I Don't Wanna Let You Go

di lodoredelmare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


“And I'll hold on to this moment you know

As I bleed my heart out to show

And I won't let go”

Sum 41, With me

“…e terrò stretto questo momento

mentre il mio cuore sanguina per mostrartelo

e non permetterò che questa cosa vada in fumo”

 

La luce del sole filtrava tra i minuscoli fori delle tapparelle sapientemente calate costellando le pareti bianche di numerose sfere giallognole, un raggio tiepido del sole ormai calante illuminò un angolo di quella stanza dove risiedeva la sua scrivania disordinata, ospite di numerose sedute di studio intenso con quella pila di libri di testo ammassati fra loro. Fogli stropicciati di appunti evidenziati e sottolineati vigorosamente con una biro rossa, rapidi bozzetti e caricature buffe di amici, post-it colorati attaccati al muro che ricordavano appuntamenti, esami o chiamate da fare. Il portatile vecchio tappezzato da adesivi fiammeggianti e volgari, tra questi un’altro post-it giallo su cui recitava con una calligrafia rapida e disordinata un numero telefonico appartenente ad un probabile tecnico; quel computer aveva sempre dato delle noie, era incredibilmente lento e tendeva bloccarsi ogni qualvolta si cercasse di compiere un’azione un po’ più complicata rispetto a quella di selezionare una cartella, era infatti vittima di continui insulti e maltrattamenti.

Sopra la scrivania una mensola di legno su cui erano posati accuratamente i contenitori di cd, molti scaricati illegalmente.

Si potevano leggere i nomi dei Linkin Park o dei System of a Down mischiati ad Eminem o Drake, stili differenti di due persone completamente diverse.

Quella camera aveva assistito a numerose vicende, visto nascere delle profonde amicizie e amori accompagnati da litigate e tensioni. Una semplice stanza da universitari piuttosto disordinati ma che aveva segnato profondamente la mia esistenza.

Suoni ovattati e versi soffocati provenivano dal bagno rigorosamente chiuso a chiave. Al suo interno due corpi così diametralmente opposti si tenevano e si stringevano, impegnati in un amplesso forte e passionale. Aveva il sapore della rabbia, del rimorso, del rancore e al contempo si celava un pizzico di tristezza accompagnata da lacrime che bruciavano gli occhi desiderose di uscire, di solcare quelle guance lasciando dei segni delebili.

Mi reggevo a stento sulla superficie fredda del lavabo in ceramica, le mani rischiavano di scivolarmi poiché bagnate da un eccessivo sudore mentre le braccia erano pervase da un intenso tremolio che non mi lasciava tregua, non avevo più forze e molto probabilmente mi sarei lasciata andare sbattendo contro la durezza del lavandino del bagno se non ci fossero state quelle braccia, quelle braccia che amavo tanto che mi toccavano e mi tenevano stretta sorreggendomi con quella forza che mi affascinava, mi eccitava.

Così diversi eppure così complementari. Il mio corpo minuto e pallido totalmente discordante con il suo possente e abbronzato.

Ero esausta, le palpebre mi si chiudevano da sole affaticate, gli occhi languidi che scorgevano a stento la figura dinnanzi a me. 

La superficie liscia di quello specchio rifletteva un immagine che andava al di là dei miei desideri più reconditi. Il mio volto accaldato imperlato di sudore e totalmente struccato, le guance rosse che parevano due mele mature erano incandescenti, le mie labbra volgarmente spalancate da cui uscivano irregolarmente gemiti di dolore e di desiderio, il piacere assaliva il mio intero corpo.

Non mi sentivo a disagio in quella posizione così impersonale e rude, io a bocconi a reggermi a fatica sul lavabo e lui dietro a stringersi a me, con i capelli disordinati, ciocche ribelli che erano sfuggite alle stretta presa dell’elastico ormai lento che calava appesantito sulle mie spalle. Non mi imbarazzava la vista del mio seno allo specchio che oscillava frenetico ad ogni spinta, ad ogni affondo in me che diveniva sempre più vigoroso e graffiante.

Quel languore che ormai avevo imparato bene a conoscere imperversava in me portandomi a gemere più forte ad ansimare più intensamente facendogli comprendere quanto mi piaceva.

Lo vidi infatti sorridere, un ghigno beffardo che si disegnava sul suo volto tutte le volte che si sentiva soddisfatto di sé stesso accompagnato da quelle piccole fossette che gli bucavano le guance conferendogli un’aria così dolce e tenera, un poco ingenua totalmente discordante dalle azioni impudiche che stavamo compiendo.

Lo sentii serrare ulteriormente la presa sui miei fianchi continuando a flettere in quel modo meraviglioso i fianchi, vedevo i suoi muscoli guizzare -muscoli che avevo adorato e leccato fino a sentirmi sazia, mollò improvvisamente una mano dal mio fianco correndo poi al mio seno destro che lo afferrò con ferocia, strizzandolo facendomi quasi male. Mi lamentai piano per il dolore.

Dalla sua gola venne emesso un profondo ringhio. Durante il sesso non si pronunciava mai, non urlava e né gemeva ma emetteva dei ruggiti e latrati come un animale selvaggio.

Come per ripicca alla mia protesta sollevò la mia gamba sinistra, ancorandomi la pelle sensibile del retro del ginocchio, per poi piegarmela e costringendomi ad appoggiarla sulla superficie del lavandino. 

I suoi affondi cambiarono angolazione giungendo a toccare quel punto che mi faceva impazzire. Mi tirò forte quella pseudo coda che ormai non era più tale a causa dei movimenti frenetici, lo sentii affondare in me martellandomi assiduamente sempre più veloce.

Dal riflesso dello specchio vidi il suo volto contorto, accartocciato in una smorfia quasi sofferente. Gli occhi strizzati, la frangia albina che ricadeva scomposta sul suo volto, quell’adorabile neo così femmineo sulla guancia appena sotto l’occhio sinistro. 

 Non ce la facevo, con lui era una battaglia persa. Non sarei mai riuscita a trattenermi, gli avrei sempre mostrato quanto abile lui fosse a soggiogarmi perché io avevo bisogno di lui e non mi importava, no, non mi importava quanto male mi facesse.

Come un’estenuante cantilena mi ripeté assiduamente “Mia, mia, mia” con quel tono un po’ prepotente, con quel suo essere così possessivo dettato dalla sua natura canina. E io non potei fare a meno di assecondarlo, era inutile mentire ormai. Ero stata marchiata a vivo da lui, dalla sua presenza costante, dai suoi baci, i suoi morsi e i suoi graffi.

Tua” risposi tra un gemito ed un singhiozzo, il piacere ormai al culmine. Non resistevo più.

Avevo bisogno di vederlo, toccarlo, sentirlo e non mi importava se mi stavo umiliando. Sarei rimasta al suo fianco anche se mi aveva spezzato il cuore copiosamente, anche se era uno stronzo perché lo amavo troppo da lasciarlo andare e io non volevo. Mi sarei tenuta stretta questi piccoli momenti, gli unici che ci restavano perché le cose erano ormai troppo cambiate, avrei fatto di tutto per non lasciare che questi svanissero come fumo disperso nell’aria.

 

“And so I wake in the morning

And I step outside     

And I take a deep breath and I get real high

And I scream at the top of my lungs 

What’s going on?”

4 Non Blondes, What’s Up

“…E così mi sveglio la mattina

E metto il piede fuori 

Prendo un respiro profondo e vado veramente in alto

E urlo a squarciagola

Cosa sta succedendo?”

 

Si arriva ad un momento della propria esistenza in cui si smette di essere bambini. Avviene di punto in bianco, in modo del tutto causale. 

La sera vai a dormire che sei ancora una ragazzina, un adolescente libera dai problemi che caratterizzano il mondo degli adulti, ancora lontana da quell’esistenza fatta unicamente di lavoro, guadagno e il cercare di sopravvivere, e il giorno dopo ti svegli che -puff! sei diventata grande.

Il tuo mondo fatato fatto di unicorni rosa ed arcobaleni viene frantumato immediatamente, quasi non hai modo di realizzare e ti ritrovi catapultato tra i problemi della vita vera, le responsabilità e le difficoltà. No signore!, non c’erano più mammina e papino che ti davano una mano se avevi bisogno di aiuto, devi fare tutto da sola. Se cadi ti rialzi con le tue gambe.

Solitamente questo momento di drastico passaggio dalla fanciullezza alla maturità coincide con il termine delle scuole superiori che già non sono state proprio una passeggiata.

Svegliarsi tutti i giorni alle cinque e mezza, correre a perdifiato per non perdere la metropolitana per poi ritrovarsi per sette ore consecutive rinchiusa all’interno di un edificio scolastico costretta a rimanere seduta, il sedere ormai quadrato ed il formicolio fastidioso alle gambe, e ad ascoltare estenuanti e pesanti lezioni.

Il giovedì ed il venerdì pomeriggio sono occupati dal corso extra-scolastico di pittura mentre il martedì ed il mercoledì li dedicavo alla pulizia dell’aula e dei bagni.

Rincasare tutti i giorni poco prima di cena danneggiava oltremodo il mio sistema nervoso tuttavia mi rintanavo nella mia stanza con la porta sigillata -in questo modo Sota non sarebbe venuto a disturbarmi, per poi dedicarmi allo studio.

In Giappone la scuola viene vista in modo totalmente differente rispetto ad altri paesi del mondo. Nelle scuole giapponesi viene impartita un’educazione molto più rigida e lo studio rientra tra le priorità più importanti nella vita di un ragazzo, andare male a scuola porta un disonore sia per sé stessi che per la propria famiglia.

Io ho sempre cercato di dare del mio meglio durante la mia carriera scolastica, mi sentivo in debito con la mia famiglia che faceva di tutto per mandare avanti sia i miei studi che quelli di mio fratello nonostante le numerose difficoltà. Con la perdita di papà, per la mamma e per il nonno le cose non erano state affatto facili se poi si aggiungeva anche la gestione di un tempio che nessuno si curava di andare a visitare la situazione peggiorava ulteriormente.

Ho sempre ottenuto ottimi voti a tutti i test -tranne quelli di matematica ma ormai mamma aveva compreso che non sarei mai stata un genietto e non avrei mai lavorato per la NASA, e l’esame finale era stato un grande successone.

Durante l’ultimo anno di scuola superiore non ho fatto altro che sentirmi dire E adesso che farai? Già, cosa voglio fare da grande?

Se mi avessero formulato una domanda del genere quando ero piccola avrei risposto sicuramente la ballerina, appassionata com’ero dai tutù in tulle ed organza dai colori pastello, ma ora che sono cresciuta mi sono resa conto di non possedere nessun attitudine al ballo anzi sono totalmente negata. Ho visto qualche volta su internet tutorial su come muovere il bacino in quella maniera così sinuosa ed elegante da risultare quasi banale eppure continuo ad essere rigida come un pezzo di legno.

Cosa vuoi fare da grande, Kagome? Non ne ho la più pallida idea.

È stato riguardando i miei vecchi olio su tela o acquarelli chiusi in scatoloni su in soffitta ad illuminarmi.

Cosa vuoi fare da grande, Kagome? Voglio essere una pittrice.

Pur vivendo a Tokyo l’unica accademia delle belle arti più vicina era distante ben centocinquanta chilometri dall’area industriale della capitale, l’unica soluzione era quella di trasferirmi.

Presi questa decisione con grande rammarico e con una pesantezza sul cuore. Sota stava crescendo, aveva dei bisogni da soddisfare assolutamente oltre a comprargli un guardaroba intero dato che nel giro di due mesi si era alzato di ben venticinque centimetri e i suoi pantaloni ormai gli arrivavano al polpaccio, oltre alle numerose spese che comportano il mantenimento di una casa, di una macchina e di un tempio -il nonno poi aveva bisogno di medicine per il suo stato di salute precario, che pensare di aggiungere alla lista di cose da pagare anche la mia retta scolastica mi faceva venire una tremenda voglia di piangere e di urlare. 

Perché la vita doveva essere così maledettamente dura? E rimpiangevo i momenti in cui papà mi faceva fare l’aeroplano sollevandomi con le braccia.

La mamma e il nonno mi dissero di non preoccuparmi che avrebbero pensato tutto a loro tuttavia vedevo la stanchezza negli occhi di mia madre, quelle rughe tra le sopracciglia che tempo prima non c’erano, e sapevo che il nonno avrebbe rinunciato alla sua pensione pur di vedermi contenta.

Dissi loro che avrei fatto la pendolare casa-scuola se necessario poiché non volevo che avessero ulteriori problemi a cui pensare.

Il giorno del mio diciannovesimo compleanno il nonno mi diede una busta, da un lato con una grafia tremolante lessi i kanji che componevano il mio nome. Al suo interno trovai un foglio piegato su se stesso più volte, un foglio pulito e ben stirato. Una volta letto non potei fare a meno di piangere.

Con la sua ultima pensione ricevuta dallo stato, il nonno mi aveva pagato la cospicua tassa che mi permetteva di essere una studentessa nell’accademia.

Abbracciai il mio nonnino così fragile rispetto a me a causa della vecchiaia che ormai stava prendendo sempre più piede nel suo corpo. Quella poteva essere l’ultima volta che avrei potuto abbracciarlo.

 

L’accademia risiedeva in una zona piuttosto desolata, lontana dalla città e circondata unicamente da steppe e terreni coltivati. C’era una sola strada che conduceva all’accademia, fortunatamente era stata da poco cementata rendendo così il suo cammino estremamente tranquillo privo di buche  o ghiaia.

La recinzione che delineava il perimetro del luogo scolastico era estremamente ampio e comprendeva non solo l’accademia ma anche le facoltà di lettere e di fisica oltre che ad inserire anche un notevole campus in cui risiedevano tutti gli studenti.

Ero da sola alla portineria del campus, il modulo d’iscrizione in una mano ed un’enorme valigia nell’altra.

Mi sistemai gli occhiali da vista sul naso che stavano ormai scivolando a causa del troppo sudore per poi cercare di farmi aria con il pezzo di carta che reggevo, trascinare quell’enorme e pesante valigia era una faticaccia.

La mamma e il nonno non erano venuti ad accompagnarmi, la mamma era al lavoro mentre il nonno non poteva stare troppo lontano da casa e poi ero grande abbastanza per fare da sola perché la vita vera è così, si nasce da soli e si muore da soli perché nella nostra intera esistenza dobbiamo cavarcela da soli. Eppure sono sicura che a volte avere qualcuno al tuo fianco che ti sostiene e ti aiuta non è poi così male.

La stanza B75 -che comprendeva due camere da letto, un bagno ed un piccolo balcone, l’avrei condivisa con un’altra ragazza che da quel che avevo capito frequentava la facoltà di lettere già da un anno.

Le regole erano molto semplici e ci si aspettava che tutti le rispettassero con estremo riguardo.

Il 25 aprile si sarebbe tenuto in aula magna un benvenuto e buon anno a tutti da parte degli insegnati e dei presidi delle varie facoltà mentre il 7 marzo si sarebbe tenuto sempre in aula magna un addio ai dottori ed un arrivederci a quelli futuri da parte di tutti.

La colazione si sarebbe tenuta nella mensa comune dalle 07:30 am fino alle 08:30 am, le lezioni sarebbero incominciate alle ore 09:00 am e si richiedeva l’assoluta presenza da parte di tutti tranne in casi di infortuni o di malattie, in questo caso bisognava avvisare l’istituto.

La pausa pranzo sarebbe stata dalle 01:00 pm fino alle 02:30 pm, le lezioni sarebbero terminate alle ore 04:30 pm. Chi voleva poteva accedere ai corsi extra che avrebbero ovviamente conferito allo studente numerosi crediti, indispensabili quando si era in prossimità dell’esame finale.

La cena si sarebbe tenuta dalle 07:30 pm fino alle 8:30 pm, ovviamente non era obbligatorio risiedere alla mensa scolastica che offriva dell’ottimo cibo da quello che avevo sentito dire.

Durante le vacanze gli studenti potevano ritornare a casa o rimanere al campus, gli studenti potevano girare per il campus fino a mezzanotte poi ci sarebbe stato il coprifuoco, chi violava le regole riceveva una severa punizione. 

Non si poteva fumare, introdurre alcolici e ovviamente fare uso di sostanze stupefacenti. I ragazzi sarebbero stati collocati nell’area dormitorio dedicata ai ragazzi e le ragazze in quella delle ragazze, era assolutamente risiedere nelle stanze diverse da quelle assegnate al di fuori del coprifuoco.

Per ogni comportamento scorretto nei confronti degli altri o dell’ambiente in cui risiedeva veniva punito con una salata multa da pagare assolutamente.

Le lezioni non erano obbligatorie, gli studenti potevano tranquillamente svolgere un’attività lavorativa e se questa si prolungava al di là del coprifuoco bastava riferirlo al preside e quello lasciava un by-pass, ovviamente veniva controllato se quello che diceva lo studente fosse vero oppure fosse una bugia.

Il preside lasciava i by-pass anche per partecipare a delle feste o poter andare a Nagoya, la città dove risiedeva il campus, tuttavia ogni singolo studente aveva a disposizione 20 uscite extra in un anno scolastico.

Trovai il campus davvero ben fatto, ordinato e pulito come l’avevo immagino e presentava una grande quantità di aree verdi attrezzate di panchine e tavoli. 

Scorsi in lontananza una piscina per chi frequentava il corso di nuoto ed una bassa rete per chi frequentava il corso di tennis. Sapevo che vi erano anche i corsi di baseball, equitazione, tiro con l’arco e pallavolo oltre a corsi manuali come quello di cucina, cucito, ceramica, astronomia, fotografia e manga.

Sapevo di aver scelto un campus prestigioso con delle facoltà altrettanto prestigiose tuttavia rimasi meravigliata dalla magnificenza di quel luogo, dai giardini curati, le vie di ciottoli levigati, la fontana al suo centro circondata dalle tre facoltà, dai ciliegi e gli alti cipressi.

Un ridacchiare lontano catturò la mia attenzione e voltandomi scorsi tre ragazzi passeggiare tranquilli sul prato.

Il mio trolley sui ciottoli produceva un forte rumore talvolta alternato da qualche mia sottile imprecazione poiché mi sbatacchiava sul polpaccio provocandomi un forte dolore.

Ero curiosa di vedere la mia stanza ma soprattutto di conoscere la mia nuova coinquilina.

 

Sango mi sorrideva imbarazzata, nonostante la presenza del fard rosa era ben evidente il colorito di impaccio che viveva in lei.

Stringevo tra le mani la maniglia del mio trolley totalmente incerta sul da farsi. Avevo compreso bene quali fossero le regole del campus ed ero totalmente sicura che fornicare con un ragazzo fosse assolutamente contrario alle regole, io che fin da piccola le avevo sempre seguite rigidamente come se fosse una questione di vita o di morte non sapevo se andarlo a riferire alla responsabile facendo la spia -il che avrebbe alimentato l’odio in tutto il campus nei miei confronti dopo neanche cinque minuti dal mio arrivo!, oppure lasciare perdere ma logorandomi il fegato poiché sono da sempre stata una ragazza giudiziosa, responsabile e civile.

Dopo il suono sordo di uno sciacquone tirato, uscì dal bagno quel ragazzo intento ancora a rimettersi la camicia all’interno dei pantaloni con ancora la cintura rigorosamente slacciata.

Vidi Sango lanciargli un’occhiataccia mentre il ragazzo, un bel ragazzo dalla carnagione chiara i capelli scuri racchiusi in un codino ed un paio di orecchini che contornavano le orecchie, totalmente non curante le passò affianco donandole un piccolo schiaffo sul fondoschiena.

Sango squittì, l’imbarazzo oramai visibile fino alla punta delle orecchie.

Il ragazzo dopo avermi fatto un piccolo inchino che ricambiai educatamente se ne andò sbattendo piano la porta della nostra stanza.

Incominciai a sentirmi tremendamente a disagio dinnanzi a quella ragazza che nonostante il freddo  di marzo indossava un paio di corti pantaloncini di cotone ed una canottiera a spalline sottili -una di queste era scivolata dalla spalla, che tuttavia non nascondeva affatto l’assenza del reggiseno.

Sango ridacchiò nervosa passandosi una mano tra i capelli. Con fare disinvolto cercò di apparire cordiale ed educata offrendomi il suo aiuto nel condurre la mia valigia in quella che sarebbe diventata la mia stanza.

Decisi di dare a quella ragazza una possibilità ma se avesse fatto un’altra volta una cosa del genere non ci avrei pensato due volte a riferire il tutto.

    “Era il tuo ragazzo?” le chiesi.

    “No!” urlò sconcertata quasi spaventandomi.

La vidi tossire cercando di trovare in sé un contengo e di non sembrare una pazza squilibrata.

    “Non è il mio ragazzo, ci mancherebbe. È solo un amico”.

Inarcai il sopracciglio. Come potevano essere amici quei due se li avevo visti -meglio beccati, mentre facevano beh…quello.

Sango sospirò guardandomi con aria strana come se stesse avendo a che fare con una bambina incapace di arrivare da sola alle conclusioni.

    “Siamo scopamici ma siamo più amici che altro”.

È buffa la parola scopamici. Questa implica nell’avere un amico con cui si fa l’amore sesso ma che non potrà mai essere il tuo fidanzato. Io sono oltremodo convinta che certe cose le si fanno unicamente con la persona che si vuole bene, che si ami davvero e quindi perché farlo con qualcuno di cui non ti interessa niente?

Ho diciannove anni ma non ho mai fatto niente e per niente intendo proprio niente. La mia vita da studentessa mi ha tenuta troppo impegnata impedendomi di avere una storia d’amore con qualcuno.

    “Te hai un ragazzo?” la voce di Sango mi riscosse dai miei pensieri. La ragazza era seduta su quello che sarà il mio letto, le gambe accavallate mentre mi osservava disfare la mia valigia e riporre ordinatamente tutti i miei averi.

Affianco al letto -che constatai fosse da una piazza e mezzo per la mia immensa gioia, vi era un piccolo comodino con due cassetti. In uno misi tutta la mia biancheria intima mentre nell’altro tutte le cianfrusaglie come il caricatore del telefono, quello del portatile, il porta occhiali, le chiavi di casa e tanto altro.

Sul comodino invece vi posai un libro di un autore spagnolo Carlos Ruiz Zafòn, questo si intitolava “L’ombra del Vento”. Era un libro che personalmente adoravo per la sua inquietudine ed il suo mistero, l’avevo letto numerose volte fin da quando ero una bambina.

Scossi il capo arrossendo leggermente. L’argomento “ragazzi” mi metteva sempre un po’ in imbarazzo.

Sango mi sorrise dolcemente e osservandola credetti che potevo davvero dare una possibilità a quella ragazza con cui ho avuto un incontro davvero bizzarro.

 

Passai le mie giornate chiuse in camera ad avvantaggiarmi con lo studio, uscendo dalle superiori con un ottimo voto ero riuscita ad ottenere la borsa di studio che consisteva nell’ottenere i libri di testo -o meglio tomi, quasi totalmente gratuiti scoprendo cose totalmente nuove che giravano intorno al mondo dell’arte. 

Scoprì ben presto pittori italiani a me prima sconosciuti di grande talento facendomi desiderare ardentemente di poter ammirare le loro opere d’arte dal vivo e invidiando gli italiani ad averle così a portata di mano.

Fui così travolta dalla pittura e dalla scultura che feci degli approfondimenti personali su internet rilegando tutte le nuove informazioni in un quaderno ad anelli cercando anche di riprodurre attraverso dei bozzetti strutture architettoniche come la Cappella Sistina, la Piazza di San Pietro o la Cappella del Brunelleschi oppure mi cimentai nella riproduzione esatta di colonne dal capitello dorico, ionico o corinzio cercando di memorizzare quali fossero le loro differenze.

I tempi e gli anni teatri grechi erano di una bellezza disumana lasciandomi sorpresa di come, seppur fossero passati anni -millenni!, fossero ancora ben intatti.

Alle volte facevo delle lunghe passeggiate presso i giardini del campus che pian piano andava popolandosi sempre più di studenti che facevano ritorno dalle loro città natali.

Sango rimaneva poco in camera. Andava e veniva in continuazione in modo frenetico talvolta accompagnata da quel ragazzo che scoprì chiamarsi Miroku o da una ragazza dai capelli tinti di rosso di cui ancora faccio fatica a ricordarmi il nome.

Quelle poche volte che rimaneva in camera Sango appariva come una ragazza alla mano, gentile ed educata. Ancora si scusava imbarazzata per quello che era successo tempo addietro con Miroku facendomi profondare in un profondo stato di disagio che mi portava a balbettare.

Sango era una ragazza carismatica e piena di energia, grande appassionata degli sport che la portarono ad  iscriversi in tutti i corsi in cui era necessario fare dello sforzo fisico me il suo corso preferito era la scherma e le arti marziali. 

Alle volte si allenava anche in camera mostrandomi la sua bravura. Era agile e flessibile, compiva ogni singolo gesto con una fluidità e leggerezza facendolo apparire come la cosa più facile del mondo anche se ero più che sicura che dietro ci fossero anni di intensi allenamenti.

Sango era ordinata e non faceva molto rumore. Era un’appassionata di k-pop e j-pop, conosceva ogni singola band sia maschile che femminile di qualsiasi genere e mentre faceva la doccia o riordinava la sua parte della stanza ascoltava la sua musica dalla stereo che si era portata da Kyoto.

Quando tornava dagli allenamenti o dalle uscite con i suoi amici, se non faceva troppo tardi, rimanevamo in stanza a parlare. Mi trovavo bene con lei, devo dirmi essere molto fortunata.

Una  volta glielo riferii e lei si mise a ridere ringraziandomi mentre le sue guance si coloravano di un tiepido rosa. Era una ragazza che arrossiva facilmente anche se io non ero da meno.

Tuttavia spesso faceva tardi alle volte superando anche l’orario di coprifuoco, a volte veniva accompagnata in stanza da Miroku lasciandosi poi con un lungo bacio.

Mi domandavo se davvero quei due fossero solo scopamici.

Alle volte quando Sango rimaneva in camera mi osservava dipingere. Mi ero fatta spedire dalla mamma tutti i miei strumenti per cimentarmi in ciò che amavo di più e tutte le volte la ragazza mi riempiva di complimenti ammirando affascinata i miei lavori.

Mancava ormai una settimana dall’inizio delle lezioni e l’intero campus, ormai colmo di studenti -erano davvero tantissimi, ogni giorno vedevo una faccia nuova, era caduto in un gran fermento.

Anche Sango incominciò la sua sezione di ripasso alternato ai suoi continui allenamenti e ovviamente non mancarono le sue uscite con gli amici.

Io invece, a parte Sango, non avevo stretto amicizia con nessuno dato che ero troppo impegnata a studiare e a proseguire la mia lettura.

Sango invece non era una ragazza che leggeva molto tuttavia mi chiese se poteva anche lei leggere “L’ombra del Vento” una volta terminato. Acconsentii volentieri, mi faceva piacere quando qualcuno si interessava a qualcosa che a me piaceva terribilmente.

Andammo a cena insieme dove la mia coinquilina si prese un’abbondante porzione di ramen, diceva di aver faticato molto quel giorno con la scherma e che aveva bisogno di recuperare tutte le energie. Io l’accompagnai anche se avevo il mio bento che mamma mi aveva spedito. Era buonissimo e sapeva di casa. Sia il nonno che la mamma e Sota mi mancavano moltissimo. Recentemente avevamo fatto una chiamata su Skype poiché erano terribilmente curiosi nel sapere come procedessero le cose lì al campus. Rivederli mi aveva pervaso di una malinconia che mi aveva fatta piangere, fui trovata da Sango in divisa da karate gi che non ci pensò due volte ad abbracciarmi cercando di consolarmi. Mi disse che anche a lei mancava tanto la sua famiglia in particolare modo suo fratello minore Kohaku, che aveva tre anni in più di mio fratello, e della sua gatta Kirara. Parlando della sua famiglia anche a Sango vennero gli occhi lucidi ma cercò di nono scomporsi perché compresi presto che lei non era una ragazza che piangeva.

Mentre mangiavamo Sango mi raccontò dei suoi allenamenti e di come Miroku anche quel giorno era andata a vederla facendo il tifo per lei.

    “Manco stessi disputando una gara” disse lei ridacchiando. Io le sorrisi come di chi la sapeva lunga, ero convinta che quei due invece si piacevano da morire.

    “Non guardarmi con quella faccia. Te l’ho già detto milioni di volte, lui non mi piace e poi è un libertino e ci prova con tutte” mi disse con un tono più basso indicandomi un punto imprecisato dietro di me con le bacchette.

Io mi voltai e quello che vidi rispecchiò esattamente le teorie della mia coinquilina. Miroku rideva con una ragazza mora dai capelli lunghi che ci passava le dita ogni cinque secondi.

    “Stanno solo ridendo” provai a difenderlo.

    “Stanno flirtando. Non conosci bene Miroku”.

Addentai un piccolo polipo di würstel quando al fianco di Sango si sedette la ragazza dai tinti capelli rossi che quel giorno portava legati in due alte codine.

    “Ciao Ayame” disse Sango portando tutta la sua concentrazione sulla nuova arrivata.

La ragazza le sorrise apertamente per poi farmi un cenno di saluto in maniera cordiale.

    “Ho parlato con Koga, ha detto che pensa tutto lui per quanto riguarda tu-sai-cosa” disse la rossa guardandosi attorno con fare sospetto.

    “Bene, almeno questa è risolta”.

    “E poi mi ha detto che lui torna proprio quel giorno assieme a tu-sai-chi” adesso sul volto di Ayame si disegnò una smorfia di disgusto.

Sango sbuffò sonoramente sbattendo le bacchette sul tavolo facendomi sobbalzare.

    “Non aveva detto che si ritirava perché era troppo in per fare l’università?”.

    “A quanto pare ha cambiato idea”.

    “Comunque meglio così, prederemo due piccioni con una fava”.

Ayame acconsentì per poi andare via lasciandoci un’ondata di profumo dolcissimo.

Riprendemmo a mangiare notando che Sango era visibilmente pensierosa.

    “Stavate parlando di Voldemort?” chiesi io ridacchiando.

Sango sospirò scostando la ciotola di ramen da sé “Sono piena” decretò “Magari fosse Voldemort sarebbe più digeribile. Quell’oca…”.

Decisi di non indagare oltre, se era una persona che a Sango non stava molto simpatica significava che questa era davvero tremenda, io mi fidavo molto del suo giudizio.

    “Ci vieni alla festa?” mi domandò poi di punto in bianco.

Strabuzzai gli occhi incredula “Che festa?”.

    “Come che festa? Kagome ma dove vivi? La festa di inizio anno. La festa per fare festa matta prima di iniziare un altro tortuoso anno da universitari. Ne parlano tutti…”.

Io scossi la testa totalmente ignara di cosa lei stesse parlando. La vidi sospirare pesantemente per poi riprendere a mangiare.

“Vivi sulle nuvole Kagome”.

Ed era vero.

 

Oh don’t you dare look back

Just keep your eyes on me

I said “You’re holding back”

She said “Shut up and dance with me”

This woman is my destiny

She said “Oooooh, shut up and dance with me”

Walk the Moon, Shut Up and Dance  

Oh, non permetterti di guardare indietro

Concentrati solo su di me

Io dissi “Ti stai trattenendo”

Lei disse “Stai zitto e balla con me”

Questa donna è il mio destino

Lei disse “Oooooh, zitto e balla con me”

 

Io non ci volevo andare a quella festa. Non mi piacciono molto le feste, troppa confusione e troppo caos, troppa puzza di fumo e di chiuso per non parlare della puzza di sudore.

C’ero già stata più volte alle feste accompagnata da Yuka, Eri e Ayumi mie compagne di liceo tuttavia mi annoiavo a morte portandomi a pentirmene amaramente di non essere rimasta a casa mentre quelle tre si divertivano a baciare ragazzi che non conoscevano e che non avrebbero rivisto mai più.

Durante le feste la gente diventava troppo disinibita a causa dei fiumi di alcol facilmente reperibili e di chissà cos’altro e a me tutto ciò non piaceva. A me piaceva parlarci con la gente, avere dei discorsi che avessero un capo ed una coda, fare dei ragionamenti, ridere e scherzare ma in maniera serena senza fare uso obbligatoriamente di sostanze che mandano in pappa il cervello o il fegato. Io credo che per divertirsi non bisogna per forza fare uso di quelle cose.

Sango ha incominciato ad implorarmi assiduamente talvolta sostenuta anche da Miroku che aveva iniziato a studiare nella nostra camera perché lui si sentiva solo -il suo coinquilino ancora non era tornato nonostante mancassero quattro giorno all’inizio dell’università.

Ma io fui irremovibile, quando dico no è no. Ma Sango smise di parlarmi, quelle volte che rimaneva in camera mi teneva il broncio e smettemmo anche di studiare insieme o di chiacchierare poco prima di addormentarci.

Iniziai a sentire la mancanza di quella ragazza che in così poco tempo avevo iniziato a provare un profondo affetto e non ne potevo più di quell’assurda situazione. Alle volte Sango si comportava come una bambina.

La festa si sarebbe tenuta la sera del penultimo giorno di libertà poiché festeggiare la notte prima dell’inizio di tutto non era proprio una bella idea, anni addietro l’avevano proposto e il risultato fu un marasma di ragazzi che non riuscivano a tenersi in piedi o a stare svegli e altrettanti che rimasero coricati nei loro letti doloranti per il post sbornia.

    “Va bene, vengo anch’io!” esclamai altamente alterata di quella situazione. Il risultato fu una Sango urlatrice che mi saltò addosso abbracciandomi fortemente.

    “Non mi metto i tacchi” affermai io ma la ragazza era talmente tanto euforica che non mi ascoltò nemmeno.

Era ormai la giornata che anticipava la sera della festa, mancavano poche ore al suo inizio e la ragazza prese a frugare ossessivamente tutto quello che aveva nel suo armadio lanciando qualsiasi cosa nel suo letto.

    “Hai qualcosa da metterti?” mi chiese e io con un sopracciglio inarcato indicai ciò che indossavo in quel momento: jeans, felpa azzurra e all star nere.

Sango mi guardò scandalizzata per poi negare assiduamente con il capo. Mi prese per una mano e mi trascinò al suo fianco portandomi dinnanzi al suo armadio straripante di vestiti.

    “Scelgo io per te” decretò terrorizzandomi.

 

Alla fine constatai ancora una volta di potermi fidare della mia coinquilina perché è davvero una ragazza dal cuore d’oro.

Dopo avermi proposto abiti improponibili dagli scolli vertiginosi e tremendamente corti alla fine optò un qualcosa di più sobrio adeguato alla mia persona.

    “Hai un bel fisico Kagome, è un peccato che non lo metti in mostra” le risposi con un’alzata indifferente di spalle. Io non ho un bel fisico, mi ritrovai a pensare corrucciata.

Indossai un grazioso abito bianco a fantasie floreali dalle spalline sottili che lasciavano uno scollo ovale riccamente rifinito da degli adorabili ricami anch’essi bianchi inoltre, nonostante l’assenza delle spalle, la manica era ugualmente presente. L’abito era a trapezio scendendo morbido sulla mia figura arrivandomi appena sopra il ginocchio.

Ai piedi mi misi un paio di converse rosa del medesimo colore dei fiori perché io i tacchi non li avrei mai messi.

Lasciai i capelli sciolti mentre per il trucco osai solamente per del fondotinta -perché quel terribile brufolo che mi era uscito sulla fronte a causa di quel terribile periodo del mese delle donne andava assolutamente coperto,  uno strato di mascara per esaltare le mie ciglia nere e già folte di loro ed un rossetto bordeaux non troppo vistoso.

Mi osservai alla specchio intero posto affianco all’armadio di Sango passandomi le mani sull’abito cercando di eliminare delle possibili pieghe.

Mi trovai molto carina e presi a sorridere allo specchio per poi assumere pose e smorfie buffe. Finsi una risata, mostrai la lingua, diedi un bacio volante alla mia immagine riflessa e cercai di assumere lo sguardo più intrigante e sensuale che potessi ovviamente fallendo miseramente.

Mi ritrovai a ridere da sola fino a che non comparve dal bagno una meravigliosa Sango che mi portò a socchiudere leggermente la bocca. Ecco, se prima mi sentivo carina adesso mi sentivo assolutamente insignificante.

La ragazza uscì dal bagno con sguardo corrucciato e preoccupato mentre pigiava rapidamente i tasti sul suo telefono.

Indossava un meraviglioso abitino dorato in raso dallo scollo a V che fasciava meravigliosamente il suo seno che terminava con un arricciatura proprio sotto ad esso, il vestito terminava poco dopo la metà della coscia e ai piedi indossava degli splendidi sandali con il tacco che portava magnificamente.

I lunghi capelli d’ebano erano raccolti in un’alta ed ordinata coda di cavallo che scendeva dolcemente sul suo petto.

Vedendola così compresi come un ragazzo bello e libertino come Miroku fosse così interessato a lei, non che gli altri giorni fosse brutta anzi l’ho sempre considerata una bella ragazza, ma quel giorno appariva meravigliosa come una dea.

    “Qualcosa non va?” domandai vedendo il suo sguardo così corrucciato.

Lei sollevò gli occhi dallo schermo del telefono incatenandoli ai miei. Mi sorrise dolcemente “Stai benissimo così” mi disse.

    “No, va tutto malissimo!” il suo volto si contrasse in una smorfia di disperazione “Guarda” mi indicò un punto imprecisato sul labbro.

La guardai perplesso non capendo cosa c’era che non andasse.

    “Un herpes, oggi! I Kami mi vogliono male”.

Scoppiai in una sonora risata beccandomi una leggera spinta dalla mia coinquilina.

Una bellezza come Sango che si preoccupava di un herpes. Beh, effettivamente era un bel problema…

 

La festa si teneva nella grande palestra della facoltà di arte, perché anche lo sport è una forma d’arte, così avevo compreso.

Avevano corrotto il custode offrendogli da bere illimitato, il custode era un ragazzo di trent’anni e come tutti i giovani desiderava ancora divertirsi soprattutto con le matricole, e all’insaputa del preside, del responsabile del campus e di tutti gli altri insegnanti erano riusciti ad organizzare la festa al suo interno. Si diceva che in verità chiunque sapesse di quella trovata degli studenti ma tacevano perché era ormai diventata una tradizione.

Questa cosa della festa aveva un non so che di scuola americana con tutte le varie confraternite ma si sa benissimo che gli orientali invidiano gli occidentali e cercano in tutti i modi infatti di eguagliarli.

La palestra era stata allestita meravigliosamente, come ogni singola cosa in quel campus del resto, con festoni e palloncini colorati pieni di elio che si innalzavano fino a toccare il soffitto. In un lato della palestra era stato posta una lunga tavolata su si posavano una quantità industriale di cibarie e bevande, pareva impossibile ciò che i miei occhi vedevano.

Da delle grandi casse poste in maniera disordinata per tutta la palestra venivano riprodotti i singoli più famosi della musica occidentale dagli anni ’70 fino a raggiungere quelli moderni con un mix davvero ben riuscito.

Osservai il tutto con un immenso stupore mentre affiancata da Sango che mi teneva stretta la mano ci snodavamo tra la calca di ragazzi che ballava dimenandosi in maniera del tutto scoordinata. Tra questi molti ridevano sguaiatamente, liberi da qualsiasi pensiero e dubbi, privi di problemi e con il solo intento di divertirsi più che potevano. Quella era la forza dei giovani che li spingeva nonostante le avversità a gioire della vita, a non mollare mai continuando a ballare e a vivere quei momenti che sapevano presto sarebbero passati.

Quant’è bella giovinezza, che fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: del doman non v’è certezza.

Cercai di stare al passo della mia coinquilina che rapidamente riusciva ad evitare quella masse informe di ballerini non proprio provetti per poi raggiungere la lunga tavolata. Ad essa erano numerosi coloro che ne approfittavano del cibo e del bere gratis quando vidi tra le teste scure e gli abiti scuri una cascata di boccoli rosso fiammeggiante.

Sango si avvicinò alla ragazza che indossava un lungo abito turchese, le picchiettò la spalla e la ragazza si voltò mostrando il volto sorridente di Ayame.

    “Sango!” esclamò quella. La ragazza era affiancata da un alto ragazzo dai lunghi capelli scuri legati in una coda di cavallo molto simile a quella di Sango ma insolita per un ragazzo.

    “Che bello ci sei anche tu, Kagome” Ayame mi abbracciò improvvisamente ed altrettanto in fretta si staccò non lasciandomi il tempo di ragionare. La vidi sorridermi visibilmente contenta e io risposi con un sorriso un po’ più timido.

Una volta spostato lo sguardo sulla mia coinquilina la vidi ridacchiare con Miroku che nel frattempo si era avvicinato a noi posando una sua mano sul fianco di Sango, circondandole la vita.

Miroku si avvicinò all’orecchio della ragazza sussurrandole qualcosa mentre un sorriso furbetto si disegnò sulle sue labbra facendola arrossire incredibilmente che rispose con una vigorosa spinta ed un’espressione corrucciata.

Ridacchiai allo sguardo afflitto del ragazzo e alle braccia conserte di Sango con ancora il volto dall’imbarazzo. Mi chiesi cosa le avesse detto di tanto sconvolgente.

    “Lui è Koga” mi riscossi dai miei pensieri alla voce di Ayame posando poi lo sguardo sul ragazzo che mi sorrise gentilmente, gli occhi azzurri talmente penetranti che mi provocarono uno strano brivido.

Gli sorrisi di rimando e strinsi la mano che il ragazzo mi porse “Kagome” dissi solo mentre quel mio lato tremendamente timido prendeva il sopravvento su di me.

    “Lui dov’è?” chiese Sango rivolta a Miroku che scrollò le spalle noncurante.

    “Ancora in camera. Devono battezzare il letto, era da un po’ che non si trovavano al campus”.

Vidi Sango ed Ayame fare un gesto disgustato, due dita nella bocca aperta con la lingua fuori emettendo un suono strozzato.

    “Siete proprio simpatiche voi due” disse Koga esplodendo in una fragorosa risata.

    “Non è colpa nostra se quella se la tira manco ce l’avesse d’oro” sbottò Ayame.

    “Perché mio padre è il più grande amico dell’ambasciatore, perché mio padre conoscere l’imperatore, lo sapete che mi ha fatto conoscere suo figlio? Ha detto che sono talmente bella che vorrebbe sposarmi” Sango si cimentò nell’imitazione facendo ridere Miroku e Koga che ormai a stento si reggevano in piedi, le mani strette sulla pancia ed il respiro affannato. Sembravano essere in preda alle convulsioni.

    “Ma lo sapete che quelli di Victoria’s Secrets mi hanno contattata per fare un provino da modella? Dicono che ho il fisico perfetto e che ho un viso che Adriana Lima ti prego spostami che mi fai ombra” a darle man forte ci fu anche Ayame.

Io mi limitai a ridacchiare più per le loro buffe imitazioni dato che non avevo la più pallida idea di chi stessero parlando. Tutto quella confusione mi aveva parecchio stordita.

    “Ho bisogno di bere. Questo sarà un altro anno parecchio difficile”.

Seguì Sango che si avvicinò alla lunga tavolata e la vidi prendere quella che pareva essere una bottiglia di Coca-Cola.

La imitai certa versando il contenuto in un bicchiere di plastica mentre Sango, che stava già bevendo mi guardò con un sopracciglio inarcato e lo sguardo perplesso. Non ci pensai due volte e mandai giù la bevanda dolce e frizzantina che aveva quell’assurdo potere eccitante. Tuttavia oltre al suo dolce sapore aveva un retrogusto particolare e abbastanza forte che mi fece storcere le labbra posando immediatamente il bicchiere sul tavolo.

    “Ma che roba è?” chiese sconvolta.

    “Rum e Cola, piccola Kagome” Miroku mi si pose al fianco riempiendo cinque bicchieri con uno strano liquido rosa. Consegnò i bicchieri a me, Sango, Koga ed Ayame ed uno se lo tenne per sé.

    “Pronti per il brindisi?” chiese lui osservandomi con sguardo beffardo.

    “Prima voglio sapere cosa c’è?”.

    “Dai Kagome, rilassati un po’. Non stai facendo nulla di male”.

I ragazzi attorno a me scontrarono i loro bicchieri di carta esclamando un euforico cincin! per poi mandare giù tutto d’un fiato quel liquido rosa.

Avvicinai il mio al naso e le mie narici captarono un odore dolce piuttosto nauseante. Non sapevo se bere e fidarmi di loro o fidarmi di più del mio istinto e lasciarlo perdere.

    “Fate il brindisi senza di me? Siete proprio degli amici indecenti”.

Non feci in tempo a realizzare che Koga e Miroku esplosero in un urlo fragoroso, li vidi gettarsi su una figura dietro di noi che cercava di reggersi in piedi nonostante la pesantezza dei due ragazzi che l’avevano travolto e che ora lo prendevano a pugni scherzosi, spintonate, tirate di capelli che notai fossero di un colore alquanto insolito.

Miroku e Koga lasciarono il povero ragazzo finalmente libero da quei due, posò il suo sguardo prima su Sango e Ayame per poi abbracciarle con un enorme sorriso.

    “Mi sei mancato brutto scemo” disse Sango scombinandogli i capelli.

Il ragazzo abbandonò la presa sulle due e immediatamente venni travolta dal suo sguardo.

Non avevo mai visto un ragazzo come quello.

Mi mostrò un piccolo sorriso da cui tuttavia sbucarono dolcemente due piccole fossette sulle guance, le labbra piene distese in una curva perfetta.

Venni percossa da un ennesimo brivido mentre il mio cuore sembrò aver deciso di compiere delle acrobazie, tanto batteva in modo frenetico ed incontrollato.

I suoi occhi, dio quegli occhi, me li sognai per giorni. Parevano oro colato dalle infinite sfumature che cambiavano a seconda della disposizione della luce, così profondi e belli mi pareva di starci affogando.

Che qualcuno mi aiuto, sto andando in iperventilazione.

Era il ragazzo più bello che avessi mai visto totalmente diverso dal classico giapponese ma si differenziava anche da quelle bellezze occidentale che vedevo in televisione o su internet. Era particolare con la sua carnagione abbronzata, i lineamenti del viso definiti e marcati, il naso dritto e quei capelli così strani che non parevano affatto tinti ma incredibilmente naturali.

Erano talmente tanto chiari da risultare bianchi, erano luminosi quasi scintillavano attraverso le luci psichedeliche.

Mi porse la mano per presentarsi, lo sguardo intenso fisso su di me.

    “Inuyasha” disse lui e talmente sopraffatta dalla sua bellezza non me ne resi quasi conto.

    “K-kagome” balbettai. Come una stupida, che diamine!

Distolsi lo sguardo da lui cercando di concentrarmi sulla figura di Sango che avviò un discorso con Inuyasha con vivo interesse, da quello che avevo compreso era da molto che non si vedevano.

Nonostante parlasse con i suoi amici ed io cercai di non posare mai il mio sguardo su di lui, con la coda dell’occhio lo vidi ugualmente posare i suoi occhi dorati sulla mia figura in un modo talmente intenso che mi portò a rabbrividire nuovamente. Avevo anche la gola secca.

Mi sfregai le mani sulle braccia con la speranza di mandar via quel fastidioso brivido ma ciò accentuò l’attenzione del ragazzo su di me.

    “Hai freddo?” mi chiese lui. Lo guardai spaesata per poi fare un cenno di negazione con il capo. Lui mi sorrise nuovamente facendo sbucare ancora quelle adorabili fossette. Aspetta, adorabili?

Cercai di ritornare in me, mi stavo agitando troppo e questo non andava affatto bene. Era tutta colpa del cora e rum, lo sapevo che l’alcol portava solo guai!

I ragazzi fecero nuovamente un altro brindisi in onore al tanto atteso ritorno di Inuyasha, erano tutti e cinque in cerchio mentre io mi ero spostata leggermente isolandomi come mio solito tenendomi stretta le braccia visibilmente a disagio. 

Li vidi così felici e così uniti, una strana intimità che non avevo mai provato assieme alle mie amiche.

    “Dai Kagome, vieni a brindare anche tu!” mi spronò Ayame porgendomi un altro bicchiere dal liquido trasparente e dall’odore forte e nauseante.

Guardai titubante il bicchiere e poi Ayame che mi osservava con fare incoraggiante. Spostai gli occhi prima sul resto del gruppo per poi concentrarmi su Inuyasha che manteneva ancorato il suo sguardo su di me. Deglutì piano ancora incerta sul da farsi ma con l’improvvisa ondata di uno strano coraggio che ero certa non sarebbe tornato più, afferrai il bicchiere annuendo piano.

Koga e Miroku urlarono un’esclamazione esaltata e anche un po’ volgare mentre Ayame mi guardò ridendo divertita, Sango circondò le mie spalle con il suo braccio avvicinandomi a sé. Il calore di una bella amica come Sango mi incrementò ulteriore coraggio.

Al segno di Miroku buttammo giù quel liquido tanto trasparente quanto forte, la gola mi bruciava in maniera atroce che mi portò ad emettere un verso disgustato.

Gli altri si misero a ridere “Piccola Kagome” disse Koga circondandomi con un braccio.

    “Pronti a ballare?” esclamò Ayame contenta. Prese per mano Koga e se lo trascinò in mezzo alla folla che si muoveva a tempo di musica dando origine ad una strana onda magica di corpi sudati così diversi ma così incredibilmente simili.

Miroku fece un piccolo inchino a Sango porgendole elegantemente la sua mano ma lei sbuffò spingendolo via per poi incamminarsi verso la massa percorrendo lo stesso percorso creato da Ayame e Koga.

La vidi voltarsi leggermente per osservare Miroku che si ritrovò a sospirare ammaliato, la mente persa in chissà quale sogno. Si volse verso Inuyasha che con un nuovo bicchiere alle labbra rise di lui.

Miroku partì all’inseguimento di Sango cacciando un lungo ululato al soffitto.

Il sorriso che mi aveva accompagnata per tutta la simpatica vicenda svanì ben presto dalle mie labbra quando mi resi conto di essere rimasta da sola con Inuyasha. Mi irrigidì immediatamente entrando in uno stato di panico e ansia.

Di sottecchi lo vidi posare il bicchiere vuoto sulla tavolata per poi appoggiarsi col sedere al suo bordo, le braccia incrociate e lo sguardo divertito posato sull’intera festa.

Mi concentrai anch’io sulla festa che proseguiva ininterrottamente totalmente disinteressata dal mio stato d’animo irrequieto totalmente discordante.

    “Vuoi ballare?” la voce del ragazzo al mio fianco mi fece sussultare ormai troppo concentrata a rimanere sulle mie, a cercare di isolarmi quando una situazione non mi piaceva per niente.

    “Come?” era mai possibile che facessi delle figure da idiota con lui?

Lui ridacchiò scuotendo piano il capo “Ti ho chiesto se vuoi ballare” non mi diede tempo di rispondere che mi prese per il braccio, la sua presa così ferrea ma anche così delicata un ossimoro perfetto.

Mi trascinò in mezzo alla folla nel cuore della festa affiancando Koga e Ayame che ballavano in maniera totalmente stupida con gesti idioti e ridicoli, ridendo spensierati.

Mi tenne stretta per la vita avvicinandomi a lui, cozzai contro il suo petto e posai una mano su di esso per cercare di mettere più distanza possibile fra noi.

Lui prese a muoversi piano sorridendomi affabile cercando di mettermi a mio agio. La mano posata sulla curva della mia schiena si spostò un po’ più in alto per poi prendersi a muovere come una sorta di carezza per infondermi coraggio.

Mi sentii il viso in fiamme mentre il cuore pareva esplodere come se volesse sfondare a forza la mia cassa toracica, avevo la sensazione che riuscisse a percepire il mio battito frenetico.

Vidi il suo volto avvicinarmi al mio, desideravo scappare mettere più distanza possibile tra me e lui. Avevo paura, ma paura di cosa? Non lo sapevo nemmeno io.

Sarà che non ho ami avuto un ragazzo, sarà che non ho mai avuto nessun rapporto, sarà che nessuno così bello si è mai avvicinato a me tuttavia ora sto tremando di paura.

Sviai lo sguardo da lui cercando tra la folla il volto familiare di Sango fallendo miseramente. Dove era finita?

“Concentrati su di me, guarda me. Guarda solo me” mi disse sussurrandomelo all’orecchio, sentì il suo caldo respiro scontrarsi sulla mia pelle. Mi scostò una ciocca dal viso sorridendomi ancora dolcemente, ancora le fossette a fare capolino. Spostai il mio sguardo su di esse cercando di fare come lui mi aveva ordinato.

Continuò a ballare muovendo piano il bacino andando a ritmo di musica, io rigida e impacciata non osai muovere un solo muscolo.

    “Ti stai trattenendo” disse lui a pochi centimetri dal mio viso.

    “Io non so ballare” dissi piano, la voce tremula ed insicura.

Lui scosse il capo negando e mi fece cenno di fare silenzio portandosi l’indice alle labbra, a quelle belle labbra che tornarono a sorridermi un’altra volta. Credo di essermi innamorata del suo sorriso.

    “Stai zitta e balla con me”.

E io mi sentii perduta.

 

 

BUONSALVE A TE LETTORE!

Questa qui è la prima parte di I Don’t Wanna Let You Go, è una storia che ho scritto di getto avevo l’ispirazione e la prima cosa che ho fatto è stato quello di aprire Word e incominciare a scrivere. Nel giro di cinque ore sono riuscita a fare solo questo, ahahah, anche se per me è un record.

Purtroppo sono una che scrive unicamente quando ha una forte illuminazione altrimenti la storia può andarsi a fare benedire.

Che dire? Spero ovviamente che vi sia piaciuto questo primo capitolo, ringrazio chiunque abbia avuto la voglia di giungere fino a qui ti meriti un premio!

L’unica mia paura è quella di aver reso Kagome un po’ troppo OOC, spero vivamente di no.

Anyway! Mi auguro che non ci sia nessun errore in caso fatemelo sapere vi pregoooo!

Vi mando un grande bacio,

 

LODOREDELMARE

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


“I found love where it wasn't supposed to be

Right in front of me”

Amber Run, I found

“Ho trovato l'amore dove non avrebbe dovuto essere

Proprio davanti a me”

 

Era ormai passata una settimana e mezzo dall’inizio delle lezioni dando vita ad una nuova routine per tutti i presenti del campus che ormai si mostrava gremito di persone, studenti indaffarati che reggevano libri di testo e insegnanti altrettanto indaffarati che correvano da un lato all’altro del campus per giungere in orario all’aula a loro assegnata.

Durante le lezioni cercavo di rimanere il più concentrata possibile senza tralasciare nemmeno un dettaglio di ciò che gli insegnanti ci riferivano, prendendo assiduamente appunti e studiando in camera.

La mia quotidianità fu piuttosto solitaria dedita unicamente allo studio o alla lettura di qualche libro per passatempo, ogni tre giorni chiamavo a casa desiderosa di sapere come stessero procedendo senza di me -Sota aveva cambiato improvvisamente la voce facendomi rendere conto di quanto effettivamente fosse cresciuto, la mamma continuava ad essere indaffarata tra il lavoro e le faccende domestiche e il nonno sembrava stesse bene seppur con i continui acciacchi che lo facevano maledire i presunti demoni che secondo lui infestavano la casa.

Con l’inizio delle lezioni io e Sango incominciammo a vederci sempre meno, terribilmente prese dai nostri impegni, avevamo modo di vederci unicamente durante le pause pranzo e cena -Sango la colazione non la faceva mai poiché si svegliava troppo tardi, di conseguenza ciò mi impedì anche di rivedere quei pochi ragazzi che avevo avuto modo di conoscere.

L’unico che rividi seppur da lontano fu Inuyasha.

Camminavo spedita in una via acciottolata del giardino del campus terribilmente in ritardo a causa di una sveglia che non aveva deciso di suonare puntualmente, reggevo i libri tra le braccia serrate cercando di non far disperdere lungo il cammino i fogli sparsi di appunti.

Fu quando svoltai a sinistra diretta alla mia accademia che vidi un luccichio lontano dovuto da un riflesso del sole, una chioma argentata talmente insolita da essermi tuttavia familiare accompagnata da due candide orecchie canine che si muovevano rapide.

Percepii il mio cuore perdere un battito al ricordo della serata di qualche giorno fa, al ricordo della sua ferrea presa, del suo profumo e dei suoi occhi -quei incredibili occhi che mi ritrovai a sognare anche nei giorni seguenti.

Inuyasha mi donò un unico, imbarazzante ma emozionante ballo. Mi accompagnò delicatamente senza mettermi fretta sotto le note di una canzone calzante e vivace tenendomi legata tra le sue braccia, il suo petto appoggiato alla mia schiena, le mani che si reggevano sui miei fianchi e il suo viso così vicino al mio. Ancora mi ricordavo il suo caldo respiro tra i miei capelli.

Mi sentivo terribilmente imbarazzata, ero sicura di essere rossa come un pomodoro maturo e sentii il mio cuore scalpitare veloce nella mia cassa toracica, incessantemente e instancabilmente. Inuyasha non se ne curò oppure non se ne accorse, continuammo a ballare per tutta la durata della canzone e io non sapevo cosa provare oltre all’imbarazzo o cosa fare. Mi lasciavo trascinare dai suoi movimenti lenti e delicati mentre sorgeva in me una strana contentezza, tuttavia molto piccola e quasi insignificante rispetto all’enorme disagio che provavo.

Al termine della canzone -che venne seguita da Somebody to Love dei Queen, una canzone che conoscevo benissimo poiché la cantavo sempre con mio padre, Inuyasha se ne andò in fretta come scottato senza rivolgermi la parola, senza farmi un cenno di saluto. 

Improvvisamente sentii freddo che mi portò a rabbrividire mentre un senso di solitudine mi immerse tra tutta quella folla di ragazzi gioiosi.

Vidi la figura particolare di Inuyasha da lontano, anche lui correva imprecando ad alta voce verso l’entrata del suo ateneo -scoprì fosse quello di fisica, mentre teneva per mano una ragazza che faticava a mantenere il suo passo. 

Non riuscii a riconoscere il suo viso, l’unica cosa che notai era quanto fosse alta e quanto fossero lunghi i suoi capelli.

Totalmente da sola, ero piegata sui libri ormai già da qualche ora mi doleva la schiena e sentivo gli occhi bruciare, avevo portato le lenti a contatto per troppo tempo era ormai giunta l’ora di toglierli e di indossare gli occhiali.

Mi diressi nel bagno e constatai dalla tenue luce del sole che filtrava attraverso la finestra che fosse ormai pomeriggio inoltrato, il sole calava lentamente dietro alle fronde degli alberi regalando una luce aranciata e rossastra che aveva un effetto calmante.

Erano quasi le sette di sera, Sango era al corso di arti marziali e ne avrebbe avuto ancora per una mezz’oretta appena in tempo per correre in mensa e cenare.

Erano quasi due giorni che non la vedevo nonostante condividessimo la medesima stanza a causa dei nostri impegni. Decisi di fare una pausa dallo studio e di andare a trovare la mia coinquilina, non l’avevo mai vista in azione in uno dei tanti corsi che seguiva.

I giardini del campus erano desolati, gli unici due studenti rimasti correvano trafelati con le loro cartelle appresso nei loro dormitori, l’aria era tiepida che segnava il termine della primavera e l’imminente arrivo dell’estate con la sua aria torrida ed afosa. Nagoya in particolare era terribilmente calda.

Nella palestra all’aperto un gruppo di ragazzi in divisa bianca si combattevano a vicenda a coppie sotto gli incitamenti urlati dal loro insegnante che si muoveva zigzagando tra quei giovani corpi che scalciavano e lanciavano raffiche di pugni.

Rimasi sugli spalti ad osservare incantata i loro agili movimenti così rapidi e scattanti. Riconobbi tra la folla Sango, la divisa bianca che risaltava l’intenso colore scuro dei suoi lunghi capelli legati in un’alta coda che si muoveva selvaggia ad ogni suo singolo gesto.

La ragazza combatteva contro un ragazzo poco più alto di lei ma incredibilmente più muscoloso che tuttavia riusciva facilmente a tenergli testa, quel corpo così minuto ma slanciato racchiudeva una forza incredibile.

Notai come il suo sfidante fosse in difficoltà, il fiatone che gli impediva di essere veloce come la ragazza che risultò essere indubbiamente più abile. In poco tempo la vidi gettare a terra il ragazzo, bloccandolo sul terreno polveroso della palestra con un piede sulla schiena tenendogli stretto un braccio.

Il maestro si avvicinò alla coppia e lo vidi complimentarsi con la ragazza che rispose con un profondo inchino.

La vidi voltarsi e posare lo sguardo sugli spalti, io mi alzai salutandola energicamente sperando che mi vedesse; Sango mi regalò un ampio sorriso e prese a correre verso di me con i piedi nudi.

    “Sei bravissima” mi complimentai una volta libera dallo stretto abbraccio che mi donò la mia coinquilina.

    “Oggi non ho dato del mio meglio, sto malissimo”.

    “Che hai?” domandai preoccupata.

    “Il ciclo! Quel maledetto”.

Ridacchiai divertita notando come Sango fosse disperata, il volto contratto da un’improvvisa fitta di dolore con le guance rosse e la fronte imperlata di sudore.

    “Non ho nessun medicinale con me da darti, mi dispiace”.

    “Non preoccuparti. Adesso vado da gli altri e mi rimetteranno in sesto loro”.

Vidi Sango raccogliere un paio di scarpe da ginnastica logore per poi cercare di infilarsele pur rimanendo in piedi in equilibrio.

    “Ma la cena?”.

    “Gli altri hanno ordinato una pizza. Io vado, vieni?”.

Sango si allontanò senza attendere una mia risposta, seppur incerta decisi ugualmente di seguirla.

La seguii imperterrita mentre ci dirigevamo sul retro degli edifici universitari, ci inoltrammo in meandri a me mai visti dove l’erba era piuttosto alta non tagliata da mesi e dove erano ammucchiati come abbandonati giganteschi sacchi della spazzatura.

Seguii la mia coinquilina fino all’interno di un cunicolo buoi e stretto, mi ritrovai a tapparmi il naso per il troppo puzzo che lo infestava. Mi domandai preoccupata dove Sango mi stesse portando.

    “Ci sei?” mi chiese voltandosi ad osservarmi. Ridacchiò vedendo la mia faccia schifata e preoccupata “Siamo quasi arrivate” mi rassicurò.

Giungemmo presso una scala in ferro che portava ad un piano superiore all’aperto da cui sentì distintamente diverse voci sia maschili che femminili che parlottavano tra loro.

All’improvviso una bestemmia.

    “Koga stai più attento!”.

    “Non l’ho fatto apposta”.

Vidi Sango sospirare e scuotere il capo lentamente, salì le scale sorreggendosi dal corrimano e io la seguì sistemandomi prima gli occhiali sul naso che erano scivolati a causa del sudore.

Ci ritrovammo presso uno spiazzale da cui si poteva godere il panorama meraviglioso dei giardini del nostro campus, gli alti cipressi che costeggiavano il perimetro mentre il rosa dei ciliegio chiazzava in modo casuale il verde scintillante dei giardini. Oltre il campus la più immensa e distesa campagna, rettangoli di terreno dai colori differenti.

Dopo aver distolto lo sguardo dal panorama e averlo concentrato nei soggetti più vicini a me mi resi conto di trovarmi tra un gruppo di ragazzi.

Sentii la voce squillante di Ayame salutarmi allegramente seguita poi dai saluti di Miroku e Koga. Affianco al ragazzo dai lunghi capelli, altri due ragazzi alquanto particolari dalle capigliature facili da notare.

    Miroku si alzò dal pavimento dando dei colpetti sui jeans cercando di togliere su di essi del probabile sporco. Mi salutò con un sorriso per poi abbracciarmi affettuosamente, ebbi modo di percepire il suo forte aroma maschile, per poi concentrasi sulla mia coinquilina.

Lo vidi circondare le sue spalle con un braccio in seguito le posò un piccolo bacio sulla guancia. Sango si scostò imbarazzata, le gote rosse e il sorriso teso. 

    “Inuyasha ho mal di pancia, ho bisogno che me lo fai passare” disse Sango facendomi distogliere lo sguardo da Miroku. Poco distante dal resto del gruppo c’era infatti Inuyasha seduto su una pila di mattoni abbandonati, gli occhi bassi rivolti a ciò che armeggiava tra le mani. Al suo fianco una ragazza che accovacciata teneva il mento appoggiato su una spalla di lui, mangiava placida un pezzo di pizza alla margherita.

Mi domandai chi fosse quella ragazza che aveva così tanta confidenza con Inuyasha.

    “Non sono un medico, Sango” rispose lui a monocorde senza distogliere lo sguardo “Quel deficiente di Koga me l’ha fatta cadere tutta per terra, l’ho dovuta rifare tutta”.

    “Non l’ho fatto apposta!” esclamò irritato il diretto interessato ricevendo un ringhio da parte del ragazzo.

    “Ho sentito la tua imprecazione, infatti” Sango si accovacciò alla sinistra di Inuyasha posando anche lei lo sguardo sulle mani del ragazzo.

Il ragazzo si portò alla bocca un piccolo oggetto cilindrico, gli diede una leccata e se lo rigirò tra le mani.

    “Ho finito” esclamò alzando lo sguardo, constatai come i suoi occhi si posarono sulla mia figura facendomi sussultare. Scoprii quanto mi fossero mancati quegli occhi dal colore così personale e caratteristico, quell’oro colato profondo e misterioso che racchiudeva in sé infinite storie.

Mi rivolse un sorriso facendo spuntare le sue tipiche fossette per poi sventolarmi piano la mano.

Gli risposi al medesimo modo per poi affiancarmi a Sango, curiosa anche di sapere che cosa Inuyasha avesse terminato.

Anche gli altri si raggrupparono attorniandoci, alcuni rimasero in piedi altri preferirono sedersi incuranti della piattaforma dal pavimento logoro.

Notai come sia Inuyasha che Koga tenevano appoggiate in bilico sulle labbra due sigarette -o almeno così mi apparvero a prima vista, fatte artigianalmente.

La ragazza affianco ad Inuyasha passò un’accendino al ragazzo che lo usò per accendersi la sigaretta per poi porgerlo a Koga.

Osservai meglio quella ragazza che ancora non aveva proferito nessuna parola, le labbra serrate e gli occhi attenti a ciò che il ragazzo al suo fianco faceva.

Fui attraversata da un rapido flash ricollegando poi la ragazza alla figura dai lunghi capelli che avevo visto tempo addietro con Inuyasha.

Come attratta dal mio sguardo insistente la ragazza spostò il suo sguardo su di me, i suoi occhi di ghiaccio mi fecero raggelare.

    “Kagome, lei è Kikyo la fidanzata di Inuyasha” mi riscossi dai miei pensieri grazie alla voce squillante di Ayame “Kikyo, lei è Kagome la nuova coinquilina di Sango”.

Kikyo mi porse la mano che io strinsi titubante mentre il suo sguardo freddo non osò scostarsi da me.

Tuttavia le parole di Ayame rimbombarono nella mia mente ininterrottamente, un loop continuo che mi isolò dal presente. La fidanzata di Inuyasha, era ovvio. Un ragazzo come Inuyasha doveva avercela per forza la ragazza oltretutto bella come Kikyo.

La analizzai attentamente rendendomi presto conto di quanto splendida quella fosse al contrario mio, così scialba ed anonima.

I lunghi capelli corvini le ricadevano sulla schiena e sulle spalle coprendola come una sorta di lucida mantella, il viso piccolo e delicato dai lineamenti raffinati e nobili. Gli occhi sottili ed allungati abbelliti da folti ciglia che contornavano l’iride nocciola. Occhi da cerbiatta così ammalianti nonostante così freddi.

Il naso piccolo e delicato seguito da un paio di labbra minute ma piene a forma di cuore così armoniose sul suo volto.

Mi sentii a disagio sotto il suo sguardo indagatore, cercai di scostarmi e nascondermi tra i corpi degli altri ragazzi mentre sviavo il mio sguardo posandolo in maniera totalmente causale su qualsiasi cosa attorno a me fino a quando qualcosa che bruciava e puzzolente non si posò sotto il mio naso.

Abbassai gli occhi e mi ritrovai davanti la sigaretta accesa sorretta da Sango.

    “Vuoi?” mi chiese. La guardai stranita non capendo cosa intendesse. Vidi Kikyo aspirare delicatamente per poi fare uscire una densa nuvola di fumo per poi passarla ad Inuyasha che la prese con l’indice ed il pollice.

    “La sigaretta?” chiesi titubante. Gli altri scoppiarono a ridere rumorosamente così come Kikyo che si trattenne in una risata più contenuta, sentii lo sguardo di Inuyasha fissarsi su di me.

Sango mi sorrise dolcemente mentre Miroku alla mia sinistra mi posò una mano sul capo scombinandomi tutti i capelli.

    “Piccola Kagome” disse piano con un sorriso intenerito.

    “Non sai cos’è questa?” continuò Sango indicando la sigaretta. Io scossi il capo sbuffando mentalmente, quella situazione mi stava irritando così come quelle risatine idiote da parte degli amici di Koga.

    “È una canna. Marijuana, ganja. Chiamala come ti pare” la voce roca dal fumo di Inuyasha fece cessare tutte le risatine tuttavia sentì lo sguardo di tutti su di me.

A quanto pare non sapevo riconoscerla ma sapevo cos’era una canna. Era droga e io la droga non la capivo, non la sopportavo. La ritenevo totalmente assurda ed inutile. Il drogarsi per me era un’azione da deboli, da coloro che non accettano la propria vita e cercano di trovare un rifugio in un qualcosa che li facesse sentire sballati, che li portasse in un mondo alternativo dove sentirsi felici. E non usatemi la scusa del “è per divertirsi un po’” poiché ci si può divertire benissimo senza, ne sono convinta!

    “So cos’è una canna e no grazie, non la voglio” mi complimentai con me stessa per essere riuscita finalmente a pronunciare una frase di senso compiuto ad Inuyasha senza balbettare o imbarazzarmi, anche se sono convinta di essere un po’ arrossita notando il suo sguardo intenso fisso su di me ora annebbiato dagli effetti della droga.

Mi sorrise per poi annuire piano, un senso di soddisfazione comparve sul suo volto.

    “Occhio che qui abbiamo una santarellina” a parlare questa volta fu Kikyo, sentì la sua voce per la prima volta. Si era alzata in piedi per prendersi la canna dalle mani di Sango che io avevo rifiutato per poi porsi di fronte a me. Mi soffiò il fumo in faccia facendomi tossire mentre occhiate preoccupate si scambiarono gli altri ragazzi. Inuyasha continuava a rimanere impassibile, gli occhi inchiodati su di noi.

Sango si portò al mio fianco sfidando con lo sguardo Kikyo “Smettila di fare la prepotente”.

    “La tua coinquilina è troppo piccola per difendersi da sola?”.

    “Falla finita, maledetta” Sango ringhiò letteralmente simulando un cane rabbioso perfettamente ma Kikyo rimase impassibile, un sorriso divertito disegnato sul suo volto mentre passava la canna a Koga.

    “Andiamo Kikyo non è il momento di litigare” si intromise Miroku mettendosi dietro a Sango, le poggiò le mani sulle spalle cercando di calmarla.

    “Ma io non voglio litigare, è la tua amichetta che si mette sempre in mezzo”.

    “Kikyo piantala e passami quella canna” la voce autoritaria di Inuyasha mi riscosse facendo anche sussultare l’algida ragazza di fronte a me. Si voltò verso Inuyasha che la guardava serio, le nocche serrate e lo sguardo che continuava a rimanere ancorato al mio.

Non potei fare a meno di sorridergli riconoscente e lui mi rispose con un’occhiolino. Le mani incominciarono a sudare terribilmente, il respiro divenne più affannoso mentre il cuore pompava senza freni sangue da mettere in circolo nel mio corpo, una presa ferrea bloccò il mio stomaco facendomi male.

Presto mi accorsi di essere rimasta profondamente ingannata, ingannata dal suo sguardo dal suo sorriso dal suo viso; mi accorsi presto di non sapere più nulla, di non ricordare più nulla, di non desiderare più nulla se non il suo amore. Ormai mi era necessario.

 

“I'm an atom in a sea of nothing

Looking for another to combine

Maybe we could be the start of something

Be together at the start of time”

Gabrielle Aplin, Start Of Time 

 

“Sono un atomo in un mare di niente

Cercando un altro da unire

Forse potremmo essere l'inizio di qualcosa

Essere insieme all'inizio del tempo”

 

Ero stanca morta, l’università mi stava prosciugando tutte le energie a causa dei continui imminenti esami che dovevo affrontare portandomi a studiare giorno e notte, ero costantemente sui libri e a mala pena avevo il tempo per mangiare o farmi una doccia.

Osservandomi allo specchio potevo notare come il mio volto fosse tremendamente pallido mettendo in risalto le profonde ombre violacee sotto gli occhi, andavo avanti di caffè arrivandone a prendere massimo dieci in un giorno solo facendomi sentire leggermente schizzata. Questa terribile situazione non riguardava soltanto me ma tutti quegli studenti che, a detta di Sango, ancora non avevano trovato un metodo di studio. Lo studio di un universitario è totalmente differente da quello di un liceale, era come ricominciare da capo. Ma anche Sango non se la passava bene, era rimasta costretta a mettere da parte i suoi corsi sportivi per continuare a studiare anche perché il suo esame di letteratura orientale antica non era andato affatto bene -meno male che era il ramo che aveva scelto.

Ci trovavamo entrambe rinchiuse in camera in totale silenzio a studiare, non ci rivolgevamo nemmeno una parola tanto eravamo immerse nei nostri libri di testo. 

Con in mano un evidenziatore ed una penna rossa, gli occhiali che scivolavano sul dorso del mio naso e i capelli raccolti confusionariamente da una molletta passavo il mio sguardo rapidamente dai kanji stampati sui libri a quelli scritti velocemente sui miei appunti disposti disordinatamente su un tavolo della mensa, mangiavo da sola ingozzandomi di polpette di riso tra una lettura e l’altra.

Presto avrei dovuto affrontare l’esame di filosofia dell’arte, interessante quanto difficile e ciò mi spaventava.

Corsi spedita verso i dormitori dove mi sarei rintanata nella mia stanza in silenzio per studiare ma quando mi ritrovai di fronte alla porta della stanza B75 notai come qualcosa non andasse.

Un foglio di carta appiccicato con del nastro adesivo sul legno liscio intimava chiunque di non disturbare, una scritta in inglese dalla grafia tremolante e rapida.

Please, do not disturb. Rimasi scandalizzata, gli occhi spalancati mentre il panico si impossessava di me. Io dovevo studiare! 

Alzai il braccio pronta a bussare ferocemente, non mi interessava affatto cosa stava combinando quella scellerata di Sango. 

Mi sentii un po’ isterica dovuto alla grande quantità di caffè che continuavo a digerire ultimamente, la gamba mi tremolava come impazzita mostrando la mia intensa agitazione mentre il cuore non cessava di battere. Il mio unico pensiero andava unicamente allo studio, alle numerose pagine che dovevo assolutamente memorizzare poiché l’esame lo avrei avuto l’indomani pomeriggio e non potevo assolutamente prendere un voto terribile.    

    “Fossi in te non lo farei” una profonda voce maschile un po’ divertita mi fece sobbalzare, totalmente immersa nel mio quasi attacco di panico non mi ero accorta della presenza di un altro individuo dietro di me.

Mi volta con fare sospetto notando poi di fronte a me la slanciata figura di Inuyasha. Quei particolari capelli dal colore della luna erano legati in un alta coda di cavallo dovuto al caldo afoso che stava imperversando in quei ultimi giorni, indossava una sgualcita camicia bianca dai primi bottoni slacciati mostrando una bella porzione di pelle e le maniche arrotolate fino ai gomiti -le braccia toniche e abbronzate da cui erano ben visibili alcune striature venose, era stata lasciata libera al di fuori dei pantaloni neri che gli fasciavano perfettamente le lunghe gambe. Mi ritrovai a deglutire conscia di cosa quel ragazzo mi facesse tutte le volte che lo vedevo.

Da quel giorno in cui ebbi modo di conoscere la sua ragazza non lo vidi più, solamente di sfuggita alle volte nella mensa o per il campus ma non c’eravamo mai fermati a parlare, lui non mi aveva mai salutata e io potei continuare a vivere la mia vita tranquillamente senza avere le palpitazioni tutte le volte.

    “Ma io devo studiare” mi lagnai disperata. Non sapevo cosa fare, ero totalmente nel panico.

Lo vidi ridere piano divertito. Le mie disgrazie lo divertivano? Bene.

    “Colpa mia. Non ne potevo più di sentire tutto quel casino che facevano quei due, avevo un disperato bisogno di dormire” effettivamente era da un po’ che Sango non rimaneva a dormire in stanza e se lo faceva rientrava davvero molto tardi.

Lanciai uno sguardo imbarazzato alla porta mentre sentivo il sangue affluire sul mio viso. Sospirai affranta accettando passivamente la mia condanna, avrei dovuto aspettare che quei due finissero di fare le loro cose e poi avrei potuto studiare in pace.

    “Se vuoi puoi venire da me” di nuovo la voce di Inuyasha mi fece sussultare. Mi osservava placido attraverso la frangia argentata, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni di cotone mentre un piccolo sorriso si disegnò sulle labbra. Eccola, una fossettina comparve sulla sua guancia sinistra.

Davvero, ancora non so cosa mi ha portato ad accettare senza morire di vergogna o sprofondare in un cumulo enorme di imbarazzo.

Inuyasha condivideva la stanza di Miroku e per essere due ragazzi giovani e menefreghisti la loro stanza era decente. Non era ordinata come poteva essere la mia -che tiravo a lucido un giorno sì e l’altro pure, ma non era nemmeno così disordinata. I letti potevano pure prendersi la briga di sistemarli ma non trovai nulla di sconcertate sul pavimento o sui mobili. Qualche jeans lanciato su una sedia e delle scarpe abbandonate ai piedi del letto.

La camera era interamente tappezzata da poster di cantanti che io non conoscevo, da loghi di band e da biglietti di concerti affissi con delle puntine colorate ad una bacheca di sughero.

Vi era una grande scrivania totalmente disordinata su cui erano appoggiati vari libri della facoltà -leggere su di essi le parole matematica, fisica e chimica mi portò a rabbrividire dal terrore, ed un portatile foderato da numerosi adesivi plastificati che citavano frasi persuasive o volgari.

La finestra della loro camera dava direttamente sulla campagna che circondava il nostro campus al contrario della mia che aveva la visuale dell’intero edificio universitario della facoltà di lettere.

Non ero mai entrata nella camera di un ragazzo, Inuyasha si muoveva tranquillo nella stanza cercando di riordinare velocemente meglio che poteva il proprio letto mentre io rimasi rigida ferma ed imbarazza sulla soglia della stanza, non osavo muovere un passo mentre continuavo a guardarmi intorno, le braccia conserte che reggevano il tomo di filosofia.

    “Scusami il disordine” mi disse lui per poi sedersi sul suo letto. Io feci cenno con la mano come a dire di non preoccuparsi mentre un tiepido rossore si posò sulle mie guance.

Inuyasha mi sorrideva divertito facendo comparire quelle adorabili fossette.

Si alzò dal letto per poi lanciare sull’altro scombinato -quello di Miroku, tutti i tomi che erano appoggiati precedentemente sulla scrivania, tolse anche il computer per poi farmi un cenno elegante con la mano che mi fece sorridere alleviando leggermente quel senso di disagio che imperversava in me.

    “Ti puoi mettere qui” disse spostandomi la sedia di stoffa riempita di gomma piuma rendendola incredibilmente comoda.

Mi sedetti come da lui richiesto ringraziandolo chinando leggermente il capo.

    “Te non devi studiare?” gli domandai.

    “Purtroppo sì” la scrivania era abbastanza grande per starci in due con tutti i nostri libri tuttavia sentirlo così vicino a me mi portò agitazione domandandomi se sarei riuscita a studiare.

Effettivamente mi accorsi ben presto che non ci sarei mai riuscita, il cuore che mi batteva forte nonostante Inuyasha fosse concentrato nei suoi studi. Leggeva le pagine fitte di kanji stampati mentre in un angolino libero faceva dei rapidi calcoli che a me parvero incredibilmente difficili.

Cercai di concentrarmi, dovevo assolutamente studiare altrimenti non avrei mai passato quell’esame.

    “Perché l’accademia di belle arti?” mi domandò lui improvvisamente facendomi perdere il filo del discorso che avevo provato nella mia mente cercando di ricordarmi ogni singolo passaggio del capitolo che avevo appena memorizzato.

Posai i miei occhi su di lui, aveva il volto sorretto dalla mano di cui il braccio era appoggiato sulla superficie della scrivania. Mi guardava dritta negli occhi per nulla intimorito con il suo sguardo d’oro colato così intenso e meraviglioso. Avrei guardato quegli occhi per l’eternità.

    “Perché la fisica?” gli domandai di rimando. Lui ridacchiò distogliendo lo sguardo dal mio portandolo sulle pagine del suo libro.

    “Amo l’universo. Vorrei esplorarlo un giorno”.

Rimasi sorpresa, non mi aspettavo affatto un’ambizione così grande da parte di Inuyasha. Arrivare ad esplorare l’universo significava procedere per un sentiero lungo e tortuoso che non ti assicurava affatto la raggiunta dell’obiettivo.

    “Non credo che io ne sarei capace” dissi io in un sussurro.

    “Perché?”.

    “Vorrebbe dire volare per non so quanti milioni di chilometri di altezza e ciò non fa per me; sono terrorizzata dal volare”.

Inuyasha scoppiò a ridere facendomi vergognare per avergli svelato una delle mie più grande paura “Scusa non volevo offenderti, non c’è nulla di male nell’aver paura di volare anzi è una fobia piuttosto diffusa”.

    “Quando sono andata a Londra per poco non ho avuto un attacco di panico, sono scoppiata a piangere e le hostess non riuscivano a farmi smettere”.

Inuyasha scoppiò di nuovo a ridere e sta volta io non me la presi, la sua risata così limpida e cristallina portò anche a me a ridere. 

Nonostante l’imbarazzo tuttavia mi trovavo così bene al suo fianco, mi sembrava di essere destinata a stargli accanto sentivo il mio corpo essere attratto al suo come due calamite di due poli opposti.

Era bello quando rideva, le labbra piene si stendevano in un ampio sorriso accompagnate dalle sue eterne fossette, gli occhi venivano strizzati e per poco non scomparivano solo un piccolo luccichio dorato veniva mostrato.

    “Io ho paura dei palloncini, fidati che lil mio è un terrore molto più imbarazzante del tuo” dichiarò lui senza la minima vergogna.

    “Come fai ad avere paura dei palloncini?” gli domandai sconcertata.

    “Quando ero piccolo mi era esploso uno enorme in faccia. Tutte le volte che vedo un palloncino scappo via urlando”.

Riprendemmo a ridere cercando di immaginarmi un Inuyasha bambino piangente dopo aver visto il proprio palloncino scoppiare.

Cercammo entrambi di riprendere fiato fermando le nostre risa, mi faceva male la pancia per la troppa ridarella.

Riuscimmo a fermarci e Inuyasha ormai serio continuava a fissarmi facendo ritornare in me quella sensazione di disagio.

Distolsi lo sguardo dal suo volto per posarlo sul mio libro di testo che attendeva ancora di essere studiato alla perfezione.

Quasi non me ne resi conto talmente veloce ed inaspettato fu quello che accadde dopo. Due dita strinsero piano il mio mento facendomi ruotare il capo, i miei occhi si posarono nuovamente su Inuyasha, e un attimo dopo un paio di labbra morbide ma leggermente screpolate si posarono su di me. Un accenno di barba mi solleticò il viso.

Mi scostai di scatto, allontanandolo con uno spintone, gli occhi dilatati dalla sorpresa. Lui mi guardò perplesso e forse anche un po’ ferito.

Raccolsi velocemente le mie cose alzandomi poi dalla sedia facendola strisciare sul pavimento provocando un rumore acuto e fastidioso.

Cercai di dirigermi verso la porta di uscita ma la presenza di Inuyasha mi bloccò.

    “Devo andare a studiare” tenevo gli occhi bassi rivolti verso il pavimento, non sarei riuscita a guardarlo mai più in faccia mentre ero certa che il mio volto aveva assunto una sfumatura di un rosso accesso. Mi sentivo terribilmente accaldata e il mio unico desiderio era quella di mettere più distanza possibile tra me ed Inuyasha, scappare lontana da lui e non rivederlo mai più.

Inuyasha si accorse del mio disagio, abbassò le orecchie canine assumendo un espressione dispiaciuta.

    “Non era mia intenzione farti spaventare. Se ti ho offesa in qualche modo mi dispiace” sussurrò. Percepii del reale dispiacere nella sua voce ma non mi importava, non volevo stare un minuto di più in quella stanza.

    “Devo andare a studiare” ripetei decisa alzando sta volta lo sguardo e posandolo nei suoi occhi.

Inuyasha sospirò profondamente abbassando le spalle, mentre sul suo volto si disegnava della tristezza e della confusione. Mi lasciò libero accesso all’uscita aprendomi la porta.

    “Ripeto: non volevo spaventarti. Perdonami”.

Gli rivolsi un sorriso tirato e con ancora i libri stretti al petto mi allontanai da lui.

    “Kagome!” mi richiamò urlando il mio nome. Mi voltai osservandolo sull’uscio della porta.

    “Non mi arrenderò, sappilo”.

E così effettivamente fu.

 

Sembra che Inuyasha abbia deciso di lasciarmi stare per qualche giorno per farmi calmare ma dopo quattro giorni iniziai a ritrovarmelo ovunque.

Ero fredda in sua presenza, cercavo di non parlargli e di non avere nessun tipo di contatto con lui. Se mi rivolgeva la parola rispondevo a monosillabi e cercavo di guardarlo il meno possibile.

Inuyasha mi piaceva davvero e la prova era la reazione del mio corpo tutte le volte che lo vedevo, il mio cuore desiderava ardentemente stargli accanto dandomi dell’incredibilmente stupida per il mio folle comportamento. Per una volta che un ragazzo mi veniva dietro -un ragazzo che mi piaceva e che fosse bello come Inuyasha, mi allontanavo innalzando un muro che pareva invalicabile. Se il mio cuore diceva una parte di me diceva no, una parte timorosa ed insicura. Non ce la facevo, era più forte di me. Si muoveva in me un’agitazione tale da rendermi scostante nonostante Inuyasha cercasse in tutti i modi di starmi accanto.

Inuyasha non demordeva e mi stava accanto in maniera tranquilla e pacata, non faceva nulla di irruento o brusco che poteva spaventarmi ulteriormente, iniziò a non starmi troppo vicino ma continuava a sorridermi teneramente facendo palpitare il mio cuore. Anche se non gli rivolgevo la parola continuava ugualmente a parlarmi raccontandomi la sua giornata o aneddoti divertenti di alcuni suoi compagni di corso, mi seguiva in biblioteca quando avevo bisogno di fare delle ricerche più approfondite, al termine delle lezioni me lo ritrovavo sempre all’uscita dell’accademia ad attendermi con la cartella a tracolla appesa mollemente su un fianco, talvolta pranzava al tavolo mio e di Sango portandosi dietro Miroku, Koga ed Ayame oppure si infiltrava nella camera B75 con Miroku a tenerci compagnia.

In seguito all’episodio di quel bacio rubato, Inuyasha notò quanto mi fossi irrigidita e cercò di farmi sciogliere e di fidarmi nuovamente di lui.

Amavo la sua presenza nella mia quotidianità e pian piano incominciai a sciogliermi leggermente, sempre mantenendo il mio imbarazzo a causa della sua presenza che tuttavia lo faceva ridere, ma incominciai a parlargli e a ridacchiare delle sue battute.

Inuyasha non aveva fretta e del bacio non se ne parlò più come se non fosse mai esistito.

Inuyasha divenne presto una routine piacevole, quel tenero affetto che avevo iniziato a provare per lui divenne sempre più forte ed intenso, il suo pensiero divenne assiduo in qualunque momento della mia giornata, costante in tutte le ore e in tutti gli attimi. Il pensiero di lui mi riempiva la mente prima di coricarmi e nel sonno, gravava dolcemente sul mio cuore che scalciava irrequieto nell’attesa di rivederlo.

Il culmine di quel tenero amore che provai per la prima volta giunse in un assolato pomeriggio di primavera che costrinse tutti gli studenti ad indossare abiti leggeri, smanicati e freschi. Talvolta ci si ritrovava costretti ad attivare il ventilatore tirando dei sospiri di sollievo beandosi di quella frescura piacevole a contatto con la pelle.

Mancavano gli ultimi esami prima di giungere all’inizio delle vacanze estive che avrebbero portato molti studenti a tirare una boccata d’aria che sapeva di libertà e leggerezza.

Il mio ultimo esame consisteva in un test di algebra che avevo deciso di lasciare per ultimo data la mia tremenda incapacità di risolvere qualsiasi cosa che contenesse numeri affiancate da lettere dell’alfabeto occidentale totalmente casuale. Odiavo l’algebra.

Inuyasha si offrì di aiutarmi per l’imminente arrivo dell’esame, essendo uno studente della facoltà di fisica con l’ambizione di diventare un astronauta -o peggio un fisico che però lavora per la NASA, sicuramente aveva capacità migliori rispetto alle mie. Seppur titubante, ancora ricordavo cos’era avvenuto tempo prima nella sua camera da sola con lui, accettai.

Fuori faceva troppo caldo per poter studiare nei giardini del campus, ci rintanammo quindi nella mia camera con il ventilatore posato sul comodino affianco alla scrivania che soffiava una gradevole brezza.

Mentre io sistemavo la scrivania appoggiando tutto ciò che occorreva per affrontare una noiosa lunga ed estenuante lezione di algebra, Inuyasha spulciava curiosamente tra le cose riposte nel mio lato della camera. Lesse tutti i titoli di tutti i miei libri talvolta prendendone uno e sfogliandolo, leggendo la trama per poi rimetterlo a posto, osservò le varie fotografie della mia famiglia che tenevo per quando ne sentivo troppo la mancanza. Con la coda dell’occhio lo vidi sorridere teneramente mentre sorreggeva una cornice in legno che circondava una foto di me e di mio fratello quando eravamo molto piccoli, quando papà era ancora con noi.

Inuyasha era un ottimo insegnante, cercava di spiegarmi come risolvere le equazioni in modo semplice ed efficace senza utilizzare paroloni troppo difficili che potevano confondermi ma facendo degli esempi pratici. Rimanevo ad ascoltarlo attentamente, le sopracciglia corrucciate, mentre talvolta prendevo appunti scrivendo con una matita affianco ad un passaggio il perché bisognava svolgerlo in quel modo. Mi segnai varie formule che potevano essermi utili durante l’esame  per poi cerchiarle più volte con una biro rossa.

    “Prova a svolgere un esercizio da sola” si inventò di sana pianta un’equazione non troppo complicata ma che tuttavia mi apparve incredibilmente difficile tuttavia decisi di mettermi di impegno cercando di mettere in pratica tutto quello che Inuyasha mi aveva insegnato.

Mordicchiando il tappo della biro nera iniziai a svolgere l’esercizio lentamente, Inuyasha aspettò pazientemente i miei tempi senza mettermi fretta. Osservava ciò che scrivevo, passaggio dopo passaggio senza mai interrompermi.

    “Ho finito” affermai decisa guardandolo negli occhi. Gli porsi il quaderno aperto nella pagina dove avevo risolto l’esercizio e Inuyasha si sporse per analizzarlo al meglio, attento ad ogni singolo eventuale errore.

    “Bravissima! Il risultato è corretto, avresti potuto risparmiarti qualche passaggio ma va bene così. Un passo alla volta”.

Guardai soddisfatta il risultato dell’equazione evidenziandolo con del colore giallo acceso, scrissi affianco con una matita primo esercizio risolto da sola! con una faccina super sorridente.

Stava andando tutto bene, davvero, quando Inuyasha non decise di stravolgere le cose come solo sapeva fare. Improvvisamente senza darmi il tempo di realizzare.

    “Baciami” sussultai sulla sedia e lo fissai ad occhi strabuzzanti sperando di non avere capito bene. Il dorato di Inuyasha era fisso su di me incatenandomi a lui, ero impossibilitata a fare qualsiasi gesto. Mi parve di essere in trappola, un’innocente preda sottomessa dal terribile lupo affamato.

    “Ti prego Kagome” mi supplicò, nessun ragazzo mi aveva supplicato. Aveva gli occhi languidi appannati di una strana emozione che non riuscì a riconoscere e che non avevo mai visto addosso a nessuno “Ne ho bisogno”.

Balbettai cercando di allontanarmi da lui spingendo la sedia un po’ più in là ma lui tenne stretto lo schienale in legno impedendomi di scappare.

Inuyasha mi piaceva, allora perché reagivo così? Una reazione automatica dettata dal mio subconscio che non riuscivo a controllare. Avrei tanto voluto essere come le altre ragazze che erano più spigliate e non si facevano problemi a relazionarsi anche intimamente con un ragazzo. Ma io non ero come le altre ragazze e avevo il terrore di approcciarmi a qualcuno. Non ero abituata a tutte quelle attenzioni, a quegli sguardi, a quei gesti. Mi pareva strano che uno come Inuyasha potesse essere in qualche modo interessato a me e poi, diamine!, lui era di Kikyo. Quale sano di mente lascerebbe scappare una come lei per andare dietro ad una come me?

    “Non voglio spaventarti Kagome, non voglio essere rude o troppo diretto con te. Non farò nulla che ti possa irritare o fare del male. Un solo bacio, un minuscolo ed innocuo bacio. Non mi spingerò oltre” e mentre diceva quelle cose lo vidi avvicinarsi lentamente a me e al mio viso, portò una sua mano artigliata sul mio volto accarezzandomi la guancia. Mi scostò delicatamente una ciocca di capelli che ribelle si era liberata dalla mia crocchia scombinata.

    “Sei così bella” il suo era un sussurro che mi fece rabbrividire mentre un’infinita felicità nacque in me. Ecco cosa si provava a sapere di essere belli per qualcuno.

Quello fu un bacio delicato molto più di quello precedente. Le sue labbra si posarono piano sulle mie, leggere come delle ali di farfalla, lo vidi chiudere gli occhi mentre io non potei fare altro che tenerli aperti beandomi di quel momento così magico, mi parve di sognare come sospesa in una bolla tra realtà e finzione.

Chiusi gli occhi anch’io decidendo di lasciarmi trasportare da quella strana magia, un languore alla base dello stomaco che riconobbi non fosse affatto fame. Socchiusi le labbra che quasi non me ne accorsi, sentii Inuyasha quasi sorridermi sulle labbra e sospirò nella mia bocca approfondendo poi quel bacio.

Non so bene quanto tempo fu trascorso, a me parve incredibilmente lungo e desiderai che durasse in eterno. Mi baciò piano dolcemente, non sapevo come muovermi ma non mi importava cercai di seguirlo rispettando i tempi da lui dettati mentre le nostre lingue danzavano insieme con una dolce sensualità. Quell’infinità felicità mi avvolse da capo a piedi facendo rabbrividire e ridacchiare. 

Fu quello e l’assenza di ossigeno a portarmi a malincuore a staccarmi da Inuyasha, la sua mano ancora appoggiata sulla mia guancia.

Mi sorrise apertamente ed enormemente e io non potei che imitarlo. Non sapevo che fare, cosa si diceva in quei momenti? Bravo, ottimo, cento punti a Grifondoro?

    “Sei nervosa” fu lui a spezzare quel silenzio surreale che ci aveva avvolto fino a quel momento.

Negai col capo cercando di apparire il più sicura di me possibile fallendo miseramente.

    “È che non ho molta esperienza con queste cose” il mio fu un sussurro talmente flebile che non mi sentii nemmeno io ma ero a conoscenza delle grandi capacità di Inuyasha.

    “Non hai mai baciato?” la sua domanda mi spiazzò un poco, in particolare modo per il tono sorpreso che utilizzò.

    “Non ho mai avuto un ragazzo” gli risposi cercando di non mostrarmi ferita dal suo sguardo parecchio stupito “È un problema?”.

    “Assolutamente no! Anzi, è meglio” mi mostrò un ghigno malizioso “Almeno ho l’onore di essere il primo ad aver toccato queste labbra” distolsi lo sguardo ritrovandomi ad arrossire, mi sentivo così tremendamente in soggezione in quel momento.

Inuyasha mi regalò un altro piccolo bacio da cui ne seguirono tanti altri.

Dammi baci cento baci mille baci e ancora baci cento baci mille baci!

 

 

 

BUONSALVE A TE LETTORE!

Ho cercato di postare un nuovo capitolo prima della mia partenza, mi sono impegnata tutto il pomeriggio per cercare di finirlo in tempo ed eccolo qui, finalmente!

Che dire? Inuyasha e Kagome si sono finalmente avvicinati ma la storia non è di certo qui perché non tutte le storie d’amore finiscono con un happy ending e lo sappiamo benissimo tutti quanti.

Ringrazio chi ha recensito e chi ha inserito la mia storia tra i preferiti/seguiti/da ricordare e tutti i lettori silenziosi che spero sia piaciuta almeno un pochino.

Molto probabilmente non avrò modo di aggiornare per un mesetto intero poiché sarò in vacanza ma prometto che mi impegnerò per pensare a come farla proseguire. In teoria mancherebbe un solo capitolo, in teoria

Mi scuso per gli eventuali errori ma i miei occhi pigri, nonostante lo rileggo più volte, non riescono a cogliere nulla, uff…
(scoltate le canzoni vi prego, sono tipo troppo meravigliose e chi ama TW come me le conosce già)

Un bacione a tutti voi,

 

LODOREDELMARE

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


“[…] people fall in love in mysterious ways

Maybe just the touch of a hand

Oh me I fall in love with you every single day”

Ed Sheeran, Thinking Out Loud

 

“Le persone si innamorano in modi misteriosi, 

forse solo con lo sfiorarsi delle mani. 

Io, invece, m’innamoro di te ogni singolo giorno”

 

 

L’arrivo delle vacanze estive portò con sé anche un inaspettato aumento delle temperature rendendo l’aria calda ed afosa e il terreno arso dal sole, le giornate incominciarono ad allungarsi così come le notti divennero sempre più corte mentre il campus incominciò velocemente a svuotarsi. Erano molti i ragazzi che preferivano passare le vacanze estive a casa propria piuttosto che rimanere in sede universitaria; io decisi di rimanere e tenere compagnia a Sango che si era ritrovata costretta a non partire a causa di un lavoro estivo che si era trovata.

Sango lavorava solo la sera come cameriera in un bar non molto distante dal campus, giusto una decina di minuti con l’autobus, e passavamo le nostre giornate a rilassarci godendo delle placide temperature estive nella nostra camera con il ronzio del ventilatore come unica compagnia. Alle volte ci raggiungeva anche Ayame rendendo la nostra solitudine un po’ più piacevole. Capitava spesso che organizzavamo un picnic all’aperto solo per noi donne, passavamo il pomeriggio ad ascoltare la musica o a giocare a shogi all’ombra delle fronde degli alberi.

Avevamo deciso di allontanarci dallo studio per due settimane cercando di goderci appieno quelle giornate estive.

Quando Sango si recava al lavoro io mi rintanavo nuovamente in camera passando le serate a leggere un buon libro o a vedere un film.

Da quando erano incominciate le vacanze estive di Miroku non si era più vista neanche l’ombra, tanto meno quella di Inuyasha. Venni poi a sapere che i due coinquilini con l’aggiunta di Koga avevano deciso di intraprendere un viaggio per le Filippine per poi ritornare poco prima del rientro alle lezioni.

Mi ritrovai spesso a pensare ad Inuyasha. Rimunginavo su quei baci rubati -i miei primi baci!, che mi avevano terrorizzata e sconvolta ma anche resa estremamente felice, non credevo che un semplice contatto potesse rendermi così entusiasta.

Mi capitava di sognare Inuyasha, sognare i suoi occhi ed il suo sorriso, sognare la sua risata e quelle labbra che mi avevano fatta volare lontano sempre più in alto fino a raggiungere una piccola parte di infinito. Mi ritrovai a sognare il seguito di quei meravigliosi baci imporporandomi le guance mentre affondavo in un mare di imbarazzo.

Rinchiusa nella mia camera, seduta sulla mia sedia, appoggiata alla mia scrivania con il libro di algebra aperto dinnanzi a me vissi il più bel bacio della mia vita regalatomi da un ragazzo meraviglioso che fin dal primo istante mi aveva ammaliata rendendomi tuttavia anche estremamente vulnerabile e ciò mi spaventava.

Dopo quel bacio vidi Inuyasha solo una volta alla mensa, seduto al fianco di Kikyo mangiava con golosità un piatto abbondante di ramen e quando alzò gli occhi dalle bacchette di plastica li vidi incastrarsi nei miei. Oro e cioccolato che si fondevano insieme. Mi regalò un sorriso che fece palpitare il mio cuore. Mi stavo innamorando di lui ogni giorno che passava. 

Oggi più di ieri ma meno di domani.

 

Mi stavo preparando per la mia consueta maratona di Breaking Bad quando una trafelata Ayame non irruppe in camera mia distruggendo la mia quiete come se fosse una terribile tromba d’aria.

    “Oggi andiamo a trovare Sango” decretò lei decisa mentre, incurante del mio aspetto piuttosto casalingo, incominciò a trascinarmi fuori dalla mia stanza.

Mi vergognavo da morire con i miei pantaloncini della tuta grigio chiaro e la mia informe t-shirt bianca in cui ci potevo navigare per quanto mi stava larga ma Ayame sembrò non essere molto interessata alle mie proteste continuando a tenermi per il braccio e tirandomi fino a raggiungere l’esterno del campus.

    “L’autobus passa tra qualche minuto” disse lei solamente. Gettai lo sguardo sulla pazza ragazza dai capelli rosso fuoco oggi acconciati in una disordinata ed alta crocchia e trovai il suo viso così luminoso con quell’ampio sorriso che lo abbelliva, le guance imporporate che coprivano le numerose lentiggini che imperlavano il suo buffo volto. 

Compresi subito che si trattava di Koga e del suo ritorno, la ragazza non aveva fatto altro che fare il countdown da quando il demone lupo era partito assieme ai suoi amici, e mi limitai a sorridere teneramente. Trovavo l’amore a dir poco meraviglioso. Tuttavia quella tenerezza che stavo provando per la mia amica svanì immediatamente; l’arrivo di Koga significava anche il ritorno di Inuyasha. Ma io ero anche senza reggiseno! Quando ero in camera da sola mi piaceva stare comoda e il reggiseno lo reputavo un oggetto infernale nato unicamente per torturare le donne con la sua incredibile scomodità purtroppo avendo un seno piuttosto abbondante non potevo fare a meno di utilizzarlo costantemente.

    “Ayame non mi hai fatto né cambiare e nemmeno prendere il portafogli, come lo pago ora il biglietto dell’autobus?”.

    “Offro io” rispose solamente la ragazza con la mente persa in chissà quale pensiero.

Cercai di prepararmi psicologicamente alla mia imminente figuraccia. Volevo sotterrarmi.

 

Il bar di Sango rispecchiava alla perfezione l’idea di pub irlandese con il suo pavimento in legno e le numerose insegne appese alle pareti. Con la luce soffusa si espandeva nell’aria le note concitate di una musica rock -probabilmente i Thirty Seconds to Mars, mentre tutti i tavoli parevano essere gremiti di clienti intenti a gustarsi con divertimento la propria birra.

Vidi Sango dietro al bancone che serviva con abile velocità un gruppo di ragazzi stranieri con un ammiccante sorriso disegnato sulle labbra, i capelli raccolti nella sua solita scombinata coda di cavallo e con le guance rosse a causa del troppo caldo estivo nonostante fosse sera.

Io e Ayame salutammo con un ceno della mano la ragazza che con un gesto del dito ci fece comprendere che ci avrebbe raggiunte in seguito, Ayame mi trascinò senza esitazione alcuna verso una tavolata attorniata da ragazzi.

Riconobbi i capelli stretti in un basso codino di Miroku e le strane zazzere di Ginta e Hakkaku mentre in seguito ad una sonora imprecazione riconobbi la bassa voce di Koga. Seduto in un angolo c’era Inuyasha intento a prepararsi una sigaretta artigianale tenendo stretto con le labbra il piccolo filtro bianco, con un leggero movimento del capo seguiva a ritmo la musica.

I miei occhi rimasero inchiodati sulla sua figura per un tempo più lungo mentre sul mio volto si disegnava della perplessità. Avrei riconosciuto Inuyasha ovunque anche se quella sera era piuttosto diverso sempre affascinante ma con i lunghi capelli neri come le tenebre, l’assenza di quelle buffe e candide orecchie e gli occhi di un nero intenso da risultare quasi inquietante.

Ayame salutò calorosamente Ginta e Hakkaku per poi tuffarsi in un lungo ed appassionato bacio con Koga che per poco non precipitò dallo sgabello privo di schienale. Miroku mi salutò con un abbraccio e un bel sorriso, i denti bianchi che esaltavano la carnagione colorita dovuta a lunghe giornate passate sotto il sole.

    “Ti ho portato un regalo” mi disse lui lasciandomi tra le mani un piccolo oggetto.

    “Ma non dovevi” mi sentivo imbarazzata di fronte a tutta quella gentilezza e a quell’affetto che Miroku da sempre mi mostrava.

    “Figurati. Un piccolo regalo per la nostra piccola Kagome” mi strizzò l’occhio facendomi ridere. Tra le mie mani vi era un portachiavi in legno colorato che mostrava un delfino azzurro e la scritta Filippine sul dorso.

Mi sedetti al fianco di Miroku che intanto si stava versando dell’altra birra da una delle tante caraffe sparpagliate sul tavolo.

Inuyasha non si era minimamente accorto della mia presenza ancora indaffarato nel prepararsi la sua sigaretta. Una volta terminato l’appoggiò sopra il suo orecchio così strano su di lui, così normale, un classico orecchio umano per poi prendere un lungo sorso dal suo grande bicchiere di birra.

Mi persi nella sua figura così perfetta e armoniosa, la pelle più scura in contrasto con quella leggera camicia bianca a maniche corte con i primi quattro bottoni volutamente liberi che lasciavano in esposizione una porzione di petto abbronzato quanto il suo volto dai lineamenti definiti. Quel neo che avevo intravisto tempo addietro sotto il suo occhio sinistro quasi si confondeva con il suo nuovo colorito.

Miroku lo richiamò a gran voce portando Inuyasha a posare il suo sguardo sulla figura dell’amico in questo modo finalmente si accorse della mia presenza. Incatenò i suoi occhi così scuri ai miei rivolgendomi un adorabile ghigno furbo che mi fece rabbrividire, il mio sguardo posato sulle sua labbra di cui avevo un disperato bisogno di baciare nuovamente. Mi vergognai quasi dei miei pensieri.

Stavo per salutarlo quando al fianco di Inuyasha comparve un’alta e longilinea figura. Kikyo nei suoi corti pantaloncini bianchi che mostravano due lunghe ed affascinanti gambe si sedette su Inuyasha passandogli una braccio attorno alle spalle del ragazzo che portò tutta la sua concentrazione su di lei.

Sentii il respiro mozzato a quella vista, alla loro complicità, alla carezza che Kikyo gli stava donando, al sorriso divertito che lui le rivolgeva. Provai gelosia per quella loro relazione apparentemente così forte e sicura, per quella possibilità che la ragazza aveva nel toccare tutte le volte che voleva Inuyasha, alla sua possibilità nel vederlo tutti i giorni, nel vedere ogni sua singola sfaccettatura, ogni sua smorfia, ogni suo ghigno, ogni suo broncio.

Incominciai a sentirmi male con la testa che vorticava furiosamente ed una stretta al cuore che mi mozzò il respiro, sentivo gli occhi pizzicare e le labbra tremare. Il culmine giunse quando vidi le belle labbra di Kikyo appoggiarsi velocemente su quelle di Inuyasha, quelle labbra che tempo addietro erano state per un pomeriggio solamente mie. Sentivo le mie gambe tremare mentre una strana tristezza da me mai provata s’impossessò della mia persona, volevo scappare via da quella scena allontanarmi il più possibile da quelle persone così felici incuranti della mia sofferenza.

Nella mia mente si installarono pensieri dolorosi che mi fecero male, un dolore acuto all’altezza del petto.

Cosa ti aspettavi? Tu sei niente in confronto a Kikyo. Non hai visto quanto è bella? Così elegante e raffinata, di una bellezza eterea quasi divina diversamente da te così scialba ed anonima con quei chili di troppo che nonostante gli anni sono ancora presenti, con quegli occhiali da sfigata che indossi quando leggi, con quella maglia enorme e stropicciata e con quei capelli spenti e corti rispetto ai suoi.

Non mi era mai importato di fare colpo sugli altri, specialmente sui ragazzi, la gente mi doveva apprezzare così com’ero anche se ero terribilmente banale, invece per la prima volta desiderai ardentemente essere un po’ più come le altre ragazze: vestita bene in modo da esaltare la mia figura, truccata in modo da nascondere quelle brutte imperfezioni sul mio viso.

Con un sorriso tirato rivolto a Miroku mi alzai dalla sedia in legno, ignorai la voce di Ayame che mi chiamava perplessa e mi allontanai il più velocemente possibile da quella tavolata ma soprattutto da quel bacio tra Kikyo ed Inuyasha che si era instaurato nella mia mente e che non voleva abbandonarmi.

Con la vista appannata mi ritrovai fuori da quel pub e cercavo di respirare ma soprattutto di non piangere, di non permettere che quelle stupide lacrime solcassero il mio volto.

Mamma me lo diceva sempre: non lasciare mai che un ragazzo ti faccia piangere.

La sensazione di fresco che quella serata estiva regalava mi fece riprendere piano, il cuore che iniziò a rallentare i suoi battiti, le lacrime che smisero di fare le prepotenti tuttavia quel dolore continuava a persistere non cessando affatto.

Cercavo di non pensare guardandomi attorno. Il via vai del pub mi distraeva, osservavo quei ragazzi così diversi tra loro che sembravano apparentemente così felici e spensierati con le loro sigarette tra le dita e la birra sorretta con le mani, avvertivo le loro risate concitate le loro chiacchiere esuberanti talvolta facendo volare qualche imprecazione colorita. Apparivano così privi di problemi.

Un cane randagio dall’aspetto piuttosto trasandato annusava un palo poco distante da me per poi alzare la sua zampa per fare i suoi bisogni. Una ragazza gli lanciò poi un po’ di patatine che l’animale mangiò con voracità scodinzolando allegramente.

Alzai gli occhi al cielo a quella distesa priva di stelle così scura e profonda in cui ci si poteva perdere. Nemmeno la luna quella sera aveva deciso di mostrarsi. 

Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna? 

     “Perché non entri dentro?” quella voce bassa e roca a tratti divertita mi fece sobbalzare, quella voce che conoscevo e che avevo imparato ad amare.

Mi voltai e dinnanzi a me si parò il profilo perfetto di Inuyasha, la frangia scura che gli ricadeva su quegli occhi altrettanto scuri, il naso dritto e la sigaretta serrata tra le sue labbra. Labbra che avevano baciato Kikyo.

Non gli risposi e puntai nuovamente lo sguardo su quella volta infinita e misteriosa di cui gli uomini da sempre si erano posti quesiti e formulato ipotesi.

    “Mi sei mancata” quella frase che in un’altra occasione mi avrebbe fatta sciogliere in quel momento mi fece letteralmente infuriare.

    “Se ti sentisse Kikyo non credo che ne sarebbe contenta” lo vidi ridacchiare per poi espirare un po’ di fumo grigiastro che si disperse nell’aria.

    “Gelosa?”.

    “Non so di cosa tu stia parlando”.

    “La piccola Kagome sta tirando fuori gli artigli. Vacci piano miciotta che il cane ti potrebbe anche mordere” mi veniva voglia di tirargli uno schiaffo. Ingenua sì ma non stupida!

Inuyasha continuò a fumare lo sguardo ancora rivolto dinnanzi a sé mentre il mio continuava ad essere inchiodato al cielo.

Nonostante tutto, quell’acuto dolore al petto lentamente stava incominciando a scemare grazie alla presenza di Inuyasha.

Una domanda mi frullava nella mente già da un po’ che mi tormentava e mi logorava dentro. Dovevo fargliela, dovevo sapere altrimenti non avrei mai compreso.

    “Perché mi hai baciata?” questa volta spostai il mio sguardo sulla sua figura così diversa da come me la ricordavo, così umana.

Inuyasha diede un altro profondo tiro alla sua sigaretta che ormai stava per terminare, si volse verso di me ed espirò tutto il fumo sul mio volto facendomi tossire.

    “Lo sai che quando un ragazzo ti espira addosso il fumo vuol dire che ti vuole scopare?”.

Mi ritrovai ad arrossire continuando a tossire cercando di allontanarmi da quella puzza terribile.

    “Rispondimi” dissi solo.

    “Mi piaci Kagome. Molto”.

    “E Kikyo?”.

    “Io e Kikyo non stiamo insieme” quell’affermazione mi sorprese mentre un minuscolo barlume di felicità mi fece sorridere.

    “Ma quel bacio?”.

Inuyasha ridacchiò scuotendo piano il capo “Io e Kikyo siamo stati insieme ma tempo fa. Siamo solo amici. Amici che fanno delle cose”.

Ero perplessa e non sapevo più a che pensare, non sapevo se dovevo sentirmi irritata o felice di quella sua affermazione. Non sapevo se credergli o meno, non sapevo che fare.

    “Fin dalla prima volta che ti ho vista mi sei subito piaciuta” mi disse ancora facendomi palpitare il cuore “E in questo momento ho una gran voglia di baciarti”.

 

“Cause I want it now I want it now 

Give me your heart and your soul 

And I'm breaking out | I'm breaking out 

Last chance to lose control”

Muse, Hysteria 

 

“Perché lo voglio ora, lo voglio ora 

Dammi il tuo cuore e la tua anima 

E sto consumando, sto consumando 

L'ultima possibilità per perdere il controllo”

 

Perché io non so dirgli di no, non ci riesco proprio. Perché io al suo cospetto sono fragile e debole, perché quando mi ha presa per mano e mi ha trascinata con sé non potevo fare a meno di essere felice anche se una parte di me si allarmava -stai attenta!, perché lui ha detto di volermi baciare e io non desideravo altro. Perché mi era mancato e mi erano mancate le sue labbra che avevo continuamente sognato, perché mi affascinava e mi attraeva ma soprattutto perché mi piaceva.

Cuore e cervello iniziarono a fare a pugni, scontri violenti tra loro. Il cuore mi diceva fallo!, il cervello mi diceva ti farà stare male! e soffocai quel lato di me così razionale che per tutta la vita non mi aveva mai fatta vivere veramente sempre dietro alle regole, sempre attenta a fare ciò che è giusto e corretto. Ma se una cosa ti rende felice come può essere sbagliata? E Inuyasha mi rendeva felice perché con lui tutto svaniva e le uniche cose più importanti rimanevamo io e lui.

Per la prima volta non pensai, il cervello svuotato da tutti quei dubbi e quelle paure. Non ero come quella volta in camera sua che appena mi baciò lo allontanai bruscamente così terrorizzata dalla sua irruenza inaspettata e non ero come quella volta in camera mia così impacciata e timida, mi sentivo più sicura di me perché mi aveva detto che gli piacevo e nonostante la figura di Kikyo ancora impressa nella mia mente mi sentivo un po’ più bella anch’io.

Avevamo corso fino al raggiungimento di un parco, ci fermammo con il respiro affannato ma con la contentezza che si leggeva nei nostri occhi. Sulle sue guance ecco presenti quelle fossette, mi trovai a toccarle con un dito divertita e lui mi guardò perplesso per poi mettersi a ridere strizzando quegli occhi come pece fino a farli quasi scomparire.

Lo amavo, lo amavo da impazzire e non volevo lasciarlo andare mai più.

Inuyasha mi baciò un po’ con un’irruenza che mi fece sobbalzare, nonostante quel po’ di sicurezza che viveva ora in me mi sentivo ugualmente impacciata a causa della mia inesperienza. Non sapevo che fare ma le labbra di Inuyasha continuavano a lambire le mie con disperazione ed ingordigia, come un assetato che beve avidamente dell’acqua. Sentii la sua lingua fare capolino, spingeva tra mie labbra ancora serrate e io non gli negai affatto l’accesso, le aprii piano e mi sentii travolta da un emozione talmente forte che sentii le mie gambe cedere. 

Inuyasha si staccò da me per riprendere fiato, le labbra rosse e piene così come le sue guance. Lo vidi guardarsi attorno e mi domandai cosa -o chi, stesse cercando.

Con la mano ancora stretta alla mia ci incamminammo verso un basso muretto dove mi fece sedere, in questo modo la nostra altezza era la stessa.

Affogai in quegli occhi così scuri e misteriosi in cui brillavano i riflessi dei lampioni che illuminavano fiocamente il parco. Sarei rimasta ad osservarli anche per tutta la vita.    

    “Perché sei così?” gli domandai piano il respiro ancora affannato per la corsa ed il bacio frenetico.

    “Sono un mezzo demone” disse solamente.

Si gettò nuovamente sulle mie labbra riprendendole a baciare con una passione che non avevo mai sentito in vita mia, sembrava non riuscire a resistere necessitando come l’ossigeno i nostri baci.

Avvertii le sue mani accarezzarmi le cosce di cui un po’ mi vergognavo per la loro pienezza per poi seguire un percorso che andava sempre più in alto. Sfiorò piano i miei fianchi per poi raggiungere la pancia, passò alle braccia che me le massaggiò dolcemente e infine raggiunse il mio collo. Con i pollici disegnava il profilo della mia mascella, i nostri occhi chiusi intenti a gustarci ancora più profondamente quell’intimo contatto che mi faceva rabbrividire.

Un piccolo urlato sorpreso uscì dalle mie labbra quando la sua mano si posò rudemente sul mio seno, unico tessuto che ci separava era il cotone leggero della maglietta, per poi stringerlo piano e massaggiarlo.

Lo sentii sospirare sulle mie labbra, aprii gli occhi e vidi il suo volto contratto in una smorfia quasi di sofferenza.

    “Mio Dio” sussurrò lui con voce bassa e roca, rotta dall’emozione “Mi farai impazzire”.

Quella frase gonfiò di poco il mio ego, non avrei mai creduto di poter far impazzire un uomo.

E se una mano rimaneva ancorata al mio seno, un’altra con fare furtivo iniziò a scendere sempre più in basso sollevando un poco il lembo della t-shirt il tutto senza smettere per un secondo di baciarci. 

Stavo impazzendo, mi sentivo estasiata a causa dei suoi baci divenuti ormai come una droga per me. Non capivo più niente, la testa leggera, i brividi che formicolavano per tutto il mio corpo e la sua mano proprio sull’orlo dei mie corti pantaloncini della tuta che usavo per stare comoda in casa.

Lo sentii giocare con il laccetti facendomi solletico sulla piccola porzione di pelle sotto la mia pancia morbida data dai quei pochi chili in più.

Fu quando le sue dita così esperte e voraci si intrufolarono sotto la stoffa dei pantaloni che sobbalzai, mi trovai ad allontanarlo da me le mie mani appoggiate sulle sue spalle, gli occhi spalancati dallo stupore con le guance rosse e le labbra tumide mentre lui mi osservava non capendo con lo sguardo appannato dal piacere.

    “Lasciati andare” mi sussurrò e senza demordere iniziò a baciarmi il collo. Lo succhiò, lo mordicchiò, lo lambì come il cane che era per poi annusarlo profondamente e quella mano che imperterrita non voleva scostarsi da quel punto così intimo e privato che mi imbarazzava terribilmente.

Cercai di respingerlo facendo pressione sulle sue spalle ma Inuyasha era indubbiamente più forte di me, anche se in quel momento non viveva in lui il suo lato demoniaco, e mi ritrovai ad arrendermi facendomi scappare un sospiro di resa.

Avevo paura ma provai a fidarmi di lui, di quel ragazzo che mi stava facendo impazzire che si era intrufolato nella mia vita di prepotenza senza chiedermi permesso alcuno.

Le sue dita corsero sotto le mie mutandine sfiorando la mia femminilità.

E quella mia primissima esperienza mi fece letteralmente perdere la testa. Divenni folle e affamata di lui.

Fu un attimo ma l’eternità.

“And I want you now 

I want you now I'll feel my heart implode 

And I'm breaking out 

Escaping now 

Feeling my faith erode”

Muse, Hysteria

        “E ti voglio ora 

Ti voglio ora sentirò il mio cuore implodere 

E sto esplodendo 

Sto scappando 

Sentendo la mia fede vacillare”

 

Stare con Inuyasha significava essere folli, perdere il controllo, non tenere più conto dei miei freni inibitori che mi impedivano di fare pazzie di essere irrazionale.

Stare con Inuyasha significava mettere a nudo me stessa, scoprire lati di me che non credevo di possedere divenendo totalmente libera di fare quello che volevo, di esprimere al meglio me stessa senza pensare alle conseguenze.

Inuyasha era un libertino, non rispettava le regole e faceva quello che più gli passava per la testa.

Con lui mi trovai essere passionale ed affamata, affamata di lui e dei suoi baci, dei suoi tocchi, delle sue carezze e dei suoi morsi.

Ero famelica e avevo voglia di sperimentare e di scoprire cose che che mi ero da sempre negata, io che per tutta la vita ero stata una ragazza ligia alle regole e che le seguiva scrupolosamente con una rigida attenzione, sempre attenta a ciò che era giusto e lontana da ciò che invece era sbagliata.

Quell’anno all’università con Inuyasha al mio fianco vissi una moltitudine di esperienze che mi fecero diventare più sicura di me, quel perenne imbarazzo che da sempre mi caratterizzava stava velocemente scomparendo e al suo posto sopraggiunse quella voglia di fare cose, di essere un po’ pazza e meno noiosa.

Continuai a coltivare le mie passioni. Continuai a disegnare e a dipingere, continuai a seguire le lezioni ottenendo degli ottimi risultati ai test, continuai a leggere libri e a guardare film o serie tv il tutto però alternato da momenti entusiasmanti che mi fecero pensare di stare finalmente vivendo la mia vita. Prima di incontrare Inuyasha stavo sopravvivendo senza mai vivere davvero.

Provai la mia prima sigaretta la notte prima della ripresa delle lezioni sulle sponde della piscina per chi frequentava il corso di nuoto con Miroku che suonava la chitarra ed Ayame che lo seguiva con il canto, la mia testa appoggiata sulla spalla di Inuyasha mentre tenevo gli occhi chiusi ed un placido sorriso dipinto sul mio volto a gustarmi quella tranquilla nottata passata con gli amici.

Diedi il mio primo tiro alla canna di Inuyasha mentre ero sdraiata nel suo letto con addosso una sua t-shirt con il logo di una band che non conoscevo, i Nickelback che suonavano dallo stereo ed Inuyasha che era appena tornato da una lunga doccia ristoratrice. 

Si era appena rollato quella cosa illegale e se la stava fumando tranquillamente quando mi propose di fare quella pazzia ed io -che non sapevo mai dirgli di no, dopo quel pomeriggio passato insieme a farmi vivere un’altra eccitante esperienza acconsentii. Dopo appena due tiri sentii la mia testa vorticare, una strana sensazione vi avvolse che tuttavia non mi piacque per niente.

Una volta Inuyasha mi disse che mi stava vedendo crescere, metaforicamente parlando. Da piccola ed ingenua Kagome stavo diventando una giovane donna con alle spalle quasi tutte le esperienze che le ragazze della mia età avevano già fatto. Arrossii quando lo disse ed Inuyasha mi baciò fino a farmi perdere il fiato facendomi sprofondare in quella morbida nuvola che era l’amore.

Vissi con Inuyasha momenti felici che al solo ricordo fanno spuntare in me un ampio sorriso. 

Non fu sempre così.

Seppur lontano Inuyasha ebbe un pesante conflitto con il fratello maggiore un certo Sesshomaru di cui non sapevo nemmeno l’esistenza.

Si era precipitato nel campus con l’intento di portarsi via Inuyasha, schernendolo e imponendogli di abbandonare l’università perché il suo sogno di divenire un astronauta era solamente una sciocchezza, una pretesa detta da un ragazzino viziato che non voleva assumersi le proprie responsabilità.

Compresi di non conoscere affatto Inuyasha. L’avevo sempre visto con quel bel sorriso accompagnato da quelle fossette che amavo, l’avevo visto passionale e ingordo di me e dei miei baci tuttavia non sapevo niente di lui, di quale fosse il suo passato, di cosa provava e di quali erano i suoi sentimenti.

La famiglia di Inuyasha possedeva da tempi immemori una catena di banche sparse per tutto il Giappone che portarono i No Taisho a vivere nell’agio e nella frivolezza. Con la morte del padre, sia Inuyasha che suo fratello Sesshomaru avevano ereditato le redini di quelle banche ma il secondogenito non aveva affatto le intenzioni di seguire le orme del padre.

Non avevo mai visto Inuyasha arrabbiato come quel giorno. Divenuto una furia animalesca e demoniaca non sapevo come calmarlo totalmente impreparata da quel suo lato così imprevedibile; Kikyo fu l’unica che riuscì renderlo più docile e tranquillo, sbollendo la sua feroce ira.

La presenza di Kikyo mi fece male e mi sfogai con Sango. Mi chiedevo se era giusto fidarsi di Inuyasha con la ragazza ancora nei paraggi. Leggevo sul volto della mia coinquilina del disappunto ma non mi soffermai nel chiederle spiegazione. Non volevo, avevo troppo paura di cosa la ragazza avesse da dirmi.

Quando Inuyasha ritornò ad essere il ragazzo che avevo conosciuto e che avevo imparato ad amare fui io a vedere il mondo crollarmi addosso.

Stavo studiando per il test che si sarebbe tenuto fra qualche giorno quando mi arrivò la chiamata da parte della mamma. A parlarmi non fu lei ma Sota che con voce tremante e rotta dalla paura mi disse di tornare immediatamente a casa, di fare il più in fretta possibile. Sota non mi disse altro lasciandomi in un mare di domande mentre l’agitazione prese possesso di me, le mani tremavano così come il cuore batteva frenetico. Faticavo a respirare e fu Sango ad aiutarmi a preparare la valigia inserendo tutto l’essenziale. Era successo qualcosa di grave me lo sentivo ma il problema era a chi. Al nonno? Alla mamma? In entrambi i casi pregai i kami che non fossero nessuno dei due, probabilmente ne sarei morta.

Inuyasha si offerse di accompagnarmi ma io rifiutai, eravamo tutti in pieno periodo di esami e non potevo farglieli saltare mi sarei sentita in colpa per tutta la vita.

Il nonno mentre lavorava al tempio aveva avuto un arresto cardiaco, piegato su se stesso in una smorfia contratta dal lancinante dolore cadde sul pavimento in legno dove vi era l’altare. Fortuna volle che in quel momento andava sempre a pregare un’anziana signora che vedendo l’uomo privo di sensi chiamò immediatamente l’ambulanza che riuscì a rianimarlo.

Il nonno ora stava bene ma era tenuto sotto controllo dall’ospedale, la sua figura così piccola e gracile in quell’immacolato ed enorme letto bianco con tutti quegli orribili tubi attaccati al suo corpo mentre sia la mamma che Sota vegliavano su di lui.

Non rientrai nemmeno a casa, mi trascinavo ancora dietro la valigia ma non mi importava. Mi gettai sul mio nonnino, su quella persona così rompipalle appassionata di tutto ciò che era legato all’antico ma che amavo terribilmente e scoppiai a piangere. 

Il mio nonnino, l’ultimo uomo che mi era rimasto.

Il nonno mi toccò piano la testa per poi sorridermi, cosa volevo di più?

Rimasi a casa per una settimana, il nonno venne dimesso due giorni dopo dal mio arrivo ed il restante tempo lo passai al suo fianco a vivermi quei momenti che potevano essere gli ultimi, a godermi i suoi sorrisi e le sue strambe fissazioni.

Ad attendere il mio ritorno al campus, stravaccato sul mio letto mentre giocava al telefono vi era Inuyasha. Appena lo vidi lo abbracciai con le lacrime agli occhi. Lui non mi disse niente, mi tenne stretta a sé e mi diede un piccolo bacio tra i capelli e mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Sarei rimasta accanto a lui per sempre.

 

Ad Inuyasha non importava se non avevo molta esperienza, anzi per lui risultava anche eccitante.

Da ragazzina avevo sempre fantasticato sul quel momento -sempre con una certa titubanza ed imbarazzo, che doveva essere dolce e romantico con me ed il mio consorte circondati da candele profumate e morbidi cuscini rosa in seguito ad una raffinata cena offerta dal mio lui.

Quello che accadde fu totalmente opposto. 

Inuyasha sapeva essere dolce ma era anche estremamente passionale ed irruente, possedeva un desiderio ed una fame quasi disperata da risultare a volte anche imbarazzante.

Per tutto il tempo Inuyasha mi tenne per mano, me la tenne stretta portandola dove vi batteva il suo cuore.

Inuyasha era volgare e diretto e ciò mi portava sempre ad arrossire imbarazzata. Se c’era una cosa che non riuscivo a fare era essere esplicita come lui.

    “Stai te sopra che fa meno male, fidati”.

Non riuscì a dire di no e ancora una volta mi fidai di lui.

Eravamo nella sua camera di cui la porta era stata rigorosamente chiusa a chiave per il timore che Miroku, o chicchessia, potesse irrompere e disturbare la nostra quiete.

Si spogliò rapido ed impaziente guardandomi con occhi colmi di lussuria, occhi dorati e magnifici così magnetici ed ipnotici.

Non avevo mai visto un uomo nudo nemmeno in un porno e non sapevo cosa aspettarmi ma Inuyasha era magnifico. Quel corpo leggermente più colorito rispetto al mio così delineato e scolpito senza apparire eccessivo, quella muscolatura così armoniosa e longilinea con le spalle ampie e le braccia forti, le gambe toniche e i pettorali possenti. Perfetto come una scultura ellenica.

Mi spogliò lentamente bacio dopo bacio, facendo cadere sul pavimento pezzo dopo pezzo ogni mio singolo indumento.

    “Porca puttana” sussurrò.

Mi vergognavo da morire nel mostrami in tutta la mia nudità con tutte le mie imperfezioni che volevo cancellare e che speravo che lui non vedesse. Per un attimo mi tornò in mente la perfetta Kikyo ma la lingua di Inuyasha che prese a seguire percorsi immaginari sul mio collo e tra le clavicole me ne fece immediatamente dimenticare.

Con un rapido gesto della mano mi liberò anche di quel patetico e banale reggiseno, bianco ed immacolato come il mio candore non ancora sporcato.

Mi baciò i seni succhiandone i capezzoli e mi trovai a sospirare pesantemente mentre quello strano languore si diffondeva nel basso ventre. A provare quelle emozioni non ero la sola, avvertivo una dura presenza proprio sulla mia intimità ancora coperta dalle mie altrettanto anonime mutandine.

Intrappolata in quella bolla di godimento, fu quando Inuyasha mi levò anche gli slip a riportarmi alla realtà spalancando gli occhi e fissandoli in quelli del ragazzo opachi ed appannati dal piacere.

Si leccò il labbro inferiore con la lingua e io persi nuovamente la ragione.

Continuammo a baciarci con ferocia e passione mentre ci strusciavamo l’uno sull’altro, i respiri sempre più pesanti ed affannati di cui i miei talvolta si tramutavano in piccoli gemiti di piacere.

Se con una mano mi teneva stretta con l’altra Inuyasha mi tirava piano i capelli facendomi capovolgere il capo all’indietro prendendo poi a succhiare avidamente il collo.

    “Dio mio, non sai cosa ti farei”.

Inuyasha non gemeva e né urlava ma faceva prendere il sopravvento quell’istinto animale che era in lui con ringhi e profondi latrati, capitava raramente che esclamava piano con una piccola imprecazione.

Inuyasha seguiva il suo istinto che gli diceva di annusarmi, leccarmi e marchiarmi in modo tale che tutti sapessero che fossi sua. Sua e di nessun altro.

Poco prima di iniziare l’amplesso, Inuyasha mise una mano tra le mie gambe toccandomi ed accarezzandomi come mai nessuno aveva fatto e io, totalmente pazza e ubriaca di lui, presi a gemere sempre più forte totalmente il volto rosso e accaldato.

Ella appariva, così, la donna di delizia, il forte e delicato strumento di piacere, l'animale voluttuario e magnifico destinato a illustrare mensa, a rallegrare un letto, a suscitare le fantasie ambigue d’una lussuria estetica. Ella così appariva nello splendore massimo della sua animalità: lieta, irrequieta, pieghevole, morbida, crudele.

Incominciai con una ripetitiva nenia totalmente incontrollata dettata dalla parte più irrazionale di me dove oltre a mettere a nudo me stessa mettevo a nudo anche i miei sentimenti.

    “Ti amo” erano queste le due paroline che sussurravo ad ogni affondo, ad ogni bacio, ad ogni gemito, ad ogni grugnito.

Non ebbi mai risposta ma non sembrò importarmene, continuavo a pronunciarle ininterrottamente con gli occhi socchiusi totalmente abbandonata a quell’incendio che Inuyasha sembrava non riuscire ancora a placare.

Gli graffiai la schiena e lui emise un ringhio gutturale mostrandomi quei canini affilati di cui non avevo affatto paura.

    “Smettila di guardarmi così” sbuffai ridacchiando nascondendo in parte il mio volto.

Non sapevo come definirmi, non sapevo bene cosa stavo provando in quel momento ma l’unica cosa di cui ero certa era che ero estremamente felice e mi trovavo in parte sdraiata sul letto sfatto e in parte sul corpo tonico di Inuyasha.

    “Ma a me piace guardarti così”.

E con quello sguardo carico di affetto, passione e fame compresi che il più grande godimento che si possa immaginare nell’amore è quello di essere amati sopra ogni cosa al mondo.

 

 

 

 

BUONSALVE A TE LETTORE!

Eccomi ritornata con un nuovo capitolo che sarebbe dovuto essere l’ultimo ed invece no.

A causa della mia vacanza in Puglia e di uno zio che non mi voleva fare usare il suo computer non ho avuto modo di aggiornare prima tuttavia meglio tardi che mai, giusto?

Non mi prolungo più di tanto anche perché non so cosa dire ahahah, ringrazio chiunque sia arrivato fin quaggiù, chi ha recensito, chi ha messo tra le seguite/preferiti/da ricordare vi giuro che per me è un onore.

Chiedo perdono se ci sono degli errori, l’ho riletto talmente tanto che ormai ne ho la nausea anche se -ne sono sicura, ci saranno degli errori comunque e spero che questo capitolo sia di vostro gradimento.

Un bacione a tutti voi,

 

LODOREDELMARE

P.S. Giusto per essere corretti: tutte le frasi in corsivo non sono di mia proprietà ma sono citazioni varie, la maggior parte tutte prese da quel porcellino di D’Annunzio

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


“Sometimes a man gets carried away,

when he feels like he should be having his fun

And much too blind 

to see the damage he’s done”

Jeff Buckley, Lover You Should’ve Come Home

“A volte un uomo si lascia trascinare, 

quando pensa che dovrebbe divertirsi

Ed è troppo cieco 

per vedere il danno che ha creato”

 

In fretta la calura estiva scomparve facendo prendere posto alla freschezza autunnale che comportò l’esigenza di coprirsi il più possibile, la natura continuò il suo percorso colorando il giardino del campus e la campagna circostante con tonalità calde e tenue nonostante la presenza di un cielo grigio spesso con nuvole scure piuttosto minacciose.

Con le mattine sempre più fredde diventava sempre più difficile alzarsi presto, abbandonare quelle coperte pesanti e la morbidezza del materasso che regalava un rassicurante tepore per dirigersi in aule fredde in cui si era costretti a non posare il proprio cappotto sull’attaccapanni.

Le lezioni continuarono perpetue così come gli esami si avvicinavano minacciosi portando tutti gli studenti a studiare assiduamente, Ayame era nel panico poiché era rimasta indietro di tre esami e aveva il timore di rimanere fuori corso mentre Sango aveva cessato totalmente di continuare i suoi corsi extra scolastici sportivi per dedicarsi unicamente allo studio cacciando perfino Miroku fuori dalla nostra stanza poiché recava disturbo e distrazione.

Presi l’abitudine di studiare assieme a Inuyasha. Era uno studente diligente e come me cercava di dare il massimo all’università per questo motivo trovavo semplice studiare in sua compagnia. Nella stanza regnava sempre il silenzio quando non vi era Miroku, il ragazzo non sembrava molto preoccupato per gli imminenti test dato che rimaneva stravaccato per tutta la giornata sul suo letto a giocare al cellulare o alla playstation -mettendo ovviamente il silenzioso altrimenti Inuyasha l’avrebbe ucciso, e a stento si recava a lezione.

Inuyasha mi aveva rivelato che Miroku sembrava intenzionato ad abbandonare gli studi dato che da sempre l’università non era mai stata una sua priorità ma si era iscritto solamente sotto l’obbligo dei suoi genitori.

In seguito alla mia prima volta non ci fu giorno in cui non ci abbandonavamo alla passione e alla nostra intimità alternando, ovviamente, con sezione di studio che duravano le ore.

Passavamo molto tempo insieme. Dato che non frequentavamo lo stesso ateneo eravamo soliti incontrarci a mensa riunendoci con tutti i nostri amici -Sango sembrava passare un brutto periodo con Miroku dato che non si rivolgevano la parola e cercava di stargli il più lontano possibile, il pomeriggio lo passavamo l’uno in camera dell’altro mentre cercavamo di svagarci il più possibile nel weekend incontrandoci anche con gli altri. Ora che imperversava l’inverno era impensabile trascorrere le serate all’aperto quindi spesso raggiungevamo la camera di Koga, Ginta e Hakkaku essendo la più grande. Alle volte si univa a noi anche Kikyo.

Continuai a rimanere un po’ titubante su Kikyo rimanendo spesso ad osservarla e a fare attenzione agli atteggiamenti di Inuyasha. Si comportavano come al solito senza effusioni, erano amici da tanto tempo ormai e non me la sentivo di annoiare Inuyasha con le mie paranoie e dubbi tuttavia Kikyo iniziò a lanciarmi occhiatacce e battute di poco gusto sempre più frequenti di cui io non riuscivo affatto a rispondere a tono troppo imbarazzata e a disagio. Kikyo mi incuteva timore con la sua algida e fredda presenza, così seria e pacata da farmi rabbrividire.

Sfruttava questo suo potere nell’offendermi toccando tasti dolenti che sapeva mi avrebbero fatto soffrire; era conscia del suo ascendente su di me, di come mi sentissi sottovalutata in sua presenza, di quanto mi sentissi insignificante con lei al mio fianco e non importava quanto Inuyasha sembrasse gradire il mio corpo e la mia personalità, se inizialmente tutto ciò aveva alleviato il mio dolore accrescendo la mia autostima ora non bastava più. Bisogna prima amare se stessi. Ed io effettivamente non mi amavo, guardandomi allo specchio ripugnavo quel corpo con i fianchi troppo larghi, la pancia e le cosce troppo morbide e quel volto insignificante, mi pesavo e quell’orribile numero che compariva sulla bilancia digitale mi urlava di smettere di mangiare come un maiale.

Kikyo colpiva questi miei tasti dolenti lanciandomi frecciatine o mostrandomi continuamente quanto fosse bella, quanto fosse magra e quanto tutti la desiderassero. A risponderle erano Ayame e Sango poiché da sempre non avevano mai sofferto il suo essere così altezzoso, superbo e ridicolo -così diceva Sango, i ragazzi invece non si interessavano minimamente a quello che Kikyo diceva dato che, così come ribadivano Ginta e Hakkaku, era un piacere per gli occhi.

    “Continua a mangiare quella pizza che così ti viene la cellulite”  a quella frase posai

immediatamente il mio trancio di pizza sotto il ghigno beffardo di Kikyo allontanando poi il cartone che conteneva la restante metà di quella prelibatezza italiana. Vidi Sango ed Ayame lanciarle uno sguardo di fuoco che tranquillamente continuò a gustarsi il suo trancio mentre Inuyasha al mio fianco sembrò non essere minimamente interessato alla vicenda continuando a mangiare. Sentii solamente il suo sguardo posarsi indifferente su di me.

 

Ero totalmente immersa tra le varie coperte morbide e calde del letto quasi affogando nella tenerezza di quell’immenso piumone color panna, stavo così bene tra quel tepore così dolce e rilassante che aveva finito per farmi addormentare.

Fuori pioveva forte, il ticchettio delicato ed incessante delle gocce sui vetri della finestra mentre in lontananza si udiva il borbottio feroce ed inclemente del cielo. Non ci avrebbe affatto risparmiato una bella tempesta.

Avevo ancora gli occhi chiusi, un sorriso beato dipinto sul mio volto, la mente ancora nella fase REM, il mio corpo nudo celato da quella moltitudine di coperte e plaid colorati, i vestiti sparsi sul pavimento ai piedi del letto, l’incarto del preservativo abbandonato sul comodino accanto, il vuoto freddo e gelido al mio fianco. 

Dov’è Inuyasha? Sorrisi nel sonno nell’udire lo scrosciare della doccia, una bassa imprecazione da parte del mio ragazzo molto probabilmente perché si era fatto male. Inuyasha aveva l’abitudine di fare la doccia ad occhi chiusi perché diceva che l’acqua che gli finiva addosso gli dava fastidio e ciò comportava spesso che si facesse male.

Il mio ragazzo…mi pareva strano anche solo pensarlo, finii per arrossire e ridacchiare per poi coprirmi il volto con il pesante piumone. Io e Inuyasha non ne avevamo mai parlato, non avevamo mai definito quale tipo fosse il nostro rapporto tuttavia mi sembrava scontato, no? Ci vedevamo quasi tutti i giorni, uscivamo insieme, ci raccontavamo le nostre cose, ci baciavamo e facevamo l’amore, dovevamo essere per forza una coppia.

La mia prima relazione! A stento ci credevo, mi pareva come un sogno e avevo il timore che questo potesse interrompersi da un momento all’altro facendomi ritornare alla cruda realtà in cui passavo le mie lunghe giornate monotone e noiose in completa solitudine.

Con quella strana allegria che risiedeva in me tutte le volte che pensavo ad Inuyasha provai a riaddormentarmi attendendo quasi con impazienza il suo ritorno dalla doccia.

Avevo appena chiuso gli occhi quando un trillo non molto distante da me mi ridestò facendomi quasi sobbalzare. Mi guardai attorno circospetta notando poi posato su una pila di quaderni il telefono di Inuyasha da cui un piccola spia luminosa si illuminava ad intermittenza. L’arrivo di un messaggio, mi ritrovai a pensare.

Non mi era mai passato per la testa il pensiero di controllare ciò che Inuyasha combinasse con il suo telefono in mia assenza, l’avevo sempre trovato un gesto irrispettoso nei confronti del proprio partner poiché una relazione si basa sulla RAF: Rispetto, Amore e Fiducia, e se manca anche uno solo di questi fondamentali componenti allora è inutile stare insieme. 

Io mi fidavo di Inuyasha.

Cercai di scacciare quella piccola tentazione che si era insediata in me impertinente in maniera improvvisa senza rendermene conto.

Dal bagno iniziarono a risuonare con prepotenza le prime note di Leave Out All the Rest dei Linkin Park, gruppo che Inuyasha amava particolarmente. Aveva appena terminato di lavarsi e questo era il momento in cui iniziava ad asciugarsi e a vestirsi, lo faceva sempre accompagnato dalla sua musica preferita che si espandeva per tutto il piccolo appartamento in maniera quasi assordante.

Inuyasha ci avrebbe messo ancora un po’ di tempo per finire di sistemarsi e per asciugarsi quell’infinita chioma argentata, avrei avuto tutto il tempo necessario per controllare se effettivamente potevo fidarmi di lui.

Una sbirciatina, non fai del male a nessuno. Lui non lo saprà mai e te sarai un po’ più tranquilla.

Presi un profondo sospiro per poi alzarmi titubante, abbandonai il calore del letto e rabbrividii a causa della mia nudità a contatto con la fredda temperatura nonostante i termosifoni accesi.

Indossai una sua felpa arrotolata su se stessa in un angolo della stanza e tirai su la cerniera per poi infilarmi le mie mutandine.

A passo felpato con la speranza che il mezzo demone cane non si accorgesse del mio essere sveglia, mi incamminai verso la scrivania su cui posava il telefono. La minuscola spia verde aveva smesso di brillare.

Lo sbloccai senza riscontrare nessun tipo di blocco, l’unico segnale che mi agitò fu l’icona del messaggio che mostrava l’emittente. Kikyo.

Sentivo il cuore palpitare incessantemente mentre l’ansia prendeva il sopravvento, sentivo le mani tremare e appiccicose a causa del sudore, iniziavo a sudare freddo mentre con gli occhi continuavo ad osservare come ipnotizzata quella piccola icona gialla. Non avevo il coraggio di aprirlo, non avevo il coraggio di scoprire cosa ci fosse dietro a quel messaggio.

Sentivo la voce di Inuyasha cantare a squarciagola nonostante il frastuono causato dall’asciugacapelli. Ora o mai più, pensai. Dovevo muovermi o sarebbe stato troppo tardi.

Pigiai su quel maledetto messaggio, il telefono parve bloccarsi improvvisamente mostrandomi una schermata totalmente bianca. Lo scossi nervosa sperando che quel gesto potesse velocizzarlo.

Ci vediamo da me sta sera? Mi manchi.

Con occhi sgranati e totalmente paralizzata mi ripetei nella mente più volte la dicitura di quel messaggio, riecheggiò in me la calda voce di Kikyo che pronunciava quel mi manchi in modo perpetuo quasi masochistico. 

Non mi ero mai sentita in quel modo, mai in tutta la mia vita. Sentivo gli occhi pizzicare, il cuore che batteva feroce. Avevo voglia di piangere, urlare, scalciare, scagliare contro il muro quel maledetto telefono, avevo voglia di prendere a schiaffi Inuyasha per tutto il dolore che mi stava causando.

È stato bello stare con te oggi.

Voglio rifarlo.

Sei bellissima.

Non ti voglio perdere.

Ho voglia di baciarti.

Voglio fare l’amore con te.

Ti ho sempre amata.

Leggere quei messaggi più vecchi appartenenti a giorni passati, giorni in cui ingenuamente credevo che Inuyasha fosse mio, solo ed unicamente mio.

Uno schiaffo per essersi avvicinato a me, per avermi fatto capitombolare ai suoi piedi con i suoi maledetti occhi dolci e le sue tenere fossette, per essere penetrato nella mia vita senza chiedermi il permesso, uno schiaffo per averci provato, per aver fatto crollare le mie barriere, per aver provato a baciarmi, per esserci riuscito, per aver preso la parte più importante di me, per essersi preso la mia verginità, per essere diventato così importante per me, per desiderare anche adesso in questo momento così intenso e dolorante -un dolore atroce che mi sta soffocando, non riesco a respirare quasi annego, per desiderare un suo abbraccio, un suo bacio, la sua voce che mi sussurra sei mia, per essere diventato tutto l’amore che provo.

Sentivo l’irrefrenabile impulso di correre lontana da quella camera, dirigermi in quella di Kikyo e bussare alla sua porta ferocemente urlandole di uscire -quella dannata, e di prenderla a schiaffi per avermi rubato il mio lui, per essersi intromessa, per avermi rovinato il momento migliore della mia vita, per avermi derubato della mia felicità, per essersi mostrata ancora una volta migliore di me.

Sentivo le lacrime sgorgare dai miei occhi incessanti, infinite. Bagnavano le mie guance, una cascata salata su di esse. Mordevo quasi a sangue le mie labbra tanta era la voglia di urlare a squarciagola incurante di essere presa poi per pazza. Ero pazza, sì, pazza di dolore. 

Lo amavo, lo amavo, lo amavo, lo amavo, lo amavo, lo amavo, lo amavo, lo amavo da morire.

Alla fine non feci nulla. Non urlai, non scalciai, non menai nessuno.

Presi il blocco di post-it abbandonato in un cassetto della scrivania, afferrai con irruenza un pennarello. Carta bianca candida e inchiostro rosso sangue.

Scrissi rapida una serie di brevi insulti cercando di fargli comprendere quello che provavo e attaccai per tutta la stanza quei piccoli quadrati di carta.

Mi levai in fretta la sua felpa e incominciai a rivestirmi velocemente e lasciai abbandonato sul letto, tra quelle lenzuola dove poche ore prima avevamo fatto l’amore, il telefono acceso su quel messaggio incriminato e me ne andai.

 

Quando tornerai da me?  Oh, tu porti la mia gioia via con te!

 

“For months on end I've had my doubts 

Denying every […]

You say I'm crazy 

cause you don't think I know what you've done,

but when you call me baby 

I know I'm not the only one”

Sam Smith, I Know I’m Not the Only One

“Pe mesi ho avuto i miei dubbi,

rifiutando ogni lacrima […]

Dici che sono pazzo

perché credi che io non sappia cos’hai fatto,

ma quando mi chiami tesoro

io so che non sono l’unico”

 

Rinchiusa nella mia camera non volevo avere vedere nessuno, non volevo avere nulla a che fare con nessuno. Non volevo vedere i miei nuovi amici, non volevo vedere Ayame e tanto meno Sango. Figurati vedere i miei compagni di corso e i professori.

Mi sentivo letteralmente a pezzi, non avevo mai creduto che l’amore potesse fare questi effetti. Avevo sempre guardato superficialmente coloro che soffrivano le pene d’amore, coloro che si abbandonavano per un cuore spezzato, coloro che rinunciavano a tutto per un tradimento. Il problema era che non avevo mai vissuto queste esperienze in prima persona. Avrei voluto non viverle mai.

Mi sentivo male, quel dolore lancinante al petto che non voleva abbandonarmi ma che accentuava ogni attimo che scorreva, mi sentivo abbandonata triste e sconsolata.

Sango cercava di starmi accanto ma non le permettevo di avvicinarsi, la cacciavo via immergendomi nelle coperte coprendo il mio volto bagnato dalle lacrime, non volevo che mi vedesse, non volevo che nessuno mi vedesse.

Inuyasha venne a cercarmi più volte ma Sango gli impediva anche solamente di mettere piede nella nostra stanza. Una sera li sentii litigare furiosamente, ferocemente. Lui era talmente arrabbiato che avevo timore che le mettesse le mani addosso anche se sapevo che Sango si sarebbe difesa bene, era un’ottima combattente.

Un pomeriggio Miroku accompagnato da Ayame cercò di parlarmi, di tirarmi su di morale ma io mi rifiutai di ascoltarlo. Andarono via sconsolati e sconfitti, speravano che io un giorno avrei ceduto.

    “Ero convinto che con Kagome sarebbe cambiato” sentii Miroku sussurrare a Sango prima di lasciare la nostra stanza.

    “Il tuo amico è un pezzo di merda”.

Miroku non rispose e Sango chiuse la porta.

Avevo lasciato che lui divenisse importante per me, mi diceva fidati di me e lasciati andare e io l’avevo fatto, mi ero fidata di lui e mi ero abbandonata a lui ai suoi baci, alle sue braccia e questo era il risultato. Ci avevo creduto, creduto davvero, ci avevo creduto follemente. Mi sentivo tradita e così triste. Non avevo più voglia di niente.

Mi chiamò al telefono più volte ma  non risposi, rifiutavo la sua chiamata o mettevo il telefono in modalità aereo in modo tale da non sentire neanche lontanamente quell’asfissiante vibrazione.

Mi mancava, Kami, mi mancava da morire.

Più pensavo a quanto mi mancava e più piangevo, più pensavo a cosa mi avesse fatto e più mi disperavo. Mi sembrava di essere precipitata in un limbo senza fine.

Lo rivolevo, lo rivolevo qui al mio fianco nel mio letto che mi pare così grande e vuoto senza di lui. Lo volevo nella mia stanza che camminava avanti e indietro mentre ripeteva complicati concetti astronomici, lo volevo vedere ridere di petto con passione mentre strizza gli occhi per la troppa felicità, lo volevo sentire cantare anche se era incredibilmente stonato, volevo rivedere le sue fossette di cui mi ero innamorata fin dal primo nostro incontro, volevo vederlo fumare appoggiato al cornicione della mia finestra, volevo rifare la doccia insieme a lui pelle contro pelle, le sue mani che scivolavano su di me, la sua voce roca, i suoi meravigliosi capelli che aderivano sul suo volto e su gran parte del suo meraviglioso corpo. Volevo vederlo nudo davanti a me con quel suo sorriso malizioso un po’ malandrino da cui sbucavano quei due canini affilati con cui adorava mordermi e marchiarmi, con cui adoravo da morire che mi mordesse e mi marchiasse, volevo sentirlo parlare raccontarmi la sua giornata, lamentarsi del troppo studio e di suo fratello che non sopporta e che odia. Volevo rivederlo piangere come quella volta in cui Sesshomaru gli aveva ribadito di essere solo una nullità un essere insignificante nato per sbaglio, per essere la sua spalla su cui aggrapparsi, essere colei in cui potesse sentirsi a casa, in cui potesse essere amato.

Ricordo ancora quel giorno in cui pianse amare lacrime, in cui disse tra i singhiozzi che lo scuotevano terribilmente “Vorrei solamente che mio fratello mi volesse bene”.

Mi mancava. 

Ti prego Inuyasha, ritorna da me. Riporta quella gioia nella mia vita, non lasciarmi qui a piangere come una stupida. Ritorna da me, baciami e porta via questo dolore che mi sta uccidendo.

Ma non potevo comportarmi in questo modo, dovevo reagire divenire una donna migliore, una donna più forte. Questa terribile esperienza avrebbe forgiato una nuova e lucente armatura che mi sarebbe servita in futuro, non potevo arrendermi in questo modo, non potevo fare in modo che lui influenzasse le mie giornate, i miei stati d’animo, il mio pensiero.

Mi aveva tradita, ok. Mi sarei rialzata con fatica, avrei raccolto i pezzi del mio cuore maltrattato e avrei cercato di rimetterlo a posto, l’avrei cucito da sola, mi sarei leccata da sola le mie ferite e sarei diventata più forte e meno ingenua di prima.

Ce l’avrei fatta a vivere senza Inuyasha, ce la facevano tutti. Mi sarei innamorata di nuovo, di una persona migliore che meritasse davvero ciò che ho da offrire e che non l’avrebbe gettato, rinnegato, disprezzato e che mi avrebbe amata. Inuyasha non ne era degno. Che stesse con la sua Kikyo!, io ce l’avrei fatta anche senza di lui.

Avrei ripreso in mano la mia vita, la mia carriera da universitaria. Avrei ripreso a seguire le lezioni, avrei studiato, avrei chiesto scusa a Sango Ayame e a tutti quelli che avevano cercato di starmi accanto in questo periodo e sarei stata sicuramente più felice di prima.

Abbandonai il mio letto e mi guardai allo specchio. Avevo un aspetto orribile, non mi lavavo da giorni e mangiavo sporadicamente.

Decisi che per prima cosa mi sarei fatta una bella doccia, mi sarei lavata e improfumata, mi sarei acconciata i capelli e mi sarei truccata un po’. Dovevo cercare di farmi bella e dovevo cercare di imparare a vedermi bella.

Forse per questo con Inuyasha non era andata, forse era perché non mi sentivo abbastanza bella, non mi amavo abbastanza.

Mamma me lo diceva sempre: prima di amare qualcun altro devi amare te stesso.

Ero sola in camera dato che era ancora orario di lezione.

Decisi di utilizzare lo stereo di Sango inserendoci un mio cd in cui erano inserite tutte le mie canzoni preferite.

Partì All Star dei Smash Mouth che mi metteva sempre una grande allegria e mi diressi sotto il getto della doccia da cui usciva acqua calda capace di rilassarmi e di rigenerarmi mentre cantavo a squarciagola cercando di rimanere intonata.

Mi sentivo già molto meglio mentre strofinavo con grande energia lo shampoo nei miei capelli creando una grande moltitudine di schiuma, sul mio viso sentivo espandersi un sorriso sempre più grande.

Con i capelli di nuovo lucidi e morbidi incominciai a truccarmi, un asciugamano legato attorno al petto. Misi del mascara per allungare le mie ciglia, un po’ di blush per dare colore alle mie guance e un lucida labbra vivace. Mostrai al mio riflesso nel bagno un ampio sorriso e mi ritrovai a ridere da sola come da tanto ormai non facevo.

Aprii l’armadio di Sango decisa ad utilizzare alcuni dei suoi vestiti, ero sicura che non si sarebbe arrabbiata.

Indossai un pesante vestito svasato che mi arrivava fino a metà coscia, lo scollo a V e le maniche a lanterna con un paio di stivali neri alti dalla suola piatta che adoravo. Erano un regalo di Sango che mi aveva fatto per il mio compleanno.

Al pensiero del mio compleanno tuttavia ritornò ad impossessarsi di me la tristezza mentre la mia mente viaggiava a quella giornata speciale e meravigliosa che Inuyasha mi aveva fatto vivere, una specie di rapimento con la sua auto sfrecciando lungo strade a noi sconosciute senza una meta precisa, solamente con il piacere di stare insieme e di ridere insieme.

Avevamo fatto un’amore spettacolare così intenso, passionale e vivo nei sedili posteriori della sua auto. Io sotto di lui che mi procurava quell’intenso brivido, i nostri baci sempre più elettrici, affamati, bisognosi, disperati, necessari…

Scossi il capo violentemente. Non dovevo farlo, non dovevo lasciare che il passato si appropriasse di me.

Kagome stava tornando!

 

“Nobody said it was easy

No one ever said it would be so hard”

Coldplay, The Scientist 

“Nessuno ha detto che era facile

Nessuno aveva mai detto che sarebbe stato così difficile”

 

Avevo incominciato a fumare. Me ne vergogno da morire. Mi sento una stupida, una bambinetta che vuole sentirsi grande infrangendo una delle primissime regole che ti impongono i genitori quando si inizia a crescere.

Avevo bisogno di rilassarmi e il tabacco, per quanto strano possa sembrare, mi aiutava da morire. 

Riprendere in mano la mia vita non era stato facile. Erano bastati sette mesi -sette miseri mesi, a sconvolgermi completamente la vita, non so ancora se vedere questa cosa come un qualcosa di positivo o un qualcosa di estremamente negativo.

Sango e Ayame erano contente nel rivedermi con loro, a frequentare di nuovo le lezioni, andare alla mensa e mangiare con grande entusiasmo.

Cercavano di distrarmi il più possibile raccontandomi alcuni aneddoti divertenti oppure vedendoci tutte insieme per studiare o vedere un film. Pensai di essere davvero fortunata ad avere trovato delle amiche meravigliose come loro, tutte le volte mi commuovevo nel vedere quanto bene mi volessero senza aver fatto praticamente nulla.

Anche Miroku a modo suo cercò di essere presente lanciando delle frecciatine a Sango che la portavano ad infuriarsi terribilmente e tutto ciò mi faceva ridere. Miroku era davvero un caro amico.

 

Era ora di pranzo, avevo appena terminato la mia porzione di ramen quando mi era salito l’irrefrenabile desiderio di fumare.

Inizialmente fumavo davvero raramente, solamente in casi di grande tensione o ansia tuttavia mi trovai più spesso a desiderare una sigaretta nel vedere Sango fumare tutte le mattine appena sveglia. Ayame non fumava, odiava il fumo mentre Sango ne sembrava ossessionata.

Non mi piaceva per niente quell’abitudine, ero consapevole della grande stupidaggine che stavo compiendo tuttavia non riuscivo a smettere. Mi lasciava quella sensazione di pace e di calma che mi piaceva e in quel periodo avevo bisogno di tutta la tranquillità possibile.

In quel periodo la mia attività universitaria aveva trovato un momento di staticità, frequentavo le lezioni e studiavo il pomeriggio senza disperazione e fretta. Avevo appena dato tre esami e mi sarei potuta rilassare fino all’arrivo della nuova tornata. 

Ciò che mi agitava era la presenza di Inuyasha.

Cercavo di non guardarlo, davvero ce la mettevo tutta, ma i miei occhi finivano sulla sua figura come calamitati da essa. Lo vedevo sedere tranquillo alla mensa mentre mangiava con Koga e gli altri -talvolta Ayame si sedeva al loro tavolo per stare con il suo ragazzo e non per tradirmi, così mi diceva, mentre Kikyo rimaneva onnipresente al fianco del mezzo demone come ogni giorno da quando avevo messo piede per la prima volta in questo campus.

Tuttavia cercavo di stare bene, cercavo di vivere la mia vita senza pensare ad Inuyasha. Sorridevo alle mie amiche, ampi sorrisi accompagnate da guance colorate di rosa, e ridevo in continuazione.

Dovevo stare bene, dovevo fare vedere a tutti che stavo bene.

Ma non stavo bene.

Non potevo prendere in giro anche me stessa, Inuyasha mi mancava e mi sarei gettata a capofitto tra le sue braccia se solo la mia dignità non cercasse tutte le volte di fermarmi.

Il mio cuore piangeva nel vedere Inuyasha accanto a Kikyo, vederlo mentre le sorrideva, mentre le toccava i capelli spostandole una ciocca dietro l’orecchio, vederlo mentre le parlava piano con quella sua voce scherzosa a tratti roca che avrei ascoltato per ore.

La notte era il momento peggiore. Dormire da sola in quel letto ero in completa balìa dei miei mostri, della gelosia, del tormento, dell’afflizione e mordevo a sangue le labbra, tormentandole, per non scoppiare in un pianto disperato e far preoccupare Sango.

 

Accesi la sigaretta, inspirai la nicotina fino in fondo fino al raggiungimento dei polmoni per poi gettare il fumo piano, lentamente gustandomi attimo dopo attimo. Lo sguardo perso nel cielo limpido, qualche nuvoletta candida che lo macchiava tuttavia splendeva un meraviglioso sole. Le temperature continuavano ad essere fredde, la sigaretta era sorretta da un paio di dita avvolte da pesanti guanti.

Ero immersa nel mio mondo, non pensavo a niente, non mi accorgevo di ciò che mi stava attorno.

    “Da quando fumi?” quella voce. Sobbalzai, persi la presa della sigaretta che cadde ai miei piedi accanto ad una foglia marrone, accartocciata, secca. Spalancai gli occhi e tremai, mi salì un moto d’ansia e cercai di impedirmi di voltarmi. 

Non ce la feci.

Di fianco a me c’era lui avvolto in un pesante cappotto nero con una sciarpa di lana grigio chiaro, un berretto calato sui suoi capelli argentei a coprire le sue dolcissime orecchie canine, le mani affondate nelle tasche.

Mi sciolsi a notare il suo naso rosso per il freddo così come lo erano le sue guance. Era così maledettamente bello, ma lui sapeva cosa era in grado di fare alla gente? Era consapevole quale effetto faceva a me? Di quanto ero soggiogata dalla sua bellezza?

Non gli risposi e Inuyasha si avvicinò a me, i suoi occhi dorati inchiodati ai miei. Non distolsi lo sguardo nemmeno per un attimo.

    “Perché hai incominciato a fumare?” mi domandò ancora e io continuai a non rispondergli. La gola secca carente di voce, non riuscivo ad emettere alcun suono.

    “Non dovresti essere con Kikyo?” ignorai la sua domanda ponendo invece quel quesito, una frecciatina diretta.

Lo vidi sospirare, abbassare lo sguardo, togliersi il berretto di lana per poi passare le dite tra quelle infinite ciocche di capelli. Capelli che avevo toccato, accarezzato, giocato, tirato.

    “Io e Kikyo non stiamo insieme”.

Mi venne quasi da ridere, una risata isterica. Mi credeva così stupida? Così cieca da arrivare addirittura a negare l’evidenza.

    “Mi stai prendendo in giro?”.

Scosse il capo, leggevo nei suoi occhi una profonda tristezza mentre il suo volto era contratto in una smorfia dolorante. Lui non aveva il diritto di stare male.

    “Perché l’hai fatto?” gli domandai, la voce sussurrata e rotta. Faticavo a parlare, era tanto lo sforzo che stavo compiendo.

    “Fatto cosa?”.

    “Perché hai fatto tutto questo! Perché ti sei avvicinato a me, perché mi hai sedotta per poi abbandonarmi? Perché mi hai fatto sentire importante quando invece non te ne fregava niente? Perché mi hai mentito dicendo che tra te e Kikyo non c’era più niente se non una forte amicizia quando invece mi hai preso in giro per tutto il tempo?” stavo urlando, urlando a squarciagola. Stavo urlando tutto quello che avevo dentro, tutta la mia tristezza, il mio risentimento, il mio dolore. Gli occhi mi bruciavano ma non potevo piangere, non potevo davanti a lui. Non dovevo mostrarmi debole ai suoi occhi, fargli capire quanto mi avesse influenzato, quanto male stavo per la sua assenza.

Tra le lacrime che prepotenti desideravano sgorgare dai miei occhi vedevo Inuyasha con il volto ancora più sofferente, le orecchie mogie, chine sul capo. Mi sembrava disperato.

    “Io non ti ho mai mentito”.

    “Non dire stupidaggini”.

    “Non le sto dicendo Kagome. Quello che provavo e provo tutt’ora per te è sincero, reale. Non ti ho mai mentito. Mi piaci, Kagome. In una maniera che non credevo possibile, non pensavo di potermi mai innamorare di una come te” assottigliai gli occhi a quella affermazione “Non credevo semplicemente di potermi re-innamorare di nuovo. Ma…”.

Si interruppe, continuò a tenere fisso il suo sguardo su di me. Non un minimo cenno di debolezza.

Con un cenno del capo lo spronai ad andare avanti. Lo vidi tirare un profondo sospiro, sembrava come se si stesse liberando di un pesante macigno sulla sua schiena.

    “Kikyo è stata il mio primo amore e non posso fare a meno di amarla. L’amerò sempre”.

Le lacrime scivolarono da sole lungo le mie guance annegandole, affogandole. Sentivo il collo bagnarsi da esse mentre dalla gola comparvero i primi tormentati singhiozzi. Non volevo piangere ma quei singhiozzi uscivano dalle mie labbra in maniera del tutto incontrollata, non glielo potevo impedire.

    “Amerò sempre Kikyo ma non ho potuto fare a meno di innamorarmi anche di te”.

Coprii il mio volto con le mani impedendo così di mostrargli il mio viso, il mio volto sofferente colmo di lacrime che scorrevano imperterrite e io totalmente inerme, non riuscivo a smettere. Mi stavo dimostrando debole e io non volevo, non volevo fargli capire quanto tutto ciò mi stava facendo male -continue pugnalate all’altezza del petto.

Lo sentii avvicinarsi, il fruscio delle foglie secche che scricchiolavano sotto la suola delle scarpe. Lo sentii di fronte a me a distanziarci solo pochi centimetri, afferrò i miei polsi con entrambe le mani e mi attirò a sé. Il mio volto affondò sul suo cappotto, all’altezza del petto, e mi abbandonai completamente al pianto. Mi sentivo una bambina, frignavo come tale. Inuyasha cercò di cullarmi piano tra le sue braccia, mi stringeva forte a sé per poi posarmi piccoli e delicati baci tra i miei capelli.

Quanto mi era mancata quella sensazione, quel calore che il suo corpo emanava -io eternamente freddolosa, quella sicurezza che le sue braccia forti e possenti mi lasciavano. Amavo stare tra le sue braccia così stretta a lui, protetta e rassicurata. Nonostante il dolore, nonostante il pianto non potei comunque fare a meno di provare un piccolo barlume di felicità. Inuyasha era di nuovo tra le mie braccia, cosa potevo chiedere di meglio?

 

Ero consapevole che tutto ciò fosse estremamente sbagliato, sbagliato per la mia persona, per il mio essere donna, per la mia dignità. 

Sapevo che non fosse corretto ciò che stava avvenendo tra noi due. Lasciarmi ammaliare da due adorabili occhioni dorati e da un meraviglioso sorriso dalle labbra piene, lasciarmi soggiogare dalla sua prestanza e dalla sua imponenza, lasciarmi sottomettere dal mio essere così debole e fragile totalmente incapace di dire basta, di porre fine a quell’assurda situazione.

Cosa rimaneva ormai del nostro rapporto? Sesso. La passione, l’atto carnale.

Cosa eravamo ormai noi? Due corpi che si cercano, che non possono stare lontani, che se non hanno modo di stare a contatto soffrono, marciscono, muoiono. Siamo pelli che si scontrano, si toccano, si accarezzano, si strusciano. Siamo baci famelici, feroci, bisognosi, disperati, siamo labbra spalancate, volgari da cui vengono emessi suoni indecenti, spudorati, immorali.

Lui occupava la mia mente, il mio pensiero, il mio cuore e il mio letto. Si alzava, si rivestiva per poi andarsene lasciandomi tra quelle lenzuola, unica stoffa a ricoprirmi, totalmente abbandonata mentre cercavo di non piangere di frenare quelle lacrime.

Che sta facendo adesso? È con lei? Non è con lei? Sta pensando a me? O…chissà. La starà baciando con la stessa intensità con cui baciava me fino a poco fa? Starà facendo l’amore con quella? Starà gridando il suo nome?

Ero conscia che quella non era affatto una situazione sana. Vivevo un amore malato, un amore che tuttavia non riuscivo a smettere. Ero come drogata e lui era l’unica cosa che mi faceva stare bene quando era qui accanto a me.

 

"Avevo bisogno di vederlo, toccarlo, sentirlo e non mi importava se mi stavo umiliando. Sarei rimasta al suo fianco anche se mi aveva spezzato il cuore copiosamente, anche se era uno stronzo perché lo amavo troppo da lasciarlo andare e io non volevo. Mi sarei tenuta stretta questi piccoli momenti, gli unici che ci restavano perché le cose erano ormai troppo cambiate, avrei fatto di tutto per non lasciare che questi svanissero come fumo disperso nell’aria."

 

“And I'll hold on to this moment you know As I bleed my heart out to show And I won't let go”

 

 

 

BUONSALVE A TE LETTORE!

Ebbene sì, siamo giunti alla fine.

Sorpresi? Su efp vedo storie dove bene o male nonostante i drammi le cose alla fine ritornano alla normalità dove i nostri eroi vivono per sempre felici e contenti.

Beh, non abbiamo più 5 anni e sappiamo benissimo che il per sempre felici e contenti non esiste e questa mia storiella ne è una prova.

Perché ci sono amori sereni, amori difficili, amori tormentati, amori malati.

Ne ho viste tante di ragazze che nonostante i tradimenti, nonostante il dolore continuano imperterrite a continuare quella relazione.

Perché l’amore non è sofferenza.

Anyway, spero che questo ultimo capitolo vi sia piaciuto nonostante tutto. È stato abbastanza difficile scriverlo.

Ringrazio chi mi ha seguito e chi mi ha recensito ma anche a chi ha solo letto, vi ringrazio dal profondo del mio cuore <3

Un bacione a tutte voi,

 

LODOREDELMARE

 

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