Parallel

di mvstrxl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** {Prologo} ***
Capitolo 2: *** {Uno} ***
Capitolo 3: *** {Due} ***
Capitolo 4: *** {Tre} ***
Capitolo 5: *** {Quattro} ***
Capitolo 6: *** {Cinque} ***
Capitolo 7: *** {Sei} ***
Capitolo 8: *** {Sette} ***
Capitolo 9: *** {Otto} ***
Capitolo 10: *** {Nove} ***
Capitolo 11: *** {Dieci} ***
Capitolo 12: *** {Epilogo} ***



Capitolo 1
*** {Prologo} ***


《C'è il sole oggi. 

Non so bene dove sono, non so bene se sono sveglio o sto dormendo.
So che non sento il caldo e non sento il freddo.
Non sento più niente, ma non è una novità.
Negli ultimi tempi sono come muto e sordo,
e la mia pelle non conosce vie di mezzo, a volte brucia tutta, a volte è gelida 
e potrei essere già morto 
se non fosse per le vene che mi scoppiano, e ho perso l'appetito, ho perso la voglia di tutto, 
ho solo bisogno di dormire.

Adesso non so se sono sveglio o sto dormendo.
Credo di avere gli occhi aperti, ma i suoni, gli odori, i corpi degli altri e il cielo, non c'è niente.
Bianco sopra e bianco sotto.
Poi la voce di lei lontana, persa, attutita.
Vorrei risponderti, Beatrice, ma sono muto e sordo.
C'è il sole oggi, ne sono sicuro, è da qualche parte in alto ma io non riesco a vederlo.
C'è il sole oggi, ma io svanisco come nebbia》

➸♡➸

La prima cosa che i suoi sensi percepiscono è il silenzio. La quiete che regna in quel luogo è troppo innaturale per trovarsi in un posto terreno.
Una vivida luce si staglia su di lui e su tutto ciò che lo circonda, ma poi si rende conto di una cosa: è circondato dal nulla. Yokohama pare essere stata risucchiata dal bianco splendente che si irradia negli occhi del detective, donando loro un falso scintillio. Sembra quasi di trovarsi in una stanza vuota, ma molto molto grande. Nessuna fonte di luce eppure essa filtra tranquillamente da chissà dove immettendo calore. È tutto perfettamente immobile, il tempo dà l'illusione di essersi fermato.
Forse è finalmente morto?
Gli viene quasi da sorridere a quella speranza che tante volte è risultata vana, ma che in quel momento pare plausibile, forse perché, più che altro, è lui a volersi convincere di ciò.
Inizia a camminare con passo strascicato e intanto si guarda intorno. Ha immaginato la vita dopo la morte tante volte, e tante volte si è trovato ad annuire con se stesso al pensiero che dopo la vita non c'è nulla ad attendere l'essere umano se non l'oblio.
"Ovvio", pensa, "se ci fosse un'altra vita dopo la morte dubito che tenterei di uccidermi, dopotutto, quello che voglio è smettere di esistere una buona volta".
E mentre la sua mente vaga indisturbata al di là di quella dimensione, ora riempita dall'eco dei suoi passi, avverte un'altra presenza scrutarlo da vicino.
Si volta ma alle sue spalle non c'è nessuno, anzi, niente.
Fa per girarsi un'altra volta e quasi sussulta quando incontra un paio di occhi azzurri a poca distanza dai suoi.

-Heilà!-

Dazai non si muove ma, anzi, sorride.
Davanti a lui una ragazza dai lunghi capelli viola legati in una coda bassa e con alcune ciocche intrecciate, gli occhi azzurri che poco prima lo hanno fatto sussultare, la pelle diafana e le labbra rosee piegate all'insù in un sorrisetto divertito lo sta osservando con il capo inclinato leggermente di lato.
La sua voce squillante echeggia nel vuoto riempiendo le orecchie del detective di un suono che difficilmente avrebbe dimenticato.
-Mi stavi aspettando?- domanda dolcemente il detective.
La ragazza pare rifletterci su raddrizzando il busto prima proteso verso Dazai.
-In realtà no. Però sono felice di avere compagnia, quindi in un certo senso, sì, ti stavo aspettando Dazai-
-Così mi ferisci! Ed io che pensavo stessi attendendo con impazienza il mio arrivo!- replica con falso rammarico subito sostituito da uno dei suoi migliori sorrisi da dongiovanni.
Si avvicina a lei nuovamente mantenendo lo sguardo fisso nel suo.
Mette le mani nelle tasche del suo inseparabile impermeabile beige scrutando con occhio attento la ragazza davanti a lui, forse alla ricerca di qualche dettaglio sfuggitogli.
-Dove ci troviamo?-
La ragazza si volta e, con le mani dietro alla schiena, inizia a camminare nel nulla.
-Dovrei essere io a chiedertelo-
Allunga una mano orizzontalmente afferrando il nulla, poi rilassa il pugno aprendo le dita come per liberare qualcosa di invisibile.
-Dopotutto...-
Gira solamente la testa verso di lui, gli occhi paiono risplendere di luce propria. Una luce offuscata e nascosta da un sorriso sbieco.
Un impavido alito di vento si abbatte sul viso del detective dividendo i suoi capelli castani in ciocche che tentano di fuggire via come farfalle intrappolate.
-...questo è il tuo sogno-
Lo scenario cambia.
La luce è sostituita dal buio e il nulla da un tetto di uno dei palazzi più alti di Yokohama.
Un sussurro viene spezzato dal boato delle onde che si avvinghiano alla riva per poi essere ritrascinate in mare senza pietà.
Dazai si avvicina al bordo del tetto guardando la strada deserta sottostante.
Chissà che ore sono, pensa, ma da una parte nemmeno gli importa granché dato che in qualsiasi ora e in qualsiasi luogo si trovano, lei e la giovane dai capelli viola, sono completamente soli. Ci sono solo loro due e la sinfonia della natura.
E questa volta c'è il vuoto ad attenderli a braccia aperte.
Sorride tristemente ricordando a se stesso che la morte non sarebbe stata disposta ad accoglierlo in un sogno.

Sto cercando qualcosa che non posso raggiungere.

Ma finché non sarebbe morto sarebbe stato impossibile svegliarsi da quel mondo appassito.
Lei lo sta fissando attentamente fingendo di non sapere cosa stia per fare, se buttarsi o tornare indietro.

Lasciami andare.

Perdonami.

Parole vuote emanate con un sospiro che vanno a unirsi alla brezza notturna. Ma le sue labbra non si sono mosse. Un bagliore fluttuante va a illuminare il viso di Dazai per poi moltiplicarsi come stelle sospese in aria.

Ma sono un egoista.

Il ragazzo apre il palmo della mano accogliendo una lucciola su di essa. Guarda la sua luce affievolirsi finché non si è completamene spenta. In un attimo è cenere sulla sua mano.

E tu sei tutto ciò che ho.

Sorride alla ragazza mentre una sola lacrima scende dal suo viso.

Resta.

Non posso.

Perché senza di te fa troppo male.


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Capitolo 2
*** {Uno} ***


-Hai chiamato un gatto Sensei?-

Odasaku prese posto in mezzo a Dazai e Tomie, i quali gli avevano lasciato il posto libero, momentaneamente occupato dal grosso gatto rosso e bianco.

-Non vedi che aria saggia che ha?- disse Dazai seguendo l'animale con lo sguardo.

-Ti ha ceduto anche il posto-

-Beh, grazie allora-

Mentre il barman porgeva il bicchiere di vetro al rosso, Dazai iniziò a raccontargli gli avvenimenti della giornata con entusiasmo, per poi concludere il piccolo racconto con un "e anche oggi non sono riuscito a morire".

Tomie lo guardò quasi con compassione.

-Questa deve essere la sfortuna che ti buttano addosso i tuoi nemici-

-Cos... dici davvero Tomie-chan!?-

Oda si voltò verso di lei ignorando le lamentele dell'amico.

-Tu credi nella sfortuna Tomie?- chiese in modo pacato, il bicchiere tra le mani sul cui vetro le luci si infrangevano insieme al riflesso dei suoi occhi chiari.

-Penso che nella vita serva una buona dose di fortuna per andare avanti, e se esiste la fortuna deve esistere anche la sfortuna, no?-

-Solitamente si dice "baciati dalla fortuna" ma a quanto pare è la sfiga ad essersi preso una mega cotta per me- mugugnò Dazai mandando avanti il suo monologo.

-Strano, eppure sono sicura che il mio secondo nome non sia "sfiga"- rifletté Tomie ad alta voce mescolando il liquido caramellato nel bicchiere, provocando il tintinnio del ghiaccio contro il vetro.

Dazai sgranò gli occhi mentre le sue guance si dipingevano di rosso.

-Tomie-chan... QUINDI COMMETTERAI UN DOPPIO SUICIDIO CON M...-

-No-

-Rude-

-Dubito che qualcuno abbia così tanta voglia di suicidarsi come ne hai tu Dazai-

-Odasaku, Tomie-

I due interpellati si voltarono all'unisono verso il giovane mafioso che in quel momento aveva riposto la sua solita espressione burlesca.

-L'uomo teme la morte ma allo stesso tempo ne è attratto. La morte è un evento sviscerato continuamente nella città come nella letteratura. E' un momento unico nella vita delle persone, che nessuno può invertire ed è questo ciò che desidero-

Tomie lo guardò intensamente. Guardò le sue labbra piegate all'insù in un sorriso sincero alla ricerca della più piccola traccia di cedimento, ma Dazai era serio. Serio come la morte.

-Quindi, rimanendo in tema, potrei avere un bicchiere di detersivo?- chiese poi al barman intento a pulire dei bicchieri, tornando alla sua falsa spensieratezza.

-Non ne abbiamo- rispose con calma l'uomo, un piccolo sorriso divertito dal cambio di personalità del suo giovane cliente.

-Ah okay... allora un cocktail a base di detersivo?-

-Non ne abbiamo-

La ragazza si lasciò sfuggire una risata davanti all'espressione delusa di Dazai.

-Non credo esista una cosa del genere Dazai. A meno che...-

Entrambi i mafiosi si voltarono verso l'amica che aveva assunto una posa riflessiva.

-A meno che cosa?- incalzò Dazai curioso.

-A meno che non ti inventi una ricetta in casa! Potresti sperimentare e se sei fortunato mentre lo fai muo... ah giusto, sei perseguitato dalla sfortuna. Beh, fa finta che non abbia parlato-

-No no no no! Al contrario! Sarà il mio modo per combatterla! Potrei sul serio provare a creare un cocktail a base di detersivo!-

-Odasaku, fossi in te darei uno schiaffo a entrambi-

Ango annunciò la sua presenza così, accompagnando quella frase con il rumore dei suoi passi sulle scale del piccolo locale.

-Ango!- lo accolse Dazai con un sorriso sorpreso, sporgendosi oltre la spalla di Oda.

-Com'è andata la contrattazione?- chiese Tomie dopo aver preso un altro sorso di whiskey.

Ango si sedette ordinando un semplice succo di pomodoro.

-Non sono riuscito a concludere granché. L'unica cosa che ho guadagnato è questo vecchio orologio d'epoca- spiegò vagamente deluso Ango aprendo la piccola borsa che aveva con sé, mostrandone così il contenuto.

I quattro amici continuarono a parlare dei loro rispettivi lavori del giorno, per lo più incarichi falliti.

-Ora che ci penso, è da un po' che siamo diventati compagni di bevute- notò Dazai voltando il capo per guardare tutti e tre i mafiosi.

-E di fallimenti- aggiunse Tomie inclinando il capo con un sorrisetto tra l'autocommiserevole e il compiaciuto.

-Fallimenti?- le fece eco Ango, un sopracciglio alzato.

-Già. Dazai oggi non è riuscito a morire; io ho mancato il bersaglio che dovevo uccidere, quindi niente paga; tu Ango, sei tornato quasi a mani vuote e Oda...- si fermò voltandosi a guardare il rosso, sulle dita teneva ancora il conto delle "fatiche andate male".

-Giusto, ora che ci penso Odasaku non ci parla mai dei suoi incarichi- rifletté Ango sporgendosi a guardare il diretto interessato.

-Vi annoiereste soltanto ad ascoltare le storie del membro di grado più basso della Port Mafia- disse Oda con non chalance tenendo sollevato il bicchiere, sulla lingua una punta di autoironia.

Dazai aggrottò le sopracciglia.

-Ed ecco che fai di nuovo il riservato-

Dopo una leggera pressione da parte di Tomie, alla fine il maggiore si decise a raccontare la sua giornata.

-Ho punito un ragazzino che stava rubando in un negozio che ci offre protezione; ho fatto da intermediario tra la moglie e l'amante di uno dei dirigenti; mi sono occupato di una bomba inesplosa...-

E mano mano che Oda elencava i "lavoretti", gli occhi di Dazai parevano allargarsi a dismisura.

-Ehy Odasaku! Scambiamoci lavoro! Anche io voglio occuparmi delle bombe inesplose!-

Ango si schiaffò una mano in fronte.

-Non sapresti cosa fare-

-Già, esploderesti-

-Esploderei? ESPLODEREI! TOMIE, HAI SENTITO? HANNO DETTO CHE ESPLODEREI!-

-Beh, buona fortuna-

Dazai sospirò con aria sognante accasciandosi sul bancone.

-Ora che ci penso, vi siete dati appuntamento?- domandò Ango dopo aver preso un lungo sorso dal suo drink.

Tomie scosse la testa appoggiandola poi sulla mano.

-In realtà io ho vinto una scommessa contro Dazai, quindi lui mi ha offerto da bere. Oda è arrivato poco dopo e lo stesso tu- spiegò.

-In effetti...- prese parola il giovane dirigente raddrizzandosi.

-È come se avessimo avuto la certezza di incontrarvi se fossimo venuti qui-

Dopo pochi attimi di silenzio alzò il bicchiere.

-A cosa brindiamo?- chiese Tomie allegramente.

-Non lo so, non ho bisogno di un motivo preciso-

Oda alzò lo sguardo puntandolo verso un punto impreciso, poi alzò il bicchiere a sua volta.

-Agli stray dogs-

Ango, Tomie e Dazai sorrisero lasciando Oda perplesso.

Alzarono i bicchieri e con una leggera collisione un tintinnio si espanse in tutto il bar accompagnato dal brindisi.

-Agli stray dogs!-

Vorrei che il tempo mi risparmiasse.

-Facciamo una foto!-

-Mh? Come mai vuoi una foto così all'improvviso?-

Ma è un boia senza pietà.

-Ho la sensazione che dovremmo farlo. Così avremmo la prova che noi quattro ci riunivamo qui-

-Dai, perché no?-

Nella sua corsa non risparmia nulla.

-Tomie, dì "amoDazaiallafolliaevogliocommetereundoppiosuicidioconlui"!-

-Cheese!-

Click!

Si prende tutto e non lascia che occhi aridi di pianto.

-Prendimi da questa postazione, sembro più virile!-

-Ah certo, e mia nonna è la figlia di Voldemort-

Click!

In un battito di ali vola via lasciando su di me ferite aperte e sanguinanti.

-Io in realtà non sono molto fotogenico-

-Non è per niente vero Ango! Su, sorridi!-

Click!

-Oda, tocca a te!-

-Uhm?-

Click!

Non chiedo molto, solo un'ombra in cui nascondermi fino a quando le mie cicatrici saranno sparite.

-Siete pronti?-

-Prontissimi!-

-Dazai-

-Sì Tomie-chan?-

-Togli quella mano da lì-

-Oops, colpa mia~-

Ma la notte è arrivata e la tua ombra si è dissolsa, unendosi al buio.

Ora sono sola in questo mondo che sta appassendo.

-Odasaku, la macchina fotografica-

Click!

E lentamente, sto morendo con lui ripetendomi sempre le stesse parole.

"Casa è dov'è il cuore".

Io devo averlo dimenticato in quella fotografia.

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Capitolo 3
*** {Due} ***


Il cielo sembra offuscato da strati invisibili di nuvole. Un leggero odore di terra bruciata penetra indisturbato nelle narici ma senza prepotenza.
Il sole c'è ma è coperto dal fumo di un incendio appiccato chissà dove.
Dazai non sempre capisce perché la sua mente si ostina a partorire luoghi senza significato come quelli. Lì, in quella città dominata da alberi e palazzine basse, il mare sembra non esistere.
Un senso di irrequietezza lo invade, un' ansia ingiustificata.
Sta di nuovo aspettando qualcosa che non accadrà mai?
Tomie si accosta a lui tenendo le mani dietro la schiena senza dire una parola. I suoi occhi vagano da una parte all'altra.
In mezzo a quella strada deserta la vita sfugge via dalle dita, eppure il respiro accelera, il cuore pompa sangue frettolosamente e la pelle si accappona.
Ombre evanescenti passano accanto ai corpi intorpiditi ma vigili nel loro sonno.
Sagome di fantasmi del passato camminano indisturbate come sonnambuli.

Mio fantasma, dove sei?

-Li riconosci, vero? Uno ad uno-
Tomie allunga una mano verso un ombra ma essa la oltrepassa.
Gli occhi di Dazai sono vuoti. Non risponde e non si muove.
Pare quasi essere diventato uno di quegli spettri.

Cos'è successo all'anima che eri prima?

-È il tuo sogno Dazai. Puoi scegliere tu dove andare- gli ricorda lei per rincuorarlo.
Dazai si volta a guardarla e nei suoi occhi sembra risplendere un briciolo di vita perduta. Sorride calcando così la sua bellezza di fiore appassito.
-E tu dove vuoi andare?-
Nell'esatto momento in cui quelle parole lasciano le sue labbra un'ombra passa attraverso il suo corpo.
Per un attimo al detective pare quasi di scorgere un barlume rossiccio troneggiare sul nero.
Si gira avvertendo il proprio cuore fare una capriola. La sua mano fa uno scatto, quasi a volersi muovere da sola per afferrare quell'ombra evanescente.
Ella è già andata via confondendosi con le altre ma Dazai sa riconoscerla anche in mezzo a quei fantasmi senza volto grazie alla scintilla rossa di una sigaretta.
Ancora una volta il rimpianto.
Ancora una volta la mancanza dei tempi andati.

Mi dispiace.

È stata colpa mia.

Mi manchi.

Nessuna di quelle parole avrebbe trovato sbocco. Ormai era troppo tardi.
Chiude gli occhi ma poi li riapre e si rivolge alla ragazza accanto a lui. Avverte la sua mano prendere la propria con dolce fermezza e con quel semplice gesto tutto il dolore si dissolve.
Lei sorride e sussurra:
-Ovunque con te-

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Capitolo 4
*** {Tre} ***


Il mare era dipinto con un prepotente arancione misto ad un morente azzurro, soffocato dal colore del sole calante.

Tomie chiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni l'aria piena di salsedine. La quiete era palpabile, tipica del giorno che muore, accompagnata da una dolce e insidiosa melodia regalata dalle onde che si infrangevano sulla sabbia fredda. La malinconia fungeva da padrona.

Dazai si avvicinò alla ragazza continuando a fissare il mare.

-Vorrei che tutti i giorni fossero così- sussurrò lei più a se stessa che al ragazzo accanto a lei. Aprì piano le gemme azzurre. Non un alito di vento si azzardava a toccarla.

Non so come fai, tu mi fai sentire umano.

Quando ella rivolse lo sguardo verso Dazai, lo sorprese a guardarla con un misto di curiosità e dolcezza, un sorrisetto sulle labbra.

Non ti arrenderai, vero?

-Siamo sentimentali sta sera, eh signorina Yamazaki?- scherzò lui.

Tomie mise le mani dietro la nuca.

-Non ho mai detto di non esserlo- disse facendogli la linguaccia.

Ferma il tempo in un ultimo raggio di luce. Mi basta anche questo.

-Quindi saresti disposta a commettere un doppio suicidio con me?-

-No-

-Rude... Eppure è così romantico! Doppio suicidio! Ahh! Che melodia per le mie orecchie! Due amanti che si lasciano inghiottire dall'abbraccio della morte!-

Resta con me.

-Se ti piace tanto la morte perché non chiedi a lei di suicidarsi con te?-

-Non ha molto senso quello che hai detto...-

-Sognare non costa nulla, no? E poi penso che la Morte sia l'unica disposta a morire quindi...-

-Ma, mettiamo che la Morte possa attualmente morire; se muore Lei poi tutti gli altri esseri viventi saranno immortali?-

Prendimi la mano e stringila.

-Credo di sì. Però sai, non mi ha mai allettato l'idea della vita eterna. Sai che noia poi?-

-Intendi senza di me?-

-Ti piacerebbe-

Prendi questo mio cuore a pezzi e custodisci ognuno di loro fino all'alba.

L'infinito non sarebbe tanto male se potessi trascorrerlo al tuo fianco.

Dazai si lasciò andare ad una risatina gutturale mentre il sole spariva del tutto.

Guardò Tomie.

Lei lo stava già guardando.

Se non puoi concedermi un futuro, concedimi il presente.

-Tomie-chan-

-Sì?-

-Perché sei voluta venire in spiaggia?-

Dolcemente.

Piano.

-Volevo solo vedere il tramonto con la persona che amo-

E il giorno muore.


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Capitolo 5
*** {Quattro} ***


Il silenzio la svegliò.

I raggi del sole si insinuarono attraverso le tapparelle socchiuse andando a illuminare il viso addormentato di Dazai.

Tomie rimase a fissarlo intrappolata nel suo abbraccio, un piccolo sorriso intenerito non sembrava propenso a lasciare le sue labbra.

Eri una visione al mattino quando entrava la luce,

I capelli castani del detective solleticavano le guance della giovane, la quale era tentata di toccarli per tastarne la morbidezza, ma non si mosse per paura di svegliarlo. Chiuse di nuovo di occhi avvertendo le palpebre farsi nuovamente pesanti. Kunikida sarebbe andato a prenderli direttamente a casa e li avrebbe svegliati con le sue urla isteriche, dovute al fatto che ancora una volta avevano fatto tardi, o addirittura, saltato il lavoro; ma Tomie non se ne curò.

Avvertendo un movimento da parte di Dazai tornò vigile.

Il detective si era appena svegliato e, con gli occhi ancora impastati dal sonno, guardò la ragazza accanto a lui.

Lei sorrise.

-Buongiorno-

Dazai ricambiò il sorriso.

-Buongiorno a te. Dormito bene?-

-Mi stavo leggermente sciogliendo dal caldo dato che ti sei appiccicato a me stile koala, ma tutto sommato ho dormito meglio così-

Il castano ridacchiò nascondendo il viso nei capelli di lei abbracciandola ancora di più.

-Che ore sono?-

-Non ne ho idea- mugugnò lei assonnata accoccolandosi contro il petto bendato del ragazzo.

So che sentivo la religione solo quando ero sdraiata con te.

-So solo che Kunikida non ha ancora sfondato la porta, quindi deve essere presto-

Prima che il destino mi porti via da te

-Beh di questo non devi preoccuparti-

-Uh?-

stringimi ancora un po'.

-Può darsi che gli abbia incollato la porta di casa con della colla super attack-

La mia anima dannata si purifica nei tuoi occhi.

-D-dici davvero!?-

-Dovrebbe ringraziarmi, è sempre così stressato! Restare un po' in casa gli farà bene-

-Le senti anche tu?-

-Cosa?-

-Le sue bestemmie-

Ed io mi abbandono alla vita.

-Dazai-

-Sì?-

-Ho fame-

-Mh-

-Perché quella faccia?-

-Per un attimo ho pensato che mi dicessi "ti amo"-

-Vuoi che te lo dica?-

"Può un cuore spezzato continuare a battere?"

-Sì-

Tomie rise alla faccia imbronciata di Dazai.

Il detective la guardò inarcando un sopracciglio con aria maliziosa iniziando a far scorrere le mani sul corpo della giovane in modo lascivo per poi iniziare a solleticarla.

-N-no no! Fermo! Dazai ti prego!- scoppiò a ridere Tomie dimenandosi nella speranza di sfuggire alla tortura del detective, ma senza successo. Si buttò sul fianco dando le spalle a Dazai che continuò a farle il solletico per niente intenzionato ad arrendersi.

-Dillo!-

-Non respiro!-

-Finché non lo dici non la smetto!-

-Sei il diavolo in persona!-

-Risposta sbagliata!-

Credevo non fosse possibile.

Sto ancora imparando ad amare.

-E va bene, lo dirò!-

Dazai si fermò permettendo a Tomie di riprendere fiato. Era bellissima.

Un cane randagio non è abituato a ricevere carezze dopotutto.

-Allora? Sto aspettando~ -

Tomie lo guardò ancora ansimando.

Lentamente si mise a sedere.

I suoi occhi incrociarono quelli dell'amante.

I capelli in disordine, il sorriso luminoso.

"Vorrei rimanere così per sempre"

-Dazai-

Le labbra si mossero piano, dolcemente, rosee come l'alba.

Ma non ha senso se tu non ci sei.

Pochi centimetri separavano i loro visi, ma Tomie non gli avrebbe dato soddisfazioni, lo sapeva.

Infatti non se ne sorprese quando ella, con un'espressione beffarda, gli sussurrò: -sto morendo di fame-

Con una mossa fulminea si allontanò cercando di alzarsi in piedi ma lui fu più veloce.

L'afferrò per i fianchi e la riportò nel letto, bloccandole i polsi ma con delicatezza.

-Non così in fretta Tomie-chan- cinguettò Dazai con un'espressione tutt'altro che rassicurante.

Un brivido percorse la schiena della povera ragazza, ora bloccata dal peso del detective bendato.

-Ora che ci penso anche io ho fame-

Si avvicinò al suo viso.

-Infatti stavo pensando di fare colazione con te~-

-Che doppio senso! Ti sei impegnato vedo-

-Nah, con te le cose mi vengono spontanee-

Una risata gutturale, occhi negli occhi.

Per una volta il tempo si era fermato.

Un sussurro smorzato, rotto.

'Vorrei che tu fossi qui'

Perché no, tu non ci sei.

E io mi sveglio ancora ogni mattina ma non con te.

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Capitolo 6
*** {Cinque} ***


Dazai non era solito ubriacarsi pesantemente, a dire il vero erano pochissime le volte in cui ci era riuscito. La prima, ricordava bene Tomie, era stata per testare quanto riuscisse a reggere l'alcol. Anche quella volta gli ci vollero quasi la metà dei bicchieri di whisky e sake a testa che beveva di solito per sbronzarsi nemmeno tanto. Lui aveva quindici anni allora e lei tredici.
Quella sera doveva aver esagerato pesantemente, rifletté la ragazza guardando il modo impacciato con il quale il mafioso si stava muovendo in quel momento, mettendo un piede davanti ad un altro come se le sue gambe fossero state private delle ossa e la forza di gravità lo stesse spingendo per terra.
Il suo viso era rosso e l'espressione perennemente sorniona formata da un sorriso inebetito e gli occhi socchiusi.
«Ti dico che sto bene Tomie» gemette Dazai mentre la suddetta lo trascinava via dalla strada tenendo un braccio attorno alla sua vita mentre quello del ragazzo era avvolto sulle spalle di lei.
«Ho bevuto poco, lo giuro».
Un conato di vomito lo costrinse a fermarsi e piegarsi per rigettare l'alcol assunto sul ciglio della strada. Era buio e non passavano macchine. Chissà che ore erano si chiese la ragazza mentre distoglieva lo sguardo con un sospiro rassegnato.
«Ci sei andato giù pensante...» mormorò più a se stessa che a Dazai mentre si rimettevano in marcia.

L'appartamento di Tomie era di modesta grandezza ma disordinato come uno stanzino di piccola taglia in cui accatasti tutto ciò che non ti serve e ti riprometti di buttare al più presto.
Matite, pennelli, fogli di carta strappati e intatti, bottiglie di alcol vuote e libri giacevano abbandonati sul pavimento mentre al centro della stanza sostava paziente un cavalletto con una tela bianca in attesa di essere riempita e vivacizzata con qualche ritratto, paesaggio o anche solo colori senza una forma precisa.
Ripromettendosi ancora una volta di mettere tutto in ordine Tomie salì con cautela le scale che conducevano al piccolo balconcino che ospitava un letto a due piazze, una minuscola scrivania con sedia girevole, un comodino e un armadio. Il tutto affacciava sul salotto.
Senza nemmeno preoccuparsi di fargli togliere le scarpe, Tomie fece distendere Dazai sul materasso mentre lui continuava a protestare e blaterare cose senza senso. Esausta, si lasciò andare sulla sedia per riprendere fiato. Fece per appoggiare il gomito sulla scrivania dietro di lei ma lo ritrasse quasi di scatto quando si ricordò che qualche ora prima, in un raptus di isteria aveva preso tutti i colori a olio e li aveva spalmati sul legno una volta color mogano ma ora indefinito tra il grigio sporco e il viola scuro. Si massaggiò le tempie cercando di calmare il fastidioso pulsare quando la voce lamentosa di Dazai le fece alzare lo sguardo.
«Tomie-chaaaaaaan~»
Tomie non batté ciglio sperando quasi di esserselo immaginato.
«TOOOOOOMIEEEE»
«Cosa c'è?»
La sua voce uscì dalla sua gola come rantolo rassegnato.
Dazai si lamentò per un po' tentando di mettersi a sedere ma cadendo nuovamente sul materasso.
«Sei una... guastafeste» pronunciò infine battendo un pugno sul letto.
Tomie inarcò un sopracciglio.
«E tu sei ubriaco»
«Non è veeeero. Sono solo... stanco»
«Sicuramente»
Gli occhi iniziarono a farsi pesanti ma Tomie si intimò di restare sveglia, doveva prima accertarsi che Dazai stesse bene, e in quel momento non lo era per niente.
Seguì il silenzio.
Per un attimo pensò che si fosse addormentato.
«Tomie»
La sua voce era più ferma sta volta, pensò Tomie mentre si agitava sulla sedia muovendo il piede sul pavimento come se stesse calpestando una cicca.
«Sì?»
«Perché non riesco mai a morire?»
Lo fissò impassibile mentre la sua sagoma si alzava dal letto mettendosi prima a sedere, poi si sporgeva in avanti prendendosi la testa tra le mani.
«Possibile che debba fallire anche in questo?»
Non disse nulla, le mancavano le parole, l'aria sembrava essersi rarefatta improvvisamente. Si sentì come un palombaro sul fondo del mare a cui era appena terminato l' ossigeno. Vide se stessa vagare nel nulla in una dolce apnea prima che i suoi polmoni avvertissero la mancanza d'aria.
La stanza era improvvisamente troppo opprimente e la disperazione che aveva tentato invano di soffocare era troppo fitta e la stava lentamente riempiendo, la stessa disperazione che qualche ora prima l'aveva fatta accasciare al muro.
«È tutta colpa mia... solo mia. Solo mia. Solo mia!» quasi gridò Dazai.
Tomie ricordava di aver pianto. La pacifica sensazione di vuoto che aveva provato dopo era ancora presente in lei. Era come se una mano invisibile l'avesse svuotata completamente.
Aveva distrutto un paio di disegni, imbrattato quella scrivania e lanciato matite e vestiti al piano di sotto, si era presa la testa tra le mani tentando di calmarsi, di far rallentare il respiro troppo accelerato. Le sarebbe venuta una tachicardia.
«Sono un buono a nulla! Odasaku sarebbe ancora qui se solo non avessi perso tempo andando da Mori! SONO UN FALLITO! NON ERA LUI CHE DOVEVA MORIRE! SONO IO, IO, IO, IO, IO!»
«Dazai. Smettila»
Tremava come un cane. Alzò la testa verso Tomie, gli occhi rossi e lucidi, segno che buona parte della sbronza era ancora lì.
Tomie lo guardò impassibile.
«Come cazzo fai. Dimmi come cazzo fai ad essere così tranquilla!?»

Voglio morire.

«TOMIE!»
«SMETTILA!»
Dazai si immobilizzò. Tomie, ora in piedi davanti a lui, stringeva i pugni ficcandosi le unghie nel palmo.
«COME CAZZO PENSI CHE MI SENTA!? ODA ERA COME UN FRATELLO PER ME!»
Il mafioso rimase in silenzio a guardarla mentre le lacrime di lei si infrangevano per terra. Dopo un po' Tomie rilassò le spalle e aprì le mani mostrando il segno che le unghie avevano lasciato.
«Era come un fratello per me...» ripeté inginocchiandosi come se le forze l'avessero abbandonata.
Dazai sentiva lentamente la lucidità tornare insieme alla consapevolezza ancora più vivida ma non nuova.
«Mi dispiace. È colpa mia»
La sua voce era diventata piatta e quasi gli parve di aver assunto lo stesso tono che caratterizzava Oda.
Tomie, immobile sul pavimento, lasciava che il vuoto nel suo petto la risucchiasse.
La mano di Dazai che si posava piano sulla sua guancia le fece alzare la testa.

Non sento più niente.

«Non è colpa tua» sussurrò Tomie. Si alzò piano vergognandosi di essere crollata in quel modo davanti a Dazai.
Asciugò la scia trasparente che le sue lacrime avevano lasciato nella corsa e si sedette accanto a lui.
Nel silenzio fu certa di udire il battito del suo cuore e di quello di Dazai più forte del dovuto.
«Lascerò la Mafia»
Tomie sbatté la palpebre un paio di volte sicura di aver sentito male.
L'espressione di Dazai non lasciava trasparire nulla quindi per lei fu più facile pensare di essersi immaginata la sua voce pronunciare quella frase che, soppesata, era quasi assurda.
«Non so quando ma a breve»
No, non lo aveva immaginato allora.
Probabilmente Dazai era ancora sotto l'effetto dell'alcol ma una parte di Tomie sperava che fosse lucido e sincero.

Questo mondo è un palcoscenico e io sono un attore che ha perso il proprio copione.

Deglutì un fastidioso groppo mentre il cuore le batteva con ingiustificata velocità.
«Vengo con te»
Dazai la guardò come se accanto a lui ci fosse uno sconosciuto che gli aveva appena chiesto un favore importante.
«Scordatelo» sussurrò freddo.
«Ti ucciderebbero»
«E a te no scusa?» ribatté lei con una punta di indignazione.
Dazai aprì la bocca per parlare ma la richiuse immediatamente.
«Scordatelo» ripeté come un giocattolo programmato.
Tomie ruotò il busto verso di lui con la rabbia negli occhi. Strinse un lembo del lenzuolo tra le dita.
«Vengo con te» ripeté a sua volta con determinazione.
«Hai capito cosa ti ho detto dannazione!? Verresti etichettata come una traditrice e uccisa! Cosa pensi, che la Mafia non riuscirà a trovarti!?» tuonò Dazai voltandosi verso di lei.
Tomie lo guardò negli occhi.
«E tu hai capito che non me ne frega niente?» sibilò a qualche centimetro da lui.

Sto improvvisando.

«Sei uno stronzo» disse poi mantenendo il suo sguardo.
«Sei un maledetto stronzo egoista. Mi lasceresti qui da sola? Oda è morto, Ango è sparito e tu te ne vai. E io? Io che fine faccio? Te lo dico io: faccio la fine della povera imbecille che viene lasciata indietro perché il cretino che ho davanti crede che non riuscirei a proteggermi, è così Dazai? Pensi davvero che io non ne sia in grado? Pensi che non sia in grado di proteggermi?» sputò fuori con rabbia mentre Dazai la fissava senza battere ciglio.
«Ho pensato tante di quelle volte di lasciare la Mafia, tante credimi, ma sono sempre rimasta qui perché avevo te, Oda e Ango. Avevo voi. Non mi importava del resto, del bene, del male, di morire uccisa o uccidere. Finché avevo voi con me sarei stata bene. Ma ora non ho più motivo di restare a marcire qui. Voglio ripartire da zero, voglio cambiare Dazai. Sono stanca di uccidere. Ogni volta che lo faccio muoio anche io, e io voglio iniziare a vivere».

È un vero peccato...

Quando Tomie smise di parlare aveva il fiato corto. Dazai si sentì come svegliato bruscamente da un sonno profondo e solo in quel momento si rese conto di come la sua voce riuscisse a calmarlo. Si massaggiò la tempia con una mano.
Non riusciva più a pensare in modo razionale, l'alcol stava continuando a scorrergli nel sangue anche se in piccola parte ma bastava ugualmente a fargli girare la testa. Avrebbe voluto vomitare e poi stendersi da qualsiasi parte e chiudere gli occhi... anche in mezzo alla strada. Già, pensò, avrebbe aspettato pazientemente che una macchina lo investisse, ma ci aveva già provato e Tomie lo aveva portato in salvo ancora prima che potesse sedersi sull'asfalto.
Perché lei si ostinava così tanto a tenerlo in vita?

Stupido, stupido, stupido, stupido, stupido.

Prese un respiro profondo. Tomie lo stava ancora guardando in attesa di una risposta, osservandolo con i suoi penetranti occhi azzurri, in quel momento arrossati dal pianto.
Le sue parole rimbombavano nella sua testa ferita e confusa come il suono di un gong.

'Voglio ripartire da zero.
Voglio cambiare.'

Dazai si lasciò sfuggire un sorriso amaro.
Lei avrebbe potuto, lei ci sarebbe riuscita, lei non era adatta a quel mondo di sangue. Avrebbe preso una strada completamente diversa, una che le si addiceva di più. Avrebbe iniziato a vivere la vita che voleva, sarebbe diventata qualcuno di importante forse. I suoi peccati sarebbero stati espiati e lei sarebbe andata avanti senza remore.

'Diventa un uomo buono'.

Perché Odasaku gli aveva chiesto una cosa del genere? Lui non ne era in grado, lo sapeva. Conosceva un solo modo per vivere ed era nel sangue. Avrebbe fallito di nuovo. Non sarebbe stato in grado di andare avanti, sarebbe stata una presa in giro. Giocare a fare il bravo ragazzo non era nei suoi standard.

Arrenditi, buono a nulla.

«Dazai...»
Il ragazzo si girò ricordandosi improvvisamente della sua presenza. Tomie gli posò una mano sulla spalla. Stava sorridendo dolcemente, senza tracce di pietà.
E allora lui capì.
No, non sarebbe riuscito a vivere come Odasaku gli aveva chiesto, ma lei avrebbe potuto insegnarglielo. Grazie a lei, forse, lui sarebbe riuscito ad esaudire gli ultimi desideri del suo migliore amico. Con lei al suo fianco, lui ce l'avrebbe fatta e avrebbe messo a zittire quelle voci che si ostinavano a rimproverarlo e deriderlo.

Posso cambiare?

Dazai l'abbracciò e Tomie non si ritrasse sebbene fosse rimasta sorpresa da quel gesto.
Avvolse il corpo del ragazzo in una stretta che sapeva di casa e Dazai nascose il viso nell'incavo del suo collo inspirando il suo profumo.

Mi sono perso fingendo di essere umano.

Quando ruppero l'abbraccio Tomie appoggiò le mani sulle sue spalle e continuò a sorridere.

Ma tu mi hai ritrovato.

«Possiamo farcela» disse. Dazai annuì con convinzione perché ci credeva con tutto se stesso ora.

Non sentivo più niente.

Si avvicinò al suo viso e senza preavviso le baciò la fronte, poi il naso e infine si soffermò a guardarle le labbra ancora piegate in un sorriso. Le mani le tremavano e il suo corpo era scosso dai brividi.
«Ti fermi proprio ora?» mormorò con una punta di riso nella voce.
Dazai non ebbe bisogno di altre conferme.

Ma tu mi hai fatto sentire amato.

Grazie.



Angolo autrice

Grazie per tutte le visite! Mi rendo conto che la storia non è molto chiara ma vi assicuro che alla fine dedicherò un capitolo alle piegazioni. Intanto cosa ne pensate? Avete già qualche idea di cosa stia succedendo?

Cherry




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Capitolo 7
*** {Sei} ***


Fa male.

Cadono leggere le foglie sul prato mentre nuove gemme prendono il loro posto senza fretta, senza pretese per poi cadere a loro volta sconfitte dal vento che non soffia.

Fa male.

Il fruscio delle ali di qualche uccello che spicca il volo in lontananza non crea disturbo alla pacifica radura immersa nel silenzio, come le mani di lei nei suoi capelli. Si cercano le labbra, gli occhi chiusi si affidano ai sensi.

Fa male.

Dimmi che sei qui, dimmi che sei qui con me supplica lui abbracciandola e mescolandosi al suo corpo mentre lentamente il sole sorge.

Fa male.

Sono qui risponde lei con un sorriso lasciando che le mani si trovino e gli occhi si aprano per poi perdersi nuovamente gli uni negli altri.

Fa male.

Allora baciami ancora sussurra lui con voce tremante. Ha bisogno di essere amato, di essere guarito. Le sue ferite pulsano e sanguinano mentre lei gliele bacia una ad una.

Fa male, ma almeno ho te.

Sono qui ripete ancora mentre l'erba sotto di loro non si lamenta, non si ribella ai loro corpi stretti e tremanti, i corpi di due animali feriti.

Baciami ancora, dolcemente, come sai fare tu.

Gli scappa da ridere perché nonostante lui la senta, lui avverta il suo calore inibire i suoi sensi e la sua pelle tendersi sotto il suo tocco, lo sa che durerà poco.

Rinasco tra le tue braccia, che sia sera o mattina, inverno o primavera.

La stringe a sé ancora un po', le orecchie fischiano, i respiri si mischiano, il bisogno di vivere e sentirsi parte di ciò che li circonda non esiste, perché lei vuole solo sentirsi sua e baciarlo ancora e ancora incurante dell'alba che li spia.

Chiedo solo di trovarti accanto a me quando aprirò gli occhi.

La notte è passata, sembra rimproverarli il sole, non potete più nascondervi. Ma loro non badano a ciò, non vogliono preoccuparsi più di nulla. Solo di ascoltare i battiti dei loro cuori unirsi, le loro mani intrecciarsi, gli uccelli cantare il loro amore e le cicale frinire gelose.

Ci sarai?

Il vento soffia, le foglie si seccano e cadono, la radura si sveglia, il tempo torna a scorrere.

E tutto tace.





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Capitolo 8
*** {Sette} ***


"È solo un pensiero" mormorò Tomie distogliendo lo sguardo. Dazai aveva ancora la bocca socchiusa dalla meraviglia e lo scatolo con il piccolo medaglione turchese abbandonato sul divano. Lo prese in mano alzandolo davanti agli occhi come per vedervi attraverso. La luce al neon del soggiorno si stagliò sul piccolo gioiello facendolo brillare.
Non sentendo alcuna risposta da parte del compagno Tomie lo guardò di sottecchi.
Stava sorridendo. Dazai stava davvero sorridendo con genuinità e solo in quel momento la ragazza si rese conto che non lo faceva da quella notte in cui la vita del loro migliore amico era stata strappata via dai suoi occhi, dalle sue mani solitamente calde e dal sorriso che ancora dopo il suo ultimo respiro aveva continuato ad aleggiare sul suo viso segnato dal tempo e da sogni che mai si sarebbero realizzati.
Senza dire una parola Dazai si alzò dal divano facendo cadere a terra con un tonfo sordo il libro che stava leggendo ma che aveva chiuso e abbandonato sul suo grembo per concedere le sue attenzioni a Tomie. Le accarezzò piano i capelli per poi abbracciarla. La strinse a sé dolcemente sorridendo mentre le mani di lei gli accarezzavano la schiena con movimenti lenti e rassicuranti.

"Grazie Tomie" sussurrò al suo orecchio. 

"E' solo un pensiero" ripeté senza staccarsi da lui.

Ancora un po', pensò; voglio restare così ancora un po'.

Non le era mai parso giusto riporre tutta se stessa in un'altra persona, perché le persone erano solite rovinare le cose belle, non erano fatte per custodirle. Eppure, in quel momento, con le braccia del ragazzo attorno al suo esile corpo, non riuscì a credere che potesse esserci del male in lui.
Non riusciva a capacitarsi che lui stesso era convinto di appartenere a quel mondo di strazio e oscurità da cui erano fuggiti insieme. C'era sempre stata della luce in lui, debole, fioca, ma c'era. Lei e Oda l'avevano colta immediatamente e avevano fatto di tutto per tenerla accesa, per farla crescere. Lei lo sapeva che prima o poi quella luce avrebbe fatto scoppiare un incendio ma non aveva paura di bruciarsi.
Tomie si appoggiò ancora un po' al petto di Dazai e la sua attenzione ricadde su uno dei suoi quadri. Fin da ragazzina le era piaciuto dipingere soprattutto con gli acquarelli e quando lei e Dazai avevano fittato quell'appartamento in periferia, lontani dal porto, la prima cosa che lui stesso aveva proposto era stata di appendere i lavori di Tomie alle pareti. Per lei ogni quadro racchiudeva un pezzo di lei, un po' della sua anima. Non aveva mai pensato di venderli sebbene anche Oda glielo avesse proposto; erano sempre rimasti appesi alle pareti o ai cavalletti. Le piaceva riguardarli, perdersi in quel paesaggi che la sua mente partoriva senza sforzo e, magari, notare piccoli errori che non avrebbe tentato di correggere. Ogni colore mescolato, ogni forma da essi assunta, ogni piccola minuzia racchiudeva una melodia che solo lei riusciva a udire. Qualche volta Dazai si sedeva accanto a lei a guardarli e insieme si godevano il silenzio. Lui le prendeva la mano e lei sorrideva perché sapeva che capiva, capiva meglio di chiunque altro.
Con un sospiro Tomie si allontanò a malincuore da quel tepore che quel corpo tanto amato emanava e guardò Dazai con un sorriso. Un ciondolo del suo colore preferito non sarebbe mai bastato per esprimere ciò che lei racchiudeva in sé, le cose che Dazai sapeva lei provava ma che lei stessa non riusciva a spiegare, ma per il momento quello era l'unico modo che aveva trovato per dirgli 'sono qui, siamo qui e io ti amo più che mai'.

"Meglio che vada a fare la spesa prima che i supermercati chiudano" esordì alla fine.

Dazai annuì. Dopo qualche minuto rimase da solo con ancora il rumore della porta che si richiudeva alle spalle della giovane rimbombare nel silenzio della sua testa. Sorrise.
Rimirò ancora una volta il pendente turchese contro la luce della luna che aveva fatto timidamente capolino dalla finestra ma dopo qualche secondo avvertì una strana sensazione. Mancava qualcosa.
Abbassò il piccolo gioiello e i suoi occhi si scontrarono contro la parete dove quella mattina era appeso uno dei quadri di Tomie. Il dipinto di una radura illuminata dal sole era stato sostituito da un freddo intonaco bianco.

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Capitolo 9
*** {Otto} ***


Ci sono momenti in cui i ricordi lo assalgono come la marea, ma al contrario di quest'ultima e con dispiacere di Dazai, quando il riflusso si ritira dalla sua mente -non delicatamente come il mare, ma graffiandola come un rastrello- non trascina con sé i pezzi di cui avrebbe voluto liberarsi; essi rimangono conficcati in lui come sassi nella sabbia. Li avrebbe estirpati dal terreno per ributtarli al largo, ma quel crudele afflusso di memorie scomode li avrebbe riportati tutti al loro posto, non levigati ma, anzi, più appuntiti. È quasi una sfida tra lui e se stesso, lo è sempre stata. Chi avrebbe avuto la meglio? Lui o la sua mente per cui fin da piccolo lo lodavano, geniale e pragmatica? Prende un respiro profondo ed espira fino a svuotarsi i polmoni restando con una fastidiosa vertigine che gli fa girare la terra sotto i piedi.
Aveva smesso di autocommiserarsi tanto tempo fa ma, rivedendo quella scena tutta da capo, le lacrime trattenute di lei e il suo sguardo distante, impassibile che -per quanto lo voglia non stenta a credere che sia il suo- si scontrano in una fiamma blu e rossa di emozioni contrastanti come il freddo e il caldo, non può respingere -si è arreso ormai- quel sentimento a lui fin troppo familiare che solitamente è accompagnato dal sapore dell'alcol ma, mai come avrebbe voluto, delle lacrime. Dazai Osamu è debole, un uomo forte di testa ma debole in tutto il resto; proprio per questo motivo gli è impossibile versare lacrime. Quando vi era riuscito, dopo la morte della sua amata Tomie, non gli parve vero del tutto, temeva che una parte di lui stesse piangendo solo per non sentirsi un verme. Ma alla fine, si dice guardando lei che gesticola con rabbia e se stesso che le volta le spalle muovendo le labbra -dando voce a parole a lui non udibili ma che ricorda vividamente di aver pronunciato- piegate in una smorfia che mai aveva rivolto a lei, non può che trovarsi ad andare a braccetto con i propri demoni.

"Se solo avessi messo da parte l'orgoglio"

'Verme', anzi, è un diminutivo. Codardo. Irriconoscente. Bastardo. Era stato tutto ciò che si era ripromesso di non essere mai con lei, perché lei non lo meritava.

"Se solo non le avessi detto quelle cose"

E lei era andata via sbattendosi la porta dietro le spalle. La cosa peggiore, però, -si dice ciò mentre è immobile a fissare se stesso voltarsi nel punto esatto dove poco prima, in piedi con le mani lungo i fianchi e la voce rotta, vi era lei- è stata quella per cui si tormenta giorno e notte e per cui avrebbe voluto riavvolgere il nastro del tempo come una cassetta:

"Se solo..."

Lui non l'aveva fermata.

"Se solo l'avessi fermata sarebbe ancora qui".

Dazai spalanca gli occhi avvertendo il vuoto sotto il suo corpo. Poco dopo si rende conto di essere steso con la testa sul grembo di Tomie, gli occhi bonari di lei e il sorriso incuriosito. Giusto, lei è lì.

Lei è lì.

Una felicità sorda gli accorcia il respiro, gli stringe lo stomaco in una piacevole morsa e gli fa accelerare il battito del cuore come poche volte. E se succede è sempre grazie a lei.

Lei è lì. Nonostante tutto, nonostante lui non la meriti, nonostante sia stato cattivo con l'unica persona che voleva proteggere. Lei è lì e lo guarda come se non fosse mai successo nulla. Sospira di sollievo sostenendo il peso del macigno che da tempo immemore grava sul suo petto, cosa che non passa inosservata alla ragazza. Dolcemente gli accarezza il viso inclinando il capo di lato e, altrettanto dolcemente, chiede:

-Hai fatto un incubo?-

Dazai scoppia in lacrime.

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Capitolo 10
*** {Nove} ***


Tomie non sentiva lo scalpiccio dei suoi passi procedere decisi sull'asfalto di quella piccola strada racchiusa tra due mura, in una direzione che la sua mente non aveva ancora registrato e che, probabilmente, non avrebbe fatto, lasciando che la ragazza continuasse a vagare con la sola compagnia di quelle insistenti e martellanti parole di cui la sua coscienza continuava a bere il veleno. Non sentiva il vociare delle persone che le passavano accanto come fantasmi invisibili; le loro risate, i toni di polemica e di allegria a stento riuscivano a scalfire la corazza di indifferenza che aveva indossato quella sera la ragazza, adornata da un paio di occhi freddi e straziati. Non sentiva il fresco vento che la sera aveva portato con sé quando era calata sulla città, eppure la sua pelle si accapponava al contatto della brezza su di essa, la percepiva come mille spilli che si conficcavano piano nelle sue braccia scoperte ma, al contempo, era come se qualsiasi altra sensazione non avesse potuto raggiungerla. Era come se il mondo attorno a lei si fosse dileguato. Non sentiva nemmeno più la rabbia che per tutto quel lungo pomeriggio le aveva scavato nel petto una voragine di parole e gesti che aveva riversato su Dazai i cui occhi -ancora li vedeva davanti a sé scrutarla di sottecchi- erano così distanti...
Non sentiva nulla. Riusciva solo a percepire il vuoto che quell'emozione aveva lasciato in lei, come un coltello conficcato e poi tirato via con forza da una ferita ancora aperta e pulsante.
Ricordava le orecchie fischiarle tante erano le grida che avevano occupato il piccolo appartamento arredato con le loro parole d'amore e sguardi di complicità ma che, in quel momento, parevano essere stati spazzati via da una forza forestiera ma non del tutto nuova alla coppia, che più di una volta si era trovata faccia a faccia con espressioni del tutto diverse da quelle che erano soliti scambiarsi. Tomie era stanca di quel litigi che non portavano mai da nessuna parte e che cessavano sempre con porte sbattute e notti in cui nessuno dei due osava toccare l'altro per orgoglio. Con il sorgere del sole tutto sembrava tornare alla normalità; così come scacciavano il buio, allo stesso modo i raggi del sole neutralizzavano gli avvenimenti del giorno prima, accantonandoli in un angolo di mente che nessuno dei due si preoccupava di rispolverare. Però, si disse la ragazza trovandosi ancora una volta in disaccordo con se stessa, anche quello faceva parte della loro relazione: litigare non piaceva a nessuno dei due ma accadeva come se fosse stato un fenomeno impossibile da evitare. Allo stesso tempo lo era far pace, cosa un po' più piacevole per entrambi. Passavano la notte seguente alla battaglia ad amarsi e il giorno li coglieva l'uno nelle braccia dell'altra, e capiva che non vi era bisogno della sua luce per rischiarare i loro cuori momentaneamente oscurati da quel sentimento scomodo ma, talvolta, necessario. Vi erano volte in cui Dazai, non sopportando più la tensione, la attirava a sé baciandola ferocemente e lei non si ritraeva perché le piaceva sentire le mani di lui correre su e giù per il suo corpo famelicamente, bisognose di stringerla e avvertire il suo torpore, afferrarla e bloccandola sotto di lui in qualsiasi parte della casa si fossero trovati. Le piaceva sentirsi necessaria al novello detective, avvertire su di lei il peso di quel corpo tanto amato, i suoi occhi scrutare ogni parte di lei che già conosceva ma che voleva riscoprire come la prima volta, e lei, altrettanto, sapeva, oh, sapeva esattamente come far perdere il controllo al ragazzo; bastava un semplice sguardo scambiato al momento giusto, un semplice tocco nella parte giusta del suo corpo trepidante, un bacio sul collo, sulle labbra, un sorriso e lui era ai suoi piedi.
Altre volte, le peggiori, in balia di una furia ardente, uno dei due usciva di casa e non si ripresentava per ore dovendo smaltire la rabbia che, come una brutta sbornia, faceva uscire dalle loro bocche parole di cui non erano coscenti finché non ripensavano all'impeto degli avvenimenti. A quel punto si maledicevano ma l'orgoglio era troppo per tornare a chiedere scusa, e quando i gesti nemmeno funzionavano si ricorreva al silenzio.
Come quella volta.
Tomie continuava a camminare ignorando tutto e tutti pensando a quanto quella volta Dazai avesse esagerato e a quanto lei fosse stata sciocca a sua volta. Forse avrebbe dovuto dare un calcio a quello stupido sentimento unilaterale che la stava costringendo a camminare senza voltarsi indietro, e per una buona volta tornare a casa, chiedergli scusa e dimenticare quella faccenda. Tuttavia una parte di lei premeva dalla voglia di ignorare i sensi di colpa. Una minuscola parte di lei sorrideva, voleva continuare a sbagliare, concedersi di fare errori come una ragazzina, persistere con quegli stupidi litigi che si dissolvevano nel nulla una volta che lei e Dazai si guardavano negli occhi. Era il minore dei mali quello per cui si tenevano il broncio per ore, giorni a volte, ritenendo che fosse un dramma; quelli erano i problemi migliori che avessero mai potuto affrontare.
In quel momento si alzò il vento e i suoi occhi colsero i rami degli alberi muoversi spasmodicamente sulle sue note silenziose. Scacciando ogni altro pensiero, quella vista le riportò alla mente il medaglione turchese che aveva regalato al ragazzo qualche giorno prima, e quasi giurò di vederlo muoversi a ritmo dei passi di quest'ultimo che le andava incontro con un sorriso. A quell'immagine le sue guance si tinsero di rosso e pensò che ne era valsa la pena vendere uno dei suoi quadri. Il sorriso di Dazai non aveva prezzo. All'agenzia dove avevano iniziato a lavorare da qualche settimana avevano notato tutti il ciondolo cristallino -anche perché Dazai non aveva fatto altro che girare con il petto in fuori-; era piaciuto perfino a quel brontolone di Kunikida. Dazai, allora, non aveva perso tempo e aveva abbracciato Tomie facendo mille mosse e decantando a gran voce quanto fosse meraviglioso quel regalo e, soprattutto, quanto lo fosse lei. La giovane rise ricordando quel giorno ma ben presto la sua voce fu sovrastata e poi troncata da alcune urla.
Non riuscendo a capire da dove provenissero e, presa alla sprovvista, si voltò più volte finché il suo sguardo attento intercettò un uomo armato di pistola correre a perdifiato, i suoi vestiti erano sporchi di sangue e qualcosa le disse che non apparteneva a lui. Non seppe cosa la spinse a farlo, se il senso di giustizia o semplice incoscienza, fatto sta che quando si trovò a poca distanza dal criminale non indietreggiò ma gli si parò davanti, le braccia spalancate per bloccare qualsiasi via di fuga e gli occhi puntati sul nuovo rivale, il quale si vide costretto a rallentare la corsa.
-Levati!- tuonò puntando la pistola contro di lei, ma Tomie non si mosse. Avrebbe potuto usare la sua abilità per intrappolarlo, sarebbe stata la scelta più intelligente da fare ma prima ancora che potesse richiamare il suo potere, il criminale le si avvicinò ancora di più fin quando la canna della pistola non fu puntata sul suo addome.
-Ho detto levati- sibilò sta volta a qualche centimetro dal suo viso. Ancora una volta la giovane non abbassò lo sguardo né si mosse.
-Costringimi- ribatté con tono fermo. L'uomo, inaspettatamente, sorrise accettando la sfida. Tolse la sicura della pistola con un gesto secco ma Tomie non si lasciò intimidire; gli bloccò il polso repentinamente spostandoglielo verso il vuoto, gli colpì il mento con il palmo della mano, poi gli pestò con forza un piede costringendolo ad abbassarsi così da potergli infliggere una potente giniocchiata nello stomaco. L'uomo cadde a terra tossendo più volte e Tomie ne approfittò per allontanare da lui l'arma cadutagli precedentemente. Continuò a guardare il criminale contorcersi dal dolore; probabilmente gli aveva fratturato un paio di costole ma quell'ipotesi non scatenò in lei in minimo senso di colpa. Per un attimo, anzi, le sembrò di essere tornata indietro nel tempo a quando era nella Port Mafia, con l'unica differenza che, se fosse ancora stata lì, a quell'ora l'uomo che aveva ai piedi non starebbe emettendo il minimo suono e la pistola, invece che a terra, si sarebbe trovata tra le sue mani. Scosse la testa per cacciare via tutto ciò che risaliva al passato, ricordi, rimpianti, urla di dolore e occhi assetati del sangue dei suoi simili. Non era più quello, ormai. Non era più una macchina da guerra pronta a sparare.
Eppure il suono che udì poco dopo era proprio quello di una pistola. Abbassò lo sguardo sconcertata vedendo del sangue per terra, poi lo alzò di poco incontrando il viso dell'uomo che ora aveva scoperto le gengive rosse e i denti gialli e storti in un ghigno animalesco di disgustoso sadismo.
Solo allora Tomie avvertì un dolore lancinante che partiva dall'addome per poi attraversarle il corpo come una scarica elettrica.
Un altro sparo.
Altro dolore che le mozzò il fiato, altro sangue che colava dalle ferite inflitte. La sua vista stava iniziando ad annebbiarsi e la sua mente, ormai, stava registrando tutto come un sogno. O un incubo.

«Non ho bisogno di te e della tua compassione!»

Le sue gambe cedettero e lei collassò al suolo lasciando che il sangue creasse una pozza cremisi sotto di lei.

«Posso farcela benissimo senza di te!»

Suoni vividi appartenenti a parole rabbiose risuonarono attraverso il suo udito ovattato.
Non riusciva a spiegarsi perché proprio in quel momento quelle frasi tanto dolorose stavano prendendo forma mentre il suo cuore rallentava la corsa.

«Se esci da quella porta sta pur certa che io non verrò a cercarti!»

Tomie chiuse gli occhi mentre l'uomo si rialzava aiutato da un altro, la pistola ancora stretta tra le mani di quest'ultimo.

«Sono stanco Tomie»
«Stanco di cosa Dazai, eh? Stanco di noi? Abbi le palle di guardarmi in faccia e dimmelo!»
Dazai scosse la testa frustrato senza degnare la ragazza di uno sguardo.
«Sono stanco» ripeté passandosi una mano sul viso come svuotato dalle energie. Tomie, al contrario di lui, avvertì le lacrime di rabbia contro gli occhi e un groppo in gola premere insistentemente contro di essa. Era pura adrenalina.
«Vuoi che me ne vada?»
Ancora una volta fu il silenzio a risponderle.
Lui non l'avrebbe fermata, glielo aveva detto.
E allora lei andò via.

Una piccola folla attratta dagli spari si radunò presto nel punto in cui poco prima era avvenuto lo scontro.
Ma del corpo di Tomie non vi era alcuna traccia. C'era solo la pozza di sangue ancora fresco mescolata alle lacrime di un cuore pieno di rimpianti.

***

Quella notte Dazai si svegliò di soprassalto.
Non perse tempo a chiedersi dove si trovasse perché non ne ebbe bisogno, benché fosse sicuro di essersi assopito sul divano in attesa del ritorno di Tomie.
In un primo momento, quando la vide davanti a lui, i suoi occhi tristi e le sue labbra sorridenti, non capì cosa stesse succedendo, ma bastò che lei lo toccasse per far sì che la coscenza si facesse spazio mettendo da parte la speranza che quello che stava accadendo in quel momento non era altro che un abbaglio.
Ma la luce era forte e le lacrime di lei sgorgavano veloci, il respiro era mozzato dai singhiozzi e l'incredulità.
-Tomie...- annaspó posandole una mano sulla guancia bagnata.
-Mi dispiace Dazai- sussurró lei non riuscendo ad aggiungere altro.
Dazai, per un momento, rimase paralizzato. Il suo corpo era pesante e non rispondeva ai comandi che la sua mente gli impartiva, anche perché in quest'ultima vi era il caos. Abbassò lo sguardo sull'addome della giovane dove una ferita rossa e vivida era apparsa distinguendosi -e stonando- come un colore scuro in una tela vivace. Il sangue e il tempo si erano fermati.
-No... dimmi che non...- le parole gli morirono in gola non riuscendo a trovare sbocco.
Tomie lo abbracciò continuando a singhiozzare e lui la strinse nascondendo il viso nei suoi capelli viola.
-Tomie-chan... ti prego...- gemette mentre crollava sulle ginocchia ancora avvinghiato a lei, quasi avesse avuto paura che sarebbe svanita se l'avesse lasciata andare. Sperava di sbagliarsi, desiderava tanto udire la risata della ragazza che si espandeva in quel vuoto, che lo rincuorasse dicendogli che in realtà stava bene e non era successo nulla. Ma quelle parole non arrivarono mai. C'erano solo i singulti leggeri e il fracasso di un cuore martellante.
Da quel momento in poi, per quanto fosse stato orrendo quel sogno, Dazai sperò di non svegliarsi mai più.

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Capitolo 11
*** {Dieci} ***


And I remember when I met him, it was so clear that he was the only one for me.
We both knew it, right away.

Non appartengo a questo posto.

-Dovrai lasciarmi andare prima o poi-
Le mani di Tomie giocherellando con le ciocche del detective accarezzandolo di tanto in tanto.
Dazai tiene la testa sul suo grembo e gli occhi chiusi beandosi del tocco di lei come un elisir.

Non è qui che dovrei essere, lo so bene.

La radura è immersa nel suono delle cicale e in lontananza è possibile udire il cinguettio di qualche uccello.
I suoi occhi si aprono piano.
-Lo sai che non posso-

L'unica a cui appartengo sei tu.

-Sì che puoi- replica lei quasi duramente.
-Il problema è che non vuoi-

Ma anche i petali del fiore più bello cadono.

Cosa c'è di male? pensa il detective. Lei è l'unica cosa bella che gli sia mai successa. E' già stato privato di tante cose, perché deve rinunciare anche a lei? Semplice, perché di tutto ciò di cui può fare a meno lei è ciò che non avrebbe mai lasciato andare; proprio per questo motivo ora è costretto a farlo, costretto a privarsene in cambio di una cosa che nemmeno vuole e mai ha voluto. E' un codardo ma non vuole rimanere di nuovo solo, non vuole, non ce la farebbe a sopportare il freddo che gli stringe il collo anche -soprattutto durante le giornate più soleggiate, non avrebbe trovato la forza per liberarsi dalla presa di mani invisibili che lo avrebbero spinto sul fondo di un abisso color pece. Il solo pensiero gli fa venire voglia di scappare il più lontano possibile finché non riuscirebbe a dimenticare chi è e perché sta correndo chissà dove con il fiato sospeso e i piedi che bruciano. Tuttavia sa bene che nel momento in cui si sarebbe voltato indietro, si sarebbe reso conto con dispiacere che non aveva mosso nemmeno un passo.

And as the years went on, things got more difficult--
we were faced with more challenges.

-Dovresti smetterla di pensare a me e andare avanti- sospira Tomie facendo ricadere lo sguardo su una primula accanto a lei.
Il detective alza un sopracciglio.
-Ed io che pensavo ti desse fastidio quando ci provo con tutte quelle ragazze- risponde con un sorriso che Tomie non sa mai se prendere a schiaffi o baciare fino a consumarsi le labbra.
Dazai è scorretto, ma alla fine lei sa che il suo è solo un modo per sviare il discorso. Nemmeno lei, nel suo egoistico e umano desiderio d'amore, vuole lasciarlo andare ma aveva promesso a se stessa di essere migliore -aveva promesso a Oda, guardando il cielo silenziosamente, che mai e poi mai avrebbe intralciato la felicità che il detective aveva guadagnato con tanta fatica. Lei non avrebbe più interferito.
-Ancora mi chiedo come io abbia fatto ad innamorarmi di te- dice lei alzando giocosamente gli occhi al cielo.
Dazai sorride e chiude gli occhi ancora una volta.

No, sono io a chiedermi come abbia fatto una come te a salvare uno come me.

La ragazza fa scorrere le dita sulle sue guance, tracciando piccole carezze con i polpastrelli. Fissa pensierosa un punto impreciso mentre, come un automa, ripete parole che per lungo tempo le sono rimaste dentro ma che ora devono uscire o sarebbero marcite insieme a lei.
-Dazai, alla fine siamo tutti cani randagi raccolti dalla strada che diventano fedeli al primo che li salva; spesso, però, dimentichiamo che chi ci distrusse una volta era la persona che a sua volta ci salvò-.
Dazai solleva una mano posandola sulla guancia di lei avvertendo una lacrima scendere dalle sue orbe azzurre.
-Tu non potresti mai distruggermi- dice, poi sorride.
Tomie abbassa la testa lasciandosi andare al contatto della sua mano.
"L'ho fatto quando ti ho portato qui la prima volta", pensa con rammarico.
-Mi dispiace... sai anche tu quanto io voglia restare con te- abbozza un sorriso ma esso va ad affievolirsi come un fiore piegato dal vento ma che mantiene comunque la sua bellezza.
-No... la colpa è mia. Ho fatto un casino- sussurra Dazai ispirando profondamente.

I begged him to stay.
Try to remember what
we had at the beginning.

Portami via da qui.

-Prima Odasaku e poi tu-
-Lo sai che non è colpa tua-
-Sì che lo è- insiste il detective con un sospiro rassegnato prendendole una mano e intersecando le loro dita insieme che, come pezzi di un puzzle, combaciano perfettamente.
Tomie continua ad accarezzarlo piano senza sapere cosa dire, sapendo che non sarebbe stato facile convincerlo del contrario. Tante volte ci aveva provato e tante volte aveva fissato gli occhi dell'uomo incresparsi ai lati mentre sorrideva con malinconia.
"Vorrei che fosse così" diceva sempre. E Tomie restava a fissarlo mentre la rabbia per essere impotente davanti allo sconforto di Dazai cresceva in lei. Quell'uomo aveva sempre negli occhi una buia iridescenza di amarezza, l'aveva sempre avuta, eppure non gli era mai donata né l'aveva meritata. Ricorda in quel momento, di come abbia tentato a lungo di penetrare nella sua testa attraverso le fessure di quel sorriso distrutto, di come ambisse a spazzare via tutti i suoi dispiaceri e i mostri che la occupavano e ancora la occupano. Quando vede il sorriso sincero di lui sbocciare e gli occhi svuotarsi di tutti i rimpianti e gli incubi, pensa che forse ci è riuscita, che non sarebbe stato poi così sbagliato restare lì con lui per sempre.

He was charismatic, magnetic, electric and everybody knew it.
When he walked in every woman's head turned, everyone stood up to talk to him.
He was like this hybrid, this mix of a man who couldn't contain himself.

Ma sa fin troppo bene che Dazai non può continuare a vivere in quel sogno, e nemmeno lei nell'illusione che vada tutto bene. Continuerebbero a farsi del male. Devono lasciarsi andare una volta per tutte.
La colpa, però, ancora una volta, è solo sua. Non smetterà mai di condannarsi, perché alla fine è così: Tomie è stata un' egoista e a causa di questo suo capriccio infantile ora lui rischia di non svegliarsi più. Se non l'avesse portato in quel posto, se avesse lasciato perdere tutto, se quel giorno non avesse usato la sua abilità per salvarsi, Dazai probabilmente l'avrebbe custodita solo come un ricordo, come era giusto che fosse.

Andiamo via.

Quasi abbia colto il pensiero della ragazza, Dazai si alza dal suo grembo per guardarla meglio in viso.
Fa scorrere lo sguardo su ogni suo dettaglio e intanto si innamora.
-Sei l'unica persona con cui posso essere me stesso senza pentirmene. Quando guardo le mie mani vedo solo sangue- spiega con tristezza, -ma quando le mie dita sono intrecciate tra le tue esso sparisce. Se tu non fossi qui ora... probabilmente non ci sarei nemmeno io. E sai cosa intendo-.

I always got the sense that he became torn between
being a good person and missing out on all of the opportunities
that life could offer a man as magnificent as him.

Si avvicina alle sue labbra ma lei si ritrae.
-Dazai- lo chiama piano, -non è questo il tuo posto-.
-Il mio posto è accanto a te Tomie- ribadisce il detective quasi implorante.

Già, questo mondo mi è sempre stato estraneo.

Tomie alza finalmente lo sguardo e abbozza un sorriso.
-Lo so. E lo sarà sempre- lo accarezza dolcemente mentre un vuoto le divora lo stomaco.

Non voglio più vivere.

Non senza di te.

And in that way I understood him
and I loved him.

Posa la sua fronte su quella di lui chiudendo gli occhi.

Il prato si tinge di rosso mescolandosi alle lacrime e al dolore, creando così la tela più bella che la morte possa mai aver dipinto.
-Ma adesso devi svegliarti-
Il buio cala sulla radura e a Dazai pare essere inghiottito dal nulla di cui sono fatte quelle dolci illusioni.

Non voglio...!

-Tomie!

-No no no no! Ti prego!-

Tomie lo guarda un' ultima volta con quei grandi occhi in cui il cielo sembra essersi incastrato.
-Ti prometto che ci rivedremo, ma fino ad allora vivi. Fallo per entrambi-.
Il suo corpo inizia a dissolversi. Dazai si getta tra le sue braccia a capofitto stringendola a sé con tutte le forze che ha, quasi abbia la certezza di poterla trattenere.
-Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace...-
Piange come un bambino ormai, ma questo non avrebbe fermato il tempo nella sua folle corsa.
Tomie posa una mano sulla sua testa accarezzandolo piano per l'ultima volta come una mamma con il suo tesoro più prezioso.

-Ti amo Dazai Osamu-

I loved him, I loved him, I loved him.

La sua voce non è altro che un eco ormai.
Le braccia di Dazai si ritrovano ad avvolgere il vuoto mentre cade a terra su quel prato divenuto grigio così come il cielo.

And I still love him.

Portami con te!

Alza lo sguardo pieno di lacrime. Di lei è rimasto solo il sorriso, indelebile nella sua mente. Il paesaggio scompare definitivamente lasciando Dazai solo e disorientato. Chiude gli occhi stringendo i denti.
-Ti amo anche io Tomie. E la morte non ci separerà. Te lo prometto-

I love him.

Svegliami da questo mondo che si sta arrugginendo











Aprì gli occhi.

Ad accoglierlo con un sorriso sornione c'era la prepotente bellezza di quel mondo sciagurato, che quasi sembrava tendergli la mano e porgergli il bentornato.
Dazai scosse il capo sentendo tutto il corpo intorpidito, un fastidioso tubo in gola gli impediva di parlare ma si rese subito conto che non ce ne sarebbe stato bisogno.
Vicino a lui non c'era nessuno.

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Capitolo 12
*** {Epilogo} ***


[Questo capitolo contiene spoiler del manga, leggete a vostro rischio e pericolo -ma leggete lol-]

。。。

When your warmth disappear
I woke up from a dream
to face the reality door.

。。。

Una goccia di pioggia scivolò languidamente sul vetro, senza fretta, interrompendo di tanto in tanto la piccola corsa come per posticipare la propria fine quasi sapesse che si sarebbe schiantata contro il davanzale della finestra prima o poi. Non aveva senso tardare l'appuntamento con la morte, ella era sempre e comunque puntuale. Chissà se la gocciolina stava desiderando di non essere mai nata? Se non fosse mai nata non sarebbe mai caduta dal cielo e ora non si starebbe per disintegrare in altre minuscole perle d'acqua che sarebbero state inghiottite dal suolo senza lasciare segno del loro passaggio. Sotto molti punti di vista l'inizio poteva essere ancor più brutale della fine. Senza l'inizio nulla avrebbe potuto smettere di essere.
Dazai ne era sempre più convinto. Se non fosse mai venuto al mondo si sarebbe risparmiato molte sofferenze; certo, le cose belle che aveva vissuto sarebbero sparite a loro volta ma se lui non fosse mai esistito non avrebbe dovuto piangerle nel momento in cui si sarebbero dissolte. Qualcosa, però, si impuntava dentro di lui, sostenendo con determinazione che se lui e Tomie non si fossero mai conosciuti una parte di lui l'avrebbe cercata per sempre nello stesso modo in cui, in ventidue anni della sua vita, aveva cercato una ragione per vivere. Ed era stata proprio Tomie a mostrargliela, a donargliela. Aveva preso le sue mani e da quel momento Dazai aveva capito di averla trovata.
Già, Tomie gli sarebbe mancata anche se non si fossero mai incontrati.
Non aveva mai creduto nel karma sebbene lui era indiscutibilmente il primo su cui si sarebbe dovuto abbattere. Ma come poteva esistere una cosa del genere in un mondo dove le persone buone, innoque come gocce d'acqua che scivolavano giù dal vetro, erano le prime a trovarsi con al testa tra le mani?
Destino? L'idea che fosse già tutto scritto era solo una scusa per non assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Le persone se ne lavavano le mani con frasi come "doveva andare così a quanto pare". E se invece si sbagliassero? Se invece avessero lottato un po' di più il finale sarebbe stato sempre lo stesso? Chissà se se lo erano mai chiesto... Lui sì, lui si ubriacava di quelle incognite.

Se quel giorno non l'avesse lasciata andare le cose sarebbero andate diversamente?

Probabilmente era l'unico che accumulava quelle riflessioni come cianfrusaglie. Sarebbe stato più facile anche per lui pensare che le cose dovevano andare in quel modo fin dall'inizio, ma il bambino capriccioso che preservava dentro si rifiutava categoricamente di crederci preferendo continuare a riempirsi di quesiti irrisolvibili piuttosto che ammettere la propria disfatta.

Mattino, ti prego, arriva presto ed accoglimi prima che non riesca più a nascondere la mia debolezza.

Prima di unirsi all'agenzia i suoi monotoni giorni li trascorreva al bar a bere come uno squallido senzatetto e a sognare un finale alternativo, uno lieto magari. Qualche volta guardava la porta del locale come se Tomie l'avrebbe spalancata con decisione da un momento all'altro. Poteva quasi vederla davanti a lui; lei si guardava intorno per qualche secondo, poi, dopo averlo intercettato e avergli rivolto uno sguardo non esattamente morbido, gli si avvicinava prendendolo per un braccio con l'intenzione di trascinarlo fuori da quella topaia. Avrebbe accettato anche le sue urla o degli schiaffi, qualsiasi cosa pur di avere la certezza che lei fosse davvero lì davanti a lui.
"Quando la smetterai di bere così tanto?" avrebbe detto lei una volta a casa, ignorando di proposito gli occhi pieni d'amore di lui che l'avrebbe presa per i fianchi, sapendo che la sua spavalderia sarebbe crollata nel momento in cui l'avrebbe baciata. Forse avrebbero fatto l'amore o forse si sarebbero limitati a sedersi sul divano e restare abbracciati l'un l'altra mentre scambiavano quattro chiacchiere parlando di nulla in particolare o anche solo restando in silenzio, dimenticando tutta la faccenda.
Quelle utopie sparivano nel momento in cui Dazai veniva richiamato dalla voce della barista che lo informava dell'imminente chiusura del locale. A quel punto l'ex mafioso si alzava dallo sgabello e si recava verso l'uscita in completa abiezione e solitudine. L'unica cosa che ancora lo faceva sentire vicino alla ragazza dai capelli viola era il medaglione che portava al collo. C'erano momenti in cui giurava di sentire le iridi azzurri di Tomie sulla pelle. Quasi d'istinto, allora, stringeva il pendente tra le dita e chiudeva gli occhi, cosciente, tuttavia, che quella di cui troppo spesso si nutriva, era l'illusione di trovarla davanti a sé una volta riaperti.

È strano, basta che tu non ci sia e la notte diventa così malinconica.

Avrebbe voluto avere almeno la consolazione di trovarsi sotto il suo stesso cielo, ma seduto sul lettino dell'ospedale reduce dall'operazione per estrarre il proiettile gentilmente regalatogli dal cecchino di Dostoevskiy, alzò gli occhi verso quest' ultimo -zeppo di nuvole grigie intente a dare sfogo alla loro ira-, il quale si estendeva davanti ai suoi occhi velati dal disinteresse e ancora una volta una risata riecheggiò dall'interno della sua mente, cupa e beffarda, ricordandogli che nessun lieto fine sarebbe stato scritto quel giorno, quello dopo e quello dopo ancora. Non per lui, perché il suo lieto fine era lei.

Ma ora non ho nessun diritto di parlare di felicità.
Capisco più di chiunque altro che non mi si addice un lieto fine.

* * *

Era da tanto tempo, si disse Tomie, che non avvertiva la pelle accapponarsi in quel modo in preda ad ondate di impetuoso gelo. Come scariche elettriche le percuotevano il corpo facendolo formicolare, si infilavano sotto la pelle, le attanagliavano lo stomaco e le bruciavano le membra. Poteva sentire chiaramente il sangue fuoriuscire dalle sue ferite e, mantenendo gli occhi chiusi come se aprirli fosse stato un ulteriore dolore da sopportare, si ritrovò a sperare che il Mietitore giungesse al più presto e la raccogliesse da terra con delicatezza per portarla via con sé. Il fatto di essere ancora cosciente non sapeva se considerarlo un regalo o una dannazione: avrebbe potuto vedere, avvertire quel mondo sfuggente -che per quanto l'avesse messa a dura prova rimaneva sempre di una bellezza disarmante, ma di questo pareva rendersene davvero conto solo in quel momento- un'ultima volta, pensare al sorriso caldo di Dazai e sentire il sale delle lacrime un ultimo istante prima di spirare.
Il suo respiro iniziò a rallentare e lei si lasciò sfuggire un sorriso perché finalmente avrebbe potuto riposare per davvero. C'erano tante cose a cui non era riuscita ad adempiere come avrebbe voluto -dopotutto la sua era stata un'esistenza breve-, ma in quel momento non parevano rivestire un'importanza primaria, era troppo presa dal torpore che le si stava accasciando pesantemente sulla schiena schiacciando il suo corpo contro l'asfalto.
Il nome di Dazai era l'unica cosa che continuava ad occupare posto quasi prepotentemente nella sua testa; quanto avrebbe voluto averlo accanto, dirgli addio una seconda e definitiva volta, accarezzarlo e fargli sapere di nuovo che le dispiaceva così dannatamente tanto per tutto. Le sarebbe piaciuto averlo al suo capezzale, forse non così presto ma aveva sempre creduto che sarebbe stata lui l'ultima cosa su cui i suoi occhi si sarebbero posati prima di chiudersi per sempre. Forse, se quel giorno di quasi nove anni fa lei non lo avesse fissato un po' troppo a lungo per poi sorridergli, se lui non avesse ricambiato incerto... Forse, e solo forse, ognuno avrebbe proseguito per la propria strada e, qualora lei fosse morta lo stesso, non avrebbe dovuto ripensare con angoscia a quanto dolore gli avesse procurato l'esatto momento in cui quella notte si era presentata in uno dei suoi sogni con l'addome insanguinato e le parole lasciate a metà.
Ma chi voleva prendere in giro? Se non avesse usato la sua abilità tutto ciò sarebbe potuto essere evitato.
Non c'era modo di cambiare le cose, in ogni caso la colpa era sua.
Nel mortale dormiveglia finalmente le parve di percepire qualcuno sostare in piedi davanti a lei. Non ebbe la forza di alzare il capo o anche solo le palpebre ma continuò a sorridere fedele alla convinzione che la morte era finalmente sopraggiunta, senza sapere che davanti a lei, invece che il Mietitore, vi era un angelo con la gonna e un fermaglio d'oro a forma di farfalla.

* * *

Quando i suoi piedi incontrarono l'asfalto dovette quasi fermarsi per riabituarsi a quella sensazione di concretezza sotto i piedi e così fece, restando immobile a studiare la città nel suo caotico viavai di vite distratte.
Il segni che il temporale aveva lasciato il giorno prima erano ancora lì, raggruppati in tante piccole pozze d'acqua sporca di terra. Dazai inspirò a pieni polmoni quell'aria putrida e ancora carica di elettricità. Poteva sentirla eppure essa non lo raggiungeva. Il suo corpo non era mai stato così spento e privo di forze. L'unica vera scarica elettrica in grado di farlo rinascere era il tocco di quelle dita sottili che mai l'avrebbero sfiorato nuovamente, ma avrebbe dovuto farci l'abitudine. Non poteva fossilizzarsi, sarebbe andato avanti ancora e ancora fino a consumarsi l'anima, portando sulle spalle il peso che una volta aveva condiviso con Tomie che ora era pronto a trasportare per conto suo.

«Non preoccuparti di nulla, ci penso io»

Dazai infilò le mani in tasca per nascondere il loro tremore a nessuno in particolare e iniziò a camminare verso l'agenzia, riponendo tutte quelle pene in un cassetto e ripromettendosi di aprirlo solo di notte. Cuore infranto o no, avrebbe dovuto darsi da fare. Non avrebbe lasciato che esso lo intralciasse in alcun modo durante il giorno anche se i suoi demoni trovavano sempre il modo per sfuggire al suo controllo solitamente impeccabile.
Giurò di sentirli perfino in quel momento.

«Morto morto morto, sei morto»
«Bestia»
«Sei una bestia»
«Sì, una bestia!»
«Un ranocchio che nessuna principessa potrà salvare dalla sua condanna!»
«Ucciditi e fai un favore alla società»
«Sei senza dignità»

Come un libro dalle pagine ingiallite letto troppe volte, Dazai ricordava a memoria le sentenze che quelle voci si divertivano a sputargli contro. Le sentiva festeggiare, brindare alla sua disgrazia perché sapevano, oh, sapevano bene che ora che Tomie non c'era più avrebbero potuto fare di lui ciò che volevano. Lo avrebbero portato all'Inferno e lì sarebbe rimasto, buono e ubbidiente come un cane.
Quella volta avrebbe chiuso gli occhi per non vedere nessuna mano tendersi verso di lui nel tentativo di salvarlo. Non era più sicuro di volerlo.

* * *

La dottoressa Yosano si alzò dalla sedia girevole stiracchiando le braccia al cielo. Per quanto potesse essere morbida la sedia e calorosa la piccola stanza arredata a studio medico apposta per lei, non riusciva a negare il desiderio di voler uscire di lì il prima possibile. Amava il suo lavoro ma l'odore clinico del disinfettante aveva iniziato a farle girare la testa.
Sopprimendo un sospiro si alzò affacciandosi verso il lettino sul quale Tomie stava riposando. Era fiera di se stessa e sollevata di essere arrivata in tempo. Se fosse passato anche solo un altro secondo sarebbe stato tutto inutile.
Rimase a studiare i lineamenti della giovane soffermandosi sui suoi particolari capelli violetti. C'era qualcosa in loro che apriva una piccola porticina della sua mente, non abbastanza da permetterle di sbirciarvi al suo interno purtroppo.
Una strana familiarità che stentava a ritenere vera, un po' per la stanchezza, un po' perché era certa di non aver mai visto quella ragazza in vita sua, le incollava gli occhi purpurei addosso.
Quella frustrante sensazione sarebbe sparita, Yosano si augurava, al piú presto come una folata di vento, allo stesso tempo, però, quando quest'ultimo soffiava non poteva certo essere ignorato. Era un qualcosa di astratto, irraggiungibile, ma c'era e accarezzava la pelle lascivamente, scompigliava i capelli e strappava le foglie dagli alberi lasciandole inermi per terra.
Alla fine la donna si arrese decidendo che combattere con la propria testa era una guerra persa in partenza. Magari quando la giovane si sarebbe svegliata avrebbe potuto chiarirle le idee.
Tornò a sedersi sulla sedia accasciandosi contro lo schienale. Quanto le sarebbe piaciuto chiudere gli occhi anche per soli cinque minuti; era stata sveglia tutta la notte a vegliare su quella ragazza e ora che l'alba era giunta con il suo manto dorato, Yosano desiderò che lo stendesse su di lei come una coperta.
Un gemito la costrinse a distaccarsi dal desiderio di riposare ma in un attimo esso parve sparire.
La giovane aveva aperto gli occhi rivelandone il loro colore azzurro. Scrutò la dottoressa per qualche istante, la quale si alzò quasi di scatto dalla sedia per andarle incontro.
-Come ti senti?-
La sua voce le giunse ovattata e anche se Tomie fu sicura di averla udita non rispose limitandosi a qualche sguardo apatico.
Yosano iniziò a frugare tra i suoi attrezzi medici tirando fuori da un cassetto uno stetofonendoscopio poi, tornando sui suoi passi, infilò i piccoli canali nelle orecchie e fece per posizionare il disco sul petto della giovane, ma questa alzò una mano per fermarla.
Sotto lo sguardo perplesso di Yosano si mise a sedere lentamente, dopodiché la guardò in viso per un paio di secondi, i quali bastarono a farle scaturire un'inspiegabile voglia di piangere.
-Noi... ci conosciamo?-
Tomie, ancora una volta, si limitò a guardarla. La sua voce era come bloccata in gola dall'indissolubile certezza che qualsiasi cosa avrebbe detto sarebbe servita a ben poco, dunque preferí concentrarsi sul mondo fuoristante. Aveva ripreso a scorrere, lo avvertiva dal più piccolo spostamento d'aria al suono dei clacson che raggiungevano quello studio medico.
Ma cosa ci faceva lei lì?

Meritava davvero di essere testimone dello scorrere del tempo?

Si morse il labbro imprimendo cosí nella carne il desiderio di piangere, vietando al suo animo di dar sfogo alla prostazione che continuava a seguirla. Eppure lei non aveva fatto granché per liberarsene.
Condividerla con qualcuno non bastava per allegerirne il peso, era solo l'ennesima bugia che si raccontava per avere una mera consolazione, e quante volte era stata testimone di menzogne come quella. Eppure lasciava sempre correre e l'avrebbe fatto ancora una volta, ancora una volta.
«Non importa»
Non le importava, giusto?
Oppure era una bugia anche quella?

Con la lingua piena di falsità che si ritrovava, meritava davvero di avere una seconda possibilità?

«Chi te lo dice che Dazai sarà ancora lì ad aspettarti?»

La paura di non essere più voluta le graffió la mente con unghie aguzze e sporche di incertezza.
Si dimenticò per un attimo di essere tornata alla realtà e il nulla l'avvolse ancora. Si trovò in quel vuoto che l'aveva condannata, che aveva quasi ucciso la persona che amava. Avrebbe voluto farsi del male, tanto, tanto male per non commettere più alcun errore.

Non mi lasciare

Quella condanna che aveva e continuava a dover scontare era ben incisa nella sua persona e avrebbe continuato a essere parte integrante di lei fino alla fine dei suoi giorni, lo sapeva sebbene continuava a ignorarlo di proposito.
Per un attimo biasimò la dottoressa Yosano per averla salvata quando tutto ciò che avrebbe voluto -meriato- era chiudere gli occhi una buona volta, ma ben presto scacciò via qualsiasi astio perché il viso di lui e dei suoi occhi gentili apparve nella sua testa come un fulmine; la disintossicò da tutto il veleno di cui la ragazza si stava nutrendo.
Sorrise mentre le lacrime iniziavano a solcarle il viso sotto lo sguardo insicuro della donna. Finalmente seppe cosa fare perché era tutto estremamente semplice e si maledisse per non averlo capito prima.

Concedimi di essere egoista
Concedimi di essere umana

Aveva una seconda occasione e questo, questa bastava.


* * *

Non si aspettava alcun tipo di cambiamento all'interno dell'agenzia, dopotutto il suo periodo di assenza era stato relativamente breve, sarebbe stato alquanto impossibile scorgere un minimo mutamento in così poco tempo tra quelle quattro mura che per anni erano rimaste invariate. Però, si disse avanzando tra la grande stanza occupata dalle scrivanie dei dipendenti, c'era qualcosa nell'aria che gli solleticava la cute e il cuore.
Un profumo.
Sì, Dazai era sicuro che nell'aria aleggiasse un profumo a lui familiare, nostalgico, che lo rendeva irrequieto. Non riuscí ad ignorarlo benché si fosse ripromesso, qualche attimo prima, di lasciarsi alle spalle quelle illusioni ormai appartenenti al passato. Capì che per quanto volesse essere più forte, il suo cuore vinceva sempre.
Iniziò a voltare il capo in tutte le direzioni, a far scorrere gli occhi su ogni minuzia senza notarla davvero, perché lui era in cerca di una cosa sola, utopica forse per la parte razionale della sua mente, ma presente e viva nel resto di lui.
Aprì la bocca un paio di volte ma altrettanto la richiuse.
Dove sei?
Avvertì un formicolio percuoterlo dalla testa ai piedi ma proprio quando si decise a muovere un passo, Yosano uscì dal suo studio con occhi assonnati. La donna si sarebbe accorta di lui a malapena se non fosse stato per la voce che fuoriuscì strozzata dalla sua gola un attimo dopo.
-Yosano-san...-
Ancora una volta le parole gli morirono in gola nel momento in cui si rese conto di non avere la minima idea di cosa dirle.
"Avete visto Tomie per caso? Sì, la ragazza che amo con tutto il cuore e che dovrebbe essere morta. Sa, ho sentito il suo profumo in questa stanza. Come? Ah no, non disturbatevi a chiamare il manicomio, a breve mi farò rinchiudere per conto mio".
-Oh, Dazai. È un piacere rivederti-.
Normalmente il detective non avrebbe perso tempo a posarsi una mano sul petto in maniera melodrammatica, enunciando quanto stesse soffrendo per quell' indifferenza, ma in quel momento la sua parte burlesca sembrava non essere mai esistita. Notò come gli occhi della donna fossero contornati da cerchi neri, segno inequivocabile di una notte passata in bianco.
-Va tutto bene?-
Yosano annuí perdendosi a fissare il solco delle mattonelle accanto si suoi piedi ma Dazai aveva capito ancora prima che c'era qualcosa che non andava. La donna, infatti, gli rivolse lo sguardo una seconda volta e incrociò le braccia al petto iniziando a raccontare della nottata in bianco, di come avesse salvato quella strana ragazza e di come la medesima avesse fatto scaturire in lei la sensazione di conoscerla da tempo immemore.
Man mano che il racconto proseguiva gli occhi di Dazai si allargavano a dismisura, il suo cuore scalpitava come mai prima di allora e le gambe sembravano star facendo uno sforzo immane per reggere il suo peso. Le sentiva urlare, incitarlo a correre anche se aveva l'impressione di poter svenire da un momento all'altro.
-Dazai, ti senti bene?-.
Dazai fu riscosso dal caos che imperversava in lui come un bambino pestifero che sbatteva idee e sentimenti a destra e a manca senza preoccuparsi del conseguenziale disordine e puntò le iridi castane in quelle violette della donna. Tutto ciò che riuscì a dire con voce scombussolata e rauca all'interno dell'agenzia risuonò come un grido disperato.
-Dov'è adesso?-

* * *

Correva a perdifiato. Poco importava della ferita ricucita che ancora pizzicava, poco importava che i suoi polmoni si stessero svuotando completamente, poco importava degli sguardi dei passanti.
Ogni volta che i suoi occhi scorgevano un luccichio porpora si fermava speranzoso per poi riprendere a correre una volta resosi conto che non erano i capelli di Tomie quelli.
Nel momento esatto in cui la dottoressa Yosano gli aveva riferito che la misteriosa ragazza era andata via senza rivelarle la meta verso la quale era diretta, Dazai era schizzato fuori dall'agenzia con il cuore in gola e l'ansia che gli squarciava il petto. Non trovava altri modi per descrivere a se stesso cosa stesse provando in quell'attimo che pareva non finire mai, sapeva solo che il suo corpo fremeva di una folle euforia mai percepita. Attorno a lui qualsiasi cosa aveva perso forma quasi fosse stato coperto da una coltre di nebbia indissipabile. I suoi occhi vedevano solo il colore viola o l'azzurro, niente di più. Tutto il resto era grigio.
Senza nemmeno rendersene conto aveva girato gran parte della città ma di Tomie non vi era traccia. La sua mente iniziò a deriderlo ancora e ancora con cattiveria e Dazai dovette resistere all'impulso di tapparsi le orecchie o urlare.
Quanto avrebbe voluto avere un interruttore per poter spegnere quelle voci.

«Sei pazzo, sei pazzo, sei pazzo pazzo pazzo!»
«Se anche fosse viva non tornerebbe mai da te!»
«Rinuncia, fallito!»
«Non riesci nemmeno a toglierti dai piedi, non vedi quanto sei patetico?»
«Se fossi in te tornerei a casa e mi farei curare»
«Lei è morta e tu sei solo un corpo che cammina, privo di anima e del diritto di esistere»

Il respiro gli si accorciò come se la fatica della corsa si fosse moltiplicata, piombandogli addosso senza pietà. Si sentì perso, non riconosceva più le strade della sua città, le luci erano troppo accecanti e le voci delle persone erano amplificate a tal punto da fargli fischiare le orecchie.
Alzò lo sguardo al cielo implorante.

Dove sto sbagliando?

Un silenzioso desiderio di aiuto rivolto alle nuvole tinte di arancione raggiunse il culmine ma non fuoriuscì mai dalle labbra del detective.

Stavo facendo meglio di così!

«Bugiardo!»
«Dai, dinne un'altra!»
«Un'altra menzogna, sei tanto bravo a dirle!»
«È l'unica cosa che gli riesce»

Io... non ce la faccio più...

'A cosa pensi?'

Dazai sgranò gli occhi.

'Mi piacerebbe andare sulla spiaggia.'

Mormorii spezzati dal battito incessante del suo cuore sciagurato. Un segno forse, un piccolo aiuto sussurrato nel suo orecchio. I suoi piedi si mossero quasi automaticamente mentre un tramonto vermiglio lo scrutava da lontano.

* * *

Il detective si ritrovó a combattere contro la sabbia che risucchiava i suoi passi, ma nonostante la fatica continuò ad avanzare imperterrito finché non ebbe raggiunto la riva del mare.
L'atmosfera era così tranquilla che per un attimo credette di non trovarsi nel mondo reale o, anzi, di essere un'altra persona. Qualche volta si divertiva a farlo: immaginava di chiamarsi in un altro modo, avere una vita e un passato completamente differenti da quelli marchiati a sangue che lo caratterizzavano. Ma bastava un momento, un pensiero piccolo che si insinuava subdolo in lui e tutto tornava come prima. Tutto gli ricadeva addosso cogliendolo impreparato. E ancora una volta si dimenticava come essere felice.
Anche adesso aspettava di vedere le sue innumerevoli utopie sgretolarsi, ma il pensiero che metteva sempre un punto ad esse non giunse mai. Era come se lì, in quel preciso istante, sulla riva del mare e con il vento che ne increspava la superficie tutto tornasse al posto giusto. Tutte le pene che aveva sofferto erano dissipate dagli ultimi raggi del sole; perfino le voci si erano attutite fino a diventare meri sussurri.
Era tutto quasi perfetto.
Mancava solo un dettaglio fondamentale ma esso non tardò ad arrivare.
-Che atmosfera meravigliosa, non trovi?-
Dazai si voltò piano dando le spalle alla distesa azzurra. Poco distante da lui, Tomie lo osservava con quel suo sorriso caratteristico che mandava in panne il cervello del detective. Non desiderò più essere qualcun altro, voleva essere se stesso con tutto il dolore e tutto l'amore che provava perché Tomie era lì, non in un' altra vita, non in un altro mondo e non amava nessun uomo che non fosse Dazai Osamu.
Infine, senza aspettare oltre, la giovane spalancò le braccia e con voce rotta dall'emozione proferì: -Allora? Non vieni a salutarmi?-.
Dazai non se lo fece ripetere due volte. Si fiondò tra le sue braccia assaporandone il calore e beandosi del suo profumo, stringendola non come se avesse avuto paura di perderla, ma con la certezza di averla tra le braccia e la promessa che non l'avrebbe più lasciata andare. Tomie si aggrappò al suo impermeabile piangendo silenziosamente, distaccandosi quel poco che bastava per poterlo guardare negli occhi. Dazai, allora, le prese il viso tra le mani e la baciò con una delicatezza disarmante, assicurandosi di imprimere tutto quello che c'era da dire sulle labbra dell'altra.
E Tomie capì; comprese ogni singola parola e lo baciò a sua volta, affondando le mani nei suoi capelli per sentirlo più vicino, per stampare nell'ultimo raggio di sole e nella prima stella della sera le loro anime che si stringevano senza lasciarsi ostacolare dai corpi.
E mentre dietro di loro il giorno si concludeva, un altro era pronto per essere scritto.

Fine


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