Il caso dei magazzini Turkson

di Nini1996
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 30 ottobre 1895 ***
Capitolo 2: *** L'appuntamento ***
Capitolo 3: *** Collaborerà con me signor Holmes? ***
Capitolo 4: *** La situazione si sblocca ***
Capitolo 5: *** Confessioni al parco ***
Capitolo 6: *** I dubbi di Lestrade sulla morte del vecchio Davidson ***
Capitolo 7: *** Catherine e il metodo ***
Capitolo 8: *** Mi hanno... avvelenato?! ***
Capitolo 9: *** La fuga di Lewis e il coraggio di Quennie ***
Capitolo 10: *** Lestrade all'ospedale e l'uomo dagli occhi di ghiaccio ***
Capitolo 11: *** Perchè Scotland Yard non vuole ascoltarmi?! ***
Capitolo 12: *** Mi vuoi sposare? ***
Capitolo 13: *** Il Sun Susy ***
Capitolo 14: *** La banda del magazzino portuale ***
Capitolo 15: *** L'arresto di Catherine ***
Capitolo 16: *** Il cerchio rosso non è mai morto, ovvero il ritorno di Leverton ***



Capitolo 1
*** 30 ottobre 1895 ***


Il pomeriggio del 30 ottobre 1895 Londra era immersa in una nebbia più fitta del solito.
Le carrozze e gli omnibus attraversavano le strade della città con molta fatica.
Anche i treni viaggiavano a una velocità sostenuta per evitare incidenti.
Inoltre in giro c'era molta meno gente del solito a causa del freddo pungente degli ultimi giorni.
I londinesi preferivano stare al calduccio nelle loro case ed evitare di uscire, se non strettamente necessario.
Ad ogni modo la stazione dei treni era gremita lo stesso a causa di diversi convogli che per colpa della nebbia erano arrivati insieme.
Da uno di questi, proveniente dalla città portuale di Southampton, scese una giovane donna assieme a una bambina che doveva avere al massimo quattro anni.
Un facchino le portò i bagagli fino a una carrozza.
La giovane fece salire la piccola sul mezzo e diede la mancia di mezza corona al ragazzo.
< Dove siete diretta? > domandò il conducente.
< Hotel Rosemary > rispose lei e il cocchiere fece partire i cavalli.
La bimba piuttosto irrequieta iniziò a passare da una parte all'altra della carrozza.
< Buona Queenie. Siamo quasi arrivati. > disse la ragazza facendo sedere di nuovo la piccola al proprio posto.
< Ma quando? Sono millanta ore che siamo in viaggio. > si lamentò lei.
< Lo so cara, ma ora stiamo andando in un bellissimo albergo. Potremo riposarci un po' e mangiare cena prima di domani. >
< Perché? Domani cosa facciamo? Prendiamo la nave e torniamo a casa? > domandò la bambina salendo sulle ginocchia della ragazza.
< No piccola mia, non torneremo a New York. Domani ho appuntamento con una persona per un caso importante. >
< E poi torniamo a casa? >
La donna sospirò.
< Sì. Quando questo caso si sarà risolto torneremo in America. >
La bambina stanca per il lungo viaggio si addormentò tra le braccia della ragazza.
Catherine sospirò e il suo sguardo si posò sul finestrino. Aveva iniziato a piovere.
La carrozza si fermò qualche minuto più tardi davanti all'hotel.
La pioggia era diventata incessante, davanti al grande edificio si erano formate delle enormi pozzanghere.
La donna pagò il cocchiere e lui, da bravo gentiluomo inglese qual era, aiutò la giovane donna a scaricare il pesante bagaglio e ad attraversare la strada che ormai assomigliava ad un fiume in piena.
Dopo essere passata dalla reception per sbrigare le formalità salì in camera assieme alla bambina.
A metà strada fermò una cameriera.
< Vorrei che la cena mi sia portata in camera, la mia stanza è la numero 201. >
La cameriera annuì e disse che avrebbe riferito a chi di dovere.
Catherine appoggiò la bambina sul letto e le tolse il soprabito.
< Ho sonno. > farfugliò la bimba stropicciandosi gli occhi.
< Lo so. È stato un lungo viaggio. Non vuoi nemmeno mangiare un po' di zuppa calda o fare un bagno ristoratore? >
La bambina fece di no con la testa.
< D'accordo Queenie. Prendi la tua vestaglia dalla valigia e vai a letto. >
Queenie disse di si e aprì il suo bagaglio.
Catherine sistemò la sua giacca blu su una sedia e appoggiò il cappellino dello stesso colore su un tavolino.
Sfilò i guanti e li gettò vicino al copricapo.
Controllò poi che nella sua borsetta non mancasse nulla.
Un fazzoletto, un orologio da taschino, qualche sterlina, un piccolo kit da cucito, una fotografia di un uomo sulla quarantina e una lettera di una cara amica.
Catherine la prese in mano e la lesse per l'ennesima volta.
" Carissima Cathy, mi dispiace molto per la tua perdita. Sappi che ti penso sempre e da brava cattolica quale sono prego affinché il Signore ti assista nella tua breve missione.
Spero che seguirai il mio consiglio e ti riferirai a lui.
Se la mia opinione vale qualcosa sono certa che te la caverai. Sei sempre stata una ragazza in gamba, tuo padre lo diceva sempre.
Se ti servisse qualcosa, qualsiasi cosa, non esitare e mandami subito una lettera.
O se la cosa è urgente un telegramma.
Con la certezza che tutto si volgerà al meglio, tua carissima Rose Smith. "
Mentre era immersa nei suoi pensieri qualcuno bussò alla porta.
La ragazza chiuse in fretta la lettera e la mise di nuovo nella borsetta. Poi andò ad aprire.
Era la cameriera di prima.
< La cena. Come ordinato. >
Catherine annuì e dopo aver ringraziato la ragazza prese il vassoio e chiuse la porta della stanza.
Appoggiò la cena sul tavolino e si accorse che Queenie era talmente stravolta da essersi addormentata abbracciata al suo bagaglio.
Catherine sorrise e dopo averla sistemata per la notte la mise a letto.

Le diede il bacino della buona notte, le aggiustò le coperte e le porse la sua bambola di pezza Dolly.

Quennie strinse forte a se la bambolina e cadde in un sonno profondo.
Quella sera Catherine mangiò poco e male. Era troppo concentrata su quello che sarebbe successo il giorno dopo.
Chissà cosa sarebbe venuto fuori!
Queenie si girò dall'altra parte.
La ragazza sorrise. Doveva andare fino in fondo a questa faccenda.
Mise la vestaglia, spense il lume e provò a prendere sonno.

 

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Capitolo 2
*** L'appuntamento ***


La luce illuminava la stanza 201, segno che il sole era sorto già da un pezzo.
Queenie era sveglia e giocava con la sua bambola di pezza, mentre Catherine ronfava ancora.
La bambina lanciò il giocattolo in faccia a Catherine.
La ragazza si svegliò di soprassalto e per poco non cadde dal letto.
< Che c'è? > domandò poi appena notò l'espressione divertita della bambina.
< Ho fame. E mi annoio. Andiamo a fare colazione? >
< Queenie ti sembra il caso? Potevi semplicemente scuotermi. >
< Scusa. Non lo farò più. Ma adesso possiamo mangiare? >
Catherine diede un occhiata all'orologio e sobbalzò.
< È tardissimo! Non c'è tempo per la colazione, abbiamo appuntamento fra mezz'ora. Preparati, dobbiamo andare. > fece lei scendendo dal letto.
Queenie poco convinta saltò giù dal letto e prese dalla valigia un vestito rosso coi ricami bianchi.
< Posso mettermi questo vestito? > chiese la bambina.
< Sì, ma sbrigati. > replicò Catherine indossando un vestito bianco, semplice ma elegante.
La bambina annuì.
Quando entrambe furono pronte chiusero le valigie e scesero in strada.
< Perché devo venire anch'io? > domandò Queenie stringendosi nel cappottino.

La giornata, nonostante fosse assolata, era comunque fredda e l'umido entrava nelle ossa.
< Vuoi per caso restare da sola? Non ho nessuno che si possa occupare di te a Londra! >
< La signora vecchia della reception ha detto che per qualsiasi cosa dovevamo rivolgerci a lei. Puoi lasciarmi con lei. >
< Vuoi seriamente restare con quella megera? > domandò Catherine ridendo.
La bambina disse di no.
Finalmente una carrozza si fermò e le due salirono.
Catherine diede l'indirizzo e la carrozza si mise in movimento.
< Io ho fame. Non abbiamo fatto colazione. > si lamentò Queenie.
< Tieni. Ieri ho comprato dei biscotti. > fece la giovane porgendo alla bambina una scatola di latta.
Queenie non se lo fece ripetere due volte e la aprì.
< Mi dispiace, avremmo dovuto fare una vera colazione. Sono settimane che non facciamo un pasto decente. > sbuffò Catherine:< Mi hai lasciato almeno un biscotto? >
Queenie, con la bocca ancora piena, scosse la testa.
La giovane si mise a ridacchiare: < Sei incorreggibile. Proprio come tuo padre. >
< Ho ancora fame. > commentò pulendosi le labbra piene di briciole.
< Ancora?! >
< Sulla nave il cibo era cattivo. Ma questi biscotti sono buoni, mi piacciono tanto. Ce ne sono altri? >
< No, erano gli unici che avevo e adesso sono finiti. Sei davvero un ingorda. E come al solito hai sbriciolato i dolci per tutta la vettura, ma imparerai mai? >
Queenie incrociò le braccia, offesa e mise il broncio.
Il mezzo frenò.
< Siamo arrivati? > chiese Queenie.
< Questa è Baker Street madame. E proprio dall'altro lato della strada c'è l'appartamento che cerca, il 221B. > annunciò l'uomo, aprendo la porta della carrozza a Catherine.
< Molte grazie. > fece la giovane aiutando Queenie a scendere.
La ragazza pagò il cocchiere e guardò verso l'abitazione davanti a lei.
Si fece forza e bussò alla porta.

 

La signora Hudson aprì la porta dell'appartamento per portare la colazione.
Al tavolo stavano Sherlock Holmes, intento nella lettura del giornale, e il suo fidato amico John Watson.
< È arrivata la colazione. > constatò Watson.
< Ma che spirito di osservazione Watson. > replicò Sherlock senza smettere di leggere il quotidiano.
< Cosa dice di nuovo il Times? Nuovi casi di cronaca? > domandò il dottore mentre la signora Hudson posava il vassoio sul tavolo.
< Scotland Yard risolve un nuovo caso. > fece Holmes mostrando l'articolo a Watson.
< Ah già. L'omicidio O'Connor. Un caso piuttosto semplice. > replicò l'amico addentando un biscotto con la marmellata.
< Già. Tuttavia Lestrade e Scotland Yard brancolavano nel buio. Come al solito. >

< Per fortuna siamo intervenuti noi o li avremmo trovati ancora a cercare nei bassifondi di Londra! > commentò ridacchiando Watson.
Qualcuno bussò alla porta, la signora Hudson andò ad aprire.
< Un cliente? >
< Probabile .>
< Donna o uomo? >
< Credo che si tratti dell'agente Andrews, un detective della Pinkerton. Ha risolto brillantemente diversi casi negli Stati Uniti. Un ragazzo brillante, se non ricordo male ha appena 27 anni. > ricordò Sherlock.
< E ti ha richiesto una consulenza? >
< Sì. Credo che sospetti l'esistenza di un associazione che agisce sia in Inghilterra che in America. >
< Mafia? >
< Questo è tutto da verificare mio caro Watson. >
La porta si aprì.
Sherlock e Watson si alzarono in piedi per accogliere l'ospite.
Catherine entrò e sorrise.
< Salve signor Holmes. Sono l'agente Andrews. Le ho mandato una lettera per avvisarla del mio arrivo. >
John e Sherlock si scambiarono un occhiata d'intesa.

Holmes la scrutò per qualche istante. Catherine apparve agli occhi di Sherlock come una donna alta, quasi un metro e settanta, capelli castani scuri, due occhi blu intensi che scrutavano con vivo interesse l'appartamento.

Da com'era vestita era chiara che fosse una persona determinata, poco incline ai fronzoli e ai merletti.

Si tolse i guanti di pelle e li mise in borsa.

< Lei è... >
< Come può vedere signor Holmes. > sorrise Catherine:< E buongiorno anche a lei dottor Watson. > fece salutando il dottore.

Holmes sospirò e chiuse la porta che Catherine aveva lasciato aperta entrando.
< Qualcosa non va signor Holmes? > chiese la ragazza notando che lui non smetteva di guardarla.
< Sono solo un po' sorpreso signorina. >
< Perché? Perché sono una donna? La Pinkerton assume agenti donne dal lontano 1859. >
< Lo so, conosco la Pinkerton. Vuole sedersi? > chiese Holmes mostrandole il divano.
Catherine accettò l'invito.
Queenie la seguì e si sedette vicino alla giovane.
Sherlock prese posto davanti a lei. Watson invece rimase in piedi vicino alla finestra.
< Avete fatto un lungo viaggio per arrivare fino a qui. Cosa vi ha spinto a venire fino a Londra? >
< Lo sgominare un associazione che da anni ormai miete vittime a New York come a Londra. Come vi ho scritto nella lettera. Per risolvere un caso del genere si ha la necessità di collaborare con i migliori. >
Sherlock Holmes si accese una sigaretta.
< Ditemi tutto. > fece poi.
Catherine prese un respiro profondo.

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Capitolo 3
*** Collaborerà con me signor Holmes? ***


La ragazza prese dalla borsetta la lettera che aveva ricevuto dall'investigatore in risposta alla sua, lui la sistemò sul tavolo accanto alla colazione.
< Mi occupo di investigazione da diversi anni. Mio padre, Robert Andrews, era un famoso agente di Scotland Yard.
Quando nel 1884 si è sposato per la seconda volta ci siamo trasferiti in America, a Chicago.
Lì sia io che mio fratello siamo diventati agenti della Pinkerton, come nostro padre dopo il trasferimento.
Le cose andavano molto bene ma circa un anno fa mio padre è morto improvvisamente.
Diversi mesi dopo anche mio fratello Benjamin è venuto a mancare.
Le circostanze di entrambi i decessi erano strane.
Tutti e due godevano di ottima salute, ne avevano avuto malori nei giorni precedenti. Eppure entrambi sono morti a causa di un infarto. >
< Entrambi? >
< È stata la conclusione del medico legale, ma secondo me si è trattato di avvelenamento. Se non mi ricordo male quando qualcuno viene ucciso con il cianuro i sintomi generalmente vengono associati all'infarto. >
< Verissimo. Nella maggior parte dei casi l'avvelenamento non viene riconosciuto. I medici non lo cercano durante l'autopsia perché non ci sono segni evidenti come la cianosi. > constatò Watson.
< Esatto. Inoltre dal modo in cui è morto mio padre mi è sembrato evidente che non si trattasse affatto di un attacco di cuore. >
< Avete assistito al fatto? >
< È così signor Holmes. Mio padre si è sentito male poco dopo le dieci di sera. Avevamo finito da poco di cenare. Io stavo aiutando la domestica a sistemare le stoviglie quando ho sentito papà gridare forte il mio nome, come in preda al panico.

Sono corsa subito da lui. Era al piano superiore, dove sono situate le camere da letto. Mio padre ha sbattuto forte la porta della sua stanza e si è precipitato giù per la scalinata. > raccontò Catherine.
< Aveva le vertigini e la tachicardia? > domandò Sherlock interessato.
< Proprio così. Ha sceso le scale barcollando e tenendosi la testa. Respirava malissimo, straparlava, si sforzava di dirmi qualcosa ma senza successo. Poi è collassato sul pavimento. > Catherine si fermò un attimo, stava tremando.
< Ed è subentrato l'attacco di cuore. >
< Sì, è così. E c'era odore di mandorla. Tipico dell'avvelenamento da cianuro. Non abbiamo potuto fare nulla per lui, come per mio fratello. >
Sherlock Holmes sospirò, gettando in aria diverse nuvolette di fumo.
< Ma non è tutto. >
< Non è tutto? >
< No. C'è un altra cosa che collega le due morti sospette. Entrambi stavano lavorando al caso dei magazzini Turkson. >
< Magazzini Turkson? > ripeté confuso Holmes.
< Si tratta di un enorme magazzino a New York. I proprietari fanno parte di un associazione segreta e credo che siano responsabili di molti omicidi tra l'Inghilterra e gli Stati Uniti, anche se non ho prove evidenti. Credo che lei sappia di cosa sto parlando. >
< Quello che lei dice conferma i miei sospetti sull'esistenza di una grande associazione criminale che opera su vasta scala. Sono anni che Scotland Yard cerca di venirne a capo, senza successo. >
< So che il proprietario ha possedimenti anche qui a Londra, registrarti sotto falso nome. >
< Interessante. Quali nomi? >
< Non saprei dirle con certezza. A New York il proprietario si fa chiamare Thomas Young ma da quanto ho saputo dai miei informatori il suo accento non è inglese, forse spagnolo. >
< È una faccenda davvero curiosa. >
Watson scriveva freneticamente sul suo taccuino. La storia offriva molti spunti interessanti ed era certo che il suo vecchio amico si sarebbe occupato del caso in questione.
< Mi dica nessun altro lavorava a questo caso? > si informò Watson.
< Che io sappia no. Per mio padre questo sarebbe stato l'ultimo caso, si sarebbe ritirato dopo averlo risolto. Dopo la sua morte il caso è passato a mio fratello e poi a me.> rispose Catherine:< So però che papà si confrontava spesso con altri detective brillanti, specialmente durante casi complicati come questo. Il suo migliore amico era l'ex ispettore di Scotland Yard Mark Davidson, anche se non ne ho certezza probabilmente lui sapeva a cosa stava lavorando mio padre. Erano in continuo contatto. >
< Interessante, davvero molto interessante. > fece Sherlock gettando il mozzicone di sigaretta nel camino.
< Lei è il miglior investigatore inglese, se non del mondo. Capirà che questa è una faccenda importante. >
< Sì, sì comprendo a pieno. Conoscevo vostro padre di fama, era il miglior ispettore di Scotland Yard. Senza dubbio. >
< Spero voglia considerare l'idea di collaborare signor Holmes. Credo abbia intuito anche lei che c'è molto in ballo. > fece la ragazza alzandosi.
< Sicuramente è una faccenda complicata. E interessante. Il detective Forster sta investigando in questa direzione da diversi anni ormai. > replicò lui.
< Molto bene. Al momento alloggio all'hotel Rosemary. Se il caso le interessa me lo faccia sapere con un telegramma. > disse Catherine facendo segno a Queenie di muoversi.
La bambina abbandonò con un po' di ritrosia l'idea di agguantare qualche biscotto dal tavolo.
Sherlock diede alla bambina un dolcetto e lei tutta felice raggiunse Catherine.
< Arrivederci signor Holmes. >
< Arrivederci signorina Andrews, il dottor Watson vi accompagnerà fino all'uscita. >
Catherine scese tranquillamente le scale mentre Queenie si mise a correre rischiando di cadere.
< Sono certo che il signor Holmes si occuperà del suo caso. L'ho visto molto interessato. > disse Watson aprendo alla ragazza la porta.
< No, non credo. Investigherò per conto mio senza l'aiuto di Sherlock Holmes. >
< Perché mai? Il mio amico... >
< Mi sembra piuttosto evidente il perchè. > replicò Catherine mentre Queenie la tirava per la gonna.
< Non credo proprio.>
< Strano che non abbia avuto la stessa impressione dottore. Buona giornata. > e se andò mentre Queenie trotterellava al suo fianco.

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Capitolo 4
*** La situazione si sblocca ***


Passarono diverse settimane. Catherine non aveva ancora ricevuto un telegramma da Sherlock Holmes, ne tanto meno una lettera. Era chiaro che il detective non aveva intenzione di aiutarla.

Catherine e Queenie alloggiavano ancora al Rosemary.

Quennie aveva messo a repentaglio la loro permanenza all'hotel diverse volte, bruciando due volte le tende e facendo inciampare un povero cameriere.

La ragazza lasciava spesso la bambina in compagnia della vecchia signora della reception per cercare indizi sui famosi magazzini acquistati sotto falso nome.

I risultati che aveva ottenuto erano buoni. Sfortunatamente il caso era giunto a un punto morto e la ragazza non sapeva dove sbattere la testa.

Ma circa un mese dopo la situazione si sbloccò a causa di un fatto di cronaca.

La ragazza sedeva al tavolo con Queenie e stava consumando una deliziosa colazione quando ne venne a conoscenza.

Un signore si avvicinò al tavolo delle due.

< Posso? > domandò.

Catherine annuì. Il signor Lewis prese posto vicino a lei.

Gordon Lewis era un irlandese ben piantato, alto quasi due metri. Aveva quasi cinquant'anni, era scapolo (o almeno così le aveva detto), incline al bere.

Era un frequentatore dei locali dove si consumava oppio e ci provava spudoratamente con lei.

< Novità signorina Andrews? > si informò lui.

< Nessuna signor Lewis. > replicò tranquillamente Catherine porgendo alla bimba una fetta di torta alle fragole.

< Strano. Pensavo che avesse già trovato lavoro come governante. > fece lui versandosi una tazza di caffè.

Catherine sospirò. Aveva mentito a molti sulla sua vera professione, forse per paura dell'ambiente chiuso che si respirava a Londra. Solo la signora della reception ne era a conoscenza.

< Questa è una città pericolosa signorina. Stare soli non è consigliabile. >

La ragazza sorpresa alzò un sopracciglio:< Perchè? >

< Ci sono molti malviventi in giro e non sto parlando dei piccoli ladruncoli che scorrazzano per le vie della città. Sto parlando di veri e propri assassini! >

Catherine si mise a ridacchiare. Se solo avesse saputo con quanti criminali aveva avuto a che fare in America!

< Guardi, guardi qua ad esempio. > disse l'uomo porgendole il Times.

Catherine spalancò gli occhi per la sorpresa. Queenie si sporse per vedere l'articolo. In prima pagina c'era la foto di un uomo anziano.

< Che succede? > chiese la bambina incuriosita.

< Non è nulla Queenie. >

< Mi perdoni signorina ma a me non è nulla. Siete diventata pallida. > gli fece notare Lewis.

La ragazza sorrise a metà:< Non si preoccupi, va tutto bene. Devo solo mangiare un po'. >

Lewis poco convinto disse di sì e finì la sua breve colazione.

< Adesso devo proprio andare. Il mio incontro di lavoro inizia tra un ora e non posso trattenermi oltre. >

< Grazie a Dio! > pensò la ragazza spalmando la marmellata di fragole su un pezzo di pane.

< Ma sarei molto felice se volesse cenare con me qua vicino. >

< Mi dispiace ma ho altri impegni. > replicò con gentilezza Catherine:< Ah, può lasciare sulla tavola il Times? Devo finire di leggerlo. >

L'uomo fece spallucce e abbandonò le due cantando una vecchia canzone irlandese.

Catherine scosse la testa e riprese in mano il giornale.

< Non posso crederci. Devo mandare subito un telegramma a Baker Street. > fece la ragazza infilando il giornale nella borsa. Doveva aver scoperto qualcosa di terribile.

< Devo di nuovo restare con la signora Bertha? > domandò Queenie che aveva già intuito come si sarebbero messe le cose.

< Solo mezz'ora Queenie. L'ufficio del telegrafo è a qualche isolato da qui. > replicò lei alzandosi il piedi.

< Io mi annoio con la signora Bertha, mi obbliga a giocare a scacchi tutto il tempo. >

< E ha anche un cagnolino a cui tu piaci tanto. >

Queenie sbuffò:< Sì ma l'altra volta mi ha morso. >

< Forse non dovevi tirargli la coda. Comunque sarà una cosa veloce. > la rassicurò Catherine.

Queenie si trascinò fino alla reception dove venne accolta da Bertha.

< Coraggio Queenie. Faremo un altra partita a scacchi, ti divertirai un mondo! >

La bambina lanciò un occhiata disperata a Catherine che si limitò a farle ciao con la mano.

Bertha portò la bambina in una stanza e tirò fuori la scacchiera mentre il cane gironzolava per la sala.

La bambina si sedette su una delle sedie poste attorno al tavolo.

Queenie non ne voleva proprio sapere:< Mi perdoni signora ma non ho molta voglia di giocare a scacchi. >

< Oh. > fece lei:< Beh, possiamo sempre giocare a dama! >

La bimba scosse la testa esasperata.

La signora non aveva ancora finito di elencare tutte le regole della dama quando il cane si mise ad abbaiare verso la reception.

La signora Bertha sospirò:< Dev'essere arrivato un cliente. Rimani qui Queenie. >

La donna si mise al bancone pronta a ricevere l'ospite:< Desidera? >

< Il mio nome è Sherlock Holmes. > rispose l'uomo togliendosi il cappello:< Devo parlare urgentemente con la signorina Catherine Andrews. So che al momento alloggia qui, sa dove posso trovarla? >

La vecchia signora strabuzzò gli occhi:< Sherlock Holmes il detective? >

< Precisamente. È molto urgente che parli con la signorina. > ripetè Holmes.

< E' davvero incredibile! Sherlock Holmes al Rosemary! Cyril corri, vieni qui! >

Cyril era il marito della signora Bertha e il proprietario dell'albergo.

< Che c'è? > borbottò l'anziano marito.

< Vieni, vieni. C'è il signor Holmes, il detective! >

Queenie scese dalla sedia e sbirciò dalla porta.

< Buon Dio!> esclamò lui porgendo la mano grassottella al detective.

< E' vitale che io parli con la signorina Andrews. > insistette lui:< Potrebbe dirmi dov'è? >

La bambina si fece avanti:< La signorina che cerca è andata all'ufficio del telegrafo signor Holmes. Dovrebbe tornare fra un po'. Ha detto circa mezz'ora però considerando la coda potrebbe volerci un ora, se non due. >

< Queenie! Ti avevo detto di rimanere di la!> si arrabbiò la signora Bertha.

< Ma guarda un po'! La figlia della signorina! > commentò Sherlock sorridendo:< Sei sveglia come la tua mamma. >

Quennie lo fissò stranita :< Ma chi sta parlando? Di zia Catherine? >

< Zia Catherine? >

< Sì, la mia mamma è in cielo. Zia Catherine si occupa di me. > fece la bambina sorridendo.

< Perbacco! Questa mi giunge nuova, spero che le altre intuizioni su tua zia siano corrette! >

Queenie si mise a ridere.

< Se vuole accomodarsi in salotto signor Holmes ed aspettare la signorina... > disse Cyril mostrando a Holmes una stanza.

Il detective si accomodò su una poltrona e Queenie si sedette sul sofà di fronte a lui.

< Avete letto anche voi il giornale e siete venuto qui? > domandò incuriosita la bambina.

Sherlock la fissò confuso:< Ma quanti anni hai? >

< Quasi cinque. > disse lei orgogliosa.

< Come hai fatto a capirlo? Sei davvero molto intuitiva. >

< Mia zia legge spesso il giornale e quando trova un articolo interessante fa una faccia strana. Poi ha detto che doveva chiamare te, cioè voi. > si corresse la bambina.

Sherlock si mise a ridere:< Allora è una cosa di famiglia! Siete tutti dei gran detective. >

Queenie arrossì. I due parlarono a lungo e Holmes rimase molto colpito dall'intelligenza della sua giovane interlocutrice.

Si sentirono dei passi e Catherine fece il suo ingresso nella stanza. Rimase piuttosto sorpresa dalla scena che le si presentò davanti.

< Ciao zia. Stavamo parlando di polizia. > disse la bambina correndo incontro a Catherine.

Il signor Holmes si alzò in piedi e le sorrise.

< Si è precipitato qui appena l'ha saputo, vero? >

< Assolutamente. >

< Facciamo una passeggiata nel parco qui vicino? È davvero una bella giornata. > domandò la giovane:< Mi racconterà i vostri timori strada facendo. >

Holmes accettò e Queenie felicissima abbracciò la zia.

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Capitolo 5
*** Confessioni al parco ***


Il parco distava circa 300 metri dall'hotel Rosemary.
Non era molto grande ma sembrava grazioso e a Catherine questo importava.
Queenie era felicissima di passare un po' di tempo all'aperto dopo tanti giorni trascorsi nell'albergo.
Catherine notò due sorelline ospitate nell'albergo che giocavano con dal laghetto assieme alla loro tata.
< Posso andare a giocare con le altre bambine? > domandò Queenie.
Catherine diede il suo consenso e la bambina felice corse via.
Catherine posò il suo sguardo su Holmes:< L'articolo dice che l'ex detective Davidson è morto a causa di un infarto, ma è stato assassinato. Non ho dubbi. >
< Temo proprio di sì. > sospirò il detective facendo accomodare la ragazza su una panchina.
< Il signor Davidson era un uomo anziano. La sua salute non era ottima, anzi! Tuttavia la sua morte mi è sembrata sospetta, soprattutto alla luce di quanto mi raccontato tempo fa. > spiegò Sherlock.
< Signor Holmes ne sono certa, quell'uomo è stato ucciso perché sapeva troppo. Forse era arrivato a una svolta, forse aveva risolto il caso prima di me e lo hanno eliminato. >
< Senza prove sono solo parole campate in aria. Inoltre soffriva di cuore, sarà piuttosto difficile provare un possibile omicidio. La moglie poi non ha avuto dubbi, per lei si è trattato di un semplice infarto. >

< Ho visto anch'io l'articolo e credo sia stato ucciso con un metodo diverso, non con il veleno come mio padre e mio fratello. Forse il mandante stesso era diverso, anzi ne sono sicura. > replicò la ragazza:< Spero abbiano disposto l'autopsia. >
< Non credo proprio e comunque non mi hanno permesso di vedere il corpo quando sono andato in obitorio. Quindi niente prove. > continuò Holmes:< Chiunque abbia fatto fuori Davidson molto probabilmente non si farà scrupoli a eliminare anche lei Catherine. >
Catherine abbassò lo sguardo e gli sorrise.
< Dicono che lei deduca molte cose solo osservando una persona signor Holmes. Ma dubito che abbia dedotto il mio nome semplicemente osservandomi. >
< No, infatti. Ho fatto qualche ricerca. Ho ritrovato un vecchio articolo in cui si parlava dell'imminente matrimonio di vostro padre e della festa di addio che aveva organizzato Scotland Yard in suo onore. > rispose il detective mostrandole il ritaglio di giornale che aveva in tasca.
< E cosa ha scoperto su di me grazie a questo articolo? >
< Non molto a dire il vero. So che vostra madre, Paolina Reggini, era italiana. È morta nel 1882. La vostra matrigna era americana e si chiamava Helen Cody.
So anche che vostro fratello era un poco di buono e tutti i casi che gli vengono attribuiti in realtà sono stati risolti da lei. >
Catherine sorrise ammirata:< È così. Ma... >
< Come ho fatto a capirlo? Queenie mi ha confermato che suo padre, vostro fratello, era un buono a nulla ed è stato licenziato e riassunto ben due volte alla Pinkerton. Era chiaro che tutti i meriti che gli si attribuivano fossero falsi, la gloria doveva essere di qualcun altro.
Voi Catherine, ovviamente. Eravate voi quella che aveva ricevuto le stesse doti di vostro padre. Un altro agente Andrews messo in ombra perché donna.
A dirla tutta non sapevo dell'esistenza di un altro agente Andrews finché lei non è piombata nel mio salotto. >
Catherine si mise a ridere.
< Vediamo cos'altro è riuscito a intuire. >
< So che non è più un agente della Pinkerton. >
Catherine lo fissò sbalordita:< È stata Queenie a dirvelo? >
< No. So che le è stato impedito di investigare sul caso ed è stata licenziata. Non avrebbe richiesto il mio aiuto se avesse avuto l'agenzia dalla sua. >
< Quasi esatto. Mi sono licenziata di mia spontanea volontà, non sono stati loro a cacciarmi. Il mio capo si è rifiutato di credere a quello che avevo scoperto. Così ho preso una decisione, ho deciso che avrei risolto il caso da sola.
Tuttavia era difficile senza l'appoggio dell'agenzia. Anche se avessi risolto il caso nessuno mi avrebbe creduta. Così le ho scritto una lettera nella speranza che mi desse una mano. So che mio padre vi teneva molto in considerazione, vi riteneva il più grande detective vivente e lui non sbagliava mai. >
Holmes era rimasto ad ascoltarla praticamente immobile.
< Se solo il mondo fosse diverso lei diventerebbe una grande detective. >
< Parla lei che è un misogino! > sbottò Catherine.
Sherlock rimase colpito dalle dure parole della ragazza.
< Sono rimasto molto impressionato da lei, mi creda signorina Catherine. La ritengo a tutti gli effetti la donna più straordinaria che abbia mai conosciuto. >
< E perché mai? >
< Perché sono certo che da buona detective abbia scoperto molto sul caso dei magazzini Turkson. >
Sulle labbra di Catherine spuntò un timido sorriso.
< In effetti è così. >
< Sono molto curioso di scoprire cosa ha portato alla luce. >
La ragazza prese fiato ed iniziò il suo resoconto:< I magazzini sono tre e sono stati acquistati da tre uomini diversi. Roberto Sabina, Torquato Schivione e Mariano Rocchi. Tutti e tre italiani. Da qui si deduce che probabilmente anche colui che si fa chiamare Thomas Young è in realtà un immigrato italiano, non spagnolo come credevo in precedenza.
Mi sono chiesta allora quale fosse il nome dell'organizzazione. I casi sono due: mafia o carboneria. >
< Carboneria senza dubbio. >
< Perché ne è così sicuro Holmes? >
< I carbonari sono particolarmente vendicativi. Ne conosco due o tre di fama. >
< Sono andata in quei magazzini. >
< Diamine, è stata tremendamente imprudente! >
< Lo so, ma è servito. Ho scoperto il vero nome di Thomas Young e del suo sicario. >
< E come ha fatto? >
< Mi sono finta ceca e ho aspettato che qualcuno rivelasse qualche informazione utile. Ad ogni modo il vero nome di Young credo sia Bogliano o Gragiano. Il sicario che ha ucciso mio padre, ne sono più che certa, si chiama Edmund Collins. >
Sherlock ci pensò su.
< Devo scoprire se è lo stesso che ha ucciso Davidson. >
< Devo? Sono certa di poter collaborare con lei signor Holmes. >
< Ma non vorrà mettere a repentaglio la propria vita, spero. >
< Signor Holmes anche se mi sono licenziata sono pur sempre un investigatore. E sono venuta a chiederle una mano come collega, non come cliente. So badare a me stessa. >
< Questo è poco ma sicuro. >
Mentre i due discutevano sul da farsi iniziò a piovere e dovettero rientrare alla svelta all'hotel.

Queenie, bagnata fradicia, giocava con la bambola davanti al camino del salotto.

Sherlock e Catherine invece stavano sul divano ad asciugarsi avvolti in una coperta di lana e discutevano ancora del caso.
< Mi dica ancora una cosa signor Holmes. Cosa ha capito di me al primo sguardo, senza fare ricerche? >
< Lei è una donna forte, determinata, dal carattere spiccato. Estremamente intelligente ma anche dolce e affettuosa. Dipinge quadri come dimostrano le macchioline sulla manica. Le piace cavalcare e non è una frivola. È coraggiosa e si mette nei guai, è terribilmente curiosa ed è molto attenta ai dettagli. Ed è vedova. >
Catherine ne rimase colpita, poi scoppiò a ridere.
< Cosa ho sbagliato? >
< Non sono vedova, non mi sono mai sposata, ne tanto meno fidanzata. La pelle più chiara che vede sull'anulare è il segno dell'anello che portava mia madre. E a volte fingo di essere una donna sposata per ottenere informazioni utili. >
< Dovevo immaginarlo. La foto nella borsetta è di suo fratello, non del suo defunto marito. >
< Già. Ma capita di fare qualche errore signor Holmes, siamo esseri umani. >
Sherlock le sorrise ancora.
< E lei? Cosa aveva intuito Catherine? >
< È ambidestro e le piace la cucina italiana. Tiene l'appartamento più in ordine di quanto pensassi. E non è il Sherlock Holmes di cui parla il dottor Watson, almeno in parte. Non è una macchina calcolatrice senza un cuore. >
< Solo questo? >
< E le sembra poco?> replicò Catherine senza smettere di sorridere:< È ora di pranzo, gradirei che si unisca a noi. Spero apprezzi gli spaghetti di Luciano, è un ottimo cuoco italiano che ha un ristorante a pochi passi da qui. >
Sherlock accettò senza esitazioni.

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Capitolo 6
*** I dubbi di Lestrade sulla morte del vecchio Davidson ***


 

La morte del vecchio Davidson aveva lasciato sgomenti molti ispettori di Scotland Yard.
Lestrade prima di tutti.
Il famoso ispettore che compare spesso nei racconti del dottor Watson, era l'allievo prediletto di Davidson e da parte sua Lestrade lo aveva considerato il padre che non aveva mai avuto.
Quando la sera del 30 novembre la vecchia moglie del detective scoprì il corpo senza vita del marito, Lestrade fu uno dei primi a venirne a conoscenza e fra i primi a giungere sul posto.
Era convinto, come tutti, che si fosse trattato di un semplice attacco di cuore ma appena entrò nella stanza dove giaceva il vecchio Davidson iniziò ad avere dei seri dubbi a riguardo.
Per questo si precipitò appena possibile a Baker Street.
Suonò freneticamente il campanello finché la signora Hudson non gli aprì.
L'ispettore salì le scale di corsa e si fiondò nell'appartamento.
Holmes seduto in poltrona lo fissò confuso, Watson invece gli domandò il perché di tanta foga. La situazione doveva essere grave.
Erano le sette di sera precise, l'ispettore non era mai venuto a quell'ora se la situazione non era disperata.
Lestrade piombò sul divano.
< Avete corso come un matto per almeno quattro isolati. > commentò Sherlock sfilando la pipa dalla bocca:< Cos'è successo di così terribile? >
< Davidson. >
< Oh. Quello. >
< Già. > rispose lui prendendo fiato:< Non so come spiegarglielo. Non mi convince per niente. >
< Perché dice questo? Il Times e tutti gli altri giornali della città indicano chiaramente che si è trattata di morte naturale. >
< Non lo so, i giornalisti capisco quello che vogliono capire e scrivono quello che vogliono scrivere. Ma quando sono entrato nella stanza dove è stato trovato il corpo io... >
Holmes lo bloccò:< Siete stato sul luogo del delitto? >
< Quindi anche voi pensate che sia un delitto! >
< Ho le mie buone ragioni per crederlo. > rispose Sherlock:< Ad ogni modo la sua presenza non me la spiego. Non è stata chiamata la polizia e a quanto ne so è intervenuto solo il medico legale che ha constatato il decesso. >
< L'ispettore Davidson era stato mio mentore all'epoca. Le nostre famiglie erano molto legate, per questo motivo mi sono precipitato a casa sua appena ho saputo della sua morte. Non mi trovavo sul posto in qualità di ispettore ma di amico di famiglia. >
Holmes annuì e gli fece segno di continuare.
< Quello che ho visto mi ha lasciato perplesso. La stanza dove giaceva il morto era immersa nel disordine più totale. Un fatto piuttosto strano se si considera la natura diligente e meticolosa di Davidson. La finestra era aperta, difatti molti fogli erano volati nel corridoio.
Anche il letto era sfatto. >
Sherlock ascoltava con molta attenzione il racconto di Lestrade. Quello che l'ispettore gli stava raccontando alimentava di non poco i suoi sospetti.
< E i cuscini erano per terra. >
< Soffocamento. > concluse Sherlock senza ascoltare il resto del racconto.
< Lei dice? >
< Ne sono quasi certo. Ma senza prove... >
< Il medico ha chiaramente detto che si è trattato di un infarto. >
< Sopraggiunto per il soffocamento, senza dubbio. >
< Ma non aveva nemici, ne aveva ricevuto minacce. Chi sarebbe potuto arrivare a tanto? >
< Forse si tratta di un vecchio caso irrisolto. Forse qualcuno che cercava vendetta. > ipotizzò John.
< No, non credo. > fece di rimando Holmes posando la pipa sul tavolino accanto alla poltrona:< Dovevano semplicemente metterlo a tacere e lo hanno fatto. >
Lestrade lo fissò confuso:< Non riesco a capire Holmes. Chi lo ha fatto e perché? >
< La situazione dietro questo omicidio è davvero intricata Lestrade. Ma domani, quando ci accompagnerà sul luogo del delitto, sarò lieto di farle conoscere la persona che potrà chiarirle ogni dubbio. >
< Domani? >
< Sì, domani. È un problema per lei? >
< Non penso. >
< Perfetto. Alle otto le va bene? >
< Assolutamente signor Holmes. Le otto vanno benissimo. > rispose Lestrade sorridendo.
Sherlock guardò l'ispettore scendere le scale con rinnovato ottimismo e trotterellare lungo Baker Street.
< E la signorina Catherine lo sa? > domandò Watson.
Sherlock si allontanò dalla finestra:< Non ancora mio caro Watson, ma ho visto che ha appena terminato il tabacco e so che scenderà in strada per comprarne dell'altro. Quindi se può farmi la cortesia di spedire al mio posto un telegramma... la tabaccheria e l'ufficio del telegrafo sono molto vicini. Non le occuperà molto tempo. >
Watson disse di sì e fece come aveva detto l'amico.
Sherlock sperò che il telegramma arrivasse in tempo fra le mani della giovane detective.
Cosa che per fortuna avvenne con una certa rapidità.
Anche se non l'avrebbe mai ammesso era impaziente di incontrare di nuovo Catherine e di vederla finalmente all'opera.

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Capitolo 7
*** Catherine e il metodo ***


La casa di Davidson sorgeva alla periferia di Londra e nonostante fosse molto distante dall'hotel Rosemary, Catherine giunse all'appuntamento con qualche minuto di anticipo.
Controllò nella vetrina di un negozio di dolci di non essere troppo in disordine.
Sistemò il cappellino, la giacca bianca con i ricami azzurri e la gonna blu cobalto.
Una carrozza si fermò proprio davanti all'abitazione del detective Davidson.
Il primo a scendere fu Sherlock che pagò il conducente e poi uscì un altra figura.
Catherine si avvicinò sorridendo. Chiunque avesse accompagnato Sherlock non era il dottor Watson ma aveva un aspetto familiare.
Era un ometto basso ma comunque superava la ragazza di qualche centimetro.
Teneva i suoi occhi scuri sulla ragazza come per studiarla nei minimi dettagli.
Catherine si sentiva piuttosto a disagio e stava per farlo notare a Sherlock quando lui li presentò.
< Ispettore Lestrade vorrei presentarle la donna che è dietro a questa faccenda. Il suo nome è- >
< Catherine! > esclamò l'ispettore esterrefatto.
< Gregory? Sei proprio tu? > fece la giovane avvicinandosi:< Sei stato promosso a ispettore, le mie congratulazioni. >
< Ma sì, ma certo. Sono io. Che cosa ci fai a Londra? Pensavo vi foste trasferiti in modo permanente a Chicago. > domandò Lestrade a raffica.

< Sì, siamo stati a Chicago per qualche anno. > confermò la ragazza:< Mio padre era diventato molto amico dello stesso Allan Pinkerton, tuttavia dopo la morte di Allan non ci vedevano di buon occhio a Chicago. Così ci siamo trasferiti a New York. >

< Dev'essere stata un avventura! >

< Direi di sì. I casi da risolvere a New York non sono di certo mancati! >

< E tuo padre? Immagino sia diventato una celebrità negli Stati Uniti anche se tuo fratello ha risolto moltissimi casi. >
Catherine abbassò lo sguardo.

< Sono tutti e due morti Gregory. >
< Mi dispiace davvero moltissimo Catherine. Non lo sapevo. >
< E non si è trattata di morte naturale. Come nel caso del detective Davidson. > fece allora Holmes invitando Lestrade a bussare alla porta della vedova Davidson.
Aprì una vecchietta piuttosto bassa e molto rugosa che dimostrava molti più anni di quelli che aveva.
Gregory parlò con l'anziana per qualche istante, la donna annuì e fece segno a Sherlock e Catherine di entrare.
< La stanza di mio marito è di la. > indicò la vedova.
I tre entrarono.
< Molte delle prove sono andate. Accidenti a me, dovevo venire qua ieri sera. > borbottò il detective osservando la stanza con una certa disapprovazione.

< Oh, Sherlock Holmes ha commesso un errore. Allora è umano anche lei. > commentò Lestrade. Catherine avvertì appena una punta di acidità nelle sue parole.
< Non penso signor Holmes. Molti indizi sono ancora qui. > fece la ragazza avvicinandosi ai documenti per terra.
< Ci sono delle impronte di scarpe piuttosto grandi. Un quarantasei suppongo. > disse mostrando a Lestrade e Holmes delle macchie marroni su alcuni fogli rimasti in terra.
< Un quarantotto Catherine. Un quarantotto. > la corresse Holmes.
< E sono anche qui. > disse indicando la finestra.
Lestrade sbuffò:< Catherine non mi dire che sei diventata un detective pure tu. >
< Oh no. Sono un agente della Pinkerton. > rispose senza una briciola di esitazione.
< Quindi... sei tu la cosiddetta persona che dovrebbe spiegarmi perché qualcuno vorrebbe uccidere un povero vecchio innocente? >
< Esatto. >
< Non ci posso credere. Io non ci voglio credere. > Lestrade era visibilmente confuso:< Catherine dimmi che sei solo una vittima di tutta questa storia e non un detective della Pinkerton. >
< Sola la vittima e il detective di questa storia Gregory. > fece la ragazza:< Cerco solo di portare alla luce i fatti. >
Gregory la fissò confuso.
< Da quando in qua ci sono investigatori donne? >
< Dal 1859. Voi a Scotland Yard siete così indietro con i tempi, eppure vi proclamate la più grande agenzia investigativa del mondo. > replicò la ragazza piuttosto irritata.
Sherlock che stava esaminando il pavimento non riuscì a trattenere una risatina.
< Adesso ti dimostro la mia tesi su questo omicidio. Così magari cambi idea. >
Lestrade incrociò le braccia e guardò la ragazza. Sicuro che avrebbe fallito.
Catherine tirò fuori dalla borsa una lente d'ingrandimento decorata in oro e con un cenno della testa fece capire a Holmes di farsi da parte per qualche istante.
< Il nostro assassino è entrato dalla finestra. Era un uomo piuttosto alto, credo che superasse il metro e novanta. > esordì la ragazza e aprì la finestra.
La ispezionò attentamente e commentò:< Credo anche che il nostro uomo sia piuttosto forte per forzare una finestra con il solo aiuto di un cacciavite. O almeno così sembra. >
< Verifico subito. > disse Sherlock e controllò le imposte.
< È esatto. > fece poi con una certa ammirazione nella voce:< Un cacciavite a punta piatta. >
Catherine andò avanti.
< Qui sul muro c'è il segno di una strisciata. L'assassino non era molto agile. > fece la ragazza, poi si spostò al tappeto persiano che si trovava sul lato del letto verso la finestra.
< Interessante. > disse dopo aver scrutato nel minimo dettaglio il tappeto.
Sherlock che aveva già capito tutto si inginocchiò vicino alla ragazza e aprì un fazzoletto.
Catherine mostrò ai due un capello rossiccio corto, un filo spesso color beige, un piccolo bottone.
< Che bottino signorina Andrews. Siamo stati fortunati. > commentò Sherlock mentre Lestrade li fissava in cagnesco.
< Non è tutto. > lo bloccò Catherine spostandosi ora al letto.
< Sangue? > fece indicando una piccolissima macchiolina sul lenzuolo.
< Probabile. > ribatté Holmes.
Catherine lo esaminò con la lente ma non riuscì a capirci molto.
Passò ai cuscini.
< Gregory li avevi notati questi? >
< Cosa Catherine? >
< I cuscini Gregory. I cuscini. Le hai viste queste macchie? >
< No Catherine. >
< Sono la prova che Davidson è stato soffocato. Sono tre macchie di saliva, una è davvero enorme. > disse sicura la giovane.
< Sono esattamente a metà. Ovvero dov'era la sua faccia. La federa è sgualcita ai bordi, è successo di recente. E appiccicaticcia. > notò la ragazza:< L'uomo deve aver avuto le mani sporche di qualcosa. Qualcosa con molto zucchero dentro e che sporca molto. Forse whisky o rum. >
Catherine guardò sul lato del materasso.
< E con le scarpe sporche di fango ha sporcato tutto qui. Perché era in questa posizione quando ha soffocato Davidson. > disse mimando il gesto dell'assassino.
< E poi c'è la questione dei documenti. Molti cassetti qui sono stati forzati. L'assassino cercava qualcosa e quando l'ha trovata l'ha gettata nel camino. > disse dirigendosi verso la scrivania.
< Nel camino? >
< Sì. Era il posto più vicino dove il nostro uomo poteva far sparire quello che cercava, i documenti che l'aveva portato a uccidere Davidson. Sfortunatamente per lui, un po' meno per noi, il vento e la pioggia sono entrati dalla finestra aperta e hanno spento il fuoco del caminetto. Ecco qui rimane un pezzo del foglio che l'assassino ha cercato di bruciare, è annerito ma in parte è ancora leggibile. >
Sherlock lo prese delicatamente in mano.
< Credo di aver analizzato i fatti nel modo giusto. Il nostro uomo, alto, capelli probabilmente rossi, un omone un po' goffo, scassina la finestra ed entra nella stanza. Davidson lo vede e cerca di difendersi come può.
Nella colluttazione il vecchio ispettore strappa un bottone al suo assassino e probabilmente si attacca ai capelli strappandone qualcuno. A questo punto l'omicida sbatte sul letto il malcapitato e lo soffoca con un cuscino.
Ha le mani sporche di qualche bevanda zuccherata, forse whisky che ha bevuto o per farsi coraggio o perché è un ubriacone incallito. Dopo di che fruga nei documenti, sa che ha poco tempo. Butta all'aria la stanza e quando trova quello che doveva trovare lo butta nel primo posto che gli viene in mente. Il caminetto acceso. Scappa, scivolando un paio di volte, dalla finestra, si butta giù e finisce nel giardino dove piove a dirotto. La pioggia e il vento entrano dalla finestra aperta, sparpagliano i fogli e spengono il fuoco. Ora leggi cosa c'è scritto sul biglietto Gregory. >
< Magazzini Turkson. > lesse lui:< Ma che vuol dire? >
Sherlock sorrise soddisfatto:< Un analisi perfetta, ecco che vuol dire! Siete stata meravigliosa Catherine, meravigliosa! >

La ragazza avvampò e si schermì. Lestrade però la fissava truce.
Strappò il foglietto in mille pezzi:< Piantala di giocare a fare l'investigatore Catherine. Questa messa in scena è durata fin troppo, ho sopportato fino a questo punto perchè ritenevo vostro padre un grande uomo e ispettore. Ma adesso stai davvero esagerando. >
< Non c'è nessuna messa in scena. > sbottò offesa la ragazza:< Ho solo analizzato gli elementi sulla scena del crimine e trovato la soluzione. Si chiama metodo deduttivo, il signor Holmes è sicuramente il maggior esperto in questo campo. >
< Ho perso solo il mio tempo Holmes. Mi state solo prendendo in giro ma non preoccupatevi, non succederà più. > fece lui voltandogli le spalle.
< Se questo è quello che pensi vattene pure! È chiaro che come gli altri di Scotland Yard sei solo un idiota senza cervello! > gli gridò dietro Catherine da vera americana.
Nonostante Holmes cercasse di calmare la ragazza infuriata, in realtà non poteva fare a meno di sghignazzare pensando a come Catherine in poche semplici mosse avesse zittito Lestrade.
E a come la giovane gli piacesse sempre di più.
La vecchia si affacciò nella stanza:< Tutto bene signori? Il commissario Lestrade è andato via a passi infuriati. >
< Non proprio. Suo marito è stato ucciso, abbiamo le prove. > fece la ragazza.
< COSA?! > gridò la povera donna per svenire poco dopo.
I domestici accorsero e trasportarono la vecchia sul suo letto.
< Sa signor Holmes se c'è qualcosa in cui pecco è la totale assenza di tatto. A volte. >
< Sì, l'avevo notato. > fece lui spingendo la ragazza verso l'uscita:< Andiamocene. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare qui. >
Presero una carrozza direzione hotel Rosemary.

Per tutti il percorso risero e scherzarono come due amici che si conoscevano da molto tempo.
< Sono rimasto molto colpito dalla vostra analisi. Era praticamente perfetta. > si complimentò Holmes.
< Grazie. > rispose la ragazza arrossendo.
< Le vostre doti sono molto spiccate. Anche vostro padre era così deduttivo, ma voi avete chiaramente più talento di lui. >
< Oh, Sherlock! Voi siete un adulatore! > e Catherine scoppiò a ridere senza notare troppo che aveva chiamato l'investigatore con il nome di battesimo.
La carrozza si fermò.
Catherine scese e sorrise ancora al detective, poi Queenie le saltò addosso e dovette occuparsi di lei.
Appena Sherlock rimise piede a Baker Street, più felice e sollevato del solito, la prima cosa che fece fu gettare la foto di Irene Adler nel fuoco del caminetto.
< Che fate Holmes? > domandò stupito Watson che aveva assistito alla scena.
< Nulla di che dottore. Ho solo trovato una donna davvero straordinaria. > replicò lui ridendo. Poi prese in mano il violino e suonò per il resto della giornata.

 

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Capitolo 8
*** Mi hanno... avvelenato?! ***


La settimana passò senza grosse preoccupazioni.
Lestrade, pentito per come aveva trattato ingiustamente la ragazza, la andò a trovare in albergo. Catherine ne rimase piuttosto sorpresa.
Prima di tutto Gregory non conosceva il nome dell'hotel dove alloggiava e secondo bastava mandare un biglietto di scuse, non era necessario presentarsi di persona!
< Secondo me vuole che tu diventi sua moglie. > aveva commentato Queenie mentre faceva volteggiare in alto la povera Dolly.
< Ma cosa dici Queenie? Siamo solo vecchi amici. E poi non sei troppo piccola per pensare a certe cose? > aveva replicato la ragazza arrossendo un po'.
Lui e Gregory si erano conosciuti molti anni prima in un occasione delle più spiacevoli e dolorose. Il funerale della madre Paolina.
Catherine aveva appena quattordici anni ed era a pezzi.
Lestrade invece ne aveva poco più di ventisette.
Era uno dei pochi che si era accorto della presenza della giovanissima Andrews.
Gli occhi, i pensieri e le condoglianze erano tutte per il padre e il fratello gemello.
Catherine era come un ombra, un fantasma.
Eppure Gregory l'aveva notata. Piccola, rannicchiata in un angolino della cucina.
I due non avevano parlato a lungo. Il vecchio Andrews aveva lanciato un occhiataccia minatoria alla figlia e lei si era rifugiata velocemente nella sua stanza.
Negli anni seguenti erano rimasti in contatto e ogni anno si scambiavano gli auguri di Natale e Pasqua.
< Io vorrei un papà. > borbottò a un certo punto Queenie.
< Non funziona così Queenie. Lestrade è una bravissima persona ma non sono innamorata di lui. >
< Ma lui sì. Lo hai detto anche tu e poi ti ha invitato a teatro stasera. >
Catherine sospirò. È vero, l'aveva detto.
< Ma io non accetterò. Non è una cosa corrisposta. >
< Hai ragione, lui è vecchio. >
Catherine si mise a ridere.
Lestrade sarebbe passata a prenderla in carrozza alle otto in punto e sarebbero andati dritti alla rappresentazione del Don Giovanni di Mozart.
Mancavano dieci minuti ma la ragazza scese lo stesso per evitare di far aspettare troppo l'ispettore. Lui era già lì mentre rideva e scherzava al bancone del bar col signor Lewis.
Catherine fece mezzo sorriso.
< Signorina Andrews! > esclamò felice l'irlandese vedendola:< Il signore qui mi ha detto che avete risolto un caso di polizia! Siete una detective accidenti, non l'avrei mai detto! >
Sembrava euforico e a Catherine questo faceva saltare i nervi.
< Propongo un brindisi! > fece lui e il cameriere portò dello champagne. Come al solito Gordon Lewis pensava solo a bere.
Lewis preparò personalmente i tre calici e li porse ai due.
Catherine fissava in cagnesco Lestrade, ma lui le sorrideva come per dirle che sarebbe andato tutto bene.
< Alla salute! > disse poi scolando il bicchiere in un solo sorso.
Anche Gregory bevve il contenuto del bicchiere e soddisfatto porse il calice all'uomo perché gli e ne servisse dell'altro. Catherine invece si bagnò appena la lingua.
Il sapore era orribile! Senza farsi vedere buttò il liquido nella pianta affianco e finse che le fosse piaciuto.
Poco dopo Catherine e Gregory salirono in carrozza.
Catherine sospirò:< Perché? >
< Perché cosa? >
< Lo sai benissimo cosa Gregory. >
Lui sbuffò:< Non stare a preoccuparti troppo. Il signor Lewis è un ottima persona. >
< Non so. C'è qualcosa in lui che non mi convince... >
< Quando fai così sei peggio di lui. >
< Lui chi? >
< Holmes. Chi se no! Mi fa spazientire ogni volta, e anche tu. >
La giovane sorrise e lui anche. Le piaceva il sorriso di Lestrade e i suoi modi gentili.
E i suoi occhi scuri da furetto.
Forse ne era... innamorata?! No, no. Non era possibile.
< Catherine... > fece a un certo punto lui avvicinandosi.
< Cosa? >
< Devo dirti una cosa seria. >
Catherine scoppiò a ridere.

< Me la puoi dire dopo. Non voglio rovinarmi la serata. >
< Guarda che è una bella cosa > si arrabbiò lui. Sembrava piuttosto nervoso, anche più del solito. Non sembrava stare proprio bene.
La ragazza smise di ridere, voleva dire qualcosa ma da quando era partita aveva un forte mal di testa che le impediva di pensare.
Fissò l'ispettore, doveva trovare le parole giuste ma non le trovò.
I due si diressero all'opera. Durante la rappresentazione Lestrade si assentò molte volte e quando tornava era sempre molto pallido.

< Va tutto bene? > domandò la ragazza preoccupata.

Lui annuiva e le dava un colpetto sulla mano per tranquillizzarla. Ma la ragazza era sempre più convinta che qualcosa non andava.

Verso la fine del primo atto Gregory le disse che doveva andare via a causa di un problema grave riguardante la sua nuova tata.

La giovane annuì:< Vengo con te. Ti accompagno a casa, prendiamo la carrozza assieme. >

< Non è necessario. La mia abitazione è a meno di cinquecento metri da qui, farò la strada a piedi, tu è meglio se prendi la carrozza. > replicò lui porgendole il soprabito.

Catherine disse di sì e salì nella prima carrozza libera che si fermò.

< Gregory sei sicuro di stare bene?> domandò per l'ultima volta lei.

< Sto bene Catherine. Mi gira solo un po' la testa. > replicò l'ispettore sforzandosi di fare un sorriso.

La giovane disse al cocchiere di portarla all'albergo. Durante la strada Catherine continuava ad avere mal di testa a cui si era aggiunto un senso di nausea e una debolezza sempre maggiore. Cosa le stava succedendo?

Stava benissimo quando era uscita dall'hotel e anche Gregory, eppure entrambi si erano sentiti male! Forse erano stati avvelenati?

La ragazza si diede un colpetto un testa, come aveva fatto a non capirlo prima?!

Il panico l'assalì. Doveva andare di corsa all'ospedale.
Catherine si sporse dal finestrino:< Quanto dista da qui il Charing Cross? >
< Diverse miglia. Ci vorrà almeno mezz'ora, nella migliore delle ipotesi. >
Catherine era disperata. Se era quello che pensava, rischiava seriamente di fare la fine di suo padre!
< E Baker Street? >
Non seppe mai spiegarsi perché avesse detto quel nome e non il nome di un altro ospedale o clinica medica.
< Dieci minuti. > rispose.
< La prego corra a Baker Street. > lo implorò lei.
Il cocchiere annuì. Aveva capito che la situazione era grave.
Appena la carrozza si fermò Catherine si precipitò verso l'appartamento, ignorando nausea, vertigini e tachicardia.
< Che cosa succede? > domandò lui in apprensione appena apparì sulla porta.

< Ci hanno avvelenati, temo sia arsenico. > pianse la ragazza.
< Ci hanno? >
< Io e Lestrade. Siamo andati assieme a teatro, e prima c'era Lewis, e lo champagne... quel maledetto deve aver avvelenato il vino, non c'è altra spiegazione. >
Catherine disperata fissava Sherlock senza smettere di piangere.
< È arsenico. Riconosco i sintomi. >
< Lo vedo e non è per niente grave. Almeno non nel suo caso. Siete solo molto agitata, dovete calmarvi e la maggior parte dei sintomi sparirà. > replicò Sherlock facendo di tutto per tentare di calmarla.
< È stato lui! Sono stata così stupida! Per fortuna ho bevuto solo un sorsetto di quel maledetto champagne! >
< Chi è lui? >
< Lewis, l'irlandese. >
< E quanto champagne ha bevuto Lestrade? >
< Due bicchieri, o forse di più. >

< Dov'è adesso Lestrade? >

< A casa. L'ho visto dirigersi verso il suo appartamento accanto al teatro. >
Holmes sospirò.
Catherine si volse a Sherlock e lo prese per la vestaglia:< È lui il sicario. Ne sono certa! Corrisponde alla descrizione. Ha i capelli rossi, è alto, impacciato, è un ubriacone. Ha il taschino della giacca strappato e gli manca un bottone. E scommetto che ha 48 di piede! E Queenie! È in pericolo dobbiamo salvarla! >
Sherlock disse di sì e finalmente riuscì a calmarla.
Il suo avvelenamento era così leggero che non necessitava di nessun trattamento, se non bere molta acqua e aspettare che passasse.

Watson che aveva sentito tutto prese la carrozza che Catherine aveva abbandonato di corsa sotto l'appartamento e si precipitò a casa di Lestrade.
Ma quando il dottore tornò qualche ora dopo il suo sguardo era così cupo da far preoccupare lo stesso Holmes.
< Cos'è successo Watson? >
< Quando sono arrivato Lestrade era già stato portato all'ospedale dal vicino di casa. >

< Le sue condizioni? >

< Critiche direi! Ha ingerito talmente tanto veleno che mi sono stupito quando l'ho visto ancora vivo. >
< Può farmi un altro favore Watson? >

< Che cosa? >

< Badi alla signorina Andrews. Devo andare al Rosemary a recuperare la piccola Queenie. Anche lei è in pericolo. > disse indossando giacca e cappello.

Il dottore osservò la ragazza che dormiva sul divano.

< Non ha una bella cera. >

< Ha passato una pessima serata ma ora sta molto meglio. > replicò Sherlock:< Sarò di ritorno fra mezz'ora. > e chiuse la porta dietro di se.

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Capitolo 9
*** La fuga di Lewis e il coraggio di Quennie ***


Queenie si aggirava per l'appartamento 221b in maniera furtiva.
Si diresse verso il caminetto in punta di piedi e prese una scatola di fiammiferi dal tavolino per accendere il fuoco.
Stava per prendere in mano il primo fiammifero quando:< Cosa fai signorinella? >
La bambina sobbalzò facendo cadere i cerini per terra.
< Stavo solo accendendo il camino. > replicò lei:< Zia Catherine ha sempre freddo la mattina, dice che a Londra c'è tanto umido. >
Holmes sorrise:< Ci penso io qui. Vai a mangiare colazione. >
La bimba felicissima si arrampicò sulla sedia e si fece servire dalla signora Hudson una gigantesca tazza di tè.
Sherlock accese il fuoco poi il suo sguardo cadde su Catherine.
Era ancora placidamente addormentata e sembrava serena nonostante tutto.
Presto si sarebbe svegliata e avrebbe appreso tutto quello che era successo la notte prima.
Una notte che Holmes non tardò a definire tragica, e detto da lui...
Queenie sbadigliò e iniziò a sgranocchiare pigramente un biscotto alle uvette.
Non aveva dormito molto, gli eventi del giorno prima avevano scosso anche lei.
Si era solo assopita sulla poltrona per qualche ora.

Aveva passato la maggior parte del tempo a osservare e mettere in disordine il salotto.
Anche se non sapeva ancora leggere correttamente aveva sfogliato tutti i giornali che il signor Holmes aveva lasciato in giro per il salotto.
Queenie aveva continuato a fare domande a Sherlock su cosa ci fosse scritto e l'uomo aveva risposto sempre con gentilezza tra una sigaretta e l'altra.
Catherine aprì un occhio e poi un altro.
Dovette metterci qualche secondo per ricordarsi dov'era e cos'era successo.

Non era nella sua casa di New York, non era sul traghetto, ne tanto meno al Rosemary.

Ma la vera domanda era: perchè era su un divano e non su un letto?

Era per caso un divanetto dell'ospedale?

L'unica cosa che al momento ricordava della sera precedente era quando aveva gridato al cocchiere di portarla al Charing Cross, tutto il resto era confuso.
< Oh, si è svegliata finalmente. > disse Sherlock sedendosi accanto a lei.
Catherine annuì e con un po' di fatica si mise a sedere.
< Va tutto bene. I sintomi sono spariti del tutto. > constatò lui felice sfiorandole i capelli con la mano.
< Sì. Sto bene per fortuna. > replicò la ragazza spostando leggermente la mano del detective.
< Ne sono molto felice. Questo caso è davvero intricato e terribile. >

La ragazza ora ricordava ogni minimo particolare di quella notte terribile, anche se avrebbe preferito dimenticare ogni cosa.
Catherine disse di sì:< Gordon Lewis dev'essere fermato ma sarà difficile. Si sarà dato alla fuga. >
< Sì, beh, la faccenda è complicata... > replicò Sherlock.
< Che è successo? > fece sorpresa la ragazza.
< Mia cara ragazza che ne dice se ne parliamo davanti a una tazza di thè caldo? >
Catherine accettò volentieri.
Queenie appena vide la zia le corse incontro e l'abbracciò fortissimo.

< Ero tanto preoccupata. > disse lei:< La signora Bertha si è anche messa a piangere quando ha saputo del veleno. >

< E tu no? > domandò la ragazza.

< No. > ribattè la bambina:< Il signor Holmes ha detto che non dovevo preoccuparmi perchè tu eri al sicuro. Allora non ho pianto. >

< E questi occhi rossi? > chiese la giovane osservando attentamente il viso di Queenie.

Poi sospirò:< Hai dato fuoco alle tende per l'ennesima volta? >

< Non è stata colpa mia questa volta! >

< Queenie queste sono chiaramente irritazioni da fumo. Sei ancora sporca di fuliggine sotto il mento e i capelli sono bruciacchiati. Non mi inganni signorina. Sei stata in mezzo alle fiamme, questo è poco ma sicuro. > replicò in modo molto severo Catherine.

Sherlock intervenne facendola alzare:< C'è stato un incendio. Ma non è stata colpa della povera Queenie. >

Catherine si guardò attorno e afferrò il Times sul tavolo.

< Il Rosemary è bruciato? >

< Dato alle fiamme. L'incendio è di matrice chiaramente dolosa. >

Catherine si lasciò cadere su una sedia sconvolta. Holmes le versò una tazza di the bollente.

< Perchè? >

< Siete un investigatrice. Dovreste capirlo. >

< Questa cosa non ha molto senso signor Holmes. > replicò la ragazza finendo in un sorso la tazzina:< Perchè bruciare l'hotel? >

< Ci pensi bene. Stiamo parlando di individuo pericoloso come Lewis Gordon. >

La ragazza ci pensò su mentre Sherlock le versava un altra tazza di the.

< Voleva far sparire delle prove? >

< E' fuori strada Andrews. Le prove sono state eliminate poco dopo il vostro avvelenamento, l'incendio sarebbe stato del tutto superfluo. >

< Non saprei. Forse voleva uccidere qualcuno e farlo passare per un incidente. >

< Bingo! >

< La signora Bertha! Era l'unica che sapeva! > esclamò a un certo punto la giovane.

< Bingo! Bingo! >

< E Queenie, anche lei sapeva tutto su di me. > continuò lei:< Ma il suo piano non è andato a buon fine. Mia nipote è sana e salva, anche se un po' bruciacchiata. >

Holmes sbuffò:< Mi deludete Catherine. Non avete ancora intuito cos'è successo? >

La giovane finì l'ennesima tazza di the.

< Non proprio. Non nei dettagli comunque. Perchè non me lo racconta lei Holmes, visto che probabilmente è stato lei l'artefice del salvataggio di Queenie? >
Holmes fece mezzo sorriso:< Se proprio insiste... >
< Insisto. >

Sherlock sorrise ancora:< E' andata più o meno così.

Poco dopo il vostro rocambolesco capolino a Baker Street, quando vi siete finalmente calmata, vi ho lasciato alle cure del mio caro amico Watson e mi sono diretto al Rosemary.

Sfortunatamente il nostro amico aveva messo in atto il suo piano.

Non era una cosa studiata e questo mi ha fatto pensare che avevate fatto proprio centro quando avete affermato che Lewis era l'assassino di Davidson. Un uomo che agisce d'istinto e in maniera piuttosto brutale.

Ad ogni modo voleva far fuori Queenie e la signora Bertha, le uniche che conoscevano il vero motivo del perchè era venuta a Londra. Probabilmente non voleva lasciare possibili testimoni.

Ha colpito con una mazza la povera signora Bertha lasciandola sul pavimento con una profonda ferita in fronte. Poi ha cercato Quennie, ma la nostra piccola amica aveva visto tutto e si era nascosta in un armadio appena in tempo.

Così, in mancanza di tempo ( il signor Cyril non vedendo più la signora Bertha si era molto preoccupato e aveva contattato la polizia), ha deciso di eliminare possibili prove e testimoni dando fuoco all'intero albergo.

Ci è quasi riuscito. La signora Bertha si è salvata per miracolo grazie all'intervento di Queenie. > e rivolse un bel sorriso alla bimba.

< Queenie? > ripetè stupita lei.

< Sì zia. Ho rotto il vetro della finestra con una padella e sono scappata in strada ad avvisare l'agente McAffer, quello che sta di guardia vicino al parco. >

< Con una padella? >

< E' stata la prima cosa che ho trovato. >

< E' stata provvidenziale! L'incendio è scoppiato proprio nella stanza dove stavano la signora Bertha e Queenie, nascosta nell'armadio all'insaputa di Lewis.

Gordon ha dato fuoco a degli strofinacci imbevuti di olio per lampade e li ha buttati contro una parete di legno di abete. Come potete immaginare la stanza si è trasformata ben presto in un enorme fornace, ma per fortuna Queenie se l'è cavata con qualche graffio e la signora Bertha con un intossicazione e qualche punto chirurgico. >

Catherine osservò ammirata la sua piccola nipotina coraggiosa.

< E' stata anche molto fortunata. >

< Sì, è vero. Molti ospiti non sono riusciti a uscire in tempo dalle loro camere e sono morti carbonizzati. Comprese le due bambine che giocavano nel parco e la loro tata. > confermò Holmes facendosi cupo in volto.

< E' terribile! > esclamò la ragazza.

< E un metodo perfetto per scomparire dalla scena senza destare troppi sospetti. >

Catherine annuì:< Eh già. In molti casi dopo un incendio i cadaveri non vengono più ritrovati o risultano irriconoscibili. Il signor Lewis poteva essere benissimo diventato un cumulo di cenere e nessuno avrebbe mai sospettato della sua mancanza. >
< Nessuno tranne me. >

< Tranne noi. > lo corresse Catherine:< Scommetto che Gordon Lewis non è nemmeno il suo vero nome. >

Holmes fece spallucce e si accese una sigaretta.

< Signor Holmes dobbiamo trovarlo prima che colpisca di nuovo e consegnarlo alla polizia. >

< E dove mi suggerirebbe di iniziare a cercare signorina Andrews? > domandò di rimando Sherlock.

Catherine sospirò. Quando faceva così era irritante.

< Il nostro uomo è un fumatore d'oppio, non ho dubbi su questo punto. Qualche locale dove si trovano fumatori come lui. Immagino ce ne siano tanti a Londra, forse più che a New York. >

< Sì. Sono parecchi. Ma dobbiamo considerare l'origine irlandese di Lewis. >

< Assolutamente sì. Il suo accento è chiaramente irlandese, un dettaglio che non si è preoccupato di nascondere, nemmeno un po'. Gli irlandesi sono molto orgogliosi della loro cultura e Lewis non è da meno. >

Holmes rimase per qualche istante in silenzio:< C'è un localetto nella bassa Londra frequentato da molti irlandesi. Si fuma oppio, si beve birra e cose del genere. Scommetto che Lewis è un cliente abituale. >

Catherine annuì ma i suoi pensieri erano rivolti a tutt'altro.

< Immagino si stia chiedendo come sta Lestrade. > fece Holmes vedendola immersa nei suoi pensieri.

La ragazza disse di sì.

< La dose di arsenico che Lestrade ha ingerito a stomaco vuoto avrebbe significato morte certa. Ma per fortuna aveva fatto un abbondante cena prima di venire da lei e si è salvato per un pelo. > la rassicurò Holmes.

Catherine balzò in piedi, prese il soprabito e aprì la porta.

< Ma dove va? > domandò Holmes alla ragazza.

< Oh, lo sa benissimo. Tenga a bada Queenie, è un vero terremoto. Potrebbe distruggerle l'appartamento. > fece sbattendo la porta.

Queenie sospirò e si sedette al posto della zia.

< Chissà se Lestrade le farà la proposta. > pensò ad alta voce lui.

La bambina scosse la testa:< Zia Catherine non è innamorata di lui. Dirà di no. >

Holmes non replicò e si sedette in poltrona a fumare la sua amatissima pipa.

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Capitolo 10
*** Lestrade all'ospedale e l'uomo dagli occhi di ghiaccio ***


L'ospedale era più grande di quanto Catherine ricordasse.

Medici e infermieri correvano da una parte all'altra del cortile, altri facevano una pausa e si fumavano una sigaretta.
Il cortile del palazzo pullulava di agenti di Scotland Yard in borghese e poliziotti con indosso la classica divisa.
Molti appena appreso quello che era successo a Lestrade erano andati a fargli visita.
Tra questi Catherine notò Tobias Gregson, allievo modello di suo padre e Larry McAfeer, giovane poliziotto di pattuglia nei pressi dell'hotel Rosemary.
La ragazza sapeva che molto probabilmente non le avrebbero permesso di vedere Gregory.
Doveva trovare un modo per entrare senza dare troppo nell'occhio.
< Signorina Andrews? > domandò qualcuno.
Catherine si girò, era McAfeer. Un giovanotto tondeggiante dai folti baffi biondi.
< Buongiorno agente McAfeer. > sorrise lei:< Cosa ci fa qui? Ha cambiato zona? >
L'agente sorrise.
< No, no. Sono venuto a trovare l'ispettore Lestrade ma non hanno fatto entrare nessuno tranne Wensley. > rispose Larry:< Brutta faccenda comunque. Sospetto avvelenamento o più probabilmente colera. >
< Sospetto avvelenamento? > ripeté la ragazza stupita.
< Sì. Sospetto, i risultati tardano ad arrivare. >
Catherine scosse la testa:< Non ci credo. Avrebbero già dovuto capire, i sintomi c'erano, Watson lo ha confermato! Dovrebbero aver già fatto il test di Marsh! >
< Il che? >
< Non ha importanza. Avranno fatto altri esami, spero. > così dicendo prese dalla borsa due sterline.
< Devo incontrare Lestrade. > fece lei a bassa voce, allungandogli i soldi come se stesse passando una mazzetta.
< Va bene, ma perché? >
< Devo vedere come sta. >
Larry, confuso, alzò un sopracciglio.
< Perché? Non li ha letti i giornali? Ieri sera aveva mezzo piede nella fossa. >
< Certo che li ho letti! > replicò una scocciatissima Catherine:< Ma devo vederlo. >
< State assieme? Tu e Lestrade? >
< Cosa?! No, non ancora, non stiamo assieme. > replicò la giovane sempre più innervosita:< Per me è come un fratello. Devo vederlo McAfeer. >
Il poliziotto grassottello annuì.
< Voi lo amate. D'accordo, ma i miei superiori porterebbero lamentarsi. Non hanno fatto entrare noi, figuratevi se voi riusciste a vederlo! >
< Fate qualcosa perché questo accada. Create un diversivo perchè possa entrare inosservata. > disse la ragazza allontanandosi da lui.
< Quale diversivo? > McAfeer non brillava certo in iniziativa.
< Qualsiasi. Ma fatemi passare, vi prego. >
L'agente annuì e finse di aver visto uno scippatore dall'altra parte della piazza.
Molti corsero dietro al fantomatico ladro e Catherine entrò nel grande complesso ospedaliero senza essere notata.
Salì le scale e domandò a un infermiera dove stesse l'ispettore.
La giovane le indicò una stanzetta poco illuminata da dove uscì il capo di Scotland Yard, i due si scontrarono.

< Chi è questa donna? Perchè è qui? > domandò l'uomo rivolto all'infermiera che si limitò a fargli spallucce.

< Mi chiamo Catherine Andrews. > replicò lei tranquillamente:< E voi siete? >

< Il direttore di Scotland Yard. > sbottò l'uomo offeso:< Un attimo. Catherine Andrews? >

Lei annuì.

< La figlia di Robert Andrews? >

< In persona. >

< Quanto tempo. Non l'ho riconosciuta, mi perdoni. > si scusò imbarazzato:< Vostro padre fu mio maestro, all'epoca. >

< Immaginavo. > sorrise la ragazza.

< Lo...immaginavate? >

Catherine disse di sì:< Mi stavate scrutando prima, proprio come faceva il mio defunto padre. >

< Beh, vostro padre era un investigatore eccezionale. Ma a quanto pare vi siete rivolta al massimo esperto nel campo del mistero e della deduzione, siete in qualche guaio? > le chiese porgendole il bigliettino da visita di Sherlock Holmes.

Doveva esserle caduto dalla tasca a causa dello scontro di poco prima.

La ragazza sospirò e riprese in mano il biglietto:< Non proprio. Sto indagando per conto mio. >

< Non sarete un investigatore privato! >

Catherine lo guardò male:< Agente della Pinkerton. > fece omettendo volontariamente il fatto del licenziamento.

< Ah già. Vostro padre si era messo a lavorare alla Pinkerton dopo il matrimonio. Quindi avete seguito le sue impronte. >

< Più o meno... > replicò la ragazza. Poi cambiò argomento:< E Lestrade? >
< E' stato avvelenato. > ribattè Wensley:< Arsenico. >

< Sì, lo so. >

< E come fate a saperlo? >

< Perchè siamo stati avvelenati entrambi. >

< Entrambi?! >

< E' una faccenda lunga e complicata da spiegare. E questo non è il luogo adatto.>

Wensley annuì grave:< Ha ragione, venga a Scotland Yard domani e ne riparleremo. >

Detto ciò l'uomo si rimise il cappello in testa e se ne andò.

Catherine si fece coraggio ed entrò nella stanza.
Gregory appena la vide le sorrise, un sorriso molto timido che sparì poco dopo.
Catherine sentì le lacrime salirle agli occhi ma cercò in tutti i modi di trattenerle.
Prese una sedia e si sedette accanto al suo letto. Era così pallido, così debole.
Non sapeva cosa dire, le parole proprio non venivano. Erano rimaste tutte bloccate in gola.
< Mi dispiace. > riuscì a dire scoppiando in singhiozzi.
< Non è stata colpa tua... > cercò di ribattere lui con una voce debole debole.
< Invece sì Gregory! Avrei dovuto accorgermi che quello champagne era avvelenato, maledetto Lewis, dovevo capirlo. > esclamò disperata la ragazza mentre le lacrime cadevano sempre più copiose.
< Catherine... >
< Potevi morire. >
< Sono qui Catherine. > replicò Gregory.
< Lo so ma è stato davvero un miracolo. Non so cosa avrei fatto se...>
Gregory afferrò la mano con la sua con delicatezza.
< Va tutto bene Catherine. >
< Non va tutto bene. > fece la giovane sempre piangendo:< Io ti voglio bene Gregory. Non avrei sopportato l'idea di perderti. Ho già perso troppe persone a cui volevo bene per colpa di questo stramaledetto caso. >
Lestrade le fece mezzo sorriso.
< È andato tutto bene... >
< La situazione è molto grave, te ne rendi conto? Potresti avere una ricaduta. Potresti morire. >
< Catherine non ci sono altre braccia fra le quali vorrei morire... >
fece Catherine in singhiozzi abbracciando forte l'ispettore.
Lui le asciugò le lacrime che ancora le cadevano dagli occhi.
< Non ti abbandonerò Catherine. >
Catherine sorrise fra le lacrime. Erano così vicini.
Sarebbe bastato un leggero movimento del capo e le loro labbra si sarebbero unite.
E così avvenne. Fu una cosa piuttosto breve.
Catherine si staccò da lui rossa come un pomodoro.
Gregory le sorrise ancora.
< Credo... io devo proprio andare.. > fece lei alzandosi di fretta.
< Tornerai? >
< Sì io... ho solo bisogno di una ciocca di capelli. >
Lestrade fece segno di aver capito e gli diede l'ok.
Catherine ne prese giusto un ciuffo nerissimo.
< Test di Marsh? >
Catherine annuì.
< Quando tornerò avrò dei risultati Gregory. E avrò trovato Lewis, te lo prometto. > gli promise la ragazza stringendo forte i capelli neri in una mano.
Gregory la fissò sempre sorridente, il suo sguardo voleva dire solo una cosa:< Lo so. >

La ragazza uscì di gran fretta, stava per andarsene quando un'altra figura gli venne incontro nel corridoio.

Il suo sguardo era gelido più del ghiaccio, Catherine rabbrividì solo a vederlo.

Chi era? Un agente di Scotland Yard? Poteva benissimo essere un criminale, quegli occhi facevano davvero paura.

Entrò nella stanza di Lestrade. Catherine se ne andò velocemente e ritrovò McAfeer nel cortile mentre mangiava una ciambella.

< Tutto bene? > domandò lui:< Sembrate sconvolta. >

< Sto bene. > replicò la ragazza:< Che ora è McAfeer? >

< Ora di pranzo. Sto morendo di fame. >

< Andiamo a pranzo allora. > fece Catherine e l'agente la seguì tutto contento.

Era convinta di aver già visto quella faccia da qualche parte, ma dove?

I due si sedettero al tavolo ma la ragazza era inquieta. Mangiò di fretta e salì in carrozza.

< Dove è diretta?> domandò il conducente.

< Baker Street. > disse lei, poi si girò di scatto.

< Tutto bene? > chiese l'uomo.

Catherine annuì e lui partì. Le era sembrato di vedere in una vetrina il riflesso dell'uomo di prima fissarla di nascosto. Era solo un impressione o la stavano davvero spiando?

Cercò di non dare troppo peso alla cosa. Forse se l'era solo immaginato...

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Capitolo 11
*** Perchè Scotland Yard non vuole ascoltarmi?! ***


< Lo è, lo è! > esclamò Sherlock euforico mostrando alla ragazza l'esperimento.
Catherine sorrise a metà.
< Vedete? Si sono formate delle macchie nere proprio li. > e le indicò.
La ragazza sorrise anche se non ci capiva molto di chimica.
< Non si intende troppo di chimica, vero? >
Catherine sospirò.
< Sono un detective non uno scienziato. > replicò irritata:< E comunque non sono venuta da lei per essere giudicata ma per il test di Marsh. >
Holmes alzò gli occhi al cielo:< Il test è positivo, come può ben vedere. >
< Lo vedo eccome. Almeno non mi prenderanno per pazza quando lo dirò a Scotland Yard. >
Holmes la fissò confuso:< Credo di non aver capito bene. Ha detto Scotland Yard? >
< Sì. L'ho detto. Ho appuntamento con Wensley oggi. > replicò Catherine con una serenità quasi irritante.
< Lei è una donna troppo precipitosa. Non ha nemmeno delle prove, come convincerà Scotland Yard?! > esclamò Sherlock.
< Perché non dovrebbero credermi? In questi mesi ho scoperto delle informazioni molto interessanti che sicuramente gli interesseranno. > ribatté la giovane con forza:< Non cerco la gloria, voglio solo giustizia. >
Sherlock annuì:< Non la ascolteranno. >
< È perché sono una donna, non è così? > si arrabbiò Catherine.
< Sì. >
< Grazie per la sincerità Holmes. >
< Non voglio darle false aspettative. > ribatté il detective:< Ma se vuole verrò con lei e le darò ragione. Così non le daranno dell'isterica appena accuserà Lewis senza un apparente senso logico. >
Catherine rimase piuttosto sorpresa dalla sua proposta.
< Signor Holmes state lavorando a un caso molto importante al momento. Perché volete venire con me? Me la so cavare benissimo da sola. >
Holmes si sedette sulla poltrona proprio di fronte a lei:< I banchieri possono aspettare, non è un caso della massima importanza. Questo invece è un caso estremamente interessante. >
< Dice davvero? >
Lui annuì.
< Oh, bene. > disse la ragazza tutta contenta:< Quando partiamo? >
< Subito. O ha qualcosa di meglio da fare? >
< No, incontrare il capo della polizia è il mio unico appuntamento oggi. >
Durante il viaggio la ragazza divenne particolarmente silenziosa.
< Cosa è successo di grave da renderla così taciturna? >
< Ho perso tutto dell'incendio dell'hotel Rosemary. Dopo aver risolto questa faccenda mi toccherà accettare l'impiego di governante offerto dalla signora Bertha. >
< A Londra? >
< Galles. >
< Magari deciderà di restare. >
< No Holmes. Non ho motivi per restare. La signora Bertha è stata molto gentile a suggerirmi come governante a un suo caro amico. Non troverò impiego migliore in termini di gentilezza e anche la paga non sembra male. >
< Pensavo volesse fare la detective. >
< Non ho possibilità in questo campo. Lo sa meglio di me. > sbottò la ragazza mentre gli occhi si riempivano di lacrime di rabbia.
Sherlock capì e le prese le mani con una dolcezza che raramente concedeva.
< Voi siete troppo intelligente per un mondo di misogini come me. >
Catherine sorrise tra le lacrime.
In breve tempo raggiunsero Victoria Embankment e salirono le scale che portavano l'ufficio di Wensley.
Vennero accolti dal detective in persona che si stupì molto per la presenza di Holmes.
< Allora. Mi dica tutto quello che sa. >
Catherine guardò Sherlock come alla ricerca di un consiglio, lui le fece capire di non preoccuparsi e parlare tranquillamente.
Catherine raccontò al giovane direttore ogni cosa.
La morte sospetta del padre e del fratello, l'omicidio di Davidson, l'avvelenamento ai danni suoi e di Lestrade, l'incendio del Rosemary e il sospettato numero uno: Gordon Lewis.
Frederick aveva ascoltato tutto in silenzio.
Appena il racconto terminò il direttore scosse la testa.
< La faccenda sembra grave. >
< Lo è. >
< Tuttavia non posso intervenire sulla base di illazioni. > replicò lui.
< Non sono illazioni. > ripeté la ragazza decisa:< Sono fatti concreti. >
Wensley sospirò e fece uscire Sherlock dall'ufficio.
< Signorina Andrews le sue abilità sono innegabili. Ma ci sono alcune cose che mi sfuggono, come il fatto che i presunti assassini di vostro padre erano italiani e invece Lewis è irlandese. C'è sempre stata una grandissima rivalità fra la malavita irlandese e quella italiana, mi sembra quasi improbabile che abbiano collaborato. >
< Lo so, lo so. Non posseggo tutti i pezzi del puzzle però... >
Wensley scosse la testa ancora una volta.
< Ci stiamo occupando di questa associazione da anni. Il detective Forster è un uomo molto abile, ho piena fiducia in lui. >
La ragazza provò a protestare debolmente ma Wensley la invitò a lasciare la stanza e raggiungere Holmes.
Nel frattempo Sherlock aspettava la giovane donna seduto su una sedia in corridoio.
Poco dopo venne raggiunto da un ispettore.
< Holmes? >
Il detective alzò la testa e quasi sobbalzò.
< Cosa diavolo ci fa qui? > ruggì lui.
< Nulla di che. Ho semplicemente accompagnato una mia cliente a Scotland Yard. > ribatté Sherlock senza muovere ciglio.
< Non le avevo proibito di mettere piede in agenzia? >
< Solo nelle sue indagini Forster. Non si preoccupi, non ho intenzione di intralciare le sue ricerche. >
< Holmes chi vuol prendere in giro? Lo sanno tutti che voi andate in giro sparlando di Scotland Yard, ma questa volta non la passerete liscia. >
Catherine uscì dall'ufficio e si trovò davanti ai due litiganti.
< Io e la mia cliente stavamo giusto andando via. > disse poi Holmes facendo segno a Catherine di muoversi.
< Cliente?! No, per niente. Collega. Sono un agente della Pinkerton. E lei dovrebbe trattare come si deve il signor Holmes. > lo reguardì Catherine fissando in modo truce l'ispettore.
Ma appena i loro occhi si incrociarono per poco non ebbe un colpo al cuore. Era lui!
L'ispettore dagli occhi di ghiaccio.
Catherine dovette fare appello a tutto il suo sangue freddo per non cedere al suo sguardo gelido e malvagio.
Sherlock la tirò via in malo modo e i due si ritrovarono presto il carrozza.
< Chi era? > domandò all'improvviso Catherine con un tremito nella voce.
< Chi? >
< L'ispettore. >
< Forster. Colui che indaga da anni sul traffico illecito fra nuovo e vecchio continente. >
< E sulla faccenda Gragiano o come diavolo si chiama. >
< È così. Non è uno stupido ma odia ed è odiato da tutti. Mai vista una persona così a Scotland Yard. >
< Vi ha trattato male. Come si è permesso? > si arrabbiò la ragazza.
< Ha fatto di peggio. Mi ha impedito di lavorare al caso e mi ha denunciato per intralcio alle indagini. Due volte. >
Catherine lo guardò stupefatta:< Vi ha denunciato? >
< Sì, non ho potuto investigare su questa faccenda per causa sua. >
< Ecco perché non avete accettato di aiutarmi subito col caso. Sareste potuto finire dietro le sbarre. >
< È così, anche se il caso è davvero molto interessante. Adesso nessuno dei due potrà investigare in questa direzione. >
< Ma perché poi siete corso da me alla notizia della morte di Davidson? > chiese ancora lei:< Perché rischiare tanto? >
Sherlock non rispose. Forse il perché non lo sapeva nemmeno lui o forse non voleva dirlo.
Catherine era arrivata a destinazione.
Ruther Road. La casa di Rose Smith, la vedova ricchissima e vecchia amica di Catherine che si era offerta subito di ospitarla dopo il tremendo incidente all'hotel Rosemary.
Catherine se ne andò senza dire una parola.
Era un concentrato di emozioni contrastanti.
Era triste perché era convinta che il caso sarebbe caduto nel dimenticatoio.
Era confusa perché non capiva il comportamento di Holmes nei suoi confronti.
Era angosciata perché Lestrade era ancora all'ospedale in condizioni critiche.
Era spaventata a morte perché gli occhi gelidi di Forster l'avevano incontrata ancora una volta.
Era terrorizzata perché sapeva di aver già visto da qualche parte durante le indagini quello sguardo omicida ma non sapeva ne dove, ne quando.

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Capitolo 12
*** Mi vuoi sposare? ***


Catherine si svegliò di soprassalto nel cuore della notte.
Accese la lampada sul comodino e diede una rapida occhiata alla stanza.
Queenie dormiva beatamente abbracciata alla sua nuova bambola ( Dolly aveva fatto una brutta fine nell'incendio dell'hotel ).
Sembrava tutto regolare.
Catherine andò alla finestra e guardò giù.
Non c'era nessuno tranne un barbone ubriaco che barcollava per la strada, tuttavia le sembrò di vedere con la coda dell'occhio un ombra in fuga.
Aprì la finestra di scatto con il solo risultato di svegliare Quennie.
La bambina si mise a sedere sul letto.
< Che ore sono? > domandò lei con la voce impastata dal sonno.
Catherine chiuse la finestra e si rivolse alla bambina:< È presto tesoro, dormi. >
Queenie si rimise sotto le coperte senza troppe storie.
Catherine tornò a letto ma non riuscì a prendere sonno.
Erano due settimane che andava avanti così.
Aveva l'impressione di essere inseguita e spiata giorno e notte.
Aveva riferito i suoi sospetti a Gregory che le aveva caldamente consigliato di dire tutto a Scotland Yard.
Anche se aveva seguito i consigli di Gregory la polizia si era completamente disinteressata alla faccenda e Catherine era rimasta sola.
Anche Holmes, immerso nel caso di alcuni banchieri ricattati, non si era fatto più vedere o sentire.
La mattina stessa la ragazza uscì di casa un ora prima per fare visita a Lestrade.
Il Big Ben suonò le otto. Era in anticipo di quasi un'ora ma a Catherine poco importava.
Sarebbe stata più tempo assieme a Gregory, l'unico a non averla mai abbandonata.
Salì le scale del Charing Cross con calma, i visitatori erano pochi e l'ospedale era praticamente deserto.
Sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe fatto visita a Gregory in ospedale. Lo avrebbero dimesso il mattino seguente dopo quindici giorni di ricovero.
Lo trovò nel letto placidamente addormentato.
Catherine sorrise e aspettò che si svegliasse, cosa che avvenne qualche minuto più tardi.
Gregory fece mezzo sorriso.
Parlarono a lungo come al solito. Discussero delle ultime notizie di cronaca, del nuovo lavoro di Catherine e del suo imminente trasferimento in Galles.
Poi la conversazione prese una piega del tutto inaspettata.
< Puoi farmi un favore Catherine? > domandò a un tratto lui.
< Ma certo Gregory. > replicò Catherine:< Di che si tratta? >
< Mi porgi la giacca per favore? >
Catherine si alzò e prese il giubbotto nero dall'appendiabiti.
Era la stessa giacca che indossava la notte in cui erano andati a teatro.
Catherine gli e la porse. Gregory frugò nelle tasche per un bel po', la ragazza divertita si sedette nuovamente accanto a lui.
Con un sospiro di sollievo Gregory tirò fuori una scatoletta nera piuttosto anonima.
< Sai, volevo chiedertelo quella sera ma con tutto quello che è successo... > farfugliò lui aprendo la scatola:< Mi vuoi sposare Catherine? >
La ragazza lo guardò stupefatta.
< Gregory....cosa... >
< Io ti amo, ti amo davvero. E non solo come un vecchio amico di famiglia.
Quando ti ho rivista ho capito che i miei sentimenti per te erano cambiati. Non sei più una ragazzina ma una donna matura e bellissima. >
< Io... non... > balbettò la ragazza confusa.
< Mia cara piccola Catherine so che la cosa ti ha colto di sorpresa. Ma ti posso assicurare che i miei sentimenti per te sono sinceri. Inoltre Queenie avrà bisogno di un padre e il mio Jeremy di una mamma dolce e comprensiva come te. >
La ragazza annuì e il suo sguardo tornò all'anello.
< Io sono solo molto stupita. > replicò Catherine sorridendo, anche se si aspettava la proposta di Gregory da diverse settimane:< Ho bisogno di tempo per pensarci, sono così confusa al momento. >
< So che hai bisogno di un po' di tempo. > sorrise lui:< Non ti preoccupare Catherine. >
La giovane annuì e si rifugiò fra le sue braccia.
< Va tutto bene Catherine? > chiese lui:< Quando mi abbracci così c'è sempre qualcosa che non va. >
Catherine lo strinse più forte.
Diventare la moglie di Gregory?
Certo, lei gli voleva un gran bene ma non era sicura che si trattasse di amore.
Ma bisognava pensare anche alla piccola Quennie. Chi si sarebbe occupato di lei durante il suo lavoro di governante?
< Ho paura Gregory. > fece allontanandosi.
< Paura di cosa? > chiese lui in apprensione.
< Di tutto! Sono in pericolo, non so dirti di che tipo e chi mi sta minacciando però... >
Lestrade le sorrise rassicurante ancora una volta:< Stai tranquilla, non ti succederà niente. Parola mia. Finché sarò al mondo non ti succederà niente di niente. >
Si sporse verso la ragazza e i due si baciarono di nuovo.
Un bacio lungo, dolce e passionale.
Poi Catherine aprì leggermente gli occhi e scaraventò Gregory da una parte. Afferrò senza un attimo di esitazione la pistola dalla sua borsetta e sparò tre colpi, tutti a vuoto e in direzione della finestra, mandandola in frantumi.
Gregory che non aveva capito quello che era successo fissò la ragazza sbigottito.
< Non ci posso credere. > fece la ragazza aiutando Gregory a rimettersi a letto:< Gordon Lewis. >
< Lewis?! >
< Era qui! Fuori dalla finestra. Aveva in mano una pistola calibro 10 e la puntava contro di te, contro di noi! Ho visto la sua maledetta faccia. > ribatté lei sconvolta.
Il rumore degli spari aveva attirato l'attenzione dei medici dell'ospedale.
Uno di loro entrò in stanza come una furia:< Cosa le salta in mente?! > e le strappò la pistola scarica dalle mani.
< C'era un uomo alla finestra! > replicò la ragazza:< Voleva sparare al signor Lestrade ma sono riuscita a impedirlo. >
< Lei è proprio matta! Fuori di testa! > si infuriò il dottore:< Ha anche le allucinazioni? Nessuno ha tentato di sparare a Lestade. Inoltre è un ospedale come diavolo le viene in mente di sparare?! Qui la gente sta male e ha bisogno di riposo. Dovrebbe essere ricoverata in un ospedale psichiatrico. >
< La ragazza qui presente mi ha appena salvato la vita. > intervenne Gregory in sua difesa.
< Mi scusi? >
< Mi ha salvato la vita. > replicò lui alzandosi dal letto con qualche difficoltà:< Dovreste ringraziarla invece che farla passare per pazza. >
Arrivò anche il poliziotto di guardia che per fortuna di Catherine era McAfeer.
< Ho visto tutto dal cortile. > confermò lui:< Era un uomo grande e grosso. Ha perso una pistola calibro 10 durante la fuga. > e mostrò la rivoltella al medico.
Lui poco convinto annuì.
< Lei non me la racconta giusta signorina. Ma ho piena fiducia in Scotland Yard. Se dicono che è andata così, è andata così. Farò riparare quel vetro quanto prima. >
Il medico girò i tacchi e se ne andò senza aggiungere altro.
Catherine fissava Gregory confusa e preoccupata.
< Non avere dubbi Catherine. > disse lui come se gli avesse letto nel pensiero:< Vai subito a Scotland Yard e riferisci ogni cosa. Questa volta ti ascolteranno, sarebbero pazzi a non farlo! >
Catherine disse di sì. Lui le infilò l'anello al dito.
< Promettimi che ci penserai. >
< Ci penso all'istante in cui me l'hai chiesto. > replicò la donna e non era una bugia.
Catherine andò quindi a Scotland Yard assieme a McAfeer e raccontò il tutto.
Nonostante ci fossero prove più che evidenti di quello che era successo Catherine non venne ascoltata.
Anzi, i due vennero praticamente cacciati a calci dell'edificio da un furioso Forster.
Nonostante apparisse calma Catherine ribolliva di rabbia. Non sopportava essere trattata così.
< Che cosa facciamo? > domandò allora McAfeer.
< Non so. Vuole davvero aiutarmi? >
< Certo signorina Andrews. > ribatté l'agente senza esitazione:< Da dove iniziamo? >
< Beh, la prima cosa da fare è trovare Lewis. Conoscete un locale irlandese da quattro soldi ma frequentato anche da gente più o meno altolocata dove si beve e si fuma oppio? >
< Ci sarebbe il Cork, ma il Sun Susy corrisponde decisamente di più alla vostra descrizione. Si trova al porto, accanto ai magazzini. >
Catherine annuì.

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Capitolo 13
*** Il Sun Susy ***


Due losche figure si aggiravano per il fumoso porto di Londra.
Camminavano lentamente e nel silenzio più assoluto attraverso la nebbia che avvolgeva le banchine.
A un tratto si fermarono e la figura più magra si tolse il cappuccio.
< Bene. > fece Catherine:< Il posto dovrebbe essere questo. >
McAfeer annuì.

Davanti a loro si stagliava una piccola casa malandata su due piani.

C'era anche un un insegna ormai scolorita dal tempo e dalla pioggia sulla quale c'era scritto SUN SUY, a caratteri cubitali.

Catherine si fece coraggio e bussò alla porta con una piccola finestrella.

Per qualche minuto non accadde nulla e i nostri rimasero in attesa, finalmente la piccola finestra si aprì.

< Sì? > domandò una vecchietta con un enorme neo sul mento.

< Sono una povera moglie alla ricerca di suo marito. Vi prego fatemi entrare. > rispose Catherine fingendosi disperata.

La vecchia sospirò e fece entrare i due.
Il locale era una bettola dai muri neri incrostati di fumo, dall'unica finestra dai vetri luridi si intravedeva un barbone che chiedeva l'elemosina.

< E lui? > domandò lei indicando McAferr.

< E' mio fratello. > rispose prontamente Catherine.

La vecchia fece spallucce e se ne andò senza fare altre domande.
< Mi sento un idiota con questi vestiti addosso! > si lamentò lui, mostrando alla ragazza i pantaloni sporchi di grasso, la giacca sgualcita e il vecchio cappello di fabbricazione irlandese.
Catherine si mise a ridacchiare.
< Lavorare in incognito ha i suoi svantaggi, ma non si preoccupi. Sarà una cosa veloce. >
In realtà Catherine non sapeva cosa sarebbe successo, anche se poteva immaginarlo.
Molte volte quando lavorava alla Pinkerton aveva dovuto lavorare sotto copertura, ma non conoscendo in modo approfondito l'ambiente la mossa ora le sembrava piuttosto azzardata.
E forse alquanto stupida.
Ad ogni modo il Sun Susy sembrava il posto giusto.
Poco dopo il loro arrivo si presentò loro un ometto piccolo e isterico che rispondeva al nome di mister Gralan O'Murray.
Era un nome tipicamente irlandese e anche il suo accento era spiccatamente gaelico.
La ragazza disse all'uomo di essere una moglie premurosa che non vedendo arrivare il marito a casa si era molto preoccupata e sapendo la sua dolce metà dipendente dall'oppio aveva pensato bene di andare a cercarlo nei locali dove spesso si recava.
Lui annuì. Non era un tipo molto sveglio e credette subito alla storia della ragazza.
Fece salire i due al piano superiore dove stavano i clienti.
McAfeer storse il naso. La puzza di oppio era quasi insopportabile.
Era una stanza molto grande. Catherine si stupì del numero di persone presenti all'interno.
Dovevano essere un centinaio e tutti ammassati gli uni sugli altri.

La stanza era praticamente buia, illuminata solo da una lampada a petrolio, sporca come il resto del Sun Susy.
McAfeer notò con una certa repulsione i volti dei tanti clienti del locale.

Non aveva mai visto gente del genere, era sempre stato di pattuglia nelle zone benestanti della città e quasi mai si avventurava in quelle malfamate.

Anche Catherine che spesso in passato aveva frequentato locali di questo tipo nella New York più malfamata non aveva mai visto una scena del genere.

Il vizio dell'oppio era sicuramente più diffuso in Inghilterra rispetto agli Stati Uniti.

Ad ogni modo i due iniziarono a cercare fra le cuccette Gordon nonostante la poca luce e la densa cortina di fumo grigiastro.
< Lewis? > domandò McAfeer, mostrando alla ragazza un uomo che più o meno corrispondeva alla descrizione di Gordon.
Catherine scosse la testa.
Avrebbe voluto fare qualche domanda ai poveretti che si trovavano lì ma in quelle condizioni sarebbero stati di scarso aiuto alle indagini.

L'uomo di prima soffiò in faccia all'agente facendolo tossire copiosamente.

Catherine sbuffò. Forse avevano fatto un buco nell'acqua.

Era il caso di fare qualche domanda alla vecchina di prima? Si sa, le vecchie sanno sempre tutto di tutti.
Un giovane indiano si avvicinò alla ragazza e domandò se volesse unirsi a lui per una fumatina.
Lei rifiutò e approfittando dell'occasione chiese se avesse visto un tipo come Lewis da quelle parti.
L'indiano si mise a ridacchiare e poi le disse:< Un informazione costa cara. >
< Tieni. > fece la giovane e gli mise in mano due sterline.
< Non bastano. > replicò lui sempre sghignazzando.
Catherine si stava innervosendo. Avrebbe tanto voluto tirargli un cazzotto su quei denti ingialliti dal fumo.
< Dimmi quello che sai e in fretta. > ripeté mettendo altre due sterline in mano al ragazzo.
Lui sorrise ancora:< Il signor Lewis viene qui molto spesso e spende molti soldi. Sapete, la droga, cioè l'oppio costa caro e a lui ne serve più degli altri, perché è un uomo molto grosso. La dose che generalmente diamo a una persona normale non gli fa niente. >
< Quanto spende esattamente? >
< Non saprei dirle di preciso... ma so che è pieno di debiti. Spende sicuramente più di quanto incassa, abbiamo deciso di non fargli più credito. Ma lei non era qui per cercare suo marito? >

< Oh, beh, sì. Ma i due sono molto amici e dove è uno, c'è anche l'altro. >

< Belli gli amici di suo marito. > commentò lui.
Catherine annuì.

Le informazioni ricevute avevano sicuramente chiarito un po' la strana relazione criminale tra un italiano e un irlandese.
In America, e specialmente a New York, c'erano spesso delle grosse liti fra i due gruppi.
In alcuni casi si era parlato di una vera e propria guerra.
Insomma, irlandesi e italiani non si potevano vedere.
O almeno questo era quello che succedeva tra le bande criminali o per essere più precisi nella mafia.
Con ogni probabilità il responsabile di tutto questo si era offerto di pagare i debiti a Lewis se questo avesse compiuto al suo posto alcuni gesti non proprio encomiabili.
Era una mossa astuta.
Nessuno avrebbe collegato un irlandese alla mafia italiana. Si odiavano troppo per pensare anche solo di collaborare!
In fondo Lewis era solo un povero disgraziato.
< Ecco, giustappunto. Il signor Lewis. > disse l'indiano indicando alla ragazza l'ombra di un omone grande e grosso che saliva le scale.

< Non gli dica che siamo qui. > fece lei, mettendo mezza corona in mano al giovane.
Poi afferrò McAfeer e i due si nascosero dietro a una pila di clienti sotto l'effetto della droga.

L'indiano mise la moneta in tasca e si avvicinò a Lewis.

< Signor Lewis. > lo salutò cordialmente.

Lui rispose con un grugnito.

< La mia cuccetta è occupata. > ringhiò lui strattonando il povero indiano.

< Beh, non è mica la sua. > replicò il giovane liberandosi dalla sua stretta.

Lewis si avvicinò al giaciglio e senza troppa difficoltà, scaraventò i poveretti che ci stavano sopra dall'altra parte della stanza, proprio addosso a Catherine e McAfeer.

Uno dei malcapitati colpì in faccia McAfeer che trattenne a stento un grido.

< La dose Kid. > fece rivolto alla giovane.

< Intende la dose doppia? >

< No tripla. >

< Tripla?! > ripetè sconvolto l'indiano:< Ma sa quanto costa?! >

< Certo Kid. > replicò Lewis ghignando.

L'indiano scosse la testa.

< Non facciamo più credito. > disse facendo per andarsene.

< Non è più un problema. > rispose Lewis mostrando un borsellino pieno di monete sonanti.

Il ragazza afferrò il pacchetto un po' dubbioso e lo aprì. Per poco non ebbe uno shock.

< Ma... da dove arrivano tutti questi soldi?! > gli chiese il giovane sconvolto.

< Non farti troppe domande Kid. Ci sono dentro i soldi per una dose tripla e per tutte le volte che mi avete fatto credito, con gli interessi. > spiegò lui.

Il ragazzo continuava a fissarlo con la bocca aperta per lo stupore.

< Vai a prendere l'oppio e portamelo. Senza domande Kid, è un consiglio. >

Il ragazzo benchè fosse rimasto piuttosto scombussolato da tutti quei soldi eseguì l'ordine.

Lewis si accese la pipa e rimase così per quasi tutta la notte.

Catherine sospirò, sarebbe stata una notte mooolto lunga.

Passarono due lunghissime ore.
McAfeer stava per impazzire e anche Catherine non stava troppo bene in quella stanza satura di fumi velenosi.
Finalmente Lewis si alzò e barcollando si diresse verso l'uscita.
< Presto. > sussurrò la giovane al poliziotto:< Inseguiamolo, dobbiamo vedere dove va e con chi si vede. >

L'agente annuì, felice di togliersi da quel tanfo nauseante.

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Capitolo 14
*** La banda del magazzino portuale ***


Lewis barcollando si fece strada fra le banchine.

Catherine e McAfeer lo seguivano a debita distanza.

Il povero agente era ancora intontito dai fumi tossici del Sun Susy e spesso sbandava rischiando di cadere nelle acque del Tamigi.

Catherine cercava di evitare a McAfeer di ruzzolare per terra e in contemporanea di inseguire Lewis.
La strada era un vero e proprio percorso a ostacoli.
Per tutto il tragitto fu un continuo evitare vecchie botti, marinai ubriachi persi, il barbone che aveva intravisto al Sun Susy e diverse prostitute che passeggiavano per le viuzze poco illuminante del porto alla ricerca di clienti da soddisfare.
Per non parlare del pantano che rendeva la strada lastricata molto più scivolosa del normale.
Finalmente Lewis si fermò davanti a un grande magazzino a prima vista abbandonato.
Si guardò nervosamente attorno, come se avesse intuito che lo stavano pedinando.
Catherine e McAfeer nascosti dietro a una cassa di legno marcio trattennero il respiro.
Si sentì il cigolare di una porta e Lewis entrò nel deposito.
Catherine uscì allo scoperto e con molta cautela si avvicinò alla porta rimasta socchiusa.
Nonostante il magazzino fosse stato trascurato da anni come ben dimostravano i segni di decadenza era chiaro che qualcuno lo stesse usando come punto di ritrovo.
Catherine sbirciò dentro.
C'erano due tavoli illuminati da alcune lampade a olio, una rudimentale stufetta, molti fogli sparsi e diversi uomini che parlavano tra di loro.
Doveva riuscire a entrare, ma non dalla porta principale. Bisognava trovare un altro ingresso.
Poco più in là scorse un pezzo di muro crollato che le avrebbe permesso di entrare senza troppi problemi.
McAfeer invece ebbe qualche difficoltà in quanto il buco era piuttosto stretto e lui alquanto largo.
I due sbucarono dietro a delle casse abbandonate dove rimasero per ascoltare i discorsi del gruppetto.
< Quindi non è ancora morta? > fece uno.
< No. > replicò Lewis:< Ma presto lo sarà, ve lo assicuro. >
< Presto, presto... > l'uomo tirò un calcio al tavolo dalla rabbia.
< DOVEVA ESSERE GIÀ MORTA LEWIS! Morta e sepolta! Come suo padre! E suo fratello! E Davidson! >
Catherine trattenne il fiato, stavano parlando di lei!
Gordon un po' spaventato dalla reazione così violenta cercò di minimizzare la cosa.
< È tutto sotto controllo. > replicò cercando di tranquillizzare il suo interlocutore :< Catherine Andrews è una donna estremamente abile ma è rimasta sola, il signor Holmes è troppo impegnato per aiutarla. Sarà un gioco da ragazzi eliminarla. >
La risposta non fece altro che peggiorare le cose.
< Ora basta Lewis. > disse un secondo uomo:< Ti abbiamo dato tutti quei soldi perché ammazzassi la ragazzina e l'ispettore, non per parlare a vanvera. >
E così dicendo tirarono fuori le pistole.
< Ehi, ehi! Non esageriamo. Il mio lavoro l'ho fatto, ho ammazzato quel vecchio ispettore. Datemi ancora un giorno, li farò secchi, vedrete! >
< Dacci subito indietro i soldi che ti abbiamo dato. > gli ordinò un terzo :< I patti erano più che chiari. Tu non sei riuscito nel tuo compito, noi non ti paghiamo i debiti. >
< Ma io... io... >
< Io cosa? IO COSA?! > si arrabbiò il primo:< Dacci subito i soldi razza di idiota o ti faccio secco. >
Lewis tirò fuori dalle tasche ciò che gli rimaneva. Qualche spicciolo cadde rumorosamente sul tavolo.
Catherine si sporse avanti per vedere meglio la scena.
I tre scagnozzi stavano puntando le pistole addosso a Lewis e le loro facce erano tutt'altro che amichevoli.
< Tutto qui? Non sono neanche venti sterline. > notò uno di loro.
< No ecco... io... l'oppio costa molto, ma posso sempre guadagnare qualcosa e darla a voi. Sono molto bravo nel gioco d'azzardo. > cercò di giustificarsi.
I tre si lanciarono un occhiata d'intesa.
< D'accordo. Domani. > disse il secondo.
< O...Ok... domani. Certo. > farfugliò impaurito.
< Siete molto gentili e generosi. Grazie io... >
Si sentirono dei colpi di pistola e Lewis cadere a terra con un tonfo sordo.
Catherine trattenne un grido di stupore.
Ci fu qualche istante di silenzio.
< Perché la scenetta? Non potevamo sparargli e basta? > si lamentò il terzo.
< È più divertente, non ti pare? > fece il primo tipo raccogliendo dal corpo di Lewis un orologio da taschino dorato.
< Quanto pensi varrà Jack? > domandò poi mostrandolo all'amico.
< Non so. Gorgiano non approverà di certo. Lui vorrà i soldi, non un orologio. >
< Non è per il capo. È per me. Eppoi se uccidiamo la ragazza non farà caso ai soldi persi, la vendetta lo soddisferà abbastanza. > ribatté lui infilandolo nella tasca della giacca:< A proposito Jack butta questo idiota nella fogna e non pensiamoci più. >
Catherine capì che era il momento giusto per tagliare la corda.
Uscì dalla crepa e McAfeer fece lo stesso, tuttavia l'impacciato agente inciampò in una cassa facendola precipitare al suolo.
Il rumore richiamò l'attenzione dei tre uomini.
< Un agente ciccione e quella lurida di Catherine Andrews! > esclamò uno degli uomini.
< Uccidiamoli! > disse un altro ed iniziarono a sparare in quella direzione.
McAfeer riuscì a scappare in tempo ma non fece molta strada. Un proiettile lo raggiunse e colpì dritto in testa, uccidendolo all'istante proprio sotto gli occhi inermi della giovane.
Catherine cercò di difendersi ma i tre le piombarono addosso.
La ragazza sparò tutti i colpi della sua fedelissima colt ma riuscì a prendere solo il piede di un tipo.
Scivolò nella melma e stava per essere gettata nelle fredde acque del porto, quando il barbone si animò e corse in suo aiuto.
Uno si diede alla fuga. Il secondo si prese un diretto in faccia e cadde a terra.
Il terzo venne messo a tacere da Catherine che lo colpì alla testa con il calcio della pistola.
Il barbone tirò fuori un fischietto e ci soffiò forte.
La ragazza un po'dolorante si guardò attorno e poi sospirò:< Siete voi non è vero Holmes? >
Lui sorrise e si tolse la parrucca grigia.
< In persona. >
Non riuscì a finire la frase.
Il secondo uomo che si era ripreso più velocemente del previsto lo prese di peso e lo scaraventò letteralmente nell'acqua.
Sfortunatamente per lui Sherlock riuscì ad afferrarlo per la giacca e trascinarlo con lui nel Tamigi.
Catherine angosciatissima corse sul bordo della banchina.
Per diversi istanti, che alla ragazza parvero ore, nessuno dei due riemerse.
Catherine disperata e con le lacrime agli occhi gridava disperata il nome del detective nella speranza di vederlo ancora.
In quei tragici momenti arrivò anche Scotland yard.
Un agente corse dalla ragazza in lacrime, mentre il collega si preoccupava di constatare lo stato di salute di McAfeer.
Fortunatamente, dopo diversi minuti d'angoscia Holmes riemerse.
< SHERLOCK! > gridò lei felicissima con le lacrime che scendevano copiose dagli occhi.
La ragazza, aiutata dal poliziotto, tirò fuori un Holmes ormai esausto dall'acqua.
Catherine non trovava le parole e stette in silenzio accanto a lui.
Sherlock diede qualche colpo di tosse e dopo averle asciugato le lacrime le disse che sarebbe andato tutto bene.
Catherine annuì e i due si abbracciarono dolcemente.
< Scusate l'interruzione, ma dovete venire a Scotland yard per chiarire la situazione. > fece un agente.
Catherine annuì.
Non solo lei era rimasta scossa dagli eventi quella sera.
Una normalissima azione di spionaggio si era trasformata in una vera e propria tragedia.
E sarebbe stato ancora peggio senza il provvidenziale aiuto di Sherlock Holmes!
Catherine ne era fin troppo consapevole, per questo rimase in silenzio durante tutto il viaggio.

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Capitolo 15
*** L'arresto di Catherine ***


< Arrestata? Che diavolo vuol dire arrestata?! > esclamò Sherlock con un misto di stupore e rabbia.
L'agente seduto dietro alla scrivania guardò il detective dritto negli occhi:< Quello che ho detto signor Holmes. La signorina Andrews è sotto fermo. >
< E perché mai? > continuò Holmes:< Quella ragazza è innocente. >
< È responsabile della morte di un agente, lo sapeva questo? > fece una seconda persona alle spalle di Sherlock.
< McAfeer ha seguito volontariamente la signorina Andrews. Quello che è successo è stato un tragico incidente. >
< Davvero? > fece l'ispettore Timmer, una giovane promessa di Scotland yard che aveva autorizzato l'arresto di Catherine.
Nonostante rispettasse Sherlock Holmes era molto legato a Forster in quanto era lui il maggiore artefice della sua carriera in polizia. In pratica era il suo lacchè.
< Davvero. >
< Eppure la Andrews ha omesso volontariamente il fatto di essere stata licenziata dalla Pinkerton e grazie a questa bugia ha convinto il nostro agente a seguirla. > replicò Timmer con una certa aria di superiorità:< Inoltre il suo maldestro tentativo di spionaggio è costato la vita a McAfeer, una gamba a un cittadino e quasi la vostra morte per annegamento Holmes. >
< È stato un incidente. > replicò Holmes:< E quel cittadino, come lo chiama lei, è nient'altro che Mariano Rocchi. Un pluriomicida. >
< Abbiamo i nostri dubbi. >
< Lo immagino, questo però non toglie il fatto che la signorina Andrews ha scoperto il covo di una banda di criminali. E non di criminali qualsiasi. >
Timmer scosse la testa ridendo.
< Credo che lei sappia quanto sia grave il solo fatto di fingersi poliziotto o ispettore. >
Sherlock abbassò lo sguardo:< Ne sono consapevole. E la pena non è da meno. >
Timmer sospirò sconsolato:< Quella ragazza ha messo in pericolo voi e McAfeer. Mi chiedo perché continuate a difenderla. >
< È una mia cliente. E collega. >
< Beh, collega mica tanto. Forse quella giovane è riuscita a ingannarla signor Holmes. >
Sherlock voleva ribattere ma venne interrotto dall'entrata in scena di Forster.
< Oh, Holmes. Che novità. > commentò notando la presenza del detective.
< Siete stato voi a ordinare l'arresto della signorina Andrews? > domandò di rimando lui.
Forster sorrise:< Sì, anche se l'arresto effettivo l'ha attuato Timmer. Quella ragazza è un isterica bugiarda Holmes. Abbiamo ordinato che la si porti in una cella, dove attenderà di essere condannata per i suoi crimini. >
Holmes lo fissò senza capire.
< Vuole forse che le spieghi il perché? > replicò lui con una perfetta faccia da schiaffi.
< No. > fece Sherlock gelido.
< Perfetto. Ad ogni modo spero che venga internata in un manicomio al più presto. Una ragazza del genere è pericolosa per se stessa e per gli altri. > disse tutto soddisfatto l'ispettore facendo segno a Holmes di andarsene.
< Potrei almeno vederla per qualche istante? > domandò allora lui.
< Se ci tiene... > replicò Forster indicando all'amico di accompagnare Holmes fino alla cella.
Timmer guidò Sherlock lungo un vecchio corridoio freddo e buio.
Poi si fermò.
In una cella piccola e mal illuminata da una lampada a petrolio quasi scarica stava Catherine. Appena vide i due si alzò dalla branda, pronta a ribattere la sua innocenza ancora una volta.
< Ripeto quello che vi ho già detto ispettore. Quella associazione esiste ed è responsabile di una serie di efferati omicidi! > parlò lei appena vide Timmer alla fioca luce della lampada.
< Vede Holmes? Continua a delirare. >
Sherlock si avvicinò alle sbarre e Timmer gli aprì la porta.
< Può lasciarci soli per qualche istante Timmer? >
Timmer sembrò titubare.
< Non so se... >
< Ci lascia soli sì o no?! > si arrabbiò Sherlock facendo sobbalzare il giovane ispettore.
Lui annuì. < Torno fra una decina di minuti. > e se ne andò a passi veloci.
Catherine si sforzò di sorridere ma il sorriso si spense subito.
L'espressione di Sherlock tradiva tutta la sua preoccupazione e angoscia per la situazione in cui si era cacciata la giovane Andrews.
< Non quella faccia Holmes. Non sono ancora stata processata per i miei cosiddetti "crimini". >
< Sherlock. Chiamatemi Sherlock. >
< Come volete. > replicò Catherine:< Tutto questo è molto seccante. Non potrò più investigare su questo caso e Queenie è rimasta sola. >
< Lo so e mi dispiace. >
< Non è colpa vostra. Vi ho trascinato in un bel guaio con questo caso. >
< Direi che fa parte del nostro mestiere. >
< No. > lo interruppe Catherine:< Sherlock la situazione è davvero critica. Forster mi vuole chiusa in un ospedale psichiatrico e qui nessuno crede alle mie parole. >
< Quando risolverò questo caso e farò testimoniare Lewis e Rocchi a vostro favore dovranno ricredersi. La banda esiste davvero e Forster non sembra essersene minimamente accorto, cosa piuttosto sospetta. >
< Lewis? > ripeté stupita la ragazza:< Credevo fosse morto. Gli avevano sparato. >
< Ci vuole decisamente di più che qualche pallottola per buttare giù un gigante del genere. È ferito in modo grave ma sopravviverá di certo. >
< Temo ormai sia l'unica cosa in grado di scagionarmi. >
< Forse no. Forse abbiamo ancora una pista. >
< Non penserà forse che Forster sia implicato in questa vicenda. > fece la ragazza preoccupata.
< Non è quello che pensa anche lei? >
< Ci ho pensato anch'io, è vero, ma il mio istinto potrebbe anche sbagliarsi. Per non parlare delle conseguenze, una scoperta del genere significherebbe un enorme scandalo per Scotland yard. >
< Questo però spiegherebbe tante cose. E sarebbe l'occasione giusta per verificare questa mia vecchia teoria. >
Timmer era tornato indietro.
< Mi perdoni signor Holmes ma lei dovrebbe... ecco, andarsene. >
Il detective disse di sì.
< Tornerò presto e avrò buone notizie. > fece rivolto alla ragazza stringendo forte le sue mani in quelle della giovane.
Catherine annuì. E lasciò con qualche ritrosia le mani di Sherlock.
< Ormai sono diventata una delle sue tante clienti. Non più una collega. >
Holmes sorrise a metà:< Temo sia necessario che di questo caso me ne occupi io. Lei mi sembra impossibilitata a farlo, nonostante le sue innate capacità. Mi permetta di aiutarla.> e si allontanò assieme all'ispettore.
< Mi tolga una curiosità Timmer. Lei crede che la signorina Andrews sia solo una folle da chiudere in manicomio? >
Il giovane rifletté per qualche istante.
< Non so cosa pensare signor Holmes, non sembra pazza. Se quello che dice è vero potrebbe spiegare molte cose su questa strana organizzazione. Eppure se ci fosse realmente una banda del genere, Forster l'avrebbe già scovata. È lui che si occupa di queste cose e ha dimostrato in passato di essere molto bravo. Sono confuso sulla faccenda, molto confuso. > fece infine mentre Holmes saliva in carrozza.
< Chissà... Forse la mia teoria spiegherà perché Forster non è stato in grado in questa occasione di adempiere al suo compito. > e così dicendo fece segno al cocchiere di muoversi.
Timmer rimase quindi da solo con i suoi pensieri sulla soglia di Scotland yard, domandandosi di quale teoria Holmes stesse parlando.

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Capitolo 16
*** Il cerchio rosso non è mai morto, ovvero il ritorno di Leverton ***


Watson rientrò a Baker Street verso le 18 e trovò il suo vecchio amico sulla poltrona a gambe incorniciate, in vestaglia e intento a fumare la pipa.
Sul tavolo c'erano ancora i resti del pranzo.
< Non ha praticamente toccato cibo. > notò il dottore con una certa disapprovazione.
< Watson questo caso è terribile, davvero terribile. > replicò lui:< Ha letto l'ultima edizione del Times? >
< Non ancora. >
Sherlock gli passò il giornale.
Watson sobbalzò.
< Per Giove Holmes! Lewis si è suicidato, ma com'è possibile? >
Holmes sospirò:< E Rocchi è stato obbligato al silenzio. Era terrorizzato quando sono andato a parlargli ieri. >
< Ah. > fece Watson sedendosi sulla poltrona di fronte all'investigatore.
< Immagino sia opera dell'unico membro della banda del porto riuscito a sfuggire alla cattura. >
< Probabile, anzi possibile. La mia visita deve aver indirettamente causato la sua prematura scomparsa. >
< Ma almeno è riuscito a scoprire qualcosa? > si informò il dottore.
Holmes scosse la testa:< Poco, troppo poco mio caro Watson. Lewis ha confermato che dietro a tutto questo c'è una grande organizzazione criminale ma non conosceva il nome del mandante. Lui era solo una pedina. >
< Che caso tremendamente complicato! >
Holmes sospirò di nuovo:< Finché Rocchi non parla è tutto inutile! Anche la pista dell'orologio senza la testimonianza di Lewis è inutile! Lestrade è inoltre troppo malato per testimoniare e l'udienza è dopodomani. >
< Che cosa possiamo fare? >
< Nulla. > replicò Sherlock:< È questo che mi tormenta Watson. La signorina Andrews verrà condannata di certo ed io non ho niente in mano per tentare anche solo di difenderla. >
< Ma ci sarà pure un modo! > insistette John.
< No, tutti i testimoni sono stati zittiti. Le prove cancellate. Se Forster fa davvero parte di quei criminali non abbiamo prove sufficienti per dimostrarlo. È tutto inutile. >
< Allora andiamo a investigare a casa di Forster! Ci saranno pure degli indizi! >
< Senza un mandato? Vuole per caso essere denunciato per effrazione? >
< No di certo, troviamo qualcuno che ci firmi un mandato! >
Holmes scosse la testa:< Watson il signor Forster, per quanto insopportabile possa essere, è pur sempre un ispettore di Scotland yard. E la sua condotta è stata impeccabile durante tutti questi anni di servizio. Nessun magistrato firmerebbe un mandato di perquisizione, soprattutto a causa di questa motivazione così infamante. Dobbiamo solo sperare che succeda qualcosa. >
Watson fece cenno di aver capito.
Passò qualche ora, poi la signora Hudson entrò nella stanza e porse a Holmes un biglietto da visita.
< Un signore desidera vederla signor Holmes. Ed è piuttosto impaziente. >
Sherlock balzò su appena notò sul foglietto il marchio dell'agenzia Pinkerton.
< Questo è davvero inaspettato Watson, quanto provvidenziale! > esclamò Sherlock mostrando il biglietto a Watson.
< Dico al signore di salire? >
< Certo signora Hudson. Lo riceverò subito. >
Poco dopo fece il suo ingresso a Baker Street un uomo sulla quarantina molto preoccupato.
< È un vero piacere rivederla signor Leverton. > disse lui stringendogli calorosamente la mano.
< Anche per me signor Holmes. > replicò Leverton felice di aver incontrato nuovamente il famoso investigatore.
Tuttavia nei suoi occhi si leggeva una certa agitazione.
< Si ricorda di Leverton Watson? >
< Ma certo, ma certo! Il caso del cerchio rosso, come potrei dimenticarlo! > fece John alzandosi in piedi.
< Cosa l'ha spinta a tornare nella vecchia Inghilterra? > domandò Holmes facendolo accomodare sul divano.
< Per quanto può sembrare assurdo la stessa motivazione di 10 anni fa. > replicò l'agente:< Gorgiano. >
< Ma Gorgiano è morto! > replicò Watson.
< Sì ma non suo fratello minore. È lui alla guida del cerchio rosso dopo la morte di Giuseppe Black Gorgiano. >
Sherlock annuì:< Il cerchio rosso quindi esiste ancora! >
< Sì. Non è mai morto. Molti membri della vecchia banda sono riusciti a sfuggire all'arresto e hanno continuato la loro attività illegale, senza destare il minimo sospetto. > spiegò Leverton, tirando fuori una fotografia.
< Conosce questa ragazza signor Holmes? >
Sherlock la prese in mano e sorrise:< Catherine Andrews. La conosco piuttosto bene, una giovane molto intelligente. >
< Esatto. La miglior agente della Pinkerton che io abbia mai incontrato. La degna erede di Kate Warne. >
< Addirittura. >
< So che è venuta da lei per un confronto e questo a causa della superficialità della nostra agenzia. >
Holmes lo fissò incuriosito:< Continui. >
< Ecco, immagino le abbia parlato del caso dei magazzini Turkson. >
< È così. >
< Questo è il fascicolo del caso. > fece l'agente mostrando a Sherlock Holmes un piccolo plico di fogli:< Ero solito affidare a Catherine i casi più difficili. Non so se ha avuto l'occasione di osservarla all'opera, è davvero capace. Ad ogni modo non è stata la prima ad investigare su questo caso. >
< Il padre e il fratello prima di lei. > confermò Watson.
< E non solo. Altri tre agenti erano stati incaricati ma erano giunti alla stessa conclusioni: semplice corruzione. Erano stati molto abili a nascondere le prove di un reato ben più grave. Tuttavia Catherine sentiva che c'era qualcos'altro e insistette perché si procedesse con le indagini. Così di comune accordo con il mio superiore affidai il caso al padre di Catherine, un uomo molto capace sebbene non più abile come un tempo. Dopo la sua tragica fine il caso passò al figlio Benjamin e poi a Catherine. >
John lo interruppe:< Ma il signor Benjamin Andrews era un incapace. Perché affidargli un caso del genere? >
Leverton si affrettò a spiegare:< Non era un granché come agente è vero, tuttavia era una spia eccellente e spesso collaborava con la sorella durante i casi più intricati. Catherine in quel momento era impegnata a risolvere il caso dell'omicidio del barbiere Rocchelli e lasciò il fratello ad investigare al posto suo. Quando entrambi morirono Catherine capì subito che non si trattava di morte naturale e cercò attraverso degli informatori di fare luce sulla vicenda. >
< E? >
< Ha aperto il vaso di Pandora Holmes! Ha scoperto che i magazzini erano la base di questa associazione segreta e che il proprietario Thomas Young ne era il capo. Inoltre ha intuito la correlazione fra i molti omicidi tra vecchio e nuovo continente. >
Holmes diede una rapida occhiata al fascicolo poi guardò stranito l'agente.
< Come mai non è stata ascoltata Leverton? Questo rapporto è praticamente completo anche se non dettagliato. >
< All'epoca mancavano le prove e il mio superiore si è rifiutato di credere alle parole di Catherine. Lui non apprezza molto le agenti donne. >
< È un fatto poco onorevole, almeno in questo caso. >
< Eppure è successo. Quando la nostra ragazza finì il suo breve resoconto io non ero in servizio. Mi ero appena sposato e avevo preso una settimana di vacanza. Tornato dalla breve pausa scoprì che il mio superiore aveva controllato al mio posto il resoconto della Andrews, giudicandolo però impreciso e poco credibile. Catherine si presentò nel mio ufficio poco dopo il mio arrivo.
Credevo volesse parlare del caso ma con mia grande sorpresa diede le dimissioni. >
< Che lei accettò. >
< No. > replicò Leverton:< Non le ho accettate. Non potevo farlo signor Holmes, Catherine doveva parlarne con il direttore non con me. Io non avevo alcun potere di sciogliere il contratto di agente che aveva stipulato anni prima. >
Sherlock e Watson si lanciarono uno sguardo d'intesa.
< Ma la signorina Andrews è convinta di sì. > replicò Watson.
< Non ho avuto il tempo di dirglielo! Mi ha lasciato una lettera in cui diceva di voler investigare da sola e che si sarebbe rivolta a lei. Le ho scritto due lettere ma non ho mai ricevuto risposta, poi dopo nemmeno due settimane di indagini a tappeto ho constatato la veridicità delle sue affermazioni e ho scoperto la vera identità di Young. Così rendendomi conto del pericolo che correva ho preso la prima nave per Londra e mi sono precipitato da lei sperando di poter evitare il peggio. >
Holmes rimase per qualche istante in silenzio.
< Forse non tutto è perduto Watson. > disse poi togliendosi la vestaglia color topo:< Andiamo Watson e anche lei signor Leverton. >
< E dove? > domandò Leverton confuso.
< A Scotland yard naturalmente. > fece lui afferrando cappello e bastone.
< Scotland yard? > ripeté l'agente.
< Non vuole rivedere la signorina Andrews? >
< Certo che sì, ma perché Scotland yard? >
< È una faccenda complicata Leverton, le spiegherò tutto strada facendo. > disse Holmes iniziando a scendere le scale seguito da Leverton e dall'amico Watson.

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