Amore Infedele

di mikyferro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I

Aveva sempre sognato vivere in una città, avere una casetta vicino al mare soltanto per vederlo in tempesta e la possibilità di viaggiare per il mondo. Quando ebbe sei anni, Diana - Virginia Verquez ma per tutti Diana, iniziò il duro lavoro nella fattoria di famiglia che si estendeva per circa 1 ettaro. Fu ereditata dal suo bisnonno, Carlo Varquez, vissuto intorno al '700.

Ogni mattina apriva la finestra della sua umile camera e restava lì ad osservare il paesaggio. Aveva un letto con legno d'abete in un'alcova a tendaggi gialli. Sulla scrivania, vicino alla finestra, c'erano ammassati numerosi fogli e quaderni. Sul comò vicino al letto era presente, in una caraffa, un mazzolino di viole che emanava un profumo incantevole. Sul pavimento, un lungo tappeto ricopriva l'intera area della stanza. Fu un regalo di sua nonna morta qualche anno prima della sua nascita. A perdita d'occhio si stendeva la piatta campagna, e i ciuffi d'alberi e cespugli intorno alle fattorie formavano macchie di un verde cupo. L'aria di Bilbao, città situata al Nord della Spagna, era fredda ogni giorno, pure in estate.

Bibao era una città ricca di personaggi celebri. Amato era Juan Crisostomo de Arriaga, detto anche "il Mozart spagnolo", compositore nato nel 1806. Non ebbe una vita longeva visto che morì all'età di vent'anni per tubercolosi. La crudeltà della vita non ha limiti: spezzare una vita così giovane, con una mente appena matura. Altro personnaggio importante fu il filosofo Miguel de Unamuno nato nel 1864.

Diana fin da piccola adorava la letteratura e la religione. Quando ebbe dodici anni, il padre stesso l'accompagnò in città per metterla in un convento. Quel brav'uomo pensava al suo futuro fin dalla sua più tenera età. Nei primi mesi, Diana trovò il luogo divertente: giocava con le sue compagne, si dedicava alla pulizia delle stanze e si trovava bene in compagnia delle buone suore. Imparò all'età di tredici anni la lingua latina ed era molto brava in matematica. Sapeva usare qualunque dizionario e leggeva romanzi “con la pala”. Capiva il catechismo e credeva nell'esistenza di un Dio. Ogni domenica assisteva alla Santa messa, e guai a lei se si distraeva. Si confessava una volta alla settimana e a volte inventava piccoli peccati, per rimanere là più a lungo. Ogni sera, prima di dormire, leggeva qualche passo della Bibbia e prima di spegnere la luce della sua stanza fredda recitava qualche preghiera ringraziando il Signore per la giornata vissuta. All'età di quindici anni frequentava la biblioteca del convento. Si invaghì dei “Commentari reali degli Inca” di Garcilaso de la Vega o della “Ninfa del Cielo” di Luis Velez de Guevara. La sua più grande passione era scrivere poesie sulla natura e sulla società del suo tempo. La sua musa ispiratrice era una vecchia signora che aiutava le suore nella mensa del convento. Ovviamente la “madre superiore” ogni mese le dava qualche piccola somma di denaro. Era una donna sui settant'anni, con belle spalle, il naso ricurvo e portava sui capelli biondi un mollettone con un fiore rosso. Le ispirava la sua vanità e crudeltà: faceva venire i brividi persino alla “Vergine dei Miracoli”. Cantava canzoni religiose e raccontava storie di eroi e principesse ai bambini. Una domenica mattina l'anziana morì di infarto durante la messa. Infondo era quello che desiderava visto che era vedova e sola. All'età di diciasette anni la signorina Varquez cambiò radicalmente; era divenuta una donna intelligente e forte. Non aveva peli sulla lingua e decise di continuare la sua carriera religiosa. Voleva tanto diventare una suora ma tale desiderio fu infranto in seguito alla morte della madre. Pianse giorno e notte senza sosta. Sua madre era il suo punto di riferimento, il suo punto debole.

Passarono 5 mesi dalla disgrazia e Diana abbandonò definitivamente il convento e restò in campagna ad aiutare suo padre, Jaime, e i suoi fratelli. Iniziò un periodo triste e cupo: compleanni senza festeggiamenti, litigi tra i fratelli sempre più frequenti, notti a piangere nella sua stanza perché le mancava sua madre, e chi più ne ha più ne metta. A peggiorare la situazione fu una dura crisi economica che colpì la famiglia. La causa fu l'arrivo dell'inverno e della neve

Diana aveva sempre desiderato avere due bambini: un maschio e una femmina. Credeva nel vero amore e nel matrimonio; era una donna di fede e lavoratrice.

Una mattina di marzo del 1870, si recò con il padre in città verso l'ufficio dell'avvocato Romero per un piccolo furto commesso da Jaime a causa della crisi. Quello fu un giorno importante per la donna.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II 

La grande casa si estendeva sul limite d'un immenso prato ricco di enormi alberi di abete e di mandorlo, e si articolavano gelsomini e tulipani nell'aiuola vicino alla recinzione in legna. Accanto alla grande dimora, scorreva un lungo fiume.

All'entrata era presente un vestibolo con pavimento in marmo, il soffitto altissimo e le pareti dipinte in giallo zafferano. I suoni delle voci rimbombavano in ogni angolo della stanza. Di fronte c'era una piccola veranda che affacciava nel maestoso giardino mentre a destra era presente una scalinata diritta. Accanto alla scalinata, un lungo corridoio conduceva al salone. Sul rivestimento in legno scuro della parete del corridoio erano appesi grandi quadri dalle cornici in bronzo che raffiguravano la famiglia Romero nel 1600 circa. Il salone era molto luminoso e ricco di finestre. Come ornamento della sala, nel centro della parete la cui tinta rosa era qua e la corrosa, si vedeva un camino in pietra lavica (pietra molto moderna in quel tempo)

Questa era la villa di Salvador Romero ereditata da suo padre nel lontano 1830. Salvador era un ricco avvocato sposato con la signora Blanca Blasco di Cordova. Il 1938 per Salvador fu un anno molto triste e ricco di preoccupazioni. Se ne stava seduto per lunghe ore nel suo ufficio, senza parlare, andava a dormire tardi e beveva tanto. La causa di tanta tristezza fu la gravidanza della moglie. Credeva di non essere un buon padre. Blanca, sul principio, provò grande stupore e paura, poi ebbe voglia di partorire. Un giovedì di luglio del 1838, per i due coniugi fu un giorno importante: nacque il piccolo Conrado Romero.

Fin da piccolo fu affidato ad una balia giorno e notte. La signora Romero non sopportava quel neonato: le sue urla, la saliva che penzolava dalla bocca, i numerosi pianti durante la notte. A contrario del suo primogenito Cristobal, fratello maggiore di Conrado figlio di un altro marito della Blasco.

Gli anni volavano e Conrado passava sempre più tempo con la sua tata diventando così una sorta di “seconda madre”. A cinque anni, il bambino venne richiuso in un collegio per le buone maniere. Era capriccioso, testardo, maleducato e spavaldo. I monaci gli diedero un'educazione spartana: lo mandavano a dormire fuori al freddo, alcune sere lo lasciavano senza cibo e quando si comportava male lo rinchiudevano nei sotterranei insieme ai topi e agli scarafaggi. Con il passar del tempo Conrado divenne un perfetto signorino e imparò le buone maniere. In poco tempo divenne educato, rispettoso e studioso. Amava la storia e conosceva a memoria le date e le cause di ogni guerra precedenti al 1850: tutte le otto guerre d'Italia, la prima guerra del Nord combattuta tra il 1558 al 1583, le guerre di religione francesi in cui si opposero cattolici e protestanti nel 1560 circa, le guerre di Slesia ecc... Ma quelle che lo appassionarono di più furono le guerre napoleoniche. Ammirava Napoleone Bonaparte per le sue fantastiche strategie ed era d'accordo con le parole di Tàrle che lo definì “l'incomparabile maestro dell'arte della guerra”.

A diciott'anni lasciò il collegio per intraprendere gli studi universitari di giurisprudenza: voleva diventare un avvocato bravo come suo padre. Ogni mese sua madre gli mandava qualche somma di denaro per pagarsi gli studi e i libri di testo. Il resto che restava li usava per pagarsi l'affitto del suo appartamento nella città. Il ragazzo studiava giorno e notte senza sosta. All'esame di laurea, nel 1861, fu promosso con un buon voto. Quel giorno fu l'ultima volta che vide suo padre. L'incontro avvenne nel giardino della grande villa Romero. Conrado gli rinfacciò tutto. Il signor Romero cadde in un rigoroso pianto e supplicò il figlio di perdonarlo, ma il ragazzo voltò le spalle maledicendolo. Con sua madre e suo fratello ebbe buoni rapporti.

A trent'anni conobbe una giovane vedova, brutta e antipatica di nome Maria. La relazione durò poco meno di due mesi. In poco tempo divenne uno degli avvocati più bravi e stimati della città. Ma c'era un piccolo problema: era ancora zitello!

Una mattina di marzo si recò nel suo ufficio nel centro della città di Bilbao un vecchio fattore accusato di un piccolo furto di merci a causa di una dura crisi economica. L'uomo fu accompagnato dalla figlia, una fanciulla dalle goti paffutelle e con un sorriso meraviglioso. Indossava un abito verde acqua stretto da una cintura alla vita oro. Portava sui capelli castani un fisciù di merletto nero che le ricadeva dietro. Il giovane avvocato rimase stupito da tanta bellezza e se ne innamorò subito. La donna si chiamava Diana Varquez.

Il colloquio durò meno di mezz'ora e l'avvocato non tolse lo sguardo dalla giovane. Papa Varquez se ne accorse subito e quando la sua bella figliola uscì dall'ufficio, per recarsi dal panettiere, gli disse alcune parole.

- Ah caro avvocato, vedo che non avete tolto lo sguardo dalla mia amata figlia -

Il trentaduenne cercò di giustificarsi.

- Tranquillo! - esclamò il vecchio – Se me la chiede, io gliela do. -

Conrado pensò alle parole dell'uomo per tutta la notte, ma non conosceva per niente quella dolce fanciulla. Avrebbe voluto indagare su quella famiglia.

La domenica della Santa Pasqua, Conrado fu invitato dalla famiglia Varquez per il pranzo. I giorni passarono e la conoscenza tra Diana e Conrado si ampliò sempre di più: cenavano ogni sera insieme, uscivano a cavallo la domenica, passeggiavano per i sentieri del bosco. A rallegrare la famiglia fu una rigorosa ripresa economica. Conrado si innamorò perdutamente della ragazza. Così un martedì di maggio, egli gli fece la proposta di matrimonio e lei accettò senza esitare.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

Il matrimonio si tenne una domenica di maggio presso la fattoria Varquez. I convitati arrivarono attraverso lussuose carrozze da luoghi lontani come Vigo, Leon, Zaragoza e Burgas.

Erano stati invitati tutti i parenti delle due famiglie, eccetto il padre di Conrado. Il galoppo dei cavalli che trainavano le carrozzelle si udiva fino al salone, dove era presente il buffet. Le signore incappellate avevano un abbigliamento raffinato, piccoli fisciù a colori, lunghi orecchini e preziose collane al collo. Una donna stupì Diana per la sua raffinatezza: la contessa Miranda Sierra. Quel giorno indossava un lungo abito rosso fuoco. La gonna era leggermente rialzata da terra tanto da lasciar intravedere i piedi per permettere una maggiore agilità nel camminare. Tendeva a scendere dritto davanti e ad allagarsi di dietro e aveva una specie di coda arricchita da panneggi e arricciature. Per arricchirla di più, la donna si sovrappose un tablier e delle decorazioni di bottoni, frange e nastri. In contrasto con la lunga gonna , c'era il corpino che rendeva torace e vita strettissimo. Infatti la povera donna di tanto in tanto faceva lunghi respiri perché, appunto, le mancava l'aria. La scollatura dell'abito era quadrata con i bordi in pizzo e le maniche corte e arricchite da lunghi guanti neri in merletto. Era in leggero risalto il seno mentre le spalle erano coperte da un fisciù nero e rosso. L'acconciatura era elaborata e complicata, come la gonna. I capelli erano legati in un favoloso chignon biondo.

La sposa pensò subito che quella donna fosse un'amica di suo marito. Decise, quindi, di scambiare qualche chiacchiera con lei. Le si avvicino facendo fatica a causa del lungo abito bianco.

- Buongiorno! - disse – voi siete la contessa Sierra, giusto?-

- Salve! Si, piacere... – disse accennando appena un sorriso.

- La cerimonia è fantastica, - riprese -anche se la location è un po' deludente-

- Mi dispiace... Ditemi, come fate a conoscere mio marito?-

- Ah! Vostro marito è un gentiluomo. Io sono una sua cara cliente. Ci conosciamo da circa cinque anni. Ha aiutato mio marito in un processo, ormai lui è morto. - esitò qualche secondo. Poi proseguì - Levatemi una curiosità: voi vi siete sposata con Conrado per amore oppure per interesse, visto che fino a poco fa eravate una povera fattrice?-

Diana guardò la donna senza rispondere. Aveva lo sguardo minaccioso e un sorriso malefico stampato sulla grande bocca. In quel momento voleva che la terra la inghiottisse. Per fortuna arrivò il momento del pranzo e la sposa si sentì sollevata.

Pensò tutto il tempo a quella domanda: “e se davvero l'ho sposato per interesse economico? E se me ne pentirò? E se quella donna avesse ragione?”

 

Dopo il pranzo, i convitati si accomodarono fuori nella fattoria a perlustrare il luogo. Il cielo era scuro e il sole era nascosto dietro ai grandi nuvoloni bianchi. Si intravedevano in lontananza, come un cuscino, le basse colline ricoperte da alberi e cespugli. Il prato cominciava a riempirsi di gente che parlava con in mano calici e qualche fetta di torta. Non molto lontano c'erano gli animali che soffrivano nel vedere gli ospiti mangiare. Diana se ne stava seduta su una panchina vicino ai maiali, nascosta dalla folla. Le bestie assopiti affondavano in terra il grugno e rotolavano nel fango strappando un sorriso al volto triste di Diana. Il bianco vestito in merletto si immergeva nella fitta paglia sparsa per terra, sporcandolo. Improvvisamente, dal giardino le venne in contro mamma Romero. La donna si sedette accanto a lei in silenzio; poi, guardandola, disse:

- Cosa c'è che non va?-

- Niente! Va tutto alla grande!- rispose con un sorriso falso. Poi abbasso lo sguardo.

La donna in senso di affetto le fece appoggiare il capo sulla sua spalla.

- Non ti senti sicura della tua scelta, giusto?- disse la Blasco.

Diana annuì. Mamma Romero era per lei una seconda mamma. Fu lei ad aiutarla nei preparativi della festa e con la scelta dell'abito. Era comprensiva e le voleva un gran bene.

- Anch'io... - proseguì – quando mi sposai con mio marito non ero pronta. Ero una giovane contadina delle Asturie, senza una famiglia. Conobbi tuo suocero ad una festa di piazza. Qualche settimana dopo mi fece la proposta ed io accettai subito! Ero povera e sola, e un po' di lusso non mi faceva male. Tutti avrebbero accettato la proposta di matrimonio da un uomo ricco. - si fermò per prendere fiato.

Gli invitati continuavano a festeggiare come se l'assenza di Diana non fosse importante. La signora Blanca faceva fatica a parlare ma continuò la sua storia.

- Salvador non sapeva che avevo un figlio: Cristobal. Quando lo seppe andò in tutte le furie. Tuttavia lo accettò. Io non l'ho mai amato; amavo il suo denaro, la sua posizione favorevole nella società, i ricchi abiti che mi comprava. Poi nacque Conrado. All'inizio lo detestavo, poi col passare del tempo ho sempre cercato di aiutarlo, era pur sempre mio figlio!- terminò la donna quasi in lacrime.

Le due donne si alzarono dalla panchina e si persero nella folla.

Dopo la festa, ogni invitato ritornò, attraverso le carrozze, nelle loro abitazioni mentre alcuni restarono lì a Bilbao per visitarla. La settimana successiva i due coniugi partirono per la luna di miele in una località del Portogallo, vicino al mare. C'era un'atmosfera abbastanza tesa. Ritornati in Spagna, la coppia andò ad abitare in una casetta in campagna non molto vicino alla fattoria. Era presente un grande stagno che si collegava ad un fiume, lo stesso che scorreva vicino alla villa dei Romero. All'estremo orizzonte erano presenti grandi foreste di latifoglie decidue, tipiche del clima temperato. L'aria ogni mattina era fresca mentre durante il pomeriggio, in estate, le temperature raggiungevano i 30 gradi. Diana si trovava bene in quel luogo e ogni sera, prima di andare a dormire, andava in prossimità del fiume e vi immergeva le mani per rinfrescarle. Restava lì per qualche minuto prima del rientro del marito da lavoro. Conrado aprì un nuovo ufficio in città, nella parte più vicina alla campagna. Ogni mattina si recava lì attraverso un cavallo regalato da suo suocero come regalo di nozze.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

La grande casa era una costruzione all'inglese ed era molto moderna. All'entrata, dietro la porta, c'era un grande attaccapanni in legno vicino al muro. Vi erano appesi un cappello e una lunga giacca. A destra era la cucina, ampia sala dove due domestiche, Carmen e Caterina, preparavano ogni giorno deliziosi pranzi. La cena, invece, veniva preparata dalla stessa Diana. Tendine di un blu mare, bordate d'un giallo ocra, s'incrociavano alle finestre. Da quelle stesse finestre ogni mattina entrava un fascio di luce che illuminava l'intera stanza. Sul suolo si stendeva un lungo tappeto verde scuro e giallo, mal teso. Accanto alla cucina si trovava il salone, la stanza più elegante. Sulla parete centrale della sala c'era un grande camino e sopra di esso era appeso un grande quadro in una cornice argento che ritraeva i due sposi. A fianco era presente una grande libreria con tutti i romanzi preferiti di Diana e qualche enciclopedia di Conrado. Non mancava il suo piccolo dizionario, amico di mille avventure! Al centro erano situati due grandi divani verdi su un grande tappeto. Infine nel locale era presente un grande lume accanto al camino, due grandi finestre quadrate con piccole tende, un tavolino, una scrivania e una tavola su cui mangiare. Insomma era la stanza in cui i due coniugi passavano la maggior parte del loro tempo. Al secondo piano c'erano due stanze: la prima era senza mobili; la seconda era la camera matrimoniale e aveva un grande letto di fine 700'. Vicino al letto c'era un grosso specchio che Diana usava per sistemarsi i capelli la mattina. Ad abbellire la stanza era un grosso comò situato vicino alla finestra costato un occhio della testa.

Una mattina di Giugno Diana stava leggendo nella veranda che affacciava all'enorme giardino. Cominciavano ad apparire i primi segni dell'estate, i frutti sugli alberi, l'aria divenne più calda e il cielo era limpido come il mare. Era sola in casa perché Conrado era a lavoro e le domestiche in città al mercato. Dopo aver letto il settimo capitolo di “La cugina Bette”, noto romanzo del poeta francese Balzac, si alzò e si dirisse nel salone illuminato dal sole. Si stese sul pavimento e restò lì a guardare il soffitto bianco. Chiuse per qualche istante gli occhi e pensò: alla sua infanzia, agli anni in convento, al funerale della madre, al giorno in cui conobbe Conrado e alle parole della contessa Sierra e della suocera. Si sentiva sola e molto triste. Forse avrebbe desiderato avere qualcuno a cui confidare tutto il suo dolore, la sua tristezza e il suo malessere. Questa tristezza nasceva dal fatto che viveva in una grande casa da sola. Cosi tanto cibo sprecato durante i pranzi, cosi tanti soldi buttati per mobili e abiti, e le venne in mente gli anni della crisi, quando mangiava solo brodo di cipolla.

Poi pensò alla domanda della contessa; non aveva ancora una risposta!

Una domenica mattina, giorno di riposo per il signor Romero, verso le nove del mattino, qualcuno bussò bruscamente la porta. Diana era avvolta da una vestaglia di cachemire bianco con nastri rosa, e i capelli sciolti. Era profumatissima; infatti era appena uscita dal bagno. La domestica aprì la grande porta ed entrò un uomo sulla quarantina, alto e biondo:era Crisotbal. Una volta entrato, si guardò intorno, sorridendo sotto i folti baffi gialli. Conrado era stupito dalla visita di suo fratello che, in gioventù, odiò cosi tanto.

- Qual è il motivo di questa visita?- domandò Conrado alzandosi dal divano.

- Sono venuto qui a vedere la tua nuova casa!- esclamò l'uomo sedendosi accanto a Diana.

La donna iniziò ad arrossire ma ad irritarsi perché il cognato la fissava in continuazione. Era un bell'uomo; biondo, alto, sorridente. Il contrario di Conrado che di impatto appariva un po' bruttino.

La visita durò qualche ora; il primogenito portò in dono una gallina. Voltò le spalle e sali sul suo bianco cavallo che, veloce come la luce, scomparve nella foresta.

La sera del giorno dopo, il cielo era piovoso; l'intero giardino divenne un'immensa piscina. Diana preparava la cena: la gallina in dono del cognato. Conrado se ne stava in salone a leggere un caso e a sorseggiare qualche bicchiere di vino della Francia. La cena si consumò in silenzio. L'uomo mangiò molto, a testa bassa. Diana parlò:

- Nel pomeriggio sono stata nella nostra stanza!

- Quindi?- disse Conrado a mezza voce.

- Quindi?! - disse furiosa – Ho letto una lettera della contessa Sierra, domani andate a cena!

- Quindi?-

- Smettila di dire “quindi”! - gridò. - Sono tua moglie e devi portarmi rispetto -

Conrado, stufo delle chiacchiere della moglie, si alzò e si dirisse in camera. Diana continuò:

- Domani non andrai - Conrado con aria spavalda e furiosa, scaraventa il lume vicino al camino sul suolo gridando che non doveva dargli ordini.

- Verrò anch'io! - disse rialzando il lume ormai rotto.

- Non se ne parla proprio! Smettila di fare la moglie amorosa! Non ci amiamo! -

- Allora perché mi hai chiesto di sposarti?- interruppe lei. Conrado sospirò e non rispose.

Dopo la breve litigata, Diana uscì dalla villetta e andò sulle sponde del fiume. Con la luce della candela, illuminò l'acqua fresca. Intravedeva i piccoli pesci che nuotavano in quell'acqua limpida. Tutto era muto e buio. Osservò la sua immagine nell'acqua; triste, sola e furiosa. La cena di domani con la contessa, avrebbe distrutto il loro matrimonio, avrebbe fatto aprire gli occhi a Conrado. Per una stupida cena tutto ciò che le circondava sarebbe crollato: la casa, la campagna. La sua immagine ricca e benestante sarebbe sprofondata. Ora aveva la risposta alla domanda di Miranda: Lei non amava Conrado ma l'aveva sposato solo per interesse.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V

L'indomani fu, per Diana, una giornata triste. Tutto le parve avvolto in un'atmosfera buia che fluttuava confusamente sulla superficie delle cose; il dolore le lacerava l'animo, facendole mancare il respiro. Il sole era nascosto tra le grandi nuvole nere minacciose, la nebbia era scesa in pianura.

Conrado non venne a pranzare, era il giorno della famosa cena con la contessa. Piovvero dal cielo grandi gocce d'acqua, diverse dal solito. Diana restò tutto il pomeriggio a fissare l'orologio in cucina. Conrado rincasò alle sette di sera, più tardi del solito. Con sveltezza, andò nella camera matrimoniale senza neanche salutare Diana.

- Così ora non mi saluti neanche?! - disse Diana seguendolo.

- Non ti ho vista! -

- Sei un bugiardo -

- Smettila di seguirmi -

- Tu non andrai a quella maledetta cena, sono tua moglie! -

Diana iniziò a piangere e a pensare al guaio che aveva fatto: sposarsi. Si pentiva di non aver continuato la sua vita religiosa, almeno non avrebbe sofferto con il Signore. Sapeva che in qualunque momento e in ogni circostanza Dio la proteggeva. Come una volta quando una terribile malattia la colpì. Il giorno che s'era creduta agonizzante, ella aveva chiesto di andare a messa un'ultima volta e confessarsi; dopo pochi giorni guarì e cominciò a lavorare. Questo episodio le rimase nella memoria come la cosa più bella che le potesse capitare: un miracolo! Dopo il matrimonio con Conrado, partecipava sempre di meno alla Santa Messa, si confessava raramente e non pregava prima di andare a dormire.

L'uomo, nonostante gli impedimenti della moglie, andò alla cena. Era molto testardo e, a volte, egoista.

Diana passò la serata a pensare al crudele gesto di suo marito fino a quando si addormentò sul divano del salone.

Dopo poco, verso le undici, si svegliò e si ritrovò avanti Cristobal.

- Cosa ci fate qui? - domandò spaventata.

- Dov'è tuo marito? -

- A cena -

- Con chi? -

- Una cena di lavoro – disse con tono seccato, dirigendosi in cucina.

Cristobal sapeva bene che la donna stava mentendo.

- Vuoi parlarne? - domandò a mezza voce.

- Ho sbagliato a sposarlo, non lo amo -

L'uomo la guardava in modo strano. Poi la invitò ad uscire dalla casa per prendere un po' d'aria.

La luna, rotonda e color porpora, s'alzava a fior di terra, infondo alla foresta. Il cielo era ricco di stelle quella sera, non pioveva. Diana, con occhi semichiusi, aspirava con sospiri profondi il fresco soffio del vento. Si sedettero vicino alle sponda del fiume e guardavano l'acqua che scorreva fluente e silenziosa. Non si parlavano. Intorno si sentiva il rumore degli animali notturni che producevano una dolce melodia.

- Come ti senti? - domandò Cristobal.

- Ora meglio!- rispose. Poi domandò - Perché siete venuto qui?-

- Oggi ho pranzato con mio fratello... Mi ha detto di essere stufo del vostro matrimonio. -

- Tu come la pensi?-

Cristobal prima di parlare fece un lungo respiro. 

- Penso che voi in fondo non vi amate. Lui è uno spirito libero, non è in grado di amare, come suo padre. E' attratto dalla vostra bellezza. Quello che a lui importa è il mostrarsi, l'ho notato al vostro matrimonio: sempre in compagnia di donne. -

Diana a quelle parole iniziò a piangere. Poi tra le lacrime domandò se ci fosse un modo per risolvere quella situazione. La risposta di Cristobal fu cruciale: Scomparire!

Diana pensò a lungo alle parole del cognato e dopo una lunga meditazione decise di non andar via.

Le settimane passarono e i litigi tra i due erano sempre più frequenti; fino ad arrivare alle mani. Infatti una sera Conrado schiaffeggiò la donna. Quel gesto fu la goccia che fece traboccare il vaso e tra l'ira gli disse che era un bastardo! L'uomo prese il suo mantello nero e lasciò la casa lasciando la povera donna sola tra le lacrime. Dopo quel gesto, Diana cambiò idea e decise di abbandonarlo per sempre. Quindi accettò il consiglio di Cristobal e gli inviò un lettera sulla sua decisione. La sua partenza era prevista tra due giorni.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI 

 

Il giorno successivo, Conrado non rincasò. Diana era già lontana dalla villa affidata alle domestiche; non volle restare una giorno in più in quella casa. Seguì il percorso del lungo fiume che portava ad una cascata; lì si riposò. Aveva con sé una borsa di abiti puliti, abbastanza denaro e qualche frutto. Aveva tanta paura perché non sapeva dove passare la notte cosi decise di recarsi nella fattoria di suo padre. Il suo piano era quello di abbandonare per sempre Billbao. Con l'aiuto di Cristobal, riuscì ad ottenere un biglietto per una nave. Avrebbe navigato per lungo tempo con diverse destinazioni: Bordeaux, Nantes, Rennes e infine Londra. Un viaggio abbastanza semplice anche perché la nave avrebbe costeggiato per l'intera durata la costa francese. Partiva da sola e fu selezionata in seconda classe.

Nel pomeriggio Conrado tornò a casa e vi trovò un silenzio tombale. Levò il lungo mantello che indossava e posò la valigetta sul divano. Continuava a ripetere a voce alta “Diana sei qui?” ma senza alcuna risposta. Dalla cucina apparve Carmen con una lettere tra le mani unte.

- Signore, qui c'è una lettera per lei! -

Conrado ruppe il sigillo e lesse le seguenti frasi:  

<< Caro Conrado,

quando leggerai queste righe, io sarò già lontana. Quando ti incontrai quel giono pensai "forse lui è quello giusto", ma mi sbagliavo. Per un momento ho sempre pensato di amarti, ma non è cosi! Ti ho sposato per interesse, perché volevo tanto avere una vita di lusso, quella che non ho mai avuto in tutta la mia infanzia e adolescenza. Forse penserai che sono una sfruttatrice e una codarda, ma mi fa tanto male prenderti in giro e usarti. Forse quella giusta per te è Miranda>>

E c'era qui uno spazio tra le righe.

<< Non sono una buona sposa, per questo volevo tanto diventare una suora. Credo che neanche tu sia un buon marito! Chi uomo lascerebbe la propria donna a casa per andare a cena con un'altra donna?

Ti auguro il meglio e goditi la vita...

Tua moglie, Diana – Virginia Verquez>>

Egli restò qualche istante con quella carta grossa fra le dita. Gli venne in mente quella mattina di marzo, il giorno del loro matrimonio, la luna di miele, l'arrivo alla loro nuova casa e all'ultima discussione avuta. Poi pensò a suo padre quando lo rinchiuse in un collegio. Capì che era uguale a lui, egoista. Una lacrima scese sulla sua morbida guancia e si smarrì nella folta barba. Stracciò la lettere. Prese il quadro che ritraeva loro felici e lo gettò nel fuoco del camino. Il fuoco lo illuminava tutto, penetrando d'una luce cruda la trama dei pori uniformi della sua pelle bianca, e delle palpebre che ogni tanto sbattevano.

L'indomani, fu il giorno della partenza di Diana. Quando stava per mettere piede sul molo, la donna ebbe un attimo di esitazione. Si trovava ad un passo dalla nave. Il mare era agitato, come il suo stato d'animo in quel momento. Alzò gli occhi al sole estivo che illuminava il porto affollato e chiassoso. I raggi penetravano nel suo cappello di paglia, abbagliandola. Tanto baccano la prese alla sprovvista e lei si ritrasse spaventata, come se quelle urla fossero rivolte a lei. Aspettava che Cristobal la raggiungesse per darle il biglietto. Però non veniva. Ella prese posto su una panca accanto alla biglietteria e i suoi occhi rimassero fissi sulle onde del mare, più bianco che blu a causa della schiuma.

Finalmente arrivò suo cognato con il biglietto. Diana era pallida.

- Sei sicura?- domandò l'uomo.

Diana pensava che quello che stava facendo non era corretto, però in fondo sapeva che era la cosa giusta da fare.

- Ti verrò a trovare a Londra appena posso! Questo è l'indirizzo dell'albergo già prenotato. Sii prudente. - raccomandò egli.

Diana lo abbracciò e salì sulla maestosa nave.

L'orologio segnava le due del pomeriggio, l'ora della partenza era prevista per le tre. Si recò nella sua stanza e vi sistemò la valigia. Era pronta per partire. La nave partì dal porto con dieci minuti di ritardo. La donna dal ponte salutò Cristobal che rimase lì ad aspettare la partenza. Dopodiché andò a pranzare in un ristorante e fece un pisolino.


Con il cappello di paglia in mano, Diana si sporse dalla balaustra ricoperta di salsedine e guardò di nuovo in basso. Per ben mezz'ora aveva fissato il colore cangiante del mare. Ora che l'acqua era passata dal grigiastro al turchese scuro sapeva che era lontana da Bilbao, dalla sua città. Si guardò intorno e si sentì sollevata, quasi felice. “Prenditi cura di te stessa!” le aveva detto suo padre prima che partisse.

Mentre la sua voce le riecheggiava in testa, rimase stupita perché ne sentì un'altra maschile, proprio accanto a lei.

- Prima volta a Londra? - La donna si voltò a guardare e fu costretta a strizzare gli occhi per l'accecante sole che brillava nel cielo.

- Si... - rispose timidamente lasciando cadere il cappello dalle mani.

L'uomo si china a raccoglierlo e glie lo porse. La donna lo ringraziò arrossendo.

- Il mio nome è Harvie, il vostro?

- Diana Verquez! - esclamò la donna.

Il signor Harvie Montgomery aveva ventisette anni; era di natura calmo e d'intelligenza acuta; aveva frequentato molte donne ma non ne ha mai amato una.

- E' stato un piacere conoscervi. - disse Harvie

- Anche per me -

Baciò la sua mano, salutò e se ne andò. Presto fu dall'altra parte del ponte, vicino a un gruppo di anziane signore francesi.

“E' molto carina! - egli diceva; - bel portamento, profumata, occhi neri. Sarà mia! ” Poi si domandava: “Come farò a conquistarla? In che modo? -

SPAZIO ALL'AUTORE: Ciao a tutti! Con questo capitolo è appena iniziata la seconda parte della storia. Un saluto! -Mikyferro

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


 Capitolo VII

Diana poggiò il libro che aveva appena finito di leggere sul tavolino, vicino alla tazza di caffè. Volse lo sguardo al finestrino e ammirò con incanto il mare in tempesta. Accanto a lei c'era Harvie con in mano un giornale spagnolo. La nave navigava da ben 2 giorni e l'amicizia tra Diana e Harvie crebbe sempre di più. Mancavano meno di tre ore all'arrivo a Bordeaux, prima tappa della navigazione.

- Quando salperemo a Bordeaux, mi accompagnerai alla cattedrale, vero?- domandò la donna supplichevole.

- Certo! - esclamò l'uomo con dolcezza. - Hai letto le ultime notizie, - prosegui – è in corso la costruzione del “ponte di Brooklyn” a New York! Il giornale dice che attraverserà l'East River e sarà lungo circa due mila metri. Ah, che tecnologia! -

Diana ascoltava i suoi discorsi con amore.

E' un uomo cosi acculturato e intelligente.” pensava.

- Sei mai stato a New York? - domandò la donna.

In realtà a Diana non le interessavano tutte quelle notizie che egli le riportava , ma bensì come lì spiegava, come se fosse un giornalista.

- Andai due anni fa con mio padre e affittammo un appartamento al centro della città, quasi vicino al Central Park. -

Harvie vi aggiò molto con la sua famiglia; visitò l'intera Europa e quasi tutta l'America Settentrionale. Amava stare nella natura, andare in montagna, pescare nei laghi dell'Inghilterra. Amava le scienze, soprattutto l'anatomia. Conosceva a memoria ogni malattia e le sue cause. Infatti studiò per due anni nella facoltà di medicina all'università di Cambridge; poi lasciò perché capì che la sua vera passione era la fisica. L'800, difatti, fu un anno ricco di scoperte sia scientifiche che tecnologiche: la nascita della fotografia, lo zero assoluto, il sistema periodico degli elementi, il primo asteroide Cerere. Diana, invece, non conosceva tutte quelle cose; non sapeva cosa fosse una fotografia oppure a cosa serviva la legge di Ohn. Si limitava a leggere i suoi romanzi, a fantasticare sui personaggi e ad amare la matematica. A Diana piaceva il fatto che Harvie la informasse su temi scientifici attuali, nonostante non ci capisse niente

Tra una chiacchiera e l'altra, la nave finalmente arrivò a Bordeaux. Diana indossò un abito molto raffinato mentre Harvie non si cambiò.

L'orologio del salone segnava le quattro del pomeriggio. Soffiava un leggero vento atlantico. Il mare era ancora molto agitato e il cielo era ricoperto da nuvole nere. Un calesse portò a gruppi i passeggeri verso la città, visto che il porto era abbastanza lontano. Diana e Harvie fecero parte dell'ultimo gruppo e furono avvisati da un membro dell'equipaggio che la nave sarebbe ripartita verso le dieci del mattino successivo. Avevano un'intera sera per visitare quella favolosa città, ricca di monumenti storici.

Verso le cinque si recarono alla cattedrale, monumento in stile romanico consacrata da Papa Urbano II nel 1096. La navata si rispecchiava nelle acquasantiere piene, con l'inizio delle ogive e una parte delle vetrate. I lampadari di cristallo pendevano immobili. Nel coro, ardeva una lampada d'argento; e vi erano numerose statue che ritraevano la madonna. Harvie e Diana, con passo grave, camminavano lungo il muro. La donna, essendo una donna di chiesa, spiegava all'amico le vicende di alcune statue di sante presenti. Harvie non credeva nella religione, non credeva nell'esistenza di un Dio e né ai miracoli. “Solo la Scienza ha la risposta a tutto!” diceva. La donna difendeva la sua sponda religiosa con frasi del tipo “La scienza non ha tutte le risposte!”. Tra i due si aprivano lunghi dibattiti per il contrasto tra Chiesa e Scienza.

- Perché dovresti credere a quattro parole scritte su un foglio? Nessuno ha prove certe sull'esistenza di Cristo, perché, allora, credi a ciò che dicono alte persone? - domandava l'uomo

- La preghiera, la Chiesa, la Confessione mi fa sentire pulita, nuova. Senza di essa mi sentirei persa! -

- Beh, pensa alle medicine che compri... è frutto della scienza; oppure alla scoperta dell'illuminazione elettrica, alla macchina da scrivere, della cellula... potrei continuare all'infinito... -

 - Non mi importa! -

Erano quasi le otto di sera, la visita alla cattedrale si prolungò. Diana fece alcune preghiere in ginocchio ad una statua della Madonna, mentre Harvie aspettava fuori. Quando finì, ella uscì dalle maestose porte della costruzione e visitò il resto della città. Notava le donne francesi molto raffinate; con cappelli neri o blu ricche di piume, guanti in merletto che si estendevano dalle mani fino al gomito e scollature molto ampie. La Francia era molto diversa dalla Spagna; lì c'era più vita sociale, più eleganza.Dopo la lunga passeggiata della città, Diana e Harvie ritornarono sulla nave e cenarono nel ristorante. Dopo cena passarono l'intera serata sul ponte della nave a parlare delle loro vite; Diana non gli disse che era sposata. I ricordi le laceravano l'animo.

 

  Cartina della Francia

Punti di sbarco della nave:

- Bordeaux

- Nantes

- Rennes

 Londra divenne una delle città più importanti del mondo. Il quel periodo, la metropoli ebbe importanti innovazioni tecnologiche, divenne la sede mondiale della politica, della finanza e del commercio, la popolazione cresceva sempre di più ogni anno, fu realizzata la prima ferrovia che collegò Londra Bridge a Greenwich e cosi via...

Nel 1842, una ricca famiglia proveniente dall'Irlanda si stabilì al centro della città. Il nucleo familiare in questione era la famiglia Montgomery. Il capo famiglia, Harry Montgomery, era un'importante medico irlandese laureato alla Trinity College nel 1833 e sposato con Kate Spencer. L'anno successivo, nel 1843, i due coniugi ebbero un figlio: Harvie Montgomery. Il ragazzo era molto intelligente e venne inserito nelle scuole più prestigiose dell'intera città. Per due anni, 1868 - 1870, visse in America, precisamente a New York con suo padre, perché il vecchio fu assunto in uno degli ospedali più famosi della città. Harvie, visto che gli mancava la sua Londra, andò via su una nave che sarà il mezzo d'incontro con la bellissima Diana.

 

Il giorno successivo, la nave sbarcò a Nantes, città della Bretagna storica. Diana voleva restare in camera perché aveva un leggero mal di testa. Harvie, fuori la stanza, fece di tutto per convincere ma invano. Allora le propose una gita a cavallo per i boschi della città. Diana rifletté su quell'idea e accettò la proposta. Attraverso un calesse, arrivarono in un equi turismo. L'uomo pagò i due cavalli padronali: uno bianco con nappine rosa e l'altro grigio con nappine azzurre e una sella da uomo di pelle di daino. Infilarono il costume da amazzone e alti stivali flosci, offerti dal vecchio Adrien, proprietario del luogo.

Il cavallo di Diana prese il galoppo. Harvie galoppava accanto a lei. Entrambi seguirono un sentiero che portava ad una montagna. Con il viso leggermente chino, la mano alzata e il braccio destro teso, essa si abbandonava al movimento cadenzato e con l'altro braccio agitava il pomo del frustino.

Ai piedi della salita, Harvie lasciò le redini; partirono insieme in un solo balzo. Diana adorava andare a cavallo fin da bambina. Quando aveva quattro anni, le fu regalato un pony bianco di nome Alex. Fu costretta ad abbandonarlo quando entrò nel convento. Il cavallo morì a causa di una terribile malattia.

Arrivati in cima alla montagna, i due animali si fermarono bruscamente. L'aria in quel luogo era gelida e c'era nebbia sulla campagna.

- Harvie, qui ci sono lupi? - domando la donna impaurita.

L'uomo la guardò e scoppio in una risata rigorosa. Poi cercò di tranquillizzarla.

I due seguirono il ciglio del bosco. Il sentiero era ricoperto da foglie e paglia. I maestosi alberi impedivano l'illuminazione del sole. Il cielo era diventato azzurro, con qualche nuvola bianca sparsa. Sulle foglie degli alberi erano presenti gocce di rugiada. C'erano grandi spazi pieni di eriche in fiori. Spesso si udiva il canto dei passeri e dei corvi che volavano da un ramo all'altro. Arrivarono nel tratto più alto del monte, da lì si vedeva l'intera città. Smontarono. Harvie attaccò i cavalli ad un albero con una corda e aiutò Diana a scendere dall'animale. La donna camminava nella fitta erba facendo attenzione a non sporcarsi il lungo vestito bianco. Il mal di testa scomparve in un attimo. Cento passi più oltre, si fermò per la stanchezza e si sedette ai piedi di un pino. Harvie rimase in piedi avanti a lei a guardarla.

- Perché mi guardi? - domandò la donna

- Oggi siete bellissima – ribattè. Poi proseguì - Forza alzatevi, dobbiamo continuare la nostra marcia. Penso che a breve ci sia la panoramica!-

Arrivarono nel punto panoramico, era un vero spettacolo. Si intravedeva il porto con le navi, i tetti delle case, le chiese e i loro campanili, la campagna, il bosco.

Dopo aver goduto di quella splendida vista, si sedettero su una panchina lì presente e restarono per qualche minuto in silenzio. Diana aveva un terribile senso di colpa; poi disse la tanta temuta frase:  

- Sono sposata! -

Il giovane inglese la guardò di scatto, lei aveva il volto rivolto verso il suolo. Il cuore le batteva all'impazzata e si sentiva di soffocare. Si sentiva più libera dopo aver pronunciato quelle parole. Eppure non aveva niente da temere, perché Harvie non era né suo marito e né il suo fidanzato.

- Sei sposata?! - domandò con un tono serio.

La donna annuì con le lacrime agli occhi.

- Perché non mi hai detto niente? -

- Avevo paura di una tua reazione... - ma venne interrotta

- Reazione? Quale reazione? Siamo amici... Ti ho raccontato tutta la mia vita, ogni singola cosa. Tu, invece, mi hai nascosto questa cosa! - esclamò ferito

- Perdonami per favore. E' stato un brutto periodo e non volevo parlarne con nessuno.

- Non preoccuparti. -

Harvie capì tutta la situazione e voleva sapere tutto di quel matrimonio.

SPAZIO ALL'AUTORE: Ciao a tutti, a malincuore la storia si fermerà per poco tempo, circa due settimane, per motivi personali. Spero che questo nuovo capitolo sia di vostro gradimento. Ci tenevo a ricordarvi che la storia è presente anche su Wattpad: https://www.wattpad.com/user/Iron_11

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII

Diana s'alzo dalla panchina per andar via. Non voleva parlare più di quel maledetto matrimonio. Egli le afferrò il polso. Lei si fermò. Poi, avendolo osservato per qualche istante con gli occhi bagnati dalle lacrime, rapidamente disse:

- Ah, sentite, non ne parliamo più... Dove sono i cavalli? -

Allora lui, sorridendo, si fece avanti a braccia tese. Le loro labbra erano quasi vicine, il cuore di Harvie batteva forte mentre quello di Diana si fermò. Ma non si baciarono. La donna si distaccò dalle sue braccia e voltò le spalle con un viso pallido.

Scendevano le ombre della sera. Il silenzio era ovunque; dagli alberi pareva sprigionarsi una sorta di dolcezza. Il vento soffiava tra le foglie verde sui rami. Sul lungo sentiero, pozzanghere d'acqua sporcavano il vestito della donna. Nell'acqua, Diana vedeva le orme del suo cavallo, stanco dal tanto cammino. Tornarono in città, a breve la nave sarebbe partita per l'ultima destinazione: Rennes. Dopodiché sarebbe giunta finalmente a Londra. I due salirono sull'imbarcazione senza parlarsi, in silenzio. Harvie si sentiva in colpa, Diana era triste e pensierosa. Un altro pensiero le venne in mente: che Cristobal potesse dire a Conrado la verità, cioè che lei stava a Londra. Si fidava di suo cognato, però pensava: “perché aiutarmi, qual è il suo scopo nell'aiutarmi? Perché aiutare una sconosciuta e mentire al proprio fratello?”. Non appena giunse nella sua camera, sedette bruscamente allo scrittoio. Voleva scrivere una lettera da inviare a Cristobal. Ma, quando ebbe la penna tra le bianche dita, non seppe trovar nulla, cosi che, si mise a riflettere. Guardò per ben dieci minuti il foglio bianco con scritto in cima “Rennes 24 giugno 1870” . Afferrò il pezzo di carta e lo stracciò in mille pezzi. Iniziava a dubitare di suo cognato, la persona che l'ha aiutata a compiere quest'impresa. “Eppure lui è cosi buono, - penso- perché dovrebbe rilevare tutto a Conrado? Infondo è stata un'idea sua! Sono una stupida ad avere questi sospetti!”

La donna si calmò e decise di incontrare Harvie per scusarsi del suo comportamento avuto nel pomeriggio durante la gita a cavallo. L'uomo non era nella sua stanza e neanche sul ponte dove ogni sera ammirava il cielo stellato dell'Oceano.

- Mi odia! - disse affacciata alla ringhiera del ponte. Poi continuò – E' arrabbiato con me perché non gli ho raccontato del mio matrimonio e perché lo respinto quando voleva baciarmi. Sono una persona orribile che distrugge tutto! - alzò leggermente il tono della voce.

- Maledizione, sono una persona orribile! - ripeteva camminando avanti e indietro.

Dall'agitazione, si tolse il fisciù giallo dalle spalle e lo gettò per terra; sentiva caldo e, dopo qualche secondo, divenne rossa come un pomodoro.

- Non sei affatto una persona orribile! - esclamò una voce maschile dietro alle sua spalle: era Harvie che raccolse il fisciù.

- Anzi, sei una persona fantastica, straordinaria e bellissima. Forse non hai avuto un'ottima esperienza in amore, neanch'io! Oggi, quando volevo baciarti, pensavo che la cosa fosse reciproca! Puoi fidarti di me... -

Man mano si avvicinava, Diana restava ancora girata in lacrime.

- Ho tradito la tua fiducia! -

- Non importa, avrai avuto le tue ragioni! - esitò per qualche secondo, poi proseguì – Prima che partissi per New York, conobbi una ragazza molto ricca. Ci fidanzammo e dopo pochi mesi ci sposammo! Era crudele ed era odiata da tutti! Aspettava un bambino, ma non era mio. Mi tradì con un americano. Quando nacque il neonato, mi ingannò dicendo che era mio figlio. Dopo pochi mesi, scappò via con il bambino e lasciò una stupida lettera. Lì scrisse tutta la verità. Per questo sono andato a New York con mio padre... per distrarmi! - concluse asciugandosi le lacrime.

Diana non sapeva cosa rispondere, e si limitò a dire un semplice “mi dispiace”. Poi lo abbracciò. Credeva che ora la loro non era più una semplice amicizia ma qualcosa di più profondo. Lo amava!

La mattina seguente, la donna si svegliò molto presto. Aveva dormito poco visto che restò quasi tutta la sera a pensare. Non fece colazione perché aveva un dolore nell'area dello stomaco, e già da qualche giorno aveva la nausea. La nave, verso le undici, giunse a Rennes. I due giovani uscirono con un'ora di ritardo dall'imbarcazione. Visitarono: il Musée des beaux-arts de Rennes, la cattredale e il musèe de Bretagne. Mentre passeggiavano per la strada, essa rabbrividì.

- Ti senti bene? - fece Harvie accostandosi a lei.

- Oh! non è nulla! -

Pranzarono in uno dei ristoranti più lussuosi della città. La donna aveva un mal di testa tremendo; vedeva tutto lo spazio circostante sfocato. Per questo motivo ritornarono a bordo. Harvie la ospitò nella sua stanza e le diede un infuso che portava sempre nella sua valigia. Diana, sfruttando la sua assenza, frugò tra la sua roba e trovo un ritratto di un bambino. Dietro al ritratto c'era la scritta "Mark Montgomery, 1864". Pensò subito che fosse suo figlio e notò che vicino al nome c'era una croce e il numero 1868. Quando rientò Harvie, mise velocemente la foto nella tasca del suo vestito rosso. 

La stessa sera, i due "innamorati" cenarono nel risotrante dell'imbarcazione. Si mangiava aragosta e carne. Parlarono di letteratura.

- L'Orlando Furioso è un'opera fantastica!- esclamò Diana.

- La letteratura italiana è favolosa; adoro ogni poeta, partendo da Alighieri. Ho sempre amato le opere di Galileo Galilei. L'opera più bella è «Il saggiatore » - spiegò lui.

Improvvisamente la tavola, con tutti i piatti, s'era rovesciata; salsa, carne, i coltelli e saliera erano sparsi per il pavimento; Harvie chiamava aiuto, la gente presente cercava di calmarlo. Il corpo della giovane donna era disteso sul suolo.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX

- E' sveglia dottore! - esclamò Harvie.

Diana vide intorno a lei molte persone. Era ancora distesa sul pavimento tra il sugo della pasta e le briciole del pane. Quando capì la situazione, le si calò un velo d'imbarazzo e svenne nuovamente. Il dottore, con l'aiuto di alcuni uomini, la portò nella stanza di Harvie e la distese sul letto. Giaceva con la bocca aperta, le palpebre chiuse, le mani spianate, immobili e bianche come se fosse ceramica. Il suo corpo era freddo e il sangue aveva quasi cessato di scorrere; sembrava morta. Il giovane ragazzo, in piedi, era al fondo dell'alcova mentre il medico cercava di capire la causa di tale mancamento. Durante la notte dormì profondamente e, secondo il medico, le sue condizioni stavano migliorando.

Il pomeriggio successivo, la nave sbarcò a Londra. Harvie ritenne opportuno che la debole Diana passasse qualche giorno a casa sua, nel cuore di Leeds. La costruzione risaliva al 1770 circa ed era dunque una delle più vecchie, nonché la più vaste dell'intera città. Essa sorgeva al centro di dodici acri di terra. La struttura lasciava trapelare gli ultimi raggi del sole che lo coccolavano e lo salutavano per accogliere la luna. Le pareti erano abbracciati da estesi rampicanti e piante di vario genere che spuntavano dal fertile terreno sottostante. Quando il calesse giunse all'esterno del gigante cancello in acciaio, erano ormai le otto di sera. Matilde, la domestica, si affrettò per uscire e salutare il suo padrone.

- Oh signore, è un piacere rivederla! -

- Piacere è tutto mio Matilde – rispose l'uomo aprendo le porte della carrozella.

Diana dormiva ancora, stanca per il lungo viaggio. La domestica notò subito la presenza di una donna all'interno del barroccio.

- Signore, non vorrei intromettervi ma... chi è quella donna? -

- Limitati ad aiutarmi a portarla in camera sua! -

 

Verso le dieci, Diana si svegliò dal lungo sonno. Osservò la stanza. Le pareti erano in marmo bianco, come il pavimento. Le finestre avevano tendine rosse mentre sul pavimento si estendeva un lungo tappeto giallo e rosso. In un angolo vi era una statua anch'essa in marmo di Giorgio V.

Si alzò dal letto respirando a fondo e si diresse verso la porta. Esitò solo un attimo prima di aprirla e scendere le scale. Quella casa pareva un enorme labirinto; si ritrovò in un corridoio ricco di quadri e specchi. Una dolce melodia di pianoforte iniziò a invadere le stanze della villa. Diana ne rimase incantata. Il suono proveniva dal piano inferiore. Ella si sfilò la vestaglia bianca che l'avvolgeva dolcemente e la pose su una poltrona rossa. Scese i primi quattro gradini, quando di punto in bianco la melodia cessò.

- Diana! - esclamò una voce pesante.

La signorina saltò dalla paura.

- Harvie, che spaventò!

- Scusami. Hai un bel colorito, come ti senti?

- Ora meglio! Ti ringrazio per l'ospitalità, però devo andare.

- Dove?

- A Londra. Un mio amico mi ha affittato un appartamento in un hotel lì vicino. - disse riferendosi a Cristobal

L'uomo non era d'accordo nel lasciarla sola; era ancora molto debole. Ma la donna, testarda come non mai, non volle ascoltare il giovane inglese. Cosi prese la sua valigia in cuoio marrone, si infilò un vestito bianco e giallo canarino e abbandonò la casa tramite un calesse di Harvie. Ella lesse l'indirizzo dell'appartamento su un biglietto; era su Bond Street numero 11 nel quartiere di Mayfair.

Arrivata a destinazione, si trovò avanti un gigantesco palazzo antico. L'ingresso era controllato da un custode molto serio accompagnato da un grosso pastore tedesco. Il nome del palazzo era “Cameron Hotel”. Entrò nella Holl dell'albergo e in quel momento stava avvenendo una forte discussione tra una vecchia signora e il proprietario del posto. La causa del litigio era la scarsa qualità del servizio, nonostante l'albergo fosse a quattro stelle. Diana si guardava intorno affascinata e si avviò verso una signorina alla cassa, alta e ricca di gioielli, persino tra i capelli. Era la figlia del proprietario.

- Salve! - disse la signorina Cameron – le serve aiuto? -

- Si, mi chiamo Diana Verquez e il mio soggiorno qui è stato pagato da Cristobal Romero. -

 La cassiera cercava in un enorme libro il nome di Cristobal, ma non vi trovò niente. Diana non poteva crederci.

- Vi prego, cercate meglio! - esclamò disperata

- Vi ripeto che non c'è scritto nulla.- ribatte la ragazza infuriata

La povera donna disperata abbandonò l'albergo e, correndo, colpì con una spallata la vecchia signora che fino a qualche minuto prima stava litigando con il proprietario.

- Maledetta stai più attenta! - esclamò con molto odio.

Cristobal le aveva mentito; non aveva pagato nessun appartamento.

“Era ovvio che sceglieva di aiutare suo fratello! Sono un'ingenua!” pensava.

Si sedette su una panchina, fuori all'albergo e pianse molto. Pensò all'errore commesso sposandosi con Conrado e di aver condiviso ogni singolo minuto con quell'uomo.

La notte calava e Diana era sola e fragile tra il vento gelido di Londra. Camminò tutta la sera, non aveva mangiato. Si trovò alle spalle il Big Ben. Si sedette su una panchina in cui era presente una famiglia composta da madre, padre e figlio. Ridevano e scherzavano felicemente. Ella pensava alla sua condizione, senza un marito e senza un figlio. Era completamente sola in una città che non conosceva per niente nel cuore della sera. Era stanca e non si aveva le forze. Non sapeva dove passare la notte e come continuare la sua vita.

Più tardi arrivò alle rive del fiume Tamigi. L'acqua era fredda, nonostante fosse estate; scorreva velocemente, senza sosta. Ricordava il fiume che era presente vicino alla casa sua e di Conrado. In quel fiume, Cristobal le parlò del suo piano di fuga.

“Era tutta una menzogna!”.

Si sfilò le scarpette bianche e le appoggiò delicatamente sulla riva. Vi immerse entrambi i piedi nell'acqua violenta. Rideva e piangeva contemporaneamente pensando alla sua vita e a quello che ormai era diventata: una fuggitiva senza casa e senza l'amore di nessuno. Una povera ingenua che aveva creduto alle stupide lusinghe di un uomo. Aveva capito la lezione: mai fidarsi degli uomini, soprattutto quelli ricchi. Tolse la molletta che legava i suoi capelli e la gettò nel fiume. Successivamente anche l'abito fu travolto dalla violenza del Tamigi. Chiuse gli occhi e sentiva il rumore dell'acqua che si spezzava tra le massicce rocce. Schizzi di acqua le bagnavano il petto spoglio e freddo mentre i piedi erano ancora immersi. Voleva buttarsi, era questo il suo scopo. Ma una voce maschile le implorò di non farlo. Era Harvie, dall'altra sponda del fiume. 

- Cosa ci fai qui? -domandò la donna in lacrime

- Non farlo Diana, è da codardi non affrontare le difficoltà della vita. E' stupido cercare la soluzione nella morte. Sii forte e affronta la vita con dignità e forza! - esclamò

- Non posso... - esitò – non sono in grado di continuare una vita in cui vi è presente solo dolore e tristezza! Non è presente alcuna gioia -

- Allora io cosa sono stato? Solo una persona con cui sfogare il tuo maledetto dolore. Per favore, non farlo.-

Diana non parlò. Si asciugò le lacrime, rinfilò il suo abito e le sue scarpette rovinate dal verde del prato sulla riva.

- Hai ragione, perdonami - terminò afflitta. 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Capitolo X

Passarono due giorni interi.

Diana cercò di scacciare dalla propria mente l'episodio del fiume. Viveva nella villa di Harvie. Egli non era mai in casa; ritornava la sera per cenare. Le mancava la campagna; l'acqua e i prati puri di Bilbao. Il clima mite della città e la freschezza dell'aria. Non conosceva bene l'inglese ma per fortuna Harvie sapeva parlare lo spagnolo. Non aveva mai amato le lingue, soprattutto l'inglese. La riteneva una lingua complessa e ricca di vocaboli. La domestica della villa non la sopportava. Riteneva Diana una specie di “intrusa”; un demone in un paradiso.

A metà Agosto, nel picco della stagione turistica estiva, i parchi e i viali di Londra erano affollati dalle persone provenienti da tutto il mondo; soprattutto dalla Francia e dalle Americhe. Molti turisti si accalcavano con la speranza di vedere la regina Vittoria. Londra divenne nota per l'impiego di minori in fabbriche, miniere e altri lavori simili. L'aria era diversa da quella di Bilbao; era più oscura e sporca. Ciò causato dalle troppe fabbriche che emanavano nel cielo un'alta percentuale di sostanze chimiche dannose che portò persino alla morte di molte persone. In quei giorni, Harvie ebbe molte visite. La più importante fu quella di sua madre Kate. Il suo viso vecchiotto e tondeggiante, in mezzo al quale emergeva un naso a becco di pappagallo, le mani piccole e rugose con molteplici anelli infilati tra le dita. Le unghia e i denti erano sporchi. Il petto era troppo pieno e ondeggiante. Il suo carattere era freddo come la brina in autunno. Inoltre emanava un odore sgradevole. Insomma era una vera e propria strega. Diana era al dire il vero stupita da tanta bruttezza. - Eppure Harvie non è cosi brutto – pensò.

La donna si presentò come la fidanzata del piccolo Montgomery. La vecchia signora iniziò a tempestarla di domande, come se fosse un interrogatorio, anzi peggio! Restò lì soltanto qualche giorno, poi ritornò a Milano da sua sorella.

Settembre subentrò senza preavviso. Le foglie rosse e gialle degli alberi ricoprivano la città come un lungo lenzuolo. Il giardino della villa assunse un aspetto diverso; era più vivace. Diana era cambiata totalmente: era più radiosa e luminosa. Tuttavia non voleva fidarsi del tutto di Harvie perché temeva di essere ferita una seconda volta. L'uomo era comprensivo e le voleva molto bene.

Una notizia stravolse la vita del giovane ragazzo: la morte di suo padre. Il medico era il suo punto di riferimento, la sua forza. Fu grazie a lui che uscì dal periodo di depressione causato da sua moglie.

Il suo corpo arrivò nel Regno Unito dopo cinque giorni dall'avvenimento. Harvie si gettò su di lui gridando:

- Addio! -

Diana cercava di calmarlo, ma ogni tentativo era inutile. Piangeva e gridava; divenne fragile come un bambino. Il corpo del vecchio medico era disteso sul suo letto con la testa china sulle spalle. L'angolo della sua bocca, rimasta aperta, formava come un buco nero nella parte bassa del viso. L'uomo si era avvelenato con l'arsenico nel suo appartamento. Diana stava male, il mal di testa le venne nuovamente. Si chiuse nella sua stanza e si slanciò il colletto dell'abito. Aprì le finestre e respirò tutto l'ossigeno possibile. Dal naso iniziò a scorrere del sangue che gocciolando sporcò il tappeto e le lenzuola del letto. Afferrò un tovagliolo di seta e cercò di frenare l'emorragia. Si distese sul letto e guardo il soffitto, pigiando il tessuto sul suo naso rosso. Il sangue cessò di scorrere mentre il mal di testa continuava a tormentarla. Le campane del Big Beg segnavano le otto di sera. Diana uscì dalla sua stanza molto turbata. Sentì la stessa melodia di pianoforte del mese precedente; ma in quella casa non vi era alcun pianoforte. Questa volta proveniva da un altro locale: la camera di Harvie. La donna coraggiosamente si dirisse verso quel luogo; per sicurezza afferrò un candelabro. Entrò nella stanza, ma non c'era niente; era soltanto un grammofono. La donna tolse la melodia ed estrasse il disco. Si volse e vide la domestica infuriata.

- Cosa state facendo? -

- A lei cosa importa! Da quando le signore devono dare conto alle domestiche? - ribatté Diana

- Lei non è una signora...-

- Perché mi odia cosi tanto? Che le ho fatto? - domandò

- Siete una minaccia; la mia signora era meglio di voi! -

- La vostra signora ha abbandonato Harvie da solo. Non penso sia stato un gesto eroico...- poi si fermò. Pensò che in fin dei conti anche lei aveva abbandonato Conrado; anche se le circostanze erano totalmente diverse.

La domestica prese delle lenzuola su un armadietto in legno d'abete e abbandonò la stanza. Diana, qualche minuto dopo, scese in salone e si accostò al povero Harvie ancora afflitto dalla situazione.

All'alba arrivò la signora Kate; Harvie, nell'abbracciarla, ebbe un nuovo scroscio di pianto. La donna era del tutto schiva e non provò compassione per suo marito. Diana pregò tutta la notte, come le avevano sempre insegnato nel convento da bambina.

Il mattino successivo l'uomo ebbe visite. S'alzava, stringeva la mano in silenzio e poi sedeva nuovamente sulla poltrona accanto alla bara del vecchio. Stava a mento basso, le gambe accavallate, il polpaccio sul ginocchio che dondolava, mandando a intervalli profondi respiri. Non fece colazione, a differenza di Diana che mangiò qualche biscotto e bevve del caffè.

Alle dieci arrivò il parroco e, con l'aiuto di alcuni amici, portarono la bara dell'uomo nel cimitero più vicino. Una profonda buca era pronta ad ospitare il feretro del defunto.

- Era un buon dottore ed era molto bravo. Non meritava di morire! - disse una vecchia paziente.

Diana si imbatté con la signora Kate.

- Diana, mia cara! -

- Signora Kate, cosa desidera? -

- Chiacchierare con te. Sono davvero molto affranta da questa situazione. - mentiva la vecchia. Qualche lacrima finta usciva dai suoi occhi rossi sangue. - Non è mai stato un buon marito, ma era un buon uomo -

- Il commissario Clark sostiene che si tratti di suicidio. Perché si sarebbe suicidato vostro marito? - domandò pentendosi Diana. - Scusate sono stata poco discreta!

- Hai una bella faccia tosta! La causa del suo suicidio è sconosciuta persino a me. Certo avevamo problemi familiari. Non l'ho amavo affatto; era soltanto un villano che andava a letto con la prima donna che gli capitava. Mi ha fatto soffrire molto, è per questo che sono fredda con lui! - raccontò la donna asciugandosi le finte lacrime.

- Signora mi dispiace molto per la vostra sofferenza. Ormai noi donne siamo destinate alla sofferenza: partorire dei figli, passare un'intera vita a sottomettersi agli uomini, non avere alcun diritto. Perché? Perché l'essere maschile deve essere avvantaggiato? Cos'ha meglio di noi?

- Ben detto! Noi siamo coraggiose e molto più forti di loro. Non so rispondere alle tue domande sul perché l'essere maschile sia stato avvantaggiato. E' una cosa che non sta scritto da nessuna parte! -

Diana meditò su suo matrimonio con Conrado. Tutto sommato la sua storia si rispecchiava con quella della signora Kate. Tuttavia lei non era né fredda né schiva con nessuno.

La vecchia lasciò Diana e si dirisse verso alcune signore che discutevano sullo sviluppo economico di Londra.

Il pomeriggio, un calesse portò nella villa Diana, Harvie e la signora Kate. La giovane spagnola rimase tutta la notte nel salone a leggere i numerosi romanzi che invadevano la libreria dello studio del defunto dottor Montgomery mentre mamma Kate restò a consolare il ragazzo.

Verso le undici, Diana appoggiò il romanzo su un tavolino e spense la luce. Allacciò la vestaglia di un bianco puro e si affrettò a salire le grosse rampe di scale. Il campanello della porta d'ingresso suonò e il rumore invase la casa. La donna saltò dallo spavento. Si raccolse i capelli con una molletta e si avviò verso il portone.

- Chi è? - domandò incuriosita visto l'orario.

Ma nessuno rispose. A questo punto aprì la porta e rimase a bocca aperta. Un brivido gelido sali dalla schiena fino ad arrivare alla nuca. Era suo marito, Conrado.

- Ciao Diana, ti sono mancato? - domandò arrabbiato

P.S: Prossimo aggiornamento lunedì 29 gennaio

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI

- Diana stai bene? - domandò una voce lontana e rauca.

La donna si ritrovò sul divano del salone avvolta ad una coperta di lana bianca. Era stato soltanto un brutto sogno, eppure sembrava cosi reale; il suo sguardo minaccioso, le sue grosse mani rosse e il profumo delle camicie appena lavate. Harvie pareva molto preoccupato, e temeva che la donna fosse affetta da qualche malattia. Il pover'uomo non voleva un'altra disgrazia. Diana bevve una tisana e, dopo qualche minuto, si riprese.

Il mattino seguente, la donna si svegliò molto tardi. Il suo letto era vuoto, l'intera casa silenziosa. Era evidente che la voce di mamma Kate se n'era andata. Debole com'era, Diana avrebbe potuto dormire un giorno intero, ma Harvie le aveva promesso che sarebbero andati a pranzare nel cuore di Londra. Si sentiva rinata, aveva le forze di una dodicenne e sorrideva, dopo tanto tempo. Harvie era ancora scosso dalla morte di suo padre, tuttavia cercava di nascondere tanto dolore.

Verso mezzogiorno, i due giunsero in un ristorante vicino al Bin Ben. Diana, nel vedere il fiume Tamigi, subito ricordò il tragico episodio del suo tentativo di suicidarsi.

  Durante il pranzo, Harvie non parlò quasi mai. La donna cercava qualche argomento per rompere il ghiaccio, ma egli se ne stava seduto con lo sguardo fisso al di fuori della finestra del locale.

- Ne vuoi parlare? - domandò la signorina prendendogli le mani fredde.

- Non ho niente da dire – rispose con voce secca l'uomo giocando con del pane.

- Qualche anno fa – iniziò – mia madre morì a causa di una malattia sconosciuta. Io ero rinchiusa in un maledetto collegio. Non le ho mai potuto dare il mio ultimo addio e me ne pentirò per tutta la mia vita. Fu dura affrontare la sua morte, ero giovane e avevo un padre non molto bravo.

- Come hai fatto a superare tale trauma? -

 

- E' stato difficile. Il tempo guarisce le ferite, devi soltanto aspettare -

- Non posso! - esclamò.

L'uomo iniziò a piangere.

Tutti gli sguardi del locale fissavano il pover'uomo in un fiume di lacrime. Voci indiscrete mormoravano in sottofondo.

- Che succede?! Non avete mai visto una persona piangere? - gridò Diana verso i clienti del ristorante.

Abbandonarono il locale e si diressero tra le strade della grande metropoli. Egli le raccontò i momenti più belli della sua infanzia con suo padre; i ricordi travolgevano il suo animo oramai debole e triste.

La notte successiva Diana si sentiva trascinata da una misteriosa forza, che la spingeva verso l'alto. Come tra le onde del mare, galleggiava in una dimensione strana e confusa. Non aveva controllo del suo corpo, che trasportato da quell'ignota energia, vagava nello spazio bianco. Una luce improvvisa illuminò il luogo; si trovava su una spiaggia dalla sabbia bianca. Ad un tratto si sentì chiamare per nome. Voltò il capo e vide due uomini in lontananza: Harvie e Conrado. E' lì tua moglie – indicò Harvie. La donna si svegliò di soprassalto nel letto. Un altro incubo; forse il decimo dell'ultimo mese. Aveva la fronte sudata e notò sull'orologio a pendolo posto sul muro di fronte al letto che erano soltanto le tre del mattino. Infilò le sue pantofole bianche con piume blu e aprì la finestra per far passare un po' di aria pulita. Pioveva a dirotto. Non sapeva neanche se si trovasse in un altro sogno oppure nella realtà. Osservava le grosse gocce d'acqua scendere dal cielo nero. Quel clima, la pioggia e il freddo rispecchiavano il suo animo. Qualcuno bussò la porta della sua stanza; era Harvie.

- Cosa fai nel cuore della notte? -

- Faccio la stessa domanda a te – ribatté lei

- Venivo a rassicurarmi che stessi bene – esitò osservando i vetri della finestra umidi. - Perdonami per oggi, sono stato molto schivo. - proseguì sedendosi sul letto.

- Avevi tutte le ragioni, non devi preoccuparti – disse accomodandosi accanto a lui.

Egli le prese le mani e le posò sul suo petto.

- Senti come batte forte il mio cuore. Sai perché? -

- No, perché? -

- Per questo...-

L'uomo baciò le labbra della giovane donna. Diana si lasciò trasportare da quel magnifico momento. Le labbra di entrambi si muovevano senza sosta come se fossero onde del mare. Harvie slacciò la vestaglia della giovane spagnola, rimanendo nuda. Lei, invece, sbottonò la camicia di notte del giovane inglese. Poi si distese sul letto e si lasciò baciare il seno e il bacino.

- E se ci vedesse la tua domestica?! Non le sto molto simpatica – disse preoccupata Diana.

- Non darle retta; goditi la serata – rispose.

Il mattino successivo, il sole baciava i loro volti sudati. Entrambi erano nudi nel letto avvolti da un lenzuolo di seta bianco. Lei aveva il capo appoggiato sul petto di Harvie. Sentiva il suo cuore battere all'impazzata, nonostante egli dormisse. Gli baciò il mento e poi salì verso le labbra.

- Buongiorno – disse appena sveglio lui.

Lei replicò.

- Come sei stata? - domandò il ragazzo.

- Una favola – si fermò e osservò il sole in alto nel cielo. - Avevo tanti motivi per andarmene, per farla finita una volta per tutte. Ma ho scelto l'unico motivo per restare -

- Qual è il motivo per cui hai deciso di restare?

- Tu – rispose velocemente travolgendolo con un bacio.

prossimo aggiornamento: lunedì 5 febbraio

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII

Qualche mese prima...

- Carmen, dove sei! - gridò Conrado avanti al camino.

La povera domestica, impaurita, avanzò verso il salone.

- Eccomi signore – rispose con tono basso.

- Diana è andata via, perché non mi hai detto il giorno esatto della fuga? -

- Oh Signore, sono anziana! Ho sentito solo che Don Cristobal avrebbe aiutato Donna Diana nella fuga a Londra... -

L'uomo, infuriato come non mai, prese il suo mantello nero appeso sull'appendiabiti in legno vicino l'ingresso e si recò in paese verso casa di suo fratello. Giunto presso l'appartamento di Cristobal, bussò alla porta con una violenza atroce. Nel momento in cui il primogenito aprì la porta, Conrado lo prese per il collo e con la gamba chiuse la porta d'ingresso.

- Sei pazzo fratello? - domandò l'uomo con voce spezzata.

Il giovane Romero stringeva sempre più forte le sue mani al collo rosso di Cristobal, ormai ad un passo dalla morte; poi lo lasciò.

- Cosa ti è preso?! - disse respirando tutto l'ossigeno possibile.

- Sei un traditore! Hai organizzato la fuga di mia moglie! -

- Non so di cosa stai parlando! - esclamò mentendo

- Ah davvero? Allora ti rinfresco un po' la memoria – disse estraendo una calibro 36. - Ti ho sempre odiato; hai reso la mia vita infelice fin dall'infanzia. Sei sempre stato il preferito e ho sempre sopportato l'affetto dei nostri genitori nei tuoi confronti. Adesso mi hai messo contro mia moglie...-

- Vorresti dare la colpa a me? Non ticordi ciò che facesti a Megan, la tua prima moglie? -

- Non nominarla bastardo! -

- L'hai uccisa soffocandola con uno cuscino nel cuore della notte! Era incinta e debole; non volevi affatto un figlio e per questo motivo hai messo fine alle loro vite. Dopo di ché hai gettato il corpo nel fiume vicino casa e hai mentito facendo credere a tutti che lei fosse fuggita in Africa! -

- Smettila! E' stato un'incidente – disse con il volto tra le mani piangendo.

- Conrado, sei una persona pericolosa. Per questo motivo ho aiutato Diana, per non far morire un'altra anima innocente. -

- Adesso basta! - esclamò il giovane Romero puntando la pistola sulla testa di Cristobal.

Il pover'uomo, supplichevole, si accasciò per terra e appoggiò la schiena al divano giallo del suo salotto in stile classico.

- Per favore Conrado non spararmi -

- Fai silenzio! Adesso dimmi il nome dell'albergo in cui alloggerà Diana. -

- Cosa vorresti fare? Picchiarla? Ucciderla? -

- E' mia moglie, è deve pagare per ciò che ha fatto! -

- Tu sei un assassino! Non ti dirò mai il nome di quel maledetto albergo -

A questo punto gli sparò un proiettile sulla gamba. Cristobal urlò a squarciagola dal dolore e con una mano cercò di placare l'emorragia. Il pavimento era ricoperta di sangue; il tappeto verde acqua che si estendeva per l'intera area del locale era oramai diventato rosso

-Abbi pietà di me -

- Ne avrò soltanto se mi dirai il nome di quel maledetto hotel! - 

- Perfetto, te lo dirò. A patto che non toccherai con un dito Diana! -

Egli annuì.

La povera vittima cadde nel tranello del fratello minore e gli disse il nome dell'hotel. Conrado senza scrupolo gli sparò tre colpi di pistola; il primo penetrò nei polmoni, il secondo distrusse l'omero e il terzo spappolò il cranio. Il povero Cristobal era morto per mano del suo stesso fratello. Dopo l'omicidio, il giovane sposo annullò l'alloggio di Diana nell'appartamento del Cameron Hotel tramite un telegramma. Successivamente si sbarazzò del corpo di suo fratello; lo gettò nel fiume vicino alla villa.

In Agosto, fu trovato il cadavere del buon uomo divorato dai pesci e dagli insetti vicino alle cascate. Secondo gli ispettori, l'uomo si era suicidato. Conrado aveva un obiettivo ben preciso: andare in Regno Unito e vendicarsi del tradimento fatto da Diana. Qualche settimana dopo, iniziò una relazione con la giovane contessa Miranda Sierra. Ella era ignara della fuga di Diana; infatti l'uomo le raccontò che si era trasferita con la sua famiglia a Madrid per questioni di famiglia. Ma in realtà lei era un'altra vittima della sua brutalità e veemenza.

prossimo aggiornamento: mercoledì 14 febbraio

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII

Era la vigilia di Natale quando Diana ritornò al Cameron Hotel. Le strade di Londra erano invase da decorazioni natalizie tra cui festoni e ghirlande. Un gigantesco albero di natale era posta al centro della piazza principale della grande metropoli e numerosi bambini, accompagnati dai propri genitori, si affrettavano per appendere le proprie lettere sul gigante verde. Le vie erano ricoperte dalla bianca neve alta qualche centimetro. Quel giorno la donna indossava un abito giallo canarino. I lunghi capelli castani erano legati in una lunga treccia e sul capo aveva un cappellino anch'esso giallo. Quando entrò nell'Hotel, dei flashback le vennero alla mente; il suo stato d'animo in quel periodo e la lite tra la vecchia signora e il proprietario. Voleva accertarsi a tutti i costi se il suo nome fosse scritto in quel maledetto libro. Alla cassa non vi era la figlia del proprietario ma un ragazzo molto giovane.

- Salve – disse educatamente l'adolescente.

- Salve. Qualche mese fa un certo Cristobal Romero ha effettuato tramite un telegramma il mio alloggio in questo albergo ma mi è stato detto che non vi è nessuna prenotazione. Sono tornata qui per constatare nuovamente tale vicenda. - spiegò gentilmente Diana.

- Aspetti un secondo per favore. -

Diana obbedì.

L'uomo sfogliava le pagine del grosso libro seguendo le consonanti poste ai lati del volume. Arrivò alla lettera “ R ” di Romero. Con sguardo sorpreso guardò la donna e disse queste parole:

- La prenotazione è presente ed è datata 16 giugno 1870. Quest'ultimo è firmato dallo stesso Cristobal Romero. Anche se qui leggo... - esitò incredulo il giovincello.

- Parlate una volta per tutte! - esclamò Diana

- Il 19 giugno la prenotazione è stata disdetta da un tale Conrado Romero -

La frase spiazzò la donna e abbandonò il locale portando con sé rancore e paura. Per la strada si guardò continuamente intorno; adesso era davvero in pericolo

Arrivò alla villa piena d'affanno, con il volto sconvolto. Harvie, preoccupato, ordinò a Matilde di prepararle una tisana. La donna parlava e non riusciva a tenere ferme le mani viola. Gli spiegò la situazione: che Conrado aveva disdetto l'alloggio all'albergo e che quindi sapeva della sua fuga a Londra. Aveva paura che suo marito potesse giungere alla villa e ucciderla. Quando Diana raccontava, si asciugava gli occhi ancora prima che le lacrime uscissero. Non voleva essere una persona debole e soprattutto non voleva piangere per l'ennesima volta davanti Harvie. Dopo aver preso la tisana, la giovane donna si recò nella sua stanza e riposò tutto il pomeriggio.

 

Il giorno successivo era Natale. Nella villa giunsero alcuni parenti materni di Harvie. Diana era ancora scossa per ciò che le era accaduta, per questo motivo decise di non scendere a pranzare con Harvie e la sua famiglia. Aveva di nuovo il terribile mal di testa e le solite allucinazioni. Decise così di farsi un bagno caldo per distrarsi dai suoi pensieri. Slacciò la sua vestaglia bianca e la pose sul letto. Si guardò allo specchio e notò un qualcosa di strano: la sua pancia era gonfia. Forse era qualche malattia oppure qualche anomalia dello specchio. Non voleva pensare al peggio, e cioè che fosse incinta. Cosi praticò alcuni test di gravidanza insegnato a lei dalle suore nel convento. Il primo test consisteva nell'urinare in un bicchiere, in cui erano fatte cadere due gocce d'olio. Se le gocce si attraevano e quindi si univano, stava a significare che la donna era incinta. Diana praticò il test e, con grande sorpresa, le due gocce d'olio si unirono. Anche nei test che si susseguirono, ogni tentativo era positivo. Non sapeva se ridere o piangere; se raccontarlo a Harvie oppure no. Non era sicura al 100% se fosse davvero incinta, ma voleva crederci. Infilò un abito rosso, aggiustò i capelli e, col sorriso stampato al viso, si recò nel salone in cui si stava tenendo il banchetto. Harvie, con grande stupore, aiutò la donna a scendere le scale e la presentò alla sua “famiglia”.

- Perché sei uscita? Come ti senti? - le sussurrò l'uomo all'orecchio

- Non mi sembra giusto lasciarti solo nel giorno di Natale. - rispose la donna sedendosi.

Il banchetto era ricco di cibo; carne, pesce, minestroni e zuppe erano sparse su una lunga tavola rossa. I parenti di Harvie si complimentarono per lo squisito pranzo e nel pomeriggio andarono via. A Diana non piacque il loro atteggiamento perché l'avevano considerata il “nulla”. Nessuno dei presenti l'aveva salutata oppure si era presentato. Forse perchè erano abituati alla figura dell'ex moglie di Harvie. Ma ciò non giustificava il loro comportamento. I due si preparavano per la notte. Diana era pronta a dire a Harvie della sua gravidanza; ma non né aveva il coraggio.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV

La gravidanza di Diana proseguiva regolarmente. Nella sua mente già vedeva la grande villa invasa da oggetti per bambini: culle, giocattoli, passeggini, biberon e pannolini. Desiderava avere un maschio perché non voleva crescere una figlia in quel mondo in cui soltanto la figura maschile era importante. Harvie era ancora ignaro della situazione, nonostante vedesse la “compagna” con qualche chiletto in più. Era oramai il 1871; un nuovo anno di progressi scientifici e culturali. Era una notte di fine gennaio quando Diana era nel suo solito letto alla solita ora leggendo il solito giornale. Tutti i giornali del mondo riportavano la stessa notizia: l'assedio di Parigi.

Dopo averlo letto tutto, lo poggiò sul suo comodino e soffiò sulla candela per spegnere il fuoco. Era una notte abbastanza particolare perché in genere la donna leggeva romanzi prima di andare a dormire. Forse qualcosa le turbava l'animo, qualcosa di improvviso!

Verso le tre del mattino nella casa di susseguirono delle urla terrificanti provenienti dal salotto. Harvie, preoccupato, si accertò che Diana fosse al sicuro, ma non era nella sua stanza. Scese le lunghe scale della villa, che sembravano infinite, e avanti a lui vide una scena raccapricciante. Il corpo della sua domestica era disteso per terra in un lago di sangue. Sul corpo vi erano molte escoriazioni. Il viso presentava numerose e profonde graffiature, mentre la gola aveva lividi nerastri e molteplici graffi. Sull'addome vi era una ferita causato da una lama di un coltello ben affilato. La finestra vicino al camino era andata in frantumi e tra i vetri vi era un filo di cotone nero e rosso. Diana era sul divano con il viso tra le mani che piangeva. Il cuore le batteva all'impazzata ed era sporca di sangue. L'unico indizio disponibile era una foto di Harvie strappato in mille pezzi nel sangue rosso.

Il mattino seguente il cortile e la casa di Harvie era invaso da numerose guardie. Il commissario interrogò sia Harvie che Diana; gli unici indagati, oltre alle domestiche, per la morte della povera Matilde. Interrogatorio Diana

Commissario: - Mi racconta bene come sono andati i fatti!

Diana: - Stavo dormendo quando improvvisamente ho sentito il rumore dei vetri della finestra del piano inferiore rompersi. - esitò – Ho subito pensato che fosse un ladro. Mi sono armata di coraggio e sono scesa di sotto. C'era un silenzio tombale fino a quando ho sentito delle grida disumane.

Commissario: Non ha visto chi possa essere stato?

Diana: No, è stato tutto molto veloce ed era anche buio.

Commissario: Altre domestiche hanno testimoniato che lei e la domestica non andavate molto d'accordo. Mi conferma ciò?

Diana: Si, cioè in verità era lei che mi odiava. Ma posso assicurarvi che non sono stata io ad ucciderla.

L'interrogatorio terminò dopo mezz'ora. Harvie e Diana restarono alla villa per pranzare. La donna aveva il terrore di restare in quel posto, a pochi metri dal luogo dell'omicidio della povera domestica. Il pranzo fu breve e tormentoso; regnava l'assoluto silenzio. Le altre domestiche erano taciturne; senza dubbio pensavano che Diana fosse la responsabile della morte di Matilde. La guardavano con sguardi dubbiosi e pungenti. Harvie, invece, pensava che la giovane compagna fosse del tutto innocente alla vicenda. Non era in grado di commettere una cosa del genere.

Dopo il pranzo, Diana salì in camera sua e non uscì fino alla sera. Harvie cercò in tutti i modi di convincerla della sua innocenza; ma in realtà neanche lei stessa sapeva se fosse colpevole oppure no.

Passò qualche giorno. Una visita inaspettata stupì Harvie: sua moglie Hannah. Indossava un vestito nero lungo e i capelli legati. Portava alle spalle una sacca con all'interno: abiti, soldi e bambole. Era ossessionata dalle bambole. Quando era sposata con Harvie, la villa era invasa da bambole che mettevano i brividi. Non aveva con se suo figlio, ma era completamente sola.

- Cosa ci fai qui? - domandò Harvie incredulo.

- Anche io sono felice di vederti – ironizzò la donna dirigendosi nel salone.

- Esci fuori dalla mia casa! - ordinò l'uomo indicando la porta.

- La tua casa?! Sei patetico Harvie. Questa è anche casa mia...-

- E' stata casa tua fino a quando mi hai abbandonato come un cane. Sai cosa ho passato per causa tua? - iniziò ad alzare la voce.

La donna rideva spudoratamente. La sua risata era un tormento e un dolore per Harvie. La odiava con tutte le sue forze; era una strega.

- Ah Harvie, sei sempre stato una persona molto fragile. Un bambino per i miei gusti. -

- Allora perché mi hai sposato? - domandò l'uomo con le lacrime agli occhi.

- Secondo te? Per convenienza. Mio padre mi obbligò. Odiavo il fatto di sposarmi con un uomo che non amavo e che non conoscevo affatto. Odiavo persino condividere il mio stesso letto con te. -

- Sei una vipera! Dov'è mio figlio? -

A quella domanda, la donna lo guardò negli occhi e gli si avvicinò. I loro volti erano a pochi millimetri di distanza. Il respiro di Hannah era forte e l'alito puzzava di alcol.

- Non è tuo figlio e non lo sarà mai! -

In quel preciso momento, Diana entrò nel salotto e rimase senza parole. Era incredula di chi fosse quella donna. Balbettando, iniziò a parlare.

- Harvie, chi è questa donna? - domandò Hannah guardò prima Diana e poi Harvie.

- Lo dici tu oppure io? - minacciò la giovane moglie. Harvie non batté ciglio e si avvicinò a Diana. Il cuore le batteva peggio di un treno in corsa. Il suo viso era bianco e le mani tremavano. Poi pronunciò la funesta frase:

- E' mia moglie! -

Un ennesimo dispiacere per Diana, oramai era abituata.

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