Rise - Dalle tenebre alla luce di imoto (/viewuser.php?uid=648723)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I - Nascita ***
Capitolo 2: *** Atto II - Vita ***
Capitolo 3: *** Atto II - Casa ***
Capitolo 4: *** Atto III - Incontro ***
Capitolo 5: *** Atto IV - Ricordi ***
Capitolo 6: *** Atto V - Pensieri ***
Capitolo 7: *** Atto VI - Lettera ***
Capitolo 8: *** Atto VII - Discorsi ***
Capitolo 1 *** Atto I - Nascita ***
Atto I
Nascita
L’urlo agonizzante era solo l’ennesimo che
rimbombava tra
quelle quattro mura e oramai nessuno se ne curava più di tanto
-Ci siamo!- urlò la levatrice mentre tastava il
ventre della
gestante nel tentativo di capire la posizione del bambino
-Allora?- chiese ansiosamente una donna, le rughe
formavano
una ragnatela intricata sul suo viso e sulle mani dandogli un aspetto
più
saggio di quello che in realtà non fosse.
-È a testa in giù!- urlò la levatrice, le grida
della partoriente
erano continue e interrotte solo ogni tanto da qualche breve boccata
d’aria, il
letto sfatto e umido di sudore la ospitava già da molte ore, i capelli
erano
legati in una rozza coda ormai sfatta e cadevano sul viso e sulle
spalle, appiccicandosi
al viso
-Manca poco!- la donna artigliò con le mani il
braccio della
levatrice e della allieva, la prima se la levò di dosso con un gesto
secco per
poi tirare per un braccio la ragazza vicino all’anziana
-Dagli appoggio!- ordinò portando la mano della
madre al
braccio della giovane per poi posizionarsi tra le gambe della donna -SI
VEDE LA
TESTA!- urlò cercando di sovrastare la confusione
-Spingi! PIÙ FORTE! Ancora! SPINGI! PIÙ FORTE!-
L’incitamento ritmico era urlato con tutta la
voce, la
gestante voleva solo che uscisse, che tutto quello finisse una volta
per tutte.
-Spingi! Ancora! Più forte! ORA! Fermati e
respira!-
L’allieva gli asciugò velocemente il sudore dalla
fronte per
evitare che gli finisse negli occhi e la donna si fermò prendendo
grosse
boccate d’aria e buttando la testa all’indietro.
Con una manovra sapiente e aiutata dagli oli che
l’allieva
continuava a versare sulla testa del feto, la levatrice afferrò il
nascituro
per le scapole tirandolo fuori, velocemente lo mise a testa in giù e
gli diede
un paio di colpi decisi su quelle che sarebbero diventate le natiche.
In una
reazione immediata l’aria riempi i piccoli polmoni e l’urlo fragoroso
del
piccolo invase la camera sostituendosi a quello della madre. L’allieva
afferrò
il cordone ombelicale e avendo cura di stringerlo abbastanza da fermare
il
flusso sanguigno da entrambi le parti, lo tagliò a una decina di
centimetri dal
bambino per poi farci un nodo. La levatrice gli diede immediatamente il
bambino
tra le braccia avvicinandosi nuovamente alla madre per controllarne le
condizioni.
-Quindi?- chiese l’anziana
-Sembrerebbe tutto a posto, dobbiamo solo
aspettare che
espella la placenta poi tutto sarà finito-
L’anziana annuii avvicinandosi alla donna sul
letto e
fissandola severa -Spera di aver fatto un buon lavoro-
La donna annuii stancamente. La levatrice gli
poggiò le mani
sulle ginocchia attirando la sua attenzione -Ancora un ultimo sforzo,
dobbiamo
far uscire la placenta del tutto o rischia di svilupparsi un infezione-
Tirando su la testa e guardando stancamente la
donna che l’aveva
aiutata fino a quel momento annuii
-Prendi un grosso respiro e alla prossima
contrazione spingi
con tutta la forza che hai, dovrebbe essere l’ultima-
L’ultimo urlo riempì la stanza inebriando i sensi
dei
presenti, misto all’odore di sangue, sudore e liquido amniotico, li
lascia
quasi storditi. La levatrice da una rapida occhiata alla placenta
assicurandosi
che sia uscita tutta e annuendo soddisfatta tra se e se. L’allieva
lascia il
piccolo sul petto della madre mentre scappa fuori a prendere una
tinozza.
-Tu!- la giovane ragazza in piedi affianco al
letto sussulta
-Vai a scaldare qualche brocca d’acqua, dobbiamo lavare sia lei sia il
bambino!-
La giovane scappa fuori evitando per poco di
scontrarsi con
l’allieva della levatrice che rientra nella stanza con una tinozza
piena d’acqua
fredda, la poggia affianco al letto e vi immerge una pezza per poi
passarla
delicatamente tra le gambe della donna per pulirla
-È fredda-
La levatrice annuisce mentre l’allieva continua il
suo
lavoro –L’acqua calda la useremo per il piccolo. Nelle prossime ora
dovresti
sanguinare ancora, ma non molto, ti sembrerà semplicemente di avere il
mestruo
e tutto dovrebbe finire entro domani-
La donna annuisce tornando a guardare ammirata il
fagotto accovacciato
tra le sue braccia
-Per il pagamento...-
L’anziana non le permette neanche di finire la
frase,
avviandosi verso la porta -Certo, mi segua nel mio ufficio-
Le due donne escono lasciando le giovani sole
nella stanza.
-Tra poco dovrebbe tornare la ragazza con l’acqua
calda- è l’allieva
a rompere il silenzio venutosi a creare nella stanza -Avete degli
asciugamani o
qualcosa di simile per avvolgere il neonato?- chiede alzandosi da di
mezzo le
sue gambe
-Dovrebbe essercene uno morbido nel primo cassetto
della
scrivania- risponde la madre ancora presa a fissare la vita che ha
portato in
grembo per nove mesi, adesso sa che se ne prenderà sempre cura,
qualsiasi cosa
accada perché non può fare a meno di amarlo.
La ragazza rientra in camera con due brocche di
acqua
bollente e l’allieva gli fa cenno di rovesciarle nella tinozza con
l’acqua
fredda
-Ma così si raffredderà!- obietta la giovane
fissando di
traverso il contenitore di metallo
-Hai per caso intenzione di lessare il poppante?-
chiede
retorica poggiando la salvietta sulla testiera del letto. L’altra fa
una
smorfia per poi rovesciare le due brocche nella tinozza. L’allieva si
avvicina
immergendovi dentro una mano e annuendo tra se e se, prende il bambino
dalle
mani della madre e lo immerge fino al collo ignorando le urla e gli
strilli
dell’infante.
-Hey! Fermati!- urla la madre spaventata
-È normale! Tranquilla, è solo che te lo ho tolto
dalle
braccia-
Non del tutto convinta si sporge dal letto
osservando con
occhi attenti ogni movimento della ragazza, come passa l’acqua sul
corpicino togliendogli
ogni traccia di sangue e sporco dovuto alla sua lunga permanenza nel
suo ventre.
Si sente tremendamente stanca, eppure non riesce a chiudere gli occhi,
il
sangue gli cola nuovamente tra le gambe e sa che dovrà nuovamente
lavarsi
quando lei e la levatrice se ne andranno. Il piccolo viene asciugato
velocemente e, agli occhi della madre, in maniera decisamente brusca,
con un panno
sottile per poi essere avvolto nella morbida e calda coperta ed
essergli posato
nuovamente in grembo.
-Cerca di non lasciarlo ne troppo al freddo ne
troppo al
caldo, è delicato e potrebbe ammalarsi. Per i primi tempi perderà un
po’ di
peso, è normale, ma poi inizierà a crescere-
La madre annuisce tranquilla, immagazzinando tutte
le informazioni
datele dalla giovane.
-Addio-
Gli risponde con un sorriso mentre esce dalla
porta
portandosi appresso la tinozza piena di acqua ormai sporca.
-Allora- attira la sua attenzione Mie, ha 17 anni
e lavorano
insieme nel bordello, è stata lei a occuparsi di tutto ciò che aveva
bisogno
negli ultimi mesi e le è grata oltre ogni misura -Hai deciso come
chiamarlo, o
chiamarla?- chiede avvicinandosi e ridacchiando. Sono entrambe
felici oltre ogni limite.
Sorride amorevolmente fissando con i suoi occhi
azzurri il
piccolo viso tra le sue braccia e ringrazia gli dei di quella
benedizione, spera solo che lo proteggano ancora un po'.
Note e scleri
dell'autrice:
Ehilà! Come state giocatori e giocatrici? Spero
bene, perchè è il momento di imbarcarsi con me in questa avventura! é
la prima volta che provo un esperimento del genere e spero vada bene!
Come avrete capito dall'introduzione questa storia si basa, come
concetto, sulle visual novel: quei giochi dove puoi scegliere come far
reagire il tuo personaggio in certe situazioni (es. Dolce Flirt, Katawa
shoujo et simila). Ovviamente voi potrete scegliere tramite commenti
e/o messagi privati, alla fine di quasi ogni capitolo troverete una
domanda con due opzioni: A e B. Dovrete semplicemente scegliere quella
che vi aggrada di più e inviarmi la vostra risposta, l'opzione votata
dalla maggioranza sarà quella che utilizzerò per mandare avanti la
storia. La pubblicazione è su base settimanale, tutti i Mercoledì
penso, quindi avrete tempo per "votare" fino a Lunedì mattina (per ovvi
motivi...). Spero che partecipiate in tanti e che questo esperimento
vada in porto ^^ ecco quindi la prima domanda:
Il
neonato di questo capitolo è:
A- un maschietto
B- una femminuccia
Rispondete in tanti!
Imoto-chan
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Capitolo 2 *** Atto II - Vita ***
Atto II
Vita
-Di quel fiore calpestato
Nessuno ricorda il nome
Oggi pregheremo invano
Tutto è già predestinato
Ordini severi muovono il vento
Soffocano il tuo respiro
Lascia che bruci la sua speranza
Lascia che bruci la sua illusione
Da questa fiamma possiamo annunciare
La guerra inizia da qui-*
La melodia che aveva accompagnato
il
bambino nel sonno parve rimanere sospesa nell’aria per qualche secondo
prima di
dissiparsi completamente. Mie lo cullò con dolcezza per poi adagiarlo
all’interno della cesta*, appositamente foderata con panni e
asciugamani, che
fungeva da culla per Mihir.
-Si è addormentato?- la voce era
poco più
di un sussurro accennato e pareva esprimere un dolore che la giovane,
nel suo
egoismo, sperava di non dover sopportare mai. Annuii girandosi verso la
donna
stesa sul letto
-Sì, le tue ninna nanne sono
fantastiche
per questo-
La donna sorrise amaramente
indicando un
posto vuoto sul letto accanto a se -Poggialo qui, ti prego-
Mie sollevo la cesta poggiandola
poi su
quel letto troppo grande per una sola donna, ma troppo piccolo per
permettergli
di dormire con qualcuno per un’intera notte
-Sei sicura? Potrebbe cadere…-
-È bellissimo non trovi?-
Mie osservò i lineamenti di
quella madre che
pareva troppo provata, troppo fragile per l’età che aveva, il suo viso
era una
maschera di amarezza e amore, un amore così grande, profondo, intenso e
viscerale
che ne ebbe quasi timore, velocemente spostò lo sguardo sul bambino; il
suo
viso trasmetteva nient’altro che serenità. Non era il primo bambino
così piccolo
che vedeva all’interno del bordello, ma era raro che sopravvivessero
abbastanza
a lungo da vederli pronunciare le prime parole. Come la maggioranza dei
neonati
Mihir non era bello, era uno sgorbietto rugoso e quasi totalmente
pelato, dagli
occhi chiari, che emetteva strilli acutissimi e pretendeva
costantemente che
tutti capissero cosa voleva, eppure Mie si era già affezionata e
provava nei
suoi confronti un grande affetto, forse non era il primo bambino che
vedeva, ma
era il primo di cui aveva assistito al parto e, soprattutto, era il
figlio di
colei che considerava amica. Trovare qualcuno da definire amico lì
sotto, nel
sottosuolo, era cosa più unica che rara eppure lei ne aveva una, tornò
a
fissare il viso della donna, tra poco l’avrebbe persa. Strinse le
labbra in una
riga rigida e dura, non era giusto.
-Vuoi che ti porti qualcosa?
Qualche
intruglio contro il dolore o per farti dormire meglio-
Lei gli sorrise amorevolmente
-Torna nella
tua stanza, hai già fatto abbastanza Mie-
Uscì velocemente tornando al
lavoro, era
ingiusto.
Osservo il viso di suo figlio e
ora che era
sola non poté impedire a una lacrima, una singola lacrima, di rigarle
il viso.
Le fitte all’addome diventavano a ogni respiro più dolorose e mangiare
era
qualcosa al di fuori di ogni possibilità, avrebbe rimesso tutto. Non ci
aveva
messo molto a capire che qualcosa era andato storto, nonostante fossero
passati
quasi tre giorni dal parto l’emorragia non aveva dato cenno a diminuire
ed era
sicura che non le rimanesse ormai molto. Affondò il viso nel cuscino,
una mano
ancora adagiata sulla guancia del piccolo, non aveva nulla. Strinse le
labbra
tra i denti, affondando i canini fino a far uscire qualche stilla di
sangue nel
tentativo di trattenere l’urlo di dolore che le aveva lacerato il
ventre.
-Mihir- sussurrò lasciandosi
andare in
mezzo a quelle lenzuola sporche, il suo ultimo giaciglio. Pianse
silenziosa
tutte le sue lacrime maledicendo ogni dio e protettore, supplicandolo
di
proteggere il frutto del suo ventre, si morse le labbra e si tirò i
capelli,
singhiozzò con una mano sulla bocca e proibì alle urla di superare la
barriera
dei denti, fino a quando le forze non la abbandonarono e un velo calò
per
sempre sul suo sguardo.
Mie affrettò il passo sentendo il
pianto di
Mihir provenire dalla stanza, aprì la porta con una certa irruenza per
avvicinarsi a grossi passi alla cula e afferrare il piccolo, lo cullò
appena
mentre lo sguardo si posava sulla madre. Il letto era zuppo di sangue
come da
tre giorni a quella parte, schioccò la lingua stizzita dal pianto
continuo che
gli perforava i timpani e si avvicinò meglio alla donna, ebbe premura
di
sistemarsi il bimbo addossato al petto prima di allungare una mano
verso il suo
viso, freddo. Due dita sotto il naso confermarono semplicemente ciò che
la
parte più razionale di se aveva già appreso. Si allontanò velocemente
rimettendo Mihir nella culla e, afferrando qualche straccio e vestito
che
poteva interessarle, si avviò fuori. Il neonato nella culla
improvvisata aveva
smesso di piangere mentre osservava, curioso, il nuovo mondo che gli si
prestava davanti: la volta grigia in pietra copriva tutto, l’aria era
pesante e
appestata, piena di odori malsani, l’umidità era percepibile anche da
sotto la
copertina che gli era stata gettata addosso e centinaia di rumori lo
assordavano. Scoppiò nuovamente a piangere a pieni polmoni, affamato e
spaventato mentre Mie camminava svelta per le strade del distretto
sotterraneo.
Bussò con insistenza a una
anonima porta di
legno fino a che una donna non gli venne ad aprire, pareva stanca e
smunta, oltremodo
irritata sia dal pianto del bambino che dalla presenza della ragazza,
ma li
fece entrare richiudendo la porta dietro di loro.
-Cosa vuoi?-
Mie appoggiò la culla sull’unico
tavolo
presente nella stanza per poi girarsi verso di lei -Lui è Mihir- la
donna
sollevo un sopracciglio -Sua madre è morta- la donna scosse il capo
osservandola irritata
-Primo, vedi di far smettere di
piangere il
marmocchio…-
-Mihir!-
-Si, si quello. Secondo, perché
mai a me
dovrebbe interessare?-
La conversazione fu interrotta
dall’urlo di
un altro neonato e velocemente la padrona di casa scomparve nella
stanza
adiacente per poi riapparire con in braccio una bambina che, avida,
succhiava
il late dal suo seno. Mie la indicò
-Per quello Manila, io non posso
allattarlo
e dovresti saperlo anche tu che il latte è praticamente impossibile da
trovare
e, in ogni caso, ha dei prezzi esorbitanti-
-Come tutto- commentò acida -E in
ogni caso
non mi interessa-
La giovane srotolò uno dei
vestiti presi
precedentemente e Manila sgranò gli occhi
-Dove lo hai…-
-Considarelo un pagamento-
Quella annuii staccandosi la
bambina dal
seno, la poggiò delicatamente sulla spalla picchiettandole sulla
schiena un
paio di volte
-Poggialo sul letto in camera-
Fece come gli era stato ordinato
adagiando
con cura la veste bianca sul materasso, era un abito semplice: scendeva
fino
alle caviglie dritto con una forma rettangolare, senza maniche e lo
scollo
pareva più un buco per permettere alla testa di passare. Mie glielo
aveva visto
addosso solo una volta e poteva solo immaginare che si trattasse di
qualche
pagamento o qualcosa di simile, la cosa sorprendete era il candore del
tessuto,
di un bianco ottico, quasi azzurrino, e la raffinatezza del materiale,
morbido,
leggero, fresco, pareva quasi di toccare una nuvola.
Tornò nella stanza principale
mentre Manila
stava allattando il piccolo Mihir che pareva più che felice di ricevere
finalmente del nutrimento, la bambina era stata momentaneamente messa
all’interno della culla del bambino e riposava tranquilla.
-È molto piccolo-
-Sì, ha pochi giorni- la donna
annuii
osservandolo attentamente -Non è tuo- affermò
-No- ripose Mie con ovvietà e
Manila
sospirò pesantemente
-Non voglio sapere nulla, non mi
interessa
finché mi paghi, solo giurami che non mi troverò i gendarmi o
qualcun’alto
davanti alla porta a causa tua-
-Te lo giuro- disse seriamente
-Non avrei
saputo da chi altri andare- aggiunse mesta
-Va bene. Probabilmente per i
primi tempi
avrà bisogno di mangiare molto spesso, ma col tempo imparerà ad avere
degli
orari regolari-
Mie annuii -Grazie, davvero- ci
fu un lungo
momento di silenzio mentre il bambino finiva di allattarsi -Hai detto
che ha
bisogno di mangiare spesso-
Manila strinse le labbra in una
linea dura
annuendo mentre riponeva il piccolo nella culla riprendendo in braccio
la
figlia -Sì, è molto piccolo. Ci vorranno un paio di mesi prima che
inizi a
mangiare a orari regolari-
-Io non posso fare avanti e
indietro. E poi
c’è il lavoro…-
La donna la fissò duramente –Non
mi
prenderò cura del marmocchio, mi basta mia figlia-
Mie sollevò lo sguardo testarda e
si
fissarono negli occhi -Quel vestito…- argomentò -quel vestito vale così
tanti
soldi che ne io ne te potremmo mai vederli in tutta la nostra vita! Non
ho
certo intenzione di lasciartelo per una semplice poppata!-
-E come avresti intenzione di
pagarmi?
Inoltre non mi pare che avessi precisato che il vestito valeva
un’adozione!-
-Non dovresti adottalo!- la voce
era
diventata poco più che un sibilo iroso
-Ah no? E tu come lo definisci
prendersi
cura di un bambino non tuo ventiquattr’ore su ventiquattro? Per un
tempo
sconosciuto! A quanto ne so potresti sparire domani lasciandomi il
marmocchio a
carico-
Mie indietreggiò di un passo -Non
lo sto
abbandonando- ringhiò
-Davvero? A me sembra proprio di
sì-
Abbassò il capo, stava davvero
abbandonando
Mihir? Dopo tutto l’affetto che aveva proclamato dentro di se di
provare nei
confronti di quel bambino lo stava davvero abbandonando? Chiuse gli
occhi
prendendo un respiro profondo, doveva calmarsi
-Prendi il marmocchio e le tue
cose ed esci
da casa mia-
Sollevò lo sguardo
-Ora!-
L’ordine perentorio di Manila gli
cadde
addosso come un macigno soffocandola, a passi incerti si avvicinò alla
piccola
culla osservando il bambino, la donna gli buttò ai piedi un malloppo di
stracci
e vestiti, velocemente si chinò e li raccolse, prese la piccola culla e
uscì da
quella casa ributtandosi nei vicoli e nelle strade, camminò senza meta,
stordita e confusa da quello che era successo. Si lasciò cadere lungo
una
parete avvilita, si sentiva umiliata, eppure aveva davvero pensato che
forse…
il singulto usci dalle sue labbra senza che lei potesse controllarlo e
decise
di lasciarsi andare alle lacrime. Svuotò il suo cuore e la sua anima
nei
singhiozzi e lamenti di quel pianto, nessuno si fermava o la degnava di
più di
un fugace sguardo, non sarebbe stata la prima ragazza in quelle
condizioni che
vedevano in quella giornata e non sarebbe stata l’ultima.
Non seppe quanto tempo stette lì,
le
ginocchia al petto e la testa tra di esse, le braccia che le
circondavano il
corpo rinchiusa in una barriera di solitudine e dolore, si riprese
solamente
quando alcuni gorgoglii giunsero prepotentemente alle sue orecchie.
Sollevò il
capo fissando il bambino accanto a se e per un attimo rimase confusa
dal fatto
che fosse ancora lì, che nessuno si fosse avvicinato a prenderlo e
portarlo
chissà dove. Allungò una mano dentro la cesta accarezzando quella
piccola vita
e permettendogli di avvolgere il suo dito con quella minuscola mano.
Si tirò in piedi osservandosi
attorno
cercando di capire dove fosse finita, in quel posto tutte le strade
parevano
uguali e, come se non bastasse, il buio era già calato.
Afferrò
la cesta coprendo meglio Mihir
sebbene, effettivamente, non facesse più freddo di quanto ne avesse
fatto
quella mattina quando erano usciti per strada, e iniziò a camminare,
addossata
al muro, cercando di ricordare la strada che aveva percorso all’andata.
Mihir aveva appena iniziato a
piangere
quando, presa dallo sconforto, decise di entrare in uno di quei locali
che la
gente, lì nel sottosuolo, si era ormai abituata a chiamare locanda; si
trovava
vicino alle scale per salire in superficie e Mie era abbastanza
convinta di
poter trovare almeno una camera per alloggiarvi durante la notte. Il
locale era
poco illuminato, odorava di muffa e stantio, alcool, vomito e sudore
formavano
un miscuglio che impregnava ogni singola asse di legno di quel posto;
qualche
avventore occupava i pochi tavoli traballanti e parevano fare a gara
tra chi di
loro sarebbe riuscito a sopravvivere fino alla mattina successiva senza
rimettere le budella. Si avvicinò velocemente all’unico uomo che pareva
aver
conservato un minimo di lucidità ignorando gli sguardi di coloro che si
erano
girati verso di lei attirati dal pianto del bambino.
-Hai una camera per la notte?
Posso
pagarti- come se quelle fossero le parole magiche lo sguardo dell’uomo
si fece
vispo e interessato, con un mezzo sorriso gli indicò l’unica altra
porta
presente oltre a quella di ingresso
-Chiedi a mia moglie, per il
prezzo
potremmo metterci d’accordo dopo- affermò passando attentamente lo
sguardo sui
vestiti che indossava e su quelli che portava ancora malamente ancorati
al
braccio –Sicura di poter pagare? Non voglio rogne- disse storcendo la
bocca
-Sicura-
Quello annuii pensieroso
osservandola
mentre superava la porta e la richiudeva alle proprie spalle.
Tirò quasi istantaneamente un
respiro di
sollievo ringraziando la parete di legno che attutiva il continuo
farneticare
degli uomini ubriachi e per un attimo gli parve che anche il pianto di
Mihir si
fosse fatto meno intenso.
-Sei una cliente?-
Sussultò cercando con lo sguardo
la figura
a cui apparteneva quella voce, una donna si era messa davanti a lei,
era magra
e piena di rughe, i pochi capelli rimasti erano unti e bianchi e tutto
in lei
trasmetteva stanchezza nei confronti della vita
-Ti ha mandato qui Chayse?-
-Sì- affermò esitante -ho bisogno
di una camera per la notte-
L’anziana annuii, ma invece di
girarsi e
fargli strada si fermò a osservare il bambino -È molto piccolo- Mie
scosse
leggermente la testa ormai assuefatta a quelle grida -Ha fame- disse
semplicemente, la farse totalmente sconnessa le era uscita d’impulso,
infondo
in quelle ore in quanti gli avevano chiesto di far smettere di piangere
Mihir?
La donna sospirò girandosi e
facendogli
strada, si ritrovò in una piccola cucina con appena un tavolo e due
sedie
–Siediti, dopo ti porterò in camera. Non possiamo di certo dormire con
il
bambino che piange tutta la notte!-
Annuii nonostante la donna gli
stesse dando
le spalle e si accomodò su una delle sedie di legno poggiando la culla
per
terra e tirando su Mihir, se lo accoccolò al petto iniziando a cullarlo
come
aveva visto fare a molte donne con i propri figli e come lei stessa
aveva fatto
più volte
-Così peggiori solo la
situazione- la
riprese stancamente la donna, Mie sollevo il capo confusa -Ho avuto
abbastanza
figli nella mia vita da assicurarti che non è così che dovresti
tenerlo, in
quella posizione il bambino si aspetta che tu inizi ad allattarlo-
-Ma io non posso!-
-Lo immaginavo- disse poggiando
il
cucchiaio che aveva in mano e avvicinandosi -prendilo così- la istruì
posizionandogli
il bambino tra le braccia sollevandolo in verticale e facendogli
poggiare il
viso sulla sua spalla, una mano era posizionata sulla nuca e l’altra
sul sedere
per sostenerlo
-Grazie-
L’anziana sorrise prima di
tornare
velocemente a cucinare, con un certo stupore Mie notò solo in quel
momento che
la donna stava tagliando alcune verdure per poi metterle in una pentola
già
posizionata sul fuoco
-Non è proprio come il latte, ma
mi sa che
per stavolta il bimbo dovrà adattarsi, basterà a riempirgli lo stomaco-
-Di cosa si tratta?- chiese
curiosa
continuando a cullare Mihir
-Zuppa, semplice zuppa. A
proposito, quanto
ha?-
-Uhm… è nato neanche una
settimana fa-
Senza che Mie la vedesse
l’anziana donna
sgranò gli occhi, batté le palpebre un paio di volte cercando di
riprendersi e
darsi un contegno. -È molto piccolo-
-Sì, molto…-
-Allora siamo fortunate- si girò
sorridendogli incoraggiante -I bambini così piccoli perdono peso nel
primo periodo
dopo la nascita perché la madre non ha ancora il latte in seno per
nutrirli, ma
un surrogato fatto di acqua e zuccheri-
-Oh, non lo sapevo-
L’anziana annuii -Già, non è una
cosa che
sanno in molti qua sotto. E comunque semplifica le cose, invece di
qualche
zuppa difficile da digerire basterà dargli acqua calda con un po’ di
zucchero-
affermò prendendo un pentolino pieno fino all’orlo e metterlo sul fuoco
affianco all’altra pentola, ci aggiunse diligentemente un mezzo
cucchiaino di
zucchero e mescolò con cura. Dopo pochi minuti, soddisfatta del corse
fuori
dalla stanza. Mie rimase sola, con il pianto di Mihir nelle orecchie
che si era
leggermente attenuato permettendogli quantomeno di non perdere
totalmente l’udito.
Quando si accorse che era tornata
nella
piccola cucina l’anziana aveva versato parte del contenuto del
pentolino in una
bottiglietta di vetro abbastanza capiente per poi chiudere il tutto con
un
piccolo boccaglio di plastica; gli passò il biberon sorridendo appena e
aiutandola a rimettere Mihir nella posizione precedente, come risultato
il
bambino riprese a piangere più forte di prima, ma la donna gli mise tra
le
labbra il morbido beccuccio in plastica spegnendo ogni sua richiesta.
Inizialmente il piccolo parve confuso e non molto propenso a succhiare,
ma dopo
pochi istanti iniziò a bere tutto il contenuto.
-Finalmente un po’ di silenzio-
sussurrò
incoraggiandola ad afferrare il biberon, Mie cercò di sistemarsi meglio
tra le
braccia il lattante per non farlo cadere per poi prendere esitante la
piccola
bottiglia
-Credo di aver perso l’udito da
un
orecchio- scherzò, l’anziana ridacchiò prima di togliere la pentola
piena di
quello che ormai era brodo dal fuoco
-Io e mio marito abbiamo già
cenato, se
vuoi favorire- la invitò rovesciando un paio di mestoli in una scodella
di
metallo
-Ma Mihir sta…-
L’anziana gli tolse il bambino
tra le
braccia poggiando davanti a lei un paio di fette di pane
-Su, avanti. Se mangia il piccolo
non vedo perché
tu non dovresti-
Mie annui con la testa prima di
fiondarsi
sul piatto, solamente quando l’odore del brodo caldo gli aveva risalito
le
narici si era resa conto di quanto anche lei stesse morendo di fame.
Divorò due
fette di pane in pochi morsi prima di cercare di darsi un contegno
-Quindi si chiama Miscil?-
Ingoiò il boccone negando con la
testa -Mihir.
E io sono Mie-
-Corinne- il silenziò venne
spezzato da
Mihir che, finito di mangiare, si fece picchiettare un paio di volte
sulla schiena
prima di rigurgitare leggermente sulla spalla della donna
-Mihir!- quasi urlò Mie
sollevandosi in
piedi di scatto –Oddio, mi scusi davvero! Non-
Le scuse frettolose vennero
interrotte
dalla risata di Corinne che gli fece cenno di abbassare la voce -Ti ho
già
detto che ho avuto molti figli, sono abituata a una cosa del genere
ormai da
molto tempo. E poi urlare potrebbe spaventare il piccolo Mihir e noi
non
vogliamo che scoppi a piangere nuovamente, vero?- chiese retorica
solleticando
la pancia del piccolo
Mie si trovava spiazzata, non
sapeva come
reagire, la gentilezza di quella donna era così inaspettata che la
lasciava
interdetta, lei parve accorgersene perché gli sorrise dolcemente –Ti
porto
nella tua stanza, avrete bisogno di riposare entrambi-
Corrine gli lasciò il bambino tra
le
braccia e nel tempo che lei si chinò per mettere Mihir nella sua culla
e
afferrare i vestiti lei si trovava già sulla soglia. La condusse lungo
il breve
corridoio da cui era arrivata, superarono la porta che dava sul locale
e salirono
qualche scalino prima di trovarsi davanti a una porta, la stanza oltre
a essa
era piccola e spartana con appena un letto, un armadio e un comò,
possedeva anche una piccola finestrella che dava sullo spiazzo davanti
alla scalinata. A Mie
parve come un’oasi dopo tanto tempo. Poggio Mihir sul letto e lasciò
cadere il
cumolo di vestiti ai piedi di esso, Corrine atterrò la sua attenzione
con un
cenno verso il biberon, nuovamente pieno, poggiato sul comò
-Se il bambino dovesse
ricominciare a
piangere stanotte, e lo farà, almeno potrai calmarlo- gli sussurrò
prima di
uscire e lasciarle la sua privacy. Si tolse i vestiti logori e sporchi
prima di
prendere Mihir dalla culla e poggiarlo sul letto stendendosi al suo
fianco, con
un enorme sforzo di volontà e lottando contro il sonno che pareva
averla
colpita improvvisamente si allungò per spegnere la luce e poi si
addormentò.
Note e scleri dell'autrice:
* La ninna nanna, nel caso vi fosse familiare, è una semplice
rimaneggiamento della traduzione italiana della prima Opening
dell'Attacco dei giganti, molto accorciata e rimaneggiata. Quindi si,
non mi appartine, ma spero che vi piaccia comunque, e nel caso non si
fosse capito a cantarla non è Mie, ma la mamma di Mihir
* Ok, che dire, io questa "culla" me la sono immaginata come un cesto
di vimini con un manico (tipo cesto di Cappuccetto Rosso) riempito di
stracci e asciugamani morbidosi :3
Incredibile ma vero sono puntuale! Ci siete cascati? No, bhè io almeno
ci ho provato e comunque il ritardo è di solamente 25 minuti ^^ quindi
mi perdoante? Anche perchè il capitolo è bello sostanzioso, insomma ne
succedono di cose: la mamma di Mihir muore, Mie lo prende e va da una
certa Manila che lo allatta e poi li sbatte fuori di casa, la poveretta
girovaga senza meta fino a trovare Corinne e per adesso c fermiamo qui.
Stavolta non ho nessun sondaggio, ma dovebbe esserci nel prossimo
capitolo ( a patto che non diventi troppo lungo e quindi lo debba
dividere in due). Spero comunque nei vostri commenti e nelle vostre
critiche costruttive, ditemi cosa ne pensate e sopratutto segnalatemi
se ci sono errori! Io ho riletto ma l'ora tarda non aiuta...
Ringrazio Carol12 per aver votato lo scorso capitolo, se la storia si
fosse evoluta con una femminuccia le cose sarebbero state moooolto
diverse, te lo garantisco ;)
Ci vediamo presto,
Imoto-chan
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Capitolo 3 *** Atto II - Casa ***
Atto II
Casa
Si era svegliata come minimo tre volte da quando
si era
stesa sul letto, risvegli improvvisi e apparentemente senza senso
dovuti alla
paura che potesse inavvertitamente schiacciare Mihir nel sonno o farlo
cadere
dal letto. Nulla di tutto quello era successo e quando il piccolo
scoppiò a
piangere nuovamente, Mie si trovava in un piacevole stato di
dormiveglia. Aprì
gli occhi di soprassalto e ci mise qualche attimo prima di capire cosa
stesse
succedendo, assonata e col passo strascicato si alzò in piedi
accendendo la
luce, afferrò il biberon e prese in braccio Mihir. Il piccolo smise di
piangere
immediatamente, abituato alla bevanda zuccherina che gli fungeva da
nutrimento.
Mie ne approfittò per guardarsi intorno nel
tentativo di non
addormentarsi all’improvviso; la stanza era abbastanza piccola e se
avesse
dovuto azzardare delle cifre avrebbe puntato su un due metri per due,
il letto matrimoniale
molto semplice in legno si trovava qualche spanna sotto la piccola
finestra che
pareva un rettangolo tagliato nella parete, aveva delle imposte in
legno e come
aveva già avuto modo di notare dava direttamente sullo spiazzo davanti
alla
scalinata che portava in superficie. Sulla stessa parte della porta, a
destra
rispetto a chi entrava, si trovava un piccolo armadio a due ante mentre
a
sinistra contro l’altra parete si trovava un comò con tre cassetti che
gli
arrivava all’incirca alla vita affiancato da un treppiede che sosteneva
una
ciotola con una brocca piena d’acqua, l’unico interruttore per la luce
si trovava
affianco al letto. La porta in legno possedeva una serratura e la
chiave era
già inserita, ma una cosa che attirò la sua attenzione fu lo stipite.
Infatti
nel punto in cui legno e pittura si incontravano quest’ultima si era
leggermente scrostata permettendo di vedere il materiale di costruzione
che non
era semplice legno, come per la maggioranza delle baracche, bensì
mattoni. Mie
rimase a fissare i blocchi rossi qualche secondo avvicinandosi prima di
scuotere la testa, effettivamente non era una cosa così improbabile.
Buona
parte delle strutture costruite vicino alle scalinate e nel centro del
mercato
erano fatte in mattoni, solamente verso l’esterno, dove si trovava il
suo
bordello, le case diventavano di legno. Socchiuse gli occhi ripensando
al
bordello, probabilmente non l’avrebbero neanche cercata, tanto meno in
un posto
del genere, troppo vicino alle scale, con troppi gendarmi in giro.
A differenza delle Case del Piacere, che si
trovavano in
luoghi specifici vicino alle scalinate, dove si recavano solamente i
ricchi
nobili provenienti dalla superficie e dove le prostitute ricevevano
soldi e
protezione, i bordelli nascevano spesso nei quartieri più degradati del
sottosuolo ed erano frequentati dai gendarmi o dagli stessi abitanti
quel buco
schifoso e maleodorante; era qui, dove nessuna regola, neanche morale,
vigeva,
che si poteva trovare il peggio del peggio. Le povere vittime erano
spesso
malmenate o morivano durante i rapporti, la prostituzione infantile e
la pedofilia
erano all’ordine del giorno, non c’era nessuna protezione, nessuna
regola,
niente di niente.
Mihir si lamentò appena e Mie riportò sul piccolo
la sua
attenzione, aveva finito di mangiare e con pochi passi ripose
nuovamente il
biberon sul comò per poi poggiare il bambino sulla spalla e, con pochi
colpetti, farlo digerire come aveva visto fare a Corinne. Ringraziò gli
dei che
stavolta non rigurgitò nulla e si coricò nuovamente a letto col bambino
tra le
braccia spegnendo la luce, il sonno tornò scacciando, almeno per il
resto della
notte, gli inquietanti pensieri della ragazza che chiuse gli occhi e si
addormentò.
Arricciò il naso più volte cercando di fuggire da
quell’orribile odore che gli invadeva le narici, ma non contò a nulla.
Quasi
per riflesso spontaneo aprì gli occhi per individuarne la fonte e si
ritrovò
accecata dalla luce, richiuse velocemente le palpebre con un lamento
pima di
provare a sbatterle un paio di volte e, finalmente, aprire gli occhi.
La
potente luce che l’aveva accecata era in realtà una semplice penombra
dovuta al
fatto che era già mattina, sbuffando irritata si alzò a sedere
individuando
subito Mihir dopo aver dato una veloce scorsa al letto. Il bambino era
già
sveglio e con gli occhietti vispi la osservava attento quasi cercasse
di capire
la sua prossima mossa, Mie sorrise allungandosi e prendendolo sulle
gambe, ma
fu solo quando si portò il bambino vicino, e la puzza aumentò
incredibilmente,
che ebbe come un flash.
-Caz…umhbf- si morse la lingua per non completare
l’imprecazione davanti al bambino, che intanto la osservava con una
strana
espressione in viso, alzandosi dal letto velocemente –Il pannolino,
cavolo!
Come ho fatto a scordarmene? Dannazione!-
In preda a quella che poteva essere
tranquillamente
catalogata come crisi isterica fissò frebbilmente la camera alla
ricerca di un
posto per cambiare il bambino, lo poggiò sul comò, unica speranza,
senza
pensarci due volte per togliere il vestito al piccolo lasciandolo
cadere al
suolo, aprì velocemente la spilla da balia per poi allentare i lembi
del
tessuto che fungeva da pannolino quando, come un’esplosione, l’odore
rancido
gli invase le narici. Per qualche secondo gli parve quasi di essere
affondata
in una melma e… possibile che la puzza fosse palpabile? Gli pareva di
poterla toccare
tanto era densa. Si fece coraggio e trattenendo il fiato gli tolse il
pannolino
poggiandolo sul comò affianco al bambino, poi avendo cura di tenerlo
fermo con
una mano piazzata sullo stomaco, e ci sarebbe da precisare come la mano
di Mie
fosse grande come quasi l’intero busto di Mihir, si allungò rovesciando
la
brocca piena d’acqua che aveva visto la sera, o era notte?, prima nella
bacinella in ceramica poggiata sul treppiede. Afferrò il piccolo,
scambiandolo
di posto sul comò con la brocca, per poi immergergli il sedere
nell’acqua
fredda. Come il suo subconscio gli urlava da quando aveva preso in mano
il
recipiente, Mihir lanciò un urlo che gli perforò i timpani iniziando a
piangere. Di nuovo. Probabilmente era dovuto al fatto che l’acqua era
ghiacciata,
ma adesso aveva altri problemi più importanti, tipo non rimanere sorda.
Cercando di non mollare il bambino che sarebbe
caduto nella
bacinella e, nello stesso tempo, tenendolo abbastanza in basso da
lasciargli il
sederino in ammollo, Mie iniziò a frizionargli le natiche lavandolo.
Solamente
dopo qualche minuto, quando lo tirò su tenendolo premuto contro il
petto, si
accorse che non sapeva come asciugarlo. Immediatamente la sua mente, e
i suoi
occhi, volarono ai vestiti malamente sbattuti sul fondo del letto ed
era
seriamente intenzionata ad usarli, almeno fino a quando la sua parte
razionale
non le ricordo che, per la miseria, quelli erano in suo unico avere e
se li
avesse usati per pulire il culo di un neonato avrebbero di certo perso
buona
parte del loro valore. Era praticamente ferma in mezzo alla stanza, con
Mihir
in braccio che, grazie a dio, aveva almeno smesso di piangere, quando i
suoi
occhi intercettarono la culla. Culla formata da una cesta piena di
asciugamani
morbidi. Mentalmente ghignò avvicinandosi e afferrò il primo
asciugamano in
cima e avvolgendoci il bambino. Superato il momento critico le
esalazioni
tossiche provenienti dal pannolino tornarono ad attirare l’attenzione
di tutti
i suoi sensi, in primis l’olfatto. Storse il naso nel vano tentativo si
inspirare
meno puzza possibile, mentre, abbandonato Mihir al centro del letto
enorme, si
avvicinava al punto critico.
Osservò quel pezzo di stoffa color ecrù, ruvida,
sporca,
maleodorante e umidiccia che era stata addosso a Mihir fino a quel
momento da
quando era… scosse la testa cercando di ritrovare un minimo di
lucidità. Il
neonato si stava divertendo a emettere qualche buffo versetto e Mie
pensò
distrattamente che doveva sostituirgli il pannolino sporco con
qualcos’altro. E
questo significava trovare un nuovo pannolino giusto? Ricacciò l’idea
in fondo
alla mente, un problema per volta. Allungò la mano, esitante, verso
quell’ammasso di rifiuti tossici, ma si fermò a metà strada con il
braccio
sospeso nel nulla e una forte nausea che gli risaliva la gola -Non ce
la
faccio!- mugugnò schifata.
La situazione era in stallo, lei non si muoveva,
la puzza
continuava a espandersi per la stanza penetrando nelle narici, nei
polmoni e
attaccandosi alla lingua, il bambino continuava a emettere versi dal
letto, ed
era alquanto sicura che erano versi disgustati, ma , ehi!, era stata
colpa sua
giusto? Il minimo che poteva fare era sopportare con lei. Il rumore dei
gradini
scricchiolanti la riportò alla realtà facendole abbassare il braccio e
fu
subito seguito da un leggero bussare.
-Non credo le convenga entrare- disse avvilita
continuando a
fissare il comò
-Tutto bene?- la voce preoccupata della padrona di
casa la
raggiunse da dietro il legno e Mie scosse la testa
-Per nulla!- riuscì solo a gracchiare tentando di
distogliere lo sguardo dal pannolino sporco senza riuscirci, neanche se
a
guardarlo sarebbe scomparso da solo!
La porta si aprì lentamente e Mie, con la coda
dell’occhio,
vide la donna entrare e coprirsi immediatamente bocca e naso con una
mano,
l’espressione disgustata, le sopracciglia corrucciate
-Ma che diavolo è successo qui?- le chiese
girandosi nella
sua direzione, Mie continuò a dargli le spalle girata di tre quarti,
allungò un
braccio all’indietro indicando il letto
-È colpa sua- proferì funerea. La donna sollevò un
sopracciglio scettica avvicinandosi lentamente
-Capisco- mormorò sospirando -Aspettami qui-
aggiunse
girandosi e scendendo velocemente le scale. Il rumore di cassetti
aperti e
chiusi freneticamente riempì la casa, ma quando risalì Mie non si era
sostata
di un millimetro, pareva una statua di sale, una stalattite di come se
ne
vedevano tante alzando lo sguardo verso la volta
-Non è fissandolo che risolverai il problema- la
ammonì
allegramente mettendosi davanti a lei e piazzandole tra le braccia un
nuovo
pannolino -Metti questo al bimbo che a quello- e indicò il comò con un
cenno
del capo -ci penso io-
Mie annuii decisamente rincuorata e tornò ad
avvicinarsi al
letto osservando Mihir che, muovendosi, si era sfilato l’asciugamano di
dosso e
adesso stava allegramente sdraiato su di esso, socchiuse gli occhi
mentre
cercava di replicare i gesti che aveva visto fare a molte mamme per poi
prendere la spilla che era poggiata li affianco e chiudere il pezzo di
stoffa
per sempre. O almeno fino al prossimo cambio. Tirò su il neonato pulito
guardandosi intorno, era sicura di aver lasciato la spilla sul comò e
concluse
abbastanza velocemente che doveva essere stata l’anziana a
lasciargliela sul
letto prima di uscire diretta per chissà dove con il pannolino sporco,
non si
ricordava neanche più il suo nome. Adesso che lo notava aveva fatto un
vero
disastro, il lenzuolo del letto era completamente caduto a terra, la
culla
distrutta non aveva più nulla di confortevole e pareva solo un ammasso
di asciugamani,
intorno al treppiedi di ferro c’era una pozza d’acqua e alcune gocce
segnavano
il percorso fino a dove si trovava lei in quel momento, il vestitino di
Mihir,
il suo unico indumento formato da un rettangolo con i buchi per braccia
e
testa, era per terra e l’asciugamano con cui aveva avvolto il bambino
era umido
lasciato sul materasso.
Indecisa su dove cominciare a mettere apposto si
avvicinò
alle imposte aprendo la finestra e permettendo alla stanza di cambiare
aria,
non che quella fuori fosse più salutare, ma di sicuro era più
respirabile.
-Era il tuo primo cambio?- la voce non la colse di
sorpresa
avendo già sentito i passi salire gli scalini scricchiolanti –Non
sembri
molto…-
-Preparata? Esperta?-
-…pratica- concluse ridacchiando. Mie si girò
osservandola
mentre afferrava da per terra il vestitino, lo ripiegava e poggiava sul
comò
accarezzandolo con gli occhi
-Lo so, ma non posso farci niente- disse
sollevando le
spalle –Imparerò-
-Tutte abbiamo imparato- concordò l’anziana –ma un
po’ di
aiuto è sempre di comodo no?- domandò osservandola
-Certamente- ci fu un attimo di silenzio mentre si
avvicinò
anche lei al comò –E lei potrebbe darmi questo aiuto?-
-Dipende da te-
Mie corrucciò le sopracciglia confusa –A me sembra
che lei
mi abbia già aiutato. Non ha forse preparato il biberon per Mihir ieri
sera? E
stamattina mi ha dato un nuovo pannolino!- argomentò sollevando il
bambino per
le ascelle davanti a lei come fosse una prova evidente
-Vero- le accordò –Seguimi giù in cucina per
favore-
Si sentiva a disagio, non le piaceva per niente la
piega che
stavano prendendo gli avvenimenti né l’espressione della donna, troppo
seria.
La seguì giù per le scale e poi lungo il corridoio fino ad arrivare
nella
piccola cucina che l’aveva ospitata la sera prima. L’anziana che
l’aveva
accolta e quella che aveva davanti adesso parevano due persone
totalmente
diverse e non poté impedirsi di stringere più forte Mihir al petto. La
donna
afferrò lo schienale di una sedia tirandolo indietro a facendogli
intendere che
doveva sedersi, lentamente si avvicinò e fece come richiesto mentre
quella
prese posto dall’altra parte del tavolo di legno.
-Dobbiamo parlare- disse semplicemente. Mie
aspettò eppure
non disse nient’altro. Ogni secondo che passava sentiva l’ansia
aumentargli
addosso, che avessero scoperto che Mihir non era suo figlio? E a loro
cosa
interessava? Meglio tenerlo per se che lasciarlo a morire in una
stupida stanza
da solo! Possibile che pensassero che l’avesse rapito? No, no, in quel
caso non
lo avrebbe di certo tenuto con se! Magari erano stati contattati dalla
padrona
del bordello che la stava cercando! Era morta, sarebbe morta e con lei
sarebbe
morto anche Mihir, era un maschio, al bordello sarebbe stato inutile,
l’avrebbero abbandonato e lasciato morire per strada! Come se
percepisse
l’agitazione nell’aria il piccolo prese ad agitarsi tra le sue braccia
e lei lo
strinse leggermente, non potevano toglierglielo, era tutto ciò che gli
rimaneva, volevano forse consegnarla ai gendarmi?
I suoi pensieri vennero interrotti quando sentì dei passi dietro di sé
e
immediatamente dopo un uomo entrò nel suo campo visivo. Ci vollero
pochi
istanti di smarrimento alla sua mente prima di catalogarlo come il
tizio della
locanda, probabilmente il marito della vecchia. In effetti pareva anche
lui non
più giovanissimo, ma nonostante ciò era abbastanza evidente la
differenza di
età con la donna al suo fianco. Si accomodò sull’unica sedia rimasta
libera, le
mani incrociate sopra il tavolo e la fissava.
-Io sono Chayse e lei è mia moglie, Corinne-
-Mei- rispose semplicemente osservandoli e senza
capire dove
volessero andare a parare, perché si stavano presentando?
-Lui è?- chiese l’uomo fissando il bambino
-Mihir-
Annuii continuando a fissarlo e poi sospirò -Ieri
sera hai
detto che avevi i soldi per pagare la camera…-
-Sì- lo interruppe -Posso pagare la stanza se è
questo il
vostro problema e me ne posso andare anche ora- affermò guardandoli
entrambi
-Capisco quando non sono la benvenuta e non è un problema, me ne vado.
Grazie
di tutto- concluse alzandosi dalla sedia
-Non c’è né bisogno- disse Corinne
-Risiediti- aggiunse il marito fissandola negli
occhi
severamente. Mie, a disagio come non mai, si risedette sotto lo sguardo
fisso
dell’uomo che, ne era certa, sarebbe stato capace di inseguirla se
avesse
provato ad oltrepassare la soglia della cucina.
-Dobbiamo farti alcune domande- continuò -spero
non sia un
problema- e il tono severo aveva più sottointesi di quanti Mie potesse
coglierne in quel momento. Si agitò sul legno duro mentre anche Mihir
tra le
sue braccia pareva abbastanza infastidito da tutto quello
-Quanti mesi ha il bambino?- chiese
-Settimane, non mesi- lo riguardi la moglie, lui
annuii come
se non fosse importante
Mie tentennò –Tre… no, cinque- socchiuse gli occhi
annuendo
tra se e se -Sì, cinque giorni. Meno di una settimana- Chayse la fissò
come se
volesse capire se gli stava mentendo o meno, poi fisso il neonato
-Quando sei arrivata ieri Corinne mi ha detto che
il bambino
aveva fame- annuii, era vero –Non gli dai il latte?-
-Il latte costa- rispose immediatamente, sincera
-Costa
molto e non ho abbastanza denaro per comprarlo-
Lui corrucciò le sopracciglia come se qualcosa non
gli
tornasse, poi fisso la moglie che gli sorrise appena e la sua
espressione si
fece un attimo più rilassata
-Quindi hai i soldi per pagare una camera in una
locanda
vicino alla scalinata, ma non per comprargli il latte?-
Mie si irritò sentendosi punta sul vivo, come si
permetteva
di giudicarla così? O stava per caso mettendo in dubbia la verità di
ciò che
gli aveva detto?
-Esatto- rispose stizzita –non mi sembra che sia
un crimine!
O per caso crede che me ne andrò la notte senza pagare? Mi sembrava di
essere
stata chiara, posso…-
L’uomo la interruppe sollevando una mano davanti
al viso -Va
bene, va bene- la assecondò –Ma se non ti bastano i soldi per
comprargli il
latte non puoi dargli da mangiare in un altro modo?- chiese con ritrosia
Lei lo guardò confusa e ci pensò Corinne a
chiarire
attirando la sua attenzione
-Ti sta chiedendo perché non lo allatti al seno-
Mie sgranò gli occhi come se l’avessero appena
messa a
conoscenza di un segreto che cercava da una vita intera, Chayse invece
abbassò
leggermente il viso quasi arrossendo, che fosse imbarazzato?
-Non posso- asserì semplicemente appena l’uomo si
riprese
-Perché?- chiese –Corinne ha sempre allattato
tutti i nostri
figli-
Strinse le labbra e, per quanto gli fosse
possibile senza
far del male a Mihir, anche le mani.
-Io…- chiuse gli occhi prendendo un respiro –Io
non posso-
-Perché?-
-Non ho latte! Non posso allattarlo-
-Impossibile! Tutte le madri hanno il latte-
-Io no-
-Menti! Non vuoi allattarlo?-
-No!- affermò, come si permetteva di insinuare che
lo
volesse lasciare morire di fame?
-Allora perché non lo allatti? Tutte le madri
allattano i
propri figli, non lo sai? È anche molto più economico che comprare del
latte!-
-Non posso allattarlo!-
-Perché? Sei sua madre!-
-Io non sono sua madre!- la confessione gli era
uscita quasi
gridata e si sentiva sfiancata
-Dov’è sua madre?- continuò a incalzare l’uomo
incurante di
quanto gli fosse costata quella confessione –Perché tieni un bambino
che non è
tuo?-
-È mio dovere!-
-Perché?-
-Lei avrebbe voluto così!-
-Chi?-
-Lei!-
-La mamma del bambino?-
-Sì-
-Te lo ha detto lei?-
Tentennò
-Rispondi!-
-No…-
-Perché lo tieni tu?-
-Lei non…-
-Lo sa che è con te?-
-Non…-
-Lo hai rapito?-
-NO! Io non…-
-Perché lo hai tu?-
-Lei non può!-
-Perché?-
Silenzio
- PERCHÉ?-
-Chayse calmati!- intervenne Corinne mettendogli
una mano
sul braccio, ma l’uomo parve non ascoltarla
-Perché il bambino non è con sua madre?- urlò
-PERCHÈ È MORTA!-
Lo aveva detto, alla fine lo aveva fatto. Si
lasciò cadere
sulla sedia, il capo chinato in avanti , completamente scarica di ogni
emozione. L’uomo si calmò tornando a sedersi mentre la moglie le stava
riservando uno sguardo preoccupato. Lo sentì sospirare e allungarsi
leggermente
sul tavolo –Come sai che è morta?-le chiese, stavolta con un tono molto
più
dolce, pacato, rassicurante.
L’immagine del letto pieno di sangue, il corpo
freddo, i
capelli sparsi, all’improvviso fu tutto troppo, insostenibile, si sentì
trascinata a fondo da un’improvvisa ondata di tristezza, dolore, paura
e
angoscia, sentimenti che avevano trovato un guscio completamente vuoto
e
finalmente pronto ad affrontarle. Il primo singhiozzo usci basso ed
esitante,
quasi timido, gli altri lo seguirono a ruota sempre più rumorosi e
amari, fino
a sconquassargli le spalle come con un terremoto. Strinse a se Mihir
che
d’altro canto si agitò iniziando a piangere a sua volta. Corinne si
avvicinò
prendendogli il bambino dalle braccia, immediatamente Mie sollevo il
viso le
braccia allungate verso la donna –MIHIR!- urlò sollevandosi per cercare
di
riprenderlo, l’uomo intervenne mettendosi tra la moglie e la ragazza,
afferrandola dolcemente per i polsi, conducendosela al petto e
iniziando,
piano, a massaggiarle la schiena per alleviare il suo pianto. La
giovane si
aggrappò a quella maglia, sentiva le parole dolci che venivano
sussurrate al
bambino e immagino che fossero dirette a lei, lentamente le lacrime si
arrestarono e con loro i singhiozzi, tirò su col naso un paio di volte
prima di
allontanarsi dall’uomo per stropicciarsi il viso mandando via gli
ultimi
residui di quel lutto. Prese un respiro profondo prima di avvicinarsi a
Corinne
e al bambino
-Ehi- sussurrò diretta al piccolo accarezzandolo
con lo
sguardo –Mi dispiace di averti spaventato- mormorò toccandogli il naso
con un
gesto veloce –Mi perdoni? Um?- lui emise qualche versetto sorridendo
come
sorridono i bambini e Mie si sentì il cuore più leggero.
-Ce la fai a continuare la conversazione?- chiese
la donna,
annuii tornando a sedersi sulla sedia. Chayse prese nuovamente posto
mentre la
moglie rimase in piedi vicino al muro cullando il bambino.
-La conoscevi?- gli chiese
Annuii –Da molto tempo, ho anche assistito al
parto. Sapeva
che sarebbe…- strinse i pungi sulle ginocchia impedendosi di
riscoppiare in
lacrime
-Perché dici così?-
-Una emorragia- disse secca –Ci ha messo neanche
tre giorni-
-Capisco-
-Se non lo avessi preso io lo avrebbero ucciso- si
umettò
leggermente le labbra –però non so se è stata la scelta migliore-
-Cosa intendi?-
-Io… non so da dove cominciare. Non mi sono mai
presa cura
di un bambino, non è mio figlio, non so cosa fare, come crescerlo, io…
non lo
so-
-Nessuna sa niente quando comincia- disse Corinne
-È sempre
un trauma ritrovarsi tra le braccia questi… esserini così minuscoli e
delicati.
Ci riuscirai anche tu come ci sono riuscita io-
-Non lo so- ammise girandosi verso la donna –Non
ho nessuna
capacita e mi mancano anche i soldi necessari per dargli da mangiare, a
questo
punto forse era meglio che…-
-Non pensarlo neanche! Pensi che sua madre sarebbe
stata
felice di sentirti dire che questo bambino, quello che lei ha messo al
mondo
con tanti sforzi, non merita di vivere?-
-No…- sussurrò
-Ti aiuteremo- concluse e Mie la guardò, come se
non capisse
cosa stesse dicendo
-La locanda ci permette di avere delle buone
entrate stabili-
Chayse attirò nuovamente
la sua attenzione –per noi non è un problema tenerti qui e darti una
mano, e
poi sembra essersi già affezzionato- disse indicando col mento il
bambino e
Corrinne, questa stava giocherellando con le dita del bambino che, dal
canto
suo, sorrideva e ridacchiava emettendo gorgoglii di felicità
-Accetti?-
Annuii
stringendo la mano che l’uomo gli stava offrendo -Grazie-
-Mihir-
sussurrò l’uomo alzandosi dalla sedia – e Mie. Due nomi particolari-
Sorrise
alzandosi a sua volta –Potrei dire lo stesso-
-Mihir
Ishan- entrambi si girarono verso Corinne che sorrideva nostalgica
–Mihir e Mie
Ishan, suona bene non travate?-
Chayse
sorrise al piena della gioia –Sì-
-Ishan?-
-È il
nostro cognome- Mie sgranò gli occhi comprendendo le implicazioni di
quela
semplice frase -Benvenuti in famiglia-
* * *
E volevo finire il capitolo qui. Davvero. Ma non
sono così
sadica, non dopo che ho saltato l’aggiornamento della settimana scorsa,
quindi
preparatevi ad almeno altre sette pagine di word cari giocatori. E solo
allora
avrete la vostra domanda
* * *
L’illusione che tutto si fosse finalmente
sistemato e che
lei e Mihir non avrebbero avuto altri problemi si infranse velocemente.
Per la
precisione nell’esatto istante in cui varcò la soglia della camera da
letto
dove la pozza d’acqua, il lenzuolo sfatto e in vestiti ammucchiati per
terra
ricordarono a Mie che il mondo è rose e fiori e, in quanto tale, ha un sacco di spine. Sbuffò iniziando a
tirare su le lenzuola, nonostante tutto non riusciva a togliersi di
dosso
quella sensazione di euforia e tranquillità che l’accompagnava da
quando Chayse
le aveva confermato che entrambi avrebbero preso il suo cognome,
esattamente
come se fossero figli suoi. Non sapeva esattamente come funzionavano le
cose di
sopra, ma li nel sottosuolo una frase simile valeva come una adozione
completa
nero su bianco ed era più di quanto lei avesse mai sperato quando aveva
iniziato quel dramma cinque giorni prima.
Mollò il malloppo di lenzuola sul materasso
afferrando l’asciugamano,
che oramai non era più umido, e iniziando ad asciugare l’acqua per
terra. La
finestra aperta aveva permesso all’odore nauseabondo di uscire e adesso
l’aria
nella stanza era respirabile, sebbene sussistesse ancora una leggera
puzza di
fondo, ma sarebbe scomparsa in fretta.
Approfittò delle pulizie per riepilogare gli
avvenimenti di
quella giornata e cercare di metterli in ordine, era una data
importante e
voleva che le rimanesse impressa nella memoria in modo da poter
raccontare
tutto a Mihir quando sarebbe diventato abbastanza grande.
Inevitabilmente anche
i suoi sentimenti seguirono quei pensieri e si ritrovò inconsciamente a
tremare
al pensiero del corpo morto che a questo punto stava venendo mangiato
da vermi
e larve. Il disgusto e il dolore furono però facilmente spazzati via
dalla
speranza ed energia che aveva seguito la loro adozione. Ovviamente era
ragionevolmente preoccupata, prendersi a carico due persone, peraltro
quasi
totalmente sconosciute, non era semplice e per quanto ne sapeva i
coniugi
avrebbero potuto pentirsi velocemente della decisione presa, e questo
avrebbe
significato altri problemi.
Chayse, che gli pareva la parte più razionale
della coppia,
rendendosi probabilmente conto della portata dell’affermazione della
moglie
prima ancora che lei stessa potesse farlo ci aveva tenuto a
rassicurarla che ne
avrebbero parlato meglio a cena in modo da assimilare la notizia e
pensarci a
mente fredda. E quello valva per entrambe le parti.
Esattamente come lei poteva rifiutare l’offerta
fatta dai
coniugi, loro potevano cambiare idea e sbatterli nuovamente per strada,
soppresse un brivido a quel pensiero. L’inverno sarebbe arrivato a
breve e, ne
era consapevole, non sarebbe riuscita a far vedere a Mihir la sua prima
primavera, era letteralmente una questione di vito o di morte.
Ancora scossa dall’aver realizzato quel pensiero
si lasciò
andare sul materasso, socchiuse gli occhi prendendo qualche respiro
profondo;
Chayse si stava occupando della locanda adiacente e non sarebbe
rientrato fino
a sera, Corinne si trovava al piano di sotto e si stava occupando del
bambino.
Presa da un’irrefrenabile e primordiale paura Mie si alzò di scatto
uscendo
dalla stanza e scendendo i gradini due a due, attraversò il corridoio
ignorando
il chiacchiericcio confuso che proveniva da dietro la porta di legno
che aveva
attraversato appena un giorno prima e si diresse spedita in cucina.
Sentì il sangue
ghiacciarsi nelle vene e la nausea invadergli la bocca mentre il suo
cervello
afferrava ciò che gli stavano trasmettendo gli occhi: la cucina era
vuota.
Rimase a osservare il tavolo scuro e le sedie per quei secondi che gli
parvero
un’eternità prima di girarsi e correre nuovamente per il corridoio, il
suo
corpo si mosse prima ancora che il suo cervello formulasse un vero
pensiero e
imboccò il secondo corridoio che si trovava esattamente di fronte alla
porta della
locanda, era abbastanza breve e alla fine di esso si trovava una
finestra che
dava su un vicolo, a destra e a sinistra si trovavano due porte e senza
esitazione mie spalancò quella di destra. Corinne sussultò e Mihir
pianse preso
alla sprovvista dal rumore sordo della porta che sbatteva contro il
muro.
-Cosa succede?- la voce preoccupata dell’anziana
la
raggiunse attirando la sua attenzione –Tutto bene? Sembri spaventata,
cos’è
successo!- gli si avvicinò velocemente mentre lei, ancora imbambolata
sulla
soglia, cercava di regolarizzare il respiro
-Ehi, ehi calmati okay? Fai un respiro profondo,
brava,
respira - segui le istruzioni lasciandosi cullare da quella voce così
calda e
rassicurante
-Siete qui- la voce le usci strana, come se fosse
una
domanda timida che si spacciava per affermazione, la donna annuii
prendendole
il viso tra le mani
-Che ne dici di sederci sul letto?-
Il sorriso caldo la convinse a seguire Corinne
fino al letto
matrimoniale e solo allora si rese conto che quella era una camera da
letto,
probabilmente la sua.
-È camera tua?- chiese esitante
-Sì-
Mie afferrò il bambino tra le braccia cullandolo
lentamente,
aveva smesso di piangere quasi subito dopo il suo ingresso –Sei davvero
un
bravo bambino- si complimentò con voce stanca dando luce ai suoi
pensieri
-Ti va di dirmi cosa è successo?- le chiese
rassicurante
-Volevo vedere Mihir- rispose semplicemente
continuando a
osservare il bambino negli occhi, era vero e solo in quel momento si
rese conto
di quanto fosse stata stupida la sua preoccupazione
-Capisco…- disse alzandosi e lasciandola sola
seduta tra le
coperte –Noi stavamo cercando qualche vestitino per questo piccolo
principe, ci
aiuti?- chiese allegramente
Mie sorrise spontaneamente sollevando il capo,
effettivamente
il neonato, ora che ci faceva caso, indossava una tutina color crema
che pareva
decisamente più calda del suo precedente vestito
-Come mai hai dei vestiti per bambini?- chiese
curiosa
Lo sguardo di Corinne parve rattristarsi
nonostante il suo
sorriso e questo non fece che alimentare la sua curiosità –Io e Chayse
abbiamo
avuto dei figli, ho sempre tenuto le loro cose nell’eventualità di un
altro
figlio-
-Ma non sei troppo…- esitò un attimo cercando la
parola
giusta –anziana?-
-Sì, lo sono. Ma sono ricordi preziosi a cui mi
sono
affezionata-
-E va davvero bene darli a Mihir? Non te ne
pentirai?-
La donna sollevo il caso dalla cassettiera in
legno ai piedi
del letto dentro cui stava rovistando donandole un sorriso
incoraggiante
–Tranquilla, non è un problema! Sono più che felice che qualcuno possa
indossare di nuovo questi abiti!-
Mie annuii poggiando Mihir sul letto, al centro di
quel
cumolo di cuscini sopra il quale lo aveva trovato, e
si inginocchiò ai piedi del letto affianco
alla donna –Allora non ti dispiacerà se ti do una mano giusto?-
Corinne ridacchiò allegra –Per niente! Sai, la
schiena dopo
tutti questi anni comincia a fare i capricci-
Mie nascose il viso sorridente in quel cumolo di
vestiti e
lenzuola iniziando a cercare, era il minimo per ricambiare la sua
gratitudine
no?
Cercarono per quelle che parvero ore fermandosi
solamente
quando lo stomaco di entrambe iniziò a emettere strani versi, nel pieno
imbarazzo della più giovane e tra i gorgoglii divertiti di Mihir. Mie
aiutò
l’anziana ad alzarsi e le consigliò di sedersi un po’ sul letto per
calmare il
mal di schiena dovuto al molto tempo passata inginocchiata sul
pavimento. La
ricerca non era però stata infruttuosa, infatti il bottino ammontava a:
altre
tre tutine oltre a quella indossata dal piccolo, rispettivamente di
color
verde, grigio e blu, un corredo formato da un piccolo lenzuolo, un
cuscino, una
coperta calda e un pupazzetto a forma di oca, un cappello di lana e una
sciarpa
abbinata entrambi marroni.
Dopo aver ordinatamente disposo il tutto sopra
alla
scrivania presente nella stanza, Mie aveva notato come quella camera
fosse
decisamente più arredata rispetto alla sua, si erano dirette in cucina
insieme
al bambino con l’intenzione di mangiare qualcosa per pranzo e poi
ritornare
alla ricerca di qualche altro “prezioso ricordo” come li chiamava
Corinne.
Il pranzo, sebbene veloce e non elaborato, era
stato
delizioso secondo il parere della giovane. Le patate erano state
lessate e
schiacciate per formare una purea a cui erano stati aggiunti alcuni
dadini di
carne cotta nella padella. Mie aveva pulito il piatto per ben due volte
sotto
lo sguardo divertito della cuoca che si era goduta i suoi complimenti
per il
lavoro svolto. Un piatto era stato tenuto da parte per il padrone di
casa e,
mentre Corinne era andata a portarglielo ben conscia che non poteva
arrivare a
sera semplicemente bevendo alcolici, Mie si era alzata iniziando a
riordinare.
Aveva preso i due piatti, le posate e la pentola posandoli tutti nel
lavello.
Aprì il rubinetto soddisfatta del fatto che l’acqua corrente fosse
disponibile,
al contrario di dove aveva vissuto fino ad ora, e iniziò a sciacquare i
cucchiai. Sentì Mihir ridacchiare dietro di lei e si girò a osservarlo,
anche
lui si era goduto il suo biberon di acqua zuccherata come pranzo e
storse la
bocca al pensiero che, presto, avrebbe dovuto trovare del latte;
l’ultima volta
che era riuscita a sfamarlo come si deve non era finita bene, per nulla.
Corinne rientrò in cucina e la prima cosa che fece
fu
agguantare il bambino prendendolo in braccio
-Prima lezione!- disse
solennemente guardandola –Non lasciare mai il bambino da solo a meno
che non si
trovi nella culla. Tanto più su un tavolo, potrebbe rigirarsi e
cadere!-
Mie sbiancò a quella prospettiva
–Io non volevo, oddio!-
La donna le si avvicinò sorridente
–Sono errori che facciamo tutti tranquilla, l’importante è imparare la
lezione-
annuii osservandole il bambino tra le braccia
-Posso farti una domanda?- chiese
esitante ricominciando a lavare le stoviglie, la donna le sorrise
incoraggiante
–Tu da chi hai imparato? Cioè ci sai fare con i bambini…-
-Per qualche tempo ho fatto la
bambinaia da giovane, ho imparato così, da chi era più esperta di me-
-Bambinaia?- ribatté interrogativa
-Sì, è il nome che viene dato a
chi si occupa dei bambini degli altri-
-E perché qualcuno dovrebbe
farlo?- rabbrividì immergendo le mani nell’acqua fredda
-È un buon lavoro, ben retribuito,
e poi ci sono persone che semplicemente amano farlo- spiegò, Mie annuii
sebbene
qualcosa non le quadrasse
-Però…- ribatté cercando di capire
cosa le stesse sfuggendo esattamente
-Cosa?-
-Niente- si arrese scuotendo la
testa –Finisco di lavare e poi torniamo in camera?-
-In realtà pensavo di farti fare
un giro della zona, non sembri molto in grado di orientarti- le disse
schiettamente.
Mie si irrigidì, poteva essere un
comportamento bambinesco, ma non voleva uscire da quella casa. Da
quando aveva
varcato a porta della locanda tutto era andato miracolosamente per il
meglio e
si sentiva al sicuro, non voleva uscire. Sapeva che era una paura
infondata e
senza senso, un semplice capriccio, ma se per caso uscire avesse
significato
rompere quella pace che si era creata? Se non avesse più potuto fare
ritorno in
quella locanda? Un po’ come quando ti risvegli da un sogno e poi non
riesci più
a continuarlo, non importa quanto fosse bello o quanto impegno ci
metterai, non
potrai riagganciare quel filo.
-Ti senti bene Mie?- chiese preoccupata
l’anziana, aveva notato il suo irrigidimento
-Io… non credo sia una buona idea
andare fuori, insomma Mihir è ancora molto piccolo e potrebbe prendere
freddo e
magari Chayse ha bisogno con la locanda no? E se rientrasse prima e non
ti
trovasse si preoccuperebbe!- sapeva che erano scuse sciocche, ma
sperava che
almeno servissero a farle guadagnare tempo. Corinne parve accorgersi
del
disagio che improvvisamente aveva mostrato e, sebbene titubante, annuii
-Allora vorrà dire che ti
recluterò per le pulizie di casa! La schiena continua a mandarmi fitte
e non è
il caso che mi sforzi troppo-
Sorrise più rilassata tornando a
pulire le stoviglia -Qui ci penso io, vai pure a sederti-
-Non trattarmi come se fossi
incapace di reggermi in piedi!- provocò bonariamente, più per cercare
di
rilassarla che altro, la giovane arrossì fino alla punta dei capelli
-Io non volevo offenderti!- si
scusò imbarazzata
Corinne scoppiò a ridere mentre si
accomodava sulla sedia con ancora in braccio il piccolo Mihir.
Il pomeriggio passò abbastanza
velocemente, una volta asciugate le stoviglie aveva spazzato per terra,
si
erano poi spostate in camera dove avevano ripiegato tutto ciò che nella
mattinata avevano tirato fuori dalla cassa ai piedi del letto per poi
rimetterlo apposto, Mihir aveva giocato col pupazzetto a forma di oca e
la
donna l’aveva più volte ripresa per come piegava i vestiti “in maniera
totalmente sbagliata”. Una volta finito era stata spedita in cucina a
scaldare
una pentola d’acqua per fare il bagno a Mihir e lei aveva ubbidito
chetamente
cercando dietro i vari stipiti la pentola più grande, l’aveva riempita
fino
all’orlo e tentando di non far cadere nemmeno una goccia, tentativo
peraltro
vano, l’aveva poggiata sul fuoco; aveva afferrato lo staccio e
asciugato le
macchie dal pianale e dal pavimento. Il problema a cui non aveva
pensato era
come portare tutta quell’acqua dalla cucina al bagno. Si sollevò le
maniche
della maglia afferrando i due manici di ferro che, per fortuna, erano
solamente
caldi e non bollenti, fece appello a tutte le sue forse e tolse la
pentola dal
fornello. Immediatamente se ne pentì sentendo quanto fosse pesante, da
quando
in qua l’acqua pesava così tanto? Si avviò lungo il corridoio,
raggiunse
l’altezza della camera da letto e invece di girare a destra prese la
porta di
sinistra.
Il bagno era piccolo, più lungo
che largo, possedeva una doccia e un lavandino abbastanza spazioso da
poter
essere trasformato in una piccola vasca da bagno per Mihir. Non penso
neanche
di provare a rovesciare il contenuto della pentola nel lavandino
limitandosi a
poggiare direttamente il tutto al suo interno. Corinne la guardava con
in
braccio Mihir e un’espressione sconcertata sul viso
-E tutta quell’acqua?-
Sollevò le spalle –È calda- disse
semplicemente come se fosse una scusa, l’anziana sbuffo appena e Mie
noto come
si fosse sollevata le maniche fino ai gomiti
per lavare il bambino
-Rovescia la pentola nel lavandino
per favore, ho già messo il tappo tranquilla-
Annuii mentre riafferrava i manici
e con un ultimo sforzo rovesciava l’enorme mole di liquido all’interno
del
lavabo. Nonostante parte di essa fosse caduta sul pavimento Mie si
sorprese di
notare che l’acqua arrivava appena sopra la metà del lavandino, le era
sembrata
molta di più. I versetti gorgoglianti di Mihir e le pernacchie
riempirono la
stanzetta mentre l’altra donne regolava la temperatura aggiungendoci
acqua
fredda.
-A quanto pare al nostro piccolo
ometto piace il rumore dell’acqua- commentò festante Corinne –Meglio
così, non
dovremo combattere per fargli fare il bagno-
Mie sentì distintamente un
sentimento caldo e vischioso allargarglisi nel petto mentre un sorriso
gli
spuntava sul viso.
Il bagno prosegui egregiamente e
alla fine entrambe le donne furono costrette a cambiarsi di vestito
tanto erano
bagnate. Mihir indosso la tutina grigia, con disegnato un piccolo
topolino sul
davanti, aveva un aspetto davvero grazioso e per un attimo a Mie parve
impossibile che fosse lo stesso neonato a cui aveva dovuto cambiare il
pannolino quella mattina. Per fortuna non aveva assistito al cambio
prima del
bagnetto, occupata a scaldare l’acqua.
Fu quando scese nuovamente al
piano di sotto che si accorse di qualcosa di strano, dalla porta della
locanda
non proveniva alcun rumore. Si diresse con passi svelti in cucina dove
i due
coniugi la stavano aspettando. Corinne era girata ai fornelli mentre
cucinava
qualcosa, Chayse invece era seduto al tavolo e giocava con Mihir
facendogli
prima il solletico e poi sollevandolo in alto. Si sorprese a fissarli
affascinati, sembravano una vera e propria famiglia, loro si che
avrebbero
potuto occuparsi egregiamente di lui, permettergli di superare
l’inverno,
vedere la sua prima primavera e anche quella successiva e tutte le
primavere a
venire. Entrò andando a sedersi sulla sedia, la donna la accolse con un
bel
sorriso mentre il marito si limito a un secco gesto del capo.
-Com’è andata la giornata?- chiese
cercando di avviare la conversazione, Mie annuii
-Bene-
-Già, abbiamo pulito tutta casa,
mi è stata davvero di aiuto con questo mio mal di schiena!- si inserì
nel
discorso Corinne. I tratti del viso dell’uomo si addolcirono nuovamente
mentre
osservava la moglie, sospirò e poi tornò a guardarla
-Non è un discorso facile e non
voglio fare troppi preamboli, quindi scusa se sarò così diretto ma hai
deciso
se accettare la nostra offerta?-
Note e Scleri dell'autrice:
Tan tan taaaan! Eccomi tornata! E
prima del linciaggio di gruppo lasciatemi spiegare! Allora sono partita
per
andare in vacanza con computer al seguito e tutto, arrivo a casa dai
miei
parenti tutta felice e contenta, baci e abbracci, una cena che neanche
fosse un
matrimonio e poi mi ficco nel mio lettone iniziando a scrivere.
Poi il dramma.
E si gente, ecco a voi il genio dei geni, colei che è riuscita a
scordarsi il
caricabatteria del pc a casa -.- e a quanto pare in famiglia nessuno
possiede
un pc o, più probabile, nessuno mi ha voluto prestare il
caricabatterie.
Risultato? Un aggiornamento saltato e centinaia di appunti scritti a
matita
sull’unico quaderno disponibile. Ma! C’è anche un lato positivo, l’aria
di mare
ha ispirato la mia fantasia e adesso sto scrivendo in quinta! Quindi
tutto
apposto per ora.
Spero vi siate goduti questo
mega-capitolo che, stando al contatore, misura ben 39.611 parole,
complimenti a
me! E ora ecco la domanda di rito che credo sia abbastanza ovvia:
Mie accetterà di essere
adottata insieme a Mihir dai coniugi Ishan?
A- Sì
B- No
Vi aspetto in tanti giocatori!
Imoto-chan
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Capitolo 4 *** Atto III - Incontro ***
Atto III
Incontro
-Non è un discorso facile e non voglio fare troppi
preamboli, quindi scusa se sarò così diretto ma hai deciso se accettare
la
nostra offerta?-
Abbassò il capo torturandosi le mani,
l’offerta era
allettante, inutile cercare di nascondere quella verità, avrebbero
finalmente
avuto un tetto sopra la testa, un pasto caldo al giorno e avrebbero
qualcuno
che provvedesse alle loro necessità. Da ogni punto di vista pareva una
situazione allettante, quindi perché sitava tanto? Prese un grosso
respiro e
sollevò il capo fissando dritto negli occhi l’uomo:
-Accetto-
Chayse si lasciò andare a un sorriso e poté
sentire il
sospiro di sollievo della donna, si rese conto solo allora di come
avesse
trattenuto il respiro fino a quel momento. Sorrise anche lei mentre
Corinne posava
davanti a ognuno dei pochi commensali una ciotola di brodo di carne con
qualche
tocchetto roseo che galleggiava.
Mie immerse il cucchiaio di ferro tirandolo su e
portandosi
una grossa cucchiaiata alla bocca, sentiva il brodo caldo scendergli
lungo la gola
e riscaldargli lo stomaco, nonostante tutto la tensione non si era
completamente sciolta e questo la metteva in imbarazzo.
Chay… no, suo padre aveva quasi svuotato la
ciotola. Prese
un’altra cucchiaiata piena riempiendosi la bocca, pensare all’uomo in
quei
termini la metteva in soggezione, le pareva impossibile che avesse una
madre e
un padre. Anche Corinne aveva finito di mangiare e teneva in braccio
Mihir che
succhiava avidamente il biberon.
-Adesso siamo una famiglia- la voce profonda e
tranquillizzante
di Chayse la raggiunse attirando la sua attenzione –Quello che questa
sera
abbiamo fatto qui vale a tutti gli effetti come un’adozione credo,
però, che ci
siano alcuni punti da chiarire-
Mie si tese, alcuni punti da chiarire? Cosa
intendeva?
-Rilassati- la voce di Corinne mise un freno alla
baraonda
che si era creata nella sua mente e gli permise di prendere un attimo
fiato
-Non è nulla di catastrofico, solo un paio di stupidaggini-
Annuii tornando a guardare l’uomo –Da oggi in poi
la vostra
vita cambia completamente, siete nostri figli, prendete il nostro
cognome e
questo significa che qualsiasi cosa tu faccia coinvolgerà
automaticamente anche
noi due e la locanda-
Era chiaro, non ci aveva pensato, ma era vero.
-C’è qualcosa che dobbiamo sapere al riguardo?-
schietto,
senza troppi giri di parole
-Non abbiamo una famiglia, nessuno ci verrà a
reclamare. E
non ho nulla da nascondervi, per questo sarò sincera: ero una
prostituta-
l’aria si tese improvvisamente e Mie seppe di aver lanciato la bomba
–Lavoravo
in uno dei bordelli al limite dalla città, ma non avevo clienti fissi o
importanti. Nessuno mi riconoscerà mai e la direttrice non perderà
certo tempo
a cercarmi-
Chayse la fissava ancora leggermente sconvolto,
sentì una
mano calda poggiarsi sul braccio e si girò incontrando lo sguardo dolce
di
Corinne –Va bene. Ciò che avete fatto prima di oggi non conta. Eri
disperata e
non avevi molte alternative. Va bene-
Annuii anche il marito che parve essersi
leggermente ripreso
dalla notizia -C’è qualcos’altro che dovremmo sapere?- chiese con
circospezione
Dinegò –No, non credo-
-Bene. Su di noi non c’è molto da sapere- Mie si
stupì di
come fossero passati facilmente sopra l’argomento senza fare alcun tipo
di
domanda e si apprestò ad ascoltare –Questa è casa nostra da sempre e io
gestisco la locanda qui affianco, ormai sto invecchiando e Corinne non
mi può
certo dare una mano, voi due siete per noi una benedizione-
Lo disse con convinzione accarezzando con gli
occhi sia lei
che Mihir e tenendo la mano della moglie, Mie decise di non
interromperlo
continuando ad ascoltare
-Mi ero ormai arreso all’idea che la locanda
sarebbe morta
con me, ma a quanto pare non sarà così. Da domani mi aiuterai con la
gestione
della locanda, sarà anche un ottimo modo per iniziare a far sapere alla
gente
che sei mia figlia-
Annuii con la testa, era un’ottima idea. Superava
ogni sua
più rosea aspettativa.
-Domani mattina nella piazza sud c’è il mercato-
entrambi si
girarono verso Corinne –Credo che il debutto come tua aiutante nella
locanda
dovrà aspettare almeno fino al pomeriggio- disse con un sorriso, poi si
girò
verso di lei –Abbiamo un bambino di cui occuparci e ci sono un sacco di
cose da
comprare. Mi aiuterai?-
-Certo!-
-Chayse! Vai a prendere carta e penna! Daremo
fondo ai
nostri risparmi- disse ridacchiando mentre il marito si alzava uscendo
dalla
cucina –E tu tieni a mente, in questa casa si tiene il libro contabile
di ogni
monetina che entra ed esce dalle nostre tasche!-
-Libro contabile?- la voce felice ed energica
della donna era
contagiosa, improvvisamente ogni traccia di tensione era stata spazzata
via,
Corinne annuii in modo solenne mentre afferrava
carta e
penna dalle mani del marito –Già, non si può lasciare al caso la
decisione se
avremo o meno i soldi per sopravvivere un altro giorno, perché allora
sta certa
che non ci saranno! Sai scrivere, leggere e fare conto?- gli chiese
Mie arrossì abbassando il capo –Ho imparato a
leggere un
poco da sola, ma non so scrivere. So contare quel giusto che mi serviva
con i
cliente-
-Bene, sei già più istruita della media dei
clienti di
questo posto, troverò il tempo per insegnarti, sia a te che al piccolo
principe- disse sorridendo incoraggiante e la ragazza la ringraziò
internamente.
Passarono il resto della serata a fare la lista di
ciò che
avrebbero comprato all’indomani e a decidere quanti soldi avrebbero
potuto
spendere per ogni prodotto, latte compreso. L’atmosfera era rilassata e
tranquilla, pareva che al mondo non ci fosse alcun problema e Mie capì
il
significato di famiglia. Sorrise mentre il capo scivolava sul tavolo,
dopo
tanti anni si addormentava finalmente col sorriso.
***
-Mamma, due ciotole di stufato!-
Le ciotole furono riempite velocemente da Corinne
e poi
poggiate sul tavolo di legno della cucina, già pieno di pentole e
vassoi
contenenti un gran numero di cibarie. Mie attraversò velocemente il
corridoio
rientrando nella locanda quasi pieno e portando i piatti ai due
avventori
affamati che ci si fiondarono sopra come degli avvoltoi. Ebbe appena il
tempo
di pulirsi le mani sul grembiule prima che un nuovo cliente richiamasse
la sua
attenzione chiedendo a gran voce una nuova bottiglia liquore. Si
avvicinò al
bancone afferrando la bottiglia che il padre le passava e portandola al
soldato, la poggiò sul tavolo e se ne andò ignorando i commenti
dell’uomo.
Gli affari andavano più che bene e questo
significava avere
la locanda sempre piena di ogni tipo di cliente. In quattro anni aveva
conosciuto più gente che in tutta la sua vita, pensava che il lavoro di
prostituta l’avesse portata a conoscere un gran numero di persone, ma
si era
ritrovata a dover ammettere che aveva conosciuto solo una minima parte
di
umanità nei suoi primi diciassette anni di vita; solo adesso, in quella
locanda, aveva potuto conoscere i nobili signori della superficie che
venivano
nel sottosuolo per portare profitto a qualche casa del piacere, o i
soldati che
facevano le ronde venendo a festeggiare appena riuscivano a ottenere
qualche
quattrino in più. Quasi rimpiangeva i primi tempi, quando i tavoli
erano ancora
pochi e vuoti a esclusione di uno o due ubriachi ogni tanto, ma poi la
notizia
della “nuova figlia del locandiere, quello sotto la scalinata ovest” si
era
sparsa a macchia d’olio e gli avventori erano incrementati di numero
ogni
giorno nella curiosità di conoscerla e scoprire se voci erano vere.
Avevano
avuto un picco di affari, circa due mesi dopo la sua comparsa, che li
aveva
costretti a mandare a casa dei clienti a causa dell’esubero. Adesso la
situazione si era calmata, ma avevano comunque guadagnato una buona
reputazione
che gli permetteva di avere un buon numero di clienti fissi e ancor più
avventori occasionali.
Lanciò un’occhiataccia di fuoco all’uomo che aveva
approfittato del momento in cui le era passata accanto per toccarle il
culo e
ritornò in cucina.
-Una ciotola di zuppa, una di minestra e un piatto
di uova-
-Sicura di farcela a portare tutto?-
Annuii nonostante la donna le desse le spalle
–Tranquilla-
disse avvicinandosi per aiutarla a riempire i piatti -Mihir?-
-È in camera a giocare- ripose affettuosamente
Afferrò i piatti tornando in locanda, anche lui
era
cresciuto molto. I capelli non erano molti e di un biondo chiarissimo,
fini e
tagliati corti alla nuca, gli occhi azzurri e piccoli che facevano
risaltare la
pupilla nera decisamente grande, aveva perso i lineamenti tipici del
neonato diventanto decisamente grazioso. Nonostante fosse ancora un
bambino si poteva
notare come non sarebbe mai diventato molto muscoloso, era infatti
abbastanza
piccolo e minuto per la sua età. Certo non che ci fossero molti bambini
di
quattro anni nel quartiere, ma i pochi provenienti dalla superficie che
lo
avevano visto quando fuggiva nella locanda per cercala stentavano a
credere che
non avesse due o tre anni.
-Attenta!-
Chiuse gli occhi sentendo la schiena impattare col
pavimento
in legno e si rialzò stordita, i piatti erano caduti al suolo e un
soldato,
palesemente alticcio, la squadro spolverandosi i pantaloni, schioccò la
lingua
e uscì dal locale. Sbuffò rialzandosi e pulendo velocemente con uno
straccio
per terra, Chayse gli si era avvicinato, ma vedendo che era tutto
apposto era
tornato immediatamente dietro il bancone a servire i clienti.
Maledetti ubriachi.
***
-Stai attento a non cadere mi raccomando!-
-Va bene!- gli urlò di rimando Mihir mentre
correva via
saltando sulle varie rocce. Mie sorrise senza perderlo di vista, venire
lì
almeno una volta a settimana era un’abitudine che avevano preso insieme
a
Corinne quando lui era ancora un neonato piagnucoloso in fasce e
probabilmente
non l’avrebbero mai persa.
Gli sembrava ancora di sentire la voce energica e
dolce
della donna che le spiegava con pazienza quanto un bambino nel periodo
della
crescita avesse bisogno della luce del sole per crescere forte e sano.
Certo,
per quanto le condizioni li sotto lo permettessero. Da allora appena
aveva un
giorno libero prendeva Mihir e lo portava sui massi che circondavano
quella
pozza putrida che gli abitanti si costringevano a chiamare lago e che
si
trovava esattamente sotto l’unico enorme buco che permetteva di avere
luce ed
aria nel sottosuolo.
-Guard, guarda!-
Strizzò gli occhi cercando di capire cosa stesse
sventolando
per aria, ma si arrese almeno fino a quando il bambino non glielo mise
sotto il
naso
-Un fiore!- rideva felice mostrandoglielo come se
fosse una
bene prezioso e in effetti non è che ce ne fossero molti che crescevano
in
giro.
-È bello- concordò con il bambino
-Lo portiamo alla mamma?-
Il sorriso si fece amaro mentre annuiva
lentamente, prese il
fiore in grembo mentre Mihir correva via per cercarne altri. Tutte le
volte che
andavano a far visita a Corinne sentiva le budella che si
attorcigliavano e la
bile che le risaliva la gola. Era stato un periodo orribile quello
appena dopo
la sua morte. Chayse era distrutto dal
dolore e si rifiutava di uscire dalla loro stanza, era quindi toccato a
lei
prendere in mano la locanda e occuparsi di entrambi. In alcuni momenti
aveva
pensato che un giorno sarebbe entrata in quella camera e avrebbe
trovato il
padre morto d’inedia sul letto. Per fortuna non era stato così, ma il
dolore
l’aveva sfinito sia dal punto di vista mentale che fisico, non era più
l’uomo
forte ed energico che aveva conosciuto agli inizi, stava invecchiando e
nonostante continuasse a darle una mano con il locale non poteva più
fare
molto.
Anche Mihir aveva sofferto molto, ma
incredibilmente si era
ripreso in poco tempo, si era più volte preoccupata di non averlo
consolato nel
modo corretto, ma il piccolo non pareva troppo traumatizzato dal
passato.
Adesso come adesso però la preoccupava il suo futuro; non tanto dal
punto di
vista economico, la locanda continuava ad avere ottimi affari, ma per
la
sicurezza. Aveva ormai dieci anni ed era cresciuto bene, non era
altissimo e
neanche massiccio, esattamente come quando era più piccolo, ma era
molto
intelligente e perspicace, Corinne gli aveva insegnato a leggere e
scrivere oltre che a fare conto, e il bambino aveva riscoperto
un'incredibile vena sopita da lettore, leggeva ogni cosa imparando
qualcosa di nuovo a ogni pagina. E sviluppando il suo intelletto. Le
persone che intuiscono troppo sono sempre mal viste
e finiscono per fare una brutta fine. Inoltre negli ultimi tempi c’era
sempre
più Unicorni in giro e non gli piaceva che la gente ficcasse il naso
nei loro
affari. Anche se tutti sapevano perché erano lì.
Le notizie giravano veloci, soprattutto in una
locanda dove
si incontrano ogni genere di persone. Internamente, come la maggior
parte dei
cittadini, sperava che gli Unicorni fallissero la missione, in fondo il
ragazzino non aveva causato troppi danni, ma soprattutto sapeva volare.
Un
giorno, mentre era al mercato, l’aveva visto prima che qualcuno la
spingesse
lontano dalla ressa, quel ragazzo non usava semplicemente il movimento
tridimensionale come la maggioranza dei soldati, volava! Letteralmente.
Osservò la volta in pietra, chissà cosa si
provava, non
riusciva a immaginarlo. Doveva essere un misto tra libertà e potenza, o
forse
semplicemente non pensavi a niente. Era diventato abbastanza famoso e
buona
parte delle persone aveva già deciso se schierarsi a favore o contro di
lui;
poteva considerarsi fortunato, non erano molti coloro che
sopravvivevano a
lungo facendosi notare in quel modo. Le sue scorribando correvano
velocemente
da una parte all’altra del distretto ed era divertente vedere i soldati
correre
e lamentarsi per non riuscire a prendere un semplice ragazzino. Chissà
se anche
Mihir avrebbe iniziato a causare danni con la sua boccaccia una volta
cresciuto
abbastanza.
-Un altro!-
Mihir gli lascò in grembo un altro fiore
ridestandola dai
suoi pensieri, questa volta i petali erano un po’ più ammaccati dei
precedenti e
lei gli afferrò il braccio prima che corresse via. Il sole era già
uscito dalla
loro visuale, nonostante illuminasse ancora leggermente le pietre, e
correre su
e giù era pericoloso, c’era il rischio che cadesse in qualche buca e si
facesse
seriamente male.
-Andiamo a portare i fiori a mamma, dai-
-Ma ce ne sono degli altri!- si impuntò il bambino
-Li vado
a prendere!-
-No! È tardi e sta venendo buio, è pericoloso-
-Ma due sono pochi! E poi sono qui vicino! Faccio
veloce!-
-Ti ho detto di no!- ripeté sollevandosi da terra,
certo che
quando voleva diventava testardo
-Perché! A mamma piacciono i fiori!-
-Ma se glieli porti tutti oggi non ce ne saranno
per
domani!-
Mihir si fermò come se stesse ragionando sulle sue
parole,
poi scosse il capo -I fiori ricrescono!-
-Mihir!- sbottò -È tardi e papà è alla locanda da
solo!
Andiamo, su!-
Storse la bocca contrariato per poi seguirla giù
per le
strade, camminarono scostando i ciottoli davanti a loro quando il
bambino parlò
di nuovo -Però li posso dare i fiori a mamma?-
Mie lo osservò passandogli i due gambi -Certo, a
lei
piacciono i fiori ed è felice quando glieli porti-
Il viso del piccolo si illuminò aprendosi in un
sorriso e afferrando
tra le mani il minuscolo mazzo, corse leggermente avanti -Sbrigati!-
Mie sbuffò leggermente chiedendosi dove trovasse
tutta quella
energia poi lo seguì.
Quando rientrarono alla locanda era diventato buio
già da un
po’, il calore e la luce li colpirono insieme alla confusione e al
vocio dei
clienti. Mihir corse immediatamente dietro il bancone abbracciando il
padre,
gli arrivava poco sopra la vita ed era una scena buffa e dolce al
contempo.
Chayse lo sollevò in alto per poi baciarlo sulla fronte, era
incredibilmente
affettuoso con lui, soprattutto da quando era morta Corinne, aveva
riversato su
di lui tutto il suo affetto.
Si tolse il mantello che indossava avvicinandosi
al bancone
e poggiandolo sul piano al di sotto mentre il padre poggiava Mihir a
terra, il
bambino corse verso la porta laterale e scomparve in casa,
probabilmente
andando a giocare o a leggere qualche favola nella sua stanza.
-Mie- la voce del padre la richiamò mentre
afferrava due
bottiglie per riempire i bicchieri delle persone al bancone
-Tranquillo, puoi andare a riposare, qui ci penso
io- l’uomo
scosse la testa
-Non è quello, ci sono due persone che devono
parlarti-
Si fermò poggiando le bottiglie sul pianale di
legno, il
volto del padre era teso e segui lo sguardo fino a un tavolo che si
trovava in
un angolo del locale, seduti si trovavano due ragazzi, abbastanza
giovani, che
stavano mangiando un piatto di zuppa
-Sicuro?-
-Vai-
Annuii avvicinandosi al tavolo, non era la prima
volta che
qualcuno si avvicinava per fargli qualche proposta, indecente o meno,
eppure si
trattava solitamente di clienti abituali. Era abbastanza che quei due
ragazzi
non lo fossero e il fatto che sulla tavola non fossero presenti
alcolici
aumentava la sua idea che si trattasse di qualcosa di più serio delle
classiche
proposte di matrimonio di un ubriaco. Anche la voce del padre era parsa
stranamente tesa, che ci avesse glia parlato?
-Dovevate dirmi qualcosa?- semplice e diretta,
attirò
immediatamente l’attenzione di entrambi. Come aveva supposto erano
giovani, più
di lei. Quello a destra pareva abbastanza muscoloso nonostante non
abbondasse
di muscoli mentre quello a sinistra era gracile e mingherlino, ma lo
sguardo
con cui la scrutava, doveva ammetterlo, la metteva in soggezione. Era
freddo e
calcolatore.
-Sei tu che dirigi questo bar no?-
Osservò il sorriso, falso, del biondino di destra
e sorrise
a sua volta -Questa è la mia locanda-
ci tenne a precisare calcando bene sul fatto che fosse sua e che non
fosse un
semplice bar, non sopportava quei luoghi bui e maleodoranti, loro erano
un
gradino sopra, non erano una semplice bettola per ubriaconi.
Alzò leggermente le
mani dal tavolo, quasi a voler imitare una resa per poi indicare col
capo una
sedia vuota accanto a lui –Ne parliamo con calma?-
-Ho un sacco di lavoro da svolgere, nel caso che
non te ne
sia accorto il locale è pieno-
Quello stava per ribattere quando il secondo
ragazzo, il
moretto alla sua sinistra, schioccò la lingua sul palato attirando la
sua
attenzione -Siediti-
Sentì l’irritazione montare –Non darmi ordini-
sibilò
-Possiamo calmarci? Chiedo scusa per il mio
compagno, è
sempre stato un po’ brusco-
Mie lo osservò, il moro non pareva per nulla
pentito, anzi
era quasi irritato dalle scuse del compagno. Non li sopportava, non
solo
entravano nel suo locale con la pretesa di parlarle, ma si comportavano
come
dei maleducati, dei cafoni, uomini senza educazione.
-Direi che la nostra conversazione finisce qui. Se
volete
ordinare qualcosa chiudete pure a Chayse- lapidaria gli girò le spalle
tornando
al bancone, due arroganti così non meritavano un secondo di più della
sua
attenzione.
-Dannazione non potevi essere un po’ più educato?-
L’altro ragazzo sollevo un sopracciglio
–Andiamocene-
Il biondo scosse la testa trattenendolo per un
polso –Quando
fai così non ti sopporto- lo lasciò andare tirandosi in piedi a sua
volta e
infilandosi il mantello –Ce ne andiamo davvero così?-
Il moro sollevò le spalle dandogli la schiena
mentre si
dirigeva verso l’uscita –Ovvio che no-
Il fetore e il puzzo dell’aria lo colpì in pieno
viso mentre
usciva per camminare lungo le strade –Quindi torniamo?-
-Possiamo trovare altre locande disposte a darci
informazioni, non sono l’unica della zona-
-Ma sono la più famosa e lo sai anche tu che hanno
un giro
di clienti che ci farebbe molto comodo-
Schiocchiò la lingua sul palato iniziando a legare
le
cinghie lungo il corpo, l’altro ragazzo sospirò spostando a sua volta
un telo e
iniziando a stringere le fibbie.
Mihir, dall’alto dei suoi dieci anni, osservava la
scena
nascosto dietro l’importa alla fine del corridoio di casa. Quei due
ragazzi
erano familiari, li aveva già visti nel locale e, soprattutto, al
mercato. Non
capiva quello che stavano dicendo, ma era abbastanza evidente che ce la
avessero con locale di papà. Li osservò mentre, con gesti esperti,
infilavano
quelle strane imbracature, non le aveva mai viste in giro, ma sapeva
che
costavano molto perché le avevano addosso i soldati. E loro non erano
soldati.
Aveva sentito di come gli Unicorni si vantassero di essere in grado di
volare
con quelle, glielo ripetevano sempre quando lui gli chiedeva a cosa
servissero,
ma non gli avevano mai permesso di volare con loro. Chissà se quei due
sapevano
volare, probabilmente si. Chiuse gli occhi cercando di ricordare la
scena del
mercato, quando aveva visto per la prima volta una persona volare.
Ricordava le
urla dei mercanti e qualche ragazzo che li spingeva indietro, pareva
ancora di
sentire le scatole di mele che si rovesciavano a terra, le imprecazioni
dei
venditori e le urla di giubileo dei giovani che, a mani piene,
afferravano ogni
cosa per poi scappare via.
Tornò ad aprire gli occhi e osservò i due ragazzi,
a quanto
pareva avevano finito e se ne stavano per andare, Era la sua ultima
occasione.
Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi.
Note e Scleri
dell'autrice:
Sono tornata gente! Ma prima di mettermi alla
gogna fatemi spiegare!
Come alcuni di voi già sapranno questa volta l'aggiornamento è saltato
per cause maggiori di me, infatti sono rimasta senza internet tutta la
settimana e non ho potuto aggiornare, il motivo? La compagnia
telefonica ha deciso di farci l'allacciamento proprio la settimana
appena passata. Quindi chiedo profonde scuse a tutti voi, mi dispiace
davvero, ma da adesso gli aggiornamenti dovrebbero tornare regolari!
Insomma è tutto a posto, le vacanze sono finite, internet c'è, quindi a
meno che il fato non c'è l'abbia con me direi che andrà tutto bene.
Passando al capitolo, siamo tornati alla lugnhezza
standard (7 pagine di word), ma nonostante è passato un bel po' di
tempo. Mihir è cresciuto e adesso ha ben 10 anni, insomma un piccolo
ometto, Corinne invece è morta. Era anziana già quando l'avevano
incontrata quindi è più che ovvio che sarebbe morta presto (infondo il
distretto sotteraneo non è esattamente il luogo migliore peravere una
serena vecchiaia), ma tornerà più avanti nella storia non temete, non
come spirito, no, ma tornerà. Sono anche comparsi due nuovi personaggi
chi saranno mai? Tanto lo so che lo avete già capito tutti... faccio
pena a tenere alta la suspance! E a proposito dei due loschi figuri
abbiamo la nostra domanda:
Mihir si
avvicinerà a loro per parlargli e scoprire qualcosa di più?
A- Sì
B- No
Come sempre il destino di questa storia è nelle vostre mani giocatori!
E a tal proposito vedo che siamo aumentati, mi fa davvero piacere! Non
siate timidi e esprimete la vostra opinione (oltre ad avvertirmi se
trovate errori e strafalcioni nel capitolo, ovvio), anche perchè questo
capitolo nonostante lo abbia riscritto a lungo non mi convince quindi
se avete dei suggerimenti fatevi avanti!
A Mercoledì,
Imoto-chan
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Capitolo 5 *** Atto IV - Ricordi ***
SNK ricordi
Atto IV
Ricordi
Tornò ad aprire gli occhi e osservò i due ragazzi,
a quanto
pareva avevano finito di prepararsi e se ne stavano per andare, era la
sua
ultima occasione. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi,
puntellò le
mani sul davanzale della finestra e si tirò su per scavalcarla.
Inutile dire che il suo goffo tentativo non andò
in porto e
si ritrovò semplicemente con la testa che sporgeva sul vicolo
accompagnata
dalle spalle e dalla prima parte del busto, l’angolo del davanzale che
premeva
insistentemente sul suo diaframma impedendogli di respirare e le gambe
ancora
dentro casa a penzoloni. Tossicchiò cercando di rispendere il respiro e
si tirò
nuovamente su con le mani cercando di alleviare la pressione sui
polmoni, con
una certa fatica si issò a sedere sul pezzo di legno e prese qualche
respiro
per calmarsi, aveva lo stomaco che pulsava, una nausea imminente e un
ginocchio
sbucciato che si era ferito nello sfregare contro il muro. Un
fallimento su
tutta la linea.
-Ehi, ti senti bene?-
Sollevò lo sguardo incrociandolo con quello
confuso e
divertito del ragazzo biondo, allora non se ne erano ancora andati!
Forse non
era stato un totale fallimento. Sorrise annuendo energicamente -Sì, sto
bene!-
Farlan, che si era accorto del bambino già da un
po’ vista
l’incredibile confusione che aveva fatto nascosto dietro l’imposta
della
finestra, sorrise avvicinandosi -Non si spia la gente, non te l’hanno
mai
detto?- Levi dietro di lui sbuffò.
-Ma voi potete volare!- ribatté il bambino con gli
occhi
sgranati, la bocca aperta a formare una tonda “O” e le braccia tese in
avanti a
indicare entrambi i ragazzi. Il suo interlocutore sollevò un
sopracciglio, non
capiva come il fatto che lui e Levi potessero “volare” fosse una
giustificazione alle azioni del moccioso
-Quindi?-
Il bambino sgranò ancora di più gli occhi
accigliandosi,
come se non comprendesse la sua domanda
-Voi potete volare!- ripeté stavolta a voce più
bassa in un
borbottio incrociando le braccia al petto –Voi…- mosse le mani in una
serie di
gesti repentini e confusi davanti a lui non trovando le parole adatte
poi
sbuffò incrociandole nuovamente.
Farlan rise mentre il moro, che ormai aveva
raggiunto il suo
fianco, sbuffò leggermente divertito e irritato -C’è ne andiamo?-
chiese
lapidario
L’altro lo ignorò completamente rivolgendosi al
bambino –La
tua mamma è la proprietaria della locanda?-
Il piccolo scosse la testa a destra e a sinistra
-No, la
mamma non c’è più, è morta-
-Ah-
Calò un silenzio abbastanza teso nel vicolo e
Farlan si
passò una mano tra i capelli a disagio, era alquanto sicuro che la
ragazza con
cui avevano appena parlato fosse la madre del bambino, ma a quanto pare
aveva
preso un abbaglio
-La locanda è di papà- borbottò il moccioso
giocando con le
dita delle mani, pareva aver intuito l’aria tesa e si sentiva
abbastanza a
disagio.
-La ragazza chi è?- la voce di Levi risuonò nel
vicolo
decisa e permise al compagno di riprendersi piuttosto velocemente, il
bimbo
inclinò la testa di lato
-Mia sorella? Aiuta il papà con il lavoro, perché
lui è
vecchio e si stanca sempre-
Levi annuii infilando una mano in tasca e
tirandone fuori
una busta bianca -Dalla a lei-
-È una lettera?- chiese curioso prendendola in
mano e
rigirandosela, era intonsa
Il ragazzo annuii -Deve leggerla, è importante.
Prometti di
dargliela?-
Il bimbo si sedette meglio sul davanzale facendo
sporgere le
gambe a penzoloni dal lato della strada e, abbandonando la posizione in
ginocchio che aveva avuto fino a quel momento, guardò attentamente la
busta
prima di prenderne un angolo e iniziare ad aprirla.
-Ehi!- Farlan intervenne subito strappandogli la
lettere di
mano -Cosa pensi di fare?-
Il bambino lo guardò corrucciato prima di
allungarsi per
riprendersela -Tanto la devo leggere io! Mie non sa leggere!- disse
semplicemente allungando ancora di più le mani mentre Farlan si
allontanava di
un passo
L’urlò stridulo di quando perse l’equilibrio
cadendo dal
davanzale quasi stordì i due ragazzi, ma nonostante tutto Mihir non si
fece
male, Levi fu abbastanza svelto da afferrarlo prima che cadesse per
terra.
Rimasero fermi in quelle posizioni per un attimo, Farlan con la lettera
in mano
ancora proteso con una gamba avanti per afferrare il bambino, il
marmocchio
attaccato al petto del suo salvatore e suddetto salvatore con il
bambino tra le
braccia e un’espressione infastidita in viso.
Il biondo sospirò quando ebbe la certezza, dopo
qualche
secondo, che nessuno sarebbe venuto a controllare, probabilmente nella
locanda
c’era troppa confusione perché avessero sentito l’urlo e i passanti non
fremevano
certo per intromettersi in problemi non loro. Si rimise in posizione
eretta
affiancandosi agli altri due -Tutto bene?-
Levi schioccò la lingua provando ad allontanare il
bambino
dal petto con pochi risultati, quest’ultimo infatti si era ripreso
velocemente
dallo spavento più dei due ragazzi e adesso stava ben ancorato alla
fascia in
cuoio del movimento tridimensionale osservandola con sguardo assorto.
-A cosa serve?- chiese con gli occhi che
brillavano di
curiosità
-Si chiama movimento tridimensionale-
-Oh- sorrise divincolandosi come un’anguilla tra
le braccia
di Levi che fu costretto a poggiarlo a terra per evitare una craniata
sul naso,
ma Mihir non lo lasciò andare attaccandosi alla cintura sulla vita,
esaminandola attentamente insieme al resto dell’imbracatura
-Ti fa volare?- chiese, la voce venata di allegria
e
curiosità
-Sì-
Le risposte fredde e secche di Levi parevano non
avere altro
effetto sul bambino se non quello di aumentare ancora di più la sua
curiosità,
afferrò l’elsa della spada e fece per tirarla fuori quando con un
movimento
repentino il moro gli afferrò il polso -Non toccarla-
-Perché?- gli chiese dal basso
-È pericolosa-
-Cos’è?- continuo imperterrito tenendo ben ferma
la mano
sull’elsa
-Una spada-
-E a cosa ti serve?-
Farlan sollevò un sopracciglio abbassandosi al
livello del
bambino, meglio evitare che Levi lo traumatizzasse con una delle sue
risposte
caustiche tipo
-A difendermi da chi vuole farmi smettere di
volare-
Batté le palpebre un paio di volte osservando il
viso di
Levi, la risposta era stata incredibilmente adatta al bambino che
adesso pareva
aver esaurito la curiosità per quella parte del movimento passando al
resto
delle cinghie. Non si aspettava una tale… sensibilità? Avrebbe potuto
chiamarla
così, sì, sensibilità, da parte del proprio compagno. Il bambino,
intanto, lo
guardava confuso
-Perché qualcuno dovrebbe impedirti di volare?-
-Ci sono persone molto invidiose a cui non piace
l’idea che
anche noi possiamo volare-
Il bambino lo fissò e Farlan si sentì quasi a
disagio sotto
quello sguardo penetrante
-I soldati?-
Sgranò gli occhi e socchiuse la bocca, era
sorpreso, non si
aspettava di certo che un bambino potesse conoscere certe cose, a
proposito
come faceva a saperlo?
-Come lo sai?-
Il bambino sollevò le spalle -Tutte le volte che
gli chiedo
se possono farmi volare loro dicono che io non posso perché non sono un
soldato-
Si girò verso Levi che pareva altrettanto sorpreso
e
confuso, le sopracciglia erano aggrottate e si chinò a sua volta per
guardare
negli occhi il bambino
-Voi non siete soldati- continuò fissandoli negli
occhi -Quindi
non potete volare. Ma lo fate. È ovvio che i soldati siano arrabbiati
con voi!-
-Come sai che non siamo soldati?- chiese
pacatamente Levi
Il bambino li indicò –Non avete il mantello
verde!- poi
scoppiò a ridere -Lo sanno tutti che i soldati hanno il mantello verde!-
Farlan si grattò il capo sconfitto dalla
semplicità del
ragionamento -E se fossimo soldati che si sono scordati il mantello a
casa?-
Il bambino lo guardò come se fosse uno stupido e
lui si
sentì quasi offeso, insomma era una domanda logica! Maledizione a Levi
che
continuava a starsene zitto.
-I soldati non scordano mai il mantello verde
perché se non
lo hanno non sono soldati. E poi voi non sembrate soldati, siete
gentili!-
Levi sollevò un sopracciglio, quel bambino era
intelligente.
Sorrise di sbieco.
-Quindi tu sai leggere- affermò. Il bambino volse
lo sguardo
verso di lui fissandolo confuso per poi annuire
-Come lo sai?-
Scrollò le spalle -Puoi leggere questa lettera a
tua
sorella?-
Il bimbo afferrò la lettera che Farlan gli stava
passando -Però
non devi aprirla finché non siete tu e lei da soli-
-Perché?-
Levi si alzò in piedi -È molto importante. Sei un
bimbo
intelligente, non aprirla finché non siete tu e lei da soli-
Gli occhi del bambino si illuminarono a quel
complimento e
lo fissarono felici –Mihir! Mi chiamo Mihir!- disse ridacchiando e Levi
annuii
scocciato.
-Va bene Mihir, lo prometti?- chiese Farlan
alzandosi da
terra, sentiva le caviglie iniziare a dolere a forza di stare
inginocchiato
-Prometto!- quasi urlò sorridente, poi si girò
allungando le
braccia verso l’alto nel tentativo di afferrare il davanzale per
tirarsi su, il
biondo scosse la testa prendendolo per i fianchi e poggiandolo sul
davanzale,
per quanto fosse stato buffo da vedere la prima volta era meglio
evitare che si
facesse troppo male. Se avesse parlato bene di lui e Levi con sua
sorella forse
avrebbero avuto qualche possibilità in più che lei accettasse la loro
offerta.
-Grazie!- berciò mentre lui si girava per
raggiungere il
compagno già sul tetto della casa -La prossima volta posso volare
anch’io?- chiese
speranzoso, Farlan girò il capo osservandolo divertito -Così potrò dire
ai
soldati che anche io posso volare anche se non lo sono! Un soldato
intendo-
argomentò entusiasta
-Vedremo- gli rispose sollevandosi per aria, sentì
il
gridolino entusiasta del bambino, ma quando atterrò sul tetto e si girò
a
osservare la finestra lui non c’era già più.
-Cosa gli hai detto per farlo urlare così?-
rimbrottò Levi schioccando
la lingua sul palato
-Nulla di importante- lo rassicurò avviandosi
verso casa -Secondo
te esistono movimenti per bambini?-
Levi lo osservò sconvolto e con una punta di
irritazione prima
di accelerare e distanziarlo per aria, Farlan si sentì per qualche
attimo un
emerito idiota, poi sbuffò aumentando a sua volta la velocità.
Ridiscese il davanzale dalla parte del corridoio e
osservò
la lettera bianca che aveva in mano, si era leggermente stropicciata.
Sbuffò
mettendosi in ginocchio e poggiandola per terra iniziando a provare a
lisciarla
con le mani, era una lettera importante! Non poteva darla a sua sorella
stropicciata così!
Si tirò su soddisfatto dopo qualche minuto
rimirandosela tra
le mani, gli avevano affidato un compito fondamentale e lui voleva
svolgerlo al
meglio! Corse lungo il corridoio tornando alla locanda, era piena di
clienti
seduti ai tavoli e al bancone, suo padre dietro quest’ultimo svuotava
bottiglie
e riempiva bicchieri a un numero considerevole di clienti mentre sua
sorella si
destreggiava tra i vari tavoli portando piatti e calici. La vide
posarli su un
tavolo al centro dove quattro persone di avventarono sul cibo come se
stessero
per morire di fame, poi si girò e attraverso tutto il locale, gli passò
affianco osservandolo divertita per poi dirigersi in cucina, lui le
trotterellò
dietro.
-Oggi non ci sono soldati alla locanda Mihir,
forse
arriveranno verso il tardi- lo informò conscia della sua passione per
quegli uomini.
Il bambino, si imbronciò e annuii, meglio così, la
prossima
volta che li avrebbe visti gli avrebbe rinfacciato che anche lui aveva
volato!
La sorella riempì velocemente due ciotole prima di girarsi e poggiarle
sul
tavolo per riempirne altre due, il bimbo poggiò la lettera sull’angolo
più vicino e
prese in mano una ciotola, Mie gli accarezzo il capo con dolcezza
-Portala al tavolo vicino al bancone, quello dove
c’è il
signore con quel cappello buffo-
-Va bene- rispose avviandosi lungo il corridoio,
arrivato
sulla soglia osservò il locale, era decisamente pieno. Osservò le varie
teste
sopra di lui cercando quella che indossava il cappello indicato da Mie,
ma non
la trovò. Il locale era decisamente troppo affolato e faticava a vedere
più lontano di due o tre tavoli. Si avviò verso il bancone e passò in
rassegna i vari tavoli vicino ad
esso, un paio di avventori gli rivolsero delle occhiate, ma lo
lasciarono
perdere velocemente. Trovò il tavolo verso la fine, vicino alla parete.
Un
signore che pareva abbastanza giovane indossava un cappello decisamente
troppo
grande che gli cadeva sugli occhi mentre parlava con gli altri, era di
colore
rosso con un grosso pon-pon giallo. Era davvero buffo. Si avvicinò
stando
attento a non far cadere nemmeno una goccia di zuppa e poi poggiò la
ciotola sul
tavolo. L’uomo col cappello buffo si girò verso di lui osservandolo
stranito
-Ma guarda, non sapevo che avessero anche un nano
come
cameriere!- l’intero tavolo scoppiò a ridere mentre l’uomo gli
spiaccicava una
mano in testa scompigliandogli i capelli, ci stava mettendo troppa
forza e non
era per nulla piacevole come quando lo facevano il suo papà o Mie, si
divincolò
allontanandosi e guardandoli male per poi tronare in cucina seguito
dalle loro risate
Mie aveva finito di riempire le ciotole, sorrise
nel vederlo
-Hai tutti i capelli arruffati- lo rimproverò
dolcemente
abbassandosi per sistemarglieli
-È stato il signore col cappello buffo- borbottò
-Dice che
sono un nano!-
Mie ridacchiò -Ovvio! Adesso sei un nano, ma
aspetta ancora
qualche anno e sarai più alto- lo tranquillizzò
-Anche del signore col cappello buffo?-
Annuii con aria solenne -Anche di lui. E anche di
tutti gli
altri, sarai il più alto di tutti! E nessuno potrà chiamarti mai più
nano!-
-E non mi farò mai più male a uscire dalla
finestra!- finì
per lei Mihir lanciandogli le braccia al collo entusiasta -Perché sarò
abbastanza alto da
scavalcarla!-
Mie si irrigidì afferrandolo per le spalle e
allontanandolo
dal suo petto –Sei uscito dalla finestra?- il tono di voce era
decisamene
troppo alto e preoccupato, il bambino si strinse nelle spalle spaventato
-Non dovevo dirtelo?-
-Cos… no! Cioè, sì che dovevi dirmelo Mihir! Non
devi uscire
dalla finestra senza dirmelo! Non dovresti uscire dalla finestra e
basta!-
Sua sorella pareva abbastanza spaventata e lui la
abbracciò
nuovamente nascondendo il viso nel suo collo -Scusa, non lo faccio più-
gli
disse decisamente triste, Mie sospirò sollevandosi in piedi e tenendolo
stretto
fra le braccia
-Va bene, ti perdono, ma è molto pericoloso,
potresti
trovare delle persone cattive che ti prendono e ti portano via da qui e
potrebbero farti del male-
Mihir sbiancò -Ma non erano cattivi!-
Mie aggrottò le sopracciglia –Chi non era cattivo?
Mihir
rispondimi, ti ha detto qualcuno di uscire dalla finestra?-
Il bambino scosse il capo –Erano gentili! Te lo
prometto,
erano gentili! Mi ha anche aiutato a rientrare e mi ha preso quando
sono caduto
dal davanzale!-
Mie sgranò gli occhi perdendo improvvisamente
colore -Sei caduto
dal davanzale?- sussurrò terrorizzata -Oddio! Ti sei fatto male?- lo
poggiò sul
tavolo mentre lui continuava a negare con la testa -No! No! Mi ha preso
prima
che cadessi!-
Gli sfiorò il ginocchio -E questo? Ti sei ferito
da qualche
altra parte?- gli afferrò il viso girandolo prima a destra e poi a
sinistra,
gli sollevo la maglietta e controllò la schiena
-No, mi sono fatto male mentre cercavo di uscire
dalla
finestra-
Mie annuii appena più calma, ma ancora scossa.
-Vado a prendere il disinfettante aspetta- e uscì
dalla
cucina.
La casa in cui vivevano era, come la maggioranza
delle case
del Distretto Sotterraneo, leggermente sollevata dal suolo. L’ingresso
della
locanda, che fungeva anche da ingresso della casa, si raggiungeva
salendo quattro
gradini, e se dall’interno Mihir riusciva, sebbene con fatica, e
raggiungere il
davanzale, la stessa cosa non poteva avvenire dall’esterno; infatti
quest’ultimo
si trovava circa all’altezza degli occhi di un uomo adulto, ben oltre
la
portata di un bambino. Ciò era stato fatto sia per una questione di
sicurezza
che di spazio; le finestre poste abbastanza in alto rendevano più
difficile a
chiunque entrare in casa senza doversi avvalere di una scala o comunque
di
qualcosa che svolgesse quel compito, inoltre permetteva di ottenere un
piccolo
scantinato senza dover scavare troppo in profondità. Molte case infatti
avevano
ricavato nell'intercapedine tra il pavimento e le fondamenta dei
piccoli
seminterrati che fungevano da magazzino o da rifugio in caso di ronde
improvvise o sommosse, come era già successo.
Era ancora vivido nella mente di tutti il disastro
accaduto
appena quattro anni prima quando un gruppo di mercanti si era rivoltato
contro
gli Unicorni e i nobili che passavano solamente scarti da vendere al
mercato.
La sommossa era stata placata nel sangue, ma molti in quei giorni
avevano
approfittato della confusione per commettere un gran numero di reati,
da ambo
le parti. I mercanti e i ladruncoli erano entrati nelle case uccidendo
e rubando
tutto il possibile, la stessa cosa avevano fatto alcuni soldati
stuprando e
uccidendo decine di persone. In quei giorni di terrore ricordava come
Chayse
aveva nascosto lei e Mihir nel seminterrato che si raggiungeva
solamente
tramite una piccola botola nascosta sotto il bancone. Era stato in quei
giorni
che era morta Corinne. Quelle scene gli passavano davanti agli occhi,
erano
indelebili e le rievocavano emozioni che cercava di sopprimere da
troppo tempo;
loro quattro nascosti li sotto, il rumore dei soldati che entravano in
casa, i
passi sulle assi sopra di loro, le urla e le imprecazioni, Corinne
troppo
vecchia e troppo spaventata che sbiancava improvvisamente tenendosi il
petto, Corinne
che sudava nonostante fosse gelata, Corinne che mordeva il palmo della
mano di Chayse a
sangue pur di non urlare e farli trovare. E poi il corpo freddo. Il
pianto, il
dolore, la paura.
Si fermò poggiando entrambe le mani sul, bordo del
lavandino
cercando di regolarizzare il respiro e far sparire la nausea, Mihir era
vivo e
salvo che la stava aspettando in cucina. Lei gli avrebbe medicato il
graffio al
ginocchio e sarebbe andato tutto bene. Sì, doveva solo convincersene.
Si fisso
nello specchio e prese un profondo respiro. Sarebbe andato tutto bene.
Tornò in cucina decisamente più calma di come ne
era uscita,
il bambino la stava aspettando placidamente seduto sul tavolo, al suo
fianco le
ciotole ormai fredde. Con un pezzo di stoffa bagnata pulì il ginocchio,
poi
imbevette un angolo di quello stesso straccio con il disinfettante e lo
poggiò
sulla ferita. Il bambino sussultò sibilando
-Fa male?-
Annuii appena strizzando gli occhi -Però continua-
Mie annuii senza informarlo che, in ogni caso,
avrebbe
continuato comunque. Prese la garza e distese la gamba del bambino, poi
l’avvolse
un paio di volte intorno al ginocchio e infine la tagliò legando il
lembo con
la fasciatura in modo che non si sciogliesse e rimanesse in posizione.
Mihir
pareva decisamente pentito di quello che aveva fatto e si torturava le
mani.
-Devi dirmi qualcosa?- chiese dolcemente
accarezzandogli i
capelli.
Note e Scleri dell'autrice:
E booom! Sinceramente adoro questo capitolo anche se mi sembra
stranamente corto... forse perchè è uscito in maniera totalmente
naturale, ci ho messo appena due ore per scriverlo, tutto d'un fiato e
lo amo, a mio parere è venuto benissimo e anche se mi sembra corto è
lungo come tutti gli altri. In ogni caso, passando agli avvenimenti,
come tutti voi avevate indovinato i due ragazzi erano Farlan e Levi
*lacrimuccia* tutte le volte che ripenso a loro mi viene in mente lo
special su Levi e mi sale una tristezza unica. Ovviamente visto che la
maggioranza delle risposte è stata "A" Mihir ha parlato con loro e
ammetto che mi è piaciuto da morire scrivere quella parte del discorso,
spero che si sia capito bene tutto, gestire una conversazione a tre è
sempre difficile perchè c'è il rischio che non si capisco chi dice
cosa, o almeno per me è chiaro, ma per voi?
Scopriamo inoltre com'è morta Corinne, mi dispiace tantissimo la sua
morte visto che era un personaggio che mi piaceva un sacco e mi è
dispiaciuto anche farla saprir così in fretta. Nel caso non si fosse
capito Corinne è morta d'infarto a causa dello spavento che le è preso
quando i soldati o i mercanti o chi per loro sono entrati in casa.
Direi che è qualcosa di abbastanza traumatizzante veder morire la
propria madre (perchè ormai per Mihir e Mie era quello) sotto i propri
occhi così senza poter fare nulla. Non dovrebbe sorprendere quindi la
reazione di Mie, magari anche un po' esagerata, quando Mihir le dice di
essere uscito di casa senza che lei ne sapesse nulla, è molto
affezzionata a lui e quasi iperprotettiva dopo quello che è successo.
Passando alla domanda della settimana:
Mihir dirà a Mie della
lettera?
A- Sì
B- No
A voi la scelta! Votate numerosi, ringrazio tutti i giocatori che ci
sono dall'inizio della storia e tutti quelli che si sono aggiunti in
corso d'opera (stiamo crescendo, evviva!),
grazie mille per avermi dato questa fiducia! Più siamo e più ci
divertiamo in questo gioco ;)
A Mercoledì prossimo,
Imoto-chan
|
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Capitolo 6 *** Atto V - Pensieri ***
Atto V
Pensieri
-Devi dirmi qualcosa?- chiese dolcemente
accarezzandogli i
capelli, il bambino smise di torturarsi le mani, ma mantenne la testa
incassata
nelle spalle. Si abbassò lievemente in modo da raggiungere l’altezza
del
piccolo che era seduto sul tavolo e gli passò le dita in una carezza
materna
sul capo.
-Prometti di non arrabbiarti?- la voce era flebile
e
borbottante, a Mie veniva quasi voglia di lasciare perdere tutto e
abbracciarlo. E lo fece, avvolse le braccia intorno al corpo di Mihir e
lo
prese in braccio tenendolo ben stretto contro di sé
-Va tutto bene Mihir, non mi arrabbierò. È
importante che tu
mi dica tutto- si dondolò appena sui talloni cullandolo e il bimbo le
strinse
le braccia al collo
-Loro sono stati gentili con me, davvero!-
argomentò
cercando di scusarsi, decise per il momento di ascoltarlo e vedere dove
voleva
finire con quella premessa -Abbiamo parlato per un po’ e mi hanno
lasciato
vedere i movimenti tridimensionali senza arrabbiarsi!-
Corrucciò le sopracciglia perplessa e lascio una
lunga carezza
lungo la schiena del piccolo spingendolo ad allontanarsi dalla sua
spalla
-Cioè? Cosa avete fatto esattamente?- chiese osservandolo negli occhi
-Avevano addosso quelle imbracature che hanno
sempre i
soldati e allora volevo vederle da vicino, mi hanno detto che si
chiamano
movimento tridimensionale e che le usano per volare. Anche se non sono
soldati
possono volare!- il viso del bambino si era pian piano illuminato -Ci
sono
tutte queste cinghie che passano intorno al corpo e anche un sacco di
pezzi di
metallo per tenerle insieme, di fianco invece hanno delle spade- Mie
impallidì
di colpo, ma lui non parve farci caso troppo preso dalla descrizione di
quei
congegni che tanto ammirava -Ma quelle non posso toccarle perché sono
pericolose-
Mihir la osservò di sottecchi come se stesse
meditando se
dirle o meno qualcosa, ma alla fine si decise. Avvicinò il viso al suo
con
sguardo serio -I soldati non vogliono che anche loro possano volare e
per
questo cercano di impedirglielo, le spade gli servono per difendersi-
aprì la
bocca per dire qualcosa, ma il bambino la interruppe prima tornando ad
alzare
il tono di voce -Mi hanno anche dato questa!-
Si divincolò come un’anguilla tra le sue braccia
cercando di
scendere, tanto che alla fine Mie si arrendette posandolo a terra,
immediatamente raggiunse un angolo del tavolo e afferrò una busta
bianca di cui
lei si accorse solo in quel momento -Cos’è?- chiese avvicinandosi
Il viso del bambino si aprì in un sorriso
d’orgoglio -Una
lettera importante! Devo dartela e poi devo leggertela! È
importantissima!-
La prese tra le dita, era bianca con qualche
striature
marrone e grigia, come se qualcuno l’avesse strisciata contro un muro o
per
terra, leggermente spiegazzata e con un angolo strappato -Te l’hanno
data
loro?-
Annuii freneticamente -Si! È importante! Dovevo
dartela
quando eravamo solo io e te!-
Mosse la testa accennando un assenso, afferrò un
coltello
dal cassetto delle posate e l’aprì. Era un solo foglio scritto su un
solo lato,
la calligrafia era precisa e le parole formavano frasi dritte sulla
carta
nonostante non fossero presenti segni guida. Gli diede una veloce
scorsa riconoscendo
alcuni termini familiari, ma si arrese velocemente con un sospiro.
Mihir si era allungato sulle punte dei piedi e
adesso teneva
i suoi polsi fra le mani -La leggo?- il tono era trepidante come se non
aspettasse altro che il suo consenso. Sbuffò passandogliela, il bambino
scorse
con gli occhi il testo poi si guardò intorno -C’è qualcun’altro?- chiese
Mie si guardò intorno -Non ce nessuno a parte noi
due Mihir!-
disse scocciata -Leggi quella lettera e facciamo in fretta, che papà
sta alla
locanda da solo-
Annuii ritornando con lo sguardo alla carta,
strizzò gli
occhi un paio di volte e poi cominciò a leggere:
-Se sta leggendo questa lettera vuol dire che non
ho avuto
modo di vederla di persona e, per quanto il discutere di certe cose su
carta mi
faccia rivoltare le budella, non posso perdere tempo a correrle dietro;
cercherò di essere il più chiaro e semplice possibile.
La sua locanda si trova in una posizione altamente
strategica ed è frequentato da molte persone, di ogni risma, dai
soldati ai
comuni cittadini, dai nobili agli straccioni, sebbene non credo ci sia
necessità che sia io a ricordarglielo, le persone parlano di molte cose
e tanto
più volentieri se hanno bevuto qualche boccale di troppo e mangiato un
piatto
caldo. Questo preambolo è stato necessario per introdurre la mia
richiesta:
vorrei che lei fornisse il suo aiuto come informatore e avamposto, so
per certo
che non è in contatto stretto con i soldati né approva il loro modo di
gestire
le questioni del distretto sotterraneo e per questo le propongo questo
accordo;
il beneficio verrà a entrambe le parti perché il suo contributo sarà
degnamente
retribuito. Informazioni e protezione in cambio di denaro e una vita
più giusta
e sicura in questo distretto.
Quando avrà preso la sua decisione abbia
l’accortezza di
comunicarmelo per iscritto, in una lettera sigillata e anonima. Dovrà
consegnarla al ragazzo che risponde al nome di Marcus e che troverà
all’entrata
occidentale del mercato, lo riconoscerà per il fazzoletto rosso legato
al
polpaccio-
La voce di Mihir si spense nella cucina lasciando
posto a un
ingombrante silenzio. Mie aveva il viso corrucciato e le mani stavano
torturando la gonna che portava. Il piccolo sollevò lo sguardo su di
lei.
-C’è nient’altro?- chiese ansiosa
Scosse la testa -No, finisce così-
Il silenziò calò nuovamente, ma stavolta durò solo
un paio
di secondi, lasciò andare il tessuto ruvido sospirando amaramente
-Nessun nome?
Un indirizzo?-
Scosse nuovamente la testa porgendogli la lettera
-Non c’è
nient’altro! Guarda!-
Osservò attentamente quelle scritte cercando
qualsiasi cosa
che potesse dargli un indizio, uno scarabocchio a fondo pagina, un
segno di
troppo, ma nulla. Strinse la carta tra le mani stropicciandola -Che
diavolo
significa!- sbottò rabbiosa, non aveva senso, non aveva un minimo di
senso!
Si massaggiò la radice del naso infilandosi la pallina di carta in
tasca -Parlami
di chi ti ha dato questa lettera, descrivili, dimmi loro nomi, tutto-
Mihir annuii insicuro -Erano due, uno alto come la
finestra
e l’altro più basso-
-Va bene- le parole gli rotolarono fuori dalla
bocca stanche
-Quando li hai incontrati di preciso?-
-Dopo che siamo tornati a casa, tu stavi lavorando
con papà
e io ero in corridoio, li ho sentiti parlare e poi li ho visti-
-Ti hanno chiamato?-
Il bambino abbasso il capo borbottando
-Mihir!- lo riprese massaggiandosi gli occhi -Per
favore-
Sbuffò scuotendo la testa e incrociando le braccia
al petto -No.
Li stavo… spiando dalla finestra e quando stavano per andare via sono
uscito-
-Perché?- era esasperata
-Avevano i movimenti tridimensionali!- esclamò, le
braccia
aperte, le gambe divaricate e il busto un po’ sporto in avanti, gli
occhi erano
sgranati ed euforici mentre la bocca aveva un espressione fintamente
drammatica. Mie davvero non capiva il suo amore per quelle macchine
-E quindi?-
-Loro sembravano gentili- borbottò tornando a
incrociare le
braccia, sollevo un sopracciglio in una muta domanda -Magari me lo
avrebbero
fatto vedere, non come i soldati- rispose
Sospirò di nuovo -Erano due?- riprese il filo del
discorso,
lui annuii
-Uno alto e uno basso-
-Parlami di quello alto-
-Era alto come la finestra e aveva i capelli
biondi, ma non
come i miei, più scuri! E poi era… grande- Mie pensò a Chayse con le
spalle
larghe e il metto ampio e massiccio, probabilmente intendeva quello con
“grande”
-E aveva anche lui il movimento tridimensionale. Era quello che parlava
di più ed
era simpatico e divertente, è stato lui a darmi la lettera e a
rimettermi sul
davanzale dopo che sono caduto, era gentile-
Annuii -L’altro? Hai parlato anche con lui?-
Assentii col capo -Era più basso e aveva i capelli
neri, era
anche più piccolo e magro. Però è stato lui a prendermi prima che
cadessi, era
molto veloce- spiegò ripensando allo scatto che aveva fatto quando
aveva
provato ad afferrare la spada -Ha parlato poco, ma era gentile. E
strano. Non
lo so- finì scrollando le spalle
-Qualcos’altro?-
Mihir mise su un broncio concentrato prima di
tornare a
parlare -Quello biondo mi ha promesso che mi fa volare la prossima
volta che ci
vediamo, così poi posso prendere in giro i soldati perché ho volato
anche io-
disse fieramente
Me inizialmente sgranò gli occhi per poi scuotere
il capo,
se conosceva il bambino almeno la metà di quanto pensava di conoscerlo
era
certa che l’uomo in questione avesse detto di sì solo per farlo
smettere di
insistere -I loro nomi?-
Mihir scosse di nuovo la testa rattristandosi -Non
lo so,
non me li hanno detti-
Mie gli scompigliò i capelli intenerita dal
broncio
rattristato del bambino -Quanti anni avevano?-
Sollevò le spalle -Boh-
-Come papà?-
-No!- rispose immediatamente
-Assomigliavano più a te…- scosse la testa -Forse
più
piccoli-
Annuii sollevandosi dai calcagni, aveva capito e
se quei due
erano davvero i tizi che si erano presentati alla locanda appena un’ora
e mezza
prima… sospirò. Perché diavolo certe cose accadevano proprio a lei? Non
poteva
proprio vivere una vita tranquilla eh! Sul volto si dipinse un sorriso
amaro
che si spense velocemente sostituito da un’espressione determinata.
-La lettera la tengo io!- decretò sfiorando la
pallina di
carta dentro la tasca della gonna -E adesso tu te ne vai in camera per
punizione-
-Eh?- chiese sconvolto, Mie si trattenne dal ridere
-Non solo sei uscito senza dirmi niente, ma hai
anche
rischiato di farti male, hai parlato con degli sconosciuti e hai
tentato di
tenermi tutto nascosto-
-Non è vero!- protestò
-Fila in camera tua e stasera mi darai una mano a
pulire
tutto-
Sul viso di Mihir si dipinse un’espressione a metà
fra il terrorizzato
e in disgustato, sapeva quanto odiasse pulire i tavoli e la cucina, era
la peggior
cosa che gli potesse capitare
-Ma io- provò a protestare debolmente
-Non voglio obiezioni! Mi hai deluso e non posso
permettere
che succeda di nuovo, non ho il tempo di starti appresso costantemente,
devo
gestire la locanda e se non posso fidarmi di te allora farò in modo di
assicurarmi che tu non sia in pericolo-
Abbassò la testa incassandola nelle spalle -Scusa-
borbottò.
Gli lasciò un’ultima carezza tra i capelli prima che uscisse per salire
le
scale e andare in camera.
Osservò stancamente i piatti freddi posati sul
tavolo e si
decise, sebbene a malincuore, di rovesciarli nuovamente nelle varie
pentole per
riscaldarli. Accese i fuochi prima di tornare alla locanda, sperava che
fosse
andato tutto bene.
Dondolò i piedi che cadevano dal bordo del letto,
era
semisdraiato sul materasso e si stava annoiando a morte. Sentì una
fitta di
rimorso attorcigliargli l’intestino, aveva fatto preoccupare Mie, ma
alla fine
non era successo nulla di pericoloso! Anzi, quei due ragazzi dovevano
parlare
con lei quindi era stato un bene che li trovasse no? Sbuffò rotolando
sulla
pancia per gattonare fino alla finestra sopra il letto. Dava
esattamente sulla
piccola piazza ai piedi della scalinata ovest che portava verso
l’esterno, non
c’era mai stato. Anche perché salire quelle scale era impossibile nella
maggioranza dei casi.
Gli unici che avevano il permesso di uscire erano
i soldati,
che facevano frequentemente uscite di sopra, e i nobili. Si
riconoscevano
subito, possedevano lunghi mantelli e vestiti costosi, avevano sempre
qualche
anello e non sopportavano il dover stare troppo in mezzo alle persone.
Erano
strani, eppure molti di loro venivano abitualmente alla locanda per poi
andare
alle Case del Piacere. Storse il naso, Mie una volta gli aveva spiegato
cos’erano
sotto sua insistenza dopo che un nobile lo aveva preso in giro perché
non le
conosceva, era un lavoro come un altro e sicuramente permetteva di
guadagnare
grosse somme in poco tempo, ma era molto pericoloso. Questo glielo
aveva
svelato lei, a quanto pare c’era spesso il rischio di morire di parto o
durante
l’incontro con uno dei nobili.
C’era anche un’ultima categoria di persone che
potevano
uscire all’esterno, i ricchi. Coloro che erano riusciti a guadagnare
abbastanza
soldi da poter comprare la cittadinanza e risalire al mondo esterno.
Davvero
non capiva perché alcune persone arrivassero a tanto, vendendo tutti i
loro
beni e averi solo per poter salire quei gradini e andare a vivere in un
mondo
dove non avevano nulla ed erano meno di zero. Se addirittura i nobili
scendevano giù da loro voleva significare che forse il mondo oltre la
volta di
pietra non era poi così bello come si diceva in giro.
Chiuse gli occhi provando a immaginarlo, quando
era più
piccolo sua madre gli aveva raccontato di quel mondo dove il sole ti
accecava
gli occhi non per qualche ora soltanto, ma brillava nel cielo per tempi
lunghissimi per poi diventare rosso e sparire lentamente oltre il muro.
Il
muro, gli aveva spiegato, era alto molto più di un essere umano, così
alto da
toccare il cielo e non si poteva uscire, serviva a proteggerli.
Proteggerci da
cosa? Aveva chiesto ingenuamente e allora Corinne gli aveva accarezzato
il capo
sorridendogli con quel suo sorriso dolce, quella stiratura di labbra
che nascondeva
i denti ma trasmetteva i sentimenti che si annidavano nel profondo del
suo
cuore, dai giganti; i giganti erano esseri enormi, alti molto più di un
essere
umano e più di una casa, la maggioranza di loro avrebbe tranquillamente
toccato
la volta di pietra con la testa. Avevano occhi e orecchie, naso e
bocca,
capelli e corpo, ma erano nudi. E mangiavano gli umani. Erano il loro
cibo
preferito e non ne erano mai sazi. Le mura sono le uniche cose più alte
di loro
e servono a tenerli fuori, a proteggere tutti noi da loro, spiegava
pazientemente.
Aveva storto la bocca lamentandosi, e Corinne
aveva ridacchiato
apostrofandolo come faceva sempre, non devi avere paura piccolo
principe, non
ti potranno fare mai del male e mai li vedrai nella tua vita perché sei
dentro
le mura e, soprattutto, nel sottosuolo, qui i giganti non possono
arrivare.
Aprì gli occhi risvegliandosi da quel ricordo,
aveva
imparato molte delle cose che sapeva da sua mamma e tutte le volte che
ripensava a quei giorni sentiva una morsa nel petto e il sapore amaro
sulla
lingua. Sentiva la tristezza montare con le lacrime al pensiero di suo
padre
distrutto dal dolore e di Mie che non aveva neanche potuto prendere
fiato
troppo impegnata a tirare avanti loro due. Quando invece provava a
concentrarsi
sugli ultimi momenti della mamma non ci riusciva, ricordava solamente
il vento
di terrore sulla sua pelle e l’odore della paura che gli riempiva i
polmoni, ognuno
tremava per sé.
Caccio il viso sul cuscino strofinandolo per
impedire alle
lacrime di scendere sulle guance più di quanto non avessero già fatto,
doveva
pensare alle cose belle adesso. Si sollevò di scatto dal letto e aprì
l’armadio,
scostò i vestiti più lunghi cercando di leggere i titoli dei libri
ammucchiati
sul fondo di legno e ne prese uno abbastanza sottile. Si risiedette sul
letto
accarezzando la rigida copertina colorata, molto più grande di quella
degli
altri libri. I colori erano tenui e sbiaditi, su tutto spiccava
l’immagine di un
anziano che vestiva con un gilè marroncino, una camicia bianca e dei
pantaloni,
sedeva su una roccia e teneva su una mano un esserino minuscolo, una
bambina
minuscola, o era l’anziano a essere enorme?, dai capelli marroni e con
una camicetta
da notte bianca. Il titolo recitava a grosse lettere “Il GGG”.
Aprì la prima pagina accarezzando con gli occhi le
linee di
inchiostro regolari e iniziò a leggere. La storia l’aveva sempre
affascinato e
più volte da piccolo aveva detto di voler conoscere quella bambina di
nome Sophie,
lei, di giganti, ne aveva visti molti e sicuramente sarebbe riuscita a
descriverglieli, magari avrebbe anche potuto incontrare il Grande
Gigante
Gentile. Si immerse nella lettura, le scene che si susseguivano davanti
ai suoi
occhi e le frasi che si completavano nella sua mente in maniera
automatica tanto
bene conosceva il racconto.
Sussultò quando sentì qualcuno poggiargli la mano
su una
spalla
-Ancora quel libro?-
Lo richiuse poggiandolo accanto a se e voltandosi
verso la
sorella, sapeva che a Mie non piaceva quel racconto, ma non gli avrebbe
mai
impedito di leggerlo
-Dobbiamo pulire?- chiese cambiando discorso, non
gli andava
di litigare di nuovo, sentiva già l’ansia attanagliargli nuovamente le
viscere
a quel pensiero. Lei annuii sospirando
-Abbiamo un sacco di lavoro da fare! Coraggio-
Balzò giù dal letto seguendola lungo le scale e
poi nella
locanda, appoggiati alla parete facevano sfoggio di sé una scopa e
degli
stracci buttati in un secchio pieno d’acqua.
-Io spazzo- affermò velocemente afferrando la
scopa e
correndo dall’altra parte del locale iniziando a lavorare, sentì la
sorella
sbuffare e sorrise, sapeva che pulire con gli stracci era un lavoro
decisamente
più lungo e noioso e non ci teneva proprio ad allungare la propria
agonia.
Mie sbuffò prendendo stracci e secchio iniziando a
pulire i
tavoli e il bancone, appena Mihir avesse finito si spazzare avrebbe
anche
lavato per terra. Durante la giornata, nonostante il lavoro, il
pensiero della
lettera non aveva fatto altro che ritornargli in mente e più volte
aveva
sfiorato quella pallina che teneva in tasca. Si era calmata e aveva
provato a
pensare razionalmente ai pro e contro della sua decisione, eppure
continuava a
tornargli in mente l’immagine di quei due ragazzi fuori dal locale, in
un
vicolo con Mihir. Da soli. Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa e ciò
le
metteva addosso un’agitazione folle. Non era successo niente infondo e
si
sarebbe assicurata che non succedesse più nulla del genere eppure…
strofinò con
più forza lo straccio sul piano di legno cercando di togliere una
macchia. A
volte il comportamento di Mihir la mandava in panico, era un bambino
intelligente, ma nonostante ciò pareva non rendersi conto dei pericoli
più
concreti che lo circondavano, inoltre quando si faceva prendere dalle
emozioni si
comportava incoscientemente.
Eppure erano stati gentili con lui e avevano
evitato che si
facesse male. Non era un’idiota e per quanto il pensiero irrazionale le
dicesse
di mandare tutto all’aria sapeva che per afferrare un bambino che
cadeva all’improvviso
ci volevano i riflessi pronti e che, soprattutto, era una di quelle
cose che o
viene istintiva o non viene proprio. Quei due volevano davvero impedire
che
Mihir si facesse del male cadendo e per questo l’avevano afferrato per
tempo.
Nonostante ciò erano da soli con lui in un vicolo. Senza avvertirla. E
sarebbe
potuta succedere qualsiasi cosa.
Si trattenne con tutte le sue forze dallo sbattere
un pugno
sul tavolo e immerse lo straccio nell’acqua fredda per sciacquarlo.
L’avrebbero
pagata per il suo aiuto. Certo i soldi in casa non mancavano, ma
bisognava
essere realisti, neanche abbondavano. Se un giorno fosse successo
qualcosa e si
fossero ritrovati con dei debiti come avrebbero fatto? Avere un po’ di
soldi da
parte era sempre bene, soprattutto da quando non c’era più Corinne a
tenere la
contabilità della casa. Ma era il modo giusto di ottenerli? Di una cosa
era
certa, avevano azzeccato in pieno il fatto che non approvasse i metodi
usati
dagli Unicorni, quegli uomini gli davano il voltastomaco, sfruttavano
il loro
potere per ottenere tutto quello che volevano disinteressandosi di
qualunque
altra cosa. Ma chi gli avrebbe garantito che aiutarli avrebbe cambiato
la
situazione? Certo, cambiare era come fare una scelta a scatola chiusa,
poteva
andare peggio, ma poteva anche andare meglio. La domanda era quindi se
lei se
la sentiva di rischiare e provare a cambiare le cose o se, tutto
sommato, gli
andava bene restare così.
-Fatto!-
La voce squillante di Mihir riempì il locale vuoto
e attirò
la sua attenzione. Il bimbo poso la scopa contro il muro per poi
girarsi verso
di lei
-Papà?-
-Sta preparando la cena- rispose tornando a lavare
il
bancone
Mihir annuii scomparendo dietro la porta e lei
tornò a
strofinare lo straccio, cosa avrebbe fatto?
Note e Scleri dell'autrice:
Ehy gente! Vi piace questo capitolo? Probabilmente molti di voi lo
avranno trovato noioso, ma ci volgiono anche i capitoli di intermezzo
ogni tanto in una storia quindi mi dispiace, ma per stavolta va così.
Nonostante ciò esprimete pure le vostre opinioni (sono criosa di
conoscerle) tramite le recensioni,
esistono per questo no?
Piccolo appunto, "Il GGG" è un libro che esiste davvero e fa parte
della letteratura per ragazzi, scritto nel 1892 da Roald Dahl è
praticamento perfetto per questa ambientazione; infatti parla di questa
ragazza, Sophie, che vive in orfanotrofie e una notte, svegliandosi,
vede un gigante. QUesto, per evitare che lei sveli a tutti la sua
esstenza, la rapisce portandola nella sua casa dove gli dice di
chiamarsi GGG (Grande Gigante Gentile, appunto) e gli spiega che non
vuole farle del male, il suo compito è semplicemente quello di dare i
sogni alle persone e non poteva rischiare che Sophie dicesse a tutti
della sua esistenza. Gli dice inoltre che esitono molti altri giganti
oltre a lui, che però sono cattivi e mangiano esseri umani (vi ricorda
qualcosa per caso?). I due insieme ordisconoun piano per farli
sprofondare in una fossa dove vivranno per sempre senza dare più
fastidio agli umani e poi Sophie e il GGG andranno a vivere insieme in
una casetta felici e contenti. Questo è il sunto del libro, letto da
bambina, e che consiglio a tutti quanti (per i più sfaticati esiste
anche il film XD). Ho pensato che sarebbe stata una lettura
azzeccatissima per Mihir, voi che ne
pensate?
E ora passiamo alla domanda della settimana (abbastanza intuibile):
Mie accetterà la proposta di
lavorare con Levi e Farlan?
A- Sì
B- No
Votate numerosi e ricordate che voi siete (letteralmente) questa
storia! Aspetto le vostre recensioni o i vostri MP!
A Mercoledì,
Imoto-chan
|
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Capitolo 7 *** Atto VI - Lettera ***
Atto VI
Lettera
Al contrario di Mihir che appena aveva toccato il
cuscino si
era addormentato, lei era rimasta a lungo a rigirarsi nel letto e
adesso ne
pagava le conseguenze. Aveva uno stramaledettissimo sonno!
-Un altro giro bellezza!-
Assottigliò gli occhi mentre riempiva tre boccali
e li
portava al tavolo. Quella mattina pareva che tutti gli abitanti di
quella
lurida fogna avessero deciso di darsi appuntamento li dentro,
razionalmente
parlando sapeva che era impossibile, ma che diavolo era decisamente
irritabile
e assonata, e ciò non favoriva le sue capacità di raziocinio.
-E caso mai un giro c’è lo facciamo anche io e te
dopo! Che
ne dici bellezza?-
Sorrise mefistofelica poggiando il boccale davanti
al
cliente, i cui amici erano ben muti ad ascoltare quella che sarebbe
diventata
una delle migliori figure di merda di quel bastardo.
-Ma certo! Sarà un vero piacere accompagnarla a
mostrarle la
nostra bellissima porta d’uscita-
L’uomo batté le palpebre un paio di volte cercando
di
afferrare il significato della sua risposta, ma quando lo fece,
accompagnato
dalle risate dei compagni, lei si era già allontanata per servire
qualche altro
cliente. Le sue proteste e grida ingiuriose vennero coperte facilmente
dal
chiacchiericcio degli altri avventori e non passarono che per i deliri
di un
ubriaco. A volte faticava davvero a non prendere a pugni certa gente.
Continuò a lavorare incessantemente fino a quando
il locale
non si iniziò a svuotare, sapeva che di lì a qualche ora si sarebbe
riempito
nuovamente per l’orario del pranzo, i clienti affamati avrebbero
preteso del
cibo da mettere sotto i denti oltre alla birra e al pane, che già
scarseggiava,
per questo rientrò in casa.
-Mihir!- chiamò mentre si dirigeva in cucina,
sentì i passi
frettolosi del bambino scendere le scale e schiacciare le assi del
pavimento
per raggiungerla
-Che c’è?- chiese curioso sedendosi al tavolo
-Carta e penna, devo dettarti una cosa-
-Ma mi sono appena seduto!- si lamentò, Mie girata
di spalle
per tirare fuori le pentole sbuffò
-Su, io sono occupata a preparare il pranzo-
Il bambino ridiscese dalla sedia per andare a
prendere
l’occorrente e lo sentì borbottare distintamente quanto fosse dispotica
e
prevaricatrice. Scosse la testa non domandandosi nemmeno dove avesse
imparato e
cosa significassero quei termini, era più che sicura che non si
trattasse di
complimenti, e mise le pentole sul fuoco iniziando a pensare.
O meglio, a riordinare le idee. Aveva già in mente
cosa
rispondere a quella lettera e sentiva lo stomaco stringersi in una
morsa a quel
pensiero. Ci aveva pensato a lungo ed era giunta a una sola
conclusione: i
benefici erano di gran lunga più certi e numerosi dell’eventuale
svantaggio.
Si girò mentre Mihir intingeva il pennino
nell’inchiostro,
gli si avvicinò posizionandogli alle spalle
-Pronto?-
-Quando vuoi!- gli rispose concentrato
Socchiuse gli occhi appoggiandosi allo schienale
della sedia
con gli avanbracci, poi parlò:
-Accetto la proposta che mi avete fatto. Vi
fornirò ogni
informazione in cambio di un adeguato pagamento che potremo contrattare
insieme
al nostro primo incontro, sapete dove trovarmi. Mi conservo il diritto
di
interrompere queste trattative o di annullare l’eventuale accordo in
ogni
momento avendo cura di avvisarvi in maniera adeguata-
Osservò le linee nere che con cura vergavano il
foglio, la
scrittura di Mihir non era certo fine e leggera come quella della
lettera che
gli aveva consegnato, ma era comprensibile e accurata. Il bambino ci
metteva
concentrazione e impegno nell’imprimere su carta ogni lettera di quel
messaggio
e si girò verso di lei una volta finito di scrivere
-Finito?-
-Credo di sì- osservò le righe nere, erano poche e
neanche
raggiungevano la metà del foglio -Dovremmo aggiungere altro?- chiese
Il bambino diede una rilettura veloce prima di
sollevare le
spalle -Non lo so. Di solito nei libri le lettere si chiudono con i
saluti-
-Ma loro non ci hanno salutato- pensò a voce alta,
Mihir
l’appoggiò
-Vero, che si fa?-
-Chiudila qui-
Annuii poggiando la penna affianco al barattolo
che
conteneva l’inchiostro e iniziò a soffiare appena sulla carta perché la
scritta
si asciugasse in fretta. Mie prese a tagliare le verdure per poi
buttarle nella
pentola piena d’acqua
-Mihir? Prendi i ceci e le patate, facciamo il
pane-
Il bambino lasciò perdere la lettera poggiata sul
tavolo
per aprire uno degli stipiti della cucina e tirarne fuori un sacco di
farina di
ceci e tutte le patate che riusciva a tenere tra le braccia
-Ancora?- chiese poggiano tutto sul tavolo
Mie osservò con la coda dell’occhio annuendo
mentre finiva
di tagliare
-Non c’è ne è bisogno. Basta quello- mise tutto a
bollire
-Però prima porta via penna e inchiostro, sempre ammesso che tu non
voglia
mangiare del pane al carbone1-
Mihir mise su una faccia schifata mentre prendeva
il tutto
per rimetterlo a posto, andava tutto bene. Allora perché continuava a
sentire
quella morsa allo stomaco?
Erano circa le tre del pomeriggio, l’aria era
pesante e
afosa, l’umidiccio si attaccava alla pelle e ai capelli dando a tutti
un
aspetto unto e lercio. I piccoli mendicanti stavano appostati ai lati
delle
strade, cercando di passare il più possibile inosservati, come ratti
pronti ad
assalire la preda per assicurarsi tutto il possibile fino alla prossima
vittima.
Strinse più forte la mano di Mihir nella sua
voltandosi a
guardarlo, camminava tranquillo affianco a lei osservando le bancarelle
e le
persone che si affaccendavano davanti a essere cercando di strappare i
prezzi
migliori, ai lei non apparivano altro che ripugnanti carogne morte che
cercavano di tirare avanti e quei mercanti, così ben pasciuti nei loro
vestiti
di seta sgargiante, erano avvoltoi con gli occhi straripanti di
cupidigia.
Distolse velocemente lo sguardo serrando le labbra
per
impedire alla bile di risalirle oltre la bocca e continuò a camminare.
Le
persone erano pigiate l’una con l’altra e continuavano a prendersi
contro, era
impossibile camminare senza essere colpiti da un gomito o senza che il
lembo
superiore di un mantello ti colpisse in viso.
Non era la prima volta che veniva al mercato e non
sarebbe
stata l’unica, allora perché certe cose sembrava notarle solo adesso?
Si scostò verso destra evitando un cavallo che
trainava un
carretto coperto da una cerata verde e sentì, con somma angoscia, la
manina di
Mihir scivolare via dalla sua presa, si girò di scatto cercandolo fra
la folla
e le mancò il fiato quando l’angolo di legno del cassone la colpì
appena sotto
al costato. Indietreggio prendendo un grosso respiro cercando di tenere
sotto
controllo il panico crescente, qualcuno le tirò l’orlo della gonna e
immediatamente riconobbe la voce
-Tutto bene?-
Afferrò in un battito di ciglia il polso di Mihir
tirandolo
vicino a se
-Non ti allontanare-
-Non mi sono allontanato!- borbottò il bambino
ricominciando
a seguirla mentre si faceva strada in mezzo a quel marasma di corpi
sudati e
vestiti sudici. Tossì quando una zaffata di odore acre gli raggiunse le
narici
e allungò il passo riconoscendo la puzza dolciastra della mescalina2.
“Informazioni e protezione in cambio di denaro e
una vita
più giusta e sicura in questo distretto”, scosse la testa reprimendo un
grugnito. Le pupille continuarono a saettare prendendo nota di quei
dettagli
cosi raccapricciati.
Perché adesso poteva vederlo, quel ragazzino
disperato che
puntava un coltellaccio alla gola di quella donna. Il mercante che,
avido,
osservava le forme acerbe di quella bambina così minuta che arrancava
affianco
alla bancarella. I gendarmi che passeggiavano a coppie lungo la strada
e la
gente che, timorosa come lei, si faceva da parte e abbassava lo sguardo
deviandolo ai loro mantelli senza toppe e strappi, ai pantaloni puliti,
alle
scarpe lucide e, inevitabilmente, alle spade saldamente ancorate al
loro
fianco. Riusciva a vederlo, ma non voleva; voleva continuare a
ignorarlo, come
aveva sempre fatto, come facevano tutti.
“Una vita più giusta e sicura”.
Sentiva la bile acida risalirgli l’esofago e
soffocarla,
l’aria putrida strappargli l’ossigeno dai polmoni, lo stomaco e le
budella che
si dimenavano nello stretto spazio a loro concessogli, attorcigliandosi
e
avviluppandosi l’uno nell’altro.
Buttò fuori la poca aria che ancora gli rimaneva
in gola per
poi aprire gli occhi
-Sicura di stare bene?- la voce stridula e
preoccupata,
angosciata, di Mihir la riportò bruscamente alla realtà e si accorse
solo ora
di come fosse ferma in mezzo alla strada con uomini e donne che la
spintonavano
per passare.
Girò la testa di scatto guardandolo allucinata e
lui
sussultò spaventato -Mie…-
Poteva leggere l’inquietudine nel suo sguardo e
l’ansia
nella sua voce, si chinò sui calcagni, rischiando di perdere
l’equilibrio a
causa dello spintone di qualcuno, e gli accarezzò dolcemente una
guancia -Sto
bene Mihir, tranquillo-
I suoi occhi si schiarirono di sollievo alla sua
voce calma
e rassicurante, gli si lanciò addosso avvolgendogli le braccia intorno
al collo
-Ho avuto paura, pensavo che stessi male come la mamma-
Sentì un tuffo al cuore a quelle parole e strinse
più forte
a sé il corpicino del fratello consolandolo e consolandosi -Sto bene,
davvero-
ripeté dolcemente lasciandogli una carezza sulla schiena. Si rialzò con
la
schiena indolenzita dalle piccole botte che aveva ricevuto mentre era
stata
piegata, troppo bassa per essere notata. Strinse la mano del bambino
sorridendogli e riprendendo a camminare.
Non doveva farlo preoccupare, non a lui che aveva
ancora il
privilegio di non vederle certe cose.
-Coraggio, dobbiamo arrivare all’entrata
occidentale il
prima possibile!- lo spronò.
Mihir annuii riprendendo a camminare di buona lena
accanto a
lei; erano passato dall’entrata a nord, la più vicina alla locanda, e
avrebbero
dovuto superare più di metà del mercato per raggiungere la loro
destinazione,
l’entrata occidentale. Sentì la carta ruvida stropicciarsi dentro la
sua tasca
e piena di una rinnovata determinazione superò l’ennesimo mercante che
le si
piazzava davanti per vendergli la sua “Ottima merce a bassissimo
prezzo,
un’offerta signorina!”.
-Per una vita più giusta e sicura- mormorò.
Ignorò lo sguardo corrucciato di Mihir continuando
la sua
marcia, gli occhi catalizzati da un futuro che non poteva ancora vedere
-Più giusto e sicuro- mormorò il fratello
Si spostarono lentamente verso il bordo della
strada, si
trovavano all’ingresso, esattamente dopo l’ultima bancarella che
avevano
incrociato. Li la ressa pareva farsi meno soffocante e speravano di
poter
individuare più facilmente il ragazzo a cui dovevano consegnare la
lettera.
Si guardarono attorno per un po’ senza notare
nulla. Mie
sentiva l’ansia invaderle nuovamente la mente, erano troppo esposti.
Loro due,
in piedi, sul ciglio della strada. Strinse più forte la mano di Mihir
cercando
di ritrovare lucidità.
-È lì- il sussurro accompagnato da uno strattone
della gonna
le fece riaprire gli occhi di scatto. Segui lo sguardo del fratello e
lo vide
anche lei. Qualche bancarella più avanti, appoggiato accanto al muro,
le
braccia incrociate e i vestiti leggermente troppo larghi. Spostò
febbrilmente
gli occhi alle caviglie del ragazzo e la prima cosa che notò fu anche
quella
che le interessava maggiormente, intorno alla caviglia sinistra era
avvolto un
logoro e consunto fazzoletto rosso che spiccava intenso sulla pelle
bianca e
cadaverica. Si avvicinò a lunghi passi con Mihir affianco fermandosi a
pochi
passi dal giovane.
Lo fissò per qualche secondo prima che lui gli
schioccasse un’occhiata dura e curiosa al contempo -Chi siete?-
Mie ingogliò il groppo che aveva in gola, ma non
fu abbastanza svelta
a prendere parola
-Sei Marcus?-
Mihir era scivolato via dalla sua presa
posizionandosi tra
lei e il ragazzo, lo fissava in viso sicuro e deciso, lui alzò un
sopracciglio
-E se anche fosse? Voi chi siete?- richiese
abbandonando la
posizione appoggiata al muro per assumerne una decisamente più tesa,
spalle
rigide, schiena dritta, gambe leggermente divaricate, le mani in tasca
e Mie
sentì distintamente, nonostante la confusione che c’era attorno a loro,
lo
scattare di un coltellino. Sbiancò mentre tremante allungava una mano
verso il
fratello
-Mihir non-
-Sei Marcus?- chiese testardo ignorando la sua
supplica
-Abbiamo qualcosa da darti-
Marcus sbuffò sonoramente tirando una mano fuori
dai
pantaloni e passandosela tra i capelli rossicci -Sapete scrivere?-
Mie, ancora timorosa, afferrò Mihir per una spalla
portandoselo più vicino -Sì- rispose, non capiva cosa c'entrasse la
domanda -Lui sa scrivere-
Il ragazzino passo stupito lo sguardo tra lei e il
bambino
prima di storcere la bocca in un leggero sorriso
-La lettera?- chiese con uno sbuffo divertito
Mie infilò una mano nella gonna tirando fuori il
foglio
ripiegato in tre parti e sigillato con un po’ di cera, la allungò al
ragazzo
che con uno scatto la afferrò infilandosela sotto la maglia, nella
cintura dei
pantaloni.
-Passate per l’esterno, evitate il mercato nel
tornare
indietro- e dopo l’ultima raccomandazione li superò scomparendo in
pochi passi
tra la folla
-Abbiamo fatto bene Mie?-
Rafforzò la presa sulla spalla del fratello
fissando il punto
in cui era scomparso -Lo spero Mihir. Lo spero-
Quando rientrarono nella locanda la trovarono
molto più
piena di quanto Mie si aspettasse. Solitamente non si riempiva
completamente se
non verso sera dopo il calare del sole, invece adesso, nonostante fosse
appena
pomeriggio e il sole si vedesse ancora attraverso il buco nella volta,
ogni
singolo tavolo era occupato e le persone erano accalcate al bancone. Il
parlare
era concitato, troppo rispetto ai pochi bicchieri e boccali sui tavoli.
-Mihir vai in casa-
Il bambino la guardò confuso prima di annuire e
svicolare
tra sedie e gambe raggiungendo la porta, Mie si incamminò verso il
bancone
ascoltando gli stralci di conversazione che le arrivavano alle orecchie
e capì.
-Come ti sei fatto quel taglio?-
-Avessi idea del casino che hanno fatto al
mercato, sono
caduto e zac!-
-Caduto?-
-Tre hai
detto?-
-Sì, ti
garantisco che
era una ragazza!-
-Hanno rubato dei movimenti da un carro degli
Unicorni!-
-Impossibile ti ripeto!-
-Quindi
anche quel
mantello…-
-Era
quasi mezz’ora che
contrattavo sul prezzo!-
-Quei
ragazzini sono
arrivati al momento giusto e tu ne hai approfittato eh!-
-Chi vuoi
che si
accorga di un mantello in meno-
-Quei diavoli hanno buttato tutte le casse per
terra ti
dico! Assurdo!-
-E i mercanti?-
Le voci si sovrapponevano in una cacofonia
concitata e
dovette alzare la voce per parlare con Chayse
-Papà!-
-Finalmente sei tornata- l’uomo la guardò con la
gratitudine
negli occhi -Mihir?-
-È in casa- l’uomo annuii -Che succede qui?-
chiese
osservandosi attorno
-Sono arrivati tutti in pochi minuti, sai che
appena succede
qualcosa la gente vuole parlarne. E le locande…-
-Sono il luogo perfetto- completò la frase lei
Il padre la guardo curioso -Qualche dettaglio in
più da
riferire? Qui ognuno ha la sua versione!-
Corrucciò le sopracciglia -Che intendi?-
-Quello che è successo al mercato! Te ne eri già
andata?-
chiese stupito.
Sgranò gli occhi ripensando all’avvertimento del
ragazzo
-Che è successo?-
-Oi Jael! Che ne dici di raccontare a mia figlia
che è
successo?-
Un uomo sulla trentina si girò verso di lei, gli
avventori
attorno a loro si erano fatti muti e anche i più lontani avevano
abbassato le
voci
-Prima passami un boccale Chayse!-
L’uomo riempì un boccale fino all’orlo per poi
passarlo al
cliente, Jael ne bevve un sorso leccandosi le labbra, si era seduto sul
bancone
e sembrava dominare l’intero locale
-Io ero lì, proprio sotto di loro. Diavolo avreste
dovuto
vederli in viso, erano… erano…- prese un nuovo sorso -È stata questione
di un
battito di ciglia, il secondo prima ero con mia moglie a litigare con
uno dei
mercanti, Ian, quel bastardo fa dei prezzi dannatamente troppo alti per
delle
mele marce!-
Si alzò un mormorio di approvazione
-E un attimo dopo il caos! Erano in tre e una era
una
ragazza, ve lo dico io che l’ho vista, era una ragazza Sant’Iddio! È
volata giù
e ha rovesciato tutte le casse qualche metro più avanti, Ian ha
iniziato a
urlare come una gallina a cui prendono le uova-
Nel locale si sollevarono risa e fischi di
approvazione,
qualcuno ardì a imitare il mercante e le risate si fecero ancora più
forti.
Jael bevve in un baio si sorsi tutto l’alcool rimasto nel boccale
mentre le
risate scemavano
-E lo stesso hanno fatto gli altri due. Poi due
Unicorni
hanno provato a prenderli-
-E com’è finita! Diccelo!- urlò qualcuno dal fondo
della
sala con una nota divertita nella voce, Jael ridacchiò tra se e se
-Secondo voi? A me pare ovvio! Quegli idioti non
sono
riusciti a fare più di qualche metro prima di cadere a terra con i fili
tagliati!-
La folla proruppe nuovamente in risa e urla,
neanche fosse
stato lui stesso il protagonista di ciò che stava raccontando. Si alzò
in piedi
sullo sgabello mimando in impacciato inchino prima di tornare a
sedersici
sopra. Mie non riusciva a trattenere un sorriso, gli occhi che
brillavano al
pensiero dell’umiliazione subita da quei soldati.
-Al lavoro!- il richiamo del padre che le passava
un boccale
vuoto la rianimò e sorrise allegra riprendendo a lavorare.
Mihir nascosto dietro la porta socchiusa aveva
ascoltato
tutta la storia, sentiva l’adrenalina pompargli nelle vene e la voglia
matta di
urlare. Chiuse la porta con attenzione correndo poi in camera da letto
e
scostare i vestiti in fondo all’armadio, prese il libro e lo aprì
rivelando un
foglietto di carta che aprì con cura. Le lettere non erano chiarissime
e in
alcuni punti l’inchiostro non aveva preso bene, ma era normale; infondo
quando
aveva scritto la lettera aveva tenuto conto che il foglio messo sotto
non
sarebbe venuto benissimo nonostante avesse usato apposta una quantità
maggiore
di inchiostro per far passare le lettere.
Si sedette sul letto rileggendola.
Note e
Scleri dell'autrice:
1 Okay,
qui ho messo un asterisco perché mi rendo conto che
la risposta di Mie può non essere chiarissima e vi meritate qualche
spiegazione, andiamo con ordine dunque. Tanto per cominciare il “pane”
del
sottosuolo io me lo sono sempre immaginata diverso dal nostro e vi
spiego il
perché: ovviamente, come si intuisce dal nome, il Distretto Sotterraneo
si
trova sotto terra, quindi tutte quelle belle cose che crescono qua da
noi grazie al sole per ovvi motivi li sotto
non crescono o, comunque, crescono in quantità molto limitate. Tra
queste cose
c’è il grano. E, come tutti sappiamo, senza il grano non si fa la
farina. Con
questo non dico che non esiste la farina, non fraintendetemi,
sicuramente è
possibile comprarla, ma a prezzi molto elevati poiché ne esiste poca
visto che
proviene solamente dalla superficie. Per questo immagino che, molto
probabilmente, gli abitanti di questo distretto si saranno arrangiati
nel corso
del tempo con quello che potevano coltivale la sotto, ovvero tuberi e
radici
(come le patate, barbabietole, rape, pastinaca, carote, rafano,
zenzero, etc
etc) e legumi (ceci, lenticchie, fagioli, fave, etc etc). Ecco spiegato
perché
quando Mie dice di dover fare il pane Mihir prende ceci e patate e non
farina e
acqua. Seconda cosa, perché dice “pane al carbone”? Semplice,
ricordatevi che
Mihir aveva sul tavolo ancora la boccetta d’inchiostro che si poteva
rovesciare
e quindi finire nell’impasto, inoltre l’inchiostro è formato
principalmente da
acqua e nerofumo (la sostanza residua che di ottiene quando si brucia
il
carbone, appunto, o il petrolio), ecco spiegata la frase di Mie.
Scusate se
sono stata un po’ prolissa, ma non ero sicura che fosse di intendimento
immediato e per questo ho preferito spiegarla, grazie della pazienza (:
2 La mescalina è una sostanza
stupefacente che esite davvero e proviene da uno specifico cactus
messicano (il peyotl). Ha l'aspetto ti una polverina bianca-marroncina
che si può sciogliere in acqua, essere bevuta o mangiata, oppure fumata
(come nel nostro caso). Gli effetti sono allucinazioni, eccitazione,
insonnia, logorrea, sensazioni di onnipotenza e così via, da dipendeza
psichica. Ho prefeito insierire questo tipo di droga più per motivi
strettamente stilistici che altro, infatti, almeno a me, suonava molto
meglio nella frase rispetto a marijuana, oppio o hashish.
E ora passiamo alle note vere e proprie! Spero che
il capitolo vi sia piaciuto, perchè è stato un po' un'ispirazione del
momento. Infatti quando ieri ho aperto word per rileggere il capitolo
mi sono accorta che era orrendo quindi ho cancellato tuttoe
ricominciato a scrivere. Spero di essere riscita a trasmettervi quello
che ho provato io mentre lo scrivevo e, soprattutto, che non sia
risultato noioso, come invece era la prima stesura. Sono davvero
curiosa di sapere che ne pensate!
Inolte entra in scena, anche se indirettamente, un'altro personaggio
che tutti noi conosciamo molto bene... chi ha indovinato chi è? Chissà
se almeno stavolta sono riuscita a mantenere un po' di suspance.
La nostra Mie ha deciso di accetare l'accordo con Levi e Farlan
(ringrazio tanto Saira KH per aver votato a tal proposito), cosa ne
pensate? Avra fatto bene? o andrà tutto a rotoli? Lo scopriremo insieme
leggendo XD E il nostro vecchio e caro Chayse? Lui è ancora all'oscuro
di tutto, ma per qunto ancora? Mie forse non è l'unica a nascondere
qualcosa. E L'ultima domanda del capitolo lascia molti quesiti aperti,
tra cui:
Mihir sta
davvero nascondendo qualcosa a Mie?
A- Sì
B- No
La risposta a questa domanda è fondamentale per lo svolgimento della
storia, un vero e proprio punto di svolta in entrambi i casi, votate
numerosi mi raccomando! Più giocatori siamo e più ci divertiremo
insieme in questa avventura!
Alla prossima settimana,
Imoto-chan
|
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Capitolo 8 *** Atto VII - Discorsi ***
Atto VII
Discorsi
Chiuse la porta con attenzione correndo poi in
camera da
letto, scostò i vestiti in fondo all’armadio e prese il libro, la
copertina era
rigida e fredda, ma in quel momento non si fermò a rimirare le lettere
in
rilievo e i decori incesellati. Lo aprì con sicurezza sfogliandolo
appena e
rivelando un foglietto di carta che aprì con cura. Le lettere non erano
chiarissime e in alcuni punti l’inchiostro non aveva preso bene, ma era
normale; infondo quando aveva scritto la lettera aveva tenuto conto che
il foglio
messo sotto non sarebbe venuto benissimo, nonostante avesse usato
apposta una
quantità maggiore di inchiostro per far passare le lettere.
Si sedette sul bordo del letto, la lettera tra le
mani e la
rilesse attentamente. Le lettere scivolavano sotto i suoi occhi
impresse nella
mente, le labbra che mimavano senza voce prima ancora che arrivasse a
fine
parola. Non poté trattenersi dal sorridere quando raggiunse l’ultima
frase,
alzò viso verso il soffitto trattenendo per un attimo il fiato, sentiva
il cuore
battere vivo, pompare vita nel suo corpo. I muscoli erano tesi quasi
fosse in
preparazione di un salto o di una lunga corsa e sentiva un
insolitamente
piacevole pizzicorio alla base della nuca.
Sentiva il bisogno fisiologico di alzarsi e
correre, fuggire
lontano fino a che le gambe avessero retto, voleva urlare a
squarciagola,
gridare semplicemente fino a perdere la voce, ridere fino a farsi
venire il mal
di pancia e sentire le guance rigarsi di lacrime. Voleva smettere di
respirare,
sentirsi vivo ed esistere. Voleva la luce accecante negli occhi e il
caldo del
sole sulla pelle. Respirare il freddo della notte e farsi avvolgere del
buio
delle stelle.
Ridacchiò.
Il rumore della risata tra quelle pareti vuote
parve
spezzare quell’atmosfera irreale che si era creata, il tempo riprese
lentamente
a scorrere e l’euforia scemò insieme all’adrenalina.
Socchiuse gli occhi provando a immaginarsi anche
lui a
volare in alto, quasi a sfiorare il soffitto in pietra, sorrise amaro
abbassando il capo e tornando a fissare il mero inchiostro. Poteva
sentire
l’amarezza far scemare ogni tipo di energia e improvvisamente si sentì
più
spossato che se avesse corso da una parte all’altra del Distretto.
Strinse i
denti trattenendo un urlo e strinse le palpebre. La carta si stropicciò
appena
tra le sue mani e lui emise un verso a metà tra un singhiozzo e un urlo
di
frustrazione.
Fissò ancora quelle lettere che avevano perso
ormai ogni
tipo di fascino e raccolse il libro da terra, dove era caduto. Infilò
la
lettera tra quelle pagine avendo cura che non sporgesse dal bordo e poi
lo
rimise sul fondo dell’armadio. Chiuse le ante sospirando appena e voltò
lo sguardo,
la piccola finestra pareva ritagliata in quel muro massiccio e dava
sulla piazzetta
alla base della scalinata, i soldati osservavano oziosi i pochi
passanti che
provavano ad avvicinarsi, le lame scintillanti sotto i mantelli verdi.
Chiuse gli occhi respirando solo per un attimo
ancora quell’aria
magica che ancora rimaneva sospesa tra la polvere e l’umido scuotendo
la testa.
Non era ancora il momento.
Era stanca, sia mentalmente che fisicamente,
mentre varcava
l’ingresso di casa. Si massaggiò gli occhi stancamente gemendo appena,
tolse
con un gesto secco il nastro che teneva i capelli raccolti in una ormai
scompigliata coda di cavallo e si prese qualche secondo per
massaggiarsi le
spalle. Chayse era in cucina a mangiare, lo sapeva, e prima o poi
avrebbe
dovuto affrontarlo. Ma non ora. Non adesso. Era troppo stanca per farlo.
Aprì gli occhi di scatto, quasi cercando di
scacciare quei
pensieri che, infidi, le se annidavano dietro le palpebre e si diresse
in
bagno, allo specchio vide un riflesso che non la rappresentava. La
ragazza allo
specchio aveva già ventisette anni e le borse sotto agli occhi, le
labbra
sottili e i capelli radi e fini che ricadevano sul viso
disordinatamente, gli
occhi castani che si nascondevano dietro di essi erano stanchi.
Sorrise. Era
bella, di quella bellezza spontanea che l’aveva portata ad avere quella
vita e
che il fato dona ciecamente senza motivo. Eppure quel riflesso
sorridente e
sfatto, sensuale e bambinesco non era suo. Non era così lei, non in
quel
momento. Aprì l’acqua sciacquandosi il viso e qualche goccia fredda
cadde anche
sul vestito che indossava, pigramente lo tolse appoggiandolo per terra
vicino a
se e tornò a mettere le mani sotto il rubinetto rabbrividendo, era
ghiacciata.
Si lavò velocemente il collo e il petto, le ascelle e le braccia
resistendo
stoicamente al freddo che l’attanagliava per poi asciugarsi velocemente
con un
panno. Non aveva voglia di prepararsi l’acqua calda quella sera,
inoltre
lavarsi completamente l’avrebbe inutilmente esposta alla possibilità di
ammalarsi. Si rivestì, asciugò per terra e uscì dal bagno. La porta
della
camera da letto al piano terra era chiusa e dalla cucina non proveniva
più alcuna
luce o rumore. Chiuse attentamente la porta dietro di sé avviandosi per
il
corridoio facendo meno rumore possibile.
Chayse doveva essere già andato a dormire e non si
stupiva
visto l’orario tardo che era, probabilmente anche Mihir già dormiva nel
suo
letto e il pensiero delle coperte calde la rassicurò. Salì le scale
sgusciando
in camera e osservando il corpicino nel letto di fronte a se.
Il fratello dormiva sereno, appena illuminato
dalla luce del
lampione che entrava dalla finestra. Si tolse velocemente il vestito
per infilare
un’assai più comoda camicia da notte e poi si mise a sua volta a
dormire.
Sperava solo che il respiro regolare di Mihir la tenesse lontana da
sogni
angosciosi e incubi.
Eppure non riusciva a prendere sonno, sentiva
quasi di
starsi per mettere a piangere dalla disperazione. Odiava la notte,
perché era
in quel momento, quando ogni possibilità di vedere il sole svaniva, che
i
tormenti e le ossessioni si affacciavano all’orlo della mente, urlando
e
imprecando frasi oscene che le attanagliavano le budella. Sentiva i
richiami
della Signora, il pianto disperato di un Mihir ancora infante, i gemiti
di
Corinne, i grugniti degli uomini, le suppliche dei mendicanti per
strada e i suoi
singhiozzi.
Strinse la coperta tra le mani raggomitolandosi,
aveva la
nausea e gli occhi gonfi, lo sapeva, dalle lacrime. Strinse tra i denti
i
singhiozzi impedendogli di fare rumore e spinse le ginocchia contro il
seno.
Lentamente la disperazione si acquietò sostituita
dalla
stanchezza e si lasciò andare al sonno, in una notte senza sogni.
Il risveglio colse entrambi preparati e quando i
primi
clienti iniziarono ad entrare nel locale Mie era, contro ogni
aspettativa, già
dietro al bancone pronta a servirli. La giornata era cominciata bene e
questa
era buona cosa. Mihir annuii tra se e se a quella considerazione
addentando l’ultimo
pezzo di pane che era rimasto nel piatto, si era svegliato bene,
riposato e in
forze, con una gran voglia di mangiare e di rendere quella giornata una
bella
giornata!
Mise il piatto sporco nel lavello e andò in
locanda per
aiutare la sorella, il padre stava ancora dormendo, ma era sicuro che
si
sarebbe svegliato poco dopo. Non riusciva proprio a starsene con le
mani in
mano quando c’era del lavoro da svolgere.
-Buongiorno!-
Uno dei clienti lo saluto con un grosso sorriso e
Mihir
ricambiò avvicinandosi, lo aveva riconosciuto praticamente subito. Jago
era un
ragazzo sui vent’anni, simpatico e cordiale era una di quelle
personalità che
raramente si incontrano, ma che quando succede calamitano su di se
tutti coloro
che sono nelle vicinanze, non per nulla il tavolo era già pieno.
-Jago!- il bambino lo salutò mentre il giovane
sorridente lo
prendeva sulle ginocchia, Mihir provava per lui una sorta di simpatia
mista ad
ammirazione. Forse perché, da che ricordasse, lui era l’unico che
quando
parlava lo prendeva sul serio anche quando era più piccolo.
-Allora hai qualcosa da raccontarci oggi?-
Finse di pensarci su prima di scoppiare a ridere e
scuotere
la testa -No-
-Oh andiamo- anche il giovane rise
posizionandoselo meglio
in braccio in modo che tutti i presenti potessero guardarlo in faccia
-Deve essere
successo per forza qualcosa-
Nonostante stessero parlando di tutt’altro con
poche frasi
Jago era riuscito a calamitare naturalmente tutta l’attenzione dei
compagni sul
di lui, era incredibile. Sorrise
-Forse… Sono andato con Mie al mercato- ammise
-Allora avevi fatto qualcosa!- esclamò divertito
uno dei
presenti
Sollevò le spalle facendo scoppiare a ridere il
tavolo
-Fortuna che state bene- affermò un uomo
occhieggiando
ampiamente Mie dietro al bancone -Sarebbe stato un peccato se si fosse
fatta
del male-
-Improbabile, so che non si è fatto male nessuno-
L’uomo lanciò un’occhiata al compagno -Cazzate, la
figlia di
mio cugino si è beccata un bel po’ di gomitate in quella ressa-
L’altro sollevo le spalle -Colpa sua-
Si fissarono malamente e l’uomo stava per
ribattere quando
la voce di Jago li interruppe -In effetti c’è venuto un sacco di
confusione, alcuni
mercanti si sono anche presi qualche cassa in testa-
-Ben gli stava!- disse qualcuno tra le risate -Con
quei
prezzi che fanno sono dei ladri! Ladri vi dico!-
-Ormai lo sappiamo, e ogni giorno i prezzi
aumentano, il
pedaggio per le scalinate dicono-
-Il pedaggio un cazzo- intervenne uno -Sono solo
dei fottuti
truffatori! E quei deficienti gli danno corda!-
Qualcuno schioccò la lingua sul palato -Gli
Unicorni? Ma
cosa vuoi che facciano quelli, sono senza spina dorsale! Non
riuscirebbero a
uscire vivi neanche da una rissa da bar!-
-Già, vi dico io la prossima volta che provano a
fare i
gradassi, un pugno sul naso e qualche calcio nello stomaco! Quello si
che gli
fa passare ogni voglia di scherzare!-
Cori di approvazione si levarono dal tavolo -E
pensi di dargliela
tu la lezione?-
-E chi altri!-
Un paio di loro risero -Ma se non saresti neanche
da dove
cominciare!-
-Ti arresterebbero prima ancora che tu possa solo
pensare di
chiudere il pugno!-
-Che stai dicen…-
-In realtà lo ucciderebbero-
Calò un attimo di silenzio sul tavolo mentre più
paia di
occhi si giravano nella sua direzione, Mihir si sentì a disagio in quel
momento, poi per il tavolo si sparse una risatina isterica prima che
qualcuno
rispondesse alla sua affermazione
-Non possono uccidere la gente così-
-Ma lo fanno- la voce ferma e sicura di Jago
attirò subito l’attenzione
di tutti -Ed è anche una cosa risaputa. Abbastanza perché anche i
bambini ne
siano a conoscenza-
Storse leggermente la bocca a sentirsi apostrofare
come “bambino”,
ma decise di ignorare la cosa. Infondo gli aveva dato ragione, no?
Il gelo era calato sul tavolo e la gente si
muoveva
irrequieta sulle sedie borbottando imprecazioni
-Se solo avessimo anche noi quei cazzo di
movimenti non
farebbero tanto gli sbruffoni-
-In ogni casi bisognerebbe imparare a usarli-
ricordò
qualcuno amaramente -E non sembrano disposti a insegnarlo-
-Puah, se c’è l’hanno fatta quei ragazzini
possiamo farcela
anche noi no? Basterebbe averceli!-
-E chi ti dice che basterebbe davvero?-
Jago schioccò la lingua intervenendo -Non mi
sembra che i
ragazzini siano mai stati catturati-
-Ha ragione! Se solo li avessimo- la voce si
spense mentre
la testa dell’uomo sprofondava sul tavolo in legno
-Se solo, se solo, se solo, siete davvero capaci
di dire
solo questo?-
L’uomo alzò la testa fissando Jago negli occhi
-Cos’altro
dovremmo fare? Cosa possiamo fare oltre a stare seduti qui eh?- chiese
amaro
-Combattere-
Mihir si girò leggermente fissando il giovane
negli occhi,
era serio, tremendamente serio
-Quei ragazzini sono più piccoli della maggioranza
di noi,
eppure combattano contro quei bastardi e vincono! Ogni
stramaledettissima
volta! Chi ci dice che per noi non è possibile?-
-E dove pensi di trovarli dei cazzo di Movimenti
eh, Jago?-
-Mercato nero, costano un po’, ma mettendo qualche
soldo da
parte potrem…-
L’interlocutore scoppio a ridere -Soldi? Io a
malapena ho
abbastanza per far mangiare mia moglie e tu mi parli di mettere da
parte i
soldi per una rivoluzione?-
-O questo o continuerai a non avere da che
mangiare per
sempre-
-Fallo allora, avanti!- lo sfidò -Metti in piedi
una
rivoluzione e ti seguiremo-
Jago scosse la testa sospirando
-Ma non fate prima a unirvi a loro?- gli sguardi
si
spostarono nuovamente su Mihir
-Spiegati- lo incoraggio il giovane alle sue
spalle -Coraggio-
-Voi avete detto che i tre ragazzi del mercato
usano i
Movimenti tridimensionali e riescono a scappare dagli Unicorni giusto?-
L’uomo borbottò un sì, seguito dai compagni
-Quindi si può dire che, a modo loro, stanno
portando avanti
una rivoluzione, umiliando i soldati e dimostrando alle persone che non
sono
imbattibili. Se a loro si aggiungessero altre persone insieme
potrebbero
battere gli Unicorni-
Jago batté le palpebre un paio di volte
-Rimarrebbe il
problema dei Movimenti. Costano troppo a quanto pare- ripeté
sottolineando con
una punta di acidità l’ultima frase, l’uomo sbuffò irritato
-La penultima volta erano due. Al mercato ieri
erano tre.
Magari conoscono un modo per ottenere i Movimenti tridimensionali a
poco prezzo-
meditò, poi scosse la testa -Sbagliato- sussurrò tra se e se
I presenti corrucciarono le sopracciglia -Cioè? Se
devi dire
qualcosa parla!-
-Pensate a quando si presentano, lo fanno sempre
al mercato,
eppure non hanno un momento fisso. Sembra che le loro apparizioni
vadano a
caso, se non fosse così? Il loro scopo, forse, non è solo rovesciare
casse di
frutta e dimostrare di poter scappare dai soldati-
-Il mercato nero- gli occhi di Jago si
illuminarono -Qualcuno
deve pur portarceli i Movimenti lì no? In modo che possano rivenderli!-
-Sono loro a vendere i Movimenti?- chiese
sconvolto uno dei
presenti
-Cazzo-
-Non ci credo!-
-Forse- pigolo Mihir
-Lasciatelo dire bimbo, sei un genio!- la mano
grossa dell’uomo
calò sulla sua testa accarezzandogli i capelli mentre si perdeva in una
risata
-Invece di organizzare sommosse e rivoluzioni vi
consiglio
di discutere su quanto sia bello il soffitto della locanda-
I presenti si girarono a osservare Mie che con un
gesto
veloce posò qualche boccale sul tavolo
-Ehi, non abbiamo ordinato niente, non…-
Un gesto veloce della testa di Jago spinse tutti a
voltare
lo sguardo alla porta, dove due soldata stavano entrando pulendosi gli
stivali
-E la prossima volta pensateci due volte prima di
mettere in
testa a Mihir queste stupide idee rivoltose, o vi devo ricordare la
sommossa
dei mercanti di quattro anni fa?-
Gli uomini sbiancarono abbassando il capo mentre
Mie lo
afferrava per un polso tirandolo giù dalle gambe di Jago per portarlo
dietro al
bancone. Si chinò leggermente sulle ginocchia per arrivare alla sua
altezza e
lo fisso seria
-Vedi di stare più attento la prossima volta
Mihir, intesi?-
Annuii velocemente -Però Jago…-
-Ha ragione-
Sgranò gli occhi fissando la sorella, mai una
volta aveva
supportato le idee del ragazzo, che le prendeva adesso?
-Jago ha ragione, lo ammetto. Ma non è adesso il
momento
giusto per parlarne-
Si tirò su continuando a lavorare come se niente
fosse.
Mihir la fissò ancora qualche secondo, in effetti la sorella era sempre
intervenuta prima che le conversazioni degenerassero a tal punto, ma
aveva
ingenuamente pensato che non se ne fosse semplicemente accorta.
-Vai a svegliare papà? Il locale si sta riempiendo
e abbiamo
bisogno di aiuto-
-Va bene- corse in casa chiudendosi il rumore e il
chiacchiericcio
dietro di se, possibile che quella lettera le avesse fatto cambiare
idea a tal
punto?
-Papà?- lo richiamò appena da dietro la porta
socchiusa, ma
l’uomo stava ancora dormendo quindi si azzardò a entrare. La stanza era
totalmente buia per la mancanza di finestre, ma la conosceva abbastanza
bene da
non sbattere contro lo spigolo del cassone in fondo al letto o
calpestare l’asse
sfondata lungo il bordo della stanza.
-Papà?- richiamò arrampicandosi sul letto. L’uomo
borbottò
allungando un braccio, Mihir sorrise lasciandosi accarezzare e
accoccolandosi
contro il corpo caldo -Papà, Mie ha bisogno con la locanda, è piena!-
Sbuffò rumorosamente per poi alzarsi e accendere
la luce, immediatamente
la stanza si rischiarò rendendo evidente il disordine che vi regnava.
-Mi preparo e arrivo subito uhm?-
-Bene!- accordò sedendosi a gambe incrociate sul
letto -Sono
anche arrivati dei soldati-
-Ah, davvero?-
-Hm hm- annuii -E ci sono anche Jago e altri-
-Oh, bene- Chayse sorrise e Mihir lo seguì mentre
usciva
dalla stanza ormai vestito e pronto.
Quando rientrarono nella locanda buona parte dei
tavoli
erano stati occupati, così come il bancone. Mie si avvicinò
velocemente, i
capelli racchiusi nella solita coda e un sorriso sul volto
-‘Giorno papà!-
-Vai a preparare il pranzo?-
Annuii -Sarebbe il caso, ci vuole un po’ a
preparare e lo
sai come sono i clienti-
-Tutto e subito?-
Ridacchio -Esatto, vogliono tutto e subito- il
sorriso si fece
un poco più preoccupato e lo sguardo sguizzò verso il tavolo di Jago
-Dacci un
occhio in più, non voglio che creino problemi, non adesso-
Chayse sollevo il sopracciglio -Tutto questo
interessamento…
devo sospettare qualcosa? Infondo l’età è giusta!-
Mie lo guardò confusa prima di capire l’allusione
e ridere -Non
dire sciocchezze, non è quello il motivo-
L’uomo sorrise poggiandogli una mano sulla spalla
prima di
dirigersi verso il bancone. I due soldati stavano già bevendo
soddisfatti dai
loro boccali ridendo sguaiatamente su qualche aneddoto che non avevano
avuto il
privilegio di conoscere. Poco lontano il tavolo dove Mihir era stato
seduto
fino a poco prima era diventato silenzioso e cupo, più di
un’occhiataccia partì
da quegli avventori verso gli Unicorni.
-Dai una mano a papà- gli sussurrò Mie prima di
tornare in
cucina e lui si diresse verso il padre.
Note e Scleri dell'autrice:
Giocatori e giocatrici non sono morta! HA! Alla faccia vostra vi
tormenterò ancora per un sacco (si spera). Ovviamente sono in ritardi
di una settimana, ma questo lo sapete anche senza che sia io a dirvelo,
no? Presumo che vogliate sapere piuttosto il motivo... bhè è un
capitolo importante perchè iniziamo ad addentrarci sempre più nella
storia principale, so che magari adesso a molti di voi questo
sembreràun pallosissimo e noiosissimo capitolo di ntransizione, ma in
realtà qui si poggiano le basi di molte delle sottotrame e dei segreti
che verrano svelati nel corso dei capitoli futuri. Quindi pazientate e
leggete ;)
So che rischio di sembrare ripetitiva ma il precedente, questo e i
prossimi 3/4 capitoli saranno fondamentali
per la storia in quanto decideranno la sorte del protagonista in
maniera radicale, chi saranno gli antagonsti e chi gli aiutanti, chi
morirà e chi sopravvivrà e quali segreti verrano svelati (o moriranno
con i personaggi). Quindi votate numerosi mi raccomando, esprimete la
vostra opinione senza paura sia tramite recensione che tramite MP. La domanda è questa:
I soldati si sono accorti o
hanno intuito i discorsi e l'ostilità di Jago e dei suoi compagni?
A- Sì
B- No
Aspetto le vostre risposte!
Imoto-chan
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