Nome In Codice: Mello

di Novelist Nemesi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Coraggio ***
Capitolo 2: *** Divisione ***
Capitolo 3: *** Corrispondenza ***
Capitolo 4: *** Adulto ***
Capitolo 5: *** Sfida ***
Capitolo 6: *** Copertura ***
Capitolo 7: *** Roma ***
Capitolo 8: *** Aspettami! ***
Capitolo 9: *** Lady ***
Capitolo 10: *** Ritrovo ***
Capitolo 11: *** Fratello ***
Capitolo 12: *** Sopravvivenza ***
Capitolo 13: *** In Balia ***
Capitolo 14: *** Dancing Dead ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Coraggio ***


Tu sei l’orgoglio della nostra famiglia. Sei il futuro della nazione. Riporta il popolo tedesco al suo splendore.

Quando era bambino non capiva bene cosa volessero dire quelle parole.
Dicembre si faceva sentire grazie al freddo pungente e ai primi fiocchi. Finalmente avrebbe visto qualcosa di bianco, al contrario del grigio e del nero dei cumuli di rovine e gru che si stagliavano sulla Berlino dell’epoca. Anche se erano passati tanti anni dalla guerra la Germania non aveva dimenticato, i tedeschi erano ancora divisi in due o più fazioni, tra cui gli estimatori del fuhrer.
Erano tempi cupi per la Germania dell’epoca, e non era passato nemmeno un mese dal crollo del muro grazie all’intervento di coloro che volevano la possibilità di passare da una parte all’altra della città senza essere controllati da una sentinella, col rischio di beccarsi una pallottola alla tempia.
Comunisti o nazisti che fossero, la realtà era che qualcuno finiva sempre per lasciarci la pelle.
Berlino era libera e prigioniera ancora di un qualcosa che andava oltre il nazional-socialismo, oltre la parità dei diritti, oltre il comunismo della Germania est.
Berlino aveva perso sé stessa.
Quindi non c’era da stupirsi se la gente sembrava vuota, non c’era da stupirsi se la televisione mandava in onda, tra una pubblicità e l’altra, le parole del defunto, per disgrazia o per fortuna, fuhrer, Adolf Hitler. Parole che nel piccolo erano impresse già da quando ne aveva memoria. La sua famiglia era una di quelle che speravano che qualcuno riportasse la Germania al prestigio che Hitler era riuscito a dare, in un modo o nell’altro.

9 dicembre 1999
Erano passati dieci anni dal crollo di quel muro, mentre mancavano quattro giorni al suo decimo compleanno.
-Mamma, perché ci sono ancora i resti del muro?- chiese il bambino indicando ciò che c’era fuori dalla finestra.
-Perché devono finire dei lavori sul ricordo che hanno lasciato quei bigotti dei comunisti alla nazione. Sai quante persone sono morte nel tentativo di scavalcare? 133, o anche di più. i comunisti sono tutti così, belle parole, ma non esitano a ucciderti per paura di ribellione. Ah, se solo ci fosse il fuhrer la Germania sarebbe ancora al suo splendore…-
E così finchè non trovava qualcosa con cui distrarsi. Il bambino continuava a guardare alla finestra.
Muro o non muro, per lui la situazione non mutava tanto: la gente rimaneva triste e scocciata.
Mentre se ne stava in pace a decorare il suo cappellino per il compleanno, sentì la porta chiudersi. Era ora di cena, forse suo padre era tornato a casa. Sentiva borbottare, dall’altra stanza, sembrava dal salotto. Una prassi quotidiana ormai. Da quando era piccolissimo suo padre e sua madre non erano mai contenti di niente. il lavoro del padre non andava molto bene, e dava la colpa di tutto ai comunisti che avevano rovinato il prestigio del padre del padre del padre e via discorrendo.
Finché non ci fu un attimo di tregua da riservare alla cena.
-Mihael! A tavola, forza!-
-Arrivo!- posò il cappellino, colorato a metà, e si presentò davanti al padre, porgendogli le mani.
Il padre lo scrutava serio, fino a dargli uno schiaffo sui piccoli palmi –Non sono lavate come si devono, queste mani! Non sei mica un ebreo! Fila a lavartele!-
Quegli schiaffi non facevano male e Michael c’era abituato. In realtà voleva bene ai suoi genitori, non gli avevano mai fatto mancare nulla. Suo padre era severo di natura, anche se lui diceva che era colpa dei comunisti e degli ebrei che avevano incattivito, con le loro malefatte, la nazione tedesca.
A tavola il silenzio era rotto dalle posate e dalla televisione, e di tanto in tanto qualche chiacchierata.
-Mihael, stai seduto composto altrimenti ti sporchi!- sua madre era sempre apprensiva. Severa e apprensiva.
-Come va la scuola, Michael?-
-Bene, papà… Oggi hanno fatto una nuova sezione… Per quelli stranieri…-
-Scommetto che sarà una classe di comunisti… Oggi non sei uscito con gli amici? C’è la neve, di solito esci sempre a giocare-
-Erano tutti impegnati. E io non ho chiesto perché, per non essere invadente, come mi dici sempre tu, papà-
-Bravo, figliolo- il padre gli riservava sempre degli sguardi ammirati –Capelli biondi e buona educazione… Sei l’orgoglio della nobile razza ariana, Mihael-
Il giorno dopo Mihael era sempre più elettrizzato all’idea di festeggiare i suoi dieci anni. suo padre le ferie non era riuscito ad averle, ma poco importava.
Vide i suoi amichetti avvicinarsi alla sua finestra.
-Ehi, Mihael! Scendi, scendi!-
Non se lo faceva mai ripetere due volte.
E quel giorno i suoi amici avevano un’idea migliore che giocare a palle di neve –Oggi facciamo una prova di coraggio! Andiamo davanti al Berliner Mauer, vicino alla bancarella dei libri usati! C’è una cosa che dovrai fare per dimostrare di essere un vero uomo!-
Mentre si dirigevano laggiù con le loro biciclette, Mihael si chiedeva cosa sarebbe successo, cosa avevano in mente i suoi amici. In parte, più che paura, era solo preoccupato per le conseguenze. Troppo cervellotico, Mihael Keehl. Glielo dicevano sempre.
Svoltarono qualche angolo a piedi, per non dare nell’occhio agli adulti, e arrivarono davanti a un fornaio.
-Ci sei mai stato da queste parti?-
-No-
-Quel forno appartiene a una famiglia ebrea. Qui ci vive una piccola comunità-
-E allora?-
-Vediamo se hai il coraggio di andare a comprare un pezzo di pane da loro!-
-Ma sono ebrei! Se i miei genitori lo vengono a sapere…-
-Ma i tuoi genitori non verrebbero mai in un quartiere ebreo! Dai, dai, vediamo se ce la fai!-
Suo padre gli diceva spesso che gli ebrei erano cattivi e che non esitavano a picchiare se si trovavano davanti un ariano. E quando Mihael chiedeva perché si sentiva sempre rispondere “perché sono gelosi della nostra razza”.
A dieci anni dal crollo di quel muro, a chissà quanti dalla fine della guerra, Berlino non era ancora cambiata del tutto. O forse sarebbe cambiata in peggio se Mihael avesse dato retta ai suoi amici.
Che farai, Mihael Keehl?

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Capitolo 2
*** Divisione ***


Ormai era davanti alla porta, non poteva tirarsi indietro, sentiva distintamente i fischi dei suoi amici, lo incitavano a continuare.
Il campanellino della porta era un chiaro segno che non poteva più tornare indietro.
Nessun cliente in quel momento, solo un uomo alto e snello, dall’aria sciupata e i capelli brizzolati, in un grembiule bianco immacolato. Di pane ce n’era in abbondanza invece. Forse non andavano bene gli affari, pensò Mihael.
-Posso aiutarti?- chiese il signore. Mihael avvampò leggermente.
-V… Vorrei un pezzo di pane…-
-D’accordo. Che tipo di pane?-
Eh?
-Non lo so… Va bene qualunque cosa, basta che si mangi…- l’imbarazzo era troppo.
-Va bene… Ti manda la mamma a comprare? Guarda, ti do questo arrivato stamattina da Lipsia, bello fresco-
Solo quando il signore stava pesando il pane alla bilancia Mihael si accorse di non avere un soldo in tasca. Dannazione, ora che faceva? Disdica tutto? E coi suoi amici come l’avrebbe risolta?
-M… Mi scusi… Ma c’ho ripensato…-
-Non lo vuoi più?-
-N-n-non posso comprare…-
-Ah, non hai i soldi? Aspetta un secondo qui, allora- attraversò la porta alle sue spalle, e Mihael lo sentiva parlare una lingua straniera con una donna. Nel frattempo si guardò intorno: un piccolo negozio in legno, l’odore del pane, le pastorelle in mostra… Aveva un sapore antico, forse era uno di quei vecchi rifugi usati durante la guerra. La ristrutturazione allora doveva essere stata un bel lavorane. Aveva un qualcosa di accogliente.
Entrò un altro signore, cicciotello e con gli occhiali, in mano un giornale. Mihael si irrigidì, stringendo le spalle. Improbabile che qualche conoscente fosse da quelle parti, ma la paura era troppa.
La soggezione tra il fornaio appena tornato e quel nuovo signore si faceva sentire, e Mihael aveva il difetto di non riuscire a nascondere le cose.
-Buongiorno, signore Hesse. È venuto per il solito pane? Un attimo e sono da voi- si rivolse a Mihael –Se non puoi pagare, piccolo, potrai rimediare facendo un favore per me. Una cosa semplice: dovrai soltanto trasportare qualche sacco di pane nel furgoncino. Ti va bene?-
Non aveva molta scelta.
Fu una cosa che non lo occupò nemmeno mezz’ora, per fortuna, e poté prendersi quel pezzo di pane. Intanto i suoi amici lo avevano dato per disperso, e avevano agito di conseguenza.
-Se ne sono andati senza di me! Che vigliacchi! E se dicono qualcosa in giro…- era meglio non pensarci e incamminarsi subito verso casa.
Il freddo cominciava a farsi sentire, il naso arrossato e lui che si sfregava le mani. Avrebbe voluto un qualcosa di caldo, e soprattutto, le sue interiora avevano bisogno di scaldarsi. Prese il pezzo di pane e iniziò a mangiarselo, dicendosi soddisfatto che era buono. Dopotutto quel signore ebreo non era stato cattivo. Forse suo padre era stato soggiogato troppo dalle voci che c’erano in giro, ma in ogni caso non era ancora il momento di parlarne.
Finito il pane, le mani in tasca, Mihael non faceva che pensare al suo compleanno. Sua madre diceva sempre che avrebbero chiamato un sacco di amici e parenti, una festa in grande stile che tutto il quartiere avrebbe dovuto ricordare. Che diventava ometto, e che doveva cominciare a maturare e comportarsi da grande. Mihael non vedeva l’ora. Continuava a ripensarci finchè non si scontrò con un ragazzo alto e biondo, che riconobbe subito.
-Fratellone! Che ci fai qui?-
-Tu, piuttosto! Mihael, stai di nuovo tornando a casa dopo che i tuoi amici ti hanno dato buca?-
-No no no…- sorrise
-Sì sì sì… Dai andiamo. Stavo tornando a casa anch’io-
-E Mischa*?-
-Oggi ha lezione di pianoforte, quindi fa tardi. Dammi la mano, forza-
La persona che Mihael adorava di più di tutta la sua famiglia era senza dubbio suo fratello maggiore, Milhel. Voleva essere come lui, uno studente modello, allegro, rispettoso, e che riservava ancora tempo per giocare col fratellino. Aveva anche una sorella, Mischa, per l’appunto, una quindicenne castana dolce ma che, purtroppo, era spesso fuori per queste lezioni di pianoforte. Era brava, e suonava sempre qualcosa per suo fratello, quando era a casa.
-Fratellone, andiamo a mangiare qualcosa di caldo? Io ho fame e freddo-
-Stiamo andando a casa, Mihael, aspetta solo un po’-
-Ma io voglio mangiare adesso!-
-Allora se risponderai esattamente alla domanda che ti farò ora potrai mangiare quello che vuoi-
Mihael sorrise. Sfida accettata.
-Vediamo… Ecco, sì, devi dirmi chi era quel re della Bibbia famoso per il caso delle mamme-
-Il caso delle mamme?-
-Non posso sbilanciarmi oltre, Mihael. E hai, a partire da ora, venti secondi per rispondere-
-Ma io non l’ho studiato questo punto!-
-Tic, tic, tic…-
-Ma fratellone…-
-Tic, tic, tic…-
-Almeno un indizio…-
-Tic, tic, tic…- aspettò qualche altro secondo –Tempo scaduto! Mi dispiace, Mihael!-
-E chi era?-
-Che importanza ha, tanto hai perso!*-
Era sempre così. Domanda difficile o alla quale Mihael non sapeva dare risposta, studiava sempre per tenergli testa, era intelligente, eppure suo fratello riusciva a trovare il modo d fregarlo. Diceva che per battere l’avversario bisognava sorprenderlo superando le sue mosse, ragionare con la sua stessa testa.
Una cosa che Mihael non si scollava mai.
Una volta a casa l’atmosfera era più pungente del solito, anzi, non era mai stata tanto pungente. Milhel era stato convocato dai suoi genitori, e c’era anche Mischa. Mihael fuori, a spiare. Glielo aveva insegnato suo fratello a stare dietro le porte per sentire i pettegolezzi della sorella.
Forse era meglio non sentire.
La stanza piena di orsacchiotti di Mischa, un pianoforte, libri di scuola e scrivanie candide abbinate agli armadi e all’arredamento in generale sembravano solo un’illusione, che Mihael si accontentava di gustarsi per poco, ancora.
-Fratellone…-
-Mh?-
-E’ vero che tu e Mischa ve ne andate?-
Sicuramente aveva sentito, niente di cui stupirsi –Prima o poi, Mihael… Me ne sarei andato comunque. Ormai ho vent’anni e l’università mi tiene troppo impegnato-
-Ma Mischa se ne va-
-Mihael, è inevitabile. È così che hanno deciso-
-La mamma è cattiva…-
-Mihael, non lo dire nemmeno per scherzo. Mamma non ci ha mai fatto mancare nulla, ci vuole bene. Mai dovrai
rinnegare le persone a cui vuoi bene, indipendentemente dal torto che ti fanno. Fai del tuo meglio per proteggerli con qualsiasi mezzo, d’accordo? Altrimenti papà si sentirà solo se tu tieni il broncio. Sii sempre allegro e non perderti in troppi pensieri. Fai sempre del tuo meglio-
-Però… Perché?-
Milhel sorrise amaramente –Mamma e papà non vanno più d’accordo-
-Ma hai appena detto che se si vuole bene a una persona non la si lascia per nessun motivo-
-E’ un po’ diverso. Proprio perché si vogliono ancora bene preferiscono non peggiorare le cose. Quando le cose si mettono male si tende a evitarle. Ora, promettimi che farai del tuo meglio, ometto-
-Sì…-
Col tempo Mihael capì il concetto di divorzio e di affidamento. Lui col padre, Milhel e Mischa con la madre verso un altro posto, che non conosceva. Per il suo compleanno sarebbe rimasto solo col padre. A due giorni dai suoi dieci anni, come regalo ricevette una famiglia divisa.
-Papà, perché tu e la mamma non andate più d’accordo?-
Il padre non lo guardò in faccia, seduto sulla poltrona rigidamente, ma rispose lo stesso –I comunisti hanno rovinato il lavoro e con esso la vita matrimoniale. Il benessere è basato sul denaro, e il denaro si guadagna col lavoro, e trovando lavoro si assicura benessere alla propria famiglia. Quando questo va a mancare, la famiglia cessa di esistere. Ricordatelo, Mihael. Se non sei nessuno non vivrai a lungo-
Dovevano essere giorni particolarmente tristi, ma Mihael era tutto sommato ottimista: suo fratello aveva promesso che gli avrebbe scritto per il suo compleanno, anche se sua madre lo aveva vietato per qualche strana ragione che aveva giustificato con le cause d’affidamento. Ricordò le sue parole prima di salutarlo.
-Per fare in modo che nessuno ci scopra, io mi firmerò col nome di Maker, e tu col nome di Mello. Sono carini e facili da ricordare. Ti farò avere mie notizie entro le diciotto del 13 dicembre-

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Capitolo 3
*** Corrispondenza ***


Ore 18 del 13 dicembre 1999

Caro Mello,
col rischio  questa lettera venga letta non posso dirti dove siamo, ma ti dico che qui è una noia, e dedico tempo solo all’università. Mi manca farti domande difficili, sai? Oltretutto Mischa ha il raffreddore ed è snervante sentirla starnutire ogni cinque minuti!
La mamma è parecchio stressata perché qui di lavoro purtroppo ce n’è poco ed è già il quinto che tenta. Papà come sta? Digli di non stancarsi troppo e tu fai sempre il bravo.
A proposito, tanti auguri, ometto!

Il miglior regalo che potesse ricevere, senza dubbio.
Mihael, o Mello che dir si voglia, sfiorava la carta giallastra con cura, ammirato. Suo fratello aveva mantenuto la promessa! Non poteva sperare in una cosa migliore!
Suo padre invece ancora non tornava a casa: il lavoro lo occupava ormai a tempo pieno. Lo faceva per assicurarsi un benessere, sì, ma Mello pensava che qualche eccezione poteva anche farla. Ma non poteva opporsi molto a suo padre, altrimenti le punizioni volavano.
Finché il padre non tornò con in mano, oltre il giornale, anche un qualcosa di simile a un pacchetto regalo.
-Tieni, Mihael, per il tuo compleanno. Non potevo permettermi chissà cosa, fattelo andare bene-
-Grazie, papà- disse il bambino mentre scartava: una barretta di cioccolato ultra fondente. Meglio di niente.
A forza mangiava quel fondente. Troppo tutto. Ma un regalo era un regalo: forza, Mello. Così potrai vantarti con tuo fratello. Però faceva davvero schifo, quel cioccolato…
Il giorno dopo spedì furtivamente la lettera per suo fratello, rileggendola prima più e più volte, assicurandosi di non aver fatto errori.

Caro Maker,
grazie mille per gli auguri. Mi hanno regalato una barretta di cioccolato disgustosa che penso mi basterà per il resto della vita. Mai più cioccolata! Ho avuto un gran bel coraggio a mangiarla!
Anche qui è noioso, ultimamente si esce di rado, dicono che ci sono brutte compagnie e quindi per la nostra sicurezza al massimo giochiamo nei giardinetti di casa. Ha già smesso di nevicare e la neve si sta sciogliendo. Le scuole riapriranno, uffa!
Tanti saluti, stami bene.
P.S.: lo sai che se mischi il raffreddore si guarisce? Non lo sapevi, vero?

Anche quel giorno era come gli altri: il sole splendeva ma a Mello non piaceva come cosa. Voleva la neve! E voleva tornare a farsi dei giri in bicicletta con i suoi amici, che ultimamente se ne stavano a casa.
Non aveva mai visto personalmente queste brutte compagnie, ma pensava che era da vigliacchi darsela a gambe. Mai sottostare a nessuno, questo gli avevano insegnato.
I giorni passavano e le lettere andavano e venivano.

Caro Mello,
Mischa ha la febbre. Ho provato a mischiare il raffreddore già da prima che me lo dicessi tu, ma a quanto pare non ha funzionato. L’inverno da queste parti non perdona. La mamma però ha trovato finalmente lavoro, spesso deve restare fuori, ma per fortuna io posso badare alla casa.
Mi dispiace per il tuo incidente con la cioccolata ma voglio lanciarti una sfida. Vediamo se ci riesci!
Stammi bene.

Insieme alla lettera era arrivata anche una piccola barretta di cioccolato al latte. Suo fratello non perdeva occasione di sfidarlo. Certo, poteva anche buttarla e fingere di averla mangiata, tanto lui non sarebbe venuto a saperlo. E invece no, non doveva imbrogliare, altrimenti non c’era gusto. Era un ometto, poi.
Scartò con cura la carta della barretta e lentamente ne morse un piccolo pezzetto. Masticò lentamente. Un sapore totalmente diverso dal fondente avvolse il suo palato. Non male, anzi, buono. Tremendamente buono. Benissimo: aveva vinto la sfida e fatto una nuova scoperta! La cioccolata aveva i suoi vantaggi!

Caro Maker,
mi dispiace per Mischa, forse era meglio se restava qui. La neve ormai possiamo scordarcela e l’inverno è sopportabile.
Papà ultimamente è molto impegnato e a cena non spiccica parola. Al massimo accusa i comunisti di aver rovinato il lavoro: ma perché? Io non ho il coraggio di chiederlo. Quando parla così papà sembra malvagio, ho paura.
Comunque, ho una richiesta: potresti mandarmi un’altra barretta? La tua è molto più buona di quella che mi ha regalato papà.
Ora ti saluto, stammi bene.

Giorni scanditi dal sole che si alzava, dagli alberi che perdevano le foglie, dalle ore tra i banchi di scuola. Si poteva di nuovo andare in giro in bici, ma c’era qualcosa che a Mello, più che preoccupare, lo rendeva deluso: suo fratello cominciava a non rispondere più alle lettere. Per tutte le vacanze natalizie era stata una bella chiacchierata via penna, ma ora che stava succedendo? L’università, si ripeteva Mello. Però la delusione premeva forte in lui.
-Ehi, Mihael, noi stiamo andando a caccia di grilli blu*! Vieni con noi?-
-Mi dispiace, ma dopo la scuola devo fare una commissione- non diede il tempo di rispondere ai suoi compagni che partì in quarta dalla sua bici. Volle prendersi la soddisfazione di fare un giro abbastanza lungo. Non voleva tornare a casa con la delusione di vedere la cassetta delle lettere di nuovo vuota.
Volle andare ben oltre i suoi soliti giri.
Palazzi dannatamente uguali tra loro, stesso colore, stessa forma, stesso numero d’appartamenti: la Germania dell’est era un mondo a parte dall’ovest, dove viveva Mello. Chissà com’era vivere in una casa e sapere che altre centinaia di persone avevano addirittura i tuoi stessi mobili, forse.
Che pensieri assurdi. Meglio tornare a casa.
-Sei in ritardo, Mihael-
-Perdonami, papà-
Silenzio. Forse era il solito stress.
-Mihael-
-Sì?-
-Tra pochi giorni dovrò fare un colloquio di lavoro molto importante fuori città. Starò via tutta la giornata. Non dovrai uscire per nessun motivo e non toccare nulla che io non toccherei. Chiaro? Non metterti a giocare all’adulto-
-Va bene, papà- Mello mentre posava la sua cartella vide due sacchi della spazzatura. Da quant’era che non ci andava, suo padre? Sicuramente lo avrebbe mandato lui a farlo.
-Mihael, butta fuori la spazzatura, visto che ci sei-
Come volevasi dimostrare.
Buttare la spazzatura significava anche passare davanti alla cassetta delle lettere vuota. Che nervi. Forse era meglio farsi avanti di nuovo.

Caro Maker,
mi dispiace tanto non ricevere più tue lettere. Fammi sapere se Mischa sta meglio.

Che brutto starsene sempre a casa a fare niente. non toccare niente, non fare niente. che barba. Ma era meglio non mettersi contro i propri genitori.
Quel giorno suo padre era stranamente di buonumore, e anche parecchio.
-La fortuna aiuta gli audaci, Mihael, non dimenticarlo. I miei sacrifici sono stati accolti e ripagati, come è giusto che sia-
Invece la fortuna non aiutava Mello: le lettere non arrivarono. Almeno fino all’estate dei suoi dieci anni. ebbene sì, ne era passato di tempo.

Caro Mello,
mi dispiace non averti fatto sapere niente, ma sono successe parecchie cose che non posso dirti ora.
Però ho trovato il modo per proporti un gioco difficile. Ci stai?
Devi dimostrarmi di essere un vero ometto.
Ma da qui in poi non posso più ricevere tue lettere, il perché lo scoprirai se riuscirai a superare il gioco.
Cerca di capire cosa sta facendo papà ora. Una cosa da adulto, Mello, quindi pensaci bene.
P.S.: Mischa è all’ospedale. Qualcosa ai polmoni che cercheranno di scoprire. Ti farò sapere se finirai il gioco.
Saluti.

* da piccola andavo sempre a caccia di grilletti blu per poi liberarli xD A voi è capitato? Grazie mille per il tempo che dedicate a questa fan fiction! Siete grandiosi!

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Capitolo 4
*** Adulto ***


Troppe domande si affollavano nella sua testa: tanto per cominciare, perché Milhel non si era fatto sentire per tutto quel tempo? Cosa doveva scoprire lui del padre? E perché non potevano più scriversi?
Stava succedendo qualcosa a suo fratello, poco ma sicuro. Doveva scoprirlo quanto prima.
Ma che poteva fare lui, a soli dieci anni?
-Bentornato, papà-
-Ciao, Mihael-
Il solito silenzio a cena, una cosa a cui Mello si era ormai abituato. Eppure quella sera doveva fare un eccezione.
-Papà… Perché lavori così tanto?-
-E’ un lavoro complicato e che occupa molto tempo, Mihael-
-Ed è bello?-
-Lo capirai quando sarai più grande, Mihael. È complicato da spiegare-
I giorni passavano ma niente di nuovo: suo padre si ostinava a non parlare e le lettere di Milhel non arrivavano, come era stato detto. Sennonché un giorno accadde che per la città si sentivano le sirene della polizia.
-Che succede?-
-Hanno arrestato il padre di uno della nostra classe-
-Come mai?-
-Sembra che abbia ucciso una persona durante una rapina-
A casa si parlò proprio di quell’arresto.
E suo padre sembrava indifferente.
Forse Milhel aveva preso un granchio.
Però doveva vincere il gioco. E a proposito di quello…
-Papà, perdere un gioco è così umiliante?-
Suo padre approfittò del fatto che mangiava per stare un po’ in silenzio. Poi disse –Dipende da che tipo di gioco è. Dipende da cosa c’è in palio. Perdere può anche servire per migliorarsi, ma non devi permettere di farti battere troppo spesso. Le volte che perdi devono servirti da lezione-
-Quindi… E’ umiliante per te che i comunisti hanno… Rovinato il lavoro?-
Suo padre lo squadrò da capo a piedi, con un’aria fin troppo seria. Mello ebbe paura di un ceffone.
-Vado a dormire- disse invece l’uomo dopo aver posato la forchetta –Non disturbarmi-
Una cosa che Mello non capiva era come faceva ad aggiornare il fratello dei comportamenti di suo padre. C’era qualcosa in cui lui, per un motivo o per un altro, era escluso. Come faceva a fare l’ometto se era escluso nelle cose da grandi?
Piuttosto, ripensava a quell’arresto: il padre di quel ragazzino aveva tentato di rapinare una signora molto ricca. Sembrava che ormai fosse finito in bancarotta e, disperato, ha compiuto quel gesto estremo. Chissà se anche suo padre sarebbe arrivato a quel punto.
Diciamo che la risposta la ebbe il giorno dopo, il piccolo Mello. Leggermente diversa, però.
-Papà, farai tardi al lavoro-
Bussava, ma niente.
-Papà, io apro- disse, mentre girava lentamente la maniglia.
Le voci che giravano erano sempre le stesse: povero piccolo, è rimasto solo a soli dieci anni, che modo orribile, che padre degenere, eccetera eccetera.
Si era tagliato la gola, lenzuola sporche di sangue, nessuna lettera e nessun saluto per suo figlio. Niente segno di scasso e la porta non era chiusa a chiave. Che fosse suicidio, insomma, non c’erano dubbi.
Il movente invece era ancora da scoprire.
-Allora, Mihael Keehl… Nato a Berlino il 13 dicembre 1989…- diceva il poliziotto, dettandosi le cose da scrivere –Metti una firma qui, per favore… Bene, possiamo iniziare. Allora, dimmi tutto-
Mello aveva lo sguardo vuoto, apparentemente tranquillo. Il tono della voce piatto –Io non credo che mio padre si sia suicidato-
-Mihael, so che è incredibile, ma a volte la gente compie questi gesti…-
-Sarebbe stata una sconfitta per lui morir così. Non può essere-
-Mihael, ce ne occuperemo noi. Tu non puoi fare niente, sei troppo piccolo-
I nervi cominciavano a pulsare. Per quanto tempo sarebbe stato troppo piccolo?
-Piuttosto, dobbiamo trovarti una sistemazione. E abbiamo trovato il posto che fa per te. Dovrai fare un bel viaggio, ma non credo ci saranno problemi. Hai qualche richiesta particolare?-
Mello ci pensò su un attimo –Vorrei del cioccolato al latte-
Sembrava indifferente all’uomo anziano che sedeva accanto a lui, nella macchina lussuosa. Guardava il finestrino, mangiando una barretta di cioccolato. Ultimamente la mangiava spesso, si rese conto, forse come un attaccamento a casa.
-Mihael Keehl…- disse il signore –Sarai un po’ disorientato all’inizio, ma non ti devi preoccupare. Ci sono bambini dotati del tuo stesso cervello, e avrai una stanza tutta per te. Se c’è qualche richiesta particolare, dimmelo pure-
Basto guardarlo un secondo per capire. Il signore sospirò –Immagino tu voglia della cioccolata, vero?-
-Grazie- rispose semplicemente Mello tornando a guardare il finestrino
-Un’ultima cosa. All’interno dell’orfanotrofio usiamo tutti nomi falsi, per la nostra incolumità. Io sono Watari, ma ovviamente è falso come nome. Se vuoi usare uno pseudonimo che ti piace, dimmelo pure e farò in modo che tutti ti chiamino così-
-Un nome in codice?-
-Sì, esatto-
Non aveva dubbi –Mello… Voglio essere chiamato Mello-
Nonostante poteva gustarsi cioccolata tutti i giorni, e nonostante fosse uno dei bambini coi voti più alti, Mello sentiva che gli mancava qualcosa. O qualcuno.

Caro Maker,
stavolta sarò io a non dirti dove mi hanno portato, ma è un posto niente male, lontano da Berlino. Non sono riuscito a scoprire cosa faceva papà, è morto prima che potessi ricavarne qualcosa: dunque che si fa? Inoltre non posso partecipare al gioco se tu non mi indichi qualcosa. Fammi sapere.

La risposta, contrariamente a quel che pensava Mello, arrivò pochi giorni dopo.

Mello,
ti avevo detto di non farti sentire per nessuna ragione. Mandarci lettere in questo modo è rischioso. Non ti preoccupare, ho scoperto io cosa faceva papà, e per fortuna tu non sei stato coinvolto. Ho solo una richiesta da farti: non tornare in Germania. Resta dove sei.
P.S.: Mischa è uscita dall’ospedale e sta meglio.

Il resto del testo non si capiva bene. Come se avesse fretta di concludere. Leggeva una o, e una cosa simile a una r, ma non capiva bene, sembravano scarabocchi.
Cosa stava succedendo?
E se Milhel fosse stato… Ucciso?
Era in pericolo?

Grazie mille per i commenti ^^ Comunque per il nome di Mischa: Mischa in russo significa orsacchiotto. Ho pensato che tenendo la c fosse più simile a un nome che darebbero in Germania. Cioè, non mi immagino Mischa in Germania scritto senza c. Volevo cercare di essere verosimile coi nomi.

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Capitolo 5
*** Sfida ***


 
Continuava a ripetersi che era colpa dello stress, forze carenza di zuccheri, forse era troppo preoccupato per le lettere di suo fratello.
Eppure l’irritazione cresceva: perché il primo moccioso che arrivava all’orfanotrofio doveva provocargli quel fastidio?
Magari le prime volte ci si poteva anche stare, ma adesso si era arrivati al limite. Forse era questo che intendeva suo padre quando si parlava della sconfitta.
Ma lui non avrebbe fatto la sua fine. C’era una cosa che doveva ancora fare, ma quel pomeriggio era impegnato.
-Mello! Mello, vieni subito qui!-
Erano passati mesi e mesi, ormai, Mello sulla soglia dei dodici anni, mangiava tranquillo una barretta di cioccolato. Veniva chiamato da un signore anziano con gli occhiali chiamato Roger, e teneva per mano dei bambini.
-Perché non riesci a startene tranquillo per almeno cinque minuti?- chiese Roger
-Mi importunavano e siccome con le buone non l’hanno capito ho usato le cattive-
-Mello, devi capire che la violenza non serve a nulla. A prescindere dai motivi-
Una cosa che Mello invece stava capendo, man mano che cresceva, e anche grazie all’esperienza col padre, era che, al contrario, con le buone a volte non si arrivava da nessuna parte. a volte per vincere si doveva essere disposti a tutto. E poi non aveva fatto niente di male, in fondo: giusto qualche calcetto per allontanarli. Che poppanti.
Dal lutto del padre Mello vestiva sempre di nero, quasi fosse una divisa, e i capelli erano sempre gli stessi, a baschetto biondi con una frangetta regolarissima, come avrebbero voluto i suoi genitori.

Sei l’orgoglio della nobile razza ariana, Mihael.
Si incamminò, Mello, insieme agli altri bambini, verso una sala in cui li aspettava Watari, collegando qualche cavo del computer. Tutti i bambini erano eccitati, mentre lui era di un pattume quasi anormale. Ma non era l’unico: insieme a lui anche un altro bambino se ne stava tranquillo, inginocchiato per terra, a completare un puzzle a tinta unica. Questo bambino era fonte di tanti crucci per Melo, poiché era l’unico che gli dava filo da torcere negli studi. Il suo nome in codice era Near, ed era un poppante col pigiama bianco sempre addosso e i capelli bianchi mossi. Forse era albino. Non parlava con nessuno, i suoi rapporti con l’esterno si riducevano al minimo indispensabile, e se ne stava sempre a giocare coi robottini o a fare puzzle e castelli di carta. Un tipo odioso sotto tutti i punti di vista. Più volte voleva picchiarlo, ma si convinceva che l’indifferenza era l’arma migliore.
-Bambini, silenzio, ora- disse Watari. Mello scartò un’altra barretta e si appoggiò al muro, in fondo alla stanza. Tanto non c’era nulla da vedere, solo una schermata bianca con una L in old english. Al di là di quello schermo doveva esserci il più grande detective del mondo, ma la cosa a mello non interessava. Tanto questo investigatore noto come L non parlava quasi mai, i bambini ponevano le domande e lui rispondeva. Poteva vedere tutti attraverso una telecamera, ma a loro non era concesso vederlo in volto. Non aveva senso perdere tempo con una persona così, pertanto Mello, di nascosto, uscì dalla stanza per recarsi in biblioteca.
-Dunque…- diceva mentre sfogliava libri abbastanza vecchi –Arma, guerra… Guerra, distruzione… No, non così… Soldi, lavoro… Lavoro, fatica… No, accidenti!-
Niente, non riusciva a trovare nulla che riconducesse a suo padre! Quanto tempo ci stava lavorando ormai, senza la certezza di avere ancora un membro della famiglia vivo?!
Riprese l’ultima lettera lasciata da suo fratello Milhel, e cercò di mettere a fuoco quella specie di scarabocchi. Prese carta e penna e cominciò a scrivere.

O
M
R
A
A

Le poche lettere che si potevano capire. Cominciò ad anagrammarle in diverso modo.

Amora
Moraa
Aroma
Marao
Maroa
Ramoa
Amaro

Le parole che catturavano maggiormente la sua attenzione furono aroma e amaro. Cosa c’era dietro queste parole?
Si concentrò su aroma. Forse andava divisa in parti più piccole.

Aro ma
A roma
Ar oma

Un momento…
A Roma?
Cosa c’entrava Roma con suo fratello?
Riprovò con un altro sistema.

A= 1
R= 17
O= 14
M= 13
A= 1

1 17 14 13 1
11714131

IILIAIEI
I il i aie i

Non aveva senso.
Cosa c’era dietro quelle lettere?
La risposta era davvero… A Roma?
Digitò sul motore di ricerca del computer Roma. Tra i tanti risultati il primo che apparve fu “Grande evento A Roma: mostra di arte greca-romana classica, nei pressi del Pantheon.
Roma, Pantheon.
Lo aveva studiato qualche tempo fa.
Era un tempio dedicato a tutti gli dei, dalla forma circolare. Aveva anche una cupola formata da cinque ordini di 28 cassettoni.
28…
Considerato nell’antichità numero perfetto, simboleggiava l’alto.
28…
Anche provando a concentrarsi su quel numero, cosa doveva tirarne fuori?
28, numero antico e perfetto.
28… Data di nascita di Milhel, ora che ci pensava. 28 maggio, quinto mese dell’anno, come gli ordini della cupola.
Ma questo non portava da nessuna parte.
Possibile che quegli scarabocchi Milhel li avesse fatti apposta?
E se invece…

A Roma, 28 maggio

Mello diede un’occhiata al calendario sul computer: 28 aprile.
Era ancora in tempo.
-Mello!-
Mello sobbalzò, girandosi di scatto verso la porta della biblioteca. A chiamarlo era stato un bambino castano che teneva in mano una consolle dei videogiochi.
-Cosa c’è, Matt?-
-Roger ha detto che ti vuole nel suo ufficio. Si è accorto che te ne sei andato mentre L stava parlando-
Mello sbuffò. Prese le scartoffie e il frutto dei suoi ragionamenti e con passo svogliato si diresse nell’ufficio di Roger.
Doveva trovare il modo di andare a Roma il 28 maggio, assolutamente.

Spero che vi sia piaciuto! Grazie di tutto, al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Copertura ***


 
Ormai aveva deciso: sarebbe andato a Roma, indizio o no, e avrebbe cercato di scoprire qualcosa su suo padre e il resto della famiglia. Un modo l’avrebbe trovato. Non sapeva come ma l’avrebbe trovato.
-Ehi, Mello! Ce li hai gli appunti di fisica?-
-Sì, ma non ho voglia di passarteli- rispose Mello al suo compagno senza lasciargli modo di rispondere. Aveva altro per la testa.
Purtroppo niente giocava a suo favore per andare in Italia: minorenne, senza documento, senza adulti che potessero accompagnarlo… Inoltre non gli andava particolarmente a genio l’idea di dover mostrare di nuovo il suo vero nome. Oltretutto di italiano non sapeva una parola.
Sbuffò –Chiunque tu sia capiti nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sono occupato-
-Ah, capisco. Va bene- disse Near, quel bambino che odiava dal profondo. Sembrava un robot, ecco, estraneo da qualunque sentimento. Meno male che Mello era di spalle e non lo aveva visto in faccia, altrimenti gli veniva la voglia di gonfiarlo di botte.
Dopo circa un’ora che si scervellava su un modo per andare a Roma sbuffò ancora –Ancora tu? Sono occupato!-
-Lo so, ma Roger ti vuole lo stesso presente. L è di là che ci aspetta dal computer-
-Non ha nulla di meglio da fare, pure questo qui… E va bene, arrivo!-
Tutti in silenzio ad aspettare un cenno di L. Quel giorno L avrebbe anche messo alla prova i loro cervelli.
-Bene- disse una voce metallica e sicuramente contraffatta –Se vi trovaste in mezzo a una sparatoria e avete il vostro indiziato numero uno davanti agli occhi, cosa fareste?-
Restarono tutti zitti a pensarci, forse era un trabocchetto. Invece il ragazzino chiamato Matt alzò la mano, seppur esitante, e disse –Ehm… Cerco di portarlo via da lì e arrestarlo una volta al sicuro…-
L restò in silenzio un secondo, riprendendo poi con un’altra domanda –E se il terreno fosse tempestato di mine anti-uomo?-
A quel punto anche Matt decise di non proferir parola. Mello, all’angolo, in fondo, con gli occhi di Roger addosso e una barretta di cioccolata in mano, ridacchiò e bisbigliò –Butterei l’indiziato in mezzo alle mine-
-Tu, in fondo…- cominciò a dire la voce metallica –Col cioccolato in mano-
Mello guardò stranito lo schermo del computer, e a quel punto L disse una cosa che gli diede parecchio fastidio –Quelli come te sono i primi a morire nel corso di un indagine rischiosa- fece una pausa –L’idea ha un che di efficace, ma durante un’operazione pericolosa, che sia la CIA, l’FBI, o qualsiasi corpo di polizia a eseguirla, non può permettersi di perdere un potenziale indiziato. Mai agire impulsivamente-
Mello aspettò di uscire dalla sala per sfogarsi col primo che capitava, in quel caso Matt.
-Ma che bella scoperta che ha fatto questo L! Come se non lo sapessi la mia infatti era solo una battuta!-
-Non te la prendere… Watari dice che L è fatto così…-
-Sai che me ne frega dei suoi modi di fare! Come se non avessi abbastanza problemi per la testa!- enfatizzò la parola problemi e si chiuse in camera, ritornando ai suoi crucci. Doveva andarsene, in primis perché ormai il bisogno di sapere si era fatto impellente in lui, e poi perché non sopportava più stare lì dentro: tra Near, Roger e quell’L, non si sapeva chi era il più noioso.
Doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Silenziosamente e con zaino in spalla, Mello scese le scale e si diresse verso la porta. Venne fermato da una voce e per un attimo trasalì.
-Dove vai, Mello?-
Non si voltò –Devo sbrigare una commissione urgente, Matt. Non dire niente a Watari e Roger, fai finta di non avermi visto, okay? Te ne sarei enormemente grato-
-Mmh… D’accordo. Tanto io non ci rimetto nulla se parlo o no-
Mello fece per andarsene, ma si accorse di qualcosa –Near… Anche tu. Se ti azzardi a uscirtene con questa cosa con qualcuno, giuro che quel pigiama te lo faccio colorare col sangue-
Near uscì dall’angolo delle scale, arricciandosi una ciocca di capelli –Tanto ti troveranno lo stesso-
-Che differenza fa a te? Visto che cerchiamo di esserci indifferenti, vedi di esserlo anche in questa occasione. Inoltre non sperare che chieda il tuo aiuto-
-Questo lo so, Mello-
Mello fece dei passi veloci per uscire, sentendo il saluto di Near.

-Viel Glück, Mello*-
Mello sorrise. Insopportabile come sempre.
E sorrise anche fuori dall’orfanotrofio, anzi, rideva di gusto.
-Pensano davvero che me ne vada in giro per l’Europa senza un passaggio?- prese un qualcosa di simile a un cercapersone, e digitò un numero. Era rischioso, ma qualcosa la doveva pur fare.
Arrivò una macchina, poco dopo.
-Mello?- disse l’uomo alla guida, occhiali scuri. Mello annuì, e si accomodò dietro.
-Grazie del passaggio-
-Figurati, sono sempre pronto ad aiutare un mio compatriota. Piuttosto, hai portato il compenso?-
-Certo. 26.480 sterline*, come d’accordo-
-Però… Un moccioso come te che riesce a raggranellare così tanti soldi…-
-Di questo non se ne deve preoccupare- posò davanti la busta coi soldi –Dentro c’è anche l’indirizzo che le serve-
-Si vede che hai fiuto per gli affari-
Il viaggio continuò fino a Vienna, passato tra strade deserte, traghetti e soprattutto tranquillo. Chissà se a quest’ora si erano accorti della “fuga” di Mello.
-Grazie ancora del passaggio, e si ricordi: quell’indirizzo gliel’ha dato un potente boss della mafia, come d’accordo-
-Non me lo faccio certo ripetere da un bambino. In gamba, ragazzo-
Mello aspettò che la macchina sparisse dalla sua visuale, per fare una chiamata –Signor Gordon, sono Mello. Sì, tutto okay, ho restituito i soldi al suo assistente. No, non sa nulla. Mio padre non sa come ringraziarla, e vi garantisce che la droga arriverà entro due settimane a Norimberga come promesso- buttò per terra il cercapersone e lo schiacciò, facendo in modo di non essere più rintracciato. Giocare coi malviventi era pericoloso, ma bastava dire che si era figli di chissà quale boss per avere tutti i favori del mondo. Era stato facile, basta avere le informazioni più convenienti e gli agganci giusti. E Mello c’aveva pensato fino alla sua partenza. Non era mica uno sprovveduto come credeva L.
Si diresse verso una stazione ferroviaria, dove lo attendeva un treno per Roma, finalmente. prese dalla tasca un biglietto, ma si accorse che non era più valido, risaliva a qualche settimana prima. Il punto era che se si accorgevano che le date distavano troppo tra loro, sarebbero stati guai per lui. Senza farsi vedere tirò fuori lo scontrino per una barretta di cioccolato, e lo piegò in modo da coprire la parte superiore del biglietto. Timbrò. Ecco fatto: il timbro risultava, grazie alla parte scoperta che stava sotto, mentre la data era timbrata sullo scontrino. Un gioco da ragazzi.
-Biglietto, prego- disse il controllore. Guardò un attimo il biglietto –La data non è segnata-
-Non è colpa mia se la macchinetta non timbrava bene- rispose Mello con un sorriso.

 

  • Buona fortuna, Mello. È tedesco. Con questo non voglio insinuare che Near sia tedesco, ma credo che per dei geni come loro sia facile imparare questa parolina.
  • 26.480 sterline equivalgono a circa 30.000€
  • Nota: Non sono sicura che il trucco del biglietto funzioni davvero, ne ho solo sentito parlare e non c’ho mai provato. Dipende ovviamente dalla macchinetta che timbra xD

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Capitolo 7
*** Roma ***


Non c’era confronto con la tranquillità dell’orfanotrofio e nemmeno con Berlino, per quanto caotica poteva essere come città. Era tutto così… Diverso. Solo allora si chiese davvero cosa ci faceva lì. Scosse il capo per riprendersi. Non era lì per fare il turista, ma per cercare suo fratello.
Già, era una parola.
Ora che era arrivato non aveva idea di dov’era né tantomeno dove doveva andare. La gente andava e veniva, parlando una lingua sconosciuta, e sembrava non essersi minimamente accorta della presenza di Mello.
Nessuno a cui chiedere indicazioni. Niente segnali, niente di niente.
Primo punto: ufficio informazioni. Doveva esserci un cavolo di ufficio informazioni, che parlava almeno l’inglese.
Dopo qualche camminata lo trovò, come fosse un miraggio. Sicuro di sé Mello si schiarì la gola.
-Mi scusi… Per arrivare al… Al… Ah, al Pantheon-
La signora dell’ufficio informazioni lo guardò di sottecchi, forse colpita dallo strano accento del ragazzo. Prese comunque una mappa e passo per passo spiegò la strada. E Mello non c’aveva capito nulla.
-Hai capito, piccolo?-
-Sì, certo- … Come no…
Aveva capito solo che doveva prendere la metropolitana. Non sapeva che fermata e non sapeva quale linea, tenuto conto che c’erano la linea A e B. Bè, forse una valeva l’altra, in fin dei conti.
C’era davvero troppa confusione e si moriva dal caldo. Le metro erano ben diverse da quelle che giravano a Berlino, quelle di Roma erano tutte scritte e strette, un posto per sedersi nemmeno a pagarlo oro e le fermate si leggevano appena. Era come un pesce fuor d’acqua.
L’istinto gli disse di scendere dove gran parte della gente si fermava, magari seguire la folla l’avrebbe portato da qualche parte. riconobbe nel mezzo un gruppo di turisti tedeschi, magari avrebbe potuto chiedere anche solo che ore erano.
Uscì dalla metro e riconobbe davanti a sé il monumento del Colosseo. Restò per un po’ a guardarlo, disorientato, confuso. Per un attimo credette di essere finito su un altro pianeta. Bancarelle, uomini travestiti da guerrieri romani che ridevano, agitavano quelle spade finte. Forse erano un ufficio informazioni ambulante…
Purtroppo la barriera linguistica fece prendere dei risvolti strani: credevano che volesse fare una foto o che al massimo chiedeva l’ora. Il massimo però fu ritrovarsi davanti a un artista di strada che lo abbracciava, mentre un passante gli faceva una foto. E quell’artista, tutto truccato di bianco, indicava il cappellino ai suoi piedi.
Mello lo guardò stranito e per levarselo di torno gli buttò una banconota tedesca, allontanandosi lasciando dietro di sé le imprecazioni dell’uomo.
Forse aveva davvero fatto una pazzia a fare quel viaggio, ora sì che era da solo e che si era cacciato in un bel pasticcio.
Continuava a girare intorno, seguendo ogni tanto i movimenti dei turisti tedeschi, finchè, guardando bene, non scorse tra loro una figura familiare. Corse verso di lui.
-Milhel! Milhel!-
-Uhm? Posso aiutarti?-
Non… Non era lui. Gli assomigliava, ma non era lui. Accidenti.
-Tutto a posto?- per fortuna era tedesco
-Mi scusi, l’ho scambiata per un’altra persona… Però devo arrivare assolutamente al Pantheon, mi sa dire dov’è?-
-Ah, non c’è problema! Ci sto andando col mio gruppo! Visto che, a quanto pare, sei tedesco anche tu, non credo faranno troppe storie se ti imbuchi!-
Salvezza!
Durante il tragitto Mello si memorizzò bene la strada. Ed era in agitazione. Una volta arrivato lì cosa avrebbe dovuto fare?
Continuava a chiederselo anche davanti a quel maestoso monumento. Era nel pallone. E quel ragazzo, tanto gentile con lui, lo guardava incuriosito.
-Non entri?-
-Eh? Ah, no… Devo aspettare una persona-
-Ah, va bene. Allora ci si vede!- sorrise ed entrò, salutando con una mano Mello.
Forse era meglio che entrava anche lui. Magari la risposta era dentro. Mentre gironzolava senza una meta precisa e un qualcosa di definito da vedere, Mello ripensò ai suoi ragionamenti. La sua conclusione era A Roma, 28 maggio, ma se c’era qualche altro messaggio? Possibile che Milhel gli avesse dato davvero appuntamento lì?
Anche le lettere avevano qualcosa di strano. Rispetto alle prime che spediva, erano troppo concise. Inoltre suo fratello era un tipo estremamente paziente e mai avrebbe chiuso una lettera con “Non sentiamoci più” senza aver dato spiegazioni. Senza contare che forse aveva scoperto qualcosa sul padre, qualcosa che a mello sfuggiva. Forse la chiave di tutto era lì.
Uscì dal Pantheon amareggiato. Non voleva pensare di essere venuto fin lì per niente. di suo fratello nemmeno l’ombra… O forse no?
Era un caso che un furgoncino avesse scritto a caratteri cubitali Marker e che vendeva panini davanti al Pantheon?
Mello si avvicinò con cautela, buttando l’occhio un po’ dappertutto. I proprietari del furgoncino erano italiani, niente che riconducesse a suo fratello. Forse era semplicemente un caso.
Eppure…
Marker… Forse aveva un significato particolare? In effetti, perché Milhel si firmava nelle lettere col nome di Marker?
Marker… Marker… Forse andava anagrammato anche quello, anche solo per provare.
Oppure…?
-Buongiorno. Mi da un cioccolato Marker, per favore?-
Mello capì solo Marker e, aguzzando l’occhio, vide il passaggio della cioccolata. Doveva averla anche lui. La comprò, allontanandosi subito da lì,osservandolo attentamente. Una marca sconosciuta di un cioccolato al latte. La confezione era dorata con la scritta “Marker” azzurra, in caratteri simpatici. Girò la confezione in modo da leggerne i valori nutrizionali. E invece lo colpì un’altra cosa.
La data di scadenza di quel cioccolato era il 28 maggio. Che terrificante coincidenza.
Lesse anche la sede della fabbrica di produzione di quel cioccolato. Era sempre Roma per fortuna.
Improvvisamente Mello ebbe paura.
Suo fratello gli stava lasciando degli indizi. Stava chiedendo di essere trovato.
E forse la scadenza comportava un qualcosa di terribilmente pericoloso.

Nota: Ovviaente il fatto che Marker sia la cioccolata è puramente inventato

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Capitolo 8
*** Aspettami! ***


Vivere come un fuorilegge era ormai diventata un abitudine per Mello. Non potendosi orientare, non gli restò altro che intrufolarsi in un furgoncino Marker.
Un attimo di relax, finalmente, per rendersi conto della situazione in cui si era cacciato. I vestiti neri ormai sporchi di terra e sudore, il suo cioccolato quasi finito, gli occhi stanchi e provati dal viaggio, i capelli biondi a caschetto sconvolti. Si rannicchiò su sé stesso, sull’orlo del pianto. In cuor suo si chiedeva solo che fine avesse fatto suo fratello, se non stava facendo troppo tardi. Il resto era di poco conto.
Non immaginava neppure lontanamente che all’orfanotrofio stavano diventando tutti matti per lui.
-Ehi…- esordì Matt, osservando, quasi assente, il via vai di gente che cercava un modo di contattare Mello
-Uhm?- rispose Near, a fianco a lui, accovacciato a completare un puzzle
-Se dovessero interrogarti su Mello cosa farai?-
Near rimase in silenzio, muovendo lentamente i pezzi del puzzle. Ne approfittò per arricciarsi una ciocca di capelli.
-Near… Cosa farai?- Matt ringhiò un po’ stavolta.
-Hai paura che faccia la spia?-
Matt prese un bel respiro, tornando calmo –Se ti azzardi a fare un qualcosa di simile alla spia credo che ti ritroveresti nel giro di 12 ore sottoterra, a esalare l’ultimo respiro-
Near non sembrava toccato da quelle parole. Come se Matt non ce l’avesse con lui. Indifferente in maniera totale di ciò che lo circondava. Probabilmente, se Mello fosse morto nel corso della sua indagine, non avrebbe battuto ciglio.
-Matt- Roger spuntò da dietro l’angolo con fare severo –Nel mio ufficio. Immediatamente-
Matt cercò di restare tranquillo. Poteva farcela. Si accomodò sulla grande e comoda poltrona e guardò negli occhi l’anziano signore occhialuto davanti a lui, con aria di sfida
-Inutile che mi guardi così, signorino- disse Roger unendo le mani –Ho imparato a tenere a bada delle menti anche più perfide delle vostre-
Matt se ne restava zitto
-Arriviamo al dunque: Mello. Dov’è?-
-Non lo so- rispose immediatamente Matt
-Matt… Dov’è Mello?-
-Non lo so- ripeté lui con lo stesso tono
Roger sospirò –Così Mello è… Scappato dall’orfanotrofio senza dire niente nemmeno a te?-
-L’hai detto tu, Roger-
-E tu ne sei così indifferente?-
-Solo perché ti sembro così calmo non significa che non ci sia rimasto male. Lo dice sempre tu di non fermarci davanti alle apparenze-
Roger stava per perdere le staffe, ma decise di non dargliela vinta a quel moccioso –Mandami Near. E attento a te, Matt…-
Matt, sicuro di sé, uscì dallo studio di Roger. Ora era preoccupato per Near: c’era da fidarsi di lui?
Mello si era addormentato per un paio di minuti, finchè non sentì il motore fermarsi. Era arrivato? Si nascose tra qualche scatola, per precauzione, e poi, con passo leggero, spiò l’esterno: era buio, pochissimi lampioni, fabbriche, odore di cioccolato, e qualche uomo in divisa celeste.
Doveva per forza essere arrivato.
Scese con fare furtivo, guardandosi attentamente intorno, e si diresse verso una fabbrica a caso. In fondo, dove solo guardarsi intorno, e avrebbe trovato un altro indizio di Milhel. Se aveva visto giusto, suo fratello maggiore l’aveva volutamente spedito lì. Milhel, cos’hai in mente?, si disse Mello.
Tra i grandi macchinari della fabbrica Mello riusciva a mimetizzarsi alla perfezione, grazie anche al suo abbigliamento in perfetta sintonia con la notte. Cominciava però a chiedersi perché, nonostante fosse buio pesto, c’erano ancora degli uomini.
-Qui angolo ovest- un uomo parlava attraverso un walkie talkie –Tutto okay, nessuna anomalia. Informate la lady, io mi preparo a chiudere-
Lady? Chi era? Il capo?
Il walkie talkie fece un rumore per poi trasmettere la voce di un altro uomo, forse più giovane –Qui angolo sud.
Anche qui tutto bene. La lady è già stata informata-
L’uomo in divisa celeste se ne andò, e Mello ebbe via libera.
Non era una semplice fabbrica di cioccolato. Questa lady non lo convinceva. Ora che ci pensava, non aveva ancora mangiato la barretta di cioccolato Marker. Bè, visto che il suo era quasi finito e doveva sgranocchiare qualcosa, tanto valeva approfittarne. Lo scartò con cura, avvicinando la barretta al suo naso per captarne l’odore. Era un odore insolito per del cioccolato al latte. Diede una leggera leccata. Non faceva schifo, ma non era del semplice cioccolato al latte.
Continuò a camminare per un po’, finchè non incrociò una coppia di uomini in divisa con delle scatole di cioccolato in mano. Mello si nascose accuratamente.
-C’è da perdersi qui dentro. La lady ha fatto costruire un posto troppo grande per del cioccolato-
-Quanti ne abbiamo venduti oggi?- chiese il suo compagno
-Abbiamo superato il migliaio. Oltre ai clienti abituali se ne sono aggiunti di nuovi. Di questo passo la lady è sicura di poter portare le barrette anche fuori Roma-
Ma chi era questa lady?
Mello voleva seguirli, ma avrebbe fatto meglio a passare più inosservato. Guardò in alto. I condotti dell’aria. Idea geniale.
In un modo abbastanza rocambolesco riuscì ad entrarvi. Barretta in mano, sorridente e strisciando, attraverso le voci e le ombre che poteva intravedere sotto di sé, seguiva i movimenti di quegli individui. Ma vi fu una frase che non aveva captato, o meglio, non aveva interpretato nella maniera giusta.
-Attivate l’aria. Dobbiamo andare a fare rapporto alla lady-
Attivare cosa?
Fu improvviso. Un brivido lo percorse per tutta la schiena, per poi pervaderlo dappertutto. Strinse convulsamente il cioccolato, facendo qualche briciola. Sentiva improvvisamente un freddo incredibile, e lui aveva solo un paio di jeans neri e una mogliettina nera a maniche lunghe. E non aveva tenuto conto che avrebbero potuto attivare l’aria condizionata per evitare che il cioccolato si sciogliesse. Merda. Se non sbrigava, poteva anche rimanerci secco. Nonostante il tremore, strisciò, in cerca di una via d’uscita.
-Allora, Near… Visto che il tuo amichetto non ha voluto collaborare, voglio sperare che con te le cose vadano in maniera diversa-
Near osservava Roger con aria assente, con una gamba accovacciata sulla poltrona e una ciocca di capelli arrotolata intorno all’indice.
-Dov’è Mello-
-Non lo so-
-Vi siete forse coalizzati-
-Dubito che una persona che scappa di casa dica a una persona che non sopporta dove va- rispose subito Near
-Matt ti ha minacciato?-
Near restò un po’ in silenzio, guardando serio Roger. La risposta, dopo, fu –Matt è preoccupato per Mello, e se la prende con tutti-
Roger sospirò –Non vi capisco proprio, a voi ragazzini-
Near, sempre con aria assente, guardò delle scartoffie davanti a sé, continuando ad arricciarsi i capelli –E’ possibile che sia tornato a casa- disse improvvisamente
Roger lo guardò sorpreso –A casa?-
-Intendiamoci, io non so dove sia nato Mello. Ma può darsi che abbia sofferto molto la nostalgia-
Roger lo squadrò un attimo per poi concludere con –Va bene, Near, vai pure. Non una parola su quello che ci siamo detti-
Matt aspettava Near fuori dall’ufficio, guardandolo male –Che gli hai detto?-
-Che Mello è andato a casa-
Matt agitò un pugno –Io ti…-
-Muoviamoci- disse invece Near, trascinandolo nell’ufficio di Watari. Prese delle scartoffie, e tramite il computer scrisse qualcosa.
-Cosa fai?- chiese Matt
-Watari non tornerà prima della settimana prossima, abbiamo tutto il tempo di rimettere in ordine- mise tutto nella scrivania –Andiamo, Roger arriverà tra poco-
In effetti Roger arrivò lì poco dopo, prendendo le scartoffie su cui aveva lavorato Near.
-Near, si può sapere cosa…-
-Ho detto che Mello è andato a casa. Quelli erano dei fascicoli su Mello con vero nome e luogo di nascita-
-E…?-
Near guardò Matt, accennando un sorriso –Al posto di Berlino ho scritto che è nato a New York-
Matt sorrise. Bene o male, l’aveva aiutato. Ora non restava altro che aspettare Mello.

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Capitolo 9
*** Lady ***


Il freddo era diventato insopportabile e ormai non si sentiva più i muscoli. In qualche modo si sarebbe coperto le spalle, doveva andarsene da quel congelatore. Cerco di essere il più delicato possibile con la grata sotto di lui e uscì, sfregandosi le mani.
Camminava, tremolante, e sentiva che anche i suoi organi interni erano freddi. Voleva disperatamente riscaldarsi, ma con cosa?
Istintivamente guardò la barretta di cioccolato Marker che aveva in mano.
Lo scartò, e ne prese un boccone. Un sapore strano, ma non era male.
Continuò a camminare, ritrovando un po’ di forze, finchè non arrivò a un corridoio pieno di porte.
Dovevano essere gli uffici.
Con passo estremamente lento si avvicinava alle porte, una per una, per captare qualche conversazione utile.
Alcuni uffici erano vuoti, ma dalle pochi voci degli altri uffici si poteva capire che questa “lady” era molto importante.
Chi era?
Era una domanda che lo avrebbe accompagnato tutta la notte. I passi erano sempre frequenti ed era diventato troppo rischioso aggirarsi per la fabbrica. Sarebbe però rimasto appostato nelle vicinanze, attento a ogni movimento, per poi riaddentrarsi in un’occasione migliore.
Andava tutto bene. Non doveva aver paura. Non aveva paura.
Sentiva che ogni passo che faceva era più vicino a suo fratello. Prima o poi, pensava, l’avrebbe rincontrato.
Quella notte, lontano dagli sguardi indiscreti, lontano dal pericolo di essere scoperto, fece un sogno. Era da tanto che non gli capitava.
Camminava per le strade di Berlino, insieme a suo fratello, mentre mangiava una barretta di cioccolato. Lui, che diceva che non avrebbe mai più mangiate. Era contento, e camminava tenendo per mano Milhel. Ma c’era una cosa che non andava: la faccia del fratello non era tranquilla. Si guardava intorno, preoccupato, come se ci fosse qualcuno che li seguiva. Non c’erano rumori, nemmeno di passi, e Milhel guardava stranito anche la barretta di cioccolato. Solo la voce di Mello si sentiva, e diceva –Hai visto? Questa cioccolata si chiama come te!-
Ma fu in quel momento che Milhel lasciò la mano di Mello, allontanandosi. Mello chiamava, chiamava, ma non riusciva a raggiungerlo. Sentiva un forte mal di testa, tanto da gettare la cioccolata a terra, tanto da inginocchiarsi tenendosi le tempie. Gridava il nome di suo fratello, ma non c’era. Non più.
Quando Mello si svegliò rimase con gli occhi spalancati, confuso. Stava ancora sognando o quel mal di testa era reale? Si mise seduto a stento, tenendosi la testa. Vedeva sfocato, tutto confuso, doppio, sentiva  la bava alla bocca. Se si fosse guardato a uno specchio forse avrebbe visto i suoi occhi lucidi e arrossati. Non sentiva le corde vocali e poteva giurare di vedere addirittura delle persone accanto a lui con delle facce bianche anche se in realtà non c’era nessuno.
Si lamentava eppure non si sentiva la voce.
Stava male. Da morire.
Cercò di alzarsi in piedi e si appoggiarsi a un qualcosa di consistente, come il muro davanti a sé. Eppure come appoggiava le dita il muro sembrava sgretolarsi come sabbia.
Iniziò a camminare, Mello, alla cieca. Continuava a vedere degli sconosciuti accanto a sé, ma lui li attraversava come niente. vedeva un altro muro davanti a sé, ma lo attraversava senza problemi.
Che gli stava prendendo?
Cercò di connettere i nervi al braccio e mise le dita in gola. Più giù, più giù, finchè non sentì salire qualcosa.
Via, via, via tutto.
Andò avanti così finchè non si sentiva un po’ meglio.
Cercò di riposarsi, chiudere gli occhi, riprendere fiato. Non era mai successo di stare così male per lui. Eppure non aveva malattie o simili.
In quella fabbrica di cioccolato c’era qualcosa di strano. Anzi, due.
Primo: La “lady”
Secondo: La cioccolata.
Aspettò la mattina, il tempo di riprendersi del tutto, per potersi intrufolare nuovamente in quella fabbrica.
Stavolta muoversi era molto più semplice, non era necessario entrare nei condotti dell’aria e soprattutto poteva vedere chiaramente, alla luce del giorno.
C’erano sempre quegli operai in divisa celeste a lavorare e portare scatoloni. E a parlare sempre della lady.
-La lady è davvero una gran donna. Grazie al suo fiuto per gli affari il mercato va a gonfie vele-
-E soprattutto sa con chi avere contatti. È anche furba-
-Dice che adesso gli affari si estenderanno anche in Francia e Spagna-
-Sì, ha preso contatti con alcuni pezzi grossi. Dice che dobbiamo continuare così e i nostri stipendi triplicheranno nel giro di un mese-
Mello si accorse che c’erano nuove figure: uomini in giacca e cravatta, che guardavano con fare severo gli operai. Li seguivano per controllare che tutto stesse andando bene, forse.
-Muovetevi, voi! La signora non vi paga certo per spettegolare!-
Mello poté sentire uno degli operai bisbigliare –Ma a lui lo paga benissimo per non fare un cazzo-
-Signore- c’era gran movimento, a quanto pareva –E’ tutto pronto per spedire la roba in Francia-
-Bene, avvertite la lady-
-Ma… Al confine… I controlli…-
-Se seguiamo le istruzioni della lady non ci scopriranno. Ha mai sbagliato, finora?-
Di cosa parlavano? Quando Mello trovò via libera, scrutò attentamente il posto. C’era qualcosa di cui doveva avere conferma.
Tornò negli uffici dell’altra notte e, una volta sicuro che non c’era nessuno, vi entrò. Scatole di cioccolata. Un altro ufficio: altri scatoloni di cioccolata. Fu così per diversi uffici, ma negli ultimi le porte erano estremamente ardue da aprire e vi erano, invece delle scatole, dei sacchi. Una specie di farina giallastra riempiva decine e decine di buste. Mello richiuse la porta dietro di sé, fece un piccolo buco a uno dei sacchi e vi annusò il contenuto. Un odore strano che gli fece venire il nervoso, la nausea.
C’era anche una scrivania, con delle scartoffie. Firme, firme, sembravano contratti. Soprattutto, c’erano come degli ingredienti. Ingredienti mostruosi, come ecstasy e cocaina.
Droga. Bella pesante, poi.
Gli venne in mente la cioccolata Marker. Ma allora… Aveva mangiato della cioccolata a base di droga?!
Rimase a osservare quei fogli sconcertato. Milhel l’aveva spedito in un covo di trafficanti. Ma perché?
Col cuore in gola si mise a leggere con calma i fogli. Erano dei contratti, come pensava, in cui si accordavano le spedizioni.
Dunque, trafficavano davvero droga, mischiandola col cioccolato.
Chi era che firmava quei contratti?
Vi erano diverse firme, ma ce n’era una che catturò maggiormente la sua attenzione.
Era terribile.
Ora aveva un’altra pista, grazie a Milhel. Ora capiva: ecco perché quelle lettere misteriose, ecco perché l’aveva spedito lì!

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Capitolo 10
*** Ritrovo ***


Gettò via la barretta di cioccolato e scappò da quella fabbrica, lasciando dietro di sé gli orrori di quello che aveva provato. Ora più che mai era motivato a continuare la sua ricerca.
Sicuramente non erano rimasti in Germania ma, come dicevano quegli uomini, la “lady” era nei paraggi. Doveva solo capire dove, esattamente. Accidenti, Milhel non gli aveva lasciato questo appunto.
Una volta al sicuro, Mello si fermò, pensando a tutto quello che aveva passato col fratello. Ricordò quando si erano promessi di scambiarsi lettere. Lui scelse il nome Marker, che casualmente era anche il nome di quel cioccolato. E se non era un caso? Forse Marker stava per qualcosa di specifico. Dal tedesco non ricavava alcun significato, ma forse non era lì che andava cercato il significato.
Ora che ci pensava a Winchester, in Inghilterra, dove vi era la Wammy’s House, i segnalibri venivano chiamati proprio marker.
Marker, segnale, segnalibro.
Ma dove?
Cercò di ricordare qualcos’altro nelle lettere. Un segnale. Suo fratello non aveva mai rivelato dove si trovava, appuntava però che faceva freddo e che la loro sorellina Mischa era stata ricoverata all’ospedale.
Dunque, un luogo freddo. Come l’aria condizionata di quella fabbrica.
Però ne era uscita. La loro mamma invece aveva tentato 5 lavori e nell’ultima lettera ricevuta sembrava che avesse trovato qualcosa di soddisfacente.
Sua madre, quanto tempo non la sentiva più? Per un attimo l’aveva addirittura odiata per averle portato via il suo fratellone e la sua sorellona.
Quell’odio stava per ricrescere. E al diavolo cosa diceva Milhel sull’odio per i propri familiari.
Piuttosto, doveva ancora captare un segnale.
Stando a quanto aveva sentito nella fabbrica, stavano per fare un importante consegna in Francia.
Forse era meglio tornare a imbucarsi e andare in Francia.
-Quei mocciosi me l’hanno fatta!- Roger camminava a passo svelto per l’orfanotrofio, computer portatile in mano, alla ricerca di un posto tranquillo. Arrivò nel suo ufficio e furente lo accese, attivando una conversazione.
-Buongiorno, Roger- disse una voce anziana
-Lascia perdere i convenevoli, Watari- Roger si pulì gli occhiali nervosamente –Ne hai per molto in Francia?-
-Un po’ di pazienza, Roger- rispose calmò Watari, togliendosi il cappello –Ho appena fatto il check-in, e L si sta sistemando nella sua stanza. Nel giro di 48 ore forse…-
-Watari, quei mocciosi stanno giocando sporco. Mi hanno mandato fino a New York a vuoto. Dove accidenti è Mello?-
-Mello? Ma Roger, se me l’avessi chiesto subito ti avrei detto che Mello è nato in Germania-
Roger sospirò, ancora più nervoso
-Mai fidarsi dei bambini, soprattutto con un cervello così sopraffino. Non sai quante volte anche L abbia usato questo trucco con me. Bè, non che abbia smesso anche oggi che è…-
-Va bene, ho capito. Ti faccio sapere- chiuse tutto e partì, stavolta per la Germania, sperando di trovarlo. Ma prima c’era ancora una cosa da fare. Dopo qualche minuto gli arrivò una notizia che lo rese ancora più furente.
-Signor Roger, come mi ha chiesto sono andata a chiamarli ma… Non si trovano-
-Come sarebbe a dire?-
La ragazza rispose un po’ spaventata –Mi perdoni, ma nelle loro stanze non c’erano… Le porte erano chiuse dall’interno e…-
-Me l’hanno fatta ancora! Non è possibile!-
Intanto Matt e Near erano nascosti in una catapecchia poco distante, col fiatone. Non si erano accorti del ritorno di Roger, o meglio, non avevano calcolato che sarebbe tornato e che avrebbe scoperto che Mello non era nato in America.
-Fiuu… Ci è andata bene per un pelo…-
-E’ meglio restare qui finchè non si calmeranno le acque. Tanto sicuramente starà andando in Germania-
-E nel frattempo noi ce ne torneremo tranquilli e possiamo stare sicuri che Mello non è rimasto lì. Chissà dov’è ora-
Il furgone era aperto, pronto per essere caricato. Sarebbe bastato un balzo e quegli scatoloni avrebbero fatto il loro gioco. Approfittò di un attimo di distrazione degli operai e si intrufolò, nascondendosi velocemente. Dopo qualche minuto vide che davanti vi erano seduti due uomini, ma dietro ce n’erano 3 in giacca e cravatta. Merda, non pensava che erano così prudenti.
Vide che uno degli uomini seduti dietro prendeva un walkie talkie
-Siamo pronti per partire. Due auto ci precedano. Dietro di noi c’è l’auto della signora, quindi altre 5 auto la scorteranno seguendola-
Erano troppo prudenti. E sarebbe stato difficilissimo anche solo spiarla questa signora, o “lady”.
Dopo un’ora, forse, o più di viaggio, si fermarono presso un autogrill. Attraverso il walkie talkie Mello poteva sentire le conversazioni. Era una donna a parlare.
-La signora deve andare in bagno. Non ci metteremo molto-
Veniva scortata addirittura per andare in bagno. Doveva aspettarselo, d’altronde.
Anche gli uomini del furgone ne approfittarono per prendersi un caffè. Era il momento propizio. Anche se scortata, avrebbe trovato il modo di avvicinarla.
Scese, cercando di non farsi vedere, ed entrò nell’autogrill. Non c’era mai stato prima di quel momento e per lui era come andare alla cieca. Oltretutto i cartelli erano scritti in italiano e sembrava non esserci scritto niente che alludesse alla toilette.
Finché non vide salire da una rampa di scale due donne. Una era bionda, trucco pesante, pelliccia, portafogli in mano. A seguirla era una ragazza castana, coi boccoli che le cadevano sul collo, vestita di tutto punto.
Era lei.
-Per favore, vammi a prendere da bere. Devo fare una telefonata importante-
-Come desiderate, signora-
Un’opportunità praticamente servita su un piatto d’argento. Andava bene anche solo avvicinarsi.
Era proprio lei. Per un attimo aveva sperato di sbagliare.
Ritornò sul furgone prima che tornasse la lady. Ma qualcosa andò storto. Qualcuno era tornato nel furgone prima del previsto, e lo aveva aspettato, bloccandolo. E lui, solo un ragazzino, non poteva certo mettersi contro un gorilla del genere. Venne portato davanti alla signora, che stava salendo in macchina.
-E’ lui, signora?-
Lei lo guardò, sorridendo in modo sinistro, quasi per prenderlo in giro –Sì, lascialo andare. Non vorrei che mio figlio si ritrovasse con qualche livido-
Venne rilasciato, Mello cadde in ginocchio, guardando negli quella donna.
-Lui viene in macchina con me. Cambieremo il percorso da seguire, non vorrei che questo incontro ci faccia sospettare da qualcuno- sorrise ancora –Avanti, Mihael, accomodati… Hai da raccontarmi tante cose…-
Mello non aveva molta scelta. Si trovò costretto a seguirla.

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Capitolo 11
*** Fratello ***


Erano diverse ore che non si parlavano, ma a lei sembrava importare poco. Mello sembrava una bambola, non accennava il minimo movimento, un po’ per paura di essere attaccato, un po’ per sfida verso sua madre.
-Mihael…- disse all’improvviso la donna –Non mi dici niente?-
-Cosa dovrei dirti?-
-Guarda quanto sei cresciuto… Somigli molto a tuo fratello…-
-Dov’è Milhel? E Mischa?-
-Rilassati, Mihael… O forse dovrei dire Mello?-
Le aveva lette. Merda.
-Perché, mamma…?-
-Ho solo trovato un lavoro che possa permettere a me e ai miei cari di vivere in maniera dignitosa finchè saremo vivi. Non è affatto malvagia come idea, e te ne renderai conto anche tu quando sarai più grande. Basti poi vedere che fine ha fatto tuo padre…-
-Tu lo sapevi?!-
-Certo-
-Perché allora non sei venuta ai funerali?-
-Gli affari sono affari, Mihael. Io e tuo padre non andavamo più d’accordo. Ha cercato di portare via i miei bambini, sai? Oh, Mihael, se solo sapessi che razza di persona era…-
Mello chinò il capo, confuso, arrabbiato. Più sapeva, meno ci capiva.
-Però guardati, ora, figliolo… Splendido come mi aspettavo… Sei rimasto l’orgoglio della nobile razza che si aspettava…-
-Smettila!- gridò lui –Non siamo più in guerra, non siamo nobili, non siamo una razza privilegiata! Tu e papà avete finito per rovinare la nostra vita per il vostro stupido orgoglio ariano!-
Sua madre lo guardò sorpresa, quasi inorridita. A quanto sembrava, suo figlio era rimasto un “nobile ariano” solo nell’aspetto.
-A quanto pare anche a te dovrò far capire il concetto di amore per la patria, Mihael- sospirò lei –Ma non ti preoccupare. Non sarai solo-
Nelle ore seguenti di macchina ci fu solo silenzio. Mello sempre più frustrato e inorridito. Gli era passata la voglia di qualsiasi tipo di cioccolato, sudava freddo e un leggero tremolio lo coglieva ogni volt che pensava che aveva affianco sua madre, nientemeno che lei. E dei suoi fratelli nemmeno l’ombra.
Non ancora.
-Per stanotte ci fermeremo qui, Mihael. Immagino sia inutile dirti di non provare a scappare- sua madre poi diede le direttive ai suoi uomini –Legatelo e bendatelo, e fate in modo che davanti alla porta ci sia sempre qualcuno. La stanza dev’essere spoglia non ci dovrà essere nemmeno un pezzo di legno. Livia resterà con lui per dargli da mangiare. Portate anche gli altri in camera con lui. Altri due uomini contattino il signor Monblanc per le trattative-
In fretta e furia Mello venne legato e bendato, e non sentiva alcun rumore intorno a lui, finchè non sentì la porta aprirsi.
-Mihael!-
Quella voce…
-Milhel… Milhel… Fratellone!-
-Vado a vedere se la signora ha bisogno di qualcosa. Posso fare affidamento a voi?-
-Fai presto- rispose un uomo di guardia.
Finalmente soli. Finalmente potevano parlarsi. Mello avrebbe voluto anche vedere la sua faccia, vedere se era cambiato, se era rimasto il fratellone di sempre.
-Milhel… Slegami… Lascia che ti guardi…-
-Non posso… Hanno legato anche me…-
-Però non sei bendato, vero? Dove siamo?-
-Una stanza vuota con una finestrella in alto, anche troppo. Non c’è nemmeno un termosifone. La mamma ha fatto le cose in grande-
-Ma allora tu…-
-Quando ha cominciato a dire che aveva trovato lavoro all’inizio ero contento, lei era felice e mi sembrava che le cose stessero andando normalmente. Poi, casualmente, ho visto che le spese della casa erano un po’ esagerate. Cioè, c’erano dei soldi che non tornavano, ma non avevamo problemi di debiti. Poi Mischa è stata male. Ti ho scritto che era tubercolosi o giù di lì, ma per poco non ci lasciava la pelle. Immagino tu sappia cos’è il nuovo “fantastico” lavoro della mamma, vero?-
-Droga- rispose angosciato Mello
-E’ una sostanza nuova, che solo mamma sa produrre, ed è in via sperimentale. Ha ingannato Mischa e gliel’ha fatta prendere per vedere che effetto faceva. È stato terribile: Mischa diceva di vedere gente bianca, come dei fantasmi intorno a lei, vomitava sempre e aveva gli occhi di una posseduta-
Persino la loro sorellina era stata sfruttata. Terribile.
-E… Papà?- chiese Mello –Io non sono riuscito a capire…-
-Papà lavorava in un’organizzazione di spionaggio, e inizialmente non aveva a che fare con la mamma. Ma poi si è venuti a sapere della nuova droga, e papà doveva scoprire qualcosa di più, per poi trovare il modo di farlo sparire dal mercato. Così da lasciare via libera alla concorrenza che traffica invece armi o farmaci più o meno leciti. Per essere un po’ scherzosi, era un “ripulitore” delle formule di morte-
Ma che bella prospettiva…
-Papà è morto…-
-Lo so, Mello- Milhel chinò la testa, sofferente –Anche Mischa è morta-
Anche se on poteva vederlo, Mello alzò di scatto il capo nella direzione della voce –Come?!-
-L’ultimo coktail di droga che la mamma gli ha dato era micidiale. All’inizio gliene dava in minime quantità, ma alla fine le è venuta un’overdose-
-E tu? Sei stato drogato?-
-No… Bè, facevo finta di prendere quella roba…- Milhel guardò suo fratello –Tu, piuttosto, mi ricordi Mischa dopo i primi effetti. Ti sei drogato?-
-Ho mangiato la “cioccolata”, ma non ne sapevo nulla…-
-Certo, capisco…-
Mello, tremolante, si rialzò –Ora però dobbiamo uscire di qui-
-Per fare cosa, Mello? Sei troppo piccolo…-
-Non m’interessa- rispose deciso lui –Voglio vedere la mamma piangere di disperazione e chiederci scusa-

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Capitolo 12
*** Sopravvivenza ***


Il padre era morto. La sorella era morta. Suo fratello era prigioniero come lui. E tutto per colpa sua.
Lui era scappato. I suoi “complici” non scucivano nulla. L’orfanotrofio era diventato un pandemonio. Tutto per colpa sua.
Di chi? Bè, alla fin fine il responsabile di tutto era la madre di Mello, anche se all’orfanotrofio non se ne sapevano nulla.
Nel frattempo Mello e suo fratello erano in quella stanza vuota, senza via d’uscita. Mello doveva innanzitutto togliersi la benda.
-Milhel, aiutami-
-Posso levartela con i denti- rispose Milhel, e in poco tempo, mordicchiando qua e là, tolse la benda dagli occhi. Ora Mello poteva vedere coi suoi occhi dove si trovava, e sembrava effettivamente non esserci una via d’uscita.
Ma c’era una cosa di cui si erano completamente scordati.
-Cosa fai tu senza benda?!- Linda, la segretaria o giù di lì della madre, era tornata. Prese spaventata una pistola e sparò a vuoto. I proiettili bucarono il muro dietro Mello.
-Rimettitela immediatamente!- gli puntò la pistola, tremolante, in faccia
-E’ caduta, si vede che non era legata bene- rispose subito Mello. Linda raccolse la benda, ma notò scoprì subito la verità.
-Sento del bagnato… Ti sei fatto aiutare! La signora è fin troppo gentile con voi, non doveva mettervi in stanza insieme!- questa volta sparò a vuoto vicino a Milhel, sfiorando la corda con cui era legato. Tuttavia cercò di riprendere il suo sangue freddo –No… Non ha senso agitarsi… Tanto anche vedendo qualcosa non potreste comunque uscire… Resterò qui… Non uscirò più…-
Questa è pazza, si disse Mello. Oppure soffriva di attacchi di panico. Gli era venuta un’idea. Forse questo carattere di linda l’avrebbe fatto uscire.
-Da quanto tempo lavori per nostra madre?-
-Poco dopo che è entrata nel giro sono stata assunta come sua assistente- rispose lei dopo un attimo di agitazione. Milhel guardava suo fratello incuriosito.
-E le sei devota?-
-La signora ha fatto moltissimo per me…-
Mello guardò un attimo Milhel. Sperò che avesse capito, ma dalla faccia sembrava di no.
-Non ti ha fatto mancare nulla, eh? Quindi si può dire che sei quasi la sua migliore amica-
-C-credo di sì….-
Milhel non ci capiva molto, ma da come parlava quella donna capiva che era molto insicura e che non sopportava essere messa da parte dal suo capo. Poteva sfruttare la cosa a suo vantaggio.
-Capisco- disse Milhel –E’ un peccato, allora…-
-Cosa… Cosa è un peccato?-
-Che la tua signora forse non ti consideri allo stesso modo…-
Mello sorrise. Allora aveva capito!
-Che-che intendi dire?-
-Intende assumere un’altra segretaria… E una volta ha detto “Questa è troppo pazzoide per lavorare con me”-
Mello cercava con tutte le sue forze di trattenersi dal ridere
-Sì, anche mentre eravamo in macchina mi ha bisbigliato qualcosa del genere…- disse Mello per tenergli il gioco.
-N-n-n-non è vero… State mentendo tutti e due…-
-Linda… E’ così che ti chiami, vero? Guardati intorno: hai un lavoro che ti fa guadagnare, una carriera, un prestigio… Eppure sei qui a fare da balia ai figli del tuo capo… Ti pare che una segretaria-migliore amica farebbe questo? Hai ricevuto soldi, fortuna, carriera, prestigio dalla signora… L’unica cosa che ti manca è il suo affetto-
-Fai silenzio!- sparò all’improvviso, sfiorando per poco la tempia di Milhel –Mi stai infastidendo! Non credo alle tue parole! Finché… Finché non lo sentirò dalla bocca della signora non crederò a una sola parola di quello che dite!- uscì di corsa, piangendo, dicendo agli uomini di guardia che sarebbe tornata subito.
-Merda, non l’ha bevuta…-
-Però questo è bastato per farle venire dei dubbi… Guardala com’è ridotta… Oltretutto ci ha lasciato di nuovo soli… Rilassati, Mello… Sei sempre stato così impulsivo…-
-Che vuoi fare?-
-La pistola potrebbe esserci molto utile per andarcene. Dobbiamo solo trovare il modo di prenderla… Ma come?-
Mello se ne restò zitto a pensare, mentre suo fratello rimuginava ad alta. Un’idea ce l’aveva, ma come avrebbe reagito suo fratello?
-Milhel… Ecco, io…-
-Qualche idea?-
-Ecco… Visto che ha questo carattere… Possiamo dire… Nevrotico? Ecco, pensavo di portarla all’esasperazione e indurla al suicidio…-
Milhel lo guardò con occhi spalancati –Mello, ma sei impazzito?! Sono anni che non ci vediamo, ma non immaginavo che saresti cambiato fino a questo punto!-
-Lo so, ma d’altra parte cosa vuoi? Che ce ne restiamo qui aspettando che ci ammazzino?!-
-Mello, anche se ne va della nostra sopravvivenza noi…-
-Milhel, che diavolo ti prende?!- sbottò Mello. Basta ora –Come puoi parlare in questo modo quando nostra madre gironzola tranquillamente pensando a come farci fuori?! Come fai a dire di non ammazzare i responsabili della morte di nostro padre e nostra sorella? Pensano tutti che sia suicidio, ma in realtà papà è stato ammazzato, vero?! Lo sapevo fin dall’inizio! Sono passati anni e solo ora ho scoperto in che razza di famiglia mi trovo! Come fai a dire ancora di non rinnegare i nostri parenti quando ti riducono così?!-
-Mello, stai dando di matto… Tu non…-
-Io voglio solo farla pagare a quella lì che ha il coraggio di dire ancora che è nostra madre?! E nel corso di un’indagine rischiosa noi…- cosa aveva detto L?

Nel corso di un indagine rischiosa non ci si può permettere di perdere un potenziale sospettato.
Ma sai che ti dico, L? Vaffanculo.
-Nel corso di un indagine rischiosa si deve anche fare qualche sacrificio. Tanto quella sottospecie di segretaria è un pesce piccolo- concluse sull’orlo delle lacrime
-Mello…-
-Bada, Milhel, che se tenti di farmi cambiare idea non ti perdonerò mai. Io non posso dimenticare quello che ho passato… Ti ho cercato per tanto di quel tempo, e tu te ne stai qui a fare il santarellino…-
Linda tornò, notando Mello con gli occhi lucidi –Che ti è successo?-
Inutile dire che la madre era stata qui. Avrebbe scoperto che non era vero –Niente… Pensavo che dev’essere triste…-
-Triste cosa?-
-Essere come te. Non capisco proprio come faccia nostra madre a tenerti ancora con sé-
-Smettila- la mano, che teneva la pistola, tremava
-Forse gli fai solo pena. Come hai detto tu stessa, nostra madre è fin troppo gentile-
-Silenzio-
-Ma la verità è che tu sei come noi: non fa differenza se muori o no-
-Ah… Ah, sì? Ne sei così convinto? Staremo a vedere!-
Quando Milhel vide Linda puntarsi la pistola alla tempia, non resistette più –Mello, basta!- sussurrò
-Perché tremi?- chiese mello, notando una mano che sembrava un terremoto –Oh, hai paura? Allora hanno proprio ragione-
-C-chi?-
-Tutti quanti. Anche le guardie là fuori. Dicono che sei solo una codarda, e che fai solo pena. Ah, ovviamente non te lo diranno in faccia-
-Mello!- ma Mello non ascoltava suo fratello. Ormai era partito. Si era impuntato. E Linda, poverina, faceva pena davvero. Tremava come una foglia e piangeva.
-Ma te lo meriti tutto questo? Eh, linda?-
-Mello, pientala!-
-Basta!-
Un colpo. Tutto silenzio. Una donna cadde a terra, sporcando il pavimento di sangue, lo stesso sangue che le usciva dalla tempia. Per un attimo rimasero a guardarla impressionati.
-Sei… Sei soddisfatto, ora?- chiese Milhel
Mello prese un attimo di respiro –Sì, molto- strisciò, sporcandosi i vestiti di sangue, cercando di prendere la pistola con le mani legate da dietro. L’ideale sarebbe stato sparare un colpo alla corda, ma in quelle condizioni sarebbe stato rischioso.
-Non arriva ancora nessuno… Avranno pensato che il colpo sia partito da lei- disse milhel. Guardò suo fratello scervellarsi su quella corda. Sospirò –Avvicinati-
-Che c’è?- chiese mello avvicinandosi.
-Spara qui, dove la corda è un po’ rovinata. Prima mi ha sfiorato un proiettile. Spara verso l’alto-
-Ma potrei ferirti…-
-Se punti in alto mi prenderà di striscio al massimo. E poi c’è il braccio, non prenderà un organo vitale-
Mello, in silenzio, fece come gli era stato richiesto. Il colpo partì, la corda si ruppe del tutto, e del sangue si mescolava a quello della defunta segretaria della madre. Milhel si tenne il braccio dolorante, ma per fortuna, come aveva previsto, era stato solo preso di striscio. Con la mano libera prese la pistola e accuratamente liberò il fratello.
-Sai, Mello… Non immaginavo che saresti diventato così intelligente. Hai fatto strada. Scommetto che se ti facessi una domanda ora sapresti rispondere senza problemi-
-Mi ero stufato di perdere sempre- rispose mello –Io non sono inferiore a nessuno-
-Questo non vuol dire che stia apprezzando questo tuo modo di fare. Ora andiamo-

Vi ringrazio tantissimo per le recensioni! Spero che continuerete a leggere le mie storie! Io ce la metterò sempre tutta!

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Capitolo 13
*** In Balia ***


Appostati dietro la porta, Mello e Milhel prendevano respiri profondi, cercando il momento giusto per aprire e scappare.
-Al mio tre…- disse Milhel –Uno… Due…- ma per la quarta volta non riuscirono a spalancare quella porta.
-Uffa…-
-Stai calmo, Mello… Non è mica facile come sembra… Sicuramente c’è più di un uomo al di là di questa porta, e noi abbiamo solo una pistola… Tu sei troppo piccolo per reggere uno scontro con quei gorilla e io non so se riuscirei a tenerli a bada per molto…-
-Possiamo sparare a uno di loro e disarmarlo…-
-Mi è venuta un’idea migliore. Vieni qui-
In poco tempo Mello era coi piedi sulle spalle del fratello, reggendosi maldestramente in equilibrio, davanti alla piccola finestra posta davanti a loro.
-Ci arrivi?-
-Se mi metto sulle punte sì… Reggimi, però, eh!-
-No, ti guardo spiaccicarti a terra… Dai, Mello, fidati!-
Le gambe gli tremavano come una foglia, grazie al grande sforzo cui erano sottoposte, ma valeva la pena tentare. Se fosse andato a buon fine, si sarebbero sbarazzati di tutti.
-L’hai preso?-
-Un attimo! Ci sto provando… Ecco, preso!-
-Perfetto!-
Una volta rimessi i piedi a terra, però, Mello era curioso –Non mi hai ancora detto cosa intendi fare con una piccola trave d’acciaio, una pistola e… Un laccio della scarpa?-
-E non solo!- prese dalla tasca una barretta di cioccolato e un accendino, smontandolo in parti più piccole.
-Questo cioccolato è a base di droghe pesanti, no? Che sono anche…- smontò anche la pistola, fondendo la polvere da sparo col cioccolato sbriciolato –Combustibili…- restò a giocherellare con quegli oggetti per diverso tempo, finchè non rimontò l’accendino –Ora vediamo se è come fare un esperimento di chimica. Non ci sono cavi elettrici, ma non sarà un problema. Useremo l’accendino. Fatti più in là, Mello, c’è il rischio che ti ustioni- fece uscire una fiammella dall’accendino smontato, e tutto prese a scintillare. Per un attimo anche Milhel si spaventò –Fantastico…- disse sorridendo –Ora non ci resta che aumentare la dose-
Ora erano in fondo alla stanza, davanti alla porta la pistola coi suoi “ingredienti” legati dal laccio della scarpa. Lungo il pavimento vi erano altri lacci di scarpa intrecciati e bagnati, mentre Milhel teneva l’accendino in mano.
-Sicuro che funzionerà?-
-Lo sapremo tra un secondo- accese, avvicinando la fiamma al primo laccio che prese subito fuoco, e infiammando anche quelli che lo seguivano, fino a giungere alla pistola.
-Tappati le orecchie!-
Uno scoppio tremendo, un polverone, un terribile spavento, e un muro che crollava. Colpi di tosse si confondevano coi rumori delle macerie.
-Mello… Cough… Mello, tutto okay…?-
-Credo di essermi fatto un po’ di lividi…-
-Stai sanguinando…-
-Qualche sasso… Per fortuna eravamo all’angolo e ha retto meglio… Dici che quelli davanti…-
-Se non sono morti allora posso dire che non sono umani-
Si avvicinarono lentamente, muovendo qualche masso qua e là, e notarono qualche mano immobile e insanguinata.
-Questo ha la testa completamente schiacciata. Gli frego la pistola- disse Mello
-E’ meglio muoversi prima che la mamma si accorga di qualcosa-
Ai piedi di Milhel c’era un uomo, a pancia in giù, che respirava ancora, anche se molto lentamente e anche male. Milhel, dopo un attimo di esitazione, gliela puntò sulla testa. E diede un colpo.
-Fratellone, cosa…?-
-Volevo vedere se era carica. Andiamo-
Si sbrigarono a scappare da lì, lontano da sguardi indiscreti, come altri uomini che, sentita l’esplosione, accorsero. Gridavano qualcosa come di informare la lady…
Milhel, mentre camminava con un Mello impaziente, si mordicchiò il labbro. Alla fine aveva ucciso una persona. Ma davanti a sua madre sarebbe riuscito a resistere?
-Come sarebbe a dire?!- gridò la signora infuriata –Non ve ne eravate accorti?! Ma cosa vi pago a fare?! Correte a cercarli! Io ormai ho concluso l’affare, sto arrivando!- gettò il cellulare facendo saltare qualche pezzo.
Mello si guardava intorno ansioso, col fiatone, e la pistola sempre pronta. Sarebbe stato divertente se fosse stato un videogioco survivor, ma on lo era. Prese un bel respiro.
-Mello, vieni dentro! Sta arrivando qualcuno!- lasciarono passare gli uomini e uscirono una volta scampato il pericolo.
-Milhel, sbrighiamoci a trovarla e facciamola finita…-
-E’ facile a parole… Ma…-
Ma…
Si guardarono due fratelli. Con uno sguardo diverso dal solito. Mello un po’ spaventato. Ma non c’era tempo. Vedeva che Milhel alzava la pistola, e non ci ripensò su due volte.
Fece partire un colpo, puntando all’uomo appostato dietro a Milhel con un pugnale. Un lamento agghiacciante interruppe il silenzio e quell’uomo cadde a terra.
Milhel teneva la pistola puntata addosso a lui, ma non premeva il grilletto.
Stavolta Mello aveva paura.
-Milhel! Spara!-
Un colpo ci fu, ma non da parte di Milhel. Milhel, suo fratello, davanti a lui, aveva due buchi all’altezza del petto, sangue che usciva dalla bocca. Sorpreso, il ragazzo si tocco il petto, sentendo dolore, sentendo sangue. La pistola gli cadde dalla mani e lui si ritrovò a terra.
Mello aveva paura, eccome. Sapeva bene chi era. Si girò di scatto e, come immaginava, c’era sua madre che gli puntava la pistola.
-Ora tocca a te- disse lei.
-Mamma…- puntò, tremolante, la pistola
-Non avrei mai voluto usarla contro di te, Mihael, ma…-
Mello sparò all’improvviso, quasi senza rendersene conto, senza puntare in un parte in particolare, ma a quanto vedeva, a giudicare dal sangue, l’aveva ferita leggermente a una gamba.
Scappare, ecco cosa si diceva. Non doveva assolutamente essere a portata di quel grilletto.
Così fece. Immediatamente.

Grazie mille per il tempo che dedicate alla fan fiction!

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Capitolo 14
*** Dancing Dead ***


Sentiva l’adrenalina crescere dentro di lui, uno spasmo indescrivibile che lo attanagliava, il sudore rigargli il viso. I muri, il pavimento, sfrecciavano al suo passo veloce, col timore costante di finire in trappola.
Sentiva ogni tanto qualcosa andare in frantumi, luci spegnersi all’improvviso e vetri in frantumi. Voleva che tutto fosse buio così da braccarlo, evidentemente.
Mello cercò di riprendere il respiro, ma non per molto. Il tempo di sparare a una telecamera davanti a lui.
Man mano che scappavo sparava a tutte le telecamere che vedeva oppure passava dove non potesse essere inquadrato. Non aveva la minima idea di dove potesse essere sua madre, e sembrava, anzi, andava proprio alla cieca.
Rallentò il passo. Per un attimo pensò che doveva tornare indietro a prendere suo fratello. Perché era ancora vivo. Voleva sperarlo fino all’ultimo.
Fece per voltarsi ma un rumore davanti a lui lo privò dell’udito per qualche secondo. Assordante, tremendo, macerie che alzavano polveroni.
-Oh, cazzo!- scappò, cambiando direzione. Aprì una porta a caso, ma vi fu un’altra esplosione, la maniglia rimasta in mano, tutto che tremava, una puzza di bruciato da costringerlo a tapparsi il naso. Sentiva ai suoi piedi degli scoppietti, degli scintillii che riconobbe come proiettili.
-Lady, è nelle nostre mani, è allo scoperto- uno degli uomini, con un fucile, comunicava tutto ciò che vedeva attraverso un microfono.
Mello sparò alla gamba di quell’uomo e se la diede a gambe. Merda, ma com’era possibile?!
Più scappava, più cercava un posto dove rifugiarsi, e più cose saltavano in aria. Sua madre, da qualche parte, con ogni probabilità aveva piazzato delle bombe e fatto saltare tutto in aria. Chiamala scema. Così non poteva perderlo di vista.
Non sapeva più dove andare, e ormai le forze le aveva esaurite. Si appoggiò al muro, pistola sempre alla mano. Tirò un sospiro, stanco, e troppo tardi si accorse che qualcuno lo aveva sorpreso alle spalle.
Sentì qualcosa trapassargli la mano, vide la mano colorarsi di rosso, e subito sentì un altro proiettile passargli sotto il braccio.
Basta, non ce la faceva più. eppure quell’uomo non sparava un altro colpo.
Decise a quel punto di tentare il tutto per tutto.
Si accasciò a terra, lasciando che il sangue della mano colorasse anche il pavimento.
Quell’uomo era da solo, teneva il fucile ancora puntato, e aveva un microfono attaccato alla bocca.
-Credo di averlo colpito. Mi assicuro che…-
Mello si era appositamente messo a pancia in giù, mani sotto di essa, in modo da fare un passaggio lesto tra una mano e l’altra. La pistola ora era nella mano libera e intatta, e velocemente, prima che quello potesse finire la frase, gli sparò al cuore, colpo secco. Gli altri avevano sicuramente sentito, ma avrebbero attribuito il colpo al loro collega.
Bastò ripetere la scena anche con gli altri uomini che si presentarono dopo, facendosi trovare accasciato vicino all’uomo appena morto, utilizzando il sangue perso per fare delle ferite false.
Con un po’ d’astuzia e buona recitazione nel fingersi morti, era riuscito a metterli fuori combattimento, rubare i proiettili per ricaricare la pistola e prendere qualche altro oggetto che potesse servire. Distrusse i microfoni. Non c’erano molti uomini, forse erano morti tutti, ma meglio andare sul sicuro.
Ora mancava solo lei. Dov’era?
Ora non bastava ricevere le sue scuse.
Ebbene sì, Mello aveva dimenticato ciò che Milhel gli aveva detto, la cosa per lui più importante: mai rinnegare la propria famiglia.
Era impossibile per Mello.
E non si sarebbe fatto battere nemmeno dai suoi familiari.
Confondendosi tra le macerie, arrivò nell’ala ancora intatta, ispezionando una stanza alla volta. Sentiva delle esplosioni, lontano da lui. Stava colpendo a caso? Tanto meglio. Prima aveva rischiato grosso, ma se continuava a colpire da quella parte aveva tutto il tempo.
L’ansia di fare tutto in tempo cresceva man mano che sentiva il rumore delle esplosioni avvicinarsi. Quando appurò di aver terminato tutto, scappò di corsa.
Dove poteva essere lei? Non sapeva come orientarsi laggiù, e non c’era nemmeno una planimetria dettagliata. Dove poteva essere una sala dove poteva premere dei pulsanti?
Si guardò intorno: sembrava un albergo abbandonato, usato come rifugio, forse, ormai distrutto. Magari andando verso la reception avrebbe trovato qualcosa, ma più della metà dell’edificio era distrutto, improbabile trovarla in un posto dove era facilmente localizzabile.
E se avesse un telecomando?
Possibile.
Ma dove?
Prima di tutto però doveva testare il suo nuovo prodotto. Chissà se c’era qualcuno ancora vivo.
Camminando attentamente, sentì dei movimenti. Perfetto. Era un uomo solo. Con qualche diversivo, come qualche masso caduto a terra e rumori “innocui”, lo colse di sorpresa tramortendolo e sparandogli a tutti gli arti. Saltò sopra di lui, costringendolo ad aprire la bocca.
-Mangialo- ordinò Mello, infilandogli in bocca un cioccolatino –Masticalo- mosse la mascella di quel tipo in modo che spezzettasse qualche pezzo.
Nel giro di poco tempo quell’uomo aveva la bava alla bocca, farfugliava spaventato qualcosa, aveva gli occhi iniettati di sangue e si dimenava. Mello gli diede via libera e quell’uomo gridava qualcosa come “Lasciatemi in pace! Non urlate!” e, preso dalla disperazione, prese altra cioccolata da Mello, divorandolo avidamente, finchè non andò in overdose.
Perfetto.
Poteva farcela.
Sua madre era nascosta in un’ala dell’hotel ormai distrutto ancora intatta, guardandosi bene le spalle e osservando attraverso un mini televisore le telecamere che erano state distrutte. Ormai l’unica ala in condizioni decenti era quella dove si trovava lei, dove solo allontanarsi a farlo saltare in aria col telecomando in suo possesso.
Non immaginava neanche lontanamente che ora la preda era diventata lei.
Lei forse aveva dimenticato, ma Mello niente affatto.
Per fortuna qualche condotto dell’aria in quell’ala semi-intatta c’era ancora, e soprattutto non c’era aria condizionata accesa.
Trovarsi la madre sotto quella grata era una cosa che lo riempì di gioia. E la grata aveva i  buchi larghi quel tanto che bastava.
Prese una cannuccia che aveva preparato prima e se la mise in bocca, facendola passare tra la grata, e soffiò, puntando sul collo di sua madre. Lei si mise la mano su di essa, pensando a una puntura di zanzara.
A base di cioccolato Marker.
Mello vide con soddisfazione che lasciava cadere il telecomando, sentiva distintamente il suo respiro farsi più affannoso, barcollava.
-N… No…- cominciava a lamentarsi –C… Chi siete… Voi? State lontani…- diede qualche testata violenta al muro –Andate via!-
Mello scese dalla grata del condotto dell’aria, rimanendo dietro di lei.
-Aiuto!-
Si avvicinò piano piano, pronto a sparargli, ma sentire le sue ultime parole lo lasciò interdetto.
-Milhel… Mihael… Aiutatemi… Aiutate vostra madre! Milhel, dove sei?-
Mello non poté farne a meno –Milhel Keehl è morto. L’hai ammazzato tu-
-Non… Non è possibile! Non sono stata io! Io amo i miei figli…-
Usciva sangue da quegli occhi azzurri, come delle lacrime, occhi lucidissimi, sudata, irriconoscibile. Sotto l’effetto di una droga molto più micidiale della sua.
-Aiutami!-
Mello, sentendo le mani tremolanti su di sé, strinse di più il fucile.
-Ora la finirai…-
-Portami con te… Portami in Paradiso…- la vide afferrare il fucile e Mello, un po’ spaventato e un po’ furente, premette il grilletto, colpendola alla guancia.
La madre, sotto effetti allucinogeni e chissà cos’altro della droga, rideva a crepapelle.
-Angelo…  Portami con te…-
Doveva smetterla.
Uno, due, tre, quattro colpi, anche di più, finchè la testa bionda di sua madre non divenne irriconoscibile.
Qualche lacrima a Mello scappò. Un angelo…
Maledetta. Tu sia maledetta per sempre, anche in Paradiso.
Doveva andarsene. Gettò le armi e tutta la cioccolata che trovava e vagò per le strade finchè non trovò un autogrill, e per fortuna non c’erano occhi indiscreti.
Prese qualche spicciolo dalla tasca e andò alle cabine, premendo nervosamente un numero. Quando arrivò lo scatto alla risposta cercò di ritrovare un po’ di calma.
-Ho bisogno di un biglietto per Londra il prima possibile. No, non ho veicoli… Ah, non pago in contanti… Sì, sì, carta di credito… Le invierò presto un fax, grazie-
Approfittò della notte all’autogrill, di nascosto, per lavarsi i vestiti e preparare il necessario.
Raggiungere senza permesso gli uffici fu un giochetto da ragazzi e poté tranquillamente mandare il suo fax.

Mister Milhel Rodd, nato a Norimberga il 26 marzo 1981. Recapito…
La mattina dopo di corsa all’ufficio postale più vicino per ritirare il tutto, spacciandosi per Milhel Rodd, anzi, per il figlio di Milhel Rodd che faceva una commissione. Diede poi una busta da spedire. Doveva essere una carta di credito ma dentro c’erano delle cartacce di cioccolata.
Mentre guardava il cielo, sull’aereo, quell’aereo che lo riportava in un altro mondo, si disse che non avrebbe detto a nessuno cosa era successo mentre era via.
Il problema era inventarsi un’altra balla verosimile.

*Dancing Dead è il titolo di una canzone degli Avenged Sevenfold, canzone che ho ascoltato mentre scrivevo il capitolo. È veramente figa e mi ha gasato tantissimo mentre scrivevo, trovandola perfetta per l’atmosfera. Grazie, Avenged Sevenfold.

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Sotto il caldo, la monotonia della vita inglese e un giardino pieno di foglie secche da togliere può capitare di avere una svista o un allucinazione. Questo era quello che si diceva il ragazzino, mentre scorgeva un ombra tra i cespugli vagamente familiare.
Quello stesso ragazzino ora correva verso l’orfanotrofio per piccoli geni, la Wammy’s House, e urlava a squarciagola qualcosa attraverso l’architettura vagamente gotica.
-Eeeeeeehi! È tornato! È tornato!-
Le voci arrivarono fino a Roger, che accorse per accertarsene.
Maglietta nera, jeans neri, capelli biondi a caschetto, anche se disordinati, andatura stanca e un sorriso sghembo. Quel ragazzo lo salutò con una mano e disse -Ciao, Roger, sono tornato!-
Forse Mello si aspettava un’altra cosa, fatto stava che invece del consueto “Bentornato” si ritrovò un pugno violento in testa.
-Ahiaaaa!-
-Dove ti eri cacciato?! Si dà il caso che mentre tu te ne stavi a spassartela in giro per l’Europa noi ci stavamo dannando a cercarti!-
-Noi chi?- chiese Mello tenendosi la testa
-Guarda che anche se non sembra erano tutti preoccupati per te! Persino Matt, anche se non ha voluto dirmi dov’eri!-
Mello rimase un po’ incredulo –Ah, sì?-
-E anche Near-
No! Near non era proprio possibile! Si sopportavano appena, figurarsi se sentiva la sua mancanza!
-E anche Watari è tornato di corsa qua per capire che avevi combinato…-
-Ah, okay- sembrava totalmente indifferente –Comunque, per tua informazione, non me la sono spassata-
-E che facevi?- chiese Roger con tono furente
-Non sono affari tuoi- non lo degnò di uno sguardo nel dare la risposta e si diresse verso il portone dell’orfanotrofio, alla ricerca di Watari.
Si guardava intorno, come se fosse mancato secoli da lì, eppure nulla era cambiato: le solite vetrate, il solito pulito, il solito odore. I bambini erano sempre gli stessi e l’atmosfera non era mutata. Anche le scale erano rimaste le stesse, e notò una presenza familiare sbucare da lì e scendere di corsa.
-Ma allora… Allora sei tornato davvero!-
-Matt, non sei cambiato di una virgola…-
Matt si fermò davanti a lui, mani sulle spalle, sorridente. Felice.
-Per un attimo ho pensato che fossi morto!-
-Ma non dire scemenze…- Scrollò le spalle, dandogli un pugnetto sul petto –Anche a me fa piacere rivederti-
Matt si rilassò, rimanendo sorridente –Immagino che tu non voglia raccontarmi cos’hai fatto, ma io ho da dirti una news assurda: Near mi ha aiutato a coprirti. Ridi pure, sfottimi, ma ti assicuro che è la verità-
Ma Mello non sembrava sorpreso nemmeno di quello, sorridendo amaramente –Immaginavo che avrebbe agito così- sospirò –Ricevuto il messaggio…-
-Uhm?- chiese dubbioso Matt
Mello sorrise ancora –No, è che… Il suo coprirmi mi sembra quasi un “Vedi di non farti ammazzare prima che L scelga”-
-Ma di che stai parlando?-
-Watari non te l’ha detto? Bè, posso anche capirlo… A proposito, dov’è?-
-E’… In una stanza al piano di sopra, quella più in fondo… Credevo fosse uno sgabuzzino e invece sembra che fosse stata la stanza di qualcuno venuto prima di noi-
Mello, con calma e tranquillità, salì le scale, e camminò guardando il panorama attraverso la finestra. Sì, un po’ gli era mancato quel verde, quella tranquillità, persino i mocciosi pestiferi. Si sentiva finalmente a casa, nessun muro a dividere niente, niente razze, niente di tutto ciò.
Arrivò davanti alla porta, bussando tre volte e aprendo senza sentire “Avanti”. Vide un’altra presenza, oltre watari, un ragazzo dalla maglietta bianca che guardava alla finestra, mentre watari aveva un piattino di torta appena consumato ed era accanto a un computer.
-Mello… Allora sei davvero tornato- disse Watari sorridente. Il ragazzo dalla maglietta bianca si girò di scatto a guardare la persona che rispondeva al nome di Mello. Mello, nel guardare quel ragazzo, cercò di trattenersi da ridere. Sembrava appena uscito da un frullatore.
-Avevi bisogno di qualcosa in particolare?-
-Uhm… No, volevo solo farti vedere che sono tornato…- cercò di distogliere l’attenzione dal quel ragazzo strambo e trasandato, che stavolta si era messo un dito in bocca, manco fosse un moccioso dell’asilo –E dirti di non fare domande su dove sono stato e perché…-
-Capisco…- Watari aveva il pregio di essere discreto e comprensivo
-Watari- Mello non si aspettava che quel ragazzo sapesse anche parlare , eppure aveva appena chiamato l’anziano proprietario dell’orfanotrofio –Lasciaci soli per un momento, per favore-
Watari fece un cenno con la testa in segno d’assenso, prese il piattino e uscì, salutando Mello e chiudendo la porta alle sue spalle.
E quello ora che voleva da lui?
Per un bel po’ quel ragazzo se restò zitto a versarsi del caffè, delle zollette di zucchero, quasi a volerci giocare, e soffiava piano piano per non scottarsi.
Ma lo prendeva in giro o cosa?
-Ehm, ehm…- tossicchiò rumorosamente Mello –Scusa tanto se non c’è anche Tiffany*-
-Oh, ma che fai lì in piedi?- disse quel ragazzo con voce svogliata e quasi rassegnata, strusciando un po’ i piedi per terra –Accomodati-
Mello prese una sedia e si accomodò davanti a quel ragazzo, che si sedeva in una posa stranissima. Mai visto un ragazzo di quasi vent’anni o giù di lì sedersi come un poppante. Ma da dove saltava fuori questo?
-Ehm…- Mello decise di rompere il silenzio –Tu vivi qui da molto? Perché sei orfano?-
Il ragazzo lo guardò per un momento, tazza vicina alle labbra –Ho vissuto qui fino alla tua età, più o meno-
-Ti hanno adottato?-
-No- sorseggiò del caffè –Non ce l’ho una famiglia. Anche se possiamo quasi dire che mi abbia adottato Watari. È al mio fianco da sempre-
-Ah, bello- disse Mello piatto –E perché sei qui?-
-Lavoro-
-Con i computer?-
-Lì ci sono tutte le informazioni di cui ho bisogno- disse lui guardando lo schermo
-E che lavoro è?-
Lo sguardo di quel ragazzo, vuoto, svampito, ornato dalle occhiaie profonde, era indefinibile per Mello. Aveva forse fatto una domanda troppo invadente?
-Mihael Keehl- disse invece lui alla fine.
Mello ci restò di sasso. Non era possibile! Watari aveva detto che avrebbe fatto in modo che nessuno sapesse del nome!
-Io sono L-
Lui… Lui era L?
-E non rivelerò a nessuno il tuo vero nome, nemmeno quello di Nate River-
-Nate River…?-
-Tu lo conosci come… Near-
Forse aveva capito perché.
Quel ragazzo, L, proprio il più grande detective del mondo, aveva appena terminato il caffè e posò la tazza sul tavolo. Prese il computer portatile e cliccò su un’immagine.
-Sai niente di questo?- gli mostrò l’immagine di un hotel, ormai familiare, semi distrutto, con diversi cadaveri, tra cui poteva riconoscere quello della madre.
-No- rispose Mello sicuro
-Sai perché mi considerano il più grande detective del mondo?- cliccò su un altra icona e apparve la faccia di Mello, con vero nome e data di nascita. Mello deglutì.
-Non tutte le tue tracce erano state cancellate accuratamente. Avresti dovuto sbarazzarti anche degli ingredienti e delle attrezzature che hai usato per la cioccolata, invece di occuparti solo delle armi. Le impronte rimangono-
Mello sbuffò –Bene, ora posso andarmene dopo aver sentito la tua ennesima perla di saggezza?-
-Come immaginavo- L fece un sorriso sghembo –Nonostante ti abbia osservato solo tramite una telecamera per 5 minuti ho capito subito che eri un tipo dall’alto tasso di impulsività. Tu sei uno di quelli che rischia sempre di schiattare, al contrario di Near che se ne sta sempre buono e calmo-
Mello si innervosì –Mi stai forse dicendo che hai scelto il tuo successore e che non sono io?-
Ebbene, qui è necessaria una spiegazione: Mello e Near erano stati scelti da L, tramite Watari, come possibili successori. L avrebbe poi deciso in seguito che dei due avrebbe effettivamente ricoperto quel ruolo ereditando il suo nome e il suo ruolo.
-Non ho detto niente del genere- L cliccò qualcos’altro sul computer, e apparve il volto di Milhel, con una scheda dettagliatissima –Era un tuo parente, vero?-
-Mio fratello maggiore-
-Stavo indagando su questo caso e tu mi hai combinato tutto questo. Mi dispiace per tuo fratello, ma devo ammettere che grazie a te si è potuta porre fine a una banda mafiosa-
-Mi stai ringraziando?-
-Diciamo di sì… Inoltre, le tua capacità deduttive che hai dimostrato per arrivare a questo punto e l’ingegno che hai usato per tornare qui mi hanno permesso di rivalutarti. Credo che mi soffermerò più a lungo sulla mia scelta-
Quella chiacchierata, nonostante l’astio iniziale, si era trasformata in una conversazione niente male, e Mello godeva del fatto di avere avuto il privilegio lui, e soltanto lui, di parlare faccia a faccia con L.
Man mano che la chiacchierata proseguiva Mello capiva perché L fosse così famoso e capiva perché rappresentava un asso nella manica di molti corpi di polizia.
Quella fu l’unica occasione che ebbe di parlare con L, e lo fu per diversi motivi.
Il tempo passava inesorabile e Mello era impegnato a rifarsi una vita all’orfanotrofio ingozzandosi di cioccolata, cercando sempre di battere a tutti i costi il suo rivale, Near. Inoltre L non tornò più all’orfanotrofio e tenne sì e no due o tre discorsi con gli altri bambini tramite computer.
Ma c’era la cosa più importante.
L era morto nel tentativo di risolvere il famoso caso Kira.
L, dopo aver giurato di mandare Kira sulla forca, era stato ucciso.
Per Mello fu come il crollo di un castello. Avevano ucciso l’unica persona che meritasse davvero la sua stima. Un obiettivo, una persona da seguire come modello.
E L non era riuscito a dire chi avesse scelto tra lui e Near.
Impossibile accettare un’alleanza con lui. Ne andava del suo orgoglio.
Il suo carattere col tempo era mutato. Quando L morì lui aveva quasi quindici anni e tutte le esperienze passate gli hanno dato un carattere testardo, volenteroso, indomabile.
Vendicativo.
Aveva ucciso sua madre per vendicare suo fratello, suo padre, e sua sorella.
Avrebbe ucciso Kira per vendicare L e dimostrare quanto valeva al confronto con L.
Una cosa che sviluppò fino ai suoi vent’anni, alleandosi con la mafia, con gente collega della madre, gente che disprezzava dal profondo, eppure necessario se voleva trovare un fottutissimo modo per uccidere quel dannato Kira.
Riuscì a manipolare un organizzazione come la mafia, la polizia, Kira stesso.
Eppure, dovette accettare di andarsene in silenzio, senza dire nulla a nessuno, coinvolgendo anche Matt. Il caso Kira lo portò alla morte, così come tutti i mafiosi coi quali si era alleato.
Mello cominciava a pensare che attirasse la morte, forse per il suo vestire sempre nero, non ne era sicuro.
Ma volle lo stesso morire, facendosi uccidere da una seguace e complice di Kira, fornendo però a Near un aiuto straordinario.
Mello, anche se era andato via dalle scene in modo così poco eclatante, aveva impresso il suo nome in codice in Near, in L, in Matt, persino in Roger.
Mello dimostrò quanto valeva morendo.
E mentre andava incontro alla morte, si disse che non era una sconfitta.
Nonostante i meriti sarebbero andati a Near, nonostante il mondo non avrebbe mai saputo della sua esistenza.
Sapeva di aver comunque vinto.
Ora capiva i discorsi di suo padre.
E sulla sua lapide, a Berlino, vi era scritta una frase che meglio di tutti lo rappresentava.

Mai rinnegare sé stessi.
E accanto a quella lapide vi erano dei fiori con una dedica.
Grazie.
Firmato: Nate River.

* Mello prende in giro L citando il film "Colazione da Tiffany" Naturalmente vi ringrazio tantissimo per il tempo che avete dedicato alla storia e per la pezienza che avete dimostrato durante la mia improvvisa assenza.
con questa storia ho voluto dimostrare come anche nell'infelicità di una persona si possa cogliere un qualca di positivo.
Mello, lo ammetto, mi ha colpito per il suo voler vincere a tutti i costi e ho provato a immaginare il perchè e il cosa intendesse davvero per "vincere".
Dunque questa storia giunge al termine. Ma non temete: la mente di Nemesi è sempre al lavoro!
C'è per esempio la storia sui vampiri, Deep, pubblicata su efp, interrotta, purtroppo, a causa della mia insicurezza su come svilupparla. Sono ancora nel dubbio, mentre aspetto di sviluppare qualche altra ideuzza ancora sfumata.
E non per questo il disegno lo lascerò da parte, sia chiaro, è la mia ragione di vita ^^

GRAZIE INFINITE PER IL VOSTRO SUPPORTO, I VOSTRI COMMENTI ALLE MIE STORIE MI RALLEGRANO SEMPRE E MI SPINGONO A FARE SEMPRE MEGLIO ^^ PER QUALSIASI DELUCIDAZIONE DELLA STORIA SONO A VOSTRA COMPLETA DISPOSIZIONE QUAL'ORA ABBIATE RICHIESTE PARTICOLARI NON FATE COMPLIMENTI ^^
SIETE FANTASTICI COME AL SOLITO ^^

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