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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** {Prologo} ***
Capitolo 2: *** {Uno} ***
Capitolo 3: *** {Due} ***
Capitolo 4: *** {Tre} ***
Capitolo 5: *** {Quattro} ***
Capitolo 6: *** {Cinque} ***
Capitolo 7: *** {Sei} ***
Capitolo 8: *** {Sette} ***
Capitolo 9: *** {Otto} ***
Capitolo 10: *** {Nove} ***
Capitolo 11: *** {Dieci} ***
Capitolo 12: *** {Epilogo} ***
Capitolo 1 *** {Prologo} ***
《C'è il sole
oggi.
Non so bene dove sono,
non so bene se sono sveglio o sto dormendo.
So che non sento il caldo e non sento il freddo.
Non sento più niente, ma non è una
novità.
Negli ultimi tempi sono come muto e sordo,
e la mia pelle non conosce vie di mezzo, a volte brucia tutta, a volte
è gelida
e potrei essere già morto
se non fosse per le vene che mi scoppiano, e ho perso l'appetito, ho
perso la voglia di tutto,
ho solo bisogno di dormire.
Adesso non so se sono sveglio o sto dormendo.
Credo di avere gli occhi aperti, ma i suoni, gli odori, i
corpi degli altri e il cielo, non c'è niente.
Bianco sopra e bianco sotto.
Poi la voce di lei lontana, persa, attutita.
Vorrei risponderti, Beatrice, ma sono muto e sordo.
C'è il sole oggi, ne sono sicuro, è da
qualche parte in alto ma io non riesco a vederlo.
C'è il sole oggi, ma io svanisco come nebbia》
➸♡➸
La prima
cosa che i suoi sensi percepiscono è il silenzio. La quiete
che regna in quel luogo è troppo innaturale per trovarsi in
un posto terreno.
Una vivida luce si staglia su di lui e su tutto ciò che lo
circonda, ma poi si rende conto di una cosa: è circondato
dal nulla. Yokohama pare essere stata risucchiata dal bianco splendente
che si irradia negli occhi del detective, donando loro un falso
scintillio. Sembra quasi di trovarsi in una stanza vuota, ma molto
molto grande. Nessuna fonte di luce eppure essa filtra tranquillamente
da chissà dove immettendo calore. È tutto
perfettamente immobile, il tempo dà l'illusione di essersi
fermato.
Forse è finalmente morto?
Gli viene quasi da sorridere a quella speranza che tante volte
è risultata vana, ma che in quel momento pare plausibile,
forse perché, più che altro, è lui a
volersi convincere di ciò.
Inizia a camminare con passo strascicato e intanto si guarda intorno.
Ha immaginato la vita dopo la morte tante volte, e tante volte si
è trovato ad annuire con se stesso al pensiero che dopo la
vita non c'è nulla ad attendere l'essere umano se non
l'oblio.
"Ovvio", pensa, "se ci fosse un'altra vita dopo la morte dubito che
tenterei di uccidermi, dopotutto, quello che voglio è
smettere di esistere una buona volta".
E mentre la sua mente vaga indisturbata al di là di quella
dimensione, ora riempita dall'eco dei suoi passi, avverte un'altra
presenza scrutarlo da vicino.
Si volta ma alle sue spalle non c'è nessuno, anzi, niente.
Fa per girarsi un'altra volta e quasi sussulta quando incontra un paio
di occhi azzurri a poca distanza dai suoi.
-Heilà!-
Dazai non
si muove ma, anzi, sorride.
Davanti a lui una ragazza dai lunghi capelli viola legati in una coda
bassa e con alcune ciocche intrecciate, gli occhi azzurri che poco
prima lo hanno fatto sussultare, la pelle diafana e le labbra rosee
piegate all'insù in un sorrisetto divertito lo sta
osservando con il capo inclinato leggermente di lato.
La sua voce squillante echeggia nel vuoto riempiendo le orecchie del
detective di un suono che difficilmente avrebbe dimenticato.
-Mi stavi aspettando?- domanda dolcemente il detective.
La ragazza pare rifletterci su raddrizzando il busto prima proteso
verso Dazai.
-In realtà no. Però sono felice di avere
compagnia, quindi in un certo senso, sì, ti stavo aspettando
Dazai-
-Così mi ferisci! Ed io che pensavo stessi attendendo con
impazienza il mio arrivo!- replica con falso rammarico subito
sostituito da uno dei suoi migliori sorrisi da dongiovanni.
Si avvicina a lei nuovamente mantenendo lo sguardo fisso nel suo.
Mette le mani nelle tasche del suo inseparabile impermeabile beige
scrutando con occhio attento la ragazza davanti a lui, forse alla
ricerca di qualche dettaglio sfuggitogli.
-Dove ci troviamo?-
La ragazza si volta e, con le mani dietro alla schiena, inizia a
camminare nel nulla.
-Dovrei essere io a chiedertelo-
Allunga una mano orizzontalmente afferrando il nulla, poi rilassa il
pugno aprendo le dita come per liberare qualcosa di invisibile.
-Dopotutto...-
Gira solamente la testa verso di lui, gli occhi paiono risplendere di
luce propria. Una luce offuscata e nascosta da un sorriso sbieco.
Un impavido alito di vento si abbatte sul viso del detective dividendo
i suoi capelli castani in ciocche che tentano di fuggire via come
farfalle intrappolate.
-...questo è il tuo sogno-
Lo scenario cambia.
La luce è sostituita dal buio e il nulla da un tetto di uno
dei palazzi più alti di Yokohama.
Un sussurro viene spezzato dal boato delle onde che si avvinghiano alla
riva per poi essere ritrascinate in mare senza pietà.
Dazai si avvicina al bordo del tetto guardando la strada deserta
sottostante.
Chissà che ore sono, pensa, ma da una parte nemmeno gli
importa granché dato che in qualsiasi ora e in qualsiasi
luogo si trovano, lei e la giovane dai capelli viola, sono
completamente soli. Ci sono solo loro due e la sinfonia della natura.
E questa volta c'è il vuoto ad attenderli a braccia aperte.
Sorride tristemente ricordando a se stesso che la morte non sarebbe
stata disposta ad accoglierlo in un sogno.
Sto
cercando qualcosa che non posso raggiungere.
Ma
finché non sarebbe morto sarebbe stato impossibile
svegliarsi da quel mondo appassito.
Lei lo sta fissando attentamente fingendo di non sapere cosa stia per
fare, se buttarsi o tornare indietro.
Lasciami
andare.
Perdonami.
Parole
vuote emanate con un sospiro che vanno a unirsi alla brezza notturna.
Ma le sue labbra non si sono mosse. Un bagliore fluttuante va a
illuminare il viso di Dazai per poi moltiplicarsi come stelle sospese
in aria.
Ma
sono un egoista.
Il ragazzo
apre il palmo della mano accogliendo una lucciola su di essa. Guarda la
sua luce affievolirsi finché non si è
completamene spenta. In un attimo è cenere sulla sua mano.
E
tu sei tutto ciò che ho.
Sorride
alla ragazza mentre una sola lacrima scende dal suo viso.
Resta.
Non
posso.
Perché
senza di te fa troppo male.
|
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Capitolo 2 *** {Uno} ***
-Hai
chiamato un gatto Sensei?-
Odasaku
prese posto in mezzo a Dazai e Tomie, i quali gli avevano lasciato il
posto libero, momentaneamente occupato dal grosso gatto rosso e bianco.
-Non
vedi che aria saggia che ha?- disse Dazai seguendo l'animale con lo
sguardo.
-Ti
ha ceduto anche il posto-
-Beh,
grazie allora-
Mentre
il barman porgeva il bicchiere di vetro al rosso, Dazai
iniziò a raccontargli gli avvenimenti della giornata con
entusiasmo, per poi concludere il piccolo racconto con un "e anche oggi
non sono riuscito a morire".
Tomie
lo guardò quasi con compassione.
-Questa
deve essere la sfortuna che ti buttano addosso i tuoi nemici-
-Cos...
dici davvero Tomie-chan!?-
Oda
si voltò verso di lei ignorando le lamentele dell'amico.
-Tu
credi nella sfortuna Tomie?- chiese in modo pacato, il bicchiere tra le
mani sul cui vetro le luci si infrangevano insieme al riflesso dei suoi
occhi chiari.
-Penso
che nella vita serva una buona dose di fortuna per andare avanti, e se
esiste la fortuna deve esistere anche la sfortuna, no?-
-Solitamente
si dice "baciati dalla fortuna" ma a quanto pare è la sfiga
ad essersi preso una mega cotta per me- mugugnò Dazai
mandando avanti il suo monologo.
-Strano,
eppure sono sicura che il mio secondo nome non sia "sfiga"-
rifletté Tomie ad alta voce mescolando il liquido
caramellato nel bicchiere, provocando il tintinnio del ghiaccio contro
il vetro.
Dazai
sgranò gli occhi mentre le sue guance si dipingevano di
rosso.
-Tomie-chan...
QUINDI COMMETTERAI UN DOPPIO SUICIDIO CON M...-
-No-
-Rude-
-Dubito
che qualcuno abbia così tanta voglia di suicidarsi come ne
hai tu Dazai-
-Odasaku,
Tomie-
I
due interpellati si voltarono all'unisono verso il giovane mafioso che
in quel momento aveva riposto la sua solita espressione burlesca.
-L'uomo
teme la morte ma allo stesso tempo ne è attratto. La morte
è un evento sviscerato continuamente nella città
come nella letteratura. E' un momento unico nella vita delle persone,
che nessuno può invertire ed è questo
ciò che desidero-
Tomie
lo guardò intensamente. Guardò le sue labbra
piegate all'insù in un sorriso sincero alla ricerca della
più piccola traccia di cedimento, ma Dazai era serio. Serio
come la morte.
-Quindi,
rimanendo in tema, potrei avere un bicchiere di detersivo?- chiese poi
al barman intento a pulire dei bicchieri, tornando alla sua falsa
spensieratezza.
-Non
ne abbiamo- rispose con calma l'uomo, un piccolo sorriso divertito dal
cambio di personalità del suo giovane cliente.
-Ah
okay... allora un cocktail a base di detersivo?-
-Non
ne abbiamo-
La
ragazza si lasciò sfuggire una risata davanti
all'espressione delusa di Dazai.
-Non
credo esista una cosa del genere Dazai. A meno che...-
Entrambi
i mafiosi si voltarono verso l'amica che aveva assunto una posa
riflessiva.
-A
meno che cosa?- incalzò Dazai curioso.
-A
meno che non ti inventi una ricetta in casa! Potresti sperimentare e se
sei fortunato mentre lo fai muo... ah giusto, sei perseguitato dalla
sfortuna. Beh, fa finta che non abbia parlato-
-No
no no no! Al contrario! Sarà il mio modo per combatterla!
Potrei sul serio provare a creare un cocktail a base di detersivo!-
-Odasaku,
fossi in te darei uno schiaffo a entrambi-
Ango
annunciò la sua presenza così, accompagnando
quella frase con il rumore dei suoi passi sulle scale del piccolo
locale.
-Ango!-
lo accolse Dazai con un sorriso sorpreso, sporgendosi oltre la spalla
di Oda.
-Com'è
andata la contrattazione?- chiese Tomie dopo aver preso un altro sorso
di whiskey.
Ango
si sedette ordinando un semplice succo di pomodoro.
-Non
sono riuscito a concludere granché. L'unica cosa che ho
guadagnato è questo vecchio orologio d'epoca-
spiegò vagamente deluso Ango aprendo la piccola borsa che
aveva con sé, mostrandone così il contenuto.
I
quattro amici continuarono a parlare dei loro rispettivi lavori del
giorno, per lo più incarichi falliti.
-Ora
che ci penso, è da un po' che siamo diventati compagni di
bevute- notò Dazai voltando il capo per guardare tutti e tre
i mafiosi.
-E
di fallimenti- aggiunse Tomie inclinando il capo con un sorrisetto tra
l'autocommiserevole e il compiaciuto.
-Fallimenti?-
le fece eco Ango, un sopracciglio alzato.
-Già.
Dazai oggi non è riuscito a morire; io ho mancato il
bersaglio che dovevo uccidere, quindi niente paga; tu Ango, sei tornato
quasi a mani vuote e Oda...- si fermò voltandosi a guardare
il rosso, sulle dita teneva ancora il conto delle "fatiche andate male".
-Giusto,
ora che ci penso Odasaku non ci parla mai dei suoi incarichi-
rifletté Ango sporgendosi a guardare il diretto interessato.
-Vi
annoiereste soltanto ad ascoltare le storie del membro di grado
più basso della Port Mafia- disse Oda con non chalance
tenendo sollevato il bicchiere, sulla lingua una punta di autoironia.
Dazai
aggrottò le sopracciglia.
-Ed
ecco che fai di nuovo il riservato-
Dopo
una leggera pressione da parte di Tomie, alla fine il maggiore si
decise a raccontare la sua giornata.
-Ho
punito un ragazzino che stava rubando in un negozio che ci offre
protezione; ho fatto da intermediario tra la moglie e l'amante di uno
dei dirigenti; mi sono occupato di una bomba inesplosa...-
E
mano mano che Oda elencava i "lavoretti", gli occhi di Dazai parevano
allargarsi a dismisura.
-Ehy
Odasaku! Scambiamoci lavoro! Anche io voglio occuparmi delle bombe
inesplose!-
Ango
si schiaffò una mano in fronte.
-Non
sapresti cosa fare-
-Già,
esploderesti-
-Esploderei?
ESPLODEREI! TOMIE, HAI SENTITO? HANNO DETTO CHE ESPLODEREI!-
-Beh,
buona fortuna-
Dazai
sospirò con aria sognante accasciandosi sul bancone.
-Ora
che ci penso, vi siete dati appuntamento?- domandò Ango dopo
aver preso un lungo sorso dal suo drink.
Tomie
scosse la testa appoggiandola poi sulla mano.
-In
realtà io ho vinto una scommessa contro Dazai, quindi lui mi
ha offerto da bere. Oda è arrivato poco dopo e lo stesso tu-
spiegò.
-In
effetti...- prese parola il giovane dirigente raddrizzandosi.
-È
come se avessimo avuto la certezza di incontrarvi se fossimo venuti qui-
Dopo
pochi attimi di silenzio alzò il bicchiere.
-A
cosa brindiamo?- chiese Tomie allegramente.
-Non
lo so, non ho bisogno di un motivo preciso-
Oda
alzò lo sguardo puntandolo verso un punto impreciso, poi
alzò il bicchiere a sua volta.
-Agli
stray dogs-
Ango,
Tomie e Dazai sorrisero lasciando Oda perplesso.
Alzarono
i bicchieri e con una leggera collisione un tintinnio si espanse in
tutto il bar accompagnato dal brindisi.
-Agli
stray dogs!-
Vorrei
che il tempo mi risparmiasse.
-Facciamo
una foto!-
-Mh?
Come mai vuoi una foto così all'improvviso?-
Ma
è un boia senza pietà.
-Ho
la sensazione che dovremmo farlo. Così avremmo la prova che
noi quattro ci riunivamo qui-
-Dai,
perché no?-
Nella
sua corsa non risparmia nulla.
-Tomie,
dì
"amoDazaiallafolliaevogliocommetereundoppiosuicidioconlui"!-
-Cheese!-
Click!
Si
prende tutto e non lascia che occhi aridi di pianto.
-Prendimi
da questa postazione, sembro più virile!-
-Ah
certo, e mia nonna è la figlia di Voldemort-
Click!
In
un battito di ali vola via lasciando
su di me ferite aperte e sanguinanti.
-Io
in realtà non sono molto fotogenico-
-Non
è per niente vero Ango! Su, sorridi!-
Click!
-Oda,
tocca a te!-
-Uhm?-
Click!
Non
chiedo molto, solo un'ombra in cui nascondermi fino a quando le mie
cicatrici saranno sparite.
-Siete
pronti?-
-Prontissimi!-
-Dazai-
-Sì
Tomie-chan?-
-Togli
quella mano da lì-
-Oops,
colpa mia~-
Ma
la notte è arrivata e la tua ombra si è dissolsa,
unendosi al buio.
Ora
sono sola in questo mondo che sta appassendo.
-Odasaku,
la macchina fotografica-
Click!
E
lentamente, sto morendo con lui ripetendomi sempre le stesse parole.
"Casa
è dov'è il cuore".
Io
devo averlo dimenticato in quella fotografia.
|
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Capitolo 3 *** {Due} ***
Il cielo
sembra offuscato da strati invisibili di nuvole. Un leggero odore di
terra bruciata penetra indisturbato nelle narici ma senza prepotenza.
Il sole c'è ma è coperto dal fumo di un incendio
appiccato chissà dove.
Dazai non sempre capisce perché la sua mente si ostina a
partorire luoghi senza significato come quelli. Lì, in
quella città dominata da alberi e palazzine basse, il mare
sembra non esistere.
Un senso di irrequietezza lo invade, un' ansia ingiustificata.
Sta di nuovo aspettando qualcosa che non accadrà mai?
Tomie si accosta a lui tenendo le mani dietro la schiena senza dire una
parola. I suoi occhi vagano da una parte all'altra.
In mezzo a quella strada deserta la vita sfugge via dalle dita, eppure
il respiro accelera, il cuore pompa sangue frettolosamente e la pelle
si accappona.
Ombre evanescenti passano accanto ai corpi intorpiditi ma vigili nel
loro sonno.
Sagome di fantasmi del passato camminano indisturbate come sonnambuli.
Mio fantasma,
dove sei?
-Li
riconosci, vero? Uno ad uno-
Tomie allunga una mano verso un ombra ma essa la oltrepassa.
Gli occhi di Dazai sono vuoti. Non risponde e non si muove.
Pare quasi essere diventato uno di quegli spettri.
Cos'è
successo all'anima che eri prima?
-È
il tuo sogno Dazai. Puoi scegliere tu dove andare- gli ricorda lei per
rincuorarlo.
Dazai si volta a guardarla e nei suoi occhi sembra risplendere un
briciolo di vita perduta. Sorride calcando così la sua
bellezza di fiore appassito.
-E tu dove vuoi andare?-
Nell'esatto momento in cui quelle parole lasciano le sue labbra
un'ombra passa attraverso il suo corpo.
Per un attimo al detective pare quasi di scorgere un barlume rossiccio
troneggiare sul nero.
Si gira avvertendo il proprio cuore fare una capriola. La sua mano fa
uno scatto, quasi a volersi muovere da sola per afferrare quell'ombra
evanescente.
Ella è già andata via confondendosi con le altre
ma Dazai sa riconoscerla anche in mezzo a quei fantasmi senza volto
grazie alla scintilla rossa di una sigaretta.
Ancora una volta il rimpianto.
Ancora una volta la mancanza dei tempi andati.
Mi
dispiace.
È
stata colpa mia.
Mi
manchi.
Nessuna di
quelle parole avrebbe trovato sbocco. Ormai era troppo tardi.
Chiude gli occhi ma poi li riapre e si rivolge alla ragazza accanto a
lui. Avverte la sua mano prendere la propria con dolce fermezza e con
quel semplice gesto tutto il dolore si dissolve.
Lei sorride e sussurra:
-Ovunque con te-
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Capitolo 4 *** {Tre} ***
Il
mare era dipinto con un prepotente arancione misto ad un morente
azzurro, soffocato dal colore del sole calante.
Tomie
chiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni l'aria piena di
salsedine. La quiete era palpabile, tipica del giorno che muore,
accompagnata da una dolce e insidiosa melodia regalata dalle onde che
si infrangevano sulla sabbia fredda. La malinconia fungeva da padrona.
Dazai
si avvicinò alla ragazza continuando a fissare il mare.
-Vorrei
che tutti i giorni fossero così- sussurrò lei
più a se stessa che al ragazzo accanto a lei.
Aprì piano le gemme azzurre. Non un alito di vento si
azzardava a toccarla.
Non
so come fai, tu mi fai sentire umano.
Quando
ella rivolse lo sguardo verso Dazai, lo sorprese a guardarla con un
misto di curiosità e dolcezza, un sorrisetto sulle labbra.
Non
ti arrenderai, vero?
-Siamo
sentimentali sta sera, eh signorina Yamazaki?- scherzò lui.
Tomie
mise le mani dietro la nuca.
-Non
ho mai detto di non esserlo- disse facendogli la linguaccia.
Ferma
il tempo in un ultimo raggio di luce. Mi basta anche questo.
-Quindi
saresti disposta a commettere un doppio suicidio con me?-
-No-
-Rude...
Eppure è così romantico! Doppio suicidio! Ahh!
Che melodia per le mie orecchie! Due amanti che si lasciano inghiottire
dall'abbraccio della morte!-
Resta
con me.
-Se
ti piace tanto la morte perché non chiedi a lei di
suicidarsi con te?-
-Non
ha molto senso quello che hai detto...-
-Sognare
non costa nulla, no? E poi penso che la Morte sia l'unica disposta a
morire quindi...-
-Ma,
mettiamo che la Morte possa attualmente morire; se muore Lei poi tutti
gli altri esseri viventi saranno immortali?-
Prendimi
la mano e stringila.
-Credo
di sì. Però sai, non mi ha mai allettato l'idea
della vita eterna. Sai che noia poi?-
-Intendi
senza di me?-
-Ti
piacerebbe-
Prendi
questo mio cuore a pezzi e custodisci ognuno di loro fino all'alba.
L'infinito
non sarebbe tanto male se potessi trascorrerlo al tuo fianco.
Dazai
si lasciò andare ad una risatina gutturale mentre il sole
spariva del tutto.
Guardò
Tomie.
Lei
lo stava già guardando.
Se
non puoi concedermi un futuro, concedimi il presente.
-Tomie-chan-
-Sì?-
-Perché
sei voluta venire in spiaggia?-
Dolcemente.
Piano.
-Volevo
solo vedere il tramonto con la persona che amo-
E
il giorno muore.
|
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Capitolo 5 *** {Quattro} ***
Il silenzio la
svegliò.
I
raggi del sole si insinuarono attraverso le tapparelle socchiuse
andando a illuminare il viso addormentato di Dazai.
Tomie
rimase a fissarlo intrappolata nel suo abbraccio, un piccolo sorriso
intenerito non sembrava propenso a lasciare le sue labbra.
Eri una visione
al mattino quando entrava la luce,
I capelli castani del
detective solleticavano le guance della giovane, la quale era tentata
di toccarli per tastarne la morbidezza, ma non si mosse per paura di
svegliarlo. Chiuse di nuovo di occhi avvertendo le palpebre farsi
nuovamente pesanti. Kunikida sarebbe andato a prenderli direttamente a
casa e li avrebbe svegliati con le sue urla isteriche, dovute al fatto
che ancora una volta avevano fatto tardi, o addirittura, saltato il
lavoro; ma Tomie non se ne curò.
Avvertendo un movimento
da parte di Dazai tornò vigile.
Il detective si era
appena svegliato e, con gli occhi ancora impastati dal sonno,
guardò la ragazza accanto a lui.
Lei sorrise.
-Buongiorno-
Dazai ricambiò
il sorriso.
-Buongiorno a te. Dormito
bene?-
-Mi stavo leggermente
sciogliendo dal caldo dato che ti sei appiccicato a me stile koala, ma
tutto sommato ho dormito meglio così-
Il castano
ridacchiò nascondendo il viso nei capelli di lei
abbracciandola ancora di più.
-Che ore sono?-
-Non
ne ho idea- mugugnò lei assonnata accoccolandosi contro il
petto bendato del ragazzo.
So che sentivo
la religione solo quando ero sdraiata con te.
-So
solo che Kunikida non ha ancora sfondato la porta, quindi deve essere
presto-
Prima
che il destino mi porti via da te
-Beh
di questo non devi preoccuparti-
-Uh?-
stringimi
ancora un po'.
-Può
darsi che gli abbia incollato la porta di casa con della colla super
attack-
La
mia anima dannata si purifica nei tuoi occhi.
-D-dici
davvero!?-
-Dovrebbe
ringraziarmi, è sempre così stressato! Restare un
po' in casa gli farà bene-
-Le
senti anche tu?-
-Cosa?-
-Le
sue bestemmie-
Ed
io mi abbandono alla vita.
-Dazai-
-Sì?-
-Ho
fame-
-Mh-
-Perché
quella faccia?-
-Per
un attimo ho pensato che mi dicessi "ti amo"-
-Vuoi
che te lo dica?-
"Può
un cuore spezzato continuare a battere?"
-Sì-
Tomie
rise alla faccia imbronciata di Dazai.
Il
detective la guardò inarcando un sopracciglio con aria
maliziosa iniziando a far scorrere le mani sul corpo della giovane in
modo lascivo per poi iniziare a solleticarla.
-N-no
no! Fermo! Dazai ti prego!- scoppiò a ridere Tomie
dimenandosi nella speranza di sfuggire alla tortura del detective, ma
senza successo. Si buttò sul fianco dando le spalle a Dazai
che continuò a farle il solletico per niente intenzionato ad
arrendersi.
-Dillo!-
-Non
respiro!-
-Finché
non lo dici non la smetto!-
-Sei
il diavolo in persona!-
-Risposta
sbagliata!-
Credevo
non fosse possibile.
Sto
ancora imparando ad amare.
-E
va bene, lo dirò!-
Dazai
si fermò permettendo a Tomie di riprendere fiato. Era
bellissima.
Un
cane randagio non è abituato a ricevere carezze dopotutto.
-Allora?
Sto aspettando~ -
Tomie
lo guardò ancora ansimando.
Lentamente
si mise a sedere.
I
suoi occhi incrociarono quelli dell'amante.
I
capelli in disordine, il sorriso luminoso.
"Vorrei
rimanere così per sempre"
-Dazai-
Le
labbra si mossero piano, dolcemente, rosee come l'alba.
Ma
non ha senso se tu non ci sei.
Pochi
centimetri separavano i loro visi, ma Tomie non gli avrebbe dato
soddisfazioni, lo sapeva.
Infatti
non se ne sorprese quando ella, con un'espressione beffarda, gli
sussurrò: -sto morendo di fame-
Con
una mossa fulminea si allontanò cercando di alzarsi in piedi
ma lui fu più veloce.
L'afferrò
per i fianchi e la riportò nel letto, bloccandole i polsi ma
con delicatezza.
-Non
così in fretta Tomie-chan- cinguettò Dazai con
un'espressione tutt'altro che rassicurante.
Un
brivido percorse la schiena della povera ragazza, ora bloccata dal peso
del detective bendato.
-Ora
che ci penso anche io ho fame-
Si
avvicinò al suo viso.
-Infatti
stavo pensando di fare colazione con te~-
-Che
doppio senso! Ti sei impegnato vedo-
-Nah,
con te le cose mi vengono spontanee-
Una
risata gutturale, occhi negli occhi.
Per
una volta il tempo si era fermato.
Un
sussurro smorzato, rotto.
'Vorrei che tu fossi qui'
Perché
no, tu non ci sei.
E io mi sveglio
ancora ogni mattina ma non con te.
|
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Capitolo 6 *** {Cinque} ***
Dazai non era solito ubriacarsi pesantemente, a dire il vero
erano pochissime le volte in cui ci era riuscito.
La prima, ricordava bene Tomie, era stata per testare quanto
riuscisse a reggere l'alcol. Anche quella volta gli ci vollero quasi
la metà dei bicchieri di whisky e sake a testa che beveva di
solito per sbronzarsi nemmeno tanto. Lui aveva quindici anni allora e
lei tredici. Quella sera doveva aver esagerato
pesantemente, rifletté la ragazza guardando il modo impacciato
con il quale il mafioso si stava muovendo in quel momento, mettendo
un piede davanti ad un altro come se le sue gambe fossero state
private delle ossa e la forza di gravità lo stesse spingendo
per terra. Il suo viso era rosso e l'espressione
perennemente sorniona formata da un sorriso inebetito e gli occhi
socchiusi. «Ti dico che sto bene Tomie» gemette
Dazai mentre la suddetta lo trascinava via dalla strada tenendo un
braccio attorno alla sua vita mentre quello del ragazzo era avvolto
sulle spalle di lei. «Ho bevuto poco, lo giuro». Un
conato di vomito lo costrinse a fermarsi e piegarsi per rigettare
l'alcol assunto sul ciglio della strada. Era buio e non passavano
macchine. Chissà che ore erano si chiese la ragazza mentre
distoglieva lo sguardo con un sospiro rassegnato. «Ci
sei andato giù pensante...» mormorò più a
se stessa che a Dazai mentre si rimettevano in marcia.
L'appartamento di Tomie era di modesta grandezza ma
disordinato come uno stanzino di piccola taglia in cui accatasti
tutto ciò che non ti serve e ti riprometti di buttare al più
presto. Matite, pennelli, fogli di carta strappati e
intatti, bottiglie di alcol vuote e libri giacevano abbandonati sul
pavimento mentre al centro della stanza sostava paziente un
cavalletto con una tela bianca in attesa di essere riempita e
vivacizzata con qualche ritratto, paesaggio o anche solo colori senza
una forma precisa. Ripromettendosi ancora una volta di
mettere tutto in ordine Tomie salì con cautela le scale che
conducevano al piccolo balconcino che ospitava un letto a due piazze,
una minuscola scrivania con sedia girevole, un comodino e un armadio.
Il tutto affacciava sul salotto. Senza nemmeno preoccuparsi
di fargli togliere le scarpe, Tomie fece distendere Dazai sul
materasso mentre lui continuava a protestare e blaterare cose senza
senso. Esausta, si lasciò andare sulla sedia per riprendere
fiato. Fece per appoggiare il gomito sulla scrivania dietro di lei ma
lo ritrasse quasi di scatto quando si ricordò che qualche ora
prima, in un raptus di isteria aveva preso tutti i colori a olio e li
aveva spalmati sul legno una volta color mogano ma ora indefinito tra
il grigio sporco e il viola scuro. Si massaggiò le tempie
cercando di calmare il fastidioso pulsare quando la voce lamentosa di
Dazai le fece alzare lo sguardo. «Tomie-chaaaaaaan~» Tomie
non batté ciglio sperando quasi di esserselo
immaginato. «TOOOOOOMIEEEE» «Cosa
c'è?» La sua voce uscì dalla sua gola
come rantolo rassegnato. Dazai si lamentò per un po'
tentando di mettersi a sedere ma cadendo nuovamente sul
materasso. «Sei una... guastafeste» pronunciò
infine battendo un pugno sul letto. Tomie inarcò un
sopracciglio. «E tu sei ubriaco» «Non
è veeeero. Sono solo... stanco» «Sicuramente» Gli
occhi iniziarono a farsi pesanti ma Tomie si intimò di restare
sveglia, doveva prima accertarsi che Dazai stesse bene, e in quel
momento non lo era per niente. Seguì il
silenzio. Per un attimo pensò che si fosse
addormentato. «Tomie» La sua voce era
più ferma sta volta, pensò Tomie mentre si agitava
sulla sedia muovendo il piede sul pavimento come se stesse
calpestando una cicca. «Sì?» «Perché
non riesco mai a morire?» Lo fissò impassibile
mentre la sua sagoma si alzava dal letto mettendosi prima a sedere,
poi si sporgeva in avanti prendendosi la testa tra le
mani. «Possibile che debba fallire anche in
questo?» Non disse nulla, le mancavano le parole,
l'aria sembrava essersi rarefatta improvvisamente. Si sentì
come un palombaro sul fondo del mare a cui era appena terminato l'
ossigeno. Vide se stessa vagare nel nulla in una dolce apnea prima
che i suoi polmoni avvertissero la mancanza d'aria. La
stanza era improvvisamente troppo opprimente e la disperazione che
aveva tentato invano di soffocare era troppo fitta e la stava
lentamente riempiendo, la stessa disperazione che qualche ora prima
l'aveva fatta accasciare al muro. «È tutta
colpa mia... solo mia. Solo mia. Solo mia!» quasi gridò
Dazai. Tomie ricordava di aver pianto. La pacifica
sensazione di vuoto che aveva provato dopo era ancora presente in
lei. Era come se una mano invisibile l'avesse svuotata
completamente. Aveva distrutto un paio di disegni,
imbrattato quella scrivania e lanciato matite e vestiti al piano di
sotto, si era presa la testa tra le mani tentando di calmarsi, di far
rallentare il respiro troppo accelerato. Le sarebbe venuta una
tachicardia. «Sono un buono a nulla! Odasaku sarebbe
ancora qui se solo non avessi perso tempo andando da Mori! SONO UN
FALLITO! NON ERA LUI CHE DOVEVA MORIRE! SONO IO, IO, IO, IO,
IO!» «Dazai. Smettila» Tremava
come un cane. Alzò la testa verso Tomie, gli occhi rossi e
lucidi, segno che buona parte della sbronza era ancora lì. Tomie
lo guardò impassibile. «Come cazzo fai. Dimmi
come cazzo fai ad essere così tranquilla!?»
Voglio morire.
«TOMIE!» «SMETTILA!» Dazai
si immobilizzò. Tomie, ora in piedi davanti a lui, stringeva i
pugni ficcandosi le unghie nel palmo. «COME CAZZO
PENSI CHE MI SENTA!? ODA ERA COME UN FRATELLO PER ME!» Il
mafioso rimase in silenzio a guardarla mentre le lacrime di lei si
infrangevano per terra. Dopo un po' Tomie rilassò le spalle e
aprì le mani mostrando il segno che le unghie avevano
lasciato. «Era come un fratello per me...»
ripeté inginocchiandosi come se le forze l'avessero
abbandonata. Dazai sentiva lentamente la lucidità
tornare insieme alla consapevolezza ancora più vivida ma non
nuova. «Mi dispiace. È colpa mia» La
sua voce era diventata piatta e quasi gli parve di aver assunto lo
stesso tono che caratterizzava Oda. Tomie, immobile sul
pavimento, lasciava che il vuoto nel suo petto la risucchiasse. La
mano di Dazai che si posava piano sulla sua guancia le fece alzare la
testa.
Non sento più niente.
«Non è colpa tua» sussurrò
Tomie. Si alzò piano vergognandosi di essere crollata in quel
modo davanti a Dazai. Asciugò la scia trasparente
che le sue lacrime avevano lasciato nella corsa e si sedette accanto
a lui. Nel silenzio fu certa di udire il battito del suo
cuore e di quello di Dazai più forte del dovuto. «Lascerò
la Mafia» Tomie sbatté la palpebre un paio di
volte sicura di aver sentito male. L'espressione di Dazai
non lasciava trasparire nulla quindi per lei fu più facile
pensare di essersi immaginata la sua voce pronunciare quella frase
che, soppesata, era quasi assurda. «Non so quando
ma a breve» No, non lo aveva immaginato
allora. Probabilmente Dazai era ancora sotto l'effetto
dell'alcol ma una parte di Tomie sperava che fosse lucido e sincero.
Questo mondo è un palcoscenico e io sono
un attore che ha perso il proprio copione.
Deglutì un fastidioso groppo mentre il cuore
le batteva con ingiustificata velocità. «Vengo
con te» Dazai la guardò come se accanto a lui
ci fosse uno sconosciuto che gli aveva appena chiesto un favore
importante. «Scordatelo» sussurrò
freddo. «Ti ucciderebbero» «E a
te no scusa?» ribatté lei con una punta di
indignazione. Dazai aprì la bocca per parlare ma la
richiuse immediatamente. «Scordatelo» ripeté
come un giocattolo programmato. Tomie ruotò il busto
verso di lui con la rabbia negli occhi. Strinse un lembo del lenzuolo
tra le dita. «Vengo con te» ripeté a sua
volta con determinazione. «Hai capito cosa ti ho
detto dannazione!? Verresti etichettata come una traditrice e uccisa!
Cosa pensi, che la Mafia non riuscirà a trovarti!?»
tuonò Dazai voltandosi verso di lei. Tomie lo guardò
negli occhi. «E tu hai capito che non me ne frega
niente?» sibilò a qualche centimetro da lui.
Sto improvvisando.
«Sei uno stronzo» disse poi mantenendo
il suo sguardo. «Sei un maledetto stronzo egoista. Mi
lasceresti qui da sola? Oda è morto, Ango è sparito e
tu te ne vai. E io? Io che fine faccio? Te lo dico io: faccio la fine
della povera imbecille che viene lasciata indietro perché il
cretino che ho davanti crede che non riuscirei a proteggermi, è
così Dazai? Pensi davvero che io non ne sia in grado? Pensi
che non sia in grado di proteggermi?» sputò fuori con
rabbia mentre Dazai la fissava senza battere ciglio. «Ho
pensato tante di quelle volte di lasciare la Mafia, tante credimi, ma
sono sempre rimasta qui perché avevo te, Oda e Ango. Avevo
voi. Non mi importava del resto, del bene, del male, di morire uccisa
o uccidere. Finché avevo voi con me sarei stata bene. Ma ora
non ho più motivo di restare a marcire qui. Voglio ripartire
da zero, voglio cambiare Dazai. Sono stanca di uccidere. Ogni volta
che lo faccio muoio anche io, e io voglio iniziare a vivere».
È un vero peccato...
Quando Tomie smise di parlare aveva il fiato corto.
Dazai si sentì come svegliato bruscamente da un sonno profondo
e solo in quel momento si rese conto di come la sua voce riuscisse a
calmarlo. Si massaggiò la tempia con una mano. Non
riusciva più a pensare in modo razionale, l'alcol stava
continuando a scorrergli nel sangue anche se in piccola parte ma
bastava ugualmente a fargli girare la testa. Avrebbe voluto vomitare
e poi stendersi da qualsiasi parte e chiudere gli occhi... anche in
mezzo alla strada. Già, pensò, avrebbe aspettato
pazientemente che una macchina lo investisse, ma ci aveva già
provato e Tomie lo aveva portato in salvo ancora prima che potesse
sedersi sull'asfalto. Perché lei si ostinava così
tanto a tenerlo in vita?
Stupido, stupido, stupido, stupido, stupido.
Prese un respiro profondo. Tomie lo stava ancora
guardando in attesa di una risposta, osservandolo con i suoi
penetranti occhi azzurri, in quel momento arrossati dal pianto. Le
sue parole rimbombavano nella sua testa ferita e confusa come il
suono di un gong.
'Voglio ripartire da zero. Voglio
cambiare.'
Dazai si lasciò sfuggire un sorriso
amaro. Lei avrebbe potuto, lei ci sarebbe riuscita, lei non
era adatta a quel mondo di sangue. Avrebbe preso una strada
completamente diversa, una che le si addiceva di più. Avrebbe
iniziato a vivere la vita che voleva, sarebbe diventata qualcuno di
importante forse. I suoi peccati sarebbero stati espiati e lei
sarebbe andata avanti senza remore.
'Diventa un uomo buono'.
Perché Odasaku gli aveva chiesto una cosa del
genere? Lui non ne era in grado, lo sapeva. Conosceva un solo modo
per vivere ed era nel sangue. Avrebbe fallito di nuovo. Non sarebbe
stato in grado di andare avanti, sarebbe stata una presa in giro.
Giocare a fare il bravo ragazzo non era nei suoi standard.
Arrenditi, buono a nulla.
«Dazai...» Il ragazzo si girò
ricordandosi improvvisamente della sua presenza. Tomie gli posò
una mano sulla spalla. Stava sorridendo dolcemente, senza tracce di
pietà. E allora lui capì. No, non
sarebbe riuscito a vivere come Odasaku gli aveva chiesto, ma lei
avrebbe potuto insegnarglielo. Grazie a lei, forse, lui sarebbe
riuscito ad esaudire gli ultimi desideri del suo migliore amico. Con
lei al suo fianco, lui ce l'avrebbe fatta e avrebbe messo a zittire
quelle voci che si ostinavano a rimproverarlo e deriderlo.
Posso cambiare?
Dazai l'abbracciò e Tomie non si ritrasse sebbene fosse
rimasta sorpresa da quel gesto. Avvolse il corpo del
ragazzo in una stretta che sapeva di casa e Dazai nascose il viso
nell'incavo del suo collo inspirando il suo profumo.
Mi sono perso fingendo di essere umano.
Quando ruppero l'abbraccio Tomie appoggiò le mani sulle
sue spalle e continuò a sorridere.
Ma tu mi hai ritrovato.
«Possiamo farcela» disse. Dazai annuì con
convinzione perché ci credeva con tutto se stesso ora.
Non sentivo più niente.
Si avvicinò al suo viso e senza preavviso le baciò
la fronte, poi il naso e infine si soffermò a guardarle le
labbra ancora piegate in un sorriso. Le mani le tremavano e il suo
corpo era scosso dai brividi. «Ti fermi proprio ora?»
mormorò con una punta di riso nella voce. Dazai non
ebbe bisogno di altre conferme.
Ma tu mi hai fatto sentire amato.
Grazie.
Angolo autrice
Grazie per tutte le visite! Mi rendo conto che la storia non è
molto chiara ma vi assicuro che alla fine dedicherò un
capitolo alle piegazioni. Intanto cosa ne pensate? Avete già
qualche idea di cosa stia succedendo?
Cherry
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Capitolo 7 *** {Sei} ***
Fa
male.
Cadono
leggere le foglie sul prato mentre nuove gemme prendono il loro posto
senza fretta, senza pretese per poi cadere a loro volta sconfitte dal
vento che non soffia.
Fa
male.
Il fruscio
delle ali di qualche uccello che spicca il volo in lontananza non crea
disturbo alla pacifica radura immersa nel silenzio, come le mani di lei
nei suoi capelli. Si cercano le labbra, gli occhi chiusi si affidano ai
sensi.
Fa
male.
Dimmi che
sei qui, dimmi che sei qui con me supplica lui abbracciandola e
mescolandosi al suo corpo mentre lentamente il sole sorge.
Fa
male.
Sono qui
risponde lei con un sorriso lasciando che le mani si trovino e gli
occhi si aprano per poi perdersi nuovamente gli uni negli altri.
Fa
male.
Allora
baciami ancora sussurra lui con voce tremante. Ha bisogno di essere
amato, di essere guarito. Le sue ferite pulsano e sanguinano mentre lei
gliele bacia una ad una.
Fa
male, ma almeno ho te.
Sono qui
ripete ancora mentre l'erba sotto di loro non si lamenta, non si
ribella ai loro corpi stretti e tremanti, i corpi di due animali feriti.
Baciami
ancora, dolcemente, come sai fare tu.
Gli scappa
da ridere perché nonostante lui la senta, lui avverta il suo
calore inibire i suoi sensi e la sua pelle tendersi sotto il suo tocco,
lo sa che durerà poco.
Rinasco
tra le tue braccia, che sia sera o mattina, inverno o primavera.
La stringe
a sé ancora un po', le orecchie fischiano, i respiri si
mischiano, il bisogno di vivere e sentirsi parte di ciò che
li circonda non esiste, perché lei vuole solo sentirsi sua e
baciarlo ancora e ancora incurante dell'alba che li spia.
Chiedo
solo di trovarti accanto a me quando
aprirò gli occhi.
La notte
è passata, sembra rimproverarli il sole, non potete
più nascondervi. Ma loro non badano a ciò, non
vogliono preoccuparsi più di nulla. Solo di ascoltare i
battiti dei loro cuori unirsi, le loro mani intrecciarsi, gli uccelli
cantare il loro amore e le cicale frinire gelose.
Ci
sarai?
Il vento
soffia, le foglie si seccano e cadono, la radura si sveglia, il tempo
torna a scorrere.
E tutto
tace.
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Capitolo 8 *** {Sette} ***
"È
solo un pensiero" mormorò Tomie distogliendo lo sguardo.
Dazai aveva ancora la bocca socchiusa dalla meraviglia e lo scatolo con
il piccolo medaglione turchese abbandonato sul divano. Lo prese in mano
alzandolo davanti agli occhi come per vedervi attraverso. La luce al
neon del soggiorno si stagliò sul piccolo gioiello facendolo
brillare.
Non sentendo alcuna risposta da parte del compagno Tomie lo
guardò di sottecchi.
Stava sorridendo. Dazai stava davvero sorridendo con
genuinità e solo in quel momento la ragazza si rese conto
che non lo faceva da quella notte in cui la vita del loro migliore
amico era stata strappata via dai suoi occhi, dalle sue mani
solitamente calde e dal sorriso che ancora dopo il suo ultimo respiro
aveva continuato ad aleggiare sul suo viso segnato dal tempo e da sogni
che mai si sarebbero realizzati.
Senza dire una parola Dazai si alzò dal divano
facendo cadere a terra con un tonfo sordo il libro che stava leggendo
ma che aveva chiuso e abbandonato sul suo grembo per concedere le sue
attenzioni a Tomie. Le accarezzò piano i capelli per poi
abbracciarla. La strinse a sé dolcemente sorridendo mentre
le mani di lei gli accarezzavano la schiena con movimenti lenti e
rassicuranti.
"Grazie
Tomie" sussurrò al suo orecchio.
"E'
solo un pensiero" ripeté senza staccarsi da lui.
Ancora
un po', pensò; voglio restare così ancora un po'.
Non
le era mai parso giusto riporre tutta se stessa in un'altra persona,
perché le persone erano solite rovinare le cose belle, non
erano fatte per custodirle. Eppure, in quel momento, con le braccia del
ragazzo attorno al suo esile corpo, non riuscì a credere che
potesse esserci del male in lui.
Non riusciva a capacitarsi che lui stesso era convinto di
appartenere a quel mondo di strazio e oscurità da cui erano
fuggiti insieme. C'era sempre stata della luce in lui, debole, fioca,
ma c'era. Lei e Oda l'avevano colta immediatamente e avevano fatto di
tutto per tenerla accesa, per farla crescere. Lei lo sapeva che prima o
poi quella luce avrebbe fatto scoppiare un incendio ma non aveva paura
di bruciarsi.
Tomie si appoggiò ancora un po' al
petto di Dazai e la sua attenzione ricadde su uno dei suoi
quadri. Fin da ragazzina le era piaciuto dipingere soprattutto con gli
acquarelli e quando lei e Dazai avevano fittato quell'appartamento in
periferia, lontani dal porto, la prima cosa che lui stesso aveva
proposto era stata di appendere i lavori di Tomie alle pareti. Per lei
ogni quadro racchiudeva un pezzo di lei, un po' della sua anima. Non
aveva mai pensato di venderli sebbene anche Oda glielo avesse proposto;
erano sempre rimasti appesi alle pareti o ai cavalletti. Le piaceva
riguardarli, perdersi in quel paesaggi che la sua mente partoriva senza
sforzo e, magari, notare piccoli errori che non avrebbe tentato di
correggere. Ogni colore mescolato, ogni forma da essi assunta, ogni
piccola minuzia racchiudeva una melodia che solo lei riusciva a udire.
Qualche volta Dazai si sedeva accanto a lei a guardarli e insieme si
godevano il silenzio. Lui le prendeva la mano e lei sorrideva
perché sapeva che capiva, capiva meglio di chiunque altro.
Con un sospiro Tomie si allontanò a malincuore da
quel tepore che quel corpo tanto amato emanava e guardò
Dazai con un sorriso. Un ciondolo del suo colore preferito non sarebbe
mai bastato per esprimere ciò che lei racchiudeva in
sé, le cose che Dazai sapeva lei provava ma che lei stessa
non riusciva a spiegare, ma per il momento quello era l'unico modo che
aveva trovato per dirgli 'sono qui, siamo
qui e io ti amo più che mai'.
"Meglio
che vada a fare la spesa prima che i supermercati chiudano"
esordì alla fine.
Dazai annuì. Dopo qualche minuto rimase da solo con
ancora il rumore della porta che si richiudeva alle spalle della
giovane rimbombare nel silenzio della sua testa. Sorrise.
Rimirò ancora una volta il pendente turchese contro
la luce della luna che aveva fatto timidamente capolino dalla finestra
ma dopo qualche secondo avvertì una strana sensazione.
Mancava qualcosa.
Abbassò il piccolo gioiello e i suoi occhi si
scontrarono contro la parete dove quella mattina era appeso uno dei
quadri di Tomie. Il dipinto di una radura illuminata dal sole era stato
sostituito da un freddo intonaco bianco.
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Capitolo 9 *** {Otto} ***
Ci sono
momenti in cui i ricordi lo assalgono come la marea, ma al contrario di
quest'ultima e con dispiacere di Dazai, quando il riflusso si ritira
dalla sua mente -non delicatamente come il mare, ma graffiandola come
un rastrello- non trascina con sé i pezzi di cui avrebbe
voluto liberarsi; essi rimangono conficcati in lui come sassi nella
sabbia. Li avrebbe estirpati dal terreno per ributtarli al largo, ma
quel crudele afflusso di memorie scomode li avrebbe riportati tutti al
loro posto, non levigati ma, anzi, più appuntiti.
È quasi una sfida tra lui e se stesso, lo è
sempre stata. Chi avrebbe avuto la meglio? Lui o la sua mente per cui
fin da piccolo lo lodavano, geniale e pragmatica? Prende un respiro
profondo ed espira fino a svuotarsi i polmoni restando con una
fastidiosa vertigine che gli fa girare la terra sotto i piedi.
Aveva smesso di autocommiserarsi tanto tempo fa ma, rivedendo quella
scena tutta da capo, le lacrime trattenute di lei e il suo sguardo
distante, impassibile che -per quanto lo voglia non stenta a credere
che sia il suo- si scontrano in una fiamma blu e rossa di emozioni
contrastanti come il freddo e il caldo, non può respingere
-si è arreso ormai- quel sentimento a lui fin troppo
familiare che solitamente è accompagnato dal sapore
dell'alcol ma, mai come avrebbe voluto, delle lacrime. Dazai Osamu
è debole, un uomo forte di testa ma debole in tutto il
resto; proprio per questo motivo gli è impossibile versare
lacrime. Quando vi era riuscito, dopo la morte della sua amata Tomie,
non gli parve vero del tutto, temeva che una parte di lui stesse
piangendo solo per non sentirsi un verme. Ma alla
fine, si dice guardando lei che gesticola con rabbia e se stesso che le
volta le spalle muovendo le labbra -dando voce a parole a lui non
udibili ma che ricorda vividamente di aver pronunciato- piegate in una
smorfia che mai aveva rivolto a lei, non può che trovarsi ad
andare a braccetto con i propri demoni.
"Se
solo avessi messo da parte l'orgoglio"
'Verme',
anzi, è un diminutivo. Codardo. Irriconoscente. Bastardo.
Era stato tutto ciò che si era ripromesso di non essere mai
con lei, perché lei non lo meritava.
"Se
solo non le avessi detto quelle cose"
E lei era
andata via sbattendosi la porta dietro le spalle. La cosa peggiore,
però, -si dice ciò mentre è immobile a
fissare se stesso voltarsi nel punto esatto dove poco prima, in piedi
con le mani lungo i fianchi e la voce rotta, vi era lei- è
stata quella per cui si tormenta giorno e notte e per cui avrebbe
voluto riavvolgere il nastro del tempo come una cassetta:
"Se
solo..."
Lui non
l'aveva fermata.
"Se
solo l'avessi fermata sarebbe ancora qui".
Dazai
spalanca gli occhi avvertendo il vuoto sotto il suo corpo. Poco dopo si
rende conto di essere steso con la testa sul grembo di Tomie, gli occhi
bonari di lei e il sorriso incuriosito. Giusto, lei è
lì.
Lei
è lì.
Una
felicità sorda gli accorcia il respiro, gli stringe lo
stomaco in una piacevole morsa e gli fa accelerare il battito del cuore
come poche volte. E se succede è sempre grazie a lei.
Lei
è lì. Nonostante tutto, nonostante lui non la
meriti, nonostante sia stato cattivo con l'unica persona che voleva
proteggere. Lei è lì e lo guarda come se non
fosse mai successo nulla. Sospira di sollievo sostenendo il peso del
macigno che da tempo immemore grava sul suo petto, cosa che non passa
inosservata alla ragazza. Dolcemente gli accarezza il viso inclinando
il capo di lato e, altrettanto dolcemente, chiede:
-Hai fatto
un incubo?-
Dazai
scoppia in lacrime.
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Capitolo 10 *** {Nove} ***
Tomie
non sentiva lo scalpiccio dei suoi passi procedere decisi sull'asfalto
di quella piccola strada racchiusa tra due mura, in una direzione che
la sua mente non aveva ancora registrato e che, probabilmente, non
avrebbe fatto, lasciando che la ragazza continuasse a vagare con la
sola compagnia di quelle insistenti e martellanti parole di cui la sua
coscienza continuava a bere il veleno. Non sentiva il vociare delle
persone che le passavano accanto come fantasmi invisibili; le loro
risate, i toni di polemica e di allegria a stento riuscivano a scalfire
la corazza di indifferenza che aveva indossato quella sera la ragazza,
adornata da un paio di occhi freddi e straziati. Non sentiva il fresco
vento che la sera aveva portato con sé quando era calata
sulla città, eppure la sua pelle si accapponava al contatto
della brezza su di essa, la percepiva come mille spilli che si
conficcavano piano nelle sue braccia scoperte ma, al contempo, era come
se qualsiasi altra sensazione non avesse potuto raggiungerla. Era come
se il mondo attorno a lei si fosse dileguato. Non sentiva nemmeno
più la rabbia che per tutto quel lungo pomeriggio le aveva
scavato nel petto una voragine di parole e gesti che aveva riversato su
Dazai i cui occhi -ancora li vedeva davanti a sé scrutarla
di sottecchi- erano così distanti...
Non sentiva nulla. Riusciva solo a percepire il vuoto che
quell'emozione aveva lasciato in lei, come un coltello conficcato e poi
tirato via con forza da una ferita ancora aperta e pulsante.
Ricordava le orecchie fischiarle tante erano le grida che
avevano occupato il piccolo appartamento arredato con le loro parole
d'amore e sguardi di complicità ma che, in quel momento,
parevano essere stati spazzati via da una forza forestiera ma non del
tutto nuova alla coppia, che più di una volta si era trovata
faccia a faccia con espressioni del tutto diverse da quelle che erano
soliti scambiarsi. Tomie era stanca di quel litigi che non portavano
mai da nessuna parte e che cessavano sempre con porte sbattute e notti
in cui nessuno dei due osava toccare l'altro per orgoglio. Con il
sorgere del sole tutto sembrava tornare alla normalità;
così come scacciavano il buio, allo stesso modo i raggi del
sole neutralizzavano gli avvenimenti del giorno prima, accantonandoli
in un angolo di mente che nessuno dei due si preoccupava di
rispolverare. Però, si disse la ragazza trovandosi ancora
una volta in disaccordo con se stessa, anche quello faceva parte della
loro relazione: litigare non piaceva a nessuno dei due ma accadeva come
se fosse stato un fenomeno impossibile da evitare. Allo stesso tempo lo
era far pace, cosa un po' più piacevole per entrambi.
Passavano la notte seguente alla battaglia ad amarsi e il giorno li
coglieva l'uno nelle braccia dell'altra, e capiva che non vi era
bisogno della sua luce per rischiarare i loro cuori momentaneamente
oscurati da quel sentimento scomodo ma, talvolta, necessario. Vi erano
volte in cui Dazai, non sopportando più la tensione, la
attirava a sé baciandola ferocemente e lei non si ritraeva
perché le piaceva sentire le mani di lui correre su e
giù per il suo corpo famelicamente, bisognose di stringerla
e avvertire il suo torpore, afferrarla e bloccandola sotto di lui in
qualsiasi parte della casa si fossero trovati. Le piaceva sentirsi necessaria
al novello detective, avvertire su di lei il peso di quel corpo tanto
amato, i suoi occhi scrutare ogni parte di lei che già
conosceva ma che voleva riscoprire come la prima volta, e lei,
altrettanto, sapeva, oh, sapeva esattamente come far perdere il
controllo al ragazzo; bastava un semplice sguardo scambiato al momento
giusto, un semplice tocco nella parte giusta del suo corpo trepidante,
un bacio sul collo, sulle labbra, un sorriso e lui era ai suoi piedi.
Altre volte, le peggiori, in balia di una furia ardente, uno
dei due usciva di casa e non si ripresentava per ore dovendo smaltire
la rabbia che, come una brutta sbornia, faceva uscire dalle loro bocche
parole di cui non erano coscenti finché non ripensavano
all'impeto degli avvenimenti. A quel punto si maledicevano ma
l'orgoglio era troppo per tornare a chiedere scusa, e quando i gesti
nemmeno funzionavano si ricorreva al silenzio.
Come quella volta.
Tomie continuava a camminare ignorando tutto e tutti pensando
a quanto quella volta Dazai avesse esagerato e a quanto lei fosse stata
sciocca a sua volta. Forse avrebbe dovuto dare un calcio a quello
stupido sentimento unilaterale che la stava costringendo a camminare
senza voltarsi indietro, e per una buona volta tornare a casa,
chiedergli scusa e dimenticare quella faccenda. Tuttavia una parte di
lei premeva dalla voglia di ignorare i sensi di colpa. Una minuscola
parte di lei sorrideva, voleva continuare a sbagliare, concedersi di
fare errori come una ragazzina, persistere con quegli stupidi litigi
che si dissolvevano nel nulla una volta che lei e Dazai si guardavano
negli occhi. Era il minore dei mali quello per cui si tenevano il
broncio per ore, giorni a volte, ritenendo che fosse un dramma; quelli
erano i problemi migliori che avessero mai potuto affrontare.
In quel momento si alzò il vento e i suoi occhi
colsero i rami degli alberi muoversi spasmodicamente sulle sue note
silenziose. Scacciando ogni altro pensiero, quella vista le
riportò alla mente il medaglione turchese che aveva regalato
al ragazzo qualche giorno prima, e quasi giurò di vederlo
muoversi a ritmo dei passi di quest'ultimo che le andava incontro con
un sorriso. A quell'immagine le sue guance si tinsero di rosso e
pensò che ne era valsa la pena vendere uno dei suoi quadri.
Il sorriso di Dazai non aveva prezzo. All'agenzia dove avevano iniziato
a lavorare da qualche settimana avevano notato tutti il ciondolo
cristallino -anche perché Dazai non aveva fatto altro che
girare con il petto in fuori-; era piaciuto perfino a quel brontolone
di Kunikida. Dazai, allora, non aveva perso tempo e aveva abbracciato
Tomie facendo mille mosse e decantando a gran voce quanto fosse
meraviglioso quel regalo e, soprattutto, quanto lo fosse lei. La
giovane rise ricordando quel giorno ma ben presto la sua voce fu
sovrastata e poi troncata da alcune urla.
Non riuscendo a capire da dove provenissero e, presa alla
sprovvista, si voltò più volte finché
il suo sguardo attento intercettò un uomo armato di pistola
correre a perdifiato, i suoi vestiti erano sporchi di sangue e qualcosa
le disse che non apparteneva a lui. Non seppe cosa la spinse a farlo,
se il senso di giustizia o semplice incoscienza, fatto sta che quando
si trovò a poca distanza dal criminale non
indietreggiò ma gli si parò davanti, le braccia
spalancate per bloccare qualsiasi via di fuga e gli occhi puntati sul
nuovo rivale, il quale si vide costretto a rallentare la corsa.
-Levati!- tuonò puntando la pistola contro di lei,
ma Tomie non si mosse. Avrebbe potuto usare la sua abilità
per intrappolarlo, sarebbe stata la scelta più intelligente
da fare ma prima ancora che potesse richiamare il suo potere, il
criminale le si avvicinò ancora di più fin quando
la canna della pistola non fu puntata sul suo addome.
-Ho detto levati- sibilò sta volta a qualche
centimetro dal suo viso. Ancora una volta la giovane non
abbassò lo sguardo né si mosse.
-Costringimi- ribatté con tono fermo. L'uomo,
inaspettatamente, sorrise accettando la sfida. Tolse la sicura della
pistola con un gesto secco ma Tomie non si lasciò
intimidire; gli bloccò il polso repentinamente
spostandoglielo verso il vuoto, gli colpì il mento con il
palmo della mano, poi gli pestò con forza un piede
costringendolo ad abbassarsi così da potergli infliggere una
potente giniocchiata nello stomaco. L'uomo cadde a terra tossendo
più volte e Tomie ne approfittò per allontanare
da lui l'arma cadutagli precedentemente. Continuò a guardare
il criminale contorcersi dal dolore; probabilmente gli aveva fratturato
un paio di costole ma quell'ipotesi non scatenò in lei in
minimo senso di colpa. Per un attimo, anzi, le sembrò di
essere tornata indietro nel tempo a quando era nella Port Mafia, con
l'unica differenza che, se fosse ancora stata lì, a
quell'ora l'uomo che aveva ai piedi non starebbe emettendo il minimo
suono e la pistola, invece che a terra, si sarebbe trovata tra le sue
mani. Scosse la testa per cacciare via tutto ciò che
risaliva al passato, ricordi, rimpianti, urla di dolore e occhi
assetati del sangue dei suoi simili. Non era più quello,
ormai. Non era più una macchina da guerra pronta a sparare.
Eppure il suono che udì poco dopo era proprio
quello di una pistola. Abbassò lo sguardo sconcertata
vedendo del sangue per terra, poi lo alzò di poco
incontrando il viso dell'uomo che ora aveva scoperto le gengive rosse e
i denti gialli e storti in un ghigno animalesco di disgustoso sadismo.
Solo allora Tomie avvertì un dolore lancinante che
partiva dall'addome per poi attraversarle il corpo come una scarica
elettrica.
Un altro sparo.
Altro dolore che le mozzò il fiato, altro sangue
che colava dalle ferite inflitte. La sua vista stava iniziando ad
annebbiarsi e la sua mente, ormai, stava registrando tutto come un
sogno. O un incubo.
«Non
ho bisogno di te e della tua compassione!»
Le
sue gambe cedettero e lei collassò al suolo lasciando che il
sangue creasse una pozza cremisi sotto di lei.
«Posso
farcela benissimo senza di te!»
Suoni
vividi appartenenti a parole rabbiose risuonarono attraverso il suo
udito ovattato.
Non riusciva a spiegarsi perché proprio in quel
momento quelle frasi tanto dolorose stavano prendendo forma mentre il
suo cuore rallentava la corsa.
«Se
esci da quella porta sta pur certa che io non verrò a
cercarti!»
Tomie
chiuse gli occhi mentre l'uomo si rialzava aiutato da un altro, la
pistola ancora stretta tra le mani di quest'ultimo.
«Sono
stanco Tomie»
«Stanco di cosa Dazai, eh? Stanco di noi? Abbi le
palle di guardarmi in faccia e dimmelo!»
Dazai scosse la testa frustrato senza degnare la ragazza di
uno sguardo.
«Sono stanco» ripeté passandosi
una mano sul viso come svuotato dalle energie. Tomie, al contrario di
lui, avvertì le lacrime di rabbia contro gli occhi e un
groppo in gola premere insistentemente contro di essa. Era pura
adrenalina.
«Vuoi che me ne vada?»
Ancora una volta fu il silenzio a risponderle.
Lui non l'avrebbe fermata, glielo aveva detto.
E allora lei andò via.
Una
piccola folla attratta dagli spari si radunò presto nel
punto in cui poco prima era avvenuto lo scontro.
Ma del corpo di Tomie non vi era alcuna traccia. C'era solo la
pozza di sangue ancora fresco mescolata alle lacrime di un cuore pieno
di rimpianti.
***
Quella notte Dazai si svegliò di soprassalto.
Non perse tempo a chiedersi dove si trovasse perché
non ne ebbe bisogno, benché fosse sicuro di essersi assopito
sul divano in attesa del ritorno di Tomie.
In un primo momento, quando la vide davanti a lui, i suoi
occhi tristi e le sue labbra sorridenti, non capì cosa
stesse succedendo, ma bastò che lei lo toccasse per far
sì che la coscenza si facesse spazio mettendo da parte la
speranza che quello che stava accadendo in quel momento non era altro
che un abbaglio.
Ma la luce era forte e le lacrime di lei sgorgavano veloci, il
respiro era mozzato dai singhiozzi e l'incredulità.
-Tomie...- annaspó posandole una mano sulla guancia
bagnata.
-Mi dispiace Dazai- sussurró lei non riuscendo ad
aggiungere altro.
Dazai, per un momento, rimase paralizzato. Il suo corpo era
pesante e non rispondeva ai comandi che la sua mente gli impartiva,
anche perché in quest'ultima vi era il caos.
Abbassò lo sguardo sull'addome della giovane dove una ferita
rossa e vivida era apparsa distinguendosi -e stonando- come un colore
scuro in una tela vivace. Il sangue e il tempo si erano fermati.
-No... dimmi che non...- le parole gli morirono in gola non
riuscendo a trovare sbocco.
Tomie lo abbracciò continuando a singhiozzare e lui
la strinse nascondendo il viso nei suoi capelli viola.
-Tomie-chan... ti prego...- gemette mentre crollava sulle
ginocchia ancora avvinghiato a lei, quasi avesse avuto paura che
sarebbe svanita se l'avesse lasciata andare. Sperava di sbagliarsi,
desiderava tanto udire la risata della ragazza che si espandeva in quel
vuoto, che lo rincuorasse dicendogli che in realtà stava
bene e non era successo nulla. Ma quelle parole non arrivarono mai.
C'erano solo i singulti leggeri e il fracasso di un cuore martellante.
Da quel momento in poi, per quanto fosse stato orrendo quel
sogno, Dazai sperò di non svegliarsi mai più.
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Capitolo 11 *** {Dieci} ***
And I remember when I
met him, it was so clear that he was the only one
for me.
We both knew it, right away.
Non
appartengo a questo posto.
-Dovrai
lasciarmi andare prima o poi-
Le mani di Tomie giocherellando con le ciocche del detective
accarezzandolo di tanto in tanto.
Dazai tiene la testa sul suo grembo e gli occhi chiusi beandosi del
tocco di lei come un elisir.
Non
è qui che dovrei essere, lo so bene.
La radura
è immersa nel suono delle cicale e in lontananza
è possibile udire il cinguettio di qualche uccello.
I suoi occhi si aprono piano.
-Lo sai che non posso-
L'unica
a cui appartengo sei tu.
-Sì
che puoi- replica lei quasi duramente.
-Il problema è che non vuoi-
Ma
anche i petali del fiore più bello cadono.
Cosa
c'è di male? pensa il detective. Lei è l'unica
cosa bella che gli sia mai successa. E' già stato privato di
tante cose, perché deve rinunciare anche a lei? Semplice,
perché di tutto ciò di cui può fare a
meno lei è ciò che non avrebbe mai lasciato
andare; proprio per questo motivo ora è costretto a farlo,
costretto a privarsene in cambio di una cosa che nemmeno vuole e mai ha
voluto. E' un codardo ma non vuole rimanere di nuovo solo, non vuole,
non ce la farebbe a sopportare il freddo che gli stringe il collo anche
-soprattutto durante le giornate più soleggiate, non avrebbe
trovato la forza per liberarsi dalla presa di mani invisibili che lo
avrebbero spinto sul fondo di un abisso color pece. Il solo pensiero
gli fa venire voglia di scappare il più lontano possibile
finché non riuscirebbe a dimenticare chi è e
perché sta correndo chissà dove con il fiato
sospeso e i piedi che bruciano. Tuttavia sa bene che nel momento in cui
si sarebbe voltato indietro, si sarebbe reso conto con dispiacere che
non aveva mosso nemmeno un passo.
And as the years went
on, things got more difficult--
we were faced with more challenges.
-Dovresti
smetterla di pensare a me e andare avanti- sospira Tomie facendo
ricadere lo sguardo su una primula accanto a lei.
Il detective alza un sopracciglio.
-Ed io che pensavo ti desse fastidio quando ci provo con tutte quelle
ragazze- risponde con un sorriso che Tomie non sa mai se prendere a
schiaffi o baciare fino a consumarsi le labbra.
Dazai è scorretto, ma alla fine lei sa che il suo
è solo un modo per sviare il discorso. Nemmeno lei, nel suo
egoistico e umano desiderio d'amore, vuole lasciarlo andare ma aveva
promesso a se stessa di essere migliore -aveva promesso a Oda,
guardando il cielo silenziosamente, che mai e poi mai avrebbe
intralciato la felicità che il detective aveva guadagnato
con tanta fatica. Lei non avrebbe più interferito.
-Ancora mi chiedo come io abbia fatto ad innamorarmi di te- dice lei
alzando giocosamente gli occhi al cielo.
Dazai sorride e chiude gli occhi ancora una volta.
No,
sono io a chiedermi come abbia fatto una come te a salvare uno come me.
La ragazza
fa scorrere le dita sulle sue guance, tracciando piccole carezze con i
polpastrelli. Fissa pensierosa un punto impreciso mentre, come un
automa, ripete parole che per lungo tempo le sono rimaste dentro ma che
ora devono uscire o sarebbero marcite insieme a lei.
-Dazai, alla fine siamo tutti cani randagi raccolti dalla strada che
diventano fedeli al primo che li salva; spesso, però,
dimentichiamo che chi ci distrusse una volta era la persona che a sua
volta ci salvò-.
Dazai solleva una mano posandola sulla guancia di lei avvertendo una
lacrima scendere dalle sue orbe azzurre.
-Tu non potresti mai distruggermi- dice, poi sorride.
Tomie abbassa la testa lasciandosi andare al contatto della sua mano.
"L'ho fatto quando ti ho portato qui la prima volta", pensa con
rammarico.
-Mi dispiace... sai anche tu quanto io voglia restare con te- abbozza
un sorriso ma esso va ad affievolirsi come un fiore piegato dal vento
ma che mantiene comunque la sua bellezza.
-No... la colpa è mia. Ho fatto un casino- sussurra Dazai
ispirando profondamente.
I begged him to stay.
Try to remember what
we had at the beginning.
Portami
via da qui.
-Prima
Odasaku e poi tu-
-Lo sai che non è colpa tua-
-Sì che lo è- insiste il detective con un sospiro
rassegnato prendendole una mano e intersecando le loro dita insieme
che, come pezzi di un puzzle, combaciano perfettamente.
Tomie continua ad accarezzarlo piano senza sapere cosa dire, sapendo
che non sarebbe stato facile convincerlo del contrario. Tante volte ci
aveva provato e tante volte aveva fissato gli occhi dell'uomo
incresparsi ai lati mentre sorrideva con malinconia.
"Vorrei che fosse così" diceva sempre. E Tomie restava a
fissarlo mentre la rabbia per essere impotente davanti allo sconforto
di Dazai cresceva in lei. Quell'uomo aveva sempre negli occhi una buia
iridescenza di amarezza, l'aveva sempre avuta, eppure non gli era mai
donata né l'aveva meritata. Ricorda in quel momento, di come
abbia tentato a lungo di penetrare nella sua testa attraverso le
fessure di quel sorriso distrutto, di come ambisse a spazzare via tutti
i suoi dispiaceri e i mostri che la occupavano e ancora la occupano.
Quando vede il sorriso sincero di lui sbocciare e gli occhi svuotarsi
di tutti i rimpianti e gli incubi, pensa che forse ci è
riuscita, che non sarebbe stato poi così sbagliato restare
lì con lui per sempre.
He was charismatic,
magnetic, electric and everybody knew it.
When he walked in every woman's head
turned, everyone stood up to talk to him.
He was like this hybrid, this mix of a man
who couldn't contain himself.
Ma sa fin
troppo bene che Dazai non può continuare a vivere in quel
sogno, e nemmeno lei nell'illusione che vada tutto bene.
Continuerebbero a farsi del male. Devono lasciarsi andare una volta per
tutte.
La colpa, però, ancora una volta, è solo sua. Non
smetterà mai di condannarsi, perché alla fine
è così: Tomie è stata un' egoista e a
causa di questo suo capriccio infantile ora lui rischia di non
svegliarsi più. Se non l'avesse portato in quel posto, se
avesse lasciato perdere tutto, se quel giorno non avesse usato la sua
abilità per salvarsi, Dazai probabilmente l'avrebbe
custodita solo come un ricordo, come era giusto che fosse.
Andiamo
via.
Quasi
abbia colto il pensiero della ragazza, Dazai si alza dal suo grembo per
guardarla meglio in viso.
Fa scorrere lo sguardo su ogni suo dettaglio e intanto si innamora.
-Sei l'unica persona con cui posso essere me stesso senza pentirmene.
Quando guardo le mie mani vedo solo sangue- spiega con tristezza, -ma
quando le mie dita sono intrecciate tra le tue esso sparisce. Se tu non
fossi qui ora... probabilmente non ci sarei nemmeno io. E sai cosa
intendo-.
I always got the sense
that he became torn between
being a good person and missing out on all
of the opportunities
that life could offer a man as magnificent
as him.
Si
avvicina alle sue labbra ma lei si ritrae.
-Dazai- lo chiama piano, -non è questo il tuo posto-.
-Il mio posto è accanto a te Tomie- ribadisce il detective
quasi implorante.
Già,
questo mondo mi è sempre stato estraneo.
Tomie alza
finalmente lo sguardo e abbozza un sorriso.
-Lo so. E lo sarà sempre- lo accarezza dolcemente mentre un
vuoto le divora lo stomaco.
Non
voglio più vivere.
Non
senza di te.
And in that way I
understood him
and I loved him.
Posa la
sua fronte su quella di lui chiudendo gli occhi.
Il prato si tinge di rosso
mescolandosi alle lacrime e al dolore, creando così la tela
più bella che la morte possa mai aver dipinto.
-Ma adesso devi svegliarti-
Il buio cala sulla radura e a Dazai pare essere inghiottito dal nulla
di cui sono fatte quelle dolci illusioni.
Non
voglio...!
-Tomie!
-No no no
no! Ti prego!-
Tomie lo
guarda un' ultima volta con quei grandi occhi in cui il cielo sembra
essersi incastrato.
-Ti prometto che ci rivedremo, ma fino ad allora vivi. Fallo per
entrambi-.
Il suo corpo inizia a dissolversi. Dazai si getta tra le sue braccia a
capofitto stringendola a sé con tutte le forze che ha, quasi
abbia la certezza di poterla trattenere.
-Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace...-
Piange come un bambino ormai, ma questo non avrebbe fermato il tempo
nella sua folle corsa.
Tomie posa una mano sulla sua testa accarezzandolo piano per l'ultima
volta come una mamma con il suo tesoro più prezioso.
-Ti amo
Dazai Osamu-
I loved him, I loved
him, I loved him.
La sua
voce non è altro che un eco ormai.
Le braccia di Dazai si ritrovano ad avvolgere il vuoto mentre cade a
terra su quel prato divenuto grigio così come il cielo.
And I still love him.
Portami
con te!
Alza lo
sguardo pieno di lacrime. Di lei è rimasto solo il sorriso,
indelebile nella sua mente. Il paesaggio scompare definitivamente
lasciando Dazai solo e disorientato. Chiude gli occhi stringendo i
denti.
-Ti amo anche io Tomie. E la morte non ci separerà. Te lo
prometto-
I love him.
Svegliami
da questo mondo che si sta arrugginendo
Aprì
gli occhi.
Ad
accoglierlo con un sorriso sornione c'era la prepotente bellezza di
quel mondo sciagurato, che quasi sembrava tendergli la mano e porgergli
il bentornato.
Dazai scosse il capo sentendo tutto il corpo intorpidito, un fastidioso
tubo in gola gli impediva di parlare ma si rese subito conto che non ce
ne sarebbe stato bisogno.
Vicino a lui non c'era nessuno.
|
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Capitolo 12 *** {Epilogo} ***
[Questo
capitolo contiene spoiler del manga, leggete a vostro rischio e
pericolo -ma leggete lol-]
。。。
When your warmth
disappear
I woke up from a dream
to face the reality door.
。。。
Una goccia
di pioggia scivolò languidamente sul vetro, senza fretta,
interrompendo di tanto in tanto la piccola corsa come per posticipare
la propria fine quasi sapesse che si sarebbe schiantata contro il
davanzale della finestra prima o poi. Non aveva senso tardare
l'appuntamento con la morte, ella era sempre e comunque puntuale.
Chissà se la gocciolina stava desiderando di non essere mai
nata? Se non fosse mai nata non sarebbe mai caduta dal cielo e ora non
si starebbe per disintegrare in altre minuscole perle d'acqua che
sarebbero state inghiottite dal suolo senza lasciare segno del loro
passaggio. Sotto molti punti di vista l'inizio poteva essere ancor
più brutale della fine. Senza l'inizio nulla avrebbe potuto
smettere di essere.
Dazai ne era sempre più convinto. Se non fosse mai venuto al
mondo si sarebbe risparmiato molte sofferenze; certo, le cose belle che
aveva vissuto sarebbero sparite a loro volta ma se lui non fosse mai
esistito non avrebbe dovuto piangerle nel momento in cui si sarebbero
dissolte. Qualcosa, però, si impuntava dentro di lui,
sostenendo con determinazione che se lui e Tomie non si fossero mai
conosciuti una parte di lui l'avrebbe cercata per sempre nello stesso
modo in cui, in ventidue anni della sua vita, aveva cercato una ragione
per vivere. Ed era stata proprio Tomie a mostrargliela, a donargliela.
Aveva preso le sue mani e da quel momento Dazai aveva capito di averla
trovata.
Già, Tomie gli sarebbe mancata anche se non si fossero mai
incontrati.
Non aveva mai creduto nel karma sebbene lui era indiscutibilmente il
primo su cui si sarebbe dovuto abbattere. Ma come poteva esistere una
cosa del genere in un mondo dove le persone buone, innoque come gocce
d'acqua che scivolavano giù dal vetro, erano le prime a
trovarsi con al testa tra le mani?
Destino? L'idea che fosse già tutto scritto era solo una
scusa per non assumersi la responsabilità delle proprie
azioni. Le persone se ne lavavano le mani con frasi come "doveva andare
così a quanto pare". E se invece si sbagliassero? Se invece
avessero lottato un po' di più il finale sarebbe stato
sempre lo stesso? Chissà se se lo erano mai chiesto... Lui
sì, lui si ubriacava di quelle incognite.
Se
quel giorno non l'avesse lasciata andare le cose sarebbero andate
diversamente?
Probabilmente
era l'unico che accumulava quelle riflessioni come cianfrusaglie.
Sarebbe stato più facile anche per lui pensare che le cose
dovevano andare in quel modo fin dall'inizio, ma il bambino capriccioso
che preservava dentro si rifiutava categoricamente di crederci
preferendo continuare a riempirsi di quesiti irrisolvibili piuttosto
che ammettere la propria disfatta.
Mattino, ti prego,
arriva presto ed accoglimi prima che non riesca più a
nascondere la mia debolezza.
Prima di
unirsi all'agenzia i suoi monotoni giorni li trascorreva al bar a bere
come uno squallido senzatetto e a sognare un finale alternativo, uno
lieto magari. Qualche volta guardava la porta del locale come se Tomie
l'avrebbe spalancata con decisione da un momento all'altro. Poteva
quasi vederla davanti a lui; lei si guardava intorno per qualche
secondo, poi, dopo averlo intercettato e avergli rivolto uno sguardo
non esattamente morbido, gli si avvicinava prendendolo per un braccio
con l'intenzione di trascinarlo fuori da quella topaia. Avrebbe
accettato anche le sue urla o degli schiaffi, qualsiasi cosa pur di
avere la certezza che lei fosse davvero lì davanti a lui.
"Quando la smetterai di bere così tanto?" avrebbe detto lei
una volta a casa, ignorando di proposito gli occhi pieni d'amore di lui
che l'avrebbe presa per i fianchi, sapendo che la sua spavalderia
sarebbe crollata nel momento in cui l'avrebbe baciata. Forse avrebbero
fatto l'amore o forse si sarebbero limitati a sedersi sul divano e
restare abbracciati l'un l'altra mentre scambiavano quattro chiacchiere
parlando di nulla in particolare o anche solo restando in silenzio,
dimenticando tutta la faccenda.
Quelle utopie sparivano nel momento in cui Dazai veniva richiamato
dalla voce della barista che lo informava dell'imminente chiusura del
locale. A quel punto l'ex mafioso si alzava dallo sgabello e si recava
verso l'uscita in completa abiezione e solitudine. L'unica cosa che
ancora lo faceva sentire vicino alla ragazza dai capelli viola era il
medaglione che portava al collo. C'erano momenti in cui giurava di
sentire le iridi azzurri di Tomie sulla pelle. Quasi d'istinto, allora,
stringeva il pendente tra le dita e chiudeva gli occhi, cosciente,
tuttavia, che quella di cui troppo spesso si nutriva, era l'illusione
di trovarla davanti a sé una volta riaperti.
È strano,
basta che tu non ci sia e la notte diventa così malinconica.
Avrebbe
voluto avere almeno la consolazione di trovarsi sotto il suo stesso
cielo, ma seduto sul lettino dell'ospedale reduce dall'operazione per
estrarre il proiettile gentilmente regalatogli dal cecchino di
Dostoevskiy, alzò gli occhi verso quest' ultimo -zeppo di
nuvole grigie intente a dare sfogo alla loro ira-, il quale si
estendeva davanti ai suoi occhi velati dal disinteresse e ancora una
volta una risata riecheggiò dall'interno della sua mente,
cupa e beffarda, ricordandogli che nessun lieto fine sarebbe stato
scritto quel giorno, quello dopo e quello dopo ancora. Non per lui,
perché il suo lieto fine era lei.
Ma ora non ho nessun
diritto di parlare di felicità.
Capisco più di chiunque altro che non mi si addice
un lieto fine.
* * *
Era da
tanto tempo, si disse Tomie, che non avvertiva la pelle accapponarsi in
quel modo in preda ad ondate di impetuoso gelo. Come scariche
elettriche le percuotevano il corpo facendolo formicolare, si
infilavano sotto la pelle, le attanagliavano lo stomaco e le bruciavano
le membra. Poteva sentire chiaramente il sangue fuoriuscire dalle sue
ferite e, mantenendo gli occhi chiusi come se aprirli fosse stato un
ulteriore dolore da sopportare, si ritrovò a sperare che il
Mietitore giungesse al più presto e la raccogliesse da terra
con delicatezza per portarla via con sé. Il fatto di essere
ancora cosciente non sapeva se considerarlo un regalo o una dannazione:
avrebbe potuto vedere, avvertire quel mondo
sfuggente -che per quanto l'avesse messa a dura prova rimaneva sempre
di una bellezza disarmante, ma di questo pareva rendersene davvero
conto solo in quel momento- un'ultima volta, pensare al sorriso caldo
di Dazai e sentire il sale delle lacrime un ultimo istante prima di
spirare.
Il suo respiro iniziò a rallentare e lei si
lasciò sfuggire un sorriso perché finalmente
avrebbe potuto riposare per davvero. C'erano tante
cose a cui non era riuscita ad adempiere come avrebbe voluto -dopotutto
la sua era stata un'esistenza breve-, ma in quel momento non parevano
rivestire un'importanza primaria, era troppo presa dal torpore che le
si stava accasciando pesantemente sulla schiena schiacciando il suo
corpo contro l'asfalto.
Il nome di Dazai era l'unica cosa che continuava ad occupare posto
quasi prepotentemente nella sua testa; quanto avrebbe voluto averlo
accanto, dirgli addio una seconda e definitiva volta, accarezzarlo e
fargli sapere di nuovo che le dispiaceva così dannatamente
tanto per tutto. Le sarebbe piaciuto averlo al suo capezzale, forse non
così presto ma aveva sempre creduto che sarebbe stata lui
l'ultima cosa su cui i suoi occhi si sarebbero posati prima di
chiudersi per sempre. Forse, se quel giorno di quasi nove anni fa lei
non lo avesse fissato un po' troppo a lungo per poi sorridergli, se lui
non avesse ricambiato incerto... Forse, e solo forse, ognuno avrebbe
proseguito per la propria strada e, qualora lei fosse morta lo stesso,
non avrebbe dovuto ripensare con angoscia a quanto dolore gli avesse
procurato l'esatto momento in cui quella notte si era presentata in uno
dei suoi sogni con l'addome insanguinato e le parole lasciate a
metà.
Ma chi voleva prendere in giro? Se non avesse usato la sua
abilità tutto ciò sarebbe potuto essere evitato.
Non c'era modo di cambiare le cose, in ogni caso la colpa era sua.
Nel mortale dormiveglia finalmente le parve di percepire qualcuno
sostare in piedi davanti a lei. Non ebbe la forza di alzare il capo o
anche solo le palpebre ma continuò a sorridere fedele alla
convinzione che la morte era finalmente sopraggiunta, senza sapere che
davanti a lei, invece che il Mietitore, vi era un angelo con la gonna e
un fermaglio d'oro a forma di farfalla.
* * *
Quando i
suoi piedi incontrarono l'asfalto dovette quasi fermarsi per
riabituarsi a quella sensazione di concretezza sotto i piedi e
così fece, restando immobile a studiare la città
nel suo caotico viavai di vite distratte.
Il segni che il temporale aveva lasciato il giorno prima erano ancora
lì, raggruppati in tante piccole pozze d'acqua sporca di
terra. Dazai inspirò a pieni polmoni quell'aria putrida e
ancora carica di elettricità. Poteva sentirla eppure essa
non lo raggiungeva. Il suo corpo non era mai stato così
spento e privo di forze. L'unica vera scarica elettrica in grado di
farlo rinascere era il tocco di quelle dita sottili che mai l'avrebbero
sfiorato nuovamente, ma avrebbe dovuto farci l'abitudine. Non poteva
fossilizzarsi, sarebbe andato avanti ancora e ancora fino a consumarsi
l'anima, portando sulle spalle il peso che una volta aveva condiviso
con Tomie che ora era pronto a trasportare per conto suo.
«Non
preoccuparti di nulla, ci penso io»
Dazai
infilò le mani in tasca per nascondere il loro tremore a
nessuno in particolare e iniziò a camminare verso l'agenzia,
riponendo tutte quelle pene in un cassetto e ripromettendosi di aprirlo
solo di notte. Cuore infranto o no, avrebbe dovuto darsi da fare. Non
avrebbe lasciato che esso lo intralciasse in alcun modo durante il
giorno anche se i suoi demoni trovavano sempre il modo per sfuggire al
suo controllo solitamente impeccabile.
Giurò di sentirli perfino in quel momento.
«Morto
morto morto, sei morto»
«Bestia»
«Sei una bestia»
«Sì, una bestia!»
«Un ranocchio che nessuna principessa
potrà salvare dalla sua condanna!»
«Ucciditi e fai un favore alla
società»
«Sei senza dignità»
Come un
libro dalle pagine ingiallite letto troppe volte, Dazai ricordava a
memoria le sentenze che quelle voci si divertivano a sputargli contro.
Le sentiva festeggiare, brindare alla sua disgrazia perché
sapevano, oh, sapevano bene che ora che Tomie non c'era più
avrebbero potuto fare di lui ciò che volevano. Lo avrebbero
portato all'Inferno e lì sarebbe rimasto, buono e ubbidiente
come un cane.
Quella volta avrebbe chiuso gli occhi per non vedere nessuna mano
tendersi verso di lui nel tentativo di salvarlo. Non era più
sicuro di volerlo.
* * *
La dottoressa Yosano si
alzò dalla sedia girevole stiracchiando le braccia al cielo.
Per quanto potesse essere morbida la sedia e calorosa la piccola stanza
arredata a studio medico apposta per lei, non riusciva a negare il
desiderio di voler uscire di lì il prima possibile. Amava il
suo lavoro ma l'odore clinico del disinfettante aveva iniziato a farle
girare la testa.
Sopprimendo un sospiro si alzò affacciandosi verso il
lettino sul quale Tomie stava riposando. Era fiera di se stessa e
sollevata di essere arrivata in tempo. Se fosse passato anche solo un
altro secondo sarebbe stato tutto inutile.
Rimase a studiare i lineamenti della giovane soffermandosi sui suoi
particolari capelli violetti. C'era qualcosa in loro che apriva una
piccola porticina della sua mente, non abbastanza da permetterle di
sbirciarvi al suo interno purtroppo.
Una strana familiarità che stentava a ritenere vera, un po'
per la stanchezza, un po' perché era certa di non aver mai
visto quella ragazza in vita sua, le incollava gli occhi purpurei
addosso.
Quella frustrante sensazione sarebbe sparita, Yosano si augurava, al
piú presto come una folata di vento, allo stesso tempo,
però, quando quest'ultimo soffiava non poteva certo essere
ignorato. Era un qualcosa di astratto, irraggiungibile, ma c'era e
accarezzava la pelle lascivamente, scompigliava i capelli e strappava
le foglie dagli alberi lasciandole inermi per terra.
Alla fine la donna si arrese decidendo che combattere con la propria
testa era una guerra persa in partenza. Magari quando la giovane si
sarebbe svegliata avrebbe potuto chiarirle le idee.
Tornò a sedersi sulla sedia accasciandosi contro lo
schienale. Quanto le sarebbe piaciuto chiudere gli occhi anche per soli
cinque minuti; era stata sveglia tutta la notte a vegliare su quella
ragazza e ora che l'alba era giunta con il suo manto dorato, Yosano
desiderò che lo stendesse su di lei come una coperta.
Un gemito la costrinse a distaccarsi dal desiderio di riposare ma in un
attimo esso parve sparire.
La giovane aveva aperto gli occhi rivelandone il loro colore azzurro.
Scrutò la dottoressa per qualche istante, la quale si
alzò quasi di scatto dalla sedia per andarle incontro.
-Come ti senti?-
La sua voce le giunse ovattata e anche se Tomie fu sicura di averla
udita non rispose limitandosi a qualche sguardo apatico.
Yosano iniziò a frugare tra i suoi attrezzi medici tirando
fuori da un cassetto uno stetofonendoscopio poi, tornando sui suoi
passi, infilò i piccoli canali nelle orecchie e fece per
posizionare il disco sul petto della giovane, ma questa alzò
una mano per fermarla.
Sotto lo sguardo perplesso di Yosano si mise a sedere lentamente,
dopodiché la guardò in viso per un paio di
secondi, i quali bastarono a farle scaturire un'inspiegabile voglia di
piangere.
-Noi... ci conosciamo?-
Tomie, ancora una volta, si limitò a guardarla. La sua voce
era come bloccata in gola dall'indissolubile certezza che qualsiasi
cosa avrebbe detto sarebbe servita a ben poco, dunque
preferí concentrarsi sul mondo fuoristante. Aveva ripreso a
scorrere, lo avvertiva dal più piccolo spostamento d'aria al
suono dei clacson che raggiungevano quello studio medico.
Ma cosa ci faceva lei lì?
Meritava davvero di
essere testimone dello scorrere del tempo?
Si morse il labbro imprimendo
cosí nella carne il desiderio di piangere, vietando al suo
animo di dar sfogo alla prostazione che continuava a seguirla. Eppure
lei non aveva fatto granché per liberarsene.
Condividerla con qualcuno non bastava per allegerirne il peso, era solo
l'ennesima bugia che si raccontava per avere una mera consolazione, e
quante volte era stata testimone di menzogne come quella. Eppure
lasciava sempre correre e l'avrebbe fatto ancora una volta, ancora una
volta.
«Non importa»
Non le importava, giusto?
Oppure era una bugia anche quella?
Con la lingua piena di
falsità che si ritrovava, meritava davvero di avere una
seconda possibilità?
«Chi te lo dice
che Dazai sarà ancora lì ad aspettarti?»
La paura di non essere
più voluta le graffió la mente con unghie aguzze
e sporche di incertezza.
Si dimenticò per un attimo di essere tornata alla
realtà e il nulla l'avvolse ancora. Si trovò in
quel vuoto che l'aveva condannata, che aveva quasi ucciso la persona
che amava. Avrebbe voluto farsi del male, tanto, tanto male per non
commettere più alcun errore.
Non mi lasciare
Quella condanna che aveva e
continuava a dover scontare era ben incisa nella sua persona e avrebbe
continuato a essere parte integrante di lei fino alla fine dei suoi
giorni, lo sapeva sebbene continuava a ignorarlo di proposito.
Per un attimo biasimò la dottoressa Yosano per averla
salvata quando tutto ciò che avrebbe voluto -meriato-
era chiudere gli occhi una buona volta, ma ben presto
scacciò via qualsiasi astio perché il viso di lui
e dei suoi occhi gentili apparve nella sua testa come un fulmine; la
disintossicò da tutto il veleno di cui la ragazza si stava
nutrendo.
Sorrise mentre le lacrime iniziavano a solcarle il viso sotto lo
sguardo insicuro della donna. Finalmente seppe cosa fare
perché era tutto estremamente semplice e si maledisse per
non averlo capito prima.
Concedimi di essere
egoista
Concedimi di essere umana
Aveva una seconda occasione e
questo, questa bastava.
* * *
Non si
aspettava alcun tipo di cambiamento all'interno dell'agenzia, dopotutto
il suo periodo di assenza era stato relativamente breve, sarebbe stato
alquanto impossibile scorgere un minimo mutamento in così
poco tempo tra quelle quattro mura che per anni erano rimaste
invariate. Però, si disse avanzando tra la grande stanza
occupata dalle scrivanie dei dipendenti, c'era qualcosa nell'aria che
gli solleticava la cute e il cuore.
Un profumo.
Sì, Dazai era sicuro che nell'aria aleggiasse un profumo a
lui familiare, nostalgico, che lo rendeva irrequieto. Non
riuscí ad ignorarlo benché si fosse ripromesso,
qualche attimo prima, di lasciarsi alle spalle quelle illusioni ormai
appartenenti al passato. Capì che per quanto volesse essere
più forte, il suo cuore vinceva sempre.
Iniziò a voltare il capo in tutte le direzioni, a far
scorrere gli occhi su ogni minuzia senza notarla davvero,
perché lui era in cerca di una cosa sola, utopica forse per
la parte razionale della sua mente, ma presente e viva nel resto di lui.
Aprì la bocca un paio di volte ma altrettanto la richiuse.
Dove sei?
Avvertì un formicolio percuoterlo dalla testa ai piedi ma
proprio quando si decise a muovere un passo, Yosano uscì dal
suo studio con occhi assonnati. La donna si sarebbe accorta di lui a
malapena se non fosse stato per la voce che fuoriuscì
strozzata dalla sua gola un attimo dopo.
-Yosano-san...-
Ancora una volta le parole gli morirono in gola nel momento in cui si
rese conto di non avere la minima idea di cosa dirle.
"Avete visto Tomie per caso? Sì, la ragazza che amo
con tutto il cuore e che dovrebbe essere morta. Sa, ho sentito il suo
profumo in questa stanza. Come? Ah no, non disturbatevi a chiamare il
manicomio, a breve mi farò rinchiudere per conto mio".
-Oh, Dazai. È un piacere rivederti-.
Normalmente il detective non avrebbe perso tempo a posarsi una mano sul
petto in maniera melodrammatica, enunciando quanto stesse soffrendo per
quell' indifferenza, ma in quel momento la sua parte burlesca sembrava
non essere mai esistita. Notò come gli occhi della donna
fossero contornati da cerchi neri, segno inequivocabile di una notte
passata in bianco.
-Va tutto bene?-
Yosano annuí perdendosi a fissare il solco delle mattonelle
accanto si suoi piedi ma Dazai aveva capito ancora prima che c'era
qualcosa che non andava. La donna, infatti, gli rivolse lo sguardo una
seconda volta e incrociò le braccia al petto iniziando a
raccontare della nottata in bianco, di come avesse salvato quella
strana ragazza e di come la medesima avesse fatto scaturire in lei la
sensazione di conoscerla da tempo immemore.
Man mano che il racconto proseguiva gli occhi di Dazai si allargavano a
dismisura, il suo cuore scalpitava come mai prima di allora e le gambe
sembravano star facendo uno sforzo immane per reggere il suo peso. Le
sentiva urlare, incitarlo a correre anche se aveva l'impressione di
poter svenire da un momento all'altro.
-Dazai, ti senti bene?-.
Dazai fu riscosso dal caos che imperversava in lui come un bambino
pestifero che sbatteva idee e sentimenti a destra e a manca senza
preoccuparsi del conseguenziale disordine e puntò le iridi
castane in quelle violette della donna. Tutto ciò che
riuscì a dire con voce scombussolata e rauca all'interno
dell'agenzia risuonò come un grido disperato.
-Dov'è adesso?-
* * *
Correva a
perdifiato. Poco importava della ferita ricucita che ancora pizzicava,
poco importava che i suoi polmoni si stessero svuotando completamente,
poco importava degli sguardi dei passanti.
Ogni volta che i suoi occhi scorgevano un luccichio porpora si fermava
speranzoso per poi riprendere a correre una volta resosi conto che non
erano i capelli di Tomie quelli.
Nel momento esatto in cui la dottoressa Yosano gli aveva riferito che
la misteriosa ragazza era andata via senza rivelarle la meta verso la
quale era diretta, Dazai era schizzato fuori dall'agenzia con il cuore
in gola e l'ansia che gli squarciava il petto. Non trovava altri modi
per descrivere a se stesso cosa stesse provando in quell'attimo che
pareva non finire mai, sapeva solo che il suo corpo fremeva di una
folle euforia mai percepita. Attorno a lui qualsiasi cosa aveva perso
forma quasi fosse stato coperto da una coltre di nebbia indissipabile.
I suoi occhi vedevano solo il colore viola o l'azzurro, niente di
più. Tutto il resto era grigio.
Senza nemmeno rendersene conto aveva girato gran parte della
città ma di Tomie non vi era traccia. La sua mente
iniziò a deriderlo ancora e ancora con cattiveria e Dazai
dovette resistere all'impulso di tapparsi le orecchie o urlare.
Quanto avrebbe voluto avere un interruttore per poter spegnere quelle
voci.
«Sei
pazzo, sei pazzo, sei pazzo pazzo pazzo!»
«Se anche fosse viva non tornerebbe mai da
te!»
«Rinuncia, fallito!»
«Non riesci nemmeno a toglierti dai piedi, non vedi
quanto sei patetico?»
«Se fossi in te tornerei a casa e mi farei
curare»
«Lei è morta e tu sei solo un corpo che
cammina, privo di anima e del diritto di esistere»
Il respiro
gli si accorciò come se la fatica della corsa si fosse
moltiplicata, piombandogli addosso senza pietà. Si
sentì perso, non riconosceva più le strade della
sua città, le luci erano troppo accecanti e le voci delle
persone erano amplificate a tal punto da fargli fischiare le orecchie.
Alzò lo sguardo al cielo implorante.
Dove
sto sbagliando?
Un
silenzioso desiderio di aiuto rivolto alle nuvole tinte di arancione
raggiunse il culmine ma non fuoriuscì mai dalle labbra del
detective.
Stavo
facendo meglio di così!
«Bugiardo!»
«Dai, dinne un'altra!»
«Un'altra menzogna, sei tanto bravo a
dirle!»
«È l'unica cosa che gli riesce»
Io...
non ce la faccio più...
'A
cosa pensi?'
Dazai
sgranò gli occhi.
'Mi
piacerebbe andare sulla spiaggia.'
Mormorii
spezzati dal battito incessante del suo cuore sciagurato. Un segno
forse, un piccolo aiuto sussurrato nel suo orecchio. I suoi piedi si
mossero quasi automaticamente mentre un tramonto vermiglio lo scrutava
da lontano.
* * *
Il
detective si ritrovó a combattere contro la sabbia che
risucchiava i suoi passi, ma nonostante la fatica continuò
ad avanzare imperterrito finché non ebbe raggiunto la riva
del mare.
L'atmosfera era così tranquilla che per un attimo credette
di non trovarsi nel mondo reale o, anzi, di essere un'altra persona.
Qualche volta si divertiva a farlo: immaginava di chiamarsi in un altro
modo, avere una vita e un passato completamente differenti da quelli
marchiati a sangue che lo caratterizzavano. Ma bastava un momento, un
pensiero piccolo che si insinuava subdolo in lui e tutto tornava come
prima. Tutto gli ricadeva addosso cogliendolo impreparato. E ancora una
volta si dimenticava come essere felice.
Anche adesso aspettava di vedere le sue innumerevoli utopie
sgretolarsi, ma il pensiero che metteva sempre un punto ad esse non
giunse mai. Era come se lì, in quel preciso istante, sulla
riva del mare e con il vento che ne increspava la superficie tutto
tornasse al posto giusto. Tutte le pene che aveva sofferto erano
dissipate dagli ultimi raggi del sole; perfino le voci si erano
attutite fino a diventare meri sussurri.
Era tutto quasi perfetto.
Mancava solo un dettaglio fondamentale ma esso non tardò ad
arrivare.
-Che atmosfera meravigliosa, non trovi?-
Dazai si voltò piano dando le spalle alla distesa azzurra.
Poco distante da lui, Tomie lo osservava con quel suo sorriso
caratteristico che mandava in panne il cervello del detective. Non
desiderò più essere qualcun altro, voleva essere
se stesso con tutto il dolore e tutto l'amore che provava
perché Tomie era lì, non in un' altra vita, non
in un altro mondo e non amava nessun uomo che non fosse Dazai Osamu.
Infine, senza aspettare oltre, la giovane spalancò le
braccia e con voce rotta dall'emozione proferì: -Allora? Non
vieni a salutarmi?-.
Dazai non se lo fece ripetere due volte. Si fiondò tra le
sue braccia assaporandone il calore e beandosi del suo profumo,
stringendola non come se avesse avuto paura di perderla, ma con la
certezza di averla tra le braccia e la promessa che non l'avrebbe
più lasciata andare. Tomie si aggrappò al suo
impermeabile piangendo silenziosamente, distaccandosi quel poco che
bastava per poterlo guardare negli occhi. Dazai, allora, le prese il
viso tra le mani e la baciò con una delicatezza disarmante,
assicurandosi di imprimere tutto quello che c'era da dire sulle labbra
dell'altra.
E Tomie capì; comprese ogni singola parola e lo
baciò a sua volta, affondando le mani nei suoi capelli per
sentirlo più vicino, per stampare nell'ultimo raggio di sole
e nella prima stella della sera le loro anime che si stringevano senza
lasciarsi ostacolare dai corpi.
E mentre dietro di loro il giorno si concludeva, un altro era pronto
per essere scritto.
Fine
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