ***



Capitolo 1
*** La sera ventosa ***


  1. Quella sera soffiava un vento forte proveniente da est, era così forte così intenso che ogni singolo rumore, ogni piccolo fruscio suscitava in me interesse, erano suoni di quelli che ascolti nella notte e che talvolta ti capita di confondere con chissà quale tua fantasia più nascosta, ed è proprio in quei momenti che il tuo sangue schizza nelle vene, il tuo cuore accelera i suoi battiti, ed il tuo cervello inizia a fantasticare su chissà quale stranezza... Bè tutto questo veniva deluso da semplici rumori della notte strepitii scricchiolii e roba simile . . Ecco quella notte tutto si confondeva col vento, quel vento maledetto che soffiava e soffiava e s’infilava sotto le fessure delle finestre su per i tubi dell’acqua e veniva fuori dalla vasca da bagno, gridando e strepitando come una strega, di quelle della metà del 1400, orribili con il foruncolo sul naso, e il viso butterato, bruciate tutte sul rogo nel nome di Dio.

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Capitolo 2
*** Colpi d'arma da fuoco ***


1.2 Ed io me ne stavo lì steso a pensare ad ascoltare il vento e i rumori, un suono più intenso sarà il vento, un urlo più forte sarà la strega, e mentre il primo sonno mi sfiorava leggermente, un colpo intenso, forte, distinto, arrivava al mio orecchio, gli occhi si spalancarono, il cuore prese a battere, addio sonno! Cercai di capire, sfogliai in un millesimo di attimo la gamma di rumori, che sento tutte le notti ormai da anni, da quando dall’Oregon sono dovuto venire qua a Detroit per lavorare e per guadagnare qualcosa che mi dia almeno una vita dignitosa o almeno così diceva mia madre. Stavo lì immobile nessun rumore corrisponde, nessuno dei milioni di suoni che abbia mai sentito, allora qualcosa mi disse che non è la solita delusione, qualcosa mi disse che stasera sarà speciale, era da tanto che aspettavo un suono così bello così ignoto, così vivo allora questa è la mia sera questa è la mia occasione, scesi dal mio bel letto a mezza piazza... Vita dignitosa - nell’Oregon avevo le due piazze solo per me-... E corsi nell’armadio bianco ad un’anta, che avevo nella stanza, era lì da quando ci ero venuto ad abitare lo avevo trovato già in quella posizione e me lo ero tenuto, sotto tra gli indumenti che usavo per andare in chiesa la domenica, e nell’Oregon ci andavo tutte le domeniche, invece adesso erano parecchio impolverati, ci tenevo la mia vecchia mazza da baseball, e indovinate, dove la usavo? Sì nell’Oregon; Qui la tengo solo come arma di difesa personale... Vita dignitosa diceva la mamma... Afferrai la mia bella mazza e corsi verso la porta uno sguardo fuori per strada, nessuno! Quel maledetto vento confonde oltre ai suoni anche le forme, un secondo suono uguale è preciso invade la stanza, è vicino, ma cos’è? Che cosa sarà …. E poi mi venne in mente quando avevo già sentito un suono simile sordo intenso e sa di morte, è stato nell’Oregon un giorno andai con zio Leoluca nei boschi, non era proprio mio zio lui era appassionato di caccia e quella volta mi volle portare, con il volere di mia madre per insegnarmi com’è un vero uomo o almeno così diceva lei. E finalmente capii, era un colpo di pistola e doveva essere anche bella grossa, allora corsi sul didietro della cucina, aveva un entrata secondaria che dava su un piccolo giardino comunicante con quello dei vicini, ma io i vicini non li avevo mica mai visti, uscivo di mattina presto di casa e tornavo la sera tardi la mia dimora non era proprio a portata di mano... Vita dignitosa diceva mia madre... Spiai attraverso la tendina impregnata di olio e profumi marciti di roba stravecchia, e vidi lì d’avanti al cancello di casa una figura umana, stava lì in piedi, e aveva in mano una pistola di quelle che si vedono nei telefilm polizieschi usate dal poliziotto più duro, intanto stringevo il mio bastone, iniziai a sudare, cosa fare? Esco e vivo finalmente, oppure torno alla mia vita dignitosa... Presi coraggio strinsi gli occhi quasi a farmi venire le lacrime, sferrai un calcio poderoso alla porta, ed uscii nel giardino correndo incontro alla figura, urlando e stringendo la cara vecchia mazza.

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Capitolo 3
*** Quel bambino esile ***


1.3 Avevo appena compiuto il decimo anno di età e in quel periodo come è solito fare nelle famiglie come la nostra un giovanotto di dieci anni si toglie dalla scuola e dagli studi per dedicarsi alla vita della fattoria, ci stanno tanti campi da arare tante bestie da pascolare e nelle famiglie come la nostra, i figli, soprattutto i maschi, vengono al mondo proprio per dare forza alle fattorie, così in quell’anno mio padre che sino a quel momento avevo visto come figura imponente e maestosa a cui io piccolo stupido dovevo solo ubbidire e riportare i miei risultati scolastici, senza non prendermi il solito ceffone anche se andavo bene, quello serve sempre e aiuta a crescere diceva la mamma, doveva valutarmi . . Stavo lì impalato nella stanza e aspettavo il verdetto, perché dovete sapere che nelle famiglie come la mia si usa così: quando all’età di dieci anni concludi gli studi e ti ritiri nella fattoria, c’è l’annuncio dell’entrata in fattoria e subito dopo tuo padre che sino a quel momento hai visto solo mangiare e darti schiaffoni, ti rivolge la parola e ti spiega, anzi ti assegna ad un vero e proprio ruolo nella fattoria a seconda dei bisogni o delle capacità del ragazzo. Ho trovato qualcosa di molto simile nelle grandi aziende di successo dove l’assegnazione di una mansione specifica viene assegnata con precisa ed imprescindibile chiarezza solo dopo anni e anni di prove e contro prove ma questa è un’altra storia. Mentre ero lì con tutti i miei fratelli ma soprattutto sorelle, schierati come fossero un esercito , il sovrano, mio padre, entra nella stanza, era un uomo forte si vedeva dalla larghezza delle braccia e si sentiva dalla forza dei suoi schiaffoni , era lui che portava la fattoria avanti, insieme con mio fratello Jack il primogenito, tutti gli altri miei fratelli più grandi assieme a mio padre dovettero partire anni prima per la grande guerra, l’esercito non poteva privarsi della forza degli uomini della famiglia Sugar, solo jack e mio padre riuscirono a far ritorno, altri tre persero la vita per la patria almeno così diceva mia madre, e stavo lì e lo fissavo e lo scrutavo mi chiedevo cosa stesse pensando, anche se non conoscevo mio padre, delle idee su quello che poteva pensare mi vennero ma non le ascoltai ero fiero, avevo dieci anni e non avevo mica il corpo di un adulto ero esile molto esile e mia madre era preoccupata perché lei pensava non mangiassi ma in realtà mangiavo e come, ero fatto così, magro, non sarei mai potuto diventare come mio padre un colosso di uomo lui, mi raccontava mia madre che una volta era estate e il terreno era pronto per la semina , ovviamente prima di lanciare le sementi da cui sorgerà la vita per le nuove piantine, il terreno andava tutto arato e solcato, per l’aratura il piccolo asinello che la famiglia Sugar con tanti sacrifici aveva comprato al tempo dell’emigrazione, riuscì a farcela, ma quando si passo a dover fare il solca mento, che è la parte più dura, l’asinello abbandonò tutta la fattoria e passo a miglior vita, allora mio padre che non poteva più rimandare la semina di quell’anno, trovo un grosso tronco di faggio ci attacco delle pale a distanza l’una dall’altra, due corde alle estremità e caricato sulle spalle trascinava questo tronco in lungo e in largo per tutto il range Sugar salvando per quell’anno tutto il raccolto. Le mie mani erano chiuse a pugno ed io ero sicuro che mio padre era in collera con me perché mai avrei potuto dargli una mano con i lavori, ma comunque aspettavo il verdetto, la sentenza, mi passò alle spalle, mi sfiorò, guardò tutti anche mia mamma e poi disse : rivolgendosi verso mia madre, che prima lo sorrise e poi lo fissò, subito dopo si rese conto dell’affermazione di mio padre e sgranò gli occhi meravigliata < Sam > disse con voce fioca < Si dimmi può essere lui mio figlio dimmi lo hai guardato?> allora mia madre che mai avrebbe pensato a questa scena nella sua casa < Sam guardagli il viso ha il tuo viso non lo vedi?>< e il viso … il viso … ma le braccia le gambe le spalle di chi sono questi magri e poco forti ossa? Non certo le mie> ribadì. Allora mia madre che non sapeva più cosa dire ma che esplodeva di rabbia per le insinuazioni di mio padre scappò via, lasciandomi solo lì nella stanza con mio padre che non mi credeva suo figlio, mio fratello grande jack, che in bocca aveva sempre un filo di paglia e mi fissava, e il mio fratello più piccolo Sebastian al quale ero legato e con cui sino al giorno prima ci ero andato a scuola, che tremava, più forte di me, perché l’anno dopo sarebbe toccato a lui e non è che fosse così robusto, nell’angolo in fondo le donne di casa Sugar, avevo due sorelle, entrambe più grandi di me, e per questo che mio padre da me si aspettava tanto e io in qualche modo l’avevo deluso con la mia stazza.

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Capitolo 4
*** La Famiglia Sugar ***


1.4 Le mani ormai mi si erano bagnate completamente ma alcune goccioline di sudore si iniziavano a formare anche sulla fronte e solcavano tutto il viso arrivando sino alla base del mento incontrandosi sulla punta del mio volto e unitasi con altre goccioline si rinforzavano appesantivano e quindi cadevano al suolo, c’era una tensione così forte in quei momenti che riuscivo a percepire il suono sordo della goccia che arrivava per terra, mio padre continuava a fissarmi e io non avevo ormai più nemmeno il coraggio di guardarlo, il mio sguardo impaurito, ma dapprima fiero ora era diventato sommesso, il mio sguardo ora puntava a terra e sinché nessuno me l’avesse ordinato mai lo avrei alzato da quella posizione, mi sentivo alquanto umiliato. All’improvviso una mano si posa sulla spalla una voce diversa dalla prima più comprensiva più buona esce dalla bocca di mio padre < allora figliuolo a te cosa ti piacerebbe fare nella fattoria?> mi chiese. Io che non sapevo se avevo o no il permesso di parlare alzai lo sguardo e incrociai quello di mio fratello maggiore che stava nell’angolo della stanza, e con un coltellino di quelli tuttofare spuntava una specie di piccolo tronchetto, intanto si passava la pagliuzza da destra a sinistra della bocca, mi incitò allora incoraggiato da mio fratello presi coraggio feci un bel respiro e < ehm … ….> cavolo non sapevo proprio cosa volevo fare la mia ispirazione era sempre stata quella di fare lo speleologo o il ricercatore o comunque roba del genere, mai avevo pensato ad una mansione in fattoria < signore non saprei ..> riuscì a pronunciare, allora mio padre che aveva un po’ perso quella imponenza e autorità iniziale, e sembrava gli fosse passata quell’idea sulle mie vere origini cominciò a parlarmi< allora da domani vieni con me e m’aiuti, svolgerai tutti i lavori, e tra quindici giorni deciderò>. In quel istante mia madre rientrò nella stanza e lancio con violenza una cassetta di legno che aveva preso lì fuori dalla cucina, mio padre per nulla preoccupato la afferro a volo e disse < vieni qui Rosetta è tutto apposto col ragazzo abbiamo trovato un accordo >. Dovete sapere che ogni domenica mia madre che era di origini italiane ci portava a messa da don Vincent, don Vincenzo per lei, era una donna molto religiosa e credente, si sarebbe fatta ammazzare pur di essere fedele al marito, lo aveva conosciuto lì in Italia dove si era follemente innamorata e dopo anni di lettere e amore epistolare, finalmente un giorno, lui torno in Italia a prenderla dalla sua numerosissima famiglia calabrese, la sposò e la portò qui negli stati uniti nel range dell’Oregon, dove da lì a nove mesi sarebbe già nato jack il primogenito della famiglia Sugar.

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Capitolo 5
*** Il Lavoro Dignitoso ***


1.5 Mentre correvo con la mia bella mazza da baseball sulla testa pronto per scagliarla contro quella figura umana d’avanti a me, un pensiero mi balenò nella testa, se questo tizio aveva già esploso due colpi magari uccidendo chissà chi, e si sarebbe visto correre uno con una mazza in mano verso di lui, avrebbe o no esitato a sparare un terzo colpo nella mia direzione uccidendomi, ovviamente no. Ma in quel momento la mia vita era così priva di emozioni di colpi di scena di eventi inaspettati che in quel preciso momento della mia vita essere sparato nel cuore della notte da chissà quale malvivente e magari finire in ospedale o all’altro mondo, così da eroe sarebbe per me stata una bella e dignitosa fine, che avevo da perdere? la mia vita “dignitosa” puah!! Da ormai 4 anni facevo una vita tutto meno che dignitosa, mi svegliavo ogni mattina compresa la domenica all’alba prendevo un primo pullman che mi portava dalla casa in cui vivo sino ad un centro di smistamento traffico, lì tra barboni vagabondi spacciatori e puttane prendevo un secondo pullman fatiscente e maleodorante ma ormai non ci facevo più caso, le mie narici dopo due mesi dello stesso odore si erano praticamente assuefatte, questo secondo pullman mi lasciava nella più bella strada di Detroit piena di negozi all’ultimo grido posti fashion e bar alla moda ma io questo lo sapevo perché lo avevo sentito dire, quando passavo io alle 5 e mezzo del mattino solo gli addetti alle pulizie mi facevano compagnia, e dopo un lungo tratto a piedi passando per dei vicoletti di quelli tipici da bassi fondi, arrivavo al mio putrido lurido e nauseante posto di lavoro, ci lavoravo ormai da quattro anni da quando la mia cara dolce stupenda meravigliosa ma soprattutto troia Betty la mia ex fidanzata mi aveva tradito lasciandomi solo, certo non è colpa sua se poi per giunta ho perso il lavoro per cui mi ero trasferito qui e certo non è colpa sua se mi ero accollato, con la sicurezza di quel lavoro un mutuo da cinquanta mila dollari solo per comprare una casetta per noi due e vivere tranquilli, ma così non è stato perché a lei piaceva il lusso i soldi e io di quelli ne avevo proprio pochi, trovati una brava ragazza diceva mia madre, così quattro anni fa dopo questa serie di sfighe mi sono trovato solo a Detroit con una casa da pagare e nemmeno uno spicciolo in tasca, e non so se il fato il destino o chissà quale altra forza superiore mi ha portato a trovare questo posto di lavoro, ricordo che ero seduto su di una panchina alle spalle dello stabilimento quando ad un tratto si apre una porta in ferro di colore blu, e una puzza così intensa mi investì, fui costretto a girarmi per vedere cosa provocasse quell’olezzo nauseante ed uscì un ragazzo in camice azzurro che in mano aveva un sacco , lo sollevò e lo mise in un contenitore ermetico che era appoggiato al muro del palazzo, poi tirò fuori un pacchetto di Lucky Strike rosse ne prese una e se l’avvicino alla bocca, mi guardo e venne verso di me, mi chiese < hai da accendere ragazzo?> io lo guardavo come imbambolato quell’odore flatulento mi aveva sconvolto, che ci stava in quel sacco? comunque risposi< No!> allora si scosto, fermo un passante e trovò quello che cercava, poi torno verso di me e con voce amichevole disse < hai visto i Pistons questa settimana? Vanno forte quest’anno!!> e aspirava la sua sigaretta, io nemmeno conoscevo le regole del basket ma sapevo che i Pistons erano la squadra della città di Detroit, ma non avevo idea di come stessero andando quell’anno comunque per non deluderlo dissi < si si certo vanno al massimo> allora mi guardo pensai avesse capito che non ne sapevo di basket e disse < che ci fai qui ragazzo? Non dovresti essere a scuola?>< certo signore dovrei> e ribadì< e allora che fai qui da solo? Di dove sei?> gli risposi< sono dell’Oregon signore e ho perso il lavoro, sto qui a guardare il cielo si vede bene da questo lato della città> si fece altri due tiri e poi mi guardo per bene le gambe le spalle perfino la testa mi scrutava allora gli chiesi< perché signore è un problema se me ne sto seduto qui?>< no, no> disse, poi buttò con un lancio il mozzicone e rientrò nella porta richiudendola alle sue spalle. Io che avevo un treno che partiva di lì a poco pensavo che non l’avrei mai più rivisto perché stavo per andar via da quella panchina ma soprattutto stavo per andar via da quella città per sempre, stavo per partire nel Nevada. Quando proprio mentre mi alzai si riaprì la porta ed uscirono due uomini il primo era quello dei Pistons il secondo non aveva il camice ma era vestito elegante, se portare una camicia e un pantalone, voglia dire essere eleganti non lo so ma così l’avrebbe definito mia madre. mi girai allora particolarmente incuriosito mi avvicinai e fu lì che feci il più grande errore perché lui mi propose un lavoro, e io accettai, orari massacranti paga da schifo e un lavoro che tutto ma dico tutto era, tranne che dignitoso. Passavo tutto il giorno a girare e rigirare la cacca dei bufali della valle di Kayter arrivavano uno- due tir interi di quella roba a settimana e io insieme con altri ragazzi eravamo addetti alla ricerca delle pagliuzze, perché dovete sapere che in questa valle ai tempi della febbre dell’oro centinaia di cercatori d’oro arrivarono da tutto il mondo per setacciare le acque del fiume e trovare raramente qualche pagliuzza o ancor più raramente qualche pepita, ora qui che le miniere si erano esaurite avevano messo dei pascoli di bufali pecore e non so’ quale altro animale, un giorno per caso il proprietario del pascolo si accorse che negli escrementi degli animali talvolta si poteva trovare qualche pagliuzza ,o almeno questo mi avevano raccontato, certo il problema è trovarle e per questo aveva assodato me e altri otto ragazzi che come me erano disperati ignoranti e disposti a qualsiasi cosa. Il mio capo era il tizio con la giacca, sotto di lui quello dal camice azzurro e poi noi che frugavamo in quintali e quintali di merda, dopo qualche giorno la puzza non mi dava più fastidio e di pagliuzze ne trovavo in quantità, il capo, almeno questo, era felice di me, dimostrati sempre volenteroso e sarai apprezzato diceva mia madre.

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Capitolo 6
*** In Trappola ***


1.6 Quello che non avevo capito dei miei capi ma anche e soprattutto del mio lavoro e che una volta accettato, entrato e saputo certe verità su queste cose ,non sarei mai più potuto tornare indietro, i primi giorni erano stati tranquilli anzi ero anche contento del mio nuovo lavoro e anche se avevo avuto difficoltà a spiegare cosa facessi a Sebastian che era l’unico della mia famiglia a cui scrivevo , tutto sommato mi ero ripreso e secondo la mia erronea valutazione da quel giorno in poi tutto mi sarebbe potuto accadere iniziavo una nuova vita, ma di lì a poco scoprì che invece si stava sempre più esaurendo la vita stessa, in che vicolo buio mi ero andato a cacciare? I primi tre giorni scorsero veloci, feci conoscenza con i miei colleghi di lavoro tipi alquanto strani e subito notai che qualcosa non era chiara, non andava, erano scostanti mal predisposti non parlavano volentieri, il ragazzo con la tuta blu a cui io pensavo di dover molto per avermi segnalato al gran capo nemmeno mi salutava si limitava a controllare il numero di pagliuzze le ritirava e poi andava fuori a buttare i sacchi di merda, quando dopo circa una settimana che lavoravo il gran capo venne nella sala e mi chiamo io mi avvicinai < allora ragazzo da domani inizi il turno intero > e io che rimasi basito da questa frase pensavo fosse una sorta di promozione< grazie capo> e lui andando via < ma che grazie> e rivolgendosi al suo vice < mi ringrazia pure questo qui ah ah ah> allora tornai al mio posto e mi rivolsi al mio collega di banco < scusa, ei scusa> ma lui continuava a rovistare nella merda allora con voce più forte < scusa amico!> si giro < ma tu fai già il turno intero?> mi fece un cenno con la testa che voleva dire sì e torno a lavoro, ero confuso capivo che qualcosa non era chiara ma del resto a chi potevo chiedere, il pomeriggio dello stesso giorno mi recai allora alla biblioteca statale di Detroit era veramente enorme e ben fornita, feci alcune ricerche e scopri delle cose che mai e poi mai avrei pensato, quello di far pascolare dei bufali su un territorio il quale è ricco di minerali e in cui in passato c’erano miniere d’oro o argento era vietato da una legge federale perché secondo ricerche avanzate si era scoperto che i bufali metabolizzando questi minerali e producendo nelle loro feci delle pagliuzze d’oro o d’argento a seconda dei minerali presenti, sviluppavano dei tumori a tutti gli organi interni, ma la cosa ancor più sconvolgente e che era reato perché gli animali che assumevano tali minerali erano definiti extra-cancerogeni ovvero qualunque essere umano avesse mangiato una bistecca o bevuto del latte o qualsiasi altro prodotto derivato da uno di questi bufali gli si sarebbe riscontrato di lì a pochi mesi la presenza di cancro all'intestino e su questo dossier di un giornale americano molto diffuso c’era scritto che questa attività era una delle ultime fonti di guadagno e ricavo delle più importanti famiglie malavitose americane tipo i Gambino o gli Smith giusto per rendere l’idea. Sconvolto dalla lettura di queste notizie presi questo documento e ne feci una copia, usci dalla biblioteca in fretta e furia intenzionato ad andare alla polizia quando al primo vicolo due uomini di corporatura robusta mi si palesano di fronte, io d’impatto non pensavo ce l’avessero con me, invece hanno iniziato con calci e pugni non riuscivo nemmeno a gridare tanto ero sconvolto, nemmeno le urla solite di dolore venivano fuori dalla mia gola e non potei neppure gridare dopo, quando uno dei due prese la copia del dossier che avevo in tasca la strappo e me la schiaffò direttamente nella bocca spingendola fino a farmi strozzare, alla fine quando ero a terra straziato uno dei due disse < questo è solo un avvertimento, prova ancora a fare ricerche vai alla polizia o dillo a qualcuno e tu pezzo di merda e tutta la tu famiglia dell’Oregon, compreso il tuo fratellino nel Nevada affogate nella merda dei bufali, intesi?> io ero a terra non riuscivo nemmeno a sbattere le palpebre figurati se riuscivo a rispondergli, allora mi sferra un calcio così forte al ventre e dice < capito coglione? Ti teniamo d’occhio >< …s…i.... > riesco a dire e i due si dileguano. Sono lì a terra, del sangue mi cola dal naso altro sangue dalle labbra e ho diversi tagli su gambe e braccia, ora è tutto chiaro i miei padroni sono della malavita organizzata e mi sento morire dentro, non posso andare dalla polizia conoscono la mia famiglia ma soprattutto sanno di mio fratello, compresi subito che ero finito, e non è un eufemismo, “ero nella merda fino al collo” i primi giorni in cui avevo lavorato lì loro li avevano passati a fare ricerche e sapere tutto sul mio conto per tenermi sotto controllo e sotto ricatto.

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Capitolo 7
*** Il Primo Giorno in Fattoria ***


1.7 Quella mattina mi svegliai di buon ora, il gallo del nostro pollaio annunciava l’inizio del nuovo giorno, non sapevo che cosa mi sarebbe aspettato di lì a poco ma comunque ne ero entusiasta e spaventato allo stesso tempo, andai nella sala da pranzo dove facevano colazione mio padre Jack e la mia sorella maggiore che gli faceva da cameriera, appena entrai nella stanza mio padre mi disse < vieni qua bob siediti qui e mangia > io sinceramente non ero per nulla abituato a mangiare a quell’orario ne avevo voglia di uova di pancetta di burro di tutte quelle cose molto caloriche che loro trangugiavano senza limiti, giorni dopo capi come riuscivano a farlo, comunque mi sedetti alla sedia e mangiai solo delle fette biscottate, mia sorella Linda cercava di rifilarmi le uova < mangia queste > diceva, ma solo l’odore mi faceva venire i conati, finita la colazione mio padre prese il suo berretto solito si alzo e disse < Bè muoviti bob che c’è un sacco da fare > io mi alzai dalla tavola e mi andai a cambiare pronto per il mio giorno di lavoro. Sceso nell’atrio della fattoria mio padre mi aspettava con Jack nel furgoncino celeste che a malapena riusciva a camminare ma che comunque portava in lungo e in largo nel vasto range Sugar mio padre e Jack, < salta dietro ragazzo > grido dal vetro, e io salì sul carrozzone posteriore dove c’era di tutto da sacchi di mangime per animali, cassette vecchie, del letame, una pala e un rastrello, mi sedetti sul sacco del mangime e aggrappandomi al ferro che congiungeva il bordo del carro con la cabina mi tenevo ben saldo, viaggiammo per circa 10 minuti andammo prima da un signore molto anziano che aveva un magazzino penso abusivo dove aveva ogni tipo di mangime o seme e vendeva i prodotti a tutta la vallata, lì prendemmo due sacchi che caricammo sul furgone poi un salto al bar della valle e lì conobbi Leoluca, l’amico di mio zio Pat, era un tipo molto strano si vedeva era italiano e mio padre lo rispettava perché a lui piacevano gli italiani essendosene sposata una, prendemmo del caffè nero e me ne bevvi un po’ dalla tazza di Jack ero ancora piccolo per il caffè o almeno così diceva la mamma, tornando verso la fattoria ci fermammo ad una fonte di acqua e caricammo una tanica, poi andammo nelle stalle dove lasciammo mio fratello a fare dei lavori e io e mio padre andammo nel grosso campo di patate che avevamo nel range, io non sapevo fare nulla ne avevo idea di come si facesse a coltivare qualsiasi tipo di cosa, mio padre disse < non ti preoccupare bob ti insegno tutto io, mio padre fece lo stesso quando iniziai, mi insegno ogni cosa e oggi grazie al nonno porto avanti sto campo e sta famiglia > io ero ben consapevole che mai sarei riuscito a diventare come mio padre però ce la misi tutta e lo segui in ogni suo insegnamento, i giorni si susseguirono e di lì a poco avevo imparato tante cose, sapere i tempi di una semina applicare degli innesti alle piante come innaffiare come raccogliere come concimare , e poi mungere le vacche pulire le stalle sgozzare un pollo avevo persino imparato a guidare il furgoncino mio padre era bravissimo mi aiutava in tutte le faccende e in pochi mesi avevo cambiato opinione su di lui e sul lavoro in fattoria quasi quasi mi sentivo a mio agio, un giorno di novembre poi scopri una cosa che mai avrei immaginato e mi sconvolse un po’, stavo come al solito facendo le pulizie nella stalla dei porci pulivo rastrellando il porcile per poi caricare tutto nella carriola, mio padre era nei campi col nuovo trattore che aveva preso, e mio fratello era lì con me nelle stalle sarebbe dovuto essere di là a mungere le vacche, finito il lavoro andai a cercarlo e a vedere se voleva una mano se potevo insomma essergli utile visto che il mio compito l’avevo svolto, entrato nella stalla un odore particolare che non avevo mai sentito mi arrivo al naso, sembrava colla, mi faccio più avanti e lo chiamo ad alta voce < JACK . . JACK! > nessuna risposta , allora preoccupato lo cerco dietro i mangimi che stavano accatastati in un magazzino nemmeno lì trovo nulla, torno indietro e provo a vedere dietro il fieno che avevamo su un lato della stalla, mi sporgo e stava lì a terra privo di sensi quasi fosse morto, mi avvicino spaventato e lo chiamo < Jack che succede? > gli chiedo si gira su un fianco mi guarda e dice < Bbbooobbbb cciiiiao > e sorride, non capivo sembrava stesse male ma di che male si trattava, allora mi avvicino ancora e quell’odore di colla ora era diventato fortissimo quasi non riuscivo a respirare che mi si bruciavano le narici, < Jack che cazzo c’hai? > preoccupato< sto bene Bob , benissimoooo > su un lato aveva un barattolo con sopra una carta velina bucata la fissavo e capì che quell’odore proveniva da lì dentro la presi e la richiusi, lui si alzo di scatto si mise seduto e si ficco la pagliuzza in bocca poi alzo gli occhi mi guardo un po’ perso e disse < che c’è Bob? Non sai cos’è? Dammela qua! > gliela diedi la prese e la ficco sotto un cumulo di paglia dentro un buco che anche quando andammo a caricare il fieno mai avevo notato, poi si giro e una lacrima gli usciva dall’occhio < vuoi provare?> non capivo cosa dovevo provare? cosa stava nascondendo? che c’era in quel barattolo? Provare a stare male provare a non sentirmi tanto bene risposi < cosa? > e lui< la colla! > feci un cenno con la testa come per fargli capire che non sapevo minimamente di cosa stesse parlando e si dichiarò< è droga fratello, ed è di ottima qualità ti sballa il cervello e voli beato > allora la cosa mi divenne più chiara mio fratello Jack era un drogato, e di una di quelle droghe più pesanti che esistano, la chiamano colla sintetica e si sniffa ne basta un po’ in un barattolo si riscalda e si fanno grandi respiri, perdi completamente i sensi e dopo qualche attimo ti riprendi ma qualche neurone ci ha lasciato la pelle, è una droga artificiale ed è una delle più nocive al mondo pochi mesi o qualche anno di dipendenza e porta scompensi mentali, disturbi della psiche o addirittura pazzia, lui all’inizio accomodante si fece più serio e preoccupato < Bob non dire di questo a papà, o ti taglio le palle > che potevo fare < no no jack puoi fidarti non dirò nulla >. I mesi passarono io ero sempre più bravo con i lavori e mio fratello assumeva sempre più colla non poteva più farne a meno, io quando lui diceva “Sam vado nella stalla ho lasciato del lavoro” io sapevo cosa ci andava a fare ma mio padre non riusciva a capire, di tanto in tanto mormorava, ma che ci andrà a fare così spesso nella stalla vallo a sapere, non potevo certo fare la spia, l’anno seguente era arrivato anche il turno del mio fratellino Sebastian e io ero contento di averlo al mio fianco, certo come me aveva paura di non riuscire di non farcela col lavoro duro, ma io sapevo come era bravo mio padre e come lo avrebbe aiutato come l’anno precedente aveva fatto con me perciò lo incoraggiavo.

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