L'entropia delle lampadine a incandescenza

di MarcoBacchella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Capitolo 1


"Isabella, devi capire che il fatto che Corrado sia scomparso non rappresenta minimamente un reato o tanto meno un qualcosa su cui indagare. L'ha già fatto per seguire altri casi, chi ti dice che sia per forza correlato a quell'altra roba lì?"


Mario era il solito personaggio secondario di qualsiasi altro giallo mai scritto fino ad ora: con un nome generico tipo Mario, calvo, baffi bianchi, sulla sessantina, collega di un tale Corrado, ovviamente in contrasto con la nostra protagonista per qualche motivo che non possiamo definire immediatamente ma potrebbe essere un punto pivotale della trama.


"Non puoi bollare il fatto che quelle lampadine siano scomparse davanti a casa sua come una semplice coincidenza. Insomma, non è che esistono bande di ladri di lampadine."

Isabella, invece, contrariamente ai soliti stereotipi dei gialli, non aveva nessuna backstory particolarmente tragica.

Nata in Cina, fu adottata in tenera età da una coppia italiana.

Ebbe un'infanzia felice.


Prima che partano le speculazioni, no, Corrado non è il padre biologico.

Corrado era solamente colui che assunse Isabella come stagista nell'ufficio investigativo.

"Per quanto possa sembrare strano, le lampadine costano fin troppo al supermercato. Le lampadine e le pile per i telecomandi costano un occhio della testa. Secondo te perché quando compri i televisori dentro i telecomandi non ci sono le pile?"

"Senti, sono mesi che non abbiamo un lavoro che non sia seguire il coniuge di qualcuno per smascherare qualche fetish strano. Non ti chiedo neanche soldi per farlo. Dammi solo le chiavi del suo appartamento."


Mario tirò su con il naso. In piena estate.

"Tu pippi ancora." gli disse Isabella.

Mario tirò ancora su con il naso.

"Guarda, non mi interessa. Dammi le chiavi e mi farò un po' di cazzi miei."

Coincidentalmente, farsi i cazzi suoi coincideva con il frugare tra la roba di Corrado.

Mario tirò su con il naso per una terza volta. Poi indicò un cassetto.

Lì, per un qualche motivo, c'erano le chiavi dell'ufficio e dell'appartamento di Corrado.
Mario era solito tirar fuori deus ex machina a destra e a manca, e non solo perché il ruolo di un personaggio secondario è solo quello di facilitare il lavoro del narratore: attraverso una scusa semplice come “ce le aveva per un'emergenza del genere” si può far finta che il fatto che Mario avesse le chiavi di Corrado abbia un briciolo di senso nello schema generale di due persone che a mala pena lavorano assieme pur condividendo l'ufficio.



"Gli agenti sono al lavoro da giorni per trovare al più presto i responsabili di questi atti gravosi contro la nostra comunità, ma, purtroppo, ancora brancolano nel buio."

Møbel prestava sempre attenzione alle notizie della radio quando faceva yoga.

Dal suo ultimo tracollo mentale si era convinto, corrompendo il principio di Pareto, quello che constata che l'80% delle risorse sarà distribuito sul 20% della popolazione, che l'80% dei momenti memorabili della sua esistenza sarebbe partito con quello che succedeva mentre faceva yoga, ovvero, il 20% della sua giornata.

Concludendo con un "Namaste", decise che era giunto il momento.

L'universo gli disse di cambiarsi i pantaloni.
Non era interessato a quali pantaloni si sarebbe dovuto mettere;
infatti quella decisione non comportava in minimo modo una sua eventuale selezione, in quanto essa comprendeva una miriade di variabili che partivano circa dall'ultima lavatrice che Møbel decise che l'universo richiedeva, al pasto precedente alla sessione di yoga precedentemente citata. In caso fosse consistito di fichi avrebbe dovuto evitare a tutti i costi i pantaloni bianchi.
Quello che era importante era che l'universo gli avesse detto che c'era bisogno della sua particolare abilità nel cambiarsi i pantaloni.

D'altronde, farlo richiede svariate abilità che non sono proprio da tutti.
Il camminare brevi distanze senza morire o rischiare la vita è una di queste abilità, spesso dimenticata in favore di altre, come quella di scegliere i pantaloni in base all'accostamento cromatico in relazione agli altri capi che in quel momento si stanno indossando.

Insomma, l'universo aveva, ancora una volta, bisogno della sua capacità nel camminare brevi distanze senza morire perché c'era un qualcosa che avrebbe dovuto fare che sarebbe partito proprio da quei pantaloni.
Quello che Møbel ignorava, però, era cosa.

L'ufficio di Corrado era il classico ufficio dei telefilm: porta vetro, con questo, ovviamente, sabbiato, con il nome scritto a caratteri neri, mobilio vecchio, risultato della crisi di mezza età continua che perseguitava il proprietario da oramai trent'anni.
“Corrado, quello che paga le bollette.” riportava la scritta sulla porta.
Avrà pur avuto una crisi d'identità, ma il suo titolo lo sapeva bene.
In quel quadrilocale effettivamente c'erano solo due uffici e una sorta di atrio, non è che potevi sbagliarti.
Per quanto fossero oramai mesi che Isabella lavorava in quello studio, non era mai riuscita a entrare nell'ufficio personale di Corrado. Già dalle prime settimane lei cominciava a farsi delle storie assurde su cosa potesse nasconderci, paragonabile soltanto a quelle che i veri fandom creano in tutte le fanfiction.
Quando entrò vide la dotazione standard di un qualsiasi ufficio: scrivania, fogli di carta, un portatile polveroso, memorabilia dei vari casi.
Sapendo di che tipo di casi si occupavano, sapeva benissimo che non era proprio il caso di toccare nulla.
Non che fosse pericoloso in qualche modo, ma era meglio evitare di toccare ciò che era stato trovato sotto al letto di un coprofago.
Quello spazzolino la teneva ancora alzata la notte.

Accese il portatile, e dopo una trentina di secondi, riuscì a vedere la schermata della password.
Ci pensò un po'.
Cercò un post-it o un qualcosa che era stranamente vicino alla scrivania con una data o un nome qualsiasi, un quadro spolverato con su scritto qualsiasi informazione desueta, come il numero di scatolette di tonno che Corrado comprava mensilmente, ma nessuno ha più quadri nel proprio ufficio e nessuno si ricorda la password in modo così stupido.

Provò, quindi, a improvvisare.
Dopo i primi tentativi, quasi ironici, come “password01” e “mariopippa”, capì che Corrado non era tecnofobico come la maggior parte della sua generazione, e se aveva una password, allora aveva una password sicura. Certo, era uno di quelli che metteva il nastro adesivo sulla webcam, ma proprio per questa sua paranoia Isabella sapeva che la password doveva essere sicura.
Corrado non era un fanatico di una cosa in particolare, anche se il suo lavoro l'aveva portato a conoscere qualsiasi tipo di pratica sessuale praticata negli ultimi quarant'anni da qualsiasi deviato del nord Italia, senza poi contare quelle illegali, non propriamente definibili sessuali, e quelle borderline legali, sempre non propriamente definibili sessuali.
“pannoliniperadulti” non era la password.



Optò per i kakhi corti.

Li scelse per molteplici ragioni.

Garantivano una massima mobilità, avevano ben sei tasche, gli permettevano di mostrare il polpaccio allenato al mondo, e in più, erano gli unici puliti.

Uscito di casa slegò la bici dal palo e inforcò i pedali.

Arrivato al primo semaforo rosso, appena cento metri da casa, si domandò perché si dicesse "inforcare" i pedali.

Scattò il verde. Lui non partì, ma tirò fuori il telefono per cercare la risposta alla sua domanda.

Proprio in quel momento, da destra arrivò un SUV che bruciò un rosso e prese in pieno la macchina che, appena tre secondi prima, era alla sinistra di Møbel.

Mattinata normale a Milano.

L'etimologia è derivante dal latino volgare, "forca". Non spiegò molto.


Riprese a pedalare, schivò l'unione dei rottami delle due macchine e proseguì per la sua strada.

Møbel non usava un vero e proprio navigatore. Lui contava le persone ferme sul marciapiede e se erano pari girava a destra al primo semaforo, se erano dispari girava a sinistra. Se non c'erano persone continuava dritto.

Quando tentò di fare il pizza boy venne licenziato dopo la prima consegna, ovviamente avvenuta in ritardo di diverse ore.

Arrivò, non si sa esattamente come, davanti a un complesso residenziale della Milano più ricca di quindici anni fa: tra corso Magenta e corso Vercelli. Capì dove fermarsi per il numero di volanti ferme davanti al portone d'ingresso di un palazzo bianco.

Due.

Lo interpretò come un segno e legò la bici ad un palo lì vicino.

Capendo perfettamente che non c'era modo di entrare senza destare sospetti, fece una delle cose più sospette possibili.

Si mise dall'altro lato della strada e tirò fuori un binocolo con cui esaminò il palazzo.


L'odore che c'era nell'appartamento non era quello di sigaro, come Isabella si aspettava da Corrado, ma era di bruciato e di pipì di gatto.
Non sapeva che Corrado avesse un gatto.

I segni del gatto erano visibili ovunque, effettivamente.
Mobili graffiati, piume per terra, probabilmente provenienti dal divano, scatolette di tonno mezze aperte sparse per tutto quello che era il mono ambiente salone-cucina. Però, nessun gatto.
Isabella lo cercò per un po', più per altruismo che per amore effettivo per gli animali. Pensò che se Corrado si fosse rimaterializzato, sarebbe stato rincuorato nel sapere che la sua palla di pelo non era morta di fame.

Ma non c'era.
Cercò sotto il letto, sopra al letto, dentro l'armadio, fuori dall'armadio, dietro le tende e davanti alle tende. Non lo trovò.
“Sarà scappato.” Disse una voce fuori campo.

Ecco, nella eventuale versione cinematografica questa scena sarebbe molto più semplice da descrivere: fate finta che la voce appena sentita era, di fatto, familiare.

Entrò dalla finestra che dava sul cortile interno del condominio, contemporaneamente alla voce, la testa di un ragazzo caucasico, capelli castani e disordinati.

A questa testa era già diretto un bicchiere che Isabella prontamente gli lanciò contro.














La legge di Poe constata che senza nessun tipo di emoticon, la parodia dell'estremismo e l'estremismo puro non sono discernibili.
Se un testo si mantiene sulla zona grigia del non essere prettamente parodistico e del non essere esattamente rappresentativo di un genere, pur mantenendo i punti chiave dello stesso, come si definisce?”


Quel bicchiere ti ha fatto male”



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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Capitolo 2


Møbel prese una decisione importantissima, dopo che il bicchiere lo prese in pieno.
Decise di svenire.
Svenendo ha aiutato me narratore a saltare parte della narrazione per simulare una dinamicità inesistente, quindi di per sé mi ha fatto apparire migliore di quello che sono in realtà, e in più mi ha aiutato a citare Dante che, come tutti ben sanno, svenne ogni qualvolta non sapeva come continuare nella Commedia. Quindi, io, per continuare la tradizione innovativa italiana di non discostarsi mai da quello che hanno scritto Dante e Petrarca nel quattordicesimo secolo, farò svenire Møbel per ancora un paio di volte, poi mi annoierò e troverò altri modi di proseguire la narrazione. Forse.

Come sei entrato?” chiese Isabella inviperita, dimenticandosi di come fosse entrato dalla finestra.
“Dalla finestra” rispose Møbel.
Ci furono degli attimi occupati soltanto dal rumore del corrugarsi della fronte di Isabella.
“Perché mi hai lanciato un bicchiere?”
Møbel non era un individuo particolarmente brillante. Cioè, era brillante, ma in un numero altamente limitato e selezionato di campi, come quello del percorrere brevi distanze senza morire e quello dell'entrare dalle finestre.
Sapeva esattamente come fare e come sono state fatte le cose, ma le motivazioni dietro alle cose gli sfuggivano.
“Sei entrato dalla finestra.”
“Sarei entrato dalla porta, non l'avessi chiusa.”
In meno di trenta secondi di reciproca conoscenza, per colpa dei cliché di genere, i primi screzi tra i due coprotagonisti già si erano creati.


Se si pensa alla presentazione generale di tutti gli altri gialli post-moderni questo dettaglio è superfluo ma onnipresente.
Si presentano, sotto forma di archetipi, fin dai primi attimi, due caratteri differenti e inconciliabili, ma per qualche ragione, il rapporto funziona sempre.

“Dammi una buona ragione per non farti anche uscire dalla finestra.”
Questo tipo di affermazione, invece, non è tipica dei gialli in generale, quanto caratteristico della miriade di donne amazzoni della letteratura post-rivoluzione femminista degli anni 60. Le informazioni che ci da sul carattere di Isabella sono molteplici ed efficaci: sappiamo che è emancipata, che questo sia dovutamente a una backstory tragica o ad una semplice sopravvivenza nella giungla che è la laurea in giurisprudenza in Statale.

“Se l'avessi voluto fare l'avresti già fatto.
E in più, non scoprirei mai che genere di crimine c'è stato.”
Per quanto Isabella corrugasse la fronte, Møbel non reagiva.
“Scoprirai? Non vorrai mica dire “scopriresti”?”
“No, no” rispose lui, alzandosi da terra “non ho la benché minima idea di cosa sia successo qui” a quel punto il signorino prese un fazzoletto dal bancone a isola della cucina e se lo mise sulla fronte.
“Ma non stai sanguinando” Il fatto che non stesse sanguinando non era l'unico quesito che aveva la giovane.
“Sì, lo so che adesso non sto sanguinando”
Isabella fece quella cosa con indice e pollice che stringono i lati del naso, poi sospirò”
“Quindi chi sei e perché sei qui?”
Il giovane spettinato, che nel frattempo aveva cominciato a sanguinare dalla fronte, si mise a posto i pantaloni khaki e porse la mano alla ragazza.
“Mi chiamo Møbel, e non ho la minima idea di perché io sia necessario in questo posto. E proprio per questo sono qui.”


La povera ragazza non riusciva a capacitarsi di quello che stava succedendo, quindi fece l'unica cosa ragionevole in questo tipo di situazioni, ovvero, si fiondò verso la porta e tentò di aprire il migliaio di serrature tipiche delle porte di Milano.

Te ne vai di già?” chiese lui, stranito.
Lei cominciò a urlare e a battere i pugni sulla porta, come ogni persona dotata di senno farebbe dopo aver visto uno che sanguina dalla fronte a comando.

Siamo a Milano, per quanto batterai sulla porta e urlerai, otterrai soltanto degli insulti dai vicini.”
Isabella si rannicchiò con la schiena alla porta e cominciò a respirare in modo affannato.
“Capisco il tuo stato d'animo, ma posso spiegarti tutto. Lascia che ti aiuti” disse lui, ottenendo soltanto che la ragazza prendesse una scopa e gliela puntasse contro.
Ci furono degli attimi di silenzio utili solo ad uno scambio di sguardi intenso che portò all'abbassamento della scopa.
Poi lui ricominciò a parlare.

Non c'è un cadavere. Quindi non lo possiamo chiamare omicidio. “
“Scusa?”
“Dico, non vedo cadaveri e non sento puzza di cadavere triturato e scaricato nella vasca da bagno.
Niente sangue in giro, quindi immagino che non ci sia stata neanche un'aggressione alla pari.
La casa è in ordine, quindi anche un'irruzione in senso comune è da escludere.
Niente segni di lotta, o presenza del proprietario, quanto meno.”
“Continuo a non capire. E se fossi io la proprietaria?”
“Non hai più di venticinque anni. Non ti puoi permettere questo appartamento, o un qualsiasi appartamento in questa zona. O un qualsiasi appartamento.”
La prima deduzione di ogni giallo ha sempre lo stesso fine: deve creare fiducia tra il componente Sherlock del duo e il resto del mondo. Il primo deve dimostrare di avere delle buone intenzioni e che ci sia del buono nelle proprie capacità. Passando immediatamente alle deduzioni poi, si può saltare la parte in cui i comportamenti degli altri personaggi vengono spiegati.
“Ora te lo chiedo per l'ultima volta. Perché sei qui?”

Credo per trovare chiunque abbia rubato quel centinaio di lampadine, che dovrebbe essere la stessa persona che ha rapito il proprietario di casa.”
“Ma perché?”
“Perché rubare delle lampadine, perché rapire il proprietario di casa, o perché sono qua?”
Isabella avrebbe voluto chiedere tutti i perché del mondo.
“L'ultima.”
“È semplice, cara “ancora non ti sei presentata”, c'è bisogno di me.”
Finalmente “Isabella, comunque” smise di fare domande stupide in un giallo. Certo, questi personaggi possono anche leggere un libro, ogni tanto.
“L'unico dettaglio importante sono queste piume.”

Sherlock, dopo le deduzioni, trova una prova, la prima di una lunga serie, che non corrisponde a quello che gli altri componenti della trama pensavano che fosse.

Non è del divano?”
“Tu hai sempre vissuto a Milano?”

Che c'entra adesso?”
“Nulla, “Isabella, comunque”, se non che almeno ho una motivazione valida sul perché tu non sappia riconoscere le piume di pulcino da quelle del divano.
Che poi, il divano non è un tipo di uccello.”



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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Capitolo 3


Saltando propriamente le scene che logicamente ci dovrebbero essere, si può evitare di dover spiegare perché o come i due protagonisti si stiano aiutando a vicenda. Se si segue questo metodo, un modo efficace per farlo è evitare in qualsiasi modo di dire che si è cambiato luogo, in modo tale da confondere il lettore. Come per ogni incipit degno di nota, l'inizio in medias res aiuta.
Premete invio, cambiate paragrafo, mi raccomando.


“Quindi l'universo ti parla.” disse lei, ancora più confusa di prima.
“No, l'universo non parla. Non ha una vera e propria bocca. La questione è molto più sottile di quanto lo si faccia. Devi pensarla in un modo non-antropomorfo. D'altronde, se gli asini avessero una divinità, avrebbe la forma di un asino, e questo concetto sta alla base dell'antropologia inversa come strumento per lo studio della teologia di culture e religioni estere. Però io ascolto l'universo.”
Isabella era visibilmente confusa. Aveva già sentito qualcuno parlare così, ma non sapeva dove. Era stato anni fa, ma non riusciva a collegare dove.
“Quindi tu ascolti l'universo. E che ti dice?”
“Ascolto quello che devo fare.”
“Ma perché?” replicò immediatamente lei.

Questo, ogni tanto, è il problema. Non mi comunica mai il perché. So solo che devo fare una certa cosa, ad un certo punto, ad una certa ora. Il risultato è che io non so perché dovessi venire in Corso Vercelli, o che dovessi andare proprio in Corso Vercelli, eppure ci sono arrivato.
Adesso potresti slegarmi dal termosifone?”
Isabella aveva imparato a legare le persone a qualsiasi tipo di mobilio, dalle testiere del letto alle cucine a isola, grazie ad alcuni documentari a cui si era appassionata durante le notti solitarie passate a studiare per una triennale presa in due anni e mezzo.
“Capisco lo sgomento. Quando me ne resi conto ero nella tua stessa situazione. Solo, senza maestria nel fare i nodi. Eri una scout?”
Qualsiasi cosa detta da lei avrebbe potuto essere mal'interpretata. Quindi non disse nulla.
“Senti, la spiegazione più semplice è sempre quella corretta. Quindi, o ho poteri magici, o l'universo mi comunica le cose.”
Effettivamente, per Møbel, solo una di queste aveva senso, ed era quella che l'universo gli comunicasse “le cose”.
Isabella ci pensò su. Quel giochino del fazzoletto e del sangue le dovrebbe aver detto qualcosa, d'altronde.
“Sei tipo un'illusionista e mi stai tirando scema, vero?”
“No. Guarda, io ti chiedo soltanto di credermi, almeno fino a che non avrai la prova che io ascolto effettivamente l'universo.”
“Crederti? Sei in un appartamento non tuo e, guarda, dobbiamo proprio ricominciare con sta storia della finestra?”
Isabella anticipò il narratore tagliando corto con la storia della finestra.
“Sì, lo so, ma perché sono qui?”
“È proprio quello che ti sto chiedendo da un bel po'.”
“Giusto, e hai trovato una risposta?”
“No.”
“Ecco, possiamo cominciare da questo. Di chi è l'appartamento?”
Isabella, rassegnata, si rimise seduta per terra con la schiena alla porta, sull'orlo di un pianto nervoso.
“Sai che ti dico? Va bene. Non che io ti creda o che non stia per chiamare i carabinieri, ma sto al tuo gioco. Tanto non è che ti sleghi da quel termosifone.”
Qual era una parola di sicurezza?”
“Cosa?”
“Nulla. Quindi di chi è l'appartamento?”
“È di Corrado.”
“E lui è per te...”
“Il mio capo.”
“Ecco, ma il tuo capo che lavoro fa?”
“Fa l'investigatore privato.”
“Tipo...Sherlock Holmes o quello di Hawaii Five coso?”
“Tipo nessuno dei due. Principalmente pedina le mogli o i mariti o entrambi del cliente di turno. La televisione e i mass media fanno sembrare il lavoro dell'investigatore qualcosa di emozionante, ma in realtà stai in un pandino coi vetri oscurati per un terzo della giornata ad aspettare.”
“Il pandino quello nuovo o quello vecchio?”
“Un pandino dell'ottantotto verde menta coi vetri oscurati.
Ma perché lo vuoi sapere?”
“Ah, nulla. Solo curiosità. La mia prima macchina era un pandino 750 bianco. N'ero innamorato.”
“Eri?”
“L'ho incidentato dopo due mesi.”
Ci furono altri attimi di silenzio. Il silenzio era popolare tra i due.
“Dovrei...dovrei farti le condoglianze? Perché non sono dell'umore adatto, sai, con il mio capo scomparso.”
“Ah già. Quando l'hai visto l'ultima volta?”
“Due giorni fa.”
“E da quanto lo stai cercando?”
“Circa un giorno.”
“È troppo presto. Non troveremo nulla adesso.”
“In che senso non troveremo nulla? Al massimo troveremo più indizi ambientali adesso.”
“No, non è così che funziona.”
“Sì, è così che funziona.”
Per l'ennesima volta, il silenzio. Il narratore ad un certo punto si stancherà pure di parlare di silenzio.
“Sai cos'è il principio di Pareto?” disse lui.
“Dimmi che non è un'altra delle tue stronzate sull'universo.”
“È una delle regole che governa tutti i campi dell'universo.”
Isabella sprofondò la sua faccia in mezzo alle ginocchia.
“Perché ti sto anche ad ascoltare?”
“Essenzialmente, il 20% di qualche cosa sarà responsabile dell'80% di qualcos'altro.”

Ma di cosa stai parlando?”
“Beh, di tutto, anche se in realtà è una legge economica e statistica. Ora, lui è sparito da due giorni, giusto? Due giorni sono 48 ore. Il 20% di 48 ore sono 9,6 ore. Durante le ultime 9 ore e 36 minuti dei due giorni che ha passato da scomparso troveremo l'80% delle prove relative alla sua sparizione. Quindi, visto che sono circa le due e dieci, e stabilendo che Corrado è scomparso circa a mezzanotte di due giorni fa, tra quattordici minuti cominceremo a vedere le prove. Almeno l'80% di esse.”
“Ma tu hai deciso adesso tutto questo, o te lo sei sognato ieri notte? Non ha nessuna logica.”
“Ma anche se non ha una logica, l'universo ha voluto che io ti dicessi tutto questo.”
“Basta, va bene, l'ho capito. Sei un drogato. Non avrei dovuto infierire. Ora ti lascio andare...a fare qualsiasi cosa l'universo ti dica che devi fare.”
“Sicura di non aver bisogno di me?”
Isabella lo guardò fisso mentre disfaceva i nodi.
“Sicura.”
“Sicura sicura?”
“Sì, sicura. Adesso vai a fare qualsiasi cosa, però fuori di qui.”

Lo slegò e lo sbatté fuori dall'appartamento. Prese un grande respiro. Tirò fuori dallo zaino il telefono. Nessuna chiamata, nessun messaggio. Né da Corrado, né da qualsiasi altra persona.
Isabella, da buona milanese, alle 14:15 di un qualsiasi giorno cominciava ad avere fame, quindi frugò un po' nelle varie dispense. Corrado aveva solo scatolette di pesce. Sgombro, tonno, acciughe, una mezza verdesca sottolio.
Isabella sentì vibrare il telefono. 14:24.

Una mail da Amazon. C'erano trenta metri di corda in sconto.
Aggiunse al carrello, e proprio appena prima di pagare, un furgoncino bianco fece casino in strada, schiantandosi tra una macchina della polizia e un palo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Capitolo 4


Il ragazzo finalmente ebbe l'opportunità di utilizzare la porta d'ingresso dell'edificio. Non trovando il pulsante apri porta, accese tutte le luci delle scale, poi provò a spingere, poi a tirare, poi bussò al portinaio, che, da buon portinaio, era in vacanza, e infine capì che doveva semplicemente usare la maniglia.
Uscì in strada, e notò la polizia di cui tanto si era preoccupato in precedenza troppo indaffarata a capire come ci fosse arrivato un furgoncino senza guidatore tra una delle loro macchine e un palo della luce per notare la sua presenza.
Alzò lo sguardo e vide Isabella sporgersi dalla finestra.
La ragazza non pensava al fatto che è risaputo che è pericolosissimo, ma lei, come ogni donna della letteratura post moderna che si rispetti, era sprezzante del pericolo. Non si sa perché, ma deve essere un qualcosa relativo al fatto che, per come ragionano alcuni ambienti letterari, le donne forti e senza paura corrispondono per forza a personaggi femminili ben scritti.
“Che ore sono?” gridò Møbel.
“Che importanza ha?” replicò, sempre urlando, Isabella.
“Le due e ventiquattro” disse la vecchia del primo piano “e ora smettete di rompere il cazzo!”
“Grazie!” urlò Møbel, non recependo il messaggio.


Nel mentre che la vecchia era rientrata borbottando in dialetto, intorno al furgone si erano radunati diversi spettatori.
Un furgone che si guida e si “parcheggia” alla milanese da solo era l'ultimo ritrovato della tecnica e della tecnologia nostrana, ma proprio mentre uno dei vari carabinieri stava vedendo se almeno fosse aperto, sul finestrino batté il becco di una gallina.
Il carabiniere sobbalzò. Non so dire se dalla paura o dalla sorpresa.

Guidatori così esperti erano una rarità a Milano, quello era vero, esattamente come il fatto che le patenti non possano essere rilasciate alle galline.
È anche vero che l'avere una patente non è un requisito per poter guidare, come averla non è per forza sinonimo di saper guidare.

Il carabiniere si riprese, non poteva aver paura di un uccello che non vola, e aprì la portiera della macchina.
“Bguok!” disse la gallina.
“Bguok!” urlò Møbel.
“La smetti di rompere il cazzo?” urlò la vecchia.
Il volatile si dimenò in mezzo alle forze dell'ordine saltando e beccandosi una strada in mezzo alla folla, fino a che non arrivò davanti al nostro protagonista.
Quest'ultimo, sorpreso, capì che doveva prendere sotto braccio il volatile. Il gallus gallus domesticus, incurante dell'odore di sudore dell'ascella di Møbel, rimase calmo e smise di urlare “Bguok!”, per la gioia della vecchia.

I carabinieri, ovviamente, si avvicinarono al nostro eroe.
“È sua la gallina?”
“Ha appena presunto il suo gender?”
“Cosa?”
“Dico, ha appena presunto il suo gender?”
“Ma cosa sta dicendo?”
“L'ha chiamata “Gallina” quando può essere tranquillamente un “Gallo” in transizione.”
“È una gallina perché sembra una gallina in quanto non è un gallo, e sicuramente questo uccello non è un gallo.”
“Ah, quindi adesso la donna è solo una contrapposizione dell'uomo?”

Ciò che il povero poliziotto ignorava era il dibattito della questione generesesso che infiammava tutti gli ambienti di sinistra anglosassoni.
Ciò che il povero Møbel ignorava era il completo disinteresse da parte del resto del mondo.

I poliziotti si guardarono tra di loro. Quelli non interessati alla conversazione facevano spallucce, quelli più vicini all'azione, invece, annuivano tra di loro.
“Facciamo gli spiritosi, quindi.”
“Beh, no. Perché vi serve l'animale?”
“Potrei farti la stessa domanda. Te lo richiedo un'ultima volta. Il volatile è tuo?”
“No.”
“E allora perché l'hai preso?”
“Beh mi sembrava nervoso, e poi ha appena fatto un incidente in macchina. Potrebbe essere in stato di shock, ha bisogno di cure. Ma voi non dovreste pensare a come è arrivato qua ?”

Le forze dell'ordine ci pensarono un po'. Parlottarono tra di loro. Potevano fermarlo per ostruzione d'indagine, o per semplice schiamazzo, oppure potevano fare come facevano per i profughi, potevano portarlo dentro con un accusa di spaccio in mancanza di prove.
Nel frattempo, il nostro eroe si era già dileguato.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Capitolo 5

Tu hai rubato la gallina?”
“Anche tu. Non sai se è una gallina o un gallo in transizione.” rispose a Isabella.
“Perché l'hai fatto?”
Møbel ci pensò su. Non c'era una vera e propria ragione, se non quella che ci fosse una gallina.
“Sono un cleptomane.” disse lui.
Isabella pensò a tutto quello che gli aveva sempre detto Corrado, quello che ora, per motivi di archetipi relativi al genere letterario di questo testo, dobbiamo definire suo mentore.
Le veniva in mente solo “non fumare in macchina o non ti pago”
Allora la signorina provò a pensare a tutt'altro. Si rese conto che per semplificare la trama poteva semplicemente cedere e accettare che la gallina avesse qualche importanza, anche perché non ci sarebbe stata se non avesse avuto nessun tipo di rilevanza, che oramai siamo arrivati al quinto capitolo e nulla di tutto quello che è stato scritto ha un briciolo di senso e i lettori cominciano ad annoiarsi.
Isabella si alzò dalla sedia della cucina, appoggiò la scatoletta di tonno che nel frattempo si era messa a mangiare, andò nel corridoio e tornò con una lavagna bianca coperta da un telo: oramai si era rassegnata pure lei.

“Non hai pennarelli, vero?” disse lui.
Lei ancora non era chiaramente cosciente di essere all'interno di un romanzo e sarebbe bastato un piccolo deus ex machina per farli apparire dal vaso alla sua destra, quindi cercò dove aveva trovato la lavagna. Che poi, col senno di poi, è il posto più logico dove potevano essere.
Li trovò lì, ma nel mentre che lei era nello stanzino, il coprotagonista aveva già levato il telo, rivelando solo a lui e al gallus un plot twist importantissimo: la lavagna era piena di scritte e scarabocchi.
Quello che appariva davanti a quelle tre paia di occhi sembravano le lyrics di una canzone di Battiato.
La parola IKEA compariva al centro della lavagna, cerchiata più volte. Da uno dei cerchi partiva una freccia che puntava alla scritta COMODINO.
Due bollette dell'a2a attaccate con lo scotch nella parte inferiore, bollette da 3500 euro di un edificio della parte est di Milano, erano affiancate dalle scritte “VEGANI?” e “UOVA”.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Capitolo 6


Quindi hai idee?” chiese Isabella.
“Beh, in realtà no. Oramai è un po' di tempo che l'universo non ci sta dicendo nulla.” disse Møbel, ignorando di avere in mano un uccello arrivato su un furgoncino mentre stava davanti a una lavagna con tutti gli indizi possibili per risolvere il caso.
“Forse dovremmo andare all'IKEA.” continuò lui, dimostrando non solo di saper camminare brevi distanze senza morire, ma anche di saper leggere.
Isabella era oramai rassegnata a farsi muovere come gli escrementi dalla corrente del mare, e ancora non sapeva quanti escrementi ci potessero essere in questa trama.


Arrivati a Corsico col pandino, i nostri due coprotagonisti e il volatile si persero nel parcheggio.
“Dovevi proprio portarti dietro la gallina?”
“Credo abbia un nome, sai? Ha la faccia di un animale che ha un nome.”
Isabella respirò nel modo più rumoroso che il buon dio delle trame campate per aria e delle reazioni esagerate dei testi le permetteva.
“Quale sarebbe il suo nome?”
“Rosit*.” Møbel schivò così una denuncia per copyright infringement, grazie ad un asterisco.
“Rositasterisco.”
Il nome comunque rimaneva Rosita Sterisco, ma questo non lo si nota se si parla velocemente, e il narratore conviene che è meglio non calcare su questa battutaccia.
Come ogni volta in cui si sentiva perso, Møbel decise di provare a contare le persone ferme per stabilire dove e quando girare. Essendo in un parcheggio, le poche persone che c'erano stavano o andando verso l'IKEA, o andando verso le macchine.

La mancanza di persone ferme da contare mandò in crisi il povero Møbel, obbligato a trovare altri modi per trovare l'entrata nel negozio, dimenticandosi che se la gente si stava dirigendo verso l'ingresso, molto probabilmente sarebbe bastato seguirle.
Eppure così non avrebbe rispettato una delle sue tante regole create in mesi di dura crisi mistico-spirituale.

Questa era partita per caso, quasi per sfizio, quando decise di levare tutti i soprammobili dal loculo in cui viveva: meno oggetti c'erano, meno avrebbe dovuto spolverare. Una logica di fondo in realtà ce l'ha sempre avuta.
Nel frattempo, Isabella, annoiata dall'aspettare che un coprotagonista in piena epifania si svegliasse, decise di cominciare a trascinarlo verso la porta del negozio.

Mentre la nostra locomotiva delle trame poco elaborate trascinava il nostro protagonista ossessionato dagli articoli sul digiuno intermittente e da James Joyce, la stessa locomotiva sentiva di dover riempire il silenzio, con un insulto o una domanda chiarificante, un po' come se il narratore glielo stesse dicendo con una prefazione chilometrica.
“Ma te lo dice l'universo di fare il rincoglionito?”
Lui, scosso dalla sua epifania neanche il suo nome fosse Molly Bloom, tentò di spiegare perfettamente ciò che stava succedendo.
“L'universo ha delle regole molto semplici.

  • Mai mangiare la neve gialla

  • Mai abbandonare il proprio bagaglio

  • Rimanere sempre in vita

  • Guardare sempre il sole con gli occhiali

Adesso, se mi consideri come il tuo bagaglio, allora entrambi abbiamo rispettato le regole del gioco. Tu non hai abbandonato il tuo bagaglio e entrambi siamo rimasti in vita, e non mi pare sia stagione di neve. In più, siamo a Milano. Non si vede il Sole dal 1931, quindi non c'è neanche il rischio che tu lo possa fare.”
“La tua famiglia non ti ha mai voluto internare?”
A questo punto il nostro coprotagonista, oramai sulla soglia del superstore, aveva un'espressione molto confusa. Lui, tra tutti, un'espressione confusa. Indubbiamente era relativa alla sua backstory tragica di cui ancora non si sa nulla, ma che si comincia a delineare come un qualcosa su cui si possa speculare nelle menti dei pochi lettori.


Entrati nel negozio di mobili, cibi, stili di vita e lampadine a incandescenza, i nostri protagonisti si trovarono di fronte al solito labirinto di arredamenti minimal e lavoratori part-time con poca voglia di vivere senza una vera e propria strada da seguire: certo, in una qualsiasi IKEA la strada è sempre una sola e l'oggetto che si sta cercando è sempre l'ultimo prima delle casse e della conseguente uscita, ma loro non sapevano ancora cosa stessero cercando.
“Dici che le vendono le lampadine?” chiese lei.
“Se ti impegni e metti i soldi nelle tasche giuste puoi trovare gli organi. E gli strumenti musicali hanno una sezione propria.”
Lui era stranamente informato su cosa succedesse all'interno del superstore, come se fosse parte della sua backstory tragica.
“Lavoravi qui?” chiese Isabella, invitando il nostro coprotagonista distratto a condividere il suo passato.
“No, no. Mai lavorato in vita mia.”
“Come sarebbe a dire che non hai mai lavorato? Come sopravvivi?”
I casi erano due: o la famiglia che non l'ha mai internato gli pagava tutte le spese, o avrebbe partorito un'altra delle sue stronzate sull'universo.
“L'universo provvede a me”
Ovviamente, la risposta più ovvia è sempre quella giusta.
Isabella, stranita, cominciò a non dargli più tanto peso e si diresse, con un finto fare indaffarato per evitare che Møbel decidesse di continuare con le sue dissertazioni sull'universo.
Era principalmente colpa della nostra protagonista, comunque: dopo che uno ti dice di non mangiare la neve gialla e di non abbandonare mai il tuo bagaglio non gli chiedi di parlarti della sua vita.

Mentre i nostri protagonisti ragionavano, in rigoroso silenzio come erano soliti tenere, con una gallin* sotto l'ascella, su cosa dovessero fare lì, a Isabella venne in mente una cosa, proprio mentre guardava il custode del volatile.

Møbel, come scrivi il tuo nome?”
“Con una penna, o con una tastiera.”
“Dico, come lo scrivi?”
“Prima la M, poi la O, poi la B, poi la E, poi la L, poi aggiungo la sbarretta alla O.”
“E perché questo nome?”
“Beh, perché è la prima cosa che mi è venuta in mente.”
“In che senso?”
“Mi sono svegliato senza ricordarmi nulla, e la prima cosa che ho visto era una cassettiera Møbel.”
“Come sarebbe a dire?”
“Che mi sono svegliato qua all'IKEA, davanti ad una cassettiera Møbel. Credo che sia tu quella da internare. Continui a farmi domande stupide.”
“Tu ti sei svegliato qui e non sapevi dove fosse l'entrata?”
“A mia difesa, io mi sono svegliato all'interno del negozio, non avevo bisogno di sapere come entrare.”
Pur non avendo torto, il nostro protagonista si rivelava avere sempre meno senso.
“Perché non mi hai detto che hai avuto un'amnesia o che ti sei “risvegliato” proprio qua?”
“Non è che ci conosciamo così bene da dirti cose così intime.”
Proprio mentre gli animi si scaldavano su una backstory tragica campata per aria e non detta al momento opportuno, perché quando mai è spiegata nei modi e nei tempi adatti, la gallin* decise di scendere dall'ascella del suo custode per andarsene per i fatti suoi, ovviamente con la velocità di una gallina normale, il tutto per dirigersi, col passo di una gallina normale, nel posto in cui tutte le galline normali dovrebbero andare, almeno una volta ogni tanto.
In bagno.

Il nostro protagonista, pur avendola prelevata, si era dimenticato che questa era un animale vero e proprio, con bisogni corporali ben precisi.

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