Rise - Dalle tenebre alla luce

di imoto
(/viewuser.php?uid=648723)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I - Nascita ***
Capitolo 2: *** Atto II - Vita ***
Capitolo 3: *** Atto II - Casa ***
Capitolo 4: *** Atto III - Incontro ***
Capitolo 5: *** Atto IV - Ricordi ***
Capitolo 6: *** Atto V - Pensieri ***
Capitolo 7: *** Atto VI - Lettera ***
Capitolo 8: *** Atto VII - Discorsi ***



Capitolo 1
*** Atto I - Nascita ***



Atto I
Nascita

L’urlo agonizzante era solo l’ennesimo che rimbombava tra quelle quattro mura e oramai nessuno se ne curava più di tanto

-Ci siamo!- urlò la levatrice mentre tastava il ventre della gestante nel tentativo di capire la posizione del bambino

-Allora?- chiese ansiosamente una donna, le rughe formavano una ragnatela intricata sul suo viso e sulle mani dandogli un aspetto più saggio di quello che in realtà non fosse.

-È a testa in giù!- urlò la levatrice, le grida della partoriente erano continue e interrotte solo ogni tanto da qualche breve boccata d’aria, il letto sfatto e umido di sudore la ospitava già da molte ore, i capelli erano legati in una rozza coda ormai sfatta e cadevano sul viso e sulle spalle, appiccicandosi al viso

-Manca poco!- la donna artigliò con le mani il braccio della levatrice e della allieva, la prima se la levò di dosso con un gesto secco per poi tirare per un braccio la ragazza vicino all’anziana

-Dagli appoggio!- ordinò portando la mano della madre al braccio della giovane per poi posizionarsi tra le gambe della donna -SI VEDE LA TESTA!- urlò cercando di sovrastare la confusione

-Spingi! PIÙ FORTE! Ancora! SPINGI! PIÙ FORTE!-

L’incitamento ritmico era urlato con tutta la voce, la gestante voleva solo che uscisse, che tutto quello finisse una volta per tutte.

-Spingi! Ancora! Più forte! ORA! Fermati e respira!-

L’allieva gli asciugò velocemente il sudore dalla fronte per evitare che gli finisse negli occhi e la donna si fermò prendendo grosse boccate d’aria e buttando la testa all’indietro.

Con una manovra sapiente e aiutata dagli oli che l’allieva continuava a versare sulla testa del feto, la levatrice afferrò il nascituro per le scapole tirandolo fuori, velocemente lo mise a testa in giù e gli diede un paio di colpi decisi su quelle che sarebbero diventate le natiche. In una reazione immediata l’aria riempi i piccoli polmoni e l’urlo fragoroso del piccolo invase la camera sostituendosi a quello della madre. L’allieva afferrò il cordone ombelicale e avendo cura di stringerlo abbastanza da fermare il flusso sanguigno da entrambi le parti,  lo tagliò a una decina di centimetri dal bambino per poi farci un nodo. La levatrice gli diede immediatamente il bambino tra le braccia avvicinandosi nuovamente alla madre per controllarne le condizioni.

-Quindi?- chiese l’anziana

-Sembrerebbe tutto a posto, dobbiamo solo aspettare che espella la placenta poi tutto sarà finito-

L’anziana annuii avvicinandosi alla donna sul letto e fissandola severa -Spera di aver fatto un buon lavoro-

La donna annuii stancamente. La levatrice gli poggiò le mani sulle ginocchia attirando la sua attenzione -Ancora un ultimo sforzo, dobbiamo far uscire la placenta del tutto o rischia di svilupparsi un infezione-

Tirando su la testa e guardando stancamente la donna che l’aveva aiutata fino a quel momento annuii

-Prendi un grosso respiro e alla prossima contrazione spingi con tutta la forza che hai, dovrebbe essere l’ultima-

L’ultimo urlo riempì la stanza inebriando i sensi dei presenti, misto all’odore di sangue, sudore e liquido amniotico, li lascia quasi storditi. La levatrice da una rapida occhiata alla placenta assicurandosi che sia uscita tutta e annuendo soddisfatta tra se e se. L’allieva lascia il piccolo sul petto della madre mentre scappa fuori a prendere una tinozza.

-Tu!- la giovane ragazza in piedi affianco al letto sussulta -Vai a scaldare qualche brocca d’acqua, dobbiamo lavare sia lei sia il bambino!-

La giovane scappa fuori evitando per poco di scontrarsi con l’allieva della levatrice che rientra nella stanza con una tinozza piena d’acqua fredda, la poggia affianco al letto e vi immerge una pezza per poi passarla delicatamente tra le gambe della donna per pulirla

-È fredda-

La levatrice annuisce mentre l’allieva continua il suo lavoro –L’acqua calda la useremo per il piccolo. Nelle prossime ora dovresti sanguinare ancora, ma non molto, ti sembrerà semplicemente di avere il mestruo e tutto dovrebbe finire entro domani-

La donna annuisce tornando a guardare ammirata il fagotto accovacciato tra le sue braccia

-Per il pagamento...-

L’anziana non le permette neanche di finire la frase, avviandosi verso la porta -Certo, mi segua nel mio ufficio-

Le due donne escono lasciando le giovani sole nella stanza.

-Tra poco dovrebbe tornare la ragazza con l’acqua calda- è l’allieva a rompere il silenzio venutosi a creare nella stanza -Avete degli asciugamani o qualcosa di simile per avvolgere il neonato?- chiede alzandosi da di mezzo le sue gambe

-Dovrebbe essercene uno morbido nel primo cassetto della scrivania- risponde la madre ancora presa a fissare la vita che ha portato in grembo per nove mesi, adesso sa che se ne prenderà sempre cura, qualsiasi cosa accada perché non può fare a meno di amarlo.

La ragazza rientra in camera con due brocche di acqua bollente e l’allieva gli fa cenno di rovesciarle nella tinozza con l’acqua fredda

-Ma così si raffredderà!- obietta la giovane fissando di traverso il contenitore di metallo

-Hai per caso intenzione di lessare il poppante?- chiede retorica poggiando la salvietta sulla testiera del letto. L’altra fa una smorfia per poi rovesciare le due brocche nella tinozza. L’allieva si avvicina immergendovi dentro una mano e annuendo tra se e se, prende il bambino dalle mani della madre e lo immerge fino al collo ignorando le urla e gli strilli dell’infante.

-Hey! Fermati!- urla la madre spaventata

-È normale! Tranquilla, è solo che te lo ho tolto dalle braccia-

Non del tutto convinta si sporge dal letto osservando con occhi attenti ogni movimento della ragazza, come passa l’acqua sul corpicino togliendogli ogni traccia di sangue e sporco dovuto alla sua lunga permanenza nel suo ventre. Si sente tremendamente stanca, eppure non riesce a chiudere gli occhi, il sangue gli cola nuovamente tra le gambe e sa che dovrà nuovamente lavarsi quando lei e la levatrice se ne andranno. Il piccolo viene asciugato velocemente e, agli occhi della madre, in maniera decisamente brusca, con un panno sottile per poi essere avvolto nella morbida e calda coperta ed essergli posato nuovamente in grembo.

-Cerca di non lasciarlo ne troppo al freddo ne troppo al caldo, è delicato e potrebbe ammalarsi. Per i primi tempi perderà un po’ di peso, è normale, ma poi inizierà a crescere-

La madre annuisce tranquilla, immagazzinando tutte le informazioni datele dalla giovane.

-Addio-

Gli risponde con un sorriso mentre esce dalla porta portandosi appresso la tinozza piena di acqua ormai sporca.

-Allora- attira la sua attenzione Mie, ha 17 anni e lavorano insieme nel bordello, è stata lei a occuparsi di tutto ciò che aveva bisogno negli ultimi mesi e le è grata oltre ogni misura -Hai deciso come chiamarlo, o chiamarla?- chiede avvicinandosi e ridacchiando.  Sono entrambe felici oltre ogni limite.

Sorride amorevolmente fissando con i suoi occhi azzurri il piccolo viso tra le sue braccia e ringrazia gli dei di quella benedizione, spera solo che lo proteggano ancora un po'.



Note e scleri dell'autrice:

Ehilà! Come state giocatori e giocatrici? Spero bene, perchè è il momento di imbarcarsi con me in questa avventura! é la prima volta che provo un esperimento del genere e spero vada bene! Come avrete capito dall'introduzione questa storia si basa, come concetto, sulle visual novel: quei giochi dove puoi scegliere come far reagire il tuo personaggio in certe situazioni (es. Dolce Flirt, Katawa shoujo et simila). Ovviamente voi potrete scegliere tramite commenti e/o messagi privati, alla fine di quasi ogni capitolo troverete una domanda con due opzioni: A e B. Dovrete semplicemente scegliere quella che vi aggrada di più e inviarmi la vostra risposta, l'opzione votata dalla maggioranza sarà quella che utilizzerò per mandare avanti la storia. La pubblicazione è su base settimanale, tutti i Mercoledì penso, quindi avrete tempo per "votare" fino a Lunedì mattina (per ovvi motivi...). Spero che partecipiate in tanti e che questo esperimento vada in porto ^^ ecco quindi la prima domanda:

Il neonato di questo capitolo è:
A- un maschietto

B- una femminuccia

Rispondete in tanti!
Imoto-chan




Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Atto II - Vita ***


Atto II
Vita


-Di quel fiore calpestato

Nessuno ricorda il nome

Oggi pregheremo invano

Tutto è già predestinato

 

Ordini severi muovono il vento

Soffocano il tuo respiro

Lascia che bruci la sua speranza

Lascia che bruci la sua illusione

 

Da questa fiamma possiamo annunciare

La guerra inizia da qui-*

 

La melodia che aveva accompagnato il bambino nel sonno parve rimanere sospesa nell’aria per qualche secondo prima di dissiparsi completamente. Mie lo cullò con dolcezza per poi adagiarlo all’interno della cesta*, appositamente foderata con panni e asciugamani, che fungeva da culla per Mihir.

-Si è addormentato?- la voce era poco più di un sussurro accennato e pareva esprimere un dolore che la giovane, nel suo egoismo, sperava di non dover sopportare mai. Annuii girandosi verso la donna stesa sul letto

-Sì, le tue ninna nanne sono fantastiche per questo-

La donna sorrise amaramente indicando un posto vuoto sul letto accanto a se -Poggialo qui, ti prego-

Mie sollevo la cesta poggiandola poi su quel letto troppo grande per una sola donna, ma troppo piccolo per permettergli di dormire con qualcuno per un’intera notte

-Sei sicura? Potrebbe cadere…-

-È bellissimo non trovi?-

Mie osservò i lineamenti di quella madre che pareva troppo provata, troppo fragile per l’età che aveva, il suo viso era una maschera di amarezza e amore, un amore così grande, profondo, intenso e viscerale che ne ebbe quasi timore, velocemente spostò lo sguardo sul bambino; il suo viso trasmetteva nient’altro che serenità. Non era il primo bambino così piccolo che vedeva all’interno del bordello, ma era raro che sopravvivessero abbastanza a lungo da vederli pronunciare le prime parole. Come la maggioranza dei neonati Mihir non era bello, era uno sgorbietto rugoso e quasi totalmente pelato, dagli occhi chiari, che emetteva strilli acutissimi e pretendeva costantemente che tutti capissero cosa voleva, eppure Mie si era già affezionata e provava nei suoi confronti un grande affetto, forse non era il primo bambino che vedeva, ma era il primo di cui aveva assistito al parto e, soprattutto, era il figlio di colei che considerava amica. Trovare qualcuno da definire amico lì sotto, nel sottosuolo, era cosa più unica che rara eppure lei ne aveva una, tornò a fissare il viso della donna, tra poco l’avrebbe persa. Strinse le labbra in una riga rigida e dura, non era giusto.

-Vuoi che ti porti qualcosa? Qualche intruglio contro il dolore o per farti dormire meglio-

Lei gli sorrise amorevolmente -Torna nella tua stanza, hai già fatto abbastanza Mie-

Uscì velocemente tornando al lavoro, era ingiusto.

 

Osservo il viso di suo figlio e ora che era sola non poté impedire a una lacrima, una singola lacrima, di rigarle il viso. Le fitte all’addome diventavano a ogni respiro più dolorose e mangiare era qualcosa al di fuori di ogni possibilità, avrebbe rimesso tutto. Non ci aveva messo molto a capire che qualcosa era andato storto, nonostante fossero passati quasi tre giorni dal parto l’emorragia non aveva dato cenno a diminuire ed era sicura che non le rimanesse ormai molto. Affondò il viso nel cuscino, una mano ancora adagiata sulla guancia del piccolo, non aveva nulla. Strinse le labbra tra i denti, affondando i canini fino a far uscire qualche stilla di sangue nel tentativo di trattenere l’urlo di dolore che le aveva lacerato il ventre.

-Mihir- sussurrò lasciandosi andare in mezzo a quelle lenzuola sporche, il suo ultimo giaciglio. Pianse silenziosa tutte le sue lacrime maledicendo ogni dio e protettore, supplicandolo di proteggere il frutto del suo ventre, si morse le labbra e si tirò i capelli, singhiozzò con una mano sulla bocca e proibì alle urla di superare la barriera dei denti, fino a quando le forze non la abbandonarono e un velo calò per sempre sul suo sguardo.

 

Mie affrettò il passo sentendo il pianto di Mihir provenire dalla stanza, aprì la porta con una certa irruenza per avvicinarsi a grossi passi alla cula e afferrare il piccolo, lo cullò appena mentre lo sguardo si posava sulla madre. Il letto era zuppo di sangue come da tre giorni a quella parte, schioccò la lingua stizzita dal pianto continuo che gli perforava i timpani e si avvicinò meglio alla donna, ebbe premura di sistemarsi il bimbo addossato al petto prima di allungare una mano verso il suo viso, freddo. Due dita sotto il naso confermarono semplicemente ciò che la parte più razionale di se aveva già appreso. Si allontanò velocemente rimettendo Mihir nella culla e, afferrando qualche straccio e vestito che poteva interessarle, si avviò fuori. Il neonato nella culla improvvisata aveva smesso di piangere mentre osservava, curioso, il nuovo mondo che gli si prestava davanti: la volta grigia in pietra copriva tutto, l’aria era pesante e appestata, piena di odori malsani, l’umidità era percepibile anche da sotto la copertina che gli era stata gettata addosso e centinaia di rumori lo assordavano. Scoppiò nuovamente a piangere a pieni polmoni, affamato e spaventato mentre Mie camminava svelta per le strade del distretto sotterraneo.


Bussò con insistenza a una anonima porta di legno fino a che una donna non gli venne ad aprire, pareva stanca e smunta, oltremodo irritata sia dal pianto del bambino che dalla presenza della ragazza, ma li fece entrare richiudendo la porta dietro di loro.

-Cosa vuoi?-

Mie appoggiò la culla sull’unico tavolo presente nella stanza per poi girarsi verso di lei -Lui è Mihir- la donna sollevo un sopracciglio -Sua madre è morta- la donna scosse il capo osservandola irritata

-Primo, vedi di far smettere di piangere il marmocchio…-

-Mihir!-

-Si, si quello. Secondo, perché mai a me dovrebbe interessare?-

La conversazione fu interrotta dall’urlo di un altro neonato e velocemente la padrona di casa scomparve nella stanza adiacente per poi riapparire con in braccio una bambina che, avida, succhiava il late dal suo seno. Mie la indicò

-Per quello Manila, io non posso allattarlo e dovresti saperlo anche tu che il latte è praticamente impossibile da trovare e, in ogni caso, ha dei prezzi esorbitanti-

-Come tutto- commentò acida -E in ogni caso non mi interessa-

La giovane srotolò uno dei vestiti presi precedentemente e Manila sgranò gli occhi

-Dove lo hai…-

-Considarelo un pagamento-

Quella annuii staccandosi la bambina dal seno, la poggiò delicatamente sulla spalla picchiettandole sulla schiena un paio di volte

-Poggialo sul letto in camera-

Fece come gli era stato ordinato adagiando con cura la veste bianca sul materasso, era un abito semplice: scendeva fino alle caviglie dritto con una forma rettangolare, senza maniche e lo scollo pareva più un buco per permettere alla testa di passare. Mie glielo aveva visto addosso solo una volta e poteva solo immaginare che si trattasse di qualche pagamento o qualcosa di simile, la cosa sorprendete era il candore del tessuto, di un bianco ottico, quasi azzurrino, e la raffinatezza del materiale, morbido, leggero, fresco, pareva quasi di toccare una nuvola.

Tornò nella stanza principale mentre Manila stava allattando il piccolo Mihir che pareva più che felice di ricevere finalmente del nutrimento, la bambina era stata momentaneamente messa all’interno della culla del bambino e riposava tranquilla.

-È molto piccolo-

-Sì, ha pochi giorni- la donna annuii osservandolo attentamente -Non è tuo- affermò

-No- ripose Mie con ovvietà e Manila sospirò pesantemente

-Non voglio sapere nulla, non mi interessa finché mi paghi, solo giurami che non mi troverò i gendarmi o qualcun’alto davanti alla porta a causa tua-

-Te lo giuro- disse seriamente -Non avrei saputo da chi altri andare- aggiunse mesta

-Va bene. Probabilmente per i primi tempi avrà bisogno di mangiare molto spesso, ma col tempo imparerà ad avere degli orari regolari-

Mie annuii -Grazie, davvero- ci fu un lungo momento di silenzio mentre il bambino finiva di allattarsi -Hai detto che ha bisogno di mangiare spesso-

Manila strinse le labbra in una linea dura annuendo mentre riponeva il piccolo nella culla riprendendo in braccio la figlia -Sì, è molto piccolo. Ci vorranno un paio di mesi prima che inizi a mangiare a orari regolari-

-Io non posso fare avanti e indietro. E poi c’è il lavoro…-

La donna la fissò duramente –Non mi prenderò cura del marmocchio, mi basta mia figlia-

Mie sollevò lo sguardo testarda e si fissarono negli occhi -Quel vestito…- argomentò -quel vestito vale così tanti soldi che ne io ne te potremmo mai vederli in tutta la nostra vita! Non ho certo intenzione di lasciartelo per una semplice poppata!-

-E come avresti intenzione di pagarmi? Inoltre non mi pare che avessi precisato che il vestito valeva un’adozione!-

-Non dovresti adottalo!- la voce era diventata poco più che un sibilo iroso

-Ah no? E tu come lo definisci prendersi cura di un bambino non tuo ventiquattr’ore su ventiquattro? Per un tempo sconosciuto! A quanto ne so potresti sparire domani lasciandomi il marmocchio a carico-

Mie indietreggiò di un passo -Non lo sto abbandonando- ringhiò

-Davvero? A me sembra proprio di sì-

Abbassò il capo, stava davvero abbandonando Mihir? Dopo tutto l’affetto che aveva proclamato dentro di se di provare nei confronti di quel bambino lo stava davvero abbandonando? Chiuse gli occhi prendendo un respiro profondo, doveva calmarsi

-Prendi il marmocchio e le tue cose ed esci da casa mia-

Sollevò lo sguardo

-Ora!-

L’ordine perentorio di Manila gli cadde addosso come un macigno soffocandola, a passi incerti si avvicinò alla piccola culla osservando il bambino, la donna gli buttò ai piedi un malloppo di stracci e vestiti, velocemente si chinò e li raccolse, prese la piccola culla e uscì da quella casa ributtandosi nei vicoli e nelle strade, camminò senza meta, stordita e confusa da quello che era successo. Si lasciò cadere lungo una parete avvilita, si sentiva umiliata, eppure aveva davvero pensato che forse… il singulto usci dalle sue labbra senza che lei potesse controllarlo e decise di lasciarsi andare alle lacrime. Svuotò il suo cuore e la sua anima nei singhiozzi e lamenti di quel pianto, nessuno si fermava o la degnava di più di un fugace sguardo, non sarebbe stata la prima ragazza in quelle condizioni che vedevano in quella giornata e non sarebbe stata l’ultima.

Non seppe quanto tempo stette lì, le ginocchia al petto e la testa tra di esse, le braccia che le circondavano il corpo rinchiusa in una barriera di solitudine e dolore, si riprese solamente quando alcuni gorgoglii giunsero prepotentemente alle sue orecchie. Sollevò il capo fissando il bambino accanto a se e per un attimo rimase confusa dal fatto che fosse ancora lì, che nessuno si fosse avvicinato a prenderlo e portarlo chissà dove. Allungò una mano dentro la cesta accarezzando quella piccola vita e permettendogli di avvolgere il suo dito con quella minuscola mano.

Si tirò in piedi osservandosi attorno cercando di capire dove fosse finita, in quel posto tutte le strade parevano uguali e, come se non bastasse, il buio era già calato.

 Afferrò la cesta coprendo meglio Mihir sebbene, effettivamente, non facesse più freddo di quanto ne avesse fatto quella mattina quando erano usciti per strada, e iniziò a camminare, addossata al muro, cercando di ricordare la strada che aveva percorso all’andata.


Mihir aveva appena iniziato a piangere quando, presa dallo sconforto, decise di entrare in uno di quei locali che la gente, lì nel sottosuolo, si era ormai abituata a chiamare locanda; si trovava vicino alle scale per salire in superficie e Mie era abbastanza convinta di poter trovare almeno una camera per alloggiarvi durante la notte. Il locale era poco illuminato, odorava di muffa e stantio, alcool, vomito e sudore formavano un miscuglio che impregnava ogni singola asse di legno di quel posto; qualche avventore occupava i pochi tavoli traballanti e parevano fare a gara tra chi di loro sarebbe riuscito a sopravvivere fino alla mattina successiva senza rimettere le budella. Si avvicinò velocemente all’unico uomo che pareva aver conservato un minimo di lucidità ignorando gli sguardi di coloro che si erano girati verso di lei attirati dal pianto del bambino.

-Hai una camera per la notte? Posso pagarti- come se quelle fossero le parole magiche lo sguardo dell’uomo si fece vispo e interessato, con un mezzo sorriso gli indicò l’unica altra porta presente oltre a quella di ingresso

-Chiedi a mia moglie, per il prezzo potremmo metterci d’accordo dopo- affermò passando attentamente lo sguardo sui vestiti che indossava e su quelli che portava ancora malamente ancorati al braccio –Sicura di poter pagare? Non voglio rogne- disse storcendo la bocca

-Sicura-

Quello annuii pensieroso osservandola mentre superava la porta e la richiudeva alle proprie spalle.

 


Tirò quasi istantaneamente un respiro di sollievo ringraziando la parete di legno che attutiva il continuo farneticare degli uomini ubriachi e per un attimo gli parve che anche il pianto di Mihir si fosse fatto meno intenso.

-Sei una cliente?-

Sussultò cercando con lo sguardo la figura a cui apparteneva quella voce, una donna si era messa davanti a lei, era magra e piena di rughe, i pochi capelli rimasti erano unti e bianchi e tutto in lei trasmetteva stanchezza nei confronti della vita

-Ti ha mandato qui Chayse?-

-Sì- affermò esitante -ho bisogno di una camera per la notte-

L’anziana annuii, ma invece di girarsi e fargli strada si fermò a osservare il bambino -È molto piccolo- Mie scosse leggermente la testa ormai assuefatta a quelle grida -Ha fame- disse semplicemente, la farse totalmente sconnessa le era uscita d’impulso, infondo in quelle ore in quanti gli avevano chiesto di far smettere di piangere Mihir?

La donna sospirò girandosi e facendogli strada, si ritrovò in una piccola cucina con appena un tavolo e due sedie –Siediti, dopo ti porterò in camera. Non possiamo di certo dormire con il bambino che piange tutta la notte!-

Annuii nonostante la donna gli stesse dando le spalle e si accomodò su una delle sedie di legno poggiando la culla per terra e tirando su Mihir, se lo accoccolò al petto iniziando a cullarlo come aveva visto fare a molte donne con i propri figli e come lei stessa aveva fatto più volte

-Così peggiori solo la situazione- la riprese stancamente la donna, Mie sollevo il capo confusa -Ho avuto abbastanza figli nella mia vita da assicurarti che non è così che dovresti tenerlo, in quella posizione il bambino si aspetta che tu inizi ad allattarlo-

-Ma io non posso!-

-Lo immaginavo- disse poggiando il cucchiaio che aveva in mano e avvicinandosi -prendilo così- la istruì posizionandogli il bambino tra le braccia sollevandolo in verticale e facendogli poggiare il viso sulla sua spalla, una mano era posizionata sulla nuca e l’altra sul sedere per sostenerlo

-Grazie-

L’anziana sorrise prima di tornare velocemente a cucinare, con un certo stupore Mie notò solo in quel momento che la donna stava tagliando alcune verdure per poi metterle in una pentola già posizionata sul fuoco

-Non è proprio come il latte, ma mi sa che per stavolta il bimbo dovrà adattarsi, basterà a riempirgli lo stomaco-

-Di cosa si tratta?- chiese curiosa continuando a cullare Mihir

-Zuppa, semplice zuppa. A proposito, quanto ha?-

-Uhm… è nato neanche una settimana fa-

Senza che Mie la vedesse l’anziana donna sgranò gli occhi, batté le palpebre un paio di volte cercando di riprendersi e darsi un contegno. -È molto piccolo-

-Sì, molto…-

-Allora siamo fortunate- si girò sorridendogli incoraggiante -I bambini così piccoli perdono peso nel primo periodo dopo la nascita perché la madre non ha ancora il latte in seno per nutrirli, ma un surrogato fatto di acqua e zuccheri-

-Oh, non lo sapevo-

L’anziana annuii -Già, non è una cosa che sanno in molti qua sotto. E comunque semplifica le cose, invece di qualche zuppa difficile da digerire basterà dargli acqua calda con un po’ di zucchero- affermò prendendo un pentolino pieno fino all’orlo e metterlo sul fuoco affianco all’altra pentola, ci aggiunse diligentemente un mezzo cucchiaino di zucchero e mescolò con cura. Dopo pochi minuti, soddisfatta del corse fuori dalla stanza. Mie rimase sola, con il pianto di Mihir nelle orecchie che si era leggermente attenuato permettendogli quantomeno di non perdere totalmente l’udito.

Quando si accorse che era tornata nella piccola cucina l’anziana aveva versato parte del contenuto del pentolino in una bottiglietta di vetro abbastanza capiente per poi chiudere il tutto con un piccolo boccaglio di plastica; gli passò il biberon sorridendo appena e aiutandola a rimettere Mihir nella posizione precedente, come risultato il bambino riprese a piangere più forte di prima, ma la donna gli mise tra le labbra il morbido beccuccio in plastica spegnendo ogni sua richiesta. Inizialmente il piccolo parve confuso e non molto propenso a succhiare, ma dopo pochi istanti iniziò a bere tutto il contenuto.

-Finalmente un po’ di silenzio- sussurrò incoraggiandola ad afferrare il biberon, Mie cercò di sistemarsi meglio tra le braccia il lattante per non farlo cadere per poi prendere esitante la piccola bottiglia

-Credo di aver perso l’udito da un orecchio- scherzò, l’anziana ridacchiò prima di togliere la pentola piena di quello che ormai era brodo dal fuoco

-Io e mio marito abbiamo già cenato, se vuoi favorire- la invitò rovesciando un paio di mestoli in una scodella di metallo

-Ma Mihir sta…-

L’anziana gli tolse il bambino tra le braccia poggiando davanti a lei un paio di fette di pane

-Su, avanti. Se mangia il piccolo non vedo perché tu non dovresti-

Mie annui con la testa prima di fiondarsi sul piatto, solamente quando l’odore del brodo caldo gli aveva risalito le narici si era resa conto di quanto anche lei stesse morendo di fame. Divorò due fette di pane in pochi morsi prima di cercare di darsi un contegno

-Quindi si chiama Miscil?-

Ingoiò il boccone negando con la testa -Mihir. E io sono Mie-

-Corinne- il silenziò venne spezzato da Mihir che, finito di mangiare, si fece picchiettare un paio di volte sulla schiena prima di rigurgitare leggermente sulla spalla della donna

-Mihir!- quasi urlò Mie sollevandosi in piedi di scatto –Oddio, mi scusi davvero! Non-

Le scuse frettolose vennero interrotte dalla risata di Corinne che gli fece cenno di abbassare la voce -Ti ho già detto che ho avuto molti figli, sono abituata a una cosa del genere ormai da molto tempo. E poi urlare potrebbe spaventare il piccolo Mihir e noi non vogliamo che scoppi a piangere nuovamente, vero?- chiese retorica solleticando la pancia del piccolo

Mie si trovava spiazzata, non sapeva come reagire, la gentilezza di quella donna era così inaspettata che la lasciava interdetta, lei parve accorgersene perché gli sorrise dolcemente –Ti porto nella tua stanza, avrete bisogno di riposare entrambi-

Corrine gli lasciò il bambino tra le braccia e nel tempo che lei si chinò per mettere Mihir nella sua culla e afferrare i vestiti lei si trovava già sulla soglia. La condusse lungo il breve corridoio da cui era arrivata, superarono la porta che dava sul locale e salirono qualche scalino prima di trovarsi davanti a una porta, la stanza oltre a essa era piccola e spartana con appena un letto, un armadio e un comò, possedeva anche una piccola finestrella che dava sullo spiazzo davanti alla scalinata. A Mie parve come un’oasi dopo tanto tempo. Poggio Mihir sul letto e lasciò cadere il cumolo di vestiti ai piedi di esso, Corrine atterrò la sua attenzione con un cenno verso il biberon, nuovamente pieno, poggiato sul comò

-Se il bambino dovesse ricominciare a piangere stanotte, e lo farà, almeno potrai calmarlo- gli sussurrò prima di uscire e lasciarle la sua privacy. Si tolse i vestiti logori e sporchi prima di prendere Mihir dalla culla e poggiarlo sul letto stendendosi al suo fianco, con un enorme sforzo di volontà e lottando contro il sonno che pareva averla colpita improvvisamente si allungò per spegnere la luce e poi si addormentò.



Note e scleri dell'autrice:

* La ninna nanna, nel caso vi fosse familiare, è una semplice rimaneggiamento della traduzione italiana della prima Opening dell'Attacco dei giganti, molto accorciata e rimaneggiata. Quindi si, non mi appartine, ma spero che vi piaccia comunque, e nel caso non si fosse capito a cantarla non è Mie, ma la mamma di Mihir
* Ok, che dire, io questa "culla" me la sono immaginata come un cesto di vimini con un manico (tipo cesto di Cappuccetto Rosso) riempito di stracci e asciugamani morbidosi :3

Incredibile ma vero sono puntuale! Ci siete cascati? No, bhè io almeno ci ho provato e comunque il ritardo è di solamente 25 minuti ^^ quindi mi perdoante? Anche perchè il capitolo è bello sostanzioso, insomma ne succedono di cose: la mamma di Mihir muore, Mie lo prende e va da una certa Manila che lo allatta e poi li sbatte fuori di casa, la poveretta girovaga senza meta fino a trovare Corinne e per adesso c fermiamo qui.
Stavolta non ho nessun sondaggio, ma dovebbe esserci nel prossimo capitolo ( a patto che non diventi troppo lungo e quindi lo debba dividere in due). Spero comunque nei vostri commenti e nelle vostre critiche costruttive, ditemi cosa ne pensate e sopratutto segnalatemi se ci sono errori! Io ho riletto ma l'ora tarda non aiuta...

Ringrazio Carol12 per aver votato lo scorso capitolo, se la storia si fosse evoluta con una femminuccia le cose sarebbero state moooolto diverse, te lo garantisco ;)
Ci vediamo presto,
Imoto-chan






Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Atto II - Casa ***



Atto II
Casa

Si era svegliata come minimo tre volte da quando si era stesa sul letto, risvegli improvvisi e apparentemente senza senso dovuti alla paura che potesse inavvertitamente schiacciare Mihir nel sonno o farlo cadere dal letto. Nulla di tutto quello era successo e quando il piccolo scoppiò a piangere nuovamente, Mie si trovava in un piacevole stato di dormiveglia. Aprì gli occhi di soprassalto e ci mise qualche attimo prima di capire cosa stesse succedendo, assonata e col passo strascicato si alzò in piedi accendendo la luce, afferrò il biberon e prese in braccio Mihir. Il piccolo smise di piangere immediatamente, abituato alla bevanda zuccherina che gli fungeva da nutrimento.

Mie ne approfittò per guardarsi intorno nel tentativo di non addormentarsi all’improvviso; la stanza era abbastanza piccola e se avesse dovuto azzardare delle cifre avrebbe puntato su un due metri per due, il letto matrimoniale molto semplice in legno si trovava qualche spanna sotto la piccola finestra che pareva un rettangolo tagliato nella parete, aveva delle imposte in legno e come aveva già avuto modo di notare dava direttamente sullo spiazzo davanti alla scalinata che portava in superficie. Sulla stessa parte della porta, a destra rispetto a chi entrava, si trovava un piccolo armadio a due ante mentre a sinistra contro l’altra parete si trovava un comò con tre cassetti che gli arrivava all’incirca alla vita affiancato da un treppiede che sosteneva una ciotola con una brocca piena d’acqua, l’unico interruttore per la luce si trovava affianco al letto. La porta in legno possedeva una serratura e la chiave era già inserita, ma una cosa che attirò la sua attenzione fu lo stipite. Infatti nel punto in cui legno e pittura si incontravano quest’ultima si era leggermente scrostata permettendo di vedere il materiale di costruzione che non era semplice legno, come per la maggioranza delle baracche, bensì mattoni. Mie rimase a fissare i blocchi rossi qualche secondo avvicinandosi prima di scuotere la testa, effettivamente non era una cosa così improbabile. Buona parte delle strutture costruite vicino alle scalinate e nel centro del mercato erano fatte in mattoni, solamente verso l’esterno, dove si trovava il suo bordello, le case diventavano di legno. Socchiuse gli occhi ripensando al bordello, probabilmente non l’avrebbero neanche cercata, tanto meno in un posto del genere, troppo vicino alle scale, con troppi gendarmi in giro.

A differenza delle Case del Piacere, che si trovavano in luoghi specifici vicino alle scalinate, dove si recavano solamente i ricchi nobili provenienti dalla superficie e dove le prostitute ricevevano soldi e protezione, i bordelli nascevano spesso nei quartieri più degradati del sottosuolo ed erano frequentati dai gendarmi o dagli stessi abitanti quel buco schifoso e maleodorante; era qui, dove nessuna regola, neanche morale, vigeva, che si poteva trovare il peggio del peggio. Le povere vittime erano spesso malmenate o morivano durante i rapporti, la prostituzione infantile e la pedofilia erano all’ordine del giorno, non c’era nessuna protezione, nessuna regola, niente di niente.

Mihir si lamentò appena e Mie riportò sul piccolo la sua attenzione, aveva finito di mangiare e con pochi passi ripose nuovamente il biberon sul comò per poi poggiare il bambino sulla spalla e, con pochi colpetti, farlo digerire come aveva visto fare a Corinne. Ringraziò gli dei che stavolta non rigurgitò nulla e si coricò nuovamente a letto col bambino tra le braccia spegnendo la luce, il sonno tornò scacciando, almeno per il resto della notte, gli inquietanti pensieri della ragazza che chiuse gli occhi e si addormentò.

 

Arricciò il naso più volte cercando di fuggire da quell’orribile odore che gli invadeva le narici, ma non contò a nulla. Quasi per riflesso spontaneo aprì gli occhi per individuarne la fonte e si ritrovò accecata dalla luce, richiuse velocemente le palpebre con un lamento pima di provare a sbatterle un paio di volte e, finalmente, aprire gli occhi. La potente luce che l’aveva accecata era in realtà una semplice penombra dovuta al fatto che era già mattina, sbuffando irritata si alzò a sedere individuando subito Mihir dopo aver dato una veloce scorsa al letto. Il bambino era già sveglio e con gli occhietti vispi la osservava attento quasi cercasse di capire la sua prossima mossa, Mie sorrise allungandosi e prendendolo sulle gambe, ma fu solo quando si portò il bambino vicino, e la puzza aumentò incredibilmente, che ebbe come un flash.

-Caz…umhbf- si morse la lingua per non completare l’imprecazione davanti al bambino, che intanto la osservava con una strana espressione in viso, alzandosi dal letto velocemente –Il pannolino, cavolo! Come ho fatto a scordarmene? Dannazione!-

In preda a quella che poteva essere tranquillamente catalogata come crisi isterica fissò frebbilmente la camera alla ricerca di un posto per cambiare il bambino, lo poggiò sul comò, unica speranza, senza pensarci due volte per togliere il vestito al piccolo lasciandolo cadere al suolo, aprì velocemente la spilla da balia per poi allentare i lembi del tessuto che fungeva da pannolino quando, come un’esplosione, l’odore rancido gli invase le narici. Per qualche secondo gli parve quasi di essere affondata in una melma e… possibile che la puzza fosse palpabile? Gli pareva di poterla toccare tanto era densa. Si fece coraggio e trattenendo il fiato gli tolse il pannolino poggiandolo sul comò affianco al bambino, poi avendo cura di tenerlo fermo con una mano piazzata sullo stomaco, e ci sarebbe da precisare come la mano di Mie fosse grande come quasi l’intero busto di Mihir, si allungò rovesciando la brocca piena d’acqua che aveva visto la sera, o era notte?, prima nella bacinella in ceramica poggiata sul treppiede. Afferrò il piccolo, scambiandolo di posto sul comò con la brocca, per poi immergergli il sedere nell’acqua fredda. Come il suo subconscio gli urlava da quando aveva preso in mano il recipiente, Mihir lanciò un urlo che gli perforò i timpani iniziando a piangere. Di nuovo. Probabilmente era dovuto al fatto che l’acqua era ghiacciata, ma adesso aveva altri problemi più importanti, tipo non rimanere sorda.

Cercando di non mollare il bambino che sarebbe caduto nella bacinella e, nello stesso tempo, tenendolo abbastanza in basso da lasciargli il sederino in ammollo, Mie iniziò a frizionargli le natiche lavandolo. Solamente dopo qualche minuto, quando lo tirò su tenendolo premuto contro il petto, si accorse che non sapeva come asciugarlo. Immediatamente la sua mente, e i suoi occhi, volarono ai vestiti malamente sbattuti sul fondo del letto ed era seriamente intenzionata ad usarli, almeno fino a quando la sua parte razionale non le ricordo che, per la miseria, quelli erano in suo unico avere e se li avesse usati per pulire il culo di un neonato avrebbero di certo perso buona parte del loro valore. Era praticamente ferma in mezzo alla stanza, con Mihir in braccio che, grazie a dio, aveva almeno smesso di piangere, quando i suoi occhi intercettarono la culla. Culla formata da una cesta piena di asciugamani morbidi. Mentalmente ghignò avvicinandosi e afferrò il primo asciugamano in cima e avvolgendoci il bambino. Superato il momento critico le esalazioni tossiche provenienti dal pannolino tornarono ad attirare l’attenzione di tutti i suoi sensi, in primis l’olfatto. Storse il naso nel vano tentativo si inspirare meno puzza possibile, mentre, abbandonato Mihir al centro del letto enorme, si avvicinava al punto critico.

Osservò quel pezzo di stoffa color ecrù, ruvida, sporca, maleodorante e umidiccia che era stata addosso a Mihir fino a quel momento da quando era… scosse la testa cercando di ritrovare un minimo di lucidità. Il neonato si stava divertendo a emettere qualche buffo versetto e Mie pensò distrattamente che doveva sostituirgli il pannolino sporco con qualcos’altro. E questo significava trovare un nuovo pannolino giusto? Ricacciò l’idea in fondo alla mente, un problema per volta. Allungò la mano, esitante, verso quell’ammasso di rifiuti tossici, ma si fermò a metà strada con il braccio sospeso nel nulla e una forte nausea che gli risaliva la gola -Non ce la faccio!- mugugnò schifata.

La situazione era in stallo, lei non si muoveva, la puzza continuava a espandersi per la stanza penetrando nelle narici, nei polmoni e attaccandosi alla lingua, il bambino continuava a emettere versi dal letto, ed era alquanto sicura che erano versi disgustati, ma , ehi!, era stata colpa sua giusto? Il minimo che poteva fare era sopportare con lei. Il rumore dei gradini scricchiolanti la riportò alla realtà facendole abbassare il braccio e fu subito seguito da un leggero bussare.

-Non credo le convenga entrare- disse avvilita continuando a fissare il comò

-Tutto bene?- la voce preoccupata della padrona di casa la raggiunse da dietro il legno e Mie scosse la testa

-Per nulla!- riuscì solo a gracchiare tentando di distogliere lo sguardo dal pannolino sporco senza riuscirci, neanche se a guardarlo sarebbe scomparso da solo!

La porta si aprì lentamente e Mie, con la coda dell’occhio, vide la donna entrare e coprirsi immediatamente bocca e naso con una mano, l’espressione disgustata, le sopracciglia corrucciate

-Ma che diavolo è successo qui?- le chiese girandosi nella sua direzione, Mie continuò a dargli le spalle girata di tre quarti, allungò un braccio all’indietro indicando il letto

-È colpa sua- proferì funerea. La donna sollevò un sopracciglio scettica avvicinandosi lentamente

-Capisco- mormorò sospirando -Aspettami qui- aggiunse girandosi e scendendo velocemente le scale. Il rumore di cassetti aperti e chiusi freneticamente riempì la casa, ma quando risalì Mie non si era sostata di un millimetro, pareva una statua di sale, una stalattite di come se ne vedevano tante alzando lo sguardo verso la volta

-Non è fissandolo che risolverai il problema- la ammonì allegramente mettendosi davanti a lei e piazzandole tra le braccia un nuovo pannolino -Metti questo al bimbo che a quello- e indicò il comò con un cenno del capo -ci penso io-

Mie annuii decisamente rincuorata e tornò ad avvicinarsi al letto osservando Mihir che, muovendosi, si era sfilato l’asciugamano di dosso e adesso stava allegramente sdraiato su di esso, socchiuse gli occhi mentre cercava di replicare i gesti che aveva visto fare a molte mamme per poi prendere la spilla che era poggiata li affianco e chiudere il pezzo di stoffa per sempre. O almeno fino al prossimo cambio. Tirò su il neonato pulito guardandosi intorno, era sicura di aver lasciato la spilla sul comò e concluse abbastanza velocemente che doveva essere stata l’anziana a lasciargliela sul letto prima di uscire diretta per chissà dove con il pannolino sporco, non si ricordava neanche più il suo nome. Adesso che lo notava aveva fatto un vero disastro, il lenzuolo del letto era completamente caduto a terra, la culla distrutta non aveva più nulla di confortevole e pareva solo un ammasso di asciugamani, intorno al treppiedi di ferro c’era una pozza d’acqua e alcune gocce segnavano il percorso fino a dove si trovava lei in quel momento, il vestitino di Mihir, il suo unico indumento formato da un rettangolo con i buchi per braccia e testa, era per terra e l’asciugamano con cui aveva avvolto il bambino era umido lasciato sul materasso.

Indecisa su dove cominciare a mettere apposto si avvicinò alle imposte aprendo la finestra e permettendo alla stanza di cambiare aria, non che quella fuori fosse più salutare, ma di sicuro era più respirabile.

-Era il tuo primo cambio?- la voce non la colse di sorpresa avendo già sentito i passi salire gli scalini scricchiolanti –Non sembri molto…-

-Preparata? Esperta?-

-…pratica- concluse ridacchiando. Mie si girò osservandola mentre afferrava da per terra il vestitino, lo ripiegava e poggiava sul comò accarezzandolo con gli occhi

-Lo so, ma non posso farci niente- disse sollevando le spalle –Imparerò-

-Tutte abbiamo imparato- concordò l’anziana –ma un po’ di aiuto è sempre di comodo no?- domandò osservandola

-Certamente- ci fu un attimo di silenzio mentre si avvicinò anche lei al comò –E lei potrebbe darmi questo aiuto?-

-Dipende da te-

Mie corrucciò le sopracciglia confusa –A me sembra che lei mi abbia già aiutato. Non ha forse preparato il biberon per Mihir ieri sera? E stamattina mi ha dato un nuovo pannolino!- argomentò sollevando il bambino per le ascelle davanti a lei come fosse una prova evidente

-Vero- le accordò –Seguimi giù in cucina per favore-

Si sentiva a disagio, non le piaceva per niente la piega che stavano prendendo gli avvenimenti né l’espressione della donna, troppo seria. La seguì giù per le scale e poi lungo il corridoio fino ad arrivare nella piccola cucina che l’aveva ospitata la sera prima. L’anziana che l’aveva accolta e quella che aveva davanti adesso parevano due persone totalmente diverse e non poté impedirsi di stringere più forte Mihir al petto. La donna afferrò lo schienale di una sedia tirandolo indietro a facendogli intendere che doveva sedersi, lentamente si avvicinò e fece come richiesto mentre quella prese posto dall’altra parte del tavolo di legno.

-Dobbiamo parlare- disse semplicemente. Mie aspettò eppure non disse nient’altro. Ogni secondo che passava sentiva l’ansia aumentargli addosso, che avessero scoperto che Mihir non era suo figlio? E a loro cosa interessava? Meglio tenerlo per se che lasciarlo a morire in una stupida stanza da solo! Possibile che pensassero che l’avesse rapito? No, no, in quel caso non lo avrebbe di certo tenuto con se! Magari erano stati contattati dalla padrona del bordello che la stava cercando! Era morta, sarebbe morta e con lei sarebbe morto anche Mihir, era un maschio, al bordello sarebbe stato inutile, l’avrebbero abbandonato e lasciato morire per strada! Come se percepisse l’agitazione nell’aria il piccolo prese ad agitarsi tra le sue braccia e lei lo strinse leggermente, non potevano toglierglielo, era tutto ciò che gli rimaneva, volevano forse consegnarla ai gendarmi?
I suoi pensieri vennero interrotti quando sentì dei passi dietro di sé e immediatamente dopo un uomo entrò nel suo campo visivo. Ci vollero pochi istanti di smarrimento alla sua mente prima di catalogarlo come il tizio della locanda, probabilmente il marito della vecchia. In effetti pareva anche lui non più giovanissimo, ma nonostante ciò era abbastanza evidente la differenza di età con la donna al suo fianco. Si accomodò sull’unica sedia rimasta libera, le mani incrociate sopra il tavolo e la fissava.

-Io sono Chayse e lei è mia moglie, Corinne-

-Mei- rispose semplicemente osservandoli e senza capire dove volessero andare a parare, perché si stavano presentando?

-Lui è?- chiese l’uomo fissando il bambino

-Mihir-

Annuii continuando a fissarlo e poi sospirò -Ieri sera hai detto che avevi i soldi per pagare la camera…-

-Sì- lo interruppe -Posso pagare la stanza se è questo il vostro problema e me ne posso andare anche ora- affermò guardandoli entrambi -Capisco quando non sono la benvenuta e non è un problema, me ne vado. Grazie di tutto- concluse alzandosi dalla sedia

-Non c’è né bisogno- disse Corinne

-Risiediti- aggiunse il marito fissandola negli occhi severamente. Mie, a disagio come non mai, si risedette sotto lo sguardo fisso dell’uomo che, ne era certa, sarebbe stato capace di inseguirla se avesse provato ad oltrepassare la soglia della cucina.

-Dobbiamo farti alcune domande- continuò -spero non sia un problema- e il tono severo aveva più sottointesi di quanti Mie potesse coglierne in quel momento. Si agitò sul legno duro mentre anche Mihir tra le sue braccia pareva abbastanza infastidito da tutto quello

-Quanti mesi ha il bambino?- chiese

-Settimane, non mesi- lo riguardi la moglie, lui annuii come se non fosse importante

Mie tentennò –Tre… no, cinque- socchiuse gli occhi annuendo tra se e se -Sì, cinque giorni. Meno di una settimana- Chayse la fissò come se volesse capire se gli stava mentendo o meno, poi fisso il neonato

-Quando sei arrivata ieri Corinne mi ha detto che il bambino aveva fame- annuii, era vero –Non gli dai il latte?-

-Il latte costa- rispose immediatamente, sincera -Costa molto e non ho abbastanza denaro per comprarlo-

Lui corrucciò le sopracciglia come se qualcosa non gli tornasse, poi fisso la moglie che gli sorrise appena e la sua espressione si fece un attimo più rilassata

-Quindi hai i soldi per pagare una camera in una locanda vicino alla scalinata, ma non per comprargli il latte?-

Mie si irritò sentendosi punta sul vivo, come si permetteva di giudicarla così? O stava per caso mettendo in dubbia la verità di ciò che gli aveva detto?

-Esatto- rispose stizzita –non mi sembra che sia un crimine! O per caso crede che me ne andrò la notte senza pagare? Mi sembrava di essere stata chiara, posso…-

L’uomo la interruppe sollevando una mano davanti al viso -Va bene, va bene- la assecondò –Ma se non ti bastano i soldi per comprargli il latte non puoi dargli da mangiare in un altro modo?- chiese con ritrosia

Lei lo guardò confusa e ci pensò Corinne a chiarire attirando la sua attenzione

-Ti sta chiedendo perché non lo allatti al seno-

Mie sgranò gli occhi come se l’avessero appena messa a conoscenza di un segreto che cercava da una vita intera, Chayse invece abbassò leggermente il viso quasi arrossendo, che fosse imbarazzato?

-Non posso- asserì semplicemente appena l’uomo si riprese

-Perché?- chiese –Corinne ha sempre allattato tutti i nostri figli-

Strinse le labbra e, per quanto gli fosse possibile senza far del male a Mihir, anche le mani.

-Io…- chiuse gli occhi prendendo un respiro –Io non posso-

-Perché?-

-Non ho latte! Non posso allattarlo-

-Impossibile! Tutte le madri hanno il latte-

-Io no-

-Menti! Non vuoi allattarlo?-

-No!- affermò, come si permetteva di insinuare che lo volesse lasciare morire di fame?

-Allora perché non lo allatti? Tutte le madri allattano i propri figli, non lo sai? È anche molto più economico che comprare del latte!-

-Non posso allattarlo!-

-Perché? Sei sua madre!-

-Io non sono sua madre!- la confessione gli era uscita quasi gridata e si sentiva sfiancata

-Dov’è sua madre?- continuò a incalzare l’uomo incurante di quanto gli fosse costata quella confessione –Perché tieni un bambino che non è tuo?-

-È mio dovere!-

-Perché?-

-Lei avrebbe voluto così!-

-Chi?-

-Lei!-

-La mamma del bambino?-

-Sì-

-Te lo ha detto lei?-

Tentennò

-Rispondi!-

-No…-

-Perché lo tieni tu?-

-Lei non…-

-Lo sa che è con te?-

-Non…-

-Lo hai rapito?-

-NO! Io non…-

-Perché lo hai tu?-

-Lei non può!-

-Perché?-

Silenzio

- PERCHÉ?-

-Chayse calmati!- intervenne Corinne mettendogli una mano sul braccio, ma l’uomo parve non ascoltarla

-Perché il bambino non è con sua madre?- urlò

-PERCHÈ È MORTA!-

Lo aveva detto, alla fine lo aveva fatto. Si lasciò cadere sulla sedia, il capo chinato in avanti , completamente scarica di ogni emozione. L’uomo si calmò tornando a sedersi mentre la moglie le stava riservando uno sguardo preoccupato. Lo sentì sospirare e allungarsi leggermente sul tavolo –Come sai che è morta?-le chiese, stavolta con un tono molto più dolce, pacato, rassicurante.

L’immagine del letto pieno di sangue, il corpo freddo, i capelli sparsi, all’improvviso fu tutto troppo, insostenibile, si sentì trascinata a fondo da un’improvvisa ondata di tristezza, dolore, paura e angoscia, sentimenti che avevano trovato un guscio completamente vuoto e finalmente pronto ad affrontarle. Il primo singhiozzo usci basso ed esitante, quasi timido, gli altri lo seguirono a ruota sempre più rumorosi e amari, fino a sconquassargli le spalle come con un terremoto. Strinse a se Mihir che d’altro canto si agitò iniziando a piangere a sua volta. Corinne si avvicinò prendendogli il bambino dalle braccia, immediatamente Mie sollevo il viso le braccia allungate verso la donna –MIHIR!- urlò sollevandosi per cercare di riprenderlo, l’uomo intervenne mettendosi tra la moglie e la ragazza, afferrandola dolcemente per i polsi, conducendosela al petto e iniziando, piano, a massaggiarle la schiena per alleviare il suo pianto. La giovane si aggrappò a quella maglia, sentiva le parole dolci che venivano sussurrate al bambino e immagino che fossero dirette a lei, lentamente le lacrime si arrestarono e con loro i singhiozzi, tirò su col naso un paio di volte prima di allontanarsi dall’uomo per stropicciarsi il viso mandando via gli ultimi residui di quel lutto. Prese un respiro profondo prima di avvicinarsi a Corinne e al bambino

-Ehi- sussurrò diretta al piccolo accarezzandolo con lo sguardo –Mi dispiace di averti spaventato- mormorò toccandogli il naso con un gesto veloce –Mi perdoni? Um?- lui emise qualche versetto sorridendo come sorridono i bambini e Mie si sentì il cuore più leggero.

-Ce la fai a continuare la conversazione?- chiese la donna, annuii tornando a sedersi sulla sedia. Chayse prese nuovamente posto mentre la moglie rimase in piedi vicino al muro cullando il bambino.

-La conoscevi?- gli chiese

Annuii –Da molto tempo, ho anche assistito al parto. Sapeva che sarebbe…- strinse i pungi sulle ginocchia impedendosi di riscoppiare in lacrime

-Perché dici così?-

-Una emorragia- disse secca –Ci ha messo neanche tre giorni-

-Capisco-

-Se non lo avessi preso io lo avrebbero ucciso- si umettò leggermente le labbra –però non so se è stata la scelta migliore-

-Cosa intendi?-

-Io… non so da dove cominciare. Non mi sono mai presa cura di un bambino, non è mio figlio, non so cosa fare, come crescerlo, io… non lo so-

-Nessuna sa niente quando comincia- disse Corinne -È sempre un trauma ritrovarsi tra le braccia questi… esserini così minuscoli e delicati. Ci riuscirai anche tu come ci sono riuscita io-

-Non lo so- ammise girandosi verso la donna –Non ho nessuna capacita e mi mancano anche i soldi necessari per dargli da mangiare, a questo punto forse era meglio che…-

-Non pensarlo neanche! Pensi che sua madre sarebbe stata felice di sentirti dire che questo bambino, quello che lei ha messo al mondo con tanti sforzi, non merita di vivere?-

-No…- sussurrò

-Ti aiuteremo- concluse e Mie la guardò, come se non capisse cosa stesse dicendo

-La locanda ci permette di avere delle buone entrate stabili- Chayse attirò nuovamente la sua attenzione –per noi non è un problema tenerti qui e darti una mano, e poi sembra essersi già affezzionato- disse indicando col mento il bambino e Corrinne, questa stava giocherellando con le dita del bambino che, dal canto suo, sorrideva e ridacchiava emettendo gorgoglii di felicità

-Accetti?-

Annuii stringendo la mano che l’uomo gli stava offrendo -Grazie-

-Mihir- sussurrò l’uomo alzandosi dalla sedia – e Mie. Due nomi particolari-

Sorrise alzandosi a sua volta –Potrei dire lo stesso-

-Mihir Ishan- entrambi si girarono verso Corinne che sorrideva nostalgica –Mihir e Mie Ishan, suona bene non travate?-

Chayse sorrise al piena della gioia –Sì-

-Ishan?-

-È il nostro cognome- Mie sgranò gli occhi comprendendo le implicazioni di quela semplice frase -Benvenuti in famiglia-

 

 

* *  *

E volevo finire il capitolo qui. Davvero. Ma non sono così sadica, non dopo che ho saltato l’aggiornamento della settimana scorsa, quindi preparatevi ad almeno altre sette pagine di word cari giocatori. E solo allora avrete la vostra domanda

* *  *

 

 

L’illusione che tutto si fosse finalmente sistemato e che lei e Mihir non avrebbero avuto altri problemi si infranse velocemente. Per la precisione nell’esatto istante in cui varcò la soglia della camera da letto dove la pozza d’acqua, il lenzuolo sfatto e in vestiti ammucchiati per terra ricordarono a Mie che il mondo è rose e fiori e, in quanto tale,  ha un sacco di spine. Sbuffò iniziando a tirare su le lenzuola, nonostante tutto non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione di euforia e tranquillità che l’accompagnava da quando Chayse le aveva confermato che entrambi avrebbero preso il suo cognome, esattamente come se fossero figli suoi. Non sapeva esattamente come funzionavano le cose di sopra, ma li nel sottosuolo una frase simile valeva come una adozione completa nero su bianco ed era più di quanto lei avesse mai sperato quando aveva iniziato quel dramma cinque giorni prima.

Mollò il malloppo di lenzuola sul materasso afferrando l’asciugamano, che oramai non era più umido, e iniziando ad asciugare l’acqua per terra. La finestra aperta aveva permesso all’odore nauseabondo di uscire e adesso l’aria nella stanza era respirabile, sebbene sussistesse ancora una leggera puzza di fondo, ma sarebbe scomparsa in fretta.

Approfittò delle pulizie per riepilogare gli avvenimenti di quella giornata e cercare di metterli in ordine, era una data importante e voleva che le rimanesse impressa nella memoria in modo da poter raccontare tutto a Mihir quando sarebbe diventato abbastanza grande. Inevitabilmente anche i suoi sentimenti seguirono quei pensieri e si ritrovò inconsciamente a tremare al pensiero del corpo morto che a questo punto stava venendo mangiato da vermi e larve. Il disgusto e il dolore furono però facilmente spazzati via dalla speranza ed energia che aveva seguito la loro adozione. Ovviamente era ragionevolmente preoccupata, prendersi a carico due persone, peraltro quasi totalmente sconosciute, non era semplice e per quanto ne sapeva i coniugi avrebbero potuto pentirsi velocemente della decisione presa, e questo avrebbe significato altri problemi.

Chayse, che gli pareva la parte più razionale della coppia, rendendosi probabilmente conto della portata dell’affermazione della moglie prima ancora che lei stessa potesse farlo ci aveva tenuto a rassicurarla che ne avrebbero parlato meglio a cena in modo da assimilare la notizia e pensarci a mente fredda. E quello valva per entrambe le parti.

Esattamente come lei poteva rifiutare l’offerta fatta dai coniugi, loro potevano cambiare idea e sbatterli nuovamente per strada, soppresse un brivido a quel pensiero. L’inverno sarebbe arrivato a breve e, ne era consapevole, non sarebbe riuscita a far vedere a Mihir la sua prima primavera, era letteralmente una questione di vito o di morte.

Ancora scossa dall’aver realizzato quel pensiero si lasciò andare sul materasso, socchiuse gli occhi prendendo qualche respiro profondo; Chayse si stava occupando della locanda adiacente e non sarebbe rientrato fino a sera, Corinne si trovava al piano di sotto e si stava occupando del bambino. Presa da un’irrefrenabile e primordiale paura Mie si alzò di scatto uscendo dalla stanza e scendendo i gradini due a due, attraversò il corridoio ignorando il chiacchiericcio confuso che proveniva da dietro la porta di legno che aveva attraversato appena un giorno prima e si diresse spedita in cucina. Sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene e la nausea invadergli la bocca mentre il suo cervello afferrava ciò che gli stavano trasmettendo gli occhi: la cucina era vuota. Rimase a osservare il tavolo scuro e le sedie per quei secondi che gli parvero un’eternità prima di girarsi e correre nuovamente per il corridoio, il suo corpo si mosse prima ancora che il suo cervello formulasse un vero pensiero e imboccò il secondo corridoio che si trovava esattamente di fronte alla porta della locanda, era abbastanza breve e alla fine di esso si trovava una finestra che dava su un vicolo, a destra e a sinistra si trovavano due porte e senza esitazione mie spalancò quella di destra. Corinne sussultò e Mihir pianse preso alla sprovvista dal rumore sordo della porta che sbatteva contro il muro.

-Cosa succede?- la voce preoccupata dell’anziana la raggiunse attirando la sua attenzione –Tutto bene? Sembri spaventata, cos’è successo!- gli si avvicinò velocemente mentre lei, ancora imbambolata sulla soglia, cercava di regolarizzare il respiro

-Ehi, ehi calmati okay? Fai un respiro profondo, brava, respira - segui le istruzioni lasciandosi cullare da quella voce così calda e rassicurante

-Siete qui- la voce le usci strana, come se fosse una domanda timida che si spacciava per affermazione, la donna annuii prendendole il viso tra le mani

-Che ne dici di sederci sul letto?-

Il sorriso caldo la convinse a seguire Corinne fino al letto matrimoniale e solo allora si rese conto che quella era una camera da letto, probabilmente la sua.

-È camera tua?- chiese esitante

-Sì-

Mie afferrò il bambino tra le braccia cullandolo lentamente, aveva smesso di piangere quasi subito dopo il suo ingresso –Sei davvero un bravo bambino- si complimentò con voce stanca dando luce ai suoi pensieri

-Ti va di dirmi cosa è successo?- le chiese rassicurante

-Volevo vedere Mihir- rispose semplicemente continuando a osservare il bambino negli occhi, era vero e solo in quel momento si rese conto di quanto fosse stata stupida la sua preoccupazione

-Capisco…- disse alzandosi e lasciandola sola seduta tra le coperte –Noi stavamo cercando qualche vestitino per questo piccolo principe, ci aiuti?- chiese allegramente

Mie sorrise spontaneamente sollevando il capo, effettivamente il neonato, ora che ci faceva caso, indossava una tutina color crema che pareva decisamente più calda del suo precedente vestito

-Come mai hai dei vestiti per bambini?- chiese curiosa

Lo sguardo di Corinne parve rattristarsi nonostante il suo sorriso e questo non fece che alimentare la sua curiosità –Io e Chayse abbiamo avuto dei figli, ho sempre tenuto le loro cose nell’eventualità di un altro figlio-

-Ma non sei troppo…- esitò un attimo cercando la parola giusta –anziana?-

-Sì, lo sono. Ma sono ricordi preziosi a cui mi sono affezionata-

-E va davvero bene darli a Mihir? Non te ne pentirai?-

La donna sollevo il caso dalla cassettiera in legno ai piedi del letto dentro cui stava rovistando donandole un sorriso incoraggiante –Tranquilla, non è un problema! Sono più che felice che qualcuno possa indossare di nuovo questi abiti!-

Mie annuii poggiando Mihir sul letto, al centro di quel cumolo di cuscini sopra il quale lo aveva trovato,  e si inginocchiò ai piedi del letto affianco alla donna –Allora non ti dispiacerà se ti do una mano giusto?-

Corinne ridacchiò allegra –Per niente! Sai, la schiena dopo tutti questi anni comincia a fare i capricci-

Mie nascose il viso sorridente in quel cumolo di vestiti e lenzuola iniziando a cercare, era il minimo per ricambiare la sua gratitudine no?

 

Cercarono per quelle che parvero ore fermandosi solamente quando lo stomaco di entrambe iniziò a emettere strani versi, nel pieno imbarazzo della più giovane e tra i gorgoglii divertiti di Mihir. Mie aiutò l’anziana ad alzarsi e le consigliò di sedersi un po’ sul letto per calmare il mal di schiena dovuto al molto tempo passata inginocchiata sul pavimento. La ricerca non era però stata infruttuosa, infatti il bottino ammontava a: altre tre tutine oltre a quella indossata dal piccolo, rispettivamente di color verde, grigio e blu, un corredo formato da un piccolo lenzuolo, un cuscino, una coperta calda e un pupazzetto a forma di oca, un cappello di lana e una sciarpa abbinata entrambi marroni.

Dopo aver ordinatamente disposo il tutto sopra alla scrivania presente nella stanza, Mie aveva notato come quella camera fosse decisamente più arredata rispetto alla sua, si erano dirette in cucina insieme al bambino con l’intenzione di mangiare qualcosa per pranzo e poi ritornare alla ricerca di qualche altro “prezioso ricordo” come li chiamava Corinne.

Il pranzo, sebbene veloce e non elaborato, era stato delizioso secondo il parere della giovane. Le patate erano state lessate e schiacciate per formare una purea a cui erano stati aggiunti alcuni dadini di carne cotta nella padella. Mie aveva pulito il piatto per ben due volte sotto lo sguardo divertito della cuoca che si era goduta i suoi complimenti per il lavoro svolto. Un piatto era stato tenuto da parte per il padrone di casa e, mentre Corinne era andata a portarglielo ben conscia che non poteva arrivare a sera semplicemente bevendo alcolici, Mie si era alzata iniziando a riordinare. Aveva preso i due piatti, le posate e la pentola posandoli tutti nel lavello. Aprì il rubinetto soddisfatta del fatto che l’acqua corrente fosse disponibile, al contrario di dove aveva vissuto fino ad ora, e iniziò a sciacquare i cucchiai. Sentì Mihir ridacchiare dietro di lei e si girò a osservarlo, anche lui si era goduto il suo biberon di acqua zuccherata come pranzo e storse la bocca al pensiero che, presto, avrebbe dovuto trovare del latte; l’ultima volta che era riuscita a sfamarlo come si deve non era finita bene, per nulla.

Corinne rientrò in cucina e la prima cosa che fece fu agguantare il bambino prendendolo in braccio

-Prima lezione!- disse solennemente guardandola –Non lasciare mai il bambino da solo a meno che non si trovi nella culla. Tanto più su un tavolo, potrebbe rigirarsi e cadere!-

Mie sbiancò a quella prospettiva –Io non volevo, oddio!-

La donna le si avvicinò sorridente –Sono errori che facciamo tutti tranquilla, l’importante è imparare la lezione- annuii osservandole il bambino tra le braccia

-Posso farti una domanda?- chiese esitante ricominciando a lavare le stoviglie, la donna le sorrise incoraggiante –Tu da chi hai imparato? Cioè ci sai fare con i bambini…-

-Per qualche tempo ho fatto la bambinaia da giovane, ho imparato così, da chi era più esperta di me-

-Bambinaia?- ribatté interrogativa

-Sì, è il nome che viene dato a chi si occupa dei bambini degli altri-

-E perché qualcuno dovrebbe farlo?- rabbrividì immergendo le mani nell’acqua fredda

-È un buon lavoro, ben retribuito, e poi ci sono persone che semplicemente amano farlo- spiegò, Mie annuii sebbene qualcosa non le quadrasse

-Però…- ribatté cercando di capire cosa le stesse sfuggendo esattamente

-Cosa?-

-Niente- si arrese scuotendo la testa –Finisco di lavare e poi torniamo in camera?-

-In realtà pensavo di farti fare un giro della zona, non sembri molto in grado di orientarti- le disse schiettamente.

Mie si irrigidì, poteva essere un comportamento bambinesco, ma non voleva uscire da quella casa. Da quando aveva varcato a porta della locanda tutto era andato miracolosamente per il meglio e si sentiva al sicuro, non voleva uscire. Sapeva che era una paura infondata e senza senso, un semplice capriccio, ma se per caso uscire avesse significato rompere quella pace che si era creata? Se non avesse più potuto fare ritorno in quella locanda? Un po’ come quando ti risvegli da un sogno e poi non riesci più a continuarlo, non importa quanto fosse bello o quanto impegno ci metterai, non potrai riagganciare quel filo.

-Ti senti bene Mie?- chiese preoccupata l’anziana, aveva notato il suo irrigidimento

-Io… non credo sia una buona idea andare fuori, insomma Mihir è ancora molto piccolo e potrebbe prendere freddo e magari Chayse ha bisogno con la locanda no? E se rientrasse prima e non ti trovasse si preoccuperebbe!- sapeva che erano scuse sciocche, ma sperava che almeno servissero a farle guadagnare tempo. Corinne parve accorgersi del disagio che improvvisamente aveva mostrato e, sebbene titubante, annuii

-Allora vorrà dire che ti recluterò per le pulizie di casa! La schiena continua a mandarmi fitte e non è il caso che mi sforzi troppo-

Sorrise più rilassata tornando a pulire le stoviglia -Qui ci penso io, vai pure a sederti-

-Non trattarmi come se fossi incapace di reggermi in piedi!- provocò bonariamente, più per cercare di rilassarla che altro, la giovane arrossì fino alla punta dei capelli

-Io non volevo offenderti!- si scusò imbarazzata

Corinne scoppiò a ridere mentre si accomodava sulla sedia con ancora in braccio il piccolo Mihir.

 

Il pomeriggio passò abbastanza velocemente, una volta asciugate le stoviglie aveva spazzato per terra, si erano poi spostate in camera dove avevano ripiegato tutto ciò che nella mattinata avevano tirato fuori dalla cassa ai piedi del letto per poi rimetterlo apposto, Mihir aveva giocato col pupazzetto a forma di oca e la donna l’aveva più volte ripresa per come piegava i vestiti “in maniera totalmente sbagliata”. Una volta finito era stata spedita in cucina a scaldare una pentola d’acqua per fare il bagno a Mihir e lei aveva ubbidito chetamente cercando dietro i vari stipiti la pentola più grande, l’aveva riempita fino all’orlo e tentando di non far cadere nemmeno una goccia, tentativo peraltro vano, l’aveva poggiata sul fuoco; aveva afferrato lo staccio e asciugato le macchie dal pianale e dal pavimento. Il problema a cui non aveva pensato era come portare tutta quell’acqua dalla cucina al bagno. Si sollevò le maniche della maglia afferrando i due manici di ferro che, per fortuna, erano solamente caldi e non bollenti, fece appello a tutte le sue forse e tolse la pentola dal fornello. Immediatamente se ne pentì sentendo quanto fosse pesante, da quando in qua l’acqua pesava così tanto? Si avviò lungo il corridoio, raggiunse l’altezza della camera da letto e invece di girare a destra prese la porta di sinistra.

Il bagno era piccolo, più lungo che largo, possedeva una doccia e un lavandino abbastanza spazioso da poter essere trasformato in una piccola vasca da bagno per Mihir. Non penso neanche di provare a rovesciare il contenuto della pentola nel lavandino limitandosi a poggiare direttamente il tutto al suo interno. Corinne la guardava con in braccio Mihir e un’espressione sconcertata sul viso

-E tutta quell’acqua?-

Sollevò le spalle –È calda- disse semplicemente come se fosse una scusa, l’anziana sbuffo appena e Mie noto come si fosse sollevata le maniche fino ai gomiti  per lavare il bambino

-Rovescia la pentola nel lavandino per favore, ho già messo il tappo tranquilla-

Annuii mentre riafferrava i manici e con un ultimo sforzo rovesciava l’enorme mole di liquido all’interno del lavabo. Nonostante parte di essa fosse caduta sul pavimento Mie si sorprese di notare che l’acqua arrivava appena sopra la metà del lavandino, le era sembrata molta di più. I versetti gorgoglianti di Mihir e le pernacchie riempirono la stanzetta mentre l’altra donne regolava la temperatura aggiungendoci acqua fredda.

-A quanto pare al nostro piccolo ometto piace il rumore dell’acqua- commentò festante Corinne –Meglio così, non dovremo combattere per fargli fare il bagno-

Mie sentì distintamente un sentimento caldo e vischioso allargarglisi nel petto mentre un sorriso gli spuntava sul viso.

Il bagno prosegui egregiamente e alla fine entrambe le donne furono costrette a cambiarsi di vestito tanto erano bagnate. Mihir indosso la tutina grigia, con disegnato un piccolo topolino sul davanti, aveva un aspetto davvero grazioso e per un attimo a Mie parve impossibile che fosse lo stesso neonato a cui aveva dovuto cambiare il pannolino quella mattina. Per fortuna non aveva assistito al cambio prima del bagnetto, occupata a scaldare l’acqua.

Fu quando scese nuovamente al piano di sotto che si accorse di qualcosa di strano, dalla porta della locanda non proveniva alcun rumore. Si diresse con passi svelti in cucina dove i due coniugi la stavano aspettando. Corinne era girata ai fornelli mentre cucinava qualcosa, Chayse invece era seduto al tavolo e giocava con Mihir facendogli prima il solletico e poi sollevandolo in alto. Si sorprese a fissarli affascinati, sembravano una vera e propria famiglia, loro si che avrebbero potuto occuparsi egregiamente di lui, permettergli di superare l’inverno, vedere la sua prima primavera e anche quella successiva e tutte le primavere a venire. Entrò andando a sedersi sulla sedia, la donna la accolse con un bel sorriso mentre il marito si limito a un secco gesto del capo.

-Com’è andata la giornata?- chiese cercando di avviare la conversazione, Mie annuii

-Bene-

-Già, abbiamo pulito tutta casa, mi è stata davvero di aiuto con questo mio mal di schiena!- si inserì nel discorso Corinne. I tratti del viso dell’uomo si addolcirono nuovamente mentre osservava la moglie, sospirò e poi tornò a guardarla

-Non è un discorso facile e non voglio fare troppi preamboli, quindi scusa se sarò così diretto ma hai deciso se accettare la nostra offerta?-



Note e Scleri dell'autrice:

Tan tan taaaan! Eccomi tornata! E prima del linciaggio di gruppo lasciatemi spiegare! Allora sono partita per andare in vacanza con computer al seguito e tutto, arrivo a casa dai miei parenti tutta felice e contenta, baci e abbracci, una cena che neanche fosse un matrimonio e poi mi ficco nel mio lettone iniziando a scrivere.
Poi il dramma.
E si gente, ecco a voi il genio dei geni, colei che è riuscita a scordarsi il caricabatteria del pc a casa -.- e a quanto pare in famiglia nessuno possiede un pc o, più probabile, nessuno mi ha voluto prestare il caricabatterie. Risultato? Un aggiornamento saltato e centinaia di appunti scritti a matita sull’unico quaderno disponibile. Ma! C’è anche un lato positivo, l’aria di mare ha ispirato la mia fantasia e adesso sto scrivendo in quinta! Quindi tutto apposto per ora.

Spero vi siate goduti questo mega-capitolo che, stando al contatore, misura ben 39.611 parole, complimenti a me! E ora ecco la domanda di rito che credo sia abbastanza ovvia:

Mie accetterà di essere adottata insieme a Mihir dai coniugi Ishan?
A- Sì
B- No

Vi aspetto in tanti giocatori!
Imoto-chan


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Atto III - Incontro ***



Atto III
Incontro

-Non è un discorso facile e non voglio fare troppi preamboli, quindi scusa se sarò così diretto ma hai deciso se accettare la nostra offerta?-

Abbassò il capo torturandosi le mani, l’offerta era allettante, inutile cercare di nascondere quella verità, avrebbero finalmente avuto un tetto sopra la testa, un pasto caldo al giorno e avrebbero qualcuno che provvedesse alle loro necessità. Da ogni punto di vista pareva una situazione allettante, quindi perché sitava tanto? Prese un grosso respiro e sollevò il capo fissando dritto negli occhi l’uomo:

-Accetto-

Chayse si lasciò andare a un sorriso e poté sentire il sospiro di sollievo della donna, si rese conto solo allora di come avesse trattenuto il respiro fino a quel momento. Sorrise anche lei mentre Corinne posava davanti a ognuno dei pochi commensali una ciotola di brodo di carne con qualche tocchetto roseo che galleggiava.

Mie immerse il cucchiaio di ferro tirandolo su e portandosi una grossa cucchiaiata alla bocca, sentiva il brodo caldo scendergli lungo la gola e riscaldargli lo stomaco, nonostante tutto la tensione non si era completamente sciolta e questo la metteva in imbarazzo.

Chay… no, suo padre aveva quasi svuotato la ciotola. Prese un’altra cucchiaiata piena riempiendosi la bocca, pensare all’uomo in quei termini la metteva in soggezione, le pareva impossibile che avesse una madre e un padre. Anche Corinne aveva finito di mangiare e teneva in braccio Mihir che succhiava avidamente il biberon.

-Adesso siamo una famiglia- la voce profonda e tranquillizzante di Chayse la raggiunse attirando la sua attenzione –Quello che questa sera abbiamo fatto qui vale a tutti gli effetti come un’adozione credo, però, che ci siano alcuni punti da chiarire-

Mie si tese, alcuni punti da chiarire? Cosa intendeva?

-Rilassati- la voce di Corinne mise un freno alla baraonda che si era creata nella sua mente e gli permise di prendere un attimo fiato -Non è nulla di catastrofico, solo un paio di stupidaggini-

Annuii tornando a guardare l’uomo –Da oggi in poi la vostra vita cambia completamente, siete nostri figli, prendete il nostro cognome e questo significa che qualsiasi cosa tu faccia coinvolgerà automaticamente anche noi due e la locanda-

Era chiaro, non ci aveva pensato, ma era vero.

-C’è qualcosa che dobbiamo sapere al riguardo?- schietto, senza troppi giri di parole

-Non abbiamo una famiglia, nessuno ci verrà a reclamare. E non ho nulla da nascondervi, per questo sarò sincera: ero una prostituta- l’aria si tese improvvisamente e Mie seppe di aver lanciato la bomba –Lavoravo in uno dei bordelli al limite dalla città, ma non avevo clienti fissi o importanti. Nessuno mi riconoscerà mai e la direttrice non perderà certo tempo a cercarmi-

Chayse la fissava ancora leggermente sconvolto, sentì una mano calda poggiarsi sul braccio e si girò incontrando lo sguardo dolce di Corinne –Va bene. Ciò che avete fatto prima di oggi non conta. Eri disperata e non avevi molte alternative. Va bene-

Annuii anche il marito che parve essersi leggermente ripreso dalla notizia -C’è qualcos’altro che dovremmo sapere?- chiese con circospezione

Dinegò –No, non credo-

-Bene. Su di noi non c’è molto da sapere- Mie si stupì di come fossero passati facilmente sopra l’argomento senza fare alcun tipo di domanda e si apprestò ad ascoltare –Questa è casa nostra da sempre e io gestisco la locanda qui affianco, ormai sto invecchiando e Corinne non mi può certo dare una mano, voi due siete per noi una benedizione-

Lo disse con convinzione accarezzando con gli occhi sia lei che Mihir e tenendo la mano della moglie, Mie decise di non interromperlo continuando ad ascoltare

-Mi ero ormai arreso all’idea che la locanda sarebbe morta con me, ma a quanto pare non sarà così. Da domani mi aiuterai con la gestione della locanda, sarà anche un ottimo modo per iniziare a far sapere alla gente che sei mia figlia-

Annuii con la testa, era un’ottima idea. Superava ogni sua più rosea aspettativa.

-Domani mattina nella piazza sud c’è il mercato- entrambi si girarono verso Corinne –Credo che il debutto come tua aiutante nella locanda dovrà aspettare almeno fino al pomeriggio- disse con un sorriso, poi si girò verso di lei –Abbiamo un bambino di cui occuparci e ci sono un sacco di cose da comprare. Mi aiuterai?-

-Certo!-

-Chayse! Vai a prendere carta e penna! Daremo fondo ai nostri risparmi- disse ridacchiando mentre il marito si alzava uscendo dalla cucina –E tu tieni a mente, in questa casa si tiene il libro contabile di ogni monetina che entra ed esce dalle nostre tasche!-

-Libro contabile?- la voce felice ed energica della donna era contagiosa, improvvisamente ogni traccia di tensione era stata spazzata via,

Corinne annuii in modo solenne mentre afferrava carta e penna dalle mani del marito –Già, non si può lasciare al caso la decisione se avremo o meno i soldi per sopravvivere un altro giorno, perché allora sta certa che non ci saranno! Sai scrivere, leggere e fare conto?- gli chiese

Mie arrossì abbassando il capo –Ho imparato a leggere un poco da sola, ma non so scrivere. So contare quel giusto che mi serviva con i cliente-

-Bene, sei già più istruita della media dei clienti di questo posto, troverò il tempo per insegnarti, sia a te che al piccolo principe- disse sorridendo incoraggiante e la ragazza la ringraziò internamente.

Passarono il resto della serata a fare la lista di ciò che avrebbero comprato all’indomani e a decidere quanti soldi avrebbero potuto spendere per ogni prodotto, latte compreso. L’atmosfera era rilassata e tranquilla, pareva che al mondo non ci fosse alcun problema e Mie capì il significato di famiglia. Sorrise mentre il capo scivolava sul tavolo, dopo tanti anni si addormentava finalmente col sorriso.

***

-Mamma, due ciotole di stufato!-

Le ciotole furono riempite velocemente da Corinne e poi poggiate sul tavolo di legno della cucina, già pieno di pentole e vassoi contenenti un gran numero di cibarie. Mie attraversò velocemente il corridoio rientrando nella locanda quasi pieno e portando i piatti ai due avventori affamati che ci si fiondarono sopra come degli avvoltoi. Ebbe appena il tempo di pulirsi le mani sul grembiule prima che un nuovo cliente richiamasse la sua attenzione chiedendo a gran voce una nuova bottiglia liquore. Si avvicinò al bancone afferrando la bottiglia che il padre le passava e portandola al soldato, la poggiò sul tavolo e se ne andò ignorando i commenti dell’uomo.

Gli affari andavano più che bene e questo significava avere la locanda sempre piena di ogni tipo di cliente. In quattro anni aveva conosciuto più gente che in tutta la sua vita, pensava che il lavoro di prostituta l’avesse portata a conoscere un gran numero di persone, ma si era ritrovata a dover ammettere che aveva conosciuto solo una minima parte di umanità nei suoi primi diciassette anni di vita; solo adesso, in quella locanda, aveva potuto conoscere i nobili signori della superficie che venivano nel sottosuolo per portare profitto a qualche casa del piacere, o i soldati che facevano le ronde venendo a festeggiare appena riuscivano a ottenere qualche quattrino in più. Quasi rimpiangeva i primi tempi, quando i tavoli erano ancora pochi e vuoti a esclusione di uno o due ubriachi ogni tanto, ma poi la notizia della “nuova figlia del locandiere, quello sotto la scalinata ovest” si era sparsa a macchia d’olio e gli avventori erano incrementati di numero ogni giorno nella curiosità di conoscerla e scoprire se voci erano vere. Avevano avuto un picco di affari, circa due mesi dopo la sua comparsa, che li aveva costretti a mandare a casa dei clienti a causa dell’esubero. Adesso la situazione si era calmata, ma avevano comunque guadagnato una buona reputazione che gli permetteva di avere un buon numero di clienti fissi e ancor più avventori occasionali.

Lanciò un’occhiataccia di fuoco all’uomo che aveva approfittato del momento in cui le era passata accanto per toccarle il culo e ritornò in cucina.

-Una ciotola di zuppa, una di minestra e un piatto di uova-

-Sicura di farcela a portare tutto?-

Annuii nonostante la donna le desse le spalle –Tranquilla- disse avvicinandosi per aiutarla a riempire i piatti -Mihir?-

-È in camera a giocare- ripose affettuosamente

Afferrò i piatti tornando in locanda, anche lui era cresciuto molto. I capelli non erano molti e di un biondo chiarissimo, fini e tagliati corti alla nuca, gli occhi azzurri e piccoli che facevano risaltare la pupilla nera decisamente grande, aveva perso i lineamenti tipici del neonato diventanto decisamente grazioso. Nonostante fosse ancora un bambino si poteva notare come non sarebbe mai diventato molto muscoloso, era infatti abbastanza piccolo e minuto per la sua età. Certo non che ci fossero molti bambini di quattro anni nel quartiere, ma i pochi provenienti dalla superficie che lo avevano visto quando fuggiva nella locanda per cercala stentavano a credere che non avesse due o tre anni.

-Attenta!-

Chiuse gli occhi sentendo la schiena impattare col pavimento in legno e si rialzò stordita, i piatti erano caduti al suolo e un soldato, palesemente alticcio, la squadro spolverandosi i pantaloni, schioccò la lingua e uscì dal locale. Sbuffò rialzandosi e pulendo velocemente con uno straccio per terra, Chayse gli si era avvicinato, ma vedendo che era tutto apposto era tornato immediatamente dietro il bancone a servire i clienti.

Maledetti ubriachi.

***

-Stai attento a non cadere mi raccomando!-

-Va bene!- gli urlò di rimando Mihir mentre correva via saltando sulle varie rocce. Mie sorrise senza perderlo di vista, venire lì almeno una volta a settimana era un’abitudine che avevano preso insieme a Corinne quando lui era ancora un neonato piagnucoloso in fasce e probabilmente non l’avrebbero mai persa.

Gli sembrava ancora di sentire la voce energica e dolce della donna che le spiegava con pazienza quanto un bambino nel periodo della crescita avesse bisogno della luce del sole per crescere forte e sano. Certo, per quanto le condizioni li sotto lo permettessero. Da allora appena aveva un giorno libero prendeva Mihir e lo portava sui massi che circondavano quella pozza putrida che gli abitanti si costringevano a chiamare lago e che si trovava esattamente sotto l’unico enorme buco che permetteva di avere luce ed aria nel sottosuolo.

-Guard, guarda!-

Strizzò gli occhi cercando di capire cosa stesse sventolando per aria, ma si arrese almeno fino a quando il bambino non glielo mise sotto il naso

-Un fiore!- rideva felice mostrandoglielo come se fosse una bene prezioso e in effetti non è che ce ne fossero molti che crescevano in giro.

-È bello- concordò con il bambino

-Lo portiamo alla mamma?-

Il sorriso si fece amaro mentre annuiva lentamente, prese il fiore in grembo mentre Mihir correva via per cercarne altri. Tutte le volte che andavano a far visita a Corinne sentiva le budella che si attorcigliavano e la bile che le risaliva la gola. Era stato un periodo orribile quello appena dopo la sua morte.  Chayse era distrutto dal dolore e si rifiutava di uscire dalla loro stanza, era quindi toccato a lei prendere in mano la locanda e occuparsi di entrambi. In alcuni momenti aveva pensato che un giorno sarebbe entrata in quella camera e avrebbe trovato il padre morto d’inedia sul letto. Per fortuna non era stato così, ma il dolore l’aveva sfinito sia dal punto di vista mentale che fisico, non era più l’uomo forte ed energico che aveva conosciuto agli inizi, stava invecchiando e nonostante continuasse a darle una mano con il locale non poteva più fare molto.

Anche Mihir aveva sofferto molto, ma incredibilmente si era ripreso in poco tempo, si era più volte preoccupata di non averlo consolato nel modo corretto, ma il piccolo non pareva troppo traumatizzato dal passato. Adesso come adesso però la preoccupava il suo futuro; non tanto dal punto di vista economico, la locanda continuava ad avere ottimi affari, ma per la sicurezza. Aveva ormai dieci anni ed era cresciuto bene, non era altissimo e neanche massiccio, esattamente come quando era più piccolo, ma era molto intelligente e perspicace, Corinne gli aveva insegnato a leggere e scrivere oltre che a fare conto, e il bambino aveva riscoperto un'incredibile vena sopita da lettore, leggeva ogni cosa imparando qualcosa di nuovo a ogni pagina. E sviluppando il suo intelletto. Le persone che intuiscono troppo sono sempre mal viste e finiscono per fare una brutta fine. Inoltre negli ultimi tempi c’era sempre più Unicorni in giro e non gli piaceva che la gente ficcasse il naso nei loro affari. Anche se tutti sapevano perché erano lì.

Le notizie giravano veloci, soprattutto in una locanda dove si incontrano ogni genere di persone. Internamente, come la maggior parte dei cittadini, sperava che gli Unicorni fallissero la missione, in fondo il ragazzino non aveva causato troppi danni, ma soprattutto sapeva volare. Un giorno, mentre era al mercato, l’aveva visto prima che qualcuno la spingesse lontano dalla ressa, quel ragazzo non usava semplicemente il movimento tridimensionale come la maggioranza dei soldati, volava! Letteralmente.

Osservò la volta in pietra, chissà cosa si provava, non riusciva a immaginarlo. Doveva essere un misto tra libertà e potenza, o forse semplicemente non pensavi a niente. Era diventato abbastanza famoso e buona parte delle persone aveva già deciso se schierarsi a favore o contro di lui; poteva considerarsi fortunato, non erano molti coloro che sopravvivevano a lungo facendosi notare in quel modo. Le sue scorribando correvano velocemente da una parte all’altra del distretto ed era divertente vedere i soldati correre e lamentarsi per non riuscire a prendere un semplice ragazzino. Chissà se anche Mihir avrebbe iniziato a causare danni con la sua boccaccia una volta cresciuto abbastanza.

-Un altro!-

Mihir gli lascò in grembo un altro fiore ridestandola dai suoi pensieri, questa volta i petali erano un po’ più ammaccati dei precedenti e lei gli afferrò il braccio prima che corresse via. Il sole era già uscito dalla loro visuale, nonostante illuminasse ancora leggermente le pietre, e correre su e giù era pericoloso, c’era il rischio che cadesse in qualche buca e si facesse seriamente male.

-Andiamo a portare i fiori a mamma, dai-

-Ma ce ne sono degli altri!- si impuntò il bambino -Li vado a prendere!-

-No! È tardi e sta venendo buio, è pericoloso-

-Ma due sono pochi! E poi sono qui vicino! Faccio veloce!-

-Ti ho detto di no!- ripeté sollevandosi da terra, certo che quando voleva diventava testardo

-Perché! A mamma piacciono i fiori!-

-Ma se glieli porti tutti oggi non ce ne saranno per domani!-

Mihir si fermò come se stesse ragionando sulle sue parole, poi scosse il capo -I fiori ricrescono!-

-Mihir!- sbottò -È tardi e papà è alla locanda da solo! Andiamo, su!-

Storse la bocca contrariato per poi seguirla giù per le strade, camminarono scostando i ciottoli davanti a loro quando il bambino parlò di nuovo -Però li posso dare i fiori a mamma?-

Mie lo osservò passandogli i due gambi -Certo, a lei piacciono i fiori ed è felice quando glieli porti-

Il viso del piccolo si illuminò aprendosi in un sorriso e afferrando tra le mani il minuscolo mazzo, corse leggermente avanti -Sbrigati!-

Mie sbuffò leggermente chiedendosi dove trovasse tutta quella energia poi lo seguì.

 

Quando rientrarono alla locanda era diventato buio già da un po’, il calore e la luce li colpirono insieme alla confusione e al vocio dei clienti. Mihir corse immediatamente dietro il bancone abbracciando il padre, gli arrivava poco sopra la vita ed era una scena buffa e dolce al contempo. Chayse lo sollevò in alto per poi baciarlo sulla fronte, era incredibilmente affettuoso con lui, soprattutto da quando era morta Corinne, aveva riversato su di lui tutto il suo affetto.

Si tolse il mantello che indossava avvicinandosi al bancone e poggiandolo sul piano al di sotto mentre il padre poggiava Mihir a terra, il bambino corse verso la porta laterale e scomparve in casa, probabilmente andando a giocare o a leggere qualche favola nella sua stanza.

-Mie- la voce del padre la richiamò mentre afferrava due bottiglie per riempire i bicchieri delle persone al bancone

-Tranquillo, puoi andare a riposare, qui ci penso io- l’uomo scosse la testa

-Non è quello, ci sono due persone che devono parlarti-

Si fermò poggiando le bottiglie sul pianale di legno, il volto del padre era teso e segui lo sguardo fino a un tavolo che si trovava in un angolo del locale, seduti si trovavano due ragazzi, abbastanza giovani, che stavano mangiando un piatto di zuppa

-Sicuro?-

-Vai-

Annuii avvicinandosi al tavolo, non era la prima volta che qualcuno si avvicinava per fargli qualche proposta, indecente o meno, eppure si trattava solitamente di clienti abituali. Era abbastanza che quei due ragazzi non lo fossero e il fatto che sulla tavola non fossero presenti alcolici aumentava la sua idea che si trattasse di qualcosa di più serio delle classiche proposte di matrimonio di un ubriaco. Anche la voce del padre era parsa stranamente tesa, che ci avesse glia parlato?

-Dovevate dirmi qualcosa?- semplice e diretta, attirò immediatamente l’attenzione di entrambi. Come aveva supposto erano giovani, più di lei. Quello a destra pareva abbastanza muscoloso nonostante non abbondasse di muscoli mentre quello a sinistra era gracile e mingherlino, ma lo sguardo con cui la scrutava, doveva ammetterlo, la metteva in soggezione. Era freddo e calcolatore.

-Sei tu che dirigi questo bar no?-

Osservò il sorriso, falso, del biondino di destra e sorrise a sua volta -Questa è la mia locanda- ci tenne a precisare calcando bene sul fatto che fosse sua e che non fosse un semplice bar, non sopportava quei luoghi bui e maleodoranti, loro erano un gradino sopra, non erano una semplice bettola per ubriaconi.

 Alzò leggermente le mani dal tavolo, quasi a voler imitare una resa per poi indicare col capo una sedia vuota accanto a lui –Ne parliamo con calma?-

-Ho un sacco di lavoro da svolgere, nel caso che non te ne sia accorto il locale è pieno-

Quello stava per ribattere quando il secondo ragazzo, il moretto alla sua sinistra, schioccò la lingua sul palato attirando la sua attenzione -Siediti-

Sentì l’irritazione montare –Non darmi ordini- sibilò

-Possiamo calmarci? Chiedo scusa per il mio compagno, è sempre stato un po’ brusco-

Mie lo osservò, il moro non pareva per nulla pentito, anzi era quasi irritato dalle scuse del compagno. Non li sopportava, non solo entravano nel suo locale con la pretesa di parlarle, ma si comportavano come dei maleducati, dei cafoni, uomini senza educazione.

-Direi che la nostra conversazione finisce qui. Se volete ordinare qualcosa chiudete pure a Chayse- lapidaria gli girò le spalle tornando al bancone, due arroganti così non meritavano un secondo di più della sua attenzione.

-Dannazione non potevi essere un po’ più educato?-

L’altro ragazzo sollevo un sopracciglio –Andiamocene-

Il biondo scosse la testa trattenendolo per un polso –Quando fai così non ti sopporto- lo lasciò andare tirandosi in piedi a sua volta e infilandosi il mantello –Ce ne andiamo davvero così?-

Il moro sollevò le spalle dandogli la schiena mentre si dirigeva verso l’uscita –Ovvio che no-

Il fetore e il puzzo dell’aria lo colpì in pieno viso mentre usciva per camminare lungo le strade –Quindi torniamo?-

-Possiamo trovare altre locande disposte a darci informazioni, non sono l’unica della zona-

-Ma sono la più famosa e lo sai anche tu che hanno un giro di clienti che ci farebbe molto comodo-

Schiocchiò la lingua sul palato iniziando a legare le cinghie lungo il corpo, l’altro ragazzo sospirò spostando a sua volta un telo e iniziando a stringere le fibbie.

Mihir, dall’alto dei suoi dieci anni, osservava la scena nascosto dietro l’importa alla fine del corridoio di casa. Quei due ragazzi erano familiari, li aveva già visti nel locale e, soprattutto, al mercato. Non capiva quello che stavano dicendo, ma era abbastanza evidente che ce la avessero con locale di papà. Li osservò mentre, con gesti esperti, infilavano quelle strane imbracature, non le aveva mai viste in giro, ma sapeva che costavano molto perché le avevano addosso i soldati. E loro non erano soldati. Aveva sentito di come gli Unicorni si vantassero di essere in grado di volare con quelle, glielo ripetevano sempre quando lui gli chiedeva a cosa servissero, ma non gli avevano mai permesso di volare con loro. Chissà se quei due sapevano volare, probabilmente si. Chiuse gli occhi cercando di ricordare la scena del mercato, quando aveva visto per la prima volta una persona volare. Ricordava le urla dei mercanti e qualche ragazzo che li spingeva indietro, pareva ancora di sentire le scatole di mele che si rovesciavano a terra, le imprecazioni dei venditori e le urla di giubileo dei giovani che, a mani piene, afferravano ogni cosa per poi scappare via.

Tornò ad aprire gli occhi e osservò i due ragazzi, a quanto pareva avevano finito e se ne stavano per andare, Era la sua ultima occasione. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi.


Note e Scleri dell'autrice:

Sono tornata gente! Ma prima di mettermi alla gogna fatemi spiegare! Come alcuni di voi già sapranno questa volta l'aggiornamento è saltato per cause maggiori di me, infatti sono rimasta senza internet tutta la settimana e non ho potuto aggiornare, il motivo? La compagnia telefonica ha deciso di farci l'allacciamento proprio la settimana appena passata. Quindi chiedo profonde scuse a tutti voi, mi dispiace davvero, ma da adesso gli aggiornamenti dovrebbero tornare regolari! Insomma è tutto a posto, le vacanze sono finite, internet c'è, quindi a meno che il fato non c'è l'abbia con me direi che andrà tutto bene.

Passando al capitolo, siamo tornati alla lugnhezza standard (7 pagine di word), ma nonostante è passato un bel po' di tempo. Mihir è cresciuto e adesso ha ben 10 anni, insomma un piccolo ometto, Corinne invece è morta. Era anziana già quando l'avevano incontrata quindi è più che ovvio che sarebbe morta presto (infondo il distretto sotteraneo non è esattamente il luogo migliore peravere una serena vecchiaia), ma tornerà più avanti nella storia non temete, non come spirito, no, ma tornerà. Sono anche comparsi due nuovi personaggi chi saranno mai? Tanto lo so che lo avete già capito tutti... faccio pena a tenere alta la suspance! E a proposito dei due loschi figuri abbiamo la nostra domanda:

Mihir si avvicinerà a loro per parlargli e scoprire qualcosa di più?
A- Sì
B- No

Come sempre il destino di questa storia è nelle vostre mani giocatori! E a tal proposito vedo che siamo aumentati, mi fa davvero piacere! Non siate timidi e esprimete la vostra opinione (oltre ad avvertirmi se trovate errori e strafalcioni nel capitolo, ovvio), anche perchè questo capitolo nonostante lo abbia riscritto a lungo non mi convince quindi se avete dei suggerimenti fatevi avanti!
A Mercoledì,
Imoto-chan




Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Atto IV - Ricordi ***


SNK ricordi
Atto IV
Ricordi

Tornò ad aprire gli occhi e osservò i due ragazzi, a quanto pareva avevano finito di prepararsi e se ne stavano per andare, era la sua ultima occasione. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, puntellò le mani sul davanzale della finestra e si tirò su per scavalcarla.

Inutile dire che il suo goffo tentativo non andò in porto e si ritrovò semplicemente con la testa che sporgeva sul vicolo accompagnata dalle spalle e dalla prima parte del busto, l’angolo del davanzale che premeva insistentemente sul suo diaframma impedendogli di respirare e le gambe ancora dentro casa a penzoloni. Tossicchiò cercando di rispendere il respiro e si tirò nuovamente su con le mani cercando di alleviare la pressione sui polmoni, con una certa fatica si issò a sedere sul pezzo di legno e prese qualche respiro per calmarsi, aveva lo stomaco che pulsava, una nausea imminente e un ginocchio sbucciato che si era ferito nello sfregare contro il muro. Un fallimento su tutta la linea.

-Ehi, ti senti bene?-

Sollevò lo sguardo incrociandolo con quello confuso e divertito del ragazzo biondo, allora non se ne erano ancora andati! Forse non era stato un totale fallimento. Sorrise annuendo energicamente -Sì, sto bene!-

Farlan, che si era accorto del bambino già da un po’ vista l’incredibile confusione che aveva fatto nascosto dietro l’imposta della finestra, sorrise avvicinandosi -Non si spia la gente, non te l’hanno mai detto?- Levi dietro di lui sbuffò.

-Ma voi potete volare!- ribatté il bambino con gli occhi sgranati, la bocca aperta a formare una tonda “O” e le braccia tese in avanti a indicare entrambi i ragazzi. Il suo interlocutore sollevò un sopracciglio, non capiva come il fatto che lui e Levi potessero “volare” fosse una giustificazione alle azioni del moccioso

-Quindi?-

Il bambino sgranò ancora di più gli occhi accigliandosi, come se non comprendesse la sua domanda

-Voi potete volare!- ripeté stavolta a voce più bassa in un borbottio incrociando le braccia al petto –Voi…- mosse le mani in una serie di gesti repentini e confusi davanti a lui non trovando le parole adatte poi sbuffò incrociandole nuovamente.

Farlan rise mentre il moro, che ormai aveva raggiunto il suo fianco, sbuffò leggermente divertito e irritato -C’è ne andiamo?- chiese lapidario

L’altro lo ignorò completamente rivolgendosi al bambino –La tua mamma è la proprietaria della locanda?-

Il piccolo scosse la testa a destra e a sinistra -No, la mamma non c’è più, è morta-

-Ah-

Calò un silenzio abbastanza teso nel vicolo e Farlan si passò una mano tra i capelli a disagio, era alquanto sicuro che la ragazza con cui avevano appena parlato fosse la madre del bambino, ma a quanto pare aveva preso un abbaglio

-La locanda è di papà- borbottò il moccioso giocando con le dita delle mani, pareva aver intuito l’aria tesa e si sentiva abbastanza a disagio.

-La ragazza chi è?- la voce di Levi risuonò nel vicolo decisa e permise al compagno di riprendersi piuttosto velocemente, il bimbo inclinò la testa di lato

-Mia sorella? Aiuta il papà con il lavoro, perché lui è vecchio e si stanca sempre-

Levi annuii infilando una mano in tasca e tirandone fuori una busta bianca -Dalla a lei-

-È una lettera?- chiese curioso prendendola in mano e rigirandosela, era intonsa

Il ragazzo annuii -Deve leggerla, è importante. Prometti di dargliela?-

Il bimbo si sedette meglio sul davanzale facendo sporgere le gambe a penzoloni dal lato della strada e, abbandonando la posizione in ginocchio che aveva avuto fino a quel momento, guardò attentamente la busta prima di prenderne un angolo e iniziare ad aprirla.

-Ehi!- Farlan intervenne subito strappandogli la lettere di mano -Cosa pensi di fare?-

Il bambino lo guardò corrucciato prima di allungarsi per riprendersela -Tanto la devo leggere io! Mie non sa leggere!- disse semplicemente allungando ancora di più le mani mentre Farlan si allontanava di un passo

L’urlò stridulo di quando perse l’equilibrio cadendo dal davanzale quasi stordì i due ragazzi, ma nonostante tutto Mihir non si fece male, Levi fu abbastanza svelto da afferrarlo prima che cadesse per terra. Rimasero fermi in quelle posizioni per un attimo, Farlan con la lettera in mano ancora proteso con una gamba avanti per afferrare il bambino, il marmocchio attaccato al petto del suo salvatore e suddetto salvatore con il bambino tra le braccia e un’espressione infastidita in viso.

Il biondo sospirò quando ebbe la certezza, dopo qualche secondo, che nessuno sarebbe venuto a controllare, probabilmente nella locanda c’era troppa confusione perché avessero sentito l’urlo e i passanti non fremevano certo per intromettersi in problemi non loro. Si rimise in posizione eretta affiancandosi agli altri due -Tutto bene?-

Levi schioccò la lingua provando ad allontanare il bambino dal petto con pochi risultati, quest’ultimo infatti si era ripreso velocemente dallo spavento più dei due ragazzi e adesso stava ben ancorato alla fascia in cuoio del movimento tridimensionale osservandola con sguardo assorto.

-A cosa serve?- chiese con gli occhi che brillavano di curiosità

-Si chiama movimento tridimensionale-

-Oh- sorrise divincolandosi come un’anguilla tra le braccia di Levi che fu costretto a poggiarlo a terra per evitare una craniata sul naso, ma Mihir non lo lasciò andare attaccandosi alla cintura sulla vita, esaminandola attentamente insieme al resto dell’imbracatura

-Ti fa volare?- chiese, la voce venata di allegria e curiosità

-Sì-

Le risposte fredde e secche di Levi parevano non avere altro effetto sul bambino se non quello di aumentare ancora di più la sua curiosità, afferrò l’elsa della spada e fece per tirarla fuori quando con un movimento repentino il moro gli afferrò il polso -Non toccarla-

-Perché?- gli chiese dal basso

-È pericolosa-

-Cos’è?- continuo imperterrito tenendo ben ferma la mano sull’elsa

-Una spada-

-E a cosa ti serve?-

Farlan sollevò un sopracciglio abbassandosi al livello del bambino, meglio evitare che Levi lo traumatizzasse con una delle sue risposte caustiche tipo

-A difendermi da chi vuole farmi smettere di volare-

Batté le palpebre un paio di volte osservando il viso di Levi, la risposta era stata incredibilmente adatta al bambino che adesso pareva aver esaurito la curiosità per quella parte del movimento passando al resto delle cinghie. Non si aspettava una tale… sensibilità? Avrebbe potuto chiamarla così, sì, sensibilità, da parte del proprio compagno. Il bambino, intanto, lo guardava confuso

-Perché qualcuno dovrebbe impedirti di volare?-

-Ci sono persone molto invidiose a cui non piace l’idea che anche noi possiamo volare-

Il bambino lo fissò e Farlan si sentì quasi a disagio sotto quello sguardo penetrante

-I soldati?-

Sgranò gli occhi e socchiuse la bocca, era sorpreso, non si aspettava di certo che un bambino potesse conoscere certe cose, a proposito come faceva a saperlo?

-Come lo sai?-

Il bambino sollevò le spalle -Tutte le volte che gli chiedo se possono farmi volare loro dicono che io non posso perché non sono un soldato-

Si girò verso Levi che pareva altrettanto sorpreso e confuso, le sopracciglia erano aggrottate e si chinò a sua volta per guardare negli occhi il bambino

-Voi non siete soldati- continuò fissandoli negli occhi -Quindi non potete volare. Ma lo fate. È ovvio che i soldati siano arrabbiati con voi!-

-Come sai che non siamo soldati?- chiese pacatamente Levi

Il bambino li indicò –Non avete il mantello verde!- poi scoppiò a ridere -Lo sanno tutti che i soldati hanno il mantello verde!-

Farlan si grattò il capo sconfitto dalla semplicità del ragionamento -E se fossimo soldati che si sono scordati il mantello a casa?-

Il bambino lo guardò come se fosse uno stupido e lui si sentì quasi offeso, insomma era una domanda logica! Maledizione a Levi che continuava a starsene zitto.

-I soldati non scordano mai il mantello verde perché se non lo hanno non sono soldati. E poi voi non sembrate soldati, siete gentili!-

Levi sollevò un sopracciglio, quel bambino era intelligente. Sorrise di sbieco.

-Quindi tu sai leggere- affermò. Il bambino volse lo sguardo verso di lui fissandolo confuso per poi annuire

-Come lo sai?-

Scrollò le spalle -Puoi leggere questa lettera a tua sorella?-

Il bimbo afferrò la lettera che Farlan gli stava passando -Però non devi aprirla finché non siete tu e lei da soli-

-Perché?-

Levi si alzò in piedi -È molto importante. Sei un bimbo intelligente, non aprirla finché non siete tu e lei da soli-

Gli occhi del bambino si illuminarono a quel complimento e lo fissarono felici –Mihir! Mi chiamo Mihir!- disse ridacchiando e Levi annuii scocciato.

-Va bene Mihir, lo prometti?- chiese Farlan alzandosi da terra, sentiva le caviglie iniziare a dolere a forza di stare inginocchiato

-Prometto!- quasi urlò sorridente, poi si girò allungando le braccia verso l’alto nel tentativo di afferrare il davanzale per tirarsi su, il biondo scosse la testa prendendolo per i fianchi e poggiandolo sul davanzale, per quanto fosse stato buffo da vedere la prima volta era meglio evitare che si facesse troppo male. Se avesse parlato bene di lui e Levi con sua sorella forse avrebbero avuto qualche possibilità in più che lei accettasse la loro offerta.

-Grazie!- berciò mentre lui si girava per raggiungere il compagno già sul tetto della casa -La prossima volta posso volare anch’io?- chiese speranzoso, Farlan girò il capo osservandolo divertito -Così potrò dire ai soldati che anche io posso volare anche se non lo sono! Un soldato intendo- argomentò entusiasta

-Vedremo- gli rispose sollevandosi per aria, sentì il gridolino entusiasta del bambino, ma quando atterrò sul tetto e si girò a osservare la finestra lui non c’era già più.

-Cosa gli hai detto per farlo urlare così?- rimbrottò Levi schioccando la lingua sul palato

-Nulla di importante- lo rassicurò avviandosi verso casa -Secondo te esistono movimenti per bambini?-

Levi lo osservò sconvolto e con una punta di irritazione prima di accelerare e distanziarlo per aria, Farlan si sentì per qualche attimo un emerito idiota, poi sbuffò aumentando a sua volta la velocità.

 

Ridiscese il davanzale dalla parte del corridoio e osservò la lettera bianca che aveva in mano, si era leggermente stropicciata. Sbuffò mettendosi in ginocchio e poggiandola per terra iniziando a provare a lisciarla con le mani, era una lettera importante! Non poteva darla a sua sorella stropicciata così!

Si tirò su soddisfatto dopo qualche minuto rimirandosela tra le mani, gli avevano affidato un compito fondamentale e lui voleva svolgerlo al meglio! Corse lungo il corridoio tornando alla locanda, era piena di clienti seduti ai tavoli e al bancone, suo padre dietro quest’ultimo svuotava bottiglie e riempiva bicchieri a un numero considerevole di clienti mentre sua sorella si destreggiava tra i vari tavoli portando piatti e calici. La vide posarli su un tavolo al centro dove quattro persone di avventarono sul cibo come se stessero per morire di fame, poi si girò e attraverso tutto il locale, gli passò affianco osservandolo divertita per poi dirigersi in cucina, lui le trotterellò dietro.

-Oggi non ci sono soldati alla locanda Mihir, forse arriveranno verso il tardi- lo informò conscia della sua passione per quegli uomini.

Il bambino, si imbronciò e annuii, meglio così, la prossima volta che li avrebbe visti gli avrebbe rinfacciato che anche lui aveva volato! La sorella riempì velocemente due ciotole prima di girarsi e poggiarle sul tavolo per riempirne altre due, il bimbo poggiò la lettera sull’angolo più vicino e prese in mano una ciotola, Mie gli accarezzo il capo con dolcezza

-Portala al tavolo vicino al bancone, quello dove c’è il signore con quel cappello buffo-

-Va bene- rispose avviandosi lungo il corridoio, arrivato sulla soglia osservò il locale, era decisamente pieno. Osservò le varie teste sopra di lui cercando quella che indossava il cappello indicato da Mie, ma non la trovò. Il locale era decisamente troppo affolato e faticava a vedere più lontano di due o tre tavoli. Si avviò verso il bancone e passò in rassegna i vari tavoli vicino ad esso, un paio di avventori gli rivolsero delle occhiate, ma lo lasciarono perdere velocemente. Trovò il tavolo verso la fine, vicino alla parete. Un signore che pareva abbastanza giovane indossava un cappello decisamente troppo grande che gli cadeva sugli occhi mentre parlava con gli altri, era di colore rosso con un grosso pon-pon giallo. Era davvero buffo. Si avvicinò stando attento a non far cadere nemmeno una goccia di zuppa e poi poggiò la ciotola sul tavolo. L’uomo col cappello buffo si girò verso di lui osservandolo stranito

-Ma guarda, non sapevo che avessero anche un nano come cameriere!- l’intero tavolo scoppiò a ridere mentre l’uomo gli spiaccicava una mano in testa scompigliandogli i capelli, ci stava mettendo troppa forza e non era per nulla piacevole come quando lo facevano il suo papà o Mie, si divincolò allontanandosi e guardandoli male per poi tronare in cucina seguito dalle loro risate

Mie aveva finito di riempire le ciotole, sorrise nel vederlo

-Hai tutti i capelli arruffati- lo rimproverò dolcemente abbassandosi per sistemarglieli

-È stato il signore col cappello buffo- borbottò -Dice che sono un nano!-

Mie ridacchiò -Ovvio! Adesso sei un nano, ma aspetta ancora qualche anno e sarai più alto- lo tranquillizzò

-Anche del signore col cappello buffo?-

Annuii con aria solenne -Anche di lui. E anche di tutti gli altri, sarai il più alto di tutti! E nessuno potrà chiamarti mai più nano!-

-E non mi farò mai più male a uscire dalla finestra!- finì per lei Mihir lanciandogli le braccia al collo entusiasta -Perché sarò abbastanza alto da scavalcarla!-

Mie si irrigidì afferrandolo per le spalle e allontanandolo dal suo petto –Sei uscito dalla finestra?- il tono di voce era decisamene troppo alto e preoccupato, il bambino si strinse nelle spalle spaventato

-Non dovevo dirtelo?-

-Cos… no! Cioè, sì che dovevi dirmelo Mihir! Non devi uscire dalla finestra senza dirmelo! Non dovresti uscire dalla finestra e basta!-

Sua sorella pareva abbastanza spaventata e lui la abbracciò nuovamente nascondendo il viso nel suo collo -Scusa, non lo faccio più- gli disse decisamente triste, Mie sospirò sollevandosi in piedi e tenendolo stretto fra le braccia

-Va bene, ti perdono, ma è molto pericoloso, potresti trovare delle persone cattive che ti prendono e ti portano via da qui e potrebbero farti del male-

Mihir sbiancò -Ma non erano cattivi!-

Mie aggrottò le sopracciglia –Chi non era cattivo? Mihir rispondimi, ti ha detto qualcuno di uscire dalla finestra?-

Il bambino scosse il capo –Erano gentili! Te lo prometto, erano gentili! Mi ha anche aiutato a rientrare e mi ha preso quando sono caduto dal davanzale!-

Mie sgranò gli occhi perdendo improvvisamente colore -Sei caduto dal davanzale?- sussurrò terrorizzata -Oddio! Ti sei fatto male?- lo poggiò sul tavolo mentre lui continuava a negare con la testa -No! No! Mi ha preso prima che cadessi!-

Gli sfiorò il ginocchio -E questo? Ti sei ferito da qualche altra parte?- gli afferrò il viso girandolo prima a destra e poi a sinistra, gli sollevo la maglietta e controllò la schiena

-No, mi sono fatto male mentre cercavo di uscire dalla finestra-

Mie annuii appena più calma, ma ancora scossa.

-Vado a prendere il disinfettante aspetta- e uscì dalla cucina.

 

La casa in cui vivevano era, come la maggioranza delle case del Distretto Sotterraneo, leggermente sollevata dal suolo. L’ingresso della locanda, che fungeva anche da ingresso della casa, si raggiungeva salendo quattro gradini, e se dall’interno Mihir riusciva, sebbene con fatica, e raggiungere il davanzale, la stessa cosa non poteva avvenire dall’esterno; infatti quest’ultimo si trovava circa all’altezza degli occhi di un uomo adulto, ben oltre la portata di un bambino. Ciò era stato fatto sia per una questione di sicurezza che di spazio; le finestre poste abbastanza in alto rendevano più difficile a chiunque entrare in casa senza doversi avvalere di una scala o comunque di qualcosa che svolgesse quel compito, inoltre permetteva di ottenere un piccolo scantinato senza dover scavare troppo in profondità. Molte case infatti avevano ricavato nell'intercapedine tra il pavimento e le fondamenta dei piccoli seminterrati che fungevano da magazzino o da rifugio in caso di ronde improvvise o sommosse, come era già successo.

Era ancora vivido nella mente di tutti il disastro accaduto appena quattro anni prima quando un gruppo di mercanti si era rivoltato contro gli Unicorni e i nobili che passavano solamente scarti da vendere al mercato. La sommossa era stata placata nel sangue, ma molti in quei giorni avevano approfittato della confusione per commettere un gran numero di reati, da ambo le parti. I mercanti e i ladruncoli erano entrati nelle case uccidendo e rubando tutto il possibile, la stessa cosa avevano fatto alcuni soldati stuprando e uccidendo decine di persone. In quei giorni di terrore ricordava come Chayse aveva nascosto lei e Mihir nel seminterrato che si raggiungeva solamente tramite una piccola botola nascosta sotto il bancone. Era stato in quei giorni che era morta Corinne. Quelle scene gli passavano davanti agli occhi, erano indelebili e le rievocavano emozioni che cercava di sopprimere da troppo tempo; loro quattro nascosti li sotto, il rumore dei soldati che entravano in casa, i passi sulle assi sopra di loro, le urla e le imprecazioni, Corinne troppo vecchia e troppo spaventata che sbiancava improvvisamente tenendosi il petto, Corinne che sudava nonostante fosse gelata, Corinne che mordeva il palmo della mano di Chayse a sangue pur di non urlare e farli trovare. E poi il corpo freddo. Il pianto, il dolore, la paura.

Si fermò poggiando entrambe le mani sul, bordo del lavandino cercando di regolarizzare il respiro e far sparire la nausea, Mihir era vivo e salvo che la stava aspettando in cucina. Lei gli avrebbe medicato il graffio al ginocchio e sarebbe andato tutto bene. Sì, doveva solo convincersene. Si fisso nello specchio e prese un profondo respiro. Sarebbe andato tutto bene.

 

Tornò in cucina decisamente più calma di come ne era uscita, il bambino la stava aspettando placidamente seduto sul tavolo, al suo fianco le ciotole ormai fredde. Con un pezzo di stoffa bagnata pulì il ginocchio, poi imbevette un angolo di quello stesso straccio con il disinfettante e lo poggiò sulla ferita. Il bambino sussultò sibilando

-Fa male?-

Annuii appena strizzando gli occhi -Però continua-

Mie annuii senza informarlo che, in ogni caso, avrebbe continuato comunque. Prese la garza e distese la gamba del bambino, poi l’avvolse un paio di volte intorno al ginocchio e infine la tagliò legando il lembo con la fasciatura in modo che non si sciogliesse e rimanesse in posizione. Mihir pareva decisamente pentito di quello che aveva fatto e si torturava le mani.

-Devi dirmi qualcosa?- chiese dolcemente accarezzandogli i capelli.






Note e Scleri dell'autrice:
E booom! Sinceramente adoro questo capitolo anche se mi sembra stranamente corto... forse perchè è uscito in maniera totalmente naturale, ci ho messo appena due ore per scriverlo, tutto d'un fiato e lo amo, a mio parere è venuto benissimo e anche se mi sembra corto è lungo come tutti gli altri. In ogni caso, passando agli avvenimenti, come tutti voi avevate indovinato i due ragazzi erano Farlan e Levi *lacrimuccia* tutte le volte che ripenso a loro mi viene in mente lo special su Levi e mi sale una tristezza unica. Ovviamente visto che la maggioranza delle risposte è stata "A" Mihir ha parlato con loro e ammetto che mi è piaciuto da morire scrivere quella parte del discorso, spero che si sia capito bene tutto, gestire una conversazione a tre è sempre difficile perchè c'è il rischio che non si capisco chi dice cosa, o almeno per me è chiaro, ma per voi?
Scopriamo inoltre com'è morta Corinne, mi dispiace tantissimo la sua morte visto che era un personaggio che mi piaceva un sacco e mi è dispiaciuto anche farla saprir così in fretta. Nel caso non si fosse capito Corinne è morta d'infarto a causa dello spavento che le è preso quando i soldati o i mercanti o chi per loro sono entrati in casa. Direi che è qualcosa di abbastanza traumatizzante veder morire la propria madre (perchè ormai per Mihir e Mie era quello) sotto i propri occhi così senza poter fare nulla. Non dovrebbe sorprendere quindi la reazione di Mie, magari anche un po' esagerata, quando Mihir le dice di essere uscito di casa senza che lei ne sapesse nulla, è molto affezzionata a lui e quasi iperprotettiva dopo quello che è successo. Passando alla domanda della settimana:

Mihir dirà a Mie della lettera?
A- Sì
B- No

A voi la scelta! Votate numerosi, ringrazio tutti i giocatori che ci sono dall'inizio della storia e tutti quelli che si sono aggiunti in corso d'opera (stiamo crescendo, evviva!), grazie mille per avermi dato questa fiducia! Più siamo e più ci divertiamo in questo gioco ;)
A Mercoledì prossimo,
Imoto-chan


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Atto V - Pensieri ***



Atto V
Pensieri

-Devi dirmi qualcosa?- chiese dolcemente accarezzandogli i capelli, il bambino smise di torturarsi le mani, ma mantenne la testa incassata nelle spalle. Si abbassò lievemente in modo da raggiungere l’altezza del piccolo che era seduto sul tavolo e gli passò le dita in una carezza materna sul capo.

-Prometti di non arrabbiarti?- la voce era flebile e borbottante, a Mie veniva quasi voglia di lasciare perdere tutto e abbracciarlo. E lo fece, avvolse le braccia intorno al corpo di Mihir e lo prese in braccio tenendolo ben stretto contro di sé

-Va tutto bene Mihir, non mi arrabbierò. È importante che tu mi dica tutto- si dondolò appena sui talloni cullandolo e il bimbo le strinse le braccia al collo

-Loro sono stati gentili con me, davvero!- argomentò cercando di scusarsi, decise per il momento di ascoltarlo e vedere dove voleva finire con quella premessa -Abbiamo parlato per un po’ e mi hanno lasciato vedere i movimenti tridimensionali senza arrabbiarsi!-

Corrucciò le sopracciglia perplessa e lascio una lunga carezza lungo la schiena del piccolo spingendolo ad allontanarsi dalla sua spalla -Cioè? Cosa avete fatto esattamente?- chiese osservandolo negli occhi

-Avevano addosso quelle imbracature che hanno sempre i soldati e allora volevo vederle da vicino, mi hanno detto che si chiamano movimento tridimensionale e che le usano per volare. Anche se non sono soldati possono volare!- il viso del bambino si era pian piano illuminato -Ci sono tutte queste cinghie che passano intorno al corpo e anche un sacco di pezzi di metallo per tenerle insieme, di fianco invece hanno delle spade- Mie impallidì di colpo, ma lui non parve farci caso troppo preso dalla descrizione di quei congegni che tanto ammirava -Ma quelle non posso toccarle perché sono pericolose-

Mihir la osservò di sottecchi come se stesse meditando se dirle o meno qualcosa, ma alla fine si decise. Avvicinò il viso al suo con sguardo serio -I soldati non vogliono che anche loro possano volare e per questo cercano di impedirglielo, le spade gli servono per difendersi- aprì la bocca per dire qualcosa, ma il bambino la interruppe prima tornando ad alzare il tono di voce -Mi hanno anche dato questa!-

Si divincolò come un’anguilla tra le sue braccia cercando di scendere, tanto che alla fine Mie si arrendette posandolo a terra, immediatamente raggiunse un angolo del tavolo e afferrò una busta bianca di cui lei si accorse solo in quel momento -Cos’è?- chiese avvicinandosi

Il viso del bambino si aprì in un sorriso d’orgoglio -Una lettera importante! Devo dartela e poi devo leggertela! È importantissima!-

La prese tra le dita, era bianca con qualche striature marrone e grigia, come se qualcuno l’avesse strisciata contro un muro o per terra, leggermente spiegazzata e con un angolo strappato -Te l’hanno data loro?-

Annuii freneticamente -Si! È importante! Dovevo dartela quando eravamo solo io e te!-

Mosse la testa accennando un assenso, afferrò un coltello dal cassetto delle posate e l’aprì. Era un solo foglio scritto su un solo lato, la calligrafia era precisa e le parole formavano frasi dritte sulla carta nonostante non fossero presenti segni guida. Gli diede una veloce scorsa riconoscendo alcuni termini familiari, ma si arrese velocemente con un sospiro.

Mihir si era allungato sulle punte dei piedi e adesso teneva i suoi polsi fra le mani -La leggo?- il tono era trepidante come se non aspettasse altro che il suo consenso. Sbuffò passandogliela, il bambino scorse con gli occhi il testo poi si guardò intorno -C’è qualcun’altro?- chiese

Mie si guardò intorno -Non ce nessuno a parte noi due Mihir!- disse scocciata -Leggi quella lettera e facciamo in fretta, che papà sta alla locanda da solo-

Annuii ritornando con lo sguardo alla carta, strizzò gli occhi un paio di volte e poi cominciò a leggere:

-Se sta leggendo questa lettera vuol dire che non ho avuto modo di vederla di persona e, per quanto il discutere di certe cose su carta mi faccia rivoltare le budella, non posso perdere tempo a correrle dietro; cercherò di essere il più chiaro e semplice possibile.

La sua locanda si trova in una posizione altamente strategica ed è frequentato da molte persone, di ogni risma, dai soldati ai comuni cittadini, dai nobili agli straccioni, sebbene non credo ci sia necessità che sia io a ricordarglielo, le persone parlano di molte cose e tanto più volentieri se hanno bevuto qualche boccale di troppo e mangiato un piatto caldo. Questo preambolo è stato necessario per introdurre la mia richiesta: vorrei che lei fornisse il suo aiuto come informatore e avamposto, so per certo che non è in contatto stretto con i soldati né approva il loro modo di gestire le questioni del distretto sotterraneo e per questo le propongo questo accordo; il beneficio verrà a entrambe le parti perché il suo contributo sarà degnamente retribuito. Informazioni e protezione in cambio di denaro e una vita più giusta e sicura in questo distretto.

Quando avrà preso la sua decisione abbia l’accortezza di comunicarmelo per iscritto, in una lettera sigillata e anonima. Dovrà consegnarla al ragazzo che risponde al nome di Marcus e che troverà all’entrata occidentale del mercato, lo riconoscerà per il fazzoletto rosso legato al polpaccio-

La voce di Mihir si spense nella cucina lasciando posto a un ingombrante silenzio. Mie aveva il viso corrucciato e le mani stavano torturando la gonna che portava. Il piccolo sollevò lo sguardo su di lei.

-C’è nient’altro?- chiese ansiosa

Scosse la testa -No, finisce così-

Il silenziò calò nuovamente, ma stavolta durò solo un paio di secondi, lasciò andare il tessuto ruvido sospirando amaramente -Nessun nome? Un indirizzo?-

Scosse nuovamente la testa porgendogli la lettera -Non c’è nient’altro! Guarda!-

Osservò attentamente quelle scritte cercando qualsiasi cosa che potesse dargli un indizio, uno scarabocchio a fondo pagina, un segno di troppo, ma nulla. Strinse la carta tra le mani stropicciandola -Che diavolo significa!- sbottò rabbiosa, non aveva senso, non aveva un minimo di senso!
Si massaggiò la radice del naso infilandosi la pallina di carta in tasca -Parlami di chi ti ha dato questa lettera, descrivili, dimmi loro nomi, tutto-

Mihir annuii insicuro -Erano due, uno alto come la finestra e l’altro più basso-

-Va bene- le parole gli rotolarono fuori dalla bocca stanche -Quando li hai incontrati di preciso?-

-Dopo che siamo tornati a casa, tu stavi lavorando con papà e io ero in corridoio, li ho sentiti parlare e poi li ho visti-

-Ti hanno chiamato?-

Il bambino abbasso il capo borbottando

-Mihir!- lo riprese massaggiandosi gli occhi -Per favore-

Sbuffò scuotendo la testa e incrociando le braccia al petto -No. Li stavo… spiando dalla finestra e quando stavano per andare via sono uscito-

-Perché?- era esasperata

-Avevano i movimenti tridimensionali!- esclamò, le braccia aperte, le gambe divaricate e il busto un po’ sporto in avanti, gli occhi erano sgranati ed euforici mentre la bocca aveva un espressione fintamente drammatica. Mie davvero non capiva il suo amore per quelle macchine

-E quindi?-

-Loro sembravano gentili- borbottò tornando a incrociare le braccia, sollevo un sopracciglio in una muta domanda -Magari me lo avrebbero fatto vedere, non come i soldati- rispose

Sospirò di nuovo -Erano due?- riprese il filo del discorso, lui annuii

-Uno alto e uno basso-

-Parlami di quello alto-

-Era alto come la finestra e aveva i capelli biondi, ma non come i miei, più scuri! E poi era… grande- Mie pensò a Chayse con le spalle larghe e il metto ampio e massiccio, probabilmente intendeva quello con “grande” -E aveva anche lui il movimento tridimensionale. Era quello che parlava di più ed era simpatico e divertente, è stato lui a darmi la lettera e a rimettermi sul davanzale dopo che sono caduto, era gentile-

Annuii -L’altro? Hai parlato anche con lui?-

Assentii col capo -Era più basso e aveva i capelli neri, era anche più piccolo e magro. Però è stato lui a prendermi prima che cadessi, era molto veloce- spiegò ripensando allo scatto che aveva fatto quando aveva provato ad afferrare la spada -Ha parlato poco, ma era gentile. E strano. Non lo so- finì scrollando le spalle

-Qualcos’altro?-

Mihir mise su un broncio concentrato prima di tornare a parlare -Quello biondo mi ha promesso che mi fa volare la prossima volta che ci vediamo, così poi posso prendere in giro i soldati perché ho volato anche io- disse fieramente

Me inizialmente sgranò gli occhi per poi scuotere il capo, se conosceva il bambino almeno la metà di quanto pensava di conoscerlo era certa che l’uomo in questione avesse detto di sì solo per farlo smettere di insistere -I loro nomi?-

Mihir scosse di nuovo la testa rattristandosi -Non lo so, non me li hanno detti-

Mie gli scompigliò i capelli intenerita dal broncio rattristato del bambino -Quanti anni avevano?-

Sollevò le spalle -Boh-

-Come papà?-

-No!- rispose immediatamente

-Assomigliavano più a te…- scosse la testa -Forse più piccoli-

Annuii sollevandosi dai calcagni, aveva capito e se quei due erano davvero i tizi che si erano presentati alla locanda appena un’ora e mezza prima… sospirò. Perché diavolo certe cose accadevano proprio a lei? Non poteva proprio vivere una vita tranquilla eh! Sul volto si dipinse un sorriso amaro che si spense velocemente sostituito da un’espressione determinata.

-La lettera la tengo io!- decretò sfiorando la pallina di carta dentro la tasca della gonna -E adesso tu te ne vai in camera per punizione-

-Eh?- chiese sconvolto, Mie si trattenne dal ridere

-Non solo sei uscito senza dirmi niente, ma hai anche rischiato di farti male, hai parlato con degli sconosciuti e hai tentato di tenermi tutto nascosto-

-Non è vero!- protestò

-Fila in camera tua e stasera mi darai una mano a pulire tutto-

Sul viso di Mihir si dipinse un’espressione a metà fra il terrorizzato e in disgustato, sapeva quanto odiasse pulire i tavoli e la cucina, era la peggior cosa che gli potesse capitare

-Ma io- provò a protestare debolmente

-Non voglio obiezioni! Mi hai deluso e non posso permettere che succeda di nuovo, non ho il tempo di starti appresso costantemente, devo gestire la locanda e se non posso fidarmi di te allora farò in modo di assicurarmi che tu non sia in pericolo-

Abbassò la testa incassandola nelle spalle -Scusa- borbottò. Gli lasciò un’ultima carezza tra i capelli prima che uscisse per salire le scale e andare in camera.

 

Osservò stancamente i piatti freddi posati sul tavolo e si decise, sebbene a malincuore, di rovesciarli nuovamente nelle varie pentole per riscaldarli. Accese i fuochi prima di tornare alla locanda, sperava che fosse andato tutto bene.

 

Dondolò i piedi che cadevano dal bordo del letto, era semisdraiato sul materasso e si stava annoiando a morte. Sentì una fitta di rimorso attorcigliargli l’intestino, aveva fatto preoccupare Mie, ma alla fine non era successo nulla di pericoloso! Anzi, quei due ragazzi dovevano parlare con lei quindi era stato un bene che li trovasse no? Sbuffò rotolando sulla pancia per gattonare fino alla finestra sopra il letto. Dava esattamente sulla piccola piazza ai piedi della scalinata ovest che portava verso l’esterno, non c’era mai stato. Anche perché salire quelle scale era impossibile nella maggioranza dei casi.

Gli unici che avevano il permesso di uscire erano i soldati, che facevano frequentemente uscite di sopra, e i nobili. Si riconoscevano subito, possedevano lunghi mantelli e vestiti costosi, avevano sempre qualche anello e non sopportavano il dover stare troppo in mezzo alle persone. Erano strani, eppure molti di loro venivano abitualmente alla locanda per poi andare alle Case del Piacere. Storse il naso, Mie una volta gli aveva spiegato cos’erano sotto sua insistenza dopo che un nobile lo aveva preso in giro perché non le conosceva, era un lavoro come un altro e sicuramente permetteva di guadagnare grosse somme in poco tempo, ma era molto pericoloso. Questo glielo aveva svelato lei, a quanto pare c’era spesso il rischio di morire di parto o durante l’incontro con uno dei nobili.

C’era anche un’ultima categoria di persone che potevano uscire all’esterno, i ricchi. Coloro che erano riusciti a guadagnare abbastanza soldi da poter comprare la cittadinanza e risalire al mondo esterno. Davvero non capiva perché alcune persone arrivassero a tanto, vendendo tutti i loro beni e averi solo per poter salire quei gradini e andare a vivere in un mondo dove non avevano nulla ed erano meno di zero. Se addirittura i nobili scendevano giù da loro voleva significare che forse il mondo oltre la volta di pietra non era poi così bello come si diceva in giro.

Chiuse gli occhi provando a immaginarlo, quando era più piccolo sua madre gli aveva raccontato di quel mondo dove il sole ti accecava gli occhi non per qualche ora soltanto, ma brillava nel cielo per tempi lunghissimi per poi diventare rosso e sparire lentamente oltre il muro. Il muro, gli aveva spiegato, era alto molto più di un essere umano, così alto da toccare il cielo e non si poteva uscire, serviva a proteggerli. Proteggerci da cosa? Aveva chiesto ingenuamente e allora Corinne gli aveva accarezzato il capo sorridendogli con quel suo sorriso dolce, quella stiratura di labbra che nascondeva i denti ma trasmetteva i sentimenti che si annidavano nel profondo del suo cuore, dai giganti; i giganti erano esseri enormi, alti molto più di un essere umano e più di una casa, la maggioranza di loro avrebbe tranquillamente toccato la volta di pietra con la testa. Avevano occhi e orecchie, naso e bocca, capelli e corpo, ma erano nudi. E mangiavano gli umani. Erano il loro cibo preferito e non ne erano mai sazi. Le mura sono le uniche cose più alte di loro e servono a tenerli fuori, a proteggere tutti noi da loro, spiegava pazientemente.

Aveva storto la bocca lamentandosi, e Corinne aveva ridacchiato apostrofandolo come faceva sempre, non devi avere paura piccolo principe, non ti potranno fare mai del male e mai li vedrai nella tua vita perché sei dentro le mura e, soprattutto, nel sottosuolo, qui i giganti non possono arrivare.

Aprì gli occhi risvegliandosi da quel ricordo, aveva imparato molte delle cose che sapeva da sua mamma e tutte le volte che ripensava a quei giorni sentiva una morsa nel petto e il sapore amaro sulla lingua. Sentiva la tristezza montare con le lacrime al pensiero di suo padre distrutto dal dolore e di Mie che non aveva neanche potuto prendere fiato troppo impegnata a tirare avanti loro due. Quando invece provava a concentrarsi sugli ultimi momenti della mamma non ci riusciva, ricordava solamente il vento di terrore sulla sua pelle e l’odore della paura che gli riempiva i polmoni, ognuno tremava per sé.

Caccio il viso sul cuscino strofinandolo per impedire alle lacrime di scendere sulle guance più di quanto non avessero già fatto, doveva pensare alle cose belle adesso. Si sollevò di scatto dal letto e aprì l’armadio, scostò i vestiti più lunghi cercando di leggere i titoli dei libri ammucchiati sul fondo di legno e ne prese uno abbastanza sottile. Si risiedette sul letto accarezzando la rigida copertina colorata, molto più grande di quella degli altri libri. I colori erano tenui e sbiaditi, su tutto spiccava l’immagine di un anziano che vestiva con un gilè marroncino, una camicia bianca e dei pantaloni, sedeva su una roccia e teneva su una mano un esserino minuscolo, una bambina minuscola, o era l’anziano a essere enorme?, dai capelli marroni e con una camicetta da notte bianca. Il titolo recitava a grosse lettere “Il GGG”.

Aprì la prima pagina accarezzando con gli occhi le linee di inchiostro regolari e iniziò a leggere. La storia l’aveva sempre affascinato e più volte da piccolo aveva detto di voler conoscere quella bambina di nome Sophie, lei, di giganti, ne aveva visti molti e sicuramente sarebbe riuscita a descriverglieli, magari avrebbe anche potuto incontrare il Grande Gigante Gentile. Si immerse nella lettura, le scene che si susseguivano davanti ai suoi occhi e le frasi che si completavano nella sua mente in maniera automatica tanto bene conosceva il racconto.

Sussultò quando sentì qualcuno poggiargli la mano su una spalla

-Ancora quel libro?-

Lo richiuse poggiandolo accanto a se e voltandosi verso la sorella, sapeva che a Mie non piaceva quel racconto, ma non gli avrebbe mai impedito di leggerlo

-Dobbiamo pulire?- chiese cambiando discorso, non gli andava di litigare di nuovo, sentiva già l’ansia attanagliargli nuovamente le viscere a quel pensiero. Lei annuii sospirando

-Abbiamo un sacco di lavoro da fare! Coraggio-

Balzò giù dal letto seguendola lungo le scale e poi nella locanda, appoggiati alla parete facevano sfoggio di sé una scopa e degli stracci buttati in un secchio pieno d’acqua.

-Io spazzo- affermò velocemente afferrando la scopa e correndo dall’altra parte del locale iniziando a lavorare, sentì la sorella sbuffare e sorrise, sapeva che pulire con gli stracci era un lavoro decisamente più lungo e noioso e non ci teneva proprio ad allungare la propria agonia.

 

Mie sbuffò prendendo stracci e secchio iniziando a pulire i tavoli e il bancone, appena Mihir avesse finito si spazzare avrebbe anche lavato per terra. Durante la giornata, nonostante il lavoro, il pensiero della lettera non aveva fatto altro che ritornargli in mente e più volte aveva sfiorato quella pallina che teneva in tasca. Si era calmata e aveva provato a pensare razionalmente ai pro e contro della sua decisione, eppure continuava a tornargli in mente l’immagine di quei due ragazzi fuori dal locale, in un vicolo con Mihir. Da soli. Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa e ciò le metteva addosso un’agitazione folle. Non era successo niente infondo e si sarebbe assicurata che non succedesse più nulla del genere eppure… strofinò con più forza lo straccio sul piano di legno cercando di togliere una macchia. A volte il comportamento di Mihir la mandava in panico, era un bambino intelligente, ma nonostante ciò pareva non rendersi conto dei pericoli più concreti che lo circondavano, inoltre quando si faceva prendere dalle emozioni si comportava incoscientemente.

Eppure erano stati gentili con lui e avevano evitato che si facesse male. Non era un’idiota e per quanto il pensiero irrazionale le dicesse di mandare tutto all’aria sapeva che per afferrare un bambino che cadeva all’improvviso ci volevano i riflessi pronti e che, soprattutto, era una di quelle cose che o viene istintiva o non viene proprio. Quei due volevano davvero impedire che Mihir si facesse del male cadendo e per questo l’avevano afferrato per tempo. Nonostante ciò erano da soli con lui in un vicolo. Senza avvertirla. E sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa.

Si trattenne con tutte le sue forze dallo sbattere un pugno sul tavolo e immerse lo straccio nell’acqua fredda per sciacquarlo. L’avrebbero pagata per il suo aiuto. Certo i soldi in casa non mancavano, ma bisognava essere realisti, neanche abbondavano. Se un giorno fosse successo qualcosa e si fossero ritrovati con dei debiti come avrebbero fatto? Avere un po’ di soldi da parte era sempre bene, soprattutto da quando non c’era più Corinne a tenere la contabilità della casa. Ma era il modo giusto di ottenerli? Di una cosa era certa, avevano azzeccato in pieno il fatto che non approvasse i metodi usati dagli Unicorni, quegli uomini gli davano il voltastomaco, sfruttavano il loro potere per ottenere tutto quello che volevano disinteressandosi di qualunque altra cosa. Ma chi gli avrebbe garantito che aiutarli avrebbe cambiato la situazione? Certo, cambiare era come fare una scelta a scatola chiusa, poteva andare peggio, ma poteva anche andare meglio. La domanda era quindi se lei se la sentiva di rischiare e provare a cambiare le cose o se, tutto sommato, gli andava bene restare così.

-Fatto!-

La voce squillante di Mihir riempì il locale vuoto e attirò la sua attenzione. Il bimbo poso la scopa contro il muro per poi girarsi verso di lei

-Papà?-

-Sta preparando la cena- rispose tornando a lavare il bancone

Mihir annuii scomparendo dietro la porta e lei tornò a strofinare lo straccio, cosa avrebbe fatto?





Note e Scleri dell'autrice:
Ehy gente! Vi piace questo capitolo? Probabilmente molti di voi lo avranno trovato noioso, ma ci volgiono anche i capitoli di intermezzo ogni tanto in una storia quindi mi dispiace, ma per stavolta va così. Nonostante ciò esprimete pure le vostre opinioni (sono criosa di conoscerle) tramite le recensioni, esistono per questo no?
Piccolo appunto, "Il GGG" è un libro che esiste davvero e fa parte della letteratura per ragazzi, scritto nel 1892 da Roald Dahl è praticamento perfetto per questa ambientazione; infatti parla di questa ragazza, Sophie, che vive in orfanotrofie e una notte, svegliandosi, vede un gigante. QUesto, per evitare che lei sveli a tutti la sua esstenza, la rapisce portandola nella sua casa dove gli dice di chiamarsi GGG (Grande Gigante Gentile, appunto) e gli spiega che non vuole farle del male, il suo compito è semplicemente quello di dare i sogni alle persone e non poteva rischiare che Sophie dicesse a tutti della sua esistenza. Gli dice inoltre che esitono molti altri giganti oltre a lui, che però sono cattivi e mangiano esseri umani (vi ricorda qualcosa per caso?). I due insieme ordisconoun piano per farli sprofondare in una fossa dove vivranno per sempre senza dare più fastidio agli umani e poi Sophie e il GGG andranno a vivere insieme in una casetta felici e contenti. Questo è il sunto del libro, letto da bambina, e che consiglio a tutti quanti (per i più sfaticati esiste anche il film XD). Ho pensato che sarebbe stata una lettura azzeccatissima per Mihir, voi che ne pensate?
E ora passiamo alla domanda della settimana (abbastanza intuibile):

Mie accetterà la proposta di lavorare con Levi e Farlan?
A- Sì
B- No

Votate numerosi e ricordate che voi siete (letteralmente) questa storia! Aspetto le vostre recensioni o i vostri MP!
A Mercoledì,
Imoto-chan


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Atto VI - Lettera ***


Atto VI
Lettera


Al contrario di Mihir che appena aveva toccato il cuscino si era addormentato, lei era rimasta a lungo a rigirarsi nel letto e adesso ne pagava le conseguenze. Aveva uno stramaledettissimo sonno!

-Un altro giro bellezza!-

Assottigliò gli occhi mentre riempiva tre boccali e li portava al tavolo. Quella mattina pareva che tutti gli abitanti di quella lurida fogna avessero deciso di darsi appuntamento li dentro, razionalmente parlando sapeva che era impossibile, ma che diavolo era decisamente irritabile e assonata, e ciò non favoriva le sue capacità di raziocinio.

-E caso mai un giro c’è lo facciamo anche io e te dopo! Che ne dici bellezza?-

Sorrise mefistofelica poggiando il boccale davanti al cliente, i cui amici erano ben muti ad ascoltare quella che sarebbe diventata una delle migliori figure di merda di quel bastardo.

-Ma certo! Sarà un vero piacere accompagnarla a mostrarle la nostra bellissima porta d’uscita-

L’uomo batté le palpebre un paio di volte cercando di afferrare il significato della sua risposta, ma quando lo fece, accompagnato dalle risate dei compagni, lei si era già allontanata per servire qualche altro cliente. Le sue proteste e grida ingiuriose vennero coperte facilmente dal chiacchiericcio degli altri avventori e non passarono che per i deliri di un ubriaco. A volte faticava davvero a non prendere a pugni certa gente.

Continuò a lavorare incessantemente fino a quando il locale non si iniziò a svuotare, sapeva che di lì a qualche ora si sarebbe riempito nuovamente per l’orario del pranzo, i clienti affamati avrebbero preteso del cibo da mettere sotto i denti oltre alla birra e al pane, che già scarseggiava, per questo rientrò in casa.

 

-Mihir!- chiamò mentre si dirigeva in cucina, sentì i passi frettolosi del bambino scendere le scale e schiacciare le assi del pavimento per raggiungerla

-Che c’è?- chiese curioso sedendosi al tavolo

-Carta e penna, devo dettarti una cosa-

-Ma mi sono appena seduto!- si lamentò, Mie girata di spalle per tirare fuori le pentole sbuffò

-Su, io sono occupata a preparare il pranzo-

Il bambino ridiscese dalla sedia per andare a prendere l’occorrente e lo sentì borbottare distintamente quanto fosse dispotica e prevaricatrice. Scosse la testa non domandandosi nemmeno dove avesse imparato e cosa significassero quei termini, era più che sicura che non si trattasse di complimenti, e mise le pentole sul fuoco iniziando a pensare.

O meglio, a riordinare le idee. Aveva già in mente cosa rispondere a quella lettera e sentiva lo stomaco stringersi in una morsa a quel pensiero. Ci aveva pensato a lungo ed era giunta a una sola conclusione: i benefici erano di gran lunga più certi e numerosi dell’eventuale svantaggio.

Si girò mentre Mihir intingeva il pennino nell’inchiostro, gli si avvicinò posizionandogli alle spalle

-Pronto?-

-Quando vuoi!- gli rispose concentrato

Socchiuse gli occhi appoggiandosi allo schienale della sedia con gli avanbracci, poi parlò:

-Accetto la proposta che mi avete fatto. Vi fornirò ogni informazione in cambio di un adeguato pagamento che potremo contrattare insieme al nostro primo incontro, sapete dove trovarmi. Mi conservo il diritto di interrompere queste trattative o di annullare l’eventuale accordo in ogni momento avendo cura di avvisarvi in maniera adeguata-

Osservò le linee nere che con cura vergavano il foglio, la scrittura di Mihir non era certo fine e leggera come quella della lettera che gli aveva consegnato, ma era comprensibile e accurata. Il bambino ci metteva concentrazione e impegno nell’imprimere su carta ogni lettera di quel messaggio e si girò verso di lei una volta finito di scrivere

-Finito?-

-Credo di sì- osservò le righe nere, erano poche e neanche raggiungevano la metà del foglio -Dovremmo aggiungere altro?- chiese

Il bambino diede una rilettura veloce prima di sollevare le spalle -Non lo so. Di solito nei libri le lettere si chiudono con i saluti-

-Ma loro non ci hanno salutato- pensò a voce alta, Mihir l’appoggiò

-Vero, che si fa?-

-Chiudila qui-

Annuii poggiando la penna affianco al barattolo che conteneva l’inchiostro e iniziò a soffiare appena sulla carta perché la scritta si asciugasse in fretta. Mie prese a tagliare le verdure per poi buttarle nella pentola piena d’acqua

-Mihir? Prendi i ceci e le patate, facciamo il pane-

Il bambino lasciò perdere la lettera poggiata sul tavolo per aprire uno degli stipiti della cucina e tirarne fuori un sacco di farina di ceci e tutte le patate che riusciva a tenere tra le braccia

-Ancora?- chiese poggiano tutto sul tavolo

Mie osservò con la coda dell’occhio annuendo mentre finiva di tagliare

-Non c’è ne è bisogno. Basta quello- mise tutto a bollire -Però prima porta via penna e inchiostro, sempre ammesso che tu non voglia mangiare del pane al carbone1-

Mihir mise su una faccia schifata mentre prendeva il tutto per rimetterlo a posto, andava tutto bene. Allora perché continuava a sentire quella morsa allo stomaco?

 

Erano circa le tre del pomeriggio, l’aria era pesante e afosa, l’umidiccio si attaccava alla pelle e ai capelli dando a tutti un aspetto unto e lercio. I piccoli mendicanti stavano appostati ai lati delle strade, cercando di passare il più possibile inosservati, come ratti pronti ad assalire la preda per assicurarsi tutto il possibile fino alla prossima vittima.

Strinse più forte la mano di Mihir nella sua voltandosi a guardarlo, camminava tranquillo affianco a lei osservando le bancarelle e le persone che si affaccendavano davanti a essere cercando di strappare i prezzi migliori, ai lei non apparivano altro che ripugnanti carogne morte che cercavano di tirare avanti e quei mercanti, così ben pasciuti nei loro vestiti di seta sgargiante, erano avvoltoi con gli occhi straripanti di cupidigia.

Distolse velocemente lo sguardo serrando le labbra per impedire alla bile di risalirle oltre la bocca e continuò a camminare. Le persone erano pigiate l’una con l’altra e continuavano a prendersi contro, era impossibile camminare senza essere colpiti da un gomito o senza che il lembo superiore di un mantello ti colpisse in viso.

Non era la prima volta che veniva al mercato e non sarebbe stata l’unica, allora perché certe cose sembrava notarle solo adesso?

Si scostò verso destra evitando un cavallo che trainava un carretto coperto da una cerata verde e sentì, con somma angoscia, la manina di Mihir scivolare via dalla sua presa, si girò di scatto cercandolo fra la folla e le mancò il fiato quando l’angolo di legno del cassone la colpì appena sotto al costato. Indietreggio prendendo un grosso respiro cercando di tenere sotto controllo il panico crescente, qualcuno le tirò l’orlo della gonna e immediatamente riconobbe la voce

-Tutto bene?-

Afferrò in un battito di ciglia il polso di Mihir tirandolo vicino a se

-Non ti allontanare-

-Non mi sono allontanato!- borbottò il bambino ricominciando a seguirla mentre si faceva strada in mezzo a quel marasma di corpi sudati e vestiti sudici. Tossì quando una zaffata di odore acre gli raggiunse le narici e allungò il passo riconoscendo la puzza dolciastra della mescalina2.

“Informazioni e protezione in cambio di denaro e una vita più giusta e sicura in questo distretto”, scosse la testa reprimendo un grugnito. Le pupille continuarono a saettare prendendo nota di quei dettagli cosi raccapricciati.

Perché adesso poteva vederlo, quel ragazzino disperato che puntava un coltellaccio alla gola di quella donna. Il mercante che, avido, osservava le forme acerbe di quella bambina così minuta che arrancava affianco alla bancarella. I gendarmi che passeggiavano a coppie lungo la strada e la gente che, timorosa come lei, si faceva da parte e abbassava lo sguardo deviandolo ai loro mantelli senza toppe e strappi, ai pantaloni puliti, alle scarpe lucide e, inevitabilmente, alle spade saldamente ancorate al loro fianco. Riusciva a vederlo, ma non voleva; voleva continuare a ignorarlo, come aveva sempre fatto, come facevano tutti.

“Una vita più giusta e sicura”.

Sentiva la bile acida risalirgli l’esofago e soffocarla, l’aria putrida strappargli l’ossigeno dai polmoni, lo stomaco e le budella che si dimenavano nello stretto spazio a loro concessogli, attorcigliandosi e avviluppandosi l’uno nell’altro.

Buttò fuori la poca aria che ancora gli rimaneva in gola per poi aprire gli occhi

-Sicura di stare bene?- la voce stridula e preoccupata, angosciata, di Mihir la riportò bruscamente alla realtà e si accorse solo ora di come fosse ferma in mezzo alla strada con uomini e donne che la spintonavano per passare.

Girò la testa di scatto guardandolo allucinata e lui sussultò spaventato -Mie…-

Poteva leggere l’inquietudine nel suo sguardo e l’ansia nella sua voce, si chinò sui calcagni, rischiando di perdere l’equilibrio a causa dello spintone di qualcuno, e gli accarezzò dolcemente una guancia -Sto bene Mihir, tranquillo-

I suoi occhi si schiarirono di sollievo alla sua voce calma e rassicurante, gli si lanciò addosso avvolgendogli le braccia intorno al collo -Ho avuto paura, pensavo che stessi male come la mamma-

Sentì un tuffo al cuore a quelle parole e strinse più forte a sé il corpicino del fratello consolandolo e consolandosi -Sto bene, davvero- ripeté dolcemente lasciandogli una carezza sulla schiena. Si rialzò con la schiena indolenzita dalle piccole botte che aveva ricevuto mentre era stata piegata, troppo bassa per essere notata. Strinse la mano del bambino sorridendogli e riprendendo a camminare.

Non doveva farlo preoccupare, non a lui che aveva ancora il privilegio di non vederle certe cose.

-Coraggio, dobbiamo arrivare all’entrata occidentale il prima possibile!- lo spronò.

Mihir annuii riprendendo a camminare di buona lena accanto a lei; erano passato dall’entrata a nord, la più vicina alla locanda, e avrebbero dovuto superare più di metà del mercato per raggiungere la loro destinazione, l’entrata occidentale. Sentì la carta ruvida stropicciarsi dentro la sua tasca e piena di una rinnovata determinazione superò l’ennesimo mercante che le si piazzava davanti per vendergli la sua “Ottima merce a bassissimo prezzo, un’offerta signorina!”.

-Per una vita più giusta e sicura- mormorò.

Ignorò lo sguardo corrucciato di Mihir continuando la sua marcia, gli occhi catalizzati da un futuro che non poteva ancora vedere

-Più giusto e sicuro- mormorò il fratello

 

Si spostarono lentamente verso il bordo della strada, si trovavano all’ingresso, esattamente dopo l’ultima bancarella che avevano incrociato. Li la ressa pareva farsi meno soffocante e speravano di poter individuare più facilmente il ragazzo a cui dovevano consegnare la lettera.

Si guardarono attorno per un po’ senza notare nulla. Mie sentiva l’ansia invaderle nuovamente la mente, erano troppo esposti. Loro due, in piedi, sul ciglio della strada. Strinse più forte la mano di Mihir cercando di ritrovare lucidità.

-È lì- il sussurro accompagnato da uno strattone della gonna le fece riaprire gli occhi di scatto. Segui lo sguardo del fratello e lo vide anche lei. Qualche bancarella più avanti, appoggiato accanto al muro, le braccia incrociate e i vestiti leggermente troppo larghi. Spostò febbrilmente gli occhi alle caviglie del ragazzo e la prima cosa che notò fu anche quella che le interessava maggiormente, intorno alla caviglia sinistra era avvolto un logoro e consunto fazzoletto rosso che spiccava intenso sulla pelle bianca e cadaverica. Si avvicinò a lunghi passi con Mihir affianco fermandosi a pochi passi dal giovane.

Lo fissò per qualche secondo prima che lui gli schioccasse un’occhiata dura e curiosa al contempo -Chi siete?-

Mie ingogliò il groppo che aveva in gola, ma non fu abbastanza svelta a prendere parola

-Sei Marcus?-

Mihir era scivolato via dalla sua presa posizionandosi tra lei e il ragazzo, lo fissava in viso sicuro e deciso, lui alzò un sopracciglio

-E se anche fosse? Voi chi siete?- richiese abbandonando la posizione appoggiata al muro per assumerne una decisamente più tesa, spalle rigide, schiena dritta, gambe leggermente divaricate, le mani in tasca e Mie sentì distintamente, nonostante la confusione che c’era attorno a loro, lo scattare di un coltellino. Sbiancò mentre tremante allungava una mano verso il fratello

-Mihir non-

-Sei Marcus?- chiese testardo ignorando la sua supplica -Abbiamo qualcosa da darti-

Marcus sbuffò sonoramente tirando una mano fuori dai pantaloni e passandosela tra i capelli rossicci -Sapete scrivere?-

Mie, ancora timorosa, afferrò Mihir per una spalla portandoselo più vicino -Sì- rispose, non capiva cosa c'entrasse la domanda -Lui sa scrivere-

Il ragazzino passo stupito lo sguardo tra lei e il bambino prima di storcere la bocca in un leggero sorriso

-La lettera?- chiese con uno sbuffo divertito

Mie infilò una mano nella gonna tirando fuori il foglio ripiegato in tre parti e sigillato con un po’ di cera, la allungò al ragazzo che con uno scatto la afferrò infilandosela sotto la maglia, nella cintura dei pantaloni.

-Passate per l’esterno, evitate il mercato nel tornare indietro- e dopo l’ultima raccomandazione li superò scomparendo in pochi passi tra la folla

-Abbiamo fatto bene Mie?-

Rafforzò la presa sulla spalla del fratello fissando il punto in cui era scomparso -Lo spero Mihir. Lo spero-

 

Quando rientrarono nella locanda la trovarono molto più piena di quanto Mie si aspettasse. Solitamente non si riempiva completamente se non verso sera dopo il calare del sole, invece adesso, nonostante fosse appena pomeriggio e il sole si vedesse ancora attraverso il buco nella volta, ogni singolo tavolo era occupato e le persone erano accalcate al bancone. Il parlare era concitato, troppo rispetto ai pochi bicchieri e boccali sui tavoli.

-Mihir vai in casa-

Il bambino la guardò confuso prima di annuire e svicolare tra sedie e gambe raggiungendo la porta, Mie si incamminò verso il bancone ascoltando gli stralci di conversazione che le arrivavano alle orecchie e capì.

-Come ti sei fatto quel taglio?-

-Avessi idea del casino che hanno fatto al mercato, sono caduto e zac!-

-Caduto?-

-Tre hai detto?-

-Sì, ti garantisco che era una ragazza!-

-Hanno rubato dei movimenti da un carro degli Unicorni!-

-Impossibile ti ripeto!-

-Quindi anche quel mantello…-

-Era quasi mezz’ora che contrattavo sul prezzo!-

-Quei ragazzini sono arrivati al momento giusto e tu ne hai approfittato eh!-

-Chi vuoi che si accorga di un mantello in meno-

-Quei diavoli hanno buttato tutte le casse per terra ti dico! Assurdo!-

-E i mercanti?-

Le voci si sovrapponevano in una cacofonia concitata e dovette alzare la voce per parlare con Chayse

-Papà!-

-Finalmente sei tornata- l’uomo la guardò con la gratitudine negli occhi -Mihir?-

-È in casa- l’uomo annuii -Che succede qui?- chiese osservandosi attorno

-Sono arrivati tutti in pochi minuti, sai che appena succede qualcosa la gente vuole parlarne. E le locande…-

-Sono il luogo perfetto- completò la frase lei

Il padre la guardo curioso -Qualche dettaglio in più da riferire? Qui ognuno ha la sua versione!-

Corrucciò le sopracciglia -Che intendi?-

-Quello che è successo al mercato! Te ne eri già andata?- chiese stupito.

Sgranò gli occhi ripensando all’avvertimento del ragazzo -Che è successo?-

-Oi Jael! Che ne dici di raccontare a mia figlia che è successo?-

Un uomo sulla trentina si girò verso di lei, gli avventori attorno a loro si erano fatti muti e anche i più lontani avevano abbassato le voci

-Prima passami un boccale Chayse!-

L’uomo riempì un boccale fino all’orlo per poi passarlo al cliente, Jael ne bevve un sorso leccandosi le labbra, si era seduto sul bancone e sembrava dominare l’intero locale

-Io ero lì, proprio sotto di loro. Diavolo avreste dovuto vederli in viso, erano… erano…- prese un nuovo sorso -È stata questione di un battito di ciglia, il secondo prima ero con mia moglie a litigare con uno dei mercanti, Ian, quel bastardo fa dei prezzi dannatamente troppo alti per delle mele marce!-

Si alzò un mormorio di approvazione

-E un attimo dopo il caos! Erano in tre e una era una ragazza, ve lo dico io che l’ho vista, era una ragazza Sant’Iddio! È volata giù e ha rovesciato tutte le casse qualche metro più avanti, Ian ha iniziato a urlare come una gallina a cui prendono le uova-

Nel locale si sollevarono risa e fischi di approvazione, qualcuno ardì a imitare il mercante e le risate si fecero ancora più forti. Jael bevve in un baio si sorsi tutto l’alcool rimasto nel boccale mentre le risate scemavano

-E lo stesso hanno fatto gli altri due. Poi due Unicorni hanno provato a prenderli-

-E com’è finita! Diccelo!- urlò qualcuno dal fondo della sala con una nota divertita nella voce, Jael ridacchiò tra se e se

-Secondo voi? A me pare ovvio! Quegli idioti non sono riusciti a fare più di qualche metro prima di cadere a terra con i fili tagliati!-

La folla proruppe nuovamente in risa e urla, neanche fosse stato lui stesso il protagonista di ciò che stava raccontando. Si alzò in piedi sullo sgabello mimando in impacciato inchino prima di tornare a sedersici sopra. Mie non riusciva a trattenere un sorriso, gli occhi che brillavano al pensiero dell’umiliazione subita da quei soldati.

-Al lavoro!- il richiamo del padre che le passava un boccale vuoto la rianimò e sorrise allegra riprendendo a lavorare.

 

Mihir nascosto dietro la porta socchiusa aveva ascoltato tutta la storia, sentiva l’adrenalina pompargli nelle vene e la voglia matta di urlare. Chiuse la porta con attenzione correndo poi in camera da letto e scostare i vestiti in fondo all’armadio, prese il libro e lo aprì rivelando un foglietto di carta che aprì con cura. Le lettere non erano chiarissime e in alcuni punti l’inchiostro non aveva preso bene, ma era normale; infondo quando aveva scritto la lettera aveva tenuto conto che il foglio messo sotto non sarebbe venuto benissimo nonostante avesse usato apposta una quantità maggiore di inchiostro per far passare le lettere.

Si sedette sul letto rileggendola.

 


Note e Scleri dell'autrice:

1 Okay, qui ho messo un asterisco perché mi rendo conto che la risposta di Mie può non essere chiarissima e vi meritate qualche spiegazione, andiamo con ordine dunque. Tanto per cominciare il “pane” del sottosuolo io me lo sono sempre immaginata diverso dal nostro e vi spiego il perché: ovviamente, come si intuisce dal nome, il Distretto Sotterraneo si trova sotto terra, quindi tutte quelle belle cose che crescono qua da noi grazie al sole per ovvi motivi li sotto non crescono o, comunque, crescono in quantità molto limitate. Tra queste cose c’è il grano. E, come tutti sappiamo, senza il grano non si fa la farina. Con questo non dico che non esiste la farina, non fraintendetemi, sicuramente è possibile comprarla, ma a prezzi molto elevati poiché ne esiste poca visto che proviene solamente dalla superficie. Per questo immagino che, molto probabilmente, gli abitanti di questo distretto si saranno arrangiati nel corso del tempo con quello che potevano coltivale la sotto, ovvero tuberi e radici (come le patate, barbabietole, rape, pastinaca, carote, rafano, zenzero, etc etc) e legumi (ceci, lenticchie, fagioli, fave, etc etc). Ecco spiegato perché quando Mie dice di dover fare il pane Mihir prende ceci e patate e non farina e acqua. Seconda cosa, perché dice “pane al carbone”? Semplice, ricordatevi che Mihir aveva sul tavolo ancora la boccetta d’inchiostro che si poteva rovesciare e quindi finire nell’impasto, inoltre l’inchiostro è formato principalmente da acqua e nerofumo (la sostanza residua che di ottiene quando si brucia il carbone, appunto, o il petrolio), ecco spiegata la frase di Mie. Scusate se sono stata un po’ prolissa, ma non ero sicura che fosse di intendimento immediato e per questo ho preferito spiegarla, grazie della pazienza (:
2 La mescalina è una sostanza stupefacente che esite davvero e proviene da uno specifico cactus messicano (il peyotl). Ha l'aspetto ti una polverina bianca-marroncina che si può sciogliere in acqua, essere bevuta o mangiata, oppure fumata (come nel nostro caso). Gli effetti sono allucinazioni, eccitazione, insonnia, logorrea, sensazioni di onnipotenza e così via, da dipendeza psichica. Ho prefeito insierire questo tipo di droga più per motivi strettamente stilistici che altro, infatti, almeno a me, suonava molto meglio nella frase rispetto a marijuana, oppio o hashish.


E ora passiamo alle note vere e proprie! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, perchè è stato un po' un'ispirazione del momento. Infatti quando ieri ho aperto word per rileggere il capitolo mi sono accorta che era orrendo quindi ho cancellato tuttoe ricominciato a scrivere. Spero di essere riscita a trasmettervi quello che ho provato io mentre lo scrivevo e, soprattutto, che non sia risultato noioso, come invece era la prima stesura. Sono davvero curiosa di sapere che ne pensate!
Inolte entra in scena, anche se indirettamente, un'altro personaggio che tutti noi conosciamo molto bene... chi ha indovinato chi è? Chissà se almeno stavolta sono riuscita a mantenere un po' di suspance.
La nostra Mie ha deciso di accetare l'accordo con Levi e Farlan (ringrazio tanto Saira KH per aver votato a tal proposito), cosa ne pensate? Avra fatto bene? o andrà tutto a rotoli? Lo scopriremo insieme leggendo XD E il nostro vecchio e caro Chayse? Lui è ancora all'oscuro di tutto, ma per qunto ancora? Mie forse non è l'unica a nascondere qualcosa. E L'ultima domanda del capitolo lascia molti quesiti aperti, tra cui:

Mihir sta davvero nascondendo qualcosa a Mie?
A- Sì
B- No

La risposta a questa domanda è fondamentale per lo svolgimento della storia, un vero e proprio punto di svolta in entrambi i casi, votate numerosi mi raccomando! Più giocatori siamo e più ci divertiremo insieme in questa avventura!
Alla prossima settimana,
Imoto-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Atto VII - Discorsi ***


Atto VII
Discorsi

Chiuse la porta con attenzione correndo poi in camera da letto, scostò i vestiti in fondo all’armadio e prese il libro, la copertina era rigida e fredda, ma in quel momento non si fermò a rimirare le lettere in rilievo e i decori incesellati. Lo aprì con sicurezza sfogliandolo appena e rivelando un foglietto di carta che aprì con cura. Le lettere non erano chiarissime e in alcuni punti l’inchiostro non aveva preso bene, ma era normale; infondo quando aveva scritto la lettera aveva tenuto conto che il foglio messo sotto non sarebbe venuto benissimo, nonostante avesse usato apposta una quantità maggiore di inchiostro per far passare le lettere.

Si sedette sul bordo del letto, la lettera tra le mani e la rilesse attentamente. Le lettere scivolavano sotto i suoi occhi impresse nella mente, le labbra che mimavano senza voce prima ancora che arrivasse a fine parola. Non poté trattenersi dal sorridere quando raggiunse l’ultima frase, alzò viso verso il soffitto trattenendo per un attimo il fiato, sentiva il cuore battere vivo, pompare vita nel suo corpo. I muscoli erano tesi quasi fosse in preparazione di un salto o di una lunga corsa e sentiva un insolitamente piacevole pizzicorio alla base della nuca.

Sentiva il bisogno fisiologico di alzarsi e correre, fuggire lontano fino a che le gambe avessero retto, voleva urlare a squarciagola, gridare semplicemente fino a perdere la voce, ridere fino a farsi venire il mal di pancia e sentire le guance rigarsi di lacrime. Voleva smettere di respirare, sentirsi vivo ed esistere. Voleva la luce accecante negli occhi e il caldo del sole sulla pelle. Respirare il freddo della notte e farsi avvolgere del buio delle stelle.  

Ridacchiò.

Il rumore della risata tra quelle pareti vuote parve spezzare quell’atmosfera irreale che si era creata, il tempo riprese lentamente a scorrere e l’euforia scemò insieme all’adrenalina.

Socchiuse gli occhi provando a immaginarsi anche lui a volare in alto, quasi a sfiorare il soffitto in pietra, sorrise amaro abbassando il capo e tornando a fissare il mero inchiostro. Poteva sentire l’amarezza far scemare ogni tipo di energia e improvvisamente si sentì più spossato che se avesse corso da una parte all’altra del Distretto. Strinse i denti trattenendo un urlo e strinse le palpebre. La carta si stropicciò appena tra le sue mani e lui emise un verso a metà tra un singhiozzo e un urlo di frustrazione.

Fissò ancora quelle lettere che avevano perso ormai ogni tipo di fascino e raccolse il libro da terra, dove era caduto. Infilò la lettera tra quelle pagine avendo cura che non sporgesse dal bordo e poi lo rimise sul fondo dell’armadio. Chiuse le ante sospirando appena e voltò lo sguardo, la piccola finestra pareva ritagliata in quel muro massiccio e dava sulla piazzetta alla base della scalinata, i soldati osservavano oziosi i pochi passanti che provavano ad avvicinarsi, le lame scintillanti sotto i mantelli verdi.

Chiuse gli occhi respirando solo per un attimo ancora quell’aria magica che ancora rimaneva sospesa tra la polvere e l’umido scuotendo la testa.

Non era ancora il momento.

 

 

Era stanca, sia mentalmente che fisicamente, mentre varcava l’ingresso di casa. Si massaggiò gli occhi stancamente gemendo appena, tolse con un gesto secco il nastro che teneva i capelli raccolti in una ormai scompigliata coda di cavallo e si prese qualche secondo per massaggiarsi le spalle. Chayse era in cucina a mangiare, lo sapeva, e prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo. Ma non ora. Non adesso. Era troppo stanca per farlo.

Aprì gli occhi di scatto, quasi cercando di scacciare quei pensieri che, infidi, le se annidavano dietro le palpebre e si diresse in bagno, allo specchio vide un riflesso che non la rappresentava. La ragazza allo specchio aveva già ventisette anni e le borse sotto agli occhi, le labbra sottili e i capelli radi e fini che ricadevano sul viso disordinatamente, gli occhi castani che si nascondevano dietro di essi erano stanchi. Sorrise. Era bella, di quella bellezza spontanea che l’aveva portata ad avere quella vita e che il fato dona ciecamente senza motivo. Eppure quel riflesso sorridente e sfatto, sensuale e bambinesco non era suo. Non era così lei, non in quel momento. Aprì l’acqua sciacquandosi il viso e qualche goccia fredda cadde anche sul vestito che indossava, pigramente lo tolse appoggiandolo per terra vicino a se e tornò a mettere le mani sotto il rubinetto rabbrividendo, era ghiacciata. Si lavò velocemente il collo e il petto, le ascelle e le braccia resistendo stoicamente al freddo che l’attanagliava per poi asciugarsi velocemente con un panno. Non aveva voglia di prepararsi l’acqua calda quella sera, inoltre lavarsi completamente l’avrebbe inutilmente esposta alla possibilità di ammalarsi. Si rivestì, asciugò per terra e uscì dal bagno. La porta della camera da letto al piano terra era chiusa e dalla cucina non proveniva più alcuna luce o rumore. Chiuse attentamente la porta dietro di sé avviandosi per il corridoio facendo meno rumore possibile.

Chayse doveva essere già andato a dormire e non si stupiva visto l’orario tardo che era, probabilmente anche Mihir già dormiva nel suo letto e il pensiero delle coperte calde la rassicurò. Salì le scale sgusciando in camera e osservando il corpicino nel letto di fronte a se.

Il fratello dormiva sereno, appena illuminato dalla luce del lampione che entrava dalla finestra. Si tolse velocemente il vestito per infilare un’assai più comoda camicia da notte e poi si mise a sua volta a dormire. Sperava solo che il respiro regolare di Mihir la tenesse lontana da sogni angosciosi e incubi.

Eppure non riusciva a prendere sonno, sentiva quasi di starsi per mettere a piangere dalla disperazione. Odiava la notte, perché era in quel momento, quando ogni possibilità di vedere il sole svaniva, che i tormenti e le ossessioni si affacciavano all’orlo della mente, urlando e imprecando frasi oscene che le attanagliavano le budella. Sentiva i richiami della Signora, il pianto disperato di un Mihir ancora infante, i gemiti di Corinne, i grugniti degli uomini, le suppliche dei mendicanti per strada e i suoi singhiozzi.

Strinse la coperta tra le mani raggomitolandosi, aveva la nausea e gli occhi gonfi, lo sapeva, dalle lacrime. Strinse tra i denti i singhiozzi impedendogli di fare rumore e spinse le ginocchia contro il seno.

Lentamente la disperazione si acquietò sostituita dalla stanchezza e si lasciò andare al sonno, in una notte senza sogni.

 

 

Il risveglio colse entrambi preparati e quando i primi clienti iniziarono ad entrare nel locale Mie era, contro ogni aspettativa, già dietro al bancone pronta a servirli. La giornata era cominciata bene e questa era buona cosa. Mihir annuii tra se e se a quella considerazione addentando l’ultimo pezzo di pane che era rimasto nel piatto, si era svegliato bene, riposato e in forze, con una gran voglia di mangiare e di rendere quella giornata una bella giornata!

Mise il piatto sporco nel lavello e andò in locanda per aiutare la sorella, il padre stava ancora dormendo, ma era sicuro che si sarebbe svegliato poco dopo. Non riusciva proprio a starsene con le mani in mano quando c’era del lavoro da svolgere.

-Buongiorno!-

Uno dei clienti lo saluto con un grosso sorriso e Mihir ricambiò avvicinandosi, lo aveva riconosciuto praticamente subito. Jago era un ragazzo sui vent’anni, simpatico e cordiale era una di quelle personalità che raramente si incontrano, ma che quando succede calamitano su di se tutti coloro che sono nelle vicinanze, non per nulla il tavolo era già pieno.

-Jago!- il bambino lo salutò mentre il giovane sorridente lo prendeva sulle ginocchia, Mihir provava per lui una sorta di simpatia mista ad ammirazione. Forse perché, da che ricordasse, lui era l’unico che quando parlava lo prendeva sul serio anche quando era più piccolo.

-Allora hai qualcosa da raccontarci oggi?-

Finse di pensarci su prima di scoppiare a ridere e scuotere la testa -No-

-Oh andiamo- anche il giovane rise posizionandoselo meglio in braccio in modo che tutti i presenti potessero guardarlo in faccia -Deve essere successo per forza qualcosa-

Nonostante stessero parlando di tutt’altro con poche frasi Jago era riuscito a calamitare naturalmente tutta l’attenzione dei compagni sul di lui, era incredibile. Sorrise

-Forse… Sono andato con Mie al mercato- ammise

-Allora avevi fatto qualcosa!- esclamò divertito uno dei presenti

Sollevò le spalle facendo scoppiare a ridere il tavolo

-Fortuna che state bene- affermò un uomo occhieggiando ampiamente Mie dietro al bancone -Sarebbe stato un peccato se si fosse fatta del male-

-Improbabile, so che non si è fatto male nessuno-

L’uomo lanciò un’occhiata al compagno -Cazzate, la figlia di mio cugino si è beccata un bel po’ di gomitate in quella ressa-

L’altro sollevo le spalle -Colpa sua-

Si fissarono malamente e l’uomo stava per ribattere quando la voce di Jago li interruppe -In effetti c’è venuto un sacco di confusione, alcuni mercanti si sono anche presi qualche cassa in testa-

-Ben gli stava!- disse qualcuno tra le risate -Con quei prezzi che fanno sono dei ladri! Ladri vi dico!-

-Ormai lo sappiamo, e ogni giorno i prezzi aumentano, il pedaggio per le scalinate dicono-

-Il pedaggio un cazzo- intervenne uno -Sono solo dei fottuti truffatori! E quei deficienti gli danno corda!-

Qualcuno schioccò la lingua sul palato -Gli Unicorni? Ma cosa vuoi che facciano quelli, sono senza spina dorsale! Non riuscirebbero a uscire vivi neanche da una rissa da bar!-

-Già, vi dico io la prossima volta che provano a fare i gradassi, un pugno sul naso e qualche calcio nello stomaco! Quello si che gli fa passare ogni voglia di scherzare!-

Cori di approvazione si levarono dal tavolo -E pensi di dargliela tu la lezione?-

-E chi altri!-

Un paio di loro risero -Ma se non saresti neanche da dove cominciare!-

-Ti arresterebbero prima ancora che tu possa solo pensare di chiudere il pugno!-

-Che stai dicen…-

-In realtà lo ucciderebbero-

Calò un attimo di silenzio sul tavolo mentre più paia di occhi si giravano nella sua direzione, Mihir si sentì a disagio in quel momento, poi per il tavolo si sparse una risatina isterica prima che qualcuno rispondesse alla sua affermazione

-Non possono uccidere la gente così-

-Ma lo fanno- la voce ferma e sicura di Jago attirò subito l’attenzione di tutti -Ed è anche una cosa risaputa. Abbastanza perché anche i bambini ne siano a conoscenza-

Storse leggermente la bocca a sentirsi apostrofare come “bambino”, ma decise di ignorare la cosa. Infondo gli aveva dato ragione, no?

Il gelo era calato sul tavolo e la gente si muoveva irrequieta sulle sedie borbottando imprecazioni

-Se solo avessimo anche noi quei cazzo di movimenti non farebbero tanto gli sbruffoni-

-In ogni casi bisognerebbe imparare a usarli- ricordò qualcuno amaramente -E non sembrano disposti a insegnarlo-

-Puah, se c’è l’hanno fatta quei ragazzini possiamo farcela anche noi no? Basterebbe averceli!-

-E chi ti dice che basterebbe davvero?-

Jago schioccò la lingua intervenendo -Non mi sembra che i ragazzini siano mai stati catturati-

-Ha ragione! Se solo li avessimo- la voce si spense mentre la testa dell’uomo sprofondava sul tavolo in legno

-Se solo, se solo, se solo, siete davvero capaci di dire solo questo?-

L’uomo alzò la testa fissando Jago negli occhi -Cos’altro dovremmo fare? Cosa possiamo fare oltre a stare seduti qui eh?- chiese amaro

-Combattere-

Mihir si girò leggermente fissando il giovane negli occhi, era serio, tremendamente serio

-Quei ragazzini sono più piccoli della maggioranza di noi, eppure combattano contro quei bastardi e vincono! Ogni stramaledettissima volta! Chi ci dice che per noi non è possibile?-

-E dove pensi di trovarli dei cazzo di Movimenti eh, Jago?-

-Mercato nero, costano un po’, ma mettendo qualche soldo da parte potrem…-

L’interlocutore scoppio a ridere -Soldi? Io a malapena ho abbastanza per far mangiare mia moglie e tu mi parli di mettere da parte i soldi per una rivoluzione?-

-O questo o continuerai a non avere da che mangiare per sempre-

-Fallo allora, avanti!- lo sfidò -Metti in piedi una rivoluzione e ti seguiremo-

Jago scosse la testa sospirando

-Ma non fate prima a unirvi a loro?- gli sguardi si spostarono nuovamente su Mihir

-Spiegati- lo incoraggio il giovane alle sue spalle -Coraggio-

-Voi avete detto che i tre ragazzi del mercato usano i Movimenti tridimensionali e riescono a scappare dagli Unicorni giusto?-

L’uomo borbottò un sì, seguito dai compagni

-Quindi si può dire che, a modo loro, stanno portando avanti una rivoluzione, umiliando i soldati e dimostrando alle persone che non sono imbattibili. Se a loro si aggiungessero altre persone insieme potrebbero battere gli Unicorni-

Jago batté le palpebre un paio di volte -Rimarrebbe il problema dei Movimenti. Costano troppo a quanto pare- ripeté sottolineando con una punta di acidità l’ultima frase, l’uomo sbuffò irritato

-La penultima volta erano due. Al mercato ieri erano tre. Magari conoscono un modo per ottenere i Movimenti tridimensionali a poco prezzo- meditò, poi scosse la testa -Sbagliato- sussurrò tra se e se

I presenti corrucciarono le sopracciglia -Cioè? Se devi dire qualcosa parla!-

-Pensate a quando si presentano, lo fanno sempre al mercato, eppure non hanno un momento fisso. Sembra che le loro apparizioni vadano a caso, se non fosse così? Il loro scopo, forse, non è solo rovesciare casse di frutta e dimostrare di poter scappare dai soldati-

-Il mercato nero- gli occhi di Jago si illuminarono -Qualcuno deve pur portarceli i Movimenti lì no? In modo che possano rivenderli!-

-Sono loro a vendere i Movimenti?- chiese sconvolto uno dei presenti

-Cazzo-

-Non ci credo!-

-Forse- pigolo Mihir

-Lasciatelo dire bimbo, sei un genio!- la mano grossa dell’uomo calò sulla sua testa accarezzandogli i capelli mentre si perdeva in una risata

-Invece di organizzare sommosse e rivoluzioni vi consiglio di discutere su quanto sia bello il soffitto della locanda-

I presenti si girarono a osservare Mie che con un gesto veloce posò qualche boccale sul tavolo

-Ehi, non abbiamo ordinato niente, non…-

Un gesto veloce della testa di Jago spinse tutti a voltare lo sguardo alla porta, dove due soldata stavano entrando pulendosi gli stivali

-E la prossima volta pensateci due volte prima di mettere in testa a Mihir queste stupide idee rivoltose, o vi devo ricordare la sommossa dei mercanti di quattro anni fa?-

Gli uomini sbiancarono abbassando il capo mentre Mie lo afferrava per un polso tirandolo giù dalle gambe di Jago per portarlo dietro al bancone. Si chinò leggermente sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza e lo fisso seria

-Vedi di stare più attento la prossima volta Mihir, intesi?-

Annuii velocemente -Però Jago…-

-Ha ragione-

Sgranò gli occhi fissando la sorella, mai una volta aveva supportato le idee del ragazzo, che le prendeva adesso?

-Jago ha ragione, lo ammetto. Ma non è adesso il momento giusto per parlarne-

Si tirò su continuando a lavorare come se niente fosse. Mihir la fissò ancora qualche secondo, in effetti la sorella era sempre intervenuta prima che le conversazioni degenerassero a tal punto, ma aveva ingenuamente pensato che non se ne fosse semplicemente accorta.

-Vai a svegliare papà? Il locale si sta riempiendo e abbiamo bisogno di aiuto-

-Va bene- corse in casa chiudendosi il rumore e il chiacchiericcio dietro di se, possibile che quella lettera le avesse fatto cambiare idea a tal punto?

-Papà?- lo richiamò appena da dietro la porta socchiusa, ma l’uomo stava ancora dormendo quindi si azzardò a entrare. La stanza era totalmente buia per la mancanza di finestre, ma la conosceva abbastanza bene da non sbattere contro lo spigolo del cassone in fondo al letto o calpestare l’asse sfondata lungo il bordo della stanza.

-Papà?- richiamò arrampicandosi sul letto. L’uomo borbottò allungando un braccio, Mihir sorrise lasciandosi accarezzare e accoccolandosi contro il corpo caldo -Papà, Mie ha bisogno con la locanda, è piena!-

Sbuffò rumorosamente per poi alzarsi e accendere la luce, immediatamente la stanza si rischiarò rendendo evidente il disordine che vi regnava.

-Mi preparo e arrivo subito uhm?-

-Bene!- accordò sedendosi a gambe incrociate sul letto -Sono anche arrivati dei soldati-

-Ah, davvero?-

-Hm hm- annuii -E ci sono anche Jago e altri-

-Oh, bene- Chayse sorrise e Mihir lo seguì mentre usciva dalla stanza ormai vestito e pronto.

Quando rientrarono nella locanda buona parte dei tavoli erano stati occupati, così come il bancone. Mie si avvicinò velocemente, i capelli racchiusi nella solita coda e un sorriso sul volto

-‘Giorno papà!-

-Vai a preparare il pranzo?-

Annuii -Sarebbe il caso, ci vuole un po’ a preparare e lo sai come sono i clienti-

-Tutto e subito?-

Ridacchio -Esatto, vogliono tutto e subito- il sorriso si fece un poco più preoccupato e lo sguardo sguizzò verso il tavolo di Jago -Dacci un occhio in più, non voglio che creino problemi, non adesso-

Chayse sollevo il sopracciglio -Tutto questo interessamento… devo sospettare qualcosa? Infondo l’età è giusta!-

Mie lo guardò confusa prima di capire l’allusione e ridere -Non dire sciocchezze, non è quello il motivo-

L’uomo sorrise poggiandogli una mano sulla spalla prima di dirigersi verso il bancone. I due soldati stavano già bevendo soddisfatti dai loro boccali ridendo sguaiatamente su qualche aneddoto che non avevano avuto il privilegio di conoscere. Poco lontano il tavolo dove Mihir era stato seduto fino a poco prima era diventato silenzioso e cupo, più di un’occhiataccia partì da quegli avventori verso gli Unicorni.

-Dai una mano a papà- gli sussurrò Mie prima di tornare in cucina e lui si diresse verso il padre.









Note e Scleri dell'autrice:
Giocatori e giocatrici non sono morta! HA! Alla faccia vostra vi tormenterò ancora per un sacco (si spera). Ovviamente sono in ritardi di una settimana, ma questo lo sapete anche senza che sia io a dirvelo, no? Presumo che vogliate sapere piuttosto il motivo... bhè è un capitolo importante perchè iniziamo ad addentrarci sempre più nella storia principale, so che magari adesso a molti di voi questo sembreràun pallosissimo e noiosissimo capitolo di ntransizione, ma in realtà qui si poggiano le basi di molte delle sottotrame e dei segreti che verrano svelati nel corso dei capitoli futuri. Quindi pazientate e leggete ;)
So che rischio di sembrare ripetitiva ma il precedente, questo e i prossimi 3/4 capitoli saranno fondamentali per la storia in quanto decideranno la sorte del protagonista in maniera radicale, chi saranno gli antagonsti e chi gli aiutanti, chi morirà e chi sopravvivrà e quali segreti verrano svelati (o moriranno con i personaggi). Quindi votate numerosi mi raccomando, esprimete la vostra opinione senza paura sia tramite recensione che tramite MP. La domanda è questa:

I soldati si sono accorti o hanno intuito i discorsi e l'ostilità di Jago e dei suoi compagni?
A- Sì
B- No

Aspetto le vostre risposte!
Imoto-chan



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3691015