Ojos de Cielo

di Martocchia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Map ***
Capitolo 3: *** Sing Together ***
Capitolo 4: *** La Geografia del mio cammino ***
Capitolo 5: *** Volevo dirti ***
Capitolo 6: *** Paura di Volare ***
Capitolo 7: *** Don't stop believing ***
Capitolo 8: *** Il bene si avvera ***
Capitolo 9: *** Try ***
Capitolo 10: *** Loser like me ***
Capitolo 11: *** La Regola dell'Amico ***
Capitolo 12: *** Here's to us ***
Capitolo 13: *** Give your heart a break ***
Capitolo 14: *** Shattered ***
Capitolo 15: *** Ti voglio bene ***
Capitolo 16: *** Gocce di Memoria ***
Capitolo 17: *** Demons ***
Capitolo 18: *** Andrà tutto bene ***
Capitolo 19: *** Povera Voce ***
Capitolo 20: *** Pronto a correre ***
Capitolo 21: *** Jar of Hearts ***
Capitolo 22: *** Acrobati ***
Capitolo 23: *** Wind of Change ***
Capitolo 24: *** Chiedilo al Cielo ***
Capitolo 25: *** Il mio nuovo sogno ***
Capitolo 26: *** Spaccacuore ***
Capitolo 27: *** Get it right ***
Capitolo 28: *** If I die young ***
Capitolo 29: *** Love is alive ***
Capitolo 30: *** Ti lascerò ***
Capitolo 31: *** Ojos de Cielo ***
Capitolo 32: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Faccio un respiro profondo, inalando il puro ossigeno di montagna. Chiudo gli occhi per meglio percepire la lenta e lieve carezza dell’aria fresca sulla mia pelle e il dolce silenzio che mi circonda. Riapro piano gli occhi e li riempio della bellezza delle montagne e del cielo azzurro, limpido, che va scurendosi con l’avvicinarsi del tramonto. Sono due settimane che mi trovo a Folgarida e quella del paesaggio non è l’unica bellezza mozzafiato che ho incontrato… è cambiato tutto: la mia prospettiva sulle cose e sulla vita, le mie priorità, la mia espressione, le mie lacrime… non sono più pesanti, dolorose, anzi, mi danno sollievo, sono leggere, mi fanno sorridere e sembra che non cadano mai sul suolo, perché vengono raccolte e custodite gelosamente da Qualcun altro. Io sono cambiata, sono stata devastata, distrutta, e potrebbe sembrare negativo, ma quanto ne avevo bisogno! È in questa devastazione che ho trovato un amore infinito, gratuito, folle, di cui non posso più fare a meno. La strada è ancora lunga, ma la ricostruzione può iniziare. Una nuova e vera Clara è impaziente di mostrarsi al mondo! Richiudo gli occhi e sorrido, sento un calore nuovo dentro di me che si fa strada e mi riempie di serenità. Mi viene in mente una canzone portoghese, Ojos de Cielo, un brano mariano così dolce e bello… Occhi di Cielo, che significato stupendo! Quanto vorrei incontrare qualcuno con occhi del genere!

Ho voglia di cantare…

-Clara va tutto bene? - . Una voce mi risveglia dai miei pensieri, mi volto: al mio fianco, con una mano lievemente appoggiata sulla mia spalla, c’è Cinzia, una delle mie migliori amiche, o “sorellone”, come le definisco io, essendo più grandi di me di due anni. In questo caso Cinzia è anche una delle mie educatrici in questa vacanza per gli adolescenti del Decanato.
-Sì, certo Cinzia. Perché? -. Ha uno sguardo in cui si mischiano tenerezza e preoccupazione per me e non ne capisco il motivo.
-E’ da un po’ che sei qui da sola e poi… stai piangendo. -. Mi tocco una guancia e mi rendo conto che ha ragione, sentendola bagnata.
Le sorrido rassicurante: -Stavo salutando queste montagne visto che è l’ultima sera qui e, per le lacrime, tranquilla, è abbastanza normale che pianga in questi giorni. - dico ridendo –Sto bene, come non lo ero da un bel po’ di tempo. -.
Ricambia il mio sorriso con uno sguardo furbetto, come se sapesse qualcosa che non so, e mi abbraccia forte. Poi sta qualche istante, zitta, con me ad osservare estasiata quella meraviglia.
-Mi mancherà tutto questo, a te no? - mi domanda, rompendo il silenzio.
-Sì, anche a me e molto. Sembra di essere in un altro mondo durante queste vacanze, lontani dalla realtà… Vorrei restare qui ancora, ma è anche giusto tornare a casa, altrimenti tutto perderebbe di significato. -.
Cinzia ridacchia guardandomi di sottecchi: -Incominci a parlare come il don. Brutto segno! -.
-Mi ha influenzata troppo in questi giorni. Attenta che è contagioso! -.
-Canterai per noi stasera? -.
-Secondo te? Anche se dicessi di no un certo seminarista mi obbligherebbe comunque! -.
 Ridiamo, poi diamo un ultimo sguardo al panorama e ci dirigiamo verso il salone dell’albergo per l’ultima serata tutti insieme.
-Dai, andiamo a piangere da un’altra parte Clara! -.
-Per l’amor del Cielo, no! -.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Map ***


È passato più di un mese dalla vacanza in montagna, ma il ricordo di tutto ciò che mi è accaduto lo porto ancora forte e vivido dentro di me. Quel calore è una fiamma benefica che mi alimenta e illumina i miei occhi di una luce nuova. Anche adesso, mentre sono in macchina verso il mio primo giorno di quarta superiore, mi sento fremere di una speranza e di un’eccitazione del tutto nuove. Ho la netta sensazione che quest’anno succederà qualcosa di importante per me, di indimenticabile e che mi segnerà a vita… O forse sono solo troppo esaltata da questa nuova versione di me? Improvvisamente, però, come un fulmine un pensiero attraversa la mia mente: Marco, il mio primo amore, il mio punto debole fino a qualche mese prima. Ero stata così male a causa sua, anche dopo avermi lasciato aveva continuato a giocare con i miei sentimenti e io avevo anche sperato che… ma ormai mi domando quanto mi interessi ancora. Ben poco, in realtà, ma l’idea di rivederlo non mi piace comunque. Non voglio farmi rovinare l’inizio dell’anno scolastico da lui! “Basterà evitarlo.” è quello che penso percorrendo la breve salita che porta al piazzale davanti all’entrata del Liceo Sereni di Luino. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare… purtroppo. Infatti, proprio quando, arrivata nel piazzale, dopo essermi guardata bene in giro, sto per gridare vittoria per averla scampata, sento una voce che conosco fin troppo bene dietro di me: -Ehi Clara! -. -Oh Marco… Ciao…-. Non ho di meglio da dire, vero? E comunque da dove è spuntato?! -Non sei contenta di vedermi? - mi chiede vedendomi un po’ interdetta. Mi guarda con una punta di malizia, consapevole del suo ascendente su di me. Questo mi fa davvero irritare, ma non posso cedere subito così… però… che rabbia! -Dovrei esserlo particolarmente? - ribatto acidamente, mordendomi subito dopo la lingua. Linguaccia maledetta! Non potevo servigli meglio la frecciatina che sicuramente adesso piazzerà per mettermi al tappeto dall’imbarazzo! -Ma io, insomma, pensavo che tu… -. “Forza Clara, sei ancora in tempo per ribaltare la situazione!”. -Che io fossi ancora interessata a te? Mi dispiace, ma il mio mondo non gira più intorno a te da un po’. Non devi più preoccuparti per me: sono andata avanti, ho voltato completamente pagina. -. Adesso è lui a guardarmi interdetto e giurerei anche imbarazzato, mentre dentro di me mi sento il gallo del pollaio, che canta di soddisfazione: -Oh… Ok… Sono davvero contento per te. Allora ci si vede…? -. -Sì certo, ciao Marco. - e si allontana da me esitante. Lo osservo per un attimo e poi torno a godermi la soddisfazione della mia rivincita. L’anno non sarebbe potuto iniziare in modo migliore! L’avevo detto che sarebbe stato speciale! La mattinata passa velocemente e finalmente posso liberare i miei polmoni dall’aria stantia di quelle classi. Saluto velocemente le mie compagne e mi dirigo verso l’uscita laterale della scuola, dribblando le persone che non hanno niente di meglio da fare che bloccarsi in mezzo ai passaggi. Dall’altra parte della folla di studenti che stanno uscendo, riesco a intravedere le mie amiche, Martina, Lara e Cinzia, che mi aspettano per andare a mangiare una gustosa piadina. Mi salutano e io sorrido di rimando, districandomi fra zaini e borse ingombranti. -Com’è andato il primo giorno di scuola senza di noi? - mi chiede Lara appena riesco a raggiungerle. -Veloce e indolore, ma mi mancate già! - eh sì, perché tutte e tre quest’anno iniziano l’università e non potrò più vederle tanto spesso… -Dai, mancano solo due anni. Passeranno in fretta, vedrai. Però ora ho fame: andiamo! - mi consola Martina, trascinandoci poi per la viuzza che scende fino al centro storico di Luino, chiamata da noi studenti “Via del Fumo” ed è facile immaginare il perché, vista l’astinenza obbligata a scuola... Dopo una decina di minuti ci troviamo sedute a un tavolo in una piadineria, davanti all’imbarcadero di Luino. È metà settembre, ma la temperatura è ancora estiva e mi sto maledicendo per non aver portato dei pantaloncini per cambiarmi i più sobri e adatti alla scuola jeans, quando Cinzia interrompe il flusso dei miei pensieri: -Quest’anno pensi di fare qualcosa legato al canto, Clara? -. -In realtà no. I miei genitori non sono molto dell’idea di farmi fare lezioni… Per loro basta il Coretto. -. -E’ proprio un peccato! In montagna tutti ti hanno detto che dovresti fare qualcosa. - si ferma e mi osserva con sguardo pensoso, poi sembra illuminarsi: - Perché non partecipi al musical della scuola?! -. La guardo allibita: -Non se ne parla! Non l’ho fatto fino ad adesso, perché dovrei cominciare ora? Non mi piace mettermi in mostra e poi sai chi frequenta il laboratorio… -. -Sì, Marco. Non dirmi che ci vai ancora dietro?!- interviene Martina lanciandomi un’occhiata severa. - No no, anzi… Oggi gliel’ho anche detto chiaro e tondo facendogli fare una figuraccia… - rido ancora al pensiero della sua espressione. -Allora qual è il problema? -. Evito di rispondere alla domanda, salvata anche dall’arrivo delle piadine e dal richiamo della fame, ma effettivamente non so come rispondere: il problema non c’è, eppure mi spaventa questa cosa. Cantare su un palcoscenico, davanti a praticamente tutto il liceo? Il sogno di una vita, ma sono troppo timida per farcela sul serio. Il pomeriggio trascorre serenamente tra chiacchere, risate e gelato, sedute sul lungolago in uno spicchio di ombra ristoratrice. Cerco di scacciare i dubbi che mi hanno inculcato in testa le mie amiche, valutando razionalmente l’impossibilità della questione, ma quello continua a tormentarmi e qualcosa dentro di me si sta smuovendo. Quando è il momento di lasciarci, mentre scendo dalla macchina davanti a casa mia, Cinzia mi ferma: -Clara, ci penserai davvero? Potrebbe essere la tua occasione per far vedere a tutti cosa sai fare. - non ci vuole una scienza per capire a cosa si riferisca. -Certo, ci penserò. Non preoccuparti. -. -Fammi sapere cosa deciderai. – mi fa l’occhiolino e poi riparte, lasciandomi ancora più dubbiosa di prima. Ho provato a rimandare la decisione il più possibile, con la speranza magari di dimenticarmene, ma, quando mi trovo davanti a me, sul banco, il foglio di iscrizione ai corsi extra-scolastici, capisco che il momento è arrivato e non posso più posticipare un bel niente. Musical: sì o no? Anche a casa rimango per un tempo indefinito a fissare quel pezzo di carta, come se potesse saltarmi addosso da un momento all’altro. Cosa devo fare? Seguire il mio istinto, che mi dice di crocettare e far firmare alla mamma, oppure la mia ragione, con i piedi per terra, che mi dice di tenere i miei sogni chiusi in un cassetto a chiave? Da sola non riesco a decidere lucidamente… Scorro mentalmente la lista di persone con cui potrei parlarne: la mamma? No, sarebbe tempo tolto allo studio e faccio già troppe cose. Mio fratello? Neanche, mi prenderebbe in giro. Il don? Ho l’impressione che mi convincerebbe a iscrivermi a priori… Mi stendo sul letto, abbracciando un peluche e seriamente preoccupata per la mia incolumità mentale se non riuscissi a decidermi in fretta. Poi l’immagine della persona giusta con cui parlare si forma improvvisamente nella mia mente. Neanche 10 secondi dopo sono in salotto a guardare mia mamma con aria supplicante. -Che cosa c’è Clara? - mi chiede sospettosa, alzando gli occhi dalla settimana enigmistica. -Mamma… Possiamo andare in monastero? Ho bisogno di parlare con Emma… -. Mia mamma strabuzza gli occhi: so già cosa sta pensando… -Non farti strane idee! Non è per ciò che pensi tu: una suora basta e avanza in famiglia! -. - Non ci avevo minimamente pensato! – alzo le sopracciglia e incrocio le braccia – Oh, forse mi è passato di mente per un attimo… -. -Ah ecco. -. -Comunque va bene. Domani pomeriggio andiamo a trovarla. Ma non me lo vuoi proprio dire il motivo? -. -Vedi mamma, sono incinta e il padre è un cretino drogato… - mi fulmina con lo sguardo – Tranquilla, non è niente di grave. Ho solo bisogno di un consiglio da un punto di vista oggettivo e poi è da un po’ che non la vediamo. -. Solo a questo punto si rilassa e senza chiedermi altro torna al suo cruciverba, mentre io penso a come spiegare la situazione a mia cugina. Emma è entrata in monastero quando ero in terza media e la sua decisione ha stupito tutti in famiglia… Siamo tutti credenti, certo, ma non è cosa da tutti i giorni avere sul serio una suora tra i propri parenti! All’inizio non capivo molto, mi sembrava tutto così strano e onestamente non sapevo proprio come rapportarmi a lei in quella situazione. Le prime volte che siamo andati a farle visita mi sono sentita molto in imbarazzo, inspiegabilmente mi è sembrato di trovarmi davanti una persona del tutto nuova e ciò che mi ha sempre colpito è il suo sguardo traboccante di una felicità che io non ho mai provato e questa consapevolezza mi ha portato tutte le volte a piangere silenziosamente. Prima che entrasse in monastero non avevamo un rapporto molto stretto, eppure, quando un anno fa mi sono ritrovata in crisi, domandandomi se non avessi buttato via tre anni della mia vita in una scuola che, sì, mi piaceva, ma che mi obbligava a stare con persone con cui non mi trovavo per nulla, d’istinto le ho scritto e d’allora abbiamo cominciato a mandarci lettere abbastanza di frequente. Anche adesso, indecisa su una scelta che a molti sembrerà sciocca, mi rivolgo a lei, che mi ha sempre dato dei buoni consigli. Il pandino rosso della mamma si ferma in un parcheggio sterrato poco distante dal monastero, incastonato nelle montagne che dominano il lago di Lugano, circondato dai boschi. È un luogo che infonde una pace incredibile e, mentre cammino per la stradina che conduce all’edificio, penso che starei bene in un posto così isolato. Amo la tranquillità e il silenzio, riempito al massimo da della musica. Niente chiacchere inutili e chiassose, niente macchine…. No, le grandi città non fanno proprio per me. Entriamo dal cancello del monastero, mia mamma si avvicina alla porta e suona il campanello. Un istante dopo si apre un piccolo sportellino e il dolce viso di una suora, incorniciato dal velo nero, fa capolino e con voce sottile e amorevole parla con mia madre, la quale chiede di Emma. Io intanto continuo a guardarmi intorno, inspiegabilmente piena di serenità. Devo ammettere che qualche volta mi è passata per la mente l’idea di seguire le orme di mia cugina, in fondo potrebbe essere benissimo quella pienezza che vado cercando da tempo, quel compimento il cui pensiero mi ha tormentato tanto e che mi tormenta ancora… Ma l’idea di sposarmi, avere dei bambini, mi ha sempre riempito di felicità e speranza e poi ho ancora tempo per decidere cosa farne della mia vita e, come dice spesso proprio Emma, le vie del Signore sono infinite. Intanto la suora in portineria ci ha indicato la saletta dove aspettare Emma e, dopo aver aperto la porta che vi conduce, ci saluta con un sorriso caldo come un raggio di sole, e grato, anche se in realtà non abbiamo fatto nulla per meritarcelo. Entriamo silenziosamente nell’edificio, scambiandoci qualche parola sottovoce, per non rompere quel silenzio quasi incantato, e ci dirigiamo verso uno dei parlatoi. A chi non è abituato può fare impressione a un primo sguardo, per quanto non sia niente di speciale o mostruoso: la stanza è semplicemente divisa da un pannello in legno, con ampie feritoie, che permettono di vedere la persona dall’altra parte, di tenerla per mano e anche di scambiare un bacio sulla guancia. Niente ambienti bui e angusti, con fitte grate in metallo, dalle quali è quasi impossibile un contatto visivo! Molte persone vedono la clausura come una vita in prigione, ma in realtà è un’esistenza del tutto normale, solo dedita alla preghiera, in comunità e senza marito e figli. Un paio di anni fa io e mia mamma siamo venute qui per un ritiro con i nostri ragazzi del catechismo e la suora che ci ha parlato, rispondendo a un papà che le aveva chiesto se si sentisse in prigione, ci ha detto semplicemente che come noi vediamo loro dietro delle sbarre, così loro vedono noi: la domanda fondamentale è se siano più in prigione loro oppure noi. È una frase che mi ha colpito tantissimo e che mi torna in mente spesso… L’istintiva e triste risposta che mi sono data è che proprio noi, che ci sentiamo liberi e invincibili, siamo i più imprigionati nelle nostre e nelle altrui aspettative, in una società consumistica e che schifa l’originalità dell’uomo (originalità in quanto radici, origini, come dice Alessandro D’Avenia), il sentimento, l’istinto, nella sua connotazione più pura e umana. Invece queste suorine sono totalmente libere e felici (schifosamente felici, oserei dire) nella loro radicale scelta d’amore. Proprio mentre pondero questi pensieri, sento una porta aprirsi. Mi volto verso le sbarre e appare la figura sorridente e allo stesso tempo sorpresa di mia cugina. -Ciao! Che bella sorpresa! Cosa ci fate quassù? – chiede subito dopo averci accolto con un bacio sulla guancia ed essersi seduta davanti a noi. -Chiedilo alla tua cuginetta: ha voluto venire lei… - risponde mia madre, guardandomi accigliata, un po’ offesa perché non le ho ancora spiegato il motivo. -Davvero? Allora deve essere qualcosa di importante per venire qua di persona! – esclama Emma spostando l’attenzione su di me e osservandomi curiosa. -Diciamo che dipende dai punti di vista… - biascico abbassando gli occhi timidamente. –Però sì, ho bisogno di parlarti. Possibilmente da sola, se non ti dispiace mamma… -. Alzo gli occhi su di lei, la quale inizialmente sembra essere delusa dalla mia richiesta, ma poi mi sorride comprensiva. - Oh, no tranquilla. Aspetto qua fuori, magari vado un po’ in chiesa. Quando avete finito chiamatemi. -. La mamma ci dà un ultimo sguardo per poi uscire, chiudendo la porta dietro di sé delicatamente. Finalmente siamo sole, eppure non riesco a parlare: non è la stessa cosa scrivere a una persona e parlarle! E poi, da dove dovrei cominciare? Notando il mio imbarazzo e conoscendo la mia timidezza, Emma mi stringe una mano, attirando il mio sguardo su di lei, che mi sorride dolcemente e cerca di incoraggiarmi: -Tranquilla Clara, sono qui, ti ascolto. Non avere paura, anche se la questione ti sembra stupida. -. Almeno ha compreso subito il mio disagio… Effettivamente mi sembra un po’ sciocca tutta questa storia. Ma ormai sono qua e tanto vale mettere tutte le carte sul tavolo. Prendo un grande respiro e incomincio a esporle i miei dubbi. Le parlo del mio radicale cambiamento, avvenuto durante l’estate; di Marco, del mio rapporto con lui e della mia recente piccola rivincita; del mio amore incondizionato per il canto e di ciò che partecipare al musical significherebbe, nel bene e nel male. Per tutto il tempo la suora mi ascolta in silenzio, senza interrompermi, tenendo una mia mano fra le sue, sempre sorridendo, ogni tanto più divertita, in altri momenti più dolcemente. Quando termino di parlare il silenzio riempie nuovamente la stanza. Mia cugina sembra si stia prendendo del tempo per ponderare ciò che le ho appena raccontato per potermi dare la risposta più giusta. - Ho un disperato bisogno di un parere oggettivo, perché da sola non ne esco più! – sospiro stancamente. -Innanzitutto non devi pensare che questa cosa sia stupida. È della tua vita che si sta parlando, di ciò che ami fare di più al mondo, del tuo sogno! Da qualunque punto di vista la si guardi la questione è tutt’altro che inutile. – esordisce lei seria, per poi alleggerire il tono. – E poi non mi sembra così difficile scegliere. Scommetto che in realtà la tua decisione l’hai già presa, solo hai paura ad ammetterla e a renderla concreta. È qualcosa di nuovo e, come tutte le cose nuove, fa paura, ma nessuna paura è insuperabile. -. Adesso, sentendola parlare, mi rendo conto che ha pienamente ragione, però…. - E con Marco? Non voglio invadere lo spazio che preferisce, non voglio fargli pesare anche questo. -. - Sei davvero una ragazza dolce, Clara. Preoccuparti così per lui anche se ti ha fatto soffrire tanto… Quello spazio è anche il tuo, non dimenticarlo. Lui ama recitare, tu ami cantare e non ci si può fare niente se a scuola le due cose debbano coincidere in un solo laboratorio. In fondo, se, come dici tu, la questione con lui è chiusa, non dovrebbe importargli più di tanto averti intorno. Magari riuscireste anche a ricostruire un’amicizia… -. - La vedo dura da questo punto di vista. – ribatto scettica. - Che ne sai? Le persone riservano più sorprese di quante se ne possano immaginare. Comunque secondo me non devi rinunciare a questa opportunità solo per non fare un torto a lui. Mi pare anche l’ora che tu pensi un po’ di più a te stessa, Clara. Va bene essere altruisti, ma non fino al masochismo! Segui il tuo cuore, fidati che non sbaglia mai, e fai ciò che ami! -. Gli occhi di mia cugina mi guardano in un modo… La sua dolcezza sembra riempirmi e abbracciarmi in una calda coccola. Sono così limpidi, puri! Senza che me ne renda conto mormoro qualche parola: - Questi sì che sono Occhi di Cielo… -. Appena capisco cosa ho detto, mi porto una mano alla bocca e arrossisco per la vergogna. Emma si mette a ridere, cercando di tranquillizzarmi: - Non ti preoccupare, anzi, grazie! È il complimento più bello che mi abbiano mai fatto! -. - Dici sul serio? Sembrava così strano… Solo che i tuoi occhi sembrano fatti di gioia pura, sono contagiosi e… infiniti, sì, come il cielo. Vorrei poter avere anch’io degli occhi del genere. – confesso timidamente, sviando il mio sguardo dal suo. - Sai come si fa ad averli? – mi chiede con un sorriso furbetto. Scuoto la testa. – Devi fare in modo di essere il più felice possibile. Intendo Felice, con la F maiuscola! E per esserlo devi fare ciò che ami e amare con tutta te stessa ogni tuo gesto, ogni secondo della tua vita, ogni cellula del tuo corpo. Sembra una cosa tanto grande a dirsi, ma fidati quando ti dico che in realtà è semplicissimo. Abbandonati, cuginetta, e avrai gli Occhi di Cielo. -. La fisso interdetta, senza la più pallida idea di come rispondere. Ero venuta qui alla ricerca di una spinta per mettere una piccola crocetta su un foglio e invece me ne andrò via con molto di più, con quello che mi appare come il segreto per vivere davvero la propria vita, senza dover sopravvivere ad essa. - Allora, hai deciso cosa fare per il musical? – mi chiede Emma, tornando all’argomento originario. - Sì, penso proprio di sì… Grazie di cuore! -. - Figurati! A cosa serve se no avere una cugina suora se non per dare buoni consigli?! – mi fa un occhiolino ridendo – Se hai bisogno di qualsiasi cosa io sono sempre qui, non scappo. Continua a scrivermi, mi raccomando. Sono proprio curiosa di sapere come andrà a finire questa storia. -. - Non preoccuparti, ti terrò aggiornata. – le prometto, sorridendole grata. Dopodiché richiamo mia mamma e passiamo qualche altro momento tutte insieme, parlando del più e del meno, fino a che la campana non richiama mia cugina ai suoi doveri. Mentre ci dirigiamo al parcheggio mi accorgo di sentirmi molto più leggera rispetto a quando avevo percorso quella stessa strada a ritroso. Parlare con Emma mi ha riempita di una forza e di una determinazione nuove. Come se mi avesse letto nel pensiero, mia mamma mi si avvicina sorridente: -Parlare con la tua cuginetta è servito? Ciò che ti tormentava ha trovato soluzione? -. Sorrido tra me e me, guardando in alto, fra le fronde degli alberi. -Decisamente sì. -.

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Capitolo 3
*** Sing Together ***


Sono passate un paio di settimane dalla mia visita al monastero, due settimane da quando ho consegnato il modulo dei laboratori. A parte i miei genitori e le mie tre migliori amiche, nessuno sa della mia decisione. Non voglio commenti o domande imbarazzanti da parte delle mie compagne di classe… L’unica cosa che mi interessa è cantare e non vedo l’ora di iniziare, per quanto sia anche completamente terrorizzata dalla prospettiva di doverlo fare davanti a, sostanzialmente, degli sconosciuti. Non amo essere al centro dell’attenzione, osservata, giudicata. Mi mette a disagio anche solo essere interrogata davanti alla mia classe! Non ho davvero idea di come riuscirò a superare questa maledetta paura, ma come posso anche solo immaginare un futuro nel mondo della musica se non l’affronto?
Dovrò trovare una soluzione molto in fretta, soprattutto perché il laboratorio incomincia proprio oggi! Questa notte ho dormito pochissimo a causa dell’agitazione ed è tutta la mattina che sto seduta al banco, con gli occhi persi nel vuoto, come uno zombie, tesa come una corda di violino. Fortuna che non ho avuto interrogazioni o verifiche: dubito avrei tirato fuori qualche pensiero di senso compiuto.
Al suono dell’ultima campanella, non mi butto, come al solito, fuori dalla classe, per non rimanere bloccata nel giornaliero ingorgo sulle scale, che affligge noi poveri tapini del terzo piano, ma con estrema calma metto a posto le mie cose, aspettando che la maggior parte della massa si smaltisca, per poter scendere senza problemi e trovarmi un posto tranquillo dove mangiare il mio panino in santa pace. Una delle panchine all’ingresso sarebbe perfetta… Fa ancora abbastanza caldo da poter stare all’aperto senza congelare o prendersi un raffreddore e poi c’è la vista sul nostro splendido Lago Maggiore: condizioni più che accettabili, direi.
Scendendo le scale prendo in mano il cellulare per controllare i messaggi ed è così che, sorpassando un ragazzo, probabilmente un ritardatario o qualcuno trattenuto da un professore in classe, prendo male le misure e gli dò involontariamente una spallata. Mi volto per scusarmi, ma, facendolo, inciampo nei miei stessi piedi e perdo l’appoggio sullo scalino. Il tempo sembra dilatarsi e rallentare mentre sento la borsa scivolarmi dalla spalla e cadere, insieme al mio cellulare, sfuggito dalla presa della mia mano, e vedo il pavimento farsi sempre più vicino. Ma non faccio in tempo ad assaggiarne la consistenza: un braccio mi cinge la vita, riportandomi miracolosamente in posizione verticale. Nonostante abbia afferrato prontamente il corrimano, ciò non mi impedisce di impattare contro il petto del mio provvidenziale soccorritore, il quale si appoggia con l’altra mano alla mia spalla, sorreggendosi, per non capitombolare a sua volta per le scale. D’istinto e decisamente sotto shock porto una mano su quella che mi sta mantenendo in equilibrio e alzo lo sguardo sul suo proprietario. È il ragazzo che ho appena superato frettolosamente! Prima non lo avevo degnato neanche di uno sguardo, ma ora che vi sono praticamente costretta, mi trovo davanti a un ragazzo tutt’altro che brutto: ha capelli castani, scuri, un po’ arruffati, che gli ricadono sulla fronte e incorniciano due meravigliosi occhi blu elettrico, con un’intensità di colore mai vista prima. 
Incontro il suo sguardo per un istante, ma, non riuscendo a sostenerlo, distolgo gli occhi da lui, mi libero delicatamente dalla sua presa e scendo qualche gradino, cercando un modo per scusarmi e ringraziarlo contemporaneamente.

-Oddio, sono così imbranata! Mi dispiace, stai bene? Non ti sei fatto male, vero? Perché altrimenti sarebbe davvero il colmo e mi sentirei molto in colpa… No, ok, sto straparlando, lo so. Deve essere lo spavento! Normalmente sono praticamente una mummia! Oh, scusami… cioè grazie… mi hai salvata… -. Ma che figuraccia sto facendo?! Si può essere più imbarazzanti di così?! Non credo proprio.
Arrossisco vistosamente e abbasso la testa, continuando però a tenere lo sguardo discretamente fisso sul ragazzo, il quale, intanto, si sta chinando a raccogliere la mia borsa e il mio cellulare, incredibilmente integro, che ora mi porge, sorridendo lievemente divertito.

-Non preoccuparti, può capitare. Beh, a chi è particolarmente imbranato può succedere piuttosto spesso, ma forse questo non avrei dovuto dirlo… Non era riferito a te, cioè non ti conosco, quindi non posso dirlo. – rido, rincuorata dal suo disagio così simile al mio, seguita a ruota da lui e rimango incantata dal suono cristallino della sua risata. – Vedi? Straparlo anch’io e non è normale neanche per me! Piuttosto, tu stai bene? Hai rischiato di fare un volo… Non vorrei averti fatto male afferrandoti in quel modo. – mi chiede con uno sguardo preoccupato.

- No no, sto benissimo, grazie a te! Se non ci fossi stato tu… Se anche mi avessi fatto male, sarebbe stato molto meglio dell’alternativa. Grazie, davvero. – gli sorrido grata, riprendendo le mie cose dalle sue mani.

-Figurati! Sarebbe stato davvero da ingrati restare lì a guardarti cadere. Comunque io sono Luca. – dice porgendomi la mano.

- Clara. – la afferro e sento la mia mano piccola piccola nella sua, grande, affusolata, dalle dita lunghe e piacevolmente calda, in contrasto con la mia temperatura corporea perennemente bassa. Solo dando un’occhiata distratta all’orologio al polso del ragazzo noto quanto sia tardi e mi allarmo: - Caspita, ma è tardissimo! Spero di non averti fatto perdere il pullman! -.

Luca scuote la testa sorridendo: - No, tranquilla. Mi devo fermare qui a scuola per il musical. -.

Lo guardo sorpresa.
-Come? Per il musical? Anch’io mi fermo per questo! – esclamo, sollevata dall’aver trovato così in fretta qualcuno di simpatico con cui condividere l’esperienza.

- Sul serio? Allora che ne dici se pranziamo insieme e facciamo quattro chiacchere? -. Rimango a fissarlo sbalordita: penso di non aver sentito bene… Un ragazzo alquanto carino sta cercando di fare amicizia con me e mi ha invitata a pranzo? Devo ammettere che scegliere fra un “sì” e un “certo” è davvero dura. Ma devo aver fatto una faccia davvero strana, perché Luca abbassa lo sguardo e si gratta la testa imbarazzato.

- Non interpretare male il mio invito… Non sono quel tipo di ragazzo, lo giuro. Solo sono in questa scuola da poco e non conosco molte persone. Mi farebbe piacere avere un’amica con cui fare il corso… Sempre che tu adesso non abbia altri programmi, un appuntamento con il tuo ragazzo o altro. Non devi sentirti obbligata. -. È così imbarazzato da assomigliare a un cucciolo sperduto e non posso fare a meno di sorridere intenerita.

- No, va bene. Avrei mangiato da sola, ma in compagnia sarà sicuramente più interessante e poi te lo devo… Mi hai salvato da una dolorosa e rovinosa caduta! – rispondo, facendo nascere uno splendido sorriso sulle labbra rosee del ragazzo davanti a me.

- Ti disturba mangiare fuori? Io stavo andando alle panchine all’ingresso prima. – chiedo, mentre scendiamo fianco a fianco le ultime rampe di scale.

- No, assolutamente. È perfetto e poi è una giornata magnifica! -.

In pochi secondi ci ritroviamo all’aria aperta. Una sferzata di aria fresca mi scompiglia i capelli e, mentre cerco di metterli a posto, mi dirigo verso una panchina posta al sole, seguita da Luca. Mi siedo, rendendomi conto solo ora di quanto le gambe mi stiano tremando, a causa dell’effetto ritardato dello spavento. Ripiego una gamba sotto di me, lasciando l’altra ciondolare a pochi centimetri dal suolo, prendo distrattamente il pranzo dalla borsa e osservo il panorama stupendo che si stende dinanzi a me. Amo la mia piccola città di lago! Il verde che la circonda, la tranquillità, le viste mozzafiato, l’acqua piatta e limpida del Lago Maggiore, solcata da traghetti e da barche delle scuole di canottaggio della zona, fra le più rinomate in Italia, le montagne per la maggior parte dell’anno ricoperte di neve e la sensazione di trovarsi in un posto incantato, dove nulla di terribile potrebbe mai accadere. Chiudo gli occhi, beandomi del calore del sole e non potendo fare a meno di sorridere per questo. Mi rendo però conto di essere di ben poca compagnia per il ragazzo che mangia di fianco a me e che si è formato un silenzio leggermente imbarazzante, anche se stranamente piacevole. Volto la testa per iniziare una conversazione, ma lo ritrovo a osservarmi intensamente. Colto in fallo, Luca abbassa immediatamente lo sguardo sul proprio panino.

-Scusa, non era mia intenzione fissarti. Solo sembravi così serena, in pace… - cerca di giustificarsi lui, ma lo interrompo subito.

-Non preoccuparti, davvero. Piuttosto, avrei dovuto farti compagnia e invece mi sono messa a guardare il lago… -.

-Beh, ne vale la pena. È un posto davvero stupendo questo. – mormora Luca volgendo lo sguardo verso l’orizzonte. Colgo la palla al balzo per fargli qualche domanda su di lui.

-Quindi, se ho capito bene, non sei di queste parti… Ti sei trasferito da poco? -.

-In realtà i miei nonni materni sono di Luino e per questo ho trascorso dei periodi, in estate soprattutto, in queste zone. Con i miei genitori ho sempre vissuto a Milano, ma da diverso tempo cercavano casa qui per trasferirsi. Loro non amano troppo la confusione delle grandi città… E così quest’estate abbiamo traslocato. – mi spiega brevemente, modellando la carta stagnola in cui era contenuto il suo pranzo in una pallina e incominciando a giocherellarci.

- Li capisco: anch’io mal sopporto la confusione. È uno dei motivi per cui amo tanto dove vivo. – sorrido tra me e me pensando anche al mio terribile senso dell’orientamento, che a malapena mi permette di orientarmi in una città come Luino, figuriamoci a Milano! Già la geografia di Varese è un mistero per me! – Come ti trovi qui? – chiedo, rispostando la mia attenzione su di lui.

-Bene, direi. È un ambiente diverso a quello a cui ero abituato, ma sicuramente molto più sereno e raccolto. Mi fa ancora un po’ strano trovarmi in una scuola dove in pratica tutti si conoscono… Però penso che mi ci abituerò in fretta. Sicuramente quando avrò imparato a capire di chi parlano i miei compagni…  -.

Rido, immedesimandomi nella sua situazione di nuovo studente in un liceo di periferia. – Imparerai in fretta come orientarti fra i vari nomi e cognomi, fidati. Quelli di cui si parla alla fine sono sempre gli stessi e anche se non li conosci non è la fine del mondo, anzi, a volte è una fortuna rimanere nell’ignoranza. – lo rassicuro, alzando gli occhi al cielo e provocando una sua risata.

-Comunque che indirizzo frequenti? – mi chiede e sembra sinceramente interessato a me.

-Scienze Umane. Quarta. Evita i commenti, per favore! – lo supplico, ma probabilmente non ce ne sarebbe stato bisogno: la sua espressione non cambia, a differenza di quella degli altri, quando gli rivelo cosa studio e si ammanta di sorpresa solo alla mia richiesta. –Evidentemente dalle tue parti certi pregiudizi non ci sono. Meglio così! Tu, invece, cosa fai? -.

-Prima o poi dovrai spiegarmi questa cosa dei pregiudizi… Ho idea di essermi perso qualcosa. Comunque faccio lo Scientifico tradizionale, quarto anno anch’io. C’è qualcosa che dovrei sapere riguardo a questo indirizzo? -.

Inarco un sopracciglio. – Oh, tu non hai da preoccuparti. Per lo Scientifico da queste parti ci sono tappeti rossi e altarini con fiori e candele. Per quanto riguarda le Scienze Umane ti basti sapere che per noi c’è solo una cantina buia con tanto di topi. Metaforicamente parlando, s’intende. – preciso, notando la sua espressione confusa.

-Argomento da evitare? -. Che ragazzo intelligente! Ha afferrato al volo!

-Direi proprio di sì. Con chiunque faccia il mio indirizzo. -.

-Cercherò di ricordarlo per il futuro. -.

Dopodiché rimaniamo in silenzio per un po’, godendoci semplicemente la bella giornata di inizio autunno. Luca si stiracchia, stende le gambe e appoggia la testa al muro retrostante, chiudendo gli occhi. Rimane così, senza fiatare, respirando piano, quasi da farmi pensare che si sia appisolato. Non posso fare a meno di osservarlo e pensare che sia decisamente al di sopra delle mie possibilità. Meglio che me ne renda conto prima di illudermi e rimanerci male. In fondo lo conosco da neanche due ore e molto probabilmente dopo oggi si scorderà di quell’imbranata, che ha rischiato di cadergli sui piedi. Però era da tanto che non parlavo in questo modo con un ragazzo, forse, in realtà, neanche con Marco ero così spontanea…
Sono persa in questi pensieri, quando sento Luca, di fianco a me, sospirare. Ha girato lievemente il viso verso di me e aperto gli occhi, i quali, colpiti dal sole, sono ancora più luminosi e intensi.

-Sono davvero curioso di sapere di più del musical. Ho una voglia di cantare… -.

Sgrano gli occhi dalla sorpresa. –Aspetta… Anche tu canti? -.

Il ragazzo si rimette seduto e annuisce. –Non dirmi che anche tu… -.

-Eh già! Che strana coincidenza! -.

-Magari era destino! – scherza lui, enfatizzando le parole, come un attore teatrale –Ma per te non sarà il primo anno, o sbaglio? -.

- E invece sbagli… -.

-Come mai non hai partecipato prima? – chiede sorpreso.

-Non amo mettermi in mostra e ci sono persone che lo frequentano che preferivo non incontrare… - abbasso gli occhi imbarazzata, pensando a Marco.

-Ex? – tenta, colpendo perfettamente il bersaglio. Mi chiedo come diavolo faccia! Sembra che mi legga nella mente, o che mi conosca da una vita!

-Esattamente… Ma è una storia passata. Per questo quest’anno ho deciso di provare. -.

-In questo caso penso che siamo stati fortunati a trovarci: almeno avremo una faccia amica su cui fare affidamento. -.

È così ottimista! Sprizza allegria da tutti i pori e infonde positività anche a chi lo circonda. È contagioso! Mi rendo conto che per tanto tempo sono stata l’esatto opposto… Ma ora? Non so ancora dire con certezza come sono. Sto cercando di conoscermi di nuovo, ma non è così semplice…

-Penso sia ora di andare. – dice Luca, guardando il proprio orologio. –Che ne dici? Ti va di incantare tutti con le nostre voci? – si alza in piedi e mi porge una mano.

-Come puoi sapere che canto così bene? Non mi hai mai sentita! -. La sua figura è in controluce e non riesco a distinguerla chiaramente. Sono costretta a mettere una mano davanti agli occhi. Mi sta sorridendo e osservando con un’intensità tale che, se non fossi già seduta, le mie gambe non riuscirebbero a reggermi.

-Normalmente so leggere bene le persone. Ho un buon intuito. E sono più che sicuro di non sbagliarmi su di te. Sei speciale… -. Rimango interdetta davanti alla sua affermazione, ma tutto nel mio corpo, nella mia mente e nel mio cuore, mi dice di fidarmi di lui. La tentazione di afferrare quella mano è troppa e alla fine lo faccio, alzandomi a mia volta dalla panchina.

-D’accordo. – dico semplicemente. Incominciamo quindi a dirigerci verso l’Aula Magna del liceo e tutto il mio essere è così desideroso di cantare e buttare fuori tutte le mie emozioni, da non rendermi conto che la mia mano e quella di Luca non si sono separate.
 

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Capitolo 4
*** La Geografia del mio cammino ***



In un paio di minuti siamo davanti alla porta dell’Aula Magna, ma esito ad entrare, bloccando inconsapevolmente anche Luca. Sono agitata: e se alla fine la mia voce non piace a nessuno? E se stono e faccio una figuraccia? E se mi blocco, mi dimentico le parole e non riesco più a cantare? E se…
La mia mano viene stretta più fortemente. Solo ora mi rendo conto di stringere ancora quella di Luca e, per quanto sia imbarazzante, – in fondo ci conosciamo, da quanto? 2 ore al massimo? – non voglio lasciarla: è forse l’unica cosa che mi impedisce di scappare da questo posto. Alzo gli occhi dalle nostre mani e incontro due pozzi blu, scintillanti, che mi guardano rassicuranti. Inspiegabilmente mi calmano. Luca stringe ancora la mia mano.

-Lo hai capito: non ti lascerò cadere. – mi sussurra, come se sapesse esattamente cosa mi passa per la testa. Un brivido mi attraversa la schiena alle sue parole. Questo ragazzo… Che cosa vuole da me? E perché si comporta in questo modo con me? Non sono assolutamente nessuno per lui!
Nonostante i miei dubbi su di lui, la sua affermazione mi ha rincuorato e dato quella briciola di coraggio necessaria a varcare la soglia e ad entrare nella stanza. Ci sono già molti ragazzi: i “primini” si riconoscono subito, perché se ne stanno in disparte a guardare gli altri, i “veterani”, intimiditi. Mi viene quasi da ridere a pensare che effettivamente anch’io e Luca siamo come loro, ma almeno io conosco qualche faccia di animatrici conosciute tra corsi e vacanze, mentre lui deve sentirsi completamente spaesato. In poco tempo, tra i vari visi, riesco a individuare quello di Marco, il quale sta chiacchierando allegramente con alcuni dei ragazzi più grandi, ma che, come se avessi appeso un campanellino al collo per segnalare il mio arrivo, volge subito gli occhi su di me e mi si avvicina. Pur non volendolo, mi irrigidisco e indurisco lo sguardo che gli sto riservando, ma sembra non accorgersene minimamente.

-Ehi Clara! Non sapevo che quest’anno partecipassi anche tu. Parte canora naturalmente, o ricordo male? -.

-Ricordi benissimo… -. Il tono che adopero è più duro di quello che vorrei usare, ma anche questa volta Marco apparentemente non ci fa caso.
Luca guarda prima me, poi lui e poi di nuovo me, lanciandomi un’occhiata di comprensione. Penso abbia capito chi avrei preferito non incontrare e perché… Come per sostenermi nell’impresa di sopportare l’individuo di fronte a me, mi accarezza lievemente il dorso della mano, che sta stringendo, con il pollice. Solo in questo momento Marco sembra accorgersi della sua presenza e immediatamente il suo sguardo cade sulle nostre mani intrecciate. La sua espressione, voltandosi verso di me, si fa improvvisamente neutra.

-Adesso capisco il tuo comportamento il primo giorno di scuola. Vedo come sei passata oltre… Sostituendomi. -. Il suo tono è freddo e distaccato e mi sento ribollire dentro dalla rabbia, perché, come al solito, capisce solo ciò che vuole lui. Sto per rispondergli per le rime, quando Luca mi precede:

-Penso che tu abbia capito male. No, anzi, sono sicuro che tu non abbia capito proprio nulla! Non sono il suo ragazzo. – dice con astio, lasciando la mia mano, non senza il mio disappunto. – Sono suo amico e la sto solo incoraggiando visto che è agitata e, da come ti comporti, scommetto che parte della causa di ciò sei tu. Clara non ti ha semplicemente sostituito, ti ha proprio eclissato dalla propria mente e forse tu dovresti avere più fiducia in lei o almeno un po’ di rispetto, visto quanto l’hai fatta soffrire. -.
I suoi occhi sembrano distese d’acqua infuocate mentre parla e il modo in cui mi sposta delicatamente dietro di lui, mi ricorda molto il comportamento di una mamma orso, quando deve difendere i propri cuccioli. Ascoltandolo sgrano sempre di più gli occhi, completamente presa di sprovvista dalla sua reazione, ma anche divertita dall’espressione di Marco, contemporaneamente allibita, infuriata e mortificata, il quale non sa assolutamente come ribattere alle affermazioni di Luca. Il mio ex ragazzo rimane per qualche istante pietrificato davanti a noi, per poi allontanarsi senza dire una parola, non prima di avermi lanciato un’ultima occhiata, che mi lascia con un senso di disagio così forte da costringermi a far cambiare direzione al mio sguardo. Osservo Luca, il quale sta ancora fulminando Marco con gli occhi, con la mascella contratta e i pugni serrati.

-Mi vuoi spiegare come hai fatto a stare con uno come lui?! – dice infine, voltandosi verso di me, ancora visibilmente alterato.

-Una volta non era così… - spiego malinconicamente, ripensando ai bei tempi andati. –Ma che ne dici se adesso ci calmiamo un po’? – chiedo, parlando piano, dolcemente, come sono abituata a fare con i bambini in oratorio dopo i loro lunghi pianti o le lunghe sclerate.


-Sì, scusami. – risponde, cambiando immediatamente tono di voce ed espressione.

-Perché l’hai fatto? Non centravi in questa storia. Ti tirerai addosso l’antipatia di tutti gli amichetti di Marco… -.

-Non mi interessa. Non doveva trattarti in quel modo! Non resisto davanti a individui del genere. Se pensi che abbia esagerato, mi dispiace, ma… -.

-No no. – lo interrompo – Stavo pensando le stesse identiche cose… Però non capisco perché tu l’abbia fatto: mi conosci da poche ore… -.

-Te l’ho detto: voglio esserti amico e non permetto che i miei amici vengano trattati in quel modo. – dice, fissandomi con una sincerità disarmante.

-E mi hai già salvata due volte. Mi chiedo come riuscirò a ricambiare. -.

-Che ne dici se mi permetti ufficialmente di esserti amico e quando ci dobbiamo fermare per il musical pranziamo insieme? -.

-D’accordo, affare fatto. -. Gli sorrido, profondamente grata per tutto ciò che ha fatto per me in queste poche ore.

Finalmente la riunione di presentazione ha inizio. A tenere il corso sono due professori, un uomo e una donna: il primo si occupa della parte canora, mentre la seconda della recitazione. Dopo un veloce giro di nomi per consentire a tutti di conoscersi e sentirsi più a proprio agio, ci viene spiegato il tema dello spettacolo di quest’anno. A differenza dei precedenti musical, basati su opere famose, tratti da capolavori Disney, americani e anche di Shakespeare, questo sarà uno spettacolo originale, basato su un copione scritto da un’ex alunna, che lo ha gentilmente regalato ai professori per poterlo rappresentare al liceo. È in sostanza una commedia romantica, in cui non mancheranno situazioni buffe e divertenti, ma il cui messaggio finale, profondamente vero, è che a volte amare una persona significa avere il coraggio di lasciarla andare. Il tutto naturalmente sarà accompagnato dalla musica e a ogni personaggio principale corrisponderà una voce canora. Detto questo, i professori ci scrutano curiosi, come se già pensassero a quale parte assegnarci. Poi fanno la domanda fatidica:

-Bene, per cominciare… Chi fra i nuovi arrivati vuole cantare? -.

Il silenzio cala nella stanza, mentre io e Luca alziamo timidamente la mano, attirando l’attenzione generale: evidentemente il canto non è poi così gettonato nel nostro liceo…

-Perfetto! Ragazzi, vi va di farci sentire ognuno una canzone, quella che volete, così ci facciamo un’idea della vostra voce? – ci chiede la prof sorridendo eccitata. Come se avessimo scelta…! La libertà a scuola è un concetto molto relativo effettivamente.

-Naturalmente prima le signore! – aggiunge il professore, facendomi l’occhiolino. Se pensa di farmi un favore si sbaglia di grosso! Sono terrorizzata! Ma, appunto, non ho molte alternative…
Gli faccio un mezzo sorriso, tanto per essere educata e nascondere un minimo la mia agitazione. Lancio un’occhiata preoccupata a Luca, il quale mi sorride rassicurante. Poi mi alzo e dirigendomi verso il piccolo palchetto, davanti a tutti, penso a quale brano potrei cantare… La mia mente ha scelto il momento decisamente sbagliato per andare in standby! Ma appena poggio il piede sul gradino del palchetto, una lampadina si accende nella mia testolina: ho trovato la canzone che più mi potrebbe rappresentare in questo momento, ciò che può mostrare la rivoluzione che sta avvenendo dentro di me da questa estate.

Chiudo gli occhi, prendo un grande respiro e… canto.
E di chi sarà il coraggio allora se non sarà il mio?
Se si spegne quella luce resto io.
Di chi è la più profonda decisione?
Al di là dei sogni appesi a una canzone
Oggi riconosco il suono
Della voce di chi sono
E mi fido di un passato carico di ingenuità
Di chi va dallo stupore a un’altra età
Perché quando sembra tutto poco chiaro
Se mi fermo alla ricerca di un pensiero
Scopro in uno specchio il cielo
E la geografia del mio cammino
Da me
Torno da me
Perché ho imparato a farmi compagnia
Dentro di me
Rinasco e frego la malinconia
Bella come non mi sono vista mai, io mai
Fianco a fianco il mio destino
Scritto nelle linee della mano
L’uragano che mi gira intorno
Sono solo io
Vedo la speranza in fondo a quell’oblio
Il difetto è l’esperienza che non ho ancora
Ma non me ne prendo cura
Non ho più paura
Da me
Torno da me
Perché ho imparato a farmi compagnia
Dentro di me
Ripeto una bestemmia e una poesia
Bella come io non l’ho sentita mai, io mai
Occhi dritti all’orizzonte
sull’asfalto lascio le mie impronte
Cos’è la solitudine?
Cos’è?
Ho voglia di deciderlo
Da me
Da me
Torno da me
Da me
Per non andarmene più via
Torno da me
Scopro in uno specchio il cielo
E la geografia del mio cammino
Del mio cammino.

Cantare questo brano di Laura Pausini ultimamente mi dà una carica incredibile! Mi fa sorridere in un modo così solare, aperto, spontaneo… Così poco da me, o almeno, così poco da “vecchia Clara”. È assurdo come io mi senta esattamente nel modo descritto dalla canzone. Mi sembra di poter affrontare qualsiasi cosa, di potermi mettere in gioco, anche in situazioni che prima avrei accuratamente evitato – ne è un esempio anche solo il musical -, e la mia voglia di vivere e di essere felice è al massimo, potrei toccare il cielo con un dito.
Mentre canto, il mondo attorno a me scompare: ci siamo solo io e la mia voce pulita, classica, direbbe qualcuno. Amo portarla alle note più alte, metterla alla prova, sempre di più; sentirla limpida, dolce, gioiosa, ma forte, come il brano, con il suo significato, richiede.
Quando anche l’ultima nota si spegne, sorrido tra me e me, felice, perché avevo davvero bisogno di cantare, ma solo ora mi ricordo che non ho cantato solo per me stessa, come al solito, bensì per un’intera aula magna! Il silenzio è calato, osservo i visi dei ragazzi, stupiti, in particolare quello di Marco, il quale mi fissa come se mi stesse vedendo per la prima volta, e finalmente giungo a Luca, che ha un grandissimo sorriso stampato in volto, gli occhi scintillanti e un pollice alzato: allora è andata davvero bene! Non me lo sono immaginata! Immediatamente vi è uno scroscio di applausi e i professori mi si avvicinano contenti.

-Bravissima, davvero! Mi hai fatto venire la pelle d’oca! Si vedeva proprio che quelle parole le vivi dentro di te. – si complimenta con me la professoressa, facendomi arrossire.

-Grazie, era proprio quello che volevo trasmettere. -.

-Spero che il tuo compagno sia alla tua altezza. – continua il prof, mentre Luca si è già alzato e mi si sta avvicinando. Scendo dal palchetto e, passandogli di fianco, gli tocco lievemente la spalla e gli sussurro:
-Ne sono sicura… Ma tu stupiscimi! – e ci sorridiamo a vicenda.

Mi risiedo al mio posto, ringraziando alcuni dei ragazzi che si stanno ancora complimentando con me. Intanto Luca si è fatto prestare la chitarra dal prof e si è seduto comodamente su una sedia. Lui sembra più rilassato di me mentre incomincia a suonare un motivo allegro.

If I go before I say,
To everyone in my ballet.
Let me take this chance
To thank you for the dance.
If I run out of songs to sing,
To take your mind of everything.
Just smile,
Sit a while with
The sun on your face and
Remember
The place we met.
Take a breath and soon
I bet you’ll see.
Without you I would never be me.
You are the leaves of my family tree.
Sing together
If you knew me from the very start,
Or we met last week at the grocery mart
Just,
Sing together
It’s the least that I can do,
My final gift to you.
When I’m past the pearly gate,
I will find some real estate.
We can settle down and
Watch the world go round.
We’ll send down all the love we got
And let them know we got a spot.
For them to be
And it’s all free.
The sun in your face
And remember the place we met.
Take a breath and
Soon I bet you’ll see.
Without you I would never be me.
You are the leaves of my family tree.
Sing together
If you knew me from the very start
Or not at all you’re still a part just,
Sing together
It’s the least that I can do.
My final gift to you.

Appena riconosco la canzone dei Train, “Sing Together”, non posso fare a meno di ridere: non c’è canzone più azzeccata in questo contesto. In fondo è proprio questo ciò che si chiede ad una compagnia teatrale, di lavorare insieme, collaborare e divertirsi. Oltre a ciò non posso fare a meno di rimanere incantata dalla voce di Luca, limpida, calda, coinvolgente e incredibilmente alta. In una parola, spettacolare! Tutti i nostri compagni hanno cominciato a cantare insieme a lui, battendo le mani, anche i professori, mentre lui, per tutta la canzone, guarda me, ammiccando, come se volesse dirmi “Cantiamo insieme”, con quegli occhi a cui è impossibile dire di no. E alla fine canto anch’io, divertendomi come non facevo da tempo.

Alla fine delle due ore di laboratorio usciamo finalmente all’aria aperta. Luca è di nuovo accanto a me, ancora più sorridente di prima.

-È stato fantastico! Hai visto come ci hanno applaudito?! E i prof?! Quando hanno detto che avevano trovato le voci per i due protagonisti! Cavolo, primo anno e già un ruolo del genere! -. È eccitato come un bambino sulla giostra ed è anche contagioso, tanto che non riesco a smettere di sorridere anch’io. Ha proprio ragione: è stato incredibile e non sono affatto pentita della mia scelta.
Intanto scorgo la macchina di mia mamma, ferma ad aspettarmi.

-Beh, io devo andare adesso… - dico timidamente.

-Oh certo! Aspetta: ti dò il mio numero. – dice prendendomi di mano il cellulare e inserendolo velocemente in rubrica.  – Se hai bisogno, per qualsiasi cosa, chiamami o scrivimi o comunque sai dove trovarmi. -. Mi guarda un po’ in imbarazzo, restituendomi il telefono e sfiorando leggermente la mia mano.

-Va bene, ne farò buon uso. Grazie mille, per tutto. -. Sto per voltarmi e andarmene, quando mi viene in mente un’altra cosa: - Tu prima hai detto che io sono speciale… beh penso lo stesso di te. Non sono tanti i ragazzi che si sarebbero comportati così con me, fin dall’inizio. Sei davvero un ragazzo speciale. – e, senza aspettare risposta, corro verso la macchina. Quando mia mamma mette in moto lui è ancora fermo dove l’ho lasciato, a guardarmi sorpreso.

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Capitolo 5
*** Volevo dirti ***


È passato solo un giorno dal primo incontro del musical e l’adrenalina mi scorre ancora nelle vene. Questa mattina non ho fatto fatica ad alzarmi, anzi, ero quasi felice di scendere dal letto e di andare a scuola. Sono più serena, più gentile del solito e uno strano entusiasmo mi invade. Mi riconosco a stento, ma la cosa mi piace: normalmente sono sempre così seria… Non mi sopporto nemmeno io!
E poi… devo ammettere che spero di rivedere presto Luca. Il modo in cui ieri si è comportato con me… Non posso negare quanto mi abbia colpito. Desidero conoscerlo meglio, essergli davvero amica e sdebitarmi con lui per l’aiuto che mi ha dato.
Guardo fuori dalla finestra, mentre mancano pochi minuti al suono della campanella dell’intervallo: un caldo raggio di sole colpisce il mio banco, trasmettendomi un dolce e piacevole tepore; la luce illumina di mille sfumature le foglie degli alberi, che a poco a poco si stanno ingiallendo. Ormai è autunno, anche se dalle temperature non si direbbe, ma ben presto sappiamo bene che sarà tempo da piumino e sciarpa. Da queste parti tanto è caldo e afoso d’estate, tanto è freddo e umido d’inverno, con quel gelo antipatico, che si diverte a penetrarti nelle ossa.

Con un trillo lungo e squillante la campanella suona e la classe, precedentemente in coma vegetativo, si rianima. Le mie compagne incominciano a parlare ad alta voce, a mangiare, ad uscire… Ultimamente, senza le mie amiche più grandi a scuola, trascorro questo quarto d’ora in classe, abbandonata sul banco, ma oggi questa prospettiva mi annoia troppo e decido di fare un giretto per la scuola, giusto per curiosare un po’ in giro e sgranchire le gambe, anche se questo vorrà dire che dovrò destreggiarmi tra la marea di adolescenti che invadono i corridoi del liceo. Normalmente basterebbe questa idea a farmi desistere dal farmi allontanare dalla mia sedia, ma oggi proprio no. Esco dalla mia classe ed esattamente davanti ad essa, appoggiato svogliatamente con le spalle al muro, trovo Marco, il quale, notandomi, si raddrizza, mi sorride incerto e mi si avvicina.
“Mi stava aspettando?” penso sorpresa, non sapendo bene come comportarmi.

-Ehi… - comincia lui, tenendo gli occhi bassi.

-Ciao Marco. -. Scelgo di mantenere un tono sereno, ma distaccato. Non sono una persona che serba rancore, ma ciò che mi ha detto ieri mi ha ferita. Pensare che lui mi consideri quel tipo di ragazza fa davvero male.
Come se mi avesse letto nel pensiero, Marco tira cautamente fuori l’argomento: - Riguardo a ieri… -.

-Sì? – lo incoraggio, curiosa di sentire quale giustificazione si è inventato stavolta.

-Mi dispiace. Mi dispiace tanto. -. Ok… Questa non me l’aspettavo. Lui che chiede scusa a me? Dove sono le telecamere? Perché non può essere vero, non ci credo!
-Ho detto delle cose orribili senza pensare. So benissimo quanto sei stata male e quanto deve essere stato difficile voltare pagina e so che è stata anche colpa mia… Non avrei dovuto rivolgermi a te in quel modo. Sono stato un grandissimo stronzo e il tuo amico ha fatto bene a rimettermi in riga. Ringrazialo da parte mia… Spero sarà possibile ripartire con il piede giusto e diventare amici… -.

Lo guardo in silenzio per un istante, ancora incredula. Non mi aveva mai chiesto scusa di persona ed era da tanto che non metteva da parte il proprio ego per qualcuno. Sono piacevolmente stupita da questo suo improvviso cambio di rotta.
-Sì, effettivamente sei stato poco carino, ma, conoscendoti, so quanto ti sia costato venire qua a chiedermi scusa in questo modo, per cui non posso ignorare la cosa… Per quanto riguarda Luca, metterò una buona parola per te, ma penso che dovrai fare lo sforzo di parlare così anche con lui. -.

-Farò anche questo sforzo. In fondo sono io in torto, è il minimo. – mi sorride, più sollevato. –Comunque era da tantissimo che non ti sentivo cantare e non mi ricordavo fossi così brava! - esclama cambiando argomento.

-Beh… Sono intonata, niente di eccezionale… - ribatto imbarazzata dal suo inaspettato complimento.

-Non sminuirti. Sei stata davvero fantastica ieri! Quest’anno la parte musicale sarà qualcosa di speciale… Ne sono sicuro. -.
Non sono sicura al cento per cento che Marco non abbia la febbre, ma cerco di non far trapelare la mia perplessità (e soprattutto reprimo l’istinto di mettergli una mano sulla fronte per misurargli la temperatura) e semplicemente gli sorrido:
-Grazie, davvero. Non sai quanto mi faccia piacere sentirti dire certe cose… Adesso devo andare. Se vuoi ci sentiamo… -.

-Sì, certo. Scusa se ti ho trattenuta, però mi sembrava giusto dirti queste cose il prima possibile. Ciao! – e detto ciò si allontana, con le mani nelle tasche.

Io proseguo la passeggiata che mi sono prefissata, scendendo le scale e attraversando il secondo piano, persa nei miei pensieri. Non avevo mai visto Marco sotto questa luce, neanche mentre stavamo insieme. Le sue scuse, però, mi rendo conto che mi hanno fatto bene: mi sento molto più leggera… Negli anni ho ingoiato tanti di quei bocconi amari, i quali non hanno mai cessato di pesarmi, ma ora sembrano scomparsi, come se non siano mai esistiti. Non so se sono pronta a perdonarlo, mi ha fatto troppo soffrire, ma è già un passo avanti.
Sorrido tra me e me soddisfatta, ma, distratta come sono, vado a sbattere contro qualcuno. Sto alzando la testa per implorare il perdono del povero malcapitato, quando sento una voce famigliare:
-Ma allora è un vizio! -.

-Luca! – esclamo, incontrando il suo sguardo divertito –Santo cielo, non è possibile! Adesso ti sembrerò una di quelle persone imbranate di cui parlavi ieri. -.

-Mmm… è ancora presto per dirlo. – risponde il ragazzo ridendo – Per ora mi sembri solo un tipo piuttosto pensieroso. -.

-Effettivamente è così. – ammetto, portandomi dietro l’orecchio una ciocca di capelli ribelle – Ho solo appena parlato con Marco e ci stavo ripensando. -.
Lo sguardo di Luca si fa immediatamente più duro.
-Ti ha detto ancora qualcosa di male? Questa volta non sarò buono come lo sono stato ieri! -.
-Ehi, ehi, non scaldarti! Non ha fatto nulla, al contrario mi ha chiesto scusa, lo ha chiesto anche a te, ma penso che te ne parlerà poi lui. E poi mi ha fatto tanti complimenti per la mia voce… Mi ha molto sorpresa… Era da molto che non era così gentile con me. – spiego, abbassando lo sguardo malinconicamente.
-Tu sei ancora… - inizia a chiedermi, improvvisamente serio, lasciando però in sospeso la domanda. Non c’è bisogno che la termini: so esattamente cosa vuole dire.
-No, assolutamente no. Da tempo mi sono stancata di correre dietro alle sue lune storte. -.
-Menomale. – esclama Luca, come sollevato dalla mia risposta – Cioè, lo dico per te. Ragazzi del genere fanno solo stare male. – si corregge, mettendosi una mano dietro la nuca, imbarazzato.
-Non posso dire che tu non abbia ragione. – dico ridendo, cercando di alleggerire il suo disagio – Penso sia ora che torni in classe. Scusami ancora! -.
-Non preoccuparti. Non è così male quando delle ragazze carine ti cadono addosso. – e detto questo si allontana velocemente, salutandomi con la mano, ma faccio in tempo a scorgere il suo viso arrossire vistosamente, proprio come il mio.
Quindi lui pensa che io sia carina… O oggi è scoppiata un’epidemia di febbre in questo liceo o davvero non so cosa stia succedendo. “L’avrà detto solo per dire, per essere gentile e fare una battuta.” penso. Eppure resto imbambolata a fissare la sua schiena allontanarsi. Mi riscuoto solo quando anche Luca si volta, come se fosse consapevole del mio sguardo fisso su di lui. Immediatamente mi volto e risalgo al terzo piano, attendendo il suono della campanella ascoltando distrattamente i discorsi delle mie compagne.

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Capitolo 6
*** Paura di Volare ***


~~I giorni trascorrono sereni e super-indaffarati, fra verifiche, interrogazioni, studio pazzo, mille impegni in oratorio e naturalmente gli incontri per la preparazione del musical. Come promesso, ogni settimana pranzo con Luca, quando le giornate sono belle sulla nostra panchina soleggiata, quando piove in una delle nostre due classi. È diventata una piacevole abitudine, che mi fa sentire meno sola in questa scuola, che, da quando le mie amiche sono all’università, mi sembra tanto triste. Inoltre ho l’opportunità di conoscere meglio questo ragazzo così intrigante. È diverso da tanti ragazzi che conosco e che frequentano il liceo: pur arrivando da una grande città come Milano ed essendo chiaramente attraente, è una persona semplice, modesta, che non si cura affatto dell’apparenza e, anzi, non sopporta i tipi vanitosi e snob. È solare, allegro, premuroso e inaspettatamente goffo e impacciato in alcune occasioni. Fa battute, mai volgari, e cerca di essere spontaneo, ma si vede che, come me, combatte con una forte timidezza e vi riesce, molto meglio di me.
Ma è il suo amore per la musica a colpirmi particolarmente, forse perché sembra tanto simile al mio. Canta meravigliosamente e suona sia la chitarra che il piano. Si capisce che non è un principiante, deve aver studiato per svariati anni, ma ciò si è rivelata una fortuna, infatti mi ha insegnato la postura corretta per permettere alla mia voce di uscire più piena possibile e tutti quegli strani esercizi di riscaldamento, per non rischiare di rimanerne senza dopo quattro canzoni. Cantare insieme a lui è davvero stupendo, sia perché le nostre voci sembrano mescolarsi in un’armonia dolcissima, sia perché mi spinge a dare il massimo, a superare i miei limiti, a raggiungere con disinvoltura note che prima toccavo con voce tremula e sottile.
Per quanto riguarda Marco… beh, con mia grande sorpresa, ha chiesto scusa a Luca, il quale, dopo un attimo di silenzio e di sguardi ancora infuocati, gli ha stretto la mano in segno di pace. Seppur con qualche difficoltà iniziale, poiché Luca non sembrava fidarsi troppo di lui, i due ragazzi hanno iniziato a costruire qualcosa di simile a un’amicizia. Passano diverso tempo insieme a chiacchierare, scherzare e a prendere bonariamente in giro la sottoscritta per la mia goffaggine. E pensare che all’inizio sembrava dovesse scoppiare una rissa tra quei due!
Con me il rapporto sembra essere decisamente più sereno, ma ancora non parliamo molto, forse è troppo tempo che non lo facciamo e le cose da dirci sono così tante che sceglierne una da cui cominciare è un’impresa troppo ardua per entrambi. Confido nel fatto che prima o poi il discorso verrà fuori da solo e che le divergenze, le incomprensioni, possano appianarsi per permettere a un’amicizia di rinascere dalle ceneri di un rapporto finito piuttosto male.

Siamo ormai a inizio novembre, il freddo inizia a farsi sentire, sempre più prepotente, e ormai io e Luca mangiamo sempre in classe, di fianco a un calorifero, anche se sono più le volte che non va che quelle in cui emana un minimo di tepore ristoratore.
L’incontro che ci attende è particolare: i professori ci hanno informato che devono darci un annuncio e tutti noi ragazzi non sappiamo se essere preoccupati o esaltati dalla cosa.

-Secondo te cosa avranno da dirci i prof oggi? – mi chiede Luca finendo di masticare l’ultimo boccone del pranzo e sedendosi sul banco davanti a me.
-Non ne ho idea… Spero non siano cattive notizie: diversi ragazzi non vengono più alle prove e non siamo moltissimi… - rispondo, portando le ginocchia al petto e appoggiandovi sopra la testa, stanca.

-Effettivamente è vero, ma non penso che si tratti di questo. Sono sicuro che la novità sarà positiva! – ribatte sorridendo, pieno del suo solito ottimismo. Poi addolcisce lo sguardo e allunga una mano per accarezzarmi i capelli. Apro gli occhi, appena chiusi per farli riposare un poco.
-Sembri esausta. Non starai esagerando un po’? Fai così tante cose… -.

-Non preoccuparti, ci sono abituata. E poi, anche volendolo, non riuscirei a rinunciare a nessuna delle cose che faccio: le amo tutte troppo. Ho solo bisogno di dormire un po’. -.

-Perché non vai a casa per oggi? Ti copro io con i prof. – mi propone, osservando con preoccupazione il mio viso stanco.

-Proprio oggi che ci devono dare grandi novità? Neanche per sogno! – esclamo – Tranquillo, non sto male. Quando ho scelto di partecipare al musical sapevo benissimo quali sacrifici avrei dovuto fare. Però sei molto dolce a preoccuparti così per me. – aggiungo sorridendo, notando il suo disappunto nello sguardo, ora tramutatosi in imbarazzo.

-Insomma… Sei mia amica… Ovvio che mi preoccupi… - biascica portando una mano alla nuca.

Rido divertita, beccandomi una sua occhiata sbilenca.
-Comunque mi è venuto in mente che prima delle vacanze natalizie ci sarà la Giornata della Cultura: forse ci parleranno di questo… -.

-Può darsi… Ma perché? -.

-Mmm… Non so. È solo un’idea. – rispondo incerta. In realtà so benissimo cosa potrebbe significare, ma l’idea mi mette troppa ansia per poterla prendere seriamente in considerazione. La faccia di Luca mi fa capire che non è convinto dalla mia risposta, ma stranamente non cerca di estorcermela.

Non è passato molto tempo che entriamo in Aula Magna. I professori sono già sul palchetto ad aspettare che arrivino tutti. Noi siamo fra gli ultimi a prendere posto. Dopo qualche minuto, infatti, incominciano a parlare:
-Buon pomeriggio, ragazzi! Come vi abbiamo preannunciato oggi ci sarà una bella novità! Sono sicuro che siate tutti molto curiosi di sapere di cosa si tratta… Lascio l’onore alla collega. – inizia il prof, lasciandoci tutti con il fiato sospeso.

-Sei proprio cattivo a lasciarli sulle spine! – continua l’altra guardandolo male. – Comunque, ragazzi, come sapete l’ultimo giorno di scuola prima della pausa natalizia si svolgerà la Giornata della Cultura. – “Oh, no.” Penso, rigirando il mio anello al dito, nervosa. –Bene, avremo un nostro spazio, qui in Aula Magna. In queste settimane prepareremo un piccolo spettacolo, soprattutto canoro, ma accompagnato anche da coreografie che TUTTI, compresi i cantanti, dovranno imparare. Metteremo su uno spettacolo molto in stile Glee! – conclude tutta eccitata. Nella sala esplodono i commenti entusiasti, mentre io mi sento morire: “Odio avere ragione” penso sprofondando sempre più sulla sedia. Di fianco a me sento Luca gemere e farfugliare: -Odio ballare… -. “Ah, perché sai fare anche questo?!”.

Il resto dell’incontro lo trascorriamo scegliendo quali brani cantare, mentre i ballerini incominciano a montare coreografie che poi insegneranno anche a noi e agli attori. Luca sembra essersi tirato su di morale, anzi, è pieno di energia e idee. E io che pensavo di avere un compagno nella mia depressione… Ora sembra il più preso da tutta la faccenda. Io cerco di lasciarmi trascinare dalla sua eccitazione, ma la preoccupazione si è impossessata di me e figurarsi se lui non se ne accorge! Mentre ci prepariamo per uscire mi si avvicina, si appoggia a una sedia e mi scruta, come in attesa che gli dica qualcosa.
Sospiro alzando gli occhi al cielo e chiedo:
-Devi dirmi qualcosa? -.

-Tu lo sapevi, vero? O almeno, avevi sospettato che si trattasse di questo. -. Mi ha beccata, accidenti…

-Sì… - rispondo incerta.

-E perché prima non mi hai detto nulla? E non mi dire perché non ne eri sicura. – dice guardandomi severamente prima che possa ribattere.
L’opzione più semplice è arrendermi: tanto in un modo o nell’altro prima o poi riuscirà a farmelo dire comunque.

-Perché l’idea mi spaventava troppo. – affermo alla fine, risedendomi. –Te l’ho detto: non amo mettermi in mostra e l’idea di esibirmi in questo modo mi terrorizza. Non sono per niente abituata! Sono troppo timida e goffa per poterlo fare. Speravo di riuscire a migliorare pian piano per il musical, ma così presto… Non so se ce la faccio… - Abbasso gli occhi, piena di vergogna.

-Ehi, non c’è bisogno di vergognarsi. È naturale avere paura del palcoscenico, soprattutto le prime volte. – mi rassicura, poi afferra delicatamente il mio mento fra indice e pollice e lo alza affinché i nostri occhi si incontrino. I suoi zeffiri blu mi lasciano ancora una volta senza fiato, con la sensazione di potermici perdere dentro. –Clara, fidati della tua voce. È splendida, tu sei splendida. Andrà tutto bene. – Sono sicura che il mio viso sia rosso porpora in questo momento, ma non provo neanche a muovermi: sono incatenata al suo sguardo. –Ti aiuterò, anche con il ballo se necessario, per quanto non lo sopporti. Qui però c’è bisogno di una terapia d’urto e ho già in mente qualcosa decisamente in stile Glee. – La sua espressione birichina non promette nulla di buono… - Settimana prossima c’è un’assemblea d’istituto, vero? – Annuisco. Dopodiché si allontana per parlare con i professori. No, la sua espressione non mi piace affatto.

Anzi, onestamente la odio!
Siamo stati convocati per un incontro straordinario del musical e gli insegnanti ci hanno lanciato un’altra bomba: settimana prossima, prima dell’assemblea di istituto in palestra, ci esibiremo in un brano coreografato.
-Questa è un’occasione per rompere il ghiaccio e affrontare la paura del palcoscenico. Faremo vedere a tutta la scuola cosa sapete fare! Inoltre è una buona occasione per fare pubblicità al laboratorio: chissà, magari a qualcuno vedendovi verrà voglia di unirsi a noi! -.
La nausea mi assale: era questo che intendeva Luca con terapia d’urto?! Altro che occasione per fare pubblicità, è la volta buona che faccio una figuraccia davanti a tutto il liceo!
-Bene, ora mettiamoci al lavoro! Abbiamo tanto da fare e poco tempo per cui dobbiamo essere efficienti. La canzone è Don’t Stop Believing e i nostri solisti saranno ovviamente Clara e Luca. -.
“Almeno conosco la canzone…” penso alzandomi dalla sedia e avvicinandomi a Luca, fulminandolo con lo sguardo. Appena vede la mia espressione indietreggia intimorito.
-Sospettavo non ti sarebbe piaciuta la novità… -.

-Ah sì? – ribatto, incrociando le braccia al petto e avvicinandomi ancora a lui.

-In mia difesa, questo era l’unico modo per farti affrontare la tua paura. – Devo ammettere che non ha tutti i torti. Potrebbe anche aiutarmi…

-Ok, potresti avere ragione, ma avresti potuto consultarmi. – dico addolcendo appena il tono.

-Per sentirmi dire di no? – ribatte lui, smettendo di indietreggiare. Sto per rispondere che non è vero che avrei rifiutato la proposta così, ma ancora una volta devo ammettere che ha ragione.

-Uff… è inutile discutere con te… Alla fine hai sempre ragione tu. – Ride alla mia espressione scocciata. – La canzone l’hai scelta tu? -.

-Ovviamente. Ti piace? -. Gli sorrido.

-Tantissimo. -.

-Ne ero sicuro. – dice, facendomi l’occhiolino.

-Ma non pensare che questo basti a farti perdonare! – esclamo facendo la finta offesa. Ride ancora e poi mi passa i fogli con testo e spartito. È ora di mettersi a lavorare e devo dare il meglio di me se non voglio fare una brutta figura.

Angolo dell'Autrice

Ehi! Sono Marta, l'autrice di questo racconto.
Mi scuso per non essermi fatta viva prima, ma finisco per pubblicare i capitoli sempre ad orari indecenti e non ho mai le forze di aggiungere altro... Sorry!!!
Spero che per adesso il racconto vi stia piacendo! 
Lo considero un po' il mio bimbo, ci sono molto affezionata, soprattutto perchè ci ho messo dentro tanto della mia vita (in particolare quanto riguarda il mio amore per il canto).
Spero davvero che tutto ciò si possa percepire dal testo e mi piacerebbe che anche voi mi daste qualche vostra impressione sulla storia. Ne sarei  davvero felice!
So che devo migliorare tanto, ma spero prima o poi di poter pubblicare qualcosa di ciò che scrivo...
Grazie di cuore a chi sta leggendo il mio racconto e a chi vorrà lasciare una recensione!

Buon Ferragosto a tutti!
Marta

 

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Capitolo 7
*** Don't stop believing ***


Tutta la settimana trascorre come se stessi camminando su un filo teso fra due montagne: devo conciliare tutti i miei impegni extrascolastici con lo studio e le massacranti prove del musical. Ho scoperto che cantare e ballare contemporaneamente è tutt’altro che semplice. Poi, con la grande coordinazione che mi contraddistingue imparare la coreografia decentemente è stata un’impresa. In più ho dovuto combattere con l’ansia sempre più grande mano a mano che il giorno dell’assemblea si avvicinava. Luca è stato fantastico, ha cercato in tutti i modi di tranquillizzarmi… Ho finto che stesse funzionando per non farlo preoccupare ulteriormente, ma in realtà la paura si è ormai impossessata di me. Il problema più grande? Beh… Sono nel corridoio degli spogliatoi della palestra, sui gradoni sopra di me è seduto l’intero corpo studentesco del Liceo Sereni, fra una manciata di minuti devo cantare e penso che potrei avere un attacco di panico da un momento all’altro.
Faccio dei respiri profondi, ma non riescono a calmarmi. Le mani tremano incessantemente e le gambe potrebbero benissimo essere fatte di gelatina da come le sento cedere sempre più.
Alle mie spalle sento dei passi: sarà sicuramente Luca con un discorso d’incoraggiamento che in questo momento non voglio proprio sentire.

-Luca, fra poco incominciamo. Vai al tuo posto e non pensare a me, sto benissimo. – La mia voce trema come una foglia… Non prendo in giro nessuno.

-Non sono Luca e non mi sembra che tu stia bene. – dice una voce che riconosco immediatamente.

-Marco! Cosa ci fai qui? – esclamo voltandomi verso il ragazzo che intanto si fa sempre più vicino.

- Luca mi ha detto che ha organizzato questo per te. Adesso è in ostaggio dai prof per gli ultimi dettagli, sono venuto in sua vece a vedere come stavi. In questi giorni ho notato che eri presa dall’ansia, ma non pensavo fino a questo punto. -.

-Ti prego non dirgli niente! Sarebbe capace di mandare all’aria tutto sapendomi in questo stato! – lo imploro con voce strozzata.

-Non è quello che vuoi? – chiede a bassa voce. È vero, fino a qualche giorno fa esibirmi era l’ultima cosa che avrei voluto fare, ma ora…

-No, non dopo tutto il lavoro fatto. Io devo affrontare questa mia stupida insicurezza! – affermo risoluta. Marco mi sorride, poi mi prende per le spalle:
-Allora rilassati. Andrà tutto bene. Devi solo cantare e questo ti viene decisamente bene. Dovresti fidarti di più della tua voce. -.
Mi divincolo dalla sua presa e lo guardo con occhi infuocati:

-Perché me lo dite tutti?! Piantatela! Odio tutte queste aspettative… Potrei benissimo stonare, dimenticarmi le parole o sbagliarle. Ecco adesso sto andando di nuovo in paranoia! Potrei anche sbagliare i passi della coreografia e fare un disastro completo! – Sto sclerando lo so, ma non ci posso fare niente. – Non voglio rovinare il lavoro di tutti! –
Come se si fosse trattenuto fino a quel momento, di slancio Marco afferra con entrambe le mani il mio viso e mi bacia, interrompendo il mio delirio. È una bacio breve, ma sufficiente a mandarmi in tilt il cervello. Non faccio in tempo a dire una parola o ad allontanarlo che ha già spezzato il contatto ed è davanti a me, con un sorriso divertito sulle labbra.

-Così avrai qualcos’altro a cui pensare. – dice semplicemente, prima di allontanarsi verso una delle uscite degli spogliatoi.
 
Non ho il tempo materiale per riprendermi dallo shock che sento partire la musica. La mia attenzione ritorna immediatamente su ciò che dovrò fare, ma l’ansia sembra essersi decisamente attenuata. Evidentemente Marco non si sbagliava sull’effetto della sua azione… Passo le mani sulla gonna, metto a posto il microfono e mi incammino verso l’uscita centrale degli spogliatoi. Poi sento la voce di Luca irrompere nel silenzio che si è creato in palestra…

Just a small town girl
Living in a lonely world
She took the midnight train going anywhere.

Prendo una gran boccata d’aria ed esco alla luce della palestra, cercando con lo sguardo Luca.

Just a city boy
Born and raised in south Detroit
He took the midnight train going anywhere

Lui mi guarda con occhi brillanti, rassicuranti e pieni di entusiasmo. Mi guida fino al centro della palestra, dove ci raggiungono i nostri compagni di laboratorio, e mi fa fare un’elegante giravolta. E io volo in un’altra dimensione, dove nessuno ci sta guardando e non devo avere paura di nulla. Devo solo cantare…

A singer in a smoky room
The smell of wine and cheap perfume
For a smile they can share the night
It goes on and on and on and on

Strangers waiting
Up and down the boulevard
Their shadows searching in the night
Streetlight people
Living just to find emotion
Hiding somewhere in the night

Working hard to get my fill
Everybody wants a thrill
Payin' anything to roll the dice
Just one more time

Some will win, some will lose
Some are born to sing the blues
Oh, the movie never ends
It goes on and on and on and on

Strangers waiting
Up and down the boulevard
Their shadows searching in the night
Streetlight people
Living just to find emotion
Hiding somewhere in the night

Don't stop believin'
Hold on to that feelin'
Streetlight people
 

Don't stop believin'
Hold on to that feelin'
Streetlight people
Non so come riesco a non sbagliare alcun passo e, anzi, mi diverto a ballare con Luca, il quale si rivela un eccellente accompagnatore che sa guidarmi con dolcezza e fermezza contemporaneamente. È quasi naturale accompagnare le parole che sto cantando con il movimento del mio corpo, che sembra vibrare interamente al ritmo di ogni nota. Anche il mio cuore batte a tempo.
Quando anche l’ultima nota si dissolve nell’aria è come se mi fossi svegliata da un sogno. Gli applausi mi riempiono tutti in una volta le orecchie, stordendomi. Solo adesso mi rendo conto di essere in braccio a Luca. È così che la coreografia deve concludersi, ma inspiegabilmente ora la cosa mi mette a disagio, soprattutto con Marco che ci fissa, cioè mi fissa, insistentemente. Luca se ne rende conto e ci guarda stranito mentre mi fa appoggiare delicatamente i piedi a terra e incominciamo a dirigerci verso gli spogliatoi.

-Tutto a posto fra voi due? Vi guardate in modo strano… - mi chiede infine, dopo esserci cambiati ed esserci accomodati su uno dei gradoni per assistere all’assemblea.
Gli rispondo sottovoce:

-Prima dell’esibizione è venuto da me negli spogliatoi… - incomincio.

-Lo so, gliel’ho chiesto io. Mi ha detto che stavi bene. -.

-Beh, gli chiesto io di dirti così. In realtà ero sull’orlo di un attacco di panico… Scusami, non volevo farti preoccupare ancora di più e mandare all’aria tutto. – aggiungo vedendo il disappunto nel suo sguardo. – Ma non è questo il punto. Io stavo andando fuori di testa e per farmi calmare mi ha baciata. -.

-Cosa?! – esclama a voce forse troppo alta. Un paio di professori si voltano guardandolo male, lui borbotta delle scuse e si rivolge verso di me con uno sguardo a metà fra il preoccupato e l’arrabbiato.
-Dimmi che non lo hai ricambiato. – Il suo tono di voce fa capire che se dicessi qualcosa di sbagliato sarebbe capace di saltare al collo di qualcuno e azzannarlo.

-No, figurati. È stato così breve che non avrei avuto neanche il tempo di farlo, anche volendolo.  -.

-Gli chiedo di farmi un favore e se ne approfitta in questo modo. Anche dopo il discorsetto che gli ho fatto all’inizio dell’anno non ha ancora capito… -.

-Ehi, sta calmo! L’ha fatto solo per bloccare la mia crisi. Poteva scegliere altri metodi, vero, ma in fondo ha funzionato. Credimi, quel bacio non aveva alcun significato, né per lui né per me. L’importante è che siamo riusciti a mettere in scena un bello spettacolo, senza intoppi o crisi isteriche a metà canzone da parte mia. – sorrido e lui ride sollevato.

-Comunque dovrò fare con lui quattro chiacchere sui metodi di incoraggiamento. – Rido, tirandogli un amichevole gomitata e poi ci concentriamo sul tema dell’assemblea, o almeno ci proviamo.

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Capitolo 8
*** Il bene si avvera ***


Dopo l’imbarazzante episodio dell’assemblea d’istituto non ho più occasioni per poter parlare a Marco e chiedergli spiegazioni. Durante gli incontri siamo tutti troppo presi dal preparare lo spettacolo per la Giornata della Cultura e durante l’orario scolastico è impossibile incontrarsi, anche all’intervallo non riusciamo a incrociarci, sebbene ora esca dalla mia classe tutti i giorni per andare da Luca. Lo so di aver detto di essere sicura che il bacio fosse stato solo un modo per calmarmi, ma non è comunque un gesto da Marco, o forse sì… Mi è appena tornato alla mente un ricordo delle medie: Marco mi aveva lasciato da poco tempo, ma si ostinava a trattarmi con la stessa dolcezza di quando stavamo insieme. Mi prendeva la mano, mi chiedeva come stessi e io volevo solo che mi lasciasse in pace, però lui non si arrendeva e un giorno, fuori da scuola, mentre cercavo di allontanarmi da lui in tutti i modi, mi ha bloccato dandomi un bacio sulla fronte. Ma quel Marco ormai non esiste più e forse quel bacio era solo un suo piccolo rimasuglio…
A riscuotermi dai miei pensieri sono le mie compagne. Siamo sedute sui gradoni della palestra, aspettando che le ultime ritardatarie finiscano di cambiarsi per educazione fisica. Sono un po’ in disparte rispetto alle altre, ma riesco a capire perfettamente di cosa stanno parlando tutte assieme e appena riesco a cogliere il soggetto rimango pietrificata: stanno prendendo in giro una mia compagna che si trova ancora negli spogliatoi. Dicono che è strana, non capisce niente, che è antipatica e altre cose simili e ridono, come se parlare male di una persona tutte assieme fosse normale. Sento la bile salirmi su per la gola. Vorrei fare, dire qualcosa per farle smettere, ma rimango ferma, con l’espressione rabbuiata, semplicemente schifata dall’ipocrisia e dalla falsità delle persone, quelle stesse persone che poi sono tutte sorrisi appena la ragazza in questione entra in palestra. Tutto questo mi riporta alla memoria ricordi che preferirei cancellare…
Le ultime due ore di scuola sembrano non passare più, proprio quando l’unica cosa che voglio fare è allontanarmi il più possibile da quella classe. Finalmente l’ultima campanella suona e riprendo a respirare. È come se avessi trattenuto il fiato per tutto il tempo, neanche fossi in una stanza piena di appestati.
Dovrei incontrarmi con Luca per mangiare prima delle prove, ma il mio stomaco è chiuso, l’idea del cibo mi dà la nausea, e decido di uscire per una passeggiata nel giardino che liceo e Isis condividono, dimenticandomi di avvisare il mio amico dell’assenza. Spengo il cellulare, chiudo gli occhi, e respiro l’aria fredda di inizio dicembre, nella speranza che riesca sciogliere il nodo che sento in gola, ma che, al contrario, sembra crescere ancora di più.

So bene di non essere nelle condizioni di cantare, ma il senso del dovere ha il sopravvento sul buon senso e in fondo nutro il desiderio che cantare mi liberi dal peso che sento sul petto, faccia sfogare le mie cupe emozioni.
Entro in Aula Magna lievemente in ritardo e subito Luca mi viene incontro. Notando la sua espressione mi viene fulminea in mente l’idea che forse l’ho fatto preoccupare… Non avrei dovuto spegnere il cellulare…

-Si può sapere dov’eri finita?! Ti ho aspettato e ti ho chiamato un sacco di volte, ma avevi sempre il cellulare staccato! Hai idea di quanto tu mi abbia fatto andare in ansia?! -. È arrabbiato e non lo biasimo, eppure ora questo alimenta solamente la rabbia che già covo.

-Scusami, non mi sono sentita bene, non me la sono sentita di mangiare e mi sono scordata di avvisarti. – spiego cercando di calmarmi, contando mentalmente fino a 10, o forse 100… In fondo so benissimo che lui non ha alcuna colpa.

-Allora forse è meglio se vai a casa… - propone prendendomi delicatamente per un braccio e dirigendosi verso una sedia.
Non so cosa mi prenda, ma mi divincolo violentemente e sfogo ingiustamente la mia rabbia su di lui:
-No! Non voglio andare a casa, ce la faccio benissimo! Voglio solo cantare e tu non puoi impedirmelo! -.

-Ma Clara… -.

-Ho detto di no! Non c’è bisogno che ti preoccupi: non sono la tua ragazza e neanche una bambina incapace! Lasciami in pace! –.
Parlo a voce forse troppo alta, perché il silenzio cala nella stanza e l’attenzione di tutti e su noi due. Luca mi guarda, completamente spiazzato dal mio comportamento. Non riesco a leggere la sua espressione chiaramente: sembra in qualche modo deluso, o meglio ferito. Non ce la faccio a reggere il suo sguardo, la consapevolezza di ciò che ho fatto e i sensi di colpa incominciano a farsi strada. Sento le lacrime chiedere prepotentemente di uscire e non ho la forza di impedirlo. Mi volto e mi dirigo verso la porta. Faccio in tempo solo a sentire la voce di Marco dire che mi avrebbe seguito lui e Luca commentare acidamente con una frase del tipo: - Basta che non finisca come l’ultima volta. -.

Marco mi ritrova seduta sui gradoni della palestra, che si trova sopra l’Aula Magna, rannicchiata a singhiozzare.

-Cosa non capite della frase “lasciami in pace”? – chiedo esasperata appena si siede di fianco a me.

-L’hai detta a Luca, non a me. – risponde semplicemente, mettendosi più comodo. “Fantastico, non ha alcuna intenzione di andarsene”. –Bene, il tuo ex è in modalità psicologo per te. -.

-Molto professionale uno psicologo che bacia la paziente… - commento sottovoce.

-Non cambiare argomento! – mi ammonisce severo – Sono poche le volte in cui ti ho vista andare così fuori di matto dalla rabbia. In genere sei paurosamente controllata… -.

-Beh, hai scoperto che sono umana. Complimenti! -. Mi fulmina con lo sguardo.

-Questo lo sapevo già perfettamente. È per le tue compagne di classe, vero? -.
Abbasso lo sguardo.
-Lo prendo come un sì. Devono proprio averla combinata grossa questa volta per averti ridotto così… -.

-Mi hanno fatta arrabbiare, ok? Non voglio parlarne, scusami. Grazie per la consulenza, ma no. – gli dico fermamente.

-D’accordo, mi arrendo. Ma sai dove trovarmi nel caso. – alza le mani in segno di resa e mi sorride. Questo ragazzo… Era una caratteristica che mi piaceva di lui: non mi forzava troppo a parlare dei miei problemi, perché sapeva che quando sarei stata pronta gliene avrei parlato spontaneamente. Luca invece è tutto l’opposto, eppure mi piace anche lui, cioè il suo modo di fare, non fraintendiamo.

-Perché mi hai baciata? – chiedo. Quella domanda era lì sulla punta della lingua da giorni.

-Mi è sembrato l’unico modo per farti calmare. -.

-L’unico? – chiedo alzando un sopracciglio perplessa.

-Ok, non era l’unico, - ammette – ma il più efficace sì. Almeno… quando eravamo più piccoli funzionava sempre. – aggiunge con una punta di malinconia, che temo di essermi solo immaginata.
Gli rivolgo un tenue sorriso:

-E infatti ha funzionato. Non so se dovrei ringraziarti o tirarti uno schiaffo in ritardo. -.

-Nel dubbio potresti ricambiare il bacio. – propone ammiccando. Gli tiro un pugno sul braccio.

-Ok, ok, ho capito. Torni giù con me? – mi chiede speranzoso mentre si alza.

-No. Ho bisogno di stare un po’ da sola. Ti prego dì a Luca di non venire qua… Lo so che vorrà farlo a tutti i costi. Gli darò delle spiegazioni, ma non ora. -.
Appena Marco scompare dalla mia visuale, entro nei bagni degli spogliatoi, mi infilo in una delle porticine, la chiudo alle mie spalle e scivolo piano, fino a ritrovarmi seduta sul pavimento. Piango le ultime copiose e brucianti lacrime che mi pungono gli occhi. Solo dopo averlo fatto mi sento un po’ più leggera. Perdo la cognizione del tempo mentre sono lì dentro, sola con le mie lacrime e i miei pensieri. Alla fine lo spazio diventa troppo piccolo per poterli contenere tutti e mi decido a uscire. Senza guardarmi intorno apro un rubinetto e mi sciacquo il viso con dell’acqua fredda per porre rimedio ai miei occhi scandalosamente gonfi. Cerco qualcosa per asciugarmi e solo adesso mi accorgo dell’individuo appoggiato allo stipite della porta e che mi porge un fazzoletto di carta. Lo prendo, senza il coraggio di guardare il proprietario in faccia. Mi asciugo e butto il fazzoletto nel cestino, tutto in perfetto silenzio. Lui rimane lì, fermo, a guardarmi.

- È così difficile capirmi quando parlo? – chiedo infine senza alzare lo sguardo.

-In realtà è molto semplice. Basta fare il contrario di ciò che dici: hai detto di voler stare da sola, ma non è vero, hai bisogno di qualcuno più di qualsiasi altra cosa. – risponde Luca in tono neutro.

-Mi chiedo perché tu e Marco non abbiate fatto Scienze Umane: siete dei perfetti psicologi. – affermo sorpassandolo e ritornando a sedermi sui gradoni. Lui mi segue e si ferma in piedi davanti a me.

-Penso che tu mi deva delle spiegazioni. -.

-E fammi indovinare: non te ne andrai finché non te le darò. -. Il suo silenzio è già di per sé una risposta. – Senti, mi dispiace. Tu non centri nulla e non avrei dovuto trattarti in quel modo. Sono stata ingiusta. -.

-Marco mi ha detto che centrano le tue compagne. – allora sono queste le spiegazioni che vuole. Di sé stesso non gliene importa nulla… Per tutto questo tempo era solo preoccupato per me. Io che l’ho trattato così male… Ma che persona orribile sono?
Vedendo la mia ostinazione a non parlare Luca si altera:
-Maledizione, Clara, parla una buona volta. Non posso leggerti nella mente! Perché non ti vuoi aprire? Non ti rendi conto che a portarti dietro tutti questi pesi stai solo da cani?! Dammi l’opportunità di aiutarti, di alleviare anche solo un poco le tue sofferenze. – dice alla fine più dolcemente. Le sue parole mi portano nuovamente a piangere. Luca si siede vicino a me e mi abbraccia:
-Ehi, sono qui, tranquilla – mi sussurra e non riesco più a respingerlo: gli racconto ciò che è successo oggi.

-Io sono così stanca. Non ce la faccio più a sopportare questi atteggiamenti senza fare niente! Mi sono sentita così impotente… Avrei potuto dire qualcosa… -.

-No che non avresti potuto. Venti contro una: ti avrebbero massacrata. Non è colpa tua. – mi rassicura.

-Come si può essere così meschini? Non è normale, non dovrebbe esserlo… E quella povera ragazza… Se le avesse sentite? – mi prendo la testa fra le mani.

-Hai ragione, ma cosa avresti potuto fare da sola? -.

-Di certo molto più di quello che ho fatto per me stessa in passato! – sbotto alla fine.

-Non si tratta solo di oggi e della tua compagna, vero? – mi chiede.
Annuisco. Non ha più senso nasconderlo.

-Quando ero più piccola ero io al centro di certi discorsi. È orribile sentirsi così soli in mezzo alle persone, che ti evitano, ti guardano solo per prenderti in giro o quando fa comodo loro. Per il resto sei invisibile. -. I ricordi di quegli anni mi invadono. Chiudo gli occhi per scacciarli via. Luca ora mi guarda quasi con compassione. –Leva quell’espressione dalla tua faccia! Dopo anni sto facendo progressi per liberarmi dalle conseguenze di quegli eventi. Avevo perso la fiducia nelle persone; avevo nascosto me stessa per paura di essere giudicata ed essere ancora più invisibile. Mi sono uccisa per vivere la vita di un’altra… -.

-Ora si spiegano molte cose. -.
Sorrido mestamente.
-Beh, ora conosci tutti i miei fantasmi. -.

-Grazie per avermene parlato e scusami se ho insistito così tanto. A volte non mi rendo conto di quanto potrei ferire le persone comportandomi così. – si scusa abbassando lo sguardo imbarazzato.

-Non preoccuparti. Mi ha fatto bene, anzi, penso che fosse ciò di cui avevo più bisogno. – una lacrima solitaria mi scivola su una guancia, Luca la asciuga con il pollice, avvicinandosi a me più di quanto abbia mai fatto.

-Dai vieni qua. – mi cinge con un braccio e io appoggio la testa nell’incavo fra spalla e collo, accoccolandomi. – Ti va se ti canto qualcosa? -.
Annuisco. Lui mi cinge anche con l’altro braccio e inizia a cantare.

Ci sono anch'io.
Mi porto due lacrime scese in ritardo.
La strada più breve.
S'impara al ritorno.

Ci sono anch'io.
Ai bordi del campo ad alzare un saluto.
Ho corso per tutta la notte per dirti
che il buio è diverso dal vuoto.

È tutta per te.
È una cascata di pioggia scura.
Non smettere affatto di piangere forte.
Che il bene si avvera.

Allora stai.
Con quelli che stanno davvero con te.
Bagnati di rabbia di freddo e di amore.
Ma sotto il diluvio ci stanno per ore.

È tutta per te.
È una cascata di pioggia scura.
Non smettere affatto di piangere forte.
Che il bene si avvera.

È tutta per te.
È una cascata di pioggia scura.
Divertiti e piangi. Non smettere adesso.
Che il bene si avvera.

E non sai quanta bellezza
sta negli occhi disperati.
Stropicciati come te.

Ci sono anch'io.
In questo concerto di spine e di perle.
Tu ridi per quando hai tenuto la faccia
composta davanti alle sberle.

È tutta per te,
questa cascata di pioggia e fede.
Non smettere affatto di piangere adesso
che il mondo ti vede.
È tutta per te,
questa cascata di vita leggera
non smettere adesso di ridere e piangere
il bene si avvera. Il bene si avvera. Si avvera.

Mentre canta rido e piango contemporaneamente e le mie lacrime ricadono sulla sua maglietta, ma Luca sembra non farci caso.

-Grazie, sei un amico straordinario Luca e con una voce capace di riscaldare anche un iceberg. Io invece sono davvero un disastro… -.

-Non è vero. Sei fantastica anche tu e a cantare sei molto più brava di me. – controbatte tenendomi ancora abbracciata.

-Sei troppo modesto. – ribatto.

-Può darsi… Comunque mi è venuta in mente un’idea per avere una piccola rivincita sulle tue compagne… -.
Aggrotto le sopracciglia non troppo convinta.

-Le tue idee in genere comprendono la sottoscritta su un palcoscenico… Non mi fanno impazzire. -.

-Abbi un po’ di fiducia! E poi ormai hai superato la paura del palcoscenico. Non hai più bisogno dei baci di Marco – aggiunge in tono appena più risentito. È ancora arrabbiato per quella storia… -ma devi ammettere che le tue compagne hanno bisogno di una lezioncina. -.

-D’accordo. Tanto farai comunque quello che hai in mente. – mi arrendo.

-Esattamente. Tranquilla lascia tutto a me. Vedrai che spettacolo… -.

Dopodiché rimaniamo in silenzio, abbracciati ancora per un po’, come se ormai le parole fossero superflue e bastasse il solo lieve suono del nostro respiro per comprenderci. Alla fine Luca si alza e senza dire una parola mi tende una mano. Non ho bisogno di spiegazioni: so già che mi porterà a fare ciò che amo di più. Gli sorrido, la afferro e per il resto del pomeriggio nessuna lacrima solca più il mio viso.

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Capitolo 9
*** Try ***


È passato qualche giorno dalla mia scenata epica, è tardo pomeriggio e sono in oratorio a Luino aspettando che arrivino tutti i ragazzi di terza media per la festa di Natale che noi educatori abbiamo preparato per loro. Mi sono accoccolata a un termosifone e guardo fuori dalla finestra il cielo scurirsi sempre più. I ragazzi sono al bar a chiacchierare, sento le loro risate leggere e il suono di calcetti in azione in fondo al corridoio. Non avrei mai pensato che questo mi avrebbe dato un senso di pace così grande, eppure l’oratorio è diventato uno di quei luoghi in cui riesco a sentirmi completa, forse perché le persone che ho intorno mi vogliono bene per come sono, senza giudicarmi, e mi danno l’energia per andare avanti nella rivoluzione che sta avvenendo dentro di me. Tante cose sono cambiate, stanno cambiando e tante altre cambieranno… Ma probabilmente ciò che mi sta segnando più in profondità è proprio l’esperienza del musical, proprio quella su cui avevo più dubbi. Posso finalmente cantare senza contenermi per non infastidire i miei famigliari e posso farlo con persone che condividono la mia passione e mi stimolano a dare di più. Imparo a fidarmi sempre più della mia voce, delle sue capacità e questo è stupendo! Sento di poter fare qualsiasi cosa con essa, di poterla plasmare come argilla e infonderci ogni mia emozione. È un filo diretto con il mio cuore.
E poi c’è l’amicizia con Luca… Lui mi spiazza.

-A cosa stai pensando Clara? -. Faccio un piccolo salto per lo spavento voltandomi verso la sorgente della voce e quando in essa riconosco il don gli sorrido.

-Solo a quante cose sono cambiate in questi mesi. Sono decisamente più felice. -.

-E si vede! – dice dandomi un carezza sulla guancia – Non è che sei innamorata? Hai una certa luce negli occhi. – mi chiede poi, sorridendo divertito.

-No, no, credimi. Ho solo trovato dei buoni amici. – rispondo imbarazzata.

-Ti credo sulla parola, ma non ci sarebbe nulla di male se lo fossi. -.

-Lo so, ma riesco a stare bene anche da sola adesso. -.

-Questo è un bene, ma non vuol dire che non puoi lasciare una porticina aperta a certi sentimenti. -.

-Va bene, la lascerò aperta. -. Dopodiché il don mi dà un buffetto sul naso e va a fare qualche piccolo dispetto ai ragazzi. Io rivolgo ancora lo sguardo alla finestra con molte più domande e pensieri di prima.

 

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Capitolo 10
*** Loser like me ***


È arrivata la fatidica Giornata della Cultura: per tutta la mattina in varie aule si terranno laboratori tenuti da alunni, insegnanti ed esterni aperti a tutti i ragazzi. Negli anni le attività non sono variate molto, ma in genere sono interessanti, anche se dopo quattro anni ormai le hai viste tutte e l’entusiasmo scema un po’. È divertente invece vedere i ragazzi più piccoli, che magari è la prima volta che partecipano a una giornata del genere, curiosi e pieni di energia, girare per i corridoi del liceo.
Quest’anno però, per la prima volta, in una delle attività sono coinvolta anch’io e l’eccitazione è al massimo. Sono in Aula Magna e ho appena finito di cambiarmi. Mi stanno truccando e intanto con un mano stiro le pieghe del mio vestito al ginocchio, a maniche lunghe, e gioco con il tacco dello stivale e una gamba della sedia su cui sono seduta.
Appena posso alzarmi, mi vengono incontro Luca e Marco, stranamente insieme: dall’episodio del bacio nel loro rapporto è penetrata una sottile, ma forte tensione, che ora però sembra essersi dissolta. Sono tornati la squadra di prima a quanto pare.

-Fatti un po’ guardare Clara. – mi dice Luca, prendendomi poi una mano e facendomi fare un giro su me stessa.

-Perché quando stavamo insieme non ti vestivi così? – chiede Marco con il broncio.

-Forse perché avevo 13 anni ed ero leggermente piccola? – rispondo in tono ironico.

-Beh, non è comunque giusto… -.

-È solo il suo modo per dirti che stai molto bene e lo penso anch’io. – interviene Luca mettendo fine alla nostra scaramuccia.

-Grazie. Anche voi non siete niente male. -. In realtà per i maschi è più semplice: camicia e jeans e sono a posto…

-Vorrei farti notare che una volta tanto siamo anche pettinati. – commenta Marco. Effettivamente è vero… Il ciuffo di Luca è sistemato in modo da scoprire il viso e i suoi occhi blu sono più visibili che mai. Riescono a colpirmi più del solito con la loro limpidezza e profondità. Le parole del don mi affiorano alla memoria, ma le ricaccio immediatamente indietro, abbassando poi lo sguardo poiché sento le guance avvampare pericolosamente.

-Ehm… Già, l’ho notato. -.

-Agitata? – mi chiede lui e non posso fare a meno di notare la punta di preoccupazione nel tono che usa.

Gli sorrido tranquilla: - In realtà non più di tanto. Più che altro sono curiosa di sapere cosa ti sei inventato stavolta. Non posso avere delle anticipazioni? In fondo si tratta delle mie compagne. -.

-Eh no, mi dispiace. Dovrai aspettare come tutti gli altri. Ma tranquilla, avrai un posto d’onore nell’esibizione e sono sicuro che la canzone ti farà impazzire. – mi risponde Luca, poi lui e Marco si lanciano uno sguardo d’intesa e sorridono in modo inquietantemente divertito.

-Devo preoccuparmi? -.

-Tu assolutamente no… - afferma ridendo Marco – Dai un indizio diamoglielo. – continua rivolgendosi all’amico, il quale mi guarda con una luce birichina negli occhi per poi pronunciare un’unica parola:
- Glee. -.

Ci metto una frazione di secondo a capire che brano ha scelto e sorrido anch’io: non vedo l’ora di cantarlo e vedere la faccia delle mie compagne.

Questa volta lo spettacolo ha tutta un’altra atmosfera: nella più piccola Aula Magna mi sento più a mio agio, anche se la sala è comunque piena di ragazzi e professori, ma è come se non ci fossero… Io canto, concentrata sul non dimenticarmi o confondere le coreografie, ma mi sembra tutto così naturale. Lo spazio non è molto, eppure siamo riusciti ad adattarci bene: sul palchetto, rialzato ancora un poco per l’occasione, c’è una tastiera, una chitarra e stiamo noi cantanti, mentre i ballerini sono appena sotto, davanti alle sedie del pubblico. Abbiamo anche decorato la stanza con delle decorazioni natalizie e l’atmosfera è insieme intima e festosa. Meravigliosa…
Per ora tutto va liscio, siamo circa a metà spettacolo e sul palco ci sono proprio io che sto cantando la versione natalizia di Halleluja, sulle note della tastiera di Luca. Insieme ci siamo inventati una versione del brano a metà fra quella classica e quella dei Penthatonix, giusto per farmi divertire un po’ sulle note alte. È una di quelle canzoni da cantare in alcune parti dolcemente, come una ninnananna, mentre in altre bisogna tirare fuori tutta la propria voce e personalmente la adoro.
A metà dell’ultima strofa vedo entrare in sala la mia classe al completo, che si piazza in fondo, in piedi. Lancio un’occhiata interrogativa a Luca e lui mi fa l’occhiolino. Torno a concentrarmi per il finale della canzone, consapevole di aver bisogno di tutta la mia voce per cantarlo al meglio, ma mi sento già fremere di impazienza per il prossimo brano.

Spentasi nell’aria anche l’ultima nota mi accolgono gli applausi. Sorrido ringraziando, mentre sento qualcuno avvicinarmisi. Mi guardo intorno e al mio fianco trovo, uno da una parte e uno dall’altra, Luca e Marco.

-Bene! Ora abbiamo un piccolo fuori-programma… - incomincia il secondo.

-Innanzitutto siamo molto contenti che le compagne del nostro usignolo abbiano accettato il nostro invito. – continua Luca.

-E quindi vorremmo dedicare loro un brano. – prosegue Marco. Se continuano a parlare in questo modo potrei scambiarli per Pinco-Panco e Panco-Pinco…

-Esattamente. Perché ci sono troppe persone che pensano di avere il diritto di parlare male delle persone, di essere maestre di ipocrisia e falsità. Beh, adesso vi mostreremo quanto ce ne frega di voi e chi diventeranno quelle persone che ora definite perdenti. -. Più diretto di così no Luca? – Naturalmente Clara canterai con noi. Perché non ti accomodi su quella sedia? – e così dicendo mi accompagna a sedermi dietro a un banco, appena portato sul palchetto.
Dopo un istante la base parte e mi sorprende vedere Marco con un microfono in mano: da quanto ricordo è stonato quel ragazzo! Cosa vuole fare?! Ma dopo che ha incominciato a cantare incomincio a chiedermi se la mia memoria mi abbia ingannato…

Yeah, you may think that I'm a zero
But, hey, everyone you wanna be
Probably started off like me

You may say that I'm a freakshow (I don't care)
But, hey, give me just a little time
I bet you're gonna change your mind

Molto bello ascoltarvi ragazzi, ma, scusate, voglio cantare anch’io! Mi alzo, aggiro Luca, sfidandolo a bloccarmi e, ormai in mezzo ai miei due amici, posso cantare.

All of the dirt you've been throwin' my way
It ain't so hard to take, that's right
'Cause I know one day you'll be screamin' my name
And I'll just look away, that's right

Just go ahead and hate on me and run your mouth
So everyone can hear
Hit me with the words you got and knock me down
Baby, I don't care
Keep it up, I'm turnin' up to figure out
You wanna be
You wanna be
A loser like me
A loser like me


Push me up against the locker
And hey, all I do is shake it off
I'll get you back when I'm your boss

I'm not thinkin' 'bout you haters
'Cause hey, I could be a superstar
I'll see you when you wash my car

All of the dirt you've been throwin' my way
It ain't so hard to take, that's right
'Cause I know one day you'll be screamin' my name
And I'll just look away, that's right

Just go ahead and hate on me and run your mouth
So everyone can hear
Hit me with the words you got and knock me down
Baby, I don't care
Keep it up, I'm turnin' up to figure out
You wanna be
You wanna be
A loser like me
A loser like me
A loser like me

Hey, you, over there
Keep the L up in the air
Hey, you, over there
Keep the L up, 'cause I don't care
You can throw your sticks, and you can throw your stones
Like a rocket, just watch me go
Yeah, l-o-s-e-r
I can only be who I are

Just go ahead and hate on me and run your mouth
So everyone can hear
Hit me with the words you got and knock me down
Baby, I don't care
Keep it up, I'm turnin' up to figure out
You wanna be
You wanna be
A loser like me
A loser like me

Just go ahead and hate on me and run your mouth
So everyone can hear
Hit me with the words you got and knock me down
Baby, I don't care
Keep it up, I'm turnin' up to figure out
You wanna be
You wanna be
A loser like me (A loser like me)
A loser like me (A loser like me)
A loser like me

Conclusa la canzone abbraccio entrambi ridendo, poi lancio un’occhiata sul fondo della sala e vedo alcune mie compagne (quelle sane) ridere a loro volta e applaudire, mentre le altre escono dall’Aula Magna con un’espressione a dir poco contrariata.
Lo spettacolo deve continuare per cui scendo dal palchetto e mi appoggio a uno dei pilastri che scandiscono lo spazio, pensando a quanta soddisfazione mi abbia provocato vedere, oltre all’irritazione, la vergogna sui volti di quelle ragazze. Lo so che può sembrare cattivo… Giuro che non sono una tipa vendicativa, ma quel tipo di comportamento mi dà proprio l’orticaria! Come non si può provare il minimo rimorso nel parlare in certi termini di una persona? Quanto una persona si può sentire superiore a un’altra, al punto da avere il diritto di deriderla? E che cosa la fa sentire così migliore? L’aspetto esteriore? È semplicemente fumo se ciò che c’è dentro è marcio fino al midollo. Eppure è proprio questo il tipo di ragazza popolare, che poi popolare cosa significa? Essere conosciuti da tutti. La questione è: per cosa si è conosciuti? A volte non ce lo si chiede neanche… Basta solo la pura e superficiale popolarità. Io non l’ho mai desiderata né cercata, per quanto anche essere praticamente invisibili non sia divertente, perché l’unica cosa che mi serve è l’affetto dei miei amici, di quelli vecchi e anche di quelli nuovi. Osservo i miei compagni esibirsi: a cantare ora è Luca, il quale punta per un istante i suoi occhi su di me e sorride. Ricambio, rendendomi conto che quel tipo di sorriso è l’unica cosa che mi serve in questa scuola. Le mie compagne possono rodere dalla rabbia e meditare vendetta quanto vogliono, ma io sarò sempre più forte, lo sono, grazie ai miei amici.

Alla fine dello spettacolo ci ritroviamo tutti insieme a cambiarci e a sistemare la sala. L’allegria è a livelli altissimi, poiché abbiamo ricevuto molti complimenti e non abbiamo avuto alcun intoppo tecnico. La musica ancora risuona nella stanza, accompagnando le nostre pulizie, e ancora cantiamo e balliamo, come se la stanchezza non ci avesse neanche sfiorato.
Mi avvicino a Marco e Luca e li abbraccio forte un’altra volta.
-Grazie, davvero. Non so come farei senza voi due cavalieri a difendermi dalle ingiustizie del mondo. – esclamo ironicamente.

-Non faresti proprio nulla, imbranata come sei! – risponde Marco ridendo e ricevendo dalla sottoscritta un pugno su un braccio. – Ahi! Ho detto la verità! -.

Gli faccio una linguaccia.
-Ma da quando canti? E soprattutto da quando canti così bene?! – chiedo alla fine.

-In realtà da poco. Luca mi ha dato qualche lezione. Per essere un artista completo devo saper fare un po’ di tutto… -.

-In realtà me l’ha chiesto perché voleva aiutarti… - lo interrompe Luca, vedendo che l’amico non mi avrebbe mai detto come stavano le cose realmente.

-Sul serio lo hai fatto per me? – chiedo stupita e in qualche modo lusingata dalla cosa.

-Beh, sì, a questo punto direi di sì. Non mi sono mai piaciute troppo le tue compagne: era un’occasione da non perdere. E comunque tu potevi stare zitto! – esclama infine, rivolto verso Luca, con un’espressione da finto offeso.

-Questo non era scritto nel mio contratto di lavoro da insegnante di canto. Non ho il segreto professionale. – ribatte l’altro ridendo.

Ci si avvicina un altro ragazzo della compagnia. È uno dei veterani di quinta, amico di Marco e musicista.

-Ehi ragazzi, complimenti! Siete stati grandiosi oggi! Vorrei invitarvi, insieme a tutti gli altri, alla festa di Capodanno che organizzo nella mia baita ad Agra. Naturalmente ci sarà musica, si suonerà e si canterà. -.

Ci guardiamo, incerti sul da farsi.
-Vuoi andare? – mi chiede Luca.

-Solo se vieni anche tu. Mi vuoi lasciare da sola con questo ladro di baci?! – replico, indicando scherzosamente Marco, il quale alza gli occhi al cielo.
- E basta con questa storia! -.

-Va bene, allora ci siamo tutti e tre! – dice Luca, sorridendo al ragazzo.

-Perfetto. Se volete potete invitare altri amici: più siamo meglio è! -. Detto ciò si allontana e, mentre già penso a come convincere le mie amiche a venire con me alla festa, Luca mi afferra una mano tutto contento:
-Così potrò darti il mio regalo di Natale! -.

-Un regalo?! Ma non avresti dovuto Luca! – ribatto sorpresa.

-Perché no? Sei mia amica. Non osare rifiutarlo quando te lo darò, è maleducazione. – risponde serenamente lui, facendomi l’occhiolino.
Sospiro, rassegnata e preoccupata dal fatto che dovrò cercare anch’io un regalo per lui e non ho assolutamente idee!

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Capitolo 11
*** La Regola dell'Amico ***


La soluzione migliore a questo tipo di problematiche è un pomeriggio di shopping fra amiche. Sono riuscita a convincere Lara ad accompagnarmi a scegliere il regalo per Luca ed ora passeggiamo tranquillamente per le vie addobbate a festa della nostra Luino. Natale è passato da un paio di giorni, ma l’allegria tipica di questo periodo non accenna a scemare. Amo camminare per la mia piccola città durante le festività natalizie! Le luminarie, gli abeti luccicanti sui balconi, le ghirlande piene di palline colorate, le proiezioni di stelle e fiocchi di neve sulle facciate dei palazzi… Creano un’atmosfera magica e calda, nonostante il freddo pungente di fine dicembre. Adoro tutto del Natale: i regali, i canti tradizionali, il cibo (soprattutto), anche le celebrazioni in chiesa sono speciali ed è bello passare del tempo in famiglia.
Tiro su la sciarpa sopra il naso, ormai in ipotermia, e osservo le vetrine dei negozi incapace di decidermi in quale entrare.

-Quindi questo regalo è per un ragazzo… - incomincia per l’ennesima volta Lara.

-Sì, Luca. Quante volte vuoi ancora ripeterlo? Non posso fare un regalo a un amico? – chiedo, guardandola di sbieco.

-Niente e nessuno te lo vieta, ma prima d’ora non ci avevi mai parlato di lui. -.

-Non sarà mai uscito fuori il discorso e me ne sarò dimenticata… - rispondo in tono vago.

-Oppure non è semplicemente un amico… - insinua la mia amica in tono civettuolo.

-Ti stai proprio sbagliando. – ribatto fermamente.

-Non ne sono sicura… È carino? – chiede curiosa, trascinandomi in un negozietto di oggettistica.

-Sì, decisamente. – rispondo sospirando e alzando gli occhi al cielo – Ma questo non significa che mi piaccia in quel senso. – aggiungo, togliendomi la sciarpa per non rischiare di prendermi un accidente uscendo da quel posto eccessivamente caldo.

-Però pensi che sia carino. È già qualcosa… - insiste imperterrita.

- È un dato oggettivo Lara! – esclamo esasperata.

-Sì sì, certo. E poi canta, suona, ha degli stupendi occhi blu… -.

-Puoi arrivare al succo del discorso per piacere? – chiedo, dirigendomi poi verso un angolo del negozio dedicato alla musica.

-Sto dicendo che è decisamente il tuo tipo e che se non ne sei già cotta accadrà fra poco e, tenendo conto di quanto mi hai raccontato su tutte le cose che ha fatto per te, qualcosa mi dice che sarai ricambiata. – dichiara in tono solenne, come se fosse l’Oracolo di Delfi intenta a profetizzare.

-Mi potresti ricordare per quale motivo vi ho raccontato di lui? -.

-Perché siamo le tue migliori amiche e ci vuoi tanto bene! – afferma convinta abbracciandomi velocemente. – Allora, hai trovato qualcosa che potrebbe piacergli? -.
Osservo gli oggetti davanti a me assorta e, infine, una scatoletta con il suo contenuto attirano la mia attenzione. Sorrido, soddisfatta e mi volto contenta verso Lara:
-L’ho trovato! -.

 

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Capitolo 12
*** Here's to us ***


La fatidica sera di Capodanno è finalmente arrivata! Prima di uscire mi dò un ultima occhiata allo specchio: sistemo il colletto della camicia bianca, accarezzo le pieghe della mia gonna rossa, che ricade in morbide pieghe sulle calze nere; accomodo meglio i piedi negli stivaletti alti; sistemo i capelli, acconciati a boccoli e, infine, recupero piumino e borsa, correndo giù per le scale, per non farmi aspettare dalle mie amiche, le quali mi sono venute a prendere in macchina.
Stranamente non ho dovuto insistere troppo per farle venire con me, probabilmente solo perché sono curiose di conoscere Luca. Spero non mi facciano fare figuracce…
Guardo fuori dal finestrino: è buio pesto ed è quasi impossibile vedere al di là del proprio naso, se non in quei pochi metri che costituiscono l’alone luminoso dei lampioni. Ogni tanto, nel fitto degli alberi, compaiono luminarie colorate, che rendono visibile la presenza di un’abitazione. I fari della macchina illuminano in modo sinistro i rami spogli degli alberi, rachitici, nodosi, tesi verso la strada come mani di streghe. Rabbrividisco al pensiero. Da piccola non amavo viaggiare di sera in macchina… Non volevo vedere quegli arti spaventosi… Ancora adesso, mi rendo conto, mi fanno una certa impressione.
Finalmente arriviamo in una piazzola, dove già vi sono diverse macchine parcheggiate. Poco distante si trova una graziosa baita, illuminata, che promette un caldo rifugio dal freddo che ci avvolge. Avvicinandoci all’abitazione incominciamo a sentire la musica e i miei muscoli, come per una reazione naturale, si rilassano e io sorrido tra me e me. Appena entriamo il tepore ci avvolge, rimango stupita dall’atmosfera rilassata che si respira: non sembra la solita festa tutta alcolici e luci da discoteca, ma una tradizionale festa natalizia in una tradizionale baita molto in stile “casa di Babbo Natale in Lapponia”. Mentre mi guardo intorno piena di meraviglia, sento una mano sfiorarmi la spalla: mi volto e, appena riconosco chi si è approcciato a me, mi si illumina il volto e lo abbraccio, senza pensare alle mie amiche, le quali stanno ridacchiando dietro di me.

-Luca! -.

-Ehi! Che entusiasmo! – esclama lui ridendo e ricambiando l’abbraccio.

-Oh, ehm… Scusa… - balbetto imbarazzata scostandomi, poi guardo le mie amiche, che non aspettano altro che presentarsi. – Queste sono le mie migliori amiche, Lara, Cinzia e Martina. – dico indicandole.

-Ciao! – esclamano in coro, stringendo poi a turno la mano di Luca, il quale le saluta, sorridendo educatamente, ma sono sicura che ne abbia paura… Quando fanno così spaventano anche me!

-Clara aveva ragione: sei proprio carino… - dice Lara, senza alcun ritegno e facendomi quasi strozzare con la mia stessa saliva.

-Lara! –esclamo, scoccandole un’occhiataccia.

-Ah, allora Clara pensi che io sia carino? – ammicca Luca, tenendo il gioco alle mie amiche.

-Sì… Cioè no! – mi correggo, rossa come un pomodoro, suscitando le risate generali.

-Tratta bene la nostra piccolina. – dice infine, smettendo di ridere e guardando Luca con sguardo minaccioso, Cinzia.

-Lo farò di sicuro. – la rassicura lui, per qualche strano motivo anch’egli imbarazzato.
Proprio in questo momento sopraggiunge anche Marco, tutto sorridente: - Ecco dov’eravate! Vi ho cercati dappertutto! -.
Lo sguardo delle mie accompagnatrici si fa di colpo tagliente come la lama di un coltello, coltello che penso vorrebbero tirare dritto in un occhio del mio ex ragazzo.

-Oh, ciao Marco… - dicono ancora in coro, ma questa volta pronunciano il suo nome come se fosse veleno. Lui le guarda interrogativamente, forse non si ricorda di loro. Prima che possa fare domande e possa perciò scoppiare una rissa, intervengo, prendendo per un braccio Martina.
-Che ne dite se andiamo a cercare qualcosa da mangiare? Ho una fame da lupi! Ci vediamo dopo ragazzi. -. Dopodiché, senza aspettare una risposta, trascino le mie amiche verso il tavolo del buffet, riuscendo miracolosamente a distrarle.
Dopo aver mangiato qualcosa, mi separo da loro per andare a salutare altri ragazzi del musical e curiosare un po’ in giro. Durante la mia piccola esplorazione noto che da solo, sulla piccola terrazza, c’è Marco, con lo sguardo perso nel vuoto. Apro la finestra, esco, la riaccosto dietro di me e mi avvicino a lui:
-Tutto bene? – chiedo piano, ma riesco comunque a spaventarlo, infatti si gira stupito verso di me con un piccolo sussulto. – Scusa, non volevo spaventarti. -.

-No, tranquilla. Ero solo sovrappensiero. – risponde, scostandosi un poco per farmi spazio e rivolgendo di nuovo lo sguardo davanti a sé.
Mi appoggio alla ringhiera, chiudo per un secondo gli occhi, respirando l’aria fredda. Un brivido mi attraversa, ma non mi interessa, soprattutto dopo aver aperto gli occhi sul meraviglioso cielo che ci sovrasta. Migliaia di stelle brillano, come calde fiammelle, nel blu cupo del manto celeste, formando disegni fantastici. Mi riempio gli occhi di quella meraviglia e potrei restare lì per ore se Marco non incominciasse a parlarmi:
-Perché hai deciso di partecipare al musical quest’anno? -.
Ci impiego qualche secondo a comprendere la domanda, presa come sono dalla vista sopra di noi, ma non rimango sorpresa: prima o poi quella conversazione sarebbe dovuta avvenire…
-Sono riuscita a superare la nostra storia e l’unica cosa che volevo fare era cantare ed è l’unica cosa che voglio ancora fare. – rispondo con decisione.

Marco rimane un attimo in silenzio, come a soppesare le mie parole, e poi continua: - Sei cambiata Clara. -.
-Può darsi, anche se a me piace dirlo in un altro modo. Sono tornata a me stessa. -.

-Cosa vuoi dire? – chiede incuriosito.

Prendo un grande respiro e lo guardo dritto negli occhi:
-Per molto, troppo tempo mi sono nascosta dietro una maschera, ho alzato muri invalicabili davanti al mio cuore, davanti a Clara. Era più semplice che affrontare la realtà, cioè che sono diversa dagli altri, che sono unica, come lo è ognuno, ma non capivo quanto questo fosse in realtà un preziosissimo tesoro, non qualcosa da nascondere. L’estate scorsa, in montagna con l’oratorio, Qualcosa è entrato dentro di me e ha messo tutto sottosopra, facendomi rendere conto di quanto avessi sbagliato. Mi ha devastata e ho capito di dover cambiare. -.

-Perché sembra che ciò riguardi anche me? – chiede, come intimorito dal mio sguardo, ancora puntato nel suo.

-Perché tu stai facendo lo stesso. -. Strabuzza gli occhi increduli. – Non negarlo, Marco. In questi anni sei così cambiato che a volte stento a riconoscerti. Non so quali siano i motivi e non pretendo che tu me li dica, magari neanche ci sono… Ma quello che voglio dire è che non devi soffocare te stesso, assolutamente. Te lo impedirò a tutti i costi. Ti voglio bene e non intendo stare a guardare mentre fai i miei stessi sbagli. Ho perso così tante opportunità per colpa della mia testardaggine, ho allontanato tutti, non facendo entrare nessuno nel mio cuore. Ho rovinato tutto anche con te… - termino, abbassando gli occhi tristemente.

-Clara… -. Marco pronuncia piano il mio nome e mi guarda teneramente, come non faceva da tempo, allungando lentamente una mano verso il mio viso…

Improvvisamente la porta-finestra si apre, facendoci sobbalzare. Appare la testa di Luca, il quale guarda in modo impenetrabile la mano di Marco, ancora sospesa nell’aria. Io mi allontano di scatto da essa, sentendomi in colpa senza un motivo vero e proprio.

-Ho interrotto qualcosa? – chiede in modo forzatamente allegro Luca.

-No, non ti preoccupare. Stavamo per rientrare, vero, Clara? – risponde Marco, deviando poi il suo sguardo verso di me, che annuisco sorridendo lievemente.

-Beh, dentro richiedono la tua voce Clara: ti va di cantare qualcosa? -.

-Ovviamente! -. Sorrido più apertamente ed entro immediatamente in casa, mentre i miei due amici rimangono indietro.
Salgo, incitata dai miei compagni, su un palchetto improvvisato e scelgo la canzone da eseguire: per l’ultimo dell’anno direi che un buon brindisi non può mancare…

We could just go home right now
Or maybe we could stick around
For just one more drink, oh yeah.

Get another bottle out
Lets shoot the breeze
Sit back down
For just one more drink, oh yeah.

Here’s to us
Here’s to love
All the times that we messed up
Here’s to you
Fill the glass
Cause the last few days
Have gone too fast
So let give them hell
Wish everybody well
Here’s to us
Here’s to us

Stuck this out this far together
Put our dreams through the shredder
Let’s toast cause things got better

And everything could change like that
And all these years go by so fast
But nothing lasts forever

Here’s to us
Here’s to love
All the times that we messed up
Here’s to you
Fill the glass
Cause the last few nights
Have gone too fast
If they give you hell
Tell them to forget themselves
Here’s to us
Here’s to us

Here’s to all that we kissed
And to all that we missed
To the biggest mistakes
That we just wouldn’t trade
To us breaking up
Without us breaking down
To whatever’s come our way

Here’s to us
Here’s to us!

Here’s to us
Here’s to love
All the times that we messed up
Here’s to you
Fill the glass
Cause the last few days
Have gone too fast
So let give them hell
Wish everybody well!

Here’s to us
Here’s to love
All the times that we messed up
Here’s to you
Fill the glass
Cause the last few nights
Have gone too fast
If they give you hell
Tell them to forget themselves!

Here’s to us
Oh here’s to us
Here’s to us
Here’s to love
Wish everybody well
Here’s to us
Here’s to love
Here’s to us

Here’s to us!

Mentre canto guardo fra i miei compagni e noto Luca e Marco, in fondo alla sala, parlottare fra di loro, con sguardo serio. Ogni tanto mi indicano, mi guardano, a tratti sembrano anche litigare, ma alla fine si voltano completamente verso il palco, sorridendomi, come se avessero raggiunto un accordo. Non posso fare a meno di preoccuparmi… Hanno appena fatto pace, dopo “l’incidente” dell’assemblea di istituto…Spero che Luca non abbia equivocato il gesto di Marco di pochi minuti fa. Appena formulo questo pensiero scuoto immediatamente la testa: perché ciò mi preoccupa? Siamo solo amici, non siamo fidanzati! Ultimamente non so proprio cosa mi prenda… Le parole del don mi si sono stampate nella memoria e incominciano ad essere fastidiose, ma forse, penso fra me e me, cercano solo di dirmi qualcosa, una verità che non ho ancora intenzione di accettare, poiché mi fa troppa paura in questo momento.

Appena scesa dal palco, Luca mi si avvicina sorridente, mentre Marco, dopo avermi salutata con un gesto della mano, si dirige verso un gruppo di suoi amici.

-Tutto bene fra te e Marco? Durante la canzone parlottavate in modo strano… Se è per come ci hai trovati prima, non devi preoccuparti: non è successo assolutamente nulla. -.
A sentire queste parole, sembra un po’ più sollevato, ma cerca di nasconderlo, indicando con un gesto della mano che la questione non è importante.

-Comunque devo darti il mio regalo! – e dicendo ciò, tira fuori dalla tasca una scatolina di velluto rosso e me la porge, attendendo che la apra. La prendo e noto nel suo sguardo una nota di preoccupazione. Gli sorrido rassicurante: è improbabile che il suo regalo non mi piaccia! E infatti non mi sbaglio: apro la scatolina e gli occhi mi si illuminano davanti a una catenina con un piccolo ciondolo, coperto di brillantini, a forma di chiave di violino.

-È stupenda! Ne ho sempre voluta una… Ma è troppo, non dovevi farmi un regalo così prezioso! -. Chiudo la scatolina, spingendola verso di lui. Luca la respinge con decisione:
-Decido io se ne valga la pena o meno. Te lo meriti ed è perfetto per te. Voglio che ce l’abbia tu! – e detto ciò riapre la scatolina, prende il gioiello e si pone alle mie spalle. Dopo pochi secondi secondo il tocco freddo del metallo della catenina sul collo. Luca sposta delicatamente i miei capelli per allacciarla e poi torna davanti a me, ammirando il risultato.
-È assolutamente perfetta. Sembra essere stata fatta appositamente per te. -. Arrossisco compiaciuta e a mia volta tiro fuori dalla borsetta una scatolina nera. Luca guarda prima me e poi il regalo stupito:
-Questo proprio non me l’aspettavo. -.

-Pensavi che ti avrei lasciato farmi un regalo senza essere ricambiato?! Dai, aprilo! -. Prende la piccola custodia, la apre piano e tira fuori il contenuto con un sorriso meraviglioso: un braccialetto di cuoio nero, con un ciondolo d’argento dalla forma di un plettro, con l’incisione di una chiave di violino.
-È bellissimo! E poi dicevi a me! – commenta, mettendo un finto broncio.

-Prova ad aprire il plettro. -.
Luca mi guarda incuriosito e poi, facendo molta attenzione, apre il ciondolo e dentro vi trova un vero plettro, nero, decorato dalla scritta in bianco “Music in me”.
-Così forse non lo perderai più… - dico con una risata.

-Questo di sicuro lo tratterò come una reliquia, lo porterò sempre con me. – afferma, infilandosi il braccialetto al polso. – Direi che questo è un ottimo regalo di compleanno… - aggiunge, come sovrappensiero.
Strabuzzo gli occhi.

-Come?!?! È il tuo compleanno? -.

-A mezzanotte compio diciotto anni. – risponde, portando una mano sulla nuca, imbarazzato.

-Ma perché non l’hai detto? Ti avrei fatto un regalo molto più adatto all’occasione. – esclamo, sentendomi un po’ in colpa per non essermi informata prima del suo compleanno, soprattutto in un anno così particolare come quello della maggiore età.

-No. Questo è tutto ciò che mi serve. Questo braccialetto, questa baita, questa festa stupenda, questi amici, tu… - dice infine, guardandomi negli occhi e prendendomi le mani. Mi perdo ancora una volta nei suoi occhi blu, caldi e illuminati dalla gioia. Il cuore sembra volermi uscire dal petto, batte forte, troppo, ma la sensazione è stupenda. Mi sembra di volare nel cielo stellato di dicembre, o dovrei dire gennaio? Manca solo un minuto al nuovo anno!
Luca prende due bicchieri di spumante, me ne passa uno e intanto parte il conto alla rovescia. Non parliamo, ci guardiamo soltanto con sorrisi complici e allo scoccare della mezzanotte ci diciamo solamente due semplici frasi, facendo tintinnare il vetro dei nostri bicchieri l’uno contro l’altro:
-Buon compleanno, Luca. -.
-Buon anno, Clara. -.
E ci sorridiamo ancora, mentre la luce dei fuochi d’artificio cade come pioggia dorata e preziosa sopra di noi.

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Capitolo 13
*** Give your heart a break ***


Cara Emma,
è iniziato un nuovo anno!
Ti scrivo rannicchiata sotto a una coperta, mentre fuori la neve cade fitta ed ammanta la città silenziosamente e delicatamente. È tutto avvolto da un’atmosfera fiabesca… Non posso fare a meno di concedermi il lusso di riflettere sui mesi appena trascorsi.
La decisione che ho preso ha dato una svolta alla mia vita! E a me sembrava così piccola e insignificante… Quanto mi sono sbagliata. Cantare nel gruppo del musical mi ha aperto gli occhi e il cuore ancora di più sul mio amore per la musica e il canto; mi ha aiutato a superare la mia paura del pubblico, quel nodo che in passato mi ha sempre bloccato la voce, rendendomi difficile raggiungere tonalità che normalmente canto con naturalezza; mi ha fatto scoprire nuovi lati dell’amicizia.
Sai, avevi ragione: le persone possono davvero sorprenderci ed è ciò che ha fatto Marco. L’inizio con lui non è stato dei migliori in realtà, ma poi le cose sono cambiate… Mi ha aiutato in diverse situazioni, si è dimostrato un amico, disposto ad ascoltarmi o semplicemente a stare di fianco a me, accettando il mio silenzio e cercando di distrarmi con le sue stupide battute da ruffiano. Abbiamo parlato del nostro passato soltanto da poco tempo, la sera di Capodanno… Non ci siamo detti tutto, non ce n’è stato il tempo, ma penso che non sia necessario. Abbiamo capito che teniamo ancora l’uno all’altra, come amici, e questo affetto va oltre tutto il resto; un semplice “Scusa” a volte può colmare anni di sperate spiegazioni e di desiderio di rivincita…
La vera novità, però, è un’altra amicizia entrata nella mia vita grazie, sì, al musical, ma anche a una fortunata (o sarebbe meglio dire sfortunata?) coincidenza. Si chiama Luca e mi ha evitato una rovinosa caduta sulle scale a scuola. È il mio cavaliere dall’armatura scintillante, ebbene sì. Quando ho bisogno di aiuto non esita un istante a soccorrermi, ma è completamente diverso da Marco… A lui non basta starmi accanto: mi sprona, mi esaspera finché non gli rivelo cosa mi turba; poi mi tratta con una dolcezza infinita, come se fossi, in quel momento, per lui, la cosa più preziosa e meravigliosamente fragile esistente. Luca vuole “vivermi”, - non so in che altro modo descriverlo - vuole condividere le mie emozioni, le mie paure, e darmi tutto di sé, donarsi in modo follemente gratuito e ancora non ne capisco il motivo. Non merito un trattamento del genere, almeno, non più di tante altre persone, eppure lui sembra riservarlo solo a me, lo ha fatto dal primo istante in cui ci siamo incontrati. Luca… Mi sconvolge, mi fa annegare nei suoi occhi blu e mi riporta a galla con i suoi sorrisi caldi, le sue mani affusolate e aggraziate sui tasti del pianoforte e le corde della chitarra, e con la sua voce, che è pura armonia. Mi fa stare bene e allo stesso tempo mi rende impossibile ragionare; è imprevedibile, ma in senso genuino; è riflessivo e contemporaneamente spontaneo e spiritoso; è goffo a volte, ma per la maggior parte del tempo sicuro di sé, con uno spirito da leader. Ha messo a soqquadro tutto dentro di me… Lui è… Il miglior amico che abbia mai avuto…

Faccio scattare la penna e la lascio andare sul foglio, mentre tiro indietro la testa, ad occhi chiusi, con un sospiro. Appoggio le mani dietro di me sul letto per sostenermi e riapro gli occhi: sono illuminati fiocamente dalla lampada sulla scrivania, ma li vedo chiaramente riflessi nella finestra della mia camera, seri e ricolmi di quello che sembra senso di colpa. Non ho detto tutto a mia cugina, non ho detto del tutto la verità. Ciò che provo per Luca non si può limitare semplicemente all’amicizia, però non voglio correre troppo, sbagliare nuovamente tutto. Voglio essere certa dei suoi sentimenti e anche dei miei, per non dovermi pentire in seguito delle mie scelte. Se fosse qui il don mi direbbe di piantarla di farmi seghe mentali e semplicemente di buttarmi. Direbbe che ciò che è successo in questi mesi è una base abbastanza solida per permettermi di farlo. Rido lievemente al pensiero, appoggiando pesantemente la testa al muro, freddo contro la mia fronte. Richiudo gli occhi e la mia mente corre libera verso i ricordi di quella sera di Capodanno, a quel lungo sguardo condiviso, legato, a cristallizzare i secondi in un attimo apparentemente infinito. Mai mi era successo qualcosa del genere, eppure non avevo ancora il coraggio di pensare, figuriamoci pronunciare, le fatidiche parole.
Osservo il calendario: manca poco alla fine di gennaio, pochi mesi alla messa in scena del musical. Mi chiedo cosa accadrà dopo… La magia di quest’amicizia durerà ancora o finirà lì. Non potrei sopportarlo, non dopo che mi ha fatto… Ecco, non riesco ancora dirlo. Troppo complicato per il mio cuoricino fragile, o semplicemente troppo comodo per la mia testolina.
“Perché sono così maledettamente complicata?” penso sconsolata, spegnendo infine la luce e cadendo in un sonno agitato.

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Capitolo 14
*** Shattered ***


È già metà febbraio, in particolare il 14 febbraio, il giorno di San Valentino. Per me non è mai stata una giornata particolare, a parte quando avevo un ragazzo, ma riesco a sentire nell’aria un’atmosfera diversa, dolce e rilassata. Il profumo di rose pizzica il naso, nonostante il freddo delle ultime settimane d’inverno, il lago grigio e tetro, che riflette un cielo plumbeo, e gli alberi spogli e rachitici. Le coppiette a scuola si fanno ancora più evidenti del solito ai miei occhi e il solo dare loro del tutto casualmente un’occhiata, mi fa sentire in colpa e tremendamente in imbarazzo. È probabilmente l’unica occasione in cui mi piacerebbe avere qualcuno a cui fare un regalo. Non che normalmente disprezzi l’idea di avere un ragazzo, ma non mi ossessiona neanche: ho sempre pensato che quando sarebbe stato il momento il ragazzo giusto mi si sarebbe presentato davanti, senza bisogno che lo cercassi con foga o che volessi a tutti i costi qualcuno. Non riuscirei mai a stare con un ragazzo semplicemente perché è carino, no, voglio qualcosa di più… Voglio l’amore… Sembrerà troppo romantico e smielato, ma per me è alla base di tutto. Non posso baciare una persona senza la sicurezza di provare qualcosa, non posso forzarmi ad amare qualcuno, non funziona così! L’amore è spontaneo, imprevedibile, sorprendente… Non possiamo decidere razionalmente di chi innamorarci.
 In fondo anche da soli non si sta così male, la cosa importante è prima di tutto stare bene da soli, altrimenti non si può costruire una relazione solida. Se quest’ultima finisce e non siamo in grado di stare con noi stessi, è la fine…
Sono questi i miei pensieri mentre osservo le mie compagne di classe eccitate perché i loro fidanzati hanno lasciato dei regalini sui loro banchi: cioccolatini, rose, peluche, piccoli gioielli. Sorrido divertita guardando invece le single come me, le quali invece hanno portato sacchetti di cibo dolce e salato per consolarsi.
Sono così immersa nel mio mondo da non rendermi conto che Marco e Luca mi stanno facendo ormai i segnali di fumo dalla porta. Una mia compagna mi deve prendere per una spalla perché li degni finalmente di uno sguardo: - Ehi, Clara, qualcuno ti sta cercando… - dice, guardandomi maliziosamente. Come se potessi avere addirittura due fidanzati! Va bene tutto, ma poligama no!
-Oh, grazie! – la ringrazio gentilmente, nonostante i miei pensieri leggermente acidi. Mi alzo dal banco e mi dirigo verso i miei amici, non capendo per quale motivo siano davanti alla mia classe.
-Che ci fate qua voi due?! Fra poco suona la seconda campanella: se non siete in classe per allora vi beccherete una bella strigliata! – li rimprovero, anche se in realtà sono molto contenta di vederli e soprattutto curiosa.
-Tranquilla, non ci spaventa la cosa e poi ci metteremo un secondo. – ribatte placidamente Marco.
Poi mi porgono una scatolina, chiusa da un elegante fiocco rosso. La tengono entrambi, una mano ognuno.
-Buon san Valentino! -.
-Dovete piantarla di farmi regali! Sono io che dovrei farveli, visto quante volte mi avete aiutata! – esclamo travolgendoli in un abbraccio di gruppo.
-In effetti è solo un modo per farti venire i sensi di colpa. – dice Marco ridendo.
-Non preoccuparti, Clara. Se proprio vuoi ti sdebiterai in altro modo, ma a noi non interessa: ti stiamo accanto volentieri. Siamo amici, no? – dice invece Luca, più dolcemente e abbassando lo sguardo imbarazzato. Il suo atteggiamento inspiegabilmente mi scalda il cuore e mi fa arrossire di compiacimento.
-Ovvio che sì! Grazie mille, davvero, non so cosa dire. -.
-Ora dobbiamo andare sul serio. Ci vediamo alle prove del musical! – mi salutano ed io rimango appoggiata allo stipite della porta sorridendo alle loro spalle, stringendo fra le mani la scatolina di cioccolatini e proponendomi di aprirla con loro nel pomeriggio: in fondo se li meritano.

Il pensiero del dolce regalo ricevuto mi accompagna per tutta la mattinata, rendendomi decisamente di buon umore. La sensazione di poter contare su amici di questo genere è impagabile: è come trovarsi sul bordo di un crepaccio senza avere alcuna paura perché sai che pochi metri più sotto c’è una rete che ti salverà. Finché ho la fortuna di provare tutto ciò, non ho bisogno di nulla di più… Complicherebbe tutto e significherebbe molto probabilmente la fine di un’amicizia…
Scaccio con un gesto della mano questi pensieri, ormai sulla via per diventare troppo tristi, e mi concentro sul presente, sul tesoro che posso vantare di avere ora. Sorrido tra me e me, convinta che almeno per oggi nulla possa andare storto: è una giornata meravigliosa, ma sono proprio le giornate migliori quelle destinate a trasformarsi in incubi.

Le prove del musical sono appena terminate e mi dirigo tranquilla verso lo zaino per prendere la scatola di cioccolatini e condividerla finalmente con i miei amici, quando sento vibrare il mio cellulare: accelero il passo, tiro fuori il telefono, mi accorgo sorpresa che si tratta di mia mamma e rispondo immediatamente.
-Pronto… Ciao mamma… Come? Sei già qui? Ma oggi abbiamo anche finito presto. Volevo… - mia madre mi interrompe, proprio mentre stavo per dirle che volevo rimanere ancora un po’ con Marco e Luca, dandomi una notizia che sembra aver voluto fermare per un attimo infinito i battiti del mio cuore. – Arrivo subito. -.
Riattacco, prendo lo zaino e mi precipito verso l’uscita. Luca mi blocca prendendomi per un braccio: - Che succede Clara? -.
Prendo un grande sospiro, cercando di controllare il panico crescente dentro di me.
-Mia nonna è stata male, molto… Adesso è in ospedale. Devo andare da lei: non sanno neanche se supererà la notte. -.
-Vengo con te. -.
A parlare, con mia grande sorpresa, è Marco, il quale, senza aspettare una mia reazione, si mette la giacca e lo zaino su una spalla. Luca mi stringe la mano, stringendo le labbra in una linea sottile, segno di rammarico e stizza.
-Devo essere a casa fra dieci minuti o finirò in guai seri. Mi dispiace, vorrei poter venire anch’io con te… -.
Gli rivolgo un lieve sorriso.
-Lo so, non preoccuparti. Lo apprezzo comunque. -.

Un paio di minuti più tardi io e Marco saliamo in macchina. Mia mamma lancia uno sguardo sorpreso e sospettoso al mio amico, ma non fa commenti: ha cose più importanti a cui pensare ovviamente e il suo viso è carico di stanchezza e paura.
Guida in silenzio, guardando dritto davanti a sé e stringendo il volante così forte che i polpastrelli sono sbiancati. Appoggio dolcemente la mia mano sulla sua che sta cambiando rabbiosamente marcia: la mamma non mi guarda, ma sento la sua mano rilassarsi sotto la mia.
-Mi spieghi cosa è successo alla nonna, per favore? – chiedo piano, non lasciando la presa dalla sua mano.

-Ha avuto un violento attacco di cuore mentre ero in camera con lei… Adesso è in sala operatoria, ma è un intervento delicato e non si sa se riuscirà… - non riesce a terminare la frase e il suo volto è solcato da una singola, calda lacrima, che si asciuga immediatamente, prima di fare manovra per parcheggiare davanti all’ospedale.
Entriamo di corsa, cercando qualcuno che ci dia informazioni su mia nonna e troviamo un’infermiera che ci dice di aspettare in sala d’attesa: la nonna è ancora sotto i ferri e il medico verrà da noi alla fine dell’operazione.  Non ha saputo dirci quanto ci vorrà… Dobbiamo solo aspettare… Come se fosse facile…
Mia mamma mi lascia in una saletta triste e spoglia dicendo che sarebbe andata a prendere qualcosa da mangiare e da bere e a chiamare papà e mio fratello.
Mi lascio andare su una sedia prendendomi la testa fra le mani. Il magone che ho trattenuto fino ad adesso scoppia tutto in una volta, sorprendendomi con forti singhiozzi simili a dolorose convulsioni.
Marco, il quale è rimasto in silenzio per tutto il tempo, rimanendo semplicemente dietro a me e a mia madre, si siede accanto a me e mi accarezza con delicatezza la schiena.

-Non c’è bisogno che tu ti trattenga. Piangi quanto vuoi, in fondo non sarebbe la condizione peggiore in cui ti ho vista. –.
Sorrido lievemente fra le lacrime alle sue parole.

-Sei stata una delle poche persone che mi ha visto sclerare… Sì, direi che ero messa peggio di così. – ride piano, continuando ad accarezzarmi la schiena in modo regolare e delicato. – Ma quello che sto provando… Non so se avrei abbastanza lacrime nel caso in cui lei… -.

-No, non succederà, non adesso. Devi pensare solo al meglio, d’accordo? – mi interrompe bruscamente.
Ha ragione, ma mi manca il respiro, il bianco accecante della stanza mi dà la nausea e l’odore di disinfettante mi fa girare la testa. Chiudo gli occhi, espirando ed inspirando lentamente, mentre la presa di Marco si fa più forte sulle mie spalle.

-Clara, stai bene? Sei bianca come un lenzuolo. -.
-Tranquillo. Non ti sverrò tra le braccia… Non ti darò l’opportunità di fare il cavaliere eroico e senza macchia che mi prende in braccio e mi porta in salvo dai dottori. – replico con sarcasmo.

-Okay, stai bene. Così ti riconosco. – borbotta un po’ risentito, ma comunque senza lasciarmi.

-Scusami Marco… Solo che… Lei è la mia unica nonna, la sola che ho potuto conoscere e anche solo pensare di perderla mi distrugge. -. Ora Marco mi guarda in silenzio, lasciandomi spazio per sfogarmi.
-Un anno fa è caduta in casa. L’abbiamo trovata io e mio fratello che gridava, chiamando aiuto: era là da due ore e nessuno la sentiva. Noi andavamo tutte le domeniche a trovarla dopo messa… Ci accoglieva sempre contenta e non ho mai pensato che potesse andare diversamente. Quando l’ho sentita gridare io… Sono rimasta paralizzata dal terrore. È stata la prima volta che mi sono resa conto sul serio che lei non farà parte di tutta la mia vita. La sua esistenza è ormai così fragile… Adesso è nella casa di riposo dove lavorano i miei genitori e pur essendo la nipote più vicina sono quella che va a trovarla di meno… Sono imperdonabile! Non può andarsene prima che le dica quanto le voglio bene, prima di darmi un altro dei suoi baci sulle guance. – scoppio di nuovo in sonori singhiozzi. Marco mi accarezza la testa e mi tira indietro i capelli, bagnati di lacrime salate. – Ho paura. – dico infine in un soffio.

-Lo so, lo so. Ma andrà tutto bene, te lo prometto. -.

-Non fare promesse che non puoi mantenere. -.

-Se ti fa stare meglio le faccio eccome. Ora tua nonna ha bisogno di te e non puoi avere paura. Devi essere forte e lo so che è uno schifo… Ma qui con me puoi sfogarti, piangere, gridare, picchiarmi se ti fa stare bene. -. Detto ciò mi tira a sé e mi arrendo al suo abbraccio, stringendo forte un lembo del suo maglione con una mano. Piano piano i miei singhiozzi si fanno sempre più regolari, fino a calmarsi. Allora Marco mi sussurra divertito:
-Ammettilo che non ti dispiace stare tra le mie braccia. -.

-Taci, o ti becchi una gomitata nello stomaco. -.

Dopo un paio d’ore un dottore entra in sala d’attesa e viene dritto verso di noi con aria grave. Mia mamma è tornata insieme al resto della mia famiglia e Marco non ha voluto lasciarmi andare neanche per un secondo. Ora mi stringe una spalla cercando di rassicurarmi, mentre mia mamma mi tiene una mano. Appena vediamo il medico ci alziamo di scatto: ha ancora gli abiti da sala operatoria, sono visibili solo due occhi color ghiaccio sopra la mascherina, che viene rimossa dopo qualche secondo dall’ingresso nella stanza. Quegli occhi non penso che li scorderò molto facilmente…
-Scusate l’attesa… L’operazione è stata molto complessa, vista l’età della signora… È riuscita, ma ora lei è in coma. -.
Dopo queste parole non ho più seguito il discorso del dottore con i miei genitori. Tutti i suoni si sono attutiti, come se avessi un cuscino a tapparmi le orecchie. L’unica parola che mi risuona forte e chiara nella testa è “coma” … Non si sa se e quando si risveglierà, si può solo aspettare, ancora… A riportarmi alla realtà è la stretta più forte di Marco sulle spalle.
-Vuoi uscire? – mi chiede con un fil di voce.
Annuisco, poi dico qualche parola a mia mamma, la quale mi lascia andare senza obiezioni.
Dopo un tempo che sembra interminabile, passato a districarci fra i corridoi tutti uguali dell’ospedale, raggiungiamo l’uscita e una sferzata di aria gelida mi colpisce in viso. Si fa tutto ancora più chiaro, reale e doloroso, ma non riesco più a piangere, neanche a parlare. Mi stringo semplicemente fra le mie stesse braccia, in cerca di una briciola di calore che possa riempire il vuoto che sento.

-Vedrai che si sveglierà presto… - incomincia a dire Marco, ma con un gesto lo fermo. Mi guarda, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, non sapendo più neanche lui cosa dire e cosa fare.

Dopo un lungo e imbarazzante momento di silenzio, mi si avvicina, mi accarezza dolcemente i capelli, ma senza guardarmi direttamente.
-Vorrei poter fare di più, ma non so davvero come comportarmi… - la sua voce è piena di rammarico e non posso fare a meno di addolcirmi.

-Hai fatto davvero più di quanto avresti dovuto fare. Stare così con me per tutto questo tempo, lasciare che piangessi sulla tua maglietta… -.

-Sì, beh, poi mi pagherai la lavanderia. – replica scherzosamente.
Sorrido.
– Davvero, grazie. Non so proprio come potrò sdebitarmi. -.

-Che ne dici di una chiacchierata a quattr’occhi, magari a cena? Dobbiamo parlare. Sai, quella conversazione alla festa di Capodanno… Dobbiamo finirla. – propone diventando più serio. Non posso dargli torto: sono tante le cose non dette in questi anni fra di noi: è ora di tirarle fuori.

-Va bene. Ora però vai a casa che è tardi. Io dovrò restare qui ancora per un bel po’… -. Marco tenta di ribattere, ma lo interrompo prima che possa dire qualcosa. – No, non dire niente. Vai a casa! Non discutere! -.

-D’accordo, ma se hai bisogno chiamami, a qualsiasi ora. - .
Lo abbraccio e lo guardo allontanarsi. Appena scompare dalla mia vista traggo un grande respiro e rientro nell’edificio.

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Capitolo 15
*** Ti voglio bene ***


Nelle settimane successive è un continuo andirivieni dall’ospedale. Al mattino scuola, al pomeriggio da mia nonna, di sera e spesso anche di notte studio a casa. Il mio corpo continua a dirmi che non ce la fa e che se faccio un passo in più crollerà, ma non glielo permetto, non posso. Rinuncio alle mie quotidiane visite all’ospedale solo per le prove del musical: lì riesco a sfogarmi, a buttare fuori tutta la stanchezza e la frustrazione per questa situazione attraverso il canto.
Tutti continuano dirmi che devo riposarmi, ma non capiscono che ogni volta che mi fermo, anche per un solo secondo, il dolore si fa così forte da lacerarmi completamente, spaccandomi a metà, perché il mio cuore sa che la mia nonnina non si sveglierà. Posso raccontarmi qualsiasi bugia, ma la realtà è chiara. Non fermarmi è l’unico modo per rendere questa tremenda certezza più sfuggevole, astratta.
Marco e Luca sono gli unici a non dirmi niente: sono preoccupati da morire, lo capisco da come mi guardano, ma non osano contraddirmi. Hanno capito e sanno che ho solo bisogno di tempo. Intanto mi stanno accanto come possono: fanno a turno ad accompagnarmi all’ospedale e mi tengono compagnia mentre guardo mia nonna immobile sul letto. Il suo petto si alza e si abbassa, come se stesse semplicemente dormendo, eppure quegli occhi non si vogliono riaprire. Le sue mani sono ancora calde, ma non le muove, neppure di un millimetro. I miei due amici cercano di distrarmi da questi particolari, che mi fanno cadere in una tristezza acuta, un pozzo che sembra non avere fondo. Continuo a cadere da giorni e settimane e non vedo più luce sopra di me. È estenuante.
Ogni tanto riescono a venire tutti e due insieme a me e allora riesco ad essere più serena, studiamo insieme e riescono anche a farmi sorridere quando bisticciano fra di loro come cane e gatto.

È proprio in uno di questi giorni, quando sono più propensa a parlare e a non chiudermi a riccio nel mio pozzo silenzioso, che viene a trovarmi il don. Marco e Luca sono andati via da pochi minuti e io sto leggendo, seduta su una sedia di fianco al letto della nonna, quando sento bussare sullo stipite della porta aperta. Alzo lo sguardo sorpresa e, riconoscendo il mio amico sacerdote, gli sorrido.

-Ciao don. -.

-Ciao Clara, posso entrare? – mi chiede educatamente.

-Certo, accomodati pure. -. Chiudo il libro che stavo leggendo, lo appoggio sul comodino e avvicino al letto un’altra sedia. Il don si siede e mi stringe una mano, poi guarda mia nonna.

-Come sta? -.

-Non è cambiato nulla. È stabile, ma non si sveglia. Non sanno neanche se avverrà. -. Annuisce senza dire nulla, poi mi rivolge la fatidica domanda:
-E tu? Come stai? Sinceramente. – aggiunge alla fine. Significa che “bene” non è la risposta giusta.
Sospiro.
-Onestamente. Non lo so, non voglio saperlo. Mi riempio di cose da fare per non pensarci. -.

-Lo sai che questo non ti aiuta affatto, vero? -.

-Sì, lo so. – rispondo semplicemente.

-Secondo me sai esattamente come stai. – dice dopo un breve silenzio.
 Come al solito lui sa leggermi più di quanto sia in grado di fare io stessa.

-Mi sembra di essere un bicchiere di cristallo in bilico sul bordo di un tavolo. Se faccio solo un passo falso cado e mi distruggo in mille pezzi. -. Faccio una breve pausa, poi alzo lo sguardo sul prete davanti a me: gli voglio un mondo di bene… Lui mi ha sempre detto le cose così come sono, senza girarci troppo intorno e senza ricamarci sopra. Mi ha sempre detto direttamente anche le cose più difficili da mandare giù, ma è anche per questo che ha la mia totale fiducia. Ricordo come ieri la mia prima confessione con lui: è la prima persona a cui ho raccontato come mi facesse sentire davvero essere presa in giro e trattata male da più piccola. Ha accolto le mie parole e le mie lacrime e ha saputo alleggerirmi del peso enorme che mi portavo dietro da troppo tempo. Ora è tempo di aprirmi nuovamente con lui.
-Lei non si sveglierà. – dico, guardandolo dritto negli occhi. Non è una domanda, ma un’affermazione vera e propria. Lui non distoglie gli occhi dai miei e non ribatte cercando di togliermi questo pensiero dalla testa. Se lo dico è perché lo so.
-E questo come ti fa sentire? – chiede solo.

-Impotente. Posso solo stare qui a guardarla morire, ogni giorno di più. Se fossi io nel suo stato non vorrei che le persone che amo debbano sopportare questo. È qualcosa che consuma dentro, consuma anima e cuore fino a voler solo gridare e prendere a pugni tutto e tutti. Vorrei aver avuto più tempo con lei… Sembra una frase fatta, ma alla fine è vero. -.

-Clara, però non vorresti avere accanto qualcuno se stessi per morire? -.

-Non lo so… Vorrei che mi ricordassero con il sorriso, non immobile in un letto d’ospedale, attaccata a decine di tubicini. Alla fine comunque si muore da soli. -.

-Questo non è vero. Lo sai che Qualcuno di sicuro ti starà vicino fino a quel momento che, ricordati, non è la fine, ma il fine. Tua nonna ti starà sempre accanto, non ti dimenticherai del suo sorriso o della sua voce. Sarà sempre lì e tu potrai sempre parlarle, lei ti sentirà e ti risponderà e se ascolterai con il cuore potrai sentirla anche tu. Lo so che è dura, soprattutto se non hai mai perso nessuno, ma ce la si fa in un modo o nell’altro. Tu non sei fatta di cristallo, sei forte e tua nonna è di certo fiera di te. Ma non spingerti al limite: puoi piangere e lasciarti andare, nessuno te ne farà una colpa. -.
Lo abbraccio di slancio, mentre le lacrime incominciano a scendere calde e silenziose. Il don mi accoglie fra le sue braccia e mi coccola senza dire una parola, massaggiandomi la schiena con movimenti circolari. Dopo essermi sfogata giusto un po’ mi allontano da lui e gli chiedo:
-Secondo te se le parlassi mi sentirebbe? -.
Il don mi sorride e dandomi un buffetto sulla guancia risponde:
-Sono sicuro di sì. Secondo me sa perfettamente che tu sei qui con lei. -.
Allora stringo dolcemente una mano della nonna fra le mie, mi avvicino a lei e sussurro piano:
-Ti voglio bene nonna. Non te l’ho mei detto abbastanza, ma ti voglio bene. Non ti lascio, rimango qui con te. -.

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Capitolo 16
*** Gocce di Memoria ***


Il tempo trascorre lento e inesorabile, scandendo i miei giorni con la solita estenuante routine scuola – ospedale – casa e via dicendo. Sono così immersa in essa che se Luca non mi avesse appena mandato un messaggio, mi sarei dimenticata che domani è il mio compleanno, e neanche uno qualunque: il mio diciottesimo. Domani divento maggiorenne, ma la cosa non mi esalta assolutamente… Vorrei che mia nonna potesse vedermi…
Rileggo sospirando il messaggio del mio amico:
“Domani dopo scuola pranziamo insieme e passi il pomeriggio con me. Non accetto un no come risposta! Il giorno del tuo compleanno ti meriti una pausa da tutto questo casino.”.
È totalmente inutile discutere con lui… Non ho alcuna voglia di festeggiare, ma potrebbe farmi bene staccare per qualche ora, fare finta che nulla sia accaduto, che sia tutto un brutto sogno e che la mia vita è quella di una normale adolescente che può passare spensieratamente un pomeriggio con un amico.
Digito velocemente una risposta:
“Agli ordini. Cosa facciamo allora?”.
Sono curiosa di sapere cosa si sarà inventato questa volta…
Dopo qualche minuto il mio cellulare vibra. Leggendo il messaggio arriccio le labbra contrariata:
“Sorpresa! Tranquilla l’adorerai. A domani!”.
Deve piantarla di fare così! Diventa sempre più irritante… Spero per lui che mi piaccia o subirà la mia vendetta… O forse no.

Cosa ho imparato dal mio diciottesimo? Tante persone che non ti hanno mai guardato neanche per sbaglio compaiono e ti fanno gli auguri come se ti conoscessero da una vita e fossi la loro migliore amica. In compenso chi davvero ti conosce da abbastanza tempo è in vena di donare affetto a profusione, solo a te.
Ci si sente diversi da maggiorenni? Assolutamente no. Non cambia proprio nulla, solo sulla carta. Inoltre tutti vogliono avere diciotto anni per fare ciò che vogliono, ma in realtà si hanno solo un mucchio di responsabilità in più, oltre alla patente da fare…
La maggiore età non è nulla di speciale.
È questa la conclusione a cui sono arrivata in cinque ore di scuola, o almeno prima di vedere Luca aspettarmi nel parcheggio dei motorini, appoggiato svogliatamente al suo; mani nelle tasche dei jeans; maniche della felpa tirate su di qualche centimetro sotto il gomito, a mostrare le braccia già da uomo; capelli scompigliati dal vento e occhi persi nel cielo azzurro di fine inverno, a confondersi con esso.
Appena si accorge della mia presenza, mi rivolge un sorriso così caldo e radioso da farmi sciogliere. Solo per questo vorrei compiere diciott’anni ogni giorno.
-Tanti auguri Clara! – esclama abbracciandomi e dandomi un bacio su una guancia. Arrossisco immediatamente e tiro su la sciarpa sopra il naso per nasconderlo.

-Grazie Luca. Probabilmente dovrei ringraziarti anche per avermi organizzato non so ancora cosa… -.

-Tranquilla, avrai tutto il pomeriggio per farlo e prima devi verificare che il mio regalo ti piaccia. – replica lui, facendomi l’occhiolino. – Che ne dici? Andiamo? – e mi porge un casco.

-D’accordo, ma dove? -. Me lo infilo e salgo con cautela dietro di lui sul motorino.

-Incominciamo ad andare a mangiare. – mi risponde, prendendo le mie braccia e allacciandole intorno alla sua vita, per poi partire.

È la prima volta che salgo su un motorino e non posso negare che la cosa mi spaventi… Sulla discesa che dalla scuola scende fino al lungolago mi stringo alla schiena di Luca, strizzando gli occhi terrorizzata. Lo sento sussultare per le risate e per un moto di orgoglio mi azzardo a riaprire gli occhi e a scostarmi leggermente da lui: l’aria ancora fredda di inizio marzo mi investe, tutto scorre veloce accanto a me e la sensazione che provo è indescrivibile, come se stessi volando… Se non avessi troppa paura di cadere, allargherei le braccia per rendere ancora più chiara questa impressione. Mi ritrovo in breve tempo a sorridere, più di quanto abbia fatto in queste ultime settimane.
Dopo poco ci fermiamo davanti all’entrata ad arco di un cortile, intorno al quale vi sono diversi locali. Luca scende dal motorino e mi porge il suo casco:
-Aspetta un minuto. Arrivo subito. -. Dopodiché entra nel cortile, sparendo alla mia vista. Qualche istante più tardi ritorna da me con un sacchetto, che infila sotto il sedile, poi risale sul motorino e ripartiamo.
Questa volta il viaggio è ancora più breve: parcheggiamo davanti al vecchio lungolago. Rispetto a quello realizzato di recente è molto più tranquillo, meno affollato e meno assolato, in quanto vi sono alberi più vecchi e grandi a ristorare con la loro ombra i pochi passanti. Su un lato della passeggiata una ringhiera a separare dalle acque fredde del lago, dall’altra tante panchine scolorite dal tempo.
Ci incamminiamo per il viale, allontanandoci dai rumori della città, Luca con il sacchetto in mano, io di fianco, in silenzio, ad osservare estasiata come sempre il panorama, fino a raggiungere una panchina in ombra, seminascosta dai rami di un grande salice. Luca mi prende per mano e mi fa sedere di fianco a lui, per poi scoprire finalmente il contenuto del sacchetto: due tranci di pizza fumanti. Mi lecco le labbra, rendendomi conto solo ora di quanta fame abbia.

-L’ho presa al prosciutto. Spero vada bene. – dice lui porgendomi un trancio.

-Assolutamente perfetto! – esclamo contenta.

-Allora buon appetito! -. Dopodiché ci buttiamo sul cibo e per un po’ non parliamo. Mi perdo nel guardare i giochi di luce del sole sulle foglie degli alberi: con l’avvicinarsi della primavera le prime foglie verdi compaiono fra quelle gialle e rosse rimaste dall’autunno, in un contrasto di colori splendido. Vorrei essere brava a disegnare per poterlo dipingere con tempere, per le ombre e le luci più decise, e acquarelli, per le sfumature e per dare quel senso di indefinito che dà sempre la luce del sole ai contorni delle cose.

-Allora… - inizia Luca, ma lo interrompo subito.

-Se stai per chiedermi com’è essere maggiorenni, ti rispondo subito: assolutamente nulla di eccezionale. -.

-Oh, lo so, lo so, credimi. Tutti vedono i diciott’anni come chissà che cosa, ma non avviene alcuna strana trasformazione… È un compleanno come tutti gli altri in fondo. -.

-A parte per i tanti regali in più. – considero scherzosamente.

-A parte per quello, sì. – dice ridendo, riprendendo poi a parlare – In realtà vorrei sapere se con la maggiore età sei finalmente riuscita a comprendere il motivo che ti ha portato a stare per tanto tempo con Marco… -.
L’ha detto in modo scherzoso e sta ridendo, ma riesco a intuire che sotto sotto la domanda è seria.

-Quello penso che non lo capirò mai! – rispondo, stando al gioco, ma mi ricompongo in fretta – Comunque ti ho già detto che una volta non era affatto così… -.

-Con così intendi egocentrico, narcisista, freddo… Anche stronzo a volte? -.

-Menomale che siete amici! – esclamo allibita.

-Lo siamo infatti. Noi ragazzi lo dimostriamo anche in questo modo. – mi risponde divertito dalla mia espressione.

-Ok… Comunque sì, intendo ciò che hai detto tu… Anche se ultimamente riesco a rivedere sprazzi del vecchio Marco… Per esempio nel modo in cui mi è stato accanto nelle ultime settimane. -.

-E com’era prima? -. È sinceramente curioso di saperlo. Sorrido, poi mi alzo e mi appoggio alla ringhiera, facendo perdere lo sguardo sul meraviglioso panorama che si apre davanti a me: cielo azzurro intenso, senza nuvole, montagne chiazzate di verdi diversi e giallo, che affondano nel lago scuro, profondo e calmo, a parte per le leggere onde alzate dai battelli che partono dall’Imbarcadero di Luino.
Luca mi segue e si appoggia al freddo ferro, di fianco a me, osservandomi intensamente.
Senza spostare il mio sguardo dalla vista, riprendo a parlare e mi perdo nella malinconia del passato.
-Lui era diverso dagli altri, più maturo rispetto ai nostri compagni di classe di allora. Era dolce, romantico, tanto da scrivermi anche delle poesie, che fra l’altro ho ancora perché non ho mai avuto il coraggio di buttarle via. Era geloso, molto geloso. – rido al pensiero di come fulminava con lo sguardo i nostri compagni se solo osavano guardarmi o dirmi qualcosa di sbagliato. – Anche molto protettivo. Mi faceva sentire come se fossi il suo tesoro più prezioso… È stato il primo e unico a trovarmi bella, ad andare oltre il casino che sono… Ma mi ha raccontato anche tante bugie e alla fine mi ha fatto soffrire molto… - termino, sorridendo a Luca amaramente. – Ma in realtà sono molti di più i ricordi belli collegati a lui che quelli brutti. -.

-Ora, se ritornasse a essere quel ragazzo, vorresti ancora stare con lui? -.
La sua domanda mi prende alla sprovvista, ma mi rendo conto che il suo sguardo è tremendamente serio.

-No. Non siamo più bambini di dodici anni: è cambiato tutto, siamo cresciuti e lui non sarà più quel ragazzino che in classe, dietro di me, mi accarezzava i capelli e mi teneva la mano, nonostante le occhiate e i commenti del resto della classe. Ed è anche giusto che sia così. -.
Luca sembra essere sollevato dalla mia risposta, ma la sua espressione cambia così velocemente da farmi pensare di essermelo solo immaginata.

-Anzi penso che se mi chiedesse di stare di nuovo con lui, mi arrabbierei molto. – dico ridendo.

-Perché? – chiede confuso.

-Avrebbe dovuto pensarci molto tempo fa… Prima di trattarmi come mi ha trattato. -.

-Sei passata davvero oltre… -.

-Se non si era capito, sì, decisamente. -. Gli sorrido, lui ricambia e poi si riavvicina alla panchina, iniziando a raccogliere le sue cose.

-Che ne dici? Vuoi vedere il tuo regalo? – mi chiede con aria birichina.

-Non aspetto altro da ieri sera! – esclamo.

-Allora dovrai sopportare questa per un po’… - dice, mostrandomi un foulard rosso. Lo guardo interrogativamente, mentre mi si avvicina.

-Cosa vuoi fare? – chiedo preoccupata.

-Ti fidi di me? – annuisco – Allora lasciati bendare. Fammi fare una sorpresa come si deve. – e mentre sta dicendo queste cose mi toglie gli occhiali infilandoli nel mio zaino e mi lega la benda dietro la testa, oscurandomi la vista, già abbastanza debilitata senza lenti.

-Ma come faccio ad arrivare al motorino così?! -.

-Tranquilla ho pensato a tutto. – mi risponde tranquillo. Dopo qualche secondo sento le sue mani afferrarmi la schiena e le gambe e vengo sollevata da terra. A tentoni riesco ad allacciare le braccia al suo collo e mentalmente lo maledico per le sue pazze idee.

-Tu sei completamente pazzo! I passanti penseranno che mi hai rapita. -. Esclamo, mentre Luca incomincia a camminare.

-Secondo me penseranno che un ragazzo stia semplicemente facendo una sorpresa alla sua fidanzata… Ahi! -. Gli tiro un pugno sulla spalla, ma mi sento avvampare dalla punta dei piedi alle punte dei capelli.

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Capitolo 17
*** Demons ***


Dopo pochi minuti Luca si ferma e con delicatezza mi fa sedere sul suo motorino, mettendomi il casco. Poi vi sale lui e ancora una volta allaccia le mie braccia intorno ai suoi fianchi, dopodiché incominciamo a muoverci. Non vedo assolutamente nulla: sento solo l’aria fredda colpirmi e poi ho la sensazione che stiamo andando in salita, attraversiamo una zona in pavé e poi ancora salita, fino a che non svoltiamo a sinistra e iniziamo a scendere, salire, curvare più e più volte per un tempo indefinito. Finalmente ci fermiamo. Luca mi prende nuovamente in braccio e cammina per un breve tratto, poi si ferma, sembra armeggiare con delle chiavi, sento un porta aprirsi. Mi prende per mano e mi guida in un ambiente, mi rendo conto, più buio. Alla fine, proprio quando incomincio a perdere le speranze, mi toglie la benda. Apro e chiudo le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco ciò che mi sta intorno: sono in una spaziosa dependance - fuori da una finestra scorgo una villetta più grande – arredata in modo giovanile e chiaramente maschile. Tutto però rimanda alla musica: il pianoforte, le chitarre, i libri di spartiti, lo stereo, gli scaffali pieni di CD, poster di gruppi stranieri e poi un divanetto rosso dall’aria molto comoda, una televisione, una scrivania con lampada e computer e in un angolo una piccola cucina con tanto di frigorifero.
Mi guardo intorno stupita.

-Cos’è questo posto? – chiedo infine, mentre Luca appende le nostre giacche in un piccolo armadio di fianco all’ingresso.

-Questo è il mio covo. – risponde, prima di prendermi nuovamente per mano e farmi sedere di fianco a lui sul divano. – Io suono e canto molto, ma finisco per dare fastidio ai miei genitori, così appena ne hanno avuto l’occasione hanno costruito questa casetta tutta per me. È insonorizzata, così anche da fuori non si sente nulla e posso sfogarmi quanto voglio. Spesso resto fino a tardi e per non svegliare nessuno mangio e dormo qui. – Mi accorgo solo adesso del soppalco fornito di comodo letto a una piazza. – E preferisco anche studiare qui. È decisamente più tranquillo. -.

- È davvero stupendo… - dico senza fiato, guardandomi ancora intorno.

-Ne sono davvero contento. Sai… Sei la prima persona che faccio entrare qui dentro. -. Mi volto piena di stupore verso di lui e solo ora mi accorgo che sta tormentando l’orlo della sua felpa nervosamente.

-Credimi è tutto ciò che vorrei anch’io… Ma perché proprio io? Questo posto è tuo… -.

-Perché so che la nostra passione per la musica è uguale. Ho pensato che il migliore regalo che potessi farti per il tuo compleanno fosse darti la possibilità di fare ciò che più ami e questo è il miglior posto che conosco per farlo. – mi risponde, guardandomi timidamente negli occhi.
Sorrido dolcemente.
-L’hai capito allora. -.

- È uno stupido chi non lo capisce. Quando canti i tuoi occhi brillano di luce propria e i sentimenti che ci butti dentro diventano concreti. Tu prendi le parole delle canzoni e le fai tue, completamente. Sei viva quando canti, viva sul serio. -.
Lo guardo incapace di capire come sia riuscito a comprendere la cosa più importante di me nel poco tempo in cui ci siamo conosciuti. Mi ha letta, dall’inizio alla fine, come se fossi un libro aperto, senza alcun lucchetto, anche se in realtà ne ho così tanti…

-Tu… sei sorprendente. – mi lascio sfuggire a bassa voce.

- È un complimento? – mi chiede divertito.

-Sì, certo. Si possono contare sulle dita di una mano le persone che hanno compreso da sole, senza che dicessi loro nulla, che cosa mi faccia sentire viva, che cosa mi scorre nelle vene come linfa vitale… Io non posso fare a meno di cantare, è come cibo, acqua, ossigeno. È sempre stato il mio modo di esprimere i sentimenti: non sono molto brava con le parole e non ho mai amato troppo parlare di ciò che mi frulla per la testa, non con persone qualsiasi, e cantare è diventato l’unico canale di sfogo, soprattutto quando mi sento triste o arrabbiata. È il mio speciale linguaggio e se perdessi la capacità di parlarlo, sicuramente ne morirei. -.

-Io mi sento esattamente nello stesso modo… La musica è… Non c’è un termine che possa spiegarlo… È semplicemente tutto. – dice lui guardandomi intensamente negli occhi. Non so cosa mi stia succedendo, ma attraverso quelle iridi blu riesco a comprendere esattamente cosa voglia dire, riesco a percepire quell’amore infinito per le sette note, che ci lega in uno spartito, dove stiamo componendo, senza saperlo, una canzone dal finale ancora totalmente sconosciuto.
A rompere il contatto visivo è proprio Luca, il quale abbassa gli occhi e si passa una mano sulla nuca imbarazzato.

-Che ne dici di cantare qualcosa? Ho voglia di suonare il piano. – mi chiede, tornando rilassato.

-Ho sempre voluto saper suonare il pianoforte, ma mio fratello non ha mai voluto insegnarmi. -.

-Se vuoi ti posso far suonare… - mi propone sorridendo.

-Davvero? – chiedo stupita ed eccitata come una bambina.

-Certo, vieni. – dice prendendomi per mano e guidandomi verso lo strumento, addossato a un muro. Si siede sullo sgabellino rivestito in pelle nera e mi fa segno di sedermi sulle sue gambe. Lo guardo incerta e imbarazzata:

-Tranquilla, non ti mangio. Farò il bravo, lo prometto. – mi rassicura facendomi un occhiolino.
Allora mi siedo con attenzione sulle sue gambe e immediatamente percepisco la pressione del suo petto sulla mia schiena.

-Che cosa vuoi cantare? -.

-Che ne dici di Demons? Adoro quella canzone… -.

-D’accordo, mi pare perfetta. -.
Luca mi prende delicatamente le mani e le appoggia sui tasti del piano, ricoprendole con le sue, facendo aderire ogni singolo dito a uno dei miei. Le sue mani sono grandi, da musicista, e avvolgono completamente le mie in una calda coperta. Poi avvicina le sue labbra al mio orecchio e mi parla a voce bassa:
-Le mie dita saranno il prolungamento delle tue. Le guiderò io per te, tu semplicemente abbandonati a me, alle mie mani. -.
Un brivido mi attraversa la schiena, eppure ho così caldo; le mani e le gambe mi tremano, ma sono sicura che le mie guance siano bollenti. Non capisco cosa mi stia succedendo…
Le sue dita incominciano a guidare le mie verso i tasti e sento la sua voce accarezzarmi i capelli come dolce brezza primaverile.

When the days are cold
 And the cards all fold
 And the saints we see
 Are all made of gold

La sensazione provocata dallo sprigionare della musica dal tocco delle mie dita sui tasti d’avorio del pianoforte è stupenda. Le mani di Luca mi guidano sapientemente con leggerezza e la sua voce… Mai come adesso sono riuscita a sentirla scavare dentro di me.

When your dreams all fail
 And the ones we hail
 Are the worst of all
 And the blood’s run stale

I want to hide the truth
 I want to shelter you
 But with the beast inside
 There’s nowhere we can hide

No matter what we breed
 We still are made of greed
 This is my kingdom come
 This is my kingdom come

La mia voce la sento così lontana, come se fossi volata in un’altra dimensione. Il mio corpo non mi appartiene più, è ormai completamente abbandonato alla guida di Luca. La mia anima è invece sospesa nell’aria a bearsi dell’armonia di voci e strumento, che si legano indissolubilmente in un canto d’amore dedicato esclusivamente alla musica.

When you feel my heat
 Look into my eyes
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide
 Don’t get too close
 It’s dark inside
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide

When the curtain’s call
 Is the last of all
 When the lights fade out
 All the sinners crawl

So they dug your grave
 And the masquerade
 Will come calling out
 At the mess you made

Don’t want to let you down
 But I am hell bound
 Though this is all for you
 Don’t want to hide the truth

No matter what we breed
 We still are made of greed
 This is my kingdom come
 This is my kingdom come

When you feel my heat
 Look into my eyes
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide
 Don’t get too close
 It’s dark inside
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide

They say it’s what you make
 I say it’s up to fate
 It’s woven in my soul
 I need to let you go

Your eyes, they shine so bright
 I want to save their light
 I can’t escape this now
 Unless you show me how

Le parole che Luca sta cantando è come se le stesse rivolgendo proprio a me, come se fossero vera espressione di ciò che il suo cuore custodisce. Racconta di un tormento a cui solo io posso porre rimedio, ma dal quale vorrebbe anche allontanarmi, senza però riuscirvi.

When you feel my heat
 Look into my eyes
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide
 Don’t get too close
 It’s dark inside
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide

E alla fine lo guardo davvero negli occhi, chiedendomi come ci possano essere ombre in uno sguardo così limpido e puro. Non vedo demoni in quell’azzurro, solo il cielo. Non c’è oscurità, ma solo un desiderio struggente. Questi occhi traboccano di un sentimento così forte da incantarmi.
La sua voce è solo un sussurro, ma così dolce…

-Sono davvero pessimo… Non so mantenere le promesse: non riesco a fare il bravo quando si tratta di te, non ci riesco più Clara. -.
Quel desiderio si fa ancora più concreto nella sua voce, come un’urgenza che non può più aspettare.
Una sua mano si stringe lentamente attorno alla mia, intrecciando le sue dita alle mie; l’altra mi accarezza i capelli e li sposta dietro l’orecchio con un gesto lento e dolce. Poi le sue dita percorrono leggere il contorno del mio viso e poi del mio collo, provocandomi brividi per tutto il corpo, mentre i suoi occhi non si staccano dai miei: vi si immergono dentro cercando di memorizzare ogni più piccola sfumatura di colore e io faccio la medesima cosa con i suoi, senza provare il minimo desiderio di allontanarmi o di deviare il mio sguardo.
Le sue dita si immergono nei miei capelli e il suo palmo si chiude delicatamente sulla mia guancia. Il suo viso si avvicina al mio, mi stringe più fortemente la mano, il suo sguardo è ancora incollato al mio, non chiude gli occhi e non lo faccio neanch’io. I nostri nasi si sfiorano e lui abbassa per un attimo lo sguardo sulle mie labbra, poi lo riporta sui miei occhi: quel desiderio e quel sentimento sono ancora più forti. Sembra chiedermi il permesso di andare avanti. Annuisco impercettibilmente e allora Luca inclina leggermente la testa, senza smettere di guardarmi, e si avvicina sempre di più fino a che le nostre labbra non si sfiorano…

La suoneria del suo cellulare irrompe forte e squillante nel silenzio della stanza. Sgraniamo entrambi gli occhi stupiti e quasi spaventati dall’improvviso rumore e per un attimo rimaniamo completamenti fermi, senza sapere cosa fare. Ma ormai la magia si è dissolta e l’imbarazzo ritorna a impadronirsi di noi.
Ci allontaniamo lentamente l’uno dall’altro, senza alcuna parola, mi alzo e rimango in piedi, imbambolata, in mezzo alla stanza, mentre Luca risponde al cellulare, dopo averlo guardato quasi con rabbia.
Io intanto cerco di concentrarmi su qualcosa che non sia la sua conversazione, ma la mia mente non fa altro che farmi ripensare alla situazione in cui ci trovavamo poco fa. Inutile chiedersi cosa sarebbe successo se non fosse squillato il cellulare, è scontato ed è probabilmente questa consapevolezza a rendere tutto più imbarazzante. Dopo pochi minuti Luca finisce la chiamata e mi guarda con un’espressione indecifrabile sul volto.

-Mi dispiace, ma mia mamma vuole che vada a fare delle commissioni per lei… È meglio che ti riaccompagni a casa. – dice infine, tornando apparentemente rilassato come al solito.

-Va bene. Non c’è problema. – rispondo balbettando.

Risaliamo ancora una volta in moto, ma quando avvolgo le mie braccia intorno ai suoi fianchi, sento Luca irrigidirsi e tremare al mio tocco. D’altra parte neanch’io sono molto tranquilla, improvvisamente consapevole del calore emanato dal suo corpo e del suo fisico snello e allenato.
Il viaggio verso casa mia sembra durare un’eternità, un tempo infinito in cui riesco ad essere cosciente solo del mio cuore che batte furiosamente nella cassa toracica e del petto di Luca che si alza e si abbassa altrettanto velocemente.
Finalmente ci fermiamo sotto casa mia. Scendo dalla moto, seguita da lui e mi tolgo il casco, pensando a come congedarlo. Deglutisco nervosa e alzo gli occhi su di lui, il quale sta giocando altrettanto nervosamente con il cinturino del casco che sta tenendo in mano.

-Grazie davvero per questa giornata. È stato un compleanno speciale. – dico infine, rompendo l’imbarazzante silenzio.

-Sul serio? – chiede stupito.

-Sì, perché l’ho passato con te. -.
Sorride timidamente.
-Anch’io devo ringraziarti: mi hai dato la possibilità di trascorrere il tuo diciottesimo con te e tu… Lo sai, per me sei speciale e rendi unico ogni minuto trascorso insieme. -.
Sembra essere tornato così sicuro di sé… Io invece mi sento un coniglietto spaventato anche dalla propria ombra.

-Beh… è ora che vada. – dice Luca, per poi prendermi sorprendentemente il volto fra le mani e darmi un delicato bacio sulla fronte. Avvampo immediatamente e mi passo le mani sulle guance per nascondere il rossore, ma ormai lui l’ha visto e sorride.

-Ciao Clara e ancora buon compleanno. Spero che riusciremo presto a terminare il nostro… discorso. -.
Non faccio in tempo a rispondergli che è già salito in moto ed è partito. Rimango immobile a guardarlo allontanarsi, sempre più consapevole di essere irrimediabilmente e profondamente innamorata di lui.

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Capitolo 18
*** Andrà tutto bene ***


Sì, alla fine l’ho ammesso. Ormai era chiaro come il sole e fare finta di nulla sarebbe stato totalmente inutile. Eppure ora che ho accettato i miei sentimenti vedo e provo tutto in modo diverso, come se fosse amplificato. Forse sono impazzita, non ho dormito molto, ho qualcosa sullo stomaco… Oppure è vero che quando si è innamorati cambia tutto.
Non so assolutamente cosa fare, come comportarmi… In questi giorni a scuola ho cercato di essere normale e di non fare nulla di strano, ma non è servito a molto: le cose fra me e Luca sono evidentemente cambiate. Nei nostri discorsi ci sono più silenzi imbarazzati, quando siamo nella stessa stanza non faccio altro che cercarlo con lo sguardo per poi scoprire che lui sta facendo esattamente la stessa cosa. Lui mi tratta con una delicatezza ancora più disarmante e mi accompagna sempre più spesso in ospedale da mia nonna. Vorrei e forse dovrei fare qualcosa per smuovere questa condizione di stallo, ma non so come e questa questione sta cominciando ad angosciarmi: Luca ha fatto la sua mossa, a rigore di logica ora toccherebbe a me… Se non faccio qualcosa lui potrebbe stufarsi e si tornerebbe al punto di partenza, se non peggio: potrei perderlo anche come amico.
Sto rimuginando su queste cose, guardando fuori dalla finestra della camera d’ospedale di mia nonna quando sento qualcuno schiarirsi la voce. Mi volto verso la porta e ancora una volta vi trovo davanti il don.
Sorrido contenta e corro ad abbracciarlo.

-Sei passato di qua di nuovo? Come mai? -.

-Un uccellino mi ha detto che sei sempre qui e sono passato a vedere come stavi. – risponde scompigliandomi i capelli.

-Di sicuro sto molto meglio dell’ultima volta che sei venuto a trovarmi, ma le condizioni di mia nonna non sono cambiate. Mia mamma e le zie stanno pensando di staccare le macchine… - gli confido, dopo essermi seduta stancamente su una sedia.

-E tu cosa ne pensi? -.

-Penso che sia inutile tenerla legata così al mondo, senza la possibilità di vedere il sole, il cielo. Voglio che trovi la pace. – dicendo ciò prendo una mano di mia nonna fra le mie.

-Però, correggimi pure se sbaglio, non erano questi pensieri a tormentarti poco fa… -.

-Esattamente, hai ragione, come al solito. – sospiro.

-Hai voglia di parlarne? – mi chiede, senza alcuna pretesa.
Annuisco e lui si accomoda accanto a me, pronto ad ascoltarmi ancora una volta.
Penso a tutte le volte che lo ha già fatto, sempre disponibile, sempre con un consiglio e con le parole giuste per smuovere l’animo delle persone. Non è perfetto ovviamente, sa essere molto disordinato e smemorato, ma non si può biasimarlo, visto tutto il lavoro che ha da fare. Me lo immagino a fare il padre: sono convinta che sarebbe uno di quelli buoni, anche se in realtà lo fa già con tutti i bambini e i ragazzi che passano per l’oratorio. Io lo considero come una sorta di secondo papà… Con tutto ciò che ha fatto per me è il minimo…

-Don, ti ricordi quando mi hai detto che sembravo innamorata? Beh, lo sono davvero. Mi ci è voluto un po’ per capirlo e ammetterlo, ma, ecco, sì, sono innamorata. -.
Il don si illumina immediatamente alle mie parole, ma non parla ancora: vuole che continui.
-Io sono abbastanza sicura di essere ricambiata, però non so come comportarmi… Non vorrei essere troppo avventata e rovinare tutto. In fondo non me l’ha detto esplicitamente… E se avessi interpretato male, perderei anche un amico oltre che rimanere con il cuore spezzato… -.

-Pera! – mi interrompe lui, guardandomi severamente. -Cosa ti avevo detto a proposito del pensare troppo? -.

-Che la devo piantare di farmi tanti problemi… - borbotto imbarazzata.

-Allora finiscila di fare la pera colossale e fai semplicemente ciò che ti dice il cuore. Stai tranquilla che non si sbaglia. Se è vero che anche lui prova qualcosa per te, allora non devi preoccuparti: andrà tutto per il meglio. -.

-Hai ragione. Mi sono lasciata prendere dal panico. – rido sollevata, ma improvvisamente mi rendo conto dell’anomala temperatura della mano di mia nonna. – La sua mano è gelida, non è mai stata così fredda… - esclamo. Il don si avvicina, tocca anche lui la mano, sente il polso e poi avvicina l’orecchio al viso di mia nonna: impallidisce.

-Don? Cosa succede? – chiedo con voce tremante.

-Non è possibile… Perché i macchinari non hanno suonato? – dice invece lui, premendo poi il campanello d’emergenza. In pochi secondi la stanza è gremita di medici, indaffarati intorno al letto. Hanno le facce scure e scuotono la testa… Mi metto a piangere: ho capito, ma non voglio crederci.

-Che cosa è successo? Non è morta, vero? – chiedo al don fra i singhiozzi. Non mi risponde, abbassa lo sguardo triste e cerca di abbracciarmi. – No. Ti prego dimmelo! – esclamo, alzando la voce.

-Mi dispiace Clara… Tua nonna è morta, ha trovato la pace che speravi per lei. – e finalmente mi lascio abbracciare, mentre, paralizzata dal dolore, perdo lentamente conoscenza.

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Capitolo 19
*** Povera Voce ***


Mi sembra di essere una marionetta, apatica e senza volontà, mentre sto seduta ai banchi della chiesa, ascoltando la predica del prete, tormentandomi l’orlo del vestito nero e fissando, come in trans, la bara in legno chiaro dentro la quale mia nonna è abbandonata al sonno eterno. Ho gli occhi gonfi, ma non ho più lacrime da piangere e non ne ho neanche le forze.
Sapevo che perdere per la prima volta una persona cara sarebbe stata dura, ma non ho mai pensato fosse così devastante… Sento un vuoto così profondo… Come riuscirò a riempirlo? Una volta mi hanno detto che è necessario permettere alla luce di entrare nelle proprie ferite, come attraverso feritoie, per trasformare il dolore in amore, far rinascere la fenice dalle proprie ceneri bianche.
Mi chiedo se ci riuscirò e mi rispondo che devo farlo: nel corso della mia vita perderò tante altre persone ed è importante che impari subito come superare il lutto, per me, ma anche per coloro che se ne vanno e non vorrebbero vedermi piangere per il resto della mia vita. È mio dovere vivere appieno i miei anni anche per loro.

Al cimitero vengo travolta da decine di persone che mi abbracciano, mi danno pacche sulle spalle, carezze e mi fanno le condoglianze. Rispondo semplicemente con flebili sorrisi e grazie sussurrati.
Mi gira la testa, non ce la faccio più a stare tra la gente, che non sa dire altro che frasi fatte. Lo so che lo fanno con buone intenzioni e che vorrebbero consolarmi, ma non è questo il modo né il momento adatto… Non mentre vedo il corpo di mia nonna tumulato in un buco. I funerali dovrebbero dare conforto, ma onestamente penso che non abbia funzionato granché…
Devo stare da sola e per questo mi allontano da quell’angolo di cimitero, dirigendomi verso un'altra tomba, dalla parte opposta. È la tomba di mio fratello Davide: ora avrebbe ventisette anni…Mi capita di venire a trovarlo e di parlarci e ora ho davvero bisogno di lui. Mi inginocchio davanti alla lapide bianca e accarezzo l’angioletto dorato su di essa.

-Ehi, ti ho cercata dappertutto. Sei scappata via? -. Mi volto di scatto e sopra di me c’è Marco, tutto affannato. Gli rivolgo un timido sorriso e continuo ad osservare la tomba davanti a me, pulendola con cura da alcune foglioline secche, staccatesi dal cespuglio che sormonta la lapide.

-Non riuscivo più a respirare e avevo bisogno di rimanere sola. Quando ho bisogno di pensare vengo spesso qui. -.

Marco si inginocchia al mio fianco e mi mette una mano su una spalla.
-Questo è tuo fratello maggiore, vero? Me ne avevi parlato. -. Annuisco.
-Vuoi che me ne vada? -.
Scuoto la testa.
-No. Va bene se resti. Non mi hai ancora chiesto come sto ed è un punto a tuo favore. -.

- È decisamente una domanda stupida in certe situazioni e sono le ultime parole che si vorrebbero sentire. -.

Sorrido amaramente e allungo lo sguardo sulla piccola folla di persone ancora davanti alla tomba di mia nonna. Chissà a che ora riuscirò a tornare a casa…

-Io vorrei cantare una canzone a mia nonna, ma farlo così, completamente sola, mi sembra un po’ strano… Ti andrebbe di ascoltarla? – chiedo a Marco, alzando lo sguardo su di lui.

-Va bene. – risponde semplicemente.

Prendo una grande boccata d’aria e incomincio a cantare, sperando che il magone non mi blocchi.

 
Povera voce di un uomo che non c'è
la nostra voce se non ha più un perché:
deve gridare, deve implorare
che il respiro della vita non abbia fine.

Poi deve cantare perché la vita c'è,
tutta la vita chiede l'eternità;
non può morire, non può finire
la nostra voce che la vita chiede all' Amor.

Non è povera voce di un uomo che non c'è,
la nostra voce canta con un perché.

Ho tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo, ma le lacrime sono riuscite a scappare dalla prigione delle mie palpebre per solcarmi le guance. Non faccio in tempo a riaprire gli occhi, che due mani mi afferrano il viso e vengo baciata. Sgrano gli occhi e, dopo un attimo di sorpresa e confusione, spingo via da me Marco.
-Ma che ti prende? – chiedo furiosa e senza fiato.
Sento dietro di me il suono di ghiaia calpestata: mi volto e vedo Luca allontanarsi precipitosamente. Entro nel panico, mi alzo per rincorrerlo, ma vengo bloccata da Marco:

-Clara, quel bacio era vero. I miei sentimenti sono sinceri. -. Il suo tono è colmo di supplica e capisco che dice il vero, però non posso lasciare andare via così Luca…

-Di questo stai pur certo che ne riparleremo. Ora lasciami andare. – dico con rabbia. Il ragazzo lascia a malincuore la presa e resta fermo a fissarmi mentre corro via.

Riesco a raggiungere Luca appena in tempo, prima che salga sulla moto per andarsene.

-Aspetta! – grido. – Lasciami spiegare. -.

-Spiegare che cosa? – replica furioso lui, lasciandomi di sasso, poiché mai prima d’ora l’ho visto così arrabbiato. –Che anche questo bacio non significa nulla e che l’ha fatto per calmarti? Non ci credo più a questa storia! Siate pure felici insieme, non mi importa. Dovevo immaginarlo che avresti scelto lui sempre e comunque. -.

-No, ti prego. Hai frainteso tutto! Fammi parlare: io a… -. Prima che possa terminare la frase lui è già partito, lasciandomi in mezzo al parcheggio, in lacrime. – Io amo te. – concludo in un soffio.

Angolo dell'Autrice
Eccomi di nuovo qui!!!
Abbiamo superato la metà della storia e siamo arrivati a uno dei suoi punti cruciali. Spero che vi stia piacendo e vi invito a farmi sapere i vostri pareri e chi preferite tra Marco e Luca :)
In ultimo, non per importanza, vorrei ringraziare Mayetta93 per il suo commento, il primo fra l'altro. Sono davvero contenta che il mio racconto piaccia anche a qualcunaltro!!!
A presto con il prossimo capitolo!
Marta

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Capitolo 20
*** Pronto a correre ***


Sono passati alcuni giorni dal funerale, siamo agli inizi di aprile, gli alberi sono ormai in fiore e i primi caldi si fanno sentire. È piena primavera, la stagione che preferisco, perché tutto profuma di vita e rinascita. Da piccola mi ostinavo a dire che il mio compleanno era in primavera, anche se più di una volta mi era capitato che in quel giorno nevicasse, solo perché non sopportavo che fosse in una stagione triste e fredda come l’inverno. Ora però la primavera sembra non essere arrivata nel mio cuore: Luca non mi parla da giorni, non risponde alle chiamate e ai messaggi, non vuole vedermi… E senza di lui tutto è così cupo. D’altra parte Marco non mi dà tregua e io sto arrivando al mio limite di sopportazione. Lui non riesce a capire che qualunque cosa faccia io non cambierò idea su di lui: non ho alcuna intenzione di dargli un’altra possibilità. Sono così stanca, arrabbiata… Ho bisogno di cantare ed è l’unica cosa a cui penso entrando in Aula Magna per le prove del musical. Mi avvicino con passo deciso a Luca, senza badare al suo sguardo di fuoco, e mi piazzo davanti a lui con le braccia incrociate:
-Non mi interessa assolutamente che tu non voglia parlarmi. Noi parleremo, eccome! Ma prima lasciami spiegare un paio di cosette a quell’altro! – detto ciò gli metto un biglietto con il titolo di una canzone in mano e mi volto. Luca rimane fermo, interdetto dal mio comportamento, ma sembra che stia incominciando ad ammorbidirsi, perché dopo pochi secondi sento il pianoforte suonare sotto le sue dita.
Fisso il mio sguardo furente in quello di Marco, il quale sembra per un attimo spaventato da esso, poi incomincio a cantare, con l’unico desiderio di farlo pentire di tutto ciò che mi ha fatto.

Con te ero immobile

 Oggi ti vedrò di colpo sparire
 tra la folla te ne andrai
 Mi sono rotto delle scuse
 e sono stanco dei tuoi guai
 hai detto che non vuoi più
 camminare accanto a me, accanto a me

 Ora questa casa mi sembra più grande
 illumino ogni angolo
 dipingo la noia, rivesto la stanza
 di quel che d'ora in poi sarò
 non mi fermerai né adesso, né mai
 perché per troppe volte ho scelto te
 non sono immobile

 Grazie per avermi fatto male
 non lo dimenticherò
 grazie io riparto
 solo controvento ricomincerò

 Giro nel centro e faccio la spesa
 non mi sento fragile
 cento grammi di sole
 non serve l'amore
 se poi diventa cenere
 non mi prenderai
 né adesso, né mai
 perché per troppo tempo
 ho scelto te
 dimenticando me

 Grazie per avermi fatto male
 non lo dimenticherò
 grazie io riparto
 solo controvento ricomincerò

 e tu ferma immobile
 Grazie per avermi fatto male
 non lo dimenticherò
 sento nelle vene vita che si muove ricomincerò
 sarò pronto a correre per me.

Per troppo, troppo tempo ho dato tutta me stessa a una persona che ha fatto finta che non esistessi, che mi ha presa in giro e mi ha trattata come una pezza da piedi. Mi ha fatto male e per questo lo ringrazio, perché mi ha resa la persona che sono: qualcuno capace di distinguere l’amore quando lo vede, poiché ha visto ciò che amore non è. Proprio ora che ho incominciato a risentire la vita scorrermi nelle vene, l’amore accarezzarmi il cuore, non ho intenzione di ricascare nel circolo vizioso del suo egocentrismo, non così, non adesso che ho trovato Luca. Se per colpa del suo egoismo ho perso la mia nuova occasione di essere felice con una persona non glielo perdonerò mai.
Mentre canto lacrime brucianti di rabbia mi riempiono gli occhi, tanto da annebbiarmi la vista. La rabbia riempie come una spugna anche la mia voce… Chi si crede di essere per andare e venire quando vuole lui? Si diverte a collezionare i cocci del mio cuore spezzato?

Terminata la canzone tutti nella stanza mi fissano con curiosità, o meglio ci fissano. Marco mi guarda, impenetrabile. Vorrei prenderlo a schiaffi per quanto è irritante la sua espressione!

-Cosa avete da guardare? Mi sono solo scaldata la voce. – dico bruscamente e ognuno torna alle proprie attività precedenti.
Mi avvicino a Marco, tenendomi a una certa distanza di sicurezza.

-Spero che tu abbia capito. Se non vuoi perdere anche la nostra amicizia, lasciami in pace. Non c’è alcuna possibilità che ritorni con te. – gli dico con rabbia. Mi volto per andarmene, ma mi prende per un braccio:

-Non ho intenzione di lasciarti andare così facilmente: l’ho già fatto una volta. Non mi arrenderò. Ti chiedo solo di pensarci seriamente. -.
Cerco di divincolarmi dalla sua presa.

-Lasciami Marco! – gli intimo. Lo guardo dritto negli occhi e capisco che non basterà questo a convincerlo a lasciarmi andare. – Ti prometto che ci penserò, ma lasciami il braccio. -. Detto ciò Marco allenta la presa e se ne va.
Mi massaggio il polso, fulminandolo con lo sguardo, e mi volto per andare a provare, ma davanti a me trovo Luca.

-Ho davvero frainteso la situazione? – chiede serio.

-Sì. Ha fatto tutto lui, io non l’ho incoraggiato. Questo è sicuro… - rispondo abbassando lo sguardo.

-Mi dispiace… Ti ho detto quelle cose in preda alla rabbia. Vi ho visti insieme e ho pensato che in fondo tutto ciò che è successo al tuo compleanno, o meglio che non è successo, non ti interessasse, mentre io… -.

-No, non pensarlo, assolutamente. – lo interrompo avvicinandomi a lui. –So cosa vuoi dire, ma, credimi, non è stato una cosa da nulla per me, anzi, anch’io voglio finire quel discorso. Lo voglio davvero e se al funerale mi avessi fatto finire di parlare lo avresti capito. -.

-Cosa stavi per dirmi? – chiede avvicinandosi anch’egli, fino a ritrovarci a pochi centimetri di distanza.
Arrossisco vistosamente ed evito di guardarlo negli occhi.
-Forse questo non è il luogo più adatto per fare quel “discorso” … - balbetto imbarazzata.

Luca sorride, ammiccando e mi accarezza una guancia, sussurrandomi:
-D’accordo, come vuoi. Allora che ne dici se sabato pomeriggio vieni a casa mia a provare per il musical e parliamo? Ti vengo a prendere io in moto. -.

-Va bene. – riesco a dire, ipnotizzata dai suoi occhi luccicanti di malizia.

-Ah e non prendere altri impegni per il tardo pomeriggio. Penso che sarà una chiacchierata molto interessante e che dovremo discutere a lungo. – dice questo allontanandosi, mentre io vorrei sprofondare dalla vergogna.

 Angolo dell'Autrice

Rieccomi di nuovo qui con un altro capitolo, decisamente in anticipo.
Mi sono molto divertita a scrivere questo capitolo... Finalmente vediamo una Clara anche un po' più aggressiva, che non le manda di certo a dire. Sputa fuori tutto il suo rancore contro Marco e lo fa decisamente con classe. Scrivendo il capitolo sono stata molto indicisa su quale canzone inserire... Alla fine ho scelto questa, perchè è forse quella che meglio può rappresentare il cambiamento di Clara. Comunque vi consiglio di ascoltare anche l'altro brano, Jar of Hearts, di Christina Perry (anche se io l'ho conosciuta tramite Glee e sono rimasta fedele a quella versione).
Aspetto i vostri pareri e vi saluto, perchè la quinta superiore non perdona e devo finire i compiti!!!
Buona serata!
Marta
PS. Adesso cercherò di farmi sentire un po' di più... Mi sono resa conto di essere stata abbastanza latitante fino ad ora! Scusate!!!
 

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Capitolo 21
*** Jar of Hearts ***


Prima di vedermi con Luca, però, è necessario scegliere con cura cosa dire a Marco. Nonostante tutto si merita delle spiegazioni e si merita che ci pensi seriamente. Non posso semplicemente dirgli “Ehi, mi dispiace, ma sono innamorata di uno dei tuoi migliori amici e tu non mi interessi più”!
Fisso il soffitto della mia camera sconsolata, abbracciando un cuscino, ma in quel bianco non riesco a trovare nessuna risposta. È come se avessi il blocco dello scrittore: le pagine si aprono bianche e linde davanti a me, pronte per essere segnate dalla penna, eppure non ho idea di come riempirle.
“Se sto qua non risolvo un bel niente. Devo uscire da queste quattro mura.” Penso, alzandomi di scatto dal letto.
Prendo il cellulare e scrivo un breve messaggio a Luca, informandolo del luogo dove mi potrà trovare quando verrà a prendermi, poi mi cambio, metto le scarpe ed esco di casa.
Voldomino è una piccola frazione, per lo più tranquilla e lontana dalla confusione del centro cittadino, ma non si può dire che abbia molti luoghi con viste mozzafiato. Se si abita nella parte più alta, di più nuova costruzione, si può avere la fortuna della vista sul lago e Luino, ma per altri il panorama dalla finestra si limita ad altre case, alla strada oppure, come nel mio caso, al cimitero. Sì, effettivamente è una vista un po’ macabra, ma riesce anche a tenere viva la memoria di coloro che non ci sono più. Casa mia è circondata da luoghi di memoria, oltre al cimitero, sopra il nostro condominio, c’è la Gera: una piccola cappella dedicata a un gruppo di partigiani, uccisi proprio in quel luogo. Voldomino era infatti una delle loro basi e da Biviglione, piccolissima frazione del paese, facevano anche scappare gli ebrei, attraverso il bosco, in Svizzera.
Il mio paesino, per quanto considerato oggi un luogo attraverso il quale è poco raccomandabile passare di sera da soli, è antico e ricco di storia e leggenda e mi piace.
Voldomino, “Volto di Dio”, lo definiva il poeta luinese Vittorio Sereni, nella cui villa è ora costruito il liceo che frequento… Avrà pure un senso questa traduzione.

Attraverso la strada e percorro la discesa che conduce al piazzale del cimitero. Vi entro, dirigendomi alla tomba di mio fratello, mi inginocchio davanti ad essa, dopo aver lasciato un bacio sull’angioletto dorato, e mi guardo intorno: sono completamente sola… Posso concedermi il lusso di parlare a mezza voce:

-Ehi, fratellone… Dalle tue parti come va? Qui è un po’ un casino, ma credo che tu lo sappia già. Sono innamorata di un ragazzo stupendo, ma come faccio a non ferire ulteriormente Marco? Cosa dovrei dirgli? -.

-Semplicemente la verità Clara. -.
Mi volto spaventata e trovo Marco in piedi davanti a me, con un’espressione ferita in volto.

-Marco, come sapevi che sarei stata qui? – chiedo, alzandomi lentamente da terra e pulendomi le mani sui pantaloni.

-Stavo venendo da te per parlare e ti ho vista venire qui. Mi sono ricordato che vieni da tuo fratello quando hai bisogno di pensare, ma questa volta sembra che tu abbia le idee abbastanza chiare.

-Hai sentito tutto? – chiedo ancora, nervosamente.

-Perché non me l’hai detto subito? – mi domanda invece lui.

-Ti prego. Almeno andiamo sul piazzale. Non è questo il luogo adatto per parlarne. -.
Marco mi asseconda e ci dirigiamo insieme verso l’uscita. Appena fuori dal cancello prendo una grande boccata d’aria e cerco le parole per rispondergli:

-Io non mi aspettavo assolutamente che tu saresti tornato sui tuoi passi. Sei stato decisamente chiaro a proposito… Non mi hai voluto parlare per mesi, mi hai preso in giro, raccontato bugie e trattato con una freddezza tale… E ora vieni a dirmi che mi ami, come se non fosse successo nulla. Proprio adesso che sono riuscita a passare oltre. Avrei potuto perdonarti e dimenticare tutto quello che mi hai fatto, in nome della nostra amicizia, ma questo è troppo Marco. -.
Butto fuori queste parole tutte d’un fiato, con un nodo alla gola che non accenna a sciogliersi.
Marco mi si avvicina, tentando di accarezzarmi il viso, senza successo, perché lo rifiuto. La delusione è lampante nel suo sguardo.

-Pensi che io invece lo abbia previsto? Anch’io ero ormai certo che fosse una storia chiusa, mi divertivo solamente a punzecchiarti e so che sono stato davvero ingiusto nei tuoi confronti… Ma tu a settembre sei tornata a scuola con un temperamento che non vedevo più da tempo. Il modo in cui mi hai risposto con orgoglio il primo giorno, vederti entrare mano nella mano con un altro ragazzo in Aula Magna, sentirti cantare in quel modo… Non hai idea dell’effetto che può avere la tua voce sugli altri: è devastante. Io mi sono reso conto che ancora mi bruciava, che non ce la facevo a vederti così felice senza di me. Ho rivisto la ragazza di cui mi sono innamorato anni fa, il mio primo amore. Dal momento in cui ho capito questo non sono stato più in grado di controllare le mie azioni: ti ho baciato, ho sfruttato qualunque occasione per starti vicino e a Capodanno… Se avessi avuto il coraggio ti avrei già dichiarato allora i miei sentimenti, soprattutto dopo ciò che mi hai detto su quel balcone. Avevi ragione, non sono più me stesso, ma ho cercato di cambiare, di tornare quel ragazzo… Per te. -.
Rimango ferma, attonita. Le sue parole sono così belle e vere, ma io non sento più niente per lui e questo non fa che aumentare i miei sensi di colpa. Alzo gli occhi, cercando di trattenere le lacrime, che pungono prepotentemente per uscire, distogliendo la mia attenzione da Marco, il quale coglie l’occasione per avvicinarsi e tentare di baciarmi. Reagisco di istinto, dandogli uno schiaffo. Lo schiocco della mia mano che colpisce la sua guancia risuona nel silenzio del parcheggio deserto. Marco ha gli occhi sgranati, mentre mi fissa stupito, tenendo una mano nel punto dove l’ho appena colpito. Io mi stringo l’arto colpevole, pentita del mio gesto.

-Scusami, non volevo farti male. Mi hai solo presa alla sprovvista… Ma comunque non è abbastanza. Ho notato i tuoi sforzi, ma non bastano. Io stessa non sono più la ragazza che era innamorata di te e onestamente spero di non esserlo mai più, perché mi sono solo fatta del male. -.
Vedo in un solo istante lo stupore nello sguardo di Marco mutare in rabbia. Indietreggio, ma è inutile: lui afferra i miei polsi e mi tira a sé.

-Marco! Mi fai male così! – cerco di dire, ma la mia voce è strozzata.

-Quindi io sarei stato un male per te. – sibila, senza ascoltarmi, anzi, stringendo ulteriormente le mani intorno ai miei polsi. Soffoco un gemito di dolore.

-Non volevo dire questo… - sussurro, terrorizzata. Non ho mai visto Marco in questo stato… È terribile.

-Non posso lasciarti andare. Non capisci? Non posso… Proprio ora che mi sono reso conto di quanto tu sia importante per me… -. Lo guardo stupefatta: sta piangendo. Anche le sue lacrime sono qualcosa di totalmente nuovo per me… Anch’io non riesco più a dominarmi e gocce salate incominciano a scendere senza più freni.
La presa sui miei polsi si indebolisce, ma non faccio in tempo a liberarmi da essa che qualcuno mi cinge da dietro con le braccia, attirandomi contro di sé.
Marco impallidisce e fissa dritto alle mie spalle, come se avesse appena visto un fantasma.

Angolo dell'Autrice

A proposito di Jar of Hearts, non ho potuto fare a meno di inserirla almeno come titolo di un capitolo...
Alla fine è avvenuto il confronto tra Marco e Clara, ma non è andato proprio bene... Diciamo che il ragazzo ha problemi nell'accettare i rifiuti e reagisce addirittura usando la forza. Questa non è stata affatto una buona idea! Soprattutto davanti a una certa persona... Chi sarà il personaggio misterioso accorso in aiuto della donzella in pericolo (anche se sicuramente gli schiaffi li sa dare e anche forti)? Ok... è abbastanza scontato, ma datemi almeno l'illusione di aver dato un briciolo di tensione a questa storia!

Datemi il vostro parere senza paura (non vi mangio, tranquilli) e... A presto con un nuovo capitolo!

Marta
 

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Capitolo 22
*** Acrobati ***


-Tu… Dovevo immaginare che sarebbe arrivato il cavaliere dalla bianca armatura a salvare la sua principessa… -. Non è sarcastico o arrabbiato, sembra pieno di rammarico e di profonda tristezza. Alzo lo sguardo e mi trovo davanti agli occhi un volto contratto dalla rabbia, un volto decisamente familiare.

-Luca… Non… -.
Vorrei dirgli di non far nulla all’amico, in fondo ha solo il cuore spezzato, ma non faccio in tempo a terminare la frase che lui parla in tono duro e freddo, più del ghiaccio.

-Sembra proprio che tu non sia in grado di rispettare le promesse. -.

-Perché tu l’hai rispettata, vero? L’ha scenata che hai fatto in questo stesso luogo non è mai avvenuta… - replica Marco, affilando lo sguardo e puntandolo dritto su Luca, come se volesse pugnalarlo al cuore.

-Io non ho osato sfiorarla con un dito, a differenza tua. – dice l’altro, con un chiaro tono di accusa.
Marco rimane in silenzio, abbassando lo sguardo, colpevole e pieno di rimorso. Le sue lacrime si fanno ancora più copiose e i suoi singhiozzi più forti.
Sono sconvolta… Non avrei mai voluto che finisse in questo modo. Non ho previsto di innamorarmi, avrei preferito che nulla cambiasse e che rimanessimo tutti e tre amici. Però so benissimo dentro di me che non sarebbe durata a lungo, le cose sarebbero cambiate comunque prima o poi. Uno dei due si sarebbe dichiarato e i sentimenti sepolti sarebbero usciti fuori, creando scompiglio e forse situazioni peggiori di questa.

Luca intanto mi afferra una mano e mi conduce di fretta alla sua moto. Mi infilo il casco, salgo e stringo le mie braccia intorno al suo petto. Mentre ci allontaniamo guardo Marco, il quale sta ancora piangendo, ora inginocchiato per terra, con il viso fra le mani. Il dolore che quella vista mi infonde è troppo da sopportare: chiudo gli occhi e mi stringo ancora di più a Luca, lasciandomi andare a un pianto liberatorio.

Quando arriviamo a casa sua i miei occhi sono ancora lucidi, rossi e gonfi. Scendendo dalla moto, Luca li guarda con apprensione e rabbia. So che quest’ultima non è rivolta a me, ma non posso fare a meno di sentirmi a disagio sotto il suo sguardo rovente.
Entriamo nella sua dependance, mi fa sedere sul divano e mi va a prendere un bicchiere d’acqua. Quando me lo porge lo ringrazio con un lieve sorriso e lo osservo con la coda dell’occhio mentre si siede al mio fianco e sfiora i miei polsi.

-Sono rossi… Lui ti ha stretto, ti ha fatto male. – dice a bassa voce, tenendo gli occhi fissi sui lividi.

-Non è nulla di grave… - cerco di rassicurarlo, ma con pochi risultati.

-Sarei dovuto arrivare prima, ero in ritardo… Avrei dovuto immaginare che non avrebbe reagito bene. -.

-Ehi, non è colpa tua! L’unica che avrebbe dovuto fare attenzione sono io. – dico con fermezza, appoggiando il bicchiere sul tavolino di vetro davanti a me e prendendogli le mani fra le mie.

-Ma lui non avrebbe dovuto toccarti, non avrebbe dovuto osare… Non so cosa mi abbia trattenuto dal tirargli un pugno. – dice con rabbia.

Gli stringo le mani, alza gli occhi sui miei, che lo guardano severamente.
-Se ci avessi provato, ti avrei fermato io. Sarebbe stato inutile. Marco ha solo il cuore spezzato, lo posso capire benissimo, ed è anche colpa mia se si è comportato in quel modo. Avrei dovuto parlargli con sincerità fin da subito e non lasciare che sentisse il mio discorso al cimitero… -.

-Certo che le tue parole devono averlo proprio sconvolto… -. È un invito a renderlo partecipe di ciò che ho detto a mio fratello Davide, ma è troppo imbarazzante, per cui faccio finta di non coglierlo e cambio argomento.

-Quando avete parlato di promessa, cosa intendevate? – chiedo.

-L’abbiamo fatta a Capodanno. – inizia a spiegare lui con un sospiro – Ci siamo resi conto dei sentimenti, l’uno dell’altro, per te e abbiamo deciso di comportarci da amici leali: ti avremmo fatto sì la corte, però senza scorrettezze e nel caso in cui tu avessi scelto uno dei due, l’altro si sarebbe fatto da parte in silenzio. Non volevamo farti sentire in colpa e non volevamo perdere in alcun modo la tua amicizia, ma non ne siamo stati capaci… -.

-Ora capisco il vostro confabulare mentre cantavo… - sussurro, finalmente consapevole di tutto.

-Mi dispiace… Siamo stati davvero un disastro. – si scusa con imbarazzo Luca.

-Non ti preoccupare. – gli sorrido, rassicurandolo.

-Vuoi cantare qualcosa? – chiede speranzoso, facendo tornare il sorriso sul suo volto: mi mancava, il broncio non gli dona affatto.

-In realtà non sono molto in vena… -.

-Allora vediamo cosa si può fare… - borbotta pensieroso. Alla fine il suo sguardo si illumina: si alza e si mette davanti a me, porgendomi elegantemente una mano.

-Signorina, vorrebbe concedermi questo ballo? -.
Guardo la sua mano piuttosto confusa.

-Ma tu non odi ballare? – chiedo.

-Mmm… Diciamo che dipende da chi mi accompagna. – risponde, facendomi l’occhiolino.

-D’accordo. – accetto, afferrandogli la mano e alzandomi. Luca mi fa fare una piroetta, accogliendomi infine fra le sue braccia. – Siete decisamente un ragazzo pieno di sorprese. – dico, stando al suo gioco.

-Sono disposto a svelarvele tutte, sempre che lo vogliate. -.

-Ne sarò onorata. – rispondo con un sorriso, da lui ricambiato immediatamente. – Ma… la musica? – chiedo, rendendomi conto che non l’ha ancora fatta partire.

-Arriva subito. -.
Luca allunga un braccio, accende lo stereo e parte una canzone dolcissima, Acrobati s’intitola, se non ricordo male.
Incominciamo a muoverci lentamente, seguendo la dolce melodia. Anche mentre mi fa volteggiare per la stanza, non distolgo i miei occhi dai suoi, come al solito, limpidi, intrisi di calma, tranquillità e di una magia, che mi trasporta in un’altra dimensione, dove volo leggera fra le sue braccia, come farfalla trasportata dal vento. Mi sembra di essere stata catapultata in una di quelle favole, con quei grandi castelli, dove vengono allestiti magnifici balli, pieni di cristallo, candele, abiti principeschi, cavalieri dalle spade tirate a lucido…
Le mie fantasticherie vengono interrotte da Luca, il quale mi ha improvvisamente abbracciato, immergendo il viso fra i miei capelli e aspirandone il profumo. Sento i battiti del suo cuore accelerati, quanto i miei e mi immagino, non potendoli vedere, i suoi occhi, pieni di quel desiderio che già ho visto il giorno del mio compleanno.
Come se mi avesse letto nel pensiero, si scosta leggermente da me e mi guarda intensamente negli occhi. Rimango ipnotizzata da quel blu così intenso e particolare, potrei affogarci dentro, ma non mi dispiacerebbe affatto. Sono così incatenata al suo sguardo, da non rendermi conto del suo viso, sempre più vicino al mio. Questa volta non esita, non mi chiede il permesso – gliel’ho già dato in fondo -; socchiude gli occhi, anche se continuo a vederne il luccichio, e finalmente mi bacia, con dolcezza. Chiudo gli occhi e ricambio il bacio, mentre lui prende delicatamente il mio viso fra le sue mani, attorcigliando i miei capelli intorno alle sue dita. Non so quanto tempo trascorra, onestamente vorrei che si fermasse per non dover mai interrompere il momento e prolungarlo all’infinito. Mi rendo conto che fino ad ora mi è sempre mancato qualcosa, ho sempre sentito un vuoto che sembrava incolmabile, ma adesso, con Luca, mi sento finalmente completa.
Con una smorfia di dispiacere Luca separa le nostre labbra e appoggia la sua fronte sulla mia, tenendomi ancora abbracciata. Gli accarezzo il viso e ci sorridiamo a vicenda. Lui è la mia unica debolezza, il mio unico desiderio... Ed ora nei suoi occhi splendidi riconosco il cielo infinito che ho già visto negli occhi di mia cugina: finalmente ho trovato i miei Occhi di Cielo.

Angolo dell'Autrice

Prima dell'inizio di una nuova e infernale settimana scolastica ho deciso di non tenervi troppo sulle spine e...
Una sola parola: FINALMENTE!!!!

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Capitolo 23
*** Wind of Change ***


Ancora non mi sembra vero: Io e Luca stiamo insieme, ci siamo baciati… È incredibile, le cose per una volta sembrano andare per il verso giusto e sono felice, anche se una nuvola sembra ancora coprire una parte del mio sole: Marco.
Cerco di scacciare il pensiero di lui con un gesto della mano, come se fosse un insetto fastidioso e abbasso lo sguardo su Luca.
Siamo sulla medesima panchina su cui abbiamo mangiato insieme il giorno in cui ci siamo conosciuti e stiamo attendendo che venga l’ora di recarci in Aula Magna per le prove del musical, che si fa sempre più vicino, aumentando le nostre ansie. Luca è disteso sulla panchina, con le gambe piegate e la testa appoggiata sulle mie gambe, come se fossero un cuscino. A quanto pare ha avuto una giornata pesante a scuola, ma io credo che sia solo una scusa per farsi coccolare un po’, ben sapendo che a me non dà affatto fastidio. Gli accarezzo i capelli, intrecciando le soffici ciocche intorno alle mie dita. Sembrano il pelo di certi gatti, quelli che al solo vederli hai voglia di accarezzare per immergere le mani nel manto morbido. Ridacchio sottovoce, immaginandomi il mio ragazzo sotto forma di gatto e osservandone i bei lineamenti, rilassati, mentre riposa con gli occhi chiusi. Il mio ragazzo… Caspita, fa un certo effetto anche solo pensarlo. Mi assaporo lentamente ogni parola e penso per quanto tempo ho solo sognato una persona del genere nella mia vita. Lui è un miracolo… Mi ha salvato dal mio mondo grigio e monotono, portandomi sulla scia dell’arcobaleno, alla ricerca del leggendario pentolone d’oro, scoprendo però alla fine che il vero tesoro siamo noi due, insieme e l’armonia perfetta che riusciamo a creare.
Una carezza leggera sulla guancia riporta completamente la mia attenzione su Luca, il quale ha allungato un braccio verso il mio viso. Sorrido e mi abbandono al suo tocco gentile, beandomi del tepore della sua mano. Luca ha riaperto gli occhi, che luccicano pieni di vita e dolcezza. È incredibile: nonostante abbia visto un’infinità di volte i suoi occhi, continuo a rimanerne incantata e a volermi tuffare in quel mare calmo e limpido.

-Perché ridevi prima? – mi chiede curioso.

-Stavo pensando che quando dormi assomigli a un gattino. – rispondo divertita.

-Ma davvero? Sarei il tuo tenero gattino? – chiede maliziosamente.

-Esatto. Mancano giusto coda, baffi e fusa. – continuo.

-Le fusa posso anche fartele, se vuoi. Prrr prrr. – e incomincia davvero a imitare le fusa di un gatto, facendomi scoppiare a ridere. Poi si tira su, tenendosi con un braccio, e mi bacia, mettendo a tacere le mie risa. Dopodiché si siede al mio fianco, mettendomi un braccio intorno alle spalle e invitandomi ad appoggiare la testa nell’incavo del suo collo. Lo assecondo e per un po’ rimaniamo in un placido silenzio, guardando il lago azzurro fra gli alberi e facendoci scaldare dal sole primaverile.

-Sei preoccupata per dopo Clara? Cioè… All’idea di rivedere Marco? – chiede lui a un certo punto.
Non manca molto alle prove ed è ovvio che Luca si preoccupi, soprattutto dopo quanto successo.

-Non ho paura, se è quello che intendi. Solo non so cosa dirgli. – rispondo sospirando.

-Penso che tu gli abbia già detto tutto quello che dovevi dirgli. Lui piuttosto dovrebbe chiederti scusa. Ti ha messo le mani addosso dopotutto! -. È ancora palpabile il rancore nella sua voce e cerco di calmarlo afferrandogli una mano e accarezzandola con delicatezza.

-Lui non voleva farlo sul serio, lo sai. Non mi avrebbe mai fatto del male seriamente, non se lo sarebbe mai perdonato, e sono sicura che non lo rifarà mai più.  -.

-Questo è poco, ma sicuro. – dice in tono amaro una voce familiare. Alzo la testa e sul fondo dello spiazzo scorgo Marco, il quale si sta avvicinando con cautela, osservando il volto di Luca, indurito ora dal risentimento. – Prima di saltarmi addosso, ti prego, lasciami parlare. – chiede il ragazzo con aria contrita.
Luca rimane in silenzio, senza distogliere gli occhi da lui, il quale prende il suo atteggiamento come un invito a continuare.
-Innanzitutto devo supplicare il tuo perdono, Clara. Non avrei dovuto osare tanto, non avrei dovuto toccarti nemmeno con un dito. Sono stato così egocentrico ed egoista, come al solito. Non potevo sopportare che tu guardassi con quegli occhi innamorati qualcun altro a parte me. -.

-Sei già perdonato, Marco. È anche colpa mia: sarei dovuta essere subito chiara con i miei sentimenti… -  dico abbassando gli occhi.

-No, lo sapevo, era chiaro come il sole. Insomma, voi due siete fatti l’uno per l’altra e il modo in cui vi siete sempre guardati e presi cura vicendevolmente… Vi amavate prima ancora di capirlo voi stessi. – io e Luca ci guardiamo e intrecciamo le nostre dita, sorridendoci. – E io devo farmene una ragione. Non sono forte come te, Clara, che mi hai mandato a quel paese e hai avuto il coraggio di dirmi che non ero più me stesso, ma devo farlo, perché ci tengo a entrambi e non voglio perdere la vostra amicizia. Però il modo in cui mi sono comportato mi fa comprendere che alla fine non ho fatto alcun passo avanti. -.

-Questo non è affatto vero! Il solo fatto che tu ti renda conto del tuo egocentrismo ed egoismo è segno che questo abito ti va ormai stretto e vuoi liberartene. Non puoi aspettarti risultati immediati: è un percorso lungo e difficile, ma stai cambiando, Marco, fidati. -.
Il mio amico mi sorride grato, per poi posare lo sguardo su Luca, il quale si è un po’ rilassato, ma rimane comunque serio e teso.

-Mi dispiace Luca. Quella sera di Capodanno avrei dovuto farmi da parte senza dire niente. Sapevo benissimo che avrebbe scelto te e che tu sei il ragazzo più giusto per lei. Non avremmo dovuto fare promesse inutili, che poi nessuno dei due ha rispettato. Non avrei dovuto tradire un amico, un vero amico, che avrebbe anche sacrificato i propri sentimenti per un capriccio di un disastro di ragazzo come me. Non avrei dovuto toccare la ragazza che ami, soprattutto dopo averla sentita dichiarare i propri sentimenti per te sulla tomba del fratello. Perdonami, Luca, perdonami. L’unica promessa che posso farti e che, giuro, manterrò, è che non succederà mai più. -.
Marco termina il discorso e incerto allunga una mano verso l’amico, il quale la osserva pensieroso per qualche lungo secondo, prima di sorridere e afferrarla, alzandosi in piedi.

-Non preoccuparti, amico. Probabilmente avrei reagito nello stesso identico modo. Non potrei mai odiarti in eterno per questo. So che terrai fede alla tua promessa. – dice dandogli una pacca sulla spalla, mentre la gioia e il sollievo si mischiano sul volto di nuovo sorridente di Marco. – E comunque è molto interessante ciò che hai detto al cimitero, Clara. E tu che non volevi dirmelo… - continua Luca, girandosi divertito verso di me, che fulmino Marco con lo sguardo:
-Dovevi proprio dirlo, vero? – borbotto, mentre lui alza le mani in segno di innocenza e con un’espressione da angioletto stampata sul viso.

-Dai, è ora di andare. – dice infine il mio ragazzo ridendo e porgendomi una mano. La afferro, alzandomi e incominciando a camminare al suo fianco, dall’altro lato il nostro amico, con le mani in tasca e con lo sguardo intento a cercare un punto da guardare che non siano le nostre dita intrecciate.

-Questa scena mi ricorda qualcosa… - sorrido, pensando al primo giorno di musical, e mostrando le nostre mani a Luca, il quale sorride anch’egli, tornando indietro nei mesi a quel fatidico giorno di settembre, a quella caduta senza la quale ora probabilmente non saremmo qui, insieme.

-Allora, a dire la verità, ti ho offerto la mia mano solo per avere una scusa per starti vicino ancora. -.

-Ma che romantico! – lo canzono.

-Oppure era perché avevo paura che mi cascassi di nuovo sui piedi… - dice lui, prendendomi in giro. Lo spintono scherzosamente e poi ci avviciniamo sorridendo alla porta dell’Aula Magna, di nuovo tutti e tre insieme.

Angolo dell'Autrice

Rieccomi con un pochino di ritardo...
Finalmente Luca e Clara stanno insieme e sono così carini!!! Però non ho avuto il cuore di lasciare lì da solo Marco, disprezzato da tutti... In fondo voglio bene anche  a lui... Per cui ho fatto fare pace a tutti quanti! La situazione è ritornata tranquilla, ma qualcosa attende dietro l'angolo di sconvolgere completamente la vita dei tre ragazzi...

Al prossimo capitolo!
Marta

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Capitolo 24
*** Chiedilo al Cielo ***


I giorni passano veloci, sfuggevoli come il vento primaverile, leggera brezza tiepida, che scivola fra le foglie degli alberi, increspa con piccole onde le acque del lago, si infila fra i capelli, scompigliandoli, sfugge alla presa delle mie dita, che vorrebbero catturarla e fermarla in quegli attimi di gioia che mi scuotono il cuore. Ma il tempo corre, non aspetta nessuno, non fa pause per nessuno. È dispettoso: accelera quando le persone sono felici e vorrebbero che questo sentimento durasse un po’ più a lungo, mentre se la prende comoda quando tutto appare triste e grigio e si anela al momento in cui uscirà un raggio di sole a colorare la realtà. E ci inganna, perché i nostri orologi, a dispetto della nostra percezione, procedono con regolarità estenuante, tic tac, tic tac… E anche se si fermano non cambia nulla, tutto va avanti, facendoci venire il dubbio che il tempo non esista, sia solo una nostra invenzione per dare un qualcosa di simile a un ordine alle nostre vite, che sono tutto fuorché ordinate. Chissà forse è proprio così. Noi cresciamo, invecchiamo, ma non è il tempo a passare, è solo la nostra vita, siamo solo noi e i nostri corpi, simili ad alimenti a lunga conservazione, ma con, nonostante tutto, un’inevitabile scadenza… Dicono che il più grande nemico dell’uomo sia il tempo, promemoria eterno della sua non-eternità, ma forse in realtà la criptonite di ogni individuo è solo se stesso.

Non so perché mi venga da pensare a certe cose proprio adesso… Forse è il troppo studio che mi sta fondendo il cervello in queste settimane, oppure mi sono semplicemente persa nei ricordi del mio passato, perché alla fine solo loro restano: il tempo fugge così precipitosamente da lasciarsi scappare qualche pezzettino, che noi raccogliamo e custodiamo gelosamente, poiché prove inconfutabili della nostra esistenza, almeno per noi. Ci ricordano che abbiamo vissuto, nel bene e nel male. Come noi stessi o con mille maschere o come nessuno. Mi chiedo se in fondo sono arrivata a conoscere la vera me, se sono riuscita a distruggere quelle viscide imitazioni di me stessa che vivevano al posto mio, muovendo i fili della mia vita come se tutto fosse un teatrino delle marionette.
Il dolore è ancora forte nonostante tutto, ma è un bene: mi ricorda costantemente chi non voglio essere più… La ragazza che gli altri si aspettano che io sia. Se mi comporto in un determinato modo non deve essere perché lo vogliono gli altri, ma perché lo voglio io, io soltanto. Eppure per anni ne ho avuto una paura insensata, pazza… Non osavo avvicinarmi a me stessa, alla mia criptonite, figuriamoci se abbia mai pensato che potesse farlo qualcun altro!
Invece Luca ogni giorno ne tira fuori un nuovo pezzettino e con pazienza ricompone il puzzle del mio vaso di cristallo, spezzato da anni di dimenticanza.
Sorrido, cercando di catturare un po’ d’aria, sporgendomi dalla finestra della classe. È inizio maggio e le temperature, soprattutto, al chiuso diventano sempre più estive e poco sopportabili e in più sono così stanca… Non faccio altro che studiare, studiare, studiare e naturalmente cantare, almeno c’è qualcosa che mi dà un po’ di pace, oltre a Luca, si capisce, ma anche lui è nelle mie stesse condizioni e per questo non siamo ancora riusciti ad avere un vero e proprio appuntamento. Non che non possa farne a meno, mi basta solo stare semplicemente con lui, ma vorrei per una volta averlo tutto per me per un pomeriggio o una serata intera…
Improvvisamente qualcuno mi prende per i fianchi, mi volto di scatto, presa alla sprovvista, e scontro il mio naso contro quello di Luca, rimasto sorpreso quanto me dalla mia reazione.

-Ehi, sono solo io. – dice con una punta di divertimento nello sguardo, mentre il suo tono di voce è dolce come il miele.

-Scusami, ero immersa in pensieri un po’ intricati e mi sono spaventata. – mi scuso, sorridendo imbarazzata.

-Ti hanno già detto che pensi troppo? -.

-Ehm… Sì, più di una volta… - rispondo, pensando al don e ai suoi “pera” del tutto meritati.

-Comunque è bello osservarti mentre sei nel tuo mondo dei pensieri intricati: irradi calma e tranquillità, ma mi sembrava che ti stessi sporgendo un po’ troppo dalla finestra e… -.

-E allora non hai potuto fare a meno di fare il cavaliere e salvarmi. – rispondo prendendolo un po’ in giro, ma in realtà felice di come si prenda sempre cura della sottoscritta pasticciona. – Beh, grazie a te sono viva e integra. Ora penso però che tu possa lasciarmi. – dico, con un sorriso sardonico stampato sulle labbra, riferendomi alle sue braccia, ancora avvolte attorno alla mia vita.

-Ne sei sicura? Potresti inciampare, e non sarebbe la prima volta, oppure essere portata via da un altro cavaliere meno gentiluomo di me… Ogni riferimento a Marco è puramente casuale… - aggiunge, guadagnandosi un mio sguardo divertito misto a rimprovero. – Vuoi davvero che ti lasci andare? – chiede, dopo avermi avvicinata a lui ulteriormente. Che sfacciato!

-Fa davvero troppo caldo oggi per stare così vicini a qualcuno… - dico, facendomi aria con una mano e guardando con la coda dell’occhio l’espressione pensierosa di Luca, in cerca di una risposta. In un lampo vedo i suoi occhi riempirsi di malizia e capisco di non avere più scampo.

-Sei accaldata per la giornata di sole o è la mia presenza a farti questo effetto? -.

-Questo è scorretto! Sei davvero impossibile! – esclamo, colpendolo con le mani sulle braccia, mentre lui ride soddisfatto. – E va bene hai vinto tu. Cosa devo fare per liberarmi? – chiedo infine sospirando.

-Penso che tu lo sappia benissimo. – mi risponde facendomi l’occhiolino. Io arrossisco, ma mi alzo sulle punte dei piedi e gli stampo un bacio leggero sulle labbra. Lui allora mi libera dalla dolce prigione delle sue braccia, mi prende una mano e intreccia le sue dita alle mie.
Prima che entrambi possiamo dire qualcos’altro, sento la suoneria del mio cellulare: mi è arrivato un messaggio.
Mia mamma mi chiede se prossimamente voglio andare a trovare mia cugina in convento, così può prendere un appuntamento.
Effettivamente la Quaresima e la Pasqua sono passate, si può andare a visitarla… Scorro mentalmente la lista dei miei impegni scolastici e mi rendo conto che l’unica domenica libera dallo studio è proprio questa. Rispondo alla mamma con la data, ma mi dice che lei e papà non ci sono, non potrebbero accompagnarmi e mio fratello non verrebbe mai con me. Ci penso un attimo e poi una lampadina si accende nella mia testa: dico a mia madre che non c’è alcun problema, di prendere comunque l’appuntamento che il passaggio ce l’ho, eccome se ce l’ho…

-Tutto bene? Qualche novità interessante? – chiede Luca curioso. Io lo guardo, con occhi luccicanti di supplica. – Cosa significa quello sguardo…? – chiede un po’ impaurito.

-Tu questa domenica pomeriggio sei libero, vero? -.

-Sì, non ho verifiche lunedì… - risponde incerto.

-Perfetto. Ora hai un impegno con me. – dico soddisfatta.

-Aspetta. A una sola condizione, però. – mi interrompe lui serio. Annuisco e lui continua a parlare. – Domenica sera tu sarai tutta per me. Penso che sia ora del nostro primo appuntamento. -.
Il mio sguardo si illumina alle sue parole:

-Mi stai chiedendo di uscire? – chiedo, ancora incredula.

-Esattamente. – risponde lui sorridendo.

-Condizione più che accettata! – esclamo dandogli un bacio sulla guancia.

-Ma nel pomeriggio cosa dobbiamo fare? – chiede, arrossendo alla mia spontanea e improvvisa manifestazione d’affetto.

-Ti devo far conoscere una persona molto speciale. -.

E così mi ritrovo di nuovo sui lunghi tornanti che conducono al monastero. Il sole splende, illuminando i verdi e curati prati svizzeri, dove pascolano alcune mucche placidamente. Sembra tanto uno stereotipo, ma da queste parti è proprio così… Anche davanti al monastero si vedono pecore e cavalli brucare l’erbetta tenera, circondati dai frondosi alberi del bosco che circonda il convento e le case lì intorno.
Luca guida la moto seguendo le mie indicazioni e guardando un po’ in giro. Non è mai stato da queste parti, suppongo. Effettivamente non è il luogo più comodo da raggiungere, ma quando si tratta di monasteri non può essere altrimenti, almeno nella maggior parte dei casi: soprattutto nel Medioevo questi edifici venivano costruiti in luoghi isolati, per garantire la tranquillità necessaria per la preghiera e la lontananza dai vizi della città. Con il tempo l’abitudine non si è interrotta, per cui anche il convento di mia cugina, relativamente di recente fondazione, è perso sui monti.
Finalmente arriviamo nel parcheggio sterrato e possiamo scendere dalla moto.

-Bel posto dove venire ad abitare… Molto vivo, direi. – commenta Luca.

-Disse il ragazzo che da Milano è venuto a vivere a Luino, la patria della vivacità per eccellenza, mi dicono. – replico sarcasticamente, suscitando le sue risate.

-Ok, ok, faccio meno il milanese snob. -.

-Ecco, bravo. Adesso andiamo che Emma ci aspetta. – dico, prendendolo per mano e trascinandolo sul sentiero verso il monastero.

-Tua cugina è davvero importante per te se ci tieni così tanto a farmela conoscere. – constata lui.

-Mi è stata vicina quando ne ho avuto più bisogno. Ha sempre trovato le parole giuste per confortarmi e ridarmi la forza di rialzarmi e ricominciare. Le voglio molto bene e ammiro la sua scelta di vita: è stata molto coraggiosa. Non è da tutti oggi scegliere l’amore. – gli spiego con dolcezza, stringendogli più fortemente la mano.
Luca ricambia la stretta, mi sorride e sussurra:

-Anch’io lo sto facendo. Ho scelto te e la musica. Non sarà sensazionale come diventare prete o monaco, ma… -

-Invece lo è, credimi. – lo interrompo - Ognuno ha una sua via per la felicità, che gli viene preparata: è personale, diversa per ognuno e il coraggio sta proprio nell’intraprenderla, anche se è la più in salita di tutte. E poi a me non serve che tu sia eccezionale… Io ti amo così come sei, Luca, tu sei già così il mio miracolo. –. Mentre parlo arrossisco e abbasso lo sguardo, facendo finta di fare attenzione a non inciampare nei sassi lungo la strada. Dopo un po’ alzo appena gli occhi e vedo Luca osservarmi, colmo di dolcezza, come mai lo avevo visto. Si ferma, mi bacia dolcemente e mi abbraccia.

-Come posso non innamorarmi sempre più di te se dici questo genere di cose? Come posso non scegliere l’amore? – mi dice piano in un orecchio, prima di lasciarmi e riprendere a camminare. – Non vedo l’ora di conoscere Emma: ho l’impressione che andremo d’accordo. Abbiamo delle cose in comune. -.
Lo guardo interrogativamente, ma contenta del suo entusiasmo, per cui non gli faccio domande e mi limito a guidarlo dentro il cancello del convento.
Luca si guarda intorno confuso e io l’osservo divertita dalla sua espressione:

-Per caso ti aspettavi mura medioevali merlate, con tanto di fossato e ponte levatoio? – chiedo, aspettandolo davanti alla finestrella chiusa, da cui si affaccia la suora di turno in portineria quando si suona il campanello.

-Più o meno… - risponde lui timidamente.

-Mi dispiace deluderti, ma il monastero è appena stato ristrutturato e comunque neanche prima c’erano cose del genere. Va bene che sono in clausura, però non significa che devono stare in una London Tower all’italiana, o meglio, alla svizzera. – commento ridendo, prima di premere il campanello.
Nel lasso di qualche secondo una suorina apre la finestrella, regalandoci un caldo sorriso di benvenuto, e io mi comporto esattamente come fa normalmente mia mamma, chiedendo di mia cugina. Mi viene indicato in quale parlatorio andare e, dopo aver ringraziato la monaca, mi volto verso Luca, il quale si sta ancora guardando intorno con curiosità.

-Non sei mai stato in un convento, vero? – gli chiedo, mentre mi incammino sul fianco dell’edificio, verso la porta che conduce ai parlatori.

-No, infatti…Non so cosa aspettarmi. – mi risponde e dal suo tono traspare un certo nervosismo.

Apro la porta ed entro nel parlatorio indicatomi precedentemente.
-Beh, questo è il frammento di clausura che ci è permesso vedere. – dico, indicando il pannello divisorio di legno. – Ed è questo a farcela sembrare una prigione… Lo so: la prima volta può fare impressione… - aggiungo alla fine, notando l’espressione stupita del mio ragazzo.

-In realtà mi immaginavo qualcosa di peggio… Tipo il convento della monaca di Monza, con la grata fitta fitta. Questo al confronto sembra una finestra aperta! – esclama lui, osservando più da vicino le sbarre di legno.

Nello stesso istante la porta dall’altra parte del divisorio si apre ed entra mia cugina. Il mio volto si illumina di gioia e le corro incontro, dandole un bacio sulla guancia.

-La mia cuginetta è tornata a trovarmi! Sono davvero contenta di vederti, devi raccontarmi tante cose! – dice Emma, sorridendomi, come sempre non solo con le labbra, ma anche con gli occhi, e stringendomi le mani. Poi il suo sguardo si posa sul ragazzo al mio fianco, rimasto in silenzio, timido, fino adesso, e il suo sorriso si allarga. –Tu devi essere Luca. Clara mi ha parlato molto di te! – esclama, stringendo anche a lui una mano.

-Davvero? – chiede stupito Luca, guardando prima me e poi Emma.

-Eh già. Nell’ultima lettera che ho ricevuto ti descriveva come un amico, ma penso che la situazione si sia evoluta, o sbaglio? – chiede mia cugina con un luccichio malizioso e divertito nello sguardo.

-Sì, hai ragione… - rispondo arrossendo e avvicinandomi istintivamente al mio ragazzo.

-Ne sono molto contenta. Nella lettera si capiva quanto mia cugina in realtà fosse cotta di te, ma si ostinava a non ammettere l’evidenza. Comunque mi ha parlato davvero bene di te e devo dire che sei molto più carino di come mi è parso di capire dalla sua descrizione. – dice Emma, lanciandomi occhiate piuttosto divertite.

-A quanto pare sono stato proprio l’ultimo a rendermene conto… E pensare che per mesi ho pensato che il mio fosse un sentimento a senso unico! – commenta Luca, guardandomi nello stesso identico modo di mia cugina, come se si fossero messi d’accordo.
Con questi due paia di occhi profondi e infiniti quanto il cielo fissi su di me, non posso fare a meno di sentirmi in imbarazzo, come se fossi un libro aperto e loro mi stessero leggendo da cima a fondo.

-Clara, ti dà fastidio lasciarci un po’ soli? Voglio conoscere meglio il tuo fidanzato. Ho diverse domande da fargli. – mi chiede Emma, dopo essersi accomodata su una sedia, con lo sguardo sereno, ma un tono di voce serio. Guardo Luca, che mi osserva ora con occhi pieni di panico e paura di essere lasciato solo, ma nonostante ciò annuisco, mi avvicino a lui per dargli un bacio sulla guancia e gli sussurro:

-Tranquillo, non ti mangia. Tu parla pure liberamente, fidati di lei. -.
Mi rivolge un timido sorriso, dopodiché esco dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle.
In realtà rimarrei qui molto volentieri ad origliare la loro conversazione, ma domo la mia curiosità ed esco all’aria aperta. Ad accogliermi è il caldo sole di metà pomeriggio, che sembra entrare anch’esso in punta di piedi con i suoi raggi in questo luogo così particolare. Appena si entra nel perimetro del monastero ciò che colpisce immediatamente è l’estrema serenità e calma che si respira e il dolce silenzio, che potrebbe sembrare strano in una casa abitata da dieci donne… Eppure c’è e penetra nelle ossa, obbligandoti ad alleggerire il tuo passo e ad agire con un’attenzione del tutto particolare. È come se il tuo corpo capisse che è entrato in un luogo speciale, custodito da una Presenza eccezionale.
Esco dal cancello e mi inerpico per il sentiero che si addentra nel bosco, ma percorro solo pochi metri e poi esco dal sentiero, arrampicandomi sul ciglio sinistro e arrivata in cima, mi appoggio a un albero guardando la vista sotto di me: da quel punto è visibile parte del chiostro del convento, una passeggiata rettangolare coperta da un tetto di tegole rosse, a circondare un praticello, dove le suore mangiano nei giorni di festa. Poi oltre il chiostro un grande prato circondato da alberi e spingendo lo sguardo al di là di questi vi è il panorama del Lago di Lugano e delle montagne. È tutto così bello… Me ne riempio gli occhi, cercando di memorizzare ogni tratto di questo scorcio, come se questa dovesse essere l’ultima volta in cui posso vederlo.
Questo pensiero mi colpisce come una sassata.
Mi volto, riscendendo sul sentiero e rientrando nel monastero. A tentoni, come cieca senza alcuna guida, raggiungo la chiesetta ed entro, lasciandomi avvolgere dalla fresca penombra dell’ambiente. Ciò che mi circonda è legno chiaro, il bianco dei muri e il metallo delle sbarre che dividono con un semicerchio la zona dell’assemblea da dove vi sono quelli che assomigliano a scranni in legno, per le suore, e l’altare. Tutto è illuminato dalla luce del sole che come essenza divina cade da un grande oculo sulla sommità del soffitto.
Mi abbandono in ginocchio davanti a una delle panche in fondo alla chiesa e punto il mio sguardo sul tabernacolo.
“Sono giorni che la mia testa è piena di pensieri strani, sul tempo, sul mio passato… E ora questa sensazione improvvisa, che pesa come un macigno sul mio cuore. Sta per succedere qualcosa, vero? Ma che cosa? Cosa stai cercando di dirmi? Ho finalmente trovato ciò che cercavo, posso fare ciò che amo di più e farlo con qualcuno che tiene a me più di qualsiasi altra cosa e che è per me un tesoro inestimabile. Farei qualsiasi cosa per non ferirlo e conservare quel suo sorriso e i suoi Occhi di Cielo intatti… Sono Felice, mio Dio… Ti prego, qualunque cosa tu abbia ora in progetto per me, non mettermi nella posizione di non poter tener fede al mio proposito. Fai soffrire me, ma non lui.”.
Prego in silenzio, ma è come se stessi urlando. Le parole mi risuonano nella testa stordendomi, finché non la prendo fra le mani e chiudo gli occhi, cercando di mettere ordine nel turbine di pensieri che mi assale per trascinarmi via, scuotermi, sbattendomi di qua e di là senza sosta, fino a quando non diventerò pazza, a furia di vedermi passare davanti agli occhi queste lugubri idee.
Una delle suore deve essere entrata in chiesa per esercitarsi con l’organo, perché sento delle dolci note farsi strada nel ciclone che mi circonda. Lottano con insistenza per raggiungermi… Sono piccole, ma la loro forza è devastante e a poco a poco il vento si placa e la musica riesce a darmi sollievo e a cullarmi nella mia confusione.
Una mano si appoggia con delicatezza sulla mia testa. La alzo, come destata da un sogno, confusa, ma sorrido appena vedo Luca al mio fianco, chinato su di me. I suoi occhi brillano di tenerezza nella penombra, mentre mi aiuta ad alzarmi.

-Ehi, tutto a posto tesoro? – mi chiede sottovoce.

Sgrano gli occhi sentendo il modo intimo con cui si è rivolto a me.
-Sì, non preoccuparti. È la prima volta che mi chiami tesoro… - gli faccio notare, sorridendo lusingata dalle sue tenere attenzioni.

-Sei la mia ragazza, sei il mio raro e prezioso tesoro. Non vuoi che ti chiami così? – mi chiede con un certo imbarazzo misto a preoccupazione nello sguardo.

-Certo che mi piace, solo che mi sembri ancora più affettuoso del solito… Mia cugina ti ha fatto qualche strano incantesimo per caso? – scherzo, mentre usciamo dalla chiesa.

-No no. – risponde ridendo e cingendomi le spalle con un braccio. – Parlando con lei ho compreso ancora di più quanto siano reali e sinceri i miei sentimenti nei tuoi confronti. Io ti amo, Clara, e mi sembra giusto cercare di dimostrartelo come posso. -.

Gli sorrido e mi stringo a lui pensando a quanto la fortuna mi sia stata amica ultimamente… Non avrei potuto trovare un ragazzo migliore di Luca, in nessun angolo della Terra…

-Ti amo anch’io, Luca e non mi stancherò mai di ricordartelo. – dico, alzando lo sguardo sul suo viso.

-E come potrei dimenticarmene?! – risponde facendo risuonare la sua risata cristallina per i parlatori in cui siamo nuovamente rientrati.

Le due ore successive trascorrono leggere e volano incredibilmente veloci, mentre chiacchieriamo con mia cugina, raccontandole della scuola e soprattutto del musical e saremmo potuti andare avanti per ore, se non fosse giunta l’ora della Messa. Il suono della campana interrompe i nostri discorsi come ammonimento severo. Emma ci guarda sorridendo, un po’ dispiaciuta, ma senza perdere quel luccichio di gioia che le riempie gli occhi giovani e vispi.

-Il dovere mi chiama ragazzi. Vi fermate a Messa? – ci chiede, incominciando ad alzarsi.

-Magari la prossima volta. Questa sera ho preparato un appuntamento solo per noi due… - risponde Luca, con espressione un po’ colpevole, che suscita l’ilarità di mia cugina.

-Non preoccuparti, capisco. Divertitevi, senza esagerare, mi raccomando. – ci ammonisce con finta severità, prendendo poi la mano al mio ragazzo per salutarlo. – Prenditi cura delle mia cuginetta. Io non posso farlo direttamente… Fallo tu per me, veglia su di lei. È tanto forte, ma anche tanto fragile quando si tratta di sentimenti. – arrossisco e abbasso lo sguardo, avvicinandomi alle sbarre per salutarla a mia volta, mentre Luca si sta già avviando alla porta.
Le prendo le mani e le faccio una richiesta accorata:
-Emma, prega per me per piacere. Ho l’impressione che stia per succedere qualcosa… Oggi mi sono sentita come se questa sarebbe stata l’ultima volta in cui ti avrei vista. Forse non è niente, ma… - non termino la frase e guardo mia cugina piena di apprensione. Lei mi stringe le mani e addolcisce ancora di più lo sguardo.

-Lo farò di sicuro, Clara. Tu non preoccuparti, lascia che Dio lavori e realizzi il suo progetto per te. Lo sai: lui vuole solo la tua felicità, anche se te la fa raggiungere in modi che spesso noi non capiamo. Fidati. Adesso goditi questa bella serata con il tuo Luca. È un bravo ragazzo, che ti ama tanto. Tienitelo stretto: non se ne trovano tanti così. Non mi stupirei vedendovi arrivare tra qualche anno ancora insieme e con qualche bella notizia per me. – sorride con espressione birichina, mentre io divento paonazza dalla vergogna.

-Chissà… - farfuglio, lanciando un’occhiata al mio ragazzo, che mi sta aspettando pazientemente fuori dalla porta, per lasciare un po’ di intimità a me e ad Emma, ignaro dei nostri discorsi.

-Ci vediamo presto cuginetta. – mi dice lei ridendo.

-Certo. – rispondo, lasciando le sue mani e avvicinandomi a Luca, che saluta ancora con un breve cenno Emma, per poi prendermi per mano ed uscire dall’edificio.

-Sai, sei fortunata ad avere una cugina come Emma: ti vuole molto bene e si preoccupa per te. È una persona speciale e avevi ragione a dire che dovevo aprirmi con lei. Ha saputo darmi buoni consigli. – mi dice Luca, dopo qualche minuto di silenzio, trascorso camminando fianco a fianco verso il parcheggio.

-Non potrò mai sapere ciò che vi siete detti, vero? – chiedo, sapendo già la risposta, ma comunque con ancora un po’ di speranza ad alimentare la mia curiosità.

-No, mi spiace. – mi risponde semplicemente lui, divertito dalla mia espressione corrucciata.

-D’accordo. Almeno mi puoi dire cosa mi attende stasera? – provo di nuovo ad avere qualche piccola informazione, cambiando argomento.

-Adesso ti porto a casa, ti cambi e ti vengo a riprendere per le 7. Il resto è una sorpresa. Ah, mi raccomando, elegante. – risponde con un’espressione misteriosa.

-Non mi porterai in un ristorante di lusso, vero? Mi fanno sentire a disagio, con tutti quei camerieri impeccabili, tantissime posate, i piatti dai nomi strani… - chiedo. Divento nervosa solo all’idea di andare in quel tipo di posto!

-Non saprai niente. È inutile chiedere. – risponde lui, dandomi un leggero pizzicotto su una guancia e prendendo il casco in mano. Faccio lo stesso, sbuffando, e per tutto il viaggio di ritorno sto zitta, cercando di immaginare cosa abbia tirato fuori dal cilindro della sua fantasia senza limiti per quest’occasione.

Angolo dell'Autrice

Buonasera!
In questo capitolo mi sono lasciata andare a pensieri filosofici. Se non si capiscono scusatemi!
Vorrei però chiedervi una cosa... Vi dà fastidio il fatto che inserisca anche discorsi "religiosi"?
Io non lo faccio in termini di "propaganda" o per sbandierarlo ai quattro venti, non potrei mai farlo, perchè la Fede è qualcosa di profondamente personale e non ha alcun senso cercare di convincere qualcuno... Ne parlo semplicemente perchè è una parte della mia vita, di me, per cui anche di Clara, una parte importante, senza la quale la storia non sarebbe completa. Mi dispiace se a qualcuno dà fastidio, ma non sarei completamente sincera se omettessi un elemento così strutturale della mia vita.
Detto questo vi invito a darmi un'opinione sul mio racconto e se volete anche su questa questione.
Buona serata a tutti!
Marta
 

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Capitolo 25
*** Il mio nuovo sogno ***


Sono quasi le 7 e guardo nervosamente la mia immagine riflessa nello specchio, dando un ultimo ritocco al trucco, il più naturale possibile. Non ho mai amato truccarmi, forse perché mi sembra di avere una maschera sul volto, un’altra, di apparire per l’ennesima volta per qualcuno che non sono… Specialmente con Luca voglio essere chiara e limpida, un libro aperto che possa leggere senza paura di trovarsi di fronte pagine illeggibili, macchiate o lucchetti chiusi. Chiudo gli occhi e respiro profondamente. Devo essere Clara, stasera più che mai. Non posso comportarmi come ho fatto con Marco quando eravamo più piccoli… Non posso più permettermi di avere paura di me stessa! È lei l’unica che può amare Luca come si merita, senza vergogna o insicurezza. È tempo che sia onesta con me stessa e con i miei sentimenti.
Passo le mani sul vestito nero di pizzo senza maniche, leggero e morbido e poi con le mie dita minute e fini metto gli orecchini in oro bianco, accarezzando lievemente il piccolo pendente a brillantino. Infilo le scarpe nere con il tacco, sentendomi immediatamente più alta, sensazione decisamente strana e vertiginosa per chi è abituato come me ad essere alto un metro e un puffo.
Non è male il mondo dal basso, si notano tante cose che per altri sono piccole e insignificanti, ma, ammettiamolo, essere alti è più gratificante: di sicuro non ti danno della tredicenne quando sei maggiorenne… Mi è successo davvero ed è decisamente umiliante… Va bene sembrare degli adorabili scriccioli, ma ad una certa età se ne fa anche a meno.
Mi chiedo se a Luca piaccia anche questa parte di me…
E rieccomi con i complessi e i pensieri inutili! Via, via, questa sera dovete lasciarmi in pace!
Scuoto la testa e finalmente esco dal bagno, spegnendo la luce sulla mia immagine riflessa, causa più di problemi che di gratifiche. Afferro la borsa e chiudo la porta di casa alle mie spalle.
In pochi secondi sono fuori dal garage e mi incammino verso il cancello. Mi fermo davanti ad esso e mi appoggio e uno dei pilastrini, alzando lo sguardo sul meraviglioso cielo che mi sovrasta. Il tramonto lo ha colorato di rosa, rosso, arancione e blu, dalla tonalità più chiara, ultimo residuo dell’azzurro pomeridiano, a quello più scuro, dove già è comparsa la prima stella della sera. Venere… Ammiro il pianeta che si finge stella, tirando dietro le orecchie una ciocca di capelli, sfuggita alla crocchia in cui li ho raccolti, e pensando che fare in modo di apparire il più splendente possibile sia proprio un atteggiamento da dea della bellezza e dell’amore.
“Magari il fatto che stia brillando sopra di me è un buon segno.” penso con un sorriso.
Il campanile della chiesa rintocca le 7 e, puntuale come un orologio svizzero, una macchina imbocca la salita di casa mia, fermandosi davanti a me. Una portiera si apre e poi si richiude dietro l’autista. Trattengo il fiato e non faccio altro che guardare il ragazzo davanti a me, illuminato dal sole al tramonto. I pantaloni neri stretti, la cintura lucida, la camicia bianca leggera, ma elegante e la cravatta nera diligentemente annodata. E poi quegli occhi, che ogni volta si posano su di me sembrano volermi farmi affondare sempre di più dentro di loro, imprigionandomi in un piacevole incantesimo d’amore. Lo guardo lentamente dal basso verso alto, rendendomi conto alla fine che lui sta facendo esattamente lo stesso con me. Appena si accorge anch’egli del fatto, arrossisce, si passa una mano sul collo, come fa sempre quando è imbarazzato, ma continua a fissarmi dritto negli occhi.
Deglutisce.
-Sei bellissima. – dice poi in un soffio e le sue parole mi arrivano direttamente al cuore. Se non fossi così piena di stupore, penso che piangerei: è il primo ragazzo che mi abbia mai detto queste parole, guardandomi in questo modo, con occhi pieni di un amore così grande, che fatico a credere sia tutto per me.
-Sei stupendo anche tu. – dico infine, sorridendogli timidamente, poi indico la macchina: - Non sapevo che avessi la patente! -.

-Beh, in questi mesi da maggiorenne pensi che sia rimasto con le mani in mano? Aspettavo solo il momento per portare in giro la mia ragazza. – risponde lui, aprendo la portiera del passeggero e invitandomi a salire.

-Allora dovrò solo fidarmi delle tue doti di guidatore. Non so se voglio farlo… - scherzo, sedendomi comodamente sul sedile in pelle.
Luca riprende il proprio posto alla guida riservandomi un’espressione da finto offeso:
-Ehi, guarda che guido bene! – esclama, poi ci fissiamo per qualche istante negli occhi, scoppiando infine a ridere.
Il mio autista rimette in moto l’auto e partiamo verso la nostra serata speciale.

La macchina si ferma e guardandomi intorno sono perfettamente consapevole del luogo in cui ci troviamo:
-Ma questa è casa tua. -.

-Sì. – replica Luca, come se fosse ovvio che mi avrebbe portato qui.
Lo guardo interrogativamente, ma lui fa finta di niente e apre la propria portiera.
-Aspetta. – mi dice con dolcezza. Io non riesco a fare altro che ubbidirgli e osservarlo confusa, mentre fa il giro della macchina e mi apre la portiera, porgendomi elegantemente una mano per uscire. La afferro, colpita da tanta galanteria e scendo dall’auto.

-Caspita, che gentiluomo. – lo canzono.

-Dubitavi forse della mia conoscenza del Galateo? – mi chiede, tenendomi il gioco.
Scoppio a ridere, mentre lui alza il mento impettito e mi offre il braccio, facendo finta di non sentirmi. Mi appoggio a lui e incominciamo a incamminarci per il vialetto.
Luca mi guarda un po’ stranito e poi sorride sornione:
-Che strano… Certo che stasera sei alta. Mi fa un po’ impressione… -.

-Ehi! Finiscila di bullizzare una povera personcina bassa! – esclamo risentita. – I tacchi fanno miracoli. – aggiungo infine ridacchiando compiaciuta.

-Sarà, ma ti preferisco senza. Cioè, ti stanno da favola, ma il tuo essere piccolina mi fa venire voglia di coccolarti e proteggerti. Sei adorabile. -.

-Esattamente ciò che una diciottenne vuole sentirsi dire dal proprio ragazzo… - borbotto, anche se in realtà sono lusingata dalle sue parole: anche il mio metro e sessanta non gli dispiace!

-Oltre che bellissima, ma questo te l’ho già detto. – mi dice allora lui, dandomi una piccola spintarella di lato per farmi sorridere.

-Fa sempre piacere sentirselo dire. – affermo soddisfatta.
Intanto siamo arrivati alla sua dependance, ma non entriamo, come avevo pensato in precedenza, bensì le giriamo intorno e giungiamo sul retro, dove si trova il giardino, e rimango senza parole: davanti a noi c’è un grande gazebo circolare, al cui centro si trova un tavolo apparecchiato in modo raffinato, coperto da pietanze invitanti, e tutto l’ambiente è decorato da fiori e illuminato da lanterne e candele. Appoggiata in un angolo vi è anche una delle chitarre di Luca, segno che più tardi potrò anche cantare un po’. Sorrido dolcemente pensando a quanto il mio ragazzo mi conosca bene e sappia che per farmi felice basta solo qualche accordo.

-Tutto questo è meraviglioso! – esclamo, incantata dalla bellezza di ciò che mi sta di fronte. – Mi sembra di essere in una fiaba in mezzo a questi fiori, le candele… È tutto così dannatamente romantico! -.

-Gli appuntamenti io li organizzo con stile. – scherza Luca, arrossendo compiaciuto e sorridendomi felice.

- È assolutamente perfetto. – e dicendo ciò gli dò un lieve bacio su una guancia. Dopodiché lui si avvicina al tavolo e tira indietro una sedia per farmi sedere.

-Se vuole accomodarsi… -.
Lo ringrazio e mi siedo al tavolo, continuando a guardarmi intorno estasiata. Intanto anche Luca si è seduto al suo posto e mi osserva divertito. Lo so, sembro una bambina nei paesi dei balocchi, ma mai nessuno aveva preparato qualcosa del genere per me! Il cuore mi sta scoppiando dalla gioia!

-Sono contento che ti piaccia. Però sarei un bugiardo se mi prendessi tutto il merito: mi ha aiutato mia mamma a preparare tutto. – spiega lui.

-Davvero? Ringraziala da parte mia. – dico gentilmente, sinceramente colpita dall’impegno messo da entrambi per rendere questa serata speciale.

-Sono anche molto contento di vedere che indossi sempre la catenina che ti ho regalato. – aggiunge, guardandomi con dolcezza e contemporaneamente accarezzando il braccialetto che gli ho donato io.

-Ho sempre desiderato un gioiello come questo. Canto da quando sono nata, ma mai nessuno ha pensato di regalarmi qualcosa del genere. – dico sfiorando lievemente con la punta delle dita la chiave di violino, che brilla alla luce delle candele, incantandomi con i suoi luccichii argentati.
Finalmente incominciamo a mangiare e il tempo trascorre leggero e piacevole fra le nostre risate, mentre ricordiamo alcuni aneddoti di questi mesi, e anche fra i silenzi, colmati dal rumore della brezza, ormai estiva, che smuove i rami degli alberi e i petali dei fiori che decorano la tavola e lottano per non farsi vincere dalla forza del vento e cadere. Le fiamme delle candele danzano in modo ipnotico, creando luci e ombre fantastiche sui nostri volti, che si osservano timidamente, ma senza vergogna… Ormai le parole sono superflue fra di noi: abbiamo imparato a leggere i nostri sguardi alla perfezione e Luca è ormai diventato un esperto traduttore del mio linguaggio privilegiato, fatto di note e sentimenti.

Alla fine della cena mi appoggio con rilassatezza allo schienale della sedia e sorrido soddisfatta.
-Sai, è stato decisamente meglio così che andare in un ristorante affollato. - .

-Sapevo che avresti preferito in questa maniera: non sopporti la confusione. – replica con tenerezza Luca, provandomi ulteriormente quanto mi conosca bene. –E poi volevo che questa fosse davvero una serata solo per noi. Volevo che fossimo solo noi due e nessun altro a mettersi in mezzo. È da molto tempo che non ci capita di passare del tempo insieme in questo modo… -.

-Hai ragione. – sospiro, sorridendo per la sua dolcezza. Poi mi piego sul tavolo, sostenendomi la testa con una mano e osservando il mio ragazzo con una certa curiosità. – Posso farti una domanda? – lui annuisce. –Perché proprio io? – Luca mi guarda senza capire cosa voglia dire. Sorrido e cerco di spiegarmi meglio. – Insomma… Tu sei innegabilmente un ragazzo attraente e sicuramente avrai un sacco di ragazze altrettanto attraenti che ti vanno dietro, qui, come ce le avrai avute a Milano… Io, invece, è già tanto se gli altri si accorgono che esisto! Non sono popolare o particolarmente carina, sono per tutti solo la timida secchiona, un po’ complessata e asociale. E tu fra tutte vieni a scegliere proprio me, perché? -.
In realtà è da qualche tempo che questa domanda mi frulla nella testa, ma non avevo mai avuto il coraggio di rivolgergliela fino a questo momento. Una strana paura mi ha sempre frenata, insieme alla consapevolezza che è comunque inutile farsi certe domande adesso che stiamo insieme: è solo una complicazione assecondare il mio lato fin troppo riflessivo, ma ora voglio saziare la mia curiosità una volta per tutte e mettermi l’animo in pace.
Luca sembra rifletterci sopra e ponderare le giuste parole da usare per rispondermi. Infine rompe il silenzio, incominciando a parlare in tono serio, prendendo prima un grande respiro, come se si apprestasse a cominciare un lungo e impegnativo discorso.

-Effettivamente hai ragione… Ho sempre attirato l’attenzione femminile, anche se in realtà non ho mai dato troppa importanza alla cosa. Certo, ho frequentato qualche ragazza, ma mai niente di serio, non durava mai molto, probabilmente perché le ragazze in questione non mandavano giù facilmente il fatto che dovessero dividermi con la mia passione incontenibile per la musica, anche se spesso era questa che le avvicinava a me. Io, poi, mi annoiavo con loro… Erano troppo superficiali e ammetto che non mi sono mai innamorato fino ad ora, non ho mai capito esattamente cosa fosse l’amore, finché non ho conosciuto te. Dal primo istante in cui ti ho vista ho capito che tu sei diversa e hai destato la mia curiosità. Anche il modo in cui ci siamo conosciuti è stato del tutto particolare! – ridiamo entrambi, ricordando la mia rovinosa caduta e il suo provvidenziale salvataggio. – Il modo in cui hai cercato di scusarti e ringraziarmi, pieno di imbarazzo, di innocenza e privo di alcuna malizia, mi ha davvero colpito e quando ho scoperto che anche tu avresti fatto il musical ho voluto capire se la mia prima impressione fosse stata giusta, per questo ti ho invitata a pranzo e tu non mi hai deluso… Ti sei messa in silenzio a guardare il lago piena di meraviglia per quel panorama, anche se l’avevi già visto chissà quante volte. In quel momento, così, priva di alcuna difesa, in te ho visto una bellezza infinitamente fragile e pura, eri totalmente diversa da qualsiasi altra ragazza avessi mai conosciuto e per me lo spettacolo su quella panchina non era il lago, ma tu. – Si ferma un attimo a cercare le parole per andare avanti, mentre io sono profondamente scossa dall’amore che traspare dal suo discorso, con cui sta ripercorrendo la nostra storia. – Quando, poi, hai detto che avresti partecipato al laboratorio per cantare, ho pensato che non poteva essere una coincidenza, non potevo essere stato così fortunato da conoscere qualcuno che amasse quanto me la musica, ma anche in questo caso hai superato le mie aspettative: quanto ti ho sentita cantare ho capito immediatamente che tu non solo la ami, ma vivi di musica. Tu hai travolto l’intera Aula Magna nella rivoluzione che stava avvenendo dentro di te e sono sicuro che è stata proprio la tua esibizione a risvegliare anche i sentimenti di Marco e lo capisco perfettamente, perché in quel momento ho capito che volevo solo cantare insieme a te e starti accanto, conoscerti e imploravo dentro di me che tu me lo permettessi. – gli sorrido e mi prende una mano, accarezzandola con delicatezza, tenendo lo sguardo fisso nei miei occhi, che mai lo avevano visto così intenso e luminoso. – Più i giorni passavano, più riuscivo a conoscerti, più il mio desiderio di esserti vicino cresceva. Avevo compreso quanto tu fossi fragile, ma anche quanto tu custodissi dentro di te una forza incredibile, che ti ha permesso di affrontare tante situazioni spiacevoli. Ho visto anch’io la ragazza timida e un po’ complessata, ma ho capito che non era nulla più che una facciata: tu hai sofferto tanto per le prese in giro dei tuoi coetanei, per Marco, ma hai superato tutto da sola ed è forse stato questo il problema… Avevi perso la fiducia e avevi paura che accadesse di nuovo se ti fossi lasciata andare troppo, per questo hai continuato a tenere a distanza sia me che Marco, anche quando ormai i tuoi sentimenti ti erano evidenti. Evidentemente amo le sfide, perché l’unico sentimento che questa consapevolezza mi ha dato è stato il desiderio di dare un po’ di pace al tuo cuore, di dargli una pausa da tutto quel casino, senza alcuna intenzione di desistere dalle mie intenzioni, nonostante tu continuassi a fuggire e ci fosse un altro corteggiatore di mezzo. -.

-Questa l’hai rubata a una delle canzoni del musical. – commento ridendo, per cercare di spezzare la commozione che mi sta assalendo.

-Sì, lo confesso, ho preso un po’ d’ispirazione. – ammette Luca, ridendo anch’egli, riprendendo poi a parlare per concludere il proprio discorso:
-Il punto è che quando ti ho vista crollare per la prima volta, quando ti ho vista urlare e piangere, la verità mi ha colpito, come un fulmine a ciel sereno: quel desiderio incontenibile non era altro che amore, ti ho amato dalla prima volta in cui ho posato i miei occhi su di te  e da quel momento non ho aspettato altro che il momento di potertelo dimostrare e di ringraziarti, perché è grazie a te che il mio cuore si è aperto e ho scoperto cosa sia l’amore vero e cosa significhi voler stare per sempre con una persona, qualsiasi cosa accada, e volere solo il suo bene, anche a costo del proprio. Perché è in questo modo che ti amo, Clara. Tu sei il mio miracolo, perché mi hai fatto capire tutto ciò e voglio impegnarmi per essere il migliore possibile. Solo così potrò essere alla tua altezza e amarti come meriti, ancora più intensamente e senza la minima intenzione di ferirti o lasciarti. Sarei davvero uno stupido a lasciarmi scappare la ragazza più incredibile e perfetta che io possa avere in tutta la mia vita. Nessun’altra potrebbe farmi sentire in questo modo. -.

Lo guardo per qualche istante incapace di parlare e profondamente commossa. Quando apro finalmente la bocca, incomincio a piangere, prima ancora che qualunque parola possa fare capolino.
Luca sorride dolcemente e mi asciuga le lacrime con una mano.

-Questa è la confessione d’amore più bella che potessi desiderare. – riesco a dire infine con voce strozzata. – Non la merito, sei tu l’unico al quale devo essere infinitamente grata: mi hai innanzitutto salvato sulle scale, hai dato fiducia alla mia voce prima ancora di conoscerla, mi hai difesa da Marco tutte le volte che ne ho avuto bisogno e hai accolto tutte le mie lacrime e i miei sfoghi, senza lamentarti. Tu hai sciolto il ghiaccio che c’era nel mio cuore, vi hai riportato il sole e il calore dell’amore e hai abbattuto tutti i muri che ti dividevano da esso. Tu mi conosci meglio di chiunque altro, sei arrivato a conoscere la vera Clara come mai nessuno era riuscito a fare e l’hai amata dal primo istante in cui l’hai vista, nonostante tutti i suoi problemi. Non hai bisogno di migliorarti! Tu sei già eccezionale e il tuo amore è tutto ciò che desidero, è l’unica cosa di cui ho bisogno, oltre alla musica, s’intende. – concludo infine, sorridendo fra le lacrime.

-A proposito di musica, che ne dici di cantare qualcosa? – mi chiede Luca, alzandosi, prendendo in mano la chitarra e risedendosi sulla sua sedia, ora spostata dal tavolo per farci stare lo strumento.

-Lo sai che non hai bisogno di chiedermelo. – rispondo - E scommetto che tu sai esattamente cosa suonare. –

-Ovvio. – sorride lui contento. – Hai visto Rapunzel, vero? -.
Annuisco, pensando che ci manca solo una canzone della Disney per farmi definitivamente pensare di trovarmi in una fiaba. – Allora di sicuro hai presente la canzone che lei e Flinn cantano sulla barca, alla luce delle lanterne… -.

-Puoi scommetterci! – esclamo, poi mi alzo e, appoggiandomi a uno dei sostegni del gazebo, guardo il cielo stellato, mentre Luca incomincia ad arpeggiare con le sue dita lunghe e delicate sulle corde della chitarra. Dopo aver preso una grande boccata di aria fresca notturna, mi volto verso di lui, rimanendo appoggiata al palo in metallo, e inizio a cantare, come persa in un bellissimo sogno.

 Chiusa lì, dentro quelle mura
 Tra utopie e curiosità
 Senza mai, neanche uno solo giorno
 Di felicità
 Oggi io, sotto a queste luci
 Oggi io, in questo scintillio
 Dentro me capisco che
 E' questo il posto mio

 Ora vedo la realtà
 E la nebbia si è dissolta
 Anche nell'oscurità
 Tutto è chiaro intorno a me
 So cos'è la libertà
 Ora per la prima volta
 Tutto ormai è così diverso
 Solo grazie a te

-Vedo che ormai usi benissimo anche tu la musica come linguaggio. – commento divertita nell’intermezzo musicale.

-Ho avuto una buona insegnante. – ammicca lui, facendomi l’occhiolino. – E non hai ancora sentito la parte migliore. – ride e incomincia a cantare con la sua voce calda e cristallina.

 Quante idee, chiuse nel cassetto
 Fantasie, e fragilità
 Ora so di non aver visto mai
 La verità
 Grazie a lei, io non ho più dubbi
 Grazie a lei, apro gli occhi anch'io
 Dentro me capisco che
 E' questo il posto mio

 Ora vedo la realtà
 E' con te che voglio stare
 Ora vedo la realtà
 La tristezza non c'è più
 Ad un tratto sono qua
 E non devo più cercare

 Oggi io ho il mio nuovo sogno
 Sento che sei tu
 Sento che sei tu

Al termine della canzone Luca mette da parte la chitarra e allunga una mano verso di me. Mi stacco dal mio sostegno e mi avvicino, afferrandola. Il mio ragazzo mi attira a sé e mi fa sedere sulle sue ginocchia, avvolgendomi poi con le sue braccia e guardandomi come incantato.
“Questo è lo sguardo che ogni ragazza sogna di trovarsi davanti…” penso, trattenendo il respiro…

-Sei bella da togliere da togliere il fiato. – mi sussurra.
Io abbasso lo sguardo, paonazza dall’imbarazzo.

-Basta con i complimenti, mi fai arrossire troppo. – borbotto, mentre lui ridacchia intenerito dalla mia reazione.

-Ma è vero! Da una parte vorrei mostrarti a tutti, per far vedere quanto sono fortunato, ma dall’altra sono geloso, vorrei nasconderti dallo sguardo altrui e tenerti solo per me. Non voglio che nessun altro s’innamori di te. -.

-Tecnicamente è già successo. – commento con un sorriso.

-Appunto! – esclama, riprendendo poi a parlare. – Penso proprio di star impazzendo. -.

-Sei un caso interessante per una che studia le Scienze Umane. – scherzo io, ma il suo sguardo incomincia a brillare di malizia.

-Potrei diventare un tuo paziente… - incomincia a dire.

-Ti ricordo che non voglio fare né la psicologa né la psichiatra. – lo interrompo divertita, ma lui non mi sta proprio a sentire.

-Comunque, se me lo permetti, ti vorrei suggerire una terapia… -.

-Ma davvero? Da quando sei un esperto di psicologia? – continuo a scherzare nervosamente, mentre il suo viso si avvicina al mio e i suoi occhi si riempiono ancor più di malizia.

-Perché non ti rilassi un attimo e non provi la terapia insieme a me? – propone lui sorridendo, prima di baciarmi e farmi dimenticare completamente il mio nervosismo.

-Non aspettavo altro da tutta la sera. – mormora lui, dopo aver allontanato un poco le sue labbra dalle mie.

-E perché non l’hai fatto prima? – gli chiedo curiosa.

-Avevo paura di dimenticarmi tutte le cose che volevo dirti. – risponde ridendo.

-Beh, adesso niente ti vieta di farlo ancora. – replico, questa volta io in tono malizioso. Luca coglie al volo l’occasione e mi bacia nuovamente, con più foga.

Rimaniamo nel nostro piccolo mondo per un tempo indefinito ed è magnifico. Non ho mai pensato di poter essere così felice accanto a una persona, solamente tenendo la testa appoggiata sulla sua spalla. Tutti i pensieri e i problemi sembrano non esistere più e tutto prende colore. Chiudo gli occhi, aspirando il suo profumo e beandomi delle sue carezze sui capelli e sul viso. Potrei restare così in eterno.

-Ehi. – mi sussurra – Che ne dici di andare in centro a prendere un gelato e poi ti riporto a casa. Incomincia a farsi tardi e non voglio far arrabbiare i tuoi genitori. Domani c’è anche scuola… – sorrido intenerita dalla sua preoccupazione e annuisco, alzandomi in piedi. Andiamo alla macchina tenendoci per mano e in pochi minuti siamo in centro a Luino a cercare un parcheggio. Con un colpo di fortuna ne troviamo uno poco distante dalla gelateria prescelta. Dobbiamo solo attraversare la strada. Proprio davanti alle strisce pedonali mi squilla il cellulare: guardo il display e vedo che è un messaggio da mio papà, che mi chiede quando penso di tornare a casa. Alzo gli occhi al cielo, rassegnata a farmi trattare come una bambina, mentre Luca ride:

-Visto che avevo ragione a non voler fare troppo tardi. -.

-Io devo rispondere, tu incomincia pure ad andare, ti raggiungo subito. – gli suggerisco.

-Va bene. – Luca lascia andare malvolentieri la mia mano e si incammina sulle strisce.
Ho appena incominciato a scrivere il messaggio di risposta a mio papà, quando vengo distratta dal rumore del motore di una macchina ad alta velocità. Alzo lo sguardo e impallidisco: la macchina non sembra avere alcuna intenzione di frenare e si dirige contro il mio ragazzo, che sta ancora attraversando la strada, ignaro del pericolo.
Non penso assolutamente a cosa sto facendo, le mie gambe si muovono autonomamente a passo di corsa verso Luca e la bocca grida parole che faccio fatica a comprendere io stessa. Lui si volta verso di me confuso, poi nota finalmente la macchina e il suo viso diventa una maschera di terrore.
Accade tutto troppo velocemente perché i miei sensi possano registrarlo correttamente. So solo che agendo d’istinto, in un atto disperato, ho spinto via Luca e il frastuono della macchina che impatta contro qualcosa ha riempito le mie orecchie. Poi, il buio.

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Capitolo 26
*** Spaccacuore ***


Ciò che so di ciò che è successo dopo è dovuto a frammentari momenti di relativa lucidità. Non ho alcun ricordo dell’impatto, oltre al rumore, né della mia caduta. Ricordo a un certo punto di aver percepito la durezza dell’asfalto sulla mia pelle, la sensazione del sangue che scorre fuori dal mio corpo e si sparge sulla strada, i battiti del mio cuore rallentati, le sirene dell’ambulanza e della polizia, mentre qualcuno – penso e spero fosse Luca, perché vorrebbe dire che sta bene – è chino su di me e cerca di tenermi il più sveglia possibile, ma la mia coscienza già vola via. Il ricordo successivo riguarda l’ospedale: sono su una barella, dottori e infermieri chini su di me con espressioni gravi, mentre mi portano in sala operatoria. Ricordo chiaramente come quella è stata la prima volta in cui ho pensato: “Sto morendo”. Poi una mascherina mi viene messa sul volto e vengo rimandata nell’oblio, dove sono tutt’ora. Purtroppo non ci vuole una scienza per capire che sono in coma… Quindi è questo il posto dove è rimasta per tutto quel tempo mia nonna… Non è affatto consolante. È buio, freddo, mi sembra di essere in piedi sul bordo di un cornicione, in precario equilibrio, basterebbe una leggera spinta, un soffio di vento, da una parte o dall’altra per condannarmi al sonno eterno o a un risveglio. Ma io non posso fare niente, o almeno credo, mi sembra di non avere assolutamente in mano le fila della mia vita in questo momento, come se Qualcuno si stesse prendendo del tempo per decidere cosa farne.
Riesco a sentire, però, ciò che accade attorno a me e questa invece, ripensando a mia nonna, è una grande consolazione, perché ciò significa che lei ha udito tutto ciò che le ho detto.
Sono diverse le voci che sento nel mio oblio: i miei genitori, le mie amiche, anche Marco:
-Vedi di svegliarti in fretta. Per il musical abbiamo bisogno di te e la tua voce manca a tutti. – lo sento dire sottovoce e, dopo una breve pausa di silenzio, continua in tono sommesso, come se si stesse trattenendo dal piangere: - Ti prego, Clara, svegliati, non farmi scherzi. Se non ti svegliassi più mi renderesti ancora più complicato dimenticarti, il dolore mi accompagnerebbe sempre con il rimorso di averti perso e di non essere riuscito ad amarti come avrei dovuto. Mi manca il tuo sorriso, mi manca la tua voce… Non andartene prima di avermela fatta sentire di nuovo. – percepisco una carezza sulla guancia. – Che brutto scherzo che mi hai tirato facendomi innamorare di nuovo di te… Guarda adesso come sono ridotto! -.
Vorrei stringergli la mano, dire qualcosa, vorrei piangere anch’io, ma il mio corpo è immobile, non risponde agli ordini che mando rabbiosamente al cervello. Anch’esso non mi obbedisce più…
La persona che mi viene a trovare più spesso è il don, la sua voce è quella che sento maggiormente, come se fosse sempre qui con me, di giorno e di notte, anche se per me non esistono più entrambi… Non ho più cognizione del tempo, non dormo, sono sempre vigile e sento i rumori più lievi. È sfiancante, ma il don mi dà un po’ di sollievo, raccontandomi dell’oratorio, dei miei ragazzi del percorso Preado, dei miei amici del gruppo Giovani e ogni tanto mi racconta qualche aneddoto della sua vita prima di diventare prete…
-Clara, manchi molto a tutti i ragazzi di terza media, vorrebbero venire a trovarti, ti farebbe piacere? Qualcuno del gruppo Giovani so che è già venuto a tenerti un po’ compagnia. - .
Sì, è vero, sono venuti in tanti e mi ha fatto tanto piacere sentire le loro voci. Hanno rallegrato un poco il mio buio perenne.
-Manchi a tutti, Clara, ci manca la tua splendida voce… - per la prima volta il suo tono sembra riempirsi di tristezza. – Io non so dove tu sia, né come tu stia, ma sono sicuro che tu mi stai sentendo e puoi capire perfettamente ciò che sto per dirti. Anche se così non sembra la tua vita è nelle tue mani. Devi lottare e dare un motivo a Dio per farti svegliare, devi fargli capire che vuoi vivere, anche se solo per un poco, che vuoi vedere la luce e avere almeno l’opportunità di salutare i tuoi famigliari e i tuoi amici come si deve. Non devi arrenderti, non lasciarti morire, tu sei forte, lo so, Clara, anche se non lo credi, tu sei una delle persone più forti che conosca. Io continuerò a starti accanto per tutto il tempo che posso, non ti abbandono. Lo so che tu non vorresti che le persone a cui vuoi bene ti vedano in questo stato, ma hai bisogno del loro affetto e intendo fare proprio come hai fatto tu con tua nonna. Sono qui con te, non avere paura. – mi stringe forte una mano – Lotta ed escine vincitrice. Il Signore farà quello che è meglio per te, in qualunque caso, fidati di Lui, anche se è difficile. -.
Le parole del don mi danno la forza per la prima volta da quando sono in questo stato di rivolgermi a Lui:
“Mio Signore, non ho la più pallida idea delle condizioni del mio organismo, non ho idea di quanto tempo mi resterà da vivere se mi sveglierò… Penso decisamente poco visto quanto tempo ti stai prendendo per decidere della mia vita, ma non m’importa, qualunque cosa deciderai mi va bene. Ad una sola condizione, però: dimostrami che il mio gesto estremo è servito a qualcosa, fammi sentire la voce o il tocco dell’unica persona che ancora non è stata al mio capezzale. Io so che lui è vivo, lo sento, ma non capisco perché non sia qui con me. Portamelo, Signore, e poi fai di me quello che vuoi. Lo so che l’esito sarà lo stesso alla fine: che io mi svegli o meno fra poco morirò, ma fammi dare un compimento e un senso a tutto ciò che ho seminato quest’anno. È quasi tempo del raccolto, sarebbe un peccato perdermelo. Io mi fido di te, ma non posso fingere di non avere paura… Pensavo di avere molto più tempo… Non abbandonarmi, ti prego.”.
Percepisco sul mio volto il lento scivolare di una lacrima e me ne sorprendo: è la prima volta che il mio corpo risponde a un mio bisogno e questa volta è proprio quello di piangere. A quella prima lacrima ne segue un'altra e poi un’altra ancora, finché non scendono copiose, silenziosamente, senza alcun singhiozzo.
Sento una mano asciugarmele con un fazzoletto, mentre la voce commossa del don mi parla:
-Clara, stai tranquilla, sono qui. Piangi quanto vuoi, le raccoglierò io le tue lacrime. Non ti abbandono. -.
La sue rassicurazioni mi giungono alle orecchie come una risposta alla mia preghiera. Comprendo che Dio sta già provvedendo a soddisfare le mie richieste. Non mi resta che aspettare e avere fede che lui verrà.

Per ore non ho sentito nessun rumore, a parte quando le infermiere sono venute a controllarmi. Solo ora sento l’ospedale rianimarsi, probabilmente è mattino presto; ci sono le prime visite, vengono distribuite le colazioni e dopo essersi ripresi dal torpore del sonno si ritorna al solito tran tran quotidiano. Mi manca la sensazione di svegliarmi dopo una bella dormita, di riaprire gli occhi e vedere fili di luce filtrare attraverso la persiana della mia camera. Ora sono costretta a un sonno finto che non fa altro che stancarmi sempre di più, portandomi a desiderare quello vero.
Improvvisamente sento la porta aprirsi e richiudersi. Penso siano di nuovo le infermiere, ma mi rendo conto che il passo non è quello sicuro di chi deve fare il proprio lavoro o di chi in questa stanza è già stato varie volte. È lento e incerto, come se il suo proprietario non sapesse se rimanere fermo, avvicinarsi ancora o andarsene. Alla fine viene scelta la seconda opzione: sento che una sedia viene spostata vicino al letto e qualcuno mi si siede accanto, restando in silenzio.
Per la prima volta da molto tempo percepisco il mio cuore battere più velocemente, come se la sola presenza di questa persona bastasse a risvegliarlo e incomincio a sperare ardentemente che non si sbagli. Delle dita si intrecciano delicatamente alle mie e la mia mano viene sollevata. Essa viene solleticata da dei capelli e bagnata da quelle che posso solo immaginare siano lacrime. Percepisco poi che qualcuno si sta chinando sul mio viso, finché un lieve bacio non viene posato sulle mie labbra.
“È lui! Non può essere che lui!”.
L’effetto del bacio è devastante: sento immediatamente il mio corpo riacquistare energie e divento sempre più consapevole di ciò che mi sta intorno e del mio stesso corpo, sento che sto tornando padrona di me stessa. Il bacio ha avuto lo stesso effetto di quello del principe alla bella addormentata. Mi sto svegliando.
Molto lentamente riesco a riaprire gli occhi. Sbatto un paio di volte le palpebre, accecata dalla luce, alla quale i miei poveri occhi non sono più abituati. Pian piano riesco a mettere a fuoco ciò che mi sta intorno e mi rendo conto che lui non si è ancora reso conto di nulla, con la testa bassa, piangente. Mi si stringe il cuore a vederlo così e gli stringo lievemente la mano, per renderlo consapevole del mio risveglio.
Alza immediatamente la testa e mi guarda pieno di stupore, non credendo ai propri occhi.
-Luca… - sussurro, sorridendo stancamente e dolorosamente. Ora che sono sveglia si fanno sentire forti scariche di dolore per tutto il corpo, ma soprattutto in corrispondenza del cuore.

-Amore mio, ti sei svegliata! – esclama lui, stringendomi ulteriormente le mani e piangendo ancora, ora di gioia.

-Mi hai svegliata tu. Stavo aspettando solo te… Avevo così tanta paura che ti fosse successo qualcosa… Invece stai bene, come sono felice! – mormoro con le poche forze che ho, accarezzandogli una guancia.

-Certo che sto bene, mi hai salvato tu! Se tu non mi avessi spinto via…  - incomincia in tono serio, ma lo interrompo immediatamente, mettendo un dito sulle sue labbra.

-Non ha senso parlare di cosa sarebbe successo. Siamo vivi entrambi. -.

-Ma tu sei rimasta in coma per più di una settimana, siamo quasi a metà maggio… - cerca di dirmi Luca.

-Non ha importanza. Mi sono svegliata, sono viva, no? Piuttosto, perché ci hai messo così tanto a venire da me. Sentivo le voci di tutti attorno a me, tranne la tua e morivo dentro pensando che tu non ce l’avessi fatta. Nessuno ha mai accennato a te e non potevo pensare di averti perso in questo modo. – la mia voce si incrina, mentre cerco di trattenere le lacrime.

-Hai ragione, sarei dovuto venire prima, subito in realtà, ma mi sentivo così in colpa. Ti ho vista lì, sull’asfalto, insanguinata, e non sapevo cosa fare, mi sentivo così impotente… Sono rimasto per giorni chiuso in casa, senza voler vedere nessuno, terrorizzato dalla possibilità che qualcuno mi dicesse che tu non ce l’avessi fatta. E anche quando ho saputo che eri in coma ho avuto paura che non avrei retto il colpo di vederti così… Ma oggi non ce l’ho fatta più: mi mancavi troppo, amore mio, non avrei resistito un giorno di più senza vedere il tuo volto. Quando sono entrato sarei voluto fuggire via… Qua, così, immobile… -.
Lo interrompo un’altra volta, notando che sta per crollare di nuovo:
-Shh… Va bene, non fartene una colpa, lo capisco. L’importante è che sia viva e che mi sia svegliata. -.
Mi sorride più tranquillo, poi guarda l’orologio e sospira seccato:
-Devo andare a scuola… -.

-Non ti preoccupare, puoi venire più tardi. Tanto di qui è difficile che mi sposti. – dico, cercando di alleggerire la situazione. – Uscendo magari dì a qualcuno che mi sono svegliata. Non ripasseranno a controllarmi prima di un’oretta. -.

-D’accordo. Allora passo dopo la scuola. – si china su di me e mi dà un altro bacio, indugiando di più ad allontanarsi questa volta. – Ti amo. – mi sussurra prima di avviarsi alla porta.

-Ti amo anch’io. – rispondo e, sorridendomi dolcemente e pieno di sollievo, se ne va.

Per gran parte della mattina non mi viene lasciato un attimo di respiro.
Pochi minuti dopo che Luca è uscito dalla stanza, questa si è riempita di infermiere e medici, i quali mi hanno sommerso di domande, ribaltata come un calzino, aumentando i dolori già di per sé quasi insopportabili; ho fatto non so quanti esami e senza che qualcuno mi dicesse i risultati… Mi sono sentita una cavia da laboratorio e non è stato affatto divertente. Poi sono arrivati i miei genitori, per cui altre domande e abbracci dolorosi. Non voglio sembrare un’ingrata, sono felicissima di poterli rivedere, soprattutto dopo aver sentito per molto tempo solo le loro voci e aver creduto che sarei morta senza poterli salutare, ma sono esausta e il mio unico desiderio è quello di dormire, sul serio. E così, a metà mattina, con un antidolorifico in vena, riesco finalmente ad addormentarmi.

Quando mi sveglio è passata da un po’ l’ora di pranzo. Seduta vicino a me c’è mia madre, la quale appena apro gli occhi, mi accoglie con un sorriso e una carezza. In piedi dall’altra parte della stanza c’è invece il don, il quale mi si avvicina subito, con un grande sorriso stampato sul viso.

-Buongiorno, dormigliona! – mi saluta scherzosamente – Cos’hai fatto per aver bisogno di una settimana di riposo così profondo? -.

-Ciao, Don! Probabilmente i miei Preado mi hanno succhiato via tutte le energie, oppure, cosa più probabile, mi è venuta addosso un’auto… - rispondo, richiamando per un attimo alla mente quei terribili secondi prima dell’impatto, di cui fortunatamente non ricordo nulla. Il dolore deve essere stato lacerante, considerando che dopo una settimana è ancora così forte.

-Hai fatto prendere a tutti un gran bello spavento… - sospira mia mamma, continuando ad accarezzarmi i capelli, come per accertarsi che sia qui, viva e vegeta.

-Immagino… Però vorrei sapere quali sono le mie reali condizioni ora… - chiedo in tono serio. Gli sguardi sia di mia madre che del don si rabbuiano e io incomincio a preoccuparmi sul serio: avevo immaginato che i miei dolori non fossero un buon segno…

-Sono qui proprio per spiegartelo, Clara. – afferma una voce maschile, che mi suona familiare, ma che non riesco a collegare a nessuna persona. Mi volto verso la porta della camera e vedo un medico che si sta accingendo ad entrare, chiudendo la porta alle proprie spalle. Appena ho l’opportunità di guardarlo in viso, trasalisco: quegli occhi di ghiaccio sono gli stessi che sbucavano sopra la mascherina del medico che ci ha comunicato il coma di mia nonna.
Con difficoltà mi metto a sedere sul letto più compostamente e attendo che il dottore mi dica cos’ha ora il mio organismo che non va, ma lui osserva incerto il don, in piedi vicino al letto, con una mano sulla mia spalla. Mia mamma, notandolo, interviene subitaneamente:

-Può restare. Lo abbiamo già informato. – poi si rivolge a me – Era qui tutti i giorni e ci è sembrato giusto che sapesse. -.
Annuisco.
-Va bene, ma, per favore, spiegatemi. – chiedo confusa, spostando lo sguardo dall’uno all’altro.

-Clara – incomincia il medico, prendendo in mano la situazione. – Quando sei arrivata qui in ospedale le tue condizioni erano davvero critiche, per non dire disperate, e ti abbiamo portato subito in sala operatoria. Avevi perso molto sangue e i danni erano ancora più gravi di quanto immaginassimo. Abbiamo fatto quanto è stato possibile per tenerti in vita, ma sei finita in coma. Onestamente è un miracolo che tu ti sia svegliata, nelle condizioni in cui ti trovi… -.

-Pensavate che sarei morta proprio come mia nonna. – concludo il suo pensiero – Non è andata così. Arrivi al punto per piacere. –

-Il punto è – riprende lui in tono grave – che il tuo cuore è rimasto irrimediabilmente e molto gravemente danneggiato. -.

Incasso il colpo meglio di quanto pensassi: in fondo già avevo intuito che comunque le cose fossero andate non avrei vissuto a lungo. Mi ero già preparata a questa notizia.
-Quindi ora quali sono le possibilità materiali che ho per vivere? – chiedo, con un sangue freddo che sorprende me stessa e anche le altre persone nella stanza, che mi guardano interdette.

-L’unica speranza è trovare un cuore compatibile e procedere al trapianto, ma non è così semplice… Per evitare rischi, dovresti rimanere tutto il tempo in ospedale, sotto controllo, con la possibilità di sopravvivere qualche giorno o settimana in più se le tue condizioni dovessero aggravarsi. -.

-Non se ne parla. –. Esprimo la mia opinione in tono calmo, ma risoluto, facendo trasalire nuovamente le tre persone che mi stanno davanti.

-Clara, ma sei impazzita?! – esclama mia mamma, sull’orlo delle lacrime.

-Mamma, non sto rifiutando il trapianto. Solo non voglio passare in un letto d’ospedale le mie ultime settimane di vita. – dico fermamente, poi mi rivolgo nuovamente al medico: - Il mio cuore quanto è messo male? -.

-Considerando i precedenti nella tua famiglia di problemi cardiaci e la sua fragilità odierna, direi che è in condizioni precarie… - risponde seriamente.

-Per cui potrebbe smettere di battere da un momento all’altro, giusto? – chiedo ancora.

-Esatto. -. Sia lui che mia madre mi guardano straniti, come se non capissero dove voglia arrivare, mentre il don continua a stringermi la spalla, come a dirmi che qualunque decisione prenda lui sarà accanto a me. La sua presenza e il suo sostegno mi danno la forza di continuare con le domande:

-Quante sono le possibilità che io sopravviva abbastanza a lungo perché arrivi un donatore compatibile, pur restando qui in ospedale? Quante possibilità ho di sopravvivere all’intervento in caso? – lo incalzo.

-Pochissime, in ogni caso. – il dottore abbassa lo sguardo frustrato, non potendo sottrarsi dal rispondere alle mie domande.

-Allora quando prima le ho chiesto di arrivare al punto, sarebbe stato più giusto dirmi che sono una morta ambulante, che sta aspettando di esalare l’ultimo respiro. -.

-Clara, non è affatto detto che tu non riesca a superare tutto questo… - tenta di convincermi mia madre, ma il suo tono è incerto, non ne sembra convinta neppure lei.
Le prendo una mano e la stringo forte.

-Mamma, dovrei essere già morta. Hai sentito il dottore: è stato un miracolo che mi sia svegliata e se Lui ha voluto così non è certo per vedermi passare i miei ultimi giorni immobile, in un letto d’ospedale, attaccata a delle macchine, aspettando di morire. Lui vuole che raccolga i frutti che quest’anno ho seminato, che sia felice per quel poco tempo che mi rimane. – cerco di spiegarle con un groppo in gola.

-Ma non ti rendi conto che questo è un suicidio? – mi chiede, scoppiando in lacrime. L’abbraccio fortemente, cercando di trattenermi dal crollare anch’io.

-No, mamma, al contrario. Nel tempo che mi rimane voglio vivere appieno, non sopravvivere. – finalmente sembra incominciare a capire e si calma un poco. Continuo a parlarle: - Voglio uscire il prima possibile di qua. Non mi strapazzerò troppo, starò tranquilla, ma sarò fra le persone a cui voglio bene. Vi permetterò di riportarmi in ospedale solo dopo il musical… Voglio fare per un’ultima volta ciò che amo di più. Ovviamente se in queste due settimane arriverà un cuore compatibile mi farò ricoverare immediatamente. Se c’è anche solo la più piccola possibilità di cavarmela voglio sfruttarla, ma non posso stare qui ad aspettare. -.

-Sei sicura della tua decisione? – mi chiede serenamente il don. La sua non è una critica velata, ma vuole semplicemente accertarsi che ci abbia pensato bene e che sia davvero ciò che voglio.
Annuisco, sorridendogli.

-Come tuo medico non posso che oppormi a questa scelta. – afferma risolutamente il dottore. Lo fisso negli occhi per un attimo: ha fatto e sta facendo tutto il possibile per darmi del tempo in più, ma ragiona solo con il cervello, con la mentalità dello scienziato, non con il cuore. Non ha ancora compreso che ciò che mi sta tenendo in vita anche in questo momento non è sicuramente il mio cuore… Quello sospetto sia fermo già da tempo.

-Posso rimanere un attimo sola con il dottore? – chiedo a mia mamma e al don. Annuiscono con riluttanza ed escono dalla stanza in silenzio. Appena la porta si chiude, non perdo tempo e mi rivolgo all’uomo davanti a me:

-Lei mi ha vista qui tutti i giorni da mia nonna, vero? – chiedo.

-Sì. – risponde, prendendo una sedia e accomodandosi per ascoltarmi meglio.

-Penso possa immaginare quanto sia stato terribile vederla morire lentamente… Io che ho la possibilità di scegliere, non voglio assolutamente che qualcun altro debba sopportare lo stesso dolore per me. -.

-Anche se questa potrebbe essere la via per sopravvivere? – mi chiede con curiosità.

-Dottore, sappiamo benissimo entrambi che io morirò. Ne ero pienamente consapevole anche mentre ero in coma. Non cerchi di darmi false speranze, non mi servono. – gli sorrido amaramente, mentre lui abbassa lo sguardo mortificato.

- È anche questo il mio lavoro a volte… - mormora.

-Lo so e posso solo immaginare quanto sia difficile, soprattutto vedere una vita sfuggire dalle proprie dita… - commento tristemente – Io non so se lei sia credente, ma le dico che se adesso sono qui che le parlo è perché ho fatto un patto con Dio: gli ho chiesto di darmi il tempo di dire addio e di fare per un’ultima volta ciò che mi fa sentire viva. Lei, nelle mie condizioni, se avesse l’opportunità, l’ultima, di realizzare un proprio sogno la coglierebbe, o rimarrebbe inerte a guardarla sfumare? -.

-Probabilmente la coglierei. – mi risponde sinceramente.

-Allora penso che possa capirmi. Non mi neghi questa possibilità. – lo imploro.

-Sei una ragazza molto risoluta, Clara. – sospira lui – D’accordo, faremo come vuoi tu. Ti prescriverò dei farmaci che dovrai prendere tutti i giorni e devi promettermi di non fare sforzi inutili. Se il donatore giusto dovesse arrivare, la condizione del tuo cuore non si dovrà essere aggravata o sarà tutto inutile. Non sei morta finché non le abbiamo provate tutte e finché non lo dico io. – mi ammonisce.

-La ringrazio di cuore. Non ha idea di quanto ciò significhi per me. – gli sorrido commossa. Dopodiché il medico se ne va e rientrano mia mamma e il don.

-A quanto pare hai convinto anche lui. Sei testarda come un mulo quando vuoi. – commenta con un sospiro il prete.

-Ha solo capito le mie ragioni. – replico. –A proposito delle mie condizioni… Chi lo sa? – chiedo a mia mamma.

-Lo sappiamo io, papà, tuo fratello e il don. Dobbiamo dirlo a qualcun altro? – mi chiede con apprensione.

-No, non ditelo a nessun altro. Non voglio trascorrere questi giorni trattata con i guanti di velluto, come la povera moribonda. Voglio che tutti si ricordino di me semplicemente per come sono, come Clara. -.

-E Luca? Hai intenzione di tenere all’oscuro anche lui? – mi chiede lei stupita.
Impallidisco. Non avevo considerato Luca nel mio discorso… Nella mia mente appare fulminea la mia immagine, mentre guardo sconvolta mia nonna, sul letto, morta, e con un stretta al cuore prendo la mia decisione.
Proprio in questo esatto istante una voce allegra invade la stanza:

-Tesoro, come stai? –. Luca entra in camera, illuminandola con il suo sorriso, mentre io non riesco a trovare le parole per rispondergli, impegnata nel cercarne altre dolorose.

-Vi lasciamo soli. – dice con un sorriso tirato mia mamma, avviandosi alla porta insieme al don.

-Mamma. – si bloccano entrambi al mio richiamo. – Riguardo la domanda di poco fa… Sì. -.
L’espressione della donna che mi ha dato la vita e mi ha cresciuta si riempie di preoccupazione, ma non mi contraddice ed esce dalla stanza con lo sguardo basso. Il don, invece, rimane un attimo di più a fissarmi, come cercando di capire cosa intendo fare. Un lampo di comprensione gli attraversa il volto, che si tramuta in una maschera di tristezza e contrarietà. Sapevo che non avrebbe approvato il mio modo d’agire, ma cos’altro posso fare per evitare l’inevitabile?
Appena rimaniamo soli, Luca mi stringe una mano, guardandomi con dolcezza. Il suo sguardo è per me peggio di una coltellata… Ciò che sto per fare è tremendamente ingiusto nei suoi confronti, mi rende una persona orribile, ma è solo per lui che lo faccio.

-Luca, dobbiamo parlare. – incomincio, parlando con difficoltà, perché quelle che sto per dire non sono parole che ho mai pensato di rivolgere a lui. La mia stessa bocca si rifiuta di articolarle.

-Ha a che fare con le tue condizioni? Ci sono state delle conseguenze? – Non le immagini neanche quali siano le conseguenze… Quanto sarebbe facile ora dirti tutta la verità, ma non ce la faccio, tu crolleresti e non me lo perdonerei mai. Soffrirò io per entrambi.

-Luca, io…Io ti sto lasciando. – dico tutto d’un fiato. Il suo viso si fa terreo e gli occhi si riempiono di stupore. Abbasso gli occhi, incapace di sopportare la sua reazione.

-C-come? Se questo è uno scherzo, non è affatto divertente… - dice balbettando.

-Non è uno scherzo. Non voglio più stare con te. -. Sputare queste parole è la cosa più dolorosa che abbia provato. È come quando devi vomitare, continui ad avere terribili conati, ma non ci riesci e senti il malessere percorrerti tutto il corpo. La menzogna mi sta avvelenando, è così evidente che devo voltare la testa per evitare che anche lui la veda e scopra la verità. Il dolore si sta tramutando in pianto, ma non posso permettermi di piangere ora, non davanti a lui e quindi cerco di ingoiare il magone che mi invade, senza però riuscirci.
Sento la mano di Luca tremare sulla mia.

-Cosa ho fatto? – si dà immediatamente la colpa, senza esitare e questa è un’altra coltellata, ancora più profonda e il coltello continua a girare nella ferita, distruggendo il tessuto e facendomi gridare dal dolore, però non posso manifestare apertamente le mie urla, così al loro posto scendono le lacrime.

-Tu non centri niente, Luca, non hai fatto assolutamente nulla. Sono io il problema ed è meglio che tu mi stia lontano. Non voglio vederti. – la mia voce soffocata e singhiozzante tradisce il pianto torrenziale che mi sta bagnando il volto.

-Clara, guardami. – mi dice, cercando di rimanere calmo. Scuoto la testa. – Voltati! – esclama, ora con più rabbia. Rimango immobile, tremando. Alla fine mi prende il volto fra le mani e mi obbliga a guardarlo. Lui vede il mio volto totalmente sconvolto e io il suo, uguale al mio: altra pugnalata.

-Tu non vuoi lasciarmi. Non piangeresti in questo modo. Che cosa è successo? Perché sei arrivata a tanto? – mi chiede disperato.

-Lo sto facendo per il tuo bene, lo vuoi capire?! Lasciami in pace e vattene! Non ti voglio vedere, devi andartene! – urlo, cercando di allontanarlo da me, ma lui mi tiene più stretta.

-Io non me ne vado, non finché non mi dici che cosa è successo. -.

-Se starai ancora con me soffrirai e basta. Se mi ami davvero allora fai quello che ti dico e lasciami andare, vattene e non farti più rivedere! – grido ancora fra i singhiozzi.
I suoi occhi si sgranano stupefatti:
-Non mi puoi chiedere questo… - sussurra sconvolto.

-Invece te lo sto chiedendo. – ribadisco.

Il suo sguardo si riempie di determinazione e lo fissa dritto nel mio, facendomi rabbrividire. Non so per quanto tempo ancora riuscirò a respingerlo e a mentirgli in questo modo.
-Lo farò solo se tu ora, guardandomi dritto negli occhi, mi dici che non mi ami più. -.
Cerco di sfuggire alla sua presa inorridita: come posso dire parole simili?
Luca non mi lascia andare e io piango ancora più disperatamente:
-No… No… No…. – continuo a dire.

-Dillo! – mi ordina.

-Io… Non ti amo più… - dico con labbra tremanti e il corpo scosso da violenti spasmi di dolore.
Luca finalmente mi lascia andare e si prende la testa fra le mani. Non mi guarda più, mentre io ora non ce la faccio a voltare di nuovo la testa. Vorrei abbracciarlo, dirgli che va tutto bene e che tutto ciò che ho detto non era vero, ma, come ho già detto, lo sto facendo solo per il suo bene.
All’improvviso Luca si alza in piedi ed esce dalla stanza come una furia, senza guardarmi, senza dirmi una parola.
Ormai sola, mi lascio andare completamente al pianto e urlo con tutto il fiato che ho in corpo, sperando che mi possa far sentire meglio, ma il dolore è sempre più forte.
Il don e mia mamma accorrono, richiamati dalle mia grida e la seconda mi abbraccia, cercando di calmare i miei spasmi.
-Che cosa hai fatto, piccola mia? – mi chiede.
Il don mi guarda con gli occhi pieni di dolore e compassione.
Chiudo gli occhi e non riesco a rispondere a mia madre, il dolore è troppo acuto. Il mio cuore è stretto in una morsa d’acciaio, viene lacerato, dilaniato, e so che non è colpa dell’incidente: sono io che ne ho strappato un pezzo con le mie stesse mani…

Angolo dell'Autrice

Non uccidetemi, vi prego! Per me è stato davvero difficile scrivere questo capitolo :(
Ho pianto tanto!!!

Marta

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Capitolo 27
*** Get it right ***


Vengo dimessa dopo quattro giorni, quattro lunghi giorni conditi da lacrime e tante bugie. Tante persone sono venute a trovarmi, portandomi fiori e biglietti di pronta guarigione, e a tutti, nessuno escluso, ho sorriso e detto che sto meglio, che presto tornerò in piena forma. Dopo le terribili bugie che sono riuscita a dire a Luca, queste sono state niente, non mi sono costate neanche la più piccola briciola di rimorso. Non sono riuscita a dire la verità neanche alle mie migliori amiche, le ho illuse che rideremo insieme, usciremo, parleremo, magari vivremo in appartamento insieme quando incomincerò l’università… Non arriverò neanche alla fine della quarta superiore. Ma anche questa volta non c’è il rimorso, solo il vuoto più totale, senza suono, senza luce, solo un dolore lacerante che non mi abbandona mai, anzi, ad ogni bugia aumenta, come se portassi sulle mie spalle tutto quello che potrebbe essere il dolore delle persone se scoprissero la realtà dei fatti.
E per quanto riguarda chi sa…
I miei genitori si limitano a starmi accanto e ad assecondare la mia scelta, non senza alcuna sofferenza. È proprio per risparmiargliela che preferisco parlare io della mia condizione agli altri, non voglio che mentano per me.
Il don ha continuato a venirmi a trovare, a farmi compagnia, ma dopo quel giorno non ha più accennato alla mia decisione, soprattutto per ciò che riguarda Luca. Non ho detto a nessuno neanche che ho rotto con lui: non voglio altre domande per cui non riuscirei ad inventarmi delle bugie credibili.
Solo un giorno, in cui il dolore era particolarmente forte, gli ho fatto una domanda, guardando il soffitto con occhi vacui:
-Sono diventata una persona orribile, vero? -.

-No, Clara. Hai solo preso una decisione molto dolorosa e ti stai facendo carico di tutte le sue conseguenze. Saresti una persona orribile se non provassi il minimo dolore, invece lo provi eccome. Te lo si legge negli occhi quanto sia insopportabile. – mi risponde con serietà.
Non sono andata avanti nella conversazione: so perfettamente che è preoccupato per me e che trova sbagliato il modo in cui ho affrontato la questione con Luca, ma non voglio sentirlo da lui. Voglio rimanere convinta che ciò che ho fatto l’ho fatto per proteggere la persona che amo da una sofferenza troppo grande da gestire.

Finalmente ritorno a scuola. Nonostante tutto mi è mancato passare in questo posto le mie giornate, i banchi, i quaderni, i corridoi affollati… Mi è mancato essere una normale adolescente studentessa di liceo. Le mie compagne di classe mi hanno organizzato una festa di bentornato, insieme a tutti i nostri professori. Devo ammettere che non me l’aspettavo proprio e mi ha fatto piacere, anche se ho dovuto dire ancora tante di quelle bugie… Altro dolore si è aggiunto a quello già presente…
Non posso fare sforzi per cui niente educazione fisica e niente scale in salita, con la scusa che sono ancora in convalescenza e rischio di danneggiare il mio organismo irreparabilmente se esagero già all’inizio. Abbastanza vicino alla verità per i miei standard. La cosa peggiore è che nessuno dubita per un solo istante delle mie parole, si fidano ciecamente. Probabilmente è la versione dei fatti più semplice da accettare, che riesce a mettere in pace la coscienza delle persone, eppure, per quanto tutto ciò l’abbia voluto io stessa, mi ferisce, perché a me le mie bugie sembrano così evidenti! Nessuno, però, ha il coraggio di guardarmi negli occhi come il don, nessuno vuole scoprire l’oscurità che celo dentro di me.

Oggi è anche giorno di prove per il musical, al quale mancano solo due settimane. Sono estremamente nervosa, perché entrare in quell’Aula Magna significa inevitabilmente incontrare Luca e lavorare con lui, fianco a fianco, per tutto il pomeriggio. Sarà difficile, ma non mi preoccupo tanto per me stessa, ormai il dolore è diventato il mio quotidiano compagno, quanto per Luca… Gli ho già procurato tanta sofferenza con le mie parole… Sottoporlo anche a questo è troppo crudele, ma in fondo ho insistito per essere dimessa proprio per non mandare all’aria lo spettacolo ed ora devo dare il meglio di me e fare solo ciò di cui ora ho più bisogno e di cui ho tanto sentito la mancanza durante il mio lungo sonno: cantare.
E così, dopo cinque lunghe ore di lezione, scendo lentamente le scale, facendo attenzione ad ogni gradino, perché questa volta nessuno mi afferrerà prontamente se inciamperò. Esco all’aperto e automaticamente mi dirigo verso la panchina dove ho sempre mangiato con Luca, ma mi blocco davanti ad essa: lui è proprio lì seduto, immobile a fissare il lago. Mi è mancato così tanto il suo viso… È sempre bellissimo, però non è più mio, devo lasciarlo andare. Mi volto per allontanarmi, ma la sua voce mi blocca e mi fa volgere nuovamente verso di lui:
-Clara. -. Il mio nome pronunciato da lui sembra così bello e dolce!
Non mi sta guardando, tiene ancora gli occhi fissi sul panorama, eppure si è reso conto della mia presenza.
-Non devi andartene, puoi restare. – mi dice con tranquillità.

-Non fa bene a nessuno dei due se resto. – replico con fermezza.

-Voglio solo parlare. – cerca di convincermi e finalmente mi guarda. Mi sento svenire dal dolore quando vedo i suoi occhi, sempre così luminosi e traboccanti di vita, spenti, vuoti, pieni di nubi burrascose. Io ho ridotto i miei Occhi di Cielo così? Lo guardo piena, per la prima volta da giorni, di rimorso e tristezza. Anche così quegli occhi sono bellissimi, di una bellezza triste, struggente, ma pur sempre bellezza.

-Non riuscirai ad estorcermi delle spiegazioni. – riesco a dire difficoltosamente.

-Penso di avere il diritto di averle. – ribatte con una punta di astio nella voce.

-Ti ho già detto che l’ho fatto per il tuo bene. Fattela bastare come spiegazione. – ribatto risoluta.

-No che non mi basta! Non mi dici assolutamente nulla così! – esclama, alzandosi in piedi ed avvicinandosi a me. Indietreggio, finché la mia schiena non sbatte contro il tronco di un albero e sono in trappola, con Luca pericolosamente vicino.

-Ti prego, non essere masochista e non rendermi le cose più difficili di quanto non lo siano già. - balbetto nervosamente.

 -Per te le cose non dovrebbero essere così difficili. Non mi ami più, no? – mi provoca lui.

-Sai bene che mi hai obbligato tu a dire quella frase! Non sono parole mie! – ribatto con rabbia.

-Ma le hai dette! Oppure adesso vuoi rimangiartele e dirmi che mi ami? -.
Non ci vedo più dalla rabbia e lo allontano da me con un forte spinta:
-Tutto ciò che ho detto e fatto l’ho detto e fatto proprio perché ti amo! -.
Nonostante sia riuscita a guadagnare dello spazio fra me e Luca, non mi allontano dall’albero e osservo con occhi sgranati il ragazzo di fronte a me ridacchiare.
-Perché accidenti adesso ridi? – chiedo irritata.

-Perché hai detto che mi ami. Lo sapevo… - e cerca nuovamente di riavvicinarmisi, questa volta per abbracciarmi, ma lo respingo nuovamente.

-Devi starmi lontano! Questo peso devo portarlo da sola e soprattutto tu non devi averci a che fare. Devi stare il più lontano possibile dai miei demoni. -. Detto questo mi allontano nella direzione opposta, trattenendo le lacrime.
Su di me aleggia l’ombra nera della morte e non voglio che allunghi le sue fredde mani anche su Luca. Lui è così puro e cristallino e così deve rimanere, per questo devo allontanarlo da me. L’ombra non deve contagiare anche lui. Non vorrei mentirgli, ma non posso permettere che gli accada qualcosa di male. Neanche lui può salvarmi questa volta. Il male è più grande di entrambi…
Tutto ciò mi riporta alla mente Demons, la canzone che abbiamo cantato insieme il giorno del mio compleanno. Allora ho pensato si riferisse a lui. Solo ora comprendo che era solo una premonizione di ciò che mi sarebbe accaduto.

Le due settimane trascorrono abbastanza serene, fra mille prove, che, nonostante la tensione tra me e Luca, sono andate bene. Entrambi abbiamo tante emozioni da sfogare e lo facciamo attraverso il canto, come abbiamo sempre fatto, ancora più intensamente, rendendo le canzoni ancora più reali e concrete. Io e lui non abbiamo più avuto alcun incontro come quello nel giorno del mio rientro a scuola: ci siamo limitati a concentrarci sullo spettacolo e ad evitarci per il resto del tempo, però, tutte le volte che per sbaglio ci guardiamo negli occhi, nei suoi leggo la tremenda urgenza di conoscere la verità. Ho paura di cosa riesca a leggere nei miei.

È il giorno della prima del musical ed abbiamo trascorso tutta la mattina, esonerati dalle lezioni, in teatro a provare. A pranzo finalmente rivediamo la luce naturale del sole. Respiro a fondo e mi siedo su una delle panchine che si trovano all’esterno del Teatro Sociale di Luino. Le prove sono state molto stancanti e ho bisogno di un attimo di riposo prima di chiamare i miei genitori per riportarmi a casa.

-Ehi Clara. – Marco mi si siede accanto.

-Ciao – gli sorrido – Sei stato davvero bravo durante le prove. Farai un figurone stasera. -.
Marco interpreta il protagonista maschile del musical e devo ammettere che è un ruolo che gli si addice. Non si può negare che abbia talento per la recitazione e soprattutto che la ama e ciò si vede chiaramente quando è sul palcoscenico. Il suo amore per il teatro è la parte più bella del suo essere attore.

-Grazie, speriamo sia come dici tu. Anche tu e Luca siete stati pazzeschi. Sembra che vi stiate immedesimando anche voi nei personaggi. Fate davvero venire i brividi quando cantate, come se quelle parole le abbiate scritte voi, mettendoci dentro tutti i vostri sentimenti. –. Il suo commento mi fa piacere e allo stesso tempo m’intristisce, perché vorrei con tutto il cuore non dover provare certi sentimenti.

-Non posso negare che ultimamente ci coinvolgano abbastanza questi testi… - sospiro con una nota di tristezza nella voce.
 
-Come stai? – mi chiede ora, sinceramente preoccupato.

Sputo fuori la solita bugia preconfezionata:
-Sto bene, te l’ho già detto, tornerò presto in forma. – rispondo, cercando di sembrare il più positiva possibile, ma alle mie stesse orecchie la mia voce sembra totalmente vuota di espressione.

-Non mi riferisco all’incidente. -.
Lo guardo di traverso.

-Ti prego, non incominciare anche tu! – esclamo con irritazione.

-Luca mi ha raccontato come è andata in ospedale e anche del vostro breve incontro in cortile… - incomincia Marco, ma lo interrompo prima che possa fare domande scomode.

-E non saprai più di quello che ti ha detto lui. – dico seccamente.

-Clara, non ti fa bene portare un peso del genere da sola. – mi dice dolcemente.

-Tu non hai assolutamente idea di cosa stai parlando! – esclamo rabbiosamente, alzandomi dalla panchina. Come può mettersi a darmi consigli senza sapere che segreto mi devo portare dietro?

-Allora dammene tu un’idea! – ribatte con altrettanta irritazione – Permettimi di aiutarti. – conclude con più calma, guardandomi con quegli occhi a cui non sono mai riuscita a dire di no in passato.

-Usare quello sguardo è ingiusto… - borbotto, mentre dentro di me sento il bisogno di sfogarmi, di liberare un po’ di quel dolore che mi porto dietro da settimane e avere accanto qualcuno a cui non devo mentire.

-Quale sguardo? – chiede lui innocentemente, con un sorriso che da angioletto proprio non è.

-Lo sai benissimo quale! Quello da cerbiatto! – lo guardo accigliata per un attimo e poi sospiro, arrendendomi. Sono ormai troppo stanca per combattere come all’inizio.

-D’accordo. Andiamo a fare un passeggiata sul lungolago. Scegliti una panchina: penso che ne avrai bisogno dopo che ti avrò spiegato tutto. -.

Ed eccoci qui: sul lungolago “nuovo”, come lo chiamiamo da queste parti per distinguerlo dalla parte più vecchia, io appoggiata alla balaustra e Marco seduto su una panchina davanti a me, sulla quale è crollato dopo avergli rivelato che mi resta poco da vivere, con tutte le spiegazioni mediche e non del caso. Siamo in silenzio da un po’. Lui deve cercare di metabolizzare la cosa e io devo riprendere il fiato dopo essermi liberata del grande peso che mi opprimeva. Gli unici rumori sono quelli delle macchine che passano sulla strada, le onde del lago che si infrangono contro il cemento, il chiacchiericcio dei passanti e qualche gabbiano che svolazza sopra l’acqua in cerca del pranzo.

- Stai morendo… - mormora Marco passandosi una mano sul viso, incredulo. Alzo gli occhi sul cielo azzurro, solcato da bianche nuvole spumose. Vorrei che ciò che sta dicendo il mio amico non fosse vero e poter giocare a indovinare quali disegni si celino in questi batuffoli di aria e acqua ancora per tanti anni, ma purtroppo non mi è concesso.
-E non l’hai detto a nessuno. – continua con voce tremante. Lo guardo allarmata e vedo i suoi occhi riempirsi di lacrime. – Come hai potuto tenerti questa consapevolezza solo per te? Come credi avremmo reagito tutti sapendo della tua scomparsa? Come pensi mi sarei sentito io? È già stato straziante vederti in coma… -. Leggo nel suo viso l’incomprensione e la confusione.

-Lo so che sei arrabbiato, ma cerca di capirmi. Vorrei rimanere nei vostri ricordi come la ragazza di sempre, che si impegna a scuola, in oratorio e per il musical. Non come la moribonda di cui avere compassione. Vorrei dire addio a modo mio, non da un letto d’ospedale, vedendo soffrire tutte le persone che mi sono intorno. – cerco di spiegargli.

-Perché pensi che così le persone non soffrano comunque? Non le prepari in alcun modo al dolore. -. Gli dò le spalle, puntando gli occhi sul lago. Non provo neanche a formulare una risposta. Incomincio a chiedermi se non sia stato tutto frutto di un mio stupido ed egoista desiderio. – E Luca? Addirittura lasciarlo… Hai idea di quanto sia distrutto da questa situazione?! Viene continuamente allontanato da te, pur sapendo che tu lo ami. – mi chiede con un tono di forte rimprovero.

-E tu pensi che non lo sappia? Che non ci stia da cani anch’io? Ma questo dolore sarebbe troppo per lui, non lo sopporterebbe. Crollerebbe definitivamente e non posso permetterlo. L’ho allontanato per tenerlo al sicuro… - rispondo senza voltarmi.

-Capisco che tu abbia pensato al suo bene, ma lui soffre comunque e soffrirà ancora di più quando morirai e saprà la verità. – lo sento avvicinarsi a me e una mano si posa sulla mia schiena. – Io non posso sapere cos’hai passato in queste settimane e cosa tu stia provando ora, Clara… Però non posso credere che tu voglia morire senza Luca accanto. Tu hai bisogno di lui, ora più che mai. – mi dice con dolcezza.

-Io ho solo pensato che il dolore della rottura avrebbe potuto attenuare quello della perdita, o perlomeno prepararlo ad esso. È ovvio che non avrei mai voluto farlo, ma non ho pensato a me, non ci voglio pensare a me, capisci? –. Mi lascio andare al pianto, mentre Marco mi abbraccia.

-Clara, devi affrontare davvero il fatto che morirai, senza pensare alla reazione delle altre persone, ma solo a te. Devi piangere e stare male, perché significa anche questo affrontare la realtà, ma non puoi tenerti tutto il dolore dentro fingendo che non accadrà nulla. – mi stringe più fortemente e nella sua stretta capisco che queste sono parole che non sta rivolgendo solo a me, ma anche a sé stesso. Sta soffrendo anche lui per me e mi rendo conto che sentirlo così vicino mi fa bene. – E devi dirlo a Luca prima che sia troppo tardi. Ha tutto il diritto di saperlo. – mi dice infine, sciogliendomi dal suo abbraccio e allontanandosi senza dire altro. Rimango imbambolata a fissare il vuoto per un tempo indefinito, finché la verità non mi si palesa dolorosamente davanti: ho sbagliato tutto.

Incomincio a camminare, sempre più veloce, fino a che non mi ritrovo a correre verso casa. Non guardo nemmeno dove metto i piedi. È un miracolo se non cado per terra. Il mondo mi scorre intorno, ma che cosa me ne può importare ormai? Anche le persone a cui passo di fianco mi guardano come se fossi un pazza, ma, ripeto, a questo punto, me ne deve importare qualcosa?
Entro in casa come una furia, mio fratello, il quale deve essere tornato più presto del solito dall’università mi viene incontro stupito e apprensivo:

-Clara, sei venuta qua a piedi? Ma sei impazzita?! Il tuo cuore… Potevi avere un infarto lungo la strada. Cosa ti è saltato in mente di fare?! – mi rimprovera, ma non lo sto a sentire, non gli rivolgo la parola. Mi dirigo in camera mia e gli chiudo la porta in faccia, girando la chiave nella serratura. Lui, da fuori, batte i pugni contro il legno, urlando di aprirgli. Guardo la porta frustrata, serro gli occhi e incomincio a cantare con tutto il fiato che ho in corpo.

What have I done?
I wish I could run,
Away from this ship going under
Just trying to help out everyone else
Now I feel the weight of the world is on my shoulders

What can you do when your good isn't good enough
And all that you touch tumbles down?
'Cause my best intentions
Keep making a mess of things
I just wanna fix it somehow
But how many times will it take?
Oh, how many times will it take for me to get it right, to get it right?

Can I start again, with my fate shaken?
'Cause I can't go back and endure this
I just have to stay and face my mistakes,
But if I get stronger and wiser, I'll get through this

What can you do when you're good isn't good enough?
And all that you touch tumbles down?
'Cause my best intentions keep making a mess of things
I just wanna fix it somehow
But how many times will it take?
Oh, how many times will it take for me to get it right?

So I throw up my fists, throw a punch in the air
And accept the truth that sometimes life isn't fair
Yeah, I'll send down a wish and I'll send up a prayer
And finally someone will see how much I care

What can you do when you're good isn't good enough?
And all that you touch tumbles down?
My best intentions keep making a mess of things
I just wanna fix it somehow
But how many times will it take?
Oh, how many times will it take to get it right, to get it right?

 

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Capitolo 28
*** If I die young ***


Non so da quanto tempo sono in questa posizione, raggomitolata contro la porta, con la testa fra le mani, che pulsa per le troppe lacrime.
Ho sbagliato tutto, pensando di fare il bene delle persone intorno a me e, invece, distruggendo tutto. Ho pensato di dover portare da sola tutto il peso della mia morte, quando invece l’unica cosa di cui ho davvero bisogno è condividerlo e accettarlo pienamente, anche se non è giusto, anche se ho solo diciotto anni e potrei avere così tanto tempo, ma, appunto, il tempo non esiste: esistiamo solo noi, con la nostra data di scadenza, che non guarda in faccia a nessuno e, anzi, ride delle nostre stupide convinzioni, del nostro anelare all’immortalità, all’eterna giovinezza. Pensiamo solo al futuro, alle possibilità, alle probabilità e intanto il presente ci passa davanti senza che riusciamo ad afferrarlo, senza che riusciamo a vivere. Perché vivere non significa semplicemente respirare o avere un cuore che batte, io lo so bene… Gli scienziati e i medici pensano di aver capito tutto e in realtà non hanno compreso nulla, non hanno catturato l’essenza della vita. Ciò che mia cugina mi ha spiegato in quel pomeriggio di fine settembre, che a pensarci ora sembra sia passata un’eternità da allora, è la spiegazione più pura e semplice di cosa sia la Vita: amore. Amore per noi stessi, per ogni parte di noi stessi; amore per chiunque incontri il nostro sguardo; amore per ciò che ci circonda; amore per l’esatto momento che stiamo vivendo. E amare significa avere estrema cura di tutto ciò, non lasciarsi scappare nulla, con la consapevolezza della brevità di ogni cosa, della nostra stessa vita. Ciò non deve essere percepito con paura, ma con serenità, sapendo che, in qualunque caso, se ci è stato dato un determinato tot di anni è perché sono abbastanza per essere felici. Per questo esatto motivo non possiamo sprecarli proiettati in un futuro che non sappiamo neanche se raggiungeremo, ma dobbiamo usarli per amare e sfruttare con tutte le nostre forze ogni singolo istante di essi. Solo così non si avranno rimpianti e si potrà affermare, senza paura di dire menzogne, che si ha vissuto.
Io non posso ancora dirlo e il countdown è già iniziato.

-Clara, stai bene? – chiede con preoccupazione mio fratello dall’altra parte della porta.

-Come credi che possa stare bene?! – esclamo – Sto morendo. Da un momento all’altro la mia vita finirà, non c’è alcuna speranza. Non sto bene, perché non voglio morire e, invece, eccomi qui: povera moribonda compatita da tutti! – grido, ma me ne pento subito. Sono ingiusta… Mio fratello non ha alcuna colpa per ciò che mi sta accadendo e, anche se non lo dimostra, so che sta soffrendo, come chiunque altro nella mia famiglia.
Apro piano la porta e lo trovo lì davanti, il volto una maschera di dolore e le braccia abbandonate lungo i fianchi. I suoi occhi sono pieni di rabbia, non rivolta verso di me, ma verso il male che mi sta portando via. Di slancio lo abbraccio:

-Scusami, scusami… - dico con voce soffocata dal pianto.
Dopo un attimo di esitazione, anche mio fratello ricambia il mio abbraccio, stringendomi forte a sé, in silenzio. Alzo lo sguardo sul suo volto e, per la prima volta in diciotto anni, lo vedo piangere e piange per me, la sua sorellina rompiscatole e appiccicosa.
Sorrido commossa e mi allontano da lui, evitando di guardarlo ancora: so che lo fa sentire a disagio.

-Potresti portarmi in oratorio a Luino? Ho bisogno di parlare con il don. – gli chiedo sommessamente. Annuisce e va in camera a prendere chiavi e portafoglio… E probabilmente anche un fazzoletto per asciugarsi con discrezione le lacrime.

Arrivati in oratorio gli dico di tornare pure a casa. La questione potrebbe andare per le lunghe e se ne avrò bisogno lo richiamerò più tardi per farmi venire a riprendere.
Dopo che la macchina è scomparsa dietro l’angolo, faccio un respiro profondo ed attraverso il cancelletto. L’oratorio è aperto perché è giorno di catechismo e infatti il cortile davanti all’entrata è pieno di genitori e bambini che hanno appena finito la loro lezione. Ci metto un po’ ad entrare nell’edificio, ma alla fine riesco ad affacciarmi nella segreteria, dove il don è seduto davanti al computer e alcune catechiste stanno parlando fra di loro. Appena il prete si accorge di me, mi sorride allegro come al solito:
-Ciao Clara! Come mai da queste parti? Hai bisogno di qualcosa? -.

Sorrido timidamente di rimando e cerco di trovare le parole giuste per rispondergli:
-Penso sia venuto il momento di affrontare il discorso… - dico infine.
Lo sguardo del don si fa subito più serio, annuisce e chiede alle catechiste di uscire dalla stanza. Poi chiude la porta, abbassa le tendine, mi fa accomodare su una sedia e lui si siede al mio fianco, aspettando pazientemente che io incominci a parlare.

-Io sto morendo. - È la prima volta da quel giorno in ospedale che mi rendo pienamente conto del significato di queste parole. - Sparirò da questo mondo e ho paura. Non voglio morire, don, non ho fatto tutto ciò che potevo fare. – esordisco, fissando un punto nel vuoto – Ho smosso tante persone per trascorrere gli ultimi giorni fuori dall’ospedale, ma non sono andati assolutamente come speravo… Sono stati un inferno: non ho fatto altro che mentire alle persone a cui voglio bene ed ho allontanato, ferendolo, il ragazzo che amo. Tutto ciò pensando di risparmiare un dolore a tutti, invece è stato solo un modo per non affrontare io stessa la situazione, per fare finta di stare bene. Il dolore è atroce… Perché non hai tentato di fermarmi? – chiedo con le lacrime agli occhi.

-Tu hai sempre saputo quale fosse la mia opinione a proposito, senza che te lo dicessi, e questa è la tua vita, Clara, i tuoi ultimi giorni. Come potevo obbligarti a trascorrerli in un modo diverso dai tuoi desideri? Ti sono rimasto accanto, sperando che almeno condividessi un po’ di quel dolore. – risponde con semplicità.

-E invece ho combinato un disastro. Io sono un disastro. Ho ferito chi mi sta a cuore più di quanto avrebbe fatto la sola notizia della mia prossima morte. Soprattutto con Luca sono stata crudele… Ma non volevo che mi dovesse vedere moribonda. Volevo risparmiargli almeno questo… - sorrido amaramente, mentre il don mi stringe una mano e mi guarda severamente.

-Tu non sei un disastro, Clara. Hai cercato di limitare i danni, ma in questi casi è impossibile. Si rischia solo di crearne altri più gravi. E hai creduto di poter affrontare tutto da sola. So che non vuoi che nessuno ti veda morente, però sai che da sola non puoi farcela, hai bisogno del sostegno di chi ti vuole bene, soprattutto di Luca. Capisco che non vuoi che soffra, ma lui era l’unica persona che ti avrebbe permesso di vivere questi giorni e non di sopravvivervi. Penso che anche lui, nonostante il dolore, non avrebbe esitato a starti accanto e ti avrebbe aiutato. -.
Scoppio in lacrime.

-Che cosa ho fatto? Ora è troppo tardi! Io mi sono svegliata solo per poterlo salutare, per passare con lui anche solo qualche ora e la prima cosa che ho fatto è stato lasciarlo. -.

-Non è mai troppo tardi. Parlagli e trascorri il tempo che ti rimane con lui. – mi incoraggia dolcemente e gli sorrido grata di rimando. – Lo so che hai paura, ma devi fidarti del Principale. Non sarai sola, mai e non pensare che sia la fine, perché non lo è: una nuova vita ti aspetta. -.

-Don, mi puoi promettere una cosa? – chiedo in tono serio.

-Se mi è possibile, certo. – sorride.

-Prenditi cura di lui, almeno all’inizio. Non lasciare che lo ingoi il dolore. Voglio che vada avanti e viva. E soprattutto assicurati che continui a suonare e cantare. -.

-Lo farò, non preoccuparti. – mi assicura.

-Poi, se non ti disturba, vorrei lasciare a te disposizioni per il mio funerale. Con i miei genitori non riesco a parlarne: sento che se solo accennassi alla questione, crollerebbero. – chiedo ancora supplichevole.

-Va bene. Scrivi tutto qui. Lo farò avere alla tua famiglia quando sarà il momento. – mi dice, passandomi un foglio e una penna. Annuisco, incominciando a scrivere ed elencando i miei desideri ad alta voce:

-Vorrei essere vestita di bianco. La bara deve essere chiara, non bianca però. Poi voglio essere seppellita il più vicino possibile a mio fratello Davide e che al mio funerale si canti. Sicuramente fra i canti ci deve essere Povera voce, forse riuscirò a convincere anche Luca a cantare un’altra canzone. Prima di stasera ti farò avere una cosa… Anche quella ci deve essere durante la celebrazione. -.

-D’accordo. Altro? – chiede, prendendo il foglio, piegandolo, infilandolo in una busta e poi sigillando quest’ultima.

-Sì. – rispondo e lo guardo negli occhi. – Voglio che sia tu a celebrare il mio funerale. -.

-Perché io? – mi chiede.

-Perché tu hai conosciuto i miei lati peggiori e anche quelli migliori. Sei il primo al quale abbia parlato di come mi facesse sentire sul serio essere derisa dagli altri, il primo con cui abbia condiviso il peso in cui la mia unicità consisteva per me. Sei una delle poche persone che abbia capito senza che glielo dicessi esplicitamente cosa il canto significhi per me. Tu mi conosci più di chiunque altro e sei la persona che meglio può fare un mio ritratto, il più vero possibile. – dico con una commozione molto simile a quella che scorgo negli occhi del don. – Ti sono davvero grata per tutto ciò che hai fatto per me, che non è affatto poco. È grazie a te se ho trovato la forza di mostrare al mondo Clara ed è sempre grazie a te se ho avuto la forza di pregare Dio in quell’oblio del mio coma e di svegliarmi. Ho sentito ogni tua singola parola e se non mi sono arresa alla morte è stato soprattutto perché tu eri sempre lì con me. Non mi hai mai abbandonato. Ti ho voluto un bene infinito, don e ti ringrazio per come ne hai voluto a me, pur con tutti i miei casini. – termino, piangendo ancora, ma con il sorriso sulle labbra.
Il prete mi abbraccia forte, cercando di contenere la propria commozione alleggerendo la situazione:

-Pera colossale! – mi dice piano – Dire queste cose a un povero prete… Vuoi proprio farmi piangere! -.
Rido.

-Mi mancheranno anche i tuoi rimproveri. – dico malinconicamente.

-Il momento è davvero così vicino? – mi chiede tristemente.

-Credo proprio di sì. – annuisco. – Il musical è stasera e non penso che mi verrà concesso più del necessario. -.

-Capisco. – dice semplicemente, continuando a stringermi le mani.

-Che ne dici di accogliere la mia ultima confessione? – chiedo con un sorriso.

-Con piacere. – mi risponde, ricambiandolo con una serenità di cui adesso ho più che mai bisogno.

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Capitolo 29
*** Love is alive ***


L’inizio dello spettacolo è sempre più vicino e la tensione si fa sentire dietro le quinte. Corrono tutti da una parte e dall’altra, indaffarati e ipernervosi, come se quell’unica forchetta di scena che hanno in mano possa determinare la riuscita o meno dello spettacolo. Io sono pronta da un po’ e sto cercando di concentrarmi, ma è dannatamente difficile con tutta la negatività e il nervosismo che mi circondano in questo momento. Quindi cammino avanti e indietro in due metri quadrati di spazio. Marco è appoggiato a una parete a dare un’ultima lettura al copione per ripassare le battute e mi guarda con la coda dell’occhio esasperato.

-Potresti fermarti un attimo? Mi fai girare la testa e mi rendi ancora più nervoso. – mi chiede senza distogliere lo sguardo dal copione.

-Non è colpa mia se qui la tensione è contagiosa! – esclamo risentita, aumentando il passo. Alla fine il mio amico, spazientito, mette da parte il plico di fogli e mi blocca, afferrandomi per le spalle.

-Fermati, ho detto! E cerca di calmarti, o sarò costretto a baciarti di nuovo. – mi dice in tono serio, ma con negli occhi una scintilla divertita e maliziosa.

-Non ti è bastato lo schiaffo dell’ultima volta che hai tentato di farlo? – replico, sorridendo provocatoria.

-Così fai a pezzi i miei sentimenti sinceri! – esclama, fingendo un’espressione ferita. Poi muta tono di voce e, tornando serio mi domanda: - Hai parlato con Luca? -.

-Non ancora. Ho intenzione di farlo durante lo spettacolo. – rispondo sospirando. Lui mi guarda perplesso e lo rassicuro: - Fidati, ho i miei metodi e Luca sa esattamente quali siano. -.

Lo sguardo di Marco sembra rattristarsi. Si passa una mano fra i capelli e guarda altrove:

-Lui ti conosce davvero bene, come io non sono mai riuscito e come non avrò mai l’occasione di fare. – Il dolore nella sua voce è palpabile e solo ora realizzo che Luca non è l’unico che perderà la ragazza che ama. Gli appoggio delicatamente una mano sul braccio.

-Marco, io… - incomincio mortificata.

-Non c’è bisogno che tu dica nulla, Clara. – mi interrompe, volgendo nuovamente gli occhi su di me.

-Abbiamo sempre avuto un pessimo tempismo. – commento con amarezza. Ci siamo sempre innamorati dell’altro quando questo aveva il cuore rivolto da qualche altra parte.

-Una volta era ottimo, ma ti ho lasciata andare via ed è uno sbaglio con cui dovrò fare i conti per tutta la vita. – ribatte, accarezzandomi una guancia con dolcezza.

-Non addossarti tutte le colpe. Ho anch’io i miei rimpianti. Ti ho amato così tanto… ma non nel modo giusto. Troverai una ragazza che ti amerà come meriti. -. Mi sorride poco convinto, ma senza replicare. – Devo chiederti un favore, però. – continuo in tono serio.

-Dimmi. – annuisce.

-Continua a stare accanto a Luca e ad essergli amico. Aiutalo ad affrontare il dolore. Non permettergli di farsi vincere da esso e se osa anche solo pensare di abbandonare la musica, prendilo a pugni! – dico con fermezza.

-Mi stai sul serio dando il permesso di picchiarlo? – mi chiede stupito.

-Se è per il suo bene, sì. – affermo.

-Non mi stai affidando un incarico semplice, lo sai, vero? – mi chiede con sguardo incerto.

So perfettamente quanto la mia richiesta sia difficile, forse troppo… Ciò che gli sto chiedendo di fare è di mettere da parte il proprio dolore per pensare a quello di un’altra persona, la quale, sono sicura, continuerà ad allontanarlo, rifiutando qualsiasi tipo di aiuto, ma non servirà a nulla, perché le persone che gli ho messo al fianco sono testarde e non si arrenderanno facilmente…

-Sì, lo so. Mi dispiace chiederti tanto, ma tu sei il nostro più caro amico e mi fido ciecamente di te. – dico, prendendo le sue mani fra le mie.

Marco sgrana gli occhi non sapendo come ricambiare il mio gesto:

-Dopo tutto questo tempo? Dopo quanto ti ho fatto stare male? – mi chiede con lo sguardo basso.

-Sempre. Anche mentre facevo finta di odiarti. – mi sorride, mentre rido piano – Ho sempre continuato a volerti bene, nonostante tutto. È vero, mi hai fatta soffrire, ma mi hai resa anche tanto felice. – gli dico con dolcezza e una punta di commozione.

Mi stringe le mani e rialza lo sguardo su di me: ora è fermo e risoluto.

-Ti prometto che farò ciò che mi chiedi. Non lascerò in pace Luca nemmeno per un secondo. Magari aiutare lui, darà una mano anche a me. – gli sorrido piena di gratitudine.

Il prof chiama ripetutamente Marco: deve prepararsi per l’inizio dello spettacolo. È ormai arrivato il momento di cominciare.

Il ragazzo si allontana da me con aria dispiaciuta.

-Beh… In bocca al lupo a entrambi… - sospira. Il nervosismo ritorna a galla e si fa concreto nell’espressione tesa di Marco.

Gli sorrido comprensiva:

-Allora crepi il lupo per entrambi. E, Marco… Grazie, non solo per quanto riguarda Luca, ma per tutto. -.

-Perché questo mi sembra tanto un addio? – il suo sguardo si riempie di timore.

-Non è un addio. È solo un arrivederci. – gli rispondo serenamente, ma noto le lacrime agli angoli dei suoi occhi e il labbro inferiore tremante.

Mi alzo sulle punte dei piedi e lo abbraccio, cingendogli il collo con le mie braccia, proprio come quando stavamo insieme, cercando di infondergli tutto l’affetto che provo per lui.

-Ti voglio bene. – sussurro.

Marco mi stringe ancora di più a lui e affonda il viso nel mio collo.

-Ti amo. – dice lui in un soffio appena percettibile.

Dopodiché ci allontaniamo l’uno dall’altra e Marco incomincia a dirigersi alla sua postazione, mentre io mi appoggio stancamente a una parete. Ora mi dovrebbe raggiungere anche Luca – siamo i primi a entrare in scena – e infatti, con la coda dell’occhio, lo vedo avvicinarsi e fermarsi un attimo a scambiare qualche parola con Marco, il quale, prima di andarsene, gli dà un’affettuosa pacca sulla spalla, lanciandomi un’ultima breve occhiata.

Chiudo gli occhi e appoggio la testa al muro, giocherellando con i veli del mio vestito lilla. Dopo qualche secondo li riapro, poiché mi sento osservata, e davanti a me sta Luca, in tutta la sua scompigliata eleganza: scarpe da ginnastica, jeans blu, camicia bianca con un paio di bottoni aperti, cravatta nera dal nodo allentato e capelli adorabilmente arruffati. Percorro la sua figura con gli occhi, rendendomi conto che lui sta facendo esattamente la stessa cosa, proprio come quella maledetta sera. Cerco di non incrociare il suo sguardo e mi concentro sulla sua cravatta, accorgendomi, dopo qualche istante, che è la stessa che ha indossato al nostro primo appuntamento. Le mie labbra si curvano naturalmente all’insù in un sorriso malinconico e, senza pensarci troppo, mi avvicino e la accarezzo, seguendone con le dita i bordi.

-Sei bellissima. – mi dice piano ed io alzo di scatto la testa, scontrandomi con i suoi occhi pieni di dolcezza e tristezza.

Non sono più in grado di trattenermi: afferro la cravatta, lo attiro a me e lo bacio. Per un lungo istante Luca non mi ricambia, totalmente preso alla sprovvista, ma alla fine le sue mani si chiudono sul mio viso, accogliendolo nel loro caldo abbraccio. Con fatica mi allontano dalle sue labbra giusto quel poco che basta a rivolgergli qualche parola, fissandolo dritto negli occhi:

-Questa sera ascoltami attentamente, ti prego. Tu sei l’unico in grado di capire il mio linguaggio e devi conoscere la verità. -.

Non aspetto alcuna risposta - so che farà ciò che gli ho detto - e mi stacco del tutto da lui, allontanando con delicatezza le sue mani da me.

Trascorrono solo pochi minuti prima che la prof ci chiami: tocca a noi, lo spettacolo sta per cominciare.

Angolo dell'Autrice

Siamo giunti quasi alla fine... Mancano solo due capitoli e l'epilogo a concludere questa storia. Scrivere queste ultime parti non è stato assolutamente semplice - gli adii non lo sono mai, purtroppo - ma sono comunque molto contenta di come il personaggio di Clara si sia evoluto nel corso del racconto. Adesso lo spettacolo sta per cominciare e la verità sta per essere svelata... Come la prenderà Luca?

Marta

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Capitolo 30
*** Ti lascerò ***


Le gambe tremano; il microfono scivola nella mano sudata e allora lo stringo di più, fino a quando le nocche delle mie dita sono bianche; mi sento avvampare dal caldo che sento e ho paura che la mia voce ne risenta; sento il battito del mio cuore rimbombare nella cassa toracica ed è strano… Pensavo che si fosse fermato da tempo…
Porto istintivamente una mano al cuore e ascolto ad occhi chiusi il suo palpitare, testimonianza che sono ancora viva. Questo mio cuore fragile non si arrende, continua a pompare sangue ancora e ancora, fino al momento in cui tutto sarà compiuto e sarò giunta al punto di non ritorno.
“Non abbandonarmi ora cuore mio. Pompa sangue e ossigeno per farmi cantare un’ultima volta. E tu, Signore, aiutami a fare ciò che devo, a dire la verità.” penso, chiudendo la mano a pugno.
Improvvisamente il sipario si apre e la musica incomincia a diffondersi per il teatro. Come un automa compio i primi passi sul palcoscenico, venendo subito accecata dalle luci fortissime. Mi sforzo di non coprirmi gli occhi con le mani e cerco di fissare un punto indefinito in fondo alla sala. Il mio respiro è mozzato. C’è troppa gente e io sono troppo agitata. Chiudo gli occhi. Ripenso a quell’assemblea di istituto e alle mani di Luca che mi guidavano con delicatezza. Prendo un grande respiro, riapro gli occhi e faccio l’unica cosa che in questa breve vita mi abbia dato sprazzi di Felicità, prima di lui: canto.

 A te che perdi la strada di casa ma vai
dove ti portano i piedi e lo sai
che sei libero
nelle tue scarpe fradice
A chi ha parole cattive soltanto perché
non ha saputo chiarire con sé
A chi supplica
e poi se ne dimentica
A chi non ha un segreto da sussurrare
ma una bugia da sciogliere
A chi non chiede perdono
ma lo avrà

Luca fa il suo ingresso sul palco cantando in modo magnifico, come sempre, e guardandomi con espressione indecifrabile. Forse sta già cercando di capire se sto cercando di dirgli qualcosa, ma non è ancora arrivato il momento. Quando gli parlerò… Se ne accorgerà subito e alla fine riceverà un pugno nello stomaco, un dolore a cui avrei dovuto prepararlo tempo fa. Non ha fatto altro che crescere, diventare ogni giorno peggiore, e ora… Devo buttarglielo addosso così com’è. Vorrei proteggerlo, ma non posso, non ci riesco.


Benvenuto a un pianto che commuove
ad un cielo che promette neve
Benvenuto a chi sorride, a chi lancia sfide
a chi scambia i suoi consigli coi tuoi
Benvenuto a un treno verso il mare
e che arriva in tempo per natale
Benvenuto ad un artista, alla sua passione
Benvenuto a chi non cambierà mai
A un anno di noi

A questa luna che i sogni li avvera o li dà
o li nasconde in opportunità
A chi scivola
A chi si trucca in macchina
E benvenuto sia questo lungo inverno
se mai ci aiuta a crescere
A chi ha coraggio
e a chi ancora non ce l’ha

Sono un’egoista… Non riesco a morire senza lui al mio fianco. L’ondata sta per travolgermi e devo per forza trascinare nel mezzo della tempesta anche lui. Non voglio che sopporti tutto ciò, ma deve sapere… E ho bisogno del suo perdono prima di partire.

Benvenuto a un pianto che commuove
ad un cielo che promette neve
Benvenuto a chi si spoglia, per mestiere o voglia
e alle stelle chiede aiuto o pietà
Benvenuto al dubbio delle spose
a un minuto pieno di sorprese
Benvenuto a un musicista, alla sua canzone
e agli accordi che diventano i miei
A un anno di noi

Al resto che verrà(stop stop stop) tutto il resto
A tutto questo che verrà (stop stop stop) tutto questo
A tutto il resto poi chissà(stop stop stop) tutto il resto
E poi…
Stop

Benvenuto a un pianto che commuove
Ad un cielo che promette neve
Benvenuto a chi sorride, a chi lancia sfide
e a chi scambia i suoi consigli coi tuoi
Benvenuto a un treno verso il mare
scintilla e arriva in tempo per natale
Benvenuto ad un artista, alla sua intuizione
Benvenuto a un nuovo anno per noi
A un anno di noi
Un anno per noi
Per tutto e per noi
Un anno di noi

Quando il brano termina scoppiano gli applausi. Il sorriso nasce sulle mie labbra, mentre mi sposto velocemente su un lato del palco, dove io e Luca resteremo per il resto dello spettacolo, per lasciare il centro del palcoscenico agli attori. Dalla parte opposta della scena, dietro le quinte, attendendo il proprio momento c’è Marco. Gli sorrido incoraggiante e ne ricevo un altro nervoso di risposta. Con la coda dell’occhio noto che Luca ci sta osservando sospettoso. Gli lancio un’occhiataccia: “Vuoi davvero fare il geloso adesso? Non sono stata abbastanza chiara prima?” cerco di trasmettergli i miei pensieri attraverso sguardi di fuoco. Lui sembra capire, perché abbassa gli occhi, mordendosi il labbro inferiore frustrato.
Poi sento la voce del mio amico pronunciare la sua prima battuta e mi riconcentro sullo spettacolo. Il personaggio di Marco è uno spaccone – probabilmente è anche per questo che lo interpreta così bene -, con difficoltà ad esternare nel modo giusto i propri pensieri e sentimenti ed è per questo motivo che la protagonista femminile all’inizio della storia non lo può proprio sopportare… Lei è onesta e schietta per quanto riguarda le proprie emozioni, l’esatto opposto di questo ragazzo così difficile, che così non deve essere se i suoi occhi hanno preso la forma di cuoricini appena si sono posati sulla ragazza in questione. È giusto da questo colpo di fulmine a senso unico che scaturisce la prima canzone, cantata solamente da Luca.

Io non so parlar d'amore
l'emozione non ha voce
e mi manca un po' il respiro
se ci sei c'è troppa luce
La mia anima si spande
come musica d'estate
Poi la voglia sai mi prende
e si accende con i baci tuoi

Io con te sarò sincero
resterò quel che sono
disonesto mai lo giuro
ma se tradisci non perdono
Ti sarò per sempre amico
pur geloso come sai
Io lo so mi contraddico
ma preziosa sei tu per me

Fra le mie braccia dormirai
serenamente
Ed è importante questo sai
per sentirci pienamente noi
Un'altra vita mi darai
che io non conosco
La mia compagna tu sarai
fino a quando so che lo vorrai

Due caratteri diversi
prendon fuoco facilmente
ma divisi siamo persi
ci sentiamo quasi niente
Siamo due legati dentro
da un amore che ci dà
la profonda convinzione
che nessuno ci dividerà

Fra le mie braccia dormirai
serenamente
Ed è importante questo sai
per sentirci pienamente noi
Un'altra vita mi darai
che io non conosco
La mia compagna tu sarai
fino a quando lo vorrai

Noi vivremo come sai
solo di sincerità
di amore e di fiducia
poi sarà quel che sarà

Fra le mie braccia dormirai
serenamente
Ed è importante questo sai
per sentirci pienamente noi
pienamente noi...

La forza delle parole di questo brano, cantato dalla sua voce calda, mi arriva forte e impetuosa alle orecchie e al cuore. Lo so che non le sta solo cantando: crede in ogni singola lettera, in ogni singola nota e le sta cantando a me, per me. Lui parla di futuro, ma… Con che coraggio posso distruggere le sue speranze? “L’hai già fatto una volta, no?” mi dico e il rimorso s’impossessa di me. Con che coraggio ho potuto dire quelle falsità? È questa l’unica domanda che avrei dovuto farmi.

Lo spettacolo prosegue senza intoppi. La storia è coinvolgente e divertente, non una di quelle storie smielate, da diabete e penso sia proprio questo a farla piacere un po’ tutti, sia ai maschietti, meno inclini alle smancerie, sia alle femminucce, di solito più romantiche.
Siamo finalmente arrivati alla scena in cui anche la protagonista si rende conto di essere consapevole di quell’irritante ragazzo, più di quanto vorrebbe.
Ora tocca a me cantare per Luca…

It wakes me up at night
Needs to share its light
It doesn't get how dark it is outside

It warms the rising sun
It kisses everyone
It doesn't remember the hate of yesterday

Oh, can't you hear it in my voice
Oh, can't you see it in my eyes
Love, love is alive in me

When my golden crown
Becomes a cup of doubt
I try to remember all I need is all around

Oh, can't you hear it in my voice
Oh, can't you see it in my eyes
Love, love is alive in me

Oh, can't you hear it in my voice
Oh, can't you see it in my eyes
Love, love is alive
Oh can't you feel it in my touch?
Know that I'll always have enough
Love, love is alive in me

I ricordi mi assalgono e non posso fare a meno di tornare con la mente a quel giorno di settembre, al momento in cui i nostri occhi si sono incontrati per la prima volta; alla sua mano che stringe forte la mia e l’accarezza con dolcezza per darmi il coraggio di entrare in quell’Aula Magna; ai pranzi condivisi; le canzoni cantate insieme; il suo calore mentre mi abbraccia in palestra, cullandomi nel mio pianto; il momento in cui mi ha regalato la catenina che indosso anche in questo momento; e poi il giorno del mio compleanno, quel bacio mancato e la consapevolezza che mi colpito come un fulmine: “Sono irrimediabilmente innamorata di lui.” È esattamente ciò che ho pensato. E questa canzone non ha altro significato che questo, che lo amo con tutte le mie forze, con tutto il mio cuore e la mia anima. Nulla è cambiato nei miei sentimenti, mai!

Al termine della canzone lo guardo timidamente e noto con un certo sollievo che i suoi occhi brillano di dolcezza e le labbra sono curvate in un piccolo sorriso. Allora non mi odia ancora! Ha ascoltato e ha capito…
Prendo la bottiglietta d’acqua appoggiata in un angolo della nostra parte di palco e bevo un sorso d’acqua, cercando di nascondere la mia contentezza: il discorso che devo fargli è appena iniziato e ho ancora tante cose da dirgli.

Lo spettacolo è giunto a uno dei momenti più intensi: finalmente i due protagonisti si rivelano i reciproci sentimenti, dopo varie incomprensioni che hanno reso decisamente difficile lo sbocciare di questo amore. È quindi arrivato il momento di una delle canzoni che sono state più difficili da cantare in queste ultime prove, perché in fin dei conti è come se parlassero di me e Luca. Il pianoforte incomincia ad emettere le prime note e non posso fare a meno di guardare il ragazzo al mio fianco: “Ascoltami.” Lo imploro con gli occhi prima di iniziare a cantare.
 
The day I first met you
You told me you’d never fall in love
But now that I get you
I know fear is what it really was

Now here we are, so close
Yet so far, haven’t I passed the test?
When will you realize
Baby, I’m not like the rest?

Queste parole le sto cantando io, ma so bene che sono invece i pensieri di Luca… È vero, quando l’ho incontrato non avevo intenzione di innamorarmi, avevo già troppa paura di ricascarci con Marco per provarci con qualcun altro, ma era, appunto, solo una stupida e maledetta paura a bloccarmi ed è sempre stata lei a convincermi ad allontanarlo, anche se mai abbastanza. Lui era comunque sempre con me, con negli occhi quella struggente richiesta di spiegazioni e quella disperazione così straziante, perché sembrava che io mi fossi rifugiata di nuovo dietro i miei dannatissimi muri e forse è vero… Questa volta però li ho costruiti essendone pienamente consapevole. Mi hanno sempre fatto comodo, ma mai come in queste settimane…

Don’t wanna break your heart
Wanna give your heart a break
I know you’re scared, it’s wrong
Like you might make a mistake
There’s just one life to live
And there’s no time to waste
To waste
So let me give your heart a break
Give your heart a break
Let me give your heart a break
Your heart a break
Oh yeah, yeah

Ripenso a quella bellissima cena, alle dolci parole di Luca… Era a questa canzone che faceva riferimento. Lui ha sempre voluto darmi pace, dare una pausa al mio cuore pieno di lividi e cerotti e vi è riuscito, allontanando la mia insensata paura di rovinare di nuovo tutto: ci sarebbe stato lui al mio fianco, per cui non avrei più dovuto preoccuparmi.
Quando ho scoperto del poco tempo rimastomi ho pensato di restituire il favore. Nella mia testa il ragionamento filava abbastanza, ma non ho tenuto conto delle complicazioni… Io volevo solo mettere in pausa il suo dolore, volevo metterlo a tacere prima che scoppiasse, o meglio, prima che io scoppiassi come una granata, andando a ferire con i miei frammenti letali chiunque mi fosse vicino, invece non ho fatto altro che provocargli sofferenza con il mio egoismo. Ho solo sprecato il poco tempo che mi rimaneva facendo finta che nulla mi importasse e addossandomi il dolore dei miei cari…

On Sunday, you went home alone
There were tears in your eyes
I called your cell phone, my love
But you did not reply

The world is ours if we want it
We can take it
If you just take my hand
There’s no turning back now (There’s no turning back now)
Baby, try to understand

Mentre Luca canta, sorrido amaramente, perché è esattamente questo che ho fatto: me ne sono andata via piangendo, senza dargli risposte che meritava e ora, da buona egocentrica quale sono, pretendo che lui mi stia accanto dopo tutto ciò che gli ho fatto, ma senza di lui non ce la posso fare, potrei impazzire. Gli prendo una mano e la stringo forte, serrando gli occhi per trattenere le lacrime che premono per uscire e chiedendogli di cercare di capirmi.

Don’t wanna break your heart
Wanna give your heart a break
I know you’re scared, it’s wrong
Like you might make a mistake
There’s just one life to live
And there’s no time to wait
To waste
So let me give your heart a break
Give your heart a break
Let me give your heart a break
Your heart a break
There’s just so much you can take
Give your heart a break
Let me give your heart a break
Your heart a break
Oh yeah, yeah

When your lips are on my lips
And our hearts beat as one
But you slip out of my finger tips
Everytime you run

Io non so fare altro che scappare… E con quali risultati?
Una lacrima riesce a trovare una via di uscita e mi attraversa lenta e calda una guancia.

Don’t wanna break your heart
Wanna give your heart a break
I know you’re scared, it’s wrong
Like you might make a mistake
There’s just one life to live
And there’s no time to wait
To waste

So let me give your heart a break
 ‘Cause you’ve been hurt before (Give your heart a break)
I can see it in your eyes (Give your heart a break)
You try to smile away (Give your heart a break)
Some things you can’t disguise

Ancora una volta con il mio canto dò voce ai pensieri di Luca: ha sempre saputo che nascondo un immenso, vecchio dolore. È riuscito subito a leggerlo nei miei occhi, sotto i miei sorrisi, ma non ne ha avuto ribrezzo o paura: lo ha accolto in tutte le sue forme, l’ha sradicato dal mio cuore come se niente fosse e ha riempito il vuoto lasciato con il suo amore.

Don’t wanna break your heart
Maybe I can ease the ache, the ache
So let me give your heart a break)
Give your heart a break
Your heart a break
Your heart a break
There’s just so much you can take,
Give your heart a break
Let me give your heart a break, your heart a break
Oh yeah, yeah

Fine del primo tempo. Il sipario si chiude e le luci sul palco si fanno più soffuse.
Sono senza fiato, vuota di… qualsiasi cosa. Ho fatto un errore terribile e non posso sperare di venire perdonata.
Una mano mi asciuga delicatamente la lacrima solitaria che ancora mi bagna il volto. I miei occhi incontrano il cielo blu, silenzioso, imperscrutabile, pieno di interrogativi.
 
-Hai capito? – chiedo in un sussurro lieve e speranzoso.

-Sì, Clara, ma perché? Da cosa mi vuoi proteggere? – domanda Luca, accarezzandomi il viso.

-C’è un’ultima canzone che dovrai ascoltare bene. Vi troverai tutte le risposte che cerchi. Se non tutte, sicuramente la più importante sì. Tu sai qual è il brano, vero? -.

Annuisce tristemente, lasciando cadere la mano, inerte, lungo il suo fianco. I suoi occhi si rabbuiano e comprendo che la sua mente sia molto vicina a scoprire l’arcano. Sta incominciando a capire…

Lo spettacolo riprende, troppo lentamente per la mia pazienza, tesa sempre più verso il momento della verità, e per il mio cuore. Incomincio a sentirmi debole e non è un buon segno: non mi rimane molto tempo.

Finalmente arriva la scena finale, quando viene rivelata la morale della storia, già così vera per me e che presto lo sarà anche per Luca: l’amore vero a volte comprende anche il coraggio di lasciare andare la persona amata. Le situazioni potrebbero essere infinite da elencare, ma sicuramente la mia è la più drastica e irreversibile.
Per terminare il musical non poteva mancare una canzone a tema, che, per quanto vecchiotta, non finisce mai di darmi i brividi ogni volta che la cantiamo, perché è vera, proprio come il significato che custodisce e che ora devo rivelare al ragazzo che amo più della mia vita, letteralmente.

Ti lascerò andare ma indifesa come sei
 farei di tutto per poterti trattenere
 perché dovrai scontrarti con i sogni che si fanno
 quando si vive intensamente la tua età.
 Ti lascerò provare a dipingere i tuoi giorni
 con i colori accesi dei tuoi anni
 ti aiuterò a sconfiggere i dolori che verranno
 perché saranno anche più grandi degli amori che ti avranno
 e lascerò ai tuoi occhi tutta una vita da guardare
 ma è la tua vita e non trattarla male.

 Ti lascerò... crescere
 ti lascerò... scegliere
 ti lascerò anche sbagliare... ti lascerò.

Questa volta è Luca a stringermi una mano con forza e a guardarmi con una sconvolgente speranza negli occhi. Una speranza che devo distruggere, calpestare e fare a pezzi. Non sono pronta. Non lo sarò mai.
Ma deve sapere… Sapere che non potrà più difendermi da nulla; che non avrò più nessun sogno in cui sperare, nessun giorno da dipingere, nessun grande amore – lui è l’unico che potrei mai definire tale -, nessuna vita da guardare o da trattare male, perché non avrò alcuna vita dopo stasera! Ho imparato a mie spese che ogni giorno della propria esistenza è un tesoro da trattare con cura, ma ormai è troppo tardi!

 Ti lascerò decidere per chi sarà al tuo fianco
 piuttosto che permettere di dirmi che sei stanco
 lo faccio perché in te ho amato l'uomo e il suo coraggio
 e quella forza di cambiare per poi ricominciare
 e quando avrai davanti agli occhi altri due occhi da guardare
 il mio silenzio lo sentirai gridare.

 Ti lascerò... vivere
 ti lascerò... ridere
 ti lascerò... ti lascerò.

 E lascerò ai tuoi sorrisi la voglia di scoppiare
 ed il tuo orgoglio lo lascerò sfogare.

 Ti lascerò... credere
 ti lascerò... scegliere
 ti lascerò... ti lascerò.

Non posso, però, permettergli di mandare la propria vita all’aria per me. Lascerò che sfoghi tutta la sua rabbia e il suo dolore, ne avrà bisogno, ma non permetterò che rimanga a terra. Luca mi ha sempre sostenuta, mi ha asciugato tutte le lacrime e mi ha aiutato ad alzarmi, ad essere forte. Ho lasciato accanto a lui Marco e il don apposta: per fare ciò che lui ha sempre fatto per me.
Se mai s’innamorerà di nuovo, - e spero che lo faccia - certo, per me non sarà semplice vederlo con un’altra ragazza, ma voglio che riprovi questi sentimenti, perché l’amore è vita e lui deve vivere!

 Ti lascerò... vivere

I suoi occhi sono attraversati da un lampo di comprensione e si riempiono di puro terrore: “Stai morendo?” mi chiedono con urgenza.

 Ti lascerò... vivere

Annuisco, stringendo la sua mano. I suoi splendidi occhi si riempiono di lacrime e a questo punto anch’io non riesco più a trattenermi.
“Mi dispiace, Luca. Sono l’unica che può davvero cantare queste parole. Io devo lasciarti vivere e devo arrendermi alla mia morte, già clementemente rimandata a lungo.”

 Ti lascerò... ti lascerò.

Il sipario si chiude, le luci si abbassano, mentre gli applausi sono ancora fortissimi, ma è come se arrivassero ovattati alle mie orecchie. Vedo solo Luca davanti a me, con il viso completamente bagnato dal pianto. Improvvisamente vengo attraversata da un’ondata di nausea e brividi freddi.
Faccio qualche passo indietro, incerta. Lascio la sua mano, mi volto e corro verso l’uscita. Sento Luca chiamarmi e dopo poco anche i suoi passi dietro di me, ma devo subito trovare i miei genitori per andare in ospedale, se riuscirò ad arrivarci.
Arrivo alla porta laterale del teatro e, come un’ubriaca, la tasto fino a trovare il maniglione. Spingo ed esco all’aria aperta. Mi appoggio al muro con le mani, mi piego in avanti e vomito tutto ciò che ho in corpo, il quale è scosso da violenti conati. Alla fine sto un po’ meglio, ma mi sento molto debole, tremo per lo sforzo di tenermi in piedi.

-Tesoro, cosa sta succedendo? -.
I miei genitori mi hanno trovata e sono chini su di me, immensamente preoccupati.

-Portatemi in ospedale subito. – dico, con le poche forze che mi rimangono.

-Oh Signore, certo. Ma ci sono buone notizie. Ci ha chiamato il dottore: c’è un donatore. Si può procedere subito al trapianto. – mi dicono con una punta di eccitazione e speranza nella voce.
Sorrido debolmente, ma questa piccola luce di gioia svanisce appena vedo davanti alla porta del teatro Luca, immobile, pallido in volto, gli occhi ancora lucidi e pieni di dolore.

-Luca… - sussurro flebilmente.

-Speravo di averti interpretata male… Stupida! – urla con voce strozzata e innaturalmente acuta. – Perché mi hai tenuto all’oscuro di tutto? Io ti amo, non ti avrei mai abbandonata! -.
Mi si avvicina, ma il mondo incomincia a girare vorticosamente. Mi appoggio al muro, facendo dei respiri profondi ad occhi chiusi.

-Cosa succede? Clara! – tutti e tre si allarmano e mi vengono vicini, cercando di sostenermi.

-Niente. Tran… Ah!!! -.
Un dolore lancinante mi colpisce al petto. Il mio cuore… Sta collassando. Urlo con tutto il fiato che ho in gola, forse vomito ancora… Non lo so. Il dolore è troppo forte e non capisco più nulla.
Mi accascio a terra e tutto si fa nero. Prima di perdere totalmente coscienza, sento Luca gridare il mio nome e il mio ultimo pensiero è semplicemente “Ti amo.”.

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Capitolo 31
*** Ojos de Cielo ***


Quando riapro gli occhi, mi accorgo immediatamente di trovarmi in una stanza d’ospedale: il bianco mi circonda e il regolare suono delle apparecchiature è inconfondibile. Una debole luce penetra fra le veneziane e capisco che devono essere le prime ore del mattino. Mi guardo intorno confusa, finché non poso gli occhi sulla testa castana appoggiata al letto, di fianco al mio braccio. Alzo quest’ultimo e immergo le dita fra i morbidi capelli, accarezzandoli delicatamente e sorridendo intenerita dall’espressione da angioletto di Luca mentre dorme.

Tutto il mio corpo è debole, pesante e dolorante. In vena devo avere dell’antidolorifico, ma non è abbastanza. Mi sento come se mi avessero appena investito con una macchina e, beh, posso dirlo, perché so esattamente qual è la sensazione…

Sento la testa di Luca muoversi sotto la mia mano e, abbassando lo sguardo su di lui, vedo due pozzi blu, ancora velati dal sonno, fissarmi in silenzio.

-Scusa, non volevo svegliarti. – dico imbarazzata.

-No, hai fatto bene. – replica con la voce impastata e una smorfia di dolore, dovuta alle lunghe ore passate in una posizione scomoda.

-Che cosa è successo? – gli chiedo incerta. Non so se voglio davvero saperlo.

-Sono riusciti a salvarti dall’attacco di cuore, ma per il trapianto era troppo tardi, non saresti sopravvissuta… In realtà i medici pensavano che saresti piombata di nuovo nel coma, senza più uscirvi… - mi spiega in tono grave.

-Mi dispiace così tanto, Luca… - mormoro con le lacrime agli occhi – Non volevo che vedessi tutto questo. – aggiungo indicandomi.

-Per questo mi hai allontanato in quel modo? Sapevi che se mi avessi detto la verità, non avrei accettato di lasciarti da sola per nulla al mondo… -.

Annuisco.

-Ho capito troppo tardi che l’unica cosa di cui avevo bisogno era proprio averti accanto… - abbasso lo sguardo colpevole.

La mano di Luca si posa sulla mia guancia ed alzo gli occhi su di lui, che mi sta guardando, pieno di quell’amore così grande da farmi venire le vertigini.

-Mi sei mancata così tanto, Clara… Credevo di impazzire. – mi si avvicina ulteriormente e appoggia la sua fronte sulla mia, chiudendo gli occhi.

-Mi ha fatto così male allontanarti… Come se mi fossi amputata da sola un arto, senza anestesia. E dirti tutte quelle cose… Sono una persona orribile! Non merito il tuo affetto! – scoppio a piangere e cerco di spingerlo delicatamente via da me, senza grandi risultati. Infatti il ragazzo mi prende fra le sue braccia e mi tiene stretta a sé.

-No, non lo sei. Non dire queste cose. Tu hai solo pensato al mio bene. – cerca di calmarmi. – E poi, tu mi hai salvato la vita. Sono io l’unico che deve sentirsi in colpa! Io dovevo essere investito e se le cose fossero andate come dovevano andare forse la situazione ora sarebbe diversa… Forse avrei riportato dei danni minori. Tu hai un fisico così esile, mentre io… -.

Lo interrompo mettendogli un dito sulle labbra:

-No, non ti permetto di parlare in questo modo. Tutto ciò che ho fatto è stato per amore e non puoi sminuirlo in questo modo! – affermo risoluta.

-Ma tu ora stai morendo ed io sono qui, inerme, non posso fare assolutamente nulla per impedirlo! – alza la voce, mentre il suo viso incomincia a essere rigato da lacrime salate.

Cerco di asciugargliele con le mani, tentando di placare il mio stesso magone. Ora, più che mai, devo essere forte. Per lui.

-Luca, questo poco tempo che abbiamo insieme è già di per sé un dono. Io non mi sarei dovuta neanche svegliare dal coma, dopo l’incidente… -.

-Cosa vuoi dire? – mi chiede confuso.

Sospiro.

-Mentre ero in coma ho chiesto solo una cosa a Dio. Di darmi l’opportunità di vederti un’ultima volta, o anche solo di sentire la tua voce. Poi avrebbe potuto fare di me ciò avrebbe ritenuto giusto. Mi ha accontentata e mi ha fatto un regalo in più dandomi anche questo momento. Ieri sera io stavo davvero morendo. Non pensavo che stavolta mi sarei svegliata. -.

Lo sguardo di Luca si indurisce e la sua mascella si contrae in una smorfia rabbiosa.

-E ciò che Lui ritiene giusto è farti morire a soli diciotto anni?! Lui avrebbe potuto guarirti! Perché non l’ha fatto? – dice furiosamente.

-Perché non era questo il Suo progetto per me! Come hai detto tu, io non dovrei trovarmi in un letto d’ospedale! È stata solo una mia scelta. Io ero pronta a morire per salvarti, ne ero pienamente consapevole. L’ho scelto io, solamente io! Dio ha solo rispettato la mia decisione. Lui ci ha donato il libero arbitrio e come un Padre non può fare altro che accettare le nostre scelte… Per quanto sia difficile. Potrebbe benissimo mettersi a fare il burattinaio facendoci fare ciò che vuole, ma non lo fa, non sarebbe giusto. Può solo soffrire e guardare come le nostre scelte ci portano all’autodistruzione e la colpa è solo nostra… - alzo la voce più di quanto intendessi fare e Luca abbassa il capo mortificato.

-Ma tu avresti ancora così tanti anni da vivere… - singhiozza con la testa fra le mani.

La afferro con le mie e lo guardo negli occhi:

-Luca io ho vissuto. In questo ultimo anno sono stata davvero Felice, grazie a te, a Marco… Sono riuscita a realizzare il mio sogno più grande, quello di emozionare le persone attraverso la mia voce. Non ho rimpianti, se non quello di non aver avuto abbastanza tempo per stare con te, ma a quello si potrà rimediare più avanti. – gli sorrido, ma i suoi occhi sono attraversati da nuvole tempestose, vuoti e privi di espressione.

-No, ti prego, non fare così. Non posso vedere i miei Occhi di Cielo in questo stato. Non posso reggerlo! – lo imploro.

-Come li hai chiamati? – mi chiede stupito.

Ridacchio imbarazzata prima di rispondergli:

-Ti va se per spiegartelo ti canto una canzone? È in portoghese, ma cerca di seguirmi. -.

-Ma il tuo cuore? Non dovresti stare tranquilla? – mi chiede preoccupato.

Di risposta lo guardo severamente:

-Credimi, cantare non può fargli che bene. E poi vorresti negare un ultimo desiderio a una povera moribonda? – chiedo scherzosamente, anche se non sarebbe un argomento su cui scherzare troppo in realtà…

-Se la metti in questo modo, però… - borbotta rassegnato.

Sorrido, prendendogli una mano, e incomincio a cantare…

Si yo miro el fondo de tus ojos tiernos

Se me borra el mundo con todo su infierno

Se me borra el mundo y descubro el cielo

Cuando me zambullo en tus ojos tiernos

Ojos de cielo, Ojos de cielo

No me abandones en pleno vuelo

Ojos de cielo, Ojos de cielo

Toda mi vida por este sueño

Ojos de cielo, Ojos de cielo

Ojos de cielo, Ojos de cielo

Si yo me olvidara de lo verdadero

Si yo me alejara de lo más sincero

Tus ojos de cielo me lo recordaran

Si yo me alejara de lo verdadero

Ojos de cielo, Ojos de cielo

No me abandones en pleno vuelo

Ojos de cielo, Ojos de cielo

Toda mi vida por este sueño

Ojos de cielo, Ojos de cielo

Ojos de cielo, Ojos de cielo

Si el sol que me alumbra se apagara un día

Y una noche oscura ganara mi vida

Tus ojos de cielo me iluminarían

Tus ojos sinceros, mi camino y guía

Ojos de cielo, Ojos de cielo

No me abandones en pleno vuelo

Ojos de cielo, Ojos de cielo

Toda mi vida por este sueño

Ojos de cielo, Ojos de cielo

Ojos de cielo, Ojos de cielo

È da molto tempo che non la canto ed ora mi sento leggera come una piuma. Ho trovato i miei Ojos de Cielo, mi sono specchiata in essa, ci sono affogata dentro e adesso posso finalmente cantarlo. La mia voce si spande dolcemente per la stanza, limpida e senza incertezza, come mai lo è stata. Luca mi fissa per tutto il tempo, sorridendomi tristemente, ma per fortuna la scintilla di gioia, che era andata persa, è ritornata nei suoi occhi.

-Questa canzone è bellissima… E tu quando la canti sembri già un angelo… - una lacrima cade sul copriletto, formando un piccola, circolare, macchia scura, che va sempre più allargandosi, mano a mano che ne scendono altre.

-Come farò senza di te, senza la tua voce?! Non ce la posso fare Clara! – grida disperato.

-Invece sì che ce la farai, tesoro mio. – esclamo, raccogliendo con le mie labbra le sue lacrime. – Ti ho lasciato accanto persone che ti aiuteranno, ma dipende tutto da te. Se non vuoi farlo per te stesso, fallo almeno per me! Tu devi vivere, Luca. Vivere e non sopravvivere! Studia, ama, canta, suona e vivi per due, anche per me. Non osare pensare di mollare tutto! Non te lo permetterò! Se provi anche solo a pensare di abbandonare la musica ti fulmino dal Cielo e non scherzo! -.

Riesco a far spuntare un sorriso sulle sue labbra.

-Ho bisogno che tu mi faccia un grande favore… - incomincio esitante.

-Qualunque cosa per te. – mi risponde prontamente, dandomi un bacio sulla mano che sta stringendo.

-Canta questa canzone al mio funerale. Tranquillo, è già nelle disposizioni che ho dato per la celebrazione. – aggiungo, notando il suo sguardo impaurito. – E non sarai l’unico a cantare. Ho dato indicazioni precise e poi ho registrato io stessa una canzone, che non è esattamente da chiesa, ma che spiega tutto. L’ho già mandata al sacerdote che celebrerà il funerale… In questo modo rimarrò nei ricordi delle persone per ciò che amo fare e non per un corpo freddo in una bara. -.

Luca mi guarda stranito per un po’, senza parlare, prima di trovare il coraggio di mormorare poche parole:

-Sembri così serena… Non hai paura? -.

-Sono serena perché ho fatto tutto ciò che dovevo, eppure ho paura, tanta, ma se continui a tenermi la mano la sento di meno. – gli spiego con un sorriso.

-Tranquilla, non te la lascio. Per nessun motivo. – ricambia il mio sorriso.

-Ti amo così tanto, Luca, e continuerò ad amarti sempre e a vegliare su di te. Ti proteggerò finché anche tu non mi raggiungerai e allora potremo recuperare il tempo che non abbiamo avuto in questa vita. – dico con voce tremante dalla commozione.

-Ti amo anch’io e continuerò a farlo, non importa quante ragazze ci siano nel mondo, ma tu sarai sempre l’unica per il mio cuore… -.

Gli accarezzo una guancia e gli dò un ultimo, bellissimo, bacio dal sapore salato delle lacrime. Dopodiché abbandono la testa sul cuscino e chiudo gli occhi.

-Sono così stanca… - mormoro debolmente.

-Sì, riposa, amore mio. Andrà tutto bene. – sento la sua voce già lontana e una mano accarezzarmi i capelli.

Mi concentro sul battito del mio cuore, regolare, ma sempre più debole, lento… Finché non sento l’inconfondibile suono prolungato del macchinario, suono che va sempre più sfumando, fino a quando le mie orecchie non odono più alcun rumore. L’unica consapevolezza del mio corpo rimastami è la mia mano stretta a quella di Luca.


Angolo dell'Autrice


Siamo arrivati al capitolo finale... Lo so che mi odierete, ma onestamente non mi sembra poi così una fine terribile. Quando ho deciso di scrivere questo racconto ho saputo fin dall'inizio che sarebbe dovuto finire così, non so perché, ma non avrebbe potuto avere un'altra fine. La scena che mi è venuta in mente subito dopo è quella dell'epilogo, che pubblicherò al più presto!

Marta

P.S. Io ho pianto tantissimo scrivendo questo capitolo... A voi non è scesa neanche una lacrimuccia?

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Capitolo 32
*** Epilogo ***


(Dedicato al mio fratellone: a te che rimani sempre nel mio cuore e nei miei pensieri. Doveva esserci un posticino per te anche qui.)

Una luce accecante mi avvolge e torno molto lentamente consapevole del mio corpo. Riapro di scatto gli occhi, prendendo una grande boccata d’aria, come se fossi stata per molto tempo sott’acqua prima di tornare a galla. Pian piano riprendo a respirare regolarmente e mi rendo conto di essere sdraiata in un prato verde, morbido e cosparso di piccole margherite bianche. Il cielo sopra di me è di un azzurro di una tonalità intensa e sconosciuta ai miei occhi. Mi metto seduta, il corpo non mi fa assolutamente male, è come se fossi in piena forma, nonostante in realtà sia morta. L’ho pensato sul serio? Pensavo mi avrebbe fatto più impressione, ma a quanto pare la lunga attesa e preparazione ha avuto i suoi frutti.
Mi guardo intorno e vedo davanti a me un grande cancello dorato oltre il quale si estende ancora il prato, in dolci colline, che sembrano non avere confini. Non vi è alcun muro o recinzione: solo il cancello, nella sua maestosa solitudine. In lontananza sento il suono di risate, strumenti e canti. Spontaneamente sorrido nell’udire quest’ultimi.

-Clara. – Una voce maschile, calda e melodiosa, pronuncia il mio nome, infondendo in ogni lettera un affetto infinito e spiazzante.
Mi volto e scopro che alle mie spalle, in piedi, vi è un giovane alto, slanciato, con i capelli neri mossi da una leggera e piacevole brezza e gli occhi azzurri. È interamente vestito di bianco: camicia, pantaloni, ma è a piedi nudi. Mi rendo conto di essere io stessa a piedi scalzi e che indosso un leggero vestito in pizzo bianco, stretto in vita da una sottile e semplice cintura in cuoio marrone. Osservo il ragazzo per qualche istante confusa: io lo dovrei conoscere? Poi, improvvisamente, noto come il colore dei suoi occhi sia identico a quello di mia mamma e come i suoi lineamenti siano così simili a quelli di mio papà nelle foto da giovane. Il mio sguardo si illumina di gioia e commozione.

-Tu sei Davide? Tu sei il mio fratellone? – gli chiedo.

-Sì, sono io, piccola mia. – mi sorride dolcemente e si china su di me, porgendomi un mano. –Benvenuta nella tua nuova casa. Ho tante cose da raccontarti e tanti posti da farti vedere. Vedrai, ti piaceranno tanto! – aggiunge entusiasta.

Accetto il suo aiuto per alzarmi, ma un’ondata di ricordi della mia vita mi fa crollare sulle ginocchia. Quante volte Luca mi ha allungato la mano in questo modo… Per presentarci dopo la mia figuraccia; per andare in Aula Magna insieme; per portarmi a cantare dopo aver pianto tanto; per ballare insieme; per farmi sedere sulle sue ginocchia; e infine per accompagnarmi nei miei ultimi istanti. Se mi concentro posso ancora sentire il suo calore avvolgermi le dita.
Mi prendo la testa fra le mani e dondolo avanti e indietro, piangendo. Mio fratello si inginocchia davanti a me e mi prende con attenzione per le spalle.

-All’inizio è difficile convivere con tutti i ricordi. Io sono stato fortunato, in fondo non avevo granché da ricordare. Posso solo immaginare quanto sia doloroso per te, ma ti ricordi quella frase? Le ferite sono feritoie da cui fare entrare la luce, per trasformare il dolore in amore. Lascia entrare il sole nel tuo cuore, Clara. Tieni i tuoi ricordi, non come armi con le quali ferirti, ma come tesori preziosi, perché ti hanno resa ciò che sei. Potrai rivedere i tuoi cari, potrai vegliare su di loro, stare loro accanto… Come ho fatto io con te. E se i ricordi saranno ancora tanto dolorosi, ci sarò io vicino a te e tante altre persone che, se me lo permetti, ti farò conoscere. In questo luogo non devi temere alcun male, sorellina. – mi sorride con affetto e io riesco a calmarmi. Mi rialzo lentamente, sostenendomi a Davide, il quale mi prende delicatamente per mano e mi conduce verso il cancello in silenzio.
Quest’ultimo, appena ci avviciniamo, si apre a poco a poco, senza alcun cigolio. Pare che la storia di san Pietro alle porte del Paradiso sia semplicemente una nostra invenzione, oppure con il tempo si sono evoluti…
Attraversiamo la grande entrata dorata e vengo subito invasa da una pace incredibile. Mi sento nel posto giusto e sono Felice.
Mi viene in mente una domanda, – l’ultima di questa storia – forse un po’ pazza, e la faccio, con una certa timidezza, a Davide:
-Fratellone, dimmi, ora anch’io ho gli Occhi di Cielo? -.

Lui mi guarda per un’istante, specchiandosi nelle mie iridi verdi-marroni, poi mi sorride gioioso:
-Sì, sorellina. E sono i più belli che esistano, lo sono sempre stati. -.

Fine


Angolo dell'Autrice

Siamo giunti alla fine della storia ed è arrivato il momento dei ringraziamenti...
Innanzitutto dico grazie a tutti coloro che hanno letto questo racconto e lo hanno commentato: davvero, grazie di cuore; a tutti coloro che mi hanno spronata ad andare avanti e a rivedere completamente Ojos de Cielo dopo ben 2 anni. Alla fine ne è valsa la pena, ne sono molto fiera!
Grazie a tutti i lettori che hanno amato i miei personaggi, come li ho amati io.
E infine penso di dover ringraziare anche il mio prof di lettere delle medie (uno scrittore vero) che mi ha fatto amare fin da piccola l'antologia e la scrittura. Senza di lui chissà se avrei scritto qualcosa del genere!

Detto ciò vi ringrazio ancora tutti e vi chiedo per l'ultima volta se questo racconto vi è piaciuto. Mi piacerebbe molto avere vostre impressioni e pareri alla fine di questo lungo viaggio compiuto insieme!

Un abbraccio forte,
Marta
 

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