Freedom Hearts

di Chiisana19
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La leggenda della Terra di Furi ***
Capitolo 2: *** Incubi ***
Capitolo 3: *** Demone della vita ***



Capitolo 1
*** La leggenda della Terra di Furi ***


Freedom Hearts
 
 

 
Questa è una storia semplice, eppure non è facile raccontarla,
come in una favola c’è dolore,
e come una favola, è piena di meraviglia e di felicità.
Cit. film - La vita è bella
 
 
 

 
Capitolo 1 – La leggenda della Terra di Furi
 

La leggenda parla di Izanagi, fratello e compagno della Dea Izanami, insieme, essi, decisero di creare la leggendaria Terra di Furi, un luogo libero e ricco di pace. Col tempo la Terra di Furi si popolò, e tra questi nacquero i Yamabushi, uomini dotati di grandissima forza spirituale, tanto che assunsero il nome di monaci. Vivevano come eremiti tra le alte montagne e usavano il loro dono per il bene del prossimo, ma col tempo si fecero corrompere dal potere in loro possesso. Divennero egoisti e superbi, inquinando la Terra di Furi con l’odio ed il male.

Per questo motivo Izanagi e Izanami, decisero di inviare sulla Terra di Furi la loro figlia femmina, Dea del Sole, Amaterasu, per riportare la pace che aveva sempre regnato. Grazie alla sua bomtà, Amaterasu si fece rispettare dal popolo e divenne la prima donna Yamabushi mostrando un grande potere spirituale che nessun essere aveva mai posseduto. Per anni, aiutò e servì il popolo, ottenendo così la loro fiducia e devozione. Ma intanto, il fratello maschio, Dio della Luna, Tsukuyomi, divenne invidioso e decise di uccidere i padri fondatori della Terra di Furi e sua sorella.

Però devi sapere che...
 

«Mamma mi passeresti il sale?» la ragazza indicò cortesemente l’oggetto appena richiesto, posto dall’altra parte della tavola apparecchiata, interrompendo così suo nonno.

Questo tossì appena, riprendendo seriamente il discorso «Devi sapere che Amaterasu, poco prima di morire, rivelò una profezia: dopo la sua morte ci sarebbero state cinquanta  delle sue reincarnazioni, nonché, guardiane della famosissima sfera dei quattro spiriti» terminò soddisfatto e ad occhi chiusi, mentre il bambino seduto al suo fianco, lo esaminò con sguardo fanciullesco, finendo di masticare la sua pallina di riso.

«Guarda che non ti sta ascoltando» disse con tono calmo, per poi tornare a mangiare, mentre sua sorella maggiore finiva di versare il sale sul suo piatto.
Alle parole del nipotino, l’uomo aprì gli occhi, trovando la ragazza intenta ad assaporare soddisfatta il proprio pranzo appena condito «Kagome hai sentito quello che ho detto?»

Sentendosi chiamare in causa, Kagome prestò, per la prima volta, attenzione al vecchio, osservandolo annoiata «Si nonno, la conosciamo tutti questa storia» borbottò la nipote, poggiando il mento sul palmo della mano.

«Non è una storia, ma una leggenda! Ed è scritta proprio qui, su questa antichissima pergamena che è sempre rimasta custodita nel tempo Higurashi!» recitò fiero, alzando in aria l’oggetto come se fosse una coppa, e asciugandosi con l’altra una lacrimuccia.

«Papà, posa lontano quell’oggetto, è pieno di polvere! Kagome, togli il gomito dal tavolo» li brontolò amorevolmente la signora Higurashi, poggiando al centro della tavola un piatto ricco di higashi.

«Scusa mamma» la ragazza, accennando un sorriso, fece come richiesto, annusando emozionata i dolcetti dalle forme più strambe, mentre l’uomo, sempre tenendo in aria la pergamena rovinata, aprì la bocca sconvolto.

«Ormai non c’è più rispetto per la saggezza e le persone anziane..» borbottò abbattuto. Il bambino lo guardò, ingoiando l’ennesimo boccone.

«Nonno, non ti stanno ascoltando..» nuovamente, alzò lo sguardo sulla figlia e la nipote, che iniziarono a parlare animatamente.

«Mamma è buonissimo!» esclamò entusiasta Kagome, non appena addentò un dolce a forma di fiore.

«Mi fa piacere tesoro» sorrise la donna, soddisfatta del proprio operato.

Al nonno, non restò che piangere abbattuto da tale insensibilità.

Improvvisamente Kagome posò lo sguardo sull’orologio appeso al muro e per poco non si strozzò «Oh Kami, sono in ritardo! Scusa mamma devo andare!» gridò agitata, alzandosi in piedi e sbattendo contemporaneamente le mani sulla tavola apparecchiata, per poi correre via.

Il nonno e suo fratello Sota saltarono sul posto, spaventati, mentre la signora Higurashi rimase impassibile, sorseggiando tranquillamente il suo tè verde «Kagome ricordati il libro. Oggi scade il prestito» le ricordò.

Una saltellante Kagome riapparve in cucina, con addosso un semplice cappotto rosso scuro e una sola scarpa a coprirle il piede, intenta a mettersi l’altra «Grazie mamma!» esclamò con fatica.

Dopo essersi all’allacciata la scarpa posò un tenero bacio sulla guancia della madre, scosse i capelli al fratello e afferrò un altro dolcetto, portandoselo subito in bocca.

«E a me nulla?» si lamentò il più anziano della famiglia, quando si accorse che Kagome era pronta ad uscire dalla cucina. Questa alzò divertita gli occhi al cielo, e, finendo di masticare il biscotto, lasciò un rumoroso bacio sulla testa del proprio nonno, ormai del tutto priva di capelli, fatta eccezione del codino. Questo sorrise soddisfatto.

«Ci vediamo stasera!» urlò la ragazza uscendo di casa, non prima di aver acciuffato, rischiando di ruzzolare per terra, il libro posto sul tavolino del salotto.

Un venticello primaverile colpì piacevolmente il suo volto bianco, ondeggiandole appena la sua lunga chioma scura, mentre il suo naso percepì chiaramente il buonissimo profumo dei petali appena sbocciati del grande albero che ornava il giardino di casa Higurashi.

Suo nonno aveva detto che quell’albero aveva almeno cinquecento anni, risalente al periodo Sengoku. Quando era piccola non si era mai interessata alla storia, ma soprattutto alle leggende che ogni giorno le profilava quel brontolone..

Con un balzo saltò gli ultimi due scalini della grande scalinata, rischiando di slogarsi una caviglia, e iniziò a correre, tenendo con una mano la lunga sciarpa a motivi floreali che le ornava il collo.

Una volta raggiunto il fondo del viale dovette fermarsi, sia per riprendere fiato, sia per aspettare lo scattare del semaforo per attraversare la strada, dove si trovava un parco. Ogni volta che ci passava, Kagome non poteva fare a meno di trattenere un brivido.

Qualche anno prima aveva ufficializzato a sua madre che la paura era scemata, ma in realtà non era così. Le aveva mentito un po’ perché ormai era grande e avere il timore di un banale parco era ridicolo, un po’ per il semplice fatto che non voleva preoccuparla.

All’età di cinque anni la piccola Kagome iniziò a mostrare i primi sintomi di sonnambulismo. Alla signora Higurashi capitò di svegliarsi diverse volte nel cuore della notte non appena l’urlo isterico di sua figlia le colpiva le orecchie. Dopo un anno decisero di portarla dal pediatra che ipotizzò che la bimba soffriva di semplice sonnambulismo, somministrandole così una serie di farmaci dal sapore disgustoso, da prendere prima di andare a letto.

Ma, poco dopo aver compiuto sei anni, Kagome capì che forse il motivo era ben altro: cattivi sogni. Ricordava ancora quella sensazione di risveglio col cuore in gola, le lacrime agli occhi e il corpo coperto interamente di sudore, ma sua madre quella notte non arrivò, per il semplice fatto che non si mise ad urlare come suo solito.

Da quel giorno fu sempre così. Aveva talmente paura di addormentarsi che una volta provò persino a non dormire, ma fu inutile. Gli incubi non smettevano mai di disturbare il suo sonno e così decise di raccontare tutto a sua madre che, come suo nonno, aveva pensato per un attimo che i farmaci che prendeva funzionassero davvero.

‘Cos’è che sogni tesoro?’ le aveva chiesto amorevolmente sua madre. Bella domanda.. in realtà non lo sapeva neppure lei, l’unica cosa certa era che si trovava in un bosco buio, dove un forte odore di sangue e morte le colpiva le narici, come se fosse realmente lì. E vi erano anche delle persone, mai viste prima.. ma questo non l’aveva mai raccontato a sua madre.

«Signorina è verde» la voce gracchiante, ma allo stesso tempo affettuosa di una signora anziana la risvegliò. Kagome alzò lo sguardo, costatando effettivamente che lei e la donna erano le uniche rimaste ferme sul ciglio della strada.

«Grazie» mormorò, accennando un sorriso riconoscente, mentre la vecchia rispose con un cenno del capo. Kagome iniziò ad attraversare, ma questa volta non si mise a correre perché una leggera fitta colpì il fianco sinistro.

“Sarà la milza.. forse ho esagerato a correre in quel modo” ipotizzò, posando la mano sul punto che continuava a pulsare, ma una volta raggiunto il marciapiede dovette bloccarsi. Gli alti alberi del parco le fecero ombra, mentre un lungo brivido passò lungo la sua schiena fino alla nuca.

Dandosi coraggio riprese a camminare. Era in mostruoso ritardo e passare lungo il parco le avrebbe permesso di risparmiare almeno cinque minuti, ma la paura era più forte di lei. Cercando di non badare al dolore ch continuava a colpirle il fianco riprese a correre, con l’intenzione di raggirare l’intero parco.
 
“Questa volta il signor Hayashi mi licenzierà” pensò nel panico, entrando trafelata dentro il piccolo supermercato. Guardandosi attorno circospetta raggiunse la porta con su scritto ‘divieto d’accesso’, per poi entrare. Con un sospiro poggiò la schiena sull’uscio, asciugandosi col palmo della mano il lieve sudore formatosi sulla fronte. Con passo lento giunse ad un piccolo armadietto grigio, aprendolo con la chiave che teneva in borsa, afferrando il proprio grembiule verde scuro da lavoro.

Dopo esserselo messo si legò i capelli sbarazzini su una coda alta e chiuse l’armadietto, non prima di aver messo dentro la borsa. Soddisfatta aprì la porta, pronta ad un uscire, ma dovette bloccarsi. La figura di un uomo alto quanto lei, ma leggermente più pesante le bloccò l’uscita, mentre teneva le tozze mani sui fianchi e lo sguardo assassino su lei.

“E io che pensavo di essermela cavata..” pensò affranta, pronta a ricevere l’ennesima batosta dal proprio capo.

«Higurashi.. sei in ritardo di quasi mezzora» sottolineò minaccioso e assottigliando i suoi occhietti scuri e vispi. Quando odiava quello sguardo.. non a caso non lo guardava mai negli occhi.

Kagome ingoiò con difficoltà un po’ di saliva, iniziando a torturarsi le mani «Mi dispiace signor Hayashi. Non capiterà più» si giustificò, mormorando dispiaciuta e senza smettere di osservarsi le sue mani, che poverine, cominciavano a diventare rosse a forza di grattarsele con le unghie.

«Questa è la quarta volta in un mese e tu usi sempre la solita scusa! Dovrei licenziarti» sbraitò ostile. A quelle parole Kagome alzò lo sguardo, sgranando gli occhi.

«La prego non succederà più, glielo prometto!» lo pregò, cercando di usare il più possibile un tono deciso.. si certo, peccato che fosse più che altro tremante. Infatti l’uomo alzò un sopracciglio, poi sciolse le mani lungo i fianchi.

«Ultima possibilità, altrimenti ti caccio fuori!» senza cambiare espressione indicò rabbioso dietro di se col pollice, seguito da un gesto col capo «E ora vai a lavoro, cassa tre»

Inchinandosi grata, Kagome tirò un sospiro di sollievo e si allontanò senza dire nulla. Anche quella volta se l’era cavata, ma non poteva rischiare di perdere quel lavoro dannazione!

Stringendosi con entrambe le mani la coda di cavallo leggermente allentata raggiunse la cassa, dove a sedere stava una ragazza intenta a porgere lo scontrino ad una donna di mezza età. 

«Ciao Eri. Grazie di avermi sostituita» sospirò la mora, portandosi una mano sulla fronte e chiudendo gli occhi, mentre la ragazza con i capelli a caschetto si alzò, sorridendole.

«Tranquilla ormai è diventata un’abitudine» scherzò, regalandole una leggera pacca sulla spalla, facendo scappare un sorriso anche a Kagome, che prese posto.

«Comunque vedi di stare più attenta, altrimenti il signor Hayashi ti licenzierà sul serio» la informò in un sussurro, con una mano poggiata al lato della bocca, in modo tale che solo loro potessero sentire cosa aveva appena detto.

Kagome annuì soltanto, afferrando il concetto. Si che lo sapeva.. quel nanetto le aveva dato praticamente un’ultima possibilità! Cercando di non pensarci sorrise alla donna che era appena arrivata con la cesta piena, mentre il bambino al suo fianco continuava a tirarle la maglia.

«Mamma ti prego, posso prendere un cioccolatino?» la implorò, indicando l’oggetto vicino a Kagome, mentre la madre iniziò a poggiare la spesa sul banco scorrevole. Alle parole ingenue del bimbo a Kagome fuggì un sorriso, mentre registrava il prezzo della busta di shirataki sul lettore automatico.

«No tesoro. Ti ho già comprato i gelati» lo rimproverò questa, mentre il bimbo lasciò andare la maglia ed abbassò il capo dispiaciuto. Kagome, a quella visione, si intenerì e dopo aver finito di registrare tutta la spesa prese il cioccolatino che fino in quel momento stava indicando il piccolo.

«Tieni, te lo regalo» le sorrise, porgendolo al bambino che, dopo aver guardato  il cioccolatino, Kagome e poi la madre, che grata annuì, lo accettò entusiasta.

«Grazie signorina» esclamò felice, iniziando a saltellare sotto lo sguardo divertito delle due adulte. Dopo aver pagato e messo tutto in una busta la donna ringraziò ancora Kagome che ricambiò con la mano il saluto dei due. Se il signor Hayashi avesse scoperto che aveva appena offerto qualcosa l’avrebbe messa a pulire tutto il giorno i bagni pubblici.

Era un tipo fissato coi soldi e la perfezione nel lavoro. Certo, poteva capire che arrivare tardi era sbagliato, ma cavolo offrire un piccolo cioccolatino ad un cliente, per lo più un bambino, non c’era nulla di male! Sospirò; detestava quel tipo di persona..

Improvvisamente curvò la schiena e il fiato si mozzò, non appena una nuova fitta al fianco si fece viva “Ma che diavolo..” pensò confusa. Strinse i denti e continuò a lavorare, quando un uomo poggiò sul banco un numero esagerato di bottiglie alcoliche.

“Che giornataccia” pensò, registrando la spesa del cliente, sempre tenendo la mano sulla parte indolenzita.
 

***
 

Quando Kagome uscì dal piccolo market, la tenue luce rossastra del tramonto incantò i suoi occhi. Quella di oggi era stata veramente una giornata stressante. Per tutto il tempo quel fastidioso dolore non era mai scemato, solo da mezzora prima della fine del suo turno, sembrava essere scomparso del tutto.

«Ciao Kagome, ci vediamo domani» la salutò Eri con la mano, iniziando ad incamminarsi, mentre lei ricambiò il gesto avviandosi nella parte opposta rispetto alla collega. Si strinse meglio che poteva la sciarpa, dato che quella sera il vento era leggermente forte e fresco. Eppure il sole aveva scaldato per tutto il tempo la città di Tokyo..

Con molta calma alzò lo sguardo verso l’alto, dove innumerevoli nuvole tinte di rosso ricoprivano il cielo pronto ad oscurarsi. Aveva sempre amato i colori del tramonto. Quando era piccola, esattamente quando cominciarono a presentarsi i suoi attacchi notturni, suo padre decise una sera di portarla su un grattacielo della città, esattamente dove lavorava. Il suo ufficio era maestoso e una grande vetrata gli permetteva di vedere tutta la capitale.

Rimasero lì, in silenzio, a guardare il sole tramontare, mentre pian piano l’oscurità diventava padrone di quello che a lei sembrava un grande mondo, mentre un insieme di luci colorate illuminavano il tutto come un cielo stellato.

‘Vedi Kagome, il buio ci sarà sempre, ma tu puoi sconfiggerlo, proprio come ha fatto Tokyo’

‘Tokyo ha sconfitto il buio? E come?’

‘Con la luce ’

Sorrise, nel momento in cui i suoi ricordi tornarono al suo defunto padre. Quando Sota aveva solo un anno, lui e sua madre si erano separati, per un motivo a lei sconosciuto, e che non aveva mai voluto sapere, e dopo soli due mesi la famiglia Higurashi ricevette la chiamata che annunciava la sua morte.

Quello fu il periodo in cui i brutti sogni divennero più insistenti.. 

«Higurashi!» alzando lo sguardo, Kagome si rese conto di essere arrivata al parco, ma dovette voltarsi dato che qualcuno la stava chiamando.

Un ragazzo dai capelli castani e una mano alzata in aria la stava raggiungendo. Kagome, stressata, accennò un sorriso tirato.

«Ciao Hojo» mormorò, non appena il ragazzo, poco più alto di lei, la raggiunse.

Hojo aveva la sua stessa età e avevano frequentato insieme sia la scuola media che superiore. La sfortuna aveva voluto di beccarselo per tutti gli anni nella stessa classe. Era un ragazzo solare ed educato, peccato che.. fosse peggio di una piattola!

Quando aveva diciassette anni le arrivò la voce, da parte delle sue compagne di classe, della sua cotta per lei e solo in quel momento capì il motivo dei numerosi regali senza senso che le donava. Una volta le aveva portato la zampa imbalsamata di un animale strano, dicendole che portava fortuna.. com’è che l’aveva chiamato? Ah si, kappa!

E dopo cinque anni di rifiuti eccolo ancora lì! Sempre il solito temerario.. possibile che non sapesse farsi una vita?

«Higurashi ti avevo cercato al market, ma tu eri già andata via» spiegò allegro, iniziando a cercare qualcosa dentro lo zaino che teneva sulle spalle.

«Tieni, ho preso questo per te!» esclamò, porgendole a trentadue denti quello che sembrava.. una bambola?

Esitante la prese tra le mani, osservandola con difficoltà «Grazie Hojo, non dovevi» sorrise, appena, cercando di guardare il meno possibile quell’oggetto inquietante. Hojo invece sorrise raggiante, senza neanche accorgersi del suo disagio.

«E’ una musha ningyo*, una bambola portafortuna» spiegò soddisfatto, mentre la ragazza la nascose subito dentro la borsa. Tornata a casa l’avrebbe data a suo nonno, solo lui poteva apprezzare un cosa del genere.

«Sei stato molto gentile» ammise, seriamente. Alla fine Hojo non era un cattivo ragazzo, era solo.. strano? «Comunque mi dispiace, ma devo tornare a casa, devo aiutare mia madre con la cena» utilizzò la prima scusa che le venne in mente.

«Ma certo, però prima volevo chiederti.. beh ecco, ti va di uscire un giorno di questi?»

Sospirò. Lo sapeva, sempre la solita storia.. perché dopo cinque anni Hojo non aveva capito o almeno percepito il suo non interesse nei suoi confronti?
«Mi dispiace Hojo, ma questo mese devo lavorare.. magari un’altra volta»

Perché non gli dici una volta per tutte di lasciarti in pace?

“Perché non è carino..”

Ma così lui non smetterà mai di provarci’

In effetti la vocina della coscienza non aveva tutti torti, ma era più forte di lei.. Hojo era sempre così solare e pieno di speranza che non ce la faceva a trattarlo a pesci in faccia.

Sorridendo Hojo annuì, senza mostrare alcun scoraggiamento «Ci conto. A presto Higurashi!» la salutò con una alzata di mano, per poi andar via, sotto lo sguardo sbigottito dalla ragazza.

“Ma come fa ad essere sempre così allegro?” pensò invidiosa. Improvvisamente il lampione si accese automaticamente, illuminando così il marciapiede in cui si trovava. Solo in quel momento Kagome si rese conto che si era fatto già buio.

“Maledizione dovevo passare in biblioteca!” pensò nel panico.

Beh, infondo non era la prima volta che consegnava in ritardo un libro. Tenerlo un giorno in più non avrebbe ucciso nessuno e poi.. non si sentiva molto bene.

Senza pensarci affrettò il passo per tornare a casa e cercando di non badare ai brividi di terrore provocati dalle chiome degli alberi del parco che si muovevano per colpa del vento.
 
«Sono a casa!» annunciò Kagome, non appena aprì l’uscio di casa, togliendosi le scarpe. Immediatamente vide suo fratello intento a giocare con i videogiochi sul divano, mentre suo nonno, vicino a lui, seguiva la televisione poco interessato.

«Ciao tesoro, com’è andata?» disse sua madre, che sbucò immediatamente dalla cucina, con addosso un grembiule e la guancia sporca di farina.

Kagome alzò le spalle, accennando un sorriso «Come al solito» rispose, aprendo la borsa e afferrando un oggetto «Tieni nonno, questa è per te» disse la ragazza, porgendo all’uomo la bambola che qualche minuto prima le aveva regalato Hojo.

Lui la prese tra le mani, osservandola accigliato «Che oscenità è questa?»

Kagome si portò una mano sulla testa, che, da quando aveva salutato Hojo, aveva cominciato a pulsare, per non parlare del dolore al fianco.. poggiò la borsa sul tavolo, avviandosi verso le scale «Kagome dove vai? La cena è quasi pronta..» la richiamò la signora Higurashi.

La ragazza si fermò non appena salì sul primo scalino, voltandosi verso di lei «Scusa mamma, ma non mi sento molto bene.. preferisco andare a letto» spiegò brevemente, cercando di nascondere il forte malore che stava provando da tutto il giorno.

«Vuoi che ti prepari un tè?» domandò premurosa, avvicinandosi e toccando in una carezza la guancia lievemente pallida e fredda della figlia.

«No tranquilla» negò col capo, sorridendole, per poi salire le scale e raggiungere la camera da letto, non prima di aver percepito il grido fanatico di suo fratello.

«Siii, ho vinto!»

«Nipote ingrato» borbottò il nonno, toccandosi dolorante l’orecchio sinistro.

Kagome chiuse la porta e accese la lampada che stava sul comodino e, senza neanche cambiarsi, si mise sotto le coperte, mentre una serie di brividi colpirono interamente il suo corpo. Se per caso le stava salendo la febbre era un bel guaio.. dopo il ritardo di oggi il signor Hayashi non avrebbe mai accettato un giorno di malattia.

Si mise a pancia in su con difficoltà, osservando senza interesse il soffitto, mentre, piano, piano, il suo corpo cominciò a sudare. Si portò una mano sulla fronte completamente bagnata, stringendo gli occhi.

“Che mi sta succedendo?” si domandò preoccupata.

All'istante un grido rischiò di uscire violento dalla sua gola nel momento in cui il dolore al fianco diventò ancora più intenso. Sembrava che qualcuno la stesse trafiggendo con un coltello. Strinse con forza i pugni e i denti, cercando di trattenere il più possibile quella maledetta sofferenza che l’aveva attanagliata tutto il giorno.

Provò addirittura a mettersi in posizione fetale, ma nulla. La fitta non accennava a diminuire e il sudore le stava completamente bagnando tutto il corpo. Con difficoltà si tolse le coperte di dosso e si mise in piedi, guardando attorno a sé la stanza illuminata unicamente dalla lampada.

Il suo sguardo cadde sullo specchio dell’armadio e senza pensarci si avvicinò, guardando il suo riflesso. I suoi capelli erano spettinati e la sua frangia era attaccata alla fronte. Gli occhi lucidi e il viso bianco come un cencio.

L’ennesima sofferenza la obbligò a piegarsi in avanti, facendole sfuggire stavolta, un lamento. Per fortuna suo nonno teneva la televisione accesa.
Poi rialzò lo sguardo e per poco non sentì il cuore uscirle dal petto.

Dal fianco sinistro proveniva quella che sembrava una luce rosea. Il panico si impossessò di lei; che cosa stava succedendo? Con timore alzò in un tempo che a lei parve infinito, la maglietta chiara scoprendo che quel chiarore proveniva.. da dentro il suo corpo!

Rimase a guardarla a lungo. Il bagliore era talmente intenso che le illuminava addirittura una parte del volto, poi, con timore, decise di avvicinare la mano su quel punto. Nel momento in cui le sue sottili dita sfiorarono la sua pelle la luce divenne ancora più forte, costringendola a chiudere gli occhi.

Poi, tutto divenne buio.
 

***
 

Sbarrò gli occhi.

Questa sensazione.. da quanto tempo non la percepiva? Si guardò attorno, cercando di capire se quanto avvertisse fosse reale, e non frutto della sua immaginazione.

Si, non c’era alcun dubbio. Finalmente, dopo cinquant’anni era finalmente tornata!

Si voltò velocemente alla sua destra, alzando poi il braccio e aprendo la mano, come se stesse cercando di afferrare qualcosa. In quello stesso istante un’ombra minacciosa fece capolino nella stanza oscura.

«Portala da me» mormorò.

L’ombra non se lo fece ripetere e, così com’era arrivata, scomparve, mentre un sorriso sadico e soddisfatto dipinse le fredde labbra dell’uomo. 






Angolo autrice
 
*Musha ningyo: è uno dei tanti oggetti portafortuna giapponesi. Sono praticamente delle bambole guerriero (a me sinceramente fanno abbastanza impressione xD).
Nella mitologia giapponese Izanami (madre delle isole del Giappone) e Izanagi (padre di tutti i Kami) sono due grandi divinità. Loro abbandonarono il Regno del Cielo e stabilirono la loro nuova dimora sulla Terra e dalla loro unione nacquero trentacinque esseri sacri e tre figli nobili. Due di questi sono Amaterasu (Dea del Sole) e Tsukuyomi (Dio della Luna).
(Naturalmente io ho ripreso tutti questi nomi mitologici per creare la trama, ma prima mi sono sentita in dovere di spiegarvi i loro veri “ruoli”).

Ed eccomi qua! Salve a tutti gente, se siete riusciti ad arrivare fin qui, beh.. non so come abbiate fatto, ma ne sono felice! Questa storia mi è uscita un giorno qualsiasi, avevo voglia di scrivere qualcosa con più action e dopo tante letture su Wikipedia e simile mi è uscita ‘sta roba xD (è stato più forte di me, io AMO la mitologia giapponese).
Non ne ho idea se possa piacere o meno, quindi, speriamo! Voglio dedicare questo piccolo inizio alla mia più che conosciuta Beta e amica Miyu87! Mi ha supportato tanto e dato molti consigli; non avrei fatto nulla senza di lei, perciò grazie infinitamente cara
Fatemi sapere se questo piccolo esperimento piaccia, mi farebbe tanto piacere! Statemi bene, un bacione :*
Marty

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Capitolo 2
*** Incubi ***


Capitolo 2 – Incubi

 


Quando Kagome si risvegliò, scoprì di giacere a terra. Confusa, si portò una mano sulla testa, costatando che fuori dalla finestra aveva cominciato a sorgere il sole. Si mise in piedi con difficoltà e si guardò attorno. Si trovava in camera sua e indossava ancora i vestiti del giorno precedente.

Oh, Kami era svenuta? Solo in quel momento si ricordò del suo stato fisico: il tremore, il sudore, il dolore al fianco... velocemente si guardò allo specchio, alzandosi agitata la maglia e scoprendo l’intera pancia, osservando la parte laterale.

Sembrava tutto normale, la strana luce non c’era più, così come quegli strani sintomi... che si fosse immaginata tutto?

“Ma sì... forse è stato un momento di delirio perché non stavo molto bene” si auto convinse. Dopo essere rimasta ad osservare a lungo il ventre piatto e bianco riabbassò la maglietta, aprendo l’armadio e afferrando un cambio pulito.

Uscì dalla camera e raggiunse il bagno, cercando di fare il meno rumore possibile; sicuramente la sua famiglia stava ancora dormendo. Iniziò a spogliarsi dei vestiti appiccicosi e madidi di sudore, buttandoli a terra, per poi aprire il getto della doccia.

Una volta arrivata l’acqua calda si fiondò dentro, facendole tirare un sospiro di sollievo, non appena la sua pelle fu bagnata da quel tepore ardente. Non c’era niente di meglio di una calda e rilassante doccia!

Dopo una quarantina di minuti uscì dal bagno pulita e vestita, con in testa un asciugamano. Iniziò a scendere le scale e raggiunse la cucina, dove trovò sua madre con ancora il pigiama e i capelli spettinati.

«Kagome, cosa ci fai sveglia a quest’ora?» domandò confusa la donna, non appena la figlia varcò la soglia della cucina.

«Ieri sera mi sono addormentata presto» spiegò brevemente, tralasciando il fatto che in realtà era svenuta e aveva dormito tutto il tempo per terra; non a caso aveva un po’ di torcicollo.

La signora Higurashi si avvicinò a lei, posando lievemente preoccupata la mano sulla fronte «Ti senti meglio?» domandò premurosa, corrugando leggermente la fronte.
Kagome annuì, raggiante, mentre un ciuffo bagnato sfuggì dall’asciugamano, sfiorandole la tempia, fino a solleticarle il collo «Benissimo»

«Allora ti preparo la colazione. Sarai affamata...» sorrise, rassicurata, iniziando senza problemi a preparare quello che lei definiva ‘il pasto più importante della giornata’. Kagome si mise a sedere, sistemandosi l’asciugamano che minacciava di cadere.

Si, quella mattina stava proprio bene! Chissà cosa era successo la sera prima... beh, poco importava, ormai era passato. Niente avrebbe rovinato quella nuova e magnifica giornata!



 

«Maledetta pioggia!» borbottò Kagome, cercando inutilmente di coprirsi col cappotto. Quel giorno era uscita di casa puntuale e, arrivata a metà percorso, aveva iniziato lievemente a piovigginare fino a diventare una vera e propria tormenta!

Tremante come un pulcino entrò dentro il market, sotto lo sguardo soddisfatto del signor Hayashi. Sicuramente se la stava spassando nel vederla in quello stato, ma almeno era in anticipo di dieci minuti.

Scuotendo il cappotto completamente fradicio entrò dentro la porta dedicata solo al personale, trovando una raggiante Eri indossare il proprio grembiule verde del supermercato.

«Buongiorno Kagome!» la salutò, sistemandosi la fascia gialla sulla testa, mentre la mora ricambiò il saluto, aprendo il proprio armadietto.

«Hai visto che tempaccio? Per fortuna sono arrivata in tempo... lo stesso non vale per te» mormorò, osservando le scarpe bagnate della collega e i capelli umidi. E pensare che quella mattina li aveva pure puliti!

«Già, sono proprio sfortunata, ma almeno non sono arrivata tardi» scherzò, legandosi la lunga chioma da una coda sbarazzina, mentre diversi ciuffi caddero lungo le sue guance leggermente arrossate. Entrambe le ragazze uscirono dalla stanza, dirigendosi nei rispettivi posti.

Per tutto il pomeriggio Kagome rimase dietro la cassa. A forza di stare a sedere non sentiva più il fondoschiena, mentre le braccia le dolevano.

Kagome nel reparto 12

Una voce metallica la risvegliò dal suo trans. Senza pensarci si mise in piedi, sotto lo sguardo confuso della signora anziana, che stava mettendo la spesa dentro la busta.
La mora si girò alla sua sinistra, osservando la sua ‘vicina’ di cassa che in quel momento aveva appena chiuso «Aiko, prenderesti un attimo il mio posto?» la ragazza dai capelli ricci, che in quel momento era intenta a sistemarsi le unghie con la lima la guardò annoiata, senza smettere di masticare rumorosamente la gomma che teneva in bocca. Si alzò dal proprio posto, esattamente la cassa numero 2, per poi sostituire Kagome e continuare il suo lavoro.

Riconoscente Kagome si allontanò, raggiungendo il reparto numero 12: cucina. Finalmente poteva sgranchirsi le gambe, non ne poteva più di stare a sedere, peccato che, una volta arrivata, il sorriso le morì all’istante; il pavimento era interamente ricoperto di farina. La busta era letteralmente rotta a metà, mentre vicino questa stava un lago fatto interamente di olio, con la bottiglia di vetro frantumata, mentre diversi pezzi di vetro erano sparsi da tutte le parti.

Portò disperata la testa all’indietro, tirando un sospiro contrariato e rimangiando quello che aveva appena pensato; molto meglio rimanere a sedere... togliere l’olio era una seccatura!

Dopo aver preso tutti i materiali per la pulizia cominciò il lavoro. La farina fu facile da levare, mentre l’olio no. Seccata si mise in ginocchio, iniziando ad assorbire con uno straccio tutto il liquido appiccicoso.

“Mi sento come quella tipa del cartone americano... mancano i topini e sono a posto!” si prese in giro.
Improvvisamente si bloccò. Un forte brivido le colpì la colonna vertebrale e una strana sensazione attanagliò tutto il suo corpo. Si sentiva osservata...

Lentamente, sempre rimanendo in ginocchio e stringendo con entrambe le mani lo straccio sporco di olio, si voltò e...incrociò uno sguardo. 

Quegli occhi la bloccarono sul posto, senza neanche darle modo di capire cosa stesse accadendo. Le sue labbra si socchiusero appena, mentre quel ragazzo, infondo al corridoio, continuava ad osservarla senza timore.

Tremò appena quando i loro occhi si incrociarono. Quelli di lui sicuri e duri, mentre quelli di lei tremanti e timidi. Il colore era così strano, sembrava... ambra. Bellissimi. Si, non poteva fare a meno di pensare che fossero affascinanti.. però, perché continuava a scrutarla a quel modo?

«Higurashi, non hai ancora finito di pulire?» la voce sgradevole del signor Hayashi la fece saltare sul posto, obbligandola a staccare gli occhi da quello sguardo magnetico. Il piccolo uomo si avvicinò minaccioso, osservandola scocciato e le braccia incrociate.

Guardò dietro di lei, lungo il corridoio, per poi riportare la sua attenzione sulla piccola figura della ragazza che giaceva ancora a terra «Cosa stavi guardando?» sputò.

«Ecco io...» Kagome si voltò, dubbiosa se dire al suo capo che un tipo non stava smettendo di fissarla, ma... dov’era finito? Rimase a guardare scioccata il fondo del corridoio dove, fino ad un attimo prima, si trovava la figura del ragazzo.

Il signor Hayashi scosse il capo, sconsolato «Torna a lavoro e non appena hai finito recati al reparto 9, sono finiti i detersivi!» e senza aggiungere altro si allontanò, calpestando fortemente i piedi sul pavimento, sotto lo sguardo spaventato di una povera vecchietta.

Kagome, che era rimasta ancora a guardare lo stesso punto sospirò, portandosi una mano sulla fronte. Accidenti, ma cosa era successo, chi era quel tipo?.. Che si fosse immaginata tutto? Stava iniziando seriamente a preoccuparsi!

Dopo una decina di minuti buoni Kagome finì finalmente di pulire il pavimento bianco, recandosi successivamente al reparto 6, dedicato ai prodotti della casa. A metà si trovava un piccolo scaleo e una scatola, piena di detersivi. Lo scaffale era completamente vuoto; le toccava riempirlo tutto, che seccatura..

Con estrema fatica cominciò il lavoro, riempiendo il più possibile i primi scaffali in cui arrivava senza problemi, ma sfortunatamente per gli ultimi due le serviva l‘aiuto dello scaleo. Prese tra le mani due detersivi, che, pesavano quasi più di lei, iniziando a salire lentamente sugli scalini, per poi poggiarli in alto. Seguì lo stesso procedimento una decina di volte, fino a quando, per sua fortuna, non ne rimase uno.

Col braccio indolenzito, iniziò a salire, incastrando tra gli altri il contenuto di plastica, peccato che questo scivolò, rischiando di cadere. Kagome, per evitare di fare un gran pasticcio, lo afferrò al volo, ma il movimento brusco la fece sbilanciare, facendola cadere all’indietro, mentre la sua mano mollava la presa di quel pesante oggetto.

Istintivamente strinse gli occhi, pronta a colpire testa, schiena e sedere sul freddo pavimento, ma questo, non accadde. Si sentì prendere da una presa forte, decisa e... protettiva. Un calore mai provato prima circondò la sua vita e quando aprì gli occhi per poco non morì.

«Fai più attenzione ragazzina» una voce roca, vigorosa, sensuale colpì le sue orecchie, incantandola, come i suoi occhi, che la scrutavano magnetici. Kagome vide se stessa riflessa in quello sguardo scuro...

“Aspetta, scuro?” pensò. 

Solo in quel momento Kagome si accorse di essere letteralmente tra le braccia di uno sconosciuto che stringeva possessivamente e senza alcuna fatica la sua vita, mentre l’altra mano teneva il detersivo. Imbarazzata arrossì, mentre il ragazzo allentò la presa e le fece toccare nuovamente terra, per poi porgerle gentilmente quel dannato aggeggio.

«Grazie» balbettò Kagome, prendendolo tra le mani. Solo in quel momento realizzò di avere davanti a sé lo stesso ragazzo di prima. Che strano... eppure aveva giurato di aver visto il colore dei suoi occhi differente...

Kagome cominciò a scrutarlo timida e in difficoltà, senza sapere cosa dire. Lo sconosciuto invece pareva tranquillo. I lunghi capelli neri come la notte ricadevano dietro la schiena mentre qualche ciuffo ribelle solleticava le sue guance lisce e rosee. Le labbra, invitanti e carnose, si socchiusero appena, mostrando una dentatura perfetta.

Tutto di lui sembrava perfetto eppure, dentro lei, qualcosa le diceva che quel tipo, oltre a quel giorno, l’aveva già visto, ma dove?

«Higurashi!» per poco il detersivo non le cadde tra le mani. Si voltò alla sua destra, trovando il suo adorato capo osservarla in cagnesco, mentre lei le mostrò, agitandolo appena, il prodotto per la lavatrice.

«Questo è l’ultimo signore» sorrise appena, mentre lui, dopo aver assottigliato gli occhi poco convinto, si allontanò. Kagome tirò un sospiro di sollievo, pronta a riaffrontare quell’imbarazzante silenzio con lo sconosciuto, ma, per la seconda volta, si trovò nuovamente sola.

Si guardò attorno scioccata, cercando di capire dove fosse andato. Impossibile, non poteva essere sparito nel nulla in quel modo, eppure, quella era la seconda volta che accadeva... ma ne era certa: non si era immaginata tutto!

«Kagome tutto bene?» la voce preoccupata di Eri la risvegliò, e senza guardarla, annuì lentamente.

«Si... tutto bene»
 



***
 



Kagome colpì stancamente col piede un piccolo sassolino che affondò all’interno di una profonda pozzanghera. Fortunatamente la pioggia aveva cessato di cadere pochi minuti prima che uscisse da lavoro, peccato che adesso l’aria era molto più fresca del giorno precedente.

Si strinse appena il cappotto leggero lungo fino alle ginocchia, nascondendo bocca e naso dietro la sciarpa sottile. Meno male che quella doveva essere una magnifica giornata!

Tirò un sospiro, quando i suoi occhi intravidero da lontano la biblioteca. Affrettò il passo; non vedeva l’ora di scaldarsi. Le porte, una volta avvicinata, si aprirono, mentre un piacevole calduccio colpì il suo volto freddo.

Si pulì i piedi sul tappetino per poi raggiungere uno degli sportelli dove si trovava una signora sulla mezza età, con i capelli corti biondi e gli occhiali da vista.

«Buonasera» la salutò educatamente la ragazza, attirando l’attenzione della donna, che alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo «Sono qui per riconsegnare un libro in prestito» spiegò, tirando fuori dalla borsa l’oggetto interessato.

La bibliotecaria poggiò il libro aperto sulla scrivania e abbassò leggermente gli occhiali sul naso, prendendo il volume tra le mani. Digitò qualcosa sul computer poi, posò nuovamente gli occhi sulla ragazza «Doveva essere consegnato ieri» tuonò a bassa voce.

Kagome arrossì appena, stringendosi nelle spalle «Mi spiace, sono stata poco bene» spiegò.

La donna alzò un sopracciglio, dubbiosa «Come no...» commentò, sotto lo sguardo stupito di Kagome. Sicuramente non le credeva... «Chiuderò un occhio, dato che si tratta solo di un giorno» ammise annoiata, per poi riprendere a leggere il proprio libro.

Kagome sorrise riconoscente «Grazie mille» e senza aggiungere altro si allontanò, peccato che, attraverso l’entrata fatta interamente di vetro, scoprì che aveva ricominciato a piovere, e anche forte.

Sbuffò, dato che non aveva neanche l’ombrello e a piedi le ci volevano almeno quindici minuti per tornare a casa. Il giorno precedente era stata poco bene quindi era meglio aspettare che finisse di piovere.

Iniziò a gironzolare per i lunghi corridoi, ognuno dedicato ad un genere differente, trovando altre persone immerse nella propria lettura. Senza volerlo, Kagome si ritrovò nel reparto dedicato alla Mitologia. La maggior parte dei libri trattavano molto quella greca e latina, che aveva studiato alle superiori. Era molto diversa dalla loro.

In realtà non le erano mai interessati questi argomenti, forse perché suo nonno, fin da piccola, l’aveva sempre tartassata di leggende e storie assolutamente irreali. Ad un certo punto il suo sguardo cadde su un libro per terra che prontamente raccolse, osservando la sua copertina. Raffigurava una donna giapponese con indosso un kimono rosa, che osservava con amore degli uomini che giacevano ai suoi piedi. Dietro di lei, spuntavano quelli che sembravano i raggi del sole. Il libro si intitolava “Amaterasu”.

Amaterasu... dov’è che l’aveva già sentito? Forse era il nome di quella donna. Incuriosita cominciò a sfogliarlo, constatando che era un libro molto vecchio, infatti, le pagine erano leggermente strappate e ingiallite. 

«Amaterasu, letteralmente "grande Dea che splende nei cieli", è la dea del Sole, divinità da cui discendono tutte le cose. È considerata la mitica antenata diretta della famiglia imperiale giapponese..» iniziò a leggere a bassa voce.

Ad un certo punto alzò lo sguardo e per poco il cuore non scoppiò fuori dal suo petto. Lo stesso ragazzo... era lì, e la guardava, proprio come quel pomeriggio, quando stava pulendo il pavimento. Dato lo spavento il libro le era accidentalmente caduto tra le mani così decise di raccattarlo velocemente, ma una volta fatto, lui era nuovamente sparito nel nulla.

Spaventata, Kagome mise il libro al suo posto e, a passo svelto, uscì dalla biblioteca, fregandosene della pioggia. Iniziò a correre, coprendosi la testa con la borsa, mentre preoccupata si guardava attorno. Che la stesse seguendo?

“Oh Kami, e se fosse uno stalker?” pensò nel panico.

Fortunatamente raggiunse in tempo record la lunga scalinata che portava alla sua casa, iniziando a salire e stando ben attenta a non scivolare.
«Sono a casa» sbuffò stanca, poggiando la testa completamente bagnata sulla porta. 

«Bentornata sorellona! La mamma è a cena fuori» spiegò Sota, riportando subito la propria attenzione sul videogioco. Kagome si avvicinò a lui, piegando il capo di lato.
«E il nonno?» domandò, mentre lui, concentrato e con la lingua di fuori, rispose, senza staccare gli occhi dal piccolo schermo.

«Sta dormendo in camera»

Kagome alzò un sopracciglio, per poi tirare un sospiro «Prima o poi ti sciuperai gli occhi con quei cosi!» lo riproverò, iniziando a salire le scale, ma Sota non rispose, anzi, forse non l’aveva neppure sentita. I bambini e le loro fissazioni....

Raggiunse la porta del bagno e, senza neanche chiuderla, accese la luce, aprendo il rubinetto dell’acqua per sciacquarsi il volto con l’acqua tiepida. Alzò nuovamente il viso, guardandosi nel piccolo specchio e, attraverso questo, le sembrò ancora di vedere quel ragazzo, tanto da costringerla a voltarsi, però, come sospettava, non c’era nessuno.

Velocemente entrò in camera sua, sedendosi sul letto e afferrando la testa tra le mani «Che mi sta succedendo?» si domandò con tono spaventato.

Quegli occhi... la stavano torturando; perché all’inizio li aveva visti color ambra?.. e perché le sembravano così familiari? La sua testa stava per scoppiare. Doveva darsi una calmata. Sicuramente era un ragazzo che aveva incontrato quando andava ancora a scuola e, dato che aveva qualcosa di affascinante e magnetico, la sua mente si divertiva a farlo apparire in qualsiasi parte dove lei si trovasse. Si, non c’era altra spiegazione!

Cercando di auto convincersi si rimise in piedi, iniziando a spogliarsi e afferrando il pigiama. Visto che sua mamma era fuori toccava a lei cucinare per la famiglia, che seccatura... non vedeva l’ora di farsi una bella dormita. Si avvicinò alla lampada, che poco prima aveva accesso, ma qualcosa attirò la sua attenzione.

Fuori dalla finestra, esattamente dove si trovava il giardino col maestoso albero, le parve di vedere una grande ombra muoversi... che strano, forse si era sbagliata, anche perché fuori era buio e non era in grado di vedere bene. Scrollò le spalle, cercando di non pensarci e, dopo aver spento la luce, uscì dalla camera.
 



***
 



Non smetteva di piangere. Le alte chiome degli alberi l’avevano interamente circondata, così come l’oscurità; era in trappola.

Una dolorosa fitta colpì il suo fianco sinistro e solo in quel momento si rese conto che sanguinava. L’odore metallico del sangue era talmente forte da provocarle un conato di vomito. Ad un certo punto la terra tremò e il suo pianto divenne più forte.

Strinse con le braccia le gambe al petto e vi nascose il viso sporco di terra. Dov’era la sua mamma? 

«Mamma!... Mamma!» gridò, tra le lacrime, ma nessuno rispose. Ad un certo punto un albero venne abbattuto e un’ombra si fece avanti. La bambina non vide nulla, solo il luccichio di quelle che sembravano zanne e occhi rossi color sangue, che la guardavano minacciosi e divertiti.

Chiuse gli occhi. No, non voleva guardare, aveva troppo paura.

«Non l’avrai mai!» il grido di una donna la risvegliò e la bambina si voltò, trovando una giovane ragazza ferita puntare una freccia col proprio arco verso il bosco dove si trovava l’imponente ombra. Il braccio della nuova arrivata era gravemente lacerato, da cui fuoriusciva quello che sembrava un lago di sangue, macchiando con innocenti goccioline l’erba di un rosso scarlatto.

La bambina, sollevata, si alzò per raggiungerla, ma una volta fatto, si rese conto che non era in grado di toccarla, come se fosse un fantasma.

«Dove la nascondi?» la voce minacciosa e allo stesso tempo mostruosa dell’ombra la fece tremare, mentre la ragazza dai lunghi capelli non mostrò il minimo timore.

«Dovrai uccidermi» gridò questa, puntando ancora di più decisa l’arma che teneva tra le mani. La bambina si portò disperata le mani sulle orecchie nel momento in cui l’ombra prese le sembianze di un mostro. Questo alzò la zampa e, poco prima che la bambina capì cosa fosse successo, uno schizzo di sangue sporcò il suo volto, mentre un tenue bagliore rosa chiaro raggiunse il suo petto, scaldandola lentamente.

Stanca, si accasciò al suolo, trovando vicino al suo viso la mano pallida della ragazza che teneva l’arco, poi improvvisamente, vide una nuova figura arrivare. L’immagine era sfocata... era un ragazzo, dai lunghi capelli d’argento e gli occhi color... oro.

La bambina, stanca, chiuse gli occhi, non prima di aver udito il grido disperato del ragazzo: «Kikyo, no!»
 
Kagome si svegliò di soprassalto, gridando e mettendosi a sedere. Stava respirando affannosamente, mentre il suo cuore minacciava di uscirle fuori dal petto. Si guardò attorno con le lacrime agli occhi, costatando che si trovava in camera sua.

«Kagome che succede?» la voce preoccupata di sua madre le arrivò dritta nelle orecchie. Subito dopo, la porta fu spalancata dove la signora Higurashi e suo nonno entrarono preoccupati.

Kagome tremò, nonostante il suo corpo fosse coperto interamente di sudore. Alzò lo sguardo verso la donna, che si era avvicinata a lei e sedendosi sul suo letto «Mamma...» tremò, cercando di capire se quello che aveva davanti fosse reale o meno «L’ho sognato, ho sognato tutto di nuovo!» gridò terrorizzata, scoppiando in un pianto disperato, mentre la signora Higurashi la strinse tra le braccia, accarezzandole i suoi lunghi e setosi capelli scuri.

Proprio come quando era piccola, aveva rifatto lo stesso incubo. Lei, ferita, si trovava in mezzo ad un bosco dove un mostro attaccava una donna quasi morente e, poco prima di svenire arrivava un ragazzo che uccideva con le proprie mani il mostro, per poi osservarla intensamente.

«Che mi sta succedendo mamma?» sussurrò, con ancora il volto nascosto. Il nonno, sentendosi invadente, decise di uscire dalla camera, lasciandole sole.

«Tranquilla, è tutto a posto. Sei al sicuro adesso» tentò di aiutarla, posandole un delicato bacio sul capo.

Kagome, con ancora il fiatone inspirò, tentando di calmarsi. Alzò lo sguardo, osservando la sua camera da letto semibuia, immaginandosi il bosco, l’ombra e quegli occhi... color oro, ambra. Ecco dove li aveva già visti! Perché? Perché quel ragazzo aveva lo stesso sguardo di colui che aveva infestato i suoi incubi quando era bambina?

Cominciò nuovamente a piangere, questa volta silenziosamente, mentre la signora Higurashi asciugò con i pollici quelle gocce salate «Stanotte dormirò qui con te, non ti lascio sola» mormorò, accennando un sorriso, per poi infilarsi sotto le coperte e stringendo possessivamente sua figlia al petto.

«Non ti lascerò mai sola Kagome, ricordatelo» a quelle dolci parole, Kagome si calmò del tutto, e senza che se ne rendesse conto, si addormentò e questa volta in un sonno senza incubi.






Angolo Autrice: 


Cof, cof..
Salve a tutti gente! Eh si, per vostra sfortuna sono tornata. Sarò sincera: il capitolo e tanti altri sono pronti da una vita, ma sfortunatamente, compresi anche gli innumerevoli impegni, la mia stramaledettissima insicurezza è tornata a galla, bloccandomi completamente.
Fortunatamente è arrivata in mio soccorso la mia carissima beta e amica Miyu87, ormai è diventata la mia eroina♥
Spero che in futuro non ritardi così ridicolosamente, ma soprattutto che il capitolo non vi abbia deluso. Francamente la parte di Inuyasha versione tenebroso che scompare e riappare mi fa impazzire eheh.
*me pazza, lo so*.
Bene carissimi, spero di ritornare presto e statemi bene, un bacione :*
Marty♥


 

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Capitolo 3
*** Demone della vita ***


Capitolo 3 – Demone della vita
 



Era passata una settimana da quando Kagome aveva fatto nuovamente quell’incubo. Per due giorni era rimasta a casa, senza alcuna intenzione di scendere dal letto. Aveva paura, sia a dormire, che a rimanere al buio, mentre la fame era l’ultimo dei suoi pensieri.

Sua madre si era raccomandata di chiamare il signor Hayashi, chiedendogli alcuni giorni di malattia che lui acconsentì malvolentieri.

Fortunatamente il sogno non infestò più il suo sonno, mentre gli occhi di quel ragazzo divennero un ricordo lontano. Sembrava fosse tornato tutto come prima e Kagome non poteva esserne più che felice.

«Buongiorno» salutò Kagome, una volta entrata in cucina, con indosso un paio di jeans chiari e una maglietta a maniche lunghe grigia. Sua madre, raggiante, si voltò verso di lei, regalandole uno dei suoi soliti sorrisi.

«Buongiorno tesoro, come ti senti?» domandò, finendo di pulire un piatto sporco.

Kagome alzò lievemente le spalle, per poi scompigliarsi la frangia ribelle «Molto meglio, credo che tornerò a lavoro» ammise, sorridendo.

«Sei sicura?» domandò preoccupata la donna, asciugandosi le mani e avvicinandosi a lei premurosa. Kagome annuì, serena.

«Si, altrimenti il signor Hayashimi mi sgriderà per un mese» scherzò, uscendo dalla cucina, per poi afferrare la borsa. Poco prima di uscire tornò da sua madre, che la stava ancora guardando preoccupata. Senza pensarci Kagome posò un lieve bacio sulla sua guancia.

«Grazie mamma» mormorò, riconoscente, per poi uscire di casa. La signora Higurashi non poté fare a meno di sospirare. Anche se Kagome stava bene, aveva comunque paura per la sua sorte e il ritorno di quell’incubo non era un buon segno...
Cercando di non pensarci tornò in cucina, dedicandosi alle sue faccende.
 



Kagome arrivò puntuale al market, dove un seccato e agitato signor Hayashi la stava aspettando, con le braccia incrociate e il piede che sbatteva intensamente sul pavimento. Ahia, non era un buon segno...

Kagome sorrise appena «Buongiorno Signor...»

«Buongiorno un corno Higurashi!» la interruppe bruscamente il piccolo uomo, alzando le mani al cielo e attirando l’attenzione della clientela «Con la sua bravata questa settimana è stato un inferno! È toccato a me stare dietro le casse e mi creda, è fortunata che sia abbastanza paziente perché altrimenti l’avrei messa a lavorare il triplo del tempo!»

Kagome si strinse nelle spalle. Paziente, si certo, come no! Non sapeva neanche cosa volesse dire quella parola. Decise comunque di mordersi la lingua, non voleva beccarsi un ulteriore sgridata davanti a tutti.

«E ora vada a cambiarsi! Per tutta la settimana si dedicherà interamente al controllo, conteggio e spedizione dei prodotti!»

Fatto un leggero inchino Kagome si allontanò velocemente. Indossò il grembiule e si legò come sempre i capelli. Odiava quel tipo di lavoro... per tutta la giornata, anzi, un’intera settimana, le toccava contare quanti prodotti erano rimasti sia sugli scaffali che negli sgabuzzini, controllare che non fossero scaduti e chiamare tutte le ditte per farsi dare in consegna i prodotti a rischio consumo.

E pensare che lei era sempre stata un’incapace a matematica, motivo per cui odiava fare i conteggi. Con passo lento e strisciante decise di cominciare dal reparto numero 1, tanto aveva un’intera settimana per farli tutti e quindici!

Dopo aver preso carta e penna cominciò il lavoro, iniziando a controllare le scadenze del cibo istantaneo. Quanto le faceva schifo quella roba! In realtà qualsiasi cosa che fosse già cotta e messa dentro un sacchetto di plastica non poteva sopportarla. Nessuno poteva mai competere con le meravigliose pietanze che preparava sua madre con le sue stesse mani.

Per tutta la settimana era rimasta accanto a lei giorno e notte, pronta a soddisfare una qualsiasi sua richiesta, trascurando addirittura il suo lavoro. Sospirò; si sentiva così in colpa...

«Perché ti fai trattare così da quell’insignificante umano

Spaventata, Kagome si voltò, trovando a pochi passi l’ultima persona che sperava di vedere. Il ragazzo dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri la stava scrutando, con una punta di curiosità, mentre il sopracciglio destro era leggermente alzato.

In quei giorni Kagome aveva pensato molto a lui, ricordando perfettamente un dettaglio molto importante: i suoi occhi non erano color oro, ma neri. Quel giorno si era semplicemente sbagliata, quindi, non aveva alcun motivo di temerlo. Lui non era il ragazzo del sogno, solo un pazzo che forse si era fissato con lei.

«Tu che ci fai qui?» mormorò, allontanandosi di un passo e tralasciando il bizzarro termine ‘umano’ che aveva utilizzato per nominare il signor Hayashi.

Lui non ci fece caso, e piegò lievemente il capo, intenerendo, solo per un attimo, la fanciulla «Non hai risposto alla mia domanda» la richiamò, utilizzando lo stesso tono di voce, duro e sensuale. Kagome per un attimo percepì un brivido.

«Perché è il mio capo, e come tale devo portargli rispetto» rispose atona, alzando lievemente il mento, fiera della sua risposta, però lui non si scompose, anzi, sembrava leggermente divertito.

«Però lui non lo porta a te» a quelle parole Kagome aprì la bocca pronta a rispondere, ma si rese conto che non sapeva cosa dire, perché aveva perfettamente ragione...

Lo guardò un attimo, indecisa, notando solo ora che il ragazzo era nettamente più alto di lei di almeno quindici centimetri. I muscoli delle braccia erano particolarmente sviluppati e dalla sottile maglietta nera poteva intravedere gli addominali scolpiti.

In difficoltà, Kagome balbettò appena, cercando di cambiare argomento «Non hai risposto alla mia domanda» disse, utilizzando le stesse parole che aveva usato qualche minuto prima lui.

Questo alzò cinico le sopracciglia, incrociando le braccia e permettendo a Kagome di osservare ancora meglio i muscoli dei suoi avambracci; ma non aveva freddo con le maniche corte?

«A te cosa importa?» rispose, con tono prepotente e allo stesso tempo superiore. Questo fece innervosire un poco Kagome, che strinse lievemente il pugno libero, dato che con l’altra teneva ancora il foglio e la penna.

«Perché mi segui?» domandò, fulminandolo con lo sguardo.

Kagome vide la sua espressione mutare, divenne molto più seria e forse... minacciosa «Io non ti seguo, ti controllo»

A quelle parole la leggera rabbia che si era impossessata di lei si scemò del tutto «Cosa?» mormorò, confusa. La stava... controllando? Oh Kami, allora aveva ragione, era uno stalker!

«Senti, per colpa tua, o almeno in parte, ho vissuto una settimana abbastanza difficile, perciò se hai qualche fissazione con me mi dispiace, ma non sono interessata. Vattene se non vuoi che ti denunci alla polizia» lo minacciò, allontanandosi il più in fretta possibile da lui, che rimase fermo e calmo.

«Se non fosse stato per me ti saresti rotta l’osso del collo» Kagome si bloccò, per poi voltarsi. Parlava di quando l’aveva afferrata al volo mentre era sullo scaleo?

«E infatti ti ho ringraziato, ma questo non significa che tu mi debba seguire in ogni luogo in cui vado!» rispose brusca, cercando di mettere in chiaro una volta per tutte quella situazione. Perché questo improvviso coraggio non lo tirava fuori anche con Hojo?

Perché Hojo è gentile, mentre lui uno sbruffone.

Ben detto vocina!

«Te l’ho detto non ti sto seguendo, ma controllando» cavolo non lo sopportava... ma chi si credeva di essere?

«Basta, mi hai stancato. Lasciami in pace!» gridò, e senza attendere risposta se ne andò, raggiungendo la porta in cui si trovavano gli armadietti. Stressata si mise a sedere su una scatola imballata, guardando senza alcun interesse davanti a sé.

Controllando... la stava controllando, perché? Cosa diavolo voleva quel tipo da lei? Il quel periodo troppe domande rimbalzavano dentro la sua testa e, se doveva essere sincera, si era stancata.

Ad un certo punto la maniglia della porta di legno si abbassò e si aprì lentamente, da cui sbucò una testa dalla capigliatura a caschetto «Kagome tutto bene?» domandò la sua collega, entrando del tutto dentro la stanza e osservandola preoccupata.

«Si Eri, scusami» rispose la mora, scuotendo lievemente il capo e stirandosi il grembiule verde, simile a quello che indossava l’amica.

«Meglio tornare a lavoro, prima che il capo ci becchi qui dentro» consigliò, afferrando la sua mano con un sorriso. Kagome, ricambiò il gesto, facendo un gesto col capo.

«Eri ti dispiacerebbe aiutarmi con i conteggi?» domandò, uscendo dalla stanza. Sperava con tutto il cuore che la ragazza accettasse, così che quel ragazzo non tornasse nuovamente a tormentarla. Per sua fortuna, la collega annuì, felice.

«Certo! Adoro la matematica» esclamò, entusiasta, mentre Kagome tirò un sospiro di sollievo. Non vedeva l’ora di tornare a casa.
 



***
 



Ormai erano le sette passate e il sole era quasi del tutto scomparso dietro gli alti grattacieli della capitale. Kagome respirò a pieni polmoni un po’ d’aria, che sfortunatamente non si poteva dire che fosse fresca, ma sicuramente molto più rilassate rispetto all’odore di cibi e detersivi che infestava il market in cui lavorava.

«Higurashi, mi raccomando: puntuale» sottolineò il signor Hayashi, che in quel momento stava abbassando la saracinesca interamente ripiena di graffiti fatti diverso tempo prima da qualche ragazzino. E pensare che l’ultima volta le era toccato a lei pulirla con tanta fatica; quella roba non si toglieva neanche con l’acido!

«Non si preoccupi, buona serata» lo salutò, avviandosi verso casa e alzando lievemente la mano. Naturalmente il piccolo uomo non ricambiò il gesto, ma a Kagome importava poco, era troppo stanca per pensarci.

Si abbottonò meglio il cappotto lungo, cercando di nascondere le mani dentro le maniche. Quel giorno era stato molto più caldo rispetto a quelli passati, ma il venticello serale era sempre pronto a raffreddare il suo povero volto bianco.

Girato l’angolo di un alto edificio grigio consumato si ritrovò circondata da un’innumerevole quantità di persone che sicuramente, come lei, avevano finito di lavorare ed erano pronte a tornare a casa. Stando ben attenta a non calpestare o urtare nessuno, raggiunse finalmente l’attraversamento pedonale, dove il semaforo era ancora rosso.

«Dici sul serio? E quando è accaduto?» due giovani donne si fermarono vicino a lei, che, in attesa del verde, continuavano dispiaciute la loro conversazione.

«Ieri sera. La polizia ha trovato la poverina con un enorme buco nello stomaco» rispose l’altra. A quelle parole il sangue di Kagome si raggelò e, nonostante fosse sbagliato, si mise ad ascoltare attenta quel terrificante dialogo.

«Chi potrebbe mai fare una cosa del genere? Povera ragazza» sospirò l’amica, scuotendo il capo consolata.

«Non lo so. E pensare che era molto giovane...»

Le due donne ripresero a passeggiare e solo in quel momento Kagome si accorse che il semaforo verde era scattato. Risvegliandosi, prese a camminare tra la folla, senza smettere di pensare a quello che aveva appena udito. Un brivido colpì la sua schiena e istintivamente si fermò sulle strisce, alzando in avanti il volto.

Quella sensazione... era la stessa di quando quel ragazzo la stava guardando, però questa volta, era diversa; più tenebrosa, più... pericolosa. Per un attimo pensò, o forse, sperò, di trovarselo davanti a sé, ma si sbagliò, perché quello che le si presentò davanti, non era lui, ma il parco.

«Muoviti ragazzina, stai bloccando la fila» una voce scontrosa le arrivò all’orecchie, scoprendo che dietro di lei alcune persone non riuscivano a passare perché si era fermata. Arrossendo leggermente riprese il passo.

«Mi scusi...» mormorò.

Una volta raggiunto il marciapiede tornò a guardare nuovamente i folti alberi dietro la ringhiera verde con un cancello aperto, che limitava l’entrata del parco. Rimase ad osservarlo a lungo e per la prima volta dopo tanti anni non percepì il solito malessere che l’assillava ogni volta che vi passava accanto.

Cos’era quella sensazione, curiosità? No... sembrava che qualcuno l’avesse ipnotizzata. Non riusciva a staccare i suoi occhi dall’oscurità degli alberi, nonostante l’area fosse illuminata dai lampioni. Era come se qualcuno la stesse osservando e guidando... voleva che entrasse lì?

Sapeva che era sbagliato; sapeva che qualcosa non quadrava, ma non era più in grado di controllare il suo corpo. Le sue gambe si mossero da sole e non appena varcò il cancello percepì uno strano solletico lungo il corpo.

Col cuore in gola raggiunse il luogo centrale in cui c’era unicamente sabbia e costruzioni per i bambini, che, durante il giorno, venivano a giocare con le proprie mamme. Attorno a lei solo alberi illuminati dalle luci dei lampioni. Ormai il sole era quasi del tutto sparito, lasciando quel piacevole colore azzurro in cielo.

Una volta arrivata Kagome si fermò, guardandosi in giro. Tutto in torno a lei taceva. Le altalene si muovevano leggermente per via del vento, come se in quel momento ci fosse sopra un fantasma. Quella sensazione non le piaceva, voleva tornare a casa, ma allora perché non si muoveva?

Strinse gli occhi, e, lottando contro se stessa, riuscì finalmente a muovere le gambe. Si guardò ancora una volta attorno, poi, decise di andarsene. Il suo unico pensiero era quello di tornare il prima possibile dalla sua famiglia.

Girò i tacchi pronta ad andarsene, ma ad un certo punto, un rumore sospetto la bloccò. Sembrava come se qualcosa avesse strisciato per terra. Che cos’era?

Poi, lo percepì: un respiro. Un minaccioso e inquietante respiro colpì le sue orecchie, facendola sudare freddo. Lentamente si voltò verso il parco giochi, ma lì non vi vide nulla.

Ingoiò con difficoltà un po’ di saliva, cercando di inumidire la gola diventata improvvisamente secca. Forse si era sbagliata, era solo frutto della sua immaginazione. Chiuse gli occhi e ispirò col naso, cercando di darsi una calmata, ma per la seconda volta, percepì qualcosa... dietro di lei.

«Notevole, sei riuscita a liberarti dal mio sortilegio» una voce mostruosa arrivò dritta alle sue orecchie, facendola raggelare. Un fiato caldo e disgustoso le colpì la nuca, costringendola a voltarsi nuovamente e per poco, Kagome non si sentì morire «Ma questo non ti basterà a salvarti»

Una figura gigantesca, di un colore viola scuro, si trovava a pochi metri da lei. In testa aveva delle possenti corna appuntite, mentre dalla bocca usciva della bava verde bagnando il terreno, che al suo tocco bruciava, come se fosse acido. Le sue iridi rosse, proprio come il sole che era appena tramontando alle sue spalle, la studiavano famelici. Che fosse quello lo sguardo che aveva percepito pocanzi?

L’immonda creatura si avvicinò pericolante a lei, che non aveva il coraggio di muoversi «Dammi la sfera» mormorò la creatura, con una voce gutturale.

Kagome, con gli occhi sbarrati percepì a malapena quello che le aveva detto «Dove si trova?» domandò ancora, minaccioso, muovendo appena le lunghe braccia armate da pericolosi artigli. Kagome sentì le mani e le ginocchia tremare «Quanto ho voglia di assaggiarti... chissà sei hai lo stesso sapore di quella umana di ieri»

La ragazza morta. Era stato lui ad ucciderla? Questo pensiero la risvegliò e nel momento in cui i suoi occhi vennero abbagliati dal luccichio di quelle che sembravano zanne si risvegliò. Si voltò di scatto, dando le spalle a quella mostruosità e iniziò a correre dall’altra parte dell’entrata del parco.

«Torna qui! Dimmi dove si trova!» gridò il mostro, iniziando ad inseguire senza difficoltà la ragazza «Dammela!»

Kagome percepì chiaramente il mostro avvicinarsi a lei e con gli occhi lucidi superò un albero «Io non ho niente!» esclamò, disperata, sperando che la sua risposta bastasse a lasciarla in pace. Nuovamente superò un altro albero mentre il frastuono di un grande ramo spezzato ricoprì l’aria.

Sentì chiaramente uno di quei pericolosi artigli toccarle i capelli e poi infilzare la sciarpa svolazzante. Senza pensarci, forse spinta dal proprio istinto di sopravvivenza, la sciolse, lasciando così il mostro a mani vuote.

Kagome, con un balzo, superò un piccolo cespuglio, per poi riprendere la strada che l’avrebbe portata all’uscita del parco, ma improvvisamente, una figura umana le si presentò in avanti. Non avendo tempo di fermarsi si scontrò con questa, avvertendo piacevolmente un calore lungo le braccia.

Alzò lo sguardo umido e grazie alla luce dei lampioni riconobbe il suo volto. Il ragazzo dai capelli neri! Cosa ci faceva lì?

«Tu...» sussurrò, confusa, ma allo stesso tempo felice di averlo lì. Ma ora non aveva tempo di pensare a quelle cose, dovevano trovare un modo per andarsene da quel parco prima che quel mostro li raggiungesse.

Agitata iniziò a spingerlo con le sue mani, ma la sua presa ferrea la bloccò, facendole alzare lo sguardo. Gli occhi di lui guardavano dritto davanti a sé, fieri e coraggiosi, mentre con una delicatezza infinita, spostò Kagome dietro il suo corpo, come per proteggerla, mentre l’essere deforme si bloccò, non appena vide la nuova figura sopraggiunta.

«Resta qui» sussurrò lui. Kagome, senza neanche rendersene conto annuì, facendo come richiesto, mentre lui si avvicinò di qualche passo al mostro.

«Come hai fatto a raggiungere per tempo questo luogo?» sbraitò la creatura, mostrando minaccioso le sue poderose zanne, che avrebbero trafitto qualsiasi cosa.

«Potrei farti la stessa domanda, disgustosa emanazione» rispose a tono lui, mentre il suo sguardo si indurì ancora di più.

Le parole del ragazzo fecero infuriare ancora di più la figura immonda, che ringhiò minacciosa «Porterò al mio Padrone la tua testa!» gridò, iniziando a correre ad una velocità esorbitante, che Kagome, faceva fatica a seguire.

Immediatamente la grande mano artigliata fu subito davanti a lui, bloccandolo con una presa ferrea. Soddisfatta, la creatura aprì ancora di più la bocca e fece fuoriuscire le zanne, mentre i suoi occhi si dilatarono.

Nel momento in cui Kagome vide quella bocca avvicinarsi al suo collo non poté fare a meno di gridare spaventata.

«Attento!»

Nello stesso istante il ragazzo ghignò appena «Sei troppo ottuso...» e senza neanche dare il tempo al mostro di avvicinarsi ancora una luce biancastra ricoprì interamente il corpo del ragazzo, accecando sia Kagome che il proprio avversario.

Non appena riaprì gli occhi, Kagome tornò a guardare preoccupata e spaventata verso di loro e quando si rese conto di cosa aveva davanti, o meglio.. di chi aveva davanti, sentì il proprio cuore sobbalzare.

I suoi lunghi capelli neri si erano improvvisamente schiariti, fino a diventare bianchi. Sulla testa invece, vide quelle che sembravano orecchie da cane che si mossero a scatti. Spostò poi lo sguardo sulla sua mano, che aveva alzato minacciosa verso il mostro, mostrando degli artigli lunghi e affilati. Il ragazzo sospirò appena, soddisfatto, poi scrocchiò le ossa del collo.

Colpito da una furia cieca, il demone strinse ancora di più il corpo del giovane, che rimase fermo a guardarlo divertito, poi, rise sguaiatamente, mostrando le zanne «E anche debole» senza neanche dare il tempo al mostro di fare altro, con un veloce movimento dei suoi artigli distrusse in mille pezzi il suo lungo braccio, sporcando la sabbia di un liquido nero, simile ad inchiostro.

Urlando dal dolore, il rivale osservò sdegnato il suo arto amputato, e pochi secondi dopo, il giovane raggiunse la sua elevata altezza con un balzo, tagliando questa volta la sua testa, che rotolò poco lontano. Il corpo rimase un attimo in piedi, poi, cadde in avanti, con un tonfo sordo, mentre il giovane osservava serio il nemico appena sconfitto.

Kagome, a quella scena, trattenne un conato di vomito. Senza alcuna difficoltà aveva ucciso quella cosa. Tremò appena quando le sue spalle si mossero e la sua attenzione venne riportata su di lei. Non solo i capelli, le orecchie e gli artigli, ma pure gli occhi erano mutati... color ambra.

Non era possibile, non poteva essere lui!

«Stai bene?» domandò freddo e avvicinandosi di un passo e questo bastò a Kagome di girare i tacchi e correre via il più lontano possibile da quel luogo, ma soprattutto da lui.

«Ehi, ferma!» gridò, e con un semplice salto la raggiunse, bloccando la sua corsa.

«Lasciami andare!» gridò la ragazza nel panico, mentre lui la tenne ferma senza alcuna fatica. Si mosse come un leone in gabbia, ma quando capì che non c’era nulla da fare si calmò all’istante, abbassando lo sguardo impaurito «No.. ti prego» sussurrò, con voce tremante.

Le orecchie di lui, al suono del suo ammonimento impaurito, si mossero, mentre lui, lentamente la lasciò andare lentamente per poi lasciarla andare, ma senza staccare i suoi occhi da lei «Non voglio farti male» disse grave, ma allo stesso tempo rassicurante.

Al suono di quelle parole Kagome alzò lievemente lo sguardo, osservandolo poco convinta. Un lampione posto vicino le permetteva di osservare chiaramente ogni suo minimo particolare. I suoi lunghi capelli non erano bianchi, ma argentei, come la luna. Le sue orecchie invece erano ricoperte da una deliziosa peluria, sembravano così morbide...

«Che cosa sei?» bisbigliò, non appena capì che forse non c’era più niente di cui aver paura.

Il ragazzo tirò un sospiro, per poi abbracciare le sue spalle con il braccio e obbligandola ad incamminarsi fuori dal parco.

«Vieni, ti accompagno a casa» aggiunse solamente. Uno strano calore, misto a protezione, impadronì immediatamente il cuore di Kagome. La sua stretta era così delicata, ma allo stesso tempo forte. Non appena superarono il cancello Kagome aggrottò le sopracciglia scoprendo che le persone continuavano a camminare tranquillamente, come se nessuno avesse percepito tutto il trambusto che quel mostro aveva fatto fino ad un attimo prima.

Il giovane lasciò andare, con suo sommo dispiacere, le sue spalle, portando entrambe le mani dentro le tasche della felpa nera, non prima di aver coperto la testa e i capelli dal cappuccio «Mi dispiace, ma mi ci vorrà del tempo per poter riprendere le mie sembianze umane» spiegò brevemente, iniziando a camminare e Kagome non poté fare a meno di seguirlo.

Per tutto il tragitto rimasero in silenzio. Kagome era confusa, aveva così tante domande da porgergli...

Ogni tanto lanciava uno sguardo curioso, cercando di capire che cosa stesse pensando, ma per colpa del cappuccio che gli copriva più di metà volto, le risultava difficile.

Quando si trovarono ai piedi della lunga scalinata si fermarono.

«Forza andiamo» disse sbrigativo, iniziando a salire, sotto lo sguardo sbigottito della fanciulla. Prese a correre, per poi seguirlo con difficoltà. Una volta raggiunta la cima, vide il giovane avviarsi verso la sua casa.

Una sensazione di disagio si impossessò di lei.

«Aspetta, che vuoi fare?» domandò, mentre lui, senza arrestare la sua camminata, rispose ovvio.

«Semplice: entrare»

Kagome sbarrò gli occhi. Come un fulmine scattò verso di lui, portando una mano sul suo petto e arrestando così le sue intenzioni «Non con questo aspetto, la mia famiglia potrebbe spaventarsi, o peggio, a mio nonno verrebbe un infarto!» ipotizzò la ragazza, immaginando il suo povero nonno a terra con la mano sul cuore.

Questo alzò gli occhi al cielo e sbuffò «Sciocchezze, tanto prima o poi dovrai raccontargli tutto» disse, cercando di spostarla, ma lei non demorse.

«Raccontargli cosa?» disse seria. Già cosa doveva raccontargli se pure lei non aveva idea di quello che stesse succedendo? Ispirò col naso, tentando di calmarsi.

«Tu resta qui fuori, capito?» lo ammonì, come se stesse parlando con un bambino e senza dargli il tempo di ribattere aprì la porta, sfoderando il sorriso più falso che potesse fare.

«Sono a casa» avvertì. In un attimo sua madre apparve dalla cucina, mentre suo nonno dal piano di sopra; Sota come al solito giocava con quel dannato aggeggio.

«Kagome dove sei stata? È tardi!» la rimproverò preoccupata la signora Higurashi, avvicinandosi a lei.

Kagome, in difficoltà, si grattò la nuca, cercando di essere il più naturale possibile «Scusate, ma ho voluto fermarmi in biblioteca» disse la prima cosa che le passò per la testa. Improvvisamente la porta d’entrata si spalancò, colpendo con violenza la sua schiena, mentre una nuova figura si presentò in casa Higurashi.

«Non sei per niente brava a fingere» borbottò il ragazzo, incrociando le braccia, mentre Kagome, non appena realizzò cosa fosse accaduto, spalancò gli occhi scioccata.

«Ti avevo detto di restare fuori!» lo sgridò, alzando come una pazza le braccia al cielo, mentre lui la guardava.

La signora Higurashi, dopo aver scrutato il nuovo arrivato, piegò un poco il capo, osservando curiosa la figlia «Chi è il tuo amico, tesoro?» domandò subito. Anche Sota aveva smesso di giocare.

In difficoltà, Kagome si morse il labbro inferiore «Emh... nessuno, anzi stava giusto andando via. Vero!?» disse minacciosa, guardando in cagnesco il giovane che continuava a essere tranquillo.

«No»

Maledizione, perché doveva essere così scontroso? Meno male che teneva almeno in testa il cappuccio..

«Questo coso mi sta facendo soffocare maledizione» disse, togliendosi con un gesto secco il copricapo nero.

Ok, ora poteva anche morire...

I membri della famiglia, non appena focalizzarono l’aspetto abbastanza fuori dal comune del nuovo arrivato, rimasero in silenzio per diversi secondi. Kagome si tappò gli occhi della mano.

«Per tutte le divinità celestiali, un demone!» tutti si voltarono spaventati verso il nonno, che stava indicando spaventato il ragazzo dai capelli d’argento, che alzò scettico un sopracciglio.

Kagome cercò subito d’intervenire, mettendosi tra lui e il giovane «Calmati nonno!»

«Vattene orripilante creatura e lascia andare mia nipote!» sbraitò ancora il vecchio, guardando minaccioso la losca figura per nulla impaurita. Sotto lo sguardo preoccupato di tutti, il nonno di Kagome corse su per le scale e dopo aver percepito una serie di strani rumori dal piano di sopra, tornò in salotto, con in mano una serie di fogli rettangolari bianchi.

«Grazie a questi talismani anti-demone brucerai tra le fiamme dell’inferno!» strepitò, attaccando sulla povera faccia del ragazzo una serie di fogli. Soddisfatto incrociò le braccia e chiuse gli occhi, pronto a ricevere le acclamazioni meritate dalla propria famiglia.

«Nonno non sta funzionando» disse tranquillamente Sota, che continuava a guardare l’amico di sua sorella staccare come se nulla fosse un foglio dal suo naso.

«Com’è possibile?!» berciò, portandosi entrambe le mani sulle guance.

«Sono falsi vecchio» spiegò brevemente lui, con un sopracciglio alzato e strappando a metà il talismano, sotto lo sguardo abbattuto dell’uomo di casa.

Cercando di mantenere la calma, riportò il suo sguardo ambrato su Kagome, che era rimasta per tutto il tempo a guardare. L’afferrò per un braccio, iniziando a trascinarla «Su andiamo, dobbiamo parlare...» disse, iniziando a salire le scale.

Kagome si ritrasse appena, cercando di liberarsi «Cosa? Ehi aspetta non...»

«Un momento!» entrambi i ragazzi si voltarono verso la signora Higurashi, che osservava torva il giovane che stringeva con forza il braccio della figlia.

«Che c’è?» disse scontroso.

Immediatamente la donna allungò le mani e prendendolo in contro piene afferrò le sue orecchie, tastandole curiosa «Sono vere queste orecchie?» domandò, senza smettere di toccarle.

«Falle toccare anche a me mamma, falle toccare anche a me!» gridò Sota, che iniziò a saltellare entusiasta vicino alla madre.

Kagome osservò tutta la scena sbigottita, costatando che la sua famiglia doveva essersi ammattita. Ma cosa le saltava in mente a sua madre di toccare delle orecchie... da cane di un ragazzo, non aveva paura? Beh, se doveva essere sincera ci aveva pensato pure lei a quella piccola idea...

Con uno strattone il ragazzo si liberò dalla presa della donna, osservando tutti i presenti seriamente «Non abbiamo tempo per queste cose, vostra figlia è in pericolo!»

Per la seconda volta, la famiglia di Kagome rimase in silenzio.

«Pericolo?» sussurrò allarmata la signora Higurashi, che osservò confusa il giovane «Chi sei ragazzo?» domando.
Lui, dopo aver osservato la donna, l’uomo e infine Kagome, risposte «Quello che ha detto il vecchio: sono un demone, il demone della vita»
 
 


***

 
 

Sbuffando rumorosamente, il giovane ragazzo guardò fuori dalla finestra, mentre il cielo oscuro ricopriva l’intera zona. Con un movimento leggero, mosse la sua testa, permettendo così alla sua lunga chioma scura legata da una coda alta di muoversi liberamente.

Ormai era diverso tempo che se ne stava lì a non far nulla per tutto il tempo.

«Byakuya!» la voce tuonante del suo Padrone lo richiamò, obbligandolo a staccare i suoi occhi scuri, circondati da sfumature simili al viola, dal panorama macabro «Goshinki è stato sconfitto... a quanto pare sono stato battuto sul tempo» continuò l’uomo, con voce dura, ma allo stesso tempo ironica.

Byakuya lo guardò serio, tenendo entrambe le mani nascoste dentro le larghe maniche del suo kimono azzurro e violaceo «Ma almeno ora sappiamo dov’è» commentò, freddo.

Il suo Padrone, senza guardarlo ridacchiò, confermando perfettamente le sue parole con un cenno del capo «Esatto, per questo motivo voglio che vada tu» tuonò, mentre i suoi occhi rossi lo scrutarono.

Il ragazzo non si fece intimorire, anzi, una piacevole sensazione abbrancò il suo corpo. Finalmente un po’ di divertimento; aveva proprio bisogno di sgranchirsi le gambe.

Ghignò «Cosa vuoi che faccia?»

«Prendi la sfera e portala da me» una smorfia infastidita sfigurò il suo volto, mentre con rabbia, strinse entrambe le mani in un pugno, muovendo e facendo tintinnare le catene che bloccavano i suoi polsi «Ormai manca poco e finalmente sarò di nuovo libero»








A.A. (Angolo Alieno):
 
Ed ecco il terzo capitolo, a rilento, ma eccolo!
È la prima volta che mi “metto alla prova” nel genere azione, che naturalmente in questa ff non mancherà. Boh, io ho qualche dubbio, ma come al solito la carissima Manuela, la mia mentore, è sempre pronta a sostenermi 
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, mi scuso per non aver risposto alle ultime recensioni, ma per ora il mese di Settembre è stato devastante. Tecnicamente da oggi in poi dovrei essere più libera dalla vita universitaria per almeno due mesi quindi incrociamo le dita!
Un bacione a tutti e a presto!
Marty

   

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